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III

(Sonetto di stragi e di belle maniere)


Moti e modi così soavemente
ed infinitamente lievi/sadici,
dondolii, fibre e febbri, troppo radi
o fitti per qualunque fede o mente,
stasi tra nulla e quasi, imprese lente o
più rapide che ovunque rai s’irradino,
per inciampi stretture varchi guadi
un reticolo già vi stringe argenteo,
un codice per cui vento e bufera,
estremo ciel, braciere, cataclisma
cederanno furor per altre regole…
Ma quali mai “distinguo”, e in qual maniera,
quali belle maniere, qual sofisma
le stragi vostre aggireranno, prego?

IV
(Sonetto del decremento e dell’alimento)
Ahi sottil pena ahi ago ahi rovo e spina,
ahi frangersi di stelo, ahi della foglia
esaurirsi allo sguardo, ahi sparsa doglia
di tutto il bosco che all’autunno inclina…
Ahi languore che in strami si trascina:
e sì: ma d’alimento cresce voglia,
e sì: ma tutto al trogolo convoglia
la gran voglia, appetiti figlia, affina.
Catene alimentari vanno al trogolo,
in miriadi s’impennano mandibole
a vuoto o a pieno, salivati stimoli.
Disciolta furia e cura dentro il fimo
aureo, macello senza sangui, rogo
senza fiamme, pia lex: per te peribo.
V
(Sonetto dell’amoroso e del parassita)
Mentre d’erba la man ritraggo ratto,
dall’erba serpe infida in fitte e spini,
mentre mi discorono dai divini
rai serali e la notte prendo in atto,
o memoria con meco t’incammini,
lo sparso accordi e riconfermi il fratto:
qui già per lei venni in furore e matto
qui da lei ebbi i succhi suoi più fini.
Col passo avaro, indocile, acre, rompo
all’aldilà che in falde e felci sfrangia
sul botro; oltre le serpi e i pruni zompo:
E nell’alto aldilà, nei fondi teneri
do di tacco, do a sacco, sfregio veneri,
falsifico simbiosi: ora si mangia.

XIII
(Sonetto di Ugo Martino e Pollicino)
1778-1978

Qual fia ristoro a' dì perduti un sasso:


ma qual sasso tra erratiche macerie,
quale scaglia da cumuli e congerie
identificherò nel bosco, ahi lasso?
Ché se pur m'aggirassi passo passo
per Holzwege sbiadenti in mille serie,
quale a conferir nome alle miserie
mie pietra svilirei, carierei masso?
Nel buio-orco che si maciulla in rupi,
dell'orbe a rupi dentro i covi cupi,
quali mai galatei cemeteriali
rasoterra e rasoombra noteranno
almen la traccia in che l'affanno e il danno
dei dì, persi lapilli, è vivo; quali?

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