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LETTERATURA CRISTIANA ANTICA – SIMONETTI, PRINZIVALLI

I. ATTIVITA’ LETTERARIA IN ETA’ APOSTOLICA E SUBAPOSTOLICA


Nel 52 ca. Paolo scrive alla piccola comunità cristiana di Tessalonica, questa lettera è il più antico
documento cristiano giunto a noi. La predicazione del messaggio evangelico si svolgeva sia tra i
giudei sia tra i pagani (gentili) tramite la comunicazione orale, inizialmente in lingua aramaica
ma gradualmente sempre di più in greco, lingua di uso anche tra i giudei della diaspora
mediterranea, e solo occasionalmente veniva avvertita l’esigenza di ricorrere alla scrittura.
Questa iniziale modesta richiesta di comunicazione scritta di esplicò in due direzioni: da una
parte, come dimostra l’esempio di Paolo, il missionario poteva sentire l’esigenza di mantenersi in
contatto epistolare con le comunità che istituiva via via durante i suoi viaggi, dalle quali si
allontanava, per continuare altrove la missione; dall’altra parte, la predicazione del messaggio, in
quanto questo era fondato sulla figura e l’opera di Cristo, imponeva che di esse si conservasse
memoria e, a tal fine, a mano a mano che col passare del tempo la testimonianza orale dei primi
discepoli evidenziava sempre di più la sua precarietà, si cominciò a fare spazio a prime embrionali
raccolte di detti e fatti del Signore. Problema fondamentale che travagliò dolorosamente la vita
della comunità primitiva, fu la diffusione del messaggio evangelico tra i pagani. Infatti, di questi
cristiani della prima ora alcuni, legati alla tradizione giudaica, ritenevano che la fede in Cristo
dovesse esplicarsi nell’ambito e nell’osservanza della legge mosaica, che quella tradizione
fondava, ed erano perciò restii all’ammissione indiscriminata di pagani nella comunità dei fedeli;
altri invece, pur giudei come Paolo, affermavano lo svincolamento da quella normativa,
ritenendola ormi completamente superata, ai fini della giustificazione, dalla fede in Cristo, e
perciò non avevano remore a predicare questa fede anche ai pagani. Il contrasto non restò affatto
limitato alla discussione teorica, ma si trasferì sul terreno dell’evangelizzazione: là dove Paolo
predicava ai pagani la fede in Cristo, prescindendo completamente dalla normativa della legge
giudaica, missionari cristiani d’impostazione più giudaizzante, sopraggiunti in secondo momento,
cercavano di imporre ai pagani già convertiti da Paolo, insieme con questa fede, anche quella
normativa, perfino il rito della circoncisione, ripugnante ai non giudei. La rovente polemica che
ne seguì è alla base delle cosiddette grandi lettere di Paolo: la legge mosaica con le gravose
osservare (opere) che impone, dà all’uomo solo la coscienza del peccato ma non l’aiuto divino
(grazia) che solo può operare la salvezza; esso viene invece dalla fede in Cristo, mediante il
battesimo che rende partecipi della sua morte e resurrezione e membra del suo corpo mistico, la
chiesa (Romani, Galati).

Mentre Paolo, tra affanni polemiche e rischi di ogni genere, portava avanti con successo la sua
azione missionaria, venne elaborata la raccolta di detti e fatti di Gesù. Tutto ciò spinse a
riconsiderare sotto una nuova luce quegli sparsi ricordi, fornendo la chiave per interpretarli in
funzione della realizzazione, in Cristo, del disegno divino preordinato alla conversione e alla
salvezza del mondo intero. Questo lavoro di rielaborazione e sistemazione prese forma, più o
meno tra il 60 e il 90, nei Vangeli di Marco Luca e Matteo, usualmente definiti sinottici per la vasta
parte che hanno in comune. L’ipotesi più accreditata spiega le strette affinità intercorrenti tra i
tre testi – tutto Marco è presente in Luca e Matteo – ipotizzando la derivazione di Luca e Matteo
da Marco, mentre le vaste parti in comune tra Luca e Matteo e assenti in Marco deriverebbero da
una fonte oggi non più disponibile, detta Q (Quelle), che sarebbe stata costituita da una raccolta di
detti (loghia) di Gesù. Infine, sia Matteo sia Luca avrebbero fatto uso indipendente di altre fonti
secondarie. Al di là dei tratti individuali, i tre sinottici condensano l’attività pubblica di Gesù in
uno schema comune molto semplice:
- preannuncio della missione di Gesù da parte di Giovanni il Battista;
- battesimo di Gesù nel Giordano a opera dello stesso Giovanni;
- attività evangelizzatrice di Gesù in Galilea (Palestina settentrionale);
- viaggio a Gerusalemme;
- arresto processo passione e morte;
- risurrezione e apparizione ai discepoli.
Tutti e tre i testi vedono in Gesù il Messia, la cui venuta liberatrice era stata ampiamente
preannunciata dalla tradizione profetica e inoltre, tutti e tre, mettono l’accento molto più sul
messaggio, che annuncia la venuta del regno di Dio, apportatore di giustizia amore e pace, e sui
miracoli operati da Gesù, che non sulla sua persona. Tratti specifici:

MARCO MATTEO LUCA


- più elementare - partecipa della stessa - si indirizza ai cristiani
- tono più popolare (forma e convinzione di Marco provenienti dal paganesimo,
modo di raccontare) - non manca l’attività cui lui stesso appartiene
- Gesù = taumaturgo benefico, taumaturgica - sensibile ai risvolti
il quale tiene celata la sua - il suo Gesù è però atteggiato socialmente più significativi
dignità messianica in soprattutto in veste di del messaggio
funzione della risurrezione, dottore, che interpreta la - Gesù = profeta, è il salvatore
che prelude al prossimo legge tradizionale, non la misericordioso, che sana i
ritorno e all’instaurazione del abolisce, ma la completa mali del corpo ma ancora di
regno di Dio in potenza e - ambiente tradizionalista più quelli dell’anima dei figli
gloria - condanna i giudei che hanno di Dio
messo a morte Gesù, ma allo - Luca sente la seconda venuta
stesso tempo non accetta il di Cristo come una realtà
rifiuto paolino della legge ormai appartenente a un
mosaica futuro indefinito
- interpretazione del
messaggio di salvezza in (altra opera di Luca, Atti degli
trama giudaizzante Apostoli – il motivo
conduttore che anima l’intero
racconto è quello
dell’iniziativa dello spirito
divino, che ispira e certe volte
addirittura trascina il
riluttante strumento umano,
affinché il messaggio di
salvezza sia diffuso su tutta la
terra)

In Atti, 29-30, Paolo dice: «Io so che dopo la mia partenza s’introdurranno in mezzo a voi lupi
rapaci, che non risparmieranno il gregge, e anche in mezzo a voi scorgeranno uomini che
insegneranno dottrine perverse, per trascinare discepoli dietro di loro». Luca pare presentarci il
dramma delle comunità di tradizione paolina sparse lungo le coste europea e asiatica del Mare
Egeo, che dopo la partenza definitiva dell’apostolo avevano visto accrescersi nel loro seno i
contrasti provocati sia dall’insinuarsi di missionari giudeocristiani sia dalle eccessive pretese
liberatorie e autoesaltatrici de i seguaci radicali di Paolo. Di fronte a questa preoccupante
situazione, più o meno tra la fine del I secolo e l’inizio del II, un ignoto discepolo di Paolo ricorre
all’espediente della pseudoepigrafia: invece di scrivere a proprio nome, fa circolare le sue lettere
sotto il nome dell’apostolo. Sono lettere cosiddette Pastorali, indirizzate:
- due a Timoteo
- una a Tito
Da un Paolo che ci viene presentato ormai alla soglia della morte. Ma non si limitò qui l’uso della
pseudoepigrafia: più o meno a quest’epoca rimonta una serie di lettere poste sotto il patrocinio di
esponenti importanti della prima generazione cristiana, tutte miranti ad affrontare situazioni di
pericolo, quasi sempre di difficile puntualizzazione da parte nostra per difetto di formazione. Nel
complesso di queste opere pseudoepigrafe o comunque di autore incerto fa spicco un corpus di
scritti di diverso genere collegati tra loro dalla comune attribuzione all’apostolo Giovanni, da
collocare anch’esso tra la fine del I e l’inizio del II secolo, si ratta di:
- vangelo detto appunto di Giovanni;
- tre lettere;
- Apocalisse.
I rapporti di queste opere tra loro e con Giovanni non sono di agevole decifrazione: si può
ipotizzare un ambiente cristiano, in qualche modo connesso col nome e l’autorità dell’apostolo
Giovanni, una parte del quale era di tendenza più giudaizzante rispetto all’altro e a quello di
tradizione paolina. Questa tendenza giudaizzante è ben ravvisabile nell’Apocalisse anche quanto
al genere letterario, tipico del giudaismo fra il II secolo a.C. e il II secondo d.C., detto appunto
apocalittico perché caratterizzato da rivelazioni a mezzo di visioni comunicate da un essere
soprannaturale mediatore a un personaggio umano.
APOCALISSE = la parte iniziale dell’opera ci presenta, nelle comunità della costa asiatica dell’Egeo
(Efeso, Pergamo, ecc.) cui s’indirizza il presunto Giovanni, uno stato di crisi che ha evidenti punti
di contatto con quello che ricaviamo dalle Pastorali, anche se qui la crisi viene apprezzata da
un’ottica non paolina ma piuttosto giudaizzante.
3 LETTERE = In contesto di crisi ci portano anche le tre lettere attribuite a Giovanni, il cui autore
si definisce l’Anziano: ma è crisi diversa dall’altra, una crisi interna alla comunità e provocata da
una parte di essa che nega la realtà della passione di Cristo, ritenuta incompatibile con
l’affermazione della sua divinità (docetismo).
VANGELO = Questa tendenza appare già combattuta, anche se solo in filigrana, nel vangelo di
Giovanni. Rispetto ai tre vangeli sinottici, nonostante la similarità della trama narrativa e di vari
racconti, la differenza è grande, perché l’accento è posto sulla persona di Cristo, che è insieme
soggetto e oggetto della rivelazione divina al mondo: con diffusa parola di tono sapienziale, il
Cristo giovanneo annunzia se stesso, Logos divino personalmente esistente dall’eternità, che si è
fatto uomo al fine di rivelare agli uomini che solo aderendo a lui, luce verità vita, il mondo
degradato nel male potrà conoscere Dio e trovare la salvezza.

Con questi ultimi scritti siamo giunti in un’epoca in cui le comunità cristiane appaiono già
ampiamente diffuse nel bacino orientale del Mediterraneo e presenti anche in varie città
d’Occidente, tra cui Roma. E’ sempre più pressante l’esigenza della comunicazione scritta sia per
mantenersi in contatto con quel fondamento sia per intrattenere rapporto tra loro sia per far
fronte in modo non più provvisorio alle esigente interne della vita della comunità: dottrina
organizzazione disciplina. Proprio l’ampiezza di questo fenomeno, aggravato dal fiorire di
numerosi movimenti eretici, convinse alcune comunità dell’opportunità di discernere, rispetto
agli altri, gli scritti tramandati come più antichi e autorevoli, considerati opera autentica degli
apostoli o di loro immediati discepoli e perciò documento attendibile della predicazione di Cristo
e degli apostoli stessi: verso la fine del II secolo questi scritti vennero riuniti in un canone, che col
nome di Nuove Testamento (NT) si affiancò all’Antico (AT), di tradizione giudaica ma accolto
anche dai cristiani, considerati l’uno e l’altro Scrittura divinamente ispirata e perciò fornita di
autorità e valore normativi. Solo gradualmente il canone del NT si precisò nei dettagli, ma già ora
il nucleo fondamentale è fisso: i quattro vangeli, gli Atti degli apostoli, le lettere di Paolo.

La Dottrina dei dodici apostoli (vulgo Didachè) è un breve manuale di norme di contenuto morale,
liturgico e disciplinare, composto forse in Siria. La fede in Gesù Cristo si inserisce nel testo in un
ordine mentale pienamente giudaico, dove la nuova fede è sentita in continuità con il giudaismo.
Attribuire nel titolo la paternità di tali norme agli apostoli voleva soprattutto significare il loro
valore tradizionale e perciò vincolante. [I 12 = Numero simbolo, 12 erano le comunità di Israele,
per designare i seguaci più vicini di Gesù quando era ancora in vita. APOSTOLI = Coloro che nella
primitiva comunità sono stati testimoni del risorto, tra questi sono state scelte persone che
avevano il compito di "testimoniare".]
Un posto ben rilevato va assento per la sua singolare importanza alla lettera tradizionalmente
attribuita a Barnaba, il missionario di cui gli Atti parlano tanto. Presenta in apertura e chiusura le
caratteristiche formule epistolari. Si presenta come un vero e proprio trattato.

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