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FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

CORSO ISTITUZIONALE - PADOVA

MARCELLO MILANI

INTRODUZIONE
ALLA PROFEZIA
E ALL’APOCALITTICA

Michelangelo: Isaia (Cappella Sistina)

ANNO ACCADEMICO 2012/2013


Albrecht Dürer, san Girolamo nel suo studio (xilografia)

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I PROFETI
NELLA RICERCA BIBLICA MODERNA
Bibliografia
P.H.A. NEUMANN, Das Prophetenverständnis in der deutschsprachigen Forschung seit Heinrich
Ewald, in: IDEM (Hrsg), Prophetenforschung seit H.Ewald, Wissenschaftliche Buchgesell-
schaft 1979, pp. 1-51.
J.L. SICRE DIAZ, La investigacion profetica en este siglo, in: L. ALONSO SCHÖKEL-J.L. SICRE DIAZ,
Profetas, 2 voll., Ediciones Cristianidad, Madrid 1980 (it. I Profeti, 1 vol., Borla, Roma
1984), vol. I, pp. 29-80.
J. BLENKINSOPP, Storia della profezia in Israele (Biblioteca Biblica 22), Queriniana, Brescia 1997
[Prolegomena: Definizione dell’oggetto di studio, pp. 15-52].

1. Concetto tradizionale
Cristiano: i profeti sono i precursori e i preditori di Cristo.
Giudaico: il profeta trasmette la legge, scritta e orale. Al massimo, esplicita ciò che era solo
implicito nella rivelazione sinaitica. L’epoca della rivelazione si conclude con l’ultimo pro-
feta (b.Sanh. 11a; b.Yoma 9b; b.Sotah 48b). Tuttavia, la profezia, di fatto, continua nella
composizione dell’opera scritta.

2. Critica moderna
«Uno dei risultati più significativi della ricerca biblica del XIX sec. fu la riscoperta della
profezia come una categoria religiosa distintiva» (Blenkinsopp).
2.1. Metodo della critica letteraria. Distingue il messaggio «autentico» dalle «aggiunte»
posteriori. Dimentica o è indifferente al contesto politico e culturale di Israele.
2.1a. Considera il profeta con un messaggio per il presente; esso rappresenta il culmine eti-
co e spirituale della coscienza religiosa di Israele. Trascura il periodo postprofetico come
decadenza e presenta negativamente il giudaismo del 2° tempio.
2.1b. Nel caratterizzare il profeta si avverte l’influsso delle ideologie. Romantica: Herder,
Eichhorn, Delitzsch. Il profeta è il «genio religioso». Hanno poca stima per le istituzioni re-
ligiose e rituali in particolare. Idealista: Ewald, Duhm. Il profeta è il punto fondamentale
per l’interno sviluppo della religione israelitica.
Ewald offre un quadro ideale: i profeti sono uomini che fanno germogliare il germe di
verità, posto in loro, ma altrimenti morto o spento. È l’interprete e proclamatore del pen-
siero di Dio; un apostolo del rinnovamento spirituale, impegnato e coinvolto negli eventi
del suo tempo. Egli stesso, per il suo impegno «profetico», dovette subire le ire di Bismark
con la prigione e la privazione della cattedra.
Duhm, considera l’ideale etico dei profeti come l’essenza della vera religione, sorgente
dalla esperienza diretta e interiore, personale di Dio. Enfatizza perciò la missione, le visioni
e le esperienze straordinarie del profeta. Nel suo commentario a Isaia pone per primo il
problema del Tritoisaia [esplicita il suo metodo]; distingue tre stadi di sviluppo nella reli-
gione ebraica: mosaismo, profetismo, giudaismo.

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2.2. Metodo storico-critico; storia delle religioni. Prestano attenzione al contesto storico,
politico, culturale e sociale. Affrontano diversi temi e problemi qui riassunti.
2.2.1. RIVELAZIONE E RECEZIONE DEL MESSAGGIO
Wellhausen, stabilisce la priorità storica del profeti sulla Legge. Gunkel tenta di esami-
nare la segreta esperienza del profeta in comunione con Dio. Questa incomunicabile e ine-
splicabile esperienza è per lui l’essenza della profezia. Hölscher studia i fenomeni estatici
legati alla cultura agraria (cf. pratiche cananee) e al culto, specialmente durante i sacrifici e
in luoghi sacri dedicati alle divinità della vegetazione. Si tratta di fenomeni collettivi, da
cui emergono personalità singole (cf. Elia, Eliseo). Lindblom rivendica all’essenza della
profezia non la “unio mystica” medievale o introspezione religiosa, ma l’obbedienza e la
fede e il comportamento che le esprime: la religione dei profeti è estrospettiva, è religione
di fede. Vengono superate impostazioni unilaterali rompendo il cerchio psicologico e ac-
cettando altri valori nella spiegazione della misteriosa vocazione profetica.
2.2.2. GENERI LETTERARI
Vengono studiati con il metodo delle forme letterarie i momenti di formazione delle diver-
se tecniche oracolari: l’attenzione si è troppo soffermata sugli oracoli di minaccia, trascu-
rando i messaggi di salvezza. Vengono paragonate e inserite con le tecniche di predizioni
oracolari e con il linguaggio presenti in religioni e gruppi somiglianti ai profeti veterote-
stamentari. Gunkel con la «Gattung» studia le forme tipiche delle espressioni profetiche e
pone il problema dell’ambiente e della tradizione che le hanno generate. Alonso lamentava
che questo terreno sia ancora sottosviluppato1.
2.2.3. PROFEZIA E CULTO
Forse è stato anche troppo studiato. Mowinckel, oltre a continuare Gunkel, distingue tra di-
scorso originale e sermoni deuteronomistici secondari (in prosa: Geremia) e studia la di-
namica della trasmissione orale; accentua il legame con il culto e i circoli cultuali. Gli studi
sono stati spesso in contrasto su questo punto (legato al discorso sui generi letterari): a fa-
vore sono ad es. Würtwein e Weiser, contro Begrich e Böker2.
2.2.4. VERO E FALSO PROFETA
Il problema è affrontato soprattutto nello studio di Geremia. La ricerca di chiari criteri di-
stintivi del vero dal falso profeta costituisce un ostacolo insuperabile. Non esistono criteri
assoluti all’interno della storia dell’AT. Si affina, invece, il metodo: Hossfeld e Mayer in-
centrano l’attenzione sui “conflitti” tra profeta e profeta per cercare un modello orientativo
nei criteri distintivi usati dagli stessi profeti.
2.2.5. PARALLELI CON IL MONDO ORIENTALE
Il lavoro è stato abbondante (soprattutto tra gli studiosi di lingua inglese), nel confronto con
l’ambiente cananeo (fenomeni estatici, il termine nāvî’) e mesopotamico (terminologia ed
esperienze a Mari, ecc.) e, con minori risultati, conn il mondo egiziano. Emerge così
un’immagine più precisa della preistoria della profezia. Il profeta avanza in mezzo alla sto-
ria generale delle religioni dell’Antico Oriente, portandolo al suo culmine e originalità. Ne
è risultata arricchita la conoscenza relativa alle tecniche di predizioni oracolari in religioni
e gruppi somiglianti ai profeti veterotestamentari.

1 Una buona sintesi in C. WESTERMANN, Grundformen der prophetischen Rede, München 1960; la recensione di
L. ALONSO SCHÖKEL, «Genera litteraria prophetica», VD 39 (1961) 185-192 (completa il discorso); Estudios de
poética Ebrea, Juan Flores, Barcelona 1963; Manuale di poetica ebraica, Queriniana, Brescia 1989.
2 Il problema in R. RAMLOT, DBS VIII, coll. 1161-1162.

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2.2.6. LA CRITICA SOCIALE E LA COLLOCAZIONE SOCIALE DEI PROFETI
Il profeta proviene da diversi ambienti e condizioni sociali. Ma l’attenzione si posa sul
momento della vocazione e al suo seguito. La critica sociale implica il rapporto del profeta
con il re e con il popolo.
Max Weber sottolineava il fatto che la profezia estatica in sé significò un atto di ribel-
lione collettiva, ritualizzata, contro le strutture di potere della società, per valorizzare la
stima di sé in gruppi spesso periferici e marginali. Rimane la concreta denuncia profetica
contro una società in cui i diritti della persona sono dimenticati, e dove si diffondono la
fame e la miseria. Nella «terra» si passa da una società organizzata collettivamente al mo-
dello di interessi individuali. È la crisi della solidarietà dentro l’antica organizzazione3.
Gli studi non permettono di fare dei profeti né dei riformisti, né degli agitatori di classe.
Non sono neppure proclamatori dell’ideale romantico del deserto. Il profeta fa una critica
serrata delle condizioni disumane, che spesso condivide (Michea), in nome dell’alleanza
(Amos, Osea e Isaia). Ma assume anche la funzione di «intercessore» per il popolo (Am 7-
9) e di annunciatore della speranza.
2.2.7. ESCATOLOGIA PROFETICA
È studiata da E. Rohland e Müller. L’escatologia implica un rapporto con la storia, ma
proietta verso un superamento del passato: nuovo esodo, nuova alleanza, “resto”, messia-
nismo.

3. Oggi
Si avverte una certa sfiducia nella capacità di operare una precisa distinzione nella forma
dei testi, come pure un certo squilibrio tra analisi e sintesi: tanta analisi al microscopio e
con il bisturi per mostrare la realtà occulta della profezia, ha atomizzato e disperso gli ele-
menti. Si avverte il bisogno di una sintesi degli elementi essenziali.
Senza dimenticare i risultati raggiunti in precedenza, si accentua la lettura unitaria del
testo, sincronica, non solo diacronica. Nasce l’analisi letteraria e retorica e l’analisi simbo-
lica del testo come di fatto è giunto a noi. In tal senso si veda l’opera citata di Luis Alonso
Schökel sulla poetica ebraica e il suo commentario sui profeti. Per Isaia si veda Rémy
Lack, che si rifà alle tecniche della linguistica e stilistiche e alla teoria di Durand sull'im-
maginario. Si veda anche l’analisi strutturalista dello stesso autore, che illustra anzitutto la
nozione di «interdipendenza»: il testo è colto come un «sistema di rapporti di intelligibilità
reciproche», che costituiscono «un insieme»4. Per un’analisi sociologica delle varie istitu-
zioni o liedership intellettuale («i maggiori specialisti religiosi») e dei loro rapporti
nell’antica società israelitica, tra i quali i profeti, si veda Lester L. Grabbe e J. Blenkin-
sopp5.

3 Cf le analisi in WALTER, Propheten, pp. 14-80 e G. WANKE, Sozialkritik.


4 Cf R. LACK, La symbolique du livre d’Isaïe. Essai sur l’image littéraire comme élément de structuration
(Analecta Biblica 59), PIB, Roma 1973; IDEM, Letture strutturaliste dell’antico testamento, Borla, Roma 1978:
con due capitoli introduttori e teorici: «Il mondo dell’immagine e del simbolo»; «La poesia, perché, come?»; e
due esempi sui profeti: «L’universo simbolico del secondo Isaia (40-45)» (pp. 38-64), e «Osea 4-14: un universo
semantico» (pp. 129-149).
5
L.L. GRABBE, Sacerdoti, profeti, indovini, sapienti nell’antico Israele, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
1998; J. BLENKINSOPP, Sapiente, sacerdote, profeta (Studi biblici 146), Paideia, Brescia 2005.

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BIBLIOGRAFIA (con * i consigliati)
INTRODUZIONI
* J.M. ABREGO DE LACY, Libri profetici (Introduzione allo studio della Bibbia 4), Paideia, Brescia 1995 (è valida
e utile soprattutto l’analisi letteraria dei libri).
* AA.VV., I profeti e i libri profetici (Piccola Enciclopedia Biblica 4), Borla, Roma 1987 (ottima introduzione
con temi teologici e utile indice analitico) (= PEB).
* AA.VV., Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1988; G. SAVOCA, Profezia,
pp. 1232-1247; sui singoli profeti, alle voci corrispondenti (= NDTB).
* AA. VV, La Profezia, PSV 41 (2000), 264 pp.: una rassegna degli aspetti essenziali svolti con competenza e
semplicità
* J. BLENKINSOPP, Storia della profezia in Israele (Biblioteca Biblica 22), Queriniana, Brescia 1997, (inglese: A
History of Prophecy in Israel, The Westminster Press, Philadelphia 1983, 19962).
R. CAVEDO, Profeti. Storia e teologia del profetismo nell’Antico Testamento, S. Paolo, Cinisello Balsamo 1995.
H. CAZELLES (cur.), Les prophètes, Introduction e Critique à l’Ancien Testament, Desclée & Cie, Paris 1973, pp.
329-475.
* G. CAPPELLETTO-M.MILANI, In ascolto dei profeti e dei sapienti, EMP, Padova 42006 (1996).
C. GROTTANELLI, Profeti biblici, Morcelliana, Brescia 2003.
H. GUNKEL, I profeti, Sansoni, Firenze 1967 (Die Propheten, Göttingen 1917; è un classico).
N. LOHFINK, I profeti ieri e oggi (GdT 16), Queriniana, Brescia 1967.
* B. MARCONCINI e coll., Profeti e Apocalittici,(Logos 3) Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994.
J.P. PREVOST, Per leggere i profeti, Massimo, Milano 1997 (Pour lire les profètes, Du Cerf, Paris 1995).
G. RAVASI, I profeti, Ancora, Milano 1986.
G. SAVOCA, I profeti di Israele: voce del Dio vivente (La Bibbia nella storia, 3), EDB, Bologna 1985.
A. SPREAFICO, La Voce di Dio. Per capire i profeti (Collana Studi biblici, 33) EDB. Bologna 22002.
* E. ZENGER (ed.), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 2005.
PER UNA VISIONE EBRAICA
M. BUBER, Der Glaube der Propheten, in Werke II: Schriften zur Bibel, München 1964; ital. La fede dei profeti,
Marietti, Torino 1985.
A. HESCHEL, The Prophets, New York; ital. Il messaggio dei profeti, Borla, Roma 1981.
A. NEHER, L’essence du prophétisme, Paris 1955; ital. L’essenza del profetismo, Marietti, Torino 1984.
A. ROFÉ, Storie di profeti. Le narrazioni sui profeti della Bibbia ebraica. Tipi letterari e storia, Paideia, Brescia
1994 (evita ipotesi globali sulla redazione, rivaluta il contributo delle storie come fonti per la storia politica e
religiosa di Israele).
__________, Introduzione alla letteratura profetica, Paideia, Brescia 1995.
_________, Introduzione alla letteratura della Bibbia ebraica. 2. Profeti, salmi e libri sapienziali
(Introduzione allo studio della Bibbia 49), Paideia, Brescia 2011.
TEOLOGIA E COMMENTARI
* L. ALONSO SCHÖKEL - J.L. SICRE DIAZ, Profetas, 2 voll., Ediciones Cristianidad, Madrid 1980; ital. I profeti,
Roma, Borla 1984 (un commentario completo ed essenziale, molto utile, preceduto da una introduzione agli
studi sul profetismo e alle sue problematiche).
* R. RAMLOT, Prophétisme, in DBS VIII, pp. 801-904.911-1222 (un articolo poderoso sul tema).
* J.L. SICRE, I profeti d’Israele e il loro messaggio, Borla, Roma 1989 (con essenziali tematiche teologiche che
attraversano tutti i libri profetici; riprende un po’ l’introduzione al commentario con Alonso).
* __________, Profetismo in Israele, Borla, Roma 1995 (completa le opere precedenti secondo tre linee: il pro-
feta; i profeti [secondo la storia]; il messaggio).
* W. VOGELS, I profeti. Saggio di teologia biblica, EMP, Padova 1994 (ed. francese, Ottawa 1990).
* G. VON RAD, Teologia dell’AT, vol. II: Teologia delle tradizioni profetiche, Paideia, Brescia 1974 (sintesi dei
frutti della ricerca storico-critica).
M DAHOOD, «I libri profetici e sapienziali dell’AT alla luce delle scoperte di Ebla e di Ugarit», in Civiltà Cattoli-
ca 129, 2 (1978), pp. 546-556 (un particolare confronto con il mondo culturale circostante).
J. BLENKINSOPP, Sapiente, sacerdote, profeta. La leadership religiosa e intellettuale nell’Israele antico (Studi
biblici 146), Paideia, Brescia 2005.
W. BRUEGGEMANN, Teologia dell’Antico Testamento. Testimonianza, dibattimento, perorazione (Biblioteca bi-
blica, 27), Queriniana, Brescia 2002.

6
IL FENOMENO DELLA PROFEZIA:
I SEGNI DI DIO NELLA STORIA
1. Terminologia: ‫ נׇ ׅביא‬- nābî’
Il termine ebraico più frequente per designare il profeta è nābî’. Dalla radice nāba’
(chiamare, parlare), il termine sta a significare: «colui che proclama» (participio attivo), o:
«colui che è chiamato» (participio passivo). Esso è dunque in relazione con la vocazione e
la missione del profeta: è chiamato per essere messaggero e interprete della parola divina.
Ciò appare anche dai due passi di Es 4,15-16 e 7,1: Aronne sarà l’interprete di Mosè come
fosse «sua bocca» e Mosè fosse «il dio che lo ispira»; Mosè sarà «un dio per il faraone» e
Aronne sarà il suo «profeta». Tale accentuazione della parola è percepibile nella vocazione
di Geremia: «Io ti metto le mie parole sulla bocca». È chiamato per la parola che Dio gli
ha rivelato e consegnato. Anche il termine greco προφήτες (προ-φηµι) non va inteso come
annunzio del futuro («prima» in senso temporale, «pre-dire»), ma come annuncio «in nome
di», «al posto di» Dio o «davanti a», cioè in pubblico.
Meno probabile è la derivazione del termine da nāba‘, «delirare, ebollire, effondere»,
con riferimento a uno stato estatico, che portava il profeta «fuori di sé»: ’îš mešuggāh (cf.
Dt 28,34; 1Sam 21,16), uomo che parla e agisce in modo incontrollato (Ger 29,26; Os 9,7),
invasato (2 Re 9,11), detto in senso spregiativo dei profeti (cf nìp, «vaticinare», lett. «sba-
vare», in Am 7,16). Una serie di altri termini designava il profeta: rô’ēh, ḥōzēh, «veggen-
te», ad indicare forse fenomeni estatici o sogni e visioni, che accompagnavano i profeti an-
che in Israele. Talora è detto anche ’îš ’elōhîm, «uomo di Dio», «amico di Dio» o ’îš
hāruăḥ, «uomo dello spirito, ispirato».

2. Esistenza del profetismo nell’antico oriente6


Geremia, indirettamente, ci attesta l’esistenza di profeti anche fuori di Israele, quando si
rivolge ai re dei popoli e associa i profeti ad altre categorie divinatorie: «Non ascoltate i
vostri profeti, né i vostri indovini, né i vostri sognatori, né i maghi, né i vostri stregoni, i
quali vi stanno dicendo: “Non servite il re di Babilonia”» (27,9).
Del resto, l’episodio di Balaam in Num 22-24, presenta una figura misteriosa che resta
ambigua nella tradizione giudaica: è un profeta straniero, che parla in nome del Signore,
ma anche, secondo la medesima tradizione, avrebbe suggerito al re di Moab, Balak, di
pervertire Israele, che era senza iniquità, facendolo deviare nella sua religione; allora sa-
rebbe diventato debole e vincibile. Il libro di Giosuè informa che fu ucciso da Israele in-
sieme agli altri nemici e lo definisce «indovino» (haqqôsēm, Gs 13,22). Il nome di Bala-
am profeta è attestato, fuori della Bibbia, in una iscrizione su intonaco dell’VIII sec. a.C.
rinvenuta nel 1976 a Deir ‘Alla, in Giordania, poco a nord della confluenza dello Yab-
boq nel Giordano. Balaam figlio di Beor è «colui che vide gli dei» e ricevette la «rivela-
zione di El»7: ha una visione notturna di tipo catastrofico che trasmette alla comunità.
La narrazione di Numeri è interessante, soprattutto quando ne descrive la figura. I
tratti che lo caratterizzano lo accostano a quanto dice il libro del Deuteronomio sul pro-

6
Su questo argomento segnalo R. RAMLOT, Prophétisme, in DBS VIII, pp.812-908; J.L. SICRE, Profetismo in
Israele, Borla, pp. 226-259; P. MERLO, «Il profetismo nel Vicino Oriente antico: panorama di un fenomeno e
difficoltà comparative», RSB 21 (1/2009) 55-83; C. GROTTANELLI, Profeti biblici, Morcelliana, Brescia 2003.
7
Sull’argomento, cf J. HOFTIJZER – G. VAN DER KOOIJ (edd.), The Balaam Text from Deir ‘Alla Re-
evaluated. Proceedings of the International Symposium Held at Leiden 21-24 August 1989, Leiden 1991.

7
feta (cf Dt 18,13-20). In Nm 24,3-4 «lo spirito di Dio fu su di lui» (condizione estatica,
animazione divina tipica del profeta); è «l’uomo dall’occhio penetrante» (Cei) o dallo
sguardo misterioso (visionario?)8, vede la visione dell’Onnipotente, cade (o riceve
l’oracolo) e i suoi occhi si aprono» (rivelazione; in estasi?), «ascolta parole di Dio, cono-
sce la scienza dell’Altissimo (partecipa dei suoi piani, cf Am 3,7). La sua profezia mo-
stra la profonda esperienza e comunicazione con Dio, non collegata all’olocausto, ma
all’incontro con il Signore (Jhwh) che «venne a lui di notte» (come nella iscrizione di
Deir ‘Alla), «in luogo deserto» (come Mosè). Egli potrà dare «la parola che mi mostrerà»
(23,1-3).
Ingaggiato come «divinatore» da Balak re di Moab per maledire Israele «nel nome del
Signore», contro la volontà del re potrà solo benedirlo, perché dominato dalla parola del
Signore (23,7-10 e 18-24; 24,3-9 e 15-24). Egli si giustifica di fronte al re affermando
che il profeta non può trasgredire l’ordine di Dio (24,13), anche perché Giacobbe è
«senza iniquità e il Signore è con lui», perciò rimane invincibile (23,8-24).
«Posso io dire qualcosa? Dirò quello che Dio mi metterà in bocca» (Nm 22,38, cf
23,12.26);
«devo conservare e dire solo quello che il Signore ha messo nella mia bocca» (23,13).
«E il Signore mise la parola nella bocca di Balaam» (23,5.6).
Egli dunque è bocca di Dio con una missione destinata alla Parola (cf Ger 1,9; Es
4,12-16). In tutto ciò non compie magia né divinazione.
Il fenomeno del profeta, inteso come «persona che tramite una esperienza cognitiva
riceve la rivelazione di un messaggio divino e lo trasmette coscientemente [non in tran-
ce] a un destinatario» (cf M. Weippert), è ben attestato nell’Antico Vicino Oriente. È
perciò distinto dall'arte divinatoria, che trae auspici deduttivamente da alcuni fenomeni
(cf 2Sam 28,6). Si pongono all’attenzione le lettere profetiche del regno paleobabilonese
di Mari, una lettera divina del regno paleobabilonese di Esnunna; acceni da Emar e Uga-
rit (RS 25.460) con l’ordine di scrivere al re con un diretto messaggio da parte del dio, la
stele di Zukkur re arameo di Hamat e collezioni profetiche neoassire riferite al re Asha-
raddon. Tali testi contengono la legittimazione dell’ascesa al trono del re, danno respon-
si su conflitti militari e alleanze politiche, esprimono esigenze religiose e morali di giu-
stizia9.
Alcuni esempi. A Biblos un ragazzo invasato da una frenesia esaltatrice favorisce me-
diante un oracolo le trattative commerciali tra il re di Biblos Zakir e un ambasciatore egi-
ziano. Ad Hamat il re riceve un messaggio, interessante per lo stile, il cui testo è su una ste-
le. È dato tramite «veggenti» e «indovini», messaggeri del Dio del Dio Baal Shamin: «Non
temere, perché io t’ho fatto re e io ti sosterrò e ti libererò da tutti i re che hanno posto
l’assedio contro di te» (cf. Is 7,3-9).
In Mesopotamia, Mari soprattutto ci ha tramandato testi profetici, il cui nucleo principa-
le va dal 1830 al 1759 a.C.10 Nella modalità della comunicazione divina sembrano avere le
caratteristiche fondamentali dei profeti biblici. Sono pragmatici e danno responsi ex eventu,
dal fatto. I loro messaggi contengono ordini o proibizioni, minacce o promesse di benedi-
zione, assicurazione di liberazione dal pericolo, come nei profeti biblici. Il fenomeno appa-
8
Il TM ha «uomo šetūm di occhio», cioè dall’occhio «sigillato» - cieco? Perciò vede oltre le apparenze, in
profondità? LXX traduce «occhio aperto», Targum intende tam, «perfetto», così i suoi occhi sono aperti, sve-
lati (v.4).
9
Cf P. MERLO, «Il profetismo nel Vicino Oriente antico: panorama di un fenomeno e difficoltà comparati-
ve», RSB 21 (1/2009) 55-83.
10
Cf. L. CAGNI, Le profezie di Mari (Testi del Vicino Oriente antico), Paideia, Brescia 1995 (raccoglie 52 testi
profetici: 50 relazioni e 2 resoconti di sogni); i tipi di profetismo sono a p. 18s.

8
re multiforme per estrazione sociale e modalità: vi sono lettere di muhhu, veggenti estatici,
che rispondono in nome della divinità; vi è un profetismo cultuale (persone addette al culto
o che hanno a che fare con le cose del culto), ma anche «privato» nel senso che non appar-
tiene al culto, un profetismo attraverso i sogni e un profetismo femminile. Il termine che
meglio esprime la profezia sotto il profilo del contenuto e dell’origine divina è têrtum,
«messaggio» (dal verbo wârum, forma D, «incaricare», «mandare», cf. wûrtum, «missio-
ne»). Altri termini: apilum (incaricato oracolare), assinnnum (attribuito al personale del
culto, con riferimento alla dea Annunitum, una manifestazione della dea Ištar), ittum e an-
che nabûm. Portano segni di autenticità e di riconoscimento nei capelli e nel vestito (cf E-
lia, Eliseo, il Battista).
Nell’insieme possiamo raccogliere i seguenti elementi: (a) pronunciano l’oracolo affer-
rati dalla parola del dio talora in condizione estatica; (b) hanno un messaggio da parte della
divinità senza essere richiesti, né desiderati, e si rivolgono al re; (c) il fenomeno è multi-
forme e comprende persone che appartengono a diverse condizioni sociali ed età; si tratta
di persone e forme carismatiche.
Israele dovette in antico avere fenomeni «profetici» in senso ampio: estatismo, inter-
pretazione di sogni, divinazioni, necromanzie (cf. Dt 18,9-14), ben presenti nel mondo
cananeo. Ma nei profeti classici il fenomeno dell’estatismo non fu carattere essenziale e
comune. Oggi si rivaluta la profezia di corte così come l’istituto della profezia come
mezzo di comunicazione della volontà divina; si riconsidera anche la presunta «unicità»
della profezia di Israele in ordine alla critica del sovrano, sia religiosa che etica, o in or-
dine alla sua pregnanza storica. Si deduce invece la peculiarità della profezia biblica nel
suo essere reinterpretata e riletta in situazioni di nuova attualità e nella produzione di
«libri profetici».

3. Esperienza e identità del profeta


3.1 - La vocazione. Il profeta è anzitutto caratterizzato per la vocazione e la missione: è
“chiamato” e “inviato” da Dio per un messaggio al re e al popolo. Alcuni “racconti di vo-
cazione”: Is 6,1-13; 40, 1-11; 50, 4-6; 61,1-3; Ger 1,1-18; Ez 1-3; Am 3,7-8; 7,10-17; Gen
12,1-3; Es 3,1-4,17, fanno emergere i caratteri che definiscono il genere letterario “voca-
zione profetica”. Elementi ripetuti sono: la teofania e la missione («va’, annuncia») con o-
biezioni, segno e promessa. I racconti presentano aspetti diversi che Vogels raduna secon-
do quattro “tipi”, con riferimento ad ambienti umani11.
1°. tipo: «va’...» = ufficiale-militare
Schema
1. ordine di missione da Dio
2. esecuzione dell’ordine
Esprime un comando che sottintende il rapporto tra un militare e il suo ufficiale. Sottolinea la forza
della chiamata: non si può rifiutare (cf. Gen 12,1-4, Abramo; 1Re 19,15-19, Elia; Am 3,1ss).
2°. tipo: «sì...ma!» = padrone-servo confidente plenipotenziario
Schema (1 e 2 sono preliminari)
1. primo appello all’attenzione, talora senza nome
2. prima accoglienza: «Eccomi!»
3. ordine di missione (cf. 1° tipo): «Va’... ti invio... per parlare»
4. obiezione: paura o sentimenti di incapacità

11
W. VOGELS, «Les récits de vocation des prophètes», NRT 105 (1973) 3-24, cf. IDEM, I profeti, EMP, Padova
1994, pp. 30-39; cf L. RAMLOT, «Profetisme», DBS [1970], coll. 973-987.

9
5. conferma: «Non temere... sono con te!»
6. ordinazione = azione simbolica e parole; spesso con ripresa e riassunto del contenuto della mis-
sione (corrisponde al “segno” nel racconti di vocazione dei salvatori)
Caratteristica di questo tipo di vocazione è l’aspetto dialogico tra Dio e il profeta (cf. Ger
1,4-10 = 4-5+6+7+9-10; Ez 2,1-3.4-11; Es 3-4; Gdc 6,11-24, Gedeone). Ambiente umano
di riferimento è il rapporto padrone-servo: Gen 24,37-38.39.40-41.42-48 (Abramo e il ser-
vo inviato); Am 3,7: «JHWH non fa nulla senza aver rivelato il suo disegno ai suoi servi i
profeti» (profeti «servi» di Dio + genere militare).
3°. tipo: «manda me...» = re-consigliere
Schema
1. consiglio divino = teofania: Dio in trono + la corte celeste (cf. Gb 1-2)
2. domanda di un volontario: «Chi?»
3. uno si offre
4. ordine di missione
Più degli altri sottolinea la libertà dell’uomo: Il profeta si offre volontario, senza esitazione,
timore o lamento. Si avverte l’entusiasmo, la prontezza, una fede incondizionata, senza sa-
pere esattamente ciò che sarà richiesto. Combina l’iniziativa divina con la libertà umana
(cf. Michea ben Ymla 1Re 22,19-22 = 2Cr 18,18-21; Isaia 6,1-4.5-7.8a.9b.9-10.11-13
[11a.11b-13]; Ez 1,27[26]. 28.29; Ez 1-3 combina i tre tipi insieme). Esperienza umana di
riferimento: la corte. Prima della vocazione di Michea, Acab e il suo consiglio cercano un
altro profeta (1Re 22,5-12 + 15). I profeti sono “consiglieri di Dio” (cf. Ger 23,16.18;
23,22), Dio è Re in trono: trascendenza, ma intimità. Il profeta è ammesso al consiglio (in-
timità), elevato alla sfera divina; altrove Dio scende.
4°. tipo: «ripeti... io ascolto» = maestro-discepolo
Schema (cf 1 Sam 3: vocazione di Samuele)
3 appelli sono incompresi: 4-5.6-7.8-9; il 4° è decisivo: 10-14:
1. apparizione e appello: 10a
2. accoglienza: 10b
3. ordine di missione: 11-14
4. esecuzione: 15-18
Ambito: l’educazione familiare (sapienziale), cf. la Pasqua e la domanda del bambino (Es
12,26-27; Dt 6,20-25).
Conclusione
• Il «genere vocazione» (Berufungsgattung) in più schemi rivela nei singoli profeti diver-
se autocoscienze: come inviati militari, servitori confidenti plenipotenziari, consiglieri
regali, discepoli che si lasciano istruire. Ogni vocazione conserva il suo carattere indi-
viduale e unico. In tutti i tipi vi è un elemento comune, una missione per la parola: è
messaggero di Dio.
• L’iniziativa viene da Dio: è una «chiamata-elezione» per una missione di servizio; in-
via ad annunciare, senza badare alla perfezione personale. L’appello però esige obbe-
dienza ed esprime urgenza: Dio attende una risposta di totale disponibilità nella fede;
spesso il profeta non sa che dovrà fare.
• Il chiamato avverte un appello irresistibile, ma conserva la libertà significata o nell’of-
ferta spontanea (Is 6,8b) o nelle obiezioni, nelle richieste di spiegazione e nei dubbi
(Ger 1,4-10; Ez 2,1-3,3.4-11; Gdc 6,11-24). Il fatto costituisce la svolta decisiva della
sua vita.

10
3.2. Essenza del profeta
TRE NEGAZIONI – OPPOSIZIONI
• Non prevale nei profeti la preoccupazione di «vedere Dio» (benché l’esperienza del
profeta sia caratterizzata come «visione», ‫) ׇחזוֹן‬, ma di percepire la sua volontà e obbe-
dire alla sua parola.
• Essenziali non sono l’unione mistica e le esperienze estatiche, ma la risposta di fede e
il messaggio al popolo, per interpellare le coscienze. Divengono perciò la «coscienza
critica» dell’alleanza.
• Non sono i «visionari del futuro» quanto, piuttosto, i lettori e interpreti della storia at-
tuale alla luce della fede: vi cercano i «segni» di Dio, per un messaggio di Dio nel pro-
prio tempo (politica, contesto sociale, vicende storiche e persone concrete). Attorno ai
profeti era diffuso anche un clima di «divinazione». Josè Luis Sicre inizia il suo studio
sul profetismo in Israele con questo aspetto: furono consultati per prendere decisioni
su diverse questioni familiari, politiche e militari. Ma alcuni passaggi che si avveraro-
no, decretarono il valore dei profeti: «Da una parola cercata dall’uomo, a una parola
inviata da Dio. Dalla scoperta di un enigma, alla scoperta di una missione, dalla ricerca
di sicurezza, al contrasto con la responsabilità. Dall’interesse personale, alla responsa-
bilità davanti agli altri»12.
DESCRIZIONE POSITIVA
Spirito
Accentua l’aspetto carismatico: il profeta è un «uomo ispirato» da Dio.
– Lo spirito di Dio è all’origine della vocazione e della missione profetica. I profeti sono
«afferrati» da Dio, dalla sua Parola; il suo spirito li pervade e li abilita, li sospinge irresi-
stibilmente, ne trasforma la vita (Am 7,15; 3,1s; Ger 15,16; 20, 7-9: il fuoco arde dentro).
– Il contatto con il divino è immediato, senza passare necessariamente attraverso i segni
della liturgia. Questo permette di leggere i segni di Dio nella storia («il Dio che vi ha fat-
to uscire dall’Egitto»). Il profeta si sente autorizzato a parlare in suo nome: «Così parla
JHWH».
– Chiunque può essere «scelto» da Dio, per un certo periodo o per tutta la vita: sacerdote o
saggio, umile o altolocato, schiavo o libero, uomo o donna. La sua autorità è legittimata
solo dalle straordinarie qualità personali. Non è designato da un predecessore, insediato o
ordinato per un ufficio, ma «chiamato».
Fede
La fede è il contesto in cui si pianta la vocazione. Il profeta è un «uomo di Dio».
– È la risposta significativa che essi danno (abbandono in Dio, obbedienza, anticonformi-
smo, cf. Is 8,11-16; Ez 3). Spesso non sanno esattamente ciò che devono fare; Dio atten-
de da loro una risposta totale nella fede, come Abramo (Gen 12,1-4).
– È la condizione essenziale che richiamano al popolo: fedeltà all’alleanza (ḥesed
we’emet, da‘at, Os Os 2,21-22; 4,1; 6,6), legame tra fede e giustizia, culto e vita, fede e
morale (cf. Is 7,9b; 1,21-26; Ger 7,1-15).

12
J.L. SICRE, Profetismo in Israele, Borla, Roma 1995, p. 59; sulla divinazione e la profezia, cf pp. 15-59.

11
Storia
È il luogo del profeta, interprete della propria storia alla luce della fede: è pro-feta, parla
«in nome di» Dio, offre la sua Parola nel proprio tempo, per provoca le coscienze dei con-
temporanei. In questo modo ne diventa la coscienza critica.
– Compito dei profeti è leggere i segni di Dio nei fatti della storia contemporanea. Così tut-
ta la storia è «storia sacra», luogo di rivelazione. I loro interventi, anche se guardano al
futuro e assumono un carattere escatologico, partono sempre dal presente e al presente
sono rivolti.
– Essi rappresentano anche il vertice della tradizione, intesa come memoria per avere la
forza di rinnovare, come recupero dell’originalità e dell’essenzialità, come ritorno alle o-
rigini e riscoperta delle radici (cf. Ger 7,21ss) per aggiornare e ricomprendere la fede nel
nuovo contesto.
– La loro profezia è sempre razionale. Infatti, se la scoperta dei segni è dono di Dio, essa
richiede gli strumenti di conoscenza per comprendere e le argomentazioni per comunica-
re. Il tutto corredato dall’impegno personale coerente di fronte agli eventi che interessano
la comunità, con risvolti anche politici e sociali.
Parola
È fondamento della vocazione e missione del profeta. È «uomo della parola»: «Ecco metto
le mie parole sulla tua bocca» (Ger 1,9; cf. 17,15; 18,18; Es 4,12-16; Is 50,4-5a).
– La parola di Dio li chiama e li invia: «va’ e annunzia!» (= vocazione e missione). Divie-
ne la loro gioia e il loro tormento, il loro impegno e la causa talora di frustrazione (Am 3,
8; 7, 14-15; Ger 20,7-9 con 15,16; 1,5ss: Geremia è costituito come profeta dalla Parola e
dalla missione per la Parola è consumato).
– Il profeta deve recepire e interpretare la parola di Dio. Perciò opera il confronto con la
propria esperienza fondamentale (= vocazione) e il contenuto globale della fede; in tal
modo analizza la situazione. Ascolto e assimilazione (Ez 3,1-4.10-11), ispirazione e in-
terpretazione sono il dono e il compito quotidiano (Is 50,4-5a), per rivolgere la parola di
Dio al proprio tempo.
– La deve comunicare, cioè tradurre in termini accessibili e convincenti, offrire motiva-
zioni, porsi in contatto con l’uditorio. Le forme di comunicazione sono molteplici: oraco-
li, canti, processi e minacce, promesse, segni, allegorie, ecc.13
– La deve testimoniare. Il profeta è il primo a farsi obbediente e fedele. Sulla Parola è ve-
rificato, vi scommette: la storia rivelerà la verità e validità della sua parola di fronte ai
falsi profeti e visionari (cf. Ger 28,9; 15,21: «alla fine dei giorni comprenderete tutto»).
«Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: Voi avrete la pace!... Ma chi
ha assistito al consiglio del Signore, chi l’ha inviato e ha udito la sua parola? Chi ha a-
scoltato la sua parola e vi ha obbedito? Ecco la tempesta del Signore, il suo furore si sca-
tena...» (Ger 23,17-19); Geremia oppone i «sogni» fatui dei falsi profeti (come paglia) e
la parola di Dio «fuoco e martello che spacca la roccia».
Nessuna garanzia è data al profeta, se non quella di annunciare la Parola ed esservi fe-
dele (cf. Ger 15,19-21). Il fatto esige coraggio e fermezza, disponibilità alla sofferenza
(Ger 1,17-18; Is 50,7; Ez 3,12ss), comporta pericoli per la vita e minacce di morte (Is 7 e
13
Per i generi letterari profetici, cf. C. WESTERMANN e L. ALONSO SCHÖKEL; G. CAPPELLETTO-M. MILANI, pp. 41-
44: oracoli (cf Geremia) di giudizio e di salvezza, racconti di vocazione, visioni (cf 1Sam 9,9 hanno
accompagnato la profezia, ma uniti alla parola che spiega: legge la realtà in profondità, il p. è mistico e
contemplativo, cf Am 7-9; Ger 1,11-15; Ez 1-3; 8-11; 37,1-14; 40-48; Zac 1-6); processo (Os 2,4-25 + 4-11; Ger
2,9-13.14-19).

12
26; 36; Is 50,4ss; 51,13-53, 12). Non mancano i «silenzi» di Dio, che fanno gemere Ge-
remia e maledire il giorno in cui è nato (15,10; 20,15-18), perché avverte in sé tutto il
dramma del trapasso culturale, sociale e spirituale del suo popolo e rimane incompreso e
isolato (20,10: gli amici lo abbandonano e ne spiano la caduta); anzi egli stesso non com-
prende (12,1ss le «confessioni»). Per tale profeta sembra quasi che il criterio distintivo
del vero dal falso profeta sia la sofferenza.
Il profeta appare così il mediatore, nella linea dei mediatori: è ambasciatore in nome
di Dio. Il processo integrale dell’invio di un annuncio mediante un ambasciatore può es-
sere così articolato: a) incarico dell'annuncio da riferire, b) trasmissione locale, c) esecu-
zione e comunicazione. Il secondo passo è di grande importanza teologica, perché mostra
l’inviato che media nello spazio, colma la distanza tra le persone. Ciò indica ulteriormen-
te nel profeta la condizione teologica del mediatore, che colma la distanza tra Dio e gli
uomini, e giustifica dunque la formula frequente «va’ e annuncia».
Quando un legato giunge a destinazione e inizia a leggere o a recitare a memoria ini-
zia dicendo: «Così dice NN...». Perciò tale formula appartiene all’integrità del messag-
gio, non è portato dall’incaricato al di fuori dell’annuncio. Nell’AT le parole «Così dice
il Signore» appartengono dunque integralmente all’oracolo profetico. Nello sforzo di in-
terpretare e comunicare, i messaggi profetici sono integralmente parola di Dio e parole
del profeta, cioè, di Dio e dell’uomo.

Riassumendo possiamo riconoscere, nella varietà del ricevere e del proclamare il mes-
saggio, in ogni profeta una identità fondamentale.
• Ogni vero profeta ha viva coscienza che è solo uno strumento, che le parole da lui pro-
ferite sono nello stesso tempo sue e non sue; – egli ha la convinzione irremovibile di
aver ricevuto una parola di Dio e di doverla comunicare; – questa convinzione è fon-
data sull’esperienza misteriosa, diciamo mistica, di un contatto immediato con Dio; –
accade, come si è detto, che questa azione divina provochi esteriormente manifestazio-
ni «anormali», ma è un fatto accidentale, come nei grandi mistici. Invece, ancora come
nel caso dei mistici, si deve affermare che questo intervento di Dio nell’anima del pro-
feta mette questi in uno stato psicologico supernormale. Negarlo sarebbe abbassare lo
spirito profetico al rango di ispirazione del poeta o delle illusioni degli pseudoispirati
(BG, p. 1515).
• Nella ricerca attuale sono presentati o come esistenzialisti religiosi, promotori di un
autentico rapporto con Dio «qui-ora» (Fohrer, Bright, Zerafa, Raurell), o come dei te-
stimoni dell’assoluto di Dio ai loro contemporanei: partecipano al «pathos» di Dio per
l’uomo e diventano testimoni di una «religione della simpatia» (Heschel, Neher). «Essi
testimoniano non tanto la loro fede e la loro esperienza, ma il Dio che ha suscitato la
loro esperienza di fede. E hanno “compreso” Dio perché hanno aderito a lui nella liber-
tà»14. In definitiva, il proprium dei profeti è il fatto di aver posto Israele solo davanti al
suo Dio mediante la loro parola. Da un punto di vista del ruolo sociale e culturale sono
anche qualificati come «intellettuali dissidenti» (Blenkinsopp).

4. Destinatari e prospettive del messaggio


– Destinatario del messaggio profetico è il popolo (Am 7,15; Is 6,9; Ez 2,3) e anche i po-
poli (Ger 1,10; Is 49,1- 6): i messaggi ai popoli costituiscono una parte cospicua di tanti

14
A. BONORA, Il dibattito attuale sui profeti d’Israele, in Naum, Sofonia, Abacuc, Queriniana, Brescia 1989, p.
30.

13
profeti (Is, Am, Ger, Ez). Raramente si rivolgono a un individuo (Is 22,15s Sebna), a me-
no che non si tratti del re in quanto rappresentante del popolo e simbolo dell’alleanza (=
alleanza davidica: Natan-Davide, Elia-Achab, Isaia-Achaz-Ezechia, Geremia-Joiakim-
Sedecia) o, in contesto simile, il sommo sacerdote (Zac 3).
– La prospettiva è il presente o il futuro (escatologia, che è anzitutto infrastorica, ma tende
ad essere anche ultrastorica), ma è rivolto sempre ai contemporanei: può annunciare un
avvenimento prossimo che giustificherà le sue parole e la sua missione (1Sam 10s; Is
7,14 con 8,5-6; Ger 28,15s; 44,29-30). Ne risulta un insegnamento per il presente. La
memoria del passato ha lo scopo di ridisegnare la prospettiva originaria dimenticata o
trascurata (cf. Ger 7,21).
– Ha come oggetto il castigo o la salvezza: «sradicare e abbattere, sterminare e demolire,
costruire e piantare» (Ger 1,10). Il peccato assilla il profeta che lo vede come distruttivo;
ma, nel momento della rovina, annuncia la nuova speranza (cf. Am 9,8-15; Os 2,16-25;
11,8-11; Ger 30-33; Is 40-55). Esorta alla conversione per impedire la rovina e permette-
re una rinascita della «progenie santa/resto», animata dalla fede (Is 6,13; 7,9b; 10,20-22).

5. Segni di autenticità
La profezia è istituzione riconosciuta in Israele (cf. Ger 18,18). Ma a causa dei contrasti tra
profeti si fece acuta l’esigenza di un discernimento. Il comportamento esterno o il linguag-
gio non sempre distingue veri e falsi profeti. Sorgono sovente aspre diatribe: ad es. tra Mi-
chea figlio di Imla e i profeti di Achab (1 Re 22,8s), Geremia e Anania (Ger 28: in un pri-
mo tempo Geremia ne esce sconfitto e muto; cf. anche Ger 23 contro i falsi profeti), Eze-
chiele contro profeti e profetesse (Ez 13).
Nessun criterio appare definitivo e determinante. La Bibbia ne indica due, non assoluti,
ma condizioni sine qua non: il compimento della profezia (cf. i «segni» negli avvenimenti
prossimi; Ger 28,9; Dt 18,22); la conformità alla fede jahvistica (Ger 23,22; Dt 13,2-6, cf
1Cor 12,3).
A questi criteri si devono aggiungere anche le qualità personali, come la coerenza, la
lealtà e la libertà disinteressata. Il «passaggio dall’oracolo sollecitato per interesse persona-
le a quello che comunica la volontà di Dio, anche contro l’interesse personale o nazionale,
è ciò che darà al profetismo d’Israele l’importanza e la dignità che non troviamo in altre
culture»15.
La comunità nella storia ha riconosciuto il valore di queste personalità, conservandone i
testi, commentandoli, completandoli, applicandoli a situazioni diverse.

6. Profeti e istituzioni
6.1. Ci sono profeti accanto ai sacerdoti, cf. Ger 8,1; 23,11; 26,7s; Zc 7,3. Geremia ricorda
nel tempio «una camera del figlio di Giovanni, ‘uomo di Dio’», probabilmente un profeta.
Alcuni profeti erano sacerdoti, come Geremia ed Ezechiele, e talune profezie si rifanno a
schemi liturgici. Sembra doversi riconoscere un certo legame tra i profeti e i centri della vi-
ta religiosa di Israele e un influsso della liturgia su talune loro composizioni.
D’altra parte, appare la forte azione critica dei profeti riguardo al culto. Non in opposi-
zione al culto in sé, ma per richiamarne le necessarie condizioni morali e teologali. La più

15
J.L. SICRE, Profetismo in Israele, Borla, Roma 1995, p. 59; Per i criteri di autenticità, cf. anche Cappelletto
– Vogels.

14
forte critica al tempio, con la relativizzazione del culto la celebrato, è il testo di Geremia
7,1ss, soprattutto ai vv. 22-24 (cf anche Os 6,1-6).
6.2. Profezia e Sapienza: frequenti sono le critiche profetiche al re e alla sua corte che rap-
presentano il mondo sapienziale. Non è disconosciuta la loro funzione, anzi, la profezia è
alla base della speranza “messianica”. Tuttavia, i profeti richiamano le esigenze della fede
e dell’alleanza, restano coscienza critica (1Sam 3,19s). In tal modo intendono contribuire a
un governo secondo giustizia (mišpaṭ), nella ricerca di Dio (Am 5,14s), nella sua cono-
scenza (da‘at) e misericordia/lealtà (ḥesed, Osea 4,1; 6,6), nella fede (’āman, bāṭaḥ) e ti-
more del Signore (Is 7,9; 30,15; 8,13).
Non sono mancati gruppi di nebî’îm (benēy hannebî’îm) che, nel loro attaccamento alle
antiche tradizioni e nel loro entusiasmo per il culto jahvista, sono stati ostili a qualsiasi
cambiamento (ritorno al nomadismo, riluttanza monarchica, teocrazia assoluta), irremovi-
bili nelle credenze (magica sicurezza nelle promesse dei padri), esuberanti nelle manifesta-
zioni. Si trattò, sembra, di un movimento di minoranza, anche se talora in contatto con i
profeti classici (ad es. Geremia e il capo dei Recabiti, Ger 35; cf. 2 Re 10,15ss), che verso
la regalità assunsero un atteggiamento critico, soprattutto sulla vita sociale, ma all’interno
dell'istituzione. Infine, è riconoscibile negli stessi profeti un linguaggio sapienziale (cf.
Am, Is, Ez, Ger).
In conclusione. Il profeta è un uomo che ha un’esperienza immediata di Dio, ha ricevu-
to la rivelazione della sua santità e delle sue volontà, giudica il presente e vede l’avvenire
alla luce di Dio, è mandato da Dio per richiamare agli uomini le sue esigenze e ricondurli
nella via della sua obbedienza e del suo amore (cf. BG, p. 1517).
Nell’attivare la sua missione diviene insieme «servo della parola» e «coscienza critica»
che invita alla conversione, «uomo della memoria e della speranza».16

7. Il movimento profetico in Israele (CAPPELLETTO - MILANI, pp. 28-39).


Profeti preclassici (Debora, «figli di profeti», recabiti) e i secoli X-IX (Samuele, Natan,
Elia, Eliseo: 2Sam; 1Re 17-2Re 11);
I profeti classici o scrittori (preelisici, esilici, postesilici);
Riletture profetiche (Abramo, Mosè e i suoi consiglieri, Giosuè)
L’apocalittica (cf CAPPELLETTO-MILANI4, pp.151-161)
Il linguaggio (ivi, pp. 39-42)

8. Il messaggio dei profeti (Cf. CAPPELLETTO - MILANI, pp. 52-62).

9. I libri profetici. Per i singoli profeti e libri vedere: NDTB o PEB o L. ALONSO SCHÖKEL - J.L.
SICRE DIAZ, J. BLENKINSOPP o J.M. ABREGO DE LACY o G. CAPPELLETTO - M. MILANI, in loco.

Divisione
• Profeti anteriori: cf. i libri storici nei LXX e nella Vulgata: Gs, Gdc, 1-2 Sam, 1-2 Re.
Denominati anche “opera storica deuteronomistica” (dtn) per l’influsso esercitatovi dal
libro del Dt. Vi incontriamo profeti come Samuele, Natan, Elia, Eliseo, e altre persona-
lità di minor spicco.
• Profeti posteriori: sono i profeti “canonici” o “scrittori”, c così chiamati perché ven-
gono “dopo” nell’ordine della Bibbia ebraica. Si dividono a loro volta in maggiori e mi-

16
Cf CAPPELLETTO - MILANI, pp. 23ss.

15
nori. La distinzione è dovuta alla mole del libro, non necessariamente in base alla per-
sonalità dei profeti.
• Maggiori: Is, Ger, Ez (Dn nella Bibbia ebraica è tra gli “agiografi” o “scritti”, mentre
nella Bibbia greca diventa profeta; in realtà è un “apocalittico” del II sec. a.C.),
• I “Dodici” minori (già in antico considerati come unità, cf. Sir 49,10): Os, Gl, Am,
Abdia, Gn, Mi, Naum, Ab, Sof, Ag, Zac, Ml (in 4Q12a la raccolta termina con Giona,
dove Ninive, già distrutta, non vi appare tale, quasi a dire che Dio può cambiare il suo
annuncio, anche non distruggere i nemici). L’ordine non è cronologico, ma letterario.
NB. Nello studio dei singoli profeti saranno considerati anzitutto testi che hanno avuto un
interesse nel NT per il tema del Messianismo, in quanto furono interpretati e applicati a
Gesù. Sarà nostro compito considerare la storia di quei testi e del concetto di Messianismo.

16
IL MESSIANISMO REGALE
Bibliografia
J. COPPENS, Le messianisme royal (Lectio divina 54), Paris 1968.
H. CAZELLES, Il Messia della Bibbia. Cristologia dell’Antico Testamento, Borla, Roma 1981 (con excursus fina-
le sul concetto messianico).
N.P. LEVISON, Il Messia nel pensiero ebraico, Città Nuova, Roma 1997 (presentazione di Gian Luigi Prato)
[L’autore segue l’itinerario culturale del concetto. Intende tracciare la storia dei movimenti e delle figure
messianiche che, dall’origine ai nostri giorni, hanno puntualmente caratterizzato le vicende di Israele,
soprattutto nella sua diaspora e nei momenti i particolare crisi].
G.L. PRATO (cur.), Davide: modelli biblici e prospettive messianiche, Atti dell’VIII Convegno di Studi Veterote-
stamentari (Seiano, 13-15 settembre 1993), RSB 7 (1/1995) [per uno sguardo critico al tema, cf soprat-
tutto l’articolo introduttivo del curatore, pp. 5-15].

Natan e la promessa a Davide – stabilità della casa reale


(2Sam 7,1-29)
Punto di partenza del messianismo regale è considerata la profezia di Natan: 2Sam 7,1-
29, che ha ricevuto ulteriori sviluppi in 1Cr 17,1-14; Sal 89 e 132 (riletture).
1. IL TESTO E LA SUA FORMAZIONE
Secondo ROST il brano ha avuto diverse fasi di sviluppo17.
T.Originale Trad.Antiche Riletture post. Agg. Tardive
vv.1-7 vv. 8-11
v.11b
v. 12
v. 13
vv.14-15
v.16
v. 17
vv.18-21
vv.22-24 (dtr)
vv. 25-(26)
vv. 27-29
I vv.11b.16 sono rivolti direttamente a Davide; oracolo costruito sul doppio senso di «ca-
sa»: edificio e dinastia.
I vv.12.14.15, più recenti, hanno interesse per la «discendenza, che verrà dalle tue reni»;
quando Davide si sarà ricongiunto ai suoi padri. Esprime il rapporto tra JHWH e la dinastia
davidica.
Il v.13: dtr mette in rapporto il vaticinio con la costruzione del tempio. In tutto l’oriente an-
tico la dinastia era legata alla costruzione del tempio. Ma qui, prima ancora che il re co-
struisca la casa a Dio, JHWH stesso promette di dare al re una casa (casato-dinastia) stabile.
La profezia nel suo complesso consiste nella promessa della stabilità della dinastia da-
vidica. L’oracolo originale dovette essere molto breve e composto sul doppio senso di casa.
Ma produsse una viva reazione nel popolo determinando una corrente storica che lo spiega
e arricchisce: è l’alleanza davidica. Si allargò quindi oltre la profezia puramente dinastica
e divenne messianico, sottolineando la particolare relazione tra Dio, la persona del re e la
17
Cf. anche G. VON RAD, Teologia, vol. II, p. 65.

17
dinastia. La regalità aveva dunque carattere religioso: sulla persona del re si posa la «bene-
volenza o lealtà» (Ðesed) di JHWH (v.15), a significare l’alleanza con la dinastia (cf. Sal 89;
Is 55,3). Di conseguenza, il re è mediatore tra Dio e il popolo (v.29), fonte di benedizione e
depositario e custode dell’alleanza. Questo rapporto è espresso mediante tre titoli: unto, fi-
glio, servo.
• Il re veniva unto (‫)משַׁח‬,‫ ׇ‬cioè «consacrato». Egli entra nella sfera di Dio, il Dio della di-
nastia.
• La terminologia del v.14: «Io gli sarò Padre ed egli mi sarà figlio», è la formula di ado-
zione, quella propria dell’alleanza (cf. Sal 2,7; 110,3; 1Cr 17,13, che elimina la seconda
metà del verso). Alla dinastia davidica è assicurata la perpetuità e lo sviluppo verso un
re ideale, cui spetterà il compito di portare a compimento l’alleanza tra Dio e il suo po-
polo.
• Coppens rilevava l’importanza del termine servo (vv.5.8.19.20.25.26. 28.29), che acqui-
sterà significato messianico (cf. Deuteroisaia e NT): il re è a “servizio” del disegno di
Dio, non un despota.

2. SVILUPPO
- Il CRONISTA parla genericamente di «discendenza che verrà dai tuoi figli», ampliando ul-
teriormente l’estensione del vaticinio (cf. 1Cr 17,11). Esalta soprattutto Salomone, figlio
di Davide. È il frutto di una rilettura sacerdotale.
- I PROFETI faranno risuonare il vaticinio nei loro oracoli in una prospettiva sempre più ric-
ca e densa, che apre al futuro (cf. Is 55,3 e la nuova alleanza; Sal 89 e 132 elezione della
dinastia e di Sion).
In conclusione
– La profezia di Natan presenta la dinastia davidica con il carattere religioso di alleanza e
di servizio a Dio; tutti accenti ed elementi dai quali traspare il significato messianico o
regale della profezia.
– Tale carattere diviene più evidente nelle riletture posteriori, che la interpretano e ne rive-
lano il significato più profondo. Il titolo ‫מ ׅשׁי ַח‬,‫« ׇ‬Unto», «Consacrato» (Gr Χριστός/Cristo,
da χρίω, «ungere, consacrare») è riservato al re. I testi hanno un marcato carattere politi-
co.
– La sua applicazione a un personaggio futuro è piuttosto recente (cf. Dan 9, 25-26)18.
– Il NUOVO TESTAMENTO rilegge il passo alla luce del mistero di Gesù riconosciuto Mes-
sia-Cristo, fissando in lui le attese definitive (Lc 2,32s; At 2,30, cf. Sal 132,11; 84,9; Eb
1,5). Orienta i testi in senso spirituale non politico. Gli autori del NT riprendono e usano
i testi profetici ma non «scientificamente»; «non si preoccupano della perfetta corrispon-
denza fra annuncio e realtà. Non interessa loro neppure il significato letterale, preciso
delle parole del profeta: essi le utilizzano come base d’appoggio, allusione letteraria, ci-
tazione poetica, idealizzando e spiritualizzandio quanto detto in epoche passate»19. Per-
ciò, acquistarono importanza altri testi, come il IV canto del Servo del Signore (Is 52,13-
53,12), che aiutavano a comprendere il mistero della salvezza attraverso la sofferenza e la
morte. Però, il valore dei testi messianici è di annunciare i germi di bene e di speranza.
18
Cf. l’excursus sul significato di Messia in H. CAZELLES, Il Messia della Bibbia, pp. 187-193;.
19
J. L. SICRE, I profeti d’Israele e il loro messaggio, Borla, Roma 1989, p. 211 (cf pp. 186-212: «Il re ideale»);
IDEM, Profetismo in Israele, Borla, Roma 1995, pp. 521-580 («La monarchia e il messianismo»). Per le allu-
sioni e lo sviluppo dell’oracolo dinastico nella letteratura storica, poetica e profetica dell’AT,in Qumran e nel
NT, cfr anche PH. DE ROBERT, «L’avenir d’un oracle: Citations et relectures bibliques de 2 Samuel 7», ETR
73 (1998) 348-366.

18
3. ANALISI LETTERARIA SINCRONICA DEL TESTO ATTUALE (cf. Alonso)
Il brano ruota attorno a due schemi o simboli fondamentali.
Doppio schema di casa
Nel suo significato normale la casa è propria della cultura sedentaria e urbana: spazio
materiale, fisso, luogo che accoglie e protegge, termine di riposo e centro di convergenza
(cf. Gen 4,17; 11,4). In senso metaforico è famiglia (Gen 16,2), figli e successori; connota
tempo, vita storica, ramificazione o espansione. Nello spazio si può distruggere la casa ma-
teriale, nel tempo può estinguersi la famiglia; ambedue possono essere stabili.
Davide ha chiesto di costruire una casa per il Signore: è come fissarlo in uno spazio sa-
cro, centro di attrazione inamovibile e permanente. In esso è presente il Signore dello spa-
zio. Però il Signore si è rivelato al suo popolo in movimento, liberando e guidando, condu-
cendo. Dio è libero dallo spazio fisso, compagno di cammino e peregrinazioni. Rimane tale
anche quando il popolo si stabilisce in una terra per una lunga tappa. Conserva la sua mobi-
lità originale: una tenda è il simbolo adeguato alla sua abitazione. È tanto forte questa con-
cezione teologica, che una scuola posteriore parlerà della tenda non come dimora, ma come
luogo d’incontro e convegno. Parallelamente si sviluppa la visione del tempio come luogo
sacro, dimora permanente della divinità (cf. la preghiera di Salomone in 1Re 8 e 2Sam 7,13
= aggiunta), che raccoglie pratiche anteriori, per es. il tempio di Silo.
Ma il Signore non accetta l’offerta di Davide: se si degna di andare in processione a Ge-
rusalemme, è per seguire una tenda, libero di muoversi. JHWH preferisce rivelarsi come pa-
drone e garante di una nuova tappa storica che in certo modo continuerà senza termine.
Fonda una dinastia con la sua parola, la consolida con la sua promessa, l’accompagnerà nel
suo pellegrinare nel tempo, un pellegrinaggio esposto all’imprevisto, al pericolo drammati-
co, inclusa la tragedia. Il potenziale simbolico della casa si riversa nella storia acquisendo il
carattere di mobilità. La storia umana di una dinastia in un popolo sarà l’ambito mobile del-
la presenza e rivelazione del Signore. Davide non può dare stabilità al Signore, assegnan-
dogli uno spazio stabile; è il Signore che può darla a Davide, paradossalmente, lanciandolo
nel torrente della storia mutabile (stabilità nella mobilità).
Cammino e riposo
Una seconda opposizione e tensione articola l’oracolo: l’alternanza tra cammino e ripo-
so, sottesi alle metafore agricola sedentaria e pastorale nomadica.
Il popolo ha percorso già le tappe: quella del deserto era un vagare qua e là; la tappa dei
giudici conservò a sufficienza questa mobilità, in quanto erano “pastori”. Comincia la ter-
za tappa: il popolo avrà un posto dove porre radici. All’immagine pastorale succede quella
agricola. I nemici impaurirono e scuoterono la popolazione come un gregge, ma ora la po-
polazione crescerà come una pianta che fiorisce.
In modo somigliante Davide era pastore e seguiva la transumanza delle pecore (cf. Sal
78,71s). Di là lo trasse il Signore per farlo principe del suo popolo. Per un certo tempo però
fu un principe agitato per l’ostilità dei nemici. In futuro sarà inaugurata una tappa di pace e
tranquillità. E quando giungerà il riposo definitivo “con i suoi antenati”, la stabilità si pro-
lungherà nella discendenza per sempre.

19
AMOS
Bibliografia
L. ALONSO SCHÖKEL – J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989: Amos, pp. 1079-1129.
E. BECK, Osea-Amos-Michea, Cittadella, Assisi 1989.
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P. BOVATI - R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, Ed. Dehoniane, Roma 1995.
J. JEREMIAS, Amos (Antico Testamento 24/2), Paideia, Brescia 2000.
J. LIMBURG, I dodici profeti. Parte prima: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea (Strumenti – Commen-
tari 23), Claudiana, Torino 2006, pp. 115-174.
N.M. LOSS, Amos (NVB 29), Paoline, Roma 1984.
M. NOBILE, Amos e Osea, Edizioni Messaggero, Padova 2005.
G. SGARGI, Gioele, Amos, Abdia, EDB, Bologna 1998.
H. SIMIAN-YOFRE, Amos (I libri biblici, 15), Paoline, Milano 2002.
J.A. SOGGIN, Il profeta Amos (Studi Biblici 61), Paideia, Brescia 1982.
C. STHLMÜLLER, I libri di Amos, Osea, Michea, Naum, Sofonia, Abacuc, Queriniana, Brescia 1996.
G. TOURN, Amos, profeta della giustizia, Claudiana, Torino 1972.
H.W. WOLFF, Joel - Amos (BKAT 14.2), Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn: 1971 (= Joel and Amos
[Hermeneia], Fortress Press, Philadelphia, PA 1977).

1. Attività del profeta e il suo libro20


Amos operò al tempo di Geroboamo II (786-746 o 783-743 a.C.), tra il 760 e il 750
(cf Am 1,1-2: notizia storica e titolo del libro). Il suo ministero dovette essere molto bre-
ve, forse durò qualche mese. Poi fu rispedito a casa (cf 7,10-17). L’indicazione «due an-
ni prima del terremoto», presente nel titolo, segna la data: metà del secolo VIII (cf scavi
di Hazor), ma sembra anche confermare il suo messaggio che annunciava un cataclisma
(8,8)21.
Di professione fu probabilmente «mandriano»-nôqēd (Am 1,1). In 7,14 troviamo bô-
qēr che BHS propone di correggere secondo Am 1,1 in base alla LXX aivpo,loj. Ma biq-
qer significa «osservare, prendersi cura», quindi «allevare o custodire» inteso di una
mandria (cf mē’aḥárê haṣṣô’n, «da dietro il gregge»). Il profeta si definisce anche «inci-
sore di sicomori» (bôlēs šiqmîm, 7,14) forse per fare dei frutti una pastura per gli anima-
li. Probabilmente non fu un pastore dipendente, ma possidente di un gregge ed è pensabi-
le che fosse influente e ricco. Lo confermano la sua conoscenza della politica interna-
zionale (1,3-2,5), dei problemi sociali e morali di Israele (2,6-8; 3,1-6,14) e della storia
passata (2,10-16).
Come origine proviene da Teqoa‘, nel regno di Giuda, al sud. Ma il luogo dell’attività
è al nord, Betel. Perciò la sua profezia fu ritenuta dal sacerdote Amasia come un’azione

20
Cf. anche PEB, NDTB, ABREGO DE LACY e bibliografia. Una rassegna degli studi recenti sul profeta è in ROY
F. MELUGIN, «Amos in Recent Research», CR:BS (Currents in Research: Biblical Studies, Sheffield Acade-
mic Press, Sheffield, U.K.), 6 (1998) 65-101, con i seguenti capitoli o titoli: «Amos come autore virtuale
dell’intero libro»; «Amos: del Sud o del Nord?»; «Storia della redazione viva», «Interpretazione sincronica e
l’impulso estetico»; «Postmodernismo e predominanza del lettore». Segue una lista di opere su Amos foca-
lizzate sulla storia, l’archeologia, le strutture sociali e la teologia.
21
È da identificare con l’«uomo di Dio» di 1Re 13 che dal sud sale al nord, a Betel? In questo caso il profeta
sarebbe vissuto all’epoca di Geroboamo I. Si possono rilevare delle somiglianze tra i due racconti: entrambi
sono di Giuda e parlano al nord; discutono direttamente o indirettamente con un re chiamato Geroboamo; ha
importanza «mangiare il pane», però al nord; e un leone gioca un ruolo importante. Tuttavia, vi sono nette
differenze: 1Re evita il termine nābî´ per l’uomo di Dio del sud e lo impiega solo per l’anziano nābî´ del
nord; ad Amos non importa nulla del problema della purità ed è invitato a mangiare il suo pane al sud e non
al nord.

20
tesa a destabilizzare il regno di Geroboamo. Sarebbe stato un näbî´ al soldo del re di
Giuda per cospirare contro Israele.
Amos fu dunque un profeta contadino che, al tempo del re Geroboamo II, dal sud
venne ad annunciare la parola del Signore al nord, nel santuario di Betel, in seguito a una
particolare vocazione (cf 3,3-8; 7,1-9). «Con questa delimitazione, la Bibbia stabilisce
Amos come il primo profeta scrittore e il suo libro come attestazione di uno scritto pro-
fetico» 22. Diventa una chiave di lettura dei testi profetici. Infatti, contiene quasi tutti i
generi letterari e i temi teologici presenti nei profeti scrittori.
D’altra parte, bisognerà distinguere tra il personaggio storico Amos e l’immagine del
profeta trasmessa dagli autori del testo finale. Potremmo pensare ai profeti come perso-
naggi di forte personalità, il cui influsso ha permesso di conservare alcuni dei loro testi,
orali o scritti, che la comunità poi ha completato, commentato e applicato a situazioni
diverse23. Parte del libro potrebbe essere stata scritta dallo stesso Amos, come gli oracoli
sui popoli e contro Israele e le visioni. I discepoli completarono il testo, inserendo altri
episodi antichi (come il contrasto con Amasia), e attualizzarono il suo messaggio.

2. Fu nābî’ ?
Due testi ne parlano. Am 3,7-8 contiene il richiamo a una vocazione profetica in 3a
persona che diventa l’autopresentazione di Amos per dire che a Dio non si può resistere
e quando chiama bisogna rispondere: il profeta non può tacere. È una vocazione del tipo
«militare» (comando-esecuzione) come quella di Abramo, ma anche del tipo profeta
«servo» al quale il Signore «rivela il suo piano». Il brano si può intendere come risposta
dopo lo scontro con il sacerdote Amasia che chiedeva ad Amos le credenziali delle sue
parole e non ne riconosceva l’autorità.
Lo stile è sapienziale: il messaggio è nella forma dell’enigma mediante una serie di
domande didattiche, la cui forma prevede la logica risposta di un «No!». Stilisticamente
ben articolate, raccolgono una serie di enigmi culminanti nel ruggito del leone, che apre
e chiude (vv.4.8). I vv.7-8 offrono il criterio ermeneutico: il leone che ruggisce vicino è
la parola del Signore che incute terrore per mezzo del profeta (cf 1,1-2). Forse il profeta
stesso la teme.
Nell’insieme risultano i seguenti tratti:
1) Il profeta è portaparola del Signore, perché riceve la rivelazione del suo «piano» (il
segreto, sôdô) sulla storia. Leggendo i fatti con lo sguardo di Dio, essi apprendono e co-
municano il mistero. Dio controlla la storia e rivela il senso misterioso dei fatti al suo
popolo per mezzo dei profeti, per una azione educativa (LXX paidei,an auvtou). Le visio-
ni (cc.7-9) mostrano che tale conoscenza è stata comunicata ad Amos.
2) Perciò, i profeti sono «servi» del Signore, suoi confidenti, come il Servo del Signo-
re di Isaia (cf Is 50,4-6).
3) Il v. 8, in parallelo con il v.6, avverte che il profeta non può opporsi a Dio né rifiu-
tarsi di dire la Parola, benché dura come l’annuncio della sventura e generatrice di pani-
co come il ruggito del leone. Non può evitare di comunicarla - vi è costretto come Gere-
mia (Ger 20,9) e come Paolo (1Cor 9,16) - e non dovrà dire se non quello che ha ricevu-
to, altrimenti egli stesso verrà rigettato come i falsi profeti24.

22
H. SIMIAN-YOFRE, Amos, p. 211.
23
Cf H. SIMIAN-YOFRE, cit, pp. 210-12 e introduzione, pp.13-14.
24
Cf Dt 18,14-22, che oppone gli indovini, gli incantatori e i falsi profeti al vero profeta.

21
Am 7,10-17, in particolare i vv. 14-16, raccolgono l’alterco di Amos con il sacerdote
Amasia, nel quale risaltano gli elementi portanti dell’attività del profeta: condanna del re
che gli proibisce di parlare; conferma del messaggio e rifiuto di essere annoverato tra i
profeti di professione; anche Amasia e la sua famiglia saranno coinvolti nel giudizio.
Il motivo della minaccia distruttiva si fonda sul rifiuto della parola di Dio da parte dei
potenti. Perciò essa verrà a mancare al momento necessario e non potrà salvare (8,11-
12). Il racconto, nel contesto delle visioni, si oppone in modo verisimile alla religione i-
stituzionale di stato. È scontro tra il gruppo di Amos, profetico carismatico e quello di
Amasia, sacerdotale istituzionale25.
Il sacerdote apostrofa il profeta come nābî’ e veggente, collocandolo tra figure che
non godevano di buona fama, persone prezzolate per dare oracoli dietro pagamento
(mangia il tuo pane a casa tua), e si appella al tempio come appartenente al re (il tempio
del re, del regno). Amos risponde appellandosi all'autorità superiore del Signore. Amasia
si ritiene funzionario del re, del quale si fa interprete (Geroboamo I aveva nominato i sa-
cerdoti scegliendoli dal popolo, 1Re 11-12). Il profeta ribadisce che il regno non è uno
spazio chiuso controllato dal re, ma da Dio, che irrompe con la sua Parola.
Non nābî´ (sono-ero?) io, non ben-nābî´
ma (kî ) un mandriano io (ero) e raccoglitore di fichi (bôlēs šiqmîm).
Il Signore mi ha preso mentre seguivo il gregge.
E mi disse il Signore: «Va’, profetizza (hinnābē’) al mio popolo Israele.
Alcuni autori vedono in questa risposta il rifiuto di essere nābî´. Però la discussione è
imperniata sulla radice nābā’ che designa l’attività di Amos ed è presente a ogni versetto
26
. Il profeta rifiuta di essere catalogato tra i nebî’îm di professione, che si guadagnavano
il pane profetizzando a pagamento, accetta invece la missione di «profetizzare» conferi-
tagli dal Signore e si proclama profeta per vocazione come Mosè. Fu il Signore a costi-
tuirlo tale. Non poteva tacere, perché Dio gli aveva ordinato di «diventare profeta» (hin-
nābē’) e profetare. È risposta a lō’-tûkal hā’āreṣ lĕhākîl ’et-kol-dĕbārāyw (v.10): «La
terra (re e regno) non può “sopportare o resistere” (kwl, hiphil) o contenere la Parola». Il
senso è in parte quello di «vincere», allitterazione con yākal, come kol, «tutte» le sue pa-
role. Il potere della Parola è vincente su ogni tentativo di incatenarla (cf 2Tm 2,9) ed
espelle i colpevoli. Non possono resistere.
A partire da Amos, la figura del profeta assume il carattere tipico dell'uomo libero
davanti alle istituzioni, capace di denunciare il male delle classi dirigenti (re, sacerdoti,
potentati economici) e di difendere i deboli. È l’uomo che legge la storia, vi scopre e
proclama la parola e la volontà del Signore, annuncia il castigo imminente, ma anche in-
tercede per il suo popolo e lo invita alla conversione per ottenere il perdono.

25
Cf M. DIJSKTRA, «I am neither a prohet nor a prophet’s pupil»: Amos 7:9-17 as the Presentation of a
Prophet like Moses, in J.C. DE MOOR (ed.), The Elusive Prophet: The Prophet as Historical Person, Literary
Character ad Anonymous Artist (OTS 45), Brill, Leiden-Boston-Cologne 2001, pp. 105-128: Am 7,9-17 è
inserzione editoriale; solo 7,11 riporta Amos all’VIII sec. Così J. WERLITZ, «Amos und sein Biograph. Zur
Entstehung und Intention der Prophetenerzählung. Am 7,10.17», BZ 44 (2/2000) 233-251: il testo, unità let-
teraria indipendente, non è dell’ottavo secolo, ma del periodo esilico o postesilico. Tuttavia, non si tratta di
un racconto puramente fittizio inventato dal biografo: il v.14 contiene un’antica tradizione. Cf anche F.O.
GARCÍA-TRETO, A Reader-Response Approach to Prophetic Conflict: the Case of Amos 7,10-17, in J.C.
EXUM – D.J.A. CLINES (edd.), The New Literary Criticism and the Hebrew Bible (JSOTSS 143), Sheffield
1993, pp. 114-124.
26
La radice nāba´ appare sei volte a partire dal v.12: 4 in forma verbale, hinnābē´, 2 come nome, nābî´:
v.14; cf anche “veggente”, v.12, e nìp, “vaticinare”, lett. “sbavare”. Al v. 14 LXX traduce e interpreta: «Io
non ero un profeta» (cf Cei).

22
3. Caratteri e stile del messaggio di Amos
Anzitutto lo stile sapienziale: non la sapienza dei grandi centri culturali, piuttosto
quella dei clan (cf la donna saggia di Teqoa in 2Sam 14). Lo rivelano le domande didat-
tiche, le invettive che richiamano Proverbi (Am 5,18; 6,1, cf Prov 23,23s; Qo 10,16s), le
parabole (5,18-20; 3,7-8), le esortazioni e le antitesi, le sentenze numeriche, i temi sulla
rettitudine e la giustizia. Il suo ministero si esprime con parole e visioni. Il libro contiene
anche tre dossologie (4,13; 5,[7]8-9; 9,5-6) e un racconto in terza persona: il confronto
tra il profeta e il sacerdote Amasia (7,10-17).

4. Amos e il NT
• La narrazione della morte di Gesù fa riferimento a Am 8,9: «Farò tramontare il sole a
mezzogiorno…» (cf Mt 27,45; Ms 15,33; Lc 23,44s);
• Am 9,10 accenna al «lutto per il figlio unico»;
• At 7,42s (discorso di Stefano), cf Am 5,25-27LXX: l’inclinazione all’idolatria del
popolo durante i quarant’anni del deserto;
• At 15,16s si appella ad Am 9,11LXX, per affermare non la restaurazione della mo-
narchia (TM), ma l’apertura di tutti i popoli a Dio: «Fin dal principio, si preoccupò di
scegliersi tra i pagani un popolo per sé» (At 15,14);
• La parabola del ricco epulone (Lc 16,19-31) sembra calcata su Am 6,4-6, che denun-
cia la vita lussuosa nell’indifferenza per i poveri (la liturgia ha unito i due passi nella
medesima domenica).

2 - Struttura (cf. Bovati - Meynet)


vv 1,1-2: TITOLO DEL LIBRO: Parole di Amos, ruggito del Signore – al tempo di Ozia re di Giuda e
Geroboamo II re di Israele (783-743) – attività al Nord
Sezione A: 1,3-2,16 – LE NAZIONI E ISRAELE SOTTO IL GIUDIZIO DI DIO 27
A1: 1,3-2,3: contro le Nazioni straniere (1,3-5.6-8: Damasco e Gaza; 1,9-10.11-12: Tiro ed E-
dom; 1,13-15; 2,1-3: Ammon e Moab)
A2: 2,4-5: contro Giuda
A3: 2,6-16: contro Israele
Sezione B: 3,1-6,14 - ISRAELE DOVRÀ PASSARE ATTRAVERSO LA MORTE 28
B1: 3,1-8: una trappola per i Figli di Israele (in 3,3-8 è ricostruita l’esperienza della vocazione
del profeta: a Dio non si può resistere, quando egli chiama bisogna rispondere)
B2: 3,9-4,3: moltiplicare le ricchezze non salverà i Figli di Israele (3,9-12: invito alle nazioni
straniere; 3,13-15: annuncio della distruzione; 4,1-3: invito ai ricchi di Samaria)
B3: 4,4-13: moltiplicare i sacrifici non salverà i Figli di Israele (4,4-5: invito ironico; 4,6-11: ri-
cordo dei castighi passati – sette piaghe; 4,12-13: invito drammatico a incontrare Dio)
B4: 5,1-17: lamento funebre sulla Vergine e Casa d’Israele (5,1-3: lamento del profeta sulla
Vergine di Israele rapita dalla morte; 5,4-6: invito alla “casa d’Israele” a cercare il Signore;
5,7-13: annuncio del castigo; 5,14-15: invito a cercare la giustizia; 5,16-17: lamento di Isra-
ele sui propri morti. 5,1-3.16-17: testo rituale funebre su una relazione interrotta, in cui il
profeta pronuncia il suo messaggio di morte)

27
Lo stile ricalca i proverbi numerici. C. WESTERMANN, Primo approccio all’AT, Marietti, Torino 1977: gli
oracoli sono organizzati alla stessa maniera, seguendo la struttura dell’oracolo profetico di condanna: moti-
vazione (lamento e suo sviluppo) e annuncio (intervento di Dio e conseguenze). A Moab è rimproverata la
violazione del diritto internazionale (2,1-3): Dio, Signore universale, custodisce il diritto anche fuori di Isra-
ele. Gli oracoli contro Israele contengono tre tipi di accusa: (a) sociale o etica; (b) contro il culto non auten-
tico; (c) la falsa sicurezza nella elezione.
28
Alonso, Profeti, p. 1086, articola i capitoli 3-4; 5,1-17 a struttura concentrica (4,13; 5,1-3. 4-6. 7.10-13.
14-15. 16-17. 7-8); 5,18-6,14 (sezione guai).

23
B5: 5,18-27: un culto pervertito non salverà la casa d’Israele (5,18-20: 1° guai, a coloro che at-
tendono il giorno del Signore; non si potrà sfuggire al nemico [il giorno del Signore]; 5,21-
25: ciò che richiede il Signore: odio le vostre feste v.21 – scorrano diritto e giustizia; 5,26-
27: Israele non potrà sfuggire alla deportazione)
B6: 6,1-7: una ricchezza pervertita non salverà la casa d’Israele (6,1: 2° guai, a quanti si credo-
no i primi; 6,2-3: voi non siete migliori degli altri; 6,4-7: sarete i primi a essere deportati)
B7: 6,8-14: il veleno per la Casa di Israele (6,8-11: Dio distruggerà l’orgoglio dei palazzi di
Giacobbe; 6,12: Dio deplora la degenerazione di Israele; 6,13-14: Dio farà schiacciare gli
orgogliosi)
Sezione C: 7,1-9,14 - LA VISIONE DELLA FINE
C1: 7,1-6: l’intercessione del profeta sospende la distruzione finale (visioni, 7,1-3: la minaccia
delle locuste; 7,4-6: la minaccia del fuoco)
C2: 7,7-8,3: l’espulsione del profeta determina la distruzione finale (7,7-9: la visione del “piom-
bino”, ’ānāk; 7,10-17: Amos è cacciato da Betel; 8,1-3: la visione dei frutti maturi, a signi-
ficare che la fine è venuta)
C3: 8,4-14: la fine della profezia, ultima parola del Signore (8,4-7: il Signore non dimenticherà
l’ingiustizia di Giacobbe; 8,8: un castigo cosmico – terremoto; 8,9-14: la perversione del
culto di Samaria sarà castigata)
C4: 9,1-10: il Signore comanda la distruzione finale – un resto (9,1-4: un male al quale nessuno
potrà sfuggire: visione della distruzione del santuario = il giudizio è inevitabile; 9,5-7: il Si-
gnore e i Figli di Israele; 9,8-10: il male per tutti i peccatori)
C5: 9,11-15: il Signore promette la restaurazione finale29

3 - Messaggio – La giustizia30
Il messaggio centrale del libro di Amos, che rivela una coerenza letteraria e tematica,
risulta, in forza della ripetizione, la giustizia. È l’argomento da cui derivano e verso il
quale confluiscono tutti gli altri: vocazione, culto, elezione, dossologia. Il tema ha il suo
fulcro nella sequenza di Am 2,6-16 (oracolo contro Israele) esposto sempre in forma bi-
partita: accusa e annuncio della sanzione per ristabilire la giustizia.
A – La denuncia verte su una situazione inveterata in Israele, insensibile a pentimenti
e richiami, aggravata dal tentativo di mascherare il crimine. L’ingiustizia si estende da
una base economica – ha come segno l'oppressione del povero e del debole – fino
all’ambito giuridico che ha il suo centro nel re e nella corte (disprezzo del diritto:
«Cambiano in veleno [assenzio, o “in alto” LXX] il diritto e gettano a terra la giustizia»
[5,7, cf 6,12]; «odiano chi accusa alla porta, hanno in abominio chi dice verità», 5,10),
per sfociare nell’ambito religioso e cultuale, il cui sistema (riti, tempio, luoghi sacri)

29
Altre proposte di struttura del libro sono in J.M. ABREGO DE LACY, Libri profetici (Introduzione allo studio
della Bibbia 4), Paideia, Brescia 1995, pp. 49s. I. DUE PARTI: 1) Am 1,1 = «parole» di Amos (= 1-6); 2) Am
7,1 = «visioni» (= 7-9). II. SICRE, cit. (cf ALONSO, Profeti, p. 1086, R. Martin Achard, in AA.VV., I profeti e i
libri profetici [Piccola Enciclopedia Biblica 4], Borla, Roma 1987, p. 39): introduzione 1,1.2, (a) oracoli contro
i paesi stranieri + Israele: 1,3-2,16; (b) oracoli contro Israele: 3,1-6,14; (c) visioni: 7,1-9,10; (d) oracolo di
salvezza e consolazione: 9,11-15. III: lo stesso ABREGO LACY: (a) 1,1-2,16: Israele tra le nazioni; (b) 3,1-3:
l’elezione non è un privilegio – (resto del libro) – (b’) 9,7-8: l’elezione non è un privilegio; a’) 9,9-10: Israe-
le tra le nazioni; 9,11-15: appendice (= oracoli di salvezza); egli nota giustamente la duplice inclusione con
un rilievo teologico: 1) in 9,9 Israele è tra gli oracoli delle nazioni, è come una di esse, come nella prima par-
te (2,6-16); 2) in 3,1-3 e 9,7-8 l’elezione è intesa come «giudizio» non come fonte di privilegi: Israele colpe-
vole è sullo stesso piano delle altre nazioni. J. LIMBURG, I dodici profeti. Parte prima: Osea, Gioele, Amos,
Abdia, Giona, Michea (Strumenti – Commentari 23), Claudiana, Torino 2006, p. 117-118, propone quattro se-
zioni, dopo i versi introduttivi (1,1-2): 1,3-2,16; 3,1-6,14; 7,1-8,3; 8,4-9,15.
30
Cf P. BOVATI - R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, Ed. Dehoniane, Roma 1995, pp. 423-436, e Piccola
Enciclopedia Biblica, pp. 42-46.

24
consacra la perversione, e terminare con il rifiuto della Parola che trova la sua più alta
espressione nel rifiuto del profeta (Am 7,10-17). La giustizia è impazzita! Amos svela
quanto poco Israele tenga conto di Dio. Per primo egli denuncia la separazione tra culto
e giustizia, rito e vita, servizio del Signore e servizio al prossimo.
Accanto o insieme al tema dell’incuria per la giustizia, Amos denuncia dunque il fal-
so culto e la falsa sicurezza posta nella elezione, come anche il lusso della classe alta.
Non perché fosse proibito profumarsi o dormire in un buon letto, ma per denunciare
l’indifferenza, che attira il giudizio di Dio, e per additare la compassione solidale con gli
avvenimenti del popolo di Dio (Von Rad).
B – Il giudizio divino è concentrato nel «giorno del Signore» nel quale giudizio e
condanna saranno inevitabili (5,18-20, cfr 8,9-14). E il profeta avverte: «Preparati
all’incontro con il tuo Dio, Israele» (Am 4,12c). Comporta una condanna equa, sulla ba-
se del contrappasso, con la perdita di tutte le ricchezze e sicurezze, una condanna impar-
ziale rivolta a tutti i trasgressori senza distinzione. In 2,13-16 il giudizio assume
l’immagine dell’esercito in rotta; in 3,1-2 avviene l’ispezione e in 3,13-15 il cataclisma
(cf 8,8). Il capitolo 4 evoca le sette piaghe contro Israele, ma inutilmente; segue allora il
lamento funebre per la morte (c.5). Infine, le visioni passano dalla intercessione al giudi-
zio inevitabile, per la cacciata del profeta e la conseguente assenza della parola (7,1-
9,10). Il tempo della pazienza divina sembra finito, non esistono proroghe. Israele si in-
cammina verso la distruzione.
C – Tuttavia, l’ultima sequenza (9,11-15) annuncia il capovolgimento della situazione
per un intervento gratuito e liberante del Signore. Si apre così per Israele una prospettiva
di misericordia inattesa. Il testo sembra opporsi alle precedenti categoriche dichiarazioni
di giudizio (5,1.11; 8,14; 9,1). Ma la fine radicale di Israele, che doveva prepararsi
all’incontro con Dio per il giudizio definitivo, era stata mitigata dall'annuncio di un resto
che ne avrebbe garantito la continuità (2,16b; 3,12; 4,11; 5,3.15; 9,8-10).
L’improvviso e immotivato «cambio della sorte» (šub ’et-šebût, 9,14) presuppone una
prospettiva teologica. Se il castigo è motivato dal peccato di Israele, la «mutazione delle
sorti» non dipende dal suo comportamento, bontà o conversione, ma da Dio che cambia
(šub) la storia. Il futuro di Israele non ha altro fondamento che Dio stesso, la fedeltà divina
al «suo» popolo (9,13-14a). Il Dio che «costruisce (bōnēh) nel cielo il suo soglio e fonda la
sua volta sulla terra» (9,6; 4,13; 5,8s), è in grado di ricostruire il suo popolo (9,11). Israele
convocato per l’ultimo incontro con il Signore per ricevere il giudizio, può ancora confida-
re nella misericordia. «Preparati all’incontro con il tuo Dio» (4,12) è da considerare più
che una convocazione militare per la punizione, una convocazione liturgica per l’ultima
occasione di conversione che lascia aperta una speranza: «cambiare» per non essere
«cambiato-sconvolto» in una catastrofe. Se ci sarà salvezza, sarà comunque frutto
dell’amore gratuito di Dio. L’esilio sarà il terribile momento in cui JHWH si rivelerà co-
me il Signore dell’alleanza, «il Signore tuo Dio» (9,15d), e al tempo stesso come il Crea-
tore, origine assoluta della vita, «il Signore che fa questo» (9,12c).
Il cambiamento futuro non sarà però un semplice ritorno alla condizione passata, ma
una nuova creazione che manifesta la medesima sovrana potenza creatrice divina che
produce la vita. Due tratti accentuano la novità: l’esuberanza della vita, raffigurata nella
pienezza e sovrabbondanza di ciò che permette agli uomini di vivere, la fecondità della
terra con i «giardini» (9,13) che sembrano alludere al paradiso primitivo; la definitività
che abolisce ogni distruzione e deportazione (Am 9,15). Il tratto ideale va oltre il ritorno
storico dall’esilio mirando all’ultimo intervento di Dio «nei giorni futuri». Del resto, sto-
ricamente la restaurazione di Davide (v.11) non si è avverata.

25
ESEGESI

1. Giudizio su Israele come gli altri popoli: Am 2,6-16


Contesto
Il testo permette di riconoscere alcune linee teologiche qualificanti del libro di Amos. Fa
parte degli “oracoli contro le nazioni”, ne rappresenta l’apice: è l’ultimo, l’ottavo (7 +
1), il più lungo e articolato; gli altri letterariamente sono in funzione di questo, dove il
profeta sembra esprimere la consapevolezza di essere ormai giunti alla fine (cf 8,2).
Lo stile degli oracoli è di tipo sapienziale. Assume la forma dei “proverbi numerici”.
Ognuno comincia dicendo: “Così dice il Signore: Per tre misfatti d’Israele e per quattro
non revocherò il mio decreto…” (v.6a). La sequenza - “tre e quattro” - segue il modello
del parallelismo, che usa dei sinonimi o espressioni in progressione. Il numero quattro è
simbolo di totalità: si è raggiunto il culmine (come 3+4 = 7, altro numero perfetto). “Non
revocherò il decreto”: ogni sentenza viene motivata.
Ogni oracolo infatti contiene: accusa, motivazione, condanna. I delitti sono simili: atti
di violenza, crimini contro l’umanità. Non sfuggono a ciò Giuda, accusato di rifiutare i
precetti e di avere seguito la menzogna, cioè l’idolatria, e Israele, che rappresenta il pun-
to estremo dell’accusa profetica. La condizione di popolo eletto non avrebbe preservato
il popolo dalla rovina (cf 3,1-2; 9,7), perché la sua condotta – nelle relazioni sociali e nel
culto – non era diversa da quella degli altri popoli.

Struttura
L’oracolo inizia come gli altri: «Così dice il Signore» seguito dal proverbio numerico e
quindi dalla accusa, motivazione e condanna. La formula, “oracolo del Signore”, ai
vv.11 e 16, sembra voler articolare in due sezioni l’intervento del Signore. Nel secondo
caso, conclude tutta la serie (1,3-2,16): un unico giudizio accomuna tutti.
Nella prima sezione (vv.6-11), l’accusa elenca le colpe del popolo (vv.6-8) opposte
all’azione liberante del Signore in suo favore, che diviene motivazione della condanna
(vv.9-11); l’ultimo dono (v.11) diventa una nuova accusa (la quarta, v.12). La condanna
assume la forma di una metafora agricola (il carro carico di covoni) e di una disfatta mi-
litare (la fuga vergognosa e precipitosa di tutti i componenti dell’esercito, vv.13-16).

Analisi
vv.6-8: i crimini di Israele. Si tratta di violenza e ingiustizia esercitata non contro avver-
sari, anche se imparentati, ma contro innocenti, membri dello stesso popolo che Dio ave-
va liberato. È il trionfo del potente sul debole. I delitti sono identici a quelli delle altre
nazioni, perciò anche la condanna sarà simile. Per tutti arriva la fine: al veloce ogni pos-
sibilità di fuga è preclusa (’abad, “perire, venir meno”, 2,14; cf 1,8 usato per la scompar-
sa del resto dei Filistei)). È la distruzione del sistema politico del regno del nord, che av-
verrà nel 722/21 per opera dell’Assiria.
Il termine peša‘, “reato, misfatto”, è spesso classificato come crimine politico, denota
una rivolta contro un signore. Qui si tratta di un’unica azione ingiusta mimetizzata dietro
la forma di una procedura giudiziaria (uso falso della legge che «è gettata a terra») e di
una celebrazione cultuale.

26
I protagonisti possono essere diversi come le vittime: giusto e povero (v.6b), umili e
bisognosi (al plurale, v.7). I singoli delitti sono sintetizzati; nelle parole del profeta erano
probabilmente più circostanziati.
a) Ingiustizia e violenza (vv.6-7a): 1) vendita del giusto (ṣaddiq), reso schiavo per
debiti (probabilmente si tratta di un tranello teso in giudizio per condannarlo), e del bi-
sognoso (’ebion, misero bisognoso di aiuto) per un paio di sandali, un modesto debito: è
reso schiavo o riceve una azione penale sproporzionata; oppure per un contratto cede il
bene o se stesso con il gesto di dare i sandali, è costretto a vendersi (cf invece, l’onestà
di Samuele, Sir 46,19); o gli insolventi per debiti sono ceduti a terzi (Giuseppe venduto
dai fratelli); 2) oppressione degli indigenti-miseri (dallîm): calpestare (haššō’ăfim) con
violenza la testa, è accusa generica di brutalità e umiliazione e di azione ripetuta (parti-
cipio); 3) in tal modo, fanno deviare gli umili (‘anawim): sono condotti per sentieri sba-
gliati (nāṭāh), indotti a un comportamento corrotto; o sono condannati da giudici corrotti
(cf 5,12b): compensi illeciti servono a respingere (hiṭṭû, hifil di nāṭāh) i poveri (Wolff);
oppure, perché oppressi, sono tentati di compiere il male (cf Sal 125,3). Il tema della
giustizia sociale è centrale in tutto il libro di Amos. Per il profeta non è solo un problema
di distribuzione sociale dei beni, ma di fede, legato alla liberazione divina, che fa risalta-
re la dignità di ogni persone. Perciò ridurre in schiavitù è un comportamento empio.
b) Immoralità (v.7b). Il verso è più lento: è un tetrametro (prima vi era un doppio tri-
metro). Vi è un’allusione sessuale (recarsi da). Il testo potrebbe riferirsi ad atti di culto
in funzione della fertilità, le prostitute sacre; ma potrebbe trattarsi di una schiava o di
una persona sottomessa di cui si abusa. È il deterioramento delle relazioni familiari (una
forma di incesto? cf Lv 18,8.15 o il caso di Ruben con Bila, Gen 35,22; 49,4).
c) Culto inefficace coinvolto nell’ingiustizia. È la separazione tra culto e vita. Il testo
descrive il modo spregiudicato di trattare persone indebitate commettendo un abuso con-
tro gli ordinamenti legali, come il pignoramento degli abiti, esplictamente proibito dalla
Legge (cf Es 22,25; Dt 24,12s.17: il mantello del povero e gli abiti della vedova). Nelle
feste si sdraiano su abiti pignorati anziché sui propri. Tutto è orientato a far baldoria, e il
culto è strumentalizzato a proprio uso e consumo.
vv.9-11: motivazione. Un doppio, solenne «E Io» introduce i vv.9-10. Vi è un’aggravan-
te, la contraddizione con le proprie origini: la liberazione dai potenti realizzata dal Si-
gnore mediante l’esodo e il dono della terra di libertà (l’Amorreo è totalmente distrutto:
da capo a piedi; immagine dell’albero). Si aggiunge il dono di istituzioni religiose e cari-
smi come la profezia e il nazireato. Quest’ultimo motivo introduce, al v.12, il quarto de-
litto: la devianza imposta a istituzioni religiose, impedendo ai profeti di parlare (come
avviene per Amos, 7,10-17), privando così il popolo della Parola (8,11-12), e ai nazirei
di essere fedeli al loro voto di consacrazione (cf la legge in Nm 6,1-21, ed esempi in Gdc
13,5 e 16,17; 1Sam 1,11; Ger 35,2-6; Lc 1,15.48).
La motivazione è dunque religiosa. Il profeta, «uomo della memoria», risale alle ori-
gini di Israele, alla elezione, che ne aveva fatto un popolo libero, di fratelli, mentre la
nuova situazione sociale andava creando gli schiavi. La medesima motivazione il profeta
Geremia opporrà ai potenti di Gerusalemme che, dopo avere liberato gli schiavi, di nuo-
vo volevano ridurli in servitù (34,8-22, cf vv.13-16). Il profeta, uomo della memoria, in-
tende in questo modo ricostruire l’identità di Israele.
vv.13-16 condanna in immagini agricole e militari
v.13: il carro affondato. «Ecco Io (cf vv.9.10, atto solenne) “sto per” (participio) far
spaccare [il suolo] (= affondare) sotto di voi (mē‘îq, apax, hifil di ‘wq, arabo e ugaritico

27
‘qq, “fendere, spaccare” il suolo, cioè affondare), come (lo) spacca il carro pieno di co-
voni». Il carro fende la terra imbevuta d’acqua, quindi affonda nella spaccatura. Le fen-
diture alludono alle crepe del terremoto (cf le visioni, 8,1s, quarta e quinta)? È la fine
annunciata di Israele. Il dono della terra sembra essere revocato (vv.9.10). Dio aveva fat-
to sorgere (’aqîm) profeti, ora affonda (mē‘îq) il popolo, spaccando la terra sotto di esso.
L’immagine potrebbe essere interpretata diversamente: si tratta della slitta che funge da
trebbia per schiacciare i covoni, come in 1,3, la trebbiatura con erpici di ferro.
vv.14-16: l’esercito in rotta; immagine della fuga precipitosa di ogni tipo di guerrie-
ro. Al v.15 i termini tecnici fanno pensare a diverse tipologie di guerrieri anche al v.14:
«Perirà (’abad) il rifugio (manôs) del “veloce” o fante dall’armatura leggera (qal), e il
“forte” ossia l’oplita non potrà usare (renderà forte) la sua forza, e il gibbôr, il generale o
il prode, non salverà la sua vita; l’arciere (tofeś haqqešet) non resisterà, e il veloce non si
salverà per i suoi piedi, e il cavaliere non salverà la sua vita. Alla fine anche «il corag-
gioso o prode (forte di cuore) fuggirà nudo (abbandonando armi e bagagli)» per salvarsi
(v.16); ma anche lui, come sembra dal contesto, non si potrà salvare. Tre volte infatti ri-
pete: “non si salverà” (lö´ yümallë† [napšô]); in tutto sono sette i tipi di guerrieri. È una
disfatta totale, nessuno si potrà salvare.
Il Signore aveva combattuto e annientato l’Amorreo in favore di Israele, ora combatte
contro il suo popolo, perché tutti sono colpevoli. L’annientamento colpisce tutti, in par-
ticolare i simboli del potere militare, l’esercito, la forza in cui Israele confidava (cf Mic
5,8-14). Dio travolgerà questi simboli, mandando contro il suo popolo i segni che a suo
tempo aveva inviati contro l’Egitto (cf 4,4-11). Israele deve prepararsi all’incontro con il
Signore (4,12)! Sarà la distruzione definitiva o l’incontro sincero con Dio resta l’ultima
possibilità di salvezza mediante la conversione?

2. Am 5,18-20: Il «Giorno di JHWH»31


SIGNIFICATO TEOLOGICO PREMINENTE
L’espressione indica soprattutto il giorno del giudizio escatologico di JHWH, ma anche tutti
i giudizi lungo la storia anticipatori e segno di quello.
1. ESPRESSIONI
a. giorno di JHWH, giorno del giudizio (16 x)
b. giorno di giudizio negativo: giorno d’ira, vendetta, tribolazione (o simili: Is 10,3; 13,13;
34,8; 61,2; 63,4; Ger 46,10...):
giorno di oscurità, nubi, tempesta;
giorno di battaglia, sterminio, rovina, sconvolgimento;
giorno di sventura, corruzione, indigenza, ecc.
c. talora allude al suo arrivo prossimo: anticipazione e segno dell’ultimo.
d. giudizio escatologico: «in quel giorno». Spesso la formula serve anche di collegamento
nelle promesse (Is 49,8; Ger 31,6; Mi 7,11.12; Am 9,11-15).
2. SIGNIFICATO
Le espressioni sottolineano il carattere di evento, un evento importante del passato (cf
feste che lo celebrano) o futuro (nella maggior parte dei casi). «Nell’ambito della visione
storica di Israele e della sua persuasione di essere in una posizione guida (orientate ambe-

31
Cf E. JENNI, Jom Jhwh, in: E. JENNI-C. WESTERMANN (cur.), Dizionario Teologico dell’AT, vol.I, Marietti,
Torino 1978.

28
due verso il futuro e radicate in Dio e nel suo agire nella storia), quest’idea fu trasferita
sempre più nell'avvenire e divenne così gradualmente il giorno di JAHWE, ossia quel con-
cetto che ci è ormai abituale» (Preuss).
3. ORIGINE
Presuppone l’esperienza di salvezza per un’azione storica compiuta da JHWH in favore
del suo popolo. Preuss lo collega soprattutto all’Esodo.
Le tradizioni della guerra di JHWH, riprese dai profeti, possono aver influenzato la con-
figurazione dell’attesa del futuro (Von Rad: intervento militare liberatore del Signore, cf. Is
9,3: il giorno di Madian). H.M. Lutz precisa però: «Il giorno di Jahwé è anche una guerra
santa, non solo guerra».
4. STORIA
4.1. Il passo più antico è ritenuto Am 5,18-20 (cf 8,11-14)32
Si tratta di un oracolo polemico: una specie di canto funebre (hôy, «Guai a voi!», oppu-
re: «Oh, voi», vocativo?), che presuppone l’idea di un giorno di salvezza. Possiamo pensare
a una o più feste liturgiche, che celebravano la salvezza/liberazione dai pericoli: si attende
il giorno nel quale Dio concederà il favore.
I mit’awwîm, coloro che attendono o invocano con insistenza il giorno del Signore,
hanno infranto l’alleanza; di fatto invocano il loro giudizio. L’intervento del Signore non
sarà per salvare il popolo infedele, ma per colpire. Per loro sarà notte e non giorno, tenebre
e non luce: è il ritorno al caos (Gen 1,2). Il profeta respinge ogni forma di escatologia a tin-
te nazionalistiche e proclama il carattere tremendo e ineluttabile del castigo (cf anche 8,9-
14: tenebre, fame, morte, con 8,1-3: i frutti maturi, a indicare il giudizio inevitabile).
Una minuscola parabola illustra questa fatalità: il fuggitivo inciampa in diversi pericoli,
culminanti nel nemico più pericoloso, il serpente (dopo il leone e l’orso, simboli forse di
qualche potenza straniera, cf. Dan 7).
Amos pone in discussione l’attesa salvifica dei suoi contemporanei. Israele è tra le nazio-
ni, sulla stessa linea dei nemici di JHWH. Nel «Giorno del Signore» non può considerarsi il
resto (‫ )ש ְׇאר‬destinato alla salvezza, ma deve attendersi le terribili conseguenze della venuta
del Signore a cui non può sottrarsi. Si prepari dunque all’incontro con il suo Dio (4,12). È
convocazione liturgica o militare, per il pentimento o solo per annunciare il castigo inevi-
tabile? Sembra, più probabile la prima (cf i motivi alla fine del commento ad Am 9,11-15).
Lo hôy iniziale vuole attirare l’attenzione del popolo: ha insieme il potere dell’accusa e la
forza di un lamento funebre, uno stratagemma drammatico per rivelare gli effetti della sua
condotta. Nella distruzione dei nemici Dio afferma che liberazione e salvezza sono conces-
si solo a quanti aderiscono ai principi dell’alleanza. Ma ora Israele è come gli altri popoli.
4.2. Altri testi: Is 2,12-17 sottolinea la vittoria di Dio su ogni arroganza e orgoglio. Sof
1,7ss.14-17; Ez 7 (testi più ampi) considerano il G. di Y. rivolto interamente contro Israele.
Dopo la catastrofe del 587 (Ez 13,5; 34,12; Lm 1,12; 2,1.21s) designata retrospettivamente
come Giorno di JHWH, il giudizio è in prevalenza, non esclusivamente, rivolto contro i po-
poli stranieri (Babilonia, Is 13,6-9; Egitto, Ez 30,3; Edom, Abd 15, cf. anche Is 34,8; 61,2;
Gl 3,4; 4,14; Ger 46,10).

32
Cf H.W. WOLFF, Dodekapropheton (BK XIV/2), Neukirchen-Vluyn 1969 (21975), pp. 38ss, 298-302; su Am
5,18-20, cf anche K.D. MULZAC, «Amos 5:18-20 in its Exegetical Theological Contexts», JATS 13 (2/2002) 94-
107, che sviluppa le caratteristiche letterarie, struttura, sfondo storico, interpretazione; egli pone il giorno del
Signore nel contesto della teofania e dell’alleanza.

29
4.3. Il passaggio dall’idea di giorno di salvezza a giorno di sventura è reso possibile dal suo
carattere ambivalente: reca sventura ai nemici di JHWH, salvezza ai suoi fedeli. Tutto di-
pende da che parte stanno Israele e gli altri uditori. Non si può accettare la sicurezza fasulla
di chi afferma: «JHWH è con noi». Il giudizio verifica se noi siamo con Dio. Il Giorno di
JHWH si pone perciò nei profeti come anello di congiunzione tra gli annunci del giudizio-
castigo e gli annunzi di salvezza.

3. Am 9,11-15: La restaurazione messianica


1. DATAZIONE
Oracolo pre-esilico o postesilico? Nel primo caso minaccia la rovina e annuncia la restau-
razione della dinastia davidica, nel secondo annuncia un futuro felice dopo la caduta. Però
non è estraneo al messaggio di Amos e ha un significato nell’attuale contesto.
2. TESTO
11. In quel giorno,
rialzerò la capanna di David, la cadente (o che è caduta)
e riparerò le loro brecce (LXX la sua breccia)
e le sue (= di lui) rovine rialzerò
e la RICOSTRUIRÒ (‫ )בנה‬come nei giorni antichi
12. perché posseggano il resto di Edom
e tutte le nazioni sulle quali è pronunciato il mio nome.
Oracolo del Signore che fa questo (‘ôśeh zō’t = Creatore)!
13. Ecco giorni verranno
- Oracolo del Signore -
e si avvicinerà l’aratore al mietitore
e chi pigia l’uva al seminatore (lett. chi getta la semente)
e sprizzeranno i monti mosto
e tutte le colline ondeggeranno (‫) ׅתתְ םו◌ׂגַגנׇ ה‬.
14. Sì, CAMBIERÒ LA SORTE DEL MIO POPOLO ISRAELE
e RICOSTRUIRANNO (‫ )בנה‬città devastate e (le) abiteranno,
e PIANTERANNO (‫ )נטע‬vigne e ne berranno il vino
e coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti
15. E io li PIANTERÒ (‫ )נטע‬sulla loro terra
e non saranno più strappati (‫ )נתשׁ‬dalla loro terra, che diedi (‫ )נתן‬loro.
Dice il Signore tuo Dio!
3. STRUTTURA
Il testo, articolato in due riprese (vv.11.13, “in quel giorno”, “in quei giorni”), è costituito attorno a
tre verbi concentrici:
a. ricostruirò (‫ )בנה‬la capanna di Davide, cioè il regno davidico con i suoi domini (vv.11-12);
b. cambierò (‫ )שוב שבות‬le sorti del popolo + costruire-abitare-piantare (vv.13-14) degli uomini;
c. li pianterò nella terra, con benedizione della terra e restaurazione del popolo (v.15).
4. ESEGESI
vv.11-12: il regno davidico - prospettiva dinastica messianica, in due segni:
• La ricostruzione della capanna di Davide (sukkah). Quattro verbi la qualificano: rialza-
re la capanna caduta, riparare le brecce, rialzare le rovine, ricostruire, restaurare. La
«capanna» di Davide allude all’insieme del regno e alla sua dinastia. È il ripristino del-
la situazione politica. L’immagine della ricostruzione allude, forse, alla «casa» promes-
sa nella profezia di Natan (2Sam 7).

30
• Dominio sui vassalli: Edom (il classico nemico a partire dall’esilio) e gli altri. «Pro-
nunciare il nome» è presa di possesso, garanzia di proprietà e di dominio: su di essi è
invocato il Nome di JHWH, come quando si dedica un tempio nel nome di.... È il ritorno
allo splendore del regno di Davide, considerato ideale.
At 15,16-17 (discorso di Giacomo) reinterpreta il passo in chiave universalistica se-
condo la LXX, che probabilmente legge šĕ’ērît ’ādām anziché šĕ’ērît ’édôm.
vv.13-15: il popolo e la terra
• Introduzione temporale, escatologica.
• Al centro (v.14) è l’espressione dominante: Dio «cambia la sorte» del suo popolo ‫שׁוב‬
(‫ ◌ׁשׁבוּת‬comunemente inteso come «ristabilire, restaurare la sorte»). L’azione divina si
accorda con l’opera umana: «costruiranno e pianteranno» (cf. Ger 1,10).
• Agli estremi (vv.13.15), i segni della restaurazione designano la pace.
1) Lavori agricoli con raccolto abbondante: i campi offrono il necessario e garantito so-
stentamento, la terra è trasformata dalle benedizioni, le stagioni della semina e della rac-
colta si susseguono senza interruzione (cf Gen 8,22).
L’immagine agricola si concentra sul grano/pane (aratore e mietitore, seminatore e spi-
ghe riflesse nelle colline che «ondeggiano») e sul vino (pigiatore d’uva, mosto che sprizza,
vigne piantate e vino bevuto). Sono i cibi tipici delle promesse profetiche (ad es. Is 55,1-3),
essenziali per nutrire il popolo ed eliminare la fame e la sete minacciate in precedenza e
frutto delle ingiustizie (8,4-14: fame e sete della Parola, fame e sete reali).
L’immagine dei giardini è forse allusione al paradiso primitivo. Il popolo ritorna a lavo-
rare là donde Adamo era stato cacciato.
2) Città e case ricostruite e abitate riflettono il quadro estetico e sociale che rappresenta
la pace. In Sal 122,3 Gerusalemme, «città di pace», è «costruita come città salda e compat-
ta». Così le maledizioni di Am 5,11 sono annullate.
3) «Piantare» rappresenta una dimora stabile nella terra. L’immagine della pianta riferi-
ta al popolo è estesa al territorio (cf 2Sam 7): la terra promessa ai Padri «non sarà più
strappata», non ci sarà più deportazione. I verbi «piantare, strappare, dare» (v.15), in ebrai-
co formano allitterazione: ‫נׇ טַע‬, ‫נׇ תַש‬, ‫ נׇ תַן‬- nātan, nātaš, nāṭa‘.
5. SINTESI - INTERPRETAZIONE
5.1 - «Cambierò la sorte del mio popolo». L’azione divina fonda il cambiamento. All’inizio
il Signore è soggetto dei quattro verbi di restaurazione: costruire, restaurare, ricostruire; al-
la fine: «li pianterò» offre la promessa di una residenza stabile. Inizio e fine (vv.11.15) ri-
prendono le tematiche del centro (vv.13-14). La restaurazione è riassunta in due verbi, co-
struire e piantare, riferiti al mondo urbano e agricolo; coincidono con i due verbi positivi
della missione di Geremia (1,10). La restaurazione del popolo si accompagna alla benedi-
zione della terra.
All’azione divina corrisponde l’azione uomana. Dio ricostruisce la capanna di Davide e
pianta gli abitanti della terra; a loro volta, gli abitanti ricostruiscono le città devastate e
piantano le vigne. Il profeta descrive la pace mediante un’attività ininterrotta: le città rico-
struite sono abitate, i campi garantiscono il continuo e necessario sostentamento.
5.2 - La ricostruzione include la casa di Davide che ritorna all’antico splendore con il pos-
sesso dei territori conquistati, «Edom e tutte le nazioni, sulle quali è pronunciato il nome di
‫ »יהוה‬in segno di dominio. La casa davidica è riconosciuta come l’unica legittima, anche
per il nord, dominato al tempo di Amos dai discendenti di Jehu (Geroboamo II).
Ordine politico, civile e militare sono così ristabiliti. Il ripristino della situazione politi-
ca del passato rappresenta il modello del futuro. È l’immagine della pace che domina su

31
Gerusalemme in Sal 122, frutto convergente di ordine sociale, religioso e giudiziario. Ai
«seggi del giudizio» è sostituito in Amos il potere militare concentrato in Davide conqui-
statore di popoli (cf Is 55,4-5). Nel contesto prossimo, il brano si accorda con Abdia 19 e
Gioele 4,19 circa la punizione di Edom (cf. Am 9,12), e ancora con Gioele sui monti che
«stillano mosto» (Gl 4,18 e Am 9,13) e l’abitazione stabile in Gerusalemme e sul monte
Sion (Gl 4,21 e Am 9,15).
5.3 - Per Israele si apre una prospettiva di misericordia inattesa. L’annuncio profetico di
salvezza sembra opporsi alle categoriche precedenti dichiarazioni di giudizio:
È caduta, non potrà più rialzarsi la vergine di Israele (5,1).
Abete costruito case di petra squadrata, ma non vi abiterete;
avete piantato vigne pregiate, ma non ne berrete il vino (5,11).
Cadranno, non si rialzeranno più (8,14).
Nessuno di essi riuscirà a fuggire, nessuno di essi scamperà (9,1)
Tuttavia, la minaccia della fine radicale di Israele, che doveva prepararsi all’incontro
con il suo Dio (4,12), era stata mitigata dall’annuncio di un resto, che ne avrebbe garantito
la continuità (2,16b; 3,12; 4,11; 5,3.15). E immediatamente prima del nostro passo, il pro-
feta aveva annunciato la strage dei peccatori (9,14), ma presupponeva un resto:
Ecco gli occhi del Signore Dio contro un regno peccatore:
lo distruggerò (‫ ) ׇשׁמַד‬dalla faccia della terra.
Ma non distruggerò del tutto la casa di Giacobbe…
Di spada moriranno tutti i peccatori del mio popolo che dicevano:
«Non farai avvicinare e non farai venire fino a noi la sventura» (9,8-10).
Però, «cambierò la sorte» (9,14) appare improvvisamente e senza motivazione. La dis-
simetria ha significative conseguenze teologiche. Mentre il castigo è motivato dal peccato
di Israele, la «mutazione delle sorti» unicamente da Dio. «Non è Israele che si converte
(‫ )שׁוּב‬è Dio che cambia (‫ )שׁוּב‬la storia. Il futuro di Israele – “i giorni che verranno” (13a) –
sono il tempo del manifestarsi di una grazia che non ha altro fondamento che Dio stesso, la
fedeltà divina al popolo che Egli continua a chiamare suo popolo (14a)».33 Il Dio che «co-
struisce nel cielo il suo soglio e fonda la sua volta sulla terra» (9,6), è in grado di ricostrui-
re il suo popolo. Israele convocato per l’ultimo incontro con il Signore per il giudizio, può
ancora confidare nella sua misericordia. Nel messaggio di Amos non è dunque assente ogni
speranza. L’esilio sarà il terribile momento in cui JHWH si rivelerà come il Signore
dell’alleanza, «il Signore tuo Dio» (15d), e al tempo stesso come il Creatore, origine asso-
luta della vita, «il Signore che fa questo» (12c, öºSeh zö´t).34
5.4 - Il cambiamento futuro non sarà tuttavia un semplice ritorno alla condizione passata,
ma una nuova creazione che manifesta la medesima sovrana potenza che produce la vita
(‫)עוֹשֵֺה‬. Due tratti accentuano la novità: (1) l’esuberanza della vita, la pienezza e la
sovrabbondanza di ciò che permette agli uomini di vivere, cioè la fecondità della terra
(v.13, cf i «giardini» con altre immagini iperboliche di carattere escatologico: Is 54,11 e 62
la città; 55,1-3 il cibo; 65,20 l’età, il giovane muore a cent’anni; Ez 47,12 la sorgente; Zc
14,7 sempre giorno); (2) la definitività: non ci sarà più distruzione né deportazione.

33
BOVATI-MEYNET, cit., p. 391.
34
Ivi.

32
OSEA
L’amore misericordioso e fedele di Dio innamorato
Bibliografia
L. ALONSO SCHÖKEL – J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989: Osea, pp. 971-1045.
M.J. BUSS, The Prophetic Word of Hosea. A Morphological Study (BZAW) 1969.
A. FANULI, Osea. Il profeta dell’amore sempre disposto a innamorarsi (LoB 1.23), Queriniana, Brescia 1984.
J. JEREMIAS, Osea (Antico Testamento 24/1), Paideia, Brescia 2000 (ed. ted. Der Prophet Osea, Vandenhoeck &
Ruprecht, Göttingen 1983).
W. KUHNIGK, Nordwestsemitische Studien zum Hoseanuch (Biblica et Orientalia 27), PIB, Roma 1974.
R. LACK, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti); IDEM, Letture struttura-
liste dell’A.T., Borla, Roma 1978, pp. 129-149.
G. LIMENTANI, Il profeta e la prostitute. Osea, Paoline (La Parola e le parole), Cinisello Balsamo (Mi) 1999.
A.W. WOLFF, Dodekapropheten. Hosea (BKAT XIV/1), 51965.
H. SIMIAN-YOFRE, Il deserto degli dei. Teologia e storia nel libro di Osea, EDB, Bologna 1994 (ed. spagn. El
Desierto de los dioses, Cordoba-Madrid 1992).
E. ZENGER (ed.), Studien sum Zwölprophetenbuch (HBS 35), Freiburg i.Br. 2002; cf F. CRÜSEMANN, «Jetzt».
Hosea 4-11 als Anfang der Schriftprophetie, pp. 12-31.
Cf anche la bibliografia su Amos

1 - Figura e libro
1 – Attività: da Amos il contadino a Osea l’innamorato. Osea fu uno dei più antichi profeti
scrittori, e dovette seguire di poco Amos. Non è indicato il luogo di nascita né del suo mi-
nistero; ma visse e profetizzò al nord, nel regno di Israele o Giacobbe o Efraim, durante gli
ultimi anni del regno di Geroboamo II, un po’ prima e anche in contemporanea con il pro-
feta Isaia che profetizzò in Gerusalemme e Giuda. Il regno di Geroboamo durò 40 anni e in
prosperità (786-746 o 783-743 a.C.), ma fu il penultimo della dinastia di Jehu, che il profe-
ta bolla come sanguinaria e della quale annuncia la prossima estinzione (1,4, cf 2Re 14,23-
17,23). Infatti, Zaccaria figlio di Geroboamo, dopo sei mesi di regno, fu assassinato
dall’usurpatore Sallum che sarà ucciso a sua volta, dopo un mese, da Menachem; a questi
successe Pekachia (due anni), pure lui assassinato da Pekach che sarà ucciso da Osea,
l’ultimo sovrano: dopo tre anni di assedio Samaria sarà conquistata dagli Assiri (721-722
a.C). Il fatto che il profeta taccia sui successori di Geroboamo «non è forse un riflesso del
giudizio portato dal profeta nel nome del Signore: «hanno creato dei re che io non ho desi-
gnati» (8,4)?» (Bibbia TOB). Di fatto, il c.7 potrebbe alludere a vicende e congiure seguite
alla morte di Geroboamo. L'intestazione nomina anche quattro re di Giuda (Os 1,1): Ozia,
Iotam, Achaz ed Ezechia, che regnò fino alla fine del secolo VIII, dopo la caduta di Sama-
ria per opera degli Assiri (non è certo che il profeta vi abbia assistito).

2 – Il matrimonio di Osea. Del profeta il libro ci fa conoscere, oltre al tempo della sua at-
tività, solo il suo nome (hôšēª‘, “Egli [Dio] ha salvato”, forma abbreviata e alternativa di
hôša‘yah, “Jhwh ha salvato”), quello del padre (Beerì) e della moglie (Gomer). È ben nota
invece la paradossale sua vicenda coniugale che diventa simbolo dei rapporti tra Israele e il
“suo Dio”: nei sentimenti di amore della sua vita il profeta scopre la passione di Dio per il
suo popolo. Egli riceve l’ordine dal Signore di prendere una “donna di prostituzione” e di
avere “figli di prostituzione”. Non si trattò di una parabola o finzione letteraria, del profeta
o dei discepoli, per descrivere l’idolatria, ma di un “atto simbolico”, nello stile di altri pro-
feti (Isaia, Geremia, Ezechiele), nel quale Osea fu realmente coinvolto. Tutto il libro si ri-
solve in un commento alla vicenda narrata nei primi tre capitoli.

33
Una discussione verte sul rapporto tra i due racconti di Os 1,1-9 (3a persona) e 3,1-5 (1a
persona, tono autobiografico. Probabilmente si trattò della stessa persona, Gomer, con la
quale il profeta dovette intessere e purificare la relazione; nel secondo racconto
l’esperienza del profeta appare subito non come una questione personale tra lui e la sposa,
ma nel suo significato simbolico (due le possibili traduzioni di 3,1: “mi disse: Va’ ancora,
ama…”; o “mi disse: Va’, ancora ama…”).
Si tratta poi di precisare il significato di «donna di prostituzione» collegata alla sua
vocazione profetica (lēk qaḥ-lĕkā ’ēšet zĕnûnîm): a) potrebbe designare una donna dedi-
ta alla prostituzione prima del matrimonio il cui mestiere avrebbe segnato poi la vita ma-
trimoniale e quella dei figli (potrebbe essere stata «una [prostituta] sacra» o qĕdēšāh col-
legata ai culti della fertilità a sfondo sessuale, tipici della cultura cananea: frequentata
dal profeta, gli diede «figli di prostituzione», senza diritti [cf 2,4.15; 4,12-14 e Gen
38])35; b) oppure una donna «portata a prostituirsi» che durante il matrimonio cederà alle
sue inclinazioni; c) o infine una moglie che, una volta sposata, divenne infedele al marito
e lo abbandonò (2,4ss). Nel libro il termine oscilla tra due significati, quello reale e quel-
lo simbolico riferito all’idolatria. Quando Dio rivela il significato simbolico e trascen-
dente dell'infedeltà, il profeta proietta nel passato la scoperta, attribuendo il suo matri-
monio a un ordine divino.
Certo il matrimonio con una tale persona, amarla ed esserle fedele, appariva un gesto
incomprensibile e insensato, una pazzia. Ma nonostante le probabili derisioni provenienti
dalle molte voci dei suoi uditori che lo trattarono da «stupido» e «ridicolo» (cf 9,7), Osea
continuò a parlare. Nell’esperienza tragica e traumatica di sposo innamorato e ferito, ma
fedele nonostante le infedeltà della sposa, il profeta intuisce l’amore inalterato del Signore
per il suo popolo, al di là delle infedeltà reiterate descritte in termini coniugali e sessuali:
l’idolatria diventa prostituzione con amanti stranieri, gli idoli. Essa non ha solo una dimen-
sione cultuale, Baal e il vitello d’oro costruito da Geroboamo I per il santuario di Samaria e
oggetto di adorazione, ma anche una versione politica, che consisteva, in un momento di
travaglio, nel cercare la salvezza non in Dio, bensì nelle alleanze con le potenze straniere,
Egitto e Assiria, passando dall’una all’altra (12,2).
Il profeta propone anche il rimedio per indurre Gomer alla riflessione e alla conversio-
ne: un totale isolamento con astinenza sessuale, anche dal marito. Così per Israele: la spo-
gliazione dei beni (Os 2,8-14), compresi quelli religiosi (sacrificio, stele, efod e terafim,
3,1-5), avrebbe indotto Israele a ritornare al suo Dio e sposo (3,5; 2,8ss). È l’esilio conside-
rato come ritorno in Egitto e nuovo esodo (cf 11,1ss): nel deserto Dio sarebbe ritornato a
«parlare al cuore» della sposa, cioè in intimità e con potere di convinzione, compiendo un
vero e proprio atto di seduzione (2,16). In tal modo avrebbe scontato il periodo di apostasi-
a, «il tempo di Baal» (2,15), con i giorni di festa dedicati al Dio, considerato il «marito-
padrone» (Bā‘āl), e instaurato con il Signore una nuova relazione nella fedeltà, conoscenza
e lealtà (’emet, ḥesed, da‘at), che ha il sapore di una «nuova creazione» (2,18-22).

35
Un esempio dell’interpretazione del primo capitolo di Osea 1 è in A. SCHENKER, «Kinder der Prostitution,
Kinder ohne Familie und ohne soziale Stellung. Ein freundschaftliches Sed contra für Lothar Ruppert und
eine These zu Hos 1», in F. DIEDRICH – B. WILLMES (edd.), Ich bewirke das Heil und erschaffe das Unheil
(Jesaja 45,7). Studien zur Botschaft der Propheten (Fs für L. Ruppert zum 65. Geburtstag), Echter, Würz-
burg 1998, pp. 355-369. L’autore sostiene che Osea non si sposò, ma ebbe tre figli con una prostituta fuori
del matrimonio. Non avevano perciò una famiglia che li accettasse per dare loro un luogo e un nome in Israe-
le. I loro nomi indicano che essi erano ostracizzati; così nel prossimo futuro Israele sarebbe stato ostracizzato
da Dio. Tuttavia, la corrispondenza tra il racconto iniziale e quello finale, nonché l’interpretazione centrale,
sembrano orientare per la formula del matrimonio, sebbene gli studiosi continuino a dibattere se la donna in
Os 1,2s sia o no da identificare con la moglie di Osea (3,1-5, cf le due possibili traduzioni di 3,1).

34
Così nella strana e drammatica avventura coniugale con Gomer il profeta ha compreso e
saputo esprimere l’amore di Dio verso il suo popolo e l’umanità. Solo l’amore-grazia di
Dio potrà liberare Israele. Alla fine, infatti, prevarrà l’amore sullo sdegno, un amore più
grande del peccato e delle infedeltà: le precede e le supera, perché il cuore di Dio è più
grande del cuore dell’uomo (cf 1Gv 3,20). E l’amore condurrà il popolo alla conversione
(Os 14,2-9). È il fatto di grazia che si avvera in Cristo: «Dio dimostra il suo amore verso di
noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8); «In questo
consiste l’amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ci ha amato e ha inviato il
suo Figlio come propiziazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10).

3 – Formazione del libro. È praticamente impossibile precisare il ruolo del profeta nella
stesura dello scritto. Nel libro troviamo allusioni a episodi del tempo di Geroboamo e alla
fine della dinastia di Jehu (1,4), l’accusa di una guerra fratricida (5,8ss, la «siro-
efraimitica», cf Is 7,1ss), il ricordo di alleanze con l’Egitto e l’Assiria (12,2). Molti oracoli
sembrano ripetersi. Si possono individuare degli interventi redazionali (ad es. il primo ver-
setto), soprattutto quando si applica a Giuda una serie di oracoli scritti originalmente per il
nord (cf Os 1,7). In tal caso, la redazione ultima dovette avvenire al sud, dopo la distruzio-
ne di Samaria e la deportazione dei suoi abitanti.
Appare comunque l’originalità della lingua e dello stile del libro, appassionato e talora
veemente, con frasi corte ma difficili da decifrare. La vicinanza del suo linguaggio con
quello liturgico, levitico-sacedotale, ha fatto pensare all’origine del libro in una «comunità
profetico-levitica di opposizione» (H.W. Wolff). Si nota un certo influsso sapienziale so-
prattutto nell’uso dei proverbi, ma gli aspetti più interessanti sono costituiti dalle immagini:
quelle coniugali e sessuali soprattutto, ma anche altre tra le quali predominano quelle del
mondo animale e vegetale. Dio è sposo, padre, medico e pastore; ma anche leone, leopardo
o orsa; tarlo, rugiada o albero (terebinto, cipresso). E Israele è sposa, figlio, infermo, greg-
ge, colomba, vigna, vino del Libano, fiore (fiorone o iris), nebbia o nuvola mattutina.
«Inizio del parlare del Signore (tĕḥillat dibber yhwh) per mezzo di Osea» (Os 1,2). Que-
sto «principio» apre il libro di Osea e insieme il libro dei Dodici Profeti, ritenuti un’opera
unica e considerati tali sin dall'antichità (cf LXX Dōdekapróphēton, il libro dei «Dodici
profeti», e Sir 49,10), anche se la strutturazione o il filo logico letterario che li unisce è
tutt’altro che chiara, nonostante gli studi fatti in proposito36. Vi è un presunto ordine crono-
logico, secondo i titoli dei singoli libri. Ma alcuni di essi non corrispondono a una figura
storica di profeta, bensì solo a una profezia scritta o “profezia letteraria”, soprattutto Gioe-
le, Abdia, Giona e Malachia; quest’ultimo, in particolare, è strettamente collegato lettera-
riamente all’ultima parte del libro di Zaccaria che lo precede, avendo la medesima introdu-
zione.

4 – Influssi di Osea e del suo libro. Tre temi caratteristici hanno influenzato la letteratura
biblica. 1) L’immagine sponsale applicata alle relazioni tra Dio e il suo popolo ha influen-
zato il linguaggio e la simbologia religiosa: da Osea a Geremia (cf Ger 2-3), Ezechiele (cf
Ez 16 e 23), Deuteroisaia, fino al NT e alla spiritualità cristiana (il NT cita più volte testi
del profeta, ma continua anche l’immagine di Cristo “sposo”, in Giovanni, e della chiesa
sposa che invoca la venuta dello sposo, in Apocalisse). Certamente Osea crea lo spazio per

36
Su questo problema, cf le note di D. SCAIOLA, «I Dodici Profeti Minori: problemi di metodo e di interpre-
tazione», RivBibIt 54 (2006) 65-75; cf IDEM, «Il libro dei Dodici Profeti Minori nell’esegesi contemporanea.
Status Quaestionis», RivBibIt 48 (2000) 320-334; IDEM, I Dodici profeti: perché minori? Esegesi e teologia,
Dehoniane, Bologna 2011.

35
l'interpretazione religiosa dello stesso Cantico dei Cantici in seguito al suo inserimento nel
Canone biblico. 2) L’immagine paterna di Dio (Os 11,1ss) nel quale la misericordia e il
perdono trionfano sul giudizio, nonostante le ribellioni del figlio (cf Ger 31,18-20; Lc
15,11-32). 3) L’idea, relativa al culto, che Dio preferisce la misericordia, lealtà e fedeltà, e
la conoscenza ai sacrifici (Os 6,6; cf Samuele l’obbedienza più che i sacrifici 1Sam 15,22-
23; Mt 9,13 e 12,27).

2 - Contenuto e struttura del libro


Tema ripetuto è il «processo» o contesa giudiziaria (rîb) che si risolve sempre in un esito
finale salvifico: 2,4 (rîb) si risolve con “tornare(volgersi, šûb)” e “cercare” (biqqēš, 3,5);
4,1.4 (rîb) si risolve con “far ritornare” (šûb, 11,11); 12,3 (rîb) si risolve con “(far) ritorna-
re” (šûb, 14,2.3.8) e “far trovare” (nimṣā’, 14,9). Alla fine, il Dio cercato con il ritorno è
trovato nei frutti di Efraim. Il libro è articolato in due parti disuguali37.
I. Os 1-3: Matrimonio di Osea e suo valore simbolico
Buss articola i tre capitoli secondo uno schema concentrico:
2,4-22 interpretazione
2,1-3 2,23-25 nomi nuovi
1,2-9 3,1-5 racconto
All’inizio e alla fine troviamo un racconto (1,2-9 in terza persona; 3,1-5 in prima perso-
na). Wolff ritiene l’ultimo una testimonianza scritta del profeta. Dio ingiunge al profeta di
sposare una prostituta e adultera e di avere da lei “figli di prostituzione”.
I nomi nuovi (2,1-3.23-25) descrivono l’avvenire della sposa. Ai tre figli i nomi negativi
(1,2-9; 2,25) vengono mutati in positivi (2,1-3: Isreel, amata, mio-popolo). Anche la sposa
riconquistata chiama il marito con un nome nuovo: «Mi chiamerai “marito mio” (’îšî), non
mi chiamerai più “mio padrone” (ba‘lî)» (2,18): il linguaggio contrattuale è sostituito con
quello personale. Bā‘āl richiama anche il dio cananeo, il “padrone”, al quale si «prostitui-
va» il popolo-sposa, abbandonando il culto puro di Jhwh suo sposo. Perciò, il Signore si
impegna: «Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal», non lo invocherà più (2,19).
Al centro (2,4-22) è la chiave interpretativa del racconto nel contesto di una contesa
giudiziaria (rîb). Nella sua esperienza il profeta legge la storia dell’intero popolo: la donna
personifica Israele, che, venendo meno alla fedeltà promessa (alleanza), si è data ai culti
cananei (spesso a sfondo sessuale) prostituendosi e commettendo adulterio (cf. 2,12-19).
Dio, sposo, riconquisterà la moglie con il castigo e la riconciliazione, rinnovando il matri-
monio. Il deserto ne è il simbolo espressivo, nell’immagine di punizione (v.5) e redenzione
(vv.16ss). Riconducendo la sposa nel deserto, Dio le «parla al cuore» (cf Is 40,2), convin-
cendola; le fa compiere un «nuovo esodo» di conversione e la riconquista al suo amore (cf.
Ger 2,2 e cc.2-4). Il tema dell’esodo è presente e si prolunga in tutto il libro di Osea. Le
tradizioni storiche son adattate per svilupparle prima come anti-esodo (conseguenza del
rîb contro Israele) e poi come nuovo esodo nella forma della promessa escatologica di
restaurare Israele come popolo e come figlio38.

37
R. LACK, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti); IDEM, Letture
strutturaliste dell’AT, Borla, Roma 1978, pp. 129-149; E.M. GOOD, «The Composition of Hosea», Svensk
Exegetisk Arsbok 31 (1966) 21-63; M.J. BUSS, The Prophetic Word of Hosea. A Morphological Study
(BZAW) 1969.
38
Cf S. SILVA RETMALES, «Tradición del “Exodo” en Oseas», EstBib 56 (1998) 145-178.

36
II. Os 4-14: Processo ai delitti di Israele
Westermann ritiene questa parte una serie di «oracoli isolati». Tuttavia, altri autori hanno
cercato di cogliere un’articolazione globale. Propongo il tentativo di Rémy Lack che ricer-
ca l'universo simbolico di Osea e suddivide il testo in due parti: i capitoli 4-11 e 12-14.
Ambedue iniziano con un processo (rîb, 4,1-3; 12,3) e concludono con un oracolo di sal-
vezza (11,8-11; 14,2-9)39.
Osea 4-11: Primo processo e liturgia penitenziale
I capitoli sono articolati in quattro sezioni: 1) 4,1-5,7 (kāšal, inciampare, inclusione in
4,5 e 5,5); 2) 5,8-7,16 (hālaq, andare + biqqēš, cercare + šûb, tornare, inclusione in
5,11.15; 6,1 e 7,10.11.16); 3) 8,1-14 (tôrātî, mia legge, inclusione in 8,1 e 8,12); 4) 9,1-
11,11 (yāšab, abitare + šûb, tornare, inclusione in 9,3: non abiteranno – ritorneranno, e
11,5: yāšûb-lāšûb, tornerà in Egitto, perché si rifiutarono di tornare; 11,11: li farò abita-
re-ritornare alle loro case). Ogni sezione inizia con un imperativo: a/ ascoltate la parola
(4,1), b/ suonate il corno (šōpār) / la tromba (ḥăṣōṣrāh, 5,8), c/ poni alla tua bocca il
corno (8,1), d/ non rallegrarti (9,1). Si ravvisa il modello di una liturgia penitenziale in
forma di «processo» che, insieme ad altri schemi esplicativi, permette una lettura unita-
ria. Il profeta denuncia l’infedeltà, il falso ritorno (culto formalistico) e i fallimenti stori-
ci, per proporre di ricominciare dall’Egitto (il deserto, Os 2,10ss).
A – Schema di processo. (1) 4,1-5,7: Dio constata l’assenza di penitenza perché mancano
fedeltà e conoscenza; (2) 5,8-7,16: denuncia la falsa penitenza; (3) 8,1-14: smaschera la
trasgressione che rompe l’alleanza (due sono i peccati maggiori: la regalità infedele e il vi-
tello d’oro di Samaria); (4) 9,1-11,11: annuncia la terapia, nuovo esilio e nuovo esodo. A
causa del peccato occorre rifare il percorso antico. Le immagini frequenti della «vigna», in
questa parte (9,2.4; 10,1.11), si possono spiegare col riferimento al tema della vigna tra-
piantata dall’Egitto in terra promessa (cf. Sal 80,9-14).
B – Schema di movimento. L’attenzione è attirata dai verbi di movimento: abbandonare
(‘āzab), volgere (sûr, šûb), andare (hālak). Lo schema è organizzato sempre attorno alle
quattro sezioni: (1) 4,1-5,6: nota il non ritorno del popolo (5,4-6); (2) 5,8-7,16: prevede il
falso ritorno (6,4; 7,10); (3) 8,1-14: preannuncia il ritorno in Egitto come castigo (8,13);
(4) 9,1-11,11: ravvisa le tappe del nuovo esilio-esodo: espulsione dalla terra di JHWH
(9,3.6) – Egitto (11,5) - ritorno a casa (11,11). Il movimento spiega il processo. Il peccato
crea una situazione di allontanamento reciproco tra Dio e il popolo: dal momento che il
popolo rifiuta di ritornare a Dio (5,4.10), Dio si ritira (5, 6.14s: si volge altrove) o, parados-
salmente, lo “visita”: gli si volge contro per castigarlo (8,13, 9,7.9).
C – Si ravvisa anche il tema dell’abitare. Gli abitanti sono colpevoli (4,1-3), perciò non
abiteranno più nella terra di JHWH (9,13). Ma il Signore, dopo averli ricondotti in Egitto
(9,3), di nuovo li farà abitare nelle loro case (11,11).
Osea 12-14: Secondo processo e liturgia penitenziale
Il secondo processo (12,3) rivela ancora i tratti di una liturgia penitenziale. La requisi-
toria contiene riferimenti alla formula di alleanza (12,10 e 13,4; 12,7 è aggiunta) e ri-

39
Cf C. WESTERMANN, , Primo approccio all’AT, p.117; R. LACK, Letture strutturaliste dell’A.T., Borla, Roma
1978, pp. 129-149; IDEM, Osée 4-14: Études de structure, PIB, Roma 1974/5 (dispense per gli studenti). J. JE-
REMIAS, Osea, situa gli oracoli secondo l’ordine cronologico (Os 4-11; i cc. 12-14 costituiscono le ultime paro-
le); H. SIMIAN-YIOFRE, Il deserto degli dei, segue la seguente struttura: Os 4-7 (critica dell’istituzione sacerdota-
le), Os 8-10 (sacerdoti, monarchia e popolo), Os 11-14 (il Dio di Efraim).

37
guarda la storia di Giacobbe (12,3-15) e di Efraim (13,1-4,1); è rivolta soprattutto contro
il vitello d’oro e la monarchia. Il capitolo 14 conclude la liturgia penitenziale con l'esor-
tazione al pentimento e l’invito ad accostarsi a Dio; si conclude con l'oracolo di salvezza
(14,2-9). Os 14,10 è la conclusione sapienziale di un maestro.

3 - Messaggio: Alleanza – Matrimonio40


L’alleanza è il tema centrale del libro di Osea, espresso nell'immagine matrimoniale. La
formula compare rovesciata in Os 2,4, positiva in 2,21s. Parte dall'esperienza personale del
profeta (cc.1-3) e viene ribadito nelle categorie di ḥesed e da‘at:
Voglio l’amore/lealtà (ḥesed) e non il sacrificio,
la conoscenza (da‘at) e non gli olocausti (6,6).
Il termine da‘at riassume l'elemento oggettivo della conoscenza e quello soggettivo
della coscienza del patto, del sentirsi legati a una persona nel riconoscimento e nella ri-
conoscenza nei suoi confronti, si esprime in comunicazione e comunione. Il collegamen-
to con ḥesed connota lo stretto rapporto con l’alleanza. L'alleanza è un patto d'amore che
esige riconoscimento e conoscenza di Dio, del suo operare e delle sue esigenze; suppone
una catechesi, istruzione (tôrāh) che è compito dei sacerdoti. L'amore suppone un dialo-
go, si riferisce a una tradizione (cf i diversi richiami del profeta all'esodo, all'alleanza, a
Mosè, 12,14-15, opposto a Giacobbe, 12,3-5.13), esige una conoscenza e una legge, si
oppone all’oblio di Dio (2,15s; 4,6; 8,14; 13,4-6).
ḥesed significa solidarietà, lealtà o fedeltà, amore, tenerezza, pietà, grazia. La ḥesed
conduce Dio alla ricerca della sposa per rigenerarla (la rende nuovamente vergine – è
una nuova creazione) ed esige in risposta la fedeltà e lealtà del popolo.
L’accostamento dei due termini è significativo. Come Dio si fa conoscere all’uomo le-
gandosi a lui per mezzo di un’alleanza, manifestandogli con i benefici il suo amore, così
l’uomo conosce Dio, implicando con ciò la fedeltà all’alleanza, il riconoscimento dei suoi
benefici, l’amore.
a) Ma il Signore stesso denuncia mediante un processo (rîb) che il suo amore non è ri co-
nosciuto in Israele perché manca la da‘at e prevale l'infedeltà, cioè l’assenza di Ðesed: I-
sraele diventa il tipo della moglie infedele e anche del figlio ribelle (Os 11,1-4: alla triplice
dimostrazione dell'amore di Dio risponde il triplice rifiuto di Israele).
Kî ´ên-´émet wé´ên-Heºsed wé´ên-Daº`at ´élöhîm Bä´äºrec
`#r,a'(B' ~yhiÞl{a/ t[;D;î-!yae(w> ds,x,²-!yaew>) tm,óa/-!yae yKiû
Non c’è fedeltà né lealtà né conoscenza di Dio nella terra (4,1, cf. 6,1ss; 2,21).
Le accuse del profeta mettono in luce una diffusa corruzione presente nelle istituzioni e
nel popolo intero.
• I re di Israele – la casa sanguinaria di Jehu - sono votati alla distruzione per la politica
di alleanze con altri “amanti” (le potenze straniere, 8,9) e per lo scisma e la guerra fra-
tricida con Giuda.
• I sacerdoti ingiusti, avidi, rapaci e negligenti non offrono la tôrah impedendo la “cono-
scenza” di JHWH e favorendo quindi l’oblio e la deviazione del popolo (c.4).
• Le conseguenze sono ingiustizia e culto idolatrico (4,11-19) diffusi nel paese, ambedue
frutto della «non conoscenza». Allora i costumi si corrompono (4,1-3.7-14: decalogo

40
Cf TERESA SOLÀ – FREDERIC RAURELL, Oseas, Teologia renovadora des d’una hermenèutica d’amor,
Facultat de Teologia de Catalunya, Associació Bíblica de Catalunya, Barcelona 2000.

38
dimenticato, prostituzione, depravazione, ubriachezza) e JHWH è scambiato con Baal e
Astarte (ba‘lî, contrapposto a ’îšî, «marito mio», 2,18).
• Ma il Signore, «geloso» dei suoi diritti di marito, esige che i nomi dei Baal siano can-
cellati e non più ricordati (2,19) e si instauri una relazione personale, nuova; in risposta
al suo amore leale chiede fedeltà-lealtà e conoscenza.
b) La conseguenza della corruzione sarà il castigo. In un primo momento sembra limitato e
temporaneo, per indurre alla conversione: «Ritornerò al mio posto finché non espiino e
cerchino il mio volto e ricorrano a me» (Os 5,15). Ma senza risultato (cf 6,11b-7,1a; 7,16:
si convertono, ma ai loro idoli). Allora il castigo diventa inevitabile: un popolo ingiusto,
corrotto e ribelle è votato al macello (9,12s); il regno dei morti accoglierà Samaria (13,14-
14,1). «Hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta!» (8,7, cf. Gb 4,7; Prov 22,8). Il
profeta ne annuncia e vede il segno nelle catastrofi naturali (2,11-14; 4,3, 5,7) e nelle di-
sfatte militari (1,5; 7,6; 7-8; 10,14-15) con rovina, morte, esilio.
c) Tuttavia, il profeta annuncia in Dio un amore inalterato e inalterabile (ḥesed we’emet,
Os 2,21-22), che finisce per trionfare. In Osea 6,1-6 il popolo chiedeva una guarigione ritu-
ale, ma senza un sincero pentimento; il Signore rispondeva esigendo amore e fedeltà (ḥesed
we’emet). Ma la compassione prevarrà sull’amore ferito e opererà perdono e guarigione
(11,1-11; 14,4-9) sul popolo pentito che confessa sinceramente il peccato.
Valore del messaggio. Il profeta inverte la comune sequenza: peccato-conversione-
perdono. Il perdono precede la conversione: «Dio perdona prima che il popolo si converta,
e sebbene non si sia convertito… Questo non significa che la conversione non sia necessa-
ria. Ma che essa si realizza come risposta all'amore di Dio, e non come condizione previa al
perdono»41.
Il profeta Osea introduce audacemente immagini erotiche nella relazione tra l’uomo e
Dio. Egli si esprime in termini di «seduzione» (´änökî mépaTTêhä, 2,16) che diventeran-
no cari ai mistici. Un aspetto che il profeta Geremia svilupperà, addirittura parlando di
«violenza» o di fuoco incontenibile che arde dentro, nelle ossa e nelle viscere (Ger 20,7-
9). Un simile «ribollire» e commozione prova anche Ben Sira di fronte alla Sapienza che
rappresenta la manifestazione stessa di Dio (Sir 51,13-21). Ma è Dio l'innamorato, il
“Diletto” (Is 5,1) che arde di amore appassionato fino alla gelosia (qinä’, Is 9,6) e trae a
sé, afferra la sposa o le impone degli impegni (mäšaq, Os 11,4), “perché canti come i
giorni della giovinezza”, quand’era ebbra d’amore (2,16-17, cf Ger 2,2); e il credente di-
venta amante: “il mio respiro/desiderio aderisce a te, il tuo braccio mi stringe” (Sal
63,9). Dio ama (’āhab), sceglie o elegge (bäHar) il suo popolo, conosce (yäDa`) la sua
sposa e la predilige (Häšaq) con amore appassionato e incontenibile. Il suo compiaci-
mento-desiderio (Hepec) è amore leale (Hesed, cf anche Mi 7,18), comprensione e cono-
scenza (cf Ger 9,23). È questo amore che alla fine conquista il cuore dell’uomo.

41
L. ALONSO SCHÖKEL-J.L. SICRE DIAZ, cit., p. 976.

39
ESEGESI

1 - Matrimonio di Osea e oracolo messianico: Osea 3,1-5


1 Il Signore mi disse:
«Ancora va’, ama una donna
amata (TM; Gr S Vg “amante”) dal suo amico (‫)ר ַע‬ ֵ e adultera;
come il Signore ama gli Israeliti,
mentre essi si volgono ad altri dei
e amano le schiacciate d’uva».
2 Io me l’acquistai per quindici pezzi (= šëKel) d’argento e una misura (Hömer) d’orzo
e un letec d’orzo (= una misura e mezza; Gr un otre di vino)
3 e le dissi: “Per molti giorni/anni ABITERAI (‫ )תֵ שׁ ְׅבי‬con me;
non ti prostituirai e non sarai di nessuno;
così anch’io mi comporterò con te”.
4 Poiché per molti giorni/anni ABITERANNO (‫ )י ֵשׁבוּ‬gli Israeliti
senza re e senza capo,
senza sacrificio e senza stele,
senza efod e senza terafim.
5 Poi TORNERANNO (‫ )י ָשׁוּבוּ‬gli Israeliti
e cercheranno il Signore loro Dio, e Davide loro re
e si avvicineranno con tremore (temeranno) al Signore
e alla sua bontà, alla fine dei giorni».
Il brano è a conclusione della prima parte, dopo la promessa di Dio nei confronti della spo-
sa che ama (2,4-25). Si tratta di un nuovo fidanzamento (vv.16-17) che sfocerà in un nuovo
matrimonio (vv.18-22). Dio paga il prezzo della sposa (vv.21-22: ’āraś, piel) e la assume
fondando la relazione in un atteggiamento reciproco corretto, al quale Dio per primo si im-
pegna: “con giustizia e diritto” (bĕṣedeq ûbĕmišpāṭ) che porta alla salvezza, “con lealtà e
misericordia” (bĕḥesed ûbĕreḥămîm) e “con fedeltà” (be’ĕmûnāh) superiori a ogni tradi-
mento. Così la sposa, che prima attribuiva agli dei ogni suo bene, alla fine “riconoscerà il
Signore” (weyādá‘at ’et-yhwh, v.22b). Il brano seguente (3,1-5) riflette nell’esperienza del
profeta la ricerca di Dio verso il popolo “sposa”.
3,1-3: è racconto autobiografico (1a persona, in parallelo con 1,2s, 3a persona). Al comando
divino con interpretazione simbolica (v.1), segue la duplice esecuzione del profeta: «acqui-
sto» della donna (v.2), isolamento e imposizione dell’astinenza (v.3).
3,4-5: è interpretazione storica. Il v.4 interpreta la seconda azione, mentre il v.5 è
un’ulteriore interpretazione – escatologica e messianica – del segno profetico. Il racconto
prolunga foneticamente ‫( י ֵשׁבוּ‬yāšab, «abitare, stare, dimorare»), in ‫( י ָשׁוּבוּ‬šûb, «ritornare»,
in senso fisico e religioso).
Il matrimonio del profeta è un atto simbolico che nella tradizione profetica coinvolge la
vita personale dell’interessato (cf Is 8,1-4; 20; Ger 16,22; Ez 4,4ss), quindi un fatto reale,
non una semplice parabola narrativa. Se la donna, come è probabile, è la stessa moglie del
profeta, Gomer (1,3), si comprende meglio il fatto di Dio innamorato di un popolo che fug-
ge da lui. Come agisce il profeta (vv.2-3), che riceve l’ordine di continuare ad amare
(v.1a), anche Dio agisce nei confronti di Israele (v.1b.4).

40
3,1. Il Signore mi disse: «Ancora va’ e ama». Non si impone di amare; la parola è rivol-
ta a uno che già ama. In Osea il verbo amare (’ahab) ha sempre una connotazione positiva,
non è solo rapporto sessuale; il parallelo con Dio va in questa direzione. Il profeta deve an-
cora rincorrere la donna che ama, ma che ha un «amante» (rēa‘, cf Ger 3,1; Ct 5,16; Cei
«amata dal marito», LXX legge rā‘, «che ama il male») e si comporta da adultera. «Adulte-
ra» indica l’adulterio vero e proprio (cf anche 2,5 dove la donna è cacciata), punito con la
morte (Lv 20,10; Dt 22,22), o il culto idolatrico verso dei stranieri mediante riti sacri, col-
legati anche a rituali sessuali (Os 4,11-14).
L’atto del profeta acquista significato in quanto riflette l’agire di Dio testardamente fe-
dele a Israele, oltre ogni comportamento di buon senso (v.1), e spiegato storicamente al v.4.
Il testo anticipa l’interpretazione richiamando la defezione religiosa (gli dei stranieri) e
l’amore del popolo per le focacce d’uvetta (‘ašîšê ‘anābîm, v.1b) con allusioni sessuali.
Dolci con uva passa sono attestati in 2Sam 6,19 e 1Cr 16,3; forse in Is 16,7 (Kir-Kareset,
altrimenti chiamati Kir-Moab, Is 15,1). Simboleggiano l’amore (Ct 2,5) e sono offerti in
sacrificio alle divinità della fecondità, Astarte o Ashera, Anat in Ugarit, la Regina del cielo
di Ger 7,18 e 44,19, dove sono chiamati kawwan, focacce con stampata l’immagine della
dea. Così il popolo si prostituisce e diventa adultero (Os 2).
3,2-3. Osea obbedisce al comando con due azioni. Si «acquista», cioè sposa l’adultera
pagando il prezzo della dote(v.2: è di 15 sicli di argento e un ḥōmer e mezzo di orzo42) e
impone a se stesso e alla sposa un periodo di stasi o pausa (v.3 ‫)תֵ שׁ ְׅבי‬, cioè di isolamento e
astinenza, a cui egli stesso si impegna. Senza amanti e priva di ciò che le era stato di soste-
gno, il marito spera che la moglie ritorni a lui (cf Os 2,9). È invito a vivere il primo coman-
damento: non avere altre divinità («amanti», cf 2,7s). L’astinenza, cioè l’esilio, proverà a
Israele l’assenza di Dio.
Isolamento e astinenza preparano una nuova convivenza della coppia, che trova la sua
spiegazione nella storia di Israele (v.4). Dopo i «molti giorni» di assenza (indicazione di
tempo indeterminato), inizierà una nuova era di conversione o ritorno (v.5), con nuove re-
lazioni, quelle che in 2,18ss sono segnate dalla ’emet e ḥesed di Dio e dal passaggio da
ba‘al (marito-padrone, Baal) a ’îšî (marito mio).
3,4 motiva l’astinenza – l’esilio – qualificata con l’assenza delle istituzioni in cui Israele
confidava: l’organizzazione statale (re e capi), il culto (sacrificio e stele) e gli strumenti di
divinazione che dovevano dischiudere il futuro (tēšbî è parallelo a yēšbû, «abiterai, abite-
ranno»). Osea aveva stigmatizzato la progressiva decadenza del paese e delle sue istituzio-
ni, fino a criticare lo stesso Giacobbe (12,3-5).
La maṣṣebāh «stele», in pietra o tronco di legno, indicava la presenza di Dio in un luogo
(cf Gen 28,10ss). Ma era un segno ambiguo, collegato alle alture dei ba ‘al, perciò abolita
(cf 1Re 14,19-24; Ger 3,7-10). Il terafîm e l’efod erano strumenti di divinazione: il primo
rappresentava il culto funebre familiare con l’immagine dell’antenato o degli antenati, con-
sultati per ricevere dei messaggi, l’efod del sacerdote con gli ’urim e tummim serviva a
consultare la divinità per ricevere conoscenze sul futuro (cf Gdc 17,5; 18,14-20; 1Sam
23,9; 30,7; Ez 21,26; Zac 10,2).
3,5 annuncia il ritorno/conversione negli ultimi tempi. ‫שׁוּב‬, «volgersi, ritornare», è ter-
mine cultuale che richiama per assonanza ‫יָשַׁב‬. Ambedue si oppongono a «volgersi verso gli
dei stranieri» (v.1b). Il ritorno comporterà una vita nuova con nuove relazioni miste di de-
siderio e tremore (ûpāḥădû ’el-yhwh) a motivo del peccato.

42
Un letec di orzo viene posteriormente individuato come metà di un ḥōmer; l’insieme corrisponde a circa 600
litri del prezzo di 22,5 sicli (cf K. GALLING [ed], BRL2, alla voce Masse), citato in J. JEREMIAS, Osea, p.72 n.8.

41
• «Poi ritorneranno gli israeliti e cercheranno JHWH loro (= dell’alleanza) Dio»;
• «Temeranno JHWH e la sua Bontà (= Dio come loro Bene o ricchezza; Cei “i suoi beni”)».
• «Cercheranno (cf. 7,10) Davide loro re».
Il ritorno dall’esilio è indice del ritorno spirituale al Signore, «loro» Dio. Con Dio viene
cercato anche Davide, figura idealizzata. La promessa di Natan sembra essere alla base del-
la restaurazione. Si tratta forse di un’inserzione in prospettiva escatologica («alla fine dei
giorni», cf 2,16-25) con una rilettura attualizzante per il sud di quanto era stato detto ini-
zialmente per il nord. Il quadro rappresenta l’escatologia giudaico messianica (cf. 1,7,
Wolff).
L’insieme del libro precisa la concezione messianica di Osea. Ci sarà un unico regno
dopo la secessione condannata dal profeta. Richiamando Davide, il libro riconosce come
unica legittima la dinastia davidica, mentre la casa scismatica di Israele nel suo insieme è
condannata.
Perciò, lancia accuse contro re avventurieri che giudica come usurpatori, perché hanno
preso il potere con la forza e contro la volontà del Signore (7,7; 8,4). Rigetta quindi – di-
versamente da 2Re 8-10 – la dinastia di Jehu come «sanguinaria» (1,4-5; cf 7,3-7 che fa
memoria di una cospirazione).
Inoltre, condanna la politica di Israele per le alleanze con Assiria ed Egitto (7,11-12;
8,8-9; 12,2) e per la guerra fratricida con Giuda (5,8-14).
«La monarchia ha fatto fallimento e la salvezza della nazione non sarà possibile che con
la sua abolizione... Il peccato originale dell’istituzione non è quello di Saul, ma quello di
Geroboamo I»43.

2 - Osea 5,8-6,6 e Os 14
I due testi offrono in duplice prospettiva il medesimo genere: un rito penitenziale. In
ambedue si ripete lo schema: accusa del Signore con invito alla conversione, risposta
umana, risposta divina. Il primo testo tocca l’atteggiamento religioso autentico che il Si-
gnore esige dal popolo, il secondo considera il peccato più dalla parte dell’amore di Dio.

Testo

Vanità delle alleanze con lo straniero Ritorno sincero di Israele al Signore

1- Os 5: accusa 1- Os 14: invito a tornare (dopo accusa)


[13] Efraim ha visto la sua infermità [2] TORNA dunque, Israele, al Signore tuo Dio,
e Giuda la sua piaga. poiché hai inciampato nella tua iniquità.
Efraim andò in Assiria, [3] Preparate le parole da dire
(Giuda Gr) ha inviato (un’ ambasciata) al e TORNATE al Signore;
Gran (yārëb) Re; ditegli: «Togli (Kol-TiSSä´) ogni iniquità
ma egli non potrà curarvi (rāpā’-’éprāym), e accetta il bene
né guarirà la vostra piaga, cf 9,4s e ti offriremo il frutto (TM “vitelli”, sacrifica-
[14] perché io sarò come un leone per E- li) delle nostre labbra.
fraim, (13,7s; Am 3,4.8.12
come un leoncello per la casa di Giuda.

43 A. CAQUOT, «Osée et la royauté», RHPR 41 (1961) 145s.


44
Alonso: «Leviamoci presto (= quando è l’aurora, KüšaºHar, cf 5,15: levarsi presto per cercarmi) e lo trove-
remo (mäcä´ - mecä’ô?)».

42
Io, Io deprederò e me ne andrò,
2- confessione
porterò via senza che nessuno possa salvare.
[15] Me ne TORNERÒ (andrò) alla mia dimora [4] “Assur (´aššûr) non ci salverà,
finché non espiino (ye´šémû) non monteremo a cavallo
e cerchino il mio volto, e non diremo più ‘nostro Dio’
nella loro angoscia mi cerchino (si levino all’opera delle nostre mani.
presto per me). Perché in te trova misericordia l’orfano”.
2- Os 6 - Ritorno effimero e vero al Signore 3- Risposta divina
[1] «Su (lett. andate), TORNIAMO al Signore:
[5] Guarirò (´erPä´) le loro apostasie,
egli ha depredato ed egli ci guarirà (räpa´).
li amerò (´öhábëm) senza loro merito,
(cf 9,4s; 11,3; 14,5)
ha colpito e ci fascerà (Häbaš). perché la mia collera si è allontanata (šäb) da loro.
[2] Dopo due giorni ci farà vivere [6] Sarò come rugiada per Israele:
e il terzo ci rialzerà fiorirà (yipraH) come un giglio,
e vivremo alla sua presenza. metterà le sue radici come il Libano
[3] Sì conosciamo, cerchiamo di conosce- (= come gli alberi del Libano: cedro, pioppo,
re il Signore, cipresso);
sicura come l'aurora è la sua uscita (splen- [7] getterà germogli,
dore? mô|cä´ô)44. avrà lo splendore dell’olivo
Verrà a noi come pioggia, e il profumo del Libano.
come scroscio che irriga la terra». [8] Torneranno gli ABITANTI (yäšuºbû yöšbê)
alla sua/mia ombra,
3- Risposta divina coltiveranno (lett. faranno vivere) grano 45,
[4] Che dovrò fare per te, Efraim, (cf Am 9,13-15)
che dovrò fare per te, Giuda? fioriranno (weyipreHû) come la vite,
Il vostro amore (HeseD) è il cui ricordo è come il vino del Libano.
come nube mattutina, 13,3 [9] Efraim, che ho ancora a fare io con gli idoli?
come rugiada che presto svanisce. Io rispondo e guardo a lui (´ášûreºnnû). 13,7
[5] Per questo li ho colpiti (scavati, Hä- Io sono come un cipresso verdeggiante,
cab) per mezzo dei profeti, presso di me il tuo frutto si trova (Peryĕkä nimcä´).
li ho uccisi con le parole della mia bocca:
il mio (suo TM) giudizio esce (splende, yëcë´ Esortazione finale: conclusione di un maestro
) come luce, [10] Chi è saggio comprenda queste cose, /
[6] poiché (cf 4,1) chi è intelligente le conosca;
voglio amore (HeseD) e non sacrificio, poiché rette sono le vie del Signore:
(Mt 9,13; 12,7) i giusti le percorrono,
da`at ) di Dio, non olocausti.
conoscenza (da`at ma i malvagi v'inciampano.

A - Osea 5,8-6,6 – La vera religione: HeseD - da`at

I – Introduzione – contesto
Nei capitoli 4-11 del libro di Osea, i verbi šûb-tornare e biqqeš-cercare fanno da filo
conduttore delle quattro sezioni in cui sono articolati:
non li lasciano tornare (5,4); tornerò alla mia dimora… finché… mi cerchino; torniamo
(5,15-6,1); non ritornano al loro Signore… non lo cercano (7,10); si volgevano/tornavano al
Non-Alto (Baal, 7,16); torneranno in Egitto (8,13); tornerà in Egitto (9,3); ritornerà in Egitto…
poiché si rifiutarono di tornare (11,5).

45
Altri: «Vivranno come un giardino» (yiHyû [Gr, S] kaggān [Jeremias con Duhm, Ehrlich e altri] anziché
dägän, “grano”).

43
La prima sezione (4,1-5,7) condanna un culto senza Dio, processando i sacerdoti, i-
gnavi e avidi, quindi i profeti e il popolo. Os 4,1-3 serve da introduzione alla sezione e a
tutta la seconda parte, mettendo in risalto, nell’accusa processuale, l’assenza delle con-
dizioni fondamentali: ´émet, Heºsed, Da`at. L’accusa prosegue con una serie di sentenze
giudiziarie, nello stile della legge del taglione o contrappasso (4,4-10). Poi, dal culto nel
tempio, l’accusa passa ai culti idolatrici sulle alture, definiti «prostituzione» (4,11-19),
per concludere che il culto non vale. L’appello è rivolto sia ai sacerdoti che agli israeliti
e alla casa reale (5,1-5).
La seconda sezione: 5,8-7,16, denuncia la falsa penitenza: il popolo continua a in-
gannare e ingannarsi. È articolata in due momenti: 5,8-6,6 e 6,7-7,16. Nel primo il profe-
ta si rivolge ai due regni, Efraim e Giuda, nel secondo passa in rassegna vari casi di infe-
deltà di Israele. Sullo sfondo (fino al c.8 incluso) è in primo piano la guerra siro-
efraimitica del 735/34 a.C. (cf Is 7-12; 2Re 15,27-19,37).
- Os 5,8-6,6 inizia con due imperativi e conclude con l’affermazione lapidaria sul vero
culto (6,6). I verbi «depredare, curare e guarire, tornare» guidano il passaggio da un pri-
mo momento al secondo: la reazione di Dio e la risposta del popolo.
L’insieme presenta la seguente articolazione:
I – 5,8-15. 5,8-9 introduzione (imperativi); 5,10-12 il peccato di Giuda e di Efraim con giudizio e il castigo;
5,13-14 la ricerca del rimedio umano inutile, l’Assiria. Allora Dio «torna al suo posto» in attesa che, visti i
fallimenti, lo cerchino di nuovo con desiderio (5,15).
II – 6,1-6. Ora, il popolo risponde con un atto penitenziale: sembra avverarsi il ritorno con il desiderio di
conoscere il Signore, e vi è l’attesa di un perdono certo (6,1-3). Però la risposta del Signore è negativa (6,4-
6), perché il ritorno è superficiale e ritualistico.
Os 6,6 riprende in positivo la tematica di 4,1 – Hesed, Da`at – e rappresenta il perno del ragionamento
che prosegue anche nella sezione seguente (6,7-7,16).
- Os 6,7-7,16 denuncia l’assenza di lealtà e conoscenza (6,6, cf 6,7: Ma essi). La conversione smentita dai
fatti rende impossibile il perdono.
1) Si tratta di mancanza di lealtà verso Dio (alleanza infranta, tradimento, prostituzione, falsità) e verso
l’uomo (banditi in agguato, versamento di sangue, assassini, 6,7-7,2). Con l’illusione che Dio non vi badi e
non ne tenga conto (cf Sal 36,3; Sir 16,16-23); il perdono sarà facile. Ma Dio «si ricorda», le loro azioni
stanno «davanti a me»: le due espressioni hanno una connotazione processuale (Os 7,2).
2) Seguono ulteriori esempi di mancata lealtà verso Dio e l’uomo: a) la politica interna con impegni di
governo che non tengono conto di Dio e con congiure di palazzo (7,3-7), b) la politica estera con alleanze
straniere (7,8-12, cf 5,8-14), c) il tradimento religioso in senso stretto: affidarsi ad altri dei, Dagan e Tirosh
(= Cerere e Bacco, 7,13-16). La sezione si conclude con un «guai» (7,13) che esautora i capi e ne de-
terminerà la caduta (7,16).
- Il c. 8, articolato in due sezioni (vv.1-6.7-14), smaschera la trasgressione e annuncia l’esilio: continua la
denuncia dell’alleanza infranta con Dio (esige il riconoscimento come unico e sovrano) e della politica estera
fallimentare. Il profeta è il «trombettiere» che annuncia l’arrivo funesto dell’aquila, l’Assiria (cf Ez 17,3; for-
se Is 8,5ss), sulla casa di Israele (l’insieme di Israele o la monarchia). Motivo: la poca sincerità, perché rico-
noscono e invocano il Signore, ma rifiutano il bene, Dio come Bene (cf 3,5) e quello formulato nella legge.
Inoltre, re illegittimi, fin dall’inizio del regno, hanno costruito il vitello di Samaria (1Re 13: è il peccato di
Geroboamo che ricalca quello del Sinai). Ritornano i temi: alleanza, legge, beni, monarchia, vitello, idoli e
alleanze politiche, che fanno perdere l’identità, e il ritualismo di un culto che «dimentica» il Signore e lo
rende estraneo. Risultato: «seminano vento, raccolgono tempesta» (v.7).

II – Analisi di 5,8-6,6

I – 5,8-15. La denuncia divina


La denuncia del Signore riguarda la politica estera, ma il culto è incluso (2a parte). I versetti illu-
strano fatti del 733 a.C.
5,8-9 introduzione (imperativi). Il suono d’allarme si estende progressivamente da sud a nord: da Beniamino
(con Gàbaa patria di Saul e Rama patria di Beniamino e Samuele) a Efraim (nel cui territorio, a sud, è Betel,

44
con il santuario, il cui nome, «casa di Dio», è alterato in Bet-‘awen, «casa del male» o della sventura; vi è an-
che Samaria, tempio e capitale, fino alle «tribù di Israele», probabilmente per indicare tutto il regno del nord.
È il percorso inverso fatto per assediare Gerusalemme (cf Is 7,1-9); potrebbe alludere all'intervento
dell’Assiria chiamata in aiuto da Giuda.
È invito alla guerra o sguardo alla ritirata? o allusione a una convocazione giudiziaria? La lezione: «ti in-
calzano» o «Beniamino è fuori di sé per il terrore», come intende Alt, potrebbe indicare la ritirata; lo nega Je-
remias che preferisce vedervi un invito al contrattacco. Kuhnig sembra leggere in questa direzione. Alonso vi
coglie piuttosto una convocazione giudiziaria, per accusare e convincere (nel giorno della TôkëHāh, rimpro-
vero, castigo o accusa), per deporre con veracità contro di lui (v.9b-10), cioè «far conoscere/proclamare con-
tro le tribù di Israele un’accusa certa/verace» (Bešib†ê yiSrä´ël hôdaº`Tî ne´émänāh). Il riferimento è al castigo
o all’accusa «vera/certa», il giudizio con la pena certa: la devastazione. Dio proclama solennemente a Efraim
che la guerra fratricida avrà come risultato la distruzione del regno del nord. Forse la situazione è simile a
quella di Is 7,16.
L’autore mostra la progressiva intensità dell’intervento di Dio, soprattutto alla fine: «Ti ho fatto sapere
(9b hôdaº`Tî), verserò la mia ira (10,b ´ešPôk [Kammaºyim] `ebrätî), sarò tignola e tarlo (12 ´ánî kä`äš... wé-
käräqäb)». Come un animale feroce colpisce e se ne va: «Io, come un leone, un leoncello» (14a änökî
kaššaºHal... kaKKüpîr), «Io, Io deprederò» (14b ´ánî ´ánî ´e†röp); e si ritira: «andrò-tornerò» (15 ´ëlëk
´äšûºbäh).

5,10-12 il peccato di Giuda e di Efraim e giudizio conseguente


Si tratta di una guerra fratricida. Giuda è accusato di «spostare i confini» per impa-
dronirsi di territori altrui. È delitto di frode condannato più volte nella legislazione e nel-
la tradizione (Dt 19,14; 27,17; Prov 22,29; 23,10). Famoso resta l’episodio del re Acab
che si impadronisce della vigna di Nabot, facendo uccidere il rivale (1Re 21). È un atten-
tato contro l’«eredità dei padri», la porzione di terra che il Signore aveva affidato al clan
di Nabot (cf Nm 36,7; Lv 25,13) e che fondava la sua cittadinanza. Il profeta Elia lo ac-
cusa di omicidio e usurpazione delle terra (1Re 21,19). Qui non si tratta di un affare pri-
vato ma di conflitti tra stati. È il trasferimento, per analogia, del diritto privato a quello
internazionale. Immagini di violenza individuale sono trasposti al piano della collettivi-
tà: sembra trattarsi di mezzi legali o politici per impadronirsi di territori altrui. Questi at-
ti sono condannati come frode e usurpazione, peccati assimilati alla frode nei confronti
dei privati. Su questi il Signore riverserà la pioggia della sua ira, cioè la condanna.
Storicamente, dopo l’intervento dell’Assiria, Giuda aveva contrattaccato allo scopo di
ampliare i propri territori a danno dei suoi aggressori, Israele e Siria. Similmente, al ten-
tativo di incasione della lega Siro-Efraimitica contro Giuda, Isaia aveva risposto che Dio
aveva stabilito re e territori (Is 7,8-9).
Efraim è accusato di oppressione e ingiustizia, la cui causa è individuata nel culto
degli idoli. Idolatria e immoralità sono collegate come causa ed effetto: nel v.11b avvie-
ne il passaggio dalla valutazione politica a quella teologica. Il testo potrebbe alludere
all’alleato arameo – una nullità – che ha portato al fallimento del tentativo di conquistare
Gerusalemme, anzi determinato l'oppressione e l’occupazione parziale di Israele.
NB. Il testo ebraico vede Efraim vittima dell'oppressione: il suo diritto è calpestato perché segue il coman-
damento, in LXX invece «Efraim opprime il suo nemico», violando il diritto internazionale.
Il Signore interviene direttamente e minaccia i due stati di corroderli dal di dentro: tignola e tarlo o ma-
lattia, per indicare la situazione politica e sociale negativa (= pus, KLB, e carie ossea, cf Is 1,5-6 e il corpo
tutto malato; Ger 30,12ss). Sarà il frutto della guerra fratricida.

5,13-15 la ricerca del rimedio umano, inutile, l’Assiria. Dio «torna al suo posto» in atte-
sa che, riconosciuti i fallimenti, i due popoli lo cerchino di nuovo con desiderio (5,15).
I due regni riconoscono la loro malattia-piaga, ma compiono scelte errate: ambedue
sono «andati» in Assiria (v.13). Vi ricorse Giuda, aggredito dalla lega Siro-Efraimitica
(2Re 16,7ss; Is 7 e 8,5-10), poi Israele, sottomettendosi ancora come vassallo (2Re 17,3).
Ma Assur non sarà in grado di «guarire», solo Dio lo può fare (cf 14,1-9). La colpa con-

45
siste nell'essersi dimenticati di Dio: ignorando il vero «guaritore», si sono affidati alla
potenza che li assalirà.
Perciò, il Signore – sottolineando il discorso con un nuovo e un doppio «Io» – si ma-
nifesterà come la Parola in Amos: un leone che depreda e se ne va senza che nessuno
possa salvarli (v.14).
In Os 13,7, facendo eco ad Assur-Assiria, Dio «sta in agguato»: «Sarò per loro come un leone;
come una pantera o leopardo sulla strada starò in agguato (spiare-vegliare; ´äšûr; la Vulgata tra-
duce in via Assyriorum). Dio per il suo assalto si servirà di Assur che essi hanno chiamato in aiuto.
Ciò avverrà per Israele nel 722/21, con la distruzione di Samaria; nel 701 per Giuda con l'assedio
di Gerusalemme da parte di Sennacherib (Is 7,17; 8,5-10; 36-39; 2Re 18,17-19,8; 19,9-37).
Dio non vuole annientare il popolo, bensì guarirlo e liberarlo, perché questa è la sua
vera funzione: non Assur salverà, ma Dio guarirà e veglierà (ašûrennû) proteggendo (cf
14,4-9). Perciò, dilaziona la punizione (v.15): torna-si volge (šûb)) al suo luogo (cielo e
tempio), in attesa che il popolo ritorni a lui con nuovo desiderio.
Il v.14 insegna che nessuno può impedire al Signore di agire, il v.15 mostra la pa-
zienza di Dio finché il popolo riconosca e confessi la sua colpa («espiino», ´äšam),
nell’attesa di un ritorno sollecito. I due versi introducono alla sequenza seguente (6,1-6):
«depredare, andare e ritornare», e «alzarsi presto, all’aurora» che connota «cercare».
Si delinea così una duplice immagine di Dio: leone e guaritore, depredatore e salva-
tore, al quale è comunque impossibile sfuggire. L'allontanamento da Dio ha fatto sì che
egli si volgesse contro il suo popolo per punirlo o si allontanasse/ritornasse a sua volta
verso il suo luogo, in attesa che il popolo comprenda il suo peccato e torni/si rivolga a
lui, che può guarire e liberare. Il verbo šûb e termini di movimento delineano
l’immagine.

II – 6,1-6. Ritorno (apparente) del popolo e risposta divina

6,1-3: Risposta del popolo


Ora il popolo, con parole di conversione, risponde al Signore che si era ritirato («an-
dato, tornato»): «Torniamo al Signore, viviamo alla sua presenza» (lĕkû wĕnāšûbāh ’el-
yhwh, niḥyeh lĕpānāyw, 6,1.2). Più che di «canto penitenziale» (cf Schmidt e Wolff), si
tratta, da un punto di vista formale, di un «proposito con motivazione e indicazione del
fine» (Jeremias): «vivere alla sua presenza». È la decisione collettiva di intraprendere un
pellegrinaggio (5,15 cercare il volto, 6,2: vivere alla sua presenza/davanti al suo volto;
cf Is 2,2-5; Mi 4,2; Ger 31,6) con uno sfondo liturgico-cultuale (cf anche Sal 122). La ri-
sposta del popolo espone un’interpretazione globale delle possibilità e delle sue inten-
zioni.
Sembra avverarsi il ritorno atteso da Dio (cf 5,15) che avrebbe dato una svolta alla si-
tuazione e superato la crisi. In 5,6 si parla di un falso ritorno; qui invece il popolo espri-
me la fiducia e la certezza del perdono divino: guarire e fasciare, vivere e rialzare dal
letto, vivere alla sua presenza (yéHayyëºnû, yéqìmëºnû wéniHyeh, 6,1-2), godere del suo fa-
vore e camminare secondo il suo gradimento o la sua volontà (panym = volto e volontà).
Il testo riflette una terminologia tradizionale, cf ad es., Dio «esce dalla sua dimora»
(dove si è ritirato, 5,15) e Gdc 4,14; 5,4; 2Sam 5,24; Sal 68,8: esce per vincere. Vi è nel
popolo anche la coscienza di una malattia mortale; e la ricerca di «conoscere il Signore»
risponde all'attesa di Dio («come l’aurora», v.3, fa eco alla ricerca fin dall’aurora in
5,15) e al detto finale di Os 6,6.

46
Tuttavia, non vi è ammissione di colpa nel popolo né rinuncia ad Aram-Assur (5,11.
13). E Dio appare prevedibile come i fenomeni atmosferici, la luce e la pioggia, il popo-
lo ha la convinzione di un automatismo ritualistico della salvezza. Dio è ridotto a un di-
stributore automatico di perdono e guarigione: attesa del perdono e intervento del Signo-
re sono certi e prevedibili come un evento naturale, puntuale e sicuro come la sequenza
giorno-notte o il ciclo delle stagioni, come l’aurora che annuncia l’uscita-splendore del
giorno (yāṣā’), e come l’arrivo della stagione della pioggia che feconda la terra.
Ma Dio si attendeva il riconoscimento della colpa e l'espiazione (´äšam). Ora invece,
«se i peccati li turbano, non importa: è questione di due o tre giorni e di un paio di riti»
(Alonso). Perciò, quello che sembra un atto di fede sicura, in realtà nasconde un atteg-
giamento di presunzione e superficialità, sicché coloro che cercano di conoscere il Si-
gnore in base ai loro calcoli mostrano di non conoscerlo affatto e sono smentiti dai fatti.
Gridano: Ti conosciamo, Dio di Israele.
Ma Israele ha respinto il bene (Os 8,2-3);
Non gridano di cuore, quando urlano dai loro giacigli;
presso Grano e Mosto (cf Bacco e Cerere) cercano dimora, da me si allontanano (7,14).
D’altra parte, in Osea il verbo nirDépäh, räDap, «inseguire, perseguire, cercare di»
conoscere (6,3), quando è usato riguardo a Israele acquista senso negativo: inseguire il
vento (12,2), inseguire gli amanti (2,9). Anche la conversione è dunque un vano «inse-
guire». È la concezione meccanica del perdono e della guarigione a determinare la rispo-
sta negativa del Signore (6,4-6).
6,4-6. Risposta divina
La risposta del Signore inizia con una domanda (v.4). Sembra quasi consigliarsi e in-
terpellare gli imputati, come con Adamo (Gen 3,9), tende a convincere e rendere consa-
pevoli prima che a condannare. Quindi riprende i fenomeni atmosferici dell’acqua (ru-
giada) e della luce (nube o foschia del mattino, v.5) e li ritorce contro gli accusati, a di-
mostrazione di un ritorno non sincero, ritualistico: il loro amore-lealtà (Hesed) è passeg-
gero come la rugiada o la foschia del mattino, che presto scompare dissolta dal sole e
non porta fecondità. Come a dire, che Israele non ha un punto di riferimento.
L’immagine è ripresa in Os 13,3 in forma di condanna: «Perciò saranno come nube del
mattino, come rugiada dell'alba che svanisce, come pula lanciata lontano dall'aia, come
fumo che esce dal camino».
Ne deriva la condanna, che passa dalla seconda persona, «tu-voi» (v.4), alla imperso-
nale: «li» (v.5): a Dio non rimane che la punizione. Il testo è articolato in opposizioni e
allitterazioni con i vv.1-3:
• Si attendevano l’uscita dell’aurora apportatrice di luce (mô|cä´ô), troveranno l’uscita-splendore (yëcë´)
del giudizio divino; e la certezza della salvezza si rivela inconsistente come la rugiada dell’aurora e la fo-
schia mattutina, precisamente come la loro ḥesed-lealtà.
• Si attendevano di esser fasciati (HäBaš) saranno invece colpiti, feriti, scavati (Häcab), si attendevano di
vivere e guarire saranno uccisi.
• Chi si levava al mattino presto, l’aurora (HäšKem, šäHär) per tornare e risorgere, in realtà non faceva altro
che alzarsi per un inutile pellegrinaggio.
Il v.5 proclama il profeta «bocca di Dio» (Es 4,16; Ger 1,19), mediatore del suo mes-
saggio. È esecutore di una sentenza capitale efficace che uccide. Non solo annuncia, ma
con la parola di Dio provoca e mette in atto il castigo. In questo è in linea con gli altri
profeti come Samuele, Ahia di Silo, Elia, Eliseo e lo stesso Mosè.
Ma il profeta è anche portatore di un insegnamento, di una pedagogia che indica la
via da percorrere e propone il pellegrinaggio che conduce alla salvezza, quello di Hesed
e da`at, vale a dire una cosciente relazione di amore e fedeltà, di lealtà e affetto nei con-

47
fronti di Dio (v.6). Hesed e da`at sono strettamente collegati. Il verso riprende in positivo
le parole di 4,1, che ne denunciava l’assenza in Israele. Erano le qualità del Signore spo-
so, il segno della sua alleanza e del suo amore (2,21-25), le stesse che esige dal popolo
per una relazione intima, personale, sponsale. Anche questo secondo la tradizione.
Forse si compiace il Signore nei riguardi degli olocausti e sacrifici come dell’ubbidienza al-
la voce del Signore? Ecco, ascoltare/ubbidire è meglio del sacrificio, tendere l’orecchio più
del grasso di montoni (1Sam 15,22).
Il tono sembra qui più radicale ed esclusivo. Non si tratta di una preferenza –
l’ubbidienza è migliore (cf Prov 21,3 o l'Insegnamento di/per Merikare 129) – bensì di
un’alternativa (cf Ger 7,22-23). È una sentenza con valore di principio che decide se si
verifica o meno il rapporto con Dio. Il volere del Signore contempla non i sacrifici ma
l'ascolto-obbedienza per conoscere e aderire agli atti liberatori e salvifici da Lui compiu-
ti, non la ricerca di emozioni sentimentali ed effimere ma una adesione convinta e stabi-
le.
Il profeta non nega il culto ma ne segnala i pericoli e indica le condizioni perché il
suo effetto si estenda a tutta la vita; nel contempo denuncia la mancanza di una vera co-
scienza del peccato. Perciò, i propositi del popolo (6,1-3) sono valutati negativamente,
essendo ancora nella logica e nella prospettiva del sacrificio rituale, magico, idolatrico,
non di scelte interiori dettate dalla conoscenza (da`at) che conduce alla lealtà (Hesed).

Conclusione

Il profeta parte da scelte storiche, per dimostrare che è assente in Israele una autenti-
ca scelta religiosa per il Signore. Smaschera una religione apparentemente solerte, in
realtà priva di scelte interiori e denuncia un’ascetica senza amore. Prima denunciava il
peccato (Os 4,1-5,7), ora mette in luce i falsi atti di fede, le false conversioni consistenti
in rituali slegati dal pentimento e incapaci di incidere sullo stile di vita (cf. Ger 7,1-15),
demolisce le false certezze avvolte in un linguaggio di fede (6,3). La presa di coscienza
del peccato non creava drammi interiori né comportava un vero ritorno a Dio,
un’espiazione che implicasse un impegno di vita. La vita religiosa, ridotta a riti, trasfor-
mava la certezza della fede nella presunzione del perdono automatico, trascurando la re-
lazione personale con il Dio dell'alleanza.
Condanna e abolisce senza alternative non il culto, ma sacrifici e olocausti sul mo-
dello cananeo e sottopone a revisione critica concetti tradizionali che sembravano e-
sprimere fede incrollabile e attesa sicura della fine della lontananza di Dio, ma esclude-
vano o non contemplavano una risposta umana. Ora, il Dio che si impegna con Hesed e
da`at per Israele46, chiede la medesima risposta da parte del popolo (2,21-25; 14,1-9).
L’assenza di lealtà con Dio si riflette nelle relazioni umane e nelle scelte politiche. Le
guerre fratricide che stavano portando alla rovina i due regni, rivelavano l'assenza delle
qualità religiose che avrebbero garantito la sopravvivenza del popolo di Dio. L’unico in
grado di guarire e liberare resta il Signore. O Israele si affida veramente alla sua grazia o
è destinato alla morte. In quest’ambito è interessante la riflessione sul diritto internazio-
nale, che giudica il tentativo di impadronirsi dei territori altrui come frode e usurpazio-
ne, sul modello dello «spostare i confini antichi». Isaia condanna l’invasione di Giuda da
parte della lega Siro-Efraimitica affermando il principio che Dio stabilisce i territori e

46
L’espressione ´ëraSTîk lî bé, «ti farò mia sposa con/in» richiama la dote, come in 2Sam 3,14 quando Davi-
de porta i prepuzi chiesti da Saul come prezzo di dote per ricevere in sposa Mikol.

48
affida ai re legittimi la sovranità (Is 7,6-8), Osea condanna le mire espansionistiche di
Giuda nei confronti di Israele, giudicandole in base al principio di diritto privato che vie-
tava lo spostamento dei confini, «eredità dei padri» e quindi incedibili, appellandosi in
un certo senso a un diritto divino, a una fedeltà «teologale» alla terra che era stata affida-
ta all’uomo, come precisa Nabot nel diverbio con il re Acab e ribadisce il profeta Elia
che accusa il re di usurpazione (2Re 21).
Minaccia e giudizio sono orientati a far prendere coscienza per interiorizzare le scel-
te, onde evitare una fede superficiale che non approfondisce il vero senso del credere. La
fede non consiste nella semplice decisione di andare in pellegrinaggio al tempio per bre-
vi e inconsistenti emozioni o per ottenere un perdono a buon mercato (6,6; 4,1), ma in
termini di fedeltà all'alleanza e di impegno di vita (´émet), di relazione di amore, miseri-
cordia e gratuità (Hesed), di conoscenza, esperienza intima e scelta esclusiva (Daº`at).
Questo è l'autentico pellegrinaggio, il vero camminare alla presenza di Dio, è vivere se-
condo la sua volontà (6,1-2). Con linguaggio diverso, si veda anche Qoh 4,17-5,6.

B - Osea 14: L’amore del Signore più grande del peccato

Mentre Os 6 insisteva nello svelare le falsità del cuore e nel purificare la concezione del
culto, questo testo affronta il tema del male dal punto di vista di Dio. L’ultima parola di
Dio è l’amore: il verbo ‫( אָהַב‬amare) chiude una lunga serie, varia per forme e applicazioni
(cf 3,1; 4,18; 8,9; 9,1.10.15; 10,11; 11,1.4; 12,5). Di conseguenza, il castigo apre la strada
alla salvezza fondata solo sulla «santità» e amore di Dio. Le immagini esprimono vitalità e
guarigione. Vitalità: i vv.6-8 fanno inclusione su ‫פ ַָרח‬, «fiorire, crescere». Il linguaggio ve-
getale assume le espressioni e il tono dei canti d’amore del Cantico. Il quadro dipinge la
nuova vita come duratura, perenne e feconda, con frutti e splendore. Emerge l’immagine
dell’albero con radici (v.6b), germogli (v.7a) e frutti (v.9b). Tre volte fa allusione al Liba-
no: le radici, il profumo, il vino. Vi compaiono il giglio, l’olivo e la vite, simboli di Israele:
sboccerà come un giglio e avrà lo splendore dell’olivo (vv.6-7), sarà rigoglioso come la vite
e ricordato come il vino, profumato come il Libano. E gli abitanti saranno sotto la sua om-
bra, cioè vivranno in pace. Il Signore stesso si presenta come «rugiada» che dona fecondità
e, unica volta nella Bibbia, come cipresso verdeggiante (v.9), forse in polemica con i culti
cananei47. Dall'incontro iniziale d’amore (2,23-25) il libro passa all'evocazione dell'unione
feconda tra Dio e il suo popolo (v.9). Guarigione interiore: la ‫ ֶחסֶד‬del popolo (unita alla
‫ ) ֱאמֶת‬è promessa come segno del nuovo incontro (cf 2,21) ed è frutto dell’amore libero e
liberante di Dio, che ricrea la sposa. Non sarà Assur a salvare (14,4), ma il Signore a
guarire (v.5), rispondendo e apparendo-guardando, cioè proteggendo (‫ֲשׁוּרנּוּ‬ ֵ ‫ ַוא‬, v.9b, fa eco
per opposizione ad Assur, v.4). La paronomasia sul nome Efraim, che suona come
«guarire» (‫)רפָא‬,ָ guida il senso del testo. Efraim ha dato il frutto (‫ )פ ְִרי‬che poteva dare, il più
prezioso in questo momento, la sua confessione del peccato. Dio risponde guarendo (‫)אֵרפָא‬
e ridonando la salute: ’epraym¾ perî-ºerpā’. Allora Efraim potrà fiorire (‫ )פ ַָרח‬e dar frutto
(‫)פ ְִרי‬: ’epraym-pāraÐ-perî (6a.8b.9).48
In conclusione, il perdono precede la conversione: Dio perdona prima che il popolo si
converta, e sebbene non si sia convertito, anche se esige una risposta. La parola del Signo-
re, d’altra parte, interverrà sempre per purificare il cuore dell’uomo, perché la sua relazione

47
Cf H.W. WOLFF, Dodekapropheton (BKAT XIV,1), Neukirchen 1965, pp. 302-308.
48
Cfr. L. ALONSO SCHÖKEL-J.L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1989, p. 1044. Ger 31,31-34; Ez 36,25-27
e Salmo 51 parleranno del cuore rinnovato o ri-creato.

49
sia sempre più qualificata da ciò che lo rende vero, fedele, consapevole. La fedeltà e lealtà
di Dio (Os 2,21-22) chiede all’uomo e al suo popolo una risposta religiosa adeguata (6,6)
anche se l’amore di Dio, alla fine, prevarrà sempre (14,5).

3 – Osea 11,1-11. Il Signore educa e castiga, ma prevale il suo amore


A – Amore- deviazione
[1] Quando Israele era giovane (schiavo), io l'ho amato
e dall'EGITTO ho chiamato (qārā’)mio figlio (bĕnî).
[2] Ma più li chiamavo,
più andavano (hālak) lontano da me (BHS dal mio volto, TM Vg loro volto):
ai Baal offrivano sacrifici,
agli idoli bruciavano incensi.
[3] Io insegnavo a Efraim a camminare,
li portavo in braccio,
ma essi non riconobbero che io li curavo (guarivo, rāpā’). 14,4-9
[4] Con legami di bontà/umanità (béHablê ´ädäm) li traevo (legami di umanità imponevo loro),
con vincoli d'amore (= legami/-incoli di amore di uomo, cioè di padre?);
ed ero (’ehyeh) per loro come chi solleva il giogo dalle loro guancie;
mi chinavo verso di lui per dargli da mangiare.
B – Castigo – terapia
[5] Certo TORNERÀ (lö´ yäšûb) nel paese d'Egitto, 8,13; 9,3
Assur sarà il suo re,
perché si rifiutarono di RITORNARE (mē’ănû lāšûb).
[6] Volteggerà la spada nelle sue città,
sterminerà i suoi indovini (cf Ger 50,35; o: parti-quartieri?)
e li divorerà a causa dei loro progetti (mi|mmö`ácôºtêheºm).
[7] Ma il mio popolo, sono protési alle loro apostasie (telû’îm limĕšûbātî = mĕšûbātāyw):
verso l’Alto (El-Al, Baal?), lui invocano (yiqrä´uºhû),
l’Unico (yaḥad = yaḥîd) non li innalzerà.
B’ - Ma il Signore perdona
[8] Come potrei abbandonarti (darti, ‘êk ’ettenkā), Efraim,
consegnarti, Israele?
Come potrei trattarti (darti) al pari di Admà,
ridurti (’ăśîmkā) come Zeboìm? Gen 19
È sconvolto (nehpak) il mio cuore nel mio intimo,
parimenti ribollono i miei pentimenti (nikmerû niḥûmāy, o viscere, raḥămîm?).
[9] Non farò (eseguire) l'ardore della mia ira (Hárôn ´aPPî),
non TORNERÒ (lō’ ’āšûb) a distruggere Efraim,
ché Dio Io sono (Kî ´ël ´ä|nökî), non uomo, in mezzo a te,
Santo, e non verrò con ira (be`îr con agitazione [adirata], da nemico distruttore).
A’ - Il ritorno dall'esilio
[10] Dietro al Signore andranno (yēlkû),
come un leone egli ruggirà (yiš’āg): (Am 1,2; 3,1ss; Ger 25,30)
quando ruggirà, tremeranno (verranno tremanti) i figli dal mare (l'occidente), 3,5
[11] Tremeranno come un uccello dall'EGITTO,
come una colomba dal paese di Assur
e li FARÒ ABITARE (wéhôšabTîm- abitare)/-TORNARE (wahášîböTîm) nelle loro case.
Oracolo del Signore.

50
Analisi di Os 11,1-11
La pericope si sviluppa in due parti (vv.1-7.8-11) e quattro sezioni: A - amore-
deviazione (vv.1-2.3); B – castigo terapeutico (vv.4-7); B’ - perdono (vv.8-9); A‘ – ritor-
no (vv.10-11). Il poema si svolge tra due chiamate dall’Egitto (11,1-2 e 11,10-11) unite
dall’inclusione su alcuni termini: halak, andare (andare via o allontanarsi, andare dietro
o seguire), banym-beny, figli-figlio, mimmisraym, dall’Egitto, šā’ag + qārā’, ruggire +
chiamare.
11,1 Quando Israele era giovane (schiavo), io l'ho 10 Dietro il Signore andranno (yēlkû),
amato come un leone egli ruggirà (šā’ag):
e dall'EGITTO ho chiamato (qārā’) mio figlio quando ruggirà, verranno tremanti
(bĕnî). i figli (bānîm) dal mare (l'occidente),
2 Ma più li chiamavo (qar’û), 11 Verranno tremanti
più si allontanavano (hālkû) da me, come uccelli dall'EGITTO,
ai Baal offrivano sacrifici, come colombe dall'Assiria
agli idoli bruciavano incensi. e li FARÒ ABITARE (wĕhôšabtîm- abitare,
o wahăšîbōtîm-RITORNARE) nelle loro case.

Vi è inclusione, per opposizione, anche tra i vv.1-2 e 7 che delimitano la prima parte:
il Signore chiama (qärä´) il popolo invoca (yiqrä´uºhû-qär´û) l’Alto, cioè Baal, perciò
Jhwh non può portarli in alto o innalzarli, farli risorgere. Il verso funge da culmine
dell'accusa e da perno del discorso, segnando il passaggio alla seconda parte. La seconda
strofa è inclusa tra il Signore che “solleva” il giogo (v.4) e l’Alto che “non sa innalzare”
(v.7): Kimrîmê `öl - lö´ yérômëm. Anche la seconda e terza strofa (vv.4-7 e 8-9) hanno
legami verbali nel descrivere le due reazioni: al castigo si oppone il perdono, alla distru-
zione la non distruzione (ira o giudizio di condanna: lō’ yāšûb - lō’ ’āšûb, vv.5.9, e
Bĕ‘ārāyw, nelle loro città – be‘îr, con ira (da ‘îr II, vv.6.9).
Da un punto di vista storico-critico, il v. 7 e i vv.8-11 sono posteriori (cf Jeremias
210s). Ma nell'intenzione del redattore finale le due parti sono strettamente congiunte e
manifestano la tipica teologia del profeta. L’amore respinto determina il castigo (vv.1-7);
ma il perdono più forte del peccato (Dio “non torna” a distruggere Efraim) mette in moto
il “ritorno-conversione” del popolo (vv.8-11).

A – Amore-deviazione (1-2.3.4)
È la storia di un continuo contrasto tra l’amore paterno e la mancata risposta del fi-
glio; una relazione fallimentare. Alle molteplici dimostrazioni di amore da parte di Dio,
tese a educare e a far crescere il figlio (chiamare, educare, attrarre o legare, nutrire), ri-
sponde il rifiuto del “figlio” Israele. Stilisticamente i vv.1-4 alternano il soggetto: “Io”
(Dio) - “Essi” (Israele), con particelle avversative e pronomi personali. Alla triplice a-
zione di Dio che ama: chiama – educa (insegna a camminare, prende in braccio e cura) –
attrae o impone con bontà (solleva e si china per nutrire), Israele non risponde, ma “si al-
lontana”, “non riconosce” e “rifiuta di “tornare”. Il testo procede per opposizioni.
* Dio chiama (qär亴tî), ma Israele chiama/invoca altri dei (yiqrä´uºhû, v.7, qär´û, v.249).
* Il Signore chiama ma Israele si allontana: “se ne va dal suo volto” (hälkû miPPénêhem), dal-
la sua presenza, per adorare altri dei: nel deserto il vitello (simbolo poi del tempio di Samaria),

49
Già il v. 2 ebraico può essere inteso come invocazione e devianza pratica; così legge la Vulgata latina: vo-
caverunt eos sic abierunt a facie eorum Baalim immolabant et simulacris sacrificabant, “Li invocarono, così
si allontanarono dal loro volto, ai Baal sacrificando e bruciando incenso davanti alle loro immagini”. La tra-
duzione corrente è secondo la LXX.

51
nella terra i vari Baal e idoli, invocandone il nome con offerta di sacrifici e incenso. Allonta-
namento da Dio era anche il rifugio nelle alleanze con le grandi potenze, le stesse a cui Israele
dovrà tornare. “Andarsene via” è in linea con il “rifiuto di tornare”; allora Dio li “farà ritorna-
re” in Egitto e al re di Assur (v.5). Os 3,1 giocava sul tema dell'amore: Dio ama il popolo, ma
il popolo ama le schiacciate d’uva (‘öhábê ´ášîšê `ánäbîm). Sono tutti appuntamenti mancati.
* “Non ri-conobbero” (lö´ yäd`û, v.3) ricorda il principio invocato in 6,6, con l’appello alla
da‘at, che definiva il vero atteggiamento religioso, ma anche la denuncia contro la sposa che
non riconosceva che il Signore le dava grano, olio e vino nuovi (2,5); è l’assenza di “cono-
scenza” (4,1) o il falso riconoscimento, che impediva la guarigione di Israele e la sua risurre-
zione (6,2-3), mentre il Signore aveva dato l’allarme e “fatto conoscere” l’accusa e il castigo
certo contro le tribù d’Israele (5,9). Solo il ritorno sincero a Dio con il riconoscimento del suo
potere, potrà guarire e rialzare Israele (14,4-9).
vv.1-2. Il titolo di “figlio” applicato al popolo è presente nelle tradizioni dell’esodo e dei
profeti (Es 4,23; Dt 8,5; 32,6; Is 1,2; 30,9; Ger 3,4.19-22; 4,22; 31,9.20); è attribuito in
modo particolare al re (2Sam 7; Sal 2,7). Matteo, con nuovo significato, applica Os 11,1
al racconto della fuga di Gesù in Egitto (Mt 2,15). L’immagine del figlio si pone accanto
e nella stessa sequenza delle immagini sponsali di Os 2: educazione – resistenza della
sposa/del figlio – amore superiore di Dio che salva e riconcilia. Il processo, iniziato in
4,4, si conclude ora con la riunione.
Con l’appello all’Egitto, il profeta ci riporta alle origini: là il Signore aveva chiamato
Israele per mezzo di Mosè e Aronne. Il ricordo della giovinezza o infanzia ricorda che
l’infedeltà risale agli inizi di Israele in tutte le sue componenti, nord e sud: na‘ar indica
sia il fanciullo che l'adolescente o il giovane, l’età della discrezione e della decisione; si-
gnifica anche “servo-schiavo” per ricordare che la vocazione è collegata alla liberazione,
centro del “credo” di Israele (Dt 26,3-9).
“Chiamare” e “amare” (v.1) descrivono la vocazione e la sua motivazione: Israele è
un figlio liberato e libero grazie all’amore di Dio. “Io l’ho amato”: l’amore (sostantivo e
verbo) percorre tutto il libro e pone in moto la storia delle relazioni educative tra padre e
figlio.
v.3. L’immagine cultuale dominante nei vv.1-2 si prolunga in una scena domestica edu-
cativa; del resto, anche chiamare-invocare e rispondere riflette il dialogo familiare. Que-
sta si sviluppa su tre linee: 1) il padre “insegna a camminare” (verbo denominativo, tir-
gáltî da regel, “piede”, così interpretato); 2) “porta in braccio” quando il bambino è
stanco, o lo sorregge quando inizia i primi passi; 3) “cura/guarisce” (rāpā’) una malattia
o una ferita dovuta a una caduta, senza che il bambino si renda conto che il padre sta cu-
rando e guarendo; forse perché la cura fa male, come la terapia dell’esilio (cf il Dio
“medico”, riconosciuto in 14,4-9).
Il v.4 conclude la descrizione dell’amore divino, aggiungendo una ulteriore immagine li-
beratoria e domestica che delinea l’amore paterno, che assume pure diversi aspetti. 1)
’emšĕkēm si può intendere in due modi: a) «Li traevo con legami di bontà, corde
d’amore»: è amore che “attrae”, trascina e lega a sé (cf Ct 1,4) con corde e funi (bĕḥablê
’ādām – ba‘ăbōtōt’ahăbāh50); b) oppure impone legami, amore esigente: “Imponevo loro
legami (māšak b), vincoli “d’amore di uomo51”, quelli di un padre che educa (“impone il

50
Il binomio è in Is 5,18: «attirano a sé la colpa (!wOà['h(,) con corde di bue e con funi di carro il peccato
(ha'(J'x;)».
51
La discussione verte sulla espressione Hablê ´ädäm: può essere intesa come “legami umani”, cioè di bontà
o proporzionati; unita al termine “vincoli d’amore”, potrebbe significare “legami di amore d’uomo”, corri-
spettivo dell'espressione di 1Sam 1,26, ’ahábat näšîm, “amore di donna”, per definire l’amicizia di Davide

52
giogo”, māšak bĕ‘ōl, Dt 21,3; l’immagine è applicata alla legge stessa, Sir 6,24-30;
51,26-27); oppure, imponevo loro “legami umani”, nel senso di proporzionati, educativi,
e “vincoli di amore”. 2) È perciò amore liberante: «leva/alza il giogo (‘ōl, 4b) dal collo-
guance» (v.4b, cf Ger 2,2052). L'amore di Dio è vincolante e liberante nello stesso tempo,
impone e solleva il giogo. I comandamenti sono perciò leggeri e liberanti come il “giogo
dolce e il carico leggero” del Vangelo (Mt 12,29-30). 3) Infine, l’amore “tende” o “si
china” verso il figlio per nutrire. Così il Signore ha nutrito con la manna e ha educato il
suo popolo nel deserto. In Dt 8,2-5, prova e cura con fame, sete e nutrimento tendono a
educare Israele, a rivelare ciò che ha nel cuore e a fargli riconoscere che il Signore è il
suo Dio.
Le immagini riportano al deserto. Dopo la chiamata dall’Egitto (v.1), Dio ricorda il
Sinai con l’alleanza, l’esigenza forte e dolce dei comandamenti e la manna, cibo che aiu-
ta a sopravvivere. Nell’amore Dio manifesta la sua identità: “ero per loro” (’ehyeh) evo-
ca il Nome, Jhwh (cf anche 1,9).

B – Castigo - terapia (vv.5-7)


L’apostasia del popolo non è un fatto isolato (v.7): Israele persiste nell’invocare Baal,
è “dipendente” o tende ed è inclinato all’apostasia (tälä´ = täläh, appendere, dipendere,
propendere)53, o ne resta “impigliato” (Jeremias con Speiser): télû´îm limšû|bätî corri-
sponde per assonanza e completa “rifiutarono di tornare” (më´ánû läšûb, v.5).
Giocando sull'immagine “essere Alto-innalzare”, il profeta conclude: “Invocano
l’Alto” (’el-‘al)54, ma solo il Signore “solleva-toglie il giogo” (mĕrîmê ‘ōl) liberando.
Perciò un dio senza consistenza, il Baal non sperimentato nella storia, “non potrà innal-
zarli” e liberarli (lō’ yĕrômēm).
Non resta dunque che il castigo (vv.5-6), il ritorno in Egitto, che consiste nella sot-
tomissione ad Assur e nel classico simbolo della spada. Il primo enunciato gioca sul ver-
bo “tornare” (šûb): il ritorno in Egitto significa tornare agli inizi (cf 8,13; 9,3; Dt 28,68),
alla schiavitù primordiale, per ritrovare la libertà nel Signore. L’immagine si accosta al
simbolo della sposa che ritorna nel deserto, luogo di castigo e purificazione ma anche
occasione per riprendere le relazioni (Os 2,4-15.16-17). La spada porta la distruzione
generale nella città: “gira” come un turbine, “volteggia” (ḥālāh-ḥûl, cf Sal 114,7) e mena
strage nei quartieri delle città (baddāyw, bad, “parte”, quartiere o membri) oppure “tra i
loro consigli”, con allusione ai capi. Altri interpretano baddāyw con “indovini” (secondo
Ger 50,36 e Is 44,25): li divora mimmō‘ăṣôtêhem 55, cioè “a causa dei loro progetti” o

con Gionata più meravigliosa di tale amore; più difficile è intendere: “legami della steppa-deserto” (´ädäm,
cf ´ädäm = “steppa” in 6,7 e i Pere’ ’ādām, “asini selvatici del deserto” di Gen 16,12; Gb 11,12). In ogni ca-
so, si tratterebbe dei legami stabiliti nel deserto del Sinai, i comandamenti o la legge nel suo insieme, che de-
terminarono il passaggio “dalla schiavitù al servizio-culto” di Dio nella libertà.
52
Cf Is 10,27; 14,25: immagine animale, ma è anche il giogo del prigioniero o deportato o schiavo, cf Is 5,3;
altri leggono `ûl, lattante, “come colui che solleva un bambino sulla guancia”, continuando l’immagine pre-
cedente del bambino al v.3.
53
LXX lao.j auvtou/ evpikrema,menoj evk th/j katoiki,aj auvtou/, “è dipendente” dalla sua casa o luogo in cui uno
vive. È da notare che la stessa parola mĕšûbāh, apostasia, richiama tĕšûbāh, conversione (cf Ger 3,11.12.14).
54
´el-`al viene corretto talora in ´el-ba`al invocano il loro “Signore-Baal” (riprendendo il v.2), che non può
salvare (Ger 2,28). La Vulgata legge `al come ‘ol e interpreta: iugum autem inponetur ei simul quod non au-
feretur, “un gioco gli sarà imposto ugualmente, che non sarà tolto”. Dio l’aveva tolto, ne riceveranno un altro
che impedirà loro di alzarsi.
55
L’espressione può significare: li divorerà “a causa delle loro macchinazioni” (mi|mmö`ácôºtêheºm da `ácôºt,
“consigli”, in senso negativo) o indicare la strage “ tra i consiglieri”; correggendo mécôdôºtêheºm, altri autori

53
falsi consigli che essi, in nome delle divinità false, hanno dato. Tutti saranno coinvolti
nella strage, semplici cittadini e capi, la spada divorerà le città.

B’ - Perdono (vv.8-9)
Quando tutto sembra ormai perduto e la catastrofe inevitabile pare già avviata, il di-
scorso riprende con due interrogativi che Dio pone in stile diretto a Israele, per rinuncia-
re all'esecuzione della pena: è ripetuto il verbo “dare” e “porre”, caratterizzato dai verbi
a cui si accompagna, quindi abbandonare o trattare (v.8). Il Signore non potrà trattare I-
sraele alla stregua delle città maledette, Admà e Zeboím, che condivisero la sorte di So-
doma e Gomorra (Gen 19). Il padre non può distruggere il figlio che ama.
Perciò dà sfogo a tutto il suo amore (v.8b). Nehpak indica il cambiamento, lo “scon-
volgimento”56; il verbo è usato per descrivere la situazione di Sodoma e Gomorra. Ma
anziché sconvolgere il mondo, è sconvolto il cuore di Dio, la sua mente e sede delle de-
cisioni. Egli non verrà con ira (v.9)57 ma con il perdono; non l’ardore dell’ira (ḥărôn
’appî, v.9a), ma i “pentimenti”, cioè la compassione, ribollono, “si infiammano” (nikmĕ-
rû) dentro di lui (TM niḥûmay e LXX, lett. “i miei pentimenti”)58.
La lotta drammatica e interiore di Dio (cuore e viscere, ira e misericordia) serve a de-
scriverne la sua vera identità opposta a quella dell’uomo: “Dio (sono) Io, non uomo (kî
’ēl ’ānōkî wĕlō’-’îš)”, il “Santo” che si fa vicino. La santità è dominata da un amore che
supera la persistente devianza degli uomini e supera anche le barriere del peccato. L’uso
dell’attributo “Santo in mezzo a te” mostra che il termine Santo non indica tanto il Dio
“lontano”, ma definisce il Dio che “si fa vicino” anche all’infedele, con amore e miseri-
cordia. Santo appartiene alla teologia della elezione, secondo la quale il Signore avvicina
a sé e si fa vicino. Non è tanto il Trascendente, quanto Colui che si fa prossimo ed entra
in dialogo con la miseria dell'umanità, per “liberare ed elevare”. Le proposizioni nomina-
li designano una qualità permanente che determina l’azione ribadita in tre ripetute nega-
zioni: non farò-eseguirò (l’ira), non tornerò (a distruggere), non verrò (con agitazione-
ira). Il v.9 si oppone al v.5: lō’ yāšûb, “certo, tornerà” in Egitto, lō’ ’āšûb, “non tornerò”
a distruggere, e prepara il v.11.

A‘ – Ritorno (vv.10-11)
La decisione di Dio di non distruggere più, prepara e anticipa il “ritorno-conversione”
(šûb) del popolo accompagnato dal ritorno (hášîböTîm-farò ritornare) o dall’abitazione
(hôšabTîm, farò abitare) nelle proprie case. È ritorno spirituale a Dio e alla terra.
Dio mette in atto il nuovo esodo: Israele ritorna dall'occidente e dall’oriente, Egitto e
Assiria, per abitare di nuovo nella sua terra. La conversione (v.10), caratterizzata da
«andare dietro” al Signore (’aḥărê yhwh yēlkû), inverte il percorso di “allontanamento”
(v.2); è superata l’apostasia congenita (v.7), il popolo è guarito, come si dirà in Os 14,5,
grazie all’amore di Dio.

intendono “le loro fortezze”, in parallelo con “città” (be‘îr).


56
“Sconvolgere” è il senso comune del verbo häPak, usato per Sodoma e Gomorra, il cui territorio, dopo
l’intervento divino, cambia completamente aspetto (Gen 19,21.25.29; Am 4,11; Dt 29,22). Corrisponde al
greco katastrepho (cf Am 4,11), “sussultare, rovesciare”.
57
TM dice, a prima vista, “nella città”: non ci fa irruzione; alcuni leggono le consonanti b`r come bruciare o
distruggere: non viene bruciando; ma si può intendere, secondo `îr-`ûr II, “con agitazione” (di terrore o ira).
58
Niḥûmay è plurale astratto, da niḥam, pentirsi, far lutto o essere consolato. Alcuni leggono “vi-
scere” (reḥem- raḥāmîm), secondo Gen 43,30: Giuseppe nei confronti dei fratelli; 1Re 3,26: la madre sen-
te ribollire le viscere di fronte alla minaccia di ucciderle il figlio.

54
Il nuovo esodo rimanda a un nuovo inizio, che riporta Israele ad abitare nuovamente
nella terra. È il superamento del primo esodo con quello definitivo (cf Is 40-55; Ger
31,15-17; 32,15; Ez 36). Il brano si colloca nella novità illustrata alla fine del libro (Os
14,1-9) e in 2,18ss che, nell'immagine dello sposalizio, allude a una nuova creazione (cf
Ger 31,22). L'immagine degli uccelli suggerisce la velocità del ritorno: la colomba, sim-
bolo di Israele, non è più la colomba ingenua e insensata che va da Assur (7,11), ora ri-
trova la strada di casa. Ciò è possibile solo per il cuore sconvolto di Dio che intende ri-
sparmiare Israele.
La promessa si snoda tra due verbi ripetuti, “ruggire e tremare”: è come il ritorno tre-
pidante del popolo-sposa che cercherà il Signore e la sua Bontà (3,5, cf per i popoli, Mi
7,17). «Il popolo avverte l'attrattiva irresistibile del Signore e il tremore per la propria
condotta» (Alonso). La chiamata di Dio, potente e terribile come in Amos (1,2; 3,8, cf
Os 5,14), contiene la forte condanna del male; il tremore nasce dalla coscienza del pec-
cato davanti al Dio Santo che si è fatto vicino (cf Es 19,16). E tuttavia attrae: il grido di
Dio mette in fuga il peccato, attrae i peccatori. Allora si realizza l’incontro. È il miracolo
dell’amore di Dio che anticipa il perdono e determina la conversione di Israele. Non è
la conversione di Israele ad attirare il perdono di Dio, ma l’amore misericordioso di Dio
a mettere in moto il suo ritorno a Dio.
L’espressione conclusiva, “oracolo del Signore”, parallela a 2,18.23, accentua
l’autorità dell'annuncio e nello stesso tempo serve a indicare una conclusione.

Conclusione
All'accusa del costante rifiuto da parte di Israele e alla sconsolata constatazione di
non poterne cambiare l’atteggiamento, segue la confessione dello stesso Signore di non
potere annientare il popolo che ama. Il nuovo inizio è reso possibile dal cuore “sconvol-
to” di Dio. Questo amore, che precede l’uomo offrendo il perdono, mette in moto il ri-
torno-conversione interiore e il nuovo esodo con il ritorno alla terra.
Questo è l’annuncio profetico di Osea: l’amore del Dio Santo che si fa vicino per
guarire apostasia e non conoscenza radicati in Israele fin dagli inizi. Mentre Israele,
dall’infanzia o giovinezza, propende per l'apostasia e dipende da essa, in Dio l’amore
prevale sulla condanna. Allora il giudizio stesso diventa passaggio necessario che prepa-
ra la guarigione e la “risurrezione”: il Signore Santo libera e innalza.
La finale è parallela a Os 14,4-9, che celebra il trionfo dell’amore di Dio: non Assur
salverà, ma il Signore guarirà e apparirà (rāpā’ –’ăšûrénnû) ed Efraim lo riconoscerà;
così come ogni saggio dovrebbe imparare a fare (14,10, conclusione sapienziale rivolta
al lettore di ogni tempo). Il frutto di Efraim segnerà la vittoria definitiva dell'amore-
ḥesed di Dio che resta fedele al suo nome: Jhwh, “colui che è”, il “Santo in mezzo al suo
popolo” (11,4.9). La finale richiama anche il ritorno della sposa, in 3,1-5, misto a ricerca
e a timore per la coscienza del peccato che ha segnato il popolo.

55
ISAIA
1. ATTIVITÀ PROFETICA DI ISAIA (740/700 a.C.)
765 circa a.C.: Isaia nasce a Gerusalemme. È perciò un cittadino, che conosce perfetta-
mente la città, la sua geografia, i suoi canali, la sua amministrazione; la sua vocazione è
collocata nel tempio. Nel quadro storico generale, Assiria ed Egitto dominano la scena
internazionale e si contendono il primato.
Gli interventi del profeta si concentrano in quattro periodi:
1. 740: Vocazione. Muore il re Ozia (Is 6). Gli succede Jotam (740/736). Prima attività: il
profeta denuncia la generale corruzione (Is 1-5). In Assiria domina Tiglat/Pilezer
III (745/727).
2. 735: L’Emmanuele (Is 7,1-11,9). All’inizio del regno di Achaz (736-716), si forma una
lega siro-efraimitica antiassira e contro lo stesso Achaz (Is 7). Il profeta è per la
neutralità: invita a confidare solo in Dio e non cercare alleanza in Assiria (Is 7,1-
8,8); ma non è ascoltato e si ritira (Is 8,16-18). In conseguenza dell’intervento della
Assiria, Giuda diventa suo vassallo, nel 734 Israele perde la parte Nord (Is 8,23b);
nel 732 crolla Damasco. Il re assiro Salmanassar (726-722) assedia Samaria e il
successore, il figlio Sargon (722-705), nel 722/721 la conquista e ne deporta la po-
polazione (cf. 2Re 17).
3. 715: Ezechia re (715/687). Inizio del regno: si formano leghe antiassire con l’appoggio
dell’Egitto. Il profeta invita ancora alla neutralità militare e a confidare solo in Dio.
Ora è ascoltato. Repressione della rivolta e conquista di Asdod da parte di Sargon
(711; Is 20,1). Isaia si ritira.
Nel frattempo, Ezechia attua la riforma religiosa (2 Re 18,1-7; 2 Cr 29,1-2) e la re-
staurazione della città: mura, canale di Siloe (cf 2Re 20,20; esplorato nel 1880 e
nel 1909: iscrizione).
4. 701: Assedio di Gerusalemme. Nel 705 muore Sargon. In Assiria gli succede Sennache-
rib (705/681): ribellione in Babilonia (Merodach/Baladan, cf 2Re 20,12) e lega an-
tiassira con l’Egitto. Giuda viene coinvolto. Devastazione della Palestina da parte
di Sennacherib (presa di Lachis), assedio di Gerusalemme, dove il re decide di re-
sistere data la gravità delle condizioni imposte (Is 8,4ss; cc. 36-37). Il profeta so-
stiene il re nella resistenza e promette il soccorso di Dio: Gerusalemme è liberata
(peste? Is 10,16.). Ma il paese è allo stremo.
Dopo il 700 il profeta scompare. Su tale sfondo si pone l’attività di Isaia = «JHWH
salva» o «JHWH è salvezza». Una tradizione (Ascensione di Isaia 5,1-16, cf Eb
11,36) lo vuole martire sotto il re Manasse (687/642), che introdusse il culto paga-
no nel tempio.

2. IL LIBRO
La composizione del libro è durata secoli. Si parla di un triplice Isaia o della divisione del
libro in tre parti: Proto-Isaia (cc. 1-39), Deutero-Isaia (capp. 40-55), Terzo-Isaia (capp. 56-
66). Sorge una “scuola” il cui influsso si è protratto nel tempo. Essa ha riletto e attualizza-
to il suo messaggio nelle diverse epoche. Leggendo Isaia noi possiamo percorrere le tappe
fondamentali della storia di Israele: preesilica, esilica, postesilica, con le ansie, i problemi,
le risposte (religioso-politiche).

56
3. ISAIA 1-39
Bibliografia
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J. BLENKINSOPP, Isaiah 1-39. Isaiah 40-55. Isaiah 56-66; A New Translation with Introduction and Com-
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B.S. CHILDS, Isaia, Queriniana, Brescia 2005 (ed. Inglese: Isaiah, Westminster John Knox Press, Louisville,
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L951), Rizzoli, Milano 1994.
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O. KAISER, Isaia (capp. 13-39) (Antico Testamento 18), Paideia, Brescia 2002 (ed. tedesca 31983).
R. LACK, La Symbolique du Livre d’Isaïe (Analecta Biblica 59), PIB, Roma 1973 (offre una visione globale del
libro a partire dalla simbolica; lo utilizzo in modo particolare per le note sulla struttura del libro).
F. MONTAGNINI, Il libro di Isaia. Parte I (capp. 1-39) (Studi Biblici 58), Paideia 1982.
B. MARCONCINI, Il libro di Isaia (1-39), Città Nuova, Roma 1993.

Il testo fa riferimento all’epoca dell’attività di Isaia (740-700), ma presenta molteplici ag-


giunte (cc. 24-27; 34-35). L’attuale disposizione riflette l’ordine di Geremia ed Ezechiele:
a) oracoli contro Giuda e Gerusalemme (cc.1-12), b) oracoli contro i popoli (cc.13-23), c)
oracoli di salvezza (cc.24-35).
3.1 ISAIA 1-12: ORACOLI DI MINACCIA CONTRO GIUDA E GERUSALEMME
Si possono riconoscere due grandi sezioni legate dal motivo del giudizio e dalla promessa
di salvezza:
a) 1-5: un giudizio è già in moto
Dio prepara e motiva un giudizio di condanna dell’immoralità. I primi capitoli sembrano un
compendio dell’annuncio isaiano, allo stesso modo di Ger 2-6 (Eissfeldt, Introduzione).
• Oracoli di minaccia, che risalgono per lo più alla prima attività di Isaia, denunciano la
generale corruzione. Dopo una introduzione (1,2-9), vengono alcune famose requisito-
rie: 1) la città prostituta (1,21-26); 2) il canto della vigna (5,1-7): una parabola sui rap-
porti tra Dio e il suo popolo, accompagnata dalle maledizioni, dalla minaccia
dell’invasione già in moto (5,25ss) e dalla promessa dell’intervento folgorante del Si-
gnore («il giorno di JHWH») per purificare il popolo da ogni ingiustizia e idolatria (2,6-
22).
• Non mancano annunci di speranza come la visione escatologica della salita a Sion di
tutti i popoli (2,2-5) e della pace universale, che richiama Mi 4,1-3, e un accenno al “re-
sto” nell’immagine del “germoglio del Signore” (4,2-6).
b) 6-12: esecuzione del giudizio – il libro dell’Emmanuele
È l’esecuzione del giudizio in precedenza motivato, a cui fa da premessa la vocazione di I-
saia (c. 6). Il peccato attira il castigo – la guerra siro-efraemitica (735-734) – ma
l’impenitenza del popolo e del re attirerà nuovi castighi, più grandi, l’invasione assira.
L’Emmanuele sarà, tuttavia, il segno di salvezza, seppur polemico (7,14ss; 8,6-10). Carat-
teristica è l’alternanza castigo-salvezza:
• All’annuncio della nascita (7,14) seguirà la gioia per la nascita (9,1-6 gioia in mezzo
all’angoscia, luce tra le tenebre)
• Al castigo (10,27b-34) seguirà la salvezza (10,20-24 il piccolo resto; 11,1-9 il germo-
glio di Jesse e il ritorno degli esiliati).

57
Il salmo del capitolo 12, giocando sul nome di Isaia, proclama la salvezza che viene solo da
Dio, sorgente autentica alla quale attingere.
3.2 ISAIA 13-23: ORACOLI SUI POPOLI STRANIERI
Nella prima parte Isaia era impegnato soprattutto nella politica e nella visione religiosa “in-
terna”. Qui il quadro si allarga alla politica “estera”. Se allora egli doveva, con gesto ri-
schioso, smascherare il re, i suoi consiglieri e i dirigenti del suo popolo che credevano nella
loro “saggezza”, qui il conflitto è tra la saggezza di Dio (il suo piano) e la sapienza delle
nazioni (piano delle nazioni). È un conflitto più indiretto e accademico, ma il primo desti-
natario è ancora e anzitutto il popolo di Gerusalemme.
Troviamo oracoli contro Babilonia (13,14-22) e contro l’Assiria (14,24-27 cf 10,5-15)
che doveva essere il “bastone della mia collera, verga del mio furore”, ma s’è comportata
diversamente seguendo il proprio piano, le sue idee, dimenticando che JHWH è Signore del
mondo; contro Moab (15-16), Damasco e Israele (17: probabilmente del 735, alleati contro
Giuda: guerra siro-efraemitica); contro Etiopia (18), Egitto (19), Tiro (23). Drammatica è
la descrizione della caduta di Babilonia (21,1-10), forse un poema più antico diretto contro
Assur, riadattato; si parlerebbe della distruzione di Ninive (612): la città è distrutta, gli dei
infranti.
Due passi di carattere universalistico riflettono lo stile del secondo Isaia (cf. 49,22;
46,14; 66,20), sono quindi più tardivi: gli esiliati ritorneranno, «si uniranno anche gli stra-
nieri che saranno incorporati nella casa di Giacobbe» (14,1-2); la conversione dell’Egitto,
che suppone colà insediamenti ebraici durante l’esilio (19,16-25).
Nello svolgimento del poema un simbolo dà unità all’attuale composizione, il giorno
del Signore (13,6), il giorno della sua ira ardente (13,13) con un mezzogiorno (18,4) e una
sera (21,4 il crepuscolo desiderato diventa terrore). L’elenco dei popoli prende avvio dall’
estremo oriente (13,5 dal lato dei Medi, 13,17) e termina ad occidente (Tiro e Sidone 23).
La simbologia presenta una drammatizzazione particolarmente intensa ai capitoli 18 e 21.
3.3. ISAIA 24-35: PROMESSA
1) I cc. 24-27 costituiscono un’apocalisse (aggiunta posteriore) con giudizio e distruzione
della città del caos (opposta a Gerusalemme), conversione universale e banchetto divino, al
quale tutti i popoli sono invitati (25,6-10a), restaurazione del popolo con la “città forte”
per la presenza di Dio-Roccia (26,1-6) che serve da rifugio ai giusti, salmo sul giudizio de-
gli empi e la liberazione-risurrezione del popolo (26,7-19); il nuovo passaggio del Signore
(26,20-27,1) come al tempo di Noè o la notte dell’uccisione dei primogeniti d’Egitto; la
nuova deliziosa vigna (27,2-5 opposta a 5,1-7); il raduno dei dispersi (27,12-13).
Simbolo dominante è il diluvio (cf. Gen 6-9) con i motivi annessi: apertura delle cate-
ratte (24,18), annegamento dell’empio (25,11), rifugio per i giusti (26,1ss la città forte e
26,20 “chiudi la porta dietro di te” cf. 7,16), ripresa della vegetazione su una terra purifica-
ta e feconda (27,2ss, cf. 26,14ss, fiorisce anche il popolo).
2) I cc. 28-33 contengono alcuni oracoli per lo più rivolti a Israele e Samaria. Dopo gli o-
racoli di condanna e di minaccia (29,1-14 contro Gerusalemme) e il testamento di Isaia
(30,8-17 in tre oracoli: 9-11.12-14.15-17), si profilano la salvezza e il trionfo del diritto
(29,15-24), il perdono di Dio (30,18-26), l’effusione dello spirito e l’attesa della salvezza
(postesilici 32,15-20; 33,14-16.17-24).
Immagini: il vento, il fuoco e l’acqua producono un uragano che rovescia quanto non è
ancorato alla fede. Resiste solo il rifugio della fiducia in Dio; dopo il ciclone sorge il pae-
saggio radioso, stillante pace e tranquillità.

58
3) Is 34-35 sono definiti “piccola apocalisse”. Si presentano come un dittico, negativo e
positivo, incentrato sul simbolo dell’esodo.
• Cap. 34 giudizio e castigo (nell’immagine di una battaglia) contro la città ribelle fino a
renderla inabitabile. È un antiesodo o esodo alla rovescia: animali impuri ne prendono
possesso al posto degli uomini (34,11);
• Cap. 35 restaurazione del popolo: nuovo esodo, gioia per la liberazione, interesse per i
più deboli (cf. Mt 11,5; At 3,8), deserto che fiorisce e strada appianata. All’inizio, al
centro e alla fine del capitolo è la “gioia”. Il motivo della restaurazione è la “gloria del
Signore”, la sua ricompensa, “la sua redenzione”.
3.4 Isaia 36-39 è appendice narrativa (cf. 2Re 18-20). Insiste sul tema della fiducia (‫ ) ָבטַח‬in
Dio che ha fatto la sua promessa a Davide e determina l’inviolabilità di Sion, città di Dio.
L’episodio, centrale nel libro dell’Emmanuele, è ricordato e celebrato nei Salmi 46, 48, 76.

3.5. TEOLOGIA
Il nucleo del suo messaggio può essere riassunto attorno a tre temi59:
1) La fede in Dio “Santo”. «Se non crederete, non avrete stabilità», è la condizione posta
dal profeta al re Achaz e ai suoi consiglieri (7,9b). Contro il vacillare dell’uomo, animato
spesso da progetti distruttivi (cf. 7,1-6; 8,6-10), l’unica stabilità è offerta dal “Santo di Isra-
ele”, il Dio che domina le vicende umane. Solo il “timor di Dio”, ossia la fede, garantisce
contro il “terrore” generato dalle aggressioni umane (7,3) o contro le false illusioni e super-
stizioni che non offrono speranza (8,19-20). Segno concreto di tale fede sono il profeta con
i suoi figli (8,11-18) e “il Resto” del popolo convertito (10,20-22).
2) La giustizia. Isaia denuncia violenza e corruzione. Sin dal primo capitolo accusa Gerusa-
lemme: città infedele e “prostituta” in cui tutto è corrotto, domina la legge delle “bustarel-
le”, non trova ascolto la voce del povero che chiede giustizia (1,21-26; cf. anche
5,1-7.8-24). È condannata anche la violenza degli stranieri, presuntuosi e superbi (10,5-19
e i cc.13-23). Alla fine resisterà solo “la città forte”, rifugio per il “popolo giusto che man-
tiene la fedeltà” (26,1-6.7-19), sotto la guida del Messia, re di pace e di giustizia (9,5-6;
11,1-9.10-17). Il tema del Messia, infatti, propone un regno ideale dove la giustizia sarà ri-
spettata e realizzata, secondo il piano di Dio.
3) La speranza futura. È fondata su Dio e collegata all’opera del suo “Messia”, del quale
Isaia è uno dei grandi cantori: il re, scelto e consacrato da Dio, governerà secondo il suo
progetto e agirà sotto l’impulso del suo Spirito (11,2), per rendere giustizia ai miseri op-
pressi del paese e percuotere gli empi violenti; giustizia sarà il suo emblema (11,3-5).
Da questa duplice azione, divina e umana, sorgerà la pace stabile dove male e saccheggi
saranno definitivamente superati, tutti riconosceranno Dio e la conoscenza del Signore i-
nonderà il paese (11,9). Sarà superata anche la lotta tra serpente e uomo iniziata ai primordi
dell’umanità (Is 11,8 con Gen 3,15). Sorge il resto fedele nucleo del nuovo popolo (6,13;
10,20-11,9).
La speranza è estesa a tutti i popoli. Un pellegrinaggio universale salirà a Gerusalemme
per attingervi la parola e la legge di Dio. Di là giustizia e pace nuove si irradieranno su tutti
gli uomini: cammineranno alla luce del Signore, convertiranno le strutture di violenza in
strumenti di lavoro e rinunceranno per sempre all’arte della guerra (2,2-5; cf. anche i cc.
24-27 e 34-35 «apocalissi»).

59 Cf anche G. CAPPELLETTO – M. MILANI, In ascolto dei profeti e dei sapienti, pp. 94-97: 1) l’identità di JHWH,
il «Santo d’Israele»; 2) la realtà dell’uomo «peccatore»; 3) la storia «teatro di Dio» (il credente dentro la storia,
nasce la speranza); 4) la stabilità di Sion e del re; «il resto» fedele.

59
4. SECONDA PARTE – ISAIA 40-55: IL LIBRO DELLA «CONSOLAZIONE»
Bibliografia
C. WESTERMANN, Isaia Capitoli 40-66 (Antico Testamento 19), Paideia, Brescia 1978 (ed ted. 21970).
C. WIENER, Il profeta del nuovo esodo: Deutero-Isaia, Gribaudi 1980 (ed. franc. Le deuxième Isaïe, Cahiers E-
vangile n. 20, Service Biblique Evangile & Vie, Ed. du Cerf, Paris 1977).
J. BLENKINSOPP, Isaiah 40-55. A New Translation with Intoduction and Commentary (Anchor Bible 19A), new
York 2001.
A. BONORA, Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato (LoB 1.19), Queriniana, Brescia 1988.
B. MARCONCINI, Il libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Roma 1996.

4.1. IL CONTESTO
1) Il contesto geografico e politico è del tutto diverso rispetto alla prima parte del libro di
Isaia. L’impero oppressore è la Babilonia e non l’Assiria; gran parte del popolo è in esilio.
Ma le disgrazie stanno per finire. Da qualche anno (547 a.C.) Ciro, re dei Persiani, “che
chiama la vittoria ad ogni passo” (41,2) fa tremare Babilonia. La conquista avverrà nel 539.
Gli esiliati che lo desiderano potranno tornare a Gerusalemme. Ciro autorizza la ricostru-
zione del tempio.
Alcuni dati storici permettono di inquadrare l’opera di questo anonimo cantore del ritorno
dal deserto, che scrive verso il 550-540 a.C.
604 Nabucodonosor re di Babilonia
597-586 Prima e seconda deportazione dei giudei a Babilonia
559 Ciro re di Ansan in Persia, vassallo dei Medi
556 Nabonido re di Babilonia
553 Ciro nega obbedienza ad Astiages, re della Media, lo sconfigge, unifica l’impero Medo-
Persiano. Nabonido conquista Harran.
550-540 Nabonido si ritira a Tema. Ministero di Isaia II
541 Ciro sconfigge Creso, re della Lidia
539 Ciro sconfigge Nabonido, passa il Tigri, conquista Babilonia
538 Editto di rimpatrio dei giudei.
2) Alla diversità del contesto storico corrisponde la opposizione degli stili. «Tanto Isaia è
preciso, sobrio, misurato anche quando abbonda, tanto il suo emulo anonimo, il secondo
Isaia, si compiace della maestà delle costruzioni, dell’accumulo degli incisi, della pienezza
dell’espressione. C’è tra il primo e il secondo Isaia tanta differenza quanta tra Valéry e un
Claudel!»60.
3) Anche i problemi sono diversi. Già il titolo, «il libro della consolazione», è indicativo.
Occorre annunciare la salvezza. Il pericolo di una generale apostasia è tutt’altro che ipote-
tico. C’è sfiducia nelle istituzioni salvifiche classiche: alleanza, tempio, ecc. Tutto è perciò
puntato sul futuro, un nuovo intervento di Dio che, sul modello degli antichi eventi, realiz-
zerà la salvezza: un nuovo esodo, una nuova alleanza, un nuovo Mosè (il servo).
Il profeta si preoccupa di assumere le obiezioni degli scettici. Perciò, il suo procedimento si
fa più razionale. I suoi problemi sono quelli di Geremia ed Ezechiele.

4.2. LA PERSONALITÀ
Sulla personalità del profeta non si può dire nulla di certo; anche perché i passi in prima
persona non sono necessariamente confessione autobiografica, ma artificio letterario. Il
cap. 40,6-8 ci offre pezzi di dialogo che equivalgono a una missione: il profeta riceve un
nuovo titolo, «evangelista», ‫ ְמ ַבשּׂ ֶֶרת‬, perché il centro del suo messaggio è una «buona noti-

60
R. LACK, «L’universo simbolico del secondo Isaia», in IDEM, Letture strutturaliste dell’AT, Borla, Roma 1978.

60
zia» riassunta in una frase: «sta qui il vostro Dio». Il cap. 49 presenta un nuovo testo in
prima persona in cui sono riconoscibili gli elementi di una vocazione profetica, benché
modificati nella figura del «Servo»: sofferenza per la vocazione, insuccesso, confidenza in
Dio, gloria dell’impresa, dimensione ridotta a Israele e trascendenza universale (cf anche
50,4-9).

4.3. LA STRUTTURA61
Tutti gli autori riconoscono l’unità di questi capitoli (40-55). Il «libro della consolazione»
inizia con un prologo (40,1-11) e conclude con un epilogo (55,10-13; altri considerano tut-
to il capitolo o i vv.6-13).
Il prologo raccoglie tutti i motivi rilevanti del messaggio del Deuteroisaia:
• Dio dà ordine di consolare/convincere il popolo: è finita la schiavitù, si prepara la
strada per il ritorno in patria (40,1-5);
• il messaggero riceve l’incarico di annunciare la “parola” di Dio che non viene mai
meno (vv. 6-8 accennano alla vocazione del secondo Isaia);
• il profeta incaricato annuncia la “buona notizia”: «Ecco il nostro Dio!... il Signore Dio
viene con potenza». Dio rimane il Signore, come un pastore guida il suo gregge, ricon-
durrà il suo popolo (vv.9-11).
Il corpo del poema si divide in due grandi sezioni ben distinte, ciascuna con una propria
introduzione, dove si mettono a tacere i lamenti di Giacobbe e di Sion (40,12-31 e 49,14-
26):
a) 40,12-49,13, la forza di Dio, organizzata attorno a quattro temi:
• la polemica-processo contro gli dei pagani e i popoli che li adorano, per dimostrare
che solo JHWH è Dio della storia: l’argomento base è la forza di Dio (creatore) e so-
prattutto la sua prescienza che, dopo aver annunciato il passato, preannuncia il futuro;
• la liberazione da Babilonia e il ritorno alla terra promessa nella forma del nuovo esodo
su strada piana, deserto fiorito, acqua abbondante;
• Ciro e la sua missione di liberatore occupano la parte centrale del libro: è l’unto di
JHWH, che realizza il suo piano (‫ ) ֵחפֶץ‬e la sua giustizia (‫;)צְדָ קָה‬
• imminenza della salvezza (‫)י ְשׁוּעָה‬: 48,1-49,13.
b) 49,14-55,9, l’amore di Dio: la visione si concretizza sulla restaurazione e glorificazione
di Sion (nell’immagine di città e sposa) e dei suoi figli. I capitoli 54 e 55 concludono il li-
bro della consolazione.
• Il cap. 54 celebra la salvezza nel suo divenire e la salvezza realizzata.
• Il cap. 55, 1-9 invita a una liturgia di rinnovamento dell’alleanza.
Nell’epilogo (55,10-13) la Parola realizza il piano di Dio (vv.10-11) e l’uscita del nuovo
esodo (vv.12-13) che diviene il «segno eterno» della nuova «eterna alleanza».

4.4. TEOLOGIA: I DUE PROTAGONISTI


I CANTI DEL “SERVO DI JHWH”. Inseriti nell’arco del libro, rappresentano delle “note” di
approfondimento teologico. Oggi li porremmo in nota o tra parentesi. Ad esempio, Isaia
49,1-9 ritorna su Is 48,20b, che risponde alla obiezione apparsa in precedenza, 40,27; così
in 50,4-9 il profeta per esortare il popolo al coraggio, propone il suo esempio personale alla
comunità, purtroppo senza successo.

61
Per una presentazione più particolareggiata della struttura del poema, a partire dall’universo simbolico, si veda
la premessa ai «carmi del Servo di YHWH»: «Is 40-55: Universo simbolico e criteri di strutturazione», pp. 61-64.

61
LA PAROLA DI DIO è la protagonista vera del secondo Isaia. È Parola creatrice nella storia
(55,10ss) e consolatrice-redentrice che circola sulle alture tra Babilonia e Sion62. Il profeta
ne descrive l’azione, il tragitto, il contenuto e gli effetti63:
• La Parola realizza il suo contenuto. La sua efficacia infallibile e la certezza del com-
pimento segnano tutto il poema da Is 40,7-8: «La Parola di Dio rimane per sempre»,
fino a 55,10-11: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ri-
tornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché
dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia
bocca: non ritornerà a me senza effetto, ma compie ciò che io progetto (‫חפץ‬: si tratta
del disegno-intenzione o piano di Dio, non di un semplice desiderio) e realizza (‫)צלח‬
ciò per cui l’ho mandata (‫שׁלח‬: è inviare un messaggero)».
• La Parola di Dio, inviata al cuore di Gerusalemme e al popolo, compie il suo tragitto:
– è lanciata in 40,1; – si ripercuote sulle cime dei monti (40,9; 42,1; 44,23; 49,13;
52,7); – risuona alla fine tra le rovine di Sion quando JHWH, alla testa del suo popolo,
che ritorna dall’esilio, giunge in vista della città e le sentinelle gridano di gioia
(52,9-10). Gerusalemme è allora invitata alla gioia (54,1). La buona notizia precede i
figli di Sion sul cammino del ritorno, prima ancora che le loro colonne siano in movi-
mento. Alla fine, il misterioso servo del cap. 53 e la parola di Dio fanno riuscire il di-
segno (‫ ) ֵחפֶץ‬di JHWH (53,10; 55,11).
• Il contenuto della Parola è un semplice messaggio di libertà e di gioia: reca la presen-
za del “nostro Dio” come Salvatore («il nostro Dio viene con potenza»), e comincia a
realizzare la sua presenza salvifica nell’essere pronunciata con fede; dovrà poi essere
diffusa attraverso la testimonianza dei credenti.
NB. La costellazione della gioia è particolarmente presente in Is 40-55 (cf 51,3.11; 54,1;
55,12). In particolare, rānan nella prima parte del libro si concentra negli inni che concludono le
grandi unità e hanno il compito di richiamare il prologo come un basso continuo (44,23: Dio ha
riscattato; 49,13: ha consolato); ad eccezione di 48,20 (il popolo è invitato a portare la sua gioia
fino alle estremità della terra), il cosmo è chiamato a far rimbalzare la gioia: le montagne (44,23;
49,13), la terra (49,13), montagne e cieli (44,23). Il messaggio di gioia portato di altura in altura,
passa finalmente sulla bocca delle sentinelle di Sion (52,8) ed erompe dalle rovine di Gerusa-
lemme in lacrime (52,9). Nella seconda parte, il messaggio di gioia è portato dagli stessi esiliati.
• La Parola, però, si scontra con degli ostacoli, soprattutto l’incredulità degli esiliati,
vincendola in una lotta drammatica. Così si svolge il messaggio di salvezza, involven-
do gli israeliti tra il passato e il futuro e, in una sintesi, spunta la tensione e il dinami-
smo dell’opera. Il passato diventa: garanzia del futuro e modello per descriverlo. Il fu-
turo prende il passato, lo trasforma e lo idealizza. È un sogno che però la fede afferma
come realtà certa, annunciata attraverso i simboli.
62
Su «La parola di Dio nel Secondo Isaia», cf A. BONORA, Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato
(LoB 1.19), Queriniana, Brescia 1988, pp. 38-44; W. ZIMMERLI, «Jahwes Wort bei Deuterojesaja», VT 32 (1982)
104-124, di cui riportiamo la sintesi del pensiero.
– «Parola di Jahve», debar JHWH: - in senso largo è forza creatrice nella natura e nel mondo: qui il Deuteroisaia
è in relazione con l’innodia dei salmi (cf. Sal 33,6) e l’innodia sulla creazione dell’Antico Medio Oriente.
– Enfasi del Deuteroisaia: la pone in nuovo ambito. Occasionalmente inserisce il tema in una formula di
disputa (40,12.13.18.25). In seguito sviluppa la parola in una forma di processo o dibattito processuale, in cui,
tra l’altro, le divinità stanno sotto il giudizio di JHWH (41,1-5.21-29); un terzo processo (43,8-13) estende
ulteriormente l’ambito della Parola: ciechi e sordi tra le nazioni sono chiamati a riconoscere la preminenza e
unicità di Dio. Infine la sapiente redenzione di Israele da parte di Dio diviene per il mondo chiara evidenza della
Parola di Dio, potente e attiva su scala universale. È parola «ri-creatrice» nella storia.
63
Cf R. LACK, L’universo simbolico del secondo Isaia (40-55), in Letture strutturaliste dell’antico testamento,
Borla, Roma 1978.

62
4.5. Principali concetti nel secondo Isaia – la «consolazione»
La consolazione è un importante concetto nel secondo Isaia. Il tema domina le prime due
pericopi del libro (40,2-8. 9-11). Toni consolatori appaiono anche in 43,1 e 55,6-8. La con-
solazione però non è il concetto primario del secondo Isaia. «Il suo compito fu più di con-
vincere che di confortare»: «parlate al cuore» (40,2). Scrivendo agli esiliati (e forse a colo-
ro che erano rimasti a Gerusalemme), il profeta trova necessario convincerli fin dal primo
momento che JHWH era un Dio di salvezza (Is 40: «il Signore è in mezzo a noi», e la de-
scrizione del «nuovo esodo»), l’unico che potesse salvare il suo popolo dalla infelice situa-
zione in cui stava vivendo. Era necessario convincerli che JHWH, il responsabile della loro
prigionia, era anche capace di liberarli e di farli rimpatriare64.
1) Salvezza e redenzione sono i principali concetti del secondo Isaia: JHWH è Dio di sal-
vezza, solo Lui può salvare (43,3.11.14-15). Essi sono concentrati in alcuni simboli.
• Il concetto di salvezza è concreto, equivale alla liberazione del popolo da Babilonia.
• Il segno sarà il nuovo esodo e la dimora del popolo nella terra, come in passato (43,16-
20; 46,12-13 enfasi sulla salvezza in Sion).
• La redenzione enfatizza lo stretto legame di Dio-‫גוֹאֵל‬, «redentore-riscattatore», titolo
corrispondente alla liberazione dalla schiavitù.
2) L’annuncio della liberazione si fonda sulla teodicea o fiducia nel potere di JHWH e nel
suo piano (‫ ) ֵחפֶץ‬sulla storia: JHWH non viene meno. Era un tema importante perché il
popolo sperimentava la propria disfatta nell’esilio a confronto con la potenza di Babilo-
nia. Isaia deve convincere che JHWH non è privo di forza e di potere, né aveva voltato le
spalle al suo popolo. Anzi era stato l’autore della loro punizione a causa della disobbe-
dienza, ma era in grado di «fare grandi cose», come quando aveva liberato e guidato il
popolo fuori dall’Egitto» (43,3.18ss 45,14 43,22).
3) Tramite i canti del Servo Sofferente, il profeta offre una lettura per questo popolo che
«lotta contro il suo creatore». Nei canti appare un servo «non ribelle», che «offre le sue
spalle ai flagellatori»; egli dà l’esempio di uno «che cammina nelle tenebre e non nella
luce, ma confida nel nome di JHWH e si affida al suo Dio» (50,10).

5. TERZA PARTE – ISAIA 56-6665


La BG definisce il Terzo Isaia una raccolta composita, con oracoli di diverse epoche. Tut-
tavia, presenta una sua unitarietà di contenuto e struttura con stile e contesto storico diverso
dal secondo Isaia. Pur essendo composto di soli 10 capitoli, il suo influsso nel NT è note-
vole essendo tra i più citati: Is 61,1-2 cf. Lc 4,18 (vocazione profetica applicata a Gesù); Is
66,24 cf. Mc 9,48; Is 66,1-2 culto spirituale, cf. At 7,49-50 discorso di Stefano; Is 65,1-2
cf. Rm 10,20-21; Is 59,20 cf. Rm 11,26-27; Is 64,3 cf. 1 Cor 2,9.

5.1. ORIZZONTE STORICO PALESTINESE POSTESILICO-PROSPETTIVE TEOLOGICHE


Gerusalemme è in uno stato miserevole (62,4.11), senza tempio e la sua ricostruzione in-
contra difficoltà (66,1; in 65,5 è già ricostruito?). Il messaggio del secondo Isaia ha ricevu-
to un’amara smentita dalla nuova comunità: sfiduciata e divisa (66,5); con gli antichi abusi

64
Cf. A.S. KAPELRUD, «The Main Concern of Second Isaiah», VT 32 (1982) 50-58, da cui attingo le
osservazioni. Sul «nuovo esodo», cf. R.M. CAJOT, «The New Exodus in Second Isaiah», Philippinana Sacra
37 (2002) 43-56: l’autore usa i caratteri dell’antico evento per indicare che il nuovo sarà molto più
spettacolare del primo.
65
Per queste note, cf. R. LACK, La symbolique.

63
preesilici: ingiustizia, inettitudine, indifferenza dei capi (56,9-57,2), tiepidezza nella fede e
idolatria (57,3-13; 65,1-7); la maggioranza degli esiliati ha rinunciato al ritorno in patria,
preferendo la sicurezza della nuova posizione acquisita in esilio.
Perciò il redattore-autore, che scrive dopo il 538 a Gerusalemme, raccoglie e riprende il
messaggio del secondo Isaia e lo adatta alla nuova presente situazione conservandone la
portata escatologica. Ne consegue la continuità dei temi con il II Isaia: marcia e cammino,
Sion madre della nazione (centro del poema, 60-62; 66,7ss), salvezza e giustizia. Ma rivela
anche le differenze per lo stile e un diverso uso degli stessi termini e temi.
1) Di conseguenza, mentre il secondo Isaia sottolinea soprattutto il “dono” del Signore, nel
terzo i comportamenti umani acquistano più importanza (almeno per i capitoli 56-59 e 63-
66). Non basta ricevere, bisogna promuovere ciò che si riceve. La pratica e lo sforzo uma-
no sono richiesti fin dal primo versetto.
a) La giustizia è ancora quella di Dio (cf 61,10ss), ma è accentuata la giustizia umana.
«Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza»
(56,1): la salvezza è prossima sotto la forma dell’urgenza. L’insistenza è sul fare: «beato
l’uomo che così agisce, che osserva il sabato», vv. 2.4, aderire e servire il Signore. La
salvezza e la giustizia, che costituiscono il risultato ultimo del progetto del Creatore nel
secondo Isaia e sono installate in Sion per essere irradiate su tutto il paese («faccio av-
vicinare la mia giustizia, non è lontana; la mia salvezza non tarderà. Io disperderò in
Sion la salvezza, il mio splendore sarà per Israele» 46,13; cf. 45,8), richiedono ed impli-
cano nel trito Isaia la pratica e l’impegno umano.
b) Is 58,2-7 ha per tema il conflitto che oppone l’egoismo umano alla volontà altruistica di
Dio. Il digiuno, che deve suscitare nell’uomo le aspirazioni di cui la fame è simbolo,
non ha fatto che rinchiuderlo in se stesso. Perciò ai vv. 5-7 il profeta quasi non trova pa-
role sufficienti per significare la rottura e l’apertura: rompere le catene ingiuste, slegare
i legami del giogo, rinviare liberi gli oppressi, spezzare tutti i gioghi, dividere il pane
con l’affamato, donare (dare alloggio ai poveri senzatetto, «colui che vedi nudo rivestilo
e della tua carne non ne nasconderai per te stesso»). Il «volere» di Dio si oppone
all’egocentrismo dell’uomo sino a dare se stesso (napšām). La fame deve evitare la
concentrazione su di sé. Il digiuno diviene segno di disponibilità a Dio e di apertura e
solidarietà verso i fratelli.
2) La salvezza è un giudizio che separa buoni e cattivi. L’ultimo verso del libro (66,24) è la
realizzazione del sogno di Is 1,21-26: a Gerusalemme ci sono solo i buoni. Tutti i malvagi
sono stati eliminati. Chi li vuole vedere bruciare deve uscire fuori della città.
Vedranno i cadaveri degli uomini che hanno peccato contro di me,
poiché il loro verme non muore e il loro incendio non si spegne.
3) Nuovo è anche il modo di intendere l’esodo. Nel secondo Isaia il nuovo esodo si annun-
cia imminente e trionfale. Il Signore stesso prende la guida del suo popolo (40,10), fa da
avanguardia e da retroguardia (52,12), e il deserto si trasforma in giardino fiorito e om-
breggiato (41,9), con acqua abbondante: fiumi, sorgenti, stagni, fontane (41,18). Tutto ser-
viva a magnificare Gerusalemme verso cui l’esodo tendeva. Nel terza parte di Isaia, invece,
l’esodo è concepito in modo nuovo:
Io farò uscire da Giacobbe una stirpe, e da Giuda un erede delle mie montagne.
I miei eletti ne saranno eredi, i miei servi le abiteranno (65,9).
È la terminologia dell’esodo: uscire, ereditare, abitare; ma un esodo «sul posto». Il
cammino non è più la strada che collega Babilonia a Gerusalemme, ma la buona o la catti-

64
va condotta. Il percorso da geografico diventa spirituale: percorrere una via diversa, allon-
tanarsi dalle malversazioni della massa per possedere la terra con giustizia (cf. Sal 24,3).
La giustizia camminerà davanti a te... se darai il pane agli affamati...
JHWH ti guiderà costantemente, nei deserti egli ti sazierà,
sarai giardino irrigato... sorgente d’acqua, le cui acque sono inesauribili.
Tu abiterai sulle rovine antiche... (cf. Is 58,8-12).
I temi del secondo Isaia sono trasposti a un piano spirituale. Il nuovo esodo spirituale
richiede l’impegno ascetico della conversione. Per essere guidati alla santa montagna di
Sion, bisogna entrare nelle vedute di Dio. Attraverso questo esodo Dio si fa presente nel
popolo. Il problema della presenza o assenza di Dio diventa cruciale: è legato a giustizia e
salvezza.

5.2. STRUTTURA
Rileviamo i temi presenti nel testo che rivelano una visione unitaria.
61 VOCAZIONE PROFETICA
60 GERUSALEMME 62
59,15-21 GIUSTIZIA 63,1-6
59,1-14 SALVEZZA 63,7-64,11
56-58 ESODO SUL POSTO 65-66

65
ESEGESI
Il libro dell’Emmanuele: Isaia 6-12

A. Visione d’insieme: Titolo Testo Tema


IL TITOLO dato a questi capitoli trova la sua giustificazione dal «segno» del bambino la cui
nascita rivela, nell’angoscia generale, la presenza salvatrice di Dio. È il punto di riferimen-
to e uno dei princìpi organizzatori del testo.
IL TESTO che possediamo è stato costruito con una certa coerenza riunendo materiale di-
verso in base ad alcuni princìpi strutturanti.
Il Materiale. Sullo sfondo degli oracoli sono anzitutto due avvenimenti storici presi dal re-
dattore come esemplari o paradigmatici: a) il conflitto con Samaria e Damasco, guerra siro-
efraimitica (734) che, in seguito alla politica non accorta di Achaz, divenne l’esca di una
conflagrazione molto più grave per Giuda, cioè, b) l’invasione assira con l’assedio di Sen-
nacherib (701). L’assedio subito in quelle occasioni diverrà il paradigma o modello classi-
co con cui sarà descritta l’ultima convulsione escatologica rappresentata nell’immagine mi-
tica dell’«assalto delle nazioni». È diventato simbolo di avvenimenti escatologici (cf. Sal
46; 48 e 76, sullo sfondo dei quali è ricordato l’assedio).
A questo materiale si aggiungono una confessione autobiografica del profeta (cf. 8,1-
4.16-20) e un inno finale (12). Altre brevi inserzioni risentono dell’epoca postesilica.
Principi di struttura. Il libro è organizzato attorno ad alcuni principi teologici e letterari:
l’alternanza invasione/liberazione, il motivo dei segni, i nomi simbolici.
1. L’alternanza invasione/liberazione (o attacco/protezione a cui si aggiungono minacce
e promesse) ripropone lo schema teologico: peccato-castigo-liberazione.
Il peccato e l’impenitenza del re e del popolo causano il castigo: la guerra siro-
efraimitica e, ancor più grave, l’invasione assira. L’Emmanuele esercita una funzione sal-
vatrice (7,14; 8,6-10). La salvezza si traduce in immagini contrastanti: tenebre-luce
(8,20ss), devastazione vegetale e germinazione del germoglio di Jesse (10,32s). Ecco uno
schema:
invasione 7,1-2/segno + liberazione 7,14-16
invasione 7,17-20/liberazione 7,21-22
desolazione 7,23-25/liberazione 8,1-4 (+ segno 8,16-20)
invasione 8,5-8/liberazione 8,9-10
invasione = oppressione 8,21-23/liberazione 9,1-6
/liberazione 10,5-15.23-27
invasione 10,28-32 + oppressione 10,33s/liberazione 11,1-9
2. I segni. Anzitutto il bambino che nasce, l’Emmanuele («Dio-con-noi»), segno della pre-
senza salvatrice di Dio. Ma anche Isaia e i suoi figli sono «segni e presagi» di avvenimenti
futuri (8,18). Se l’Emmanuele è il segno della liberazione (cf. l’annuncio 7,14ss e la nascita
8,23-9,6), i figli di Isaia richiamano soprattutto il dramma dell’invasione.
3. Nomi simbolici
I figli di Isaia
- ‫שְׁאָר י ָשׁוּב‬, «un resto ritornerà», accompagna il padre nella sua prima missione presso il re
(7,3). È un teste muto, un presagio con il suo nome. La spiegazione formale del nome è
in 10,20-22, ma il senso è presente in tutto il libro. Resto: il popolo sarà decimato, molti
periranno, ma non tutti saranno distrutti, alcuni continueranno l’esistenza del popolo, co-

66
stituiranno il «germoglio» del nuovo popolo (cf. 9,7-21, diminuzione del popolo; 10,19, i
pochi rami; 10,32s, il bosco distrutto; 11,11, ripresa della vita). Ritornerà: il ritorno è
concentrato in due passi, 10,17-33 in senso religioso, conversione, e 9,12; 11,10-16, co-
me ritorno dall’esilio, attorno alla radice di Jesse che si leva come vessillo tra tutti i po-
poli.
- ‫שׁלָל חָשׁ בָּז‬
ָ ‫ ַמהֵר‬, «presto bottino, pronto saccheggio» (cf. 8,4), la cui spiegazione risuona
in 10,6, annuncia la caduta di Damasco e Samaria e la liberazione temporanea di Giuda,
ma il saccheggiatore ritornerà e questa volta contro Giuda (una risonanza di ciò si può
avvertire in 11,14).
NB. Significato filologico. Si tratta di due avverbi e due nomi. ‫ ַמהֵר‬, «presto, celermente», è infinito con valore
avverbiale (potrebbe essere anche un antico participio, per memaher, il prefisso spesso è omesso; i due verbi
sarebbero allora due participi predicativi con valore avverbiale; le-maher con lamed inscriptionis, sta per i due
punti [:]). ‫ חָשׁ‬è perfetto o participio di ‫חוּשׁ‬. Significa che «asporteranno (v.16) velocemente il bottino;
asporteranno celermente la preda».
- Anche il nome di Isaia è «segno e presagio» (8,18). Il termine «salvezza» (ebr. ‫י ָשׁע‬, Isaia
= «JHWH salva» o «JHWH è salvezza») non è presente in questi capitoli, ma è contenuto
nel tema. Ed è una parola chiave nell'inno finale, dove appare tre volte (c.12). Il libro si
conclude così in perfetta armonia con la celebrazione della salvezza che solo Dio può da-
re, di cui l’Emmanuele è segno e il nome di Isaia è annuncio e presagio.
STRUTTURA
Il poema attuale si può schematizzare nel seguente modo:
• Preambolo: vocazione di Isaia, 6,1-13
• Corpo del poema articolato in due parti: 7,1-9,6 e 9,7-11,6
• Epilogo innico: il salmo del c.12
Preambolo
La vocazione di Isaia (6,1-13), in stretta connessione con il libro dell'Emmanuele, pone in
primo piano la figura del profeta protagonista del poema (due volte si presenta al re,
7,1.10) assieme alla moglie (8,3) e ai due figli (8,18, cf. 7,13; 8,3s). Il poema anticipa il te-
ma del «resto».
Corpo del poema
I parte: 7,1-9,6 - dalla promessa alla nascita dell’Emmanuele
Nell’alternanza invasione – liberazione incontriamo i seguenti temi.
• Duplice intervento del profeta presso il re con la promessa dell’Emmanuele: 7,1-9.10-
16.
• La minaccia dell’invasione assira a motivo delle scelte errate (+ promessa di liberazio-
ne): 7,17-25 +8,1-4.5-10; l’esortazione di 8,11ss mette in risalto la «missione» di Isaia,
la sua qualità di «segno e presagio» assieme ai figli. A motivo della incredulità del re, il
profeta resta in attesa, «sigilla la sua rivelazione nel cuore dei discepoli».
• Le celebrazioni gioiose per la nascita del bambino: 9,1-6.
È costruita sul «memoriale» di Isaia. Ha come riferimento l’orizzonte storico degli anni
735-733. Inizia richiamando episodi del tempo (7,1-6) e gravita attorno ai tre segni:
l’Emmanuele, i figli del profeta, il profeta stesso e la moglie «profetessa». Nei nomi
dell’Emmanuele e dei figli di Isaia è racchiuso l’avvenire di Israele. Nella notte di ango-
scia, l’unica ragion d’essere è il compimento del segno dell’Emmanuele (7,10ss) realizzato
in 9,1-6 (nascita). Isaia, separandosi dalla via seguita dal popolo, ha fiducia e spera (8,11-
17).

67
Il movimento generale di questa sezione è racchiusa tra due momenti opposti, guerra
(7,1ss) e pace (8,23-9,6). I disegni umani di guerra, il progetto dei re di Aram e di Samaria
di por fine alla dinastia (7,7) e il progetto delle «nazioni lontane» (8,9, cf. 5,26) si infran-
gono contro il disegno di Dio. Comprenderanno che ogni progetto contro di lui è destinato
al fallimento. Da parte sua, Giuda imparerà quanto costi diffidare della potenza di JHWH
per confidare nelle alleanze umane e sperimenterà la differenza tra il timore funesto - il ter-
rore - degli uomini (7,4, cf. 8,6) e il timore salutare di JHWH (8,13).
II parte: 9,7-11,16 - il piano divino e il “resto”
Mentre la prima parte è agganciata all’orizzonte storico, la seconda rivela un carattere mar-
catamente escatologico. È utilizzata quattro volte con tale significato la formula «quel
giorno» (10,20.27; 11,10.11). Importante è anche il verbo inviare (ebr. ‫שׁ ַלח‬ ָ : 9,7; 10,6.16).
È articolata in due sezioni: 9,7-10,19 e 10,20-11,16.
• La prima contiene i poemi della «mano tesa» di Dio (9,7-10,4: rit. 9,11. 16.20; 10,4),
per punire Israele, e della condanna dell’Assiria (10,5ss). Il triplice ‫שׁלַח‬ ָ , «inviare»,
unisce i due poemi. Dio invia il castigo a tre riprese: la sua parola che lo annuncia e lo
mette in movimento contro Israele (9,7ss), il bastone del suo furore, l’Assiria (10,5ss),
e la peste che consuma ogni cosa contro l’Assiria (10,16-19).
L’autore tenta di penetrare il piano divino: perché Dio invia i flagelli? Dio invia la
punizione su Israele per mezzo della «scure» dell’Assiria perché esso rifiuta di far peni-
tenza. Ma invierà il suo castigo contro l’Assiria a causa del suo orgoglio (10,12ss).
• La seconda sezione (10,20-11,16) affronta il tema del «resto» rappresentato nel nuovo
popolo e significato nel nome ‫שְׁאָר י ָשׁוּב‬, il figlio di Isaia (cf 10,20-22), nel «germoglio
di Iesse» (11,1-9), nel ritorno dei deportati (11,9-16). La prova assira è immagine della
prova escatologica, ultima conflagrazione, alla quale seguirà la liberazione definitiva.
Il resto è raffigurato nello schema vegetale: Assur stende la mano contro Sion raffi-
gurata come albero (10,32, cf. in 10,15 immagine della scure); è lo stesso Dio che usa
la scure per strappare i rami, recidere le punte più alte, abbattere il folto della selva
(10,33). Ma quando ogni speranza sembra perduta, il tronco riprende a vivere: «Un
germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (11,1).
Inizia così il poema messianico della pace escatologica con il discendente (germoglio)
carismatico di David (11,1-9) e il ritorno degli esiliati dai quattro angoli della terra at-
torno alla «radice» di Jesse levata a vessillo per tutte le nazioni (11,10-16).
Epilogo
Il capitolo 12 è una conclusione innica sulla salvezza: Sion è riempita di abitanti, il Signore
stesso vi risiede. L’inno celebra il nome di Isaia: «Il Signore è Salvezza»; «attingerete
l’acqua alle sorgenti della salvezza» (12,3). È il ritorno alla vera sorgente della salvezza,
che la politica di Achaz aveva fatto abbandonare a profitto del fiume distruttore (8,6ss:
l’opposizione Siloe-Eufrate, simboli, rispettivamente, della protezione divina e del furore
devastatore di Assur, cf. Sal 46).
TEMA TEOLOGICO
Il poema oppone ciò che è stabile e ciò che è caduco. L’inizio del libro offre un oracolo
programmatico. La dinastia è minacciata da due fattori, il piano nemico e il terrore del re e
del popolo, che «si agitano come rami del bosco per il vento» (7,2). Ma questi piani non
avranno successo:
Ciò non avverrà, non sarà (hy<)h.t(i al{ïw> ~Wqßt' al{ï, 7,7);
Sarà infranto, non si realizzerà (rp'_tuw>, ~Wqêy" al{åw>, 8,10).

68
Il timore e le alleanze politiche su cui si appoggiano il re e i suoi consiglieri saranno in-
frante e superate (8,12-15; 10, 20; 12,2). La stabilità è in Dio. Ciò che offre stabilità
all’uomo è la fede: credere è garanzia di stabilità.
Se non crederete, non avrete stabilità. (7,9b)
La fede è l’atteggiamento che assume il profeta insieme ai figli:
Il Signore mi aveva proibito di incamminarmi nella via di questo popolo (8,11),
Io ho fiducia - hikkîti - nel Signore ... e spero - qiwwîti - in lui (v.17).
È la scelta del «resto» che si salva:
Non si appoggeranno più su chi li ha percossi,
ma si appoggeranno al Signore (10,20).
Ed è il tema del salmo finale:
Confiderò e non avrò timore... mia forza è il Signore (12,2).
L’azione di Dio e la fede dell’uomo renderanno stabile la monarchia minacciata:
Grande sarà il suo [del bambino] dominio,
la pace non avrà fine sul trono di David e sul suo regno...
ora e sempre (9,6).
Il «timore» salutare di Dio fa superare il terrore dell’uomo. Questa legge è valida nella
crisi di Achaz ed Ezechia. La sua formula è condensata nel nome «Emmanuele», «Dio con
noi».

69
B. Esegesi
1. La Vocazione di Isaia: Isaia 6,1-13
Il capitolo è preposto al libro dell’Emmanuele, anche se logicamente lo attenderemmo
all’inizio del libro, come nei libri di Geremia ed Ezechiele, forse per la difficoltà della mis-
sione, mentre si compiva l’invasione minacciata alla fine della narrazione (vv. 11-13)66. Il
racconto appare come una prova di legittimazione, che giustifica tutti gli interventi del pro-
feta e ne fa l’autentico porta-parola di Dio presso Giuda e Gerusalemme.
Isaia comunica la sua esperienza religiosa profonda, “soprannaturale”, “mistica”, legata
alla vocazione profetica. Il tema è difficile. È un tentativo di esprimere l’ineffabile median-
te immagini e simboli. È un processo a cui tutti i mistici devono ricorrere.
Ciò avviene nella forma di una liturgia trasfigurata nel tempio (cf. il fumo, il coro, il ri-
tuale di purificazione, ecc.), che richiama in qualche modo gli eventi rivelativi fondamenta-
li al Sinai, e nell’immagine regale di Yhwh67.
Lo schema di vocazione, secondo la classificazione di Vogels68, appartiene al tipo:
«manda me...», che ricorda la relazione: re-consigliere (cf. Michea ben Ymla e Achab, 1Re
22,19-22 = 2Cr 18,18-21), e maggiormente combina l’iniziativa divina con la libera deci-
sione dell’uomo. Isaia si offre volontario, con entusiasmo, prontezza, fede incondizionata,
ancor prima di sapere esattamente ciò che gli sarà richiesto. Lo schema fondamentale con-
tiene i seguenti elementi:
1. consiglio divino = teofania: Dio in trono con corte celeste
2. domanda di un volontario: «chi?»
3. uno si offre: «Ecco manda me»
4. ordine di missione.
Esempi di tale tipo sono in Ez 1,27(26).28. I profeti sono “consiglieri di Dio” (cf. Ger
23,16-18): ammessi al consiglio divino, elevati alla sfera di Dio, ascoltano, sono inviati (ta-
lora Dio scende).
In Isaia 6, si susseguono:
• Vv.1-5: teofania-consiglio divino: alla visione (1-2) segue l’audizione (2-4);
• Vv.6-7: purificazione del profeta (elemento nuovo);
• V.8a: richiesta di un volontario (il plurale, chi andrà a nome del consiglio; ma è solo JHWH in prima persona
che invia); 8b: offerta spontanea di sé;
• Vv.9-10: ordine di missione; è missione per la parola;
• Vv.11-13: dialogo (richiama il rapporto padrone-servo plenipotenziario). Non è lamento, ma richiesta di
spiegazione con domanda (11a) e risposta, che sviluppa la missione (11b-13).

STRUTTURA
Il capitolo è dominato da schemi ternari, come se fosse polarizzato dal triplice «santo» del
canto serafico (Alonso). E si riconoscono tre parti:
* teofania (vv.1-5): vidi... su un trono / ho visto il re = visione e riconoscimento;
* purificazione e consacrazione (vv.6-7): rito e parola;
* missione (vv.8-13): chi manderò – chi andrà / manda me – va’ (visione e dialogo, in due
riprese: 8-10.11-13).
66
Possiamo confrontare il racconto, in prima persona, con Ger 1; Ez 1-3; Es 3; Sal 99.
67
Il racconto più vicino è forse la teofania di Ezechiele; gli autori hanno accostato questo testo anche a Sal 24 e
alla vocazione di Pietro in Lc 5,4-11.
68
Cf. sopra, pp. 6-7.

70
ESEGESI
TEOFANIA (vv.1-4.5)
La teofania inaugura la visione che occupa tutto il capitolo, cui seguono audizione e rea-
zione del profeta. La data precisa la visione nel 740 a.C.
Visione: «Vidi». Il trono accentua la regalità divina (cf v.5). Appare la trascendenza divi-
na: il tempio non è che un appoggio terreno, sgabello del trono «alto ed elevato» su tutto il
cosmo, ma qui il Signore incontra l’uomo.
• La teofania crea la sensazione di pienezza in contrasto con l’abbandono e il vuoto finali
(vv.11-13): gli orli del manto riempiono il tempio (v.1); il tempio è riempito di fumo
(v.4); la gloria di Dio riempie la terra (v.3).
• I Serafini, descritti con minuzia (le 6 ali e il canto), rappresentano la corte del Signore-
Re, stanno eretti attorno al trono, e fungono da adoratori; si coprono il volto per non ve-
dere JHWH. Sono esseri «brucianti» (‫ )שׁ ַָרף‬in forma umana: il nome sembra indicare lo
splendore; uno di loro «brucia» le labbra di Isaia con il carbone acceso. Assomigliano
agli esseri alati di Ezechiele (Ez 1) che portano il trono celeste di Dio, chiamati «Cheru-
bini» in Ez 10, come le figure scolpite sull’arca (cf. Es 25,18). La tradizione ha fatto di
Cherubini e Serafini due categorie di angeli.
• Il fumo (v.4) richiama la funzione liturgica nel tempio con l’incenso che brucia negli in-
censieri (l’angelo prende il carbone acceso, v.6). Come nube manifesta e vela la presen-
za del Signore. Ciò avviene al Sinai, nel deserto, nel tempio.
Audizione: il coro proclama. I Serafini fanno comprendere al profeta la visione con un
canto liturgico che accentua la dimensione cosmica di Dio: eserciti (= stelle, cielo) e pie-
nezza della terra. Il coro produce una specie di terremoto, che fa tremare il tempio, come
nella teofania del Sinai (Es 19, con fumo e suono di tromba). Nel canto si staccano due pa-
role: gloria e santità.
• La santità, secondo la concezione tradizionale, esprime la trascendenza di Dio e al
contempo l’aspetto etico di una rettitudine assoluta, che di conseguenza esige la santità
dell’uomo (cf. BJ su 6,3). Ma rivela, di fatto, la sua “vicinanza” all’uomo.
‫ ָקדוֹשׁ‬, “santo e sacro”. C.B. Costelcade69 critica la tesi di W.W. Baudissin, per il
quale ‫ קָדוֹשׁ‬contiene essenzialmente l’idea di «separazione»: Dio santo è anzitutto un
Dio «separato». «Nei testi semitici non biblici consacrarsi non è separarsi, ma
«avvicinarsi» (s’approcher): la consacrazione è il contrario della separazione» (col.
1393). Ugualmente nella Bibbia, quando si parla di santità occorre parlare di relazione,
incontro, vicinanza e appartenenza e non di differenza e separazione (a sostegno cita
Gen 28; Es 3; Es 19 e Is 6).
• La gloria: «La sua gloria (sarà) pienezza di tutta la terra». La “pienezza” è predicato:
ciò che riempie la terra con la sua presenza.
La gloria è la manifestazione esterna, la sua maestà, come splendore, senza un figu-
ra definita, presente e manifesta nella “pienezza” della terra. Si afferma in tre modi: la
magnificenza di Dio che si manifesta nella bellezza della natura (Sal 19,2; 104,1-2); lo
splendore che gli uomini dicono di vedere nella teofania (termine tecnico della teologia
sacerdotale: Es 24,17); lo splendore celeste della maestà divina, che l’uomo solo con
pericolo di vita può vedere (Es 33,18.20).
Ora quella gloria - afferma il canto dei Serafini - riempie il cielo e il tempio. In futu-
ro la gloria, lo splendore celeste di Dio, riempirà tutta la terra, abitazione dell’uomo. Al-

69
C.B.COSTELCADE, «Sacerdoce-Sadducéens», DBS XI, Fasc.59, Paris 1985.

71
lora apparirà come un tempio gigantesco ove siede la maestà serena di Dio «Re» attor-
niato dalla sua corte.
Reazione: il profeta riconosce e confessa. «Ho visto il re» fa inclusione con «vidi il trono»;
l’impurità collega il verso con il rito seguente. Illuminato dalla luce oscura della nube e dal
canto dei Serafini, il profeta riconosce la regalità del Signore e scopre la sua radicale impu-
rità («le labbra impure») e trema con il tempio. È possibile la mediazione tra uomo e Dio
(cf. Es 33,20)?

PURIFICAZIONE E CONSACRAZIONE (vv.6-7, cf. Ger 1,9; Ez 2,8-3,3)


Nella scena si alternano rito e parola. Un Serafino compie un rito purificatorio: vola,
prende, tocca. Il gesto ha valore di «sacramento», che realizza il simbolo, la purificazione
interiore. Purificando la bocca, donde escono le parole, purifica il cuore donde provengono
i pensieri. La parola spiega il significato e convalida il senso del rito: perdono del peccato e
della colpa.
Di fatto, il rito è anche abilitazione: il profeta purificato può assistere e parlare in mezzo
all’assemblea santa. Egli non ci comunica la sua esperienza, però subito dopo avvertiamo
che è un uomo nuovo, in grado di ascoltare.
MISSIONE (vv.8-13)
Domanda di un volontario, offerta spontanea (v.8)
Di nuovo Isaia contempla la corte divina; ora ascolta una delibera: «Udii la voce del Si-
gnore».
Chi manderò e chi andrà per noi?... manda me... va’ e riferisci.
Il «noi» sembra alludere alla corte celeste. Ora il profeta si offre spontaneamente come
volontario (8b, cf. Abramo in Gen 12,1-4; invece le esitazioni di Ger 1,6 e Mosè Es 3,1-6),
per agire in nome del Signore (profeta, inviato). La visione è interpretata come interpellan-
te, non semplicemente come spettacolo o informazione. Lo comprende ora, che altri l’ha
reso capace: nessuno è capace per se stesso, la missione profetica non è una professione,
nessuno si chiama da se stesso. Richiede però la libera adesione.
INVIO (vv.9-10)
È missione per la parola («va’ e riferisci»): parla in nome di JHWH. Non c’è messaggio, si
descrivono piuttosto gli effetti della missione. «Questo popolo»: Dio evita di dire «mio po-
polo», perché si appresta al giudizio e al castigo. Poi traccia con alcune frasi concise il sen-
so della missione profetica: suo destino è far risuonare la voce di Dio, l’esito sarà di peg-
giorare la situazione. Il profeta sarà segno di contraddizione (cf Is 8,11-16): gli organi della
percezione sono completamente chiusi70, la sua parola non accolta provoca un indurimento
che annulla le capacità di conoscenza e determina un processo storico che conduce alla ca-
tastrofe (cf. Gv 15,22). Ma quando questa sopraggiungerà, il popolo ne comprenderà il
senso alla luce della profezia: è un castigo meritato. In ultima istanza, la profezia porterà al-
la conversione.
DIALOGO (vv.11-13)
La situazione è paradossale. Il profeta ne avverte la gravità e pone la domanda: «fino a
quando?». È richiesta di spiegazione e invocazione (11a, cf soprattutto le suppliche comu-
nitarie nei Salmi): il profeta diviene intercessore. La risposta avviene in due tempi (11b-
13) «fino alla catastrofe»; questi i limiti del giudizio divino.

70
Cf. v.10, la sequenza inversa in forma di chiasmo. Azione: cuore insensibile, orecchio duro, occhi accecati;
effetto: gli occhi non vedono, gli orecchi non odono, il cuore non comprende (non si converte e non guarisce).

72
Alla pienezza della «teofania» si oppone ora la devastazione, che si abbatte sulla città,
le case, la campagna: è abbandono generale (11b-12). Non lo sterminio totale (il castigo lo
esclude), ma la morte di molti. Una seconda ondata verrà a decimare i decimati (v.13).
Nella caduta rimane un resto, un «tronco» o «ceppo» (‫ ַמ ֶצּבֶת‬, l’immagine ritorna in
10,33-11,1), che assicura la continuità del popolo. Criterio distintivo di appartenenza resta
la fede (cf. 7,9b; 10,20-22):
Progenie santa sarà il suo ceppo (v.13).
La finale adombra speranza e salvezza. Il resto sarà un «seme di Santità» o «del santua-
rio» (‫)ז ֶַרע ק ֹדֶשׁ‬, consacrato al Signore «Santo» (inclusione con v.3), un popolo «sacerdotale»
(Es 19,6). La santità di Dio rifluisce sul «resto», secondo l’ideale sacerdotale: «Siate santi,
perché io il Signore Dio vostro sono santo» (Lev 19,2, cf 11,44-45; Mt 5,48; 1Pt 1,15-16).
In conclusione. Il profeta, introdotto nel piano divino, percepisce la sua missione come
segno di contraddizione, ma nel contempo anche la funzione di intercessore e di annuncia-
tore di speranza e salvezza.

2. La promessa dell’Emmanuele
Isaia 7,1-9.10-17 + 18-25: promessa-minaccia
PRIMO INTERVENTO (7,1-9)
Il cap.7 presenta due interventi del profeta Isaia (vv.1.10) durante la guerra siro-efraimitica
(735/34 a.C.). Il racconto precisa le coordinate storico-geografiche (vv.1-2). La minaccia
dei due re, di Samaria e di Damasco, aveva seminato il panico nella «casa di Davide» (cf.
2Sam 7) e tra il popolo (v.2). Tuttavia il risultato di salvezza è già anticipato (v.1).
Il profeta, accompagnato dal figlio bWvåy" ra'Þv., simbolo muto di salvezza (cf. 10,20-22), in-
terviene una prima volta: tranquillizza il re (vv.3-6) e pronuncia un oracolo di salvezza
(vv.7-9).
«Non temere» (vv.3-6)
È tranquillità da recuperare nella fede. Il profeta definisce i due avversari come «tizzoni
fumanti» ormai alla fine.
L’attacco contro Gerusalemme ha lo scopo di distruggere la dinastia di Davide e porre
sul trono un altro re (v.6). Se il piano fosse riuscito la promessa di Natan sarebbe stata an-
nullata.
La «piscina superiore», a occidente del palazzo reale e del tempio, nella valle del Tyropeion, do-
veva essere un luogo strategico per la città71. Perciò il re la rinforza in vista dell’attacco nemico. Il
profeta non impedisce la difesa.
Tab’el: forma aramaica, è un nome teoforico: «Buono è Dio» o «Bontà è Dio». Il profeta Isaia
nomina il candidato alla successione, che nel TM viene ironicamente storpiato in Tab’al, «buono a
nulla», figura insignificante.
Promessa divina (vv.7-9)
La promessa divina di salvezza si articola in: giuramento (v.7), motivazione e conferma
della promessa (avversari distrutti, vv.8-9a); protezione condizionata (v.9b).
– v.7 hy<)h.ti( al{ïw> ~Wqßt' al{ï. L’attentato contro la stirpe non avrà successo. La promessa è in
forma lapidaria, senza condizioni (cf. 7,17; 8,14).

71
Salomone fece costruire due piscine: una inferiore, a sud, con l’acqua dalla fonte di Gihon, completata con
Siloah, emissario (Ezechia); una superiore, a occidente, con acqua piovana raccolta e condotta nella piscina.

73
– vv.8-9a confermano il giuramento (l’ordine è 8a.9a.8b, forse si tratta di una glossa). È la
motivazione duplice. I due re non passano perché Dio, Signore e dominatore dei regni e dei
popoli, ha loro assegnato un regno limitato e non Giuda. Inoltre, seconda motivazione
(v.8b), tra qualche anno Efraim non sarà più popolo, perché sarà distrutto (722/21, ebr.
mē‘am, min privativo, «non popolo»). Forse l’indicazione temporale, «65 anni», va corretta
in «sei o cinque anni», indicazione generica.
– v. 9b. La protezione divina è condizionata: Se il v.7 riassume la promessa della libera-
zione, il v.9b ne è la conclusione.
`Wnme(a'te al{ï yKiÞ Wnymiêa]t; al{å ~ai…
Se non crederete, non avrete alcuna stabilità (kî enfatico).
Cf. Vg Si non credideritis, non permanebitis.
LXX kai. eva.n mh. pisteu,shte ouvde. mh. sunh/te
Se non crederete, neppure comprenderete.
I Padri, a partire da questo testo, hanno fatto del verso una regola ermeneutica: la fede via
ermeneutica della Scrittura. Dalla fede occorre passare alla comprensione più profonda. È
la gnosi cristiana: «La fede, ma anche la conoscenza della verità» (CLEMENTE AL., Stroma-
ta, II,11,52,3: SC 38,76).
Il testo ebraico è articolato sul doppio senso di ‫אָמַן‬, nelle forme hifil, «credere», e nifal,
«essere stabili». Il verso al plurale è rivolto al re, alla casa e alla corte non nominata ma sot-
tintesa. Tutti potevano comprendere.
SIGNIFICATO
Occorre partire dalla situazione storica. Achaz era salito al trono a 20 anni (regnerà 16 an-
ni). Ricevuta la notizia dell’aggressione Siro-Efraimitica per obbligarlo a combattere con-
tro l’Assiria, di fronte al pericolo aveva fatto passare per il fuoco il figlio maggiore e aveva
deciso con il suo consiglio la soluzione politica di chiamare in aiuto l’Assiria stessa (cf.
2Re 16,2-3). In questo momento la dinastia è senza eredi.
Isaia va alla fonte superiore e annuncia che Gerusalemme sarà liberata anche senza alle-
anze. Il v.4 al singolare era rivolto al re, il v.9b al plurale è rivolto al re e al suo consiglio
nella speranza che i legati restino a casa. Se saranno inviati, ora Giuda e Gerusalemme sa-
ranno liberate ma in futuro la grande calamità dell’invasione Assira si abbatterà su di esse
(cf. 8,5-8).
1) Le parole contengono un monito a confidare e a «non temere» (v.4), cioè a recuperare
la tranquillità della fede. Confidare in Dio è impedire il successo dell’aggressione;
2) Il monito non è astratto, ma è riferito a un caso concreto, frutto di una analisi storica, e
tende a un effetto pratico: ottenere la neutralità e impedire la richiesta di aiuto
all’Assiria con la spontanea sottomissione di vassallaggio (cf. 2Re 7-9). Il profeta non
intende impedire l'opera di fortificazione e la resistenza passiva, ma evitare il patto di
sottomissione, che richiedeva l’invocazione degli dei di quel paese e avrebbe causato,
in futuro, effetti nefasti.
3) Il monito assume un senso più ampio. Il significato storico di Israele è nella fede in
JHWH. La fede fonda l’esistenza di Israele e la conserva, per la fede vivono e non per la
potenza politica. La fede deve appoggiarsi sulla parola di Dio, che si compirà di fronte
ai piani umani (cf i «canti del Servo» che accentuano la potenza della Parola).
La fede richiede una forza d’animo che il re non ha. Il profeta ne intuisce l’indecisione.
Non può aggiungere altro. Però Dio presto darà un altro annuncio (vv.10-17).

74
SECONDO INTERVENTO (7,10-17)
«Il Signore parlò ancora» per mezzo di Isaia. Si susseguono: narrazione (vv.10-13), pro-
messa divina (vv. 14-16), minaccia contro Achaz (v.17 + 18-25: invasione; è glossa).
Narrazione (vv.10-13)
Il profeta offre un segno (v.11) a nome del Signore, per confermare la fede del re e la
promessa di salvezza. Perciò, richiama l’alleanza: il Signore «tuo Dio»; al v.14 Isaia dirà
«mio Dio».
Il segno è qualcosa di straordinario fatto da Dio in favore del popolo. Non necessaria-
mente extra-naturale, ma inerente alla storia e alla situazione. Il segno offerto è senza limi-
ti di spazio: quello dal cielo ricorda la manna; quello dal profondo dello Sheol, l’acqua
dalla roccia dell’Esodo.
Il re rifiuta il segno (v.12): «Non voglio tentare il Signore». «Tentare Dio» è esigere
prove e porre condizioni (cf. Sal 78,18.41.56; 106,14; Es 17,7; Dt 6,16=Mt 4,7 e parr.);
nell’AT l’uomo tenta Dio con i peccati.
La risposta è «diplomatica». Sotto la forma apparente di religiosità, il re respinge
l’offerta divina e del profeta. Intende attenersi alla strategia diplomatica, ai progetti politi-
co-militari: fortificazione delle mura (7,3) e invio in Assiria della delegazione.
Il profeta irritato ammonisce e concede spontaneamente un segno, che appare polemi-
co (vv.13-16). «Casa di Davide» (v.13) ricorda al re, erede di Davide, la promessa di Natan
e l’alleanza del Signore con la casa reale (2Sam 7); essa però è condizionata alla fede
(v.9b). Con il suo scetticismo il re, dopo aver irritato gli uomini (allusione allo scisma tra i
due regni, 1Re 12), sta per stancare anche Dio: «mio Dio», il Dio dell’alleanza che per boc-
ca mia ti offre un segno.
Promessa divina - il «segno» (vv.14-16)
GENERE LETTERARIO
È un “oracolo di annuncio”, con i seguenti elementi: a) concezione e nascita del bambino;
b) nome (spiegato al v.16); c) dieta particolare; d) un dato del futuro prossimo del bambino
(v.16). Tali motivi saranno ripresi e spiegati nei capitoli seguenti.
TESTO E CRITICA TESTUALE
tAa+ ~k,Þl' aWh± yn"ïdoa] !Te’yI !kel'û
`lae( WnM'î[i Amßv. tar"ïq'w> !Beê td<l<åyOw> ‘hr"h' hm'ªl.[;h' hNEåhi
Perciò darà il Signore, Egli, a voi un segno:
Ecco, la ‘almah incinta (è o sarà) e partoriente un figlio,
e tu (femm.) chiamerai il suo nome Immanuel.
Qumran non ha notevoli differenze.
LXX dia. tou/to dw,sei ku,rioj auvto.j u`mi/n shmei/on
ivdou. h` parqe,noj evn gastri. e[xei kai. te,xetai ui`o,n
kai. kale,seij to. o;noma auvtou/ Emmanouhl
Perciò, il Signore egli stesso vi darà un segno.
Ecco, la vergine concepirà nel ventre e partorirà un figlio,
e tu chiamerai il suo nome Emmanuele.
Aquila, Simmaco, Teodozione traducono ‫ ׇה ַעל ְׇמה‬con neani,j;
kale,seij: la tradizione testuale è incerta; cf. anche kale,sousin.
La Vulgata segue LXX per parqe,noj, virgo; e rende weqara’t con vocabitur, impersonale.
Il testo presenta sostanzialmente due problemi:
(1) la traduzione di ‫ ׇה ַעל ְׇמה‬, che in LXX comporta un’interpretazione;

75
(2) la forma del verbo tar"ïq'w>, perf. 2a sing. femm.: «tu (la giovane) chiamerai», che non va
nel contesto, perché Isaia si rivolge al re, anche se «la giovane» poteva essere presente.
Proposte di soluzione.
• Lasciare verbo alla 3a sing. femm: «ella (la madre) chiamerà», come fanno Eva e le
matriarche (cf Gen).
• Leggere ָ‫ ְוק ַָראְת‬: «e tu (= il re) chiamerai» (2a singolare maschile, una delle recensioni
di LXX).
• Supporre un’aplografia: ‫ ְוק ָָרא אֵת שְׁמוֹ‬, 3a. pers. m., impersonale con soggetto vago: cf.
«on dira», et vocabitur (Vg; Mt 1,23 e molti codd. LXX kale,sousin, così la Peshitto
siriaca). Si può tradurre: «Si chiamerà il suo nome». Per altri esempi, cf. Is 9,5; 7,24.

ESEGESI

Il Segno – un bambino (v.14)


« Perciò darà il Signore, Egli, a voi un segno»
Il segno è offerto spontaneamente, ma diventa polemico, quasi una sfida. «Darà a voi»:
la «casa di Davide»(v.13) e la delegazione (v.9b).
Il segno è un bambino (cf. Lc 2,12.16), l’erede al trono la cui nascita garantirà la conti-
nuità della stirpe regale, e il cui nome profetico annuncia che Dio continuerà a proteggere
e benedire Giuda. Is 9,1-6 e 11,1-9 preciseranno ulteriormente gli aspetti della salvezza.
Annuncio
«La vergine». L’ebraico indica una persona fisicamente matura(cf ‫ ֶעלֶם‬, pubes), capace
di generare, come traducono Aquila e Teodozione. Designa anzitutto l’età, la pubertà. Di
per sé non dice se sia vergine sposata. L’articolo, «la vergine», ritiene comunque la perso-
na come nota. LXX e Matteo danno un’interpretazione ispirata, che nulla dice del testo e-
braico.
hr"h' è aggettivo verbale fem. al posto del part. pres.: «“è” o “sarà” incinta» (LXX è al futuro).
td<l<åyOw>, «partoriente», senza articolo. Nome predicativo con certo significato futuro.
lae( WnM'î[i: il nome «Dio con noi» è chiaro. Esprime la certezza dell’aiuto e della protezione divina.
Il v.16 esplica il nome, concretizzando la liberazione, il v.15 separa la spiegazione (è
glossa, cf. sotto).
Il v.16 segue logicamente al v.14. Ha carattere storico, riprende in senso temporale il
simbolismo del v.1572. Spiega in che consista l’aiuto divino. Per questo si impone al bam-
bino un nome fausto:
Infatti, prima che il bambino sappia rigettare il male e scegliere il bene,
sarà desolata la terra, dai cui due re tu sei atterrito.
«Prima che sappia», prima dell’età della discrezione (cf. Dt 1,39). Il terrore è dovuto
all’aggressione (cf. 7,2.5 = inclusione). Non Giuda, ma la terra dei due re aggressori sarà
devastata poco dopo la nascita del bambino. Perciò dovranno desistere dalla loro aggres-
sione.
Il v.15 ha un carattere mitico? certamente simbolico. Il verso è una glossa che interrom-
pe il nesso tra i vv.14 e 16 e inverte l’ordine del tempo. Infatti annunzia ciò che avverrà
dopo il v.16. È composto in 15a e con parole di v.22b, mentre 15b ricorre quasi alla lettera
in v.16.
Mangerà burro e miele, finché saprà rigettare il male e scegliere il bene

72
Cf. G. RICE, «The Interpretation of Isaiah 7,15-17», JBL 1977, pp. 338ss.

76
• leda‘ato (inf. costrutto + suffisso), «al suo sapere», «quando/finché egli saprà». Vale a
dire, che Giuda sarà liberata prossimamente, finché raggiungerà l’età della discrezione;
dopo la liberazione, mangerà.
• Burro e miele: il senso non è preciso, rimane incerto per la brevità del verso. Interpre-
tazioni:
a) Sono cibi che daranno al re forze straordinarie per regnare: suppone il senso finale del
verbo, “per il suo sapere”, «perché egli sappia».
b) Incomincerà l’età aurea: sono cibi paradisiaci. Sarebbe un linguaggio mitico divenuto
quotidiano. Questa ipotesi non ha sufficienti spiegazioni nell’AT e tanto meno qui.
c) Indica abbondanza di cibo, cioè tempo di prosperità (cf. Es 3,8). «Latte e miele» idea-
lizzano i dati storici.
d) Indica cibo povero, essenziale, in tempo di miseria. Infatti, se partiamo dal contesto se-
guente, i vv.21-22 sono adatti alla spiegazione. Vi si accenna all’invasione Assira. I po-
chi abitanti rimasti dopo l’invasione, avranno poche pecore e latte, ma sufficienti per fa-
re del burro. Dopo la devastazione ricomincerà un tempo di modesta prosperità, che
l’Emmanuele sperimenterà all’età della discrezione.
La minaccia (vv.17.18-25)
Il v.17 conclude l’oracolo, con la minaccia di un futuro castigo a seguito dell’incredulità e
delle scelte politiche (la minaccia si prolunga, di fatto, nel c.8). Il fatto che in un primo
momento, l’invasione assira di Damasco e Samaria avesse liberato Giuda (v.16), sembrò
dar ragione alla politica del re. In realtà, il profeta annuncia che tutto ciò è dono di Dio. Ma
la successiva invasione di Giuda da parte della medesima potenza, confermerà il primo an-
nuncio.
I vv.18-25 costituiscono un’appendice al secondo intervento del profeta, da attribuirsi al
tempo dell’invasione di Sennacherib. Continuano il pensiero del v.17, ma non è Isaia che
parla ad Achaz. È probabile aggiunta del redattore.
Nei simboli prevale lo schema di giudizio che comprende quattro oracoli, segnati da
quattro riprese: «in quel giorno» (segno di altrettante aggiunte), che danno al brano un ca-
rattere escatologico.
– vv.18-19: mosche e api. Si tratta dell’invasione assira significata nel simbolo delle api; ma le mo-
sche (Egitto) non quadrano con il contesto.
– v.20: il rasoio. Descrive l’assalto; risalta la depravazione e l’umiliazione di Giuda.
– vv.21-22: latte e miele (qui inserito per la somiglianza con v.15? BJ). È descrizione della relativa
prosperità e di un ritorno a una vita elementare posteriore all’invasione.
– vv.23-25: rovi e spine (cf. Is 5). Rappresentano la terra disabitata; non più contadini, ma nomadi e
pastori.
Riassumendo
• Il segno predetto è la prossima nascita di un bambino, che avverrà in un momento lieto.
• Lo scopo del segno è polemico: non per confermare la fede della casa di Davide nella
promessa divina, ma per confondere la sua politica, che si affida all’aiuto dell’Assiria.
Segue perciò la minaccia.
• La validità del segno dipendeva dal fatto che l’evento della nascita si potesse certamen-
te conoscere, cioè se «la giovane» fosse ben nota. Occorre allora identificare la giovane
e il bambino.

77
EXCURSUS: INTERPRETAZIONE DI ISAIA 7,14
Interpretazione storica
La madre dell’Emmanuele non può essere che «la giovane» sposa del re; mentre il figlio
è il re Ezechia, erede e successore di Achaz.
• Dovette essere persona conosciuta, come appare dall’articolo, e riconoscibile dagli a-
stanti, come richiedeva la validità del segno.
• Poteva essere o la moglie del profeta o la moglie del re. Non è la prima perché un figlio
era già nato (7,3) e il secondo, nato più tardi, avrebbe avuto significato diverso
dall’Emmanuele (8,3). Con fatica si poteva dirla «giovane». Perciò, non poté essere che
la sposa giovane del re Achaz, la futura madre dell’erede al trono.
• Il contesto lo conferma. Infatti, la promessa centrale era la preservazione della dinastia
di fronte al tentativo di usurpazione (7,6-7). Inoltre, il profeta si rivolge direttamente al-
la «casa di Davide» (7,13.17) e, in 8,8, annuncia l’invasione degli Assiri in terra di
Giuda e Gerusalemme, chiamata «terra dell’Emmanuele». Si tratta dell’invasione di
Sennacherib al tempo di Ezechia, nel 701.
Il profeta dunque si adira con il re (7,13) e offre spontaneamente un segno fausto (7,14).
Non potendo superare la sua incredulità, gli annuncia la nascita di un figlio come segno di
continuità della dinastia per confondere la sua politica. Non nomina Ezechia, perché non è
importante la sua persona storica, quanto la sua funzione di erede al trono, portatore delle
promesse. Isaia pronuncia dunque un oracolo dinastico sulla nascita del re, evocando
l’azione del Dio dinastico sulla regina madre del re73. Però in 7,17 annunzierà la punizione
o il conseguente esito negativo conseguente.
Interpretazione profetico-messianica
La tradizione ha ritenuto la profezia una espressione del messianismo regale, abbozzato
in 2Sam 7.
1. Già il testo, infatti, suggerisce un senso profetico profondo, messianico. Non tratta di
Ezechia e della madre come persone storiche. Accentua invece il loro significato simbo-
lico: sono l’erede dinastico, portatore delle promesse, il “Messia”, “consacrato” dal Dio
dinastico che ne garantisce la stabilità, e la regina madre su cui il Dio dinastico agisce.
Inoltre, il nome forte, Emmanuele, e la solennità dell’oracolo vanno oltre il momen-
to storico per proiettare la visione verso il re-Messia ideale, l’erede di Davide che sarà
segno, nel futuro, della «presenza di Dio».

73
Cf. CAZELLES, o.c., pp. 85, 61s e 31s. J. RADEMAKERS, «La mère del Emmanuel. “Le Seigneur lui-même vous
donnera un signe” (Is 7,14)», NRT 128 (2006) 529-545, considera il testo nel suo significato aperto e riassume la
panoramica di identificazioni della «vergine» nella tradizione giudaica e cristiana: (1) una delle donne di Achaz,
la madre di Ezechia; (2) Maria, in armonia con parthénos di LXX; (3) La sposa di Isaia, per il soprannome del
figlio accanto agli altri due; (4) una figlia o giovane donna della casa reale (figlia di Achaz – rabbini: ma il re ha
solo 25 anni); (5) una cortigiana di Achaz (cf Ct 6,8: regine e concubine); (6) Una donna conosciuta da Isaia e
dal re e a noi sconosciuta o, in una visione profetica, una donna immaginaria o mitica; (7) simbolo di una
collettività (esegesi razionalistica del XVIII sec.); (8) Interpretazine mitologica: (a) nascita di un bambino
meraviglioso, figlio di una dea (Drewermann), o (b) «annuncio di un erede regale in termini mitologici» (Kittel),
o (c) ricorrendo a Gen 2-3, albero della conoscenza del bene e del male (cf Is 7,15), Eva, alla quale fu promessa
la vittoria sul serpente; (9) interpretazioni simboliche sul tipo delle allegorie come la sapienza donna, la figlia di
Sion per Gerusalemme, la prostituta per Tiro e Babilonia; (10) appello alle rappresentazioni dei culti pagani
delle hierodule; così è vista la regina, non come sposa: la vergine la designa come unica e di rango elevato; la
nascita poteva assumere un duplice senso: negativo, perché le hierodule dovevano restare non feconde; positivo,
per il fatto che il bambino era segno di vita dato da Dio in un tempo oscuro, dopo che il re aveva sacrificato uno
dei discendenti (2Re 16,3).

78
2. Le traduzioni hanno accentuato il carattere ideale e simbolico. LXX, che riflette una
tradizione giudaica, traduce ha-‘almah con “vergine” in senso specifico; in ebraico cor-
risponderebbe a betûlâ (ma qualcuno traduce: «colei che [ora] è vergine [poi] concepirà
e partorirà un figlio...»). Forse il fatto dipende dal contatto con la nuova cultura elleni-
stica, che usa il motivo della nascita verginale per descrivere i tempi ideali, l’età dell'o-
ro? Il messaggio è sganciato dalla situazione storica di Achaz e proiettato nel futuro. In
tale direzione di senso sembrano orientati anche alcuni Targumim.
3. Un messaggio aperto giunge dalla lettura della figura femminile della madre
dell’Emmanuele-Ezechia nella prospettiva di tutto il libro di Isaia che presenta spesso
Sion al femminile, sposa infedele e prostituta, che JHWH riprende e rende di nuovo
vergine e feconda, ampliando la simbologia iniziale. Due immagini si sovrappongo-
no: la vergine è simbolo di Sion. «La promessa presente nell’oracolo dell'Emmanuele
si perpetua attraverso la storia di Jahwh con il suo popolo presentato come una don-
na. Una donna di cui Dio è innamorato e che egli rende feconda a partire da una ver-
ginità intatta o ritrovata. Fedeltà ricca di grazia del Signore che attraversa l’infedeltà
degli uomini sotto l’aspetto di una figura femminile che l’amore divino rende di nuo-
vo vergine e vivificata: il Creatore sposa la vergine, figlia di Sion e la gratifica d’una
moltitudine di figli»74.
4. La tradizione cristiana – in linea con le precedenti e portandole al culmine, in partico-
lare con Matteo (1,18-25) che cita Isaia 7,14 dai LXX – riconosce nella «nascita vergi-
nale» di Gesù la piena realizzazione dell'annuncio antico («perché si adempisse»). Così
Maria è la «Madre Vergine» che dà alla luce Gesù, «Figlio di Davide», «Messia» (1,1),
l’autentico segno della presenza di Dio, storica (1,23) ed escatologica («per tutti i seco-
li», 28,20). Con Mt 1,23 per mezzo di Maria un velo è tolto sulla maternità verginale
come grazia fecondante di Dio.
In Luca Gesù è il Salvatore universale che regnerà per sempre sul trono di Davide e
su Giacobbe (1,31-33).
Anche la liturgia e la chiesa primitiva hanno inteso il passo in questo senso. Basti ri-
cordare Giustino nel suo «Dialogo con Trifone» (apologia del cristianesimo in cui di-
sputa con un ebreo) che, rifacendosi ai LXX, vede nella «vergine» di Is 7,14 un annun-
cio della concezione verginale di Cristo Gesù.
Il senso messianico incluso nel titolo Emmanuele è esplicitato e diventa chiaro alle ge-
nerazioni successive, fino al compimento nel NT. L'interpretazione cristiana non toglie va-
lore al precedente segno storico, ma pone in relazione i due eventi che fanno acquistare al
testo, già portatore di un valore simbolico, un significato sempre più ampio nel tempo. I-
saia, al di là delle circostanze immediate, proclama un intervento di Dio in vista del regno
messianico definitivo e coglie una costante dell'agire di Dio. Il NT proclama nell’evento
del primo Emmanuele il segno di quello ultimo e definitivo, Gesù Cristo, «Dio con noi» in
senso pieno.

74
J. RADEMAKERS, o.c., p. 538. Cf. Is 1: Israele prostituta resa fedele; 37,32 il resto uscirà da Gerusalemme-
Sion; Jhwh sposo innamorato e «geloso» farà questo (cf 9,6b). Gerusalemme-Sion donna: «Grida di gioia
sterile, tu che non partorivi figli, grida di gioia e letizia… Tuo sposo sarà il tuo Creatore, Redentore» (54,4-
5); e in Is 55 torna la prospettiva messianica. Is 62,3-5; 66,7.10.13 conclude con una riflessione profetica
sulla città di Gerusalemme “madre delle nazioni” paragonata a una vergine che genera.

79
3. La minaccia: Isaia 8,1-4.5-8.9-10
Questo brano, che continua sostanzialmente il clima di minaccia dei versi. precedenti
(7,17.18-25), si articola in tre parti di diverso genere e tenore:
(1) narrazione con annuncio-promessa: 1-3a.3b-4; (2) oracolo di punizione: 5-8; (3) o-
racolo apocalittico: 9-10. Isaia parla ancora in prima persona (cf. cc. 6 e 8,11ss): è il suo
«memoriale». Il v.4 sulla futura strage dei due re riflette sempre l’epoca della guerra siro-
efraimitica. I vv.5-8.9-10 riguardano l’invasione assira. In ambedue i casi, il piano umano
si scontra e fallisce di fronte a quello divino.
NARRAZIONE (vv.1-3a)
Gli avvenimenti si pongono in due momenti: 1) Dio rivela la nascita di un figlio e il
suo nome profetico; due testimoni garantiscono il fatto. 2) Nasce il figlio e Isaia im-
pone il nome profetico, che predice la depredazione dei due regni aggressori. Il pro-
feta si mostra certo della verità della predizione. Quando il fatto si avvererà, si potrà
costatare la sua verità: è segno pubblico.
Il profeta scrive su una tavola (v.1), beÐere† ùÊnãš, stylo hominis (Vg), probabilmente «a
caratteri normali», perché la scrittura possa essere letta da tutti (cf. Ab 2,2, che scrive su
tavole in modo che vi si possa leggere celermente).
«Presto bottino, pronto saccheggio». È nome simbolico, spiegato nei vv.3b-4, riferito ai
due re aggressori. Ma il contesto attuale (vv.5-8) riporta il senso su Giuda stessa, incredula.
I due testimoni (v.2), Uria sacerdote e Zaccaria, servono a confermare il documento. La
tavola è dunque documento, che richiede testimoni degni di fede (ne’emanîm). Di fatto, U-
ria è chiamato “sommo sacerdote” in 2Re 16,10-16. Era sacerdote al tempo di Zaccaria,
forse padre della regina madre, moglie di Achaz (2Re 18,2); non è indicato però con il suo
patronimico di suocero del re. Probabilmente era vicino al sacerdote e persona altolocata.
La moglie di Isaia, incinta, è chiamata «profetessa» (v.3a): è segno profetico come la
‘almah di 7,14.
ANNUNCIO-PROMESSA (vv.3b-4)
La struttura richiama 7,14.16: nome e spiegazione. Allora si prediceva la devastazione, qui
la depredazione dei due re. Il nome diviene fausto per Giuda: strage dei nemici (cf. Emma-
nuele). Ma come allora seguiva la minaccia contro Giuda incredula (vv.17ss), così ora il
saccheggio si riverserà anche su Giuda (vv.5-8). Il castigo assiro verrà più tardi, come con-
seguenza delle attuali scelte politiche. «Prima che il bambino sappia chiamare papà e
mamma», indica vagamente un tempo breve, come in 7,16.
MINACCIA DI PUNIZIONE E ANNUNCIO DI LIBERAZIONE (vv. 5-8.9-10)
In 7,9b, alla fine del primo episodio, si avverte la minaccia sotto forma di condizione. In
7,17, la calamità si fa concreta. Ora abbiamo la più lunga descrizione. Storicamente ricorda
l’invasione di Sennacherib (701 a.C.).
Nella forma è un oracolo di minaccia, in due parti, - protasi/motivo: «Poiché hai pecca-
to» (v.6); - apodosi/conseguenza: «perciò ti punirà» (vv.7-8). Poiché il popolo rifiuta di
porre in Dio la fiducia, l’Assiria invaderà il regno di Giuda fino al collo, cioè la capitale.
Il simbolo è l’acqua: opposizione tra l’acqua che scorre pian piano e le acque impetuose
(un simile simbolo in Sal 46,4-5). Le acque di Siloe, appena costruite, sono segno della fe-
de-protezione di JHWH. Le acque dell’Eufrate rappresentano l’orgogliosa potenza assira.

80
V.8a. altezza dell’invasione
«Irromperà contro Giuda (‫ ׇחלַף ב‬in senso ostile); inondando (‫ )שׁטַף‬e invadendo (‫)עבַר‬, ‫ׇ‬
giungerà fino al collo». La calamità sarà grande, ma non totale. Giungerà fino alla capitale.
V.8b. estensione
«E avverrà, l’estensione delle sue ali-margini sarà per tutta l’ampiezza della tua terra, Em-
manuele». L’estensione è tutta la terra di Giuda, qui chiamata «terra dell’Emmanuele»: de-
signa la persona di 7,14, il figlio di Achaz. Di fatto, l’invasione assira di Sennacherib, du-
rante il regno di Ezechia, occuperà tutta la terra di Giuda, eccetto la capitale.
VV.9-10 LIBERAZIONE
Riprende in forma apocalittica i vv.7-8 per annunciare la liberazione dall’invasione. Dio in-
frange i piani umani e ribadisce la protezione: ‘immanuel non è più il nome del re del pae-
se, la cui personalità è più sfumata, quanto piuttosto «Dio con noi».
CONCLUSIONE
Terminano qui gli oracoli sulla guerra siro-efraimitica. Erano apologia della missione del
profeta, contro l’ambasceria all’Assiria, benché la politica del re sembrasse giustificata.
Perciò Isaia scrive e conferma i suoi oracoli, a testimonianza di ciò che aveva detto:
8,11-20 ribadisce il principio e la motivazione dello scritto. È il suo memoriale. Nei cc.6 e
8 parla in prima persona, nel c.7 tre volte è in 3a persona. Ma i tre episodi del memoriale
costituiscono una unità. Perciò al c.6 si premette la vocazione.

4. La nascita dell’Emmanuele: Isaia 8,23b-9,6


Isaia 8,23b-9,6 e 11,1-9 illustrano ulteriormente la promessa del bambino Emmanuele. Il
primo celebrandone la nascita, il secondo vedendone il futuro ideale ed escatologico. Cerco
di cogliere l’insieme dei singoli brani attuali, per operare, alla fine, un confronto globale75.
SITUAZIONE STORICA
Sullo sfondo sembra essere anzitutto la promessa di liberazione del nord di Israele invaso
dall’Assiria nel 733 a.C., in seguito all’ambasceria di Achaz. Zabulon, Neftali sono tribù
del nord, come al nord alludono la via del mare e la «curva dei goyyîm». La «verga spezza-
ta» dell’oppressore potrebbe riferirsi alla vicenda di Sennacherib che nel 701 assediò inu-
tilmente Gerusalemme.
La «nascita» del bambino potrebbe alludere all’intronizzazione del re Ezechia, associato
al padre nel regno (729/28, terzo anno del re di Israele Osea: Ezechia ha sei o sette anni; la
successione piena avverrà nel 716/15, alla morte di Achaz)76. In quell’occasione il re è di-
chiarato «figlio di Dio», a indicare la stretta relazione di alleanza (cf. Sal 2,7; 110). Esso
diventa segno di speranza anche per il nord.
GENERE LETTERARIO
È un oracolo innico o un canto di ringraziamento per la liberazione, di cui la nascita di un
bambino - già avvenuta - è il segno. Al centro è ancora il bambino promesso in Is 7,14. Es-
so segna provvisoriamente la risurrezione di Israele.

75
Cf L. ALONSO SCHÖKEL, «Dos poemas a la paz. Estudios estilistico de Is 8,23-9,6 e 11,1-6», Est Bibl 18
(1959) 149-169.
76
Cf. H.CAZELLES, Il messia della Bibbia, pp. 85-89, spec. p. 88.

81
STRUTTURA
Il brano è articolato in tre parti:
– Tre annunci di salvezza: gloria dopo l’umiliazione (8,23b); luce nelle tenebre (9,1); gio-
ia/letizia (9,2);
– Triplice motivazione, in crescendo, introdotta da «poiché» (kî):
• termina l’oppressione: liberazione dalla schiavitù (giogo spezzato, bastone infranto:
9,3);
• termina la guerra (equipaggiamento militare distrutto: 9,4);
• è nato un bambino: la vita riprende (9,5). Con quest’ultima motivazione inizia un nuo-
vo schema nello stile degli oracoli di annuncio.
– Annuncio: nascita (5a), nome (5b), spiegazione del nome e sua realizzazione futura (6).
La visione si concentra sul bambino; «il ritmo cambia e diventa lento, la sonorità soave»
(Alonso). È il culmine del poema.
ESEGESI
LA LIBERAZIONE-SALVEZZA (8,23b-9,2)
8,23b segna una svolta: dall’umiliazione passata alla liberazione futura, con una serie di
opposizioni: umiliazione e gloria, luce e tenebre, gioia e angoscia. Le tre immagini si illu-
minano a vicenda. Nella terza l’aspetto negativo scompare: è solo gioia e letizia; dalla 3a
persona si passa alla 2a.
8,23b. La svolta: umiliazione/gloria
Le zone nominate saranno nuovamente liberate. Potrebbero corrispondere alle tre pro-
vince assire, cui si accenna in documenti dell’epoca di Achaz: dùru (Dor), via maris(?);
magidu (Megiddo), distretto delle genti; galazu (Galaad), al di là del Giordano.
9,1. tenebre/splendore - caligine/luce
Cazelles coglie nell’allusione all’olio che dà «splendore» al corpo un riferimento
all’unzione regale e all’intronizzazione (ma cf anche Sal 104,15, detto di ogni uomo).
L’oppressione nemica è tradotta nella terminologia dello Sheol: tenebre e caligine (cf. Is
31,9; Sal 18,28) simbolo del caos (Gen 1,2) e della morte, dove non c’è salvezza (cf. Is
8,21-23a e le «tenebre dense»; «il giorno di JHWH» in Am 5,18-20). La luce è salvezza,
nuova creazione (cf Sal 46,6).
9,2. «Hai moltiplicato la gioia, hai accresciuto la letizia»
Si passa improvvisamente dalla 3a alla 2a persona. Al simbolo cosmico di luce e tenebre,
segue la gioia che immette nello schema antropologico: il cosmo riflette l’uomo. Alla vit-
toria militare segue la gioia per la mietitura, classica immagine di pace; è riferimento alla
festa di «Pentecoste». ‫ ׇשׁלַל‬, «preda, bottino», richiama il nome profetico del figlio di Isaia
(8,1-4).
MOTIVI DI GIOIA (9,3-5)
V. 3. Liberazione dall’oppressione considerata nei suoi segni.
AlªB\su l[oå-ta,, il «giogo del suo carico», cioè la schiavitù che l’opprime (‫ סֹבֵל‬è solo in Isaia,
cf. 10,27: ^r<+aW"c; l[;äme ALß[uw> ^m,êk.vi l[;äme ‘AlB\su rWsÜy"; 14,25)
Amêk.vi hJeäm; ‘taew>, il «bastone-scettro delle sue spalle» è segno del comando e arma bellica con
cui sono colpiti i nemici (cf. Sal 110,2); qui è la sbarra posta sulle spalle del prigioniero, mentre
il giogo serrava il collo (cf Is 10,27).
AB+ fgEåNOh; jb,veÞ, «verga-bastone» con cui l’aguzzino colpisce i prigionieri.
«Come ai tempi di Madian», richiama la vittoria di Gedeone (Gdc 7,15-25). Il brano con-
tiene diverse allusioni a quel episodio.

82
«Tu infrangi»: Dio spezza i segni dell’oppressione. Il tema delle «armi infrante» è caratteri-
stico dei profeti. È collegato alla battaglia escatologica di Dio contro i suoi nemici che pre-
para un’era di pace (Os 1,5; 2,20; Mi 5,9-13; Is 14,5.20; cf. Sal 46,10; 76,4; Ger 49,35; Ez
39,3.9; Zac 9,10). Il motivo riflette l’opposizione profetica antimilitaristica, soprattutto
dell’VIII secolo (cf. anche l’ideale quadro di Is 2,7ss). Il Signore non distrugge i popoli, ma
toglie loro gli strumenti di guerra, di potenza e orgoglio, con i quali opprimono i più debo-
li77.
V.4. Fine della guerra considerata ancora nei suoi segni: calzature e rumore di mischia,
mantelli insanguinati. Il fuoco distrugge i resti della guerra e ne segna la fine con lo ḥērem,
«bando o anatema», che consacra la vittoria al Signore, vero vincitore della «guerra santa»
(cf. Gdc 7,15-25; Gs 7,13).
ANNUNCIO - I NOMI (9,5-6)
V.5. Il terzo motivo si apre sull’annuncio della nascita di un bambino, yeled, che richiama
la ‘almah che «partorisce» (yôledet) l’Emmanuele di Is 7,14 (cf. anche Mi 5,3):
È nato per noi un bambino,
è dato a noi un figlio.
Celebra la nascita già avvenuta. Il fatto assume diversi significati. È segno di salvezza, get-
ta uno sprazzo di luce nella tenebra diffusa, rigenerando speranza. È anche prova che la pa-
rola del profeta è veritiera, segno contro il re e il popolo che non hanno creduto alla prote-
zione divina (cf 8,5ss contro 8,11ss). Sottolinea il dono: l’impersonale «a noi è dato» si ri-
ferisce a Dio78. Profeta e popolo accolgono il segno promesso del bambino che è nato.
Il quadruplice nome
È di particolare interesse il nome, in quanto definisce la personalità del bambino e lo ca-
ratterizza per la sovranità (insegne regali sulle spalle): è il figlio del re. Ogni nome contie-
ne un duplice riferimento.
* Alla corte reale: consigliere, generale o eroe “potente” o capo dell'esercito, padre, princi-
pe, sono quattro uffici di corte. Il fatto è accentuato dal «segno della sovranità (‫)מש ׇ ֹרה‬
‫ ׅ‬sulle
spalle» del protagonista. Forse si tratta dello scettro, opposto al giogo della schiavitù (v.3;
in 11,5 lo unisce a fascia e cintura, segni della giustizia regale).
*A Dio: ciascun titolo è qualificato da una determinazione che ne esplicita il rapporto con
la divinità (nomi teoforici). “Mirabile” è Dio che compie la sua “mirabilia” in favore del
suo popolo. Seguono altri titoli: ’El, l’Eterno o Immortale79.
‫ ֶפּלֵא יוֹ ֵעץ‬, “consigliere ammirabile”: è un portento di consigliere o consigliere di
portenti; consiglia atti eroici (cf. v.3, Madian);
‫אֵל ׅגּבּוֹר‬, «Dio potente» (o, Dio è potente). In Sal 45,4 il re è chiamato ’elohim; gibbôr
indica l’eroe. In Is 10,21 il titolo è attribuito a JHWH. Un resto ritornerà, il resto di Gia-
cobbe al Dio Potente.
]
d[;Þybia, “mio Padre è l’Eterno” (Cei “Padre dell’Eternità”); cf. 2Sam 7,14; 2,7: il re è fi-
glio di Dio.
~Al)v'-rf;, “principe della pace”, cf. Mi 5,4a, e il nome divino Jhwh Shalom in Gdc
6,24.

77
Cf R. BACH, «...Der Bogen zerbricht, Spiesse und Wagen mit Feuer verbrennt», in H.W. WOLFF (ed.),
Probleme Biblischer Theologie (Fs G.VON RAD zum 70. Geburtstag), pp. 13-26.
78
Per Cazelles (o.c., p. 87) vi è un parallelo tra 6,8 («chi andrà per noi») e 9,5, «per noi», che sarebbe in questo
caso riferito a Dio. Ma si può pensare meglio al segno che il Signore darà «a voi» di 7,14.
79
Cf. L.VIGANÒ, Nomi e titoli di YHWH alla luce del semitico del nord ovest, p.75 e nota 195.

83
Dal quadruplice nome il personaggio assume connotati ideali. I titoli riassumono le qua-
lità dei capi del popolo: la sapienza di Salomone, la valentia di Davide, le virtù di Mosè e
dei Patriarchi (cf. anche Is 11,2).
Spiegazione del nome (v.6)
Il verso riprende i termini precedenti. Al centro è la dinastia reale, ma in un orizzonte
senza limiti, che conferma il carattere ideale sopra descritto: il dominio è “grande”, la pace
“senza fine”, il diritto e la giustizia “ora e sempre”. Il regno non è fondato sulle armi, ma
sulla giustizia e il diritto, le due qualità centrali di tutti gli annunci messianici isaiani che
trasformano la città prostituta in città “fedele” (1,21-26). Non è spiegato il titolo militare
(sostituito dal titolo divino, “Dio degli eserciti”, che supera gli avversari nella guerra san-
ta), ma solo principe, pace, eterno, signore. La guerra è terminata per sempre. Il Dio degli
eserciti è vincitore e restauratore della giustizia e del diritto mediante il suo mediatore.
Conclusione (v.6b)
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (cf Is 37,32).
Zelo (ebr. qin’Âh) è l’eccesso di amore di Dio, amore appassionato ed esclusivo di spo-
so innamorato (Is 37,32) che diviene “gelosia” quando Israele si allontana dall’alleanza
(cf. Es 20,5; Dt 4,24; Gs 24,19). Alla base della liberazione è l’amore geloso di JHWH, non
l’azione degli uomini (cf. anche Is 10, la “mano tesa”). Per tale amore sarà chiamato ´el-
qannäh, forse una reinterpretazione di ’el-qönëh ´erec, antico titolo del Dio di Melchise-
dek (Gen 14,19)80. In Is 11,13-16, la “gelosia” di Efraim cessa e Giuda stronca gli avversa-
ri riunendo i due regni con i “superstiti” di Israele che ritornano dall’Assiria, per una stra-
da simile alla risalita dall’Egitto.
Signore degli eserciti è titolo guerriero di Dio, che guida il popolo nel deserto e nella
conquista della terra. Ma ritorna anche nei motivi della distruzione delle armi. Se ha una
connotazione relativa alla guerra santa, insinua qui, tuttavia, l’idea di Dio superiore a ogni
potenza umana, vittorioso sulle prepotenze degli uomini ai quali ha tolto le armi (vv.3-4).
Egli non accetta che le province strappate dagli Assiri rimangano sotto il loro dominio; e-
gli è là per la “luce” rappresentata dalla dinastia davidica.

INTERPRETAZIONE STORICO-MESSIANICA
A livello storico il bambino sembra essere l’erede al trono di David (v.5), di cui si festeggia
la nascita: è dato al popolo (“noi”) come segno di salvezza. Però solo a questo livello la
profezia non si è avverata. Il nord di Israele non fu liberato, anzi nel 722 cadde anche la ca-
pitale, Samaria, con la conseguente deportazione. In Giuda la dinastia decadde.
All’interpretazione messianica orienta il testo con il nome profetico (v.5) e la sua spie-
gazione, che colloca il personaggio in un orizzonte senza limiti (v.6). Si tratta di un perso-
naggio regale, ideale. In tal senso si muove anche lo studio di Thompson81. L’autore so-
stiene la paternità isaiana dell'immagine di un re ideale, dopo la devastazione operata da
Tiglat-Pileser III.
Il Nuovo Testamento appella a quest’oracolo: Mt 4,15-16 = Is 8,23; Lc 1,79 allude a Is
9,1; Lc 1,32 a Is 9,6 vedendone in Gesù la piena realizzazione spirituale, non politica. Solo
riferito a Cristo l’oracolo acquista la sua piena realizzazione. Fino ad allora c’è speranza e
ansia, ideale non compiuto, però creduto e sperato, in tensione verso il futuro come annun-
cio e preparazione.

80
Cf. H. CAZELLES, o.c., p. 87 n. 24.
81
M.E.W. THOMPSON, «Isaiah’s Ideal King», JSOT 24 (1982) 79-88.

84
5. Il virgulto di Jesse - il futuro messianico: Isaia 10,33-11,9
AUTENTICITÀ
L’oracolo è considerato da diversi autori come non isaiano ma esilico, soprattutto per 11,1:
la dinastia davidica sembra scomparsa. Un buon contesto però fu il grave attacco an-
tidinastico del 734, a fatica superato, o il distruttivo assedio del 701 ricordato nei versi pre-
cedenti.
ANALISI LETTERARIA
Osserviamo anzitutto la STRUTTURA del testo e il CONTESTO
- 10,33-34 preparano l’oracolo profetico designando il “resto” in immagini vegetali: rami
più alti, folto della selva (cf. 10,33 con 10,15-16: la peste e la scure). Lo schema designa
il resto (cf. v.33 e 10,16) e l’invasione. L’albero rigoglioso è abbattuto, rimane solo un
ceppo (Gëºza`, 11,1).
- 11,1-9: oracolo – tutto è raggruppato attorno a immagini elementari: animali e piante, ac-
qua e vento:
• vv.1-5: il re carismatico descritto con immagini vegetali (tronco e germoglio) e vento-
spirito (rûªḥ).
• vv.6-9: il regno di pace, descritto con immagini di animali e acqua.
- 11,10-16 descrive il ritorno dall’esilio del «resto» con carattere escatologico (“in quel giorno”) e
uno schema di centro: i quattro angoli della terra; due temi sul raduno (v.12); la strada del nuovo eso-
do (v.16, cf. Is 27,12-13). Il germoglio di Jesse è centro di attrazione cosmica per i popoli e i dispersi
di Israele.
- Isaia 12 è molto vicino a Is 24-27 (quel giorno, salvezza, nome). Sion è riempita di abitanti, il Si-
gnore stesso vi risiede. «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza» (v.3) è il ritorno alle
sorgenti (ritorno spirituale) che la tragica politica di Achaz aveva fatto abbandonare a profitto del
fiume distruttore (8,5-8).
Legame di Is 11 con tutta la sezione
7,18-8,9 invasione 10,5-15.27b-34 invasione
8,10 molti cadranno 10,22 un resto ritornerà
8,22 tenebre 10,33s spoliazione dei rami
9,1-6 luce, fanciullo 11,1ss germoglio, pace

ESEGESI
IL RE CARISMATICO (11,1-5)
IL GERMOGLIO – carattere regale (v.1)
La dinastia, ormai abbattuta, riprende vita, il tronco scorticato (10,33s) emette un germo-
glio. Ritorna l’idea dell’erede al trono davidico di Is 9,1-6. Jesse è il padre di David (cf.
1Sam 16,1-13). Il germoglio è il successore legittimo e ideale di Davide.
Germoglio-‫ ;חֺטֵר‬virgulto-‫נֵצֶר‬: forse vi fa riferimento Mt 2,23 (nazireus vocabitur); altro
riferimento possibile è Sal 132,18: Ar)z>nI #yciîy" wyl'ª['w>÷, «su di lui fiorirà il suo diadema».
LO SPIRITO DI JHWH – carattere carismatico (v.2)
L’erede al trono possiede qualità profetico-carismatiche. È nota del re davidico, necessaria
perché l’elezione di Dio operi. Lo fu per Saul che l'aveva perduto, e per Davide che non lo
perse mai (2Sam 23,2).
Lo Spirito di JHWH si posa su di lui (‫)נוַּח‬. Gli conferisce un dono stabile, non una mis-
sione transitoria: “I quattro venti” non soffiano dal largo, ma si posano su di lui, si incro-
ciano e riuniscono sopra il germoglio. I doni riassumono le qualità di Salomone, Davide,

85
Mosè, Giacobbe e Abramo (cf. 9,5), e richiamano le qualità che la sapienza possiede e ri-
serva ai re e ai governanti in Prov 8,10ss.
• Simbologia. La ripetizione di x:Wrå, “spirito-vento”, per quattro volte (vale a dire la pie-
nezza divina), fa eco a Is 11,12: il virgulto di Jesse si erge come centro dei quattro
punti cardinali, i “quattro angoli della terra”, e diviene il punto di attrazione cosmico.
• Le coppie di doni danno l’immagine ideale del re-messia: sapienza e intelligenza (hn"©ybiW
hm'äk.x'), consiglio e fortezza (hr"êWbg>W ‘hc'[e, cf. due nomi in Is 9,5; al contrario, i forti cado-
no in 10,33), conoscenza (di Dio) e timor di Dio (hw")hy> ta;îr>yIw> t[;Dß:). Passano dalla capaci-
tà di discrezione e valutazione globale della realtà (intelligenza e sapienza), alle capa-
cità di governo e militare (consiglio e fortezza), alle qualità religiose: lo spirito di ti-
more e conoscenza di Dio, dono che riempirà, alla fine, tutto il paese (v.9). Conclude
la serie la fede, che aderisce fedelmente all’alleanza con JHWH, di cui il re è mediatore
e simbolo.
La LXX seguita dalla Vulgata aggiunge in Is 11,2-3 la “pietà” ottenendo così il numero set-
te. È altro modo per dire pienezza e perfezione.
2 kai. avnapau,setai evpV auvto.n pneu/ma tou/ qeou/
pneu/ma sofi,aj kai. sune,sewj
pneu/ma boulh/j kai. ivscu,oj
pneu/ma gnw,sewj kai. euvsebei,aj
3
evmplh,sei auvto.n pneu/ma fo,bou qeou/.
Le sette qualità dello spirito sono divenuti nella tradizione catechistica cristiana i “i set-
te doni dello Spirito santo”.
In v.3a agginge che il re hw"+hy> ta;är>yIB. AxßyrIh]w:, “fa respirare nel timore del Signore”, diffonde in-
torno a sé lo Spirito posatosi in pienezza su di lui.
LA GIUSTIZIA (vv.3-5)
Il testo ha forse presente il rito della intronizzazione regale (cf. Sal 2; 110). I doni sono tra-
dotti nella funzione tipica del re, rendere giustizia, giudicare secondo giustizia (cf. Sal
101). Egli rende il giudizio di Dio. Gli stessi indumenti regali, fascia e cintura, diventano
simbolo di fedeltà e giustizia.
wyc'(l'x] rAzðae hn"ßWma/h'w> wyn"+t.m' rAzæae qd<c<ß hy"h"ïw>
La giustizia sarà fascia dei suoi lonbi / e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Non combatte più i Filistei o gli Ammoniti, ma esprime una luce di pace (cf. 9,6: giustizia e
diritto-prosperità). Scompaiono le armi da guerra.
Emergono tre caratteri del giudizio:
– Non giudica superficialmente (v.3b).
– È a vantaggio anzitutto dei poveri e dei piccoli (v.4), creando un clima opposto a quello
della Gerusalemme corrotta dove le vedove e gli orfani non hanno voce né cittadinanza
(Is 1,21-26).
– Il bastone o scettro serve a sterminare i malvagi (v.4b, cf. 10,5.15.24; 9,3: la verga colpi-
va Israele impenitente). La sentenza-vento di Dio, frutto dello Spirito, esce dalle sue lab-
bra, colpisce il violento e uccide l’empio, decretandone la condanna (cf Sal 101,4-5.9).
«Così, all’indomani della grande crisi in cui Giuda e il suo re sono stati profondamente
umiliati, Isaia riafferma la sua speranza nell’azione del Dio d’Israele in un erede di Davide
più desideroso di giustizia che di vittoria. Con lo Spirito vivificante di Dio sarà capace di
far vivere il suo popolo in questo Spirito»82.

82
H. CAZELLES, Il Messia della Bibbia, p. 94.

86
IL REGNO DI PACE (11,6-9)
SIMBOLOGIA ANIMALE (vv.6-8)
Sotto il regno del discendente di Jesse le nature più diverse, cioè le classi sociali nella figu-
ra degli animali, possono convivere in armonia.
– Le classi sociali sono spesso descritte con metafore di animali: cf i capri di Moab in Es
15,15, gli arieti di Is 14,9, il leone di Giuda, le gazzelle e i tori in Ugarit. Lo stesso Eze-
chia è paragonato a una vipera: «Non gioire Filistea... perché dalla radice del serpe uscirà
una vipera e il suo frutto sarà un drago alato» (14,29, cf 2Re 18,18).
– La “pastorale” respira la pace:
• I verbi sono tutti di riposo: abitare, sdraiarsi, pascere, aver la tana.
• Il profeta va elencando diverse coppie di animali, uno domestico e uno selvaggio, che
vivono e mangiano insieme. Ritorna l’era «paradisiaca» (Gen 1,29-30). Nel descrivere
il futuro escatologico messianico il profeta riprende le immagini primitive:
l’escatologia attinge dalla protologia. Ogni serie si conclude con il bambino. Il culmine
è al v.8, dove i due grandi nemici, serpente e uomo (il seme della donna, Gen 3,15),
fanno la pace; al serpente è tolto il veleno. Non è vittoria difficile, si tratta di un gioco
infantile.
FINE DEGLI ABUSI E CONOSCENZA DI DIO – ACQUA (v.9)
È il culmine della scena con l’immagine dell’acqua: è un nuovo paradiso al cui centro è il
monte santo, la fine e il superamento degli abusi denunciati in Is 1,3.4.16, con i quali il ver-
so forma inclusione in ordine inverso:
11,9 Llö|´-yärëº`û häsîºrû röª` - Hidlû härëª` 1,16
wülö|´-yašHîºtû zeºra` mürë`îm Bänîm mašHîtîm 1,4
Kî|-mäl´â hä´äºrec Dë`â ´et-yhwh yiSrä´ël lö´ yäda` 1,3
Non più malvagità né saccheggio, ma pienezza (‫ ) ָמלְאָה‬di conoscenza. Dopo aver sop-
portato la «piena» del peccato (1,21; 2,6ss, è la medesima radice ebraica ‫ ָמלֵא‬, «essere pie-
no») e dell’inondazione assira (8,5ss), la terra è ora «riempita» della conoscenza di Dio,
come le acque riempiono il mare. È la sovrabbondanza della giustizia, che «trabocca» dopo
lo sterminio dell’empio (vv.3-5, cf. 10,22). Il germoglio, nuovo resto santo di Dio, può di-
ventare ora centro di attrazione per tutti i deportati (11,10-16).
CONFRONTO tra Is 8,23b-9,6 e Is 11,1-9
I due brani riflettono un diverso carattere e orizzonte: ideale, ma nell’orizzonte storico il
primo, escatologico il secondo. Infatti, mentre il primo celebra la festa per la nascita, già
avvenuta, del bambino come segno del futuro, il secondo celebra il futuro escatologico.
Ambedue – il germoglio di Is 11 e il bambino di Is 9 – sono in relazione con
un’invasione nemica ricacciata. Ma mentre in Is 9,1-6 risuonano le festività tumultuose che
seguono alla fine delle ostilità (cf. in particolare 9,1-2), in Is 11,1-9 si respira la felicità
tranquilla di una pace stabile. (a) Il germoglio di Jesse rende il giudizio di Dio e pone fine a
tutti gli abusi denunciati in Isaia 1: è lo splendore della città santa al centro del paese. (b)
La giustizia abbonda e il bastone del re non serve ormai che a sterminare i malvagi (11,4),
mentre prima la verga di Dio doveva castigare (10,5.15.24). (c) La pastorale degli animali
respira la pace nei verbi, tutti di riposo. (d) Infine, l’appellativo ‫יהוה ְצבָאוֹת‬, “Dio degli
eserciti”, che comporta una connotazione guerriera, così frequente in Isaia 1-10 (cf. 1,9;
2,12; 3,1.15; 5,7.9.16.24; 6,3.5; 8,13; 9,6.18; 10,16.22. 24.26.33) e che ritorna a profusione
nei capitoli 13ss, è totalmente assente nel capitolo 11.

87
MESSIANISMO
In Isaia appare un vivo senso del messianismo regale che si rifà alle promesse di Natan
(1Sam 7, cf Is 7,7-9). Il re è l’Unto del Signore, responsabile dell’alleanza. Da parte sua, il
Signore, il “Dio dinastico”, protegge e benedice la casa di Davide e per mezzo suo tutto il
popolo. Ma le promesse del Signore sono condizionate alla fede che spesso viene a manca-
re nel re. Sono condizionate anche al diritto e alla giustizia che il re è tenuto a garantire in
favore di tutti, ma questa vine a mancare come il profeta denuncia. Perciò la catastrofe,
cioè gli effetti negativi di decisioni errate, colpisce la popolazione intera e si estende a Isra-
ele, che viene deportato, e a Samaria, che viene distrutta dall’Assiria.
Tuttavia, la fedeltà del Signore non viene meno. Annunciando il ritorno a Dio e alla ter-
ra del «resto» fedele, il profeta proietta la speranza nel futuro che comprende il ritorno dei
deportati, la ripresa della l’unica dinastia legittima quella davidica, ora colpita, umiliata e
abbattuta, e la riunificazione dei due regni attorno ad essa. Guidata da un re, che appare
bambino (Is 11,6.8), in questa nuova regalità ideale trionferanno la giustizia dimenticata e
la conoscenza di Dio. Allora sarà la pace.
Ma tutto ciò sarà dono dell’amore geloso di Dio (Is 9,6; 37,32). Lo spirito non viene
meno da Davide, ma si «poserà» stabilmente sulla dinastia perché realizzi il progetto di un
regno giusto che storicamente non è stata in grado di costruire (Is 11,2-5).
Nel NT questo regno sarà inaugurato attraverso la sofferenza redentrice di Cristo Gesù.
Allora anche i ladri e le prostitute, salvati, faranno parte del Regno (Lc 23), le divisioni sa-
ranno superate (Ef 2,14ss), tutti i popoli salvati mediante la fede e radunati attorno
all’unico ed eterno regno di Cristo (Rm 9,5; 1Cor 15,24-28).

88
MICHEA
Bibliografia
Oltre ad Alonso, Piccola Enciclopedia Biblica 4, NDTB; NGCB, si vedano:
A. MAILLOT - A. LELIÈVRE, Attualità di Michea (Studi Biblici, 47), Paideia, Brescia 1978;
A. FANULI, Osea il profeta dell’amore. Michea l’uomo dalla coscienza profetica (LoB 1.23), Queriniana, Bre-
scia 1984.

IL PROFETA E IL LIBRO
A. Quadro storico e ambientale
1. Attività. Michea 1,1 presuppone una lunga attività nel suo ministero (dal 728 al 693,
sotto Achaz ed Ezechia), ma il libro è breve e con poche notizie sulla persona del profeta.
• Sembra attivo all’epoca di Ezechia, perché fa allusione alle campagne assire del 703/701 (1,8-
16; 4,14-5,1, cf anche Ger 26,17-19).
• Annuncia la distruzione di Samaria: ministero prima del 722/21.
È dunque contemporaneo di Isaia; il suo libro sembra una «miniatura» di quello (Mays),
con tematiche vicine (cf Mi 4,1-5 e Is 2,2-5 salvezza universale; Mi 5,1-4 e Is 9,1ss; 11,1ss
Emmanuele). Vive nell’epoca drammatica della guerra siro-efraimitica - a cui però non fa
allusione - e dell’assedio di Gerusalemme durante il regno di Sennacherib con la conse-
guente distruzione del paese (cf 2Re 17-20).
2. Origine. Nativo di Moreshet, vicino a Gat città filistea, nella Šefelāh, la zona pianeggian-
te - «bassa» -, viene dalla campagna, come Amos, al quale si avvicina per il rigore, ma è
più povero. Della periferia condivide amarezze e miseria. Essendo la sua patria invasa dagli
Assiri, deve cercare rifugio nella capitale e subire le conseguenze della folle politica del re
e dei dirigenti di Gerusalemme che portò alla distruzione e al saccheggio di quarantasei cit-
tà della regione, tra cui Lakish e Libna, e alla deportazione dei loro abitanti (1,8-18). Parte-
cipe delle sofferenze della gente, sconvolto dalla devastazione della regione, guarda la real-
tà del suo tempo con gli occhi del contadino e del profugo, considera la situazione dal bas-
so, dalla condizione dei poveri, contro la grandezza di Gerusalemme, «capitale delle iniqui-
tà di Giuda». Accusa le autorità civili e religiose, che sembra conoscere bene, e le giudica
con severità, ma non da arrabbiato vendicatore, bensì come testimone del Signore.
3. Profeta. Michea non si dà mai il nome di profeta e il suo libro non contiene alcun rac-
conto di vocazione83. Ma del profeta assunse il compito con coraggio, animato dallo spi-
rito del Signore, per denunciare la corruzione e per annunciare la sua fede e la sua spe-
ranza. Michea 3,8 contiene forse l’unica allusione alla vocazione.
«Ma io sono pieno di forza con lo spirito del Signore, di giustizia e di coraggio,
per annunciare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato» (3,8).
Opposto ai profeti avidi e venduti (3,5-7), egli resta fedele e forte con lo spirito del
Signore e non teme di proclamare la verità.
4. Lo stile assume spesso giochi di parole e il tono di un aspro processo nel nome del Si-
gnore contro Giuda e Samaria (1,2-7; 3,1-4; 6,1-5).

B. Il libro
Problemi di datazione e formazione
Sulla formazione e composizione del libro si discute ancora molto. Mentre Vuilleumier at-
tribuisce il libro sostanzialmente al profeta stesso (le aggiunte riguardano soprattutto 2,12-

83
Cf H.W. WOLFF, Dodekapropheton 4. Micha (BK XIV/4), Neukirchen-Vluyn 1982.

89
13 e 7,8-20), Mays ritiene che solo Mi 1-3 risponde all’opera del profeta: la critica radicale
sulla situazione di Samaria e Gerusalemme e l’annuncio che ambedue saranno distrutte.
Rudolf giudica posteriori a Michea 4,1-3 (cfr. Is 2,2-4); 5,6-8 (suppone l’esistenza della di-
aspora ebraica) e 7,8-20 (V sec. a.C. prima della ricostruzione delle mura con Neemia);
1,1-7,7 sarebbe esilico.
B. Renaud, dopo una lunga analisi, conclude che al tempo di Ezechia esisteva già un
nucleo di dichiarazioni del profeta (cf Mi 1-3), ritoccato e completato da un redattore deu-
teronomista (cf Mi 6,2-8 e 7,1-6), e infine da uno sacerdotale (cf 2,12-13 e salmo finale
7,8-10.14-20) con prospettiva escatologica e messianica. La redazione postesilica dovette
dare l’ordine, ma anche interpretare e attualizzare il messaggio, aggiungere e rileggere.
Struttura
In genere, il libro è articolato in due parti che alternano minaccia e promessa o giudizio e
salvezza nella forma del processo: cc. 1-5 e 6-7 (cf BJ), che evidenzia l’esigenza di giusti-
zia e il giudizio di Dio. È schema attestato in altri libri secondo la teologia deuteronomisti-
ca. Il futuro del popolo è compreso in due tempi: giudizio e salvezza, condanna e speranza
(soprattutto annunciando la nascita del re di pace: la salvezza verrà da Betlemme).
1 – Processo a Israele (con adattamenti a Giuda: 1,2-3,12) = giudizio
– Promesse a Sion (4,1-5,14) = salvezza
2 – Nuovo processo a Israele (6,1-7,7) = giudizio
– Speranza (ritorno dall’esilio: 7,8-20) = salvezza
Dettagliatamente84
1,1: Introduzione con nota storica sulla persona e l’attività del profeta.
cc.1-5 – I Atto = Teofania e conseguenze
1,2-3,12 = la giustizia
1,2-16: Teofania e giudizio del Signore su Samaria e Gerusalemme con ripercussione
sulla natura (vv.3-4). Su Samaria: cumulo di rovine e piaga contagiosa (vv.5-7), su
Giuda: lamento (vv.8-16).
2,1-3,12: giustifica il castigo contro Gerusalemme. L’intervento del profeta è interrotto
in due occasioni dagli avversari (2,6-7.12-13):85
– 2,1-5: denuncia (guai) e sciagura annunciata contro gli accaparratori della terra;
– 2,6-3,8: discussione con i falsi profeti:
a) al falso annuncio (vv.6-7) segue la denuncia del profeta: sono tolti i vestiti e
l’onore ai reduci, cacciate di casa le donne e gli orfani, predicono menzogne e in-
vitano alla bella vita (vv.8-11);
b) alle false promesse dei nemici (vv.12-13) Michea replica con una nuova minac-
cia contro le autorità – «Ma io vi dico» (3,1-4);
– 3,5-8: nelle parole del profeta si delinea uno scontro diretto tra gli avversari (vv.5-
7) e il profeta stesso (v. 8) che all’interesse oppone la forza dello Spirito di Dio per
denunciare il peccato;
– 3,9-12 offre un esempio di profezia autentica in cui attacca le autorità civili e religiose
– capi, sacerdoti e profeti – (vv.9-11) e pronuncia la sentenza finale di condanna con-
tro Gerusalemme (v.12).
84
Cf ALONSO, pp. 1178-1182. Invece, J.T. WILLIS, «The Structure of the Book of Micah», SvExAb 34 (1969)
5-42, riconosce nel testo tre parti: a) 1,2-2,11 (denuncia) – 2,12-13 (salvezza); b) 3,1-12 (denuncia) – 4,1-
5,15 (salvezza); c) 6,1-7,6 (denuncia) – 7,7-20 (salvezza). Ma 2,12-13 è parola di falsi profeti non annuncio
di salvezza.
85
Cf A.S. VAN DER WOUDE, «Micah in Dispute with the Pseudo-Prophets», VT 19 (1969) 244-260.

90
4,1-5,14 = la salvezza o superamento del castigo
Ci sono le cornici formali di un dialogo o discussione. Il testo può essere articolato
in due parti incentrate sulla opposizione tra Gerusalemme e Betlemme: 4,1-14 e 5,1-14.
A – Gerusalemme: 4,1-7 il futuro (wehayah [in due riprese: vv.1-5.6-7]), opposto al
presente: 4,8-14 («E tu, Gerusalemme, ora»);
B – Betlemme: 5,1-2.3-14 («E tu, Betlemme»): visione del futuro (wehayah [vv.3-14]),
ma con una purificazione (vv.9-14).
La visione del futuro è controversa. Sorge una nuova discussione tra Michea e i falsi
profeti (Van der Woude). Il profeta demolisce le concezioni sbagliate su tre temi che ri-
guardano la salvezza: quando avrà luogo, da dove venga, in che cosa consista, ossia
quale sia il contenuto.
• Quando avverrà la liberazione? Nel futuro non ora (4,1-14): opposizione tra gli «ultimi
giorni» e «ora». Per il profeta la salvezza è già una realtà futura: Gerusalemme minac-
ciata di morte (3,12) verrà restaurata da Dio, ma non immediatamente; prima occorre
passare per l’ora attuale del dolore (4,10) e della disfatta (4,14).
• Da dove? Non da Gerusalemme, ma da Betlemme verrà la salvezza (5,4-8): «e tu Ge-
rusalemme» (4,8) è opposta a «e tu Betlemme» (5,1). Ritornare a Betlemme è riandare
alle origini (cf Is 11,1).
• Come? Quale il contenuto? La salvezza futura per i falsi profeti consiste in una matri-
ce nazionalista e militare, di potere e crudeltà verso gli altri popoli (5,4-5.7-8). Per Mi-
chea sarà senza violenze e benefica per tutti (5,3.6); non è data come promessa incon-
dizionata ed esige una purificazione. I nemici da eliminare – lo farà il Signore – non
sono i popoli stranieri, bensì gli idoli in cui Israele confida: eserciti e fortezze, indovini
e falsi profeti, false divinità (5,9-14).
In sintesi, il libro inizia con la teofania, annuncia il castigo divino (c.1) e lo giustifica con la
denuncia delle ingiustizie (cc.2-3). Tuttavia, l’ultima parola sarà di salvezza (cc.4-5). Ma,
diversamente da quella attesa e promessa dai falsi profeti, avrà un carattere di purificazione
e giudizio.
cc.6-7 – II Atto = Il giudizio di Dio con salvezza
6,1-7,6 = processo e giudizio
A – 6,1-5: il Signore convoca la natura per assistere al processo con il popolo e ricorda i
benefici che gli ha accordato (i testi sono ripresi negli “improperi” della liturgia del
venerdì santo). In 6,6-8, nello stile di «domanda e risposta», egli rifiuta il culto come
unica via per la quale il popolo si avvicina a Dio (vv.6-7); propone la via più antica,
quella della giustizia e della lealtà, della «vigilanza» o «umiltà» (‫ ַהצְנֵ ַע‬, v.8)86.
B – 6,9-7,6: Ma a Israele mancano giustizia (6,9-16: seconda requisitoria con riferi-
menti a Omri e Acab, cioè Samaria, v.16) e lealtà (7,1-6). Perciò, merita il giudizio.
7,7-20: Il profeta reagisce con la sua professione di fede (7,7, cf 3,8). Allora avviene un
cambiamento: salvezza – salmo finale
A – La professione di fede del profeta (7,7) mette in moto la conversione del popolo
che riconosce il peccato e il giusto castigo e confessa (7,8-10); allora Dio pronuncia un
oracolo di salvezza (vv.11-13);
B – Il popolo invoca (vv.14-17) e il Signore risponde con giuramento, concentrato
nell’invocazione stessa ed esprime la certezza del perdono (vv.18-20).

86
È discusso il termine ebraico ‫ ַהצְנֵ ַע‬la cui radice appare in Sir 16,25 ‫ ְב ַהצְנֵ ַע‬, greco evn avkribei,a| e 32(35),3 ‫שֺכֶל‬
ֵ
‫וְהצְנֵ ַע‬, in greco evn avkribei/ evpisth,mh|; 31,22 «in ogni tua opera sii ‫ ;»צָנוַּע‬Gr evntrech,j, «esperto, cauto»; in 42,8
«esperto» o «cauto» (prudente?).

91
C. Messaggio: dalla critica radicale alla promessa di salvezza mediante un processo pu-
rificatorio87.
1. Critica radicale su Samaria e Gerusalemme. Come altri profeti Michea condanna la
situazione sociale e politica di Samaria e Gerusalemme: è il solenne giudizio iniziale
contro le due città ribelli:
Mi 1,2-7: le nazioni sono invitate ad assistere alla rovina della capitale del Nord;
Mi 1,8-16: lamento funebre sulle città della Šefelāh abbandonate dagli assiri in marcia
verso Gerusalemme.
Motivo: trionfa la corruzione
• Michea denuncia i latifondisti responsabili dell’accaparramento delle terre, bene sa-
cro in Israele (1,1-5, cf 1Re 21; Am 4,1; 5,11; Is 5,8-10), e l’espulsione di vedove e
orfani (1,8-10); ai rifugiati è strappato anche il mantello (cf Es 22,24-26; Am 2,8).
• Le autorità hanno tradito il diritto (mišpaï) e disprezzato la giustizia (3,1-2) e, quel
che è peggio, si credono appoggiate da Dio (3,9-11).
• I mercanti falsificano pesi e misure (6,9-1; Am 8,4-8) e tutti si sono venduti per avidi-
tà di denaro: sacerdoti, profeti e magistrati (3,11). L’assenza di lealtà crea una specie
di «cannibalismo» tra fratelli.
«Ognuno dà la caccia con la rete al fratello;
per fare il bene il principe avanza pretese,
il giudice chiede un compenso,
il notabile parla per manifestare la sua cupidigia» (7,3).
«Voi strappate la pelle di dosso alle persone e la carne dalle loro ossa.
Coloro che mangiano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso,
ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola» (3,2b-3).
2. Conseguenze
Giuda va verso la catastrofe. Nulla può proteggere un popolo ingiusto: i predatori sa-
ranno depredati (2,4-5), i falsi profeti confusi (3,6-7) e i mercanti arricchiti con la frode
saranno affamati.
«Seminerai, ma non mieterai,
frangerai le olive, ma non ti ungerai di olio» (6,14).
«Per causa vostra Sion diverrà come un campo arato
e Gerusalemme un cumulo di rovine,
il monte del tempio un’altura selvosa» (3,12).
L’ultima profezia, quasi un secolo dopo, sarà invocata al processo contro Geremia per
giustificare l’intervento del profeta che annunciava la distruzione del tempio (Ger 26,17-
19).
Israele è giudicato da Dio in un processo (6,1-8):
• L’universo è convocato al processo (6,1-2) [appare il ruolo di Dio (cf Is 1,2; Ger 2,10-
12; Sal 50)];
• Materia del contendere è l’ingratitudine. Il Signore la denuncia sotto forma di interroga-
zione (v.3), con riferimenti alla storia della salvezza (v.4-5; cf Os 4,1b-2; Is 1,3);
• Dio dichiara le sue vere esigenze a coloro che si presentano davanti a lui per invocarlo
(6,6-8): chiede non sacrifici, ma il rispetto del diritto, l’amore e la fedeltà, la «vigilanza»
o «umiltà» nel cammino con lui (v.8).
L’ultimo verso, a conclusione del processo, riassume il messaggio di Am 5,11-12; Os 2,7-
9; 11,18s; Ez 36,23b.

87
Cf R. MARTIN-ACHARD, Michea, pp. 105-108.

92
3. La salvezza verrà da Betlemme
Anche per Michea la storia non si conclude con la condanna. La risposta a Mi 3,12 è in
5,1-5: il profeta si sofferma sul Messia. Anche se il termine non compare e i simboli sono
meno evidenti, è sottinteso l’annuncio di salvezza. Nel momento dell’umiliazione di Geru-
salemme e del suo re, il profeta annuncia la rinascita della dinastia davidica: un nuovo, fu-
turo sovrano porterà liberazione e pace ai fratelli. Ma la salvezza non verrà da Gerusalem-
me, bensì da Betlemme, cioè ritornando alle origini. Il processo è necessario, anche se te-
mibile, perché svela l’innocenza di Dio e il peccato degli uomini. Diventa salvezza perché
strappa dall'illusione, smaschera il falso concetto che il popolo ha di Dio e mostra il vero
volto del Signore. Dio non ha pace finché non si sia fatto conoscere dal suo popolo e da tut-
ti i popoli, dal mondo intero e da tutti gli dei (cf Is 41).

Betlemme patria del re pacifico: Mi 5,1-14


GERUSALEMME
F 4 8 E tu (we’attah), Torre del gregge, colle della figlia di Sion,
ancora ti farà venire, ritornerà la sovranità primitiva,
il regno della figlia di Gerusalemme.
9
Ora (‘attah) perché gridi forte/continui a gridare (tārî‘î rēă‘)?
Forse non c’è in te un re (melek)?
O il tuo consigliere (yô‘ăêËk) è perito
che ti prende il contorcimento (Hîl, paura e panico) come una partoriente?
M 10 Torciti e gemi (Hûºlî wägöºHî), figlia di Sion, come una partoriente,
perché ora (‘attah) uscirai dalla città
e dimorerai in campagna
e andrai fino a Babilonia:
là sarai liberata,
là ti riscatterà il Signore
dalla mano dei tuoi nemici.
F 11 E ora (we‘attah) si sono adunate contro di te
molte nazioni dicendo:
“Sia profanata e godano
i nostri occhi di Sion”.
12
Ma esse non conoscono i pensieri/piani (maКebôt) del Signore
e non comprendono il suo consiglio (‘ËêÂh),
perché le ha radunate come covoni sull’aia.
13
Alzati e trebbia, figlia di Sion,
perché renderò di ferro il tuo corno
e di bronzo le tue unghie
e tu stritolerai molti popoli:
Io consacrerò al Signore i guadagni,
le loro ricchezze al Padrone di tutta la terra.
M 14 Ora (‘attah) fatti incisioni, o figlia dell’orda (titgodedî hitgôdËd [BHS?] bat-gedûd),
con lo scettro colpiscono alla guancia il giudice/re (šôfËì) d’Israele.

BETLEMME
5 1 E tu (we’attah), Betlemme di Efrata
(troppo) piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda,
da te uscirà (yËêËù) per me (BHS + yeled/ un bambino)
per essere (chi dev’essere) il dominatore (môšËl) in Israele;
le sue origini (môṣā’ōtāyw) sono dall’antichità, dai giorni più remoti.

93
2
Perciò, Egli (= Dio) li consegnerà cf Is 7,14
finché colei che deve partorire non abbia partorito (yôledet yÂlÂdÂh)
e il resto (yeter) dei suoi (Cei tuoi) fratelli ritorni (yÊšûbûn) ai figli di Israele.
3
Egli starà là (in piedi) e pascerà (wÊúÂmad wÊrÂúÂh) con la forza (bÊ‘ôz) del Signore,
con la maestà (bige’ôn) del nome del Signore suo Dio.
Abiteranno tranquilli (wÊyÁšÁbû) perché (kî ‘attah/ quando) sarà grande
fino agli estremi confini della terra
4
(wěhāyāh zeh šālôm) e tale (costui?) sarà la pace: cf Is 9,5-6; Ef 2,14
F se Assur entrerà nella nostra terra,
e se camminerà nei nostri baluardi,
noi faremo insorgere contro di lui sette pastori e otto principi di uomini,
5
che pasceranno la terra di Assur con la spada,
la terra di Nimrod con le loro (spade) sguainate [contro di essa].
6
M (wěhāyāh) Il resto (še’ērît) di Giacobbe
sarà, in mezzo a molti popoli,
come rugiada (mandata) dal Signore
e come pioggia leggera sull’erba,
che non attende nulla dall’uomo
e nulla spera dai figli dell’uomo.
F 7 (wěhāyāh) il resto (še’ērît) di Giacobbe sarà,
in mezzo a popoli numerosi,
come un leone tra le belve della foresta,
come un leoncello tra greggi di pecore,
il quale, se entra, calpesta e sbrana
e non c’è scampo.
8
La tua mano si alzerà (si alzi)
contro tutti i tuoi nemici,
e tutti i tuoi avversari
saranno (siano) sterminati (yikkārētû - √kārat).
9
M (wěhāyāh) In quel giorno - dice il Signore -
«Io distruggerò (wěhikratî) i tuoi cavalli in mezzo a te
e annullerò i tuoi carri;
10
distruggerò (wěhikratî) le città della tua terra
e annienterò tutte le tue fortezze.
11
Distruggerò (wěhikratî) dalle tue mani i sortilegi
e indovini non rimarranno in te.
12
Distruggerò (wěhikratî) idoli
e stele in mezzo a te,
e non ti prostrerai più (non adorerai più)
all’opera delle tue mani.
13
Estirperò i tuoi pali sacri (lett. le tue Ashere) di mezzo a te,
sterminerò le tue città (TM ‘arêka; idoli? úÃêabÔk BHS, yúryq =.yeúÃrêq boschi? sacri).
14
Con ira e furore farò vendetta
dei popoli, che non hanno voluto obbedire».

I capitoli 4-5 contengono materiale dell’esilio e del postesilio, ma con brani autentici. Si
tratta poi di stabilire il testo, perché la LXX differisce dalle altre versioni (cf Mt 2,6). In
particolare, il verso 5,2 è ritenuto da più autori una glossa; i vv.4b-5 formerebbero una uni-
tà distinta da 5,1.3.[4a].
I due capitoli restano di difficile interpretazione. Tra le molte ipotesi, come l’ intervento
sul testo di vari autori con inserzioni, preferiamo la teoria della sovrapposizione di varie

94
voci creando un dibattito che presuppone una alternanza tra Michea (M) e i falsi profeti
(F). Tutti parlano di restaurazione, ma l’intendono in modo diverso: trionfalistica (F) o più
sfumata e cauta (M); futura o immediata nel tempo, con la forza e una vittoria militare tri-
onfale (F) o nell’umiltà e con la fede nel Signore (M); opponendo i luoghi: Sion (F) o Bet-
lemme (M), recuperando le umili origini antiche (cf Van der Woude accolto da Alonso).

A. Gerusalemme opposizione tra futuro e presente


4,1-7 (vv.1-5.6-7): ultimi giorni – futuro (wehayah, 4,1)/in quel giorno (4,6)
4,8-14: E tu (we’attah) Gerusalemme – presente (“ora” 4,8-14)
– ora (‘attah): 4,9
– ora (‘attah): 4,10
– ora (‘attah): 4,11
– ora (‘attah): 4,14
B. Betlemme
5,1-2: E tu (we’attah) Betlemme (futuro – con purificazione, in quattro riprese)
5,3-14: – e sarà (wehayah): 5,4-5
– e sarà (wehayah): 5,6
– e sarà (wehayah): 5,7-8
– e sarà (wehayah): 5,9-14

STRUTTURA di Mi 5,1-14
– vv. 1-2 la città e il suo re – môšēl (Betlemme opposta a Gerusalemme); segue la descrizione del fu-
turo: effetti e caratteri del regno messianico, con opposizioni
– vv.3.4-5 prima opposizione, su «pascere» e «pace» (vv.3 e 5) = il re pastore, suo rapporto con Dio,
pace universale ≠ pace con spada sguainata ed esercito poderoso
– vv. 6-8 seconda opposizione – Giacobbe e il «resto» fra le nazioni: rugiada (vv.6) ≠ leone («saranno
distrutti», vv.7-8).
– vv.9-14 replica finale del profeta: «saranno distrutti» esercito (cf. 4,1-4), sortilegi e indovini, false
divinità.

ESEGESI
LA CITTÀ E IL SUO RE (vv.1-2)
4,14 «Ora, fatti incisioni (= rito religioso di supplica, 1Re 18,28, o di lutto, cf Dt 14,1;
26,14; Lv 19,27-28; Os 9,4), figlia dell’orda...» (lett. bêt-Gader, «casa del bastione», BJ
con LXX: «fortificati, fortezza»; altri: «si radunano a frotte / vi stringono d’assedio»). Il te-
sto si rivolge a Gerusalemme, il cui re (“giudice di Israele”) è colpito alla guancia (si riferi-
sce all’assedio di Sennacherib a Ezechia?).
5,1 – Ma tu... (we’attah // 4,8)
ht'r'ªp.a, ~x,l,ä-tyBe( hT'úa;w>
hd'êWhy> ypeäl.a;B. ‘tAyh.li( ry[ic'
lae_r'f.yIB. lveÞAm tAyðh.li( aceêyE yliä ‘^M.mi
`~l'(A[ ymeîymi ~d,Q<ßmi wyt'îaoc'AmW
«E tu Betlemme di Efrata,
sei (troppo) piccola per essere tra i clan di Giuda,
da te uscirà per me (BHS yeled, un bambino) per essere dominatore in Israele,
E le sue origini sono da principio, dai tempi antichi!».
LXX kai. su, Bhqleem oi=koj tou/ Efraqa ovligosto.j ei= tou/ ei=nai evn cilia,sin Iouda
evk sou/ moi evxeleu,setai tou/ ei=nai eivj a;rconta evn tw/| Israhl
kai. ai` e;xodoi auvtou/ avpV avrch/j evx h`merw/n aivw/noj

95
Vg Et tu Bethleem Ephrata parvulus es in milibus Iuda
ex te mihi egredietur qui sit dominator in Israhel
et egressus eius ab initio a diebus aeternitatis (= 5,2).
• Matteo 2,6 L’evangelista opera una rilettura originale che sembra combinare Mi 5,1-
3a e 2Sam 5,2. Si rifà a un Targum o reinterpreta.
Kai. su. Bhqle,em( gh/ VIou,da( ouvdamw/j evlaci,sth ei= evn toi/j h`gemo,sin VIou,da\
evk sou/ ga.r evxeleu,setai h`gou,menoj( o[stij poimanei/ to.n lao,n mou to.n VIsrah,lÅ
«E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più piccola fra i capoluoghi di Giuda.
Da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo, Israele».
Vg. Et tu Bethleem terra Iuda nequaquam minima es in principibus Iuda
ex te enim exiet dux qui reget populum meum Israhel.
La profezia di salvezza segue al castigo. Il profeta apostrofa Betlemme (5,1, che può es-
sere collegata alla radice «combattere, guerra», «casa di Lahmû») e la oppone a Gerusa-
lemme/Sion, la capitale assediata (4,8-14: città di guarnigione, cf v.8: torre del gregge). Il
villaggio del piccolo clan è patria di Davide. Dopo l’umiliazione subita con l’assedio di
Sennacherib, il cui scettro colpisce alla mascella il re d’Israele, la dinastia riprende a vive-
re, recuperando i suoi umili inizi, ritornando alle origini.
• «Betlemme di Efrata», per distinguerla, forse, da Betlemme di Galilea, tribù di Zabu-
lon (Gs 19,15). Anche in Rut 1,2 Betlemme è così designata; Efrata dovette essere un
clan alleato di Caleb.
 «(Troppo) piccola per essere fra i “capoluoghi” (ebr. ‫ ֶאלֶף‬, “famiglia”, “clan”) di
Giuda». È contrasto tra la città e la grandezza della missione.
 «Da te uscirà per me per essere (= chi sia) dominatore su Israele».
• «Uscirà per me» (‫לִי‬, BHS = ‫יֶלֶד‬, «un bambino»). Dio ha un piano che sarà affidato al
nuovo personaggio (cf. Is 6,8: «Chi andrà per noi?»). Betlemme offre il Messia.
• «Per essere dominatore» (môšēl): allusione forse a Gen 49,10 (ֺ‫שֶׁלּה‬, «colui a cui appar-
tiene, spetta», leggendo qere’ e LXX  πκ τ , TM ‫שִׁיל◌ׂה‬, altri propongono ‫משׁלה‬
o ‫שׁאִילה‬ְ BHS) ed è nella linea di Natan (cf Is 9,5-6; 2Re 7).
 «Le sue origini risalgono ai tempi antichi»
Può essere riferito alla dinastia regale, che ha origini antiche (patriarcali e mosaiche) e
trova il culmine in Davide: è ‘olam, «antica» di promesse, ideali e splendori, soprattutto
proiettata, nonostante l’oscurità, verso i tempi futuri. Il linguaggio può contenere anche
riferimenti mitici (cf. Sal 110,3; Prov 8,22 per la Sapienza).
5,2 – Madre - bambino - resto
Dopo un periodo di disagio, seguirà la salvezza, collegata a «colei che partorisce» (‫יוֹלֶדֶת‬
senza articolo) e al bambino. Un secondo segno è negli esiliati che ritornano (cf Ger 31).
Perciò, Egli (= Dio) li consegnerà [Cei metterà in potere altrui]
fino a quando colei che deve partorire (una partoriente) partorisce
e il resto dei suoi (Cei tuoi) fratelli ritornerà ai figli di Israele.
Il verso presenta problemi testuali che fanno dubitare della sua autenticità nel contesto88.

88
Secondo J. COPPENS, Le messianisme royal (Lectio Divina 4), Paris 1968, pp. 85-88, si tratta di una glossa o
di un oracolo di Michea qui inserito. Infatti, (1) si nota il diretto e logico collegamento tra v.1 e 3: Dio parla in
prima persona nei vv.1 e 3, in terza persona al v.2; (2) inoltre, il ritmo sembra diverso – il “perciò” non è ben
collegato con v.1; (3) i suffissi del v.2: chi è inteso con “li metterà in potere altrui”, e chi con “il resto dei suoi
fratelli”?; (4) il verso sembra costruito con altri oracoli di Mi (4,9-10) e di Is (7,14; 9,5); il fatto si può spiegare
con la contemporaneità dei due profeti; quanto a Mi 4,9-10, l’immagine della partoriente è usata in senso negati-
vo. H.W. WOLFF, Dodekapropheton, pp. 100-102, considera Mi 4,9-5,5 un insieme contrassegnato dalla ripeti-
zione «(e) ora» (4,9.11.14) che prelude all’annuncio di una liberazione e suppone il disastro del 587 (esilio), con
alcuni versi postesilici come 5,2.3b.4b-5a. B. RENAUD, La formation du livre de Michée, pp. 219-354, ritiene

96
• “Egli” è riferito a Dio, ma il soggetto si inserisce improvvisamente.
• “Li consegnerà”, cioè saranno dominati da altri: li sembra aver riferimento con i “fra-
telli” che seguono.
• La madre è in primo piano come in Is 7,14: è la regina madre, ma in modo più allusivo.
In Mi 4,10 anche Sion è partoriente, uscirà per andare a Babilonia, donde sarà liberata:
il parto è segno di una sofferenza necessaria per preparare il futuro. Il bambino ricorda
Is 9,5s.
• Il «resto – yeter – dei suoi fratelli» è difficile identificarlo.
 Potrebbero essere gli «sbandati» (cf 4,6) che ritorneranno agli autentici figli di I-
sraele.
 Più probabilmente si tratta del «resto di Israele» (cf 5,6.7), come in Isaia: il gruppo
sparuto degli israeliti fedeli del nord ritorna alla sua terra; Giuda stesso gli va in-
contro (ritorna verso i fratelli).
 Un’ulteriore interpretazione (reinterpretazione) intende per fratelli del Messia tutti
gli uomini radunati con gli israeliti (cf. v.6) portatori di salvezza.
 Per Rm 9,28-29 è la comunità giudeo-cristiana.
«Perciò, Egli (Dio) li consegnerà (= Israele)...
E il resto dei suoi fratelli (Giuda, resto del popolo) ritornerà verso i figli di Israele».
I due popoli ritorneranno ad incontrarsi superando le divisioni storiche. Si riferisce al
tentativo di Ezechia di unificare il nord con il Giuda? Il progetto è proiettato nel futuro,
come in Isaia 11,10-16, e prospetta il ritorno di Israele dalla deportazione in Assiria, dopo
la catastrofe del 722/721.
5,3-5 – CARATTERI DEL REGNO DEL MESSIA: PASCERE prima opposizione
Il v. 3 si lega logicamente al v.1 (il dominatore) a tema del pascere/pastore (vv.3.5).
«Egli starà» può indicare stabilità, o avere semplice valore incoativo: «si appresterà», si as-
sumerà l’incarico di. Il testo esplicita caratteri del Messia.
1 - Sarà pastore, cioè re, governatore di popoli: riunirà il gregge, libererà dal nemico (cf.
vv.4-5: ribadisce môšēl). Tuttavia viene evitato il titolo di re.
2 - Regnerà in nome di Dio: “con la forza e maestà del nome di JHWH”, il Dio nazionale.
Sarà il re legittimo, godrà del potere che Dio stesso gli concede e sarà il suo intermediario,
segno di alleanza. Di conseguenza, non c’è altra dinastia. I salmi regali dipingono lo stato
ideale della regalità come i nomi del bambino in Is 9,5-6. Cf Mt 28,18: “Mi è stato dato
ogni potere in cielo e sulla terra”.
3 - Realizzerà la pace universale: «abiteranno sicuri, egli sarà grande... fino ai confini della
terra». Riecheggia l’universalismo di Is 9,6; 11,10, cf Sal 72. Luca definisce Gesù: “Egli
sarà grande...” (1,32).
>
v.4a. ~Al+v' hz<ß hy"ïh'w: è la pax davidica (cf. Is 11,6ss). Sembra una aggiunta posteriore (F
?): è conclusione e apertura al tema seguente opponendo due concetti di pace. Il testo ha
due possibili traduzioni:
• «E sarà tale la pace» (Cei = LXX), o «questa sarà la pace».
• «E sarà questi-costui la pace» (cf. Ef 2,14) o «sarà quello di pace» (Cazelles), in senso personale.
La formulazione, sembra echeggiare un’arcaica formula cultuale, simile a zeh sinai di
Gdc 5,5. Allude alla futura riunificazione del nord?

primitivi (da collocare all’inizio del ritorno dall’esilio, fondato sulla tradizione di 2Sam 7) i vv.1-3[4a]; vv.4b-5
formano una unità distinta. W. RUDOLF, cit., pp. 87-100: le parole su Betlemme fanno parte di 4,11-5,5 di cui è
responsabile Michea; i vv.4b-5a sono una aggiunta, ma non il v.2: il profeta dell’VIII secolo oppone alle conso-
lazioni illusorie dei falsi profeti (4,11-13) la vera promessa di salvezza (4,14-5,5): il nuovo Davide.

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vv.4b-5 (F). È immagine utopica con la vittoria sicura e la liberazione da Assur, il nemi-
co per eccellenza al tempo di Michea, ad opera del discendente di Davide mediante un in-
tervento militare.
«Assur, se entrerà nella nostra terra,
e se camminerà nei nostri baluardi,
noi faremo insorgere contro di lui sette pastori
e otto principi di uomini (o del deserto/steppa, ’adam)
e pasceranno la terra di Assur con la spada,
la terra di Nimrod con le (spade) sguainate contro di essa».
• Sette pastori e otto principi (nesikê) si opporranno, è forse allusione ai riti di introniz-
zazione. Il titolo «principi» allude ai capi delle nazioni vassalle nella ritrovata unità
contro il nemico comune: «pasceranno (cioè governeranno) Assur con la spada, / la ter-
ra di Nimrod con le (spade) sguainate contro di essa (la terra di Assur; BHS con la spa-
da sguainata)».
Il TM ha h'yx,_t'p.Bi che allude alla spada sguainata, donde: «con le (spade) sguainate con-
tro di essa (la terra di Assur)»; cf Ez 21,33 ‫ח ֶֶרב פְּתוּחָה‬, «spada sguainata», e Sal 55,22: «più
fluide dell’olio le sue parole, ma sono spade sguainate – ‫»פּ ְׅתחוֹת‬. In Michea 5,5
l’espressione “spada sguainata” è divisa nei due stichi per effetto del parallelismo che usa
lo stile della «catena costrutta interrotta». Possiamo considerare una forma maschile e leg-
gere: «con la sua [spada] sguainata».
Pur nell’esaltazione, risalta la triplice povertà del Messia: di patria (insignificante), di
segno (un bambino), in un periodo di miseria e decadenza. Nell’atmosfera di impotenza
umana nasce colui che è salvezza e pace in nome e con la forza di Dio. Egli realizzerà il
suo piano: «uscirà per me».
IL “RESTO” DI GIACOBBE (vv.6-8) – seconda opposizione
I versi definiscono il ruolo del «resto» (še’ērît) di Israele fra le nazioni (il vocabolario sem-
bra posteriore a Michea). Per M (v.6) il resto diviene rugiada fecondante, consolazione,
per F (vv.7-8) è leone feroce in mezzo ai popoli: domina, depreda, «distrugge» (karat) i
nemici. È vittoria trionfale.
DIO DISTRUGGE E PURIFICA (vv.9-14) – replica del profeta
Il profeta replica riprendendo quattro volte l’ultimo verbo karat, «distruggere». Il Signore
distruggerà non i popoli, ma, in mezzo al suo popolo, gli strumenti di guerra (carri e caval-
li, città fortificate), gli indovini e i sortilegi, cioè la falsa profezia, l’idolatria nei suoi segni
devianti. La purificazione riguarderà il popolo stesso.

IL MESSIANISMO DI MICHEA
La dottrina messianica di Michea nasce e risponde alla situazione di lacerazione seguita
alla guerra siro-fraimitica e soprattutto all’assedio di Sennacherib. Perciò attenua i toni. Il
profeta riconosce e proclama Ezechia unico re legittimo (pasce in nome e con la forza di
Dio) e sembra appoggiarne la riforma, della quale vi è forse eco nel brano esaminato; ri-
forma religiosa ma anche nazionale e politica, tesa a riunire Giuda con il nord, liberandolo
dagli Assiri (cf 5,3-5). Ma il progetto si rivelò un fallimento.
1 - Come Isaia 9,1-6 propone alle tribù del nord la salvezza attraverso un discendente di
Davide. La dinastia davidica è l’unica legittima: «uscirà per me» da Betlemme di Efrata.
Ma non parla dell’Unto. Neppure attribuisce al «figlio di Davide» il titolo di re: solo JHWH
è re in Sion (4,7; cf. Is 6,5). Il potere del discendente di Davide deriva da JHWH, il Dio na-
zionale.

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2 - Resta in ombra parte del simbolismo regale, ma se ne conserva la sostanza: sotto-
missione al Dio nazionale dal quale riceve protezione, benedizione per Israele e per chi lo
benedice. Egli riunirà il gregge (= pastore) e creerà pace fino agli estremi confini della
terra. Per mezzo suo il «resto di Giacobbe» sarà consolazione non dominio, «rugiada» fe-
conda che viene dal Signore per chi non ripone la propria speranza nell’uomo (il Signore
stesso è «rugiada» in Osea) non «leone» feroce e distruttivo fra le nazioni (5,6-7). L’unica
distruzione sarà quella di Dio che purificherà il popolo dalle false illusioni dei profeti e
dagli idoli che lo contaminano, dalle pretese di contrapporsi ad Assur sullo stesso piano.
3 - Come Isaia, Michea riprende il ruolo della madre del re, pastore e salvatore, che por-
ta pace e pienezza al popolo, però in modo più allusivo (5,2). La partoriente non è soltan-
to la madre del re, ma anche la «figlia di Sion» ingravidata, che «uscirà» dalla città per
andare fino a Babilonia per essere liberata (4,10). Michea fa così dell’elezione dinastica
un atto redentivo del popolo.
4 - Egli non chiede al nord di ritornare a Gerusalemme e Giuda. Al contrario, Giuda an-
drà, come “resto del popolo”, verso i propri fratelli, i figli di Israele (5,2; cf. anche Dt 33,7
e Ger 31).
5 - Il libro termina con il giuramento divino: fedeltà (‫ )אמת‬a Giacobbe e benevolenza
(‫ )חסד‬ad Abramo (7,19-20). Ma non vanno seguiti i consigli della casa di Achaz, bisogna
invece praticare il diritto (‫)םשׁ ְׇפט‬,
‫ ׅ‬amare la ‫ ֵחסֶד‬, camminare con Dio (6,7-8). Michea
completa e riassume la dottrina della giustizia e del diritto di Isaia con la ‫ ֵחסֶד‬di Osea.

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