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Tiziano Franzi, Simonetta Damele

Leggere insieme
sta i pe r l e g ge r e . ..

LOESCHER EDITORE

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© Loescher Editore - Torino - 2013
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Ristampe

5 4 3 2 1 N
2018 2017 2016 2015 2014 2013

ISBN 9788858307144

Nonostante la passione e la competenza delle persone coinvolte nella realizzazione


di quest’opera, è possibile che in essa siano riscontrabili errori o imprecisioni.
Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e ringraziamo coloro che, contribuendo
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Contributi
Il materiale di supporto è stato realizzato con la collaborazione di Filippo Gerli e Vittoria Haun, adolescenti con Disturbi Specifici
dell’apprendimento (DSA)

Coordinamento editoriale: Francesca Asnaghi, Milena Lant


Redazione: Marta Falco
Disegni: Valentina Mai
Impaginazione: Sara Blasigh
Copertina: Visualgrafika - Torino

Stampa: Sograte Litografia s.r.l. - Zona Industriale Regnano - 06012 Città di Castello (PG)

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INDICE
Tutti i testi sono presenti nel volume Generi, temi, laboratorio delle abilità 2;
il riferimento alla pagina corrispondente è riportato nella colonna in colore.

Tutti gli esercizi conservano la medesima numerazione che hanno in Generi, temi,
laboratorio delle abilità 2. Gli esercizi aggiunti sono riconoscibili da questa grafica: 1 

Il mio primo tuffo p. 5 p. 18


Ti scrivo in fretta p. 9 p. 86
Caro Damian, cara Frances p. 15 p. 138
Mezzanotte e sette minuti p. 19 p. 184
Io e Joseph p. 24 p. 265
Mattia e il nonno p. 34 p. 328
Orfeo ed Euridice p. 43 p. 382
Anche la TV ha un’età p. 49 p. 520
Di passaggio p. 53 p. 566
La gatta p. 55 p. 596
VERIFICA Centrofóbal p. 57 p. 68
VERIFICA Mio dolcissimo Quattr’occhi p. 64 p. 169
VERIFICA Anna e Vronskij p. 69 p. 437
VERIFICA Pubblicità e obesità p. 73 p. 537
VERIFICA Pioggia p. 78 p. 617

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Il mio primo tuffo
Un bambino di
dieci anni non si è
mai tuffato

Durante le vacanze con mamma Prima: paura


e papà Un uomo gli insegna a Durante: eccitazione
tuffarsi dal bordo della piscina Dopo: gioia

Poi vede alcuni ragazzi Desidera provare a


tuffarsi dall’alto tuffarsi dall’alto

Ultimo giorno:
vinta la paura si tuffa dal
trampolino più alto

Ricordo il mio primissimo tuffo, ammesso che lo si possa definire tale.

Avevo circa dieci anni e mi trovavo in vacanza con mamma e papà, e dei loro
amici.

Un uomo mi insegnò a tuffarmi dal bordo1, invece di tapparmi il naso con le dita
e buttarmi alla meno peggio2.

1 dal bordo: sottinteso, della piscina.


2 alla meno peggio: così come viene, senza nessuna tecnica.

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Avevo paura, e mi aveva dovuto spingere dentro, ma ero caduto con le mani in
avanti e la testa ben piegata, e non dimenticherò mai quella prima entrata,
con la sensazione dell’acqua che mi scorreva e ribolliva intorno al viso e alle
orecchie. Ero riemerso gridando come un ossesso3.

Appena uscito dall’acqua, mi ero ributtato. Il nuoto non mi interessava più.


Volevo solo fare tuffi.

Poi iniziai a notare quelli che si tuffavano dai trampolini.

Me ne stavo disteso sulla schiena e li osservavo per dei secoli4, sapendo che
volevo salire lassù.

L’ultimo giorno di vacanza mi costrinsi a salire sulla piattaforma da dieci metri.

Ci rimasi seduto sopra per un’eternità, tenendo le ginocchia strette al petto,


con lo stomaco che mi si contorceva dalla paura.

3 come un ossesso: come un pazzo (per la gioia, l’eccitazione, la rabbia e la paura).


4 per dei secoli: è un modo di dire, “per molto tempo”.

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Credo che gli altri si fossero dimenticati di me, a quel punto.

Sapevo che non sarei sceso dalla parte della scaletta, ma questa volta non c’era
nessuno a sospingermi, né a ridere di me, né a fare il conto alla rovescia.

Nessuno avrebbe mai saputo se l’avevo fatto o no. Era tutto dentro di me: la
volontà di farlo, simile a un liquido spumeggiante e caldo, mescolata alla paura che
mi stringeva la bocca dello stomaco.

Poi, all’improvviso, mi alzai e lo feci. Andai semplicemente fino all’estremità della


piattaforma e praticamente rotolai giù.

Credo che sia stata la più grande impresa della mia vita.

(B. Doherty, Le due vite di James il tuffatore, Casale Monferrato, Piemme, 1998)

Riassunto
Il protagonista della storia è un bambino di dieci anni che non si è mai
tuffato. Mentre è in vacanza con la mamma e il papà, un uomo gli insegna
a tuffarsi dal bordo della piscina. La paura è così grande, che deve essere
spinto in acqua, ma quando riemerge grida come un pazzo dalla gioia.

Da quel momento i tuffi sono la sua passione e piano piano comincia


a osservare i ragazzi che si lanciano dall’alto, sentendo il desiderio
di provare. Così l’ultimo giorno, salito sul trampolino più alto, vince gli attimi
di esitazione e di grande paura e si tuffa.

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Esercizi

1 Il narratore ricorda un episodio avvenuto quando era bambino: che età aveva
quando è accaduto? Che cosa è riuscito a fare?

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5 L’uomo incontrato in vacanza che cosa gli ha insegnato a fare prima


di tuffarsi?
A Tapparsi il naso e buttarsi alla meno peggio.
B Osservare bene gli altri tuffatori.
C Tenere le mani avanti e stare con la testa piegata.

6 L’uomo deve usare un metodo un po’ brusco per convincere il bambino


a tuffarsi. Quale?

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8 Perché il bambino decide di tuffarsi dalla piattaforma alta dieci metri?


A Per farsi notare da genitori e amici.
B Per sfidare se stesso e vincere del tutto le sue paure.
C Per imitare gli altri tuffatori.

13 Sul tuo quaderno racconta o immagina la prima volta che ti sei tuffato: dove
ti trovavi? Con chi? Quali erano i tuoi sentimenti prima della prova? E dopo?
Lo rifaresti? Scrivi almeno mezza pagina.

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Ti scrivo in fretta

Martina, una ragazza


adolescente, scrive nel
proprio diario personale

giovedì 4 febbraio venerdì 5 febbraio

La mamma ha preparato In piscina Martina


pasta e carne non vere non sopporta Paola,
l’insegnante di nuoto che
mangia la pizza mentre
Martina e il Papà si lamentano i ragazzi nuotano
dell’esperimento

La signora Judith,
l’Esperimento è fallito insegnante privata di
e la mamma ritorna alla inglese, si accorge che
cucina tradizionale Martina non ha capito
nulla delle sue lezioni

Martina aiuta la mamma


a fare il bucato
Martina, pur
controvoglia, deve
mette un paio Ricominciare le lezioni
di calzini Rossi dentro la d’inglese da capo
bacinella e tutto il bucato
diventa rosa acceso
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Giovedì 4 febbraio

Caro diario,

ti scrivo in fretta perché tra poco dovrò andare in piscina e poi a lezione d’inglese.

Oggi a pranzo la mamma aveva preparato delle cose strane: degli spaghetti che
non erano di pasta e delle bistecche che non erano di carne.

Gli spaghetti erano di soia, mollicci e bianchi; la bistecca invece aveva sapore
di sughero.

Poi c’era l’insalata ma, almeno quella, era davvero fatta d’insalata.

Io e papà abbiamo cominciato a fare delle smorfie mangiando e la mamma, che


invece si aspettava un complimento, ci guardava male.

A un certo punto, sono stata anche costretta a infilarmi un dito in bocca per
staccare gli spaghetti dal palato ed ero così scocciata che mi è scappato di chiederle:
«Mamma, non ne avevi di pasta normale?»

Lei si è offesa.

Ha detto che quello era davvero un bel ringraziamento per tutto il daffare che
si dava per noi, che la soia è un prodotto naturale e molto nutriente.

La mamma voleva fare l’arrabbiata, ma ha cominciato a ridere anche lei con noi
e sembrava che tutti e tre non dovessimo smettere più.

Poi ha tirato fuori dal frigo delle mozzarelle.

«Esperimento fallito!» ha dichiarato, e tutti ci siamo divorati le mozzarelle con


l’insalata.

Più tardi, volevo aiutare la mamma.

Così ho messo a mollo il bucato in una bacinella con acqua e detersivo.

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Ma la schiuma ha cominciato a uscire dalla bacinella e non sapevo come
fermarla.

Dopo aver sciacquato tutto, ho tirato fuori il bucato.

Tutto era diventato di un bel rosa acceso, anche le mutande di papà, perché
avevo messo un paio di calzini rossi dentro la bacinella.

La mamma per fortuna ha detto che a tutti, prima o poi, capita di fallire qualche
esperimento.

L’importante è non prendersela troppo, riderci sopra e riprovarci.

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Venerdì 5 febbraio

Caro diario,

ieri il pomeriggio non finiva più.

In piscina Paola ci ha fatto fare almeno dieci vasche senza quasi farci fermare.
Lei se ne stava all’asciutto, ci guardava e si sgranocchiava una bella pizza salata.

Mi faceva una rabbia!

Poi, a lezione d’inglese dalla signora Judith, è successa una cosa che prima o poi
lo sapevo che sarebbe accaduta: sono arrivata alle cinque, come ogni giovedì;
la signora Judith mi ha aperto la porta e mi ha fatto accomodare sul solito divano.

Poi ha sparato tre quattro delle solite domande e io, come faccio sempre,
ho risposto due volte yes e due volte nou.

A quel punto la fortuna mi ha girato le spalle e la signora Judith deve aver


realizzato in un colpo solo che io delle sue conversazioni non avevo mai capito
un’acca.

Il sorriso le si è come congelato sulla faccia e le sono diventate pallide persino


le lentiggini.

Si è seduta, si è presa la testa fra le mani e ha mormorato:

«Oh, my God!»

Io la guardavo quasi preoccupata e non sapevo che pesci pigliare: mi faceva


pena.

Dopo un paio di minuti molto imbarazzanti, la signora Judith mi ha detto:

«Ma cara, potevi dirmelo prima che non capivi le mie parole».

Io sono quasi arrossita come quando penso a Roberto e ho provato a dirle che
non ne avevo avuto il coraggio.

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Lei per fortuna ci ha creduto.

Ha sospirato forte e ha deciso che era il caso di ricominciare tutto daccapo.

Allora ho chinato la testa e ho sospirato anch’io.

E così abbiamo iniziato con l’alfabeto e con i vocaboli più semplici.

Mentre leggevo a voce alta apple, mela, car, automobile, dog, pensavo che questo
inglese sarà anche la lingua del futuro ma io, intanto, mi perdo il presente.
(S. Bordiglioni, M. Badocco, Dal diario di una bambina troppo occupata,
San Dorligo della Valle, Einaudi Ragazzi, 2000)

RIASSUNTO
Nelle pagine del suo diario personale Martina racconta quanto le accade
ogni giorno.

Giovedì 4 febbraio la mamma prepara pasta e carne di soia, ma Martina


e il papà non gradiscono. La mamma inizialmente ci rimane male, ma poi
scoppia a ridere rendendosi conto che tutti possono fallire un esperimento.
Più tardi Martina aiuta la mamma a fare il bucato ma, per colpa di un
paio di calzini rossi lasciati nella bacinella, fa diventare tutto di colore rosa
acceso. Così anche lei impara la lezione.

Venerdì 5 febbraio Martina partecipa come al solito alle lezioni di nuoto,


e mentre lei si affatica facendo le vasche, Paola, l’insegnate di nuoto,
mangia un’ottima pizza. A lezione d’inglese, poi, la signora Judith si
accorge che Martina non capisce nulla di ciò che le viene detto in inglese e
così, dopo essersi un po’ arrabbiata, la costringe a esercitarsi da capo.

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Esercizi

2 Come giudica Martina il cibo preparato dalla mamma?

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4 La mamma è ancora offesa alla fine del pranzo? Perché?

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5 Anche Martina fallisce un «esperimento». Quale? Come reagisce?

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6 Perché Martina è arrabbiata con Paola, l’insegnante di nuoto?

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8 Come risponde Martina alle domande della signora Judith?

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13 Perché Martina dice che si perde il presente?


A Perché deve studiare cose che non le interessano.
B Perché la lezione è molto lunga.
C Perché capisce che è importante studiare l’inglese.

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Caro Damian, cara Frances

Damian

Ha salvato il suo la Foto del


cane victor che era ragazzo è sul
finito in un pozzo giornale

Frances Amante dei cani

ammira il gesto del


ragazzo e gli scrive una
lettera per congratularsi

Damian risponde a
frances per ringraziarla

Giovedì 4 febbraio

Caro Damian Drake,

spero di non disturbarti con questa lettera ma ho visto la tua foto sul giornale
e ho pensato che sei stato molto coraggioso a scendere in quel pozzo per salvare
il tuo cane Victor.

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Mio fratello George dice che devi essere matto a rischiare l’osso del collo per un
cane, invece secondo me ti dovrebbero dare una medaglia.

Noi una volta avevamo un cane chiamato Killer ma una sera si è perso e non
l’abbiamo più rivisto.

A me i cani piacciono tantissimo.

Spero che mi risponderai.

Io vado alla scuola media Saint Simon. Il mio professore si chiama Ramsden
e secondo lui nei temi sono la più brava della classe.

La tua ammiratrice,

Frances Bond

P.S. Spero che tu riceva questa lettera.

Che razza di indirizzo è Magione Montemorte? Manca la via e il numero.

Cara Frances,

mi ha fatto molto piacere la tua lettera.

Tante persone mi hanno scritto ma tu sei stata


l’unica ragazza.

Una ditta di cibo per cani mi ha regalato dei


buoni omaggio e una signora di Portsmouth mi ha
spedito un libro sui cani.

Riceverò anche un distintivo dell’Associazione


degli Amici degli Animali.

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I miei genitori si sono spaventati moltissimo di tutta questa pubblicità perché
hanno paura che mi rapiscano (figuriamoci!).

Secondo me sono solo un po’ invidiosi.

Mi dispiace che tu abbia perso il tuo cane Killer. Se vuoi ti mando una foto grande
di Victor.

Io frequento il Collegio Sant’Adriano e sono portiere della squadra di calcio


di seconda.

Buon Anno! Scrivimi ancora, per piacere.

Cordialmente,

Damian Drake

(H. Townson, Lettere da Montemorte, Casale Monferrato, Piemme junior, 1996)

Riassunto
Damian Drake ha salvato il suo cane Victor, che era finito in un pozzo.
Frances Bond, amante dei cani, gli scrive per congratularsi.

Damian le risponde, sorpreso dalla sua lettera: lei, infatti, è l’unica ragazza
che gli ha scritto. Le racconta che sta ricevendo un sacco di pubblicità
e che per questo motivo i suoi genitori sono preoccupati, temendo che
qualcuno possa rapirlo. La lettera si conclude con saluti e auguri.

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Esercizi

2a Perché Frances scrive a Damian? Dove ha visto la sua foto?

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2b Chi è Killer e che fine ha fatto?

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2c Che cosa pensa George di Damian?

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7 Che cosa significa la frase «rischiare l’osso del collo»?


A Cadere.
B Mettere in pericolo la propria vita.
C Fare un’azione pericolosa.

10 Scrivi sul quaderno una lettera a Damian spiegando perché gli scrivi,
parlandogli un po’ di te e dicendogli quale opinione hai del suo gesto.

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Mezzanotte e sette minuti
IL CANE wellington
DELLA SIGNORA SHEARS VIENE
TROVATO MORTO, trafitto da
un forcone

Il protagonista della
storia gli estrae il forcone
e lo prende in braccio

LA Signora Shears
vede il cane morto e SI DISPERA.
Poi arriva LA POLIZIA

Mezzanotte e 7 minuti. Il cane era disteso sull’erba in mezzo al prato di fronte


alla casa della signora Shears.

Gli occhi erano chiusi.

Sembrava stesse correndo su un fianco, come fanno i cani quando sognano


di dare la caccia a un gatto.

Il cane però non stava correndo, e non dormiva.

Il cane era morto. Era stato trafitto1 con un forcone.

1 trafitto: ferito in profondità.

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Le punte del forcone dovevano averlo passato da parte a parte ed essersi
conficcate nel terreno, perché l’attrezzo era ancora in piedi.

Decisi che con ogni probabilità il cane era stato ucciso proprio con quello perché
non riuscivo a scorgere nessun’altra ferita, e non credo che a qualcuno verrebbe mai
in mente di infilzare2 un cane con un forcone nel caso in cui fosse già morto per
qualche altra ragione, di cancro per esempio, o per un incidente stradale.

Ma non potevo esserne certo.

Aprii il cancelletto di casa della signora Shears, richiudendolo dietro di me.


Attraversai il prato e mi inginocchiai vicino al cane.

Gli appoggiai la mano sul muso.

Era ancora caldo.

Il cane si chiamava Wellington.

Apparteneva alla signora Shears, che era nostra amica.

Abitava dall’altro lato della strada, due case più in là, sulla sinistra.

Wellington era un cane barbone.

Non uno di quei barboncini3 tutti bei pettinati, no, uno di quelli grossi.

Aveva il pelo riccio e nero, ma quando lo si guardava da vicino ci si rendeva conto


che sotto quella cosa arruffata4 la pelle era di un colore giallo pallido, come quella
di un pollo.

Accarezzai Wellington e mi domandai chi l’avesse ucciso, e perché.

2 infilzare: trapassare.
3 barboncini: razza di cani.
4 arruffata: disordinata.

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Estrassi5 il forcone, sollevai il cane e lo presi tra le braccia.

Perdeva sangue.

I cani mi piacciono.

Si sa sempre cosa passa per la testa di un cane.

I suoi stati d’animo sono quattro. Un cane può essere felice, triste, arrabbiato
o concentrato.

E poi i cani sono fedeli e non dicono bugie perché non sanno parlare.

Stringevo il cane ormai da 4 minuti quando sentii l’urlo.

Alzai gli occhi e vidi la signora Shears correre verso di me dalla veranda6.
Indossava un pigiama rosa e una vestaglia.

Le unghie dei piedi erano dipinte di un rosa brillante ed era scalza.

«Che cosa hai fatto al mio cane?» strillava.

5 Estrassi: tirai fuori.


6 veranda: balcone coperto.

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Non mi piace quando qualcuno mi urla in faccia. Sono terrorizzato all’idea che
possa colpirmi o toccarmi e non capisco cosa sta per succedere.

«Lascia stare quel cane», continuava a gridare. «Lascia stare quel cane, per
l’amor di Dio».

Appoggiai il cane sul prato e mi allontanai di due metri.

Lei si chinò. Pensavo che l’avrebbe preso in braccio, ma non lo fece.

Forse si era accorta di tutto quel sangue e non voleva sporcarsi.

Invece ricominciò a urlare.

Mi misi le mani sulle orecchie, chiusi gli occhi e rotolai in avanti finché non mi
ritrovai accovacciato7 per terra con la fronte premuta8 contro l’erba.

Il prato era bagnato e freddo.

Si stava bene.

Poi arrivò la polizia.

(M. Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Torino, Einaudi, 2006)

7 accovacciato: rannicchiato.
8 premuta: schiacciata.

RIASSUNTO
Il cane Wellington della signora Shears viene trovato morto, trafitto da
un forcone.
Il protagonista della storia si avvicina per estrargli il forcone e lo prende
in braccio. In quell’istante la padrona esce di casa urlando e disperandosi.
Il ragazzo allora si allontana per nascondersi. Poco dopo arriva la polizia.

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ESERCIZI

1 Perché il racconto ha questo titolo?

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2 Dove avvengono i fatti narrati?

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4 Perché il cane è stato ucciso con il forcone?

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6 Perché la signora Shears pensa che sia stato il ragazzo a uccidere il cane?

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7 Che cosa faranno, secondo te, i poliziotti?


A Portano via il cane.
B Arrestano il ragazzo.
C Arrestano la signora Shears.
D Scrivono il verbale dell’accaduto e ritornano in centrale.

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Io e Joseph

Lee Joseph

È un bambino È un bambino che proviene


sudafricano, di dalla tribù degli Zulù, di
carnagione mulatta carnagione nera

I due si incontrano vicino


al fiume e tra loro nasce
una grande amicizia

Il padre di
Passano insieme
Joseph muore e
molto tempo
il ragazzo deve
condividendo tutto
partire

Un giorno in cui ero sceso più a valle, mi imbattei1 in un ragazzo.

Stava sulla riva opposta a quella dov’ero io.

Ci scorgemmo contemporaneamente, e ci scrutammo.

1 mi imbattei: incontrai.

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Era completamente nudo.

In mano teneva due bastoni finemente intagliati2, alti all’incirca quanto lui
e uguali per forma e dimensione.

Non era di colore marrone chiaro come gli altri ragazzi del villaggio, ma di colore
marrone scuro, quasi nero.

Avanzai sino al bordo del fiume. Egli mi gridò qualcosa in una lingua strana.

«Salve!» gridai.

Di nuovo mi gridò qualcosa e di nuovo non riuscii a capirlo.

Cercai un posto dove ci fossero delle pietre sporgenti per attraversare il fiume.
Saltando da una pietra all’altra, raggiunsi l’altra riva.

Avanzai verso di lui pian piano. Mentre mi avvicinavo, lui strinse con forza i due
bastoni.

Mi fermai.

Disse qualcosa in tono brusco, lanciò un bastone per terra ai miei piedi e impugnò
l’altro, come se fosse pronto a combattere.

«Non voglio battermi3» dissi io.

Mi chinai per raccogliere il bastone e restituirglielo.

Fece un passo innanzi e sollevò il suo bastone.

Mi spostai rapidamente all’indietro. Allora indietreggiò anche lui, e indicò


il bastone che stava a terra. Scossi il capo.

«Non voglio battermi».

2 intagliati: incisi, decorati con un coltello.


3 battermi: lottare.

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Con il piede spinsi il bastone verso di lui, pronto a fuggire al primo segno
di attacco.

Scoprii i denti, che mi erano appena rispuntati, in un sorriso abbozzato4.

Disse qualcosa con un tono che suonava meno aggressivo.

Feci cenno di sì, sorridendo più apertamente.

Si rilassò, raccolse il bastone e li tenne entrambi nella mano sinistra.

Poi, battendosi il petto: «Joseph! Zulù5!»

E io, battendomi il petto: «Lee...»

Ma non seppi che altro aggiungere per dire chi fossi.

Mi tese la mano, che io strinsi. Il volto gli si illuminò d’un sorriso radioso.

Disse qualcosa, indicandomi il fiume. Poi mi prese per mano e mi condusse con sé.

Lontano verso valle, là dove il fiume girava intorno a una collinetta,


raggiungemmo un limpido specchio d’acqua, nascosto da una macchia6 di salici.

Joseph gettò a terra i bastoni e si tuffò in acqua.

Nuotava come un girino7.

Si immerse sott’acqua e riemerse.

Gridò qualcosa facendomi cenno di seguirlo.

Mi spogliai ed entrai nel fiume, ma con più cautela8 di lui.

4 abbozzato: appena evidente, accennato.


5 Zulù: popolazione originaria dell’Africa meridionale.
6 macchia: boschetto.
7 girino: piccolo di una rana.
8 cautela: prudenza, attenzione.

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Si mise a ridere e mi spinse sott’acqua. Riemersi annaspando
e boccheggiando9: avevo bevuto.

Mi batté sulla schiena, riuscendo a farmi sputar fuori l’acqua.

Quando si rese conto che non sapevo nuotare, si fece più attento.

Trascorremmo insieme il pomeriggio, e Joseph mi insegnò a nuotare.

A casa, quella sera, mi fermai accanto al mastello da bucato10 di zia Liza.

«Zia Liza...»

«Sì?»

«Cosa sono io?»

«Ma che stai dicendo?»

«Ho incontrato un ragazzo al fiume. Mi ha detto di essere uno Zulù».

La zia si mise a ridere.

«Tu sei un meticcio11. Ci sono tre tipi di persone: i bianchi, i meticci e i neri.
Prima ci sono i bianchi, poi i meticci e, infine, i neri».

«Perché?»

«Perché è così».

Il giorno dopo, quando vidi Joseph, mi battei il petto e dissi: «Lee! Meticcio!»

Joseph batté le mani e sorrise.

Io e Joseph passammo insieme la maggior parte di quei lunghi pomeriggi

9 Riemersi… boccheggiando: tornai in superficie respirando a fatica.


10 mastello da bucato: recipiente dove si mette la biancheria da lavare.
11 meticcio: incrocio fra due razze differenti, in questo caso bianchi e neri.

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d’estate. Imparò da me un po’ di afrikaans12 e io, da lui, un po’ di zulù.

Le nostre giornate erano piene.

C’era da esplorare il fiume. C’erano le lezioni di nuoto e altro ancora.

Imparai a far la lotta con i bastoni; a farmi un cappello intrecciando le foglie


e i giovani ramoscelli di salice; ad acchiappare rane e girini colle mani; a preparare
trappole per i conigli selvatici; a imitare il canto degli uccelli del fiume. [...]

Un giorno a casa: «Zia Liza...» cominciai.

«Sì?»

«Noi abbiamo mai avuto re meticci prima che ci fossero i bianchi?»

«No».

«E allora da dove veniamo? Joseph e sua madre discendono dai re neri che erano
qui prima dei bianchi».

E lei, ridendo e scompigliandomi i capelli, mi disse: «Tu parli troppo...


Va’ a lavarti».

Così il giorno dopo dissi a Joseph:

«Noi non avevamo re meticci, prima dei bianchi».

Ma lui mi consolò, dicendo:

«Non importa. Tu sei mio fratello. E adesso i miei re sono anche i tuoi re. Vieni:
ho promesso a mia madre di portarti a casa. Ci sta aspettando. Corriamo verso la
collina».

Dalla cima della collina abbracciai con lo sguardo una lunga vallata in cui
pascolava il bestiame.

12 afrikaans: lingua parlata in Sudafrica.

28

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Sulla destra c’era un gruppo di capanne di fango, ciascuna cintata
da un muricciolo pure di fango.

«Quella è la mia casa» indicò Joseph.

Piegammo13 verso destra, in direzione della casa.

Da lontano vedemmo una donna sull’uscio d’una capanna.

«Ecco mia madre» e accelerò l’andatura.

La donna era scalza.

Indossava una gonnella leggera, corta


sopra il ginocchio.

Aveva un bambino legato sulla schiena.

Era nuda dalla vita in su, a parte le strisce


di stoffa che servivano a reggere il bambino.

Intorno al collo, alle braccia e alle


caviglie, portava collane e braccialetti
di perline bianche.

Quando le fummo vicini, vidi che era


giovane.

Aveva un bel viso largo e rotondo e occhi


neri, teneri e liquidi14.

Ci salutò sorridendo, Joseph mi spinse


avanti.

13 Piegammo: ci dirigemmo.
14 liquidi: in questo caso significa “dall’espressione dolce”.

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«Questo è mio fratello Lee della gente meticcia, piccola madre».

«Ti saluto, madre» dissi.

«E io saluto te, figliolo» rispose dolcemente, con uno scintillio negli occhi.

«Come ti ha detto l’uomo della mia casa, il cibo è pronto. Vieni».

«Vedi...?» Joseph gonfiò il petto, orgoglioso. E, rivolgendosi a sua madre, disse:


«Non voleva credermi quando gli ho detto che ero io l’uomo di casa».

«Certo che lo è» confermò la madre.

Tutt’intorno alla capanna c’era una specie di pedana circolare un po’ sollevata
da terra.

Ci sedemmo lì, mentre la donna ci portava il cibo: locuste15 fritte salate e una
pannocchia di granoturco.

Lei sedette accanto a noi e ci guardò mangiare.

Arrivò il Natale e fu tutto un susseguirsi di pranzi e di risate.

Trascorsi metà del tempo a casa, con zia Liza e zio Sam, il resto con Joseph
e la piccola madre.

Venne poi il giorno del mio sesto compleanno.

Lo festeggiai al fiume con Joseph e sua madre.

Poi, un giorno, quando già si cominciava a respirare il freddo nell’aria del mattino,
Joseph venne alla location16. [...]

«Sono venuto a dirti addio, fratello. Mio padre è morto nelle miniere, così noi
dobbiamo tornare nelle nostre terre».

15 locuste: cavallette.
16 location: villaggio in cui abitano i meticci o i neri, separati dai bianchi.

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Rimase lì ritto in piedi, severo, senza far caso allo schiamazzo17 dei bambini.

Lui era un uomo.

Sentiva tutta la responsabilità del suo ruolo di adulto.

Avevo imparato molto da lui, così, con la stessa gravità, dissi:

«Devo venire a salutare la piccola madre».

«È una donna. Piange».

Andammo di corsa a casa sua...

Appena li vidi allontanarsi sul carretto, risalii la collina, e scesi al fiume.

Avevo con me i due bastoni di Joseph, il suo regalo di addio al fratello.

«Difenditi» mi aveva detto. «Io me ne farò degli altri».

Camminai lungo il fiume che era stato il nostro regno.

Adesso era un luogo desolato.

Joseph era stato qui con me: ed ora se n’era andato.

Prima di rendermene conto sentii le lacrime bagnarmi il viso.

C’era stato molto tra noi.

(P. Abrahams, Dire libertà. Memorie del Sudafrica, Roma, Edizioni Lavoro, 1987)

17 schiamazzo: confusione.

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Riassunto
Due bambini, Lee e Joseph, si incontrano per caso vicino al fiume e tra loro
nasce una grande amicizia.

Joseph proviene dalla tribù degli Zulù e insegna a Lee a nuotare e a lottare
con i bastoni. Da parte sua, Lee insegna all’amico un po’ di afrikaans.

I due diventano inseparabili e passano insieme molto tempo, condividendo


tutto, fino a che, con l’arrivo del freddo e l’improvvisa morte del padre di
Joseph,
i ragazzi sono costretti a separarsi perché Joseph e sua madre devono
tornare nelle loro terre.

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Esercizi

2 Dove vivono i due protagonisti? Dove si incontrano? Come si chiamano?

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.....................................................................................................................................

3 Come passano le loro giornate?

.....................................................................................................................................

5/6 Come fanno i due ragazzi a comunicare fra loro e come mai all’inizio non si
capiscono?

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

7 Chi dei due è il più esperto nel vivere a contatto con la natura? Perché?

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

1 Come si interrompe il legame tra i due amici? Qual è lo stato d’animo


di Lee quando vede Joseph e sua madre allontanarsi? E Joseph che cosa
regala all’amico?

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.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

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Mattia e il nonno

Mattia e il nonno
Vanno al fiume

MATTIA SPIEGA al nonno


come RICONOSCere LE
SPONDE DEL FIUME

MATTIA prova a pescare ma


non ci riesce

Il nonno insegna a mattia


a pescare usando le
tasche dei pantaloni

Mattia e il nonno
pescano insieme
divertendosi

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C’era una grande pianura tutta di prati a sinistra, e a destra un fiume placido1,
che faceva rumore d’acqua corrente.

Mattia e il nonno erano sulla sponda2 sinistra.

«Questa è la sponda sinistra, vero nonno?» disse Mattia.

«Tu dici?» disse il nonno stringendogli un po’ la mano, ma senza voltarsi. «Come
lo sai?»

«Me l’ha spiegato il papà».

«E come si fa a sapere che siamo sulla sponda sinistra?»

Mattia respirò a fondo, e disse: «Bisogna mettersi con la schiena a monte».

Il nonno si voltò e disse: «Ma non abbiamo montagne dietro».

«Si dice così» osservò Mattia. «Vuol dire che bisogna mettersi con la schiena dalla
parte da dove l’acqua arriva, capisci? Come siamo noi».

«Ho capito: vuol dire che il fiume, là dietro, nasce dalle montagne come fanno
tutti i fiumi».

«Certo» disse Mattia, con un grande cenno di approvazione3. «Nessun fiume


nasce dal mare».

«Bene, e poi?» chiese il nonno.

«Quando si è con la schiena a monte, che non vuol dire che ci sono davvero delle
montagne, come siamo noi, è semplice» disse Mattia. «La sponda che c’è a sinistra è
quella sinistra, e quella che è a destra è la sponda destra. Hai capito?»

«Sì, è facile» disse il nonno.

1 placido: che scorre lento.


2 sponda: riva del fiume.
3 cenno di approvazione: gesto che vuol dire “sì”.

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«Noi siamo sulla sponda sinistra, e quella di là è la destra» disse Mattia,
per assicurarsi che la spiegazione fosse chiara. «Capito?»

«Capito» disse il nonno. «Allora stiamo andando verso il mare, vero?»

Mattia ci pensò un attimo.

«Esattamente» disse.

[...]

«E il fiume, lo sa?» disse il nonno.

«Lo sa cosa?»

«Lo sa, il fiume, che questa è la sua sponda sinistra?»

Mattia rise.

«Chi sa se lo sa! Forse non gliene importa niente. Proviamo a chiederglielo».

E Mattia chiese al fiume se sapeva che quella era la sua sponda sinistra, e che
quell’altra era la sponda destra. Ma il fiume non rispose, e continuò tranquillo
a frusciare4.

Un canale largo due metri si staccava dal fiume e scivolava fra i campi verdi,
a sinistra.

La stradina su cui stavano camminando lo costeggiava, e Mattia e il nonno


gli camminarono accanto.

Non era molto profondo, ed erbe acquatiche erano piegate in avanti dalla
corrente, mentre pesci nuotavano a mezza altezza, tranquilli.

«Li prendo!» disse Mattia, e poi si voltò verso il nonno.

4 frusciare: scorrere facendo un leggero rumore.

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«Li prendo? Come fai a prenderli?»

«Con le mani!»

«Bisogna essere bravi: prova!»

Mattia fece un salto gioioso5 e si sdraiò sulla sponda.

Restò in silenzio, guardando giù nell’acqua verde.

Il nonno sedette accanto a lui, e guardava in silenzio.

Ad un tratto Mattia tuffò una mano, sollevando spruzzi fino ai capelli, ma non
prese il pesce.

Ci riprovò poco dopo, ma senza successo.

Cambiò tattica6, usando tutte e due le mani, tenendole immobili nell’acqua,


come alghe. Aspettò che un pesce arrivasse vicino e cercò di prenderlo: ma il pesce
fuggì come un’ombra verde nel canale.

«Non ci riesco, nonno».

5 gioioso: pieno di felicità.


6 tattica: strategia, sistema.

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«Prova ancora».

Ci riprovò, ma non ne prese, e sentiva freddo alle mani.

«Cambiamo sistema» disse il nonno.

Si levò le scarpe e le calze, le appoggiò sulla sponda, ed entrò in acqua piano


piano.

«Ti bagni tutto, nonno!»

«Poi mi asciugo» rispose il nonno, e si mise al centro del canale, a gambe


allargate, dando le spalle alla corrente.

«Vieni?» disse a Mattia. «Il sole è caldo, ci asciugheremo in fretta. Non vuoi
prendere i pesci?»

Mattia, svelto, slacciò le scarpe e tolse le calze.

«Tolgo anche i calzoni?» chiese.

«No, ci servono per pescare» disse il nonno.

Mattia entrò con un brivido nell’acqua fresca e corrente.

«Mettiti qui, come me» disse il nonno, e si spostò un po’ a destra, lasciando
spazio a Mattia, che allargò le gambe come lui.

«E adesso, nonno?»

«Adesso peschiamo».

«Così fermi?»

«Più fermi che possiamo. Però bisogna tenere le tasche aperte, così».

Il nonno si allargò le tasche dei pantaloni, tirandole con le dita. Mattia fece
lo stesso.

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Sentiva l’acqua che gli accarezzava le gambe, le cosce, e il fondo della schiena.

«L’acqua mi fa il solletico!» disse.

«Anche a me» disse il nonno, e risero insieme.

All’improvviso Mattia sentì qualcosa che si agitava nella tasca sinistra. «Nonno,
l’ho preso!»

«Chiudi la tasca!»

Mattia chiuse la tasca, mentre qualcosa si agitava dentro, e gli faceva solletico
più dell’acqua.

«Eccone uno anche per me» disse il nonno.

«È grossissimo!» disse Mattia tastando all’esterno la tasca che si agitava


e gonfiava.

«Anche il mio non è male» disse il nonno.

«Lo prendo?» chiese Mattia.

«Sì, ma piano. Tieni la tasca con una mano, e infila l’altra spostando la stoffa,
dolcemente. Se no scappa».

Insieme, a metà immersi nel canale, lentamente, il nonno e Mattia misero


la mano in tasca.

Mattia sentì qualcosa di freddo, liscio e pesante, che tremava.

Ebbe un po’ paura, ma continuò. Delicatamente strinse la forma del pesce,


la tolse dalla tasca: non era un pesce grosso come pensava, ma aveva
un bellissimo colore.

«Guarda, nonno!»

«Tienilo in acqua, se no muore» disse il nonno, che stava levando dalla sua tasca

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un pesce più piccolo di quello di Mattia. Li tennero tutti e due sott’acqua con
le mani.

«E adesso?» chiese Mattia.

«Non vuoi mangiarlo?» chiese il nonno.

«Mangiarlo?»

«Di solito, si pesca per mangiare» disse il nonno.

Mattia guardò il pesce, che non si muoveva più molto, come se fosse stanco.

Solo ogni tanto la coda gli vibrava fra le dita. «Ma io non ho fame di pesce» disse.
«Non voglio mangiarlo». [...]

«Nemmeno io voglio mangiarlo» disse il nonno. «Non lo potremmo nemmeno


cucinare, non abbiamo l’attrezzatura».

«Allora lasciamoli andare!» disse Mattia.

«Buona idea» e il nonno aprì le mani: un’ombra scura guizzò verso l’erba mossa
del fondo, e scomparve.

Anche Mattia lasciò andare il suo pesce, che appena le mani si aprirono tornò
svelto: ma a mezzo metro si fermò, incerto, come se non credesse di essere libero.

«Vai, Liberato!» disse Mattia. «Si chiama Liberato il mio pesce!»

Il pesce guizzò7 via, seguendo la corrente, veloce.

«Peschiamo ancora?» chiese il nonno.

«No, abbiamo pescato abbastanza» rispose Mattia.

Uscirono dal canale, gocciolando. Si levarono i calzoni e li stesero al sole.

7 guizzò: saltò.

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«Ti è piaciuto pescare?» chiese il nonno.

«Molto» rispose Mattia.

Guardò nel canale, per vedere Liberato: ma tra i pesci che vedeva non lo sapeva
riconoscere.

«Per prendere le balene, ci vorrebbero tasche grandissime!» disse come


sovrappensiero. «Come le tasche dei clown del circo!»

Il nonno non disse niente, e teneva un filo d’erba fra le labbra, guardando
il canale.

(R. Piumini, Mattia e il nonno, Trieste, Einaudi Ragazzi, 1993)

RIASSUNTO
Mattia e il nonno vanno al fiume. Mattia spiega al nonno come riconoscere
la sponda destra e quella sinistra del fiume, poi vuole provare a pescare. Fa
molti tentativi ma non riesce a pescare nulla.

Il nonno allora lo aiuta e insieme entrano nel fiume, a gambe larghe


e tenendo le tasche dei pantaloni aperte per prendere i pesci. Mattia e il
nonno riescono a pescare un pesce ciascuno; poi, saggiamente, Mattia
decide di ridar loro la libertà poiché un pesce, se non lo si mangia, lo si deve
lasciar vivere.

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ESERCIZI

3 Perché Mattia e il nonno decidono di pescare?


A Perché hanno fame.
B Per divertirsi e fare una nuova esperienza.
C Perché fa caldo e vogliono rinfrescarsi.

4 Che tattica usa Mattia per pescare?

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

5 E il nonno, invece, che tattica usa?

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

8 Perché Mattia e il nonno liberano i pesci catturati?


A Perché non hanno fame.
B Perché non hanno il necessario per cuocerli.
C Perché in realtà preferiscono vederli liberi.

10 Scrivi tre frasi con i seguenti verbi coniugati al modo congiuntivo.

a. Guizzare: ..............................................................................................................

b. Scivolare: .............................................................................................................

c. Frusciare: .............................................................................................................

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Orfeo ed Euridice
Figlio del dio Apollo,
Orfeo Che gli ha insegnato
l’arte della musica

euridice muore
Si innamora di
improvvisamente,
Euridice, che lo
a causa del morso
contraccambia
di un serpente

orfeo, disperato, Scende negli


Inferi, prega Persèfone (sposa
di plutone) e ottiene di riavere
Euridice a patto che non si volti
durante il ritorno verso la luce

Orfeo, per
timore di perderla,
si volta ed Euridice
scompare per
sempre

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Orfeo era un giovanetto bellissimo.

Per molti, suo padre era lo stesso dio Apollo1, che gli aveva regalato la lira2
e lo aveva istruito nell’arte della musica.

Quando Orfeo cantava toccando le corde del suo strumento, gli uccelli
gli volavano attorno e i pesci salivano dalle profondità marine; le note avevano
il potere di incantare e di smuovere le rocce e le piante; perfino gli animali selvatici
si tranquillizzavano e si affiancavano a lui.

Orfeo viveva nei boschi selvaggi ai piedi del monte Olimpo3 e molte fanciulle
lo amavano, soprattutto per l’incanto della musica
che sapeva suonare; ma egli si innamorò di
Euridice, una ragazza dolce e fedele
che lo contraccambiava con altrettanto amore.

La loro unione perfetta venne spezzata un brutto


giorno, mentre Euridice camminava lungo un fiume.

Tra l’erba alta era nascosto un serpente che,


al suo passaggio, le morse la caviglia.

Euridice morì e, quando Orfeo accorse4, trovò


il suo corpo inanimato, perché l’anima della sua
amata era già stata rapita dagli Inferi5.

Invano Orfeo cercò nella musica un conforto alla


propria desolazione.

1 Apollo: dio della bellezza maschile e protettore delle arti.


2 lira: strumento a corda simile a una piccola arpa.
3 Olimpo: il monte più alto della Grecia, sulla cui cima gli antichi credevano che risiedessero
gli dèi.
4 accorse: arrivò di corsa.
5 Inferi: per gli antichi Greci e Romani era il regno dei morti.

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Suonava e cercava Euridice in tutte le terre della Grecia.

La melodia disperata di Orfeo ammansiva6 tigri, cervi, linci e fermava la corrente


selvaggia dei fiumi.

Orfeo vagò sino alla punta più meridionale del Peloponneso7, dove prese una
decisione tremenda: per amore di Euridice avrebbe affrontato il regno dei morti.

Là governava Plutone con la sua sposa Persèfone8.

Stringendo al petto la lira, Orfeo si incamminò dunque per l’oscura via delle
tenebre.

Incontrò prima Caronte, il terribile vecchio con la barba grigia e incolta9 e con
terribili occhi ardenti10, che trasporta le anime da una sponda all’altra del fiume
Stige11, fino alla porta dell’inferno.

«Fermati straniero!» tuonò12 lo spaventevole vecchio.

Orfeo, tremante, non rispose ma toccò le corde del suo strumento e il feroce
Caronte subito si arrese al canto divino.

Orfeo giunse, così, di fronte a Plutone e Persèfone sua sposa, sovrani degli Inferi.

Le parole di Orfeo erano un canto e le sue dita non smettevano di accarezzare le


corde della lira: «Potenti dèi dell’oltretomba, vi supplico. Persèfone, ti prego, accogli
la mia preghiera, e restituiscimi la pace e la gioia di vivere, lascia che Euridice torni
alla vita!»

6 ammansiva: calmava, rendeva docili.


7 Peloponneso: la parte peninsulare della Grecia.
8 Plutone... Persèfone: erano gli dèi che regnavano sugli Inferi e vivevano nelle profondità
sotterranee della Terra.
9 incolta: non curata, in disordine.
10 ardenti: che emettevano una luce che sembrava di fuoco.
11 Stige: uno dei fiumi infernali.
12 tuonò: gridò a gran voce.

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Persèfone, con gli occhi velati di lacrime, guardò Plutone che, con un breve cenno
del capo, diede il consenso13.

Persèfone allora si alzò e con un gesto chiamò Euridice, che avanzava zoppicando
sul piede ferito:

«Avvicinati Euridice!» disse la dea degli Inferi «e segui il tuo sposo poiché la forza
dell’amore ha dato alla sua musica un potere straordinario, tale da modificare
le dure leggi della morte. E tu, Orfeo, riprendi il cammino e lascia questo regno.
La tua sposa ti seguirà. Ma attento, non ti voltare mai, per nessun motivo, non
guardare alle tue spalle finché non avrai raggiunto la luce del giorno. Altrimenti,
tutto sarà inutile».

Orfeo, con il cuore pieno di gioia, obbedì: si incamminò per la difficile via del
ritorno. Procedeva e non riusciva a credere di essere riuscito a riportare in vita la sua
adorata sposa. Procedeva ed era impaziente di essere alla luce per poter abbracciare
e baciare la dolce Euridice.

Ma camminando tendeva l’orecchio; teneva gli occhi ben fissi davanti a sé, ma
cercava di udire un segnale, anche impercettibile14, che la fanciulla lo stesse
veramente seguendo.

Nulla. Non il più piccolo rumore: tutto intorno era morte e silenzio.

Orfeo sentiva il cuore battere furiosamente.

Già si intravedeva la luce del mondo esterno, ma ciò non bastava a calmarlo.

Tremava, era in preda alla febbre, non aveva mai amato Euridice così intensamente
come in quel momento e il pensiero di perderla non gli era sopportabile.

Si voltò. Euridice era lì, a pochi passi da lui e sorrideva.

13 consenso: permesso.
14 impercettibile: che si poteva udire appena.

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Orfeo non ebbe il tempo di pensare né di dire una sola parola. Euridice
si dissolse15 nel vento e svanì nel nulla.

L’urlo straziato di Orfeo venne inghiottito dalle grotte degli Inferi.

Né il canto né le lacrime poterono confortare Orfeo, che si aggirò tra monti


e vallate finché il suo corpo venne trovato nelle acque di un fiume.

Apollo, che aveva donato la lira a Orfeo, scese a prenderla e la lanciò nel cielo
perché nessuno era ormai degno di suonarla.

Il divino strumento si trasformò in un gruppo di stelle che brillano ancora oggi


per noi.

(E. Mutti, A. Berti, Il tesoro dell’Olimpo, Milano, Archimede, 2000)

15 si dissolse: scomparve, sparì.

Riassunto
Orfeo è figlio del dio Apollo che, dopo avergli regalato la lira, gli ha
insegnato l’arte della musica. Il giovane diviene così esperto nel canto e
nella musica tanto che le sue melodie incantano animali e piante.

Orfeo si innamora di Euridice, che lo ama con la stessa intensità. Ma


l’improvvisa morte della giovane, causata dal morso di un serpente, lo fa
disperare al punto da spingerlo a scendere nel regno degli Inferi per cercarla.
Giunto negli Inferi, prega Persèfone, dea della morte e sposa di Plutone,
ottenendo di riavere la vita di Euridice a patto che, durante la risalita verso
la luce, non si volti a guardarla per nessuna ragione. Orfeo però, per timore
di perderla, disobbedisce e tutto è perduto: Euridice scompare per sempre e
il giovane impazzisce.

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Esercizi

1 Qual era la particolare abilità di Orfeo?

.....................................................................................................................................

2 Quali effetti aveva la sua musica sugli animali e sulle piante che
lo circondavano?

.....................................................................................................................................

1 Di chi si innamora il giovane Orfeo?

.....................................................................................................................................

3 Spiega chi o che cosa sono i seguenti personaggi e luoghi.


a. Caronte:................................................................................................................
b. Plutone:.................................................................................................................
c. Persèfone:.............................................................................................................
d. Stige:.....................................................................................................................
e. Inferi:.....................................................................................................................

5 Quale ordine riceve Orfeo da Persèfone, come patto per lasciare libera
Euridice?

.....................................................................................................................................

6 Perché alla fine Euridice ritorna nell’Oltretomba?

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Anche la TV ha un’età

la RAI radiotelevisione italiana

Una sola rete, in bianco


NASCE NEL 1954 e nero; può essere vista
solo in alcune regioni

nel 1961 QUASI TUTTI GLI NASCE LA SECONDA RETE


ITALIANI possono VEDERE LA TELEVISIVA (11 ore di
televisione trasmissione al giorno)

Negli ANNI SETTANTA


vengono garantite 1977: cominciano le
24 ore di trasmissioni TRASMISSIONI A COLORI
al giorno

1979: NASCE LA TERZA RETE


dedicata sopratutto ai
PROGRAMMI REGIONALI

Il 3 gennaio del 1954 la RAI, Radiotelevisione italiana, ha cominciato


a trasmettere le prime trasmissioni televisive.

All’inizio del 1954 la televisione poteva essere vista solo in alcune regioni italiane:
Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria e Lazio.

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Alla fine del 1954 quasi la metà della popolazione italiana poteva vedere
la televisione.

Nel 1961 quasi tutti gli italiani potevano vedere la televisione.

Quando è nata la televisione la maggior parte degli italiani aveva pochi soldi
e perciò non poteva comprare il televisore.

Per vedere le trasmissioni televisive le persone andavano nei bar, nei circoli, nelle
sedi dei partiti politici.

Spesso, per vedere la televisione, le persone si riunivano la sera nelle case


dei vicini che avevano potuto comprare il televisore.

All’inizio la televisione aveva solo una rete, e poche trasmissioni.

Le trasmissioni erano tutte in bianco e nero e iniziavano alle 17.30. Dalle 17.30
alle 19 c’era il programma La TV dei ragazzi.

Dalle 19 alle 20.45 non c’erano trasmissioni.

La sera, alle 20.50 e alle 23 c’era il Telegiornale.

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Tra le 20.45 e le 23 c’erano le trasmissioni televisive.

Nel novembre del 1961 nasce la seconda rete televisiva.

Con la prima e la seconda rete le ore di trasmissione diventano 11 al giorno.

Negli anni Settanta le ore di trasmissione diventano 24 al giorno.

Nel 1977 cominciano le trasmissioni a colori.

Nel 1979 nasce la terza rete, dedicata soprattutto ai programmi regionali.

(www.dueparole.it)

RIASSUNTO
Nel 1954 la RAI (Radiotelevisione italiana) comincia a trasmettere i primi
programmi televisivi. Inizialmente la televisione può essere vista solo in
alcune regioni. Nel 1961 quasi tutti gli italiani possono vedere la televisione.
All’inizio la televisione aveva una sola rete. Nel novembre del 1961
nasce la seconda rete televisiva e si arriva a garantire, in totale, 11 ore di
trasmissioni al giorno. Negli anni Settanta le ore garantite diventano 24.
Nel 1977 cominciano le trasmissioni a colori. Nel 1979 nasce la terza rete,
dedicata soprattutto ai programmi regionali.

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ESERCIZI

1 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


V F
a. La RAI ha cominciato le sue trasmissioni negli anni Trenta.
b. Solo agli inizi degli anni Settanta quasi tutti gli italiani potevano
vedere la televisione.
c. All’inizio, per vedere le trasmissioni, si doveva andare nei bar.
d. Già all’inizio la televisione aveva tre reti.
e. La TV dei ragazzi cominciava alle 19.
f. La televisione a colori è una conquista degli anni Ottanta.

1 Scrivi un breve testo sul tuo programma preferito.

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Di passaggio

Un solo giorno, nemmeno. Poche ore.

Una luce mai vista.

Fiori che in agosto nemmeno te li sogni.

Sangue1 a chiazze sui prati,

5 non ancora oleandri2 dalla parte del mare.

Caldo, ma poca voglia di bagnarsi.

Ventilata domenica tirrena.

Sono già morto e qui torno?

O sono il solo vivo nella vivida e ferma

10 nullità d’un ricordo3?

(V. Sereni, in Poesia italiana. Il Novecento, Milano, Garzanti, 1980)

1 Sangue: è riferito al colore intenso dei fiori.


2 oleandri: alberi con fiori dal colore vivace ma dalle foglie velenose, tipici delle zone
di mare.
3 O sono… ricordo: oppure sono l’unica persona viva in questo paesaggio che guardo
attraverso l’immagine dei miei ricordi («nullità» perché il «ricordo», pur essendo vivo nella
mente, non è una realtà concreta).

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Esercizi

1 Qual è l’argomento della poesia?

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3 Da quali elementi naturali è più colpito il poeta?

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1 Dove si trova il luogo descritto dal poeta?

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4 Come interpreti il titolo Di passaggio che il poeta ha dato al suo


componimento?

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5 Da quanti versi è composta la poesia?

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8 Il poeta usa alcune frasi nominali, cioè senza verbo. Con quale scopo?
A Concentrare l’attenzione del lettore su alcune parole significative.
B Costruire versi brevi e agili.
C Risparmiare parole e abbreviare i versi.
D Evitare verbi inutili.
E Non so.

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La gatta

La tua gattina è diventata magra.

Altro male non è il suo che d’amore:

male che alle tue cure la consacra.

Non provi un’accorata tenerezza?

5 Non la senti vibrare come un cuore

sotto alla tua carezza?

Ai miei occhi è perfetta

come te questa tua selvaggia gatta,

ma come te ragazza

10 e innamorata, che sempre cercavi,

che senza pace qua e là t’aggiravi,

che tutti dicevano: “È pazza”.

È come te ragazza.

(U. Saba, Antologia del Canzoniere, Torino, Einaudi, 1963)

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ESERCIZI

1 Perché la gattina “vibra” sotto le carezze della donna?

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2 Perché agli occhi del poeta la gattina è «perfetta»?


A Perché è un bellissimo esemplare di felino.
B Perché è un animale a cui egli è molto affezionato.
C Perché gli ricorda la ragazza innamorata che è stata sua moglie.

4 Di che tipo è la prima strofa? Da quali versi è formata?

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6 Quali sentimenti ha suscitato in te la lettura di questi versi?

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V E R I F I C A
Centrofóbal
Mi ricordo i tempi in cui abbiamo cominciato a rotolare insieme, la palla e io.
È stato su un prato, a Río Cuarto de Córdoba, che ho scoperto la mia vocazione
di attaccante. Ascoltavo le partite alla radio dalle voci di Fioravanti o di Aróstegui.
Nell’interno del paese arrivavano attraverso una catena o si ricevevano in onde
corte1, con un’antenna di fil di ferro attaccata al camino di casa.

Nel campetto dove avevamo fondato lo Sportivo Almafuerte c’era un ragazzo che
aveva il soprannome di Cacho e imitava il meraviglioso Fioravanti.

Uno prendeva la palla e sentiva, immediatamente, Cacho che partiva con


la radiocronaca da bordocampo: «Si impadronisce della palla Soriano, l’affronta
Carreño, Soriano dribbla... attenzione... sta per tirare in porta!», e con quello ero
felice. Non ho avuto la fortuna che Victor Hugo cantasse un mio goal, ma quanta
emozione c’era in quelli urlati da Cacho.

Quel poveretto non prendeva mai palla. Gliela tiravamo lunga e lui non
ci arrivava, gliela tiravamo corta e lui andava troppo avanti. A volte, perché
ci faceva un po’ pena, dopo un fallo gli lasciavamo battere un “tiro di prima2” che,
immancabilmente, finiva contro la barriera e perfino un rigore che Tito Pereira gli
respinse con le gambe.

Era così negato per il calcio che anche come portiere risultava un disastro.

Non era grassoccio né scemo, come dicono i luoghi comuni del calcio.

Semplicemente, era il ragazzo con meno talento che abbia vissuto da quelle parti.
Per quello gli ordinavamo di trasmettere da bordocampo.

1 onde corte: sono un particolare spettro di frequenza delle onde radio, che permettono,
con poca potenza, di effettuare collegamenti a lunghissima distanza.
2 tiro di prima: tiro al volo o da fermo, senza passaggio da parte di un altro compagno.

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V E R I F I C A
Impugnava un microfono finto, correva in mezzo all’erba e tutto risultava diverso:
il nostro mondo si illuminava di prodezze3 e di emozioni.

Per fare l’arbitro bastava essere adulto. Già questo era sufficiente per incutere
rispetto, e ricordo che una delle partite più memorabili che io abbia mai disputato
l’arbitrò mio padre, che si era trovato a passare da lì in bicicletta e si era fermato per
guardarmi giocare. In qualche modo era un intellettuale, un uomo di scienza che
di calcio non sapeva niente.

Quella che sto per raccontare era una partita tra quartieri rivali, e con tutte
le sue ignoranze in fatto di regolamento mio padre non poteva fare altro che una
figuraccia. Lo ricordo fermo sul cerchio di centrocampo, con le braccia incrociate
e con i fermagli da ciclista che gli stringevano le caviglie; portava occhiali da sole
e un orologio da taschino che era stato di suo nonno.

Gli avevamo dato uno di quei fischietti con dentro un cece e il capitano dell’Honor
y Patria aveva subito protestato con lui perché un attaccante nostro era già
sconfinato nel campo avversario prima che io avessi calciato la palla.

In quei tempi remoti, calciava sempre per primo il centravanti. Erano le tavole
della legge: cominciava il nove, i marcatori di punta effettuavano le rimesse laterali
e i wings4 battevano i calci d’angolo.

In quelle partite, Cacho aveva un’unica missione: imitare le voci dei difensori
avversari. Un po’ prima che cominciasse la partita, andava a trovarli per
chiacchierarci, li faceva divertire con le trasmissioni e poi li prendeva di sorpresa,
soprattutto il portiere.

In quella partita parlò soltanto due volte, e molto poco, ma lo fece in momenti
cruciali. Nel primo momento, quando perdevamo per uno a zero, misero fuori
un rigore vergognoso che mio padre gli aveva dato, e poco prima della fine,

3 prodezze: azioni eccezionali e coraggiose.


4 i wings: le ali.

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V E R I F I C A
mentre eravamo proprio demoralizzati, Bebo Fernández respinse come una bestia
dalla nostra area. Doveva avere undici anni, Bebo, ma poteva far scoppiare uno
pneumatico con un calcio. La respinta fu così lunga che scavalcò parecchi di noi e
nel momento in cui il cinque avversario stava per ribattere sentì un «lascia!» così
convincente, così da portiere in uscita, che chinò la testa. Arretrato com’era, il
ragazzo rimase a guardare me che mi facevo avanti, come se volesse dire
«e allora?», e non è più intervenuto.

Ma non era la voce del portiere. Era Cacho, che sembrava una cocorita.

Un pappagallo di Barrancas, che imita il suo inseguitore. Ho stoppato la palla


un po’ con il petto un po’ con la pancia; ho fatto in tempo a vedere mio padre che
correva con il fischietto in bocca, la giacchetta ben abbottonata e le scarpe bianche
di polvere, e ho colpito con tutta l’anima.

Il portiere era rimasto tra i pali, come se stesse prendendo il fresco. La palla
è entrata vicino al palo e siccome non c’era la rete attraversò la strada e andò
a finire in un giardino, proprio in mezzo ai papaveri. Mio padre si avvicinò per
domandarmi sottovoce: «Giurami che non l’hai toccata con la mano».

L’ho guardato in faccia: «Te lo giuro», gli ho risposto. Sudava come un facchino,
aveva i pantaloni stracciati e le scarpe tutte rovinate. Ho immaginato che mia madre
si sarebbe messa a urlare quando saremmo tornati a casa.

Appena cominciato il secondo tempo, mio padre convalidò un goal dei nostri
avversari che per me era parecchio discutibile. Stavamo perdendo e per di più
i nostri avversari giocavano che sembrava che ballassero. Uno di quei balli
trascinanti, contagiosi, come li possono fare i brasiliani o i colombiani.

Ammirato, Cacho Hernández già stava trasmettendo dal suo posto di wing
e questo incitava ancora di più i nostri carnefici. Mio padre si entusiasmò a tal punto
che se pure li toccavamo sui talloni fischiava e ci dava una punizione contro.
Per le strane cose del destino, quel pomeriggio ci avrebbe dato alcune lezioni.

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V E R I F I C A
Durante un contropiede, Briones mi fece un passaggio in mezzo alla difesa
avanzata e me ne andai via da solo. Avevo così tanta paura di mancare il goal che
l’ho passata a Cacho Hernández quando l’ho sentito arrivare.

Era talmente matto, quel povero ragazzo, che appena si fu accomodata la palla
con il braccio cominciò a chiedere la punizione con la voce di Fioravanti, a gridare
«Pessimo arbitraggio!», mentre segnava a porta vuota.

Era il primo goal che segnava al di fuori degli allenamenti e si mise a gridare come
un pazzo mentre mio padre indicava, solenne, il centrocampo.

Due o tre minuti dopo, un moretto rapato a zero mi tolse la palla in area con
l’eleganza di una ragazzina che prende lezioni di piano. Ho cominciato a strillare
come se mi fossi spezzato a metà e a rotolarmi per terra.

Immediatamente, mio padre ci diede un rigore ed espulse in malo modo


il moretto.

Confesso di aver segnato con un piacere perverso.

Sapevo che si stava compiendo un’ingiustizia, ma allo stesso tempo intuivo che
quell’aberrazione5 provocata dall’ignoranza di mio padre ci metteva in pieno
nelle miserie della vita6. Quando siamo tornati a casa, mia madre ha urlato
un bel po’ e alla fine ci ha mandati a letto senza cena.

(O. Soriano, in Fútbol. Storie di calcio, Torino, Einaudi, 1998)

5 aberrazione: irregolarità, azione anomala e sbagliata.


6 ci metteva... vita: ci metteva in contatto con le «miserie» e le mediocrità della «vita», cioè
ci faceva capire com’è fatta la vita vera, con tutte le sue vigliaccherie e disonestà, a volte
necessarie ma comunque brutte.

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V E R I F I C A
ESERCIZI

1 In quale paese del mondo si ambienta il racconto? Per dare la risposta, basati
sugli indizi presenti nel testo. ... / 2

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2 In quale epoca? ... / 2


A Ai nostri giorni.
B Intorno agli anni Cinquanta-Sessanta.
C Ai primi del Novecento.

5 Chi è Cacho? Qual è la missione che ha durante le partite?


Con quale scopo? ... / 3

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6 Soriano dice che, grazie a Cacho, il loro «mondo si illuminava di prodezze


e di emozioni». Che cosa intende dire? ... / 3

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V E R I F I C A
7 Traccia un breve ritratto di Cacho sintetizzando le caratteristiche fisiche,
psicologiche e comportamentali. ... / 6

a. Aspetto fisico: ......................................................................................................

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b. Carattere: ............................................................................................................

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c. Comportamento e atteggiamento in campo:.....................................................

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9 Chi è l’arbitro? Fanne un breve ritratto riassumendo le sue


caratteristiche. ... / 3

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V E R I F I C A
11 In quale modo viene segnato il goal decisivo? Spiega. ... / 4

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12 Soriano conclude dicendo: «quell’aberrazione provocata dall’ignoranza


di mio padre ci metteva in pieno nelle miserie della vita». Che cosa impara
Soriano in quell’occasione? ... / 3
A  Che la vita è una cosa di poco conto, da non prendere sul serio,
proprio come una partita di calcio.
B  Che la vita è fatta anche di meschinità, cioè di astuzie e ingiustizie
che bisogna saper affrontare.
C  Che nella vita ci sono condizioni di povertà estrema dovute
alla mancanza del minimo necessario per vivere.

13 Trascrivi almeno dieci termini o espressioni, tratti dal lessico sportivo,


che sono presenti nel testo. ... / 4

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.....................................................................................................................................

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< 18 = ripassa 18-24 = abbastanza > 24 = molto TOTALE


ancora bene bene ..... / 30

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V E R I F I C A
Mio dolcissimo Quattr’occhi
Mio dolcissimo Quattr’occhi,

ricordi? Io avevo due grandi occhioni verdi, un mucchio di lentiggini sul naso
e delle ciocche ribelli ramate1, che mia madre cercava disperatamente di
raccogliere in una improbabile2 coda di cavallo. Mi chiamavano Pel di Carota, io mi
offendevo terribilmente e mi rifugiavo sotto il grande salice nel giardino dell’asilo.
Me ne stavo lì ad ascoltare il vento sibilare tra i rami. Accadde così anche quel giorno.
Corsi in lacrime verso il mio albero e ti trovai rannicchiato accanto al tronco nodoso.

«Tutti mi prendono in giro perché porto gli occhiali», mi dicesti, e intanto dei
grandi lacrimoni ti scendevano giù per le guance paffute3. Fu l’inizio
di una bellissima amicizia. Per le suore eravamo due monellacci ed era bellissimo
finire in castigo insieme. Eravamo una coppia indistruttibile, abbiamo preso
contemporaneamente persino le malattie infettive.

Il pomeriggio, subito dopo l’asilo, guardavamo i cartoni animati, facevamo


merenda e giocavamo ai “grandi”.

Eravamo magici. Poi è successo qualcosa, senza che ce ne rendessimo conto.


Non mi ero mai posta il problema che io fossi una bambina e tu un bambino, forse
perché io non sopportavo le bambole e tu odiavi le macchinine.

Insomma, eri lontano anni-luce dall’ingenua immagine di maschio che poteva


avere una bambina di cinque anni. Eppure quando ti stavo vicina mi sentivo strana.
[...]

Finché un giorno... eravamo nella tua cameretta e tu mi hai messo una mano fra

1 ramate: color rosso, della tonalità del rame.


2 improbabile: strana, mal fatta.
3 paffute: rotonde, grassocce.

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V E R I F I C A
i capelli: «A me piacciono anche se sono arancioni», hai balbettato.

Il mio piccolo muscolo cardiaco4 stava per scappare fuori dal mio corpicino...

Scappai via senza dirti una parola, arrivata a casa mi precipitai in bagno,
ma ormai era troppo tardi.

Un’emozione era stata incredibilmente forte... insomma, me l’ero fatta addosso.

Da allora venivo presa dal terrore ogni volta che mi capitavi attorno.
Era imbarazzante non riuscire a nascondere il rossore e l’affanno.

L’amore era una faccenda da grandi, e a noi tutte quelle moine5 tra innamorati
sembravano ridicole. Eppure ci amavamo, a modo nostro, ma ci amavamo. A noi
bastava costruire una pista nella sabbia e giocare a biglie fino al tramonto per essere
felici; sgattaiolare in cucina e rubare i frollini al burro, quella era la nostra più segreta
perversione.

Eravamo speciali: due boccioli nati su un tenero ramoscello, destinati a vivere


e morire insieme, alimentati dalla stessa linfa... bastava poco perché le nostre corolle
si schiudessero, lasciando accarezzare i loro petali vellutati dai raggi di sole e dalle
gocce di rugiada, ma un alito di vento ha reciso quel ramo. Si è spezzato senza far
rumore, la natura dormiva e nessuno se n’è accorto... nessuno tranne il mio cuore.

Te ne sei andato all’improvviso. Che confusione quel mattino all’asilo.

C’erano tutti: genitori, suore, insegnanti. Ti cercavo per le aule: «Dov’è Enrico?»,
chiesi alla maestra. Lei mi accarezzò i capelli, sorrise: «Enrico non c’è più, è morto».

Ti ho odiato. Avevamo fatto un patto: insieme per sempre, nessuno ci avrebbe


mai diviso...

4 piccolo muscolo cardiaco: cuoricino.


5 moine: manifestazioni d’affetto.

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V E R I F I C A
La leucemia6 ti ha portato via. Pensavo fosse una delle solite malattie, ero sicura
che me l’avessi attaccata come era capitato con il morbillo e che sarei morta anche
io. Ma i giorni passavano e io vivevo.

Non versai una lacrima al tuo funerale. Tutti gli altri piangevano, persino la Madre
Superiora che ti metteva sempre in castigo. Non riuscivo a capire perché le lacrime
facessero così fatica ad annegarmi gli occhi.

Non è necessario che una persona viva a lungo perché lasci un segno indelebile7
nel cuore di chi la ama.

Ieri abbiamo traslocato nella nuova casa. In fondo all’armadio ho trovato una
scatola di cartone. L’ho aperta... le biglie: una blu e una rosa. Le ho prese e le ho
sotterrate sotto il grande salice. Per sempre.

Pel di Carota

(M. Castano, Lettere al primo amore, a cura di N. Aspesi, Torino, Einaudi, 1996)

6 leucemia: malattia caratterizzata da un eccessivo aumento dei globuli bianchi nel sangue.
7 indelebile: incancellabile.

Esercizi

1 Chi è il mittente della lettera? ... / 1

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2 Perché si chiama così? ... / 2

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V E R I F I C A
3 Chi è il destinatario della lettera? ... / 1

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4 Perché si chiama così? ... / 2

.....................................................................................................................................

5 Il destinatario riceve realmente la lettera? Perché? ... / 3

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

6 Dove nasce l’amicizia tra Pel di Carota e Quattr’occhi? ... / 1

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7 Come si conoscono per la prima volta? ... / 2

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.....................................................................................................................................

8 Col tempo l’amicizia tra i due bambini si trasforma, infatti Pel di Carota
scrive: «ci amavamo, a modo nostro, ma ci amavamo». Che tipo di amore
era il loro? ... / 3

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V E R I F I C A
9 In quale circostanza Pel di Carota dice di aver odiato Quattr’occhi?
Perché? ... / 4

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

10 Nel finale della lettera Pel di Carota, ormai adulta, dice di aver compiuto
un gesto, solo apparentemente strano. Quale? Perché lo ha fatto? ... / 4

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

11 Qual è secondo te lo scopo della lettera di Pel di Carota? ... / 4

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.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

13 Indica con una crocetta quali elementi caratteristici della lettera personale
mancano nel brano letto. ... / 3
A Data e luogo. E Formula di chiusura.
B Formula di inizio. F Saluti.
C Introduzione. G Firma.
D Corpo centrale. H Post scriptum.

< 18 = ripassa 18-24 = abbastanza > 24 = molto TOTALE


ancora bene bene ..... / 30

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V E R I F I C A
Anna e Vronskij
Si voltò e in quell’attimo riconobbe il viso di Vronskij. Portando la mano alla
visiera, egli s’inchinò e domandò se avesse bisogno di qualcosa e se potesse esserle
utile. Anna lo fissò a lungo senza rispondere nulla e, malgrado l’ombra
in cui era, vedeva, o le sembrava di vedere, anche l’espressione del viso e degli occhi
di lui. Ancora quell’espressione di reverente ammirazione che la sera prima l’aveva
tanto impressionata. Più di una volta in quei giorni, e fino a pochi momenti prima,
era andata ripetendo a se stessa che Vronskij era per lei uno dei cento giovanotti
eternamente identici che s’incontrano dovunque, e che ella mai avrebbe concesso
a se stessa di pensare a lui; ma ora, in quel primo attimo dell’incontro, fu presa da
un senso di orgoglio gioioso. Non c’era bisogno di chiedere perché fosse là.
Lo sapeva così sicuramente come s’egli avesse detto che si trovava là perché voleva
essere dov’era lei.

«Non sapevo che foste in viaggio. Perché viaggiate?» disse, abbassando la mano
con la quale stava aggrappata alla colonnina. E un’irrefrenabile gioia e animazione
le illuminarono il viso.

«Perché viaggio?» ripeté lui, guardandola dritto negli occhi. «Voi sapete che
io viaggio per essere dove siete voi» disse «e non posso fare altrimenti».

Nello stesso tempo, come se avesse superato degli ostacoli, il vento spazzò via
la neve dai tetti delle vetture, strascinò una lamiera di ferro ch’era riuscito a
strappare, e il fischio della locomotiva ruggì, lugubre e cupo. A lei ora tutto l’orrore
della tormenta pareva ancora più bello. Egli aveva detto proprio quello che l’anima
sua desiderava, ma che la sua ragione temeva. Ella non rispondeva nulla, e sul viso
di lei egli scorgeva la lotta interiore.

«Perdonatemi se vi spiace quello che ho detto» disse umilmente.

Parlava con cortesia, con rispetto, ma con tanta fermezza e ostinazione che per

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molto tempo ella non poté rispondere nulla.

«È male quello che dite, e vi prego, se siete un gentiluomo, dimenticate quello


che avete detto; anch’io dimenticherò» disse infine.

«Non una vostra parola, non un vostro gesto dimenticherò mai, e non posso...»

«Basta, basta!» gridò lei, cercando invano di dare un’espressione severa al viso
che egli andava scrutando avidamente. E afferratasi con la mano alla colonnina
gelida, montò sul predellino ed entrò in fretta nel corridoio della vettura. Ma nel
piccolo ingresso si fermò per riflettere a quello che era accaduto. Non ricordava
né le parole proprie, né quelle di lui, ma ebbe la sensazione che quella conversazione
di pochi istanti li avesse terribilmente avvicinati e ne era spaventata e felice.
Dopo esser rimasta in piedi per qualche secondo, entrò nello scompartimento e
sedette al proprio posto.

Quello stato di tensione che l’aveva tormentata poco prima non solo si rinnovò,
ma aumentò sino a farle temere che da un momento all’altro si spezzasse in lei
qualcosa di troppo teso. Non dormì tutta la notte. [...]

Per tutta quella notte Vronskij non tentò neppure d’addormentarsi.

Sedeva sulla sua poltrona, ora con gli occhi fissi davanti a sé, ora osservando
quelli che entravano e uscivano; e se anche prima egli colpiva e disorientava
le persone che non lo conoscevano, per quella sua aria di imperturbabile
indifferenza, ora sembrava ancor più pieno e soddisfatto di sé. Guardava agli uomini
come a cose. [...]

Vronskij non vedeva nulla e nessuno. Si sentiva un dominatore, non perché


credesse d’aver fatto colpo su Anna (a questo egli non credeva ancora), ma perché
l’impressione che ella aveva prodotto su di lui lo rendeva felice e orgoglioso.

Che cosa sarebbe venuto fuori da tutto questo, non lo sapeva, e non lo
immaginava neppure. Sentiva che tutte le sue forze, fino ad ora rilasciate e disperse,

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si erano fuse e orientate con spaventosa energia verso un unico fine beato.
E ne era felice. Sapeva solo di averle detto la verità, dicendole che andava là dov’era
lei; sapeva che tutta la felicità della sua vita, l’unico senso della vita lo trovava
adesso nel veder lei, nell’ascoltar lei. E quando era uscito dalla vettura a Bologovo
per bere dell’acqua di seltz, e aveva visto Anna, involontariamente la prima cosa che
aveva detto era stata proprio ciò che pensava. Ed era felice di averglielo detto, era
felice ch’ella lo sapesse e ci pensasse. Non dormì tutta la notte.

(L. Tolstoj, Anna Karenina, Torino, Einaudi, 1993)

Esercizi

1 Dove avviene l’incontro fra Anna e Vronskij? ... / 2

.....................................................................................................................................

3 Quali sentimenti aveva dimostrato in precedenza Vronskij


verso Anna? ... / 2

.....................................................................................................................................

4 Prima di quell’incontro Anna aveva pensato a Vronskij con particolare


attenzione o premura? ... / 2
A Sì.
B No.
C Non so.

5 Chi dichiara il proprio amore all’altro? ... / 2

.....................................................................................................................................

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6 Come e perché l’altro oppone un rifiuto? ... / 2

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

9 Vronskij è convinto di avere fatto breccia nel cuore di Anna? ... / 3

.....................................................................................................................................

10 Aiutandoti con il brano, descrivi quali sono gli stati d’animo dei due
personaggi prima e dopo la dichiarazione d’amore, e spiega perché entrambi
non riescono a dormire la stessa notte. ... / 4

a. Anna:..................................................................................................................

............................................................................................................................

b. Vronskij:..............................................................................................................

............................................................................................................................

12 Per comprendere la psicologia dei due personaggi sono più utili, secondo te,
le informazioni che il lettore ricava dalla lettura della parte narrativa
o di quella dialogata? Motiva la risposta. ... / 3
A Della parte narrativa.
B Della parte dialogata.
C Non so.

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.....................................................................................................................................

< 12 = ripassa 12-16 = abbastanza > 16 = molto TOTALE


ancora bene bene ..... / 20

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Pubblicità e obesità
Obesi con i calzoncini corti. Vita sedentaria, cattive abitudini a tavola, illimitata
disponibilità alimentare costituiscono una micidiale miscela per i bambini e gli
adolescenti italiani: oltre uno su quattro (quasi il 27%) di chi ha fra i 6 e i 17 anni,
dice uno studio della Società italiana di pediatria, è infatti oversize1; addirittura
è obeso il 12% dei più piccoli. La propensione a far salire l’ago della bilancia è più
forte al Sud che al Centro-Nord: agli estremi la Campania con il 36% di fuori taglia
e la Val d’Aosta col 14,3%.

La tendenza a ingrassare è però in forte aumento. In appena nove anni nel Nord-
Ovest il numero di giovanissimi extralarge è raddoppiato, passando dal 6,1% al
13,6%. L’Unione Europea ci assegna il non invidiabile primato di nazione col più alto
numero di giovani pesi massimi: i bambini obesi hanno infatti dal 30 al 60%
di possibilità di esserlo anche da adulti. Tra i primi imputati di questa emergenza
c’è la “Cattiva maestra TV”, come vent’anni fa la definì il filosofo Karl Popper.
Conferma ora il ministro della salute: «L’obesità aumenta di pari passo con le ore
passate davanti al video».

Secondo gli esperti statunitensi ne bastano due al giorno per entrare in zona
allarme; dopo di che i bambini tendono a mangiare molte più merendine e snack
del necessario. Il rischio di diventare obesi aumenta in media del 2% per ogni ora
trascorsa ogni giorno davanti al video.

«I contenuti negativi sugli alimenti e l’affollamento pubblicitario producono


risultati impressionanti – dice Giuseppe Saggese, presidente della Società italiana
di pediatria –, gli stessi ragazzi confermano di esserne influenzati. Da una nostra
indagine su 1200 studenti delle scuole medie il 59% ammette di farsi condizionare

1 oversize: fuori misura, più grasso rispetto alla media.

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dalla TV; in un solo anno è salita dal 71% all’81,6% la quota di quanti acquistano
o si fanno acquistare oggetti o alimenti visti in TV».

Giusto allora parlare di TV che ingrassa?

«A ingrassare sono i comportamenti associati, la rinuncia all’attività fisica,


il mangiare quasi per riflesso condizionato. D’altro canto i modelli televisivi
enfatizzando la magrezza portano a non accettare il proprio aspetto fisico, cosa che
induce disturbi rischiosi della condotta alimentare, diete auto costruite, anoressia
e bulimia, in fortissimo aumento».

Cosa rappresentano obesità e sovrappeso tra i giovanissimi?

«Patologie diffuse in misura paragonabile a quella delle malattie infettive, con


la differenza che per esse non esistono vaccini».

Proibire gli spot per i cibi più grassi può essere una soluzione?

«Vogliono farlo in Francia e in Inghilterra addirittura si propone di vietare


la pubblicità degli alimenti nelle ore a maggior utenza infantile. Noi siamo del tutto
favorevoli».

Altra sostenitrice dello stretto rapporto fra obesità infantile e pubblicità televisiva
è Maria D’Alessio, ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza
di Roma. «I bambini di 8 anni da noi intervistati sono estremamente influenzati dalla
pubblicità. Vestono tutti allo stesso modo, con sole quattro marche di giubbetti
o di scarpe...

In America si preoccupano perché gli spot alimentari coprono il 15-18% del


totale, da noi siamo al 35% e nessuno dice nulla!»

Le principali “colpe” della pubblicità?

«Diseduca proponendo al bambino di mangiare in tutte le ore e circostanze del


giorno. Ne fa un protagonista di spot: solo che il bambino sta per il 70% a scuola

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ma lì lo si rappresenta appena nel 6% dei casi negli Stati Uniti e mai in Italia;
almeno in America lo si vede che fa sport, da noi manco quello... Intollerabile poi che
gli spot si rivolgano direttamente ai piccoli. Se qualcuno bussasse alla porta di casa
per presentare merendine a un bimbo di quattro anni ogni genitore lo caccerebbe.
Invece la TV lo fa tranquillamente. Infine è ingannevole: quando magnifica prodotti
con tanto buon latte in realtà dentro ce n’è lo 0,001%...»

(S. Ventura, in «Consumatori», Coop, maggio 2008)

Esercizi

1 Qual è l’argomento del testo? ... / 2


A Il rapporto fra TV e pubblicità.
B La TV come “cattiva maestra”.
C L’eccesso di pubblicità in TV.
D La passività degli adolescenti nei confronti della TV e della pubblicità.
E La pubblicità alimentare.

2 Quali sono le principali cause dell’elevato numero di «obesi con i calzoncini


corti» anche in Italia? ... / 3

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3 È davvero l’eccesso di TV che ingrassa gli adolescenti? ... / 2

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V E R I F I C A
4 Che cos’è la «condotta alimentare»? ... / 3
A Il rispetto delle buone maniere a tavola.
B La dieta vegetariana.
C Il comportamento quotidiano alimentare di un individuo.
D Il giudizio dato dal dietologo a ogni paziente.
E Non so.

5 «Obesità» e «sovrappeso» sono vocaboli che hanno identico significato


(sinonimi)? ... / 3
A Sì.
B No.
C Non so.
Perché?

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6 Quali nazioni europee vogliono abolire gli spot televisivi per i cibi
più grassi? ... / 2

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9 In quali circostanze la pubblicità può essere definita «ingannevole»? ... / 2

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10 Il brano è formato da una parte espositiva e da una parte di interviste.
Secondo te, le due parti possono essere entrambe considerate un testo
informativo? ... / 3
A Sì.
B No.
C Non so.
Perché?

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< 12 = ripassa 12-16 = abbastanza > 16 = molto TOTALE


ancora bene bene ..... / 20

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Pioggia
Cantava al buio d’aia in aia il gallo.

E gracidò nel bosco la cornacchia:

il sole si mostrava a finestrelle1.

Il sol dorò la nebbia della macchia2,


5 poi si nascose; e piovve a catinelle.

Poi fra il cantare delle raganelle3

guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.

Stupìano4 i rondinotti dell’estate5

di quel sottile scendere di spille6:

10 era un brusìo7 con languide8 sorsate

e chiazze larghe e picchi9 a mille a mille;

poi singhiozzi, e gocciar rado di stille10:

di stille d’oro in coppe di cristallo.

(G. Pascoli, in Poesie, Milano, Garzanti, 1974)

1 si mostrava a finestrelle: si affacciava tra le nuvole.


2 macchia: boscaglia.
3 raganelle: piccole rane.
4 Stupìano: si stupivano.
5 rondinotti dell’estate: piccoli delle rondini nati in estate.
6 spille: spilli.
7 brusìo: rumore confuso e sommesso.
8 languide: avide, lente.
9 picchi: colpi, picchiettii della pioggia.
10 stille: piccole gocce.

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ESERCIZI

1 Che cosa significa «Cantava al buio d’aia in aia il gallo»? ... / 2


A Il gallo impaurito passava da un’aia all’altra.
B L’acuto canto del gallo si faceva sentire in tutti i casolari.
C I galli cantavano, rispondendosi da un’aia all’altra.

2 Da che cosa è provocato il «raggio lungo e giallo»? ... / 2


A Dal sole che perfora le nuvole.
B Dal fulmine che scende dal cielo.
C Dalle lampade che recano i contadini.

3 Perché la pioggia è descritta come un «sottile scendere di spille»? ... / 2


A Perché punzecchia la pelle come spilli aguzzi.
B Perché è ghiacciata e dura come l’acciaio.
C Perché cade diritta e sottile come tanti aghi.

4 Chi sembra bere la pioggia «con languide sorsate»? ... / 2


A I contadini accaldati dal lavoro.
B Le ranocchie che gracidano nello stagno.
C La terra assetata per l’arsura estiva.

8 Scrivi lo schema delle rime della seconda e della terza strofa. ... / 4

a. Seconda strofa:...................................................................................................

b. Terza strofa:.........................................................................................................

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V E R I F I C A
9 Quale messaggio vuole comunicare il poeta con questa lirica? ... / 3

.....................................................................................................................................

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10 La protagonista della poesia, come indica il titolo, è la pioggia. Ma quale


altro elemento meteorologico è molto importante nel brano? ... / 2

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

11 I due elementi sono nettamente separati, o in qualche modo si fondono


l’uno nell’altro? ... / 3

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.....................................................................................................................................

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< 12 = ripassa 12-16 = abbastanza > 16 = molto TOTALE


ancora bene bene ..... / 20

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