Sei sulla pagina 1di 71

Gian Berra

Veneto,
La rabbia e l'amore

Sfoghi segreti dell'anima veneta


in poesie disperate
in dialetto veneto
con traduzione in italiano.

1
Gian Berra

Veneto,
La rabbia e l'amore

Sfoghi segreti dell'anima veneta


in poesie disperate
in dialetto veneto
con traduzione in italiano.

2
Domenico Induno, La partenza.
Il prete e il padrone dei soldi blandiscono il popolo
ad accogliere il nuovo ordine dello stato,
una nuova miseria al posto di quella vecchia.

In copertina,

National Archaeological Museum, in Naples, Italy. Art by - P. Brad Parker.


E logo del Leone di San Marco cornuto.

Gian Berra 2015


Licenze Creative Commons by Gian Berra. 2013

3
fine estate 2015...

I libri di poesie non si leggono perché pesa troppo lasciare che la propria intimità
venga turbata dalle emozioni di un altro. E' un atto di coraggio che non si può
pretendere che dagli innamorati intimi e sinceri.
Per questa ragione ho regalato le mie emozioni con un inganno subdolo: Cercare le
anime indifese che possono accettare solo pochi sprazzi di emozione, senza
provocare una reazione.
Carezze emotive che facebook mi ha permesso di offrire alla sensibilità, un po'
addormentata degli amici che mi stanno vicino.
Ringrazio tutti dell'attenzione con cuore sincero.

Veneto,
La rabbia e l'amore...

Queste cose non si possono dire. Oppure solo sussurrarle ad un amico intimo di cui
ci si fida.
Sono cose che nessuno deve sapere, specialmente i bambini.
Sono cose di uomini, oppure cose di donne e si possono solo pensare con vergogna.
Solo gli ubriachi le urlano al vento. Ma loro non ragionano perché è il vino che
parla.
Solo i matti e i folli innamorati del vento, le dicono a chiunque.

Non ascoltarli, cerca di evitare la loro compagnia. Quando li vedi da lontano,


cambia strada.
Di nascosto indica la loro presenza a quelli, che come te, siete gente seria che vive in
modo corretto, e educato....

Indice

1, Veneto, varda bass! Veneto, guarda basso!

2, Merda da portar a casa. Merda da portare a casa

3, Zio mascio! Gnente compassion par la Rosina. Zio maschio! Niente

4
compassione per la Rosina.

4, Fastuc. Filo d'erba

5, Poenta e osei. Polenta e uccelletti

6, La Gineta la sanguena. La Ginetta sanguina

7, Rosina la magna rancor. Rosina mangia rancore

8, Sciupa fora Meno! Sputa fuori Meno!

9, Paron de tuto. Padrone di tutto

10, Miro, te gho robà al cor. Miro, ti ho rubato il cuore

11, No piander Piero. Non piangere Piero

12, Dir al rosario co me nona Maria e le so amighe de Milies. Ano 1955.


Dire il rosario con mia nonna maria e le sue amiche a Milies, anno 1055

13, Femene da comprar. Femmine da comprare

14, La Gelmina picada. La Gelmina appesa

15, A Mòmi al ghe tira. A Mòmi gli tira

16, La mula Genova. La mula Genova

17, Giustina e poentina. Giustina e polentina

18, Al cervel del porzel. Il cervello del porcello

19, Gemo al sogna Venessia. Gemo sogna Venezia

20, Gigeta de na olta. Gigetta di una volta

21, Setembre tornarà... Settembre tornerà...

22, Al gregge veneto... su da Menin. Il gregge veneto di Menin

23, Bandiera verda, bandiera verde

5
1
Veneto, varda bass!

Ocio là!
Tento al sas.
Ocio ala busa
che tu te ingambara
da ti sol.
Varda chi riva oltra
la do in fondo ala strada!
Chi xelo quel bel sior
vestio ben?
Al par al paron de la fabrica?
O al ghe someia fursi al diretor
dela banca? Ch'el sia al notaio?
No dai, al ghe someia
al segretario del comune,
ma no dai al xe quel che tira su
le tasse, quel che xe amigo del sindaco.
Maria santa che sgrisoi,
fa che nol me veda.
Sbassa i oci. Velto!
Varda par tera,

6
fa finta de 'gnente
e scondate
come se al fusse
un carabinier.
Saludelo svelto, co susiego, come quande ti
tu saluda al prete.
Fa squasi un inchin e un poco
de sorriso.
Sto omo importante al te varda apena
da sora alt,
par che al ride de ti.
E dopo anca ti tu ride,
content che no te gha magnà.
Dopo, inciuca do
la vergogna che te brusa
al cor e la panza.
Svelto, va a berte na ombra,
spera sula bandiera col leon,
e co quela coverzi la to paura,
e no pensarghe pi.

Gian Berra 2014

Veneto, guarda basso!

Guarda là!
Attento al sasso,
guarda la buca
che inciampi
da te solo.
Guarda chi arriva là
in fondo alla strada!
Chi è quel bel signore
vestito bene?
Sembra il padrone della fabbrica?
O somiglia forse al direttore della banca?
Che sia il notaio?
No dai, sembra il segretario del comune,
ma no, dai assomiglia a quello che riscuote le tasse,
quello che è anche amico del sindaco.
Maria santa, che brividi,

7
fa che non mi veda.
Abbassa gli occhi, svelto!
Guarda per terra,
e fa finta di niente
e nasconditi
come se fosse un carabiniere.
Salutalo svelto, con susseguo, come quando
tu saluti il prete.
Fagli quasi un inchino, e un po' di sorriso.
Questo uomo importante ti guarda appena,
da sopra alto
e sembra che ride di te.
E dopo anche tu ridi,
felice che lui non ti ha mangiato.
Dopo, inghiotti giù
la vergogna che ti brucia il cuore
e la pancia.
Svelto. Va a berti un'ombra,
spera sulla bandiera con il leone,
e con quella copri la tua paura,
e non pensarci più.

Gian Berra 2014

8
2
Merda da portar a casa.

Xe longa tornar da Vicenza,


dopo al mercà.
Tuta strada a piè
a caminar su l'arzen
par no farte
ciapar sot da quei
che i gha pressa.
Tuti che corre vanti
e no i te vede par 'gnente.
Quanta zente, quante robe,
Gatu bevesto do ombre?
Gatu sajà mezo ovo co l'acciuga?
Che bel ciacolar, e no spendar
schei. Che bel vedar che al mondo
camina.
Ma la pende, ostia se la pende.
Par squasi che la sciopa fora.
Caminar me gha movesto.
Podaria 'ndar pena là
in mezo ale panocie.
Ma no, mi no ghe fasso sto regalo
a chi che no conosso.
Mi tegno duro, che squasi me vien da piander.

9
La me merda la xe mea,
e no la molo par 'gnente.
Mi son furbo.
Rivo a casa prima che fa scuro
e la fasso sul me camp.

Gian Berra 2014

Merda da portare a casa.

E' lunga tornare da Vicenza,


dopo il mercato.
Tutta strada a piedi
a camminare sull'argine
per non farti prendere sotto
da quelli che hanno fretta.
Tutti corrono avanti e
non ti vedono per niente.
Quanta gente, quanta roba.
Hai bevuto due ombre?
Hai assaggiato mezzo uovo con l'acciuga?
Che bel chiacchierare, e non spendere soldi.
Che bello vedere che il mondo cammina.
Ma lei spinge, ostia se spinge.
Sembra quasi che scoppia fuori.
Camminare mi ha mosso dentro.
Potrei andare là in mezzo alle pannocchie.
Ma no, io non gli faccio questo regalo
a chi che non conosco.
Io tengo duro che quasi mi vien da piangere.
La mia merda, è mia,
e non la mollo per niente.
Io sono furbo.
Arrivo a casa prima che fa scuro
e la faccio sul mio campo.

Gian Berra 2014

10
3
Zio mascio! Gnente compassion par la Rosina.

I dise che quel gran vescovo


al rapresenta al Dio in tera.
Lu al ga dito che no ghe sarà mai
nessuna falsa compassion par le femene che fa abordo.
Gnanca par quei che no vol piander morendo de dolor,
e i vol morir prima.
Mi son la Rosina de Venessia
e ve conto de quande un mascio veneto ibriago
al me ga incantonà e messa piena.
Fortuna che gho catà un dotor co vera compassion
che al me ga liberà de sto destino.
Anca me mare vecia che la piandea dal dolor,
la me ga pregà de no darghe pì menesine,
par morir contenta.
Mi la go incontentata par amor e vera compassion.
Dess mi son vecia e no vioio 'ndar da morta
sul paradiso de sto Dio mascio!
Mi, co sarà ora andarò sul paradiso
dea Dea femena.

Gian Berra 2014

11
Niente compassione per la Rosina.

Dicono che quel gran vescovo


rappresenta Dio in terra.
Lui ha detto che non ci sarà mai
nessuna falsa compassione per le donne che fanno aborto.
E nemmeno per quelli che non vogliono morire
piangendo di dolore, e vogliono morire prima.
Sono la Rosina di Venezia,
e vi racconto di un maschio veneto ubriaco
che mi ha presa in un cantone e mi ha
messa incinta.
Per fortuna ho trovato un dottore
con vera compassione,
che mi ha liberato da questo destino.
Anche la mia vecchia madre, che piangeva di dolore,
mi ha pregato di non darle più medicine,
per morire contenta.
Io la ho accontentata, con amore e
vera compassione.
Adesso sono vecchia, e non voglio andare
sul paradiso del Dio maschio!
Quando sarà la mia ora andrò
sul paradiso della Dea femmina.

Gian Berra 2014.

12
4
Fastuc

Berto al ga temp.
Al se ferma su la riva e al tira al fià.
Al se poia al manego dela manera.
E ghe vien voia de na cicca.
Al varda zo sul paese,
al mira le neole lontan e la aria
par ghe dise che manca poc
che vien zo la neve.
Dopo al se pensa che al gà finì
le cicche.
Lora al fa do pass e pì vanti,
al vet un poca de erba seca
e al ciapa un fastuc pi lonc
de i altri. Lo tira su
e al se lo fraca in boca.
Lo sent coi dent e la lengua.
Ghe par de sentir un gusto de na olta.
Un gusto de sec, de vecio
che ghe calma i pensieri.
Ghe par de ciuciar come quande che al xera
un bocia ceo, quande qualcheduni
i lo varnea co amor.
Anca lu al ga varnà ben la so fameia,

13
ma dess tuti i so fioi i va via
par al mondo.
Dess al pensa co un poco de disagio,
cossa far par impienir
al doman.
Ma al fasuc ghe caressa la lengua
e ghe fa scampar naltra olta
i pensieri.
Berto a se tira dret,
dopo al fa un respiro longo.
Xea questa la vita? Al se domanda.
Ma le staion le passa e no le te domanda
al permesso.
Berto al ga scoverto che al basta
robar un fastuc de scondion,
par vivar,
e no pensarghe pì.

Gian Berra 2014.

Filo d'erba.

Berto ha un po' di tempo,


si ferma sul ciglio e tira il fiato
e si appoggia al manico della scure.
E gli viene voglia di una cicca.
Guarda giù sul paese,
e mira le nuvole lontane e l'aria
pare gli dica che manca poco
a che venga giù la neve.
Dopo si accorge che ha finito
le cicche.
Allora fa un passo più avanti,
vede un po' di erba secca
e ne prende un filo più lungo degli altri.
Lo tira su e se lo mette in bocca.
Lo sente coi denti e la lingua.
Gli pare di sentire un gusto di una volta.
Un sapore di secco, di vecchio

14
che gli calma i pensieri.
Gli pare di succhiare come quando
era un bambino piccolo, quando qualcuno
lo custodiva con amore.
Anche lui ha custodito bene la sua famiglia,
ma adesso tutti i suoi figli vanno via
per il mondo.
Adesso, pensa con un po' di disagio,
cosa fare per riempire
il domani.
Ma il filo d'erba gli accarezza la lingua
e gli fa scappare un'altra volta
i pensieri.
Berto si tira dritto
e dopo fa un lungo respiro.
E' questa la vita? Si domanda.
Ma le stagioni passano e non gli domandano
il permesso.
Berto ha scoperto che basta
rubare un filo d'erba di nascosto,
per vivere,
e non pensarci più.

Gian Berra 2014

5
Poenta e osei.

Vito al porta casa content


venti eseeti dopo na matina de cassa.
La soa femena Maria la lo varda
rivar casa co sta aria de trionfo.
Ela la se suga i brass e la se giusta la traversa.
Ghe toca far bel al muso al so om,

15
darghe sodisfazzion, parchè lu al ghe 'navarà
tanta pocha dala so vita.
A ela le robe bele xe de aver almanco i fioi sani,
e de magnar ogni dì.
Ma anca de vedarli tuti magnar co gusto.
Maria la se senta sul schegn, fora
de rente all'ort.
La ghe cava le penne, un par un, ai oselet.
I saria massa cei, ma i xe venti.
Dopo co la forbese, la ghe verde la panza a tuti
e li neta entro.
Dopo co la ponta de fer
la ghe cava i oci e la ghe guista
le ongete. Tuti nudi i par ancora pi cei.
I oselet i va coti in umido,
co tanto tocio. Maria la sa come far.
Le soe tose intant le remena la poenta.
Vito no varda ste robe, lu al xe
fora e al se fuma na cicca.
Dess al varda al mondo,
come se al fusse lu al paron
de tuto.

Gian Berra 2014

Polenta e uccelletti.

Vito porta a casa, contento


venti uccelletti dopo una mattina di caccia.
La sua donna Maria lo guarda
arrivare a casa con questa aria di trionfo.
Lei si asciuga le braccia e si aggiusta il grembiule.
Le conviene far un buon viso al suo uomo,
dargli soddisfazione, perché lui ne avrà
tanto poca dalla sua vita.
Per lei le cose belle sono di aver almeno dei figli sani,
e mangiare tutti i giorni.
Ma anche di vederli tutti mangiare di gusto.
Maria si siede sullo sgabello, fuori
vicino all'orto.
Leva loro le penne, uno per uno, agli uccelletti.

16
Sono troppo piccoli, ma sono venti.
Dopo con la forbice, apre la pancia a tutti
e li pulisce dentro.
Dopo con la punta di ferro
cava loro gli occhi e aggiusta le zampette.
Tutti nudi sembrano ancora più piccoli.
Gli uccelletti vanno cotti in umido,
con tanto sugo. Maria sa come fare.
Le sue figlie intanto girano la polenta.
Vito non guarda queste cose, lui è fuori
e si fuma una cicca.
Adesso guarda il mondo,
come se fosse lui il padrone
di tutto.

Gian Berra 2014

17
6
La Gineta la sanguena.

Su, la in zima
tacà san Mauro
la istà la sé longa
a segar erba su le erte.
Varnar do vache e le pievore.
Su e do par i prà la Gineta
tut al di a starghe drio ale bestie.
Dopo quande che la torna sul cason
so mare la ciama par tor na secia de acqua su la posa.
Ela la scolta so mare, la torna co la secia
che ghe pesa sul braz.
La Gineta la sé na toseta che cress
co belezza e alegria.
La torna de corsa sui camp,
ma la se sent straca.
De colpo un gran mal, e dopo na debolezza.
La se sent bagnada e la ciapa paura.
La se toca la panza e la taca a criar
a ciamar so mare.
Spasemada la se presenta co tanta vergogna

18
e la piande desperada.
So mare la varda, dopo la cria:
Bestia! Tut quel sangue!
Vien qua che te nete.
La la despoia entro la cusina,
la trà sun canton la cotoleta e le mudandine.
Dopo co an poca de acqua la ghe lava
la panza e pi in sot.
Tu podea spetar a farme sta novità!
La urla so mare.
La Gineta la tase, parchè sta colpa la sè tuta soa.
No la sa cossa dir; nissuni gha dito
mai gnente a ela de sta roba.
La sa solamente che da anquoi,
anca ela la sé na femena.

Gian Berra 2015

La Gineta sanguina.

Su in cima,
vicino san Mauro
l'estate è lunga
a falciare erba sulle salite.
Custodire due mucche e le pecore.
Su e giù per i prati la Gineta
tutti i giorni a star dietro alle bestie.
Poi, quando lei torna al casolare
sua madre la chiama per portarle
un secchio d'acqua dal pozzo.
Lei ascolta sua madre, e torna con un secchio
che gli pesa sul braccio.
La Gineta è una ragazzina
che cresce con bellezza e allegria.
Lei torna di corsa sui campi,
ma si sente stanca.
Di colpo un gran male, poi una debolezza.
Si sente bagnata e prende paura.
Si tocca la pancia e si mette a gridare
e chiamare sua madre.
Spaventata si presenta con tanta vergogna
e piange disperata.

19
Sua madre la guarda e dopo le grida:
Bestia! Tutto quel sangue!
Vieni qua che ti pulisco!
La spoglia dentro la cucina,
butta in un cantone la gonnella e le mutandine.
Poi con un po' d'acqua
le lava la pancia e più sotto.
Potevi aspettare a farmi questa novità!
Le urla sua madre.
Gineta tace, perché questa colpa è tutta sua.
Non sa cosa dire, nessuno le ha detto
mai niente di questa roba.
Lei sa solamente che da oggi
anche lei è una donna.

Gian Berra 2015

7
Rosina la magna rancor.

Là de sot san Mauro


mi e la Rosina speton quel de la botega
che al passa col camion tuti i mercore
a portarne al magnar.
Sentadi sul muret de la Rita, noi se varda do.
La val la sé un spetacolo,
de sot le case, tacà Feltre

20
le par un presepio.
Lontan le montagne le par naltro mondo
che vol contar storie bele.
Rosina, mi ghe dighe, varda che bel!
Ela la strenze i oci, no la ol parlar.
Ma la me varda sui oci, dopo la dis: No, no sé bel.
Cussì i me oci ghe fa na domanda.
La Rosina la taca co fadiga a parlar.
Dopo Par che le parole le vegna fora ele sole,
squasi titade con un spago:
Me mare, quande che ghe ho dita che mi
olea sposarme, la me gha dito che se mi ndave fora de casa
no dovea pi farme vedar da ela.
Dopo col me om gho patio la mancanza de cor
dei nostri omeni. No sé colpa soa, ma lori i sé fati
a sta maniera.
Son tornada solamente na olta da me mare,
ma ela la me gha dito: rangete.
Dess che gho otanta ani, lu a le mort par malatia,
ma anca par al vin.
Son tornata dopo tanti ani su la me caseta qua
in montagna.
Pi nissuni a l'è ncora vivo de quei che conosseve.
Tuti seradi in casa, i me varda come se i spetasse
che more anca mi.
Ma se mi no me presente in cesa,
dopo i me varda co oci de fogho.
Chi mai ghalo rovinà sta zente?
No i sa de viver su un paradiso?
Cossa mai al gha serà la porta del so cor?
La Rosina dess la tase, gnanca la speta
la me risposta.
La ga capio che mi go capio.
Dopo la se leva dal muret, no la ol pi spetar
quel de la botega.
La me saluda coi oci, e la camina via
col baston darente casa soa.
Co chi mai La Rosina pol inrabiarse?
Mi varde al sol che va do
pena drio al campanil.
Par che lu al ghe risponda,
e al parla par ela.

21
Gian Berra 2015

Rosina mangia rancore.

Là sotto san Mauro


io e la Rosina aspettiamo quello della bottega
che passa col camioncino tutti i mercoledì
a portarci il mangiare.
Seduti sul muretto della Rita, noi guardiamo giù.
La valle è uno spettacolo,
sotto, le case vicino a Feltre
sembrano un presepio.
Lontano, le montagne sembrano un altro mondo
che vuole raccontare storie belle.
Rosina, le dico, guarda che bello!
Lei stringe gli occhi, non vuol parlare.
Dopo sembra che le parole le vengano fuori da sole,
quasi tirate con uno spago:
Mia madre, quando le ho detto che
volevo sposarmi, mi ha detto che se volevo andare
fuori di casa, non dovevo più farmi vedere da lei.
Poi col mio sposo ho patito la mancanza di cuore
de nostri uomini.
Non è colpa sua, ma loro sono fatti
in questa maniera.
Son tornata solo una volta da mia madre,
e lei mi ha detto: Arrangiati.
Adesso che ho ottanta anni, lui è morto di malattia,
ma anche di vino.
Son tornata dopo tanti anni alla mia casetta
qua in montagna.
Più nessuno è vivo di quelli che conoscevo.
Tutti chiusi in casa, mi guardano come
se aspettassero che muoia anch'io.
Ma se non mi presento in chiesa,
dopo mi guardano con occhi di fuoco.
Chi mai ha rovinato questa gente?
Non sanno di vivere in un paradiso?
Cosa mai ha chiuso la porta del loro cuore?
Adesso la Rosina tace,
neanche aspetta la mia risposta.

22
Lei ha capito che anche io ho capito.
Dopo si leva dal muretto, non vuole più aspettare
quello della bottega.
Lei mi saluta con gli occhi, e cammina via
col bastone vicino a casa sua.
Con chi mai la Rosina può arrabbiarsi?
Io guardo il sole che va giù
appena dietro il campanile.
Sembra che lui le risponda,
e parli per lei.

Gian Berra 2015

8
Sciupa fora Meno!

Meno al sé tornà casa dala guera granda


e dess al varda de tornar a vivar.
Al gha catà la so femena
un poc straviada,

23
ma quande che ela la lo gha imbrazzà
co calor ormai desmentegà,
A Meno se gha scaldà l'anema.
Da lora sé passà do mesi
e fursi ela la sé piena.
Anca a lu par che al ghe pesa de maco al cor.
Meno gha taca a no vergognarse pi
a 'ndar fora par i camp,
e gnanca a catar quei che sé 'ncora vivi
entro a la ostaria.
Nissuni vol parlar del disio
che tuti lori i gha patio.
Ma entro la testa continua a remenar
al dolor de tornar a vedar l'inferno
che tuti i gha vissuo.
Copar omeni, xelo al destin
de noialtri? E dopo sertir dirne che sta roba
al sé nostro dover.
E patir tuta sta disgrazia come se la fusse
na roba bona. Quei che ne comanda,
i ne remena la vita come e pedo
che bestie.
Ma nissuni parla de sta question, parchè
noialtri semo servi e ne toca taser.
Meno dess al zapa al camp,
e quande che al se ferma al se sciupa sule man,
dopo al varda i confin de la so tera
e al sciupa do par dir che fin là
al comanda lu.
Col torna casa al xé scur,
e sula piazza
no ghe sé nissuni.
Meno al se cata darente le case dei so paroni.
Dess anca lu al cata coraio e al taca a sciupar
sula porta del sindaco e dela banca.
Dopo co pi coraio 'ncora sula porta del prete,
dopo su quela dela caserma.
Meno dess al gha la boca seca,
Al so cor sé galo netà de tuta la rabia?
Meno al varda vanti.
Nol se oltarà pì indrio.

Gian Berra 2015

24
Meno, sputa fuori!

Meno torna a casa dalla grande guerra


e adesso cerca di tornare a vivere.
Ha trovato la sua donna
un po' stralunata,
ma quando lei lo ha abbracciato
con calore dimenticato,
a Meno si è scaldata l'anima.
Da allora sono passati due mesi
e forse lei è incinta.
Anche a lui pare gli pesa meno il cuore.
Meno comincia a non vergognarsi più
ad andare fuori per i campi,
e nemmeno a cercare quelli che sono ancora vivi
dentro la osteria.
Nessuno vuol parlare del disastro
che tutti hanno patito.
Ma dentro la testa continua a tormentare
il dolore di tornare a vedere l'inferno
che tutti hanno vissuto.
Uccidere uomini, è questo il destino
di noialtri? E dopo sentire dirci che questa roba
è il nostro dovere.
E patire tutta questa disgrazia come se fosse
una cosa buona. Quelli che ci comandano,
ci tormentano la vita come e peggio
che bestie.
Ma nessuno parla di questa questione, perché
noi siamo servi e ci tocca stare zitti.
Meno adesso zappa il campo,
e quando si ferma, si sputa sulle mani,
dopo guarda i confini della sua terra
e sputa giù per dire che fino là
comanda lui.
Quando torna a casa è scuro,
a sulla piazza non c'è nessuno.
Meno si trova accanto alle case dei suoi padroni.
Adesso anche lui trova il coraggio

25
e comincia a sputare sulla casa del sindaco
e della banca.
Dopo, con più coraggio ancora,
sulla porta del prete.
e dopo su quella della caserma.
Meno adesso ha la gola secca.
Il suo cuore si è liberato da tutta questa rabbia?
Meno guarda avanti.
Non si volterà più indietro.

Gian Berra 2015

9
Paron de tuto.

Anca sta matina


al sé gha cavà su dal let
co na piera sula testa.
Al se grata sot ai bras,
al se sitema l'osel
e al fa na corsa sul cesso
pena la do in fondo al coridor.
Ogni olta che al va al cesso de sora,
al sente l'orgoglio che solamente lu al gha
do cessi in casa.
Na ociada fora dala finestra la ghe dis
che anca anquoi ghe tocarà laorar
a ciavar schei a quei che no i ol laorar.
Par lu.
Che fadigha far laorar i altri.

26
Ma lu al sa come far: Ghe basta magnaghe l'anema
tuti i dì. Na olta che ti tu i gha spasemadi, medo laoro xe fato.
Faghe capir che se no i gha la to firma, no i pol
'ndar vanti.
Dopo dighe che no basta, parché le regole
le vien da lontan.
Mi no gho colpa! Diseghe, ma bisogna essar seri.
Ma lu xe furbo, al sa ben che ste regole le xe
fate par far morir la zente.
Sto omo che comanda, al sa ben che lori
i cercarà de sconderse. Cossita al gha scoverto la maniera
de farli sentir in colpa par sempre.
Chi che sa de sbagliar, al sarà par sempre
al to servo.
Lu al se mete ogni dì al vestio pi bel,
dopo al se profuma. Al camina co calma e equilibrio
come che dovaria far tuti quei no gha bisogno.
Xé ai altri che gha toca corar.
Al se varda in giro tento a no fissar nissuni,
par che i so oci i varda qualcossa da drio de ti.
Che al me varda mi? Cossa salo? Ti tu pensa
nel sentir i so oci.
Ma lu no te lo dirà mai. Massimo al te farà
un soriso senza mostrar i dent.
E dopo al vardarà oltra.
Quande che al va entro la ostaria,
tuti lo saluda, qualcheduni co pì coraio
al ghe mola un schezo co le parole.
Tuti fa un soriso co giudizio, sanza
slarghar massa la boca.
Nol se senta suito, par che al sia là
par scherzo, par zugo.
Dopo al oste al ghe dise: Al so café, sior.
Lu no lo beve suito, al gha da dar n'altra
ociada svelta ala aria che ghe sta intorno.
Par che al zerche qualchiduni, e lo cata suito
coi oci.
Basta quatro ciacole parché
la ostaria torna normal.
Ma nel mentre che al ciacola, al gha
suito notà la in fondo i polastri
de anquoi. I xe là in fondo, spasemadi.
No i gha al coraio gnanca de parlar,

27
i se vergogna.
Ma entro le scarsele i gha fracà le carte
da farghe vedar. Tuti lori i lo varda pena
coi oci strachi de chi nol gha pace.
Lu, dess al ride entro la so testa,
che gusto laorar par iutar i altri.
Anca lu al se straca a laorar par sta zente.
In cambio de sto sforzo, lu al gha da magnanrghe
solamente un tocheto
de la so anema.

Gian Berra 2015

Padrone di tutto.

Anche stamattina
si è alzato dal letto
con una pietra sulla testa.
Si gratta sotto le braccia.
si sistema l'uccello
e fa una corsa al cesso
appena là in fondo al corridoio.
Ogni volta che va al cesso di sopra,
sente l'orgoglio che solamente lui
ha due cessi in casa.
Una occhiata fuori dalla finestra gli dice
che anche oggi gli toccherà lavorare
a fregare soldi a quelli che non vogliono
lavorare per lui.
Che fatica far lavorare gli altri.
ma lui sa come fare: Gli basta mangiarli
l'anima tutti i giorni.
Una volta che li hai spaventati,
mezzo lavoro è fatto.
Fagli capire che non hanno la tua firma,
non possono andare avanti.
Dopo digli che non basta, perché le regole
vengono da lontano.
Io non ho colpa! Dillo a loro,
Ma bisogna essere seri!

28
Ma lui è furbo, sa bene che le regole
sono fatte per far morire la gente.
Questo uomo che comanda sa bene che loro
cercheranno di nascondersi. Così ha scoperto
la maniera di farli sentire in colpa
per sempre.
Chi sa di sbagliare,
sarà sempre il tuo servo.
Lui si mette ogni giorno il vestito più bello,
Dopo si profuma.
Cammina con calma e equilibrio
come dovrebbero fare tutti quelli
che non hanno bisogno.
Sono gli altri che devono correre.
Si guarda in giro, attento a non fissare nessuno,
Sembra che i suoi occhi
guardano qualcosa dietro di te.
Che mi guardi me? Cosa sa?
Tu pensi nel sentire il suo sguardo.
Ma lui non te lo dirà mai, al massimo
ti farà u sorriso, senza mostrare i denti.
E dopo guarderà oltre.
Quando lui entra nella osteria
tutti lo salutano, qualcuno con più coraggio
gli tira uno scherzo con le parole.
Tutti fanno, con giudizio, un sorriso,
senza allargare troppo la bocca.
Non si siede subito, sembra
che lui sia là per scherzo, per gioco.
Dopo l'oste gli dice: Il suo caffè, signore.
Lui non lo beve subito, deve dare un'altra
occhiata svelta all'aria che gli sta attorno.
Pare che cerchi qualcuno, e lo trova subito
con gli occhi.
Bastano quattro chiacchiere perché
l'osteria torni normale.
Ma mentre lui parla, ha notato in fondo
i pollastri di oggi.
Sono là in fondo, spaventati.
Non hanno nemmeno il coraggio di parlare,
si vergognano.
Ma dentro le loro tasche hanno nascosto
le carte da fargli vedere.

29
Tutti loro lo guardano appena
con gli occhi stanchi che non hanno pace.
Lui adesso ride dentro la sua testa.
Che gusto lavorare per aiutare gli altri! Pensa.
Anche lui si stanca a
lavorare per questa gente.
In cambio di questo sforzo, lui mangerà
a loro,
solamente un pezzetto
della loro anima.

Gian Berra 2015

10
Miro, te gho robà al cor

Miro, amor mio, mi te pense si,


ma no tel dighe, no!
Co tu camina su par vegnar
a catarme,
varde la to schena dreta.
Che bei braz, che man forte
che se poia sula me schena
quande che tu me tira rente
par un baso.
Miro, mi fae par finta de no vardarte
sui oci,

30
no voi farte pensar
che mi te voi un gran ben.
No so parchè, ma me se desfa
al fià, quande che pense
al to coraio de vivar
da mascio.
Miro, mi te vardave ben prima
che ti
tu vardasse mi.
Miro, dime che ti te me vol ben,
ma so anca quanta fadigha
par un omo, xe verderse al cor.
Co ti tu me varda tuta, mi sconde
i sgrisoi ai to oci.
Ma no scampe via, ma 'gnanca
vegne vanti.
Sot la pel mi sente la to voia,
e quande te son tacada, al to cor
al canta la to forza, e anca
là de sot se sveia al to desiderio.
Gho paura de far sto pass,
ma anca me par de sognar
al pi bel destino de na femena.
Speta Miro, speta 'ncora un poc.
Noialtre ne toca fermarse prima, par no pentirse
dopo, quande che al paradiso
al gha verto le porte.
Varde de scondion, la to boca.
La ride? Ma anca la xé un pocheto furba.
E quande che no la pol sconder
la to delusion, la vede co un poca de rabia sconta.
Ma mi pense, Miro, amor mio, quande che ti
gavarà avuo tuto...
Savarò mi a soportar 'ncora la to rabia
de no aver poduo aver,
'ncora de pì?

Gian Berra 2015

31
Miro, ti ho rubato il cuore

Miro, amore mio, io penso si,


ma non te lo dico, no!
Quando vieni su, a trovarmi.
guardo la tua schiena dritta.
Che belle braccia, che mano forte
che si appoggia sulla mia schiena
quando mi attiri vicino
per un bacio.
Miro, io faccio finta a non
guardarti negli occhi,
non voglio farti pensare
che ti voglio un gran bene.
Non so perché, ma mi manca il fiato
quando penso al tuo coraggio
di vivere da maschio.
Miro, ti guardavo ben prima
che tu guardassi me.
Miro, dimmi che mi vuoi bene,
ma so anche quanta fatica é
per un uomo aprirsi il cuore.
Quando mi guardi tutta, io nascondo
i miei brividi ai tuoi occhi.
Non scappo via, me nemmeno vengo avanti.
Sotto la pelle sento
la tua voglia,
e quando ti sono vicino, il tuo cuore
canta la tua forza, e anche là sotto
si sveglia il tuo desiderio.
Ho paura di fare questo passo,
ma anche mi sembra di sognare
il più bel destino di una donna.
Aspetta Miro, aspetta ancora un poco,
A noialtre ci tocca fermarci
per non pentirci dopo,
quando il paradiso ha aperto le porte.
Guardo di nascosto la tua bocca.
Ride lei? Ma anche è un pochino furba.
E quando non può nascondere
la tua delusione, la vedo con un po'
di rabbia nascosta.

32
Ma io penso, Miro, amore mio, quando
avrai avuto tutto...
Saprò io sopportare ancora la tua rabbia
di non aver potuto avere,
ancora di più?

Gian Berra 2015

11
No piander Piero

le femene del cortivo


le xe vegniste suito l'altra matina e
le ha corest su par le scale.
Dopo le se xe serade entro la camera.
Nissun omo podea 'ndar su de sora.
Dopo le gha ciamà al prete, anca se no
ghe xera bisogno.
Dopo xe rivà quei co la cassa e
la gha poiada là de sot.
Quande che lore le gha portà
de sot la Pineta, ela la xera vestida

33
come da festa.
I la gha pareciada entro sta cassa, e dopo i omi
i la gha portada sul cortivo.
Sot la ombria, tuti quei de Riva grassa
i xe 'ndati rente a saludarla.
I amighi de Piero i lo gha ciapà
pai braz, e no i lo assea pì da lu sol.
Lori i lo vardea sui oci,
come par dirghe: Coraio.
Piero 'ncora, con na aria scaturada,
nol sa che xe vero qual che al vet.
Ghe par de no saver pì caminar.
Ma al se poia ai so amighi.
La Pineta, la so femena, xe morta,
ma lu no gha 'ncora capio ben
sta roba.
Al se sent la gola stropada,
e un calt che ghe brusa sot al cor.
I so oci par che i vol sciopar,
na lagrema la par gner fora
de scondion.
Ma al so amigo, quel pì caro
lo varda procupà.
No piander Piero, par che al diga.
Piero al tira su col nas,
e al varda lontan su la aria
do in fondo.
I omi no i pol piander, Piero.
Inciuca do sta emozion,
fa la to figura, che tuti i te varda.
Dopo al funeral, Piero al torna a casa
compagnà da qualcheduni.
Al gira par la cusina, nol vol 'ndar in let.
Dopo al versa un bicier de vin
e lo vede come no lo gha vardà mai.
Nol gha voia de impizar al fogo sul larin,
e intant che al pensa, la gata
la ghe gnen sui piè.
A ela ghe basta saver, che la gha compagnia.
Piero dess al piande da lu sol,
anca se co poche lagreme.
Dopo al se poia su la tola e
al cala dò la testa.

34
Al pensa ai so fioi che laora lontan.
Doman al ghe mandarà par posta
la fotografia che i gha fato
ala Pineta entro la cassa.
Che almanco i la veda,
par la ultima olta.
Dopo al cor ghe dis: Basta.
Al ciapa sonno là,
senza far sogni.

Gian Berra

Non piangere Piero.

Le donne del cortile


sono venute subito l'altra mattina
e sono corse su per le scale.
Dopo si chiuse dentro la camera.
Nessun uomo poteva andare di sopra.
Dopo hanno chiamato il prete, anche
se non ce n'era bisogno.
Dopo sono arrivati quelli con la cassa
e la hanno appoggiata là di sotto.
Quando loro la hanno portata
di sotto, la Pineta era vestita
come da festa.
La hanno messa dentro la cassa
e gli uomini la hanno portata
sul cortile.
Sotto l'ombra,
tutti quelli di Riva grassa
le sono andati vicino
a salutarla.
Gli amici di Piero, lo hanno preso
per le braccia, e non lo
lasciavano più solo.
Lo guardavano sugli occhi
come a dirgli: Coraggio.
Piero ancora,con un'aria stralunata,
non sa se è vero quello che vede.

35
Gli pare di non sapere più camminare.
Ma si appoggia ai suoi amici,
La Pineta, la sua donna, è morta,
ma lui non ha ancora capito.
Si sente la gola chiusa,
e un caldo che gli brucia
sotto al cuore.
I suoi occhi paiono vogliano scoppiare,
una lacrima sembra uscire
di nascosto.
Ma il suo amico, quello più caro
lo guarda preoccupato.
Non piangere Piero, sembra che dica.
Piero tira su col naso,
e guarda lontano sull'aria
là in fondo.
Gli uomini non possono piangere, Piero.
Inghiotti giù questa emozione,
fai la tua figura, che tutti ti guardano.
Dopo il funerale, Piero torna a casa
accompagnato da qualcuno.
Gira per la cucina, non vuole
andare a letto.
poi si versa un bicchiere di vino
e lo guarda come non lo hai mai visto.
Non ha voglia di accendere il fuoco
sul camino,e mentre pensa
la gatta gli viene sui piedi.
A lei basta sapere che ha compagnia.
Piero adesso, piange da solo
anche se con poche lacrime.
Poi si appoggia alla tavola
e cala la testa.
Pensa ai suoi figli che
lavorano lontano.
Domani manderà loro, per posta
la fotografia che hanno fatto
alla Pineta dentro la cassa.
Che almeno la vedano,
per l'ultima volta.
Dopo il cuore gli dice: Basta.
Prende sonno là,
senza far sogni.

36
Gian Berra 2015

12

Dir al rosario co me nona Maria e le so amighe de Milies. Ano 1955.

Lora passave le istà a Milies de Segusin. Là su qual posto la messa in cesa i la fea na
domenega si e una no, e solamente de istà. Ma anca i la saltea. Ma sta roba no la iera
un problema. Le vecie del posto le gavea la ciave dela ciesa, e ogni tant le 'ndea là
pregar a netar fora la polvera.
Ma lore tute le gavea un modo soo de ciamar al Divino. Al rosario xera al so rito
privato. No ghe iera bisogno del prete par ciacolar co la Madona o col Creator.
Qualche olta inter la ceseta de Milies, ma squasi sempre sul cortivo o in cusina. Sul
tardi, specie de sera me nona la ciapea na carega, e mi suito tacà de ela. Dopo la
caressava al rosario co le man e la tachea a dir ste parole misteriose. Suito, me pareva
de perdar temp. Ma dopo sta nenia fora dal temp, squasi la me fea ciapar sonno. Parea
de essar su un alto mondo, e mi ghe rispondeve in automatico. I pensieri i xera
scampadi tuti no se sa onde. Dopo quande che me nona la tasea, mi me sveiave come
liberà de qualcossa che no saveve.
Anca me nona Maria la parea pì bona, e dopo tuti se vardava al mondo come se al
fusse na roba nova.
Quante olte gho sercà sta sensazion. Che fadigha catarla, ma me basta pensarghe un
poc, par sentir che le emozion le se calma. Che gran regalo nonna Maria ti me gha
fato!
Grazie per stò tesoro, nonna Maria.
Gian Berra 2

37
Dire il rosario con mia nonna Maria e le sue amiche a Milies. Anno 1955.

Allora passavo le mie estati a Milies di Segusino. Là in quel paesino la messa in


chiesa la facevano una domenica si e una no. E solamente d'estate. Ma a volte la
saltavano. Ma questo non era un problema. Le vecchie del posto avevano la chiave
della chiesa, e ogni tanto andavano li a pregare e pulire la polvere.
Ma avevano un modo tutto loro per chiamare il Divino: Il rosario era il loro rito
privato. Non c'era bisogno del prete per chiacchierare con la Madonna o con il
Creatore. Qualche volta nella chiesetta di Milies, ma quasi sempre sul cortile o in
cucina, mia nonna prendeva una sedia, e io ero subito accanto a lei. Dopo lei
accarezzava il rosario con le mani e cominciava a dire quelle parole misteriose.
Subito a me pareva di perdere tempo. Ma dopo, questa nenia fuori dal tempo, quasi
mi faceva prendere sonno. Sembrava di essere in un altro mondo, e io le rispondevo
in automatico. I pensieri erano scappati tutti non si sa dove. Dopo, quando la nonna
taceva, io mi svegliavo come liberato da qualcosa che non sapevo cosa.
Anche mia nonna Maria sembrava più buona,e dopo tutti guardavamo il mondo
come se fosse una cosa nuova.
Quante volte ho cercato questa sensazione. Che fatica trovarla. Ma a me basta
pensarci un poco, per sentire che le emozioni si calmano. Che gran regalo che mi hai
fatto nonna Maria!
Grazie per questo tesoro, nonna Maria Stramare.
Gian Berra 2015

13
In tel 1968 mi ere 'ncora un bocia che squasi gnent savea del mondo. Mariet a me
disea che ghe iera zente che 'ndea fin a Mestre a comprar l'amor dale femene. Par
noialtri invenze al pi bel sogno xera de 'ndar fin su a Busche a catar tose, scoltar al
juke box e sognar na strucada.

38
13
Femene da comprar

Lora, là pena de sot le montagne

No i xera i zoveni che 'ndea


su la ostaria ala Pesa. A lori ghe bastea balar col juke box
su la stanza da drio. Dopo tuti scampar su a Busche
al dancing 'ndove tute le tose de Feltre
cercava un omo che i le portasse
via dala montagna.

No i xera gnanca i pì veci


che 'ndava sula ostaria da Sbrek
a contarsela e bere ombre, e parlar sporco,

39
anca dele femene.

No, mi parle de 'naltra razza de omi che faseva sconto


e i taseva.
Tra de lori i se conosseva tuti. I se parlea coi oci
e co la boca serada streta. Dopo i se catava co quei
de Valdobiadene:
Sabo che vien 'ndoni do a Mestre?
E i so oci pareva i se sgrandava. 'Ndar a comprar
femene, sconti sula not, che nissuni podea saver.
Sto desiderio de conquista, de poder sfogar
sta voia de vero mascio. Un diritto
de essar liberi, finalmente
de essar come un vero paron.
De poder comandar, de pretendar.
Coi schei se compra tuto i disea.
E dopo co granda sodisfazion, sentirse a posto
par 'naltra setimana.
Ma mai ghe bastava sta voia canchera
che ghe brusava drento.
Co sti oci i vadava anca le femene
che 'ndea al marcà de Valdobiadene:
Sentadi al cafè Commercio i slongava i oci
co far da esperti. Dopo i pesava, i fissava
a boca streta
le meio done che rumava sui banc.
Quela? Quelaltra? Si la conosse, si
Anca mi!
Al temp al passava, e anca lori tuti.
Dess i sogna ancor un amor che no gha nome.
Venduo a peso,
al sa solamente
de schei.

Gian Berra 2015

Nel 1968 ero ancora in ragazzo che quasi niente sapeva del mondo. Mariet mi diceva
che c'era gente che andava fino a Mestre a comprare l'amore dalle donne. Per noi
invece il più bel sogno era di andare fino a Busche a trovare ragazze, ascoltare il
juke box e sognare di ballare stretti.

40
Femmine da comprare

Là, appena sotto le montagne

Non erano i giovani che andavano


alla osteria alla Pesa. A loro bastava
ballare col juke box, sulla stanza di dietro.
Poi scappare tutti a Busche, al dancing
dove tutte le ragazze di Feltre
cercavano un uomo che le portasse
via dalla montagna.

Non erano neanche i più vecchi


che andavano alla osteria da Sbrek
a contarsela e bere vino, e a parlare sporco,
anche di donne.

No, io parlo di un'altra razza di uomini


che facevano le cose di nascosto
e tacevano.
Tra di loro si conoscevano tutti. Si parlavano con gli occhi
e con la bocca chiusa stretta. poi loro si trovavano con quelli
di Valdobbiadene.
Sabato prossimo andiamo a Mestre?
E i loro occhi si illuminavano. Andare a comprare
donne, nascosti nella notte, che nessuno poteva sapere.
Questo desiderio di conquista, di poter sfogare
tale voglia di vero maschio. Un diritto
di essere liberi, finalmente
di essere come un vero padrone.
Di poter comandare, di pretendere.
Con i soldi si compra tutto dicevano.
E dopo con grande soddisfazione, sentirsi a posto
per un'altra settimana.
Ma mai bastava questa viglia canchera
che bruciava dentro.
Con questi occhi guardavano anche le donne
che andavano al mercato di Valdobbiadene:
Seduti al caffè Commercio allungavano gli occhi
con fare da esperti. Poi pesavano, fissavano
a bocca stretta
le donne migliori che cercavano tra i banchi.
Quella? Quell'altra? Sì la conosco, si!

41
Anche io!
Il tempo passava, e anche loro tutti.
Adesso sognano ancora un amore
che non ha nome.
venduto a peso,
sa solamente
di soldi.

Gian Berra 2015

Te conto na storia vecia...

14

La Gelmina picada.

Su ala Pieraleva, pena


sora Milies, al bosc al se seca
ala fin de setembre.
Squasi le cai do le foie dei alberi.
Dai giaron xe vegniste do a Segusin le bestie.
Tuti i gha serà le casere, e dess i speta
al gran fret che ghe tocarà soportar

42
anca sto inverno.
I gha parecià bela anca la vedèla zovena
che ghe tocarà vendar, par poder pagar le tasse
a quei che parla strambo, e i vien su
da Roma.
La Gelmina, ela sola, la camina
su par al trodo che porta sora oltra.
La varda le foie seche, la ghe dà un ocio
anca i talpon e le cassie col cor
che piande. Par che no la vol vardar
anca pi sora al sol che par sconderse
oltra la chipa. La se tira su un pochet le cotole
par no tacarse ale roe.
Dopo la se passa la man sula panza e
ghe se strenze al cor. Si, la gha capio
de essar piena. Coi sgrisoi la pensa a quande
la ghe a contà a Menin sta novità. La sperava in un sorriso
de zovane 'namorà de ela.
Ma lu al xe scampà via co i oci rabiosi.
So mare, par che la gha capio tuto,
ma 'ncora no la parla de sta roba.
Far sto pecà, prima de essar sposadi, xe solamente
colpa dela femena.
Svergognada ela, e anca la so fameia. Tuti lori
segnadi da sta colpa.
Gelmina no la dorme pì, la tien i oci par tera.
Par che na tenaia la ghe strenze al cor.
Quande che vien la sera, i la zerca,
e tuto se rivela quande i la cata picada
par al col a un ram, su ala Pieraleva.
Sconder tuto, desmentegar, far che sta roba
no la xe mai vegnista. Un funeral fato de scondion
un sabo matina prest co la ciesa voda.
Dopo al prete al gha dito de
sepolirla fora dala tera consacrada.
Na tomba seza nome ne crose.
Sepolida par sempre, anca al so nome.
Dela Gelmina, nissuni pi parlarà
de ela.

Gian Berra 2015

43
Ti racconto una vecchia storia...

Gelmina appesa

Sù, alla Pieraleva, appena


sopra Milies, il bosco si secca
alla fine di settembre.
Quasi cadono le foglie degli alberi.
Dai ghiaioni sono venute giù a Segusino
le bestie.
Tutti hanno chiuso i casolari e adesso
aspettano il gran freddo
che gli toccherà sopportare
anche questo inverno.
Hanno anche preparato bella
la vitella giovane, che gli toccherà
vendere, per pagare le tasse
a quelli che parlano strano,
e vengono su da Roma.
La Gelmina, da sola, cammina
per il sentiero, che porta su oltre.
Lei guarda le foglie secche e dà un occhio
anche i pioppi e alle acacie
col cuore che piange. Sembra non voglia guardare
un po' più sopra, il sole che sembra
nascondersi oltre la cima. Lei si tira su
un po' la sottana, per non
attaccarsi ai rovi.
Dopo si passa la mano sulla pancia e
le si stringe il cuore. Si, ha capito
di esser piena. Con i brividi, pensa a quando
ha raccontato a Menin questa novità.
Sperava in un sorriso da giovane
innamorato di lei.
Ma lui è scappato via, con gli occhi rabbiosi.
sua madre, sembra abbia capito tutto,
ma ancora non parla di questa cosa.
Fare questo peccato, prima di essere sposati,
è solamente colpa della donna.
Svergognata lei, e anche la sua famiglia.
Tutti loro segnati da questa colpa.
Gelmina non dorme più, e tiene

44
gli occhi per terra.
Sembra che una tenaglia le stringa il cuore.
Quando viene sera,la cercano,
e tutto si rivela quando la trovano
appesa al collo, ad un ramo
su alla Pieraleva.
Nascondere tutto, dimenticare,
fare che questo non sia mai accaduto.
Un funerale fatto di nascosto
un sabato mattina presto, con la chiesa vuota.
Poi il prete ha detto di
seppellirla fuori dalla terra consacrata.
Una tomba senza nome, ne croce.
Seppellita per sempre, anche il suo nome.
Della Gelmina, nessuno più parlerà
di lei.

Gian Berra 2015

15

A Mòmi al ghe tira.

A Mòmi al ghe tira, quande


che al ghe trà un ocio ala Pineta zovena.
Nol pol scamparghe via, da lu,
anca quande che la vede, fora dala cesa

45
co le soe amighe.
Che ela lo galo vist? No se sa.
Al olaria 'ndarghe rente,
ma la vergogna sé granda.
Ma sto ostia al ghe tira sule braghe,
par che al pretende sodisfazion.
Mòmi al se pensa de quande, ani prima
Delmo al ghe ga insegnà a menarlo.
Ma al ghe a dito anca che sta roba
xe na vergogna.
A dotrina i gha osà, disendo che xe pecà grave.
Ma fursi che anca lori i lo mena?
Sto pensiero lo fa sentir sporco,
ma Delmo al fa de sì co la testa.
Lora basta farlo, ma no massa, e taser.
Ma sta roba no lo incontenta pì.
Dopo, sul tornar a casa, al sé incorde che la Pineta
dess la camina ela sola vanti a lu,
le soe amighe par le sia scampade tute.
Mòmi al gha al cor che salta fora
e al par imbiago.
Cossa xeo? Ghe xe scampà in tera
al faolet de la Pineta? 'Gnanca ela la se gha incorto!
Mòmi al ciapa su al faolet, e la ciama:
Pineta, varda, al to faolet.
Al te era caiesto do...
Ela la se olta e la varda sta figura
come se la fusse nova, dai piè fin su la testa.
Ela la gha i oci che splende
come un gran sol.
Mòmi no xe pì de sto mondo,
quei oci i lo strigà,
e la boca de ela, la par de veludo...
Ciao Pineta...
Vientu anca ti ala festa de sabo in piazza?
Ghe vien da dir.
La Pineta la se fa seria, ma anca la ride
coi oci:
Fursi, si..
e la va via.
De sera, quande che Mòmi
al se ghà coricà sul so let,
Al scur, lu al ghe tira, par che al pretende.

46
Ma i i pensieri i ghe va a quei oci.
Al se pensa de tocar la soa pel. Come la sia?
Dopo al pensa al sabo che vien. Cossa dirghe?
Che sia de passar doman davanti a casa soa?
Che la vegna fora?
Al sonno al vien, che Mòmi,
gnanca al se incorde.

Gian Berra 2015.

A Mòmi gli tira.

A Mòmi gli tira, quando


butta un occhio alla Pineta giovane.
Non può scappare via da lui,
anche quando lui la vede fuori dalla chiesa
con le sue amiche.
Che lei lo abbia visto? Non si sa.
Vorrebbe andarle vicino,
ma la vergogna è grande.
Ma questo farabutto gli tira sui pantaloni,
sembra che pretenda soddisfazione.
Mòmi,si ricorda di quando, anni prima
Delmo gli aveva insegnato a menarlo.
Ma gli ha detto anche, che questa cosa
è una vergogna.
A dottrina gli hanno urlato, dicendo che è peccato grave.
Ma forse anche loro lo menano?
Questo pensiero lo fa sentire sporco,
ma Delmo gli fa di sì con la testa.
Allora basta farlo, non troppo, e tacere.
Ma questa roba non lo accontenta più.
Poi, nel tornare a casa, vede la Pineta
camminare da sola davanti a lui.
Sembra che le sue amiche siano scappate tutte.
Mòmi col cuore che salta fuori,

47
si sente ubriaco.
Cosa c'è? E' caduto in terra
il fazzoletto della Pineta? Lei non se ne è accorta!
Mòmi raccoglie il fazzoletto e la chiama:
Pineta, guarda, il tuo fazzoletto.
Ti era caduto giù...
Lei si volta e guarda la sua figura dai piedi fin sulla testa,
come se fosse nuova.
Lei ha gli occhi che splendono
come un gran sole.
Mòmi non è più di questo mondo,
quegli occhi lo hanno stregato,
e la bocca di lei pare di velluto...
Ciao Pineta...
Vieni anche tu alla festa di sabato, in piazza?
Gli viene da dire.
La Pineta si fa seria, ma anche ride
con gli occhi:
Forse sì...
E va via.
Di sera, quando Mòmi
si è coricato sul suo letto,
Al buio, lui gli tira, sembra pretendere.
Ma i pensieri gli vanno a quegli occhi.
Pensa alla sua pelle. Come sarà?
Dopo pensa al sabato che verrà. Cosa dirle?
Che sia da passare domani sera, davanti a casa sua?
Che lei venga fuori?
Il sonno viene, che Mòmi
nemmeno se ne accorge.

Gian Berra 2015

48
16
La mula Genova.

La mula Genova la dorme in piè,


e la para via i moscat, co la coda.
Tuta la not la pensa che doman
xe mercore, e Pierin,
al so paron va al marcà
a Montebelluna.
Sarà na gran giornada de caminar
co calma e giudizio da Maser
fin zo ala ostaria dell'Inferno a Carean.
Co Pierin al salta sul caretin, lu
al assa che la vada ela sola.
Genova xe na mula inteligente, la sa tute le fermade.
Quande che i xe rivadi
a Contea, ela la sa 'ndove spetar Pierin
che al va a catar la Rossa par
un sfogo natural. A lu no ghe basta pì la so femena
co la schena storta par sette fioi. Par lu
ghe vol carne zovena almanco par un dì
la setimana. Dopo quande che al vien fora
svodà da sto tormento de mascio,
anca la mula Genova la se incorde che lu

49
al xe ormai imbriago.
Quande che tuti dò i riva a Montebeluna,
xe ora de far i veri omi de marcà.
Col capel in man Pierin al se dondola,
co importanza, rente ai so amighi
a contar e bere, coi oci che varda furbi.
Al contratta, al ciapa i schei,
al promete altri affari.
Dopo su un canton, al va pissar sconto.
Pierin al al varda al sol su alt, dopo va a magnar
come i siori
sardele roste e nerveti teneri,
Col riva tacà la mula Genova che lo speta,
lu nol stà pì in piè.
Ma la pensarà ela a portarlo
a casa soa.
La mula Genova no la pensa mai massa,
i animai no pensa no.
Lori ghe basta far le robe
che i gha da far.
Doman xe come anquoi
sentadi su sogni
ormai stusadi, par la abitudine
de mai cambiar la strada fata.
Tacar a caminar oltra
ghe vol massa coraio.
E noialtri no semo pagadi
par sta roba.

Gian Berra 2015

La mula Genova.

La mula Genova dorme in piedi


e manda via le mosche con la coda.
Tutta la notte pensa che domani
è mercoledì, e Pierino,
il suo padrone va al mercato
a Montebelluna.
Sarà una gran giornata da camminare

50
con calma e giudizio da Maser
fin giù alla osteria dell'Inferno
a Caerano.
Quando Pierino salta sul carrettino,
lui lascia che lei vada da sola.
Genova è una mula intelligente,
che sa tutte le fermate.
Quando sono arrivati a Contea
lei sa dove aspettare Pierino
che va a trovare la Rossa per
uno sfogo naturale.
A lui non basta più la sua donna
con la schiena storta per sette figli.
Per lui ci vuole carne giovane,
almeno per un giorno la settimana.
poi quando esce, svuotato da
questo tormento da maschio,
anche la mula Genova si accorge
che è ormai ubriaco.
Quando che tutti e due arrivano
a Montebelluna,
E' ora di fare i veri uomini
di mercato.
Col cappello in mano Pierino si dondola,
con importanza, accanto ai suoi amici
a raccontare e bere,
con gli occhi che scrutano furbi.
Contratta, intasca soldi,
promette altri affari.
Dopo cerca un angolo,
e piscia di nascosto.
Pierino guarda il sole alto, poi
va a mangiare come i signori
sardelle arroste e nervetti teneri.
Quando arriva accanto alla mula Genova
che lo aspetta,
lui non sta più in piedi.
Ma ci penserà lei, da sola
a portarlo a casa sua.
La mula Genova non pensa mai troppo,
gli animali non pensano.
A loro basta fare le cose
che devono fare.

51
Domani è come oggi
seduti sui sogni
ormai spenti dall'abitudine
di mai cambiare la strada fatta.
A cominciare a camminare oltre
ci vuol troppo coraggio.
E noi non siamo pagati
per questo.

Gian Berra 2015

17
Giustina e poentina.

La caliera la se scalda
sula cadena sul larin.
Giustina la speta che la boie,
dopo la trà entro la farina.
La remena co esperienza
col mestol, la spaca i grum,
la remena ncora.
Dess la taca a coser.
Ghe vol sperienza par far na bona poenta,
ghe vol calma.
Al so om sé rivà ieri dala Svissera

52
dopo sie mesi lontan. Lu la gha vardada,
strucada coi oci pieni de voia
e dopo tirada co furia su in camera, sul let.
Dopo co na furia da toro, al gha sciopà
su de ela, tuta la voia
de mascio.
Dopo al gha ciapà sonno suito,
come mort.
Giustina lo vardea come se al fusse passà
al temporal.
Ocio! Remena la mestol, tendeghe
ala calierà.
Dopo, quande che la taca tirar massa,
la Giustina la trà la poenta
sula tola. Ma rente na tecia de figalet
coi fasioi la ciama. Ela la remena
col cuciaro, la saia se va ben.
Che al so om al torna par stasera?
La dò in ostaria tuti i farà festa a chi torna da lontan.
Che lu nol sia in bala? Che al torna san?
Ela la parecia la tola co calma e amor, sperando
che Toni nol riva pien de vin.
Col vin no se ragiona, se osa col coraio da inrabiaghi.
Se remena robe sconte col coraio dei ciuchi.
Se perde la calma.
E no se incontenta le femene.

Gian Berra 2015

Giustina e polentina.

La pentola si scalda
sulla catena del focolare.
Giustina aspetta che bolle,
poi butta dentro la farina.
La gira con esperienza
col mestolo, spacca i grumi,
la rigira ancora.
adesso comincia a cuocere.
Ci vuole esperienza per fare
una buona polenta.

53
Ci vuole calma.
Il suo uomo è arrivato ieri
dalla Svizzera
dopo sei mesi lontano.
Lui la ha guardata,
stretta a sé
con gli occhi pieni di voglia
e poi la ha tirata con furia
su in camera da letto.
Dopo, con furia da vero toro,
a scoppiato su di lei,
tutta la sua voglia
di maschio.
Poi ha preso subito sonno,
come morto.
Giustina lo guardava
come fosse passato il temporale.
Attenta! Gira il mestolo,
controlla la pentola.
Poi, quando comincia a legare
un po troppo,
Giustina butta
la polenta sul tavolo.
Ma accanto una padella
con le salsicce con i fagioli
la chiama. Lei assaggia col cucchiaio,
assaggia se va bene.
Che il suo uomo torna stasera?
Laggiù in osteria fanno festa a chi
torna da lontano.
Che lui non sia ubriaco? Che torna sano?
Lei prepara la tavola con calma
e amore, sperando
che Toni non arrivi pieno di vino.
Col vino non si ragiona, si grida
con il coraggio degli ubriachi.
Si rinvangano cose nascoste
col coraggio dei ciucchi.
Si perde la calma.
E non si accontentano le donne.

Gian Berra 2015

54
18
Al cervel del porzel

Co vien al fret me barba Feltrin al copa


al porzel.
Sè na roba da far in tanti, anca i bocie
ghe toca laorar. Le vecie le ghe tende al fogo.
Prima i ciama al becher, par coparlo.
Lu sé pratico, non pensa a quel che al fa. Lu lo fa e basta.
I ciapa al sangue su na caliera, dopo i pica
la bestia par netarla ben.
Che bel porzel! Che san!
Cortei, anca na manera, e dopo su na gran tola
i tochi da pareciar, omi e femene insieme,
no se scherza, no.
Tento, ciapa al figà, ocio neta ben le budele!
Taiaghe ben le recie, al nas, neta ben la testa.
Meti via i oss che fon al brodo.
Ma le bale onde ele? Domanda un bocia.

55
Ma so mare, seria la ghe dis che i ghe le
avea taiade da ceo. ..
No la ghe dis parché. No se pol dir ai bocete cei
come fa i paroni, par no far cressar la zente.
Sul fogo caliere e tecie da tenderghe.
Pena sot al portego, i parecia i figalet
e le sopresse che le vegnarà picade.
Guai a chi le toca, gnanca vardarle!
Ma tuti saia tocheti de carne pena sfigolata.
Che bona, che sana col vin novo.
No serve al pan, gnanca al formai.
Ma la femena de Feltrin, al paron de casa,
la sa che ghe toca a ela far content al so om.
Su na tecia, ela sola la ghe tende al toco meio
del porzel.
La ghe porta la tecia diretta in tola.
Solamente par lu.
Feltrin al nasa sto tesoro e al
fraca entro al piron, al saia in boca.
Ghe ride i oci.
Al cervel del porzel sé solamente par lu.
Al magna tuto, al beve do goti de vin.
Al gode sto previlegio solamente suo.
Che bel essar al cervel de tuti, al pensa.
Ma par far sta roba, sé necessario
anca magnar un toco del cervel
de quei altri.

Gian Berra 2015

Il cervello del porco.

Quando arriva il freddo mio zio


Feltrin uccide il porco.
E' una sosa da fare in tanti, anche ai bambini
tocca lavorare. Le vecchie custodiscono
il fuoco.
Prima chiamano il macellaio

56
per ucciderlo.
Lui è pratico, non pensa a quello che fa,
lo fa e basta.
Raccolgono il sangue su una pentola, poi
appendono la bestia per
pulirla bene.
Che bel porco! Che sano!
Coltelli, anche una accetta, e poi
su una gran tavola,
tutti i pezzi da lavorare.
Uomini e donne assieme,
non si scherza no.
Attento, prendi il fegato,
dai pulisci le budella!
Taglia le orecchie, il naso,
pulisci bene la testa.
Metti via le ossa,
che facciamo il brodo.
Ma dove sono le palle? Domanda un bambino.
Ma sua madre, seria gli dice che
gliele hanno tagliate
da piccolo...
Non gli dice il perché. non si può dire
ai bambini piccoli come
fanno i padroni a non far
crescere la gente.
Sul fuoco pignatte e padelle
da controllare.
Appena sotto il portico,
preparano le salsicce
e le sopresse che verranno appese.
Guai a chi le tocca! Nemmeno guardale!
Ma tutti assaggiano pezzetti di carne
appena sfrigolata.
Che buona, che sana col vin nuovo.
Non ci serve il pane
e nemmeno il formaggio.
Ma la donna di Feltrin, il padrone
di casa, sa che tocca a lei
far contento il suo uomo.
In una pentola, lei sola, bada al pezzo
migliore del porco.
Lei gli porta la pentola direttamente

57
in tavola. Solo per lui.
Feltrin annusa questo tesoro e
mette dentro la forchetta, assaggia
in bocca. Gli ridono gli occhi.
Il cervello del porco è solamente per lui.
Lo mangia tutto, beve
due bicchieri di vino.
Gode di tale privilegio,
solamente suo.
Che bello essere il
cervello di tutti, pensa.
Ma per fare così. è anche necessario
mangiare un pezzo di cervello
degli altri.

Gian Berra 2015

19
Gemo al sogna Venessia.

Anca qua a Miran, Gemo al camina


dopo magnà.Par far scampar i pensieri.
Al varda zo sul canal
quel che se specia, de le ville
dei siori che vegniva
da Venessia.
Tira un pocheto de vent,
che al suga via al sudor
che al vien su, anca
solamente a vivar.
Al pensa sempre a quande,
pena sposà, gha tocà
lassar la casa sul canal, zo in laguna.

58
No ghe ziera pì posto par lu.
Dopo quande che so mare xe morta,
gnanca pì tornà.
Al se pensa, da zoven al girar in nave,
tanti ani a vardar al mondo,
a scargar e cargar, mai co la calma
de tirar al fià.
Al sal al gha tirà la pel sui so oci.
La fadigha la pesa sui oss,
anca se la testa la varda dreta vanti.
Gemo, pensa all'udor, ala voia
de zugar vardando oltra, la zo in fondo,
ndove anca al ciel se confondea
col mar. No ghe ziera confin, gnanca
de pensar che gnente sarià mai cambià.
Che bel sognar, gustar de star sentadi
su na storia che la vardava se stessa.
Ma al temp xe assasino, a ne porta
fora. Al ne copa la speranza.
Lora sule recie, ghe torna la campana
che la ciamea le vecie e i bocie
matina prest, tuti a vardar lontan
al campanil. Bastea ela par tacar a vivar
naltro dì, a tirar entro la aria fresca
che vegnia dal mar.
No ghe ziera da pensar al futuro,
par quei che viveva su un quadro
co la cornize, tuta de oro.
Co sta richezza sul cor, Gemo
al sa che no la perdarà mai.
Al sa lu, che se anca i sogni,
prima o dopo i finisse,
Venessia xe un sogno,
che no finirà mai.

Gian Berra 2105

Gemo sogna Venezia.

Anche qua a Mirano, Gemo cammina

59
dopo mangiato. Per far scappare i pensieri.
Guarda giù sul canale
ciò che si specchia delle ville
dei signori che venivano
da Venezia.
Tira un po' di vento,
Che asciuga via il sudore
che viene su, anche solamente
a vivere.
Pensa sempre a quando,
appena sposato, gli è toccato
lasciare la casa sul canale, giù in laguna.
Non c'era più posto per lui.
Poi, quando sua madre è morta,
neanche più è tornato.
Ricorda, da giovane a viaggiare in nave,
tanti anni a girar il mondo,
a scaricare e caricare, mai con la calma
di tirare il fiato.
Il sale gli tira la pelle degli occhi.
La fatica gli pesa sulle ossa,
anche se la testa guarda dritta davanti.
Gemo pensa all'odore, alla voglia
di giocare guardando lontano
la in fondo,
dove il cielo si confondeva col mare.
Non c'era confine, nemmeno al pensare
che nulla sarebbe mai cambiato.
Che bel sognare, gustare di stare seduti
su una storia che guardava sé stessa.
Ma il tempo è assassino, ci porta fuori.
Ci uccide la speranza.
Allora alle orecchie, gli torna la campana
che chiamava le vecchie e i bambini
la mattina presto, tutti a guardare lontano
il campanile. Bastava lei
per cominciare a vivere
un altro giorno, e tirare dentro
l'aria fresca che veniva dal mare.
Non c'era da pensare al futuro
per quelli che vivevano dentro un quadro
con la cornice tutta d'oro.
Con questa ricchezza sul cuore, Gemo

60
sa che non la perderà mai.
Sa lui, che se anche i sogni
prima o dopo finiscono,
Venezia è un sogno,
che non finirà mai.

Gian Berra 2015

20
Gigeta de na olta.

Gigeta, come elo che son passà


tacà al to cortivo?
No so, almanco no me par.
Me son catà rente al to canciel de piera
e i sgrisoi i me gha robà al cor.
Che mal Gigeta, che mal.
Son tornà ai ani bei che no serviva ragionar.
Me bastea pensar a ti, che al mondo gavea un senso.
Mi vegnia a catarte, anca de inverno
su in moto. Che fret Gigeta.
Su là, mi sol, corar su na strada voda e scura.
E to mare che la me olea ben, la me verdea la porta.
E noialtri do sul divan a strucarse...
La toa pel xera un veludo da sognar.
Sentirte la tacà mi, un calor
de promesse, caresse che olea

61
sempre de pì.
Ma ti sempre tenta a no assar massa
far.
Un baso in boca, e ti calda come al fogo.
Dopo, che bel la domenega,
caminar insieme. Vardarte, come aver tacà mi
la pì bela del mondo.
E dopo, la sul bosc, ti assarme dar
na ciuciada ale tete.
Mi te vardea sui to oci, tento a no
farme vedar, da ti.
Oci che me robea l'anema.
Oci che i parea sempre ridar,
ma co un poca de superbia,
solamente un pocheta....
Gigeta, no te bastea no un toso
che sognava massa?
Ti tu olea de pì?
Che a le bele tose no ghe bastea
i sogni?
Xe sta un setembre che tu me a dita... basta?
Me son catà co na vita 'ncora tuta da vivar.
Ma senza de ti. Na vita tuta da inventar
col cor svodà.
Finia lora, a quei tempi i bei ani, finia i sogni.
Tachea a vegnirme rente
na realtà cossì si bruta, da scamparghe
via.
Lora, fursi xera de sognarghen n'altra
tuta par mi?
Che destin Gigeta, quel de vivar de sogni,
xe na strada rebaltada.
Ma mi no so far altro.
Gigeta, ti tu resta un sogno, un ricordo
sconto dai ani.
Dess che al xe tornà, al par sì bel
che son content de averlo
sempre co mì.

Gian Berra

62
Gigeta di una volta.

Gigeta, com'è che sono passato


accanto al tuo cortile?
Non so. almeno penso.
Mi sono trovato accanto al tuo cancello di pietra
e i brividi mi hanno rubato il cuore.
Che male Gigeta, che male.
Son tornato ai bei anni in cui non serviva ragionare.
Mi bastava pensare a te, che il mondo aveva un senso.
Venivo a trovarti, anche d'inverno
su in moto. Che freddo Gigeta.
Lassù, da solo correre su una strada vuota e scura.
E tua madre, che mi voleva bene, mi apriva la porta.
E noi sue sul divano a tenerci stretti...
La tua pelle era un velluto da sognare.
Sentirti accanto a me, un calore
di promesse, carezze che volevano sempre di più.
Ma tu sempre attenta a non lasciar
troppo fare.
Un bacio in bocca, e tu calda come il fuoco.
Dopo, che bello la domenica,
camminare assieme. Guardarti,
come ad avere accanto la più bella del mondo.
E poi la sul bosco, tu mi lasciavi
dare un succhiotto alle tette.
Io guardavo i tuoi occhi, attento a
non farmi notare da te.
Occhi che mi rubavano l'anima.
Occhi che parevano sempre sorridere,
ma con un poca di superbia,
solamente un poca...
Gigeta, non ti bastava un ragazzo
che sognava troppo?
Volevi di più?
Che alle belle ragazze
non bastano i sogni?
Era di settembre che mi hai detto.. basta?
Mi sono trovato con una vita tutta da vivere.
Ma senza di te. Una vita tutta da inventare,
col cuore vuoto.
Finivano allora, a quei tempi gli anni belli,

63
finivano i sogni.
Iniziava a venirmi incontro una realtà
così brutta, da scapparvi via.
Allora era forse da sognarne un'altra
tutta per me?
Che destino Gigeta, quello di vivere di sogni,
è una strada complicata.
Ma non so fare altro.
Gigeta tu resti un sogno, un ricordo
nascosto dagli anni.
Adesso che è tornato, pare così bello
che son contento di averlo
sempre con me.

Gian Berra

21
Setembre tornarà...

Setembre tornarà naltra olta, finio sto calt,


sti pensieri de svagarse
par scampar da sta vita rebaltada.
Le jornade se empierà
de robe che gha pressa.
E mai pi a ricordarse de ieri.

64
Cossita i ne roba al temp, a farne
pensar a quel che sarà,
par no vivar, quel che xe.
Che sto setembre al sia quel
che no i ne fregha pì?
Che sta olta sia de trar via i sogni
de un futuro de fum?
Che la zente la scominzia, dess
a vardarse coi oci
de quande i xera boce?
Saria come zugar, come tacar de novo,
co intusiasmo, co fiducia
a far le robe, tuti insieme
a iutarse a caminar.
O naltra olta a perdar temp
a lamentarse?
Che sia come nassar naltra olta,
co n'altra occcasion
par ridar e vardar oltra?
I furbi i xe drio, pareciadi
a robarne 'ncora un toco de vita.
Co ciacole i xe pronti
a ciavarne, e lori a ridar
e magnar un altro toco de la
nostra anema.Chi mai gavarà
al coraio, de no scoltarli pì?
De ridarghe drio, de sputanarli
col nostro silenzio?
E tacar a vardar oltra?

Gian Berra

Settembre tornerà...

Settembre tornerà un'altra volta,


finito questo caldo.
Questi pensieri di svagarsi
per fuggire a una vita ribaltata.
Le giornate si riempiranno di cose
che hanno fretta.
E mai a ricordarsi di ieri.
Così ci rubano il tempo, a farci

65
pensare a ciò che sarà,
per non vivere
ciò che è.
Che questo settembre sia quello
che non ci fregano più?
Che stavolta siano da buttare via
i sogni di un futuro
di fumo?
Che la gente cominci, adesso
a guardarsi con gli occhi di
quando erano bambini?
Sarebbe come giocare, come
iniziare di nuovo,
con entusiasmo e fiducia
a fare le cose tutti insieme,
ad aiutarsi a camminare.
O un'altra volta a perdere tempo
a lamentarsi?
Che sia come nascere un'altra volta,
con un'altra occasione
per ridere e guardare oltre?
I furbi son pronti,
a rubarci ancora un pezzo di vita.
Con chiacchiere, son pronti
a fregarci, e loro a ridere
e mangiare un altro pezzo
della nostra anima.
Chi mai avrà il coraggio
di non ascoltarli più?
Di ridergli dietro, di sputtanali
col nostro silenzio?
E cominciare a guardare oltre?

Gian Berra.

66
22
Al gregge veneto... su da Menin

Quande che al sol al va do, un pochet,


Menin al mola al beco e le so caore e pievore.
Libari su la val, tacà la acqua pena de sot.
Menin nol gha fantasia, al gha ciamà
al beco Venessia. Sto mascio, co onor
al fa ogni ano al so dover.
Almanco diese gnei i nasse in primavera.
Tuti pronti a saludar la Pasqua, co onor
de essar fioi sani, boni e de bona razza.
No i se domanda parchè, gnanca
i pensa de pensar.
Par lori pensa al so paron.
Gnanca i sa chi che al sia Lu.
Ma no se vive senza.
La vita i ne la fa i altri,
noialtri son qua par la soa volontà.
La volontà del paron sconto xe legge.

67
Un paron sconto, no se pol vedarlo,
gnanca parlarghe, gnanca vardarlo.
Al paron furbo se sconde,
a ghe da la colpa ai altri, quei che osa.
Cossita al ne roba la anema,
a ne fa odiar tuti
fora che lu.
Sempre ghe sarà gnei da vendar,
sempre ghe sarà chi li compra
e magnar par tuti.
Basta rispetar
al paron sconto.
E far i boni.

Gian Berra

Il gregge veneto di Menin

Quando il sole va giù, un pochino.


Menin libera il montone e le sue capre e pecore.
Liberi sulla valle, accanto all'acqua
appena sotto.
Menin non ha fantasia, ha chiamato
il caprone Venezia.
Questo maschio, con onore
fa ogni anno il suo dovere.
Almeno dieci agnelli
nascono in primavera.
Tutti pronti a salutare la Pasqua,
con onore di essere figli sani, buoni
e di buona razza.
Non si domandano perché, nemmeno pensano di pensare.
Per loro pensa il loro padrone.
Nemmeno sanno chi sia Lui.
Ma non si vive senza.
La vita ce la fanno gli altri.
noi siamo qui per la loro volontà.
La volontà del padrone nascosto
è legge.
Un padrone nascosto, non puoi vederlo,
nemmeno parlargli, nemmeno guardarlo.

68
Il padrone furbo si nasconde.
Lui da la colpa agli altri, quelli
che osano.
Così ci ruba l'anima,
e ci fa odiare tutti
fuori che Lui.
Sempre ci saranno agnelli da vendere,
sempre ci sarà chi li compra,
e magiare per tutti.
Basta rispettare
il padrone nascosto.
E far i buoni.

Gian Berra

23

Bandiera verda,

I xe vegnisti fora
dala val Brembana
co rabia vecia da sfogar.
No o gavea 'gnent da far, ma furbi
e co coraio de tentar la fortuna
de finalmente comandar.
Xe bastao urlar, dir robe mate, ma vere.
De farghe capir ai 'gnoranti che i xera
servi de qualcheduni,

69
e che dess xe rivà quei che poderà
metar le robe a posto,
basta che dess i ghe vol ben
ala bandiera verda.
Dopo i xe rivadi anca qua in Veneto,
e i gha scaturà tuti co sta strazza.
Dopo i se gha incorto anca del Leon.
I gha tirà fora sta strazza rossa e marza, e i gha fato
tanto disio disendo che la xera la nostra strazza personal.
Lori e quei che ghe 'ndava drio i la gha picada
su tuti i comuni.
Morte segura a quei che sporca sta strazza col Leon.
Noialtri, zente sana del Veneto, gavemo finalmente
catà la nostra bandiera e guai a chi la toca.
Sarà Ela, la sacra strazza, al simbol
che ne rendarà liberi.
No importa chi la porta, no importa
chi xe al paron de sta strazza.
No importa i so paroni veci, o quei novi.
A noialtri, veneti libari, pieni de fede,
ghe andaremo drio fin ala mort.
Parché solamente noialtri, i veri veneti libari,
gavemo la bandiera rossa de san Marco,
e nostra la sarà la vittoria.
Urlaremo stà verità par sempre!
Viva la strazza!

Gian Berra 2014

70
Gian Berra
Studio e abitazione:
Via Monte Ortigara 9A/1
31044
Montebelluna TV
Email gianberr@gmail.com

https://www.facebook.com/gian.berra

https://www.scribd.com/gianberra

ttps://sites.google.com/site/gianberrasite/

71

Potrebbero piacerti anche