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FRANCESCO PETRARCA

IL CANZONIERE

Dante è per Petrarca una sorta di padre e maestro e Petrarca è il primo che tenta di uccidere il proprio padre
letterario.
Il critico letterario Harold Bloom, ne L’angoscia dell’influenza parla delle operazioni “fraudolente” che gli scrittori
devono compiere rispetto al loro padre letterario per scoprire la loro strada.
Petrarca di Dante ricorda la vicenda dell’uomo politico occultando un po’ il Dante scrittore ma non è credibile
che sia perché non lo conoscesse tanto, come diceva lo stesso Petrarca, poiché il fatto che lo conoscesse emerge
dalla sua scrittura poetica. Per Petrarca Dante rischiava di togliergli gli spazi per confermarsi, per diventare un
poeta laureato, la sua più grande aspirazione. Petrarca disse infatti, di aver smesso di leggere Dante perché
poteva influenzarlo ma in Trionfi emergono tratti di Dante.
Il canzoniere è una storia di un individuo, l’ambizione letteraria di Petrarca, il desiderio della gloria poetica, e di
un amore, l’amore per Laura, come in Dante.
A differenza dei testi di Dante, quelli di Petrarca hanno un carattere più personale e ciò è ravvisabile anche nel
Secretum, un dialogo tra Petrarca e Sant’Agostino. Quest’ultimo fu il primo a parlare di sé stesso, a introdurre
una dimensione autobiografica, importante più per Petrarca che per Dante. Quest’opera infatti è la storia della
sua anima, una visione lucida, perché critica anche duramente sé stesso. Pecca di accidia: riconosce i propri
sbagli ma ha una difficoltà, un’impossibilità di migliorarsi. “Vedo al meglio ma al peggio mi appiglio”
(Canzoniere). Il fatto del dialogo ha un’analogia con Dante e Virgilio, il peccatore e il santo che cerca di guidarlo,
come Sant’Agostino creca di far ragionare Petrarca sulla sua ambizione poetica.
Il Canzoniere consta di 366 canti, come i giorni dell’anno più l’introduzione, predispone un calendario interno. Il
Canzoniere non è il titolo petrarchesco. Il titolo originale era Rerum Volgarium Fragmenta (Fragmenti di Cose
Volgari) che stava a significare che la storia si costruiva appunto su tanti fragmenti. Il testo si può considerare
affidabile in quanto fino alla sua morte Petrarca copia i suoi testi e a tutt’oggi abbiamo ancora un testo del
Canzoniere con molte parti autografe. Si tratta di una storia in cui Petrarca ha introdotto un movimento, delle
direzioni. L’amore per Laura aumenta nel Canzoniere l’aspetto penitenziale: è tormentato dalle colpe e si
intensificano temi religiosi e preghiere per espiare i propri peccati. Petrarca prega di intercedere presso Dio per
la propria salvezza, ma a differenza di Dante per cui la selva è un labirinto in cui si rischia di rimanere
imprigionato ma riesce ad uscirne, Petrarca non esce da questa selva, demarcata dagli errori amorosi. La selva è
infatti, come è già stato detto in precedenza, il luogo degli errori.

1
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

del vario stile in ch'io piango et ragiono


fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sí come al popol tutto


favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

L’inizio di questo primo sonetto è un’invocazione ai lettori, che sono poi anche gli ascoltatori di queste rime,
sparse, come i fragmenti a cui si fa riferimento nel titolo originale. I suoni di cui Petrarca parla rappresentano i
sospiri dell’amore, che prendono voce in rime sparse; dolori di quando era ancora un altro uomo di ciò che è
adesso. È avvenuta infatti una mutazione, una conversione, voluta, ma mai raggiunta fino in fondo e questo lo
rende più invano. Petrarca era infatti un giovane in preda all’errore, è maturato ma una parte di questo giovane
lo porta sempre con sé. La rima l’core – errore e soprattutto il termine errore ci riporta nella selva, la selva
erronea della nostra vita (Convivio).
Nella seconda quartina il dialogo con i lettori continua, chiamandoli a partecipare alla storia, in quanto
probabilmente hanno già provato quel che prova lui, ovvero la speranza di essere ricambiato, ma ricevere solo
un rifiuto che diventa sempre più definitivo.
Il passaggio alla prima terzina è un passaggio brusco. Petrarca dice di essersi reso conto di cosa tutto ciò che ha
vissuto ha rappresentato per lui, ovvero è stato argomento di scherno. Vi è un ciclo della vergogna che parte da
sé e arriva a sé (poliptoto + allitterazione). Questa vergogna deriva dalla volontà e il pentimento, che Petrarca
tenta sempre, e il conoscere ciò che piace al mondo è un piacere effimero. Ha una conoscenza lucida di ciò che è
effimero. Questo sonetto ci fornisce quindi le coordinate che Petrarca vuole dare alla sua storia.

54
Perch'al viso d'Amor portava insegna, A
mosse una pellegrina il mio cor vano, B
ch'ogni altra mi parea d'onor men degna. A

Et lei seguendo su per l'erbe verdi, C


udí' dir alta voce di lontano: B
Ahi, quanti passi per la selva perdi! C

Allor mi strinsi a l'ombra d'un bel faggio, D


tutto pensoso; et rimirando intorno, E
vidi assai periglioso il mio vïaggio; D

et tornai indietro quasi a mezzo 'l giorno. E

Si tratta di un Madrigale, un testo breve che non ha un numero di versi fissi, il cui tema è generalmente erotico,
amoroso e che spesso venivano accompagnati da una musica. Non vi è uno schema di rime incatenate, ma
l’elemento di collegamento è il verso centrale (ultimo verso praticamente considerato come verso centrale.

Secondo alcuni il componimento è dedicato a una donna che non è Laura.


La prima terzina descrive il momento dell’innamoramento: è la pellegrina che muove il cuore vano di Petrarca,
un cuore che era sempre pronto a cedere nelle tentazioni dell’amore. Questa donna infatti lo colpisce poiché nel
volto Petrarca esibisce i segni dell’amore e il suo interesse viene assorbito totalmente da questa pellegrina.
Petrarca la insegue, insegue questa figura del desiderio; si tratta di un inseguimento in un periodo di giovinezza
in cui la passione è forte e quindi le possibilità di errore sono tante. A questo punto però Petrarca sente una voce
dall’alto, un ammonimento: il suo inseguimento è un movimento che prelude all’errore, al cedimento alla
passione e viene quindi fermato dall’alto (voce che arriva dall’alto è un topos). L’ammonimento ci trasporta in un
altro luogo. Prima le erbe verdi erano un LOCUS AMOENUS, ma erano solo apparenza perché ora quelle erbe
sono diventate la selva, la selva dell’amore. Si tratta di una strada smarrita perché Petrarca inseguiva l’errore e
l’ammonimento spiega la realtà che c’è dietro quell’apparenza invitante. Vi è quindi l’analisi della propria psiche,
del mondo interiore. Nel verso 7 diventa esplicito il fatto che ci troviamo nella selva e Petrarca prova un senso di
Timore e cerca rifugio all’ombra di un bel faggio, dove bel rappresenta una protezione, l’ombra non fa paura.
Petrarca si guarda a questo punto intorno (ricorda similitudine del naufragio in Dante, il quale aveva usato
proprio il termine periglioso). Decide quindi di tornare indietro , non è aiutato da un Virgilio e a differenza di
Dante, l’attraversamento della selva non si compie. E come in Dante, emerge un particolare temporale: è
mezzogiorno e ciò rappresenta la metà, la metà della vita, che ci rende più saggi facendoci trattenere e riflettere.

Tutto pensoso e vidi assai periglioso sono in cesura(?)

DA “LETTERE SENILI”
Petrarca parla di Virgilio e dell’Eneide e di un passo in cui c’è un bosco nel I canto, in cui Eneide si inoltra in una
foresta e incontra sua madre, Venere, la dea dell’amore, accompagnato da Anchise.
Petrarca scrive nelle Lettere Senili, una serie di elementi che valgono anche per Dante, nonostante dica di non
leggerlo. Parlando dell’Eneide, Petrarca scrive che nella selva vedi l’immagine della vita piena di errori e
incertezze (ricorda selva erronea di Dante) che ingombrano la selva di pericoli che traggono in inganno i passanti,
traditi da apparenze piacevoli che nascondono la realtà della boscaglia. Abbiamo allora l’dea di cosa la selva
rappresenta e del fatto che il LOCUS AMOENUS e il LOCUS HORRIDUS non sono uno l’esclusione dell’altro, ma
possono anche “intrecciarsi”. La selva può apparire, infatti, lusinghiera nascondendo però la sua vera natura;
trattandosi allora di pensieri fugaci. Per Petrarca quindi, il peccato tende comunque al peccato amoroso. La selva
ha certe caratteristiche ma si muove nel senso dell’allegoria dell’esperienza dell’amore. Quello di Petrarca nella
selva è un giovanile errore da cui non è facile uscire perché è piacevole, ma appena ti inoltri si svela il pericolo

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