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RAPHAËLLE GIORDANO
LA TUA SECONDA
VITA COMINCIA
QUANDO CAPISCI
DI AVERNE UNA SOLA
Traduzione di
SARA ARENA
www.garzantilibri.it
facebook/Garzanti @garzantilibri
www.illibraio.it
ISBN 978-88-11-14666-7
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del mio capo rappresentava un potenziale bacino commer-
ciale sufficiente a giustificare il mio spostamento. O forse
le sue motivazioni erano meno razionali. Da quando mi
aveva concesso il part-time su quattro giorni, infatti, avevo
la spiacevole sensazione che me la facesse pagare affidan-
domi tutti gli incarichi che gli altri snobbavano. Questo
avrebbe spiegato perché mi trovavo rinchiusa in quella sca-
tola semovente a percorrere in lungo e in largo le strade
delle periferie parigine, occupandomi di faccende senza
importanza.
“Su, Camille... Smettila di rimuginare e concentrati sulla
guida!”
All’improvviso, un botto: un rumore spaventoso che fece
schizzare la mia frequenza cardiaca a centoventi battiti al
minuto e mi costrinse a sbandare in modo incontrollabile.
Picchiai la testa contro il parabrezza e constatai di persona
che quella storia della vita che ti passa davanti in due secon-
di non è una leggenda metropolitana. Dopo qualche istan-
te di stordimento, ripresi coscienza e mi toccai la fronte...
Niente di vischioso, solo un grosso bernoccolo. Rapido
check-up: nessun altro dolore da segnalare. Più spavento
che male, per fortuna!
Uscii dalla macchina coprendomi alla bell’e meglio con
l’impermeabile per andare a constatare i danni: uno pneu-
matico bucato e un’ammaccatura sulla fiancata. Passata la
paura, la rabbia prese il sopravvento. Come diavolo era pos-
sibile totalizzare una simile quantità di rogne in una sola
giornata? Mi buttai sul cellulare come se fosse una boa di
salvataggio. Ovviamente non prendeva. La cosa non mi
stupì più di tanto perché ormai ero rassegnata alla mia iella.
Passarono alcuni minuti. Niente. Nessuno. Ero sola in
quel bosco deserto. L’angoscia iniziò a montare, prosciu-
gandomi ancora di più la gola già secca.
“Ma muoviti, insomma, invece di farti prendere dal pani-
co! Ci sarà pure qualche casa nei paraggi...”
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Abbandonai il rassicurante abitacolo per affrontare co-
raggiosamente gli elementi, agghindata con l’elegante giub-
botto di soccorso catarifrangente. Del resto, à la guerre com-
me à la guerre ! E a essere sinceri, viste le circostanze, il gla-
mour non era la mia preoccupazione principale...
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In quel momento una donna elegante, che indovinai es-
sere sua moglie, venne verso di noi. Aggrottò le sopracci-
glia solo per un attimo, ma non appena mi vide entrare in
casa il suo bel viso si distese.
«Tutto a posto, amore?»
«Sì, sì. Questa signora ha avuto un incidente con la mac-
china e il cellulare nel bosco non prendeva. Ha solo biso-
gno di fare una telefonata e di riprendersi un po’.»
«Ah sì, certo...»
Vedendomi congelata, mi propose gentilmente una tazza
di tè, che accettai senza farmi pregare.
Mentre si eclissava in cucina, il marito scendeva le scale
con l’asciugamano.
«Grazie, signore, è molto gentile.»
«Claude. Mi chiamo Claude.»
«Ah... Io Camille.»
«Tenga, Camille. Il telefono è lì, se vuole.»
«Perfetto. Sarò veloce.»
«Si prenda il tempo che le serve.»
Andai verso l’apparecchio, appoggiato su un mobile di
legno pregiato sopra il quale troneggiava un’opera d’arte
contemporanea. Decisamente quei due avevano tutta l’aria
di avere buon gusto e di passarsela piuttosto bene... Che
fortuna essere capitata in casa loro (e non nell’antro di un
orco mangiatore di desperate housewives sull’orlo di una crisi
di nervi)!
Alzai la cornetta e composi il numero dell’assistenza del-
la mia assicurazione. Dal momento che non ero in grado di
fornire l’esatta ubicazione dell’auto, chiesi il permesso ai
miei ospiti di dare il loro indirizzo per il carro attrezzi. Mi
fu assicurato che sarebbe arrivato entro un’ora. Provai un
gran sollievo: le cose si mettevano bene.
Poi chiamai casa mia. Per discrezione, Claude afferrò
l’attizzatoio e andò a occuparsi del fuoco che crepitava nel
camino, dall’altra parte della stanza. Dopo otto intermina-
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bili squilli, finalmente mio marito rispose. Dalla voce capii
che doveva essersi addormentato davanti alla televisione.
Nonostante tutto, non sembrava né molto sorpreso né par-
ticolarmente sollevato nel sentirmi. Era abituato a vedermi
tornare abbastanza tardi. Gli raccontai la mia disavventura.
Punteggiò le mie frasi di onomatopee infastidite e schioc-
chi di lingua contrariati, poi mi fece qualche domanda tec-
nica. Quando sarebbe arrivato il carro attrezzi? Quanto sa-
rebbe costato? Avevo i nervi a fior di pelle e quel comporta-
mento mi faceva venire voglia di mettermi a urlare. Non
avrebbe potuto mostrare un po’ di empatia, una volta tan-
to? Riattaccai furibonda dopo avergli detto che me la sarei
cavata e di non aspettarmi per andare a letto.
Le mani mi tremavano e sentii gli occhi inumidirsi. Non
mi accorsi di Claude che si avvicinava, e quando mi sfiorò
una spalla sobbalzai.
«Tutto a posto? Si sente bene?» mi chiese con voce affabi-
le, nel tono che avrei tanto voluto sentire da mio marito
qualche secondo prima. Si accovacciò per essere all’altezza
del mio viso e ripeté: «Tutto a posto? Si sente bene?».
A quel punto, qualcosa in lui mi fece crollare: le mie lab-
bra presero a tremolare e non riuscii più a trattenere le la-
crime che premevano già da un po’... Ecco fatto: maschera
di rimmel sul viso e libero sfogo a tutte le frustrazioni accu-
mulate nelle ultime ore, nelle ultime settimane, negli ulti-
mi mesi...
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medico; mi direbbe che sono depressa e mi riempirebbe di
farmaci! Invece si tratta solo di una specie di abbattimento...
Niente di grave, ma... è come se avessi il cuore anestetizzato.
Non so più se tutto questo ha un senso!»
Le mie parole sembravano toccarlo, tanto che mi chiesi
se non lo facessero pensare a qualcosa di molto personale.
Anche se ci conoscevamo da meno di un’ora, tra noi si era
creato un clima di sorprendente complicità. Estranea fino a
pochi minuti prima, con il mio sfogo d’un tratto avevo sca-
lato diversi livelli di intimità, creando un legame precoce
tra le nostre storie.
Quello che gli avevo confessato aveva visibilmente fatto
vibrare in lui una corda profonda, che lo riempiva di un de-
siderio sincero di consolarmi.
«“Abbiamo altrettanto bisogno di ragioni per vivere che
di mezzi per vivere”, diceva l’Abbé Pierre. Non deve dire
che non ha importanza. Ne ha moltissima, invece! I mali
dell’anima non vanno presi alla leggera. Ascoltandola, ho
quasi l’impressione di sapere di cosa soffre...»
«Davvero?» chiesi tirando su con il naso.
«Sì.» Esitò un istante, come se cercasse di indovinare se
sarei stata o no ricettiva alle sue rivelazioni... Dovette rite-
nere di sì, perché proseguì, in tono confidenziale: «Lei pro-
babilmente soffre di una forma di abitudinite acuta».
«Cosa?»
«Abitudinite acuta. È una malattia dell’anima che colpi-
sce sempre più persone nel mondo, soprattutto in Occi-
dente. I sintomi sono quasi sempre gli stessi: calo motiva-
zionale, incupimento cronico, perdita di punti di riferi-
mento, difficoltà a essere felici nonostante il benessere e
l’abbondanza di beni materiali, disincanto, stanchezza...»
«Ma... come fa a dirlo?»
«Sono un abitudinologo.»
«Abitudi-che?»
Era surreale!
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forti e positivi. Per esempio: A come Amore (descrivete
i vostri più bei momenti di coppia), o Arturo (i bei mo-
menti passati con vostro figlio), o Antibes (se ci avete
trascorso delle meravigliose vacanze), o Arti marziali
(se il ricordo di una medaglia vi riempie d’orgoglio)
eccetera. Descrivete il ricordo con precisione (l’am-
biente, le persone...) e riportate nel dettaglio anche le
vostre sensazioni fisiche ed emotive.
TRIANGOLO DRAMMATICO
Il triangolo drammatico è uno schema che descrive i
tre ruoli simbolici in cui ci possiamo calare di volta in
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volta, più o meno consapevolmente, nell’ambito di
una relazione negativa: quello della vittima, quello del
persecutore e quello del salvatore. In uno schema simi-
le non sono contemplati esiti favorevoli, a meno di
uscire dal gioco.
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