Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Demonio
Veneto
sfoghi segreti spontanei
1
La velle dei mulini. Riva grassa, Stramare di Segusino …
https://sites.google.com/site/gianberrasite/
https://www.facebook.com/gian.berra
https://independent.academia.edu/GianBerra
https://it.scribd.com/user/28087467/gian-berra
2
Edizione stampata:
Titolo | Noccioline venete
Autore | Gian Berra
ISBN | 979-12-20325-32-5
3
“tutta la pazienza
che avete avuto con
me non andrà sprecata … “
Gian
4
Questa raccolta è una versione integrale rivista e completa e offerta gratis
nel web.
5
Indice
QUATTRO chiacchiere … 10
VECCHIE POESIE 10
Fuochi nel caos 11
Giove rabbioso 11
La luna e il fiore 12
Il coniglio di zio Vittorio 13
La fonte di ghiaia. 15
Afa 16
Palo d’acacia. 17
Cuore di biscia. 18
Sulle onde 19
Scorza d’albero 20
All’ombra delle frasche a ombrello. 21
Rosso oscuro. 22
Scarico libero. 23
L’orlo 24
Scivolata 25
Il vento se ne va… 26
Ombra che abbaia. 27
Freddo mattino 28
Fine marzo-poesia 29
Le zucche. 30
Sole di settembre 31
Parte SECONDA. POESIE in DIALETTO VENETO di Segusino, scritte
nel 2013. 34
La machina de fero, la macchina di ferro … 36
Tetine bele., tettine belle … 39
Aneme venete. sciupar fora la rabia! 43
Al merlo del Pinet, il merlo dl Pinet … 46
Stram, strame … 49
Gnent da far, niente da fare … 53
Tocio, tocio … 55
Quand al vien al fred, quando viene il freddo … 57
Maria no sega pi l'erba, Maria non sega più l’erba … 59
Ariù, anima de acqua. Ariù, anima di acqua … 61
Nosele seche. Nocciole secche … 63
Me nono scatàra. Mio nonno scatarra … 65
6
Maria la torna dala messa. Maria torna da messa … 67
La vendetta de Bortol. La vendetta di Bortolo … 70
La carega santa del Papa. La sedia del Papa … 74
IL GELSO MAGICO di MENOLA, racconto di Gian Berra 78
IN DIRETTA DA s. PETER SHOW … racconto di Gian Berra 89
NONNA MARIA STRAMARE in Berra, da Segusino 98
PEDEROBBA, OSTERIA DA RAFAEL 140
Il secolo scorso 1998 – 2002 circa … 162
Gian Berra … hippie, racconta … 162
PSICOLOGIA SCIAMANICA. La costruzione dei Totem personali, il Totem della
Paura. 163
Visualizzazione passiva … o quasi. 164
Passeggiata nel lato oscuro 169
Punto 171
LA RINASCITA DEL TOTEM 174
I Totem sono dentro di noi. 176
Il potere della consapevolezza. 177
La paura come condizionamento. 178
Il potere della paura. 178
Anche la paura è un Totem. 179
Costruisco il Totem della paura. 180
Andare nell’ombra. 181
Camminare nel lato oscuro 183
Le coscienze parassite. 183
Le immagini di noi stessi. 184
Il Totem è una coscienza allargata. 185
Totem per ogni intento. 186
Oltre la soglia del caos 186
Le tensioni come sfide consapevoli. 187
DOPO DARWIN … 191
Confidenze di Luca 195
Vivaldi mon amour… 200
A proposito di arabi... 202
Eroi del 68’ 203
Pollaio 206
Pastinaca, pianta pagana… 209
Provare a definire e descrivere il proprio sentire. 209
LA GRANDE MADRE 210
Vescovi e pecorelle. 216
La quercia 218
7
Ciao, sono la gatta Teddy ( Candelora 2002) 219
Una vita disordinata … da hippie 223
Opere di Gian Berra pubblicate da Youcanpeint.it 229
8
ANIMA VENETA
Poesie libere 1998 - 2000, 2013 in dialetto veneto
con traduzione italiana
Il primo gruppo di poesie “originarie” sono state scritte dalla fine degli
anni ‘70 giungono fino al 2005
Il secondo gruppo di poesie sono tutte nate in dialetto veneto dal 2013
9
QUATTRO chiacchiere …
VECCHIE POESIE
10
Fuochi nel caos
Al scur al insiste
Il buio insiste a strenzerme quande che mi me
a stringere i miei risvegli desveie
di fuga alla vita. par scamparghe ala vita.
Pesano le membra e la luce è Me pesa i bras e la luse la xe
maledetta. maledetta.
Ma l'uso a fare mi fa lasciare il caldo Ma al uso da far le robe al me fa
dei sogni e accogliere il sole. assar al calt
I Titani del caos mi richiamano de i sogni, e 'ndar a ciapar al sol.
ogni mattino a loro, e acuti i loro I mostri de la confusion i me ciama
fuochi ogni matina,
mi richiamano al nulla. e ciari i soi foghi
Ma ogni volta debbo lasciarli i me ciama al 'gnent.
e lacerato di abbandonarli, e Ma ogni olta me toca assarli
proseguire e dopo desperà de bandonarli, e
solo 'ndar vanti
il mio cammino. mi da sol
par la mea strada.
Gian Berra
Gian Berra.
Giove rabbioso
Giove rabbioso
Giove rabioso
Il filo di luce illumina
il buio e un tuo gesto freddo fa Un fil de luse al illumina
muovere al scuro, e dess un tiro dei toi fa
i rami dei gelsi. So che sei tu o mover
Giove. le rame dei morer. Mi so che te si ti,
E accolgo la tua rabbia con un Giove.
brivido e ti guardo. E mi ciape la toa rabia coi sgrisoi,
11
L'acqua che versi su di me è piacere. dopo te varde.
La lascio scorrere gelida e viva. La acua che ti tu me tira doss, la me
Sfido gli inganni che mi nascondono pias.
a te. Mi asse che ela la me corre dos
Apro le porte della tua rabbia e mi ingelada e viva.
nutro Mi ghe do la sfida ale busie che le
col suo sapore. vol sconderme a ti.
Il rombo secco della tua voce mi Mi verze le porte ala toa rabia, e la
scuote magno
e ancora una volta il mondo col to savor.
ti può udire. Al rumor seco de la to vose al
Raccolgo nelle palme aperte i tuoi rebalta,
doni cussì naltra olta tuto al mondo
e ti ringrazio. al pol sentirte.
E indovino anche Ciape con le man verte i to regali,
un tuo sorriso. e te dighe grazzie.
E anca indovine al to ridar.
Gian Berra
Gian Berra
La luna e il fiore
12
danno al dolce sonno Ragi de lat i toca le foie serade,
sicuro rifugio. e i ghe dona al dolze sonno
Ricordi quel grande lavoro? un seguro refugio.
Sussurra la luna, Ricorditu ti quel gran laoro?
mille anni per creare la tua anima, Sospira la luna,
altri mille per il tuo corpo, mili ani par crear la to anima,
mille ancora per farti vivere. altri mili par al to corpo,
Assapori la vita mili 'ncora par farte vivar.
Come gioia di esistere. Ti tu gusta la vita
Pupille nascoste raccolgono luce, come la gioia de esistar.
emergono dal grande buio Oci sconti i ciapa la luse.
sensazioni, Le salta fora dal scur le sensazion,
la paura di nascere, co la paura de nasser,
il timore di crescere, al timor de cressar,
e poi, ancora, nel profondo, e dopo do in fondo,
il sentirsi vivo, al sentirse vivo,
e l’angoscia di non sapere. e la angoscia de no saver 'gnente.
La luna cammina nel cielo, non da La luna la camina sul ciel, e no la
risposte. risponde.
Ma abbraccia ogni cosa, Ma la brassa tuto.
non svela il mistero No la te conta al segreto.
ma carezza la vita Ma la caressa la vita.
Gian Berra.
13
di poveri orgogliosi. Do bass in paese, al rispetto xera,
Lì in paese il rispetto era soprattutto no 'ndar par carità.
non chiedere la carità. E me barba Vittorio al xera
E zio Vittorio puliva il coniglio orgoglioso,
orgoglioso che al cunicio al fusse solamente
che era solo suo. suo.
Ma quando veniva la rabbia Ma quande ghe vegniva su la rabia,
di quando era stato zitto di fronte de quande lu ghe tacava tazer
alle ingiustizie, de fronte ale ingiustizie...
esplodeva allora la sua disperazione Lu al sciopava fora co la soa
contro chi desperazion
legava la sua vita. contra quei che i ligava la so vita.
Ora lui è stato dimenticato, e la rete 'Dess lu al xe sta desmentegà,
ruggine ed inutile e la rete rudena
continua a dividere qualcosa che non la continua a dividar qualcossa
si vede. che no se pol vedar.
Ma che giace, ancora, Ma sta roba la xe sconta 'ncora
in fondo al cuore. sul fondo del so cor.
14
La fonte di ghiaia.
15
Afa
Afa Calt.
La linea piatta dei ciottoli La linea schinsada dei sas
disegna gradoni lontani d’oasi di la fa un disegno co i scalin la lontan,
verde. sconto da un poche de foie.
E anche i merli sono lontani Anca i merli i xe da londi de l'acqua,
dall’acqua sconti sot la ombria dei sales.
nascosti sotto l’ombra dei salici. L'aria calda la trema
Riflessi tremolanti d’aria rovente co riflessi che move al orizonte.
muovono l’orizzonte. Zente sconta, no la se move
Coscienze nascoste evitano l’azione un schiant.
Il pensiero si strugge impotente Al pensiero al se lamenta de no
d’agire. poder
Così l’attimo si impone far 'gnent.
e deride il potere di fare Cussì sto attimo al comanda
mentre l’afa vince superba. e lu al ride de quei che volaria far
qualcossa.
Gian Berra Intant al calt al ride
co superbia.
Gian Berra
16
Palo d’acacia.
Gian Berra
17
Cuore di biscia.
18
Sulle onde
19
Scorza d’albero
Le val co e rughe
Le valli rugose che ti fanno le te fa vecia,
Vecchia e i ton stusadi che i torna indrio
E i toni spenti che si ripetono sempre
monotoni compagni,
Ma che non si somigliano mai ma che i no se someia mai,
Mi rendono inquieto e i me tira scatoso,
Ho paura di non so che. e no so de cossa aver paura.
Sottile sensazione di disagio perché Fina sensazion de disagio, parché
Non so contare i tuoi segni, né posso no so come contar i to segni, e
elencarli. 'gnanca
Cosa resta oltre i numeri se non farghe un elenco.
vaghi segni? Cossa resta mai dopo i numeri,
Allora il Vuoto soffoca le certezze fursi un pochi de segni?
E comincio a lasciarmi volare Lora, al Vodo, al scancela le
Disperato. Ma l’abisso del nulla certezze,
Stavolta è dolce lora mi scominzie a lassame olar
E mi ci tuffo co desperazion.
Al buio. Ma la fossa del 'gnent
staolta la xe dolce,
Gian Berra e mi me trae do
in tel scur.
Gian Berra.
20
All’ombra delle frasche a ombrello.
Gian Berra
21
Rosso oscuro.
Gian Berra
22
Scarico libero.
Oltra la ramada
Oltre la rete i ga immucià le robe
Le forme sono accatastate par ciapar spasio.
Per recuperare spazio. E dess, scure in tel levar del sol
E oscure nell’alba si fanno notare le se fa notar, coi canton affiladi.
Per angoli affilati. E anca fil tiradi i ciapa sgiosse de
E fili tirati che fanno raccolta di sgiassa.
gocce di rugiada. Un poc de sgriso che al tenta de
Vago grigio che tenta di apparire vegnar fora,
Sicuro di esistere, seguro de esserghe.
e l’acqua caduta stanotte a formato La acqua caiesta do stanott la ga
pozze impiegnis le pose
nella terra che conduce là. in te la tera che la te porta là.
Il freddo umido rende inquiete le Umido, al fret al remena i oss de chi
ossa di chi al ga regalà la soa vita.
Ha regalato la vita E ai altri no la ghe conforta i
Ad altri, e non conforta i pensieri. pensieri.
Trema la mano, e tenta ancora di fare La trema 'ncora la man, e la tenta
Per non perdere l’abitudine, 'ncora de far,
intanto il raggio di luce si fa largo, par no perdar al uso.
Indifferente. E intant un raio de luxe
al se verde la strada,
Gian Berra co indifferenza.
Gian Berra
23
L’orlo
L’orlo Al orlo.
C’è, ma lo percepisco appena, Lu al xe là,
è il punto dove è buio, ma mi al vede pena un poc,
là nulla è certo e tasto con le mani, xe al pont 'ndove al xe scur,
cercando atomi sicuri. là gnente xe certo, e mi taste coe
Ma non ci sono. man,
Mi butto lo stesso e gusto cercando atomi seguri.
L’emozione del pericolo di finire Ma no ghe cate no.
l’ora. Istess mi me trae entro, e guste
Sento che il Nulla è, la emossion del pericolo de finir sta
che ora ho fatto un pezzo di sostanza,ora,
che mi serve. mi sente che al Gnent el xe qua.
Sono. 'dess che go fato un tocheto de
sostanza,
Gian Berra che la me serve.
A mi.
E mi son qua.
Gian Berra
24
Scivolata
Scivolata Sbrissada.
25
Il vento se ne va…
26
Ombra che abbaia.
27
Freddo mattino
Gian Berra
28
Fine marzo-poesia
29
Le zucche.
Le zucche. Le zuche.
Semenze scartade,
I semi rifiutati le leva le man
Levano le palme timide
Timidi e co coraio.
e fieri. Color fati de 'gnent i proa
Pastelli che provano a viver seza domandar
A vivere senza chiedere al permesso.
permesso. Mi proe a scoltarli
Mi offro al loro invito, co rispetto,
cercando un rispetto, e sanza confin,
senza confini, i ciape qua
e li accolgo, co commozion.
commosso.
Gian Berra
Gian Berra
30
Sole di settembre
31
Sun of September
Gian berra
32
33
Parte SECONDA. POESIE in DIALETTO VENETO di
Segusino, scritte nel 2013.
Era l'estate appena passata. Finalmente solo tra la natura selvatica delle
dolomiti di Feltre. Tra borghi assonnati senza tempo. Trovo il mio attimo
per tirare il fiato. E adesso cosa faccio? Mi domando. Poi decido di no fare
niente se non ascoltare ciò che esce da me stesso.
Lascio scorrere ciò che era nascosto...
34
Stazione dei treni a Fener 1950
35
La machina de fero, la macchina di ferro …
36
La macchina di ferro
37
E così si libera l'anima.
38
Tetine bele., tettine belle …
39
Nessuni pol vedarla, e la se offre ai alberi la de sot,
squasi a dirghe grazzie.
Dopo la varda al sol, e la tira un sospiro.
Marieta la se riveste, ma i pensieri noi ghe ne pì.
Ghe par de aver tocà al paradiso,
ma no lo ghe lo dirà a nissuni,
parchè i la ciaparia par mata.
La aria la entra par la finestra e la ghe regala
al profumo dei fior de la cassia.
Tutti sti regali,
i xe solamente par ela.
40
Tettine belle.
41
Si gira, e guarda la finestra aperta, alta
sul sentiero dei mulini.
Nessuno può vederla, e lei si offre agli alberi là di sotto,
quasi a ringraziarli.
Dopo guarda il sole, e sospira.
Marieta si riveste, ma i pensieri sono spariti.
Le pare di aver toccato il paradiso,
ma non lo dirà a nessuno,
perché la prederebbero per matta.
L'aria entra dalla finestra e le regala
il profumo dei fiori di acacia.
Tutti questi regali,
sono solamente per lei.
42
Aneme venete. sciupar fora la rabia!
43
Anime venete, sputate fuori la rabbia!
44
Gian Berra 2013
45
Al merlo del Pinet, il merlo dl Pinet …
46
Gian Berra 2013
47
Il merlo del Pinet
Gian Berra 20
48
Stram, strame …
49
Lori, tuti i ga dito lu di vender ste bestie.
De assar perder, de far al vecio,
come tuti quei che i passà i ani
dela fadiga.
Quande Nani al riva tacà la stala, a l'è scur.
Al se ferma un poc, e dopo
al scarga le foie sul portego.
Dopo, quande che al mete la so testa entro la stala,
le do bestie le lo varda come si lo spetasse
da sempre. A lu al ghe se scalda al cor
e al se senta sul schegn co la secia in man.
Nol porta suito al lat in te la caneva,
prima al pensa ncora cosa far.
Ma nol cata altro e al sospira.
Quande che vien scur, quande che vien la ora
de fermarse, a Nani ghe vien la paura.
50
Strame.
51
Ma non trova altro e sospira.
Quando che viene scuro, quando viene l'ora
di fermarsi, a nani viene la paura.
Ma lui ella sua vita, non si è mai fermato.
Neanche un po', neanche per giocare,
Nani non sa cosa sia stare fermo.
Dopo, mette una mano dentro il mucchio di strame.
Sente le foglie secche che gli carezzano la pelle.
Sembrano scappare via, sembrano volare.
Sembrano quasi voler giocare con lui.
Così gli viene un pensiero: Che anche io sia come strame?
E gli pare di essere una foglia secca, una di quelle dentro il sacco.
Una foglia che ha fatto la sua parte, con impegno
e giudizio.
Adesso Nani sa di essere strame,
che per la ultima volta,
darà una mano
a chi serve.
52
Gnent da far, niente da fare …
53
Niente da fare.
Gian Berra 2
54
Tocio, tocio …
55
Sugo.
56
Quand al vien al fred, quando viene il freddo …
57
Quando viene il freddo.
58
Maria no sega pi l'erba, Maria non sega più l’erba …
59
Maria non sega più l'erba.
60
Ariù, anima de acqua. Ariù, anima di acqua …
61
Ariù, anima di acqua.
Gian Berra
62
Nosele seche. Nocciole secche …
63
Nocciole secche.
64
Me nono scatàra. Mio nonno scatarra …
65
Mio nonno scatarra.
Gian Berra 20
66
Maria la torna dala messa. Maria torna da messa …
67
Maria torna dalla messa.
68
69
La vendetta de Bortol. La vendetta di Bortolo …
70
71
La vendetta di Bortolo.
72
Un Papa se ne va... per stanchezza.
Lo giuro, stamattina un angelo mi ha mandato in esclusiva questa parole
che vagavano nel vento libere, così prima che svanissero per sempre le ho
raccolte e trascritte in testo. E' stato il vento a darmele. Lo giuro …
73
La carega santa del Papa. La sedia del Papa …
74
Gian Berra 2013
La sedia del Papa.
75
Citazione preferita
L'orchidea nascosta
76
77
IL GELSO MAGICO di MENOLA, racconto di Gian Berra
78
Un racconto di Gian Berra del 2012. Un inno a Pan e alle radici vive in
tutti noi... testimone il morer, l'albero delle more.
In onore del popolo del Veneto
e alle sue radici originarie.
79
Menola e il morer.
Vicenda realmente accaduta nelle grave del Piave, tra Ciano e Covolo di
Pederobba .... un Veneto silenzioso.
Là dove il Piave fa una grande ansa e gira deciso verso est, proprio di
fianco a Crocetta e Ciano, le sue rive si allargano senza limite. E' possibile
camminare per ore tra le lande sassose e non incontrare nessuno.
Per questo ci vado spesso e tra erbe selvatiche e macchie rade di alberi
fieri, posso allargare lo sguardo sin dove può arrivare.
Non ci sono limiti allo sguardo e così mi è facile lasciare che i ricordi
prendano il colore dell'aria. Senza schemi, la fantasia immagina e vive
ogni realtà possibile. Sogna e ricorda, appunto. Se guardo verso sud lo
sguardo è riempito dalla presenza del Montello, lunga e bassa collina che
mi fa compagnia e incornicia come un abbraccio la riva di Ciano.
E' facile fare tanta strada che poi, stanco, vorrei andare a ristorarmi un po'.
Così quando arrivo alla croda granda, giro sicuro, e l'osteria di Menola e
proprio la vicino.
80
Oggi è un pomeriggio di quelli. Svogliato e senza idee sto aiutandomi con
un uovo sodo, a finire il vino aspro di Menola e guardo fuori i pioppi che
sfumano verso le rive.
Una volta , poco più in giù c'era una grande pozza d'acqua, quasi un
laghetto, e la strada ci girava attorno. Sul lato accostato alla collina, la
strada era solo un sentiero che girava per agli alberi. Questi formavano un
bosco che si confondeva con la palude.
Un grande morer solitario, imponente sulla riva , era il capo di tutti quegli
alberi. Cresciuto senza padroni formava lui solo una macchia imponente.
Pochi ci passavano accanto tranquilli o indifferenti. Lui chiedeva rispetto e
l'otteneva senza fatica. L'ombra del morer era un regno a sé. Ed è in questo
mondo sempre buio che …
Forse non era stata una buona idea , ma Menico a volte non pensava. Si
lasciava condurre così dai pensieri vaganti finché la strada non esisteva
più. Si era avviato verso le grave anche se la sera ormai diventava quasi
notte. Il fresco di settembre era appena accennato e l'aria calda ancora
invitava a pensieri inquieti. Cosa cercare ancora tra quei sassi? Inquieto e
svagato Menico aveva già dimenticato la giornata di lavoro e il buio lo
chiamava senza ragione. Si accorse di essere lontano dal sentiero quando il
fitto del bosco aveva già coperto la luce della sera.
Il buio improvviso lo svegliò dal sognare e lasciò che un brivido freddo lo
segnasse rapido come un lampo. Rallentò il passo, e cosciente del suo
ritmo, con cautela proseguì verso l'acqua.
Intuì il sospiro come se realmente potesse udirlo... ma appena tendeva
l'orecchio il silenzio lo lasciava solo e deluso. Cos'era quel sussurro che
non riusciva ad ascoltare?
Furioso per ciò che gli sfuggiva, si sedette sulla sabbia, tra due grosse
querce, e guardando verso l'acqua vicina lasciò vagare l'attenzione come
quando sognava. Lui sognava con la mente e i pensieri erano liberi, ma
con gli occhi osservava il mondo da lontano.
Così, ingannando la sua rabbia, lasciò entrare in sé ciò che non vedeva ne
sentiva. Con la coda dell'occhio notò un movimento nel buio alla sua
sinistra. Sapeva di non poter girare la testa, sentiva che se lo avesse fatto
ogni cosa sarebbe svanita. Lo sapeva e basta. Si lasciò condurre dall'istinto
e fingendo di guardare la palude, girò con prudenza il viso quanto bastava
81
per osservare. E poi con infinita lentezza, cercando di nascondere la sua
tensione, spostò lo sguardo con finta indifferenza.
Sotto il gran morer un grumo scuro si muoveva. Non cercò subito di
capire, ma lasciò che si rivelasse a lui la scena: Una figura grossa e
ingobbita, piegata e tesa, era sopra un'altra figura seduta, appoggiata
all'enorme tronco.
Soffi e sbuffi e modi agitati rendevano tesa l'aria e Menico si sentì
risvegliare il sangue.
Il suo corpo non poteva ignorare il desiderio e già rispondeva al sogno
nascosto. Il suo manico premeva nei calzoni e pretendeva attenzione: Quei
due spandevano furia di vita con urla soffocate. Quello che stava sopra era
fin troppo curvo sulla femmina, ma era instancabile e la faceva gemere
quasi come un pianto sussurrato. Lei lo accoglieva abbracciandolo e
tirandolo verso di sé muovendosi a ondate lente e ritmate.
Poi poco alla volta il silenzio riprese a dominare gli attimi.
I due rimasero ancora abbracciati in un'unica forma scura e Menico per
paura di essere visto smise anche di respirare.
Onde di odore muschiato solcavano come bassi sentieri l’aria tra i tronchi.
Sembrava che anche gli alberi aspettassero l’apice che chiedeva sfogo e
liberazione.
Ma il tempo sembrava non passare mai e tutto era in attesa, in tensione;
Menico viveva ciò come parte di ciò che accadeva.
Lui già perdeva l’attenzione, un vago sonno ipnotico lo intorpidiva e lo
rendeva pesante, lento …
Per poco non si strozzò quando quell'essere imponente si alzò:
Un mostro gigantesco, con le gambe storte e la gobba, le spalle smisurate
e la testa piccola, cercò di mettersi in equilibrio.
Ma a Menico vennero i brividi quando vide e non volle credere.
82
Lei non mosse gli occhi, ma lo vide. Menico sentì in sé sciogliesi ogni
volontà. Il mare infinito lo stava avvolgendo e sembrava annullare ogni
pensiero. Tentò di ribellarsi mentre una parte di sé, ferita, gridava di non
farlo. Il cuore sembrava scoppiargli nel petto e le mani artigliavano la
sabbia. Con uno scatto doloroso staccò gli occhi da Lei e fu subito
catturato dallo sguardo di Lui.
***
Bluette teneva stretto a sé Bronza. Lui furioso già stringeva nel sogno il
collo dell’umano. La rabbia antica e la disperazione senza fine stava già
cancellando il piacere che lei gli aveva dato. Ma Bluette non avrebbe
permesso a Bronza furioso, di distruggere ciò che stava nascendo. Lo tirò
a sé decisa e guidò con la mano il suo membro fiero dentro di lei. Lo
strinse e lo abbracciò di nuovo con slancio e calore. Bronza avvertiva il
83
fuoco e la rovina, ma il calore e l’umido profondo di Bluette cancellava e
diluiva la tensione.
Si lasciò cadere nel fondo di lei ancora una volta.
Permise alle sue reni di seminare ancora vita.
La sua.
E Bluette ancora lo accolse in sé. Ancora e ancora... Viveva del suo
slancio e gustava il suo fare.
Poi pian piano la tensione svanì negli attimi. Ogni pensiero si placò, e
Bronza si lasciò cadere nel letto di foglie accanto a Lei. Sognava ad occhi
socchiusi ed assenti il piacere del nulla.
Ora, appagato e quasi felice, lasciava che il filo rosso dell’ira rimanesse
oltre l’attenzione e i ricordi.
Lasciò lontani i pensieri di vendetta e di sangue e si addormentò.
Lei invece incrociò le braccia sui seni nudi, immaginando un brivido di
freddo. L’umano aveva visto lei e Bronza. Ciò la stupiva. In tutta la sua
vita di ninfa umida mai aveva notato umani che potessero vedere il popolo
della vita.
Quelle scimmie arroganti erano cieche al grande mondo.
Ma l’umano era un giovane maschio e lei aveva catturato la sua
attenzione. Aveva ancora in sé il piacere dell’abbandono a Bronza. Ma il
brivido sottile della conquista dell’umano era dolce come il miele. E in
autunno il miele era finito. O no?
Menico non tornò a casa quella notte. Dormì nel fienile accanto alla
fontana piccola. Poi si fece vedere affaccendato nell’orto di casa. Come si
fosse alzato presto. Sua madre gli chiese qualcosa, ma poi non ci pensò
più e lo lasciò stare. Menico invece non vedeva più le cose. Che ora era?
Dove doveva andare? Ma oggi cosa c’era da fare? E i fianchi levigati di
Lei erano li davanti a lui e chiedevano di essere accarezzati.
La pelle di fanciulla, lucida e azzurrina era senza forma solida, ma
prendeva quella del suo desiderio.
Gli occhi di lei erano uno spicchio d’infinito e lo supplicavano di venire
ad adorarla. La sua bocca da bambina era un frutto da gustare …
La pancia di Menico era una tensione che voleva.
Il sesso di Menico pretendeva.
E la giornata adesso non sapeva di nulla. Lui era solo. Ma stasera sarebbe
tornato là. Certo che sì! Desiderava Lei come la vita. Le sere di settembre
84
qui sul Piave di Ciano, sono lunghe e ancora calde e i profumi dell’estate
indugiano nell’aria senza vento.
Ma un vago senso di inquietudine, nascosto sotto la crosta delle cose che
si vedono, rende inquieti i cuori.
Specialmente quelli che si vogliono incontrare e hanno fretta di toccarsi e
gustare il fatto di esistere.
Così Menico si avvicinò quasi di corsa al bosco del morer, ma poi quando
fu a pochi passi si nascose e rimase ad ascoltare. Nulla e nessuno era
presente. Echi lontani sottolineavano un silenzio indifferente alla sua
tensione.
Si avvicinò al morer e la sabbia nulla diceva dei ricordi che lui si portava
dentro.
Sedette appoggiandosi al tronco e poco alla volta si lasciò avvolgere dalla
penombra. La accettò come parte di sé e i pensieri si placarono.
Bluette lo sentì quando era ancora nascosta sul lato fitto del bosco. Piano
si avvicinò, studiando la sua attenzione. Ancora lui non l’aveva vista, ma
sembrava sicuro di sé: lui nascondeva bene il suo desiderio. Lui la voleva:
un umano?
Si avvicinò ancora un poco e uscì con prudenza dall’ombra oscura di
un’acacia, proprio di fronte la radura.
E Menico che sognava ad occhi aperti non la vide finché una scintilla
illuminò il punto nascosto del suo occhio destro e accese il suo desiderio.
Il cuore ebbe un sussulto e gli bloccò il respiro.
La sua schiena si irrigidì e da solo il suo sguardo seppe dove guardare. La
vide che usciva dal buio come se camminasse su una nuvola.
Lei splendeva di luce propria e lo guardava sicura di sé. Le sue braccia
cadevano naturali incorniciate dai lunghi capelli e il seno piccolo ma fiero
si mostrava. Il ventre invitava al suo ciuffo di vita e le lunghe gambe si
muovevano appena, lente e sicure. Lui venne catturato da quegli occhi.
Erano un mare verde su cui annegare.
Quando Lei le fu vicina gli parve di entrare nella luce che la avvolgeva e il
mondo di sempre non esisteva più.
Non furono necessarie parole e lui non ricordò mai di averla toccata.
Ma quando lui entrò in lei era come se si fosse annullato nel grande mare
della vita e perse la sua identità sognando e gustando il suo abbraccio.
Aveva provato il paradiso e non desiderava altro. Sentiva le sue forme e
accarezzava il suo velluto e ogni carezza era quella più dolce. La voluttà di
esistere e vivere era una realtà concreta. L’umido in cui si muoveva era
l’invito ad una eternità di estasi senza fine …
85
Poi gli occhi di lei che lo guardavano dentro, lo lasciarono giocare coi
colori e l’infinito. Lui seppe quando questo finì.
Quando poco alla volta il riposo lo riportò al mondo. Con lei vicino che lo
guadava, lui sentì senza soffrire il distacco. Lei non permise al suo cuore
di soffrire e gli rimase
vicina finché il sonno lo vinse.
°°°
Poi l’aria fredda della notte svegliò Menico, che stupito di ritrovarsi lì, si
rivestì svogliato. Non vide la luna, e il buio attorno a lui era come una
coperta di velluto. Lei non c’era più. Ma era come se fosse ancora con lui.
La sentiva dentro come una cosa conquistata. L’aveva fatta sua. Una parte
di sé la voleva toccare, e guardare ancora negli occhi; ma sapeva che non
sarebbe più venuta. Aveva toccato il cielo. Le cose non sarebbero più state
le stesse. Menico si avviò mesto verso Ciano. Ora gli occhi vedevano le
ombre degli alberi quasi vive, e lontano sul Montello notò strani riflessi
che saettavano sopra il bosco. Sentì la civetta chiamare, e per la prima
volta non provò fastidio; anzi, avrebbe voluto rispondere al saluto. Bastò
questo a donargli un poco di calore. Menico sentiva la vita scorrere attorno
a sé, e questa sensazione lo riempiva e lo confortava
Menico non era più solo.
86
Alcuni anni dopo.
87
L’ombra è nera e grande, sembra abbia anche le corna e la coda. Qualcuno
ha visto gli occhi di quel mostro: sono rossi e pieni di furia e d’ira.
Chi ha visto quel diavolo, in quel posto non ci è più tornato.
88
IN DIRETTA DA s. PETER SHOW …
racconto di Gian Berra
89
In diretta da S. Peter Show …
di Gian Berra
24 giugno 2170: anche oggi si festeggia nel mondo, come ogni anno lo
show delle streghe nella grande piazza al centro di New Rome ( Near old
Italy). L'incontro è sponsorizzato dai maggiori media mondiali. Siete tutti
invitati, nessuno escluso.
La festa è un inno alla libertà senza condizioni ideologiche di ogni
coscienza consapevole e non assoluta.
Tutto il mondo festeggia il presente e il futuro con allegria
ed entusiasmo.
Divertitevi!
90
91
24 giugno 2170, New Rome.
2° Eurasian empire.
- Hallo amici, buona mattina da New Rome… buon giorno felice e chiaro!
Sveglia poltroni, è ora di darsi da fare! Il sole è già alto e voi ancora
sognate e fate bene.
Ma con voi c’è S. Peter Show in diretta, che vi sveglia con tenerezza ed
affetto. Una mattinata di buona musica che… ma no, cosa succede? Ecco
che Gelindo!
Proprio oggi! Come quel lunedì 24 giugno 2170. Per giunta è lunedì anche
oggi!
Porco mondo! Il tempo passa e si invecchia. E a scuola ci hanno stufati
parecchio raccontandoci quella vecchia storia. La conosciamo tutti e non
ci interessa granché. Per giunta io non ero ancora nato. Ma ragazzi, mi si
continua a dire che fu una gran cosa. Grande e terribile. Ricordo appena i
casini e i disordini che ancora scuotevano il mondo quando ero un pupo da
latte.
D’accordo, forse è meglio che vi dia un accenno di ciò che accadde quel
giorno.
Forse non è tempo perso, ma poi tutti ad ascoltare tanta musica e a far
festa! Per Giove!
Beh, devo pur iniziare dell’inizio? La cosa ebbe inizio quando un gruppo
di nopagani vecchio di 150 anni si mise a combinare la tecnologia dei
Quanti Concreti in gran voga in quei tempi lontani, e cercò di applicarla a
vecchie e decrepite nozioni di Gnosi Agnostica. Già, la cosa nacque
proprio qui in questa terra benedetta dal sole. Quelli erano gente decisa e
strana.
Stufi di rivangare vecchie cose che sapevano di muffa, e di litigare per
nulla, si misero all’opera. Forse fu il fatto che i loro genitori avessero loro
92
infuso tanto ardore? Fatto è che trovarono il modo di rendere accessibile a
tutti l’n-dimensione. E vi pare poco?
Erano stufi di considerare che L’aldilà o il fumoso stato eterico fosse solo
prerogativa dei predicatori, dei santi, degli artisti o dei visionari. No! Loro
lo volevano subito ora qui: in concreto.
Tra di loro c’erano ingegneri in informatica, di fisica quantica e anche
naturalmente veri stregoni e streghe in stretto incognito. E anche esperti
elettricisti.
E' ovvio.
Non ci misero molto a scoprire che le n-dimensioni non erano solo teoria.
Modificando l’approccio teorico dei Quanti Concreti, e allargandolo a
dimensioni non fisiche, tentarono e osarono oltre l’ovvio e il conosciuto.
Innanzi tutto considerarono il “non fisico o non misurabile” come
possibile; e poi focalizzarono un fascio di particelle quantiche cariche
delle loro intenzioni verso una possibilità senza limiti di esistenza. Era
solo uno degli innumerevoli tentativi quello in cui Clinto, un figlio
tredicenne di Nestore, l’ingegnere di fisica applicata del gruppo
neopagano, propose a suo padre di non limitarsi a creare
immagini fumose di visioni immateriali … ma di entrarci dentro.
Vi sembra una cosa da poco?
I bambini sono i nostri veri salvatori!
Così Nestore chiamò gli altri e in una notte di dopolavoro. Lui fece il
miracolo.
Insieme applicarono una vecchia porta completa di stipite al muro nord
della cantina. Dietro la porta c’era il muro di cemento. In realtà non si sa
molto di quella notte. Ma loro erano in cinque più il ragazzo.
Venne così collegata la porta al proiettore quantico e programmata come
via di fuga delle n-particelle. In realtà la cosa non era gestibile
manualmente. Perciò si usò il computer di Clinto per programmare i
parametri con cui informare il flusso di particelle. Fu una cosa artigianale;
infatti per quel primo tentativo vennero usate
solo 14 variabili. Cose da matti. Ma il computer non poteva gestirne di
più.
E la fortuna li assistette.
La porta venne aperta e i macchinari accesi. Quando col cuore in gola
Nestore diede il via, la cosa accadde. Un sospiro di sei gole che si
liberavano con una esclamazione che non oso trascrivere, per la sorpresa
riempì la cantina.
Occhi sbarrati e corpi rigidi di paura mal nascosta, fissavano immobili il
93
rettangolo luminoso che si era aperto nello stipite: una luce soffusa e
azzurrina ora proveniva da lì e illuminava a giorno la cantina.
Nessuno osava fiatare. Ma Clinto fece un passo per primo e si avviò verso
la porta di luce e scrutò curioso oltre. Un attimo ancora e anche gli altri gli
erano dietro. Oltre lo stipite un infinito fumoso e luminoso senza fine
invitava e incuriosiva. Tutto sembrava in leggero movimento e senza un
pavimento. Soffiava un alito fresco e invitante.
Dato che nessuno si muoveva, Clinto profittò del momento e varcò la
porta.
Le vecchie cronache raccontano tutto di questo eroe. E ci dicono che fece
il primo balzo solo perché era curioso. Da allora sappiamo bene cosa è
successo.
Sta di fatto che gli uomini non sono davvero eroi, infatti la scoperta era
così inattesa che nessuno di quelli che erano lì stette zitto.
Clinto raccontò la cosa ai suoi amici e questi alle loro famiglie. E gli altri
confidarono tutto alle loro mogli e si vantarono con i colleghi di lavoro.
Si creò una tale confusione che le autorità confiscarono tutto e venne fatta
a Nestore dal comune, una denuncia di abuso edilizio per aver applicato
una nuova porta senza autorizzazione dall'ufficio di urbanistica.
94
Iniziò per prima una banda di fracassoni di periferia di Detroit: portò nella
n-dimensione tutti gli strumenti musicali, un generatore, sedie, mobili, un
frigo di birre ghiacciate. E lì si sfogava ogni fine settimana. Ma quando vi
ritornò la settimana dopo si accorse che altri avevano rubato gli strumenti.
Così dovettero trasportare nella n-dimensione anche robusti recinti e un
container con serratura. Presto comunque si trovarono soluzioni adeguate
e infinite attività fiorirono.
Innamorati che cercavano intimità, spie che si
passavano segreti, magazzini di armi ben sorvegliati. Gruppi di dissidenti
e sette di nuova concezione. Si trattava di una n-dimensione di tipo
terrestre.
Non vennero trovati ne dio ne Dei, ne anime. Per ora almeno.
Rimasero un poco delusi gli Gnostici-Agnostici, che speravano di
incontrare qualche nuova presenza, e i neopagani che ritenevano di aver
fatto un buco nell’acqua.
Ma il bello doveva ancora venire. L’n-dimensione venne vista dalle
religioni monoteiste che allora infestavano il mondo come un nuovo
mondo satanico. Chi usava la nuova dimensione, era scomunicato
all’istante. Musulmani e cattolici specialmente erano confusi ed inorriditi.
Ma si accorsero presto che se in quel posto non c’era il loro dio, loro
potevano benissimo potarlo in quel luogo.
Iniziarono i testimoni di Geova, poi i cattolici romani e tutti gli altri, poi i
seguaci dell’islam e gli ebrei. Ma questa volta si accordarono tra di loro,
fecero i furbi. Che birbanti!
95
del nuovo mondo. Per inaugurare tale evento venne scelto un venerdì, un
sabato e una domenica del giugno 2170.
Si trattava di riunirsi tutti assieme nei nuovi territori per celebrare la gloria
del loro dio unico e diviso. Un evento da festeggiare alla grande!
Il venerdì 21 giugno tutti i più importanti capi religiosi islamici, tutti i
mullah più autorevoli, tutti i santi in vita e i conduttori dell’islam ei fautori
della lotta agli infedeli, si recarono nella n-dimensione ai livelli che si
erano presi, assieme ai fedeli più devoti.
Davvero! Non mi credete? Di quelli che erano partiti non tornò più
nessuno.
Davvero!
Nel giro di pochi anni ciò che era rimasto delle tre grandi tre religioni
assolute e uniche si sfaldò in mille rivoli. E immense ricchezze vennero
divise.
96
Vennero fatte varie ipotesi. Poi i fisici riferirono di una nuova teoria che
oggi noi sappiamo era più che giusta.
Il marchingegno applicato ai Quanti Concreti, atto a limitare zone della n-
dimensione funzionava davvero. Ed era possibile attivarlo e
disattivarlo a piacere. Ma i Quanti Concreti, allora non erano conosciuti
come oggi. Si pensava infatti che si trattasse solo di particelle
programmabili in modo informatico - elettronico a livello atomico e a
livello, appunto, concreto.
Ma non si tenne conto della concretezza dei quanti eterici, essi sono
l’aspetto che assumono le particelle quantiche nel mondo a n-dimensioni.
Quando questi gruppi si isolarono volutamente nella n-dimensione
rimasero legati saldamente allo stato eterico. Staccati da ogni contatto col
mondo da cui provenivano. Con l’impossibilità pratica di tornare. Si scoprì
che la cosa si era verificata anche grazie alla grande volontà assoluta di
isolamento di quella gente...
e la loro impossibilità di relazionarsi con altre alternative! Loro non
riconoscevano che loro stessi! Si sono ingannati da soli!
Solo più tardi noi abbiamo scoperto quanto contano i desideri ( anche
quelli inespressi) nella n-dimensione. Così la potenza, il potenziale dei
desideri di quelle persone disperate le ha bloccate lì per sempre.
Non possono cambiare idea, non ne sono capaci.
Ragazzi! Allegria! Quello è stato un gran giorno! D'accordo che qui non
sia un paradiso, ma si vive meglio. Non vi sembra?
Che fortuna! Ora chi di noi non ha ora un angolo tutto suo dove fare
quello che gli pare nella n-dimensione? Naturalmente con prudenza, mi
raccomando!
Hei! Sapete che in settimana parte il sevizio passeggeri settimanale per
Marte?
97
un bombolone d’ossigeno e lo hanno spedito in orbita attorno a Phobos. E’
arrivato proprio lì, e poi è tornato.
Sano e salvo!
Allegria!
© Gian Berra 2012
98
NONNA MARIA STRAMARE in Berra, da Segusino
99
Dai ven zo a bere, dai svelto no pensar massa.
E mi salte le crode e mete i piè entro la posa.
L'acqua le bona e fresca come un regalo,
e dopo me par de star meio.
Tuti i pensieri de prima i xe scampadi,
senza aver da pregar nissuni.
La testa l'è libera e contenta de viver.
Par che l'acqua la ride.
Ma suito la scampa via.
Gian Berra
Stramare di Segusino
Dedicato alla gente veneta che non vuole dimenticare
i suoi eroi e le sue eroine:
Esempio di una mamma veneta, come tante, persa nell'oblio senza
riconoscenza.
Esempio di orgoglio. lei rappresenta una rivincita all'ignoranza, alla
paura
e all'impotenza di chi ha rifiutato le proprie radici.
100
Trevignano, marzo 2014
Gian Berra
101
Chiesetta di Milies, Segusino
102
Poi una sensazione di chi si avvicinava a me di fretta... un gran colpo,
dolore intenso, e poi più nulla.. come morto.
Ciò che venne dopo fu una serie di cose che posso raccontare con
sentimenti contrastanti che ancora fanno parte della mia esperienza di vita
che racconto: Cambiò tutto. Ero svenuto. Chiamarono mia nonna che
giunse spaventata a morte. Mi svegliarono e poi giù a Segusino. Avevo
ricevuto da un bambino un po' più vecchio ( nove anni o più) una gran
pedata sulla anca destra. Ed ero svenuto. Poi ci si accorse che la ferita si
era aggravata e non guariva più. Mi portarono in ospedale e si accorsero
che l'osso era in pericolo. C'era una gran infezione che non guariva. Così i
miei genitori decisero di mandarmi lontano, in un ospedale attrezzato per
tentare di salvarmi. Durò molto, una volta le degenze erano lunghe.
Tentarono di salvare me e la gamba. Chiesero medicine che venivano da
lontano e mia madre mi dette il sangue quando decisero di operarmi. Andò
bene e la convalescenza durò molto a lungo. Tornai a Segusino dopo 2
anni! Non ero più il Gian bambino di prima. Impaurito e senza più amici,
non parlavo più il nostro dialetto. Non capivo più nulla. Mia madre
spaventata dal fatto che ormai mi aveva quasi perso divenne protettiva per
difendermi dal mondo.
Cambiò il mio destino, ora ero solo ( o quasi) e dovevo trovare il mio
mondo a modo mio. Avevo un dono tutto mio: una sensibilità e intuito che
mi viene dalla parte materna, e un equilibrio emozionale che mi viene da
mio padre. Cominciai sin da bambino a leggere molto, a scrivere e a
esprimere con la pittura le mie fantasie. Facevo passeggiate solitarie
attorno a Segusino e assorbivo la sua magia. Poi tornai in montagna a
Milies dalla nonna Maria Stramare... e lei paziente e premurosa mi
insegnò tesori che mi porto dentro; che fortuna averla avuta vicino per
tanti estati. Facevamo tutte le cose assieme, anche i rosari della sera... Mia
madre ( la Erika, Carniello Enrica), malgrado il suo carattere troppo forte,
mi insegnò a non cedere mai, a costruire ogni giorno il mio destino. Mio
papà Paolo Berra mi regalò il dono del silenzio e dell'equilibrio e del dono
di sé senza mai pretendere nulla... Perché i miei genitori lasciarono
Segusino? Per me. Per aiutarmi. Per darmi più occasioni. Dopo quelle
vicende anche se ero guarito, in realtà ciò che avevo subito mi indebolì
notevolmente, ero fisicamente fregile e non aggiungo altro. Avevo
bisogno di un ambiante più “facile” per sviluppare ciò che volevo fare. E
così si sviluppò il mio destino. Quella chiesetta, che amo con sincero
trasporto, forse, chissà come a suo modo mi ha protetto? Non so, ma in
103
quel posto ancora sento i brividi di forze che hanno deciso per me
bambino di 5 anni. E ho accettato questo che è accaduto affrontando ciò
che è venuto poi. Li è cambiato tutto.
Quest'anno compio 72 anni e ormai non dipingo più, ma scrivo e bado a
mia moglie che è inferma. I miei due figli sono a posto sistemati. E forse
più avanti mi farò portare a Milies per guardare con gli occhi di oggi, e
confrontare con ciò che mi rimane dello sguardo di me bambino. Quando
sono la, mi viene ancora un po' di paura e commozione. Quel posto è
magico, e vive al di fuori del tempo. Ecco il libro che ho scritto su ciò che
mi ha regalato la nonna:
https://www.academia.edu/11339168/
Nonna_Maria_Stramare_in_Berra_da_Se gusino_Gian_Berra_2015
Ciao Manuela Berra ho cercato in breve di dare una immagine di quel
evento . Di sicuro troverai le parole tue per raccontarlo a chi vuoi tu. A me
tocca ancora troppo e mi emoziona ... Mi fa solo piacere se anche altri
conoscono una vicenda così intensa... Gian Berra Montebelluna, Contea
Marzo 2019, per Manuela Berra e i suoi amici …
104
Gian Berra a Milies sulla lambretta di Mondo, anni '50
105
Capitolo primo
106
po' di caffè e mi serviva una tazza di caffellatte dolce. Mentre lei parlava,
guardavo sempre ammirato i suoi capelli ancora tutti quasi neri. Lei se li
faceva a treccia, e poi si arrotolava questa grande treccia sul capo. Capelli
fini e lunghissimi.
Poi guardavo la vecchia radio di legno appoggiata sulla credenza. La
nonna la accendeva solo poche volte: Qualche volta verso sera per
ascoltare il rosario, e la domenica mattina per seguire la messa trasmessa
in diretta.
Appena fuori, nell'entrata c'erano le scale che portavano di sopra. Due
camere spoglie di cui una per lei sola. Un gran letto scuro a cui avevano
aggiunto da qualche anno un vero materasso. Prima lei dormiva ancora su
un materasso di foglie di granturco.
Ma lo spettacolo per me erano le sue lenzuola rattoppate con amore
Per la nonna le cose comperate con la fatica dei pochi soldi avuti in vita,
erano tesori da curare per l'eternità.
Strati di toppe, fino a quattro o più, avevano fatto di quelle lenzuola dei
pezzi d'arte. Quando lei non trovava toppe bianche, usava tutti colori che
trovava. Qualche volta le ho viste stese ad asciugare e mi rubavano gli
occhi.
Nulla veniva gettato via in quella casa. E lei mi lasciava andare in soffitta
ad esplorare vecchie meraviglie.
La soffitta era il regno delle fate. La polvere non mi fermava, guardavo,
toccavo vecchi attrezzi agricoli che usava mio zio Mario, emigrato in
Canada.
Ma la cosa nascosta con un poco di imbarazzo, era che in casa non c'era il
gabinetto. Arrivava l'acqua nel lavabo per i piatti, tutto di pietra, ma per
andare al gabinetto bisognava uscire. Di fianco alla casa, un altro portone
scuro andava sulla stalla.
Una stalla abbandonata, e su un angolo, accanto alla finestra e sopra il
fosso per il letame delle bestie, faceva mostra discreta di sé un cassone di
legno con sopra un buco.
Tutto qua, la nonna accettava ogni cosa come naturale. Si lavava accanto
alla stufa con mastello di ferro zincato.
E nei giorni di pioggia faceva asciugar i panni tirando una corda attraverso
l'entrata.
Ricordo la sua amica più intima, una gatta che mai mi aveva accettato e mi
guardava con sospetto.
Mi dissero che quando la nonna morì, la gatta la cercò per giorni e poi
sparì e nessuno la vide più.
107
Quando le facevo capire che tornavo a casa, lei si alzava con lentezza dalla
sedia e prendeva un bastone e con fatica mi accompagnava alla porta.
Camminava piano, insicura ma con misurato orgoglio. Nonna Maria aveva
una costituzione robusta, ma la sua gobba la piegava in avanti, e parlava
della sua antica fatica.
Sempre in ordine, la nonna mandava un odore di pulito e asciutto.
Poi alla fine quando eravamo alla porta mi metteva in mano qualcosa con
un sorriso di complicità. La salutavo, ed ero fuori.
Poi, con un po’ di imbarazzo aprivo la mano e vi scoprivo un cinquecento
lire di carta.
Un tesoro che mi allietava il cammino verso casa.
108
Capitolo secondo
109
Riva grassa di Segusino negli anni ‘50
110
Capitolo terzo
Io e nonna Maria alla fine degli anni '50... quando viene la sera.
Nonna!
Così chiamavo ogni attimo del giorno la mia nonna Maria a Milies. Le
estati di quegli anni spensierati le passavo in quel borgo senza tempo.
Poche case fatte di grossi sassi squadrati e poca malta di colore giallo
chiaro. La malta gialla veniva da Staolet, un posto appena sotto Milies.
Era una creta morbida mescolata a ghiaia. Bastava aggiungere un po' di
malta e così si creava un ottimo cemento per tenere assieme i sassi.
Già allora nel 1955 a Milies viveva poca gente in modo stabile. Ma
specialmente i vecchi si ostinavano a mandare avanti le poche stalle.
Verso sera, tutti portavano le mucche ad abbeverarsi alla "Laguna".
Chi si ricorda della laguna? Occupava la grande piazza che ora è un
parcheggio. La laguna era grande per i miei occhi di bambino. Come un
mare scuro e profondo che incuteva timore e rispetto. Ogni sera il concerto
delle rane era una cosa potente e normale, e quel suono insistente e pagano
ricordava il potere della natura sulle illusioni umane.
L'acqua si raccoglieva in quel gran fosso, e serviva da dar da bere alle
bestie e agli umani senza distinzione. Nel fondo si notavano nere alghe,
ma nessuno si sognava di sporcarla.
Verso il tardo pomeriggio venivano da tutto il paese le mucche a bere, era
uno spettacolo ai miei occhi: Erano animali disciplinati; si disponevano in
modo ordinato attorno all'acqua e bevevano. Nel frattempo chi si era
radunato si scambiava le chiacchiere e parlava del tempo guardando il
cielo.
Quando le mucche tornavano alle stalle, tornava il silenzio e le mamme e
le nonne chiamavano a casa noi bambini.
Allora il silenzio non faceva paura. Era solo silenzio e permetteva di
pensare e osservare ciò che ci stava attorno.
Poco dopo si sentiva la campana della chiesetta suonare pochi rintocchi
che annunciavano la notte che veniva.
Io seguivo la nonna Maria che rientrava per preparare la cena. Continuavo
a chiamarla senza una vera ragione, mi bastava questo per sentirmi in
compagnia e al sicuro.
111
Per questa ragione la nonna nemmeno mi rispondeva. Mi guardava appena
e mi sorrideva come a rassicurarmi. Nei suoi occhi rimaneva
un'apprensione vecchia di tre o quattro anni prima, quando mi era capitato
quel brutto incidente che mi avrebbe strappato da Segusino per anni. ma
nessuno ne parlò mai. E io lo avevo dimenticato, per ora.
La nostra casa era stata costruita dai suoi due figli, zio Mario e Abele
Berra, appena dopo la guerra sulle rovine di un'altra casa distrutta dai
tedeschi per rappresaglia.
Era una casa grande e vicino all'acqua della laguna.
Quella sera, come sempre un buon odore di fumo usciva dalla porta. Non
c'erano stufe, ma solo un gran camino dove la nonna cucinava il cibo. Per i
miei occhi il camino era un gigante che arrivava al soffitto. La pentola
scura era appesa alle catene sopra le braci. Dentro il minestrone di pasta e
fagioli si scaldava. Sul grande tavolo di abete, non ho quasi mai visto una
tovaglia, ma non mancava mai il formaggio e il vino.
Mangiavamo con grandi posate di ottone quasi un silenzio. Qualche volta
mangiava con noi anche lo zio Mario. Anche lui parlava poco.
Avevo un po' di timore dello zio Mario Berra. Forse faceva una vita
troppo dura. Rispondeva in modo brusco e secco. Non ricordo di averlo
visto ridere. Lavorava con il suo mulo e si muoveva di continuo tra Riva
Grassa e Milies.
Quella era una sera come tante e in montagna le sere erano fredde. Così
rientrare in casa era una sensazione piacevole. Appena dietro una parete a
nord la nonna usciva da una porticina e portava in mano un pezzo di
formaggio scech, tipico di quelle montagne.
Poi rimestava il minestrone e metteva i piatti in tavola.
La nonna si versava un po' di vino rosso. Vino fatto in casa, dal sapore
aspro e leggero.
Io mi ero già seduto in tavola, facevo a pezzettini del pane secco e lo
mettevo dentro la zuppa fumante. Come dimenticare quel forte odore di
fumo?
Ogni cosa che cucinava la nonna sapeva di fumo. Anche il formaggio e il
burro odoravano un po' di quell'aroma pungente che sapeva di antico.
Poi in silenzio si mangiava e alla fine io fuggivo di nuovo fuori che era
quasi buio.
Tra poco le rane della laguna avrebbero iniziato il coro. Quel frastuono
avrebbe riempito l'aria di Milies per almeno mezzora, forse di più.
112
Alcune sere nonna Maria diceva il rosario. Anche da sola. Io ascoltavo e
talvolta rispondevo a quelle ave Marie, come in un mantra che mi
addormentava la mente e alla fine senza dire parole andavamo a dormire.
La nonna amava i suoi riti, erano consuetudini apprese da piccola.
Quando, la domenica il parroco veniva fino a Milies per dire messa, lei
non mancava mai, ma sapeva essere pratica: Se non era libera dal lavoro
saltava la messa domenicale. Ma quando le serviva dell'acqua santa la
andava a prendere in chiesa.
A volte, assieme alle sue amiche organizzava dei rosari serali in chiesa.
Ogni sera qualcuno suonava la campana dell'Ave Maria.
Il lavoro era parte integrante delle sue giornate, a tutte le ore.
Nonna Maria non conosceva riposo. Non aveva il tempo per pensare, il
suo tempo era fare le cose. Già allora aveva la schiena piegata per la fatica
di vivere al servizio della famiglia.
Una gobba decisa la rallentava e abbassava la sua statura, ma una tensione
superba del corpo le impediva di fermarsi a compatire sé stessa.
Lo sguardo di nonna Maria aveva ormai un'aria stanca, ma era sempre
fiero. Sembrava guardasse lontano, oltre le cose che toccavano le sue
mani. Guardava dentro le apparenze delle persone, ma non giudicava mai.
Cercava la felicità nei desideri non espressi di chi le rivolgeva la parola.
Sempre attenta a non ferire nessuno, sempre vigile ad accogliere una
richiesta di aiuto.
La vedevo distesa e felice quando sentiva che l'armonia era stata
ristabilita.
Questi sono i doni che lei mi ha dato, e io li ho assorbiti in me come tesori.
Il Piave a Segusino
113
Capitolo quarto
114
Negli anni cinquanta ardevano gli ultimi fuochi di questa cultura. Ho fatto
ora ad assaggiare il sapore aspro dei dialoghi e comportamenti. Ho
assimilato in parte la lingua di Segusino, una parlata da gente di montagna.
Un dialetto parlato in fretta e quasi a monosillabi con l'atteggiamento di
chi non vuole trasmettere che il proprio dovere.
Che fatica trasmettere sentimenti o sensazioni positive. Che fatica
trasmettere gioia! Che fatica dire " ti amo" o ridere senza imbarazzo!
115
Capitolo quinto
A Milies le estati non erano mai troppo calde, così io e la nonna facevamo
passeggiate nei campi falciati attorno alle case. La nonna faceva fatica a
camminare per lunghi tratti, ma pur di soddisfare la mia curiosità mi
faceva da compagna e mi descriveva le meraviglie che mi stavano attorno.
Tutto mi stupiva. L'erba che calpestavo era tutta falciata con cura precisa
come dentro un giardino di gente nobile. Tutto era ordinato e pulito e dava
l'idea che la vita a Milies fosse una cosa seria. Poi rimanevo meravigliato
dalle cavallette che saltavano ad ogni nostro passo e tentavano di fuggire
alla nostra presenza. Qualche volta ci seguivano le tre galline della nonna:
Per loro era una festa, beccavano quegli insetti e si saziavano felici.
Quelli erano gli anni delle cavallette, poi qualche anno dopo sparirono
quasi tutte e fu come se davvero fosse finito un mondo.
Già allora nella fine degli anni cinquanta poche famiglie vivevano
stabilmente a Milies. Forse solo tre o quattro nuclei famigliari resistevano
grazie alla pensione di vecchiaia degli anziani che avevano deciso di
morire in quella valle.
Non ricordo molte amicizie con bambini come me, durante quelle estati.
Quando tornai il quella valle ero già un ragazzino solitario. Avevo già
rimosso i ricordi di quando avevo scoperto Milies per la prima volta, cioè
di quando avevo tre o quattro anni. E avevo perduto gli amichetti di quel
periodo della fine degli anni quaranta. Avevo "dimenticato" il dialetto
appreso da piccolo e parlavo un italiano educato e preciso, questo era un
ostacolo notevole a fare nuove amicizie.
Così non mi rimaneva che leggere molto e osservare.
Pur avendo 10 o 13 anni leggevo molto e di tutto. Avevo trovato una
miniera di libri presso la colonia estiva "la casa del fanciullo" di Padova.
Era stata costruita pochi anni prima davanti alla casa di mia nonna.
Quando Pompeo, il cuoco della colonia si era accorto che fissavo tutti i
libri che mi passavano sotto gli occhi, mi presentò al "capo" di quella
comunità e lui mi portò in un grande ripostiglio e aprì una gran cassa di
legno e mi invitò a prendere in prestito parte di quei tesori. Prendevo tre
volumi per volta e li portavo a casa. Poi una volta finiti poi tornavo là in
cerca di altri. E così per varie estati.
116
Scoprivo territori infiniti dove i miei ingenui sogni si saziavano. La nonna
mi guardava e non diceva nulla. Forse aveva capito che solo in quel modo
riuscivo a soddisfare la mia voglia di scoprire il mondo. Lei mi ha
accettato così come ero, e nel frattempo tentava di farmi amare il suo
mondo. Nonna Maria aveva pazienza da vendere e poteva finalmente
permettersi di non avere fretta. Nella sua lunga vita aveva sopportato ogni
sventura e accadimento. Il dono più grande che mi ha fatto è questa sua
sicurezza interiore,
Mi trasmetteva fiducia e ottimismo. Con lei mi sentivo al sicuro.
Ricordo di Pompeo
117
Ma avevo in mente di fare vedere il cartone a Pompeo nel pomeriggio.
Era quasi sera quando lui uscì fuori dalla cucina dove lavorava. Io ero là
davanti con il cartone in mano e gli presentai la mia fatica.
Pompeo fissò il disegno e sulla sua faccia apparve una sensazione di
fastidio. Indispettito prese un gessetto nero dalla sua scatola dei colori e
con un gesto veloce e dispettoso corresse con segni scuri quasi cancellò
ciò che avevo fatto:
Vedi qua? Sei troppo preciso! Ci vuole più movimento! Questo
tetto è troppo
perfetto, ci vuole più azione!
Io rimasi sconvolto e mi si bloccò la gola. Non dissi nulla e aspettai che mi
rendesse il mio disegno. Poi lui se andò via seccato.
Poi da solo fissai quei brutti segni neri che avevano sporcato il mio lavoro.
Il giorno dopo lo ripresi in mano e lo strappai gettando i pezzi nel fuoco.
Da allora non cercai mai più Pompeo. Allora, a quei tempi lui forse aveva
settanta anni, e qualcosa di brutto aveva segnato la sua vita dato che non lo
vidi mai ridere.
Dopo quasi vent'anni tornando a Milies trovai un ragazzo della colonia e
gli domandai di Pompeo. Seppi che era ancora vivo ma ormai quasi
totalmente invalido. Sentii in me una sensazione di pena per Pompeo, ma
lo ringrazio per avermi comunque risvegliato l'anima verso l'arte della
pittura.
L'anno dopo incontrai a Milies anche un altro "pittore" che aveva messo il
cavalletto su un prato accanto a casa nostra. Era magro e si agitò un po'
quando lo avvicinai. Era di Segusino e faceva il calzolaio, si chiamava
Antonio (?) Furlan. Me ne andai via subito vedendo che lo rendevo
nervoso.
118
Nanni della Marianna nel 1985
119
Capitolo sesto
120
Ma lo sguardo della Marianna portava dentro anche una dolcezza
nascosta, un segreto potere di sopportare ogni cosa e saper donare
sicurezza a tutti. Lei urlava, ma non offendeva mai.
Nanni, suo figlio, lo vedevo sempre al lavoro come un mulo per tutto il
giorno. Nanni indossava la divisa di tutti gli agricoltori di montagna di
Segusino: un completo in due pezzi di cotone blu, che poi diventava negli
anni sempre più chiaro. Era un cotone robusto ed eterno che perdeva il
colore a forza di essere lavato. Era composto da un paio di pantaloni larghi
e comodi e da una giacchetta con tasche. Sotto Nanni portava anche
d'estate una maglia scolorita di lana chiara. In testa aveva sempre un basco
di panno nero.
Nanni e sua madre parlavano a voce alta tra di loro e segnavano le ore in
quella piazza.
Quando portavano le mucche all'abbeverata in laguna erano per me
momenti da favola, mentre la Marianna urlava alle bestie, o era Nanni a
fare la stessa cosa.
Le bestie ormai erano così abituate a quegli sfoghi che di certo non ci
facevano più caso.
Quando negli anni ottanta tornai a Milies, rividi Nanni e scambiai alcune
parole con lui.
Nanni si ricordava di me anche se io non avevo parlato prima con lui. Ci
scambiammo poche frasi, ma io raccolsi da lui una saggezza e una
sicurezza semplice e ruvida che porto in me come un esempio mirabile.
Gli occhi di Nanni ti guardavano dentro l'anima con una dolcezza
inaspettata. Sembravano ascoltarla assieme alle parole che pronunciavo.
Nanni guardava le persone cercando di comunicare la sua soddisfazione di
aver fatto nella sua vita tutto quello che poteva per deludere nessuno.
Nanni parlava poco, ma offriva la sua attenzione a tutti.
La sua gentilezza d'animo non era stata ferita dalle durezze della sua vita
di montanaro.
Nonna Maria con mia zia Maria Coppe negli anni '50
121
Nonna Maria negli anno ‘50
122
Capitolo settimo
123
stelo succoso che stillava in liquido giallo. Mi bagnò con quel latte i porri,
e dopo pochi giorni questi si erano dissecati e le mie mani tornarono lisce.
Ma come ho già detto, lei non amava particolarmente i fiori. E la lezione
che mi diede in un caldo mese di luglio mi brucia ancora...
Spesso vagavo tra i campi senza meta, e una mattina notai tra l'erba alta
rimasta ai bordi dell'orto una nota di colore che risplendeva. Mi avvicinai
e notai un fiore solitario, altissimo e orgoglioso. Era un giglio rosso
splendido nella sua arroganza. Me ne innamorai senza dubbio alcuno. Così
domandai alla nonna come fare per portarlo a casa e lei mi consigliò di
raccoglierlo con le sue radici di mattina presto e di rinvasarlo dentro un
vasetto con della terra buona e innaffiarlo con cura. L'indomani lo trattai
con massima cura e portai la piantina in casa e lo posai su un muretto in
ombra. Era uno spettacolo e lo adoravo come fosse il tesoro di quella casa.
Dritto, con tante foglioline e un fiore scarlatto che orlava ottimismo alla
vita.
Quando venne la sera pensai di portarlo al sicuro dentro la stalla e lo posi
sul davanzale della finestra. Le due mucche della nonna erano legate alla
mangiatoia e non mi degnarono di uno sguardo.
Il mattino dopo non mi ricordai subito di quel fiore. Ma a metà giornata
sentii che la nonna era dentro la stalla e mi ritornò in mente la mia pianta.
Corsi dentro la stalla e cercai il fiore e rimasi come smarrito a vedere che
non rimaneva che uno stelo nudo. Erano sparite le foglie e il fiore. Le
galline che dormivano dentro la stalla stavano finendo di beccarlo.
Rimasi là fisso a guardare fisso per un attimo, sgomento di tale disgrazia...
Nonna Maria che stava osservandomi si mise a ridere senza freni. Si
agitava come non la avevo mai vista. Rossa in faccia in preda a dei
singulti che la scuotevano tutta rideva senza freni! Poi tentò di mettersi
una mano davanti alla bocca per darsi un contegno...ma non ce la fece e
continuò a ridere e infine uscì in fretta per rompere quell'incantesimo che
lei stessa non sapeva gestire.
Poi più tardi, quando la rividi, lei non rideva più e della cosa nessuno di
noi parlò più, come se nulla fosse avvenuto. Ma quella sensazione è una
lezione di vita che non mi ha più abbandonato.
Nonna Maria giocava a carte quando poteva. Con le sue amiche e anche
con me. Sempre attenta e precisa mi lasciava vincere alla briscola e a
tressette. Su un alto a Milies c'era una osteria nascosta sotto un portico.
124
Lei mi accompagnava là mi comprava una gazzosa, e poi giocavamo a
carte assieme a chi si era seduto con noi.
Gian Berra (col capellino) a Milies con i suoi amichetti, fotografia di Mondo.
Anni '50
125
La vidi bellissima, quasi una fata. Lei rimase in silenzio... quasi a vedere
come facevo quei segni.
Poi io finii il disegno, e mi venne spontaneo porgerlo a lei dicendo:
Ecco, è un regalo per te.
La vidi bloccarsi per la sorpresa e dire. - Ma elo par mi? ( ma è per me?)
Si, è un regalo per te, le dissi semplicemente.
Allora lei, stupita si voltò decisa verso un uomo là accanto, e quasi urlava:
Papà, varda, al me gha regalà sto disegno! ( papà, guarda mi
hanno regalato un disegno!)
Sembrava che avesse in mano un tesoro. E io finalmente avevo trovato
qualcuno a cui piaceva un mio lavoro....
126
Capitolo ottavo
Seguivo la nonna ovunque lei andava. Lei camminava lenta quasi sempre
aiutandosi con un bastone. Alla nonna piaceva avere la mia compagnia e
mi portava per i sentieri che salivano per la montagna. Una volta facemmo
una grande camminata fino alla costa più alta del monte. Lei chiamava
quel posto “ il Poset”. Una gran pozza ricoperta di argilla per conservare
l'acqua della pioggia. Le case erano chiuse ed abbandonate, ma la vicino la
nonna mi indicò due o tre alberi dall'aria trascurata e stanca.
Quelle sono ciliegie “marinele”. Erano piccole e dure. Lei me le fece
assaggiare.
Erano amare e acide, ma davano l'impressione di calmare la sete.
Poi la nonna mi indicò i prati mai falciati ormai da lungo tempo. Mi disse
che malgrado fossero in gran pendenza, anche quell'erba era preziosa e i
contadini la falciavano appesi ad una corda legata di sopra agli alberi.
La terra era cosa preziosa e veniva usata per dare aiuto. Una volta non
c'erano i boschi di oggi. Tutto era un campo da falciare o da portare su in
alto le mucche a pascolare durante l'estate.
Mi disse che quando era giovane c'erano a Milies duecento famiglie, e
tante passavano tutto l'anno in montagna.
La terra era così preziosa che i confini tra le proprietà erano rigidi e
controllati con puntiglio. A volta bastava un ciuffo d'erba rubato appena
dopo il limite, che nascevano litigi e odio che durava anni.
Nonna Maria portava sempre ai piedi le stesse ciabatte, ma pareva che
sentisse da lontano le buche e i sassi perché non la vidi mai inciampare.
Io guardavo curioso la direzione del suo sguardo, e pareva che fissasse
qualcosa di lontano. Sembrava guardare il mondo con un distacco che io
non capivo.
Dove guardava nonna Maria? Cosa vedeva?
Così imparai anch'io a provare a guardare oltre le cose vicine. Scoprii la
linea della montagna e la sua forma, vidi i suoi colori filtrati dall'aria
azzurra. Notai la forma delle case e il disegno che facevano assieme sui
prati. Poi notai che i prati non avevano tutti lo stesso colore. Mi
meravigliai che anche i sassi non erano tutti uguali.
127
Mi stupivo a osservare che anche le galline non avevano lo stesso carattere
e notai che i fiori formavano sui prati delle figure magiche.
Poi cominciai a notare le forma delle nuvole e sentire il messaggio lieve
dell'aria che mi toccava la pelle. Anche la pioggia che cadeva sembrava
volesse dire qualcosa.
Lei, la nonna, mi indicava anche l'erba che cresceva al bordo della strada e
la chiamava per nome, a seconda del tipo.
Erano tutte queste le cose che la nonna Maria vedeva quando il suo
sguardo guardava lontano?
No, ora che sono più vecchio, intuisco appena che lei guardava tutte
queste cose come da lontano, come se avesse già percorso nella sua vita
tanta strada, che ora vedeva tutto da un percorso già fatto troppe volte.
Ma anche se i suoi occhi guardavano oltre le apparenze, essi ascoltavano
con la massima attenzione l'anima di chi le stava vicino.
Mai nonna Maria mi raccontò le sue pene antiche, i suoi dispiaceri, le sue
vicende amare.
Mai mostrò a me i suoi desideri o le sue delusioni.
Mai mi raccontò la sua storia; e lo stesso fece mio padre Berra Paolo, che
si confidò con me solo negli ultimi anni della sua vita, e io sorpreso,
appresi le storie che ora racconto.
Gian Berra sulla lambretta del fotografo Mondo. Metà anni '50
128
Capitolo nono
E il tempo passa.
Nonna Maria non andò più a Milies già dal 1965 perché troppo debole per
rimanere da sola in montagna. Così da allora visse a Riva grassa fino al
mese di gennaio del 1969 quando morì da sola nel sonno. Lei ci lasciò in
silenzio senza disturbare.
Da sempre viveva sola in quella vecchia casa. I vicini la custodivano con
discrezione. Mio padre andava spesso a vederla. Fino alla fine le dava del
“voi” con un rispetto e devozione che mi hanno sempre stupito.
Vidi piangere mio padre quel giorno che la portarono sulla bara fuori di
casa. Vidi anche la sua vergogna di provare un tale sentimento e di farlo
vedere in pubblico.
Venne chiamato un fotografo per fotografare la nonna Maria dentro la
bara. Erano le foto da inviare per posta ai suoi due figli che vivevano in
Canada. Abele e Mario Berra da anni lontani da Segusino.
129
riconosco la forza del suo potere di madre eterna.
Ora riconosco anche la magia che ha rappresentato per tutti quelli che le
sono stati accanto, una corrente silenziosa e discreta di amore senza
condizioni.
Nonna Maria ha passato i suoi lunghi anni di vecchiaia in silenzio
accettando la vita al meglio. Mai un lamento, ma sempre a disposizione di
ciò che poteva dare.
130
Nonna Maria Stramare in Berra,
la sua vita:
I ricordi da un'epoca dimenticata.
Nonna Maria Stramare nacque a Stramare nel 1887. A quei tempi la vita
nei paesi della montagna veneta nulla era cambiato da mille anni. Nessuno
insegnò a lei a leggere o scrivere. Non lo sapevano fare nemmeno i suoi
genitori e i loro avi.
Il destino della sua vita era già definita sin dalla sua nascita.
I suoi sogni erano limitati da tradizioni tramandate dalle regole di poteri
lontani. Lei poteva solo seguire un cammino già deciso dai padroni del suo
corpo e della sua anima.
Serva tra i servi, Nonna Maria imparò presto ad ubbidire, ma non smise
mai di guardare nel cuore della gente che riempiva la sua vita. C'è chi
nasce indifferente, ma anche chi nasce con il dono di vedere dietro le
maschere, e decidere per il meglio.
Nonna Maria decise di vivere al suo meglio. Questa è una forza che viene
dal sangue, dalla razza.
Non sempre in montagna, dove a volte ci si sposava tra parenti stretti, i
figli venivano bene. A sua sorella andò male, ma a lei la natura donò
salute, bellezza, animo forte e una grande pazienza.
Queste doti sono tesori che nonna donò in parte anche ai suoi figli e figlie.
Il suo esempio valeva come un insegnamento che scendeva dentro l'anima,
senza troppe parole.
La sua umanità e sincerità la fece sempre rispettare da tutti.
Come tanta gente di montagna lei parlava poco.
E guardava lontano.
Nonna Maria Stramare aveva appena 13 anni nel 1900. Da ciò che so, si
sposò a 24 anni nell'anno 1911.
Si era sposata in quell'anno con un giovane uomo di Riva Grassa, Paolo
Berra che aveva la stessa sua età. Paolo era un giovane alto "quasi due
metri", contadino. Lui era di carattere tranquillo e gran lavoratore. Di
aspetto imponente, diceva la gente. Possedeva terre a Milies ed è la che
portò la sua sposa.
Ebbero prima una figlia, Pierina nel 1912 e poi un figlio di nome Gio
Batta nel 1914.
131
Il terzo figlio nacque nel 1916 e si chiamava anche lui Paolo, mio padre.
Quando nacque il terzo figlio, Paolo, nonna Maria lo partorì dentro un
carro durante la fuga dopo la disfatta di Caporetto. La guerra non perdona
e non guarda in faccia a nessuno.
Non so se il marito di nonna Maria sapesse di questa nascita. Lui era
granatiere e cadde colpito al fronte e mia nonna rimase sola con tre figli. Il
piccolo Paolo non vide mai suo padre.
Mia nonna rimase vedova, e a quei tempi non esisteva alcun aiuto sociale.
Lei per un poco tenne duro, ma poi per il bene de figli decise di risposarsi.
Il marito morto aveva un fratello, Antonio Berra, sempre di Riva Grassa.
Nonna Maria decise di averlo come marito e la famiglia si ricompose. Da
lui Maria ebbe altri due figli, Mario e Abele.
Il secondo figlio di mia nonna, Gio Batta morì in Albania nel 1941 durante
la seconda quella mondiale.
132
Nonna Maria a Milies negli anni '30
Sono nato in novembre, nel 1947. Quando venni al mondo mio padre
Paolo Berra non era in famiglia. Si era sposato un anno prima con mia
madre Enrica Carniello, e subito dopo avermi concepito si ammalò di un
male quasi incurabile a quei tempi. Papà Paolo era stato deportato dai
tedeschi in Germania e poi lui approfittò del caos della fine della guerra
per fuggire e tornare a Segusino. Portò con sé sfinimento e malattie, ma da
vero veneto montanaro non perse mai la sua voglia di vivere. Così io lo
vidi solo più tardi.
Conservo le foto che mia madre gli mandava all'ospedale dove lo
curavano.
Mia madre si trovò da sola, ma non poteva smettere di lavorare alla filanda
di Segusino.
133
Così mi consegnava ad una signora di nome Erminia che abitava là
accanto. Non avevamo una casa nostra allora, abitavamo a Canton di
Segusino in una vecchia abitazione che ci avevano prestato dei parenti.
Quella casa è ancora là, abbandonata e con le finestre vuote. Dai due anni
di età già passavo le estati a Milies presso nonna Maria Stramare in Berra.
134
Allora nel dopo guerra, quando io ero bambino, Segusino non aveva strade
asfaltate. Pochi avevano la luce in casa e nessuno dormiva in camere
riscaldate. Gli inverni erano lunghi e gelidi. Pochissimi avevano una radio
in casa e quasi nessuno un'auto. La miseria veniva vissuta con normalità.
La povertà e lo sconforto dopo la guerra, venivano accettate come parte
della vita. Tanti giovani lasciavano il paese per emigrare, tanti andavano
in Canada.
Ogni domenica tre distinte file di gente si recavano in chiesa. La messa del
mattino dedicata agli anziani devoti, quella delle ore 8 dedicata ai giovani,
quella delle ore 11 a cui partecipavano tutti gli altri. Quasi nessuno
mancava, pena essere prima o poi guardato con sospetto, o in qualche raro
caso indicato dal prete in chiesa.
Ho accluso in questo libro alcune foto che danno una idea di come ci si
vestiva a Segusino. Gli abiti venivano cuciti in casa e alcune signore
confezionavano su richiesta maglie e indumenti di lana.
A Segusino c'erano due calzolai che lavoravano molto. Un unico fotografo
famoso chiamato "Mondo"ha fotografato tutti. Vendeva anche giornali e
articoli per la caccia. La sua "Lambretta" era la sola a Segusino.
Le vedove e le persone anziane vestivano tutte di nero e portavano un gran
fazzoletto nero in testa per tutto il giorno.
I giovani, ma anche gli uomini maturi davano del "voi" ai loro genitori.
Ricordo che mio padre e mia madre davano sempre del "voi" a mia nonna.
Le persone importanti erano le stesse di tanti paesi di allora: I proprietari
terrieri, i ricchi, i funzionari del comune, il padrone della filanda, il prete,
il sindaco, i forestieri... e gli abitanti di Valdobbiadene. A Valdobbiadene
c'erano i carabinieri, i notai, gli avvocati, le banche e gli altri funzionari
che decidevano il destino di ognuno a Segusino.
Venni a sapere che negli anni '30 fallì una banca di Valdobbiadene, e tanti
di Segusino, anche mia nonna Maria, persero i loro scarsi risparmi...
A Valdobbiadene vivevano durante l'estate nelle loro ville i ricchi
borghesi che venivano da Treviso, Padova e Venezia.
Io abitavo in una frazione fortunata: Canton, e poi nella "Villa". La via che
portava in piazza. Ma la nonna Maria abitava a Riva Grassa durante
l'anno, e d'estate si spostava a Milies.
Queste frazioni, assieme a quella di Stramare si erano fermate al medio
evo. Fittamente abitate esse fornivano emigranti a tutto il mondo.
Certamente il nucleo originario di Segusino era a Riva Grassa. Già ai
135
tempi della mia infanzia gli abitanti di questa frazione nutrivano in sé
stessi una sensazione di inferiorità rispetto a chi viveva più in basso.
Forse per questo antico senso di vergogna gli abitanti di Segusino non
amavano le loro origini?
Malgrado tanta ignoranza e miseria coltivata con cura nei mille anni di
dominio di Venezia, e poi con l'abbandono e la rapina perseguita dal
nuovo regno d'Italia, la gente di Segusino continuava con tenacia
inflessibile la sua lotta per la sopravvivenza.
L'impotenza e lo sfruttamento di secoli non erano riusciti a cancellare
l'umanità e il sentimento di vita che ha sempre fatto parte di questa gente
di montagna.
Gli abitanti di Segusino non erano lasciati a se stessi non solo dai padroni
di turno, ma anche purtroppo da una religiosità bigotta e rigida, carente di
gioia, che regolava le loro coscienze dalla nascita alla morte.
Un senso di colpa e di dovuta ubbidienza perenne, legava le loro coscienze
e la sofferenza era un destino che legava le loro vite ad un piccolo
fazzoletto di terra su cui vivere giorni amari. Solo chi aveva il coraggio di
fuggire altrove trovava orizzonti più liberi.
Ma le madri di Segusino portavano dentro di sé un tesoro che nessuno era
riuscito a cancellare. Esse portavano nei loro cuori la forza della Vita che
donavano e custodivano senza domandarsi perché. Erano mamme, e ciò
bastava a riempire la loro vita.
Noi tutti dobbiamo alle nostre madri un attimo di riconoscenza, in fondo
esse hanno avuto in noi stessi e nei nostri figli una fede infinita.
E' per questo loro amore senza limite che meritano di essere ricordate.
Con queste righe io ricordo nonna Maria Stramare in Berra, mamma di
Segusino.
136
Il piccolo Gian davanti al palazzo Fenadri a Segusino, 1950
Mia madre Carniello Enrica, io, mia cugina Rosabianca e sua madre
Anna a passeggio per Segusino
Mio padre Berra Paolo in tempo di guerra. E' il primo seduto alla sinistra
di chi guarda la foto.
137
Note sulla famiglia di
138
Berra Antonio N 12.9.1891 M 28.8.1947
Secondo marito della nonna Maria. Fratello del suo primo marito.
Figli:
Berra Abele ( più vecchio di Mario)
Canadà, Edmonton, un figlio Renzo n.30.3.1962 e una figlia.
Stramare di Segusino
139
Carniello Enrica, mia madre con me bambino di pochi mesi di vita, forse
nel 1948 in piazza a Segusino, davanti al palazzo Fenadri. In quel periodo
mio padre Berra Paolo era in ospedale per i postumi della lunga prigionia
in Germania.
140
PEDEROBBA, OSTERIA DA RAFAEL
141
1 – Le Barche
Venni alle Barche più di venti anni fa. Ero un giovane uomo acerbo e
ancora con l'entusiasmo di sperare che il bello vivere fosse ammirare la
Vita che ci sta attorno.
Erano posti isolati, quasi selvaggi. Le piene del Piave avevano invaso la
ghiaia con sterpi, rami e banchi di sabbia. Qualcuno camminava curioso
come me tra quella natura primordiale. Incrociai nel sentiero un uomo che
forse era un cacciatore. Lo salutai e lui mi restituì il saluto. Mi venne
spontaneo dire:
142
Lui mi guardò dubbioso, forse sorpreso. Rispose con aria seria
guardandosi attorno pensieroso forse in cerca di qualcosa di “bello”: - No,
non sono belli... Mi rispose.Poi imbarazzato di ciò che aveva detto
proseguì per la sua strada.
Erano quasi sempre persone anziane. Vecchi ormai curvi e dall'aria schiva.
Pareva si trovasse bene in quel ruolo. Dava valore alle sue giornate
custodendo la facciata della chiesetta di via Barche e tenendo nota di chi
passava.
143
Le Barche è un borgo antico, rimasto fuori dagli eventi e dimenticato
senza rimpianto.
Chi sono gli abitanti delle Barche? Ora, mentre sto scrivendo queste note,
la popolazione sta cambiando un po' alla volta. Stanno arrivando famiglie
giovani negli alloggi lasciati liberi dai vecchi che sono morti.
Gelindo, un amico che qualche volta mi regala dei pareri mi disse una
volta:
“ Alle Barche sono rimasti solo i vecchi. Speriamo che muoiano tutti in
fretta, almeno cambierà anche quella realtà falsa e ignorante...”
Non sono sicuro che Gelindo abbia del tutto ragione. Anch'io mi sento
vecchio dato che sto per compiere 63 anni. A me sembrano tanti forse
perché ho avuto una vita varia, disordinata, intensa e carica di emozioni. A
mio parere la mia è stata una vita abbastanza lunga.
Comincio a stufarmi.
Però le parole di Gelindo sono anche un po' vere. Perché i vecchi delle
Barche hanno fatto fuggire i giovani? Perché i loro figli se ne sono andati
fuori e non sono tornati nel borgo... che alla morte dei vecchi.
Non mi posi questa domanda quando i primi tempi incontravo per strada
quelle figure dall'aria triste. Era ancora troppo presto per capire.
Il Piave dona alle Barche un ruolo senza tempo. Il Piave allarga lo sguardo
oltre le piccole miserie quotidiane di ogni vita. Peccato che gli abitanti
delle Barche non lo vivono come una occasione di vita. Rinunciano ad una
quota di energia vitale preziosa. Sembra che aspettino solo di morire. Per
andare dove?
144
Ma come al solito parlo troppo. Invece dovrei stare sulle cose concrete.
Per esempio le stupende sere d'estate passate al grande luna park che nel
mese di agosto la pro loco di Covolo organizzava alle Barche, sul greto del
Piave.
Nella seconda metà degli anni '80 ogni agosto era una festa sul Piave.
Che lusso!
Poi più nulla. Tutto finito, la festa era finita. I permessi vennero ritirati, la
festa proibita, la gioia di stare assieme troppo bella. La vita era una cosa
seria per ridere e tutto finì. Di chi era colpa? Lo domandai a qualcuno, ma
le risposte erano evasive e incomplete.
Gelindo mi disse che era colpa del prete. Ma quale prete può voler una
cosa del genere? Togliere alle pecorelle del gregge un po' di svago?
Scherziamo?
Altri mi sussurrarono che era colpa dei partiti politici. No,mi pareva
impossibile che la politica fosse così cattiva.
Atri dissero che era proprio chi abitava alle Barche a voler mandare via la
festa dal Piave. Non ci credevo. No, non è vero!
C'è chi gode a farsi del male. Pare costui ami mettersi in croce da solo. E
pretende che lo facciano anche gli altri. Che orrore se fosse vero!
In questo caso i giovani avrebbero fatto davvero bene a scappare dalle
Barche.
Ma io non ci credo. L'essere umano può essere convinto anche a odiare sé
stesso. Ma non siamo più nel medioevo.
Oppure si?
Pensieri inutili e che non conducono a nulla. La realtà è ben più varia.
Io però alle Barche ci vivo e l'entusiasmo di descrivere questo posto mi
riempie il cuore. Chi leggerà il seguito?
145
Osteria da Rafael, misura 20X30, dipinto di Gian Berra del 1984
La strada dietro via Barche tagliava par i campi e portava sino alle grave
del Piave. Via dei Rostirolla era un tuffo nel niente. La mente poteva
spaziare libera tra alberi da frutta e poche case isolate.
In fondo la grande casa padronale “dei Rostirolla” era a qui tempi già
abbandonata e nell'edificio delle stalle l'edera copriva le pareti di sasso.
Poi più oltre si scendeva e l'orizzonte si apriva sul fiume.
Ma potevo girare in anticipo per via Barche a così magari fare una sosta
nell'unica osteria di Covolo.
Spesso Rafael era fuori a fare ordine. Magari scopare il piazzale; o
rimettere ordine tra le bombole di gas.
Rafael era sempre di buon umore. Ti guardava con interesse e aspettava
una tua parola. Attendeva gli attimi con quella calma di chi aveva
imparato ad accettare ciò che ci viene dato dalla vita.
Dalla primavera all'autunno le porte dell'osteria erano sempre aperte.
Erano anni speciali: da giugno a metà agosto la gente andava al Piave a
fare i bagni e a prendere il sole.
Nessuno si vergognava di avere pochi soldi per pagarsi una vacanza al
mare. Il Piave era l'occasione per far incontrare i giovani. Lunghe
mattinate e pomeriggi al sole o all'ombra. Poi la sera in sala da ballo o a
passeggiare.
Rafael portava i gelati e bibite fin giù al Piave. Rafael pareva senza tempo;
ogni anno uguale, ogni anno presente.
Rafael era il testimone attivo di questa piccola comunità. Raccoglieva con
distacco le chiacchiere e i pettegolezzi e poi andava oltre senza giudicare.
146
Quando tornavo dalla mia passeggiata mi fermavo volentieri da Rafael. A
quei tempi non ero cosciente della fortuna di avere vicino casa un luogo
così speciale. Ma percepivo che qualcosa mi attirava tra quelle vecchie
mura.
Solo ora che tutto ciò non esiste più sento ciò che abbiamo tutti perduto.
E non tornerà mai più.
Ecco una foto dal cielo della osteria da Rafael. Ancora presente su Google
Maps l'immagine è ancora presente grazie ad internet.
D'inverno le porte dell'osteria erano ben chiuse. Il vento del Piave non
perdona. Ma d'estate tutti potevano dare un'occhiata all'interno fumoso e
buio di quel posto dal soffitto troppo basso.
147
La gente di Covolo di Piave, non amava troppo quel posto-
Il borgo delle “barche” era solo un posto di passaggio che viveva su quelli
che in mancanza di un ponte, passavano di là per traversare il Piave.
Vi pare poco?
Nella via nascosta che costeggia l'orlo alto sul Piave, la famosa via
Baracca, sono ancora visibili le casette costruite sull'orlo del burrone sul
Piave.
Piccoli tuguri fatti da gente che voleva un posto suo. In pezzo di muro, un
tetto, un orto da rivendicare come suo.
148
con l'associazione culturale che avevo fondato nel 1991: l'ass. Cult. La
Criola.
No, non era arabo. Le persone che sedevano in sala avevano capito
benissimo. Ma l'imbarazzo di riconoscere sé stessi era troppo grande.
E li scusavo.
Così non ci pensai più. Ognuno rappresenta sé stesso ed è felice nel modo
che preferisce.
Rafael viveva da solo, senza una donna. Forse per questo la gente delle
Barche lo riteneva anche sporco, fumoso e poco raccomandabile.
Quando entravo nel suo locale sentivo l'aria secca di quei muri vecchi di
cento anni. Anche se appena imbiancati, mantenevano una vaga patina
d'avorio. Come un mantello di stanchezza e di abbandono.
Eppure quei muri erano pieni di orgoglio. Era il sentimento dei bambini
che sono cresciuti liberi e senza i dubbi. Ma troppi bambini anche oggi
crescono senza amore, e con tanta paura.
No davvero! Quei muri sapevano di esserci, di esistere.
149
Per questo Rafael era felice.
Non era mai solo.
Rafael non stava mai fermo. Il piccolo cortile davanti l'osteria era
piastrellato di lastre di porfido e teneva lontana la polvere.
150
E il caffè o il cappuccino era sempre di gran classe.
Rafael usava il vapore della caffettiera anche per fare il “grog” all'arancia
o per il “vin blulè”. Rafael non risparmiava sullo zucchero, la cannella o la
noce moscata.
Appena dietro una stanzetta aspettava i bambini del borgo che venivano
qui a vedere la televisione al pomeriggio. Ore di festa in comune, e un
gelato a poche lire …
151
Sapete chi sono i “can refatti”? E' una vecchia espressione veneta usata
una volta per definire i piccoli borghesi di ogni tempo. Piccola gente che
ritiene di essere diventata importante e degna di considerazione solo
perché mostra il risultato dei soldi che ha il banca o alla posta.
Gente che arriccia il naso con aria di schifo per il cattivo odore degli altri e
dipinge spesso la casa per fare bella figura. Cambia macchina nel tentativo
di averla più bella dell'odiato vicino. Controlla chi manca dalla messa
domenicale e spia dalla finestra in cerca di una nuova chicchera.
Le Barche sono poca cosa. Poche case e quattro gatti. Ma la cattiveria sta
nascosta dietro le porte e le finestre. Rafael non se ne curava.
Che fortuna alzarsi ogni mattina e poter aprire di nuovo un'altra volta!
152
Sperava che quella vecchia e decrepita osteria non sporcasse più la nuova
pulita e ordinata immagine che il paese si era costruito.
Rafael non si curava di apparire, lui “era”. Gli bastava essere. E vivere
ogni attimo come una conquista. Aveva già tutto.
Rafael era un artista. Ecco l'ho detto senza vergogna. Un artista vive e
dona agli altri i suoi sogni e attende una risposta. Ogni volta che riceve il
silenzio o lo sdegno, l'artista riprova a giocare e riprova ancora.
E' questo che lo rende felice. I ciechi rimangono tali sino alla morte.
Una mattina ero passato a far visita ai miei genitori che già da qualche
anno vivevano in via barche.
3 – Arriva l'autunno.
153
Era un signore che avevo già visto mi aveva colpito per un fare scocciato e
un po' distante. Anche lui ora non c'è più. Se ne andò da questa terra forse
stufo di scrivere carte e ascoltare tante voci. Penso lavorasse negli uffici
del comune.
Non seppi mai cosa faceva da Rafael. Non mi interessava, ma la cosa non
era rassicurante. Quando la burocrazia si muove non lo fa per niente.
Sentii una tristezza dentro il cuore.
Già intuivo qualcosa, e non mi piaceva.
Così evitai di tornare in via Barche il giorno dopo. Ma poi non resistetti e
mi recai da Rafael. Mi colpì il fatto di vedere appoggiata nel marciapiede
davanti la porta dell'osteria...la sua adorata macchina del caffè.
La sua macchina per fare il caffè era ora abbandonata là davanti come un
rifiuto. Per quale ragione? Un groppo al cuore mi prese.
Rafael mi vide e uscì fuori. Mi guardò come si guarda qualcuno che non si
vede.
Rafael già non viveva più qui. Si vedeva che stava per sbaraccare tutto e
pareva rassegnato a perdere.
Gli chiesi della macchina. Mi rispose che ormai era rotta e non avrebbe
più fatto caffè.
Io lo salutai e me ne andai per la mia strada.
Le chiacchiere volano e una voce mi disse che Rafael era malato di cancro
e lo sapeva. Sapeva che stava per morire.
E quando lo seppi già l'osteria era chiusa.
Non so quando morì Rafael.
Ma quando vidi che la polvere già copriva il piazzale di porfido, seppi che
lui non c'era più.
E tutto rimase abbandonato.
Nel 1995 provai a domandare se quella casa era in vendita. Mi sarebbe
piaciuto salvarla. Forse era solo un sogno sballato di artista. Mi venne
detto che non era in vendita. E così non ci pensai più.
154
155
4 – Una radice strappata.
Era un pomeriggio di tre anni fa quando venne del tutto strappata la radice
dei ricordi dell'osteria da Rafael. La cosa si sapeva. L'osteria era stata
venduta e le cose seguivano il loro corso. Non ci sono colpe. Almeno
nessuno le vede.
Perciò questo è un omaggio al destino dei ricordi e di ciò che rimane della
nostra storia di “veneti”. Si tratta di parlare di un popolo consapevole o no
di sé stesso?
E ne ha tutto il diritto.
156
Chi ha rubato la felicità e la gioia alla nostra gente?
Basta così poco per ridurre in polvere i muri vecchi di cento anni. Chi li
aveva costruiti? Cosa voleva trasmettere ai figli e al borgo?
Quella piccola casa decorosa e umile aveva un'aria quasi nobile. Era una
nobiltà discreta e poco appariscente. Era l'espressione della misura e
dell'equilibrio della nobiltà del nostro popolo. Un popolo che sa vivere nel
silenzio e stare in armonia con la Natura che lo ospit
157
Pochi, e tra poco nessuno.
Nessuno potrà raccontare di Rafael, della sua favolosa macchina per fare il
caffè. Nessuno ricorderà la sua Bianchina furgonata. In fondo era solo un
rottame.
Tutti i materiali riciclabili vengono raccolti con cura. Travi, coppi, assi,
balconi e porte. Tutto viene messo da parte e trasformato in soldi.
158
Ora anche il suo ricordo diventa fumo e ciò ha lasciato diventa sabbia.
Ancora...
5 – Le ultime parole...
Gelindo mi chiede...
Io guardo Gelindo, vorrei che non dicesse certe cose. Ma lui ha ragione.
Io comunque gli rispondo:
159
– Si Gelindo è tutto vero quello che dici. Ciò che scrivo è per me
stesso o forse per quelli che non sono ancora nati. Sai bene che io sono un
illuso e un ingenuo per di più timido e debole per natura. Ma mi piaccio
molto. Sai che io credo che ogni parola, immagine, emozione che viene
espressa... non muore ma resta nell'aria per parecchio tempo. E chissà
quando qualcuno mai la raccoglierà. Oppure raccoglierà solo il suo
profumo o la sua ombra. Questo mi rende felice.
Dora in poi il vento farà finta che non sia morta. Per ricordarla ci girerà
attorno finché il suo ricordo rimarrà nell'aria.
Fine
160
161
PSICOLOGIA SCIAMANICA e … il fenomeno Hippie …
una rivoluzione silenziosa e fondamentale che si rivela solo oggi …
162
Il nuovo psicologo sarà obbligato a diventare “il saggio che parla per
esperienza personale”. Altrimenti somiglierà solo ad un prete … più o
meno laico.
Vissi dalla fine degli anni ‘60 l’epoca hippie di riflesso: leggendo,
ascoltando, viaggiando, tentando ogni lavoro, sogno, slancio e un
confronto impossibile con la vera realtà che mi stava attorno. Fui
163
fortunato, molto fortunato: appena un sogno veniva infranto, il giorno
dopo ne nascevano altri numerosi assieme a una carica di entusiasmo che
mi stupiva e mi lasciava solo una soluzione: Agisci, vivi e basta.
Compresi poi che il DNA che ci viene regalato porta con sé molto di
speciale. Ascoltarlo è una soluzione non facile, ma se ci si riesce la vita
diventa avventura.
E’ questo il regalo, svelato poi dalla “ideologia Hippie”?
E’ camminare nella Vita come se fosse una avventura che si può scrivere
… di persona?
Camminare su un filo di lama? Puoi cadere e perdere tutto, ma non
importa perché cadrai su un’altra lama da percorrere guardando oltre …
Così siamo oggi. Lo sono davvero già i giovani e lo vivono senza bisogno
di certezze. Per i giovanissimi è già normalità futura.
Chi ha paura del futuro?
Hippie non tiene conto del tempo.
La nuova psicologia sciamanica già lavora per tutti noi.
E sorride anche di sé stessa.
164
Si tratta di un angolo scomodo. Spesso solitario e frustrato dal fatto che
non può farne a meno.
Anche chi è artista è condizionato: non può fare altro, pena la rinuncia a sé
stesso.
E ciò e inammissibile, almeno finché l’anelito e l’amore per la vita rimane
vivo.
Gian Berra ...
La prima volta che la feci fu parecchi anni fa. E mi venne naturale senza
che nessuno me l’avesse insegnata. Poi tempo dopo la lessi in un testo
buddista: non avevo inventato nulla di nuovo.
Evidentemente ad un certo livello di esperienza le cose si ripetono, come
prese da un contenitore comune a disposizione di tutti coloro che cercano
con un pizzico di coraggio dentro quel contenitore occulto (nascosto) e
gratuito che raccoglie ogni esperienza fatta dalle scimmie umane e non
solo.
Di certo ero allenato a fare simili esperienze. Ricordo che la causa fu una
grande confusione di pensieri dispettosi che mi giravano in testa. E avevo
voglia di dormire. Come fare a farli tacere?
Facile a dirsi. Ma quella marmaglia di esseri irrequieti erano là dentro di
me e tutti pretendevano attenzione. Io considero i pensieri “esseri” vivi e
coscienti a tutti gli effetti.
165
Ogni pensiero ha il sacrosanto diritto ad esistere. Ha una sua identità,
personalità, desideri, emozioni, corpo, scopi ecc.
Per di più è dentro di me; anzi è me stesso. Fa parte di me.
Sarebbe illusione volerlo distruggere, eliminare o gettare via.
E poi c’è il problema che non posso cancellarlo. Il mio cervello ( non so
come sia quello degli altri ) ricorda tutto. C’è chi è convinto di aver
formattato il proprio cervello, e magari di poter partire da zero. Beato lui.
Magari ciò che pensa di aver cancellato e solo dentro un cassetto
nascosto…e da li agisce senza farsi vedere.
Che brutta cosa farsi condizionare da ciò che non sappiamo sia nascosto
dentro un cassetto…dentro di noi. Non lo vediamo per niente. Giuriamo
che non c’è.
E lui si fa beffe di noi. Che brutta figura!
E’ come esserci costruiti un recinto attorno e non vederlo. Chiusi dentro
una gabbia pensando che non ci sia, dato che non la vediamo.
Conosco gente che da quella gabbia privata urla al mondo la sua rabbia
ritenendosi libera. Forse è stata picchiata da bambino, o forse da grande.
Resta il fatto che ora non riesce a liberarsi, e come un cane legato ad una
catena urla al mondo il suo disagio. Un guardiano di sé stesso.
La pratica dello sciamanesimo creativo è vecchia come il mondo. Ma
necessita di coscienze creative. E il potere creativo è gratis a disposizione
di tutti. Basta prenderlo ad ogni angolo di strada e usarlo.
In pratica si tratta di andare ad aprire tutti i possibili cassetti nascosti.
Certo non è facile come lamentarsi del male che gli altri fanno a noi stessi
o al mondo. I cassetti da aprire sono quelli miei, e contengono tutte le cose
che mi sono illuso di archiviare una volta per tutte. Punto e basta.
Ciò che segue non fa per colui che la pensa così. Tanto vale che getti
queste note nel cestino e non ci pensi più. Meglio: formatti tutto.
Oppure faccia alte urla irate verso l’infinito, avendo già deciso le sue
ragioni una volta per tutte.
166
E’ passiva perché la sua conduzione non è guidata dalla coscienza vigile.
Ossia non è l’Ego meraviglioso di cui disponiamo a condurre il gioco. E
fin qui nulla di nuovo: ricordo un vecchio testo di Yoga che lessi negli
anni ’60, da adolescente, che indicava la stessa cosa. Solo che in quel caso
L’Ego era visto come un ostacolo e doveva starsene là buono, quasi
addormentato ad imparare chissà quale lezione. Influenze monoteiste
dentro la filosofia indiana? In quella cinese e giapponese comunque non
esistevano. Ma anche nelle culture native esistono concetti di Senso di
Colpa, è uno strumento di potere vecchio come le scimmie umane.
Uno scopo più egoistico e farla …per prendere sonno. Lo so che è banale,
ma a volte serve. Poi se si ha il coraggio di continuare ogni scopo è valido:
167
Io non mando via questi pensieri. Sono parte di me e hanno il diritto di
farsi sentire.
Cerco di sentire il mio corpo e le sue sensazioni: Il suo peso sul divano,
l’aria i cui sono immerso, i vaghi echi dei rumori che percepisco. Io sono
il mio corpo: è ovvio.
Ho gli occhi chiusi in modo un po’ forzato in principio. Poi anche quelli si
rilassano. La mente è comunque un caos di tensioni che vogliono averla
vinta. Ciascuna a modo suo. Non pongo particolare attenzione a ciascuna
di esse, ma non pongo alcun ostacolo a nessuna.
Accetto questa confusione così com’è. Io dentro un caos di piccoli Dei,
ciascuno dei quali ha ragioni da vendere. Li lascio tutti liberi di dire ciò
che hanno necessità di esprimere. E’ nel loro diritto.
168
Perciò per andare avanti nella visualizzazione passiva dovremmo
trasformare quei piccoli Dei dispettosi che sono i nostri pensieri …in
immagini. E potete star certi che faranno una grande resistenza. Faranno di
tutto per non essere svelati. Cioè essere resi riconoscibili come immagini.
La ragione è che siamo stati educati da generazioni ( noi occidentali) a
tralasciare l’immagine per il concetto di essa. Un potere che abbiamo
perso. Ma che è ora di riprenderci. Siamo pronti a ridiventare idolatri?
La parola fa quasi paura, o quasi. Sembra un insulto.
Siamo stati abituati a riempirci la testa di concetti ragionevoli. Ma non
sappiamo quali immagini rappresentano. Tensioni mentali parassite prese
come ovvie. Finché rimaniamo là siamo dentro una gabbia.
169
E fissiamo l’obiettivo che ci siamo proposti. Io mi ero proposto di
prendere sonno, di non pensare più a nulla. Una zona all’orizzonte, buia e
vuota. Un ologramma fatto di niente, di calma buia.
Ma è solo un esempio.
A questo punto erano diventati davvero Dei con la propria immagine. Veri
Idoli.
Gian Berra.
170
Ma sono nascosti. Le loro domande sono confuse e non si rivelano che con
la loro paura e la loro ansia. Ognuno grida come unico. Assieme vociano
come in coro, ma non dicono nulla per aiutarmi.
Eppure io mi vedo. Ma loro solamente li sento. E non posso farli tacere
perché sono voci di me stesso che non riconosco. Un me stesso che ho
dimenticato.
Non posso ingannare me stesso oscuro tappandogli la bocca o
ignorandolo.
Quanta gente si prende una sbornia o peggio si droga di illusioni, progetti,
sogni e desideri per non sentire le grida di quella parte di sé che è stata
ferita?
Quanti impongono ad altri i propri sogni pur di non dover guardare da
dove vengono e di cosa si alimentano?
Per non parlare di quelli che davvero si drogano di chimica venduta
proprio per questo. Magari giovani. Decido allora di dare alle voci che
vociano una parte del mio potere.
Le faccio partecipi del mio lato migliore. Non posso ingannarle, esse sono
me e non ci cascano. Le faccio partecipi dei miei momenti migliori: degli
affetti, delle gioie vissute, del meglio di me. Anche dei miei sogni e
progetti. Le porto dentro le emozioni di pace vissute negli attimi di pace di
qui ed ora. Lascio che esse bevano a sazietà da ciò che io ho conquistato.
Tutto ciò è anche loro.
Lascio che si mostrino con le loro immagini. Le immagini con cui esse
desiderano mostrarsi, non con quelle che vorrei costruire io.
Esse sono caos. Accetto il loro caos e lo lascio fluire così come esso
desidera fluire. Non do forma.
Mi ci tuffo con slancio.
Lascio che la loro forma si costruisca da sola. Sono sempre io in ogni
caso.
Ho permesso al mio oscuro di mostrarsi. Ed essere.
Ho permesso ad una parte di me, prima rinchiusa in gabbia, di essere,
esistere e farsi riconoscere…
Lei sa ora che io so che lei esiste, e che la accetto così com’è.
Ora non ha più bisogno di rubarmi potere. Può prendersene quando e
quanto ne vuole. Lei è me.
Ora le voci sono placate. Hanno il loro spazio vitale dentro di me e
saranno mie alleate. Almeno finché altre voci nascoste reclameranno
spazio.
Io ho spazio a sufficienza per tutto me stesso.
171
Non mi accorgo di aver preso sonno.
Gian Berra.
Punto
I punti nello spazio sono infiniti. Almeno così ci dice la geometria. Forse
sono tanti che non si possono contare. Possibile crearne almeno uno? Per
crearlo evidentemente intendo identificarlo come il mio; o almeno quello
che ho deciso di identificare come degno di attenzione.
Non ha identità sua propria, almeno da ciò che posso percepire di lui.
Cosa mi dice il punto? E’ una porzione di spazio che ha una sua identità
oppure attende di assumerla?
172
Decido io di iniziare, di riempire questo” vuoto di relazione” con i miei
intenti. Decideranno poi gli intenti nascosti del punto a reagire alla mia
azione o non reagire per niente.
Io decido di agire in ogni caso.
Posso dare in ogni caso una identità al punto in questione. Quella che
decido io.
D’ora in poi il puto esisterà per me con una identità ben definita. E io
interagirò con essa come realmente esistente. Vera e reale. Possibile.
Posso usare quel punto per i miei intenti ed esso mi parlerà in modo
autonomo da quello schema che rappresenta. Il problema è imparare ad
ascoltarlo.
Anche il punto ora è visibile. E posso gestire questo nuovo territorio come
mia conquista.
Al mio servizio.
173
Ho creato un punto di volontà.
Gian Berra.
174
LA RINASCITA DEL TOTEM
Ci hanno detto che i negri e gli indiani erano solo selvaggi, e per giunta
“pagani”. Che gioia scoprire
la loro libertà! Così è utile ricominciare
da loro...
Il tetto del vecchio fienile faceva acqua. Non era possibile fare a meno di
metterci le mani. La cosa doveva essere risolta con un progetto di restauro.
Così quell’agosto di 4 anni fa mi misi al lavoro. Ricordate che nell’agosto
del 1999 ci fu una eclissi di sole quasi totale? Ecco io ero nel tetto del
fienile proprio quando il sole si oscurò. Con tutta la gente del posto che
guardava su dando uno sguardo ora a me, ora al sole che spariva.
Ogni tavola era differente dall’altra. Vennero usate così come erano. E
fecero bene il loro lavoro con umiltà. Erano ancora integre malgrado
l’umidità e la poca cura. Mi affascinarono e non ne feci legna, ma le misi
da parte.
175
concetti. Mi bastava che loro mi dicessero con le sensazioni ciò che
desideravano.
Feci per ciascuno di essi una base robusta con dei bancali industriali. Li
decorai con parrucche di erba secca. Aggiunsi degli occhi espressivi e li
decorai con grossi semi e con vecchie corde a treccia. Diedi loro una
leggero strato protettivo con henné scuro. Poi li portai tutti in mostra in
una villa veneta del posto che mi era stata concessa una mostra dei miei
quadri nel settembre 2001. Feci la loro presentazione all’inaugurazione
della mostra spiegandoli come rappresentazione dei poteri che stanno in
noi. La gente li accettò con sorpresa anche se non so se tutti abbiano
capito. Misi poi in grande quaderno su cui chi voleva poteva scrivere ciò
che pensava dei totem. Raccolsi parecchi pareri entusiasti e di sorpresa.
A volte mi sorprendo di scoprire cose nuove sul loro aspetto: sono sempre
nuovi.
Sono i miei amici. Ora per questo vi invio le immagini di alcuni di loro.
Sento che sono felici di essere visti da altri. Ciò aumenta il loro potere.
Chissà…forse che altri possano incontrarli e capire più di me?
Gian Berra.
176
PS. Nota di oggi febbraio 2021 … Ho conservato i totem, per un periodo
in silenzio. Poi li ho portati nella mia personale di dipinti a cerano a villa
Benzi nel settembre 2001 ( il video è ancora in youtube cercando il mio
nome. Poi li ho ritrovati e raccolti dal fienile in cui erano in attesa … e li
ho portati alla mia ultima personale alla sala del tribunale a
Montebelluna a maggio 2017. Ora sono ancora in mia compagnia …
177
Ne ci chiudono in concetti definiti.
Essi si propongono alla nostra attenzione nel modo che noi decidiamo, e ci
invitano a dialogare, a sentire il loro messaggio.
E il nostro interesse per loro li rende felici in quanto libera la loro energia
e il loro scopo: aumentare e sviluppare la consapevolezza dell’esistere.
178
Divenire consapevoli è un cammino individuale. Così difficile perché
abbiamo perso il potere di relazionarci con le coscienze della natura e con
la nostra coscienza e con quella dei nostri simili.
Essa viene occultata con cura dentro di noi ancora prima di nascere.
Essa si nega, respinge ogni sua definizione. Non rivela nulla di sé stessa.
179
Essa si riversa semplicemente su di noi in modo subdolo. Assorbe la
nostra forza vitale e si nutre di essa. Poi quando ci ha derubato, si ritira nel
nostro lato oscuro e aspetta la prossima volta per colpire...
Con attivo tra noi ed esse un guardiano parassita che si nutre della nostra
impotenza.
180
Per riconoscerla, vederla, dobbiamo farla uscire da quell’angolo buio dove
si nasconde. Solo così essa perde gran parte del suo potere.
Dare una immagine concreta alla paura è stabilire NOI una relazione con
essa.
Da quel momento la paura non potrà più nascondersi, o almeno lo farà con
grande fatica. Naturalmente dovremo affrontala direttamente.
E da soli.
181
sassi colti dal greto del fiume, radici contorte, foglie secche dai colori
improbabili, vecchie ossa raccolte arando un campo, ferri vecchi
rugginosi, etichette pretenziose di prodotti dimenticati...
Da allora la paura non potrà più nascondersi. Potremo magari far finta di
nasconderla ogni tanto. Ma sarà solo una tregua temporanea. Infatti
saremo prima o poi “costretti”a guardarla in faccia.
Vi assicuro che non è una faccia piacevole. Essa porta parecchie maschere
e non le mostra tutte in una volta. Essa si difenderà usando tutte le armi di
cui dispone, in quanto il suo potere è quello di nascondersi e colpire
dall’ombra.
Andare nell’ombra.
Sarà proprio là che andremo a far visita alla paura quando essa ci colpirà.
La paura non è cattiva. Semplicemente lei vive della nostra tensione
quando essa si rivela. La paura non può far altro che ...fare paura. Così lei
vive.
182
Perciò sarà cura di chi ci vuole togliere il nostro potere di negarci più
certezze possibili. Non solo ci verrà detto che esiste un solo dio ( e sarà
solo quello indicatoci ), ma anche ci sarà chi potrà parlargli per noi.. Ci
sarà chi ci proporrà un codice morale, ma senza mai permetterci di
discuterlo. Ci saranno cose giuste e cose sbagliate da fare o no. Ma non
avremo mai deciso noi.
Oggi le cose sono per fortuna più elastiche. Ma per pochi. In realtà alle
coscienze che si aprono alla vita mai viene insegnato l’uso del potere
creativo.
183
Camminare nel lato oscuro
Non solo: alla nascita di ogni coscienza, essa riceve anche una adeguata
dose di energia vitale. Questa energia è legata alle possibilità genetiche del
corpo di crescere, riprodursi, evolversi.
Le coscienze parassite.
184
Esse hanno inventato regole non discutibili. Hanno imposto con
rivelazioni un modello di religione. Hanno cancellato ogni relazione
naturale con la natura e la sua percezione come coscienza. Sono diventate
esse stesse sistema sociale al punto da apparire scontate e naturali.
E ogni volta che una coscienza tentava di andare oltre trovava la paura: il
buio di ciò che gli era stato rubato. Camminare nel lato oscuro significa
percorrere il sentiero mai percorso prima. E lì troveremo tutti i divieti, le
imposizioni, le violenze e le reazioni non espresse e sofferte tutte le volte
che abbiamo tentato di emergere. Paura e rabbia, delusione e sconforto per
ogni ostacolo trovato di fronte alla nostra evoluzione.
Così il totem della paura sarà l’immagine della nostra paura.. Diventerà il
nostro alleato fidato. Non più un nostro nemico. Esso è parte di noi. Una
parte antica e potente. L’energia che esso può gestire è notevole. Il Totem
è una immagine potente con cui possiamo avere una relazione con una
parte di noi stessi.
185
Il Totem è una coscienza allargata.
Ciò è prezioso per creare una relazione allargata con le paure degli altri.
Il nostro totem parla al lato oscuro anche delle altre coscienze. Non
importa come, né se ciò è secondo le nostre aspettative.
186
Totem per ogni intento.
Così altri totem nascono per chi ha coraggio: ogni occasione di vita ne
rappresenta uno. Ogni momento dell’anno e ogni evento della vita. Ci
saranno i totem per i momenti di gioia, come per la compagnia e le feste.
Ma anche per le morte.
I Totem più potenti saranno quelli condivisi e quelli creati assieme agli
altri.
Gian Berra
187
Anche in società che si hanno dato la forma di branchi, di greggi, di torme
spinte ad agire da condizionamenti più o meno ragionevoli...la vita non si
pone limiti per emergere.
Alla vita non interessa che uno scopo, il suo: vivere. E la strategia del
vivente è adattarsi a ogni condizione pur di esserci. Per questa ragione lo
spirito vitale che replica sé stesso non ha limiti di forma , né di tempo.
188
sentiva appagato dal silenzio e da una natura ancora assonnata e pigra. I
rami spogli parevano mani nude tese verso il cielo. Pozze d’acqua piovana
illuminavano la ghiaia e le macchie d’erba. Lontano una nebbia bassa e
umida nascondeva l’orizzonte . Era così anche il suo animo di stamattina?
Menico si lasciava cullare da uno stato di assenza da tutto ciò: lasciava
vagare i pensieri senza curarsi di essi…
Non vide l’intruso che quando gli fu vicino: La biscia uscì decisa dagli
sterpi a lato del sentiero. Decisa e indaffarata si diresse verso Menico,
verso una pozza. Quando lo vide si bloccò con il capo alzato a fissarlo.
Menico incontrò il suo sguardo e fu privato dai suoi sogni con uno strappo
doloroso. Una morsa lo prese allo stomaco e il panico lo bloccò. Ogni
decisione era un caos di paura che annullava ogni pensiero. Decise
l’istinto: fece un passo indietro col cuore che batteva. E la sua mano cercò
un sasso.
Ora era armato. Guardò la biscia con decisione. Ma essa non si muoveva.
Lo osservava fissandolo e valutando cosa fare: fu un attimo, e veloce lei
sparì oltre l’erba.
Menico si ritrovò solo.
Solo con la sua paura, e la sua vergogna.
Le tensioni che dormono dentro di noi non sempre le abbiamo create noi.
Sono presenze autonome nascoste alla nostra coscienza. Eppure sono ben
presenti ed autonome. Sono programmi che agiscono in modo automatico.
Indagare sulle motivazioni non coscienti che le muovono può essere il
tema di un altro articolo per la prossima rivista. Ma è possibile analizzare
ora l’identità dello schema intimo di una tensione. E vedere come è
formata e come è possibile costruirne una.
Costruire è un atto di consapevolezza. Come si costruisce una tensione?
Poniamo un punto di partenza. Il punto A; un punto è una idea, un
pensiero, un concetto qualsiasi. Da solo rappresenta una decisione di
esistere e di manifestarsi. E’ un punto di potere vitale che si manifesta. E’
nato e presente. E’ vivo.
Ma è solo. Ma una volta nato ( creato ) si scopre non più solo.
Innumerevoli altri punti di potere gli sono vicini, e ciascuno con la propria
identità che pretende di essere riconosciuta e confrontata con lui. Ciascun
concetto nasce assoluto e presto impara che deve difendere la propria
identità per poter esistere e vivere. Ma ben presto si accorge che non può
essere possibile: infatti esso nasce dal risultato della elaborazione di
innumerevoli altri concetti che hanno contribuito con il dialogo reciproco
a formarlo come possibile soluzione. Perciò il nuovo punto di potere
189
creato non conosce ancora da chi o cosa proviene. Sa di esistere ma non sa
chi è in quanto non si è ancora confrontato con le altre identità che gli
stanno attorno. Dispone di energia vitale ma non l’ha ancora usata. Ne sa
che ne possiede in gran quantità: almeno quanta ne possiedono le altre
identità. Ma le altre identità forse hanno già creato relazioni tra di loro. Il
punto A ancora no.
Così la coscienza che lo ha creato come soluzione di una tensione di
pensieri, lo pone a confronto con il concetto che lo ha creato.
Il punto A si incontra col punto B. Entrambi si confrontano e si crea la
nuova tensione che comprende A-B.
Menico si rende conto che ancora Aprile ha portato un poca di neve sui
monti. E’ scocciato in quanto pensava di non accendere più la stufa in
cucina. Nei suoi progetti già vedeva il caldo dell’estate. Ma il freddo è
tornato di nuovo. Non potrà ancora vestirsi leggero e cominciare ad usare
la moto. No, gli toccherà tornare ad accendere il fuoco per trascorrere le
serate in cucina. Progetti sfumati, sogni da rinviare. E’ bastato un po’ di
freddo ( A ) per impedirgli di vivere una estate sognata in anticipo ( B ).
La tensione tra A e B ha obbligato Menico a cambiare i suoi piani. Questa
tensione è reale al punto che Menico ha dovuto cambiare i suoi piani. La
tensione rimarrà finché Menico si dimenticherà o accantonerà i desideri di
temperatura estiva anticipata; oppure quando davvero arriverà la
primavera.
Una tensione è una tensione di pensieri che si confrontano assieme. Così
intimamente legati da non poter uscire da questo legame finché uno dei
due punti di potere che essi rappresentano non cambia sé stesso e le sue
motivazioni.
Ma chi cambia le motivazioni? Chi o cosa può modificare la tensione?
Evidentemente il suo creatore: la coscienza.
Ma come fa una coscienza a cambiare o modificare le sue creature? Per
cambiare ciò che si ha creato si deve esaminarlo. Esaminare significa
osservare ciò che deve essere esaminato.
La coscienza perciò dovrà esaminare sé stessa, in quanto vive una tensione
(scomoda) tra due punti di potere agenti in modo autonomo dentro di sé
stessa.
Essi sono suoi figli ben vivi e pretendono entrambi di esistere. La tensione
tra di essi crea un conflitto che ruba energia vitale alla coscienza in quanto
pretende attenzione per essere risolta. Ma c’è di più: prima ho parlato di
“personalità”. Cioè di quel complesso di fattori che variano da coscienza a
coscienza. Ognuna è diversa dall’altra.
190
Se una coscienza è un complesso di fattori, quali di essi sono osservabili
dalla coscienza stessa? Forse quelli a cui pensa?
Sarebbe bello se fosse così. La coscienza che pensa coscientemente usa
solo una piccolissima parte di ciò che è. Perciò non potrà nemmeno
controllare coscientemente le proprie creazioni ne le tensioni che crea
dentro di se.
Allora per l’ impotenza di controllare le motivazioni “non conosciute” che
la portano ad agire, la personalità si crea un sistema di regole che le
permettono di vivere nel limbo cosciente in cui può riconoscersi. E’ il
territorio in cui si sente sicura. Oltre c’è l’ignoto e l’oscuro in cui ritiene di
perdere sé stessa e la consapevolezza di sé che si è costruita per darsi un
territorio in cui vivere sicura.
Perché all’origine di ogni punto d’azione o di potere entrano ( nascosti alla
coscienza ) le forze di altri punti occulti ad essa, ma facenti parte della
personalità.
Finché essi non saranno chiari, la tensione creata non sarà in nostro potere.
Perciò anche una tenue tensione. Magari a cui diamo scarsa importanza,
racchiude in se una dose preziosa di consapevolezza da scoprire.
Se in millenni di evoluzione umana pochi hanno sentito il bisogno di
indagare oltre le regole imposte dalla paura è forse perché ciò non è
ancora necessario alla specie a cui apparteniamo. Eppure questo è proprio
l’aspetto che permette una evoluzione alternativa. Ma non ancora
necessaria: creare e vivere tensioni consapevoli forse non serve alla specie
umana. Forse non ancora.
Ed è lo scopo della magia.
Gian Berra.
191
DOPO DARWIN …
Detto tra noi la cosa bene o male era già ammessa da quelle culture che
per fortuna non erano toccate da alcun concetto assoluto,
ma la cosa era spontanea. per un politeista non si può chiudere entro limiti
chiusi l'esistente.
192
E' un concetto figlio della paura di vivere, e perciò di debolezza interiore.
Così per la prima volta nel pianeta nacque una moda che mai prima aveva
rapito l'attenzione delle coscienze.
Era possibile immaginare il futuro senza limiti. Cosa mai vista nemmeno
nelle società politeiste antiche.
Ma Darwin li ha fregati.
Da allora in poi ognuno può confezionare i propri sogni. Sarà suo compito
condividerli con quelli degli altri, confrontarli e magari insieme
confezionare sogni da condividere in comune.
193
La fantascienza nasce politeista. Non conosco alcun racconto di
fantascienza che contenga un esempio di cultura monoteista positiva.
194
malefica dagli infiniti poteri. Essa si nutre delle coscienze degli uomini
imponendo loro la sua presenza col terrore, l'intolleranza, la paura.
Dovranno distruggere quel dio malefico migrante nel cosmo. Farlo fuori.
La cosa non sarà per niente semplice. Quel dio sa il fatto suo. Il viaggio di
andata dura un anno, e già a metà viaggio cominciano nell'astronave a
nascere i primi profeti che annunciano castighi. Ogni debolezza umana
viene usta da questa entità per annientare ogni certezza. Non bada a mezze
misure. Nasce il primo inquisitore che di nascosto elimina gran parte dei
più deboli. Ma la lotta che più piace al dio è piegare le coscienze più
valide distruggendo attraverso le emozioni la loro integrità. Si mangia le
coscienze dei bambini presenti dentro quel piccolo mondo.
La lotta sarà titanica. Ognuno alla fine dovrà perdere parecchia della
propri sicurezza.
195
- Venne trovata una croce con su scritto a lettere quasi cancellate:
"soffrite per me" lesse il capitano. E aggiunse: c'è scritto anche dell'altro,
quasi cancellato. Mi sembra un messaggio medioevale, privo di senso.
Forse significa " soffrite per amor mio", ma perché?
Gian Berra.
Confidenze di Luca
Ciao, sono Gian, Ho fatto un po’ di fatica a scrivere questo dialogo con
Luca, mio figlio di 12 anni. Lui mi ha dato il permesso di mandarlo a
Divina Athena. Mi scuso per la lunghezza ma non potevo che fare così.
Luca mi da grandi soddisfazioni e mi aiuta a crescere. Penso sia utile a
qualcuno.
Luca – Papà, stanotte ho fatto un sogno, sai, quando è venuto quel tuono
che anche tu hai sentito. Era così forte che sembrava fosse sopra la casa …
così mi è venuta la paura.
Ma come mi avevi detto basta gettarla via. Così lei se ne è andata.
Io il papà – Ma che sogno era?
- C’era una biscia bianca, e c’era anche la gatta Teddy. Lei si era
nascosta sotto il mio
196
- letto e cercava di nascondersi sotto di me, come se io potessi
proteggerla. Allora io ho detto alla biscia che non esisteva ed è sparita
subito.
- Bravo, così sei diventato padrone del tuo sogno. Lo sai che pochi
lo sanno fare?
- Ma papà, sai che io viaggio nei miei sogni? Ci faccio quello che
voglio.
- Bello! Così puoi creare le tue avventure anche quando non sai dove
andare.
- Certo papà, i sogni vengono quando e come vogliono, ma quando
vengono io li vedo e resto sempre io. Ma perché non so dove andare?
- I sogni vengono dal lato oscuro. Si chiama oscuro perché non lo
vediamo. Ma li dentro c’è tutto. E’ la parte più bella e più ricca che
abbiamo. E’ da lì che viene tutta la nostra forza ma nessuno ci ha
insegnato ad usarlo e a sentirlo come nostro amico.
- Papà, ma io posso sentirlo o vederlo? Come si fa?
- Per sentirlo o vederlo bisogna lasciare che venga lui quando vuole
e stare attenti di ascoltarlo senza ragionare…
- Allora è come quando gioco a palla: quando gioco e getto la palla
contro il muro e rimbalza non la guardo arrivare … eppure la mia mano la
prende senza che io la veda.
- Perfetto. E’ stato il tuo lato oscuro a vederla e tu ti sei fidato di lui.
Così hai usato la sua energia e forza senza passare per il ragionamento.
Anche i giapponesi con lo Zen o il Karatè fanno così: non pensano le loro
mosse ma le fanno col loro lato oscuro. Così si stancano meno perché
lasciano che sia il loro lato oscuro a fare le cose. Guarda che non tutti i
bambini fanno così perché a molti è stato insegnato che bisogna ragionare
per fare le cose.
- Ma allora non bisogna ragionare?
- No, anzi bisogna usare la ragione, ma dobbiamo essere noi a
decidere quando, altrimenti finisce che usiamo solo quella.
- Ma come si fa a diventare padroni della ragione papà? A me
sembra che sia facile.
- Non è così facile. Io e la mamma da quando eri nella sua pancia ti
abbiamo sempre parlato e detto che eri speciale, potente, super bravo e
libero e che in ogni caso noi ti saremmo stati vicini ad aiutati a diventarlo.
Così quando si è formata la tua coscienza che adesso è il tuo io, tu avevi
costruito in te una gran forza e fiducia che ora fa parte di te. E’ questo il
197
tuo potere e da qui diventerai sempre più libero e forte. Anche se la vita
non è sempre facile così.
- Ecco perché viaggio nei miei sogni.
- Forse puoi fare ancora di più Luca, hai mai provato nei tuoi sogni
ad andare dove è più buio? Cioè dove non sai cosa c’è?
- Certo papa! Lo facevo sempre quando ero più piccolo! Allora
andavo da per tutto!
- ( a questo punto mi blocco e mi viene un groppo in gola, Luca ora
ha 12 anni e lui intende quando aveva 4 o 5 anni e a quella età non aveva
paura di nulla )
- Speciale! Ecco, se tu fai ancora come allora cominci a conoscere
anche le parti più nascoste del tuo lato oscuro. E Lui non vuole altro che
essere conosciuto. E’ il tuo amico più fidato e più lo scopri più diventi
cosciente. E più hai potere.
- Amico del mio lato oscuro. Allora non è più oscuro e posso agire
con lui. Ma perché c’è la paura?
- Perché i furbi,quelli che non vogliono che tu sia libero mettono
dentro il tuo lato oscuro le loro idee. Sono le loro idee che ti impediscono
di essere quello che sei. Sono come dei cancelli che chiudono la strada tra
il tuo io e il tuo lato oscuro. E di guardia mettono il cane rabbioso della
paura. Se non fai come dicono loro tu rimani solo con lei e non sai che
fare perché ti hanno tagliato le strada verso il tuo potere.
- Papà io me ne frego della paura. ( sorride tra sé e gongola nel
gustare il suo potere gioca con la sensazione di aver vinto, per ora, la
paura).
- Eppure Luca, sai che è una conquista, una cosa rara. Gran parte dei
tuoi amici e della gente non ci capirebbe perché anche io e la mamma
facciamo una gran fatica a superare i cancelli che ci hanno messo dentro.
Gente cattiva da mille anni ci ha condizionato alle loro idee, e così quando
nasce un bambino questo le fa sue e diventa come tutti…(sta un poco in
silenzio, e io vorrei essere lontano perché parlare di queste cose mi
riempie di rabbia per la libertà che ci hanno rubato e vorrei non fosse mai
accaduto che tanta sofferenza inutile debba esistere, ma mi faccio forza e
continua ad ascoltare il suo bisogno di crescere ).
- Papà ma si può conoscere tutto il lato oscuro?
- Certo, in teoria si. Ma sai cosa diventeresti?
- ( Mi guarda, intuisce la risposta, ma non vuole dirla perché ancora
non osa andare oltre)
198
- Diventeresti un Dio! Uno dei tanti di questo universo e forse anche
di altri.
- Allora i cattivi ci impediscono di diventare Dei?
- Forse vogliono rubarci la nostra forza per diventare loro déi senza
fare fatica. Ma sono déi da poco anche se sono pericolosi e malvagi.
- Forse sono i preti e le religioni?
- Anche loro, anche quelli che impongono il loro modo di fare. Sono
quelli che creano idee e non lasciano a ciascuno la libertà di costruire le
proprie idee…se osservi quelli che impongono sé stessi vedrai che
vogliono sempre avere ragione. E lottano sempre contro altri che non la
pensano come loro. Non amano la pace e non ridono mai.
- E già, i preti non ridono mai e non sono mai contenti. Ma neanche
ridono i truffatori e i politici…
- Però Luca, questi sono dei poveretti perché a loro hanno messo
ancora più cancelli e paura. Non devi condannarli anche se sono pericolosi
perché sono come ciechi.
- Ma i cattivi hanno paura?
- Eccome! Per difendersi hanno inventato l’sdc.
- ( Luca sorride, l’sdc è il senso di colpa, è una sigla che abbiamo
inventato quando questo si risveglia in noi: lo chiamiamo subito con
questa sigla perché non possa nascondersi nel lato oscuro e agire
indisturbato e fare i suoi danni) ne abbiamo fatto il nostro amico e quando
si manifesta lo guardiamo in faccia e così perde tutto il suo potere.
- Allora papà gli Dei possono fare tutto. Di certo controllano la loro
paura e se controllano anche i loro sogni possono viaggiare in altre
dimensioni, anche in quella dimensione che troviamo quando noi moriamo
con questo corpo e rimane solo il sogno..
- Certo dipende da quanto una coscienza umana è riuscita a
diventare un Dio, cioè in quale percentuale può controllare la sua energia
vitale. Se dentro di sé sa usare il suo potenziale e anche aumentarlo allora
ne sarà padrona e potrà usarla principalmente per esistere in modo
autonomo.
- Io mi sento autonomo! ( Luca afferma di esistere e non sarò certo
io a porgli dei dubbi…scoprirà lui gli ostacoli della sua evoluzione) Io
voglio scoprire le altre dimensioni, e andrò anche negli altri universi!
- Certo che ne vedrai di molti. Dicono che siano infiniti e per viverli
tutti c’è l’eternità.Però che ne diresti di ritornare in questo?
199
- (Si blocca e pensa…) Tornare in questa realtà? Con un corpo? Non
ci avevo pensato ma se volessi potrei di certo e forse potrei anche
scegliere una vita che desidero.
- Solo se hai in te il potere di farlo, infatti chi non è diventato
veramente padrone di sé non può scegliere. Sarà obbligato a subire una
vita che assomiglia alle cose di sé che non conosce e che non domina.
- Così uno che ha paura o rabbia o che ha rubato o che soffre o che
non sa ridere non potrà scegliere ciò che sarà?
- Si Luca, questa persona dovrà subire un futuro di reincarnazioni
che non sarà in grado di gestire. Anche se farà di tutto per evitarlo non
sarà in grado di essere ciò che vuole perché non è ciò che vuole. Sono
proprio quelli che io chiamo i furbi, quelli che non si limitano ad
ingannare gli altri, ma ingannano soprattutto sé stessi.
- Ma davvero tutti i furbi dovranno subire?
- (comincio a essere stanco) No, non tutti i furbi. Ci sono furbi
coscienti di esserlo, questi vivono coscientemente della energia rubata e
sapranno trovarne anche nel mondo dei sogni. Essi sanno come vivere di
energia rubata e dove cercarla. Di energia rubata ce ne in quantità e
potranno usarne finche non troveranno altri furbi più forti di loro. Per
questo non potranno mai essere autonomi. Possono solo essere liberi di
rubare finche…
- Sono i malvagi papà, ma io non ho bisogno della loro energia. Ma
perché esistono ed insistono ad essere così?
- Perché la vita non pone limiti. Da anche a loro una possibilità. Se
sprecano la loro occasione ne sono responsabili. In fondo ci sono utili per
vedere ciò che non vale la pena di essere. ( Luca si sente sollevato,
rimugina le cose dette e mi fa un’ultima domanda prima di cambiare
argomento)
- Papà, ma è tutto vero?
- (Ho un brivido lungo la schiena) Ma, Luca, non lo so neanche io.
Ma mi piace crederlo perché sento che può essere così. E mi piace che lo
sia.
200
Concerto n° 10 in SI MIN, allegro:
La, la
La la, la? La! La la la!
La – la-la
La laa!
Vivaldi, vestito di rosso, tiene un violino in mano. Ma anche se si veste da
prete, non lo è proprio.
Vivaldi esprime il lato più struggente del paganesimo che nasce come
anelito al volo libero dell’intelletto che ha imparato ad essere libero di
giocare con sé stesso.
Vola quell’uccellino e assapora il gusto di deridere, gioca a rincorrere i
sensi, si stupisce di essere li.
Poi ritorna indietro e riprova a fare la strada. Ancora una volta. Ancora,
ancora.
Poi si lancia e si lascia cadere. Si diverte e ride di ciò che fa.
Non ha limiti. Tace e riprende.
201
Sublime paganesimo,
del tutto reale.
Gian Berra.
202
A proposito di arabi...
203
La filosofia indiana e il vivere indiano è uno schiaffo in faccia al beduino.
Gli leva l’unica libertà di cui si sente padrone.
Così Lawrence sente l’animo di questi “bambini” capricciosi e a volte
pericolosi. Ma almeno alla fine anche se deluso ammette che per un po’ li
ha tenuti uniti per un ideale momentaneo: “la Nazione Araba”.
La cultura cristiana ( altro DNA) che ci troviamo in casa non è molto
dissimile da quella araba, anche se la cultura antica ci ha salvato in parte.
Così ora gli “arabi” che ci vengono a trovare trovano le cose già fatte: si
presentano come bambini bisognosi di affetto, aiuto, solidarietà,
comprensione. Essendo bambini possono essere capricciosi, disordinati,
rumorosi, sporchi… almeno quelli che non hanno altre alternative di agire
in altro modo. Non tutti sono così per fortuna.
E’ solo un modello che usano per essere accettati del senso di colpa
cristiano, e solo perché per ora i cristiani sono i più ricchi come realtà di
vita. Tra di loro le cose sono ben diverse. Anche li comandano i furbi. E
sono furbi senza pietà “cristiana”.
Lawrence descrive la crudeltà corrente, normale tra le varie tribù beduine
tra le quali la rapina e lo schiavismo. Descrive anche comunque la
solidarietà per il viaggiatore, che viene (non sempre) accolto in caso di
bisogno e per un tempo determinato. Solo in quel tempo determinato è
sacro. Poi diventa bottino.
Naturalmente tutto non è così. Anche tra gli arabi c’è chi ha un cuore, e
sono tanti per fortuna. Ma i semplici non fanno la storia e ora subiamo la
follia dei disperati che non hanno altro modo per essere.
E i furbi tirano i fili anche li.
Lawrence capisce che ha perso la sua battaglia, ma accetta che non poteva
che sognare di aggiungere un poco di consapevolezza alla realtà di questo
popolo…e a sé stesso.
Da loro ha imparato molto e fa un paragone che ci accomuna a loro
descrivendo la puzza dei loro soldati e quelli inglesi: i soldati inglesi
vestiti di lana puzzavano di urina e di marcio, i soldati arabi vestiti di
cotone puzzavano di caprone e di cammello.
204
giocare con la realtà ora pian piano riescono a rendere palesi i loro sogni.
Propongono nuove figure di eroi, di attori della realtà che agiscono in
modo inatteso ed imprevedibile.
Quegli anni furono una sfida difficile da attuare. Non è possibile
cancellare od ignorare un condizionamento monoteista senza proporre
qualcosa con cui sostituirlo. Così c’è voluto del tempo per permettere alla
fantasia di costruire una realtà ex novo. Una realtà, soprattutto all’inizio,
interiore e sognata. Poi sperimentata di persona ed infine proposta come
alternativa. Il processo è in corso tuttora e porta a dei segnali importanti
che la letteratura offre come romanzi e storie da raccontare. Storie di eroi.
Intendo parlare di due scrittori molto diversi: Erick Van Lustbader e
Vittorio Evangelisti.
Entrambi scrivono romanzi per un largo pubblico, e ciò significa che
raccolgono l’interesse da una vasta area di persone. Vasta? Vastissima
direi, e questo la dice lunga sui gusti “nascosti” di una gran massa di
gente. L’Italia è fatta da provinciali che fanno finta di esserlo perché è più
comodo vivere così. Ma dentro di molti ci sono ben nascosti sogni ben più
corposi. Questi narratori lo sanno e così ci offrono il miele che noi
cerchiamo da sempre dal ’68: un sogno reale in cui perdersi e vivere
finalmente da …eroi.
Come proporre un eroe pagano che sia reale ed attuale? Erick Van
Lustbader, statunitense, capisce che non è possibile farlo nascere nel
nostro mondo: non avrebbe i mezzi per essere libero.
Lo fa nascere in Giappone. Da un padre inglese-americano, messo lì alla
fine della seconda guerra mondiale dagli alleati a controllare la
ricostruzione del Giappone. Questo ufficiale si innamora di una ragazza
giapponese, la sposa e nasce Mark.
Il padre sa fare bene il suo lavoro di spia, ma capisce che ha una splendida
opportunità: dare a suo figlio la possibilità di scegliere il suo futuro. Così
il giovane Mark fa le solite scuole di tutti i giapponesi. Seguito da un
maestro di vita made in japan e poi inviato nei monasteri delle arti
marziali. Viene scelto il meglio per lui.
Ma in famiglia si è anche americani. Così è possibile evitare che la
coscienza si identifichi con uno schema. Mark cresce come un vero
pagano politeista anche se non sa di esserlo dato che i giapponesi non si
definiscono in questo modo. Sono ciò che sono, e basta. Lustbader scrive
parecchi romanzi sulle imprese di Mark che combatte contro i cattivi di
turno: La mafia russa, la mafia cinese, le lotte contro lo strapotere delle
205
multinazionali, le sette del male che controllano imperi economici per i
loro oscuri progetti…e lotta da pagano.
Lui non ha un dio unico a cui rivolgersi. Ogni suo sguardo alla realtà e alle
vicende che vive gli rivela coscienze che intendono esprimersi. Quando
lotta contro l’ingiustizia non lotta per un principio. Lotta per vivere.
Mark non ha sensi di colpa, ma soffre ogni volta che vede soffrire
qualcuno. Anche se costui è malvagio. Viene ferito innumerevoli volte nel
corpo e nell’anima e ogni volta accetta la sofferenza come sua e solo sua.
Non incolpa nessuno. Ma lui è un uomo con le sue debolezze, e quando
non ce la fa, saranno gli amici che lo aiuteranno. Saranno le presenze della
natura a ridargli forza e a guardare avanti.
Più di una volta egli si lascia avvolgere dalle forze vive che gli antenati
hanno costruito e riempito di coscienza. Crede in esse per esperienza
diretta, ma rimane autonomo nel suo agire: osa e guarda avanti. Come un
vero eroe.
Quanti lettori hanno vissuto con lui? Quanti hanno intuito oltre la trama
del racconto, che la forza di Mark è anche la loro? Basta anche solo un
romanzo a far partire quella scintilla interiore assopita. E Lustbader ci sa
fare…
Ma Valerio Evangelisti è nato in Italia. Come poteva inventare un eroe
pagano se qui non ce ne sono? Però poteva proporre un eroe: un eroe
dell’orrore cristiano, e svelarlo da uno sguardo…pagano. Non so se
Evangelisti sia pagano, ma poco importa. Anche qui si leggono i risultati
del ’68 che sono maturati in una visione alternativa della realtà: osare oltre
gli schemi consueti.
Eymerich è un monaco dell’inquisizione spagnola del 1200. Vive il suo
fare con coscienza, furbizia e zelo. E’ intelligente ed implacabile. La
bravura di Valerio Evangelisti è di farci sentire come lui sente sé stesso. E’
come essere lui, senza compromessi.
Eymerich ha un potere enorme e lo sa usare in un mondo senza legge in
cui vince la forza bruta e l’inganno. La crudeltà del potere cattolico
padrone di quel mondo è smisurata e impietosa. Eimerich sa di aver
ragione ed ogni sua azione è giusta e permessa come assoluta, in nome del
dio oscuro a cui lui si vota.
Quel dio diviene lo stesso Eymerich. Egli si identifica a tal punto con la
chiesa che lo ha formato da essere un giudice senza dubbi. Indaga e
conosce tutte le eresie del tempo. Vede, sente, odora lo zampino di satana
ovunque e sa combatterlo con tutti i mezzi possibili. Usa coscientemente il
206
sapere segreto delle sette per combatterle. Conosce da esperto la
psicologia degli uomini e usa le loro debolezze per ferirli ed annientarli.
Non si riposa mai e non si perde mai d’animo. Il suo dio lo sostiene e gli
dona forza attraverso le sofferenze del mondo.
Per il monaco l’esistenza è sofferenza: non permette nemmeno a sé stesso
di gioire di ciò che fa. Gli basta agire in nome del suo unico dio. Si rimette
a lui totalmente per essere uno strumento di distruzione perfetto. Eymerich
ha alcune debolezze che rivela suo malgrado a chi gli sta vicino: non ama
essere toccato da nessuno. Il contatto fisico con un’altra coscienza ( sia
essa uomo, insetto o animale ) lo turba e lo fa soffrire; anche un contatto
con la veste di un altro lo fa trasalire.
Non sopporta di ridere, ne ama vedere gli altri felici. Come il suo dio.
Questo monaco oscuro è l’opposto di un eroe pagano. E’ una coscienza
malata, frutto finale di un monoteismo che distrugge sé stesso e il mondo.
Comunque narrare di lui è sempre potere di creare relazioni. Ci vuole
coraggio a camminare nel fango in cui vive Eymerich, e poi guardare
oltre. E Valerio Evangelisti ci ha dato questa occasione.
Gian Berra.
Pollaio
207
Quando vedevano me o Rosa erano terrorizzati. Ma sono passati 20 giorni
e cominciano a fidarsi di noi. Ora quando ci vedono da lontano ci
chiamano con pigolii insicuri.
Di mattina presto, porto loro il granturco. E mi attendono fiduciosi e mi
stanno attorno. Poi quando ho tempo mi soffermo seduto accanto al
pollaio. Immobile senza fare alcun gesto mi lascio osservare. E loro un po’
alla volta si avvicinano e mi osservano. Il primo ad avvicinarsi è il gallo
che fiuta il pericolo, poi le galline che si avvicinano di più, sino a
sfiorarmi.
C’è una gallina, più coraggiosa delle altre che mi scruta con attenzione.
Sembra voglia di più. Penso che sia quella che diverrà mia confidente.
Ho visto che quando raccoglievo erba si facevano attenti. Così ora getto
l’erba più tenera dentro il recinto. E loro mi ringraziano con un gioioso
beccare pieno d’entusiasmo. Per loro l’erba fresca è una golosità.
Ma c’è un dubbio da chiarire. Come mai un gallo solo per tre galline?
Che questo sia un pollaio ISLAMICO?
Già, penso che lo sia davvero. Anche se mancherebbe una gallina, lo è
nella pratica. Allora penso che anche in natura se più femmine scelgono di
seguire un solo maschio lo fanno per un’abitudine naturale? Forse
l’ISLAM non ha fatto che seguire questa legge così diffusa nel mondo
animale.
Davvero sono fortunato: posso osservare un pollaio islamico al naturale.
E vedere cosa succede.
Però le galline non portano il velo. Solo gli esseri animali dotati
d’intelligenza potevano inventarlo. Forse le cose non sono semplici come
pensavo.
Poi se ricordo bene solo pochi decenni fa, quando mia nonna era viva ( e
vi assicuro che non era islamica, ma cattolica osservante, anche se con …
giudizio …) lei portava un fazzolettone nero in testa, e lo portavano anche
le sue coetanee.
Se lo toglievano solo quando erano in casa. Ancora negli anni 40’ nei
paesini del veneto le ragazze da marito si coprivano il capo con fazzoletti
colorati.
Ma il mio pollaio è più avanzato di questi usi. Per ora il suo lato islamico
si limita a tre femmine contro un maschio.
Ma io non mi accontento. Sono un rompiscatole per natura e cercherò di
fare un miracolo.
Se riesco; se sarò ascoltato dai miei polli farò sì che loro formino un
pollaio pagano. Già, un pollaio pagano.
208
La cosa non è facile. Sarà il primo pollaio pagano della storia. Un compito
difficile e affascinante. Che racconterò in diretta.
Costruire il paganesimo naturale è un processo di presa di coscienza.
E non esistono regole. Soprattutto non esistono regole implicite o assolute.
Ma solo regole che di volta in volta sono concordate assieme. E neanche
questa sono definitive.
Lo capiranno i miei polli?
Non mi resta che parlarne con loro.
Ma è possibile parlare ai polli? Penso di sì. Devo mettermi al loro livello
( e non lo considerò per niente un livello inferiore), o almeno tentare di
capire come posso comunicare col loro linguaggio.
Sarà una sfida divertente. Saranno loro a dirmi cosa fare. Io non imporrò
nulla: né meditazioni forzate, né visualizzazioni profonde, né danze sufi o
tamburi.
Porterò con me solo un piccolo totem, e mi siederò accanto a loro e li
ascolterò e osserverò il loro fare. Qualunque esso sia.
E ascolterò ciò che mi diranno. E quando lo vorranno fare loro.
A presto, Gian.
209
Pastinaca, pianta pagana…
Gian Berra.
Metterlo in mostra:
Molti in questa lista esprimono i loro parei ed idee. Anche i loro progetti.
Non molti ancora esprimono l’essenza della loro ricerca personale. Cioè
210
ciò che hanno direttamente sperimentato ex novo dal risultato della loro
LA GRANDE MADRE
Senza limiti...
Ciò non fa parte dei programmi “naturali” che sono il nostro legittimo
bagaglio.
211
E’ una creazione della coscienza, che ci permette di reinventare la realtà
oggettiva. Un potere.
Camminare assieme crea una gran strada solida e sicura, che valica
qualsiasi ostacolo.
Mamma o papà?
La Natura la sa lunga.
E’ ovvio e naturale.
Gli organismi che hanno dato origine alla vita erano ermafroditi e con
poche cellule all’inizio, poi sempre più complessi.
212
A cosa mai le serviva un toro?
Poi c’era il vantaggio che ponendo come necessarie le relazioni tra due
sessi, ciò avrebbe distratto i singoli da una più comoda relazione con
l’esistere.
Ma la felicità?
Alla cara mamma natura non importa un bel niente se noi siamo o no
felici. Casomai ci da appagamento.
A lei che è una mamma che la pensa a suo modo, noi diamo slancio,
vitalità, scopo, gioco, esperimento.
Ma non di più.
213
E noi verremo dimenticati.
Forse mamma ci lascia fare perché gioca con noi, e non ci considera
ancora pericolosi …
O forse perché ci ha fatti così bene ( per i suoi gusti ) che per fortuna gi
umani dotati di vera autocoscienza saranno sempre così pochi da non
rappresentare un vero pericolo. Anzi per l’antica madre sono forse un
pizzico di sale per la sua minestra.
Forse i saggi di tutti i tempi lo avevano capito: non restava che nuotare in
quel gran minestrone naturale...e se possibile crearsi attimi per
contemplare sé stessi o quelli che la pensavano come loro.
E consolarsi.
Ma la legge naturale non esclude nessuno: non basta capire per essere
liberi. Né serve rifiutare ciò che è piacere per essere felici.
214
Con la coscienza sono nati i furbi. Quelli che sanno usare ciò che c’è a
disposizione e vivere bene.
Fregarla per bene e usarla per i nostri scopi. Almeno quelli che non la
danneggiano.
Una relazione consapevole è quella che tiene conto alla pari di sé, del
sentire di colui con cui viene in contatto.
E il papà?
215
Il papà si è accorto ben presto di essere stato fregato alla grande e non
poteva farci niente.
Succube dei suoi furori e calori e poco da proteggere, ben presto ha capito
che poteva usare il suo ruolo per faticare il meno possibile.
Se il suo ruolo era così vitale capì ben presto che le regole poteva farle lui.
I papà della razza umana portavano dentro i programmi dei lupi e decisero
di usarli. La coscienza li istruì a creare i ruoli e a diventare furbi. Non tutti
però.
I maschi parassiti erano i più adatti a rubare la vita agli altri. Non serviva
essere forti: bastava ingannare chi non pensava abbastanza.
L’invenzione più redditizia fi il fatto di distruggere l’immagine della
mamma e affermare che c’era all’inizio un grande padre che aveva creato
tutto. E che solo alcuni di loro potevano parlare con lui: l’assoluto.
Greggi da governare…
216
E il suo tempo è dilatato oltre la nostra razza
Gian Berra.
Vescovi e pecorelle.
Questo si può definire come il primo passo per creare nei singoli la
consapevolezza di esistere come coscienze consapevoli almeno in potenza.
Poi a diventarlo davvero.
Ma questo crea anche occasioni di potere.
217
Prima o poi sbucherà dal mazzo qualcuno più sveglio che al momento di
scrivere le regole proporrà le proprie come necessarie e giuste. Saprà
proporle come indiscutibili e bollerà gli scettici come ignoranti, distruttivi
e stolti.
Si è creata la figura del pastore, del vescovo, del funzionario di partito, del
guru o del maestro.
Il pastore si identifica così bene col suo ruolo che ne diventa schiavo e ben
presto non ne potrà più fare a meno. La visione del presente e del futuro
gli è chiara, e lui sarà colui che vede le cose che saranno e saprà come
proteggere il gregge che si è affidato a lui.
Non si accorge del furto di energia che esso fa alle coscienze che gli sono
affidate. Ben presto questo cibo gli diventerà indispensabile.
Poi verrà il momento che il pastore non saprà che mangiare pecore.
Perderà il potere di creare la propria energia in modo autonomo. Anzi,
ogni coscienza che saprà essere autonoma sarà per il pastore un pericolo
in quanto rappresenterà per lui la propria debolezza.
Il pastore non si relaziona con le coscienze: cioè non crea con esse
relazioni in cui ci si scambia alla pari. Non può farlo in quanto dovrebbe
mettere in discussione sé stesso.
Esistono anche i pastori dal potere autonomo. Essi si creano una corazza o
gabbia emotiva per difendersi e nel loro bozzolo crescere. Mostrano
all’esterno la loro sicurezza e affascinano chi ancora non la possiede, ma
vorrebbe imitarli.
Questi pastori non sorridono mai ( o fanno finta di ridere), essi presentano
un fare di sicurezza e di potere personale che affascina. Sono sicuri e
irradiano conoscenza ed equilibrio.
Sono come caramelle che invitano ad essere assaggiate.
218
In realtà si tratta di persone fragili.
Chi si chiude in una gabbia si rinchiude assieme alla propria paura, e non
può più ne affrontarla ne superarla. Egli blocca la propria evoluzione
personale in uno schema comodo che ritiene di poter gestire. Egli avrà
paura di ogni schema a lui sconosciuto e creerà difese a non finire. Sarà un
fare che imporrà anche alle sue poche pecore.
Ci sarà chi ogni mattina ripulirà i propri ciakra, chi rifiuterà aglio e
cipolla, chi spargerà sale purificatore attorno alla casa, chi cercherà di non
insudiciare il proprio karma, chi non fumerà, chi non assaggerà mai la
grappa…chi si sentirà in colpa se ha schiacciato una formica.
Ma saranno pochi, forse nessuno, i pastori che sentiranno dentro di sé
l’orrore e il senso di colpa per aver violentato delle coscienze.
Ciò è per loro legittimo.
Gian.
La quercia
219
Così quando guardavo la grande quercia, pur ammirandola, rimaneva
comunque una quercia…
Era e basta. 180 anni di vita espressi nel suo essere. Racchiudeva una vita
conquistata con fatica. Piccola pianticella che qualcuno aveva deciso di
rispettare e lasciare lì dove era nata. Proprio in mezzo ad un campo. Poi
pianta che ha dovuto superare le bombe della grande guerra che proprio lì
si era sfogata. E gli inverni gelidi e la grande sete delle estati di una volta
quando non si irrigavano i campi come ora. E il fulmine che 10 anni fa le
portò via parecchi grandi rami…
Allora decisi che semplicemente la avrei solo guardata da lontano. Mai più
tentai di imporle la mia presenza. Solo una occhiata di tanto in tanto…
Una sbirciata e via. Sarebbe stata lei a parlarmi, e quando lei lo avesse
voluto. Difficile creare una relazione se la si pretende.
Gian Berra
220
Sono furiosa. So bene che la scimmia umana Nabendo non si arrabbia mai,
lui inghiotte e manda giù la rabbia perché così gli hanno insegnato
quando frequentava i corsi di Osho. Lui pensa così di mantenere puliti i
suoi ciakra e non sporcarsi il karma. Sono fatti suoi comunque. Chissà poi
dove se ne andrà tutta quella rabbia bloccata.
Io rispetto le scimmie umane; sono una gatta cosciente che anche loro
sono Dei come me, anzi alcuni umani li considero anche gatti; do loro
questo onore.
Ma io sono stata offesa a morte. Considero le scimmie umane Annamaria,
Nabendu e anche il povero Alberto babbuini puri e semplici.
Questi tre mi hanno impedito di partecipare al rito di Imbolc. Quando mi
sono presentata spontaneamente nel cerchio sono stata scacciata da
Annamaria che diceva che un’altra scimmia d’America, che chiamava
Zoe, non lo avrebbe permesso. Io avrei disturbato con le mie energie il rito
di Annamaria.
Fui portata via da Rosa e vidi Gian sofferente. Ma cosa ci poteva fare?
Comunque non mi hanno fregato perché io dietro una porta socchiusa ho
visto tutto.
Ero sempre presente anche durante il resto: ero sotto la tavola della cucina
e vi voglio raccontare tutto ciò che ho sentito. Sono furiosa.
Quando alcuni di voi, quelli che Gian incontra dentro quella televisione
collegata al telefono, erano andati a fare la spesa, la scimmia Annamaria
imponeva le sue regole per fare il rito. Diceva che non si fidava delle
vostre energie e le avrebbe pulite con una speciale meditazione dinamica
di Osho. Era una cosa obbligatoria altrimenti niente rito per quelli che non
la facevano.
Vidi papà Gian trasalire ma La scimmia Annamaria si infuriò e saltellando
per la cucina disse che non aveva fatto 300 km per farsi fregare. Le
scimmie Nabendu e Alberto gli dettero corda e imposero a mio padre di
prendere una decisione. Vidi il suo sgomento, capii che non voleva
rovinare l’incontro. Così decise di accettare sperando che la cosa non
facesse soffrire gli altri che erano fuori. Io come gatta avrei fatto tornare
qui 3 babbuini a rifare 300 km. Ma Gian è troppo buono.
221
Ma non basta perché non solo io sono stata fregata. Paolo e Marina i miei
due fratellini adottivi, due giovani che considero gatti a tutti gli effetti.
Due che lavorano in fabbrica da quando avevano 16 anni, 8 ore al giorno:
due giovani pagani naturali come me, che hanno fatto con me Imbolc
dell’anno scorso hanno preferito lasciare la cosa quando la scimmia
Annamaria agitando il suo hara come una gallina li aveva obbligati a fare
come lei.
Vidi papà Gian ferito, ma con la pazienza che ha, preferì tenersi tutto
dentro per non rovinare il rito di Imbolc che avremmo fatto più tardi. Così
salvò tutto.
Così malgrado i loro piani, malgrado il loro veleno i tre babbuini non
avevano potuto rovinare l’incontro.
222
Come gatta conosco gli umani meglio di loro. So che anche le scimmie
sono Dei. Ma fanno una fatica bestiale a riconoscerlo. Alcuni fanno come i
babbuini Nabendu, Annamaria e Alberto (poverino) cioè inghiottono la
rabbia per non aver digerito la paura che hanno subito. Allora le inventano
tutte per torturare gli altri umani che la paura se la digeriscono da soli.
Pretendo delle scuse da questi derelitti! Sono una gatta offesa e furiosa e
non intendo nasconderlo!
Pena una macchia indelebile nel loro karma e un blocco dei loro ciakra.
Oltre a una loro gran figura di merda.
So che gli amici che papà Gian incontra nel televisore collegato al telefono
hanno già capito con chi hanno a che fare. E staranno ben attenti a quelle
scimmie degenerate. Almeno lo spero.
Queste notti quando Gian dorme mi avvicino a lui e entro nei suoi sogni e
gli do consigli preziosi di gatta che la sa lunga.
Ne ha cose da dire su qui tre!
Ma c’è il tempo per ogni cosa. E il tempo lo determina lui. ( almeno così
io gli lascio credere…)
Vergogna!
223
Una vita disordinata … da hippie
1973, 1974
A Valdobbiadene TV, apre in via delle Vittorie il suo primo studio. Inizia
a far conoscere i suoi primi quadri e si occupa di fotografia dopo aver
ricevuto una formazione come allievo dal famoso fotografo di Feltre
Mario Dal Prà.
224
gran valore allora in voga in città: BRUNO FAEL. Lo incontro nel suo
splendido studio presso piazza Vittoria; mi fu prodigo di consigli da cui
trarrò frutto e di cui lo ringrazio di cuore.
Nel 1989 incontra Franco Carraro, fondatore di Radio gamma 5, una radio
libera e alternativa che opera in Veneto e ascoltata anche fuori della
regione. E' l'occasione per collaborare con la radio per diffondere il
messaggio creativo. Gian Berra vi tiene una trasmissione il pomeriggio
della domenica per un certo tempo: il titolo è " Tra oriente ed occidente",
temi di confronto tra due culture che si incontrano.
Nel 1993 inizia l'avventura del CORSO PRATICO DI PITTURA che creo
come modo di interagire con la gente che mi vive vicino. Lo scopo e
quello di far fare esperienza di creatività pratica a chiunque voglia
225
provare. Quasi mille persone frequenteranno il corso. Rallento con le
personali ma faccio dei viaggi presso collezionisti europei a Parigi, Praga,
Metz (Francia), Liegi (Belgio). Creo l'Associazione Culturale " La criola"
per aiutare ad emergere gli artisti timidi della mia terra. Fondo un
"Concorso di Poesia New Age" che indice una grande festa della poesia
ogni solstizio d'estate. Poeti che si premiano l'un l'altro senza critici
esperti. Organizzo per undici anni presso il municipio di Cornuda (TV)
una " Collettiva di Pasqua" per far incontrare gli artisti locali e non. Nel
2005 dedico questa esposizione che sarà l'ultima agli artisti più vicini al
professionismo, ma troppo timidi per organizzarsi. Quasi tutti di
Valdobbiadene (TV). Spiccano gli artisti con più esperienza e più anni di
pratica: SERGIO BORTOLIN, MIRELLA SOTGIU, BEPI MIONETTO e
GIOVANNI CARAMEL un grafico meraviglioso, schivo e riservato che
nel suo paese di Valdobbiadene era praticamente ignorato. Lo andai a
trovare e lo trovai già molto malato. Fu un onore per me proporgli una
mostra. Dal 1995 al 1999 frequenta un corso completo di formazione in
Psicosintesi e ne consegue un diploma presso il Centro di Psicosintesi di
Padova, già diretto già allora in modo magistrale dalla dottoressa Cinzia
Ghidini. E' l'occasione per indagare i meccanismi mentali che formano ed
esprimono la potenza nascosta della creatività. La maggiore
consapevolezza delle potenzialità nascoste in ogni essere umano sono alla
portata di ognuno: basta superare le paure indotte da una educazione che
limita il coraggio così naturale nei bambini, di osare oltre ciò che è ovvio.
Aggiunge Gian Berra:
“Nel frattempo scrivo poesie e comincio con i primi racconti (vedi nelle
atre pagine del sito). Da alcuni anni mi diverto con la pittura
INFORMALE BAROCCO che si affianca in perfetta armonia con la vena
figurativa che mi contraddistingue. Sono solo due linguaggi che chiedono
solo di esserci e dire la loro. Nel 2003 cambio casa, ora abito e lavoro in
via Barche 38 sempre a Covolo di Piave TV. Nel frattempo ho trovato il
tempo di fare diverse conferenze sul tema della "Paura, chi è costei?"
L'ultima l'ho tenuta a novembre 2006 in una personale delle mie opere
davvero ben riuscita presso l'Officina dell'Arte a Conegliano TV. L'amico
Giancarlo Nadai mi organizza anche una permanente presso la "Trattoria
Baia del Re" a Refrontolo (TV); anche quello è un modo di porre le opere
d'arte a contatto diretto con la gente. Mi muovo di meno ed è ora che siano
i quadri a viaggiare. Nel dicembre 2006 termino il mio primo romanzo:
WASERE, cuore di drago, circa 200 pagine, che faccio girare tra gli amici
più intimi in attesa di una sua pubblicazione. Il romanzo è ambientato nel
226
1906 nel paese di Segusino (dove sono nato) e racconta di un fatto
misterioso realmente accaduto in quei monti: magia e realtà si scontrano
quando l'anima del luogo si risveglia. Ma ne sto già scrivendo un altro di
un genere completamente diverso.
nel 2001, Personale a Villa Benzi di Caerano San Marco nel settembre di
quell'anno. Espone per la prima volta in esclusiva i "grandi 5 totem"
ispirati alle tradizioni native del popolo veneto … “
Nel 2006 pubblica il suo primo libro romanzo” Cuore di Drago alle
Wasere di Segusino”. dedicato ai contenuti segreti e inespressi del popolo
veneto che Gian Berra presenta "schiavo di Venezia per 1000 anni". Il
romanzo si svolge nel 1906 in un Veneto come l'assopito, ostaggio degli
interessi d'Italia e del regno asburgico di Vienna.
Inizia a scrivere poesie, giochi ai dialoghi e alla sua nonna Maria Stramare
a Berra, di Segusino.
227
Nel mese di maggio del 2017 mostra di pittura personale in occasione dei
suoi 70 anni a Montebelluna presso la sala ex tribunale, con la
presentazione del libro di poesie " Veneto, amore e odio".
Nel 2019 pubblica con Youcanprint.it il romanzo “Cuore di drago alle
Wasere di Segusino” e nel 2020 la raccolta di poesie in dialetto veneto “
Veneto, il veleno nel cuore e nell’anima”.
https://sites.google.com/site/gianberrasite/
https://www.facebook.com/gian.berra
https://independent.academia.edu/GianBerra
https://it.scribd.com/user/28087467/gian-berra
228
Opere di Gian Berra pubblicate da Youcanpeint.it
229
Feltre, amore acerbo. Poesie in dialetto veneto
con traduzione in italiano. Gian Berra. https://www.youcanprint.it/non-
fiction-per-ragazzi-poesia-generale/feltre-amore-acerbo-poesie-in-dialetto-
veneto-con-traduzione-in-italiano-gian-berra-2020-9788831696845.html
230
Noccioline venete. Raccolta di poesie. Racconti
e Psicologia sciamanica. Gian Berra.
231
Youcanprint
232
Finito di stampare nel mese di marzo 2021
233