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IV
(Sonetto del decremento e dell’alimento)
Ahi sottil pena ahi ago ahi rovo e spina,
ahi frangersi di stelo, ahi della foglia
esaurirsi allo sguardo, ahi sparsa doglia
di tutto il bosco che all’autunno inclina…
Ahi languore che in strami si trascina:
e sì: ma d’alimento cresce voglia,
e sì: ma tutto al trogolo convoglia
la gran voglia, appetiti figlia, affina.
Catene alimentari vanno al trogolo,
in miriadi s’impennano mandibole
a vuoto o a pieno, salivati stimoli.
Disciolta furia e cura dentro il fimo
aureo, macello senza sangui, rogo
senza fiamme, pia lex: per te peribo.
V
(Sonetto dell’amoroso e del parassita)
Mentre d’erba la man ritraggo ratto,
dall’erba serpe infida in fitte e spini,
mentre mi discorono dai divini
rai serali e la notte prendo in atto,
o memoria con meco t’incammini,
lo sparso accordi e riconfermi il fratto:
qui già per lei venni in furore e matto
qui da lei ebbi i succhi suoi più fini.
Col passo avaro, indocile, acre, rompo
all’aldilà che in falde e felci sfrangia
sul botro; oltre le serpi e i pruni zompo:
E nell’alto aldilà, nei fondi teneri
do di tacco, do a sacco, sfregio veneri,
falsifico simbiosi: ora si mangia.
XIII
(Sonetto di Ugo Martino e Pollicino)
1778-1978