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IMMAGINI DELLA LUCE

Dimensioni di una metafora


assoluta
a cura di
Salvatore Lavecchia

MIMESIS
MIMESIS / ASKESIS / STUDI DI FILOSOFIA ANTICA

N. 11

Collana diretta da Salvatore Lavecchia (Università di Udine)


e Linda M. Napolitano Valditara (Università di Verona)

Comitato sCientifiCo
Michele Abbate (Università di Salerno)
Enrico Berti (Professore Emerito, Università di Padova)
Elisabetta Cattanei (Università di Cagliari)
Fulvia De Luise (Università di Trento)
Maurizio Migliori (Università di Macerata)
Thomas A. Szlezák (Professore Emerito, Università di Tübingen)
La pubblicazione di questo volume è stata finanziata medianti i fondi assegnati
dal Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Udine al PRID 2015 dal
titolo Immagini della luce. Percorsi filosofici e letterari.

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)


www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it

Collana: Askesis, n. 11
Isbn: 9788857561370

© 2019 – MIM EDIZIONI SRL


Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 24861657 / 24416383
INDICE

Premessa
LuCe Come immaginaLità
di Salvatore Lavecchia 7

La LuCe in Pindaro: una metafora strutturaLe


di Elena Fabbro 13

aLLa riCerCa deLLa sfera di LuCe.


Parmenide, PLatone, PLotino
di Salvatore Lavecchia 57

iL ‘Lume sPurio’ deLLa Luna:


su metafore e immagini deLLa LuCe
neL De rerum natura di LuCrezio
di Marco Fucecchi 73

La moLtiPLiCazione infinita deLLa LuCe e La sua funzione


neL De luce di roberto grossatesta
di Cecilia Panti 97

Fiat Verbum, Fiat lux


iL ProLogo giovanneo Come ritrattazione ProtoLogiCa
deL battesimo di gesù e Presentazione deLL’inCarnazione
aL giordano
di Gaetano Lettieri 123

autori 251
gaetano Lettieri
FIAT VERBUM, FIAT LUX
Il Prologo giovanneo come ritrattazione protologica
del battesimo di Gesù e presentazione
dell’incarnazione al Giordano

La luce splende nelle tenebre (τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει)1


E io ho visto (κἀγὼ ἑώρακα) e ho testimoniato (καὶ μεμαρτύρηκα)2

La straordinaria invenzione teologica del vangelo di Giovanni pare fon-


data su un punto cieco, nel quale è forse celato il segreto dell’abbacinante
teofania di Luce descritta nel Prologo. Malgrado questo proclami l’incar-
nazione del Logos, nel corpo del più teofanico dei vangeli sembra latita-
re la descrizione dell’evento del farsi uomo del dio Unigenito, risultando
assenti sia qualsiasi riferimento al concepimento soprannaturale di Gesù
nel seno della vergine, sia la descrizione del battesimo impartitogli dal
Battista, tradizionalmente interpretato come recezione o manifestazione
carismatica della sua filialità divina. Ebbene, seppure nella consapevolezza
di quanto qualsiasi novità in materia sia relativa rispetto a una storia inter-
pretativa sterminata3, avanzo in queste pagine una tesi radicale: è proprio
nel cuore del Prologo che è presentato l’evento dell’incarnazione storica

1 Vangelo di Giovanni (=Giovanni/Gv) 1,5. Si utilizzano l’edizione del NT di Ne-


stle e Aland, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart
201228 e la traduzione italiana, talvolta ritoccata, della Cei, La Bibbia di Gerusa-
lemme. Il Nuovo Testamento, EDB-Borla, Bologna 1971.
2 Gv 1,34.
3 «The effect of reading too much on the Fourth Gospel is to make one feel either
that everything has been said about it that could conceivably be said or that it
really does not matter what one says, for one is just as likely to be right as anyone
else» (J.A.T. Robinson, The Relation of the Prologue to the Gospel of St. John,
in «New Testament Studies» 9/2, 1963, 120-129, in part. 120). Forse ancora più
radicale E. Käsemann, Jesu letzter Wille nach Johannes 17, Mohr Siebeck, Tübin-
gen 1966, tr. it. L’enigma del Quarto Vangelo: una comunità in conflitto con il
cristianesimo nascente?, Claudiana, Torino 1977: «Voglio cominciare con una
strana confessione: parlerò su un argomento che non capisco ancora a fondo…
Se dobbiamo dare un’informazione globale ed esauriente sullo sfondo storico del
nostro Vangelo, brancoliamo più o meno nel buio» (13).
124 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

del Figlio al Giordano, che risulta però al tempo stesso ritrattato ontolo-
gicamente, tramite una riflessione retroproiettiva della luce escatologica
nella luce protologica, nella quale quella pare come essere riassorbita o
sommersa. In effetti, il Prologo articola un “doppio gioco”, un avvento
speculare, nel quale eventuale e ontologico si riflettono l’uno nell’altro:
a) rivela l’ἀρχή divina, l’eterna teogonia di Luce del preesistente Figlio
creatore, ma b) rivela, nella maniera più solenne, anche lo sfolgorante mo-
mento del manifestarsi del Logos/Luce al Giordano, descritto in diretta
come ἀρχή storico-narrativa del vangelo4. L’Ecce apocalittico5-teofanico si
sdoppia… Unicamente grazie alla katabasis storica dell’Unigenito il cielo
si apre, dischiudendo la visione della preesistente venuta intradivina del

4 Trovo, pertanto, soltanto parzialmente fondata quest’affermazione di R.E. Brown,


The Gospel According to John, Doubleday e C., New York 1966-1970, tr. it. Gio-
vanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella Editrice, Assisi 1999(5): “Il
Prologo non si interessa delle origini terrene di Gesù, ma dell’esistenza celeste
della Parola in principioˮ (27). Direi, piuttosto, che il Prologo si interessa anche
delle origini terrene di Cristo, dell’evento storico che è l’incarnarsi del Logos
preesistente nella carne/umanità di Gesù, al cospetto del Battista.
5 Per un approfondimento concettuale e storiografico della controversa categoria
di apocalittica, relativa a un fenomeno storico e ideologico polimorfo, rimando a
G. Lettieri, Materia mistica. Spirito, corpi, segni nei cristianesimi delle origini, di
prossima pubblicazione, in part. al cap. IV Spiritus litterae. Differire della rivela-
zione, estasi carismatica, ermeneutica biblica: da Gesù “apocalittico” alla demi-
tologizzazione. A partire da una prospettiva non letteraria, ma storico-concettuale
(Sacchi, Boccaccini), che fa riferimento a tradizioni ideologiche medio-giudaiche
fortemente caratterizzate dalla novità enochica, influente sulla genesi delle at-
tese e delle ideologie protocristiane, interpreto apocalisse (ἀποκάλυψις) quale
“rivelazioneˮ escatologica e divisiva; caratterizzata dalla dualistica opposizione tra
luce e tenebra, corrispondente a quella tra vita e morte, l’apocalisse è identificata
con l’ultima rivelazione di Dio, ulteriore rispetto alla Legge stessa, quindi capace
di strappare alcuni eletti dal mondo dominato da un peccato dilagante e asservito a
potenze demoniache. L’apocalisse è dischiusa dall’intervento soprannaturale di un
mediatore celeste, rivelatore di segreti capaci di “far vedere” agli eletti l’imminente
avvento del Regno o il trascendente mistero di Dio, capace di salvare dall’imminen-
te giudizio di condanna del mondo malvagio. Nella nozione di apocalittica quale
rivelazione escatologica, al tempo stesso distruttiva del male dominante ed elettiva
nel dono dell’intimità soprannaturale con Dio, si attiva anche un decisivo elemento
sapienziale: l’apocalittico vede l’intimo, critico segreto di Dio, escatologicamente
dispiegato. Non si può prescindere, pertanto, dall’interpretazione di apocalittica
avanzata da Rowland, né dai raffinati tentativi di sistematizzazione proposti da Col-
lins; cf. Ch. Rowland, The Open Heaven: A Study of Apocalyptic in Judaism and
Early Christianity, SPCK, London 1982; e J.J. Collins, The Apocalyptic Imagina-
tion. An Introduction to the Jewish Apocalyptic, Eerdmans, Grand Rapids 1998(2),
2016(3).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 125

Figlio, unico rivelatore e interprete del Padre: infatti, soltanto l’avvento del
Figlio Verbum/Lux al Giordano consente di riconoscerlo come primordiale
Fiat di Dio, da sempre avveniente dal Padre. Il raddoppiamento specula-
tivo, che consente l’innalzamento del Messia crocifisso all’intimità pre-
esistente con Dio, funziona unicamente se si rivela attiva la scaturigine
eventuale che governa lo speculare esemplarismo inverso tra Figlio storico
e Figlio eterno.
Il Prologo, pertanto, sostituisce o ritratta gli inizi dei vangeli sinottici
o delle tradizioni da questi presupposte, che iniziavano con il battesimo
carismatico di Gesù (Marco) o con la sua traslazione nel concepimento
soprannaturale del Figlio nel seno di Maria (Matteo, Luca). Nel IV vangelo
il rito battesimale risulta cancellato, ma al suo posto è mantenuto, ed esalta-
to riflettendolo nella preesistenza, l’evento escatologico-apocalittico della
teofania al Giordano. Presso il fiume dove la tradizione profetica collocava
una storica “porta del cielo”, l’avvento della luce messianica profetizza-
ta da Isaia è interpretato come discendere dell’Unigenito in Gesù, quindi
come Fiat Verbum caro factum, in cui ri-avviene il Fiat Lux creativo, detto
da Dio nell’eterna generazione del Figlio ἐν ἀρχῇ, quando nella Genesi lo
Spirito aleggiava sulle acque primordiali. Il Prologo, allora, annunciando
la nuova Genesi ri-creativa del Fiat Verbum/Lux, rivelerebbe l’«ἡμέρα μία/
dies unus» (Gen 1,5), «il primo giorno» della missione storica del Figlio
divenuto uomo/carne6, pure attestando una retractatio mistico-sapienziale
del racconto tradizionale del battesimo messianico di Gesù (cf. Mc 1,9-11)
o di quello della sua “vocazione” elettiva successiva al battesimo (cf. Lc
3,21-22), al punto che la scaturigine storica dell’evento pare risultare quasi
cancellata.
Eppure, un decisivo, lampante indicatore dell’evento del Giordano ri-
mane: nel Prologo, è chiamata in causa per ben due volte la figura storica
di Giovanni Battista, il genius loci del Giordano, che, in tutte le tradizioni
cristiane primitive, “provocava” e mediava con il rito battesimale la gene-
razione/manifestazione del Figlio prediletto. Insomma, togliendo in sé i
“principi” narrativi dei vangeli sinottici, il Prologo proclama il principio
ontologico del Logos dio preesistente, traslato dal seno di Maria al seno

6 «Le Prologue pourrait à juste titre être appelé ‘Genèse de Jésus-Christ’ L’Évangile
de Matthieu commence lui aussi par ces mots: “Livre de la Genèse de Jésus Christ
(Βίβλος γενέσεως Ἰησοῦ Χριστοῦ)” [1,1]» (R. Meynet, Analyse rhétorique du
Prologue de Jean, in “Revue bibliqueˮ 96/4, 1989, 481-510, in part. 507). Discor-
so analogo, come vedremo, si potrebbe fare per l’incipit di Marco, per il quale «il
principio del vangelo di Gesù Cristo (ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ Χριστοῦ)» (1,1)
coincide proprio con l’attività battista di Giovanni.
126 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

del Padre, eppure rivelato nel principio storico dell’apocalisse messianica:


questa avviene al cospetto di Giovanni, che, pure senza impartire alcun
battesimo, vede e testimonia l’avvento del “Veniente”, che lo trascende e
lo sorpassa, quale prima e ultima Luce del Padre.

1. Anomalie giovannee: quando, come, dove il Logos si incarna?

Quest’ipotesi del Prologo come ritrattazione mistico-sapienziale del bat-


tesimo di Gesù, che pure descrive l’inizio storico dell’apocalisse salvifica
al Giordano, è stata generata dalla constatazione di alcune evidenti ano-
malie strutturali di Giovanni, che possono essere spiegate soltanto ricollo-
cando il testo nel suo contesto storico, caratterizzato da violente polemiche
extracristiane (ostilità del giudaismo dominante e rivalità con la comunità
dei discepoli di Giovanni Battista, con la quale la comunità giovannea ha
evidenti rapporti genetici) e infracristiane (divergenze con altre interpre-
tazioni di Gesù, quindi conflitto con una secessionista frangia giovannea
approssimativamente definibile come “docetista”, attestato dal presbitero
autore della Prima lettera di Giovanni).
Segnalo di seguito cinque anomalie.
a) Nel vangelo che si apre con la solenne celebrazione dell’incarnazione
del Logos Dio in Gesù, incredibilmente parrebbe latitare la visione in
diretta della teofania, la presentazione storica che fonda la conoscenza,
quindi la testimonianza di Giovanni, tradizionalmente collocata in oc-
casione del battesimo di Gesù. La rapidissima notazione in Gv 1,32-34,
nella quale il Battista prende la parola per descrivere (in termini che
sembrano dipendere da tradizioni marciane) la discesa teofanica dello
Spirito sull’uomo Gesù presso il Giordano (cf. Gv 1,28; quindi 10,40),
si presenta piuttosto come un fulmineo flashback, una rammemorazione
di un evento anteriore incomprensibilmente fuori scena, che sembra
essere assente nei passi precedenti del vangelo. Allora, seppure se ne
vede il riflesso, pare mancare il fuoco, il punto luce della visione del
Battista, che può testimoniare soltanto perché ha visto: se il Battista è il
primo e principale testimone, quando ha assistito alla teofania e perché
questa non viene grandiosamente sceneggiata dal vangelo, a differenza
di quanto accade nei sinottici?
b) Nel IV vangelo è clamorosa l’assenza della descrizione del battesimo di
Gesù al Giordano. Nel sopra citato flashback con il quale viene descritta
la teofania al Giordano, risulta del tutto taciuto il rito battesimale. Se,
quindi, convincenti interpretazioni (quelle di Fuller, Watson, Talbert,
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 127

Kinlaw, Engberg-Pedersen e, seppure più ambiguamente, dello stesso


Brown…) hanno collocato nella discesa dello Spirito presso il Giordano
il momento dell’incarnazione di Gesù, facendo appunto riferimento a Gv
1,32-34, con troppa disinvoltura l’hanno connessa al battesimo di Gesù7.
c) La cronologia che scandisce la prima settimana della missione di Gesù
sembra, a prima vista, incoerente. Se anche si volesse, con alcuni inter-
preti, riconoscere in Gv 1,32-34 la descrizione in diretta dell’incarna-
zione del Logos, questa accadrebbe non ἐν ἀρχῇ cronologica o storica
del vangelo, cioè nel primo giorno, ma soltanto nel secondo giorno – in
quello che è definito apertamente come “il giorno dopo (τῇ ἐπαύριον)”
(Gv 1,29) – della cronologia, che pure Giovanni scandisce con gran-
dissima cura, proponendo corrispondenze simboliche con la settimana
della creazione genesiaca di difficile decifrazione (vi tornerò).
d) Comunque, non è possibile collocare la teofania dell’incarnazione altro-
ve rispetto al Giordano: Giovanni non allude in alcun modo al miraco-
loso concepimento di Gesù in Maria ad opera dello Spirito, tanto meno
all’incarnarsi del Logos nel seno della vergine. La presenza del Battista
quale testimone dell’incarnazione e l’assenza di Maria e Giuseppe dal
primo capitolo del vangelo spingono verso il Giordano. Se, infatti, da
Ignazio di Antiochia a Giustino, da Aristide a Ireneo e Tertulliano, pre-
cocemente Gv 1,14 sarà innestato sul teologumeno matteano e lucano
del soprannaturale concepimento verginale di Maria, visitata dallo Spi-
rito (che Giustino e Ireneo identificano con il Logos che discende dal
cielo!)8, nessuna traccia di quest’innesto è presente nel IV vangelo.

7 Ad esempio, cf. il saggio di G. Richter, Zu den Tauferzählungen Mk 1,9-11 und


Joh 1,19-34, in G. Richter, Studien zum Johannesevangelium, Friedriche Pustet,
Regensburg 1977, 315-326.
8 Mi limito a riportare due densi passi: il primo di Ignazio di Antiochia, Lettera
agli Efesini 7,2: «C’è un solo medico, carnale e spirituale, generato e ingenerato
(Εἷς ἰατρός ἐστιν, σαρκικός τε καὶ πνευματικός, γεννητὸς καὶ ἀγέννητος), dio che
è venuto nella carne, nella morte vita vera (ἐν σαρκὶ γενόμενος θεός, ἐν θανάτῳ
ζωὴ ἀληθινή), da Maria e da Dio (καὶ ἐκ αρίας καὶ ἐκ θεοῦ), prima passibile e
ora impassibile (πρῶτον παθητὸς καὶ τότε ἀπαθής), Gesù Cristo nostro Signore»;
l’altro di Giustino, I Apologia 33,6, ove, dopo la citazione di Lc 1,31-32, si legge:
«Non è dunque possibile pensare che lo Spirito e la potenza che è presso Dio siano
qualcosa di diverso dal Verbo (τὸ πνεῦμα οὖν καὶ τὴν δύναμιν τὴν παρὰ τοῦ θεοῦ
οὐδὲν ἄλλο νοῆσαι θέμις ἢ τὸν λόγον), che anche Mosè, il profeta di cui abbiamo
parlato, indicò essere il primogenito di Dio (πρωτότοκος τῷ θεῷ); questo, disceso
sulla vergine e adombratala (καὶ τοῦτο ἐλθὸν ἐπὶ τὴν παρθένον καὶ ἐπισκιάσαν),
non mediante l’amplesso, ma per mezzo della potenza, la rese incinta (οὐ διὰ
συνουσίας, ἀλλὰ διὰ δυνάμεως ἐγκύμονα κατέστησε)». Cf. Ireneo, Adversus
Haereses V,1,2-3; e il più tardo Epifanio di Salamina, Panarion I,II,20,1-10, si-
128 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

e) Gv 1,32-34 descrive la visione del Battista della discesa e del permanere


dello Spirito su Gesù, suggerendo che in effetti questo sia stato l’evento
dell’incarnazione. Perché, allora, nel Prologo non viene fatta menzio-
ne alcuna dello Spirito, mentre è il Logos ad incarnarsi? D’altra parte,
perché nel corpo del vangelo la discesa del Logos in Gesù non appare?
Piuttosto, in Gv 3,13 e 6,62, «colui che è disceso dal cielo (ὁ ἐκ τοῦ
οὐρανοῦ καταβάς)» è «il Figlio dell’Uomo (ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου)»9,
che in 6,63 pare essere identificato con «lo Spirito che dà la vita (τὸ
πνεῦμά τὸ ζῳοποιοῦν)». Dunque, quale rapporto ha il Figlio dell’Uomo
con il Logos del Prologo e con lo Spirito della teofania del Battista?

Ricapitolando: se certo il concetto-cardine del IV vangelo è quello


dell’incarnazione del Figlio-dio nell’uomo, non è affatto chiaro il quan-
do, il dove e il come dell’incarnazione. Il IV vangelo pare non descrivere
direttamente e solennemente il momento storico in cui Cristo nasce, né
dove e come l’uomo Gesù riceva la sua identità divina. La doppia identità
del Gesù giovanneo, dio preesistente e vero uomo, sembra non trovare nel
corpo del testo un presente narrativo nel quale si congiunga, anzi pare es-
sere il frutto di due amputazioni o lacune rispetto alle principali tradizioni
testimoniali e teologiche protocristiane: si lascia cadere “la notizia” del
battesimo di Gesù al Giordano, si ignora o si lascia cadere “la notizia” del
concepimento nello Spirito di Gesù nel grembo di Maria vergine. Per di
più, nel corpo del vangelo non è il Logos, ma lo Spirito o il Figlio dell’Uo-
mo colui che discende. Per un testo che proclama, nel Prologo, testimone
il Battista, l’incarnazione del Logos nell’uomo Gesù, queste anomalie ri-
sultano sconcertanti.
Ma prima di approfondire l’esame di queste questioni, è indispensabile
dichiarare alcuni presupposti interpretativi, seppure nella consapevolezza
della loro insuperabile ipoteticità.

gnificativo perché la protocattolica interpretazione del concepimento verginale di


Maria per opera dello Spirito Santo quale incarnazione nel suo grembo de «l’Uni-
genito Figlio, il Logos di Dio», è indirizzata a confutare il divisismo cristologico
di Ebion, affine a quello di Cerinto, sul quale presto torneremo.
9 Così, in Gv 6,38, Gesù dice di sé: «sono disceso dal cielo (καταβέβηκα ἀπὸ τοῦ
οὐρανοῦ)ˮ; 6,33, ove si identifica con “colui che discende dal cielo e dà la vita al
mondo (ὁ καταβαίνων ἐκ τοῦ οὐρανοῦ καὶ ζωὴν διδοὺς τῷ κόσμῳ)»; e 6,43, ove
egli afferma: «io sono il pane disceso dal cielo (Ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος ὁ καταβὰς ἐκ
τοῦ οὐρανοῦ)».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 129

2. Giovanni conosce i vangeli sinottici e Paolo?

a) Malgrado le idee degli studiosi in proposito siano discordi10, a differenza


di Gardner-Smith, Bultmann, Dodd, Schnackenburg, Brown, Robinson,
Berger, considero, con Barrett, Neirynck, Schnelle, Brodie, Zumstein
(recuperando, quindi, le tesi di Windisch)11, altamente improbabile che
l’ultimo redattore del vangelo giovanneo, il più recente dei vangeli ca-
nonici (90-100ca.), fosse espressione di un gruppo talmente settario, da
risultare del tutto impermeabile rispetto alle altre comunità gesuane, sì

10 Cf. la conclusione di uno studioso per altro assai moderato quale R.E. Brown,
An Introduction to the Gospel of John, Doubleday, New York 2003, tr. it. Intro-
duzione al Vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia 2007: «In gran parte del
materiale narrativo di Giovanni e dei sinottici, credo che le prove non favoriscano
la dipendenza giovannea dai sinottici o dalle loro fonti. Giovanni attinse da una
tradizione indipendente, simile alle tradizioni che soggiacciono ai sinottici» (119).
Eppure, Brown aggiunge: «Nonostante non sia convinto di questo, specialisti seri
ritengono che nella redazione finale di Giovanni un piccolo numero di dettagli sia
stato preso a prestito direttamente da Marco» (120). Sostanzialmente scettico sul-
la dipendenza letteraria di Giovanni dai sinottici è R. Schnackenburg, Il vangelo
di Giovanni…, I,29-52; sulla tesi della dipendenza non letteraria di Gv (nella sua
duplice redazione) da tradizioni marciane e sui suoi rapporti con le altre tradizioni
sinottiche, cf. P.N. Anderson, Interfluential, Formative, and Dialectical – A Theo-
ry of John’s Relation to the Synoptics, in P.L. Hofrichter (ed.), Für und wider die
Priorität des Johannesevangeliums, Olms, Hildesheim 2002, 19-58; in part., cf. la
sua convincente conclusione: «The Johannine tradition engaged the pre-Markan
tradition in the oral stages of their developments and sought to augment and com-
plement the Markan written Gospel… John’s relation to the Synoptic Gospels
was independent but not isolated, connected but not derivative, individuated but
not truncated. In relation to the other Gospels John’s was an engaged autonomy,
and an overall theory of Johannine-Synoptic relations must include factors that
were interfluential, formative, and dialectical» (57-58). Ancora interessante, in
proposito, risulta il bilancio di D. Moody Smith, John and the Synotipcs: Some
Dimensions of the Problem, in «New Testament Studies» 26, 1980, 425-444. E.
Norelli, La nascita del cristianesimo, Il Mulino, Bologna 2014, 106-109, pur pro-
pendendo, invero con molta prudenza, per la tesi della non conoscenza dei sinot-
tici da parte del IV vangelo e sottolineando la notevole differenza di prospettiva
cristologica ed economica tra Gv e Mc, comunque evidenzia l’analogia strutturale
tra i due vangeli: «Insomma, le due costruzioni di una storia del ministero di Gesù
realizzate da Marco e Giovanni differiscono notevolmente, ma convergono nel
mostrare l’esigenza di organizzare per iscritto la tradizione su Gesù sotto forma
di coerente vicenda storica per poter rendere conto del senso di un presente che
comincia a prolungarsi al di là delle generazioni dei discepoli» (109).
11 Cf. H. Windisch, Johannes und die Synoptiker. Wollte der vierte Evangelist die
älteren Evangelien ergänzen oder ersetzen?, Hinrichs, Leipzig 1926: nel testo, la
risposta a questa domanda è nettamente affermativa!
130 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

da non essere entrato in contatto, alla fine del I secolo, con uno o più di
uno dei vangeli sinottici12. Se pare dimostrata la non dipendenza lettera-
ria di Giovanni dai sinottici, considero poco convincente l’ipotesi della
dipendenza parallela e indipendente sia dei sinottici che di Giovanni
da ampie formule kerigmatiche, alcune delle quali organizzate in una
struttura narrativa, che, partendo dal battesimo al Giordano, passando
per la descrizione della predicazione di Gesù in Galilea e a Gerusalem-
me, si concludessero con le vicende della passione, della morte, quindi
dell’annuncio della resurrezione o della visione del Risorto. La non di-

12 Cf. M. Hengel, Die johanneische Frage. Ein Lösungsversuch, Mohr Siebeck,


Tübingen 1993, tr. it. La questione giovannea, Paideia, Brescia 1998, che, in rife-
rimento al IV vangelo, afferma: «Quanto alla dipendenza dai sinottici, se ne deve
supporre la conoscenza e talvolta anche l’influenza diretta – ma in maniera molto
libera. Molto spesso la conoscenza di un racconto sinottico è solo presupposta.
L’autore era persona troppo indipendente per copiare in un modo così diretto»
(233). Per Hengel, il «caposcuola [giovanneo] consapevole di sé… non accetta-
va neanche il petrino vangelo di Marco (come fecero invece Luca e Matteo), il
vangelo più antico, ampiamente riconosciuto, ma se ne dissociava criticandolo»
(235); «Come “fonti” letterarie, di cui l’autore tiene conto senza di fatto dipender-
ne in senso stretto, sono da considerare anzitutto i più antichi vangeli sinottici, in
primo luogo Marco e Luca: lo sviluppo del quarto vangelo avviene in antitesi con
la tradizione sinottica» (251). Con nettezza, si schiera in questa stessa prospettiva
J. Zumstein, Das Johannesevangelium, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 2016,
tr. it. Il Vangelo secondo Giovanni, I-II, Claudiana, 2017, che riassume:«È prefe-
ribile supporre che la scuola giovannea fosse a conoscenza del vangelo di Marco,
forse di quello di Luca, ma probabilmente non di quello di Matteo. Il suo legame
con questi scritti era improntato contemporaneamente alla distanza e alla libertà»
(I,44); Zumstein, ricorrendo alla nozione di “ipertestualitàˮ di Genette, definisce
il rapporto tra Gv e Mc come rapporto tra “ipertestoˮ e “paratestoˮ, ove il rap-
porto di derivazione è ritrattato in rapporto di presa di distanza, trasformazione e
libera interpretazione (cf. I,43-45). Cf. anche U. Wilckens, Das Evangelium nach
Johannes, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1998, 20002, tr. it. Il vangelo se-
condo Giovanni, Claudiana, Torino 2002, 11-16, che, anzi, radicalizza persino la
posizione: «L’evangelista presuppone nei lettori la conoscenza, anzi la familiarità,
con gli scritti sinottici» (15). Notevole uno degli esempi portati: «Che in Gv 1 non
si racconti nulla del battesimo di Gesù ad opera di Giovanni, che invece ha tanto
rilievo in Marco, non è dovuto al fatto che dalla tradizione del suo ambiente l’e-
vangelista non sarebbe venuto a conoscenza di una storia del battesimo di Gesù;
il fatto è, invece, che egli scrive per lettori che la conoscono già e nel racconto
del suo libro fa loro vedere Giovanni, il grande “testimone” che indica Gesù, e
comprendere il suo battesimo (1,33) in questo contesto» (15-16). Per la tesi della
dipendenza di Gv dai sinottici e in particolare da Mc, cf. Th.L. Brodie, The Quest
for the Origin of John’s Gospel. A Source-Oriented Approach, Oxford University
Press, Oxford 1993.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 131

pendenza letteraria da Marco o dagli altri sinottici, insomma, non penso


possa provare che Giovanni non lo/li conoscesse.
b) Ritengo, infatti, del tutto improbabile che la forma “vangelo”, intesa
come struttura letteraria biografico-kerygmatica, a quanto ci risulta “in-
ventata” da Marco (piuttosto che da un vangelo “presinottico” utilizzato
o persino redatto da Marcione)13, possa essere stata indipendentemente
“inventata” da Giovanni14. Se, quindi, Giovanni conosce il più antico

13 Per M. Vinzent, Marcion and the Dating of the Gospels, Peeters, Leuven 2014,
Marcione sarebbe l’autore del primo vangelo, dal quale dipenderebbero tutti i
vangeli canonici: «Marcion, who created the new literary genre of the ‘Gospel’
and also gave the work this title, had no historical precedent in the combination of
Christ’s sayings and narratives» (277). Piuttosto, sulla dipendenza di Marcione da
un vangelo “presinottico”, anteriore allo stesso Marco, oltre che al Luca canonico,
cf. M. Klinghardt, Das älteste Evangelium und die Entstehung der kanonischen
Evangelien, I-II, Francke Verlag, Tübingen 2015; tutti i vangeli canonici, Giovan-
ni compreso, dipenderebbero, pertanto, da questo vangelo “presinottico”, sicché
verrebbe a cadere la stessa ipotesi di Q, quale fonte, insieme con Marco, di Mat-
teo e di Luca. G. Gramaglia, Marcione e il Vangelo (di Luca). Un confronto con
Matthias Klinghardt, Accademia University Press, Torino 2017, ha radicalmente
contestato le tesi dello studioso tedesco, distinguendo comunque a) una prima re-
dazione di Luca, databile agli anni 80/90, dipendente da Marco e da Q, recepita e
utilizzata senza alterazioni da Marcione, da b) una seconda redazione dello stesso
Luca, redatta ad alcuni decenni di distanza, divenuta “canonica” all’inizio del II
secolo, ma ignota a Marcione. Da segnalare il recente, rilevante volume a cura di
C. Gianotto e A. Nicolotti (edd.), Il vangelo di Marcione, Einaudi, Torino 2019.
14 Cf. R. Bauckham, John for Readers of Mark, in R. Bauckham (ed.), The Gospels
for All Christians. Rethinking the Gospel Audiences, Eerdmans, Grand Rapids-
Cambridge 1998, 147-172: pur non condividendo la tesi di fondo di Bauckham,
che interpreta il IV vangelo come scritto per “tutti i cristiani” e non per la ristretta
comunità giovannea, ritengo il saggio significativo per l’ipotesi della conoscenza
di Mc 1,14 attestata da Gv 3,24 e 11,2. Per una contestazione dell’attendibili-
tà dell’interpretazione di Bauckham, cf. comunque W.E. Sproston North, John
for Readers of Mark? A Response to Richard Bauckham’s Proposal, in «Journal
for the Study of the New Testament» 25/4, 2003, 449-468. Per un generico ri-
conoscimento della dipendenza di Giovanni da “materiale sinottico”, cf. J. van
der Watt, An Introduction to the Johannine Gospel and Letters, T&T Clark,
London 2007: «John was written independently, but with some form of contact
with synoptic material» (90). Per recenti tentativi di dimostrare la conoscenza di
Marco da parte di Giovanni, cf. I.D. Mackay, John’s Relationship with Mark. An
Analysis of John 6 in the Light of Mark 6-8, Mohr Siebeck, Tübingen 2004, in
part. 9-54; M. Jennings, The Fourth Gospel’s Reversal of Mark in John 13,31-
14,3, in «Biblica» 94/2, 2013, 210-236. Sulla conoscenza dei sinottici da parte di
Giovanni, cf. il convincente saggio di U. Schnelle, Johannes und die Synoptiker,
in F. van Segbroek et alii (edd.), The Four Gospels. Festschrift F. Neirynck, Leu-
ven University Press, Leuven 1992, 1799-1814. Cf., infine, il prudente bilancio
132 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

vangelo sinottico, ne eredita l’invenzione originalissima di struttura,


certo reinterpretandola con assolute originalità e creatività teologiche.
c) Se, inoltre, Giovanni (almeno nella sua ultima redazione) avesse co-
nosciuto, oltre a Marco, persino Matteo15 e/o Luca, o comunque tra-
dizioni orali molto antiche sul concepimento verginale del Messia, ad
esempio quelle rifluite nell’Ascensione di Isaia o nel Protovangelo di
Giacomo16, l’assenza di questo teologumeno dal IV vangelo dovrebbe
essere attentamente valutata e probabilmente interpretata come scarto
o rifiuto17.

di S. Schreiber, Kannte Johannes die Synoptiker? Zur aktuellen Diskussion, in


«Verkündigung und Forschung» 51/1, 2006, 7-24: «Dass das JohEv synoptische
Tradition kennt und aufgreift, ist angesichts der Übereinstimmungen plausible
und anerkannt» (23). Radicali, ma interessanti le tesi di G. Wilhelmi, Die Ver-
schleierung der Synoptiker im Johannes Evangelium, Laubach 2012, che comun-
que rintraccia proprio in Mc la fondamentale fonte di Gv, seppure appunto velata,
sistematicamente ritrattata. Segnalo come anche A. Destro e M. Pesce, Il racconto
e la Scrittura. Introduzione alla lettura dei vangeli, Carocci, Roma 2014, 38-40 e
44-47, presuppongono che Giovanni conosca almeno il racconto marciano della
passione o la sua fonte.
15 Per M. Hengel, La questione giovannea…, 68-71, il IV vangelo non soltanto co-
noscerebbe Matteo greco, ma adotterebbe nei suoi confronti una coerente presa di
distanza: questo dato emergerebbe non soltanto dal confronto tra i due vangeli, ma
anche dalla notizia di Papia su Matteo. «I giudeocristiani più tardi considerarono
Matteo come il ‘loro’ evangelista. L’autore del quarto vangelo sceglie dunque lo
sconosciuto ‘Natanaele’ – e non Matteo – come il ‘vero’ israelita credente. Non
riusciamo a capire i due resoconti di Papia sul vangelo di Marco e di Matteo, e
in particolare la loro provenienza dal presbitero, se non teniamo conto del loro
atteggiamento in qualche modo critico verso questi due più antichi vangeli» (71).
16 Sulla possibilità di rintracciare in proposito materiali assai antichi, generati forse
all’interno della prima comunità di Gerusalemme, all’interno di testi più o meno
tardi, quali il Protovangelo di Giacomo e persino il Vangelo dello pseudo-Matteo,
cf. E. Norelli, Marie des apocryphes: Enquête sur la mère de Jésus dans le chri-
stianisme antique, Labor et Fides, Genève 2009.
17 «Vado piano a trarre conclusioni dal silenzio di Giovanni a proposito del conce-
pimento verginale di Gesù. Questo silenzio potrebbe avere un significato, rap-
presentando il rifiuto dell’idea come sbagliata o non importante; però il silenzio
potrebbe significare altrettanto bene che Giovanni non sapeva nulla di una tale
tradizione (che nel NT compare soltanto in Matteo e in Luca)» (R.E. Brown, The
Community of Beloved Disciple, Paulist Press, New York 1979, tr. it. La comunità
del discepolo prediletto, Cittadella Editrice, Assisi 1982, 19). Condivido la prima
ipotesi di Brown, considero davvero improbabile, invece, che alla fine del I secolo
una comunità vitale e ormai ramificata in Asia Minore come quella giovannea
potesse non conoscere se non i tre vangeli sinottici, quanto meno la “notizia” del
concepimento verginale di Gesù.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 133

d) Analogamente, emerge l’interrogativo se Giovanni conoscesse o meno


alcune lettere paoline18. Seppure non sia possibile affrontare qui la que-
stione in maniera approfondita, mi pare assai improbabile che la messa
in tensione tra Mosè mediatore della Legge e il Figlio mediatore della
grazia, presentata in Gv 1,16-17, possa non presupporre la conoscenza
della prospettiva paolina, in particolare della messa in tensione tra an-
tica alleanza della Legge e nuova alleanza dello Spirito di Cristo pro-
spettata da 2Corinzi 3-4.

3. Il Prologo: origine e funzione

Rinuncio a render conto delle numerose e divergenti analisi stratigrafi-


che e strutturali del Prologo, quindi a tentare di verificare l’ipotesi della sua
dipendenza da un preesistente inno gnostico-battista (Bultmann)19, giudeo-
ellenistico (Becker, Painter), o più plausibilmente cristiano (Käsemann,

18 «La stretta relazione interna tra il pensiero teologico paolino e quello giovanneo
rappresenta il problema più affascinante della teologia neotestamentaria» (M.
Hengel, La questione giovannea…, 141); cf. 140-141; 175; 179; 273; 288-296;
318. Cf. P. Borgen, The Gospel of John: More Light from Philo, Paul and Archae-
ology. The Scriptures, Tradition, Exposition, Settings, Meaning, Brill, Leiden-
Boston 2014, in part. il cap.«Gospel Traditions in Paul and John; Methods and
Structures. John and Synoptics», 67-78. Considero deludente R. Schnackenburg,
Das Johannesevangelium, IV, Herder, Freiburg 1984, tr. it. Il vangelo di Giovanni,
IV, Paideia, Brescia 1985, il cap. «Cristologia paolina e cristologia giovannea»,
125-145.
19 Cf. R. Bultmann, Die Bedeutung der neuerschlossenen mandäischen und mani-
chäischen Quellen fūr das Verständnis des Johannesevengeliums, in “Zeitschrift
für die Neutestamentlischeˮ Wissenschaft, 24, 1925, 100-146, quindi in R. Bult-
mann, Exegetica. Aufsätze zur Erforschung des Neuen Testaments, Mohr Siebeck,
Tūbingen 1967, 55-104; e, ovviamente, R. Bultmann, Das Evangelium des Johan-
nes, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1941, 1-56. Giudico, comunque, troppo
netta l’antibultmanniana affermazione di K. Barrett, The Prologue of St John’s
Gospel, Athlone Press, London 1971: «The Prologue is not a jigsaw puzzle but
one piece of solid theological writing. The evangelist wrote it all» (27). Assu-
mo, pertanto, la pragmatica prospettiva di R.A. Culpepper, The Pivot of John’s
Prologue…:«Even if the prologue contains an earlier hymn, attention needs to be
paid to the structure of the present text apart from source analyses» (2). Come non
segnalare il monito di J. Ashton, Studying John: Approaches to the Fourth Gospel,
Clarendon Press, Oxford 1996: «Any exegesis that depends upon a precisely ac-
curate reconstruction of the Vorlage is open to suspicion. This is not because such
a reconstruction would be unhelpful, but because it is virtually unattainable» (6);
coerentemente, Ashton aggiunge una singolare, ma rivelativa affermazione: «I do
not assume that the hymn was composed before the body of the Gospel. Rather I
134 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Schnackenburg, Haenchen, Wengst, Demke), persino di ambito giovanneo


(Gese, Hofius, Brown); così come rinuncio a render conto delle interpre-
tazioni che rilevano la struttura a chiasma del Prologo20, o che pretendono
di identificarne i versetti interpolati, distinguendoli da un testo originario21.
Il Prologo, piuttosto, è qui assunto nel suo risultato finale, come unità let-
teraria organica, coerentemente connessa con il corpo del vangelo22, di cui
risulta essere la summa e, come vedremo, il vero e proprio principio teo-
logico23. Pertanto, leggerò il Prologo in strettissima connessione, anzi in
continuità con la prima settimana della “missione” gesuana, attestata in Gv
1,19-2,11: ritengo, infatti, che questa presupponga narrativamente il Prolo-
go, o, più precisamente, eventi storici presentati nel Prologo, senza i quali
essa presenta incongruenze narrative irrisolubili24. Seppure un procedimen-

think it likely that it was written at a time when the composition of the Gospel was
well under way» (6).
20 Dopo i lavori pionieristici di Lund e le complesse analisi di Boismard, Lamarche,
Feuillet, il saggio più significativo rimane quello di R.A. Culpepper, The Pivot
of John’s Prologue…, che identifica Gv 1,12 come centro di gravitazione della
struttura a chiasma del Prologo. Tornerò, comunque, su quest’ipotesi.
21 Cf. M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos. Studien zum Verhältnis des Jo-
hannesprologs zum Corpus des Evangeliums und zu 1 Joh, Aschendorff, Münster
1988, in part. I capp. 1, “Der Johannesprolog im 19. Jahrhundertˮ, e 2, “Der Jo-
hannesprolog im 20. Jahrhundertˮ, 3-161. Per un più recente bilancio e un aggior-
namento di prospettive sull’interpretazione del Prologo, cf. G. van der Watt, R.A.
Culpepper, U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel of John. Its Literary,
Theological, and Philosophical Contexts. Papers read at the Colloquium Ioan-
neum 2013, Mohr Siebeck, Tübingen 2016. Cf., inoltre, L. Miller, Salvation-Hi-
story in the Prologue of John. The Significance of John 1:3/4, Brill, Leiden-New
York- København-Köln 1989, 1-16; A. Dettwiler, Le Prologue Johannique….
22 Cf. E. Harris, Prologue and Gospel. The Theology of the Fourth Evangelist, Shef-
fied Academic Press, Sheffield 1994, T&T Clark, London-New York 20042, in
part. 9-25.
23 Per un’introduzione alla questione, cf. J. Staley, The Structure of John’s Prolo-
gue: Its Implications for the Gospel’s Narrative Structure, in “Catholic Biblical
Quarterlyˮ 48/2, 1986, pp. 241-264; e, soprattutto, il notevole saggio di R.A. Cul-
pepper, The Prologue as Theological Prolegomenon to the Gospel of John, in J.G.
van der Watt, R.A. Culpepper, U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel
of John…, 3-26. S. R. Valentine, The Johannine Prologus – a Microcosm of the
Gospel, in “The Evangelical Quarterlyˮ 68/3, 1996, 291-304, definisce Gv 1,1-18
come “a trailerˮ (303) del IV vangelo. Rimando, infine, a J. Painter, The Prologue
as an Hermeneutical Key to Reading the Fourth Gospel, in J. Verheyden, G. Van
Oyen, M. Labahn, R. Beringier (edd.), Studies in the Gospel of John and its Chri-
stology; Festschrift Gilberte Van Belle, Peeters, Leuven 2014, 37-60.
24 In proposito, condivido pienamente la prospettiva di Theobald: «Eine unvorein-
genommene Betrachtung der Eröffnung des vierten Evs zeigt, daß diese nicht mit
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 135

to di questo tipo potrà apparire approssimativo e manchevole da un punto


di vista storico-critico, nella sua indubbia provvisorietà esso mira comun-
que a identificare l’intenzione teologica complessiva dell’ultimo redattore
del IV vangelo25, erede e mediatore di diverse linee teologiche interne al
variegato gruppo giovannista (aggregato mobile e ramificato, così com’è
stato diversamente restituito da Martyn, Cullmann, Boismard, Brown, e
dai più recenti studi di Destro e Pesce)26. Ritengo che quest’“ultimo redat-
tore” del Prologo, coincidente molto probabilmente con l’ultimo revisore
del vangelo, non possa essere identificato né con il presbitero “antidoce-
tista” di 1-3 Gv, né con Cerinto o un giovannista protognostico, in quanto
il testo del IV vangelo pare ancora ambiguo, potenzialmente indeciso tra
le due prospettive scaturitene; sicché l’inserzione di Gv 21 pare essere ag-
giunta più tarda rispetto alla stessa redazione finale del vangelo, in quanto
convergente con le posizioni del presbitero di 1-3 Gv, quindi orientato a
una convergenza di compromesso con prospettive petrine, definibili come
protocattoliche27.

1,18, sondern mit 1,51 endet… Gegen seine Isolierung in der formgeschichtlichen
Exegese hat der Prolog demnach als erster Teil der Texteröffnung Joh 1 zu gelten»
(M. Theobald, Das Evangelium nach Johannes. Kapitel 1-12, Friedrich Pustet,
Regensburg 2009, 489-490).
25 «In its present form, if not in its origin, the gospel must be approached as a unity,
a literary whole» (R.A. Culpepper, Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Li-
terary Design, Fortress Press, Philadelphia 1983, p. 49); «Esistono serie conside-
razioni ermeneutiche, teologiche e letterarie che hanno riportato gli interpreti ad
una “lettura” del testo così come ci appare…Ci sono crescenti indicazioni che mo-
strano come la narrazione del quarto Vangelo abbia senso nel suo ordine presente»
(R.E. Brown, Introduzione al Vangelo di Giovanni…, 77-78); «Pur supponendo
che l’inno al Logos sia esistito prima che il vangelo fosse redatto, la sua precisa
formulazione è andata perduta per sempre. Ne consegue che l’unica base perti-
nente del lavoro di interpretazione è il prologo tale quale è formulato in 1,1-18»
(J. Zumstein, Il vangelo di Giovanni…, I,70). Assumo, pertanto, la prospettiva di
J.A.T. Robinson, The Relation of the Prologue to the Gospel of St John…, 120: «I
accept the view that the whole is the work of a single hand, including the Prologue
and the Epilogue. The attempt to isolate sources on literary grounds cannot be said
to have succeeded».
26 Mi limito a rinviare a J.L. Martyn, History and Theology in the Fourth Gospel,
Harper and Row, New York 1968, Westminster John Knox Press, Louisville-Lon-
don 20033, 145-167; a R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 47-
53; e ad A. Destro e M. Pesce, Come nasce una religione. Antropologia e esegesi
del Vangelo di Giovanni, Laterza, Bari-Roma 1995, 20084.
27 Cf. M. Hengel, La questione giovannea…, 239-243; i redattori di Gv 21 sarebbero
discepoli del presbitero; dopo la morte del maestro, essi avrebbero aggiunto un
secondo epilogo al corpo del vangelo. Cf. H.-J. Klauck, Der erste Johannesbrief.
Der zweite und dritte Johannesbrief, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn
136 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Sia o meno fondata l’ipotesi sopra avanzata che l’ultimo redattore del IV
vangelo conoscesse almeno uno dei vangeli sinottici, in particolare Marco,
comunque emerge una questione chiave: è possibile misconoscere il ruolo
strategico dell’incipit del vangelo, inteso come biografia di Gesù Figlio di
Dio? L’incipit, infatti, è elemento narrativamente, quindi teologicamente
del tutto fondante28, in quanto chiamato a dichiarare l’origine di Gesù, la
sua nascita quale Figlio di Dio, quindi l’identità profonda di colui che è
annunciato come Messia, “fonte” e fine della buona novella salvifica. La
“natura” dell’eroe dipende dalla sua origine. L’inizio della biografia mes-
sianica, per di più relativa a un Figlio di Dio contestato e violentemente
soppresso, è chiamato a spiegare da dove Gesù derivasse il suo singola-
rissimo e di fatto eversivo carisma, quindi come e dove egli fosse nato, a
che titolo egli potesse vantare un rapporto intimo con il Padre, a partire dal
quale aveva preteso di ridefinire l’identità religiosa ebraica, proiettandola
verso l’imminente e destabilizzante irruzione di un Regno, che egli connet-
teva alla sua stessa persona e alla sua attività apocalittica. Allora, è un caso
che sia Marco che Giovanni inizino con il termine ἀρχή e che entrambi
presentino una connessione intima tra ἀρχή (storica o precosmica) di Gesù
e opera/testimonianza del Battista29? Non è, allora, l’incipit giovanneo –
«In principio era il Logos (Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος)» (Gv 1,1) –, che colloca
in una dimensione premondana l’origine e la divina identità sapienziale di

1991-1992, tr. it. Lettere di Giovanni, Paideia 2013, 65: «Secondo i risultati cui si
è fin qui giunti, 1Gv è posteriore all’opera dello stesso evangelista. Con l’ipotetica
componente redazionale non mancano affinità ma anche differenze… All’interno
dell’orizzonte comune della scuola giovannea possono aver avuto luogo processi
più complessi che oggi non si è più in grado di ricostruire con sufficiente preci-
sione. Un dato è certo: la difficile situazione della comunità di cui parla 1Gv si
riflette anche nello strato redazionale del vangelo. L’autore della lettera [1Gv] non
conosceva probabilmente il capitolo aggiuntivo del vangelo, Gv 21»; cf. 59-65.
Per un’ipotesi di ricostruzioni delle diverse fasi della scuola giovannea, cf. G.
Strecker, Die Johannesbriefe, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1989, 19-28.
28 Cf. M.D. Hooker, Beginnings and endings, in M. Bockmuehl e D.A. Hagner (edd.),
The Written Gospel, Cambridge University Press, Cambridge 2005, 184-202, in
part. 189-190, su Mc e le diverse identificazioni della lunghezza del suo “prologo”.
29 «Non dovrebbe esservi dubbio che per Marco l’ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ
Χριστοῦ (1,1) sia precisamente la comparsa di Giovanni» (E. Lupieri, Giovanni
Battista nelle tradizioni sinottiche…, 26). Segnalo come Lc 3,32 utilizzi il verbo
ἄρχω per segnalare l’avvio della missione di Gesù, subito dopo il battesimo e la
visione di Gesù; così, il verbo ἄρχω ricorre in Atti 1,22, per designare l’inizio della
missione di Gesù, avviata dal battesimo e conclusasi con l’ascensione.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 137

Gesù, una retractatio30 dell’incipit o del prologo marciano31 – «Principio


del vangelo di Gesù Cristo [Figlio di Dio] (Ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ
Χριστοῦ [υἱοῦ θεοῦ])» (Mc 1,1) –, che fa “nascere” Gesù quale messianico
Figlio di Dio con la recezione dello Spirito al Giordano32? Inoltre, l’incipit
giovanneo conosce anche l’incipit alternativo di Matteo e Luca? Sia Mat-
teo che Luca (l’uno indipendente dall’altro?) ritrattano la nascita messia-
nica di Gesù dallo Spirito al Giordano (attestata da Marco), collocandola
nel grembo di Maria vergine (sicché la prima testimonianza del Battista
è anticipata nel grembo di Elisabetta: cf. 1,41-45), quindi relativizzando
la discesa battesimale dello Spirito, che da generativa del Diletto del Pa-
dre – che appunto in Spirito lo costituisce quale «ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός»
(Mc 1,11) – diviene soltanto dichiarativa o rivelativa della sua già propria
identità sovraumana di Figlio di Dio, “formatasi” o “avvenuta” nel seno
di Maria, ma non ancora in dimensione premondana33. Nel Prologo gio-

30 Cf. C. Clifton Black, Mark: John’s Photographic Negative, in M.C. Parsons, E.


Struthers Malbon, P.N. Anderson (edd.), Anatomies of the Gospels and Beyond.
Essays in Honor of R.A. Culpepper, Brill, Leiden-Boston 2018, 111-126: il sag-
gio, comunque, mette in rilievo la creativa differenza di prospettive teologiche,
senza pretendere di dimostrare l’influenza “negativa” di Marco su Giovanni.
31 Cf. F.J. Matera, The Prologue as the Interpretative Key to Mark’s Gospel, in
««Journal for the Study of the New Testament» 34/1, 1988, 3-20, in part. 5, ove il
prologo marciano è, sulla scia di Lightfoot, identificato con Mc 1,1-13.
32 A Mc 1,1, segue immediatamente la presentazione del Battista, del suo battesi-
mo di penitenza, quindi, in 1,9-11, la descrizione del battesimo di Gesù e della
teofania che lo rivela, con la discesa dello Spirito dal cielo e il risuonare della
voce: “Tu sei il mio Figlio il Diletto (Σὺ εἶ ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός)ˮ. Cf. già R.E.
Brown, Giovanni…, 4, che, in riferimento all’“ἐν ἀρχῇˮ del Prologo, precisa:
«Si noti come apre il Vangelo di Marco: “Principio del Vangelo di Gesù Cristo
[Figlio di Dio]…”». Sulle affinità dei prologhi di Mc e di Gv, cf. ancora M.D.
Hooker, The Johannine Prologue and the Messianic Secret, in «New Testament
Studies» 21, 1974, 40-58; M.D. Hooker, The Gospel According To St Mark, Con-
tinuum, London-New York 1981, 31-39; G. Neyrand, Le sens de “logos” dans
le prologue de Jean, in «Nouvelle Revue Théologique» 106/1, 1984, 59-71, che
appunto connette strettamente l’in principio di Giovanni e il principio di Marco,
interpretandoli in senso eventuale-rivelativo, sicché «le “Logos” chez Jean joue
le rôle que jouait l’“Evangile” chez Marc» (65).
33 Sulla retroproiezione della “nascita” di Gesù quale Figlio di Dio, dalla resurrezio-
ne da morte (kerygma originario), al battesimo (Marco), al concepimento vergi-
nale nel seno di Maria (Matteo e Luca), cf. R.E. Brown, The Birth of the Messiah.
A Commentary on the Infancy Narratives in Matthew and Luke, Doubleday, New
York 1977, 19932, tr. it. La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadel-
la Editrice, Assisi 1981, 20022, 24-28; 168-173; 976-981. Segnalo la semplice,
ma rilevante ricapitolazione: «Nei racconti del Vangelo sul ministero pubblico il
battesimo era il momento stabilito per identificare apertamente Gesù cristologi-
138 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

vanneo, invece, il riferimento all’origine di Cristo è, com’è noto, duplice:


egli è il Logos che preesiste al mondo, creandolo, sicché egli da sempre è
il veniente dal seno del Padre (e non colui che è stato sopra/naturalmente
generato Cristo nel seno di Maria o carismaticamente divenuto Cristo tra
le acque del Giordano); d’altra parte, «il Logos si fece carne (ὁ λόγος σὰρξ
ἐγένετο)» (1,14), cioè divenne uomo, sicché il Prologo fa evidente allusio-
ne alla nascita storica del Cristo redentore, che ne è il vero baricentro34, ove
comunque il riferimento all’incarnazione risulta connesso con il Battista,
mentre ignora del tutto Maria.
Sorgono, allora, ulteriori interrogativi: il Prologo è un preambolo in
cielo che, pur facendo riferimento all’incarnazione, trascende e precede
ab aeterno l’avvio della descrizione degli eventi storici salvifici, che co-
minciano ad essere narrati soltanto a partire da Gv 1,19? Inoltre, quando
Gv 1,14 proclama l’incarnazione del Logos, indica la legge generale della
rivelazione evangelica o indica un evento storico preciso, avvenuto in quel
paradossale dies unus in principio che connette la preesistenza del divi-
no con la contingenza della storia? Insomma, il Prologo è “al di sopra” o
fuori della serie temporale, insistentemente scandita a partire da Gv 1,29,
quando, con l’indicazione “a ritroso” «il giorno dopo (τῇ ἐπαύριον)», si
determina una ripartizione della prima rivelazione storica di Gesù quale
settimana inaugurale35, conclusa con le nozze di Cana in Gv 2,1-12? Il pri-
mo giorno, allora, è descritto in Gv 1,19-28 o in Gv 1,1-28? Ebbene, ri-
tengo che se il Prologo è incentrato sul «turning point» dell’incarnazione,

camente, cioè dove inizia Marco. Matteo e Luca, scritti dopo Marco, identificano
cristologicamente Gesù al momento del concepimento, mentre Giovanni, che non
descrive il concepimento o la nascita, lo identifica cristologicamente (come la
Parola) in una preesistenza con Dio prima della creazione» (977).
34 Pur se fortemente condizionato da un apriori dogmatico (quello dell’ortodossia
trinitaria e cristologica, retroproiettata sul Prologo), condivido l’assunto fonda-
mentale di S. de Ausejo, ¿Es un himno a Cristo el prólogo de San Juan?...: «El
punto mental de partida para San Juan no es el Logos como Verbo de Dios sin la
carne…, sino el Logos-Cristo, el Cristo histórico… El tema central del Prólogo es
Jesús» (388).
35 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,275-279; e R.E. Brown, Gio-
vanni…, 59-60: “Il Vangelo propriamente detto comincia con la testimonianza di
Giovanni Battista resa in tre giorni (1,29 e 35), giorni che hanno un significato
simbolico più che strettamente cronologico… Questa triplice progressione non
fa che esplicitare lo schema fissato in precedenza in 1,6-8”. Questo significa che,
per Brown, il Prologo è fuori dalla narrazione storica del vangelo e che «il primo
giorno» della settimana inaugurale della rivelazione comincia con Gv 1,29.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 139

annunciando l’irruzione del divino Unigenito preesistente nella storia36, se


in esso “la protologia si converte in escatologia” e la divina preesistenza di-
viene storia umana, allora l’ἡμέρα μία (cf. Gen 1,5), il giorno “assoluto” ἐν
ἀρχῇ che è al di sopra della serie, non può non essere simul primo elemento
della serie, inaugurando la successione temporale della storia redentiva37.
Occorre, allora, trovare nel Prologo il momento paradossale nel quale il
preesistente diviene soggetto storico. Ebbene, soltanto il Battista, la figura
storica concreta che irrompe nella rivelazione protologica del Logos come
dio intimo a Dio, può essere l’indicatore dell’incarnazione come tangenza
tra tempo divino e tempo umano. Se il Battista appare nel Prologo è per
segnalare un evento storico, che non può non essere connesso all’incontro

36 Proprio perché dedicato all’annuncio dell’evento apocalittico dell’irruzione ful-


minea della Luce nel mondo, non ritengo che il Prologo abbozzi una specie di
teologia della storia salvifica, quindi una rivelazione progressiva dall’Eterno,
passando attraverso la storia di Israele, sino all’incarnazione del Logos in Gesù,
come suggerito da M. Coloe, The Structure of the Johannine Prologue and Ge-
nesis 1, in «Australian Biblical Review» 45, 1997, 40-55, in part. 47: «The first
part of the Prologue (3-13) tells the story of God’s revelatory Word and as a story
only gradually unfolds so the Prologue shows the gradual coming of the Word
from the indefinite past of eternity (v. 1) to an identifiable moment in history
when John bore witness to the light» (47). Per una lettura dell’intero Prologo
nella prospettiva di storia della salvezza, che dalla protologia passerebbe per la
storia d’Israele culminante nel Battista, per approdare all’incarnazione di Cristo
e alla generazione della sua comunità spirituale, cf. Th.L. Brodie, The Gospel
According to John…: «The hypothesis put forward here is that it is these first
explicite references to John and the incarnation which provide the basic divisions
of the text. Thus, the prologue is to be divided into three parts: vv. 1-5, 6-13, and
14-18… The prologue is largely a description of salvation history… Thus there is
a threefold division which, to some degree at least, is time-based: the beginning,
the OT, the NT» (135).
37 «Il Prologo è un racconto teologico degli inizi, un dar notizia, nella fede, del-
la “preistoria”, che diventa “storia di Gesù” nell’evento dell’incarnazione» (R.
Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,279). Ebbene, a mio parere, il tur-
ning-point della rivelazione non può che essere l’incarnazione al Giordano, il
momento nel quale il preesistente Unigenito discende nell’uomo Gesù, sicché nel
Prologo noi abbiamo anche l’inizio degli eventi storici redentivi. Cf. l’interessante
proposta di identificare il turning point della struttura chiastica in Gv 1,14, e non
come suggerito da R.A. Culpepper, The Pivot of John’s Prologue …, nel centro
esatto del Prologo, che è Gv 1,12: «The “turning point” of an inverted parallelism
or chiasm tends to be immediately after the centre… This means that, in the case
of the prologue, the “turning point” would be the decisive verse “The Word be-
came flesh…”, even though the structural centre of the prologue is to be located
in the area of vv 12-13» (F. McGrath, Prologue as Legitimation: Christological
Controversy and the Interpretation of John 1:1-18, in «Irish Biblical Studies» 19,
1997, 98-120, in part. 102-103).
140 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

al Giordano tra il Battista e Gesù. Avanzo, pertanto, l’ipotesi che il Prolo-


go sia la riflessione teologica che, dando la parola a Giovanni Battista “il
testimone”, presenta la teofania al Giordano, posta al principio del vangelo
perché assunta quale principio storico della missione di Gesù. Si affac-
ciano, allora, questioni ulteriori: l’Inno alla base della rielaborazione del
Prologo era un inno battesimale giovanneo38? Perché, allora, il battesimo
risulta esservi cancellato? E cosa, eventualmente, ne rimane, oltre alla te-
stimonianza di Giovanni?
Ma procediamo ordinatamente, ribadendo come il Prologo debba ovvia-
mente essere interpretato come risposta alla questione della venuta al mon-
do del Figlio messianico: per questo, la κατάβασις marciana dello Spirito al
Giordano o i racconti matteano e lucano del concepimento verginale dello
Spirito rappresentano venute, quindi “principi” alternativi della potenza
divina in Gesù, rispetto ai quali il Prologo, quindi l’intero IV vangelo par-
rebbero prendere una netta presa di posizione.

4. Gesù figlio di Giuseppe: Giovanni “ebionita” o “cerintiano”?

Come si diceva, malgrado la dottrina dell’incarnazione sia il concetto-


cardine del IV vangelo, non esiste alcun riferimento al miracoloso conce-
pimento di Gesù nel seno della vergine Maria39, che pure Matteo e Luca
avevano collocato “nel principio” storico dei loro vangeli40. Giovanni,
analogamente a Marco, pare dare per scontato che Gesù fosse un uomo
concepito naturalmente. È da notare come, in Gv 1,45, Gesù venga indicato
a Nataniele dallo stesso discepolo Filippo (e non dai suoi nemici!) come

38 Y. Ibuki, Lobhymnus und Fleischwerdung. Studie über den johanneischen Prolog,


in «Annual of the Japanese Biblical Institute» 3, 1977, 132-156, colloca appunto
l’inno nell’ambito della liturgia battesimale, che sarebbe culminata nell’afferma-
zione ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο: cf. 148).
39 S. de Ausejo, ¿Es un himno a Cristo el prólogo de San Juan?..., 421-422, pretende
di rintracciare un’affermazione del concepimento verginale di Gesù nei versetti
1,12-13 del Prologo («i figli di Dio… non da sangue, né da volere di carne, né
da volere d’uomo, ma da Dio sono stati generati»), che illuminerebbero quello
successivo proclamante l’incarnazione del Logos (1,14). Del tutto evidente è l’ar-
bitraria forzatura confessionale, che riferisce alla singola persona di Cristo (che
sarebbe nato da Maria, ma senza carne, sangue e volere di “uomo”), di versetti in
realtà riferiti alla comune generazione dallo Spirito dei credenti in Cristo.
40 «“Coming into the world” denoted not Jesus’ birth by Mary, but John’s presen-
tation of him to the world (1:15, 27)» (P.S. Minear, P.S. Minear, Christians and
the New Creation: Genesis Motifs in the New Testament, Westminster John Knox,
Louisville 1994).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 141

figlio di Giuseppe41; la notizia è ribadita dal vociare dei «Giudei» in Gv


6,4242, senza che l’evangelista si preoccupi di evidenziare l’infondatezza
della notizia, assunta come non problematica. Piuttosto, essa potrebbe es-
sere polemica nei confronti della “notizia” del concepimento verginale43,
forse persino reattiva nei confronti di “criptodocetistiche” volatilizzazioni
della piena umanità di Gesù.
D’altra parte, proprio il confronto tra i due “principi” di Marco e Giovan-
ni evidenzia immediatamente la differenza di prospettiva: mentre per Marco
Gesù è un uomo “adottato” dal Padre, rigenerato dallo Spirito divino44 e
per questo divenuto il messianico Figlio prediletto, per Giovanni Gesù è un
uomo/carne nel quale discende il Logos, lo Spirito, il Figlio dell’Uomo, il
Pane dal cielo che è l’Unigenito preesistente. Senza qui affrontare la diffici-
le questione della sovrapposizione di prospettive cristologiche in progress,
corrispondenti a fasi della storia della comunità stratificatesi nel IV vangelo,

41 «Filippo incontrò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno
scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret (Ἰησοῦν
υἱὸν τοῦ Ἰωσὴφ τὸν ἀπὸ αζαρέτ)”» (Gv 1,45).
42 «E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe (Οὐχ οὗτός ἐστιν
Ἰησοῦς ὁ υἱὸς Ἰωσήφ)? Di lui conosciamo il padre e la madre (οὗ ἡμεῖς οἴδαμεν
τὸν πατέρα καὶ τὴν μητέρα). Come può dunque dire: «Sono disceso dal cielo (Ἐκ
τοῦ οὐρανοῦ καταβέβηκα)»?”» (Gv 6,42).
43 «The Gospel makes clear the public perception that Jesus is the son of Joseph
from Galilee (1:45; 6,42; 7,41-42; 7,50-52) and contains no inarguable indication
that the author was aware of the conception Christology of Matthew and Luke»
(P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…, 129). Cf. Ch.H. Talbert, “And the Word Be-
came Flesh”: When?, in A.J. Malherbe e W.A. Meeks (edd.), The Future of Chri-
stology. Essays in Honour of Leander E. Keck, Fortress, Minneapolis 1984, 43-52,
quindi in The Development of Christology during the First Hundred Years and
other essays on early Christian Christology, Brill, Leiden-Boston 2001, 131-141,
in part. 135.
44 In ebraico, Spirito è il sostantivo femminile ‫( רוח‬Rūaḥ); al battesimo, pertanto,
lo Spirito avviene al Giordano, divenendo la madre carismatica di Gesù, sicché
è attestata, quale variante marciana nel Codex Bezae di Cambridge, l’inserzione
della citazione del Salmo 2,7: «Tu sei mio Figlio. Oggi ti ho generato». La varian-
te torna nelle citazioni battesimali riportate da Epifanio di Salamina, Panarion
I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,7-8; quindi in Giustino, Dialogo
con Trifone 88,3 e 8; tornerò, più avanti, su entrambe. Cf. inoltre, Origene, Com-
mento al vangelo di Giovanni, II,87, che cita un «passo del Vangelo secondo gli
Ebrei, dove il Salvatore pronuncia queste parole: “Poco fa mi prese mia madre, lo
Spirito Santo, per uno dei miei capelli e mi trasportò sul gran monte Tabor”»; cf.
Origene, Omelie su Geremia, 15,4. Ritengo che anche il “rinnegamento” di Maria
e dei propri fratelli carnali, operato da Gesù in Mc 3,31-35, possa presupporre un
riferimento alla nuova identità carismatica di Gesù, divenuto figlio elettivo dello
Spirito/Madre.
142 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

il redattore finale pare approdare a una fusione dialettica tra una cristologia
adozionistica di tipo marciano o “ebionita” (Gesù è figlio di Giuseppe e
Maria)45 e un’“altissima” cristologia sapienziale, che lo rivela come Logos
Unigenito, dio presso il Dio Padre. Ma se Giovanni non conosce o taglia via
qualsiasi riferimento all’incarnazione dell’Unigenito in Maria, occorre spo-
starsi al Giordano46, ove è collocabile l’unica ipotesi logicamente alternativa

45 Definisco ebionismo radicale quello combattuto da Ireneo, AdvHaer IV,33,4 e


V,1,3, ove “gli ebioniti” vengono accusati di negare l’incarnazione del Figlio di
Dio, Verbo, Spirito in Maria, della quale quindi non è riconosciuto il concepi-
mento verginale; questa prospettiva radicale è attribuita al mitico “Ebione” da
Epifanio di Salamina, Panarion, I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti, 2,1;
3,1; 3,6; 14,1-4. Per la dottrina attribuita a Cerinto, cf. Epifanio di Salamina, Pa-
narion, I, tomo II, eresia XXVIII, Contro i cerintiani o merintani, 1,2; 1,5-7.
46 «Troppo spesso si legge Gv 1,14, “La Parola divenne carne”, alla luce dei racconti
dell’infanzia di Matteo e di Luca e si ritiene che il momento di divenire carne
dovrebbe essere automaticamente interpretato come il concepimento/nascita di
Gesù… Reginald Fuller ha reso un buon servizio nel mettere in luce che Giovanni
poteva essere letto in altra maniera. Il Vangelo non parla mai in modo chiaro della
nascita di Gesù. Nel Prologo, prima che ci venga detto che la luce è venuta nel
mondo (1,9-10), si parla di Giovanni Battista. E subito dopo il riferimento alla
Parola divenuta carne, c’è un altro versetto riguardante Giovanni Battista (1,15).
Se si isolasse il Vangelo di Giovanni e lo si leggesse attraverso occhiali doceti, si
potrebbe credere che il momento della venuta della luce nel mondo e il momento
dell’incarnazione della Parola sia stato proprio dopo il battesimo di Gesù, quando
lo Spirito discende sopra Gesù, come dice Giovanni Battista: “Io stesso non l’a-
vevo mai riconosciuto, sebbene la ragione per cui sono venuto a battezzare con
l’acqua fosse proprio quella che gli potesse essere rivelato a Israele… Ho veduto
lo Spirito che scendeva dal cielo, a guisa di colomba, e posarsi su di lui” (1,30.32).
Che ciò sia successo se ne ha una prova nel trattato gnostico di Nag Hammadi, la
Testimonianza di Verità IX 3 (30,24-28) che si rifà alla narrazione giovannea degli
avvenimenti che circondano il battesimo di Gesù: “E Giovanni Battista recò testi-
monianza alla (discesa) di Gesù. Infatti egli è colui che vide la (potenza) che disce-
se sul fiume Giordano”» (R.E. Brown, The Community of Beloved Disciple, Paulist
Press, New York 1979, tr. it. La comunità del discepolo prediletto, Cittadella Edi-
trice, Assisi 1982, 178-179). Il riferimento è a R.H. Fuller, Christmas, Epiphany,
and the Johannine Prologue, in M. L’Engle e W.B. Green (edd.), Spirit and Light.
E.M. West Festschrift, Seabury, New York 1976, 63-73. Ma la tesi era già stata
sostenuta da E.C. Colwell e E. Titus, The Gospel of the Spirit. A Study in the Fourth
Gospel, Harper, New York 1953, 107-11; e, in effetti, già dal pionieristico saggio di
R. Seeberg, Ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο, in Festgabe von Fachgenossen und Freunden
A. von Harnack, zum siebzigsten Geburtstag dargebracht, Möhr, Tübingen 1921,
263-281, in part. 267-275. Cf., inoltre, il notevole saggio di Ch.H. Talbert, “And
the Word Became Flesh”: When?…: «To my knowledge, then, there is nothing in
the Fourth Gospel to lead a hearer to infer that the incarnation took place in connec-
tion with a miraculous conception as opposed to a moment in connection with the
water of John’s baptism» (137). Questa prospettiva è stata ripresa da F. Watson, Is
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 143

del farsi uomo del principio divino preesistente, non senza avere evocato la
sfuggente e ambigua figura di Cerinto, nel quale paiono convivere, a detta
degli eresiologi, ebionismo (Gesù è figlio di Giuseppe e Maria) e una va-
riante docetistica (Cristo/Spirito discenderebbe su Gesù al Giordano, per
separarsi da lui prima della passione), che ricorrerà frequentemente in testi
gnostici. Certo, la polemica violentissima che divise la comunità giovannea
parallelamente alla definizione progressiva del corpus, in particolare in ri-
ferimento alla figura dominante del presbitero, presenta un contesto all’in-
terno del quale pare emergere l’oscillante profilo di questo giudeo-cristiano
docetista47. D’altra parte, se il motivo del conflitto teologico tra fazione
giovannea del presbitero e fazione giovannea secessionista fosse stata non
tanto la docetistica negazione della realtà storica e carnale di Cristo48, né la
protognostica dottrina cerintiana del ritrarsi dello Spirito divino dall’uomo
Gesù al momento della passione e della morte49, ma piuttosto la negazione

John’s Christology Adoptionist?, in L.D. Hurst e N.T. Wright (edd.), The Glory of
Christ in the New Testament: Studies in Christology, Clarendon, Oxford 1987, 113-
124: «The union of the Logos or Son of God with Jesus of Nazareth took place in
the descent of the Spirit at his Baptism» (114); ne deriva la restituzione cerintiana,
appunto adozionista della cristologia di Giovanni, che pure sarebbe attestata da
diversi testi gnostici, dalla Testimonianza veritiera al Secondo trattato del grande
Seth. Segnalo, infine, il rilevante volume di un’allieva di Talbert, P. E. Kinlaw,
The Christ is Jesus: Metamorphosis, Possession, and Johannine Christology, Brill,
Leiden 2005. Cf. T. Engberg-Pedersen, Logos and Pneuma in the Fourth Gospel,
in D.E. Aune e F.E. Brenk (edd.), Greco-Roman Culture and the New Testament:
Studies Commemorating the Centennial of the Pontifical Biblical Institute, Brill,
Leiden 2012, 27-48: anche qui Gv 1,32-34 è interpretato come descrizione del
battesimo di Gesù al Giordano (cf. 27; 34; 37-38). Anche per J.F. McGrath, Pro-
logue as Legitimation…, 114 e 117-118, l’incarnazione di Gesù è avvenuta al suo
battesimo. A differenza di Watson, Talbert, Kinlaw, non ritengo, comunque, identi-
ficabile la prospettiva incarnazionistica di Giovanni con quella carismatico-elettiva
o “adozionistica” di Marco, per il quale lo Spirito è una potenza impersonale di
Dio, più che una vera e propria ipostasi distinta e mediatrice. Nella prospettiva
di Marco, non avrebbe senso affermare: «Prima che Abramo fosse, io sono» (Gv
8,58), con l’identificazione personale di Gesù con il preesistente, ontologicamente
ipostatizzato Nome di Dio di Esodo 3,14.
47 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 178-180; e soprattutto
The Epistles of John, Doubleday, New York 1982, tr. it. Le lettere di Giovanni,
Cittadella Editrice, Assisi 1986, 20172, Appendice II, «Cerinto», 1033-1040, che
spinge Cerinto in direzione docetistica e protognostica, piuttosto che in direzione
propriamente giudeo-cristiana.
48 È questa la convincente prospettiva di R.E. Brown, La comunità del discepolo
prediletto…, 135-139; R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 116-136.
49 Secondo P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…, i giovannisti secessionisti sarebbero
effettivamente cerintiani, avrebbero cioè prospettato una cristologia della posses-
144 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

della portata soteriologica della morte di Cristo, essendo la salvezza attri-


buita soltanto alla “protognostica” conoscenza della rivelazione di Luce di-
vina e alla fruizione dello Spirito celeste, la peculiare cristologia dinamica
Logos/Sarx attestata dal IV vangelo e dal suo Prologo potrebbe essere stata
condivisa da entrambi i fronti in conflitto50.
Concordo, pertanto, con la tesi di Brown piuttosto che con la tesi di
Theobald51: 1) il Prologo precede la polemica anti“docetistica” delle Let-

sione temporanea di Gesù da parte dello Spirito, disceso su di lui al Giordano al


momento del battesimo, mentre il presbitero e i suoi seguaci, pur condividendo
l’identificazione del battesimo al Giordano con l’evento dell’inabitazione dello
Spirito in Gesù, l’avrebbero proclamata come possessione «indwelling», perma-
nente anche nel Cristo patiens, morto e risorto.
50 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 178.
51 Per M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos…, il Prologo, ultimo documento
del conflitto intragiovanneo attestato da 1-2Gv, sarebbe stato elaborato, in cor-
rispondenza con la polemica “antidocetistica” del presbitero, per contrastare la
cristologia dualistica del protognostico Cerinto, attivo all’interno della comunità
giovannea, che avrebbe formulato una docetistica cristologia battesimale (appunto
una «dualistische Taufchristologie»: 491), per la quale soltanto in occasione del
battesimo sarebbe disceso su Gesù lo Spirito, identificato con il Logos/Cristo pre-
esistente, astratta, mitica figura di intermediazione interpretata come (un proto-
gnostico) Cristo impassibile: «Le Prologue s’oppose à une christologie de l’Esprit
selon laquelle c’est seulement par la descente du Pneuma sur lui à l’occasion de
son baptême par Jean, que Jésus devint celui qu’il se manifesta être, le rêvélateur
de Dieu» (M. Theobald, Le Prologue johannique…, 208). «Gegen die Vorstel-
lung, das Pneuma sei anläßlich seiner Taufe auf Jesus herabgekommen und habe
ihn vor seinem Tod wieder verlassen, bezeugt der Täufer, daß Jesus durch seinen
Tod die Sünde der Welt hinwegschafft (1,29) und daß nicht das Pneuma, sondern
er selbst bei Gott präexistierte (1,30)… Daß die Taufe Jesu verschwiegen wird,
paßt gut in diesen Zusammenhang, der ihre Deutung als Berufungswiderfahrnis
Jesu unterbinden möchte. Jesus wird in seiner Taufe nicht erst zum Messias und
Heilbringer, sondern ist es schon von Anbeginn; der Täufer hatte nur die Aufga-
be, das Geheimnis seiner Person durch sein Zeugnis zu entbergen» (M. Theobald,
Die Fleischwerdung des Logos…, 281). Insomma: 1) l’intuizione fondamentale
del IV vangelo sarebbe quella del Figlio dell’Uomo disceso dal cielo, incarnato-
si sino alla morte, per essere glorificato nel suo paradossale innalzamento; 2) la
cristologia del Logos sarebbe stata, invece, introdotta all’interno della tradizione
giovannea dai rappresentanti della «dualistische Taufchristologie» (491); 3) la più
tarda introduzione della dottrina dell’incarnazione “per nascita” (attestata da 1,14)
da parte dell’autore del Prologo correggerebbe, pertanto, l’eredità criptognostica
della cristologia del Logos introdotta della «“dyophysitische” Taufchristologie»
(491), inevitabilmente distratta nei confronti della realtà storica dell’uomo Gesù,
contrapponendole una protocalcedonese cristologia dell’unità della persona: «Ge-
gen eine “metaphysische” Spaltung des Erlösers in den irdischen Jesus und den
auf ihn bei seiner Taufe herabgekommenen Pneuma-Christus (=Logos) beharrt der
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 145

tere di Giovanni; esso, infatti, nella sua intima relazione con 1,29-34 e in

Prologautor auf der Einheit der Person Jesu als des Heilbringers» (492); 4) per
affermare la piena identità personale tra Gesù e il Figlio dell’Uomo/Logos/Cristo/
Spirito celeste, inevitabilmente Theobald è costretto a postulare (seppure non riu-
scendo a trovare nel IV vangelo e neanche in 1-2Gv alcun testo in proposito!) un’i-
dentità originaria tra Logos e carne sin dalla nascita di Gesù, sicché viene postulata
una «incarnation par naissance» (Le Prologue johannique…, 208): «Jesu Person
wurde nicht erst durch irgendeine Begabung bei der Taufe zum Logos-Träger,
sondern ist von ihrer Geburt an mit diesem identisch… Jesus ist keine zufällige,
kontingente “Äußerung” Gottes, sondern sein wesentliches, einziges Wort, in dem
er sich von Ewigkeit her in seiner ganzen Wahrheit geäußert und entäußert hat, sein
Selbst-Ausdruck» (Die Fleischwerdung des Logos…, 492). La novità dell’autore
del Prologo e del redattore finale del vangelo sarebbe, pertanto, proclamare l’in-
separabilità dell’unione tra Spirito/Logos/Figlio dell’Uomo e uomo Gesù, perdu-
rante sino alla morte e resurrezione. 5) Per Theobald, comunque, l’affermazione
dell’unità della persona di Cristo, proclamata in Gv 1,14 con l’identificazione della
carne del Gesù storico con il Logos stesso, ubbidirebbe a un’esigenza di custodia
della tradizionale memoria della realtà del Gesù storico, messa in questione dalla
cristologia dualistica “cerintiana”: «Damit schließt 1,14 gegen die Spekulation der
Taufchristologie an den Geist der ersten Jesus-Tradition an, für die die Einheit der
Person Jesu selbstverständliche Voraussetzung war. Diese Einheit Jesu im Rahmen
der rezipierten und neudefinierten Logoschristologie nun ihrerseits wieder zum
Gegenstand der Spekulation zu erheben, lag dem Autor des Prologs, der seinen
Text zur Bewältigung einer christologischen Krise geschaffen hatte, völlig fern.
Er hat mit 1,14 nur die Grenze markiert, die seiner Überzeugung nach unbedingt
zu respektieren ist, nämlich das Bekenntnis zur Identität Jesu als des Offenbarers
Gottes, das die Option für die Wertschätzung des Geschöpflich-Sarkischen (vgl.
1,3.10.11.14) miteinschließt» (492-493). Trovo le tesi di Theobald non convincenti
e fortemente condizionate da un presupposto confessionale. Seguendo Brown –
che opportunamente sottolinea la difficoltà di ricostruire l’identità storica di Ce-
rinto a partire da testimonianze eresiologiche divergenti (da Ireneo e dall’autore
dell’Elenchos, a Eusebio ed Epifanio, sino a Dionisio Bar Salibi) –, ritengo che:
a) i secessionisti combattuti dal presbitero in 1-2Gv non siano identificabili con
Cerinto, che pare aver radicalizzato le loro posizioni in direzione gnostica; b) che
il Prologo e l’intero Gv possano essere interpretati come patrimonio comune delle
due fazioni giovannee in conflitto, sicché, contro l’interpretazione di Theobald, mi
pare che il Prologo non sia interpretabile come testo anticerintiano; c) in partico-
lare, condivido la prospettiva di R.A. Brown, Le lettere di Giovanni…, 170, che
esclude chiaramente che Gv 1,14 possa essere interpretato come versetto antiseces-
sionista, in quanto gli stessi secessionisti non avrebbero negato il rapporto del Lo-
gos con la carne, ma si sarebbero limitati a non identificare nella morte della carne
l’evento salvifico, che piuttosto identificavano con la stessa teofania della Luce/
Gloria al Giordano; d) a mio parere, entrambi i fronti giovannei condividevano la
convinzione che l’incarnazione del Logos fosse avvenuta al Giordano, ma diver-
gevano sull’interpretazione dell’evento soterico: già perfettamente manifestatosi
con la discesa del Logos/Spirito al Giordano per i secessionisti, successivamente
espulsi, quindi evolutisi verso prospettive gnostiche; compiutosi soltanto con la
146 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

particolare con la katabasis dello Spirito di 32-24, non attesta una prospet-
tiva anti“docetistica”, piuttosto una prospettiva ancora ambigua52, ove l’e-

crocifissione e la morte, quindi l’effusione del sangue, per il presbitero e la setta


giovannea che finisce per imporsi come “ortodossa”. Comunque, nessuna testimo-
nianza documentata è possibile riconoscere in Gv, né in 1-2Gv sull’incarnazione
per nascita, postulata da Theobald. Se, poi, si pretendesse di identificare nel μένειν
di Gv 1,33 una garanzia anticerintiana (cf. M. Theobald, Die Fleischwerdung des
Logos…, 272), sottolineo come persino il giudeocristiano Vangelo dei “Nazarei”,
testimoniatoci da Girolamo, afferma che lo Spirito disceso su Gesù al battesimo
trova in lui la sua «requies», quindi la sua definitiva permanenza; e questo mal-
grado lo Spirito, che è lo stesso che aveva visitato Adamo, i patriarchi, Mosè, i
profeti, non abbia una dimensione ipostatica paragonabile a quella del preesistente
Logos giovanneo. Infine, analogamente, contro le affermazioni di M. Theobald,
Le Prologue et ses lecteurs implicites…, 210-211, sottolineo come, se certo 1-2Gv
insistono sulla confessione di Cristo quale Figlio di Dio incarnato in Gesù, quindi
l’essere venuto di Cristo nella carne, mai si soffermano a proclamare che l’incar-
nazione del Figlio in Gesù sia avvenuta con la nascita, né a polemizzare contro una
cristologia dell’incarnazione battesimale, interpretata come «christologie dualiste
de la séparation» tra Spirito divino e uomo Gesù (210).
52 Fondamentale è R.E. Brown, Le Lettere di Giovanni…, Introduzione, V, B, cap.
2, «Cristologia secessionista e Quarto Vangelo», 120-128: i “secessionisti” avreb-
bero preso spunto dal testo del IV vangelo, affermando che il Logos era disceso
su Gesù al momento del battesimo, quindi il loro principio era «Cristo venne in
acqua» (125). «Lo Spirito può essere sceso su Gesù in collegamento con il suo
battesimo e avere contrassegnato la rivelazione salvifica di Dio (come sostene-
vano i secessionisti)» (789). Pertanto, sarebbe specifico dei secessionisti non un
docetismo ingenuo e radicale, quale quello combattuto da Ignazio di Antiochia,
ma un docetismo raffinato: essi riconoscevano, come il IV vangelo, la reale uma-
nità di Cristo, ma non ritenevano che la morte della carne fosse il fondamento
della salvezza, bensì la rivelazione della gloria appunto avvenuta con la teofania
al Giordano: «I secessionisti ammettevano la realtà dell’umanità di Gesù, ma rifiu-
tavano di riconoscere che il suo essere nella carne era essenziale al quadro di Gesù
come il Cristo, il Figlio di Dio» (126). Diviene quindi possibile ipotizzare che «il
vangelo di Gv potesse venire letto dai secessionisti in termini di una incarnazione
al battesimo: “Venne con/in acqua”. O, se non spinsero la formula così lontano,
potrebbero almeno avere collegato alla scena del battesimo il dono fondamentale
dello Spirito e la fondamentale rivelazione di Gesù come Figlio di Dio» (126). «Al
massimo gli avversari dell’autore [di 1Gv] sono stati precerintiani nell’accentuare
il battesimo sulla morte… La concezione secessionista non deve necessariamente
avere a che fare con quella di Cerinto o quella dei doceti, i quali pensavano che
Gesù non avesse un corpo umano…. Essi credevano in una vera incarnazione, ma
intendevano che l’inno della comunità giovannea (il prologo del vangelo di Gv),
con i suoi riferimenti a Giovanni Battista in stretta prossimità de “la Parola divenne
carne” (1,6; 9; 14-15), significasse che quest’incarnazione avvenne al battesimo.
Per loro, la piena venuta di Gesù Cristo come Figlio di Dio (si veda Gv 1,49 dove
Gesù viene immediatamente salutato come Figlio di Dio) avvenne nell’acqua e
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 147

saltazione della teofania del Logos di Vita, Luce e Gloria prevale rispetto
alla stessa proclamazione della realtà salvifica dell’incarnazione. Il Pro-
logo, pertanto, è anteriore allo scindersi tra 1) la radicalizzazione “cerin-
tiana”, quindi protognostica, di un’incarnazione “dualistica”, provvisoria,
che afferma l’unione dello Spirito con l’uomo Gesù al Giordano, quindi la
dimensione non salvifica della morte dell’uomo Gesù; e 2) la polemica an-
tidocetistica del presbitero, attestata dalla Lettere di Giovanni, che insiste
non soltanto sul carattere definitivo dell’unione tra Spirito e Gesù avvenuta
al Giordano (cf. già l’ἔμεινεν ἐπ' αὐτόν di Gv 1,32), ma anche sulla dipen-
denza della salvezza dal reale sacrificio espiatorio della carne di Cristo (tesi
influenzata da Paolo?), quindi dal dono del suo sangue sulla croce, sicché,
come proclama 1Gv 5,5-8, la salvezza non viene soltanto dallo Spirito e
dall’acqua (quindi dalla manifestazione salvifica dello Spirito dell’Unige-
nito al Giordano), ma anche dal sangue di Gesù morto in croce.
Il Prologo, infatti, afferma una prospettiva condivisibile da parte di en-
trambi i fronti che verranno a confliggere nel seno stesso della comunità
giovannea: a) l’incarnazione del Logos nella carne di Gesù al Giordano,
cioè al cospetto del Battista (come confermato da 1,32-34), è manifesta-
zione della Luce principale e della sua gloria: l’affermazione dell’incar-
nazione di 1,14 non è comunque affatto approfondita in senso “realista”,
come ad esempio lo sarà nel Prologo di 1Gv 1,1-3. Come ha chiarito Ernst
Käsemann, che ha riconosciuto attivo nel Prologo un docetismo ingenuo,
l’aspetto della manifestazione apocalittica della gloria divina in Cristo pre-
vale nettamente rispetto a quello dell’incarnazione reale e kenotica del Lo-
gos nell’uomo Gesù, sicché il Prologo culminerebbe in 1,14b, piuttosto che
in 1,14a, come sostenuto da Bultmann53. b) L’evento battesimale al Gior-

ciò fu quando lo Spirito discese (1,32) – niente fu più necessario dal punto di vista
salvifico. Una tale concezione può essere collegata alla posteriore tesi mandea:
“Quando venni, io l’inviato dalla Luce… venni con il segno (di olio?) su di me e
con il battesimo” (Diritto Ginza 2.62.10-14; Lidzbarski, pp. 57-78). L’autore [il
presbitero] sta negando la tesi che la venuta di Gesù nel battesimo fosse sufficien-
te ed egli sta insistendo che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, venne completamente
come Salvatore del mondo (1Gv 4,14) solo tramite la sua morte quando servì da
riparazione per tutto il mondo (2,2). Non è chiaro che cosa l’autore della lettera
voglia dire affermativamente riguardo alla venuta nel battesimo, ma sicuramente
egli non si preoccupa di metterla in risalto» (R.E. Brown, Le Lettere di Giovanni…,
786-787). Comunque, Brown continua a presentare la dottrina dell’incarnazione
del Logos al Giordano/battesimo come tesi soltanto plausibile, non escludendo
esplicitamente quella tradizionale dell’incarnazione in Maria.
53 «È impossibile non scorgere il pericolo che minaccia la sua cristologia della glo-
ria; è il rischio del “docetismo”, che si presente in una forma ingenua e non è an-
cora riconosciuto come pericolo… Giovanni non ha saputo esprimersi altrimenti
148 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

dano viene di fatto rimosso, perché evidentemente non funzionale all’esal-


tazione di Gesù, essendo connesso all’escatologica manifestazione elettiva
dello Spirito sul profeta/unto/Cristo di Dio, vantata dagli stessi gruppi che
riconoscevano Giovanni il Battista come il profeta escatologico (identifi-
cato con lo stesso messia atteso?), evidentemente in rapporto di rivalità
con la comunità giovannea gesuana. Nel Prologo, il Battista riconosce la
preesistenza del Logos, quindi la superiorità di Cristo rispetto al possesso
battista dello Spirito, che in 1,32-34 (frammento anteriore al Prologo) è
comunque attribuito unicamente a Gesù, sottolineando come discende su
di lui, ma per permanervi definitivamente (l’aggiunta del μένειν è una pri-
ma indicazione dell’esaltazione di Gesù rivale nei confronti della pretesa

che nella forma di un docetismo ingenuo» (E. Käsemann, L’enigma del Quarto
Vangelo…, 37). Infatti: «Nel quarto vangelo la gloria di Gesù domina fin da prin-
cipio l’intera presentazione, tanto che l’inserimento della storia della passione
costituisce inevitabilmente un problema. Eccettuati i pochi accenni che la antici-
pano, la passione di Gesù compare solo alla fine del Vangelo. Si potrebbe quasi
dire che la passione costituisca un’aggiunta, perché, se da una parte Giovanni non
la poteva tralasciare, dall’altra non la poteva neppure inserire in modo organico
nel suo vangelo con la forma che essa aveva ricevuto dalla tradizione» (20). «La
dichiarazione che la Parola è stata fatta carne vuol veramente dire qualcosa di più
del fatto che egli è disceso nel mondo degli uomini, che è venuto a contatto con
ciò che è terreno e che quindi è stato possibile un incontro diretto con lui? Tutto
questo non è forse subordinato all’altra dichiarazione: “Abbiamo contemplato la
sua gloria”, da cui soltanto riceve il suo contenuto» (22). Conseguentemente, la
morte [di Gesù] è la manifestazione dell’amore divino che si dà e il ritorno vit-
torioso dal mondo straniero al Padre che lo ha mandato» (23), sicchè «Giovanni
comprende l’incarnazione come proiezione della gloria della preesistenza e la
passione come ritorno in essa» (31). In questa prospettiva, che condivido, cf. le
limpide pagine di R.E. Brown, La comunità dei discepolo prediletto…, 136-139;
in part.: «Il Gesù giovanneo non ha l’aspetto di una vittima durante la passione…
L’idea del sacrificio ha ceduto il passo a quella della rivelazione, come esprime
chiaramente T. Forestell, The Word of the Cross: Salvation as Revelation in the
Fourth Gospel, Istituto Biblico, Roma 1974, 191: “La croce di Cristo in Gv viene
valutata precisamente in termini di rivelazione in armonia con la teologia di tutto
il Vangelo, invece che in termini di sacrificio vicario ed espiatorio per i peccati”…
La morte fisica di Gesù non ha alcuna particolare importanza se non come mani-
festazione della doxa» (137-139); cf. R.E. Brown, Giovanni…, 914-918. Al con-
trario, per il prevalere nel Prologo di una prospettiva antidocetistica, centrata su
1,14, oltre ai lavori sopra citati di Theobald, cf. W. Loader, Jesus in John’s Gospel.
Structure and Issues in Johannine Christology, Eerdmans, Grand Rapids 2017,
373-392. Per una valutazione sistematica della questione docetistica, a partire
dalla polemica attestata in 1Gv, cf. W. v. Heyden, Doketismus und Inkarnation.
Die Entstehung zweier gegensätzlicher Modelle von Christologie, Narr Francke
Attempto Verlag, Tübingen 2014, 3-216.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 149

del possesso dello Spirito da parte del Battista): evidentemente il Prologo


riflette l’esigenza di un innalzamento ulteriore dell’identità di Gesù rispetto
a una cristologia “adozionistica” della permanenza definitiva dello Spirito
su Gesù, ultimo e supremo “figlio di Dio”, attestata anche, come vedremo,
dal Vangelo dei “Nazarei” o dal corpus pseudo-clementino.
Rivelativi di quest’innalzamento protologico e ontologico dello Spirito,
operato dal Prologo, sono Gv 3,1-21 (il colloquio di Gesù con Nicode-
mo) e 3,27-36 (l’ultima testimonianza del Battista nei confronti di Cristo
“sposo”)54: vi viene esaltato il Figlio dell’Uomo che discende dal cielo,
che è l’Unigenito del Padre, la Luce venuta nel mondo, il Cristo che dona
davvero lo Spirito senza misura, quindi la Vita eterna. Ebbene, Cristo, in-
nalzato e glorificato sulla croce, è qui contrapposto al Battista e a ciò che
viene dalla terra (quindi a ciò che è naturale), incapace di donare lo Spirito
che viene dall’alto55. Per la salvezza non basta, pertanto, l’acqua del batte-
simo, seppure questo rimane il presupposto sacramentale delle stesse co-
munità gesuane, stabilito da Gesù stesso (cf. Gv 3,22-26; 4,1), né soltanto
un generico possesso dello Spirito, ma è necessario il dono dello Spirito di
Gesù Cristo, dell’Unigenito, della sola Luce che dà Vita eterna. Ora, il IV
vangelo connette il dono dello Spirito di Gesù al suo sacrificio “pasquale”,
come testimonia già Gv 1,29 (ove egli è presentato dal Battista come il
sacrificale agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, con riferimento
al Servo sofferente del deutero-Isaia)56 e come suggerisce simbolicamente
il miracolo di Cana. D’altra parte, l’insistenza della più tarda 1Gv sulla
proclamazione che la salvezza non deriva solo dall’acqua, ma dall’acqua e
dal sangue57, sembra radicalizzare polemicamente il riconoscimento della
dipendenza della salvezza dalla morte di Gesù sulla croce, quando dal suo

54 Per una convincente analisi del rapporto di Gv 3,31-36 come ipertesto dell’ipote-
sto Gv 3,1-21, cf. J. Zumstein, Il vangelo secondo Giovanni…, I, 169-181.
55 Sull’opposizione relativa tra Gesù celeste e Giovanni terreno, che riconosce colui
che viene dall’alto e a lui rinvia sottomettendoglisi, quindi senza opporglisi asso-
lutamente, cf. R.E. Brown, Giovanni…, 212-215.
56 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 77-84.
57 «Questi [il Figlio di Dio] è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo;
non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende
testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono
testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue e questi tre sono concordi… E la
testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Fi-
glio» (1Gv 5,6-8 e 11). Probabilmente, il testo è da leggere in connessione con Gv
19,34; cf. R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 780-789; e 124-128.
150 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

costato discendono acqua e sangue58, ovvero il dono dello Spirito di Gesù


recepito tramite l’inserimento battesimale nella comunità pneumatica. Co-
munque, il riferimento alla crocifissione, quindi anche all’agnello, è fina-
lizzato alla glorificazione del Figlio: come vedremo, la passione sino alla
morte di Gesù coincide con il suo innalzamento! Soltanto l’innalzamento
della cristologia, paradossalmente operato tramite il riferimento alla cro-
cifissione del Figlio dell’Uomo disceso dal cielo come sua restituzione al
cielo, riuscirà a garantire uno scarto assoluto rispetto a una “cristologia”
rivale battista.

5. Il battesimo di Gesù messo “fuori gioco” e l’innalzamento antibatti-


sta della cristologia gesuana

Ma torniamo alla rimozione giovannea del battesimo di Gesù. Tutti e


quattro i vangeli canonici testimoniano che la missione di Gesù ha preso
avvio da un’esperienza carismatica o da una rivelazione/visione celeste,
ricevuta in connessione con i riti battisti di Giovanni al Giordano59. È del
tutto evidente che il IV vangelo conosce, ma ritratta radicalmente la noti-
zia, attestata dai tre sinottici, oltre che trasmessa come dato storico nelle
diverse tradizioni delle comunità gesuane60. Se, infatti, Giovanni condivide

58 Cf. Gv 19,34. Su Cristo trafitto, cf. il notevole commento a Gv 19,31-37 di J.


Zumstein, Il vangelo di Giovanni…, II,905-912, il quale fa comunque culminare
la scena nell’atto del «vedere» credente dei discepoli di Gesù, evocato tramite
la citazione di Zaccaria 12,10 (cit. in Gv 19,37) e connesso al glorioso (più che
patico) innalzamento sulla croce di Cristo in Gv 3,14 e 12,32-33.
59 Cf. le equilibrate conclusioni di J.D.G. Dunn, Jesus and the Spirit. A Study of
the Religious and Charismatic Experience of Jesus and the First Christians as
Reflected in the New Testament, SCM, London 1975, Eerdmans, Grand Rapids
19972, 53-67.
60 Cf. M. Hengel, La questione giovannea…, 165: «Il vangelo di Marco che, al pari
di Giovanni, non ha una preistoria biografica e non conosce la nascita verginale,
ma parla invece della venuta dello Spirito sotto forma di colomba e dell’adozione
di Gesù come Figlio di Dio al momento del battesimo, lo fa in modo molto più
preciso di Giovanni, per il quale il racconto diventa accettabile solo con l’in-
troduzione di Giovanni Battista come testimone». «Il narratore sembra dare per
nota ai lettori la scena del battesimo di Gesù secondo quanto attestato nei vangeli
sinottici (cf. Mc 1,9-11 e paralleli). Procede a una completa riscrittura dell’epi-
sodio, ormai incentrato sulla discesa dello Spirito e sulla persona di Gesù. In tal
modo introduce uno scarto fra la concezione tradizionale del battesimo di Gesù
e l’interpretazione che egli intende offrirne… A differenza dei sinottici (cf. Mc
1,10 e paralleli), la discesa dello Spirito su Gesù non è legata a un atto battesima-
le amministrato da Giovanni, ma è oggetto di una visione (τεθέαμαι). Giovanni
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 151

con Luca l’omissione della descrizione del battesimo di Gesù per mano del
Battista, d’altra parte, a differenza di Luca, arriva addirittura a censurare la
notizia di un battesimo di Gesù. Questa censura è, effettivamente, eclatante
e il tentativo, frequente presso i critici, di cercare di recuperare l’evento del
battesimo di Gesù a partire dalle oblique affermazioni di Gv 1,32-34 è non
soltanto arbitrario, ma persino fuorviante, in quanto finisce per rimuovere
del tutto la questione davvero massima, anzi capitale del perché il IV van-
gelo abbia introdotto una così rilevante messa tra parentesi di una notizia
storica unanimemente attestata61.
Infatti, secondo «il criterio di imbarazzo», prova della storicità dell’e-
vento del battesimo di Gesù è la stessa aspra difficoltà teologica che la sua
subordinazione al potere purificatorio del Battista comporta62, una volta
identificato Gesù con l’escatologico e salvifico Figlio di Dio, fosse egli
restituito come Vero Profeta, nuovo/ultimo Adamo, Messia/Cristo, Figlio
di Dio prediletto, Figlio dell’uomo, Sapienza, Potenza di Dio, Nome, “Io
Sono”, Logos/Luce/Vita, Unigenito, etc…. Se Gesù è l’uomo perfetto, l’e-

non interviene nel suo ruolo tradizionale di “battezzatore”, ma nella sua funzione
giovannea di testimone. Teologicamente questo vuol dire che la dignità del Gesù
giovanneo non è stabilita dal battesimo che Giovanni gli avrebbe dispensato, ma
che al contrario l’effusione dello Spirito, indipendente da qualsiasi azione del
Battista, è il segno di una dignità di origine trascendente» (J. Zumstein, Il Vange-
lo secondo Giovanni…, I,104 e 109). È metodologicamente opportuno ricordare
questa rigorosa precisazione di R.E. Brown, La nascita del Messia…: «Con le
normali regole delle testimonianze bibliche si può ritenere che Gesù fu di fatto
battezzato da Giovanni Battista, ma non possiamo sapere quanto venne rivelato
in quella circostanza riguardo a che cosa e a chi, neppure realmente se i cieli si
aprirono, se una voce si fece udire dall’alto e una colomba discese» (978). La
restituzione narrativa del battesimo di Gesù è creazione di ciascuno degli evange-
listi, che ovviamente retroproiettano sul battesimo le loro diverse interpretazioni
cristologiche.
61 «Si on ne connaissait l’événement grâce à une autre tradition (synoptique), la
vision johannique ne laisserait deviner à personne que Jésus s’est fait baptiser par
Jean» (M. Theobald, Le Prologue et ses lecteurs implicites…, 214). «Auch daß
die Taufe Jesu durch Johannes verschwiegen wird, ist ein deutliches Zeichen für
solche Polemik [quella relativa all’interpretazione del battesimo all’interno della
comunità giovannea]» (M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos…, 280). Ri-
tengo che la “rimozione” del battesimo dipenda comunque non da una polemica
intragiovannea (come ritiene Theobald), ma soprattutto da una polemica della
comunità gesuana contro quella del Battista.
62 Cf. Cf. J.P. Meier, A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus. Vol 2: Mentor,
Messages, and Miracles, Doubleday, New York 1994, tr. it. Un ebreo marginale.
Ripensare il Gesù storico. 2: Mentore, messaggio e miracoli, Queriniana, Brescia
2002, 20032, 167-168.
152 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

letto recettore/vettore dello Spirito divino, come mai deve ricevere da un


altro o per mediazione di un altro il decisivo lavacro escatologico, quindi
lo stesso dono dello Spirito? In effetti, la diminuzione protocristiana del
battesimo di Giovanni Battista, ridotto a mero rito lustrale “d’acqua” pro-
pedeutico al vero battesimo nello Spirito che sarebbe stato impartito da un
altro atteso, non regge affatto: in realtà se il battesimo giovanneo preten-
deva di togliere il peccato63, non poteva non pretendere di trasmettere il
salvifico Spirito di Dio, per di più se Giovanni aveva scelto di situare la sua
predicazione presso il Giordano, “porta del cielo” ove Elia ascende a Dio
e il suo Spirito discende su Eliseo (cf. 2Re 2,1-15)64. Impartendo un rito
irripetibile d’iniziazione ultima e di definitiva remissione dei peccati, non
riducibile a periodica purificazione lustrale65, Giovanni si considerava evi-
dentemente l’eletto mediatore dello Spirito, il profeta/vettore carismatico
proteso verso il giudizio ultimo, immediatamente conseguente al ritorno di
Elia o del messia (forse si identificava con l’uno o con l’altro?) e introdut-
tivo al regno escatologico66.
Gesù stesso, in effetti, facendosi battezzare da Giovanni al Giordano,
ha riconosciuto il suo carisma superiore, divenendo suo discepolo. Allora,
inizialmente almeno, Gesù ha pensato che Giovanni fosse il messia o il
nuovo Elia atteso? In tal caso, Gesù non deve aver riconosciuto, facendosi
battezzare da lui, la propria inferiorità nei confronti del Battista, quindi il
potere di remissione dei peccati e di trasmissione dello Spirito proprio di

63 «Egli [Giovanni Battista] ebbe alcune idee tremende: inventò il battesimo che
toglie i peccati (e la pericolosità rivoluzionaria di tale pratica, in quanto alterna-
tiva al sacrificio espiatorio, non dovrebbe essere sfuggita ai più intelligenti fra i
Giudei suoi contemporanei) nell’attesa della fine del mondo. Per questa fine egli
ritenne forse che sarebbe arrivato Qualcuno, la cui fisionomia ora ci sfugge, il
quale avrebbe operato in un momento escatologico quella rivoluzione che lui, il
Battista, stava operando nella storia. Costui non avrebbe, infatti, asperso il suo
popolo con uno Spirito effuso dall’alto, come avveniva con l’acqua di purifica-
zione e come era previsto dai profeti del passato, ma avrebbe immerso Israele,
battezzandolo nello Spirito di salvezza, come suggerisce Marco, o, più proba-
bilmente, nel fuoco (ovvero in uno Spirito che è fuoco), come indica Luca» (E.
Lupieri, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, Paideia, Brescia 1988, 118).
Ma come differenziare aspersione con lo Spirito e immersione nello Spirito?
64 «It is quite probable that it was John the Baptist who finally linked the eschatolo-
gical outpouring of the Spirit to the Messiah and who first spoke of the Messiah’s
bestowal of the Holy Spirit under the powerful figure, drawn from the rite which
was his own hallmark, of a baptism in Spirit-and-fire» (J.S.G. Dunn, Spirit-and-
Fire Baptism, in «Novum Testamentum» 14/2, 1972, 81-92, in part. 92).
65 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…, 99-107.
66 Sul rapporto tra il Battista ed Elia, cf. R.E. Brown, Giovanni…, 84-86.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 153

Giovanni? Questi, avendolo “purificato”, l’aveva evidentemente iniziato


alla fruizione dello Spirito escatologico, inserendolo nella comunità esta-
tica dei salvati, che attendeva l’imminente giudizio apocalittico di Dio67.
Certo, tutti i sinottici collegano il battesimo di Gesù nel Giordano alla ma-
nifestazione del suo singolarissimo rapporto filiale con Dio, che coincide
con una personale e del tutto eccezionale esperienza visionaria: Gesù vede
i cieli aprirsi e discendere lo Spirito d’elezione su di lui68. Storicamente,
quest’esperienza estatica, interpretata dai suoi discepoli come superiore
vocazione messianica (conseguentemente negata al Battista), potrebbe es-
sere avvenuta persino dopo l’arresto del Battista; comunque, essa dev’es-
sere stata successiva a un’esperienza recettiva di conversione penitente e
confessione dei peccati, che aveva collocato Gesù in una dimensione “infe-
riore”, probabilmente di discepolato, rispetto a quella del Battista. Insom-
ma, i racconti sinottici del battesimo finiscono per ricapitolare in un’unica
scena (che di fatto contrae, seppure in modi diversi, la stessa “deposizione”
della pretesa carismatica superiore del Battista) ciò che invece si è storica-
mente dispiegato in fasi diverse69.
Ebbene, diverse sono state le strategie dei vangeli canonici per “neu-
tralizzare” la scandalosa memoria storica del battesimo di purificazione
impartito dal Battista a Gesù. Mt 3,13-15 introduce il riconoscimento im-
mediato della messianicità di Gesù da parte del Battista: di fatto assente in
Marco, questo riconoscimento è “inventato” da Matteo, traslato da Luca
nel ventre di Elisabetta, invece sistematicamente ampliato da Giovanni, sin
dal Prologo. Proprio perché l’essere battezzato è segno di “inferiorità” cari-
smatica, Matteo rovescia il rapporto gerarchico: Giovanni si dichiara infe-
riore a Gesù, chiedendogli di essere battezzato, quindi di ricevere da chi gli

67 Per una ricostruzione delle diverse fasi attraverso le quali il polimorfo gruppo
giovannista gesuano, che pure è in debito strutturale nei confronti di discepoli di
Giovanni Battista, è approdato a un atteggiamento critico, infine a un distacco nei
confronti della purificazione battista, cf. l’eccellente ricostruzione di M. Pesce,
Da Gesù al cristianesimo, Morcelliana, Brescia 2011, in part. 181-184: al bat-
tesimo giovanneo il IV vangelo finisce per contrapporre la «rinascita dall’alto»,
cioè un nascere direttamente da Dio mediante lo Spirito, che è quello che è donato
dal Logos, la Parola creatrice che abita nella carne di Gesù. Ma come la pretesa
giovannista gesuana di questa superiore recezione carismatica si conciliava con il
mantenimento di pratiche battiste?
68 Cf. Mc 1,10; Mt 3,16; Lc 3,21-22; i passi sono da leggere in connessione con
Ezechiele 1,1: «Il cinque del quarto mese dell’anno trentesimo, mentre mi trovavo
fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine
(sec. LXX: ἠνοίχθησαν οἱ οὐρανοί, καὶ εἶδον ὁράσεις θεοῦ)».
69 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…,
136-155.
154 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

è superiore purificazione/iniziazione carismatica. Eppure, Gesù costringe


al rito Giovanni, per «adempiere ogni giustizia», cioè per mostrare la sua
umile sottomissione al volere del Padre, prefigurando, quindi, la kenosis
della sua passione70. Assai meno elaborato risulta il racconto di Marco:
ambiguamente il Battista proclama l’imminente avvento di «uno che è più
forte di me e al quale io non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci
dei suoi sandali», profetizzando che questi «vi battezzerà con lo Spirito
Santo» (1,7-8); ma subito dopo, quando è descritto il battesimo di Gesù, il
Battista non gli riferisce in alcun modo la realizzazione della sua profezia,
sicché, analogamente a Matteo e Luca, la visione del cielo aperto è de-
scritta come esperienza privata di Gesù. Sicché, in Mc, il Battista pare non
riconoscere, in quel Gesù che sta battezzando, l’atteso “che è più forte” di
lui. Luca, invece, risolve la questione assai più drasticamente, rimuovendo
il rapporto diretto tra i due in occasione del battesimo di Gesù al Giordano.
In Lc 3,19-21, il Battista è già in prigione, ormai “fuori gioco”, quando,
senza nemmeno nominare Giovanni, viene evocato il battesimo di Gesù
in termini quasi liquidatori, sicché visione del cielo aperto, discesa dello
Spirito in forma di colomba, voce dal cielo sono restituiti come esperienze
del tutto singolari di Gesù, sì prossime, ma niente affatto immediatamente
connesse alla recezione gesuana del battesimo, comunque non direttamen-
te mediata dal Battista71, che comunque non aveva affidato a suoi discepoli
il compito di battezzare72.

70 «In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi bat-
tezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di
essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora,
poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide
lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce
dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compia-
ciuto”» (Mt 3,13-17).
71 «[Erode] fece rinchiudere Giovanni in prigione. Avvenne che, quando tutto il po-
polo fu battezzato (Ἐγένετο δὲ ἐν τῷ βαπτισθῆναι ἅπαντα τὸν λαὸν) e mentre
Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera (Ἰησοῦ βαπτισθέντος
καὶ προσευχομένου), il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza
corporea, come di colomba (ἀνεῳχθῆναι τὸν οὐρανὸν καὶ καταβῆναι τὸ πνεῦμα
τὸ ἅγιον σωματικῷ εἴδει ὡς περιστερὰν ἐπ' αὐτόν), e vi fu una voce dal cielo
(καὶ φωνὴν ἐξ οὐρανοῦ γενέσθαι): “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono
compiaciuto (Σὺ εἶ ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν σοὶ εὐδόκησα)”» (Lc 3,19-22).
72 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…, 102-
103; 111-112.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 155

Giovanni è, in effetti, ancora più radicale73: inverte la strategia di Luca,


affidando un ruolo-chiave al Battista, ma mettendo fuori gioco o comunque
del tutto fuori scena il battesimo stesso, casomai presupposto, in ogni caso
taciuto perché scomodo e fuorviante74. Sottolineo, comunque, che la messa

73 «Desta una certa meraviglia il fatto che nel quarto Vangelo si trovi una gran quan-
tità di dichiarazioni in forma negativa nei confronti di Giovanni Battista… Nessu-
no dei Vangeli sinottici assume un atteggiamento di riserva altrettanto spinto nei
confronti di Giovanni Battista, né può vantare una serie così ampia di dichiarazio-
ni negative» (R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 79-80). «Gio-
vanni ha eliminato dal suo racconto dell’episodio [del battesimo di Gesù] tutti
gli aspetti del battesimo di cui i seguaci del Battista si sarebbero potuti gloriare»
(R.E. Brown, Giovanni…, 86). Direi, piuttosto: ha eliminato il battesimo stesso.
74 «Giovanni è l’unico dei quattro Vangeli a non descrivere il battesimo di Gesù»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 136); «Il vangelo di Gio-
vanni non descrive mai il battesimo di Gesù e non dice mai che Giovanni il Bat-
tista lo battezzò (al massimo, ciò è implicito in 1,31-32)» (R.E. Brown, Le lettere
di Giovanni…, 786). Rivelative le oscillazioni di molti studiosi; pur sottolineando
come manchi in Giovanni «la scène même du Baptême qu’il [il Battista] confère à
Jésus (Mc 1,10-11)», Boismard parla di «théophanie du baptême», concludendo,
piuttosto contraddittoriamente: «on a l’impression que, pour lui [l’evangelista],
l’activité baptismale de Jean n’avait d’autre but que de permettre le baptême de
Jésus et la théophanie qui l’a accompagné» (M.-É. Boismard, Du Baptême à Cana
(Jean, I,19-2,11), Cerf, Paris 1956, 64); cf. 66: la messianicità di Gesù sarebbe
manifestata in occasione del battesimo impartitogli dal Battista. Boismard, infatti,
forza la prospettiva giovannea a convergere con quella dei sinottici, restituendo
comunque un bilancio del tutto approssimativo: «Mt et Lc ne diffèrent pas de Jo:
au jour du baptême, Jésus est manifesté aux foules comme étant le Messie» (66).
«Giovanni si presenta come un testimone oculare: “Io ho veduto”, dice. Ciò che
egli ha veduto richiama immediatamente al lettore l’episodio del battesimo di
Gesù. D’accordo con i sinottici, l’evangelista suppone indubbiamente che Gesù è
stato battezzato da Giovanni, ma egli si colloca al termine di un’evoluzione della
tradizione relativa a quest’avvenimento… Nel quarto vangelo non è conservato
più nulla del rito applicato a Gesù: si può soltanto dedurre il fatto dal testo… Il
testo allude al battesimo, senza dubbio; ma dell’evento è rimasto soltanto l’essen-
ziale, la discesa dello Spirito» (X. Leon-Dufour, Lecture de l’Évangile selon Jean.
Tome I, Seuil, Paris 1988, tr. it. Lettura del vangelo secondo Giovanni (capitoli
1-4), Paoline, Cinisello Balsamo 1990, 249-250). Oltre alle deludenti pagine di R.
Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,420-423, segnalo queste affermazioni
a mio avviso infondate di R.T. Fortna, The Fourth Gospel and Its Predecessor,
Fortress, Philadelphia 1988, T&T Clark, London-New York 20042: «John will
baptize only Jesus, and alone will describe [in Gv 1,32-34] for us that event» (19);
«It is of course for baptism that Jesus comes to John» (20); cf. 32-34. Anziché
evidenziare le anomalie del IV vangelo, Fortna ne colma le lacune tramite inte-
grazioni attinte dai sinottici. Piuttosto, riferendosi a Gv 1,33, pur interpretando
il passo, a mio avviso infondatamente, come attestazione del battesimo di Gesù,
scrive E. Lupieri, Giovanni e Gesù. Storia di un antagonismo…: «Questa frase è
156 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

“fuori gioco” del battesimo di Gesù a) non ricorra soltanto nel Prologo,
ove il Battista proclama la sua testimonianza alla Luce, riconoscendo la
superiore, divina provenienza del Messia che vede venire, ma mai connet-
tendola al rito battesimale; ma b) sia replicata in Gv 1,32-34, ove il Battista
proclama di avere visto lo Spirito discendere su Gesù, ma di nuovo senza
fare riferimento alcuno al suo battesimo. Eppure, Giovanni amplifica enor-
memente il ruolo di testimone diretto del Battista, sicché la celeberrima
espressione giovannea, «Egli deve crescere e io invece diminuire (ἐκεῖνον
δεῖ αὐξάνειν, ἐμὲ δὲ ἐλαττοῦσθαι)» (Gv 3,30), risulta essere il rovescia-
mento dell’originario dato storico (l’iniziale dipendenza carismatica di
Gesù da Giovanni), che essa stessa evidentemente presuppone.
Dopo gli studi di Bultmann, Culmann, Boismard, Brown75, è ormai ac-
quisita la tesi dell’esistenza di una componente di discepoli del Battista,
poi credenti in Gesù e confluiti molto precocemente (cf. Gv 1,35-44) all’in-
terno della comunità giovannea gesuana, che, nella sua prima fase, condi-
videva una prospettiva cristologica «relativamente bassa»76. La I fase della
storia della comunità giovannea gesuana, proposta da Brown, è quindi ca-
ratterizzata da una componente giudaica, nella quale confluiscono anche
ex-discepoli del Battista, di cui il cosiddetto «discepolo prediletto» (forse

anche l’unico accenno del quarto Vangelo al battesimo ricevuto da Gesù, accenno
tanto indiretto che, se non conoscessimo i sinottici, saremmo autorizzati a dubita-
re dell’esistenza di una tradizione protocristiana relativa a tale momento della vita
di Gesù. La discesa dello Spirito sul Cristo giovanneo, svincolata il più possibile
dal contesto battesimale, non è né una proclamazione ufficiale della figliolanza
di Gesù né un momento di una sua presa di coscienza né un’unzione profetica:
queste sono tutte cose di cui il Verbo di Dio non ha bisogno» (49). Anche Mar-
cione, che pure si sofferma sul Battista, cancella la notizia tradizionale del batte-
simo da lui somministrato a Gesù: cf. A. Camplani, John the Baptist According
to Marcion’s Gospel and Early Syriac Texts, in J.H. Ellens, I.W. Oliver, J. Von
Ehrenkrook, J. Waddell, J.M. Zurawsci (edd.), Wisdom Poured Out Like Water:
Studies on Jewish and Christian Antiquity in Honor of Gabriele Boccaccini, De
Gruyter, Berlin-Boston 2018, 556–574, in part. 564, ove si mette in rilievo come
questa lacuna si spieghi con la volontà di tenere dualisticamente del tutto distinte
le due economie di salvezza, quella ancora demiurgica contrapposta a quella del
tutto estranea al mondo di Gesù.
75 Per un’ardita interpretazione stratigrafica del IV vangelo, dipendente dall’evo-
luzione storica della comunità giovannea, mi limito a segnalare il capolavoro di
M.-E. Boismard e A. Lamouille, Synopse des Quatre Evangiles en français, III:
L’Evangile de Jean, Cerf, Paris 1977; per una sintetica, ma profonda analisi delle
più rilevanti teorie sull’evoluzione della comunità giovannea, della sua teologia
e della scrittura e della riscrittura del vangelo, cf. R.E. Brown, La comunità del
discepolo prediletto…, 203-216.
76 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 24.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 157

identificabile con il discepolo innominato di Gv 1,35-40) potrebbe essere


considerato l’elemento di spicco77. La decisiva II fase della storia della co-
munità giovannea è, per Brown, caratterizzata dall’ingresso di una creativa
componente samaritana, responsabile dell’innalzamento della cristologia,
confessante la divinità preesistente di Cristo78. All’evoluzione etnica e cul-
turale della comunità corrisponderebbe l’evoluzione del IV vangelo, testi-
monianza stratigrafica di una cristologia in progress. Proprio la rilevan-
za della componente ex-battista all’interno del gruppo in fieri giovanneo
spiegherebbe la straordinaria rilevanza riconosciuta al Battista nella tarda
redazione del IV vangelo, quindi la stessa sistematica strategia della sua
subordinazione a Gesù, infine proclamato, grazie al contributo teologico
samaritano (?), come Dio preesistente, l’Unigenito del Padre. Evidente-
mente, la comunità battista riconosceva in Giovanni il profeta (Elia redi-
vivo?) o il messia atteso79, forse, secondo Bultmann, persino la Luce pre-
esistente identificata con il Logos di Dio, che sarebbe stata l’oggetto della
proclamazione del Prologo precristiano esaltante il Battista80. Mi pare,
comunque, assai più convincente la tesi di Brown: la rivalità gesuana ri-
spetto all’originaria comunità giovannea non si tradurrebbe nel parassitario
slittamento della preesistente “cristologia” protognostica della Luce dalla
figura di Giovanni a quella di Gesù, ma nell’innalzamento dell’identità di
Gesù, seppure io non ritenga che esso sia stato introdotto quando la comu-

77 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 31-36.


78 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 36-53.
79 Cf. E. Lupieri, Giovanni e Gesù…, 122-127. La testimonianza più rilevante della
pretesa messianica del Battista è quella (polemica) di Pseudo-Clemente, Recogni-
tiones I,60; cf. anche la più complessa “notizia” di Pseudo-Clemente, Homiliae
II,23-24 (Giovanni è un emerobattista, Simon Mago il suo discepolo prediletto,
Elena una sua “mezza” discepola, Dositeo il primo sucessore di Giovanni alla
testa dei suoi ventinove e “mezza” discepoli). Discorso a parte meriterebbe la
stratificata selva testuale mandea. La rivalità tra Gesù e il Battista è notoriamente
attestata da molti testi gnostici; qui mi limito a segnalare La testimonianza veri-
tiera = Nag Hammadi Codex [IX, 3], in particolare 30,17-31,5, ove il Battista è
identificato con «l’Arconte dell’utero», quindi dell’acqua del Giordano, simboli
de «la concupiscenza del rapporto sessuale» e della «potenza del corpo», mentre
Gesù è identificato con «il Figlio dell’Uomo» disceso «dall’Incorruttibilità». Il
Battista è l’unico testimone della discesa del Figlio dell’Uomo «sopra il fiume»
(cf. 30,25-27 – identificato con la Luce (cf. 30,15) e il Logos (cf. 31,6-8; 40,4;
40,12) trascendenti –, che provoca il ritirarsi all’indietro del Giordano stesso. Cf.
38,22-40,4.
80 «Egli [il Battista] non era la luce (οὐκ ἦν ἐκεῖνος τὸ φῶς), ma doveva rendere
testimonianza alla luce (ἀλλ’ ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός)» (Gv 1,8): evidente,
in questo passo, l’emergere di una pretesa rivale, risolta a favore di Gesù. Davve-
ro, illum oportet crescere, me autem minui (3,30).
158 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

nità giovannea accoglie in sé elementi samaritani81. Ricapitolando: Gesù


da profeta escatologico sul quale al Giordano si posa lo Spirito, quindi da
Elia redivivo – così come presumibilmente era stata salutata la figura di
Giovanni, identificata con l’escatologica “luce” messianica profetizzata da
Isaia 9,1 –, diviene colui nel quale discende/si manifesta lo stesso Logos di
Dio, la Luce/Gloria principale, rispetto alla quale il profetismo carismatico
del Battista risulta del tutto inferiore82.
Occorre, allora, “sfidare” e sottomettere il Battista sulle rive stesse del
Giordano, luogo tradizionale nel quale il cielo si apre e lo Spirito discende:
essendo tradizionalmente il battesimo la descrizione della nascita caris-
matica o comunque della manifestazione della filialità messianica di Gesù,
il IV vangelo sente la necessità di esaltare oltre la comune identità ca-
rismatico-profetica l’identità di Gesù, collocando la genesi della filialità
altrove, nell’eterna intimità di Dio, che è il Luogo della generazione e della
manifestazione dell’unicità della filialità del Logos incarnatosi in Gesù,
quindi assolutamente trascendente rispetto a quella dei comuni “figli di

81 Ritengo, infatti, che il convincimento storiografico dell’esistenza di una cristolo-


gia alta samaritana sia frutto dell’influenza di un dispositivo eresiologico, ancora
influente sulla storiografia protocristiana: esso deforma e demonizza il messia-
nismo rivale samaritano di “Simon Mago”, condannandolo per la sua perver-
sa intenzione di “farsi dio”; ne deriva la forzata identificazione di Simone con
l’“inventore” demoniaco della gnosi, che attesterebbe una cristologia alta alterna-
tiva rispetto a quella protocristiana. Cf. G. Lettieri, Materia mistica…, cap. III, «Il
corpo di Dio. La mistica erotica del Cantico dei cantici dal Vangelo di Giovanni ai
Padri», par. 3: «Il dilemma samaritano. Simon Mago ed Elena/Luna: una coppia
equivoca». Ricordo, comunque, come per la tradizione pseudo-clementina non
soltanto la comunità del Battista avrebbe rivendicato la messianicità di Giovanni
contro quella di Gesù (cf. Pseudo-Clemente, Recognitiones I,54; I,60), ma anche
che Simon Mago sarebbe stato il discepolo di Dositeo, successore del Battista (cf.
Recognitiones II,8-12)! Cf. A. Camplani, John the Baptist According to Marcion’s
Gospel and Early Syriac Texts…, 565-567.
82 R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 36-53, fa corrispondere la
scoperta di una cristologia alta con l’ingresso di una forte componente samaritana
all’interno della comunità giovannea primitiva, nella quale già erano presenti sia
giudei ellenisti contrari alla centralità del Tempio, sia ex discepoli del Battista (tra
i quali il Discepolo prediletto, forse da identificare con l’innominato compagno
di Andrea in Gv 1,35-40: cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo predilet-
to…, 31-36); cf. anche 29-30 e 79-81. Quando il IV vangelo attribuisce al Battista
confessioni solenni dell’identità divina preesistente di Gesù dimostra come la
cristologia alta fosse nata anche come decisiva prova della superiorità messianica
di Gesù nei confronti del suo antico maestro Giovanni, che in Gv 5,35 è identifi-
cato soltanto con «la lampada che arde e illumina», implicitamente contrapposta
a Gesù Dio, Luce e Gloria preesistenti.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 159

Dio”, dei profeti o messia/unti, da Mosè a Giovanni Battista, da Elia all’at-


teso “profeta grande come Mosè” (cf. Deut 18,15-18, che originerà l’attesa
samaritana del Taheb). Tutte le logiche teofaniche e messianiche giudai-
che sono ricapitolate e trascese nella proclamazione del precosmico venire
“alla luce” del Figlio eterno del Padre, che è comunque la retroproiezione
nell’intimità di Dio della generazione carismatica di Gesù quale Cristo/
Figlio prediletto/Spirito vivificante. Ciò che il IV vangelo vuole assicurare
è la tesi che il dono della filialità appartiene assolutamente a Gesù, senza la
mediazione di Giovanni, che pure l’ha battezzato. Per questo, il riferimento
al battesimo, seppure nascosto, non può essere del tutto cancellato, perché
collocazione storica tràdita dell’evento iniziale della missione di Gesù.
Eppure, il battesimo dev’essere riscritto, sin dal Prologo! In un iperbolico
innalzamento dell’apocalisse storica della filialità al Giordano, il Battista è
privato del suo potere carismatico battesimale e trasformato nel principale
e più grande “Teologo”, nel testimone eletto, ma passivo, che vede e pro-
clama, attonito, lo storico venire in Gesù del Figlio eternamente veniente
dal seno del Padre.
D’altra parte, la sconcertante eliminazione del riferimento esplicito al
battesimo e l’anomala cancellazione dell’«acqua» del Giordano dal Prolo-
go, così come da tutte le proclamazioni del Battista riferite alla teofania del
Figlio, si potrebbe spiegare con l’intenzione di mettere in ombra l’ultima
dimensione salvifica dell’acqua battesimale, certo riconosciuta come ne-
cessario sacramento iniziatico, tradizionale rito introduttivo alla comunità
gesuana, eppure non sufficiente, perché evidentemente comune a diverse
comunità escatologiche carismatiche (come quella battista o, altrove, quel-
la samaritana “simoniana”), quindi non specificatamente caratterizzante la
fruizione salvifica dello Spirito di Cristo83.

83 Cf. Gv 3,5: «“In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito,
non può entrare nel regno di Dio”»; evidentemente il dono dello Spirito è attingi-
bile unicamente all’interno della comunità carismatica, cui soltanto il battesimo
nel nome di Gesù introduce: «Birth by the Spirit, however inexplicable and my-
sterious, is not a matter simply of the individual heart. It is tied up with “water”,
which means entrance into the community through baptism» (Ch. H. Cosgrove,
The Place where Jesus is: Allusions to Baptism and the Eucharist in the Fourth
Gospel, in «New Testament Studies» 35/4, 1989, 522-539, in part. 531). Cf. Gv
3,22, ove si dichiara che Gesù stesso battezzava, insieme con i suoi discepoli (cf.
R.E. Brown, Giovanni…, 204-205: si tratterebbe di testimonianza storicamente
assai attendibile); in 4,2, invece, si specifica come in Samaria non Gesù, ma solo
i suoi discepoli battezzassero. Lo stesso miracolo di Cana in 2,6-11, con le sei
giare di pietra che per ordine di Gesù vengono nuovamente riempite di acqua, poi
trasformata miracolosamente in vino, presuppone probabilmente un riferimento
160 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

6. Una visione in flashback: le testimonianze del Battista in Giovanni


1,19-37

Ma procediamo gradualmente, cominciando dai versetti immediatamen-


te successivi al Prologo (Gv 1,19-28), che mettono in scena il “primo gior-
no” della prima settimana della rivelazione salvifica: «in Betània, al di là
del Giordano, dove Giovanni stava battezzando» (Gv 1,28), questi, dopo
aver negato di essere il Messia, Elia, il Profeta atteso, rivela a sacerdoti
e leviti la sua identità di «voce di uno che grida nel deserto (Ἐγὼ φωνὴ
βοῶντος ἐν τῇ ἐρήμῳ)» (Isaia 40,3 in Gv 1,23), annunciando l’avvento del
Signore: «uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di scio-
gliere il legaccio del sandalo (ὁ ὀπίσω μου ἐρχόμενος, οὗ οὐκ εἰμὶ [ἐγὼ]
ἄξιος ἵνα λύσω αὐτοῦ τὸν ἱμάντα τοῦ ὑποδήματος)» (1,27). Il Battista,
pertanto, proclama l’avvento di chi è più grande di lui, del Cristo atteso
come «lo sposo di Israele»84, dicendo: «In mezzo a voi sta uno che voi non
conoscete (μέσος ὑμῶν ἕστηκεν ὃν ὑμεῖς οὐκ οἴδατε)» (1,26). Il particolare
è della massima importanza: Giovanni non indica affatto colui che ancora
noi non conosciamo, ma colui che sacerdoti e leviti ancora non conosco-
no85. Questo implica che Giovanni ormai conosce colui che gli emissari dei

positivo al battesimo, seppure salvifico unicamente se vivificato dallo Spirito


proprio di Cristo, con possibile riferimento al suo sangue. Sulla compresenza sal-
vifica tra acqua e sangue (battesimo ed eucarestia?), che fluiscono dal costato di
Cristo crocifisso, cf. 19,34. Sul rapporto tra acqua e Spirito, donato però dopo la
crocifissione di Cristo, cf. 7,37-39.
84 Cf. Gv 3,28-30. Sulla valenza sponsale dell’immagine del non poter sciogliere il
sandalo di Gesù da parte del Battista, che andrebbe spiegata a partire dalla legge
del levirato (il congiunto che si scioglieva il sandalo rinunciava al possesso della
vedova del fratello: cf. Deut 25,5-10; Ruth 4,7-8), cf. E. Lupieri, Giovanni Battista
nelle tradizioni sinottiche…, 29-30; e soprattutto P. Proulx e L. Alonso Schökel,
Las Sandalias del Mesías Esposo, in «Biblica» 59, 1978, 1-37, con, tra l’altro, ricca
documentazione patristica: anche attraverso riferimenti al Cantico, gli autori met-
tono in connessione la proclamazione sponsale del Battista in Gv 3,30-34 con la
discesa dello Spirito su Gesù al Giordano in Gv 1,33 e l’episodio delle nozze di
Cana, descritto in Gv 2,1-12, ove la trasformazione dell’acqua in vino segnerebbe
il passaggio dal battesimo per acqua di Giovanni al battesimo in Spirito di Gesù:
«El verdadero esposo es Jesús, que por poseer el Espíritu (1,33), puede ejercitar un
poder creador sacando vino del agua. Al agua de la purificación se opone o sucede
el vino del amor, como al baño en agua se opone o sucede la fecundación por el
Espíritu» (P. Proulx e L. Alonso Schökel, Las Sandalias del Mesías Esposo…, 30).
85 «“Sta in mezzo a voi uno che voi non conoscete”. È evidente che il Battista già lo
conosce; l’enfatico ἐγώ (anche nel logion sin. Mc 1,8) pone già l’accento su colui
che si trova in mezzo a loro e sembra che anche ὑμεῖς abbia una sottolineatura
speciale: al contrario di essi, Giovanni lo ha conosciuto per rivelazione divina (v.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 161

farisei non conoscono, sicché «la testimonianza di Giovanni (ἡ μαρτυρία


τοῦ Ἰωάννου)» (Gv 1,19) può sussistere soltanto presupponendo l’avere
già visto e riconosciuto l’uomo che egli sta appunto testimoniando essere
«il Cristo». Eppure, nei versetti che sembrano aprire la narrazione storica
(appunto 1,19-28), la visione teofanica non ricorre affatto. Ma passiamo
alla descrizione del primo incontro tra il Battista e Gesù descritto dopo
il Prologo, avvenuto il secondo giorno della prima settimana di missione
gesuana:

Il giorno dopo (Τῇ ἐπαύριον), Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui
(βλέπει τὸν Ἰησοῦν ἐρχόμενον πρὸς αὐτόν) disse: “Ecco l’agnello di Dio,
ecco colui che toglie il peccato del mondo (Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ ὁ αἴρων τὴν
ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου)! Ecco colui del quale io dissi (οὗτός ἐστιν ὑπὲρ οὗ ἐγὼ
εἶπον): Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima
di me (Ὀπίσω μου ἔρχεται ἀνὴρ ὃς ἔμπροσθέν μου γέγονεν, ὅτι πρῶτός μου
ἦν). Io non lo conoscevo (κἀγὼ οὐκ ᾔδειν αὐτόν), ma sono venuto a battezzare
con acqua perché egli fosse fatto conoscere ad Israele (ἀλλ' ἵνα φανερωθῇ τῷ
Ἰσραὴλ διὰ τοῦτο ἦλθον ἐγὼ ἐν ὕδατι βαπτίζων)”. Giovanni rese testimonianza
(ἐμαρτύρησεν) dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal
cielo (Τεθέαμαι τὸ πνεῦμα καταβαῖνον ὡς περιστερὰν ἐξ οὐρανοῦ) e rima-
nere su di lui (καὶ ἔμεινεν ἐπ' αὐτόν). Io non lo conoscevo (κἀγὼ οὐκ ᾔδειν
αὐτόν), ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: “L’uomo
sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito
Santo (Ἐφ’ ὃν ἂν ἴδῃς τὸ πνεῦμα καταβαῖνον καὶ μένον ἐπ’αὐτόν, οὗτός ἐστιν
ὁ βαπτίζων ἐν πνεύματι ἁγίῳ)”. E io ho visto (κἀγὼ ἑώρακα) e ho testimoniato
(καὶ μεμαρτύρηκα) che questi è il Figlio di Dio (ὅτι οὗτός ἐστιν ὁ υἱὸς τοῦ
θεοῦ)” (Gv 1,29-34).

Mi pare evidente che in questo secondo giorno il Battista non stia affatto
descrivendo in diretta la discesa dello Spirito su Gesù86, ma soltanto ricor-

33). Dunque il fatto a cui egli si riferisce nella successiva attestazione (vv. 32ss.)
è già avvenuto» (R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,391). Eppure
Schnackenburg non trae la conclusione di queste sue rilevanti osservazioni: se in
Gv 1,31-34 il Battista dice di aver conosciuto Gesù come il Figlio di Dio soltanto
quando lo Spirito su di lui è disceso ed è rimasto, evidentemente la teofania al
Giordano (corrispondente con il tradizionale battesimo di Gesù) è già avvenuta.
Ma come mai il IV vangelo non la descrive in diretta? In realtà essa è narrata nel
Prologo!
86 Cf. Ch.H. Talbert, “And the Word Became Flesh”: When?..., 135-139: l’incar-
nazione del Logos di Gv 1,14 farebbe riferimento all’evento battesimale di Gv
1,32-34; e P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…: «To begin the process of fully
understanding the terms of the prologue, and to continue the shaping of the terms
by which the audience hears the remainder of the Gospel, the baptism of Jesus is
162 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

dando, ricapitolando un evento accaduto prima, tramite verbi al perfetto


e non con verbi al presente87: «κἀγὼ ἑώρακα καὶ μεμαρτύρηκα». Egli può
avere testimoniato, soltanto perché ha prima visto; se il Battista afferma
«io non lo conoscevo (κἀγὼ οὐκ ᾔδειν αὐτόν)», dichiara implicitamente
che ora lo conosce, grazie a una visione che, pur se descritta in 1,32-34,
non può essere immediatamente precedente al suo «Ecco!». Infatti:
1) In Gv 1,29-34, l’«Ecco!» della testimonianza («Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ
θεοῦ»: 1,29) precede la descrizione teofanica («Τεθέαμαι τὸ πνεῦμα
καταβαῖνον ὡς περιστερὰν ἐξ οὐρανοῦ»: 1,32): narrativamente, se que-
sta fosse avvenuta in diretta, quando Giovanni vede Gesù «ἐρχόμενον
πρὸς αὐτόν», sarebbe incongruo anticipare la proclamazione (Ἴδε)
rispetto alla visione (espressa da un perfetto: τεθέαμαι) che ne fonda
la possibilità. Rinunciando a qualsiasi solennità sacrale e alla stessa

decisive. The existential and spatial overlap introduced in the prologue, in fact,
can only be placed on a narrative level, and hence, of assistance to the reader,
when laid out in the event of the baptism. Also, only the baptism can introduce
the foundation by which the mutual indwelling of the Father and Jesus Christ
as well as the mutual indwelling of the Father, Jesus Christ and the believer can
be achieved. John the Baptist recalls the event:… These verses [=Gv 1,32-34]
describe how the Word becoming flesh actually occurred. There are four issues to
discuss in this passage: (1) the baptism as the point of incarnation; (2) the Spirit
as possessor; (3) the importance of μένω and (4) the witness to the Son of God»
(127); cf. 132-135.
87 «v. 29 Il giorno dopo. A quanto pare (dal v. 32) l’episodio giovanneo ha luogo
dopo il battesimo di Gesù, di cui Giovanni non parla… v. 32 Ho visto. Il tempo
perfetto indica che l’azione [della discesa e del rimanere dello Spirito su Gesù],
che ebbe luogo presumibilmente al momento del battesimo di Gesù, ha ancora il
suo effetto e, cioè, lo Spirito è ancora con Gesù» (R.E. Brown, Giovanni…, 72 e
74). Brown considera presumibile, ma non certo, che la teofania testimoniata dal
Battista fosse immediatamente conseguente al battesimo di Gesù, di cui, appunto,
il IV vangelo non parla! Anche C.K. Barrett, The Gospel according to St. John,
The Westminster Press, Philadelphia 1955, 19782, 175, interpreta le parole del
Battista non come descrizione in diretta dell’evento, ma come sua rammemo-
razione. Cf. in tal senso P.E. Kinlaw, The Christ Is Jesus…: «Having already
witnessed to Jesus, that is, having claimed to know that this person is present,
he then recounts [in Gv 1,32-34] the proof of all he has claimed about this man:
his recollection of what happened during the man’s baptism… having John recall
the event for the audience» (126). Netto e lucido R. Schnackenburg, Il vangelo
di Giovanni…, 395-396: «Al battesimo di Gesù viene fatto solo un accenno. Che
ciò sia avvenuto proprio ora e che il Battista abbia proclamato Gesù come l’eletto
mentre questi si avvicinava per il battesimo non è pensabile; infatti, secondo le
sue stesse parole (vv. 31-33), prima della rivelazione di Dio egli non lo conosceva
ancora (come Messia). Anche i tempi dei verbi ai vv. 32 e 34 indicano piuttosto
un fatto passato, di cui ora il Battista dà solo l’annuncio ad Israele».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 163

immediata visionarietà apocalittica, il testo posticiperebbe incoerente-


mente l’evento della teofania (la causa: 1,1,32-34) rispetto al ricono-
scimento di Gesù che viene (l’effetto: 1,29). Saremmo dinanzi a una
straordinaria anomalia testuale, cioè a una proclamazione kerigmatica
retoricamente del tutto infelice, perché obliqua, e questo proprio nel più
solennemente teofanico di tutti i vangeli canonici. La struttura apocalit-
tica del primo capitolo giovanneo funzionerebbe alla rovescia, imper-
niata su un sorprendente ritardo: la teofania fondativa, che origina lo
straordinario annuncio del Battista, non sarebbe descritta solennemente
“in diretta”, come visione della rivelazione che irrompe, ma sarebbe
marginalizzata, ricordata en passant come già avvenuta, già vista. Ri-
tengo vi sia un’unica soluzione razionalmente convincente: la visione
teofanica dell’incarnazione dello Spirito c’è già stata, è avvenuta prima
del secondo giorno nel quale si collocano gli avvenimenti descritti88. Il
Battista riconosce subito in Gesù il Figlio di Dio, perché l’ha già visto
prima, ritengo il giorno prima.
2) Se si vuole continuare ad ipotizzare che anche il IV vangelo, riferendosi
alla visione battista della discesa dello Spirito su Gesù, continui a rife-
rirsi implicitamente all’evento storico del suo battesimo, probabilmente
rielaborando il racconto di Marco89, inevitabilmente Gv 1,32-34 dev’es-
sere assunto come ricapitolazione, rinvio a un evento già avvenuto, che
appunto Giovanni ricorda: la recezione del battesimo non può riguar-
dare il Cristo en passant (1,36), né essere impartito dal Battista mentre
questi sta parlando con due suoi discepoli (1,35), ma deve riferirsi a
un rito (comunque altamente solenne, che non può essere impartito in
movimento!) somministrato dallo stesso Battista nel passato90. D’altra

88 U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, riconosce che la visione è avvenuta


nel passato, in un altro momento e in un altro luogo, non specificati: «Quando e
dove sia occorsa a Giovanni questa visione non è detto. La sola cosa importante
è che, per mezzo di essa, egli sa chi è colui di cui Dio l’ha inviato ad annunciare
la venuta. Questa visione conferisce alla sua testimonianza definitiva verità di
rivelazione: costui – Gesù, egli solo – è figlio di Dio» (62). «Hier spricht der
Täufer lediglich rückblickend von dem, was er gesehen hatte, als er Jesus taufte»
(B. Peters, Das Evangelium nach Johannes, Christliche Literatur-Verbreitung,
Bielefeld 2015, 81).
89 Cf. M.-É. Boismard, Les traditions johanniques concernant le Baptiste…, 38-39.
90 Si rivela consapevole della difficoltà già Origene, che colloca il battesimo il
giorno prima dell’incontro del Battista con Gesù in Gv 1,29-34, culminante nella
ricapitolazione di Gv 1,32-34: «A questo punto colui che ha reso testimonianza
vede con i propri occhi Gesù venire verso di lui, che ancora progredisce e diventa
migliore: progresso e perfezionamento che qui sono simboleggiati dal termine
“il giorno dopo” (αὔριον). Quasi a dire che nel giorno successivo al battesimo,
164 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

parte, Gv 1,32-34 non descrive, come abbiamo rilevato, il battesimo


di Gesù, ne elimina quasi tutti gli elementi identificativi, per spostare
l’attenzione altrove91.
3) Il Battista cita, in Gv 1,30, l’identica affermazione che incontriamo già
nel Prologo, 1,15: «Giovanni gli rende testimonianza e grida (Ἰωάννης
μαρτυρεῖ περὶ αὐτοῦ καὶ κέκραγεν λέγων): “Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me mi è passato avanti (Οὗτος ἦν ὃν εἶπον,
Ὁ ὀπίσω μου ἐρχόμενος ἔμπροσθέν μου γέγονεν), perché è prima di
me (ὅτι πρῶτός μου ἦν)”». Ma se in 1,15 il Battista riferisce della sua
visione e proclama che Gesù preesistente gli è già passato avanti, egli
evidentemente ha già visto lo Spirito discendere e rimanere su Gesù,
perché, come si dichiara in Gv 1,32-34, il Figlio di Dio può essere ri-
conosciuto soltanto se si è visto lo Spirito discendere su di lui. In 1,30,

che è secondo rispetto a ciò che avviene prima, Gesù viene (οἱονεὶ γὰρ ἐν ἑξῆς
φωτισμῷ καὶ δευτέρᾳ ἡμέρᾳ παρὰ τὰ πρότερον ὁ Ἰησοῦς ἔρχεται), in quanto non
soltanto è conosciuto come presente in mezzo a coloro che non lo conoscono,
ma ormai è anche visto sensibilmente nell’atto di recarsi da colui che prima l’ha
indicato» (Origene, CmGv II,257). Si noti come, per descrivere il battesimo di
Gesù in II,153-251, Origene sia costretto a trattarne in riferimento a Gv 1,19-28,
cioè nel giorno antecedente a quello descritto in Gv 1,29-34, malgrado in esso non
esista alcun riferimento al battesimo di Gesù.
91 «Giovanni ha eliminato dal suo racconto dell’episodio tutti gli aspetti del batte-
simo di cui i seguaci del Battista si sarebbero potuti gloriare… Il fatto che Gio-
vanni accenni al battesimo di Gesù solo indirettamente come il momento in cui
lo Spirito discese su di lui può anche riflettere il desiderio dell’evangelista di non
favorire la causa dei suoi [del Battista] seguaci» (R.E. Brown, Giovanni…, 86).
Il riferimento, pertanto, è indiretto, in quanto l’evento del battesimo è, per motivi
“polemici”, distratto nel passato; non si descrive il battesimo di Gesù ad opera
del Battista, ma l’evento della discesa dello Spirito, che pure, per Brown, il IV
vangelo continua a presupporre avvenuta al momento del battesimo. «The earliest
form of the signs source may well have included some account of Jesus’ baptism,
omitted by John to avoid any suggestion that Jesus might be the Baptist’s inferior.
But in what remains of the source all we have is John’s testimony that he saw
the Spirit descending upon Jesus, along with his conclusion: “This is the Chosen
One of God”. This is unquestionably a reference to one of Second Isaiah’s Songs:
“Behold my servant (LXX, ὁ παῖς μου) whom I uphold, my chosen one (LXX, ὁ
ἐκλεκτός μου) in whom my soul delights: I have put my Spirit upon him, he will
bring forth justice to the nations (Isa. 42:1). All three Synoptists allude to this
verse in their account of Jesus’ baptism (Matt. 3: 17//), though παῖς becomes υἱός
and ἐκλεκτός becomes ἀγαπητός, literally “beloved”» (J. Ashton, Undestanding
the Fourth Gospel…, 161). Ma né Brown, né Ashton, che pure restituiscono Gv
1,32-34 come rammemorazione di un evento passato, pensato analogamente alle
scene battesimali sinottiche, sono in grado di rintracciare in Giovanni la colloca-
zione della teofania battesimale.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 165

quindi, il Battista torna a vedere, ripete la testimonianza di 1,15, ri-


conosce l’uomo che ha già visto manifestato come colui nel quale si
è incarnato l’Unigenito. Insomma, non solo Gv 1,30, ma già Gv 1,15
presuppone che lo Spirito sia già disceso e sia rimasto su Gesù, che,
nel secondo giorno, torna a passare davanti al Battista, che immedia-
tamente lo riconosce e lo saluta come superiore. Ma, se questo è vero,
l’evento storico della teofania al Giordano deve precedere non soltanto
Gv 1,32-24, ma anche Gv 1,15, dove per la prima volta il Battista testi-
monia la sua avvenuta agnizione conseguente alla teofania!
4) Come si è già accennato, evidente ed altamente significativa è la scan-
sione in sette giorni dell’avvio della missione di Gesù: la relazione con
i sette giorni della creazione è provata dall’espressione iniziale in prin-
cipio, che nel modello genesiaco avviava i sei giorni della creazione,
chiudendoli nel settimo giorno, il sabato dell’eterno riposo di Dio. Pur
essendo difficilmente identificabile e disputata la precisa valenza sim-
bolica dei sette giorni, quindi degli eventi gesuani che li caratterizzano,
comunque l’insistenza sui sette giorni non può non essere teologica-
mente portante92. Ebbene, all’interno di questa studiata ripartizione cro-

92 Cf. M.-E. Boismard, Du baptême à Cana: (Jn 1,19-2,11), Cerf, Paris 1956, in
part. 14-15, che propone una scansione settenaria che colloca il primo giorno in
Gv 1,19-28 (cf. 25-39) e il settimo giorno, quello delle nozze di Cana, in 2,1-11
(cf. 133-159). Lo stesso Boismard riconosce il carattere «en partie artificielle»
(15), insomma congetturale dell’eptapartizione; eppure, ribadisce la connessione
evidente tra la creazione del mondo in sette giorni narrata nella Genesi e l’epta-
merone della prima missione di Gesù, che si conclude a Cana (cf. 15). Cf., dello
stesso M.-E. Boismard, Le Prologue de Saint Jean, Cerf, Paris 1953, 136-142. Più
in generale, cf. T. Barosse, The Seven Days of the New Creation in St. John’s Go-
spel, in «Catholic Biblical Quarterly» 21, 1959, 507-516; M. Girard, La structure
heptapartite du quatrième évangile, «Studies in Religion/Sciences Religieuses»
5/4, 1975-1976, 350-359, in part. 354; M. Girard, Analyse structurelle de Jn 1,1-
18: l’unité des deux Testaments dans la structure bipolaire du prologue de Jean,
in «Science et Esprit» 35/1, 1983, 5-31, soprattutto 7-16; L.P. Trudinger, The Se-
ven Days of the New Creation in St. John’s Gospel: Some Further Reflections, in
«The Evangelical Quarterly», 44/3, 1972, 154-158, in part. 156: il “primo giorno”
è quello indicato in Gv 1,19-28, ma con esplicita connessione con la teofania e
la testimonianza proclamata nel Prologo; R. Riesner, Bethany beyond the Jordan
(John 1:28). Topography, Theology and History in the Fourth Gospel, in «Tyn-
dale Bulletin» 38, 1987, 29-63, in part. 45-47. Singolare l’interpretazione di J.
Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni…, I,94-102, che pur rimanendo scettico
sulle interpretazioni simboliche proposte della scansione settenaria della prima
sezione del vangelo giovanneo, scandisce il suo commento adottando la divisione
in giorni: «Il primo giorno» sarebbe descritto in Gv 1,19-28 (cf.); «il secondo
giorno» in 1,29-34 (cf. 103-114); «il terzo giorno» in Gv 1,35-39 (cf. 115-118);
166 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

nologica, ritengo sia del tutto incongruo pensare che il redattore finale
di Giovanni potesse fissare l’incarnazione teofanica del Logos in Gesù
non «in principio», cioè nel primo giorno, ma in un giorno inserito in
una serie, in particolare nel secondo dei sei giorni descritti in Gv 1,19-
2,12. Ebbene, se la prima settimana della missione di Gesù, evidente-
mente strutturata in analogia con l’eptamerone genesiaco per eviden-
ziare l’inizio della nuova creazione nello Spirito, iniziasse con Gv 1,19,
il suo primo giorno risulterebbe privo della descrizione del fondativo
evento teofanico, che risulterebbe piuttosto collocato nel secondo gior-
no, descritto in Gv 1,32-24. Ritengo, piuttosto, che il primo giorno della
creazione, che avvia la scansione settenaria che si conclude con Gv
2,11, sia già quello “descritto” nel Prologo, non a caso aperto dall’«in
principio», in analogia al «dies unus» della creazione della Genesi93. È,

«il quarto giorno» in Gv 1,43-44 (cf. 118-123); seguono gli altri tre giorni che si
concludono in quello del miracolo di Cana (cf. 125-134). Sulla scansione in sette
giorni di Gv 1,19-2,11, in analogia con Gen 1,1-2,4a, simbolicamente finalizzata a
interpretare l’incarnazione redentiva del Logos in Gesù come nuova creazione, cf.
J. Frey, Die johannische Eschatologie. Ihre Probleme im Spiegel der Forschung
seit Reimarus, I, Mohr Siebeck, Tübingen 1997, 196. Quest’interpretazione era
già stata prospettata da E.-B. Allo, L’Évangile spirituel de saint Jean, Cerf, Paris
1944, 75, per il quale comunque l’eptapartizione di Gv 1,1-2,11 «veut souligner
le parallélisme théologique qui existe entre la première création du monde en
sept jours, effectuée par le Verbe de Dieu (cf. Jean 1,1-5) et l’oeuvre du salut
messianique considérée comme une création nouvelle dans le Christ (cf. Jean 1,3,
17). Comme Moïse avait représenté étendue sur sept jours la création de l’univers
matériel, ainsi Jean a tenu, très consciemment à notre avis, à présenter aussi en
une semaine l’introduction dans le monde de la “nouvelle création” prêchée par
saint Paul». Segnalo, in tal senso, l’interessante saggio di J.K. Brown, Creation’s
Renewal in the Gospel of John, in «The Catholic Biblical Quarterly» 72, 2019,
275-290.
93 Sull’inserimento del Prologo stesso nel primo giorno dell’attività di Gesù, cf. l’a-
cuto saggio di H. Saxby, The Time-Scheme in the Gospel of John, in «Expository
Times» 104/1, 1992-1993, 9-13. Sul profondo significato della serie dei giorni,
quindi sul riferimento trasparente ai giorni della creazione della Genesi, cf. Th.L.
Brodie, The Gospel According to John. A Literary and Theological Commentary,
Oxford University Press, New York-Oxford 1993, i parr. «Reflecting Creation…»
e «And Evoking the Resurrection», 130-132; Brodie conclude: «The essential
point is that, beginning with the prologue, the various chronological references in
1:1-2:22 help to weave the entire text into a unity, a unity which in various ways,
including the evoking of the resurrection, both reflects and surpasses the harmo-
nious seven-day unity of the first account of creation» (132). Già F. Quiévreux,
La structure symbolique de l’Évangile de Saint Jean, in «Revue d’Histoire et de
Philosophie Religieuses» 33, 1953, 123-165: «Nous noterons que le premier jour
va du verset 1 au verset 28 et qu’il a comme thème la lumière, ainsi que le récit
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 167

quindi, nel Prologo che va collocata la visione in diretta, rammemorata


in Gv 1,32-34.
5) Penso che il secondo (ma in realtà terzo!) incontro en passant tra Gesù e
il Battista, che apre la chiamata dei primi discepoli in Gv 1,35-37, provi
che la teofania descritta in Gv 1,32-34 sia quella del Prologo, richia-
mata dal Battista con un flashback. Infatti, «il giorno dopo Giovanni
stava ancora là (τῇ ἐπαύριον πάλιν εἱστήκει ὁ Ἰωάννης) con due dei
suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava (ἐμβλέψας τῷ
Ἰησοῦ περιπατοῦντι λέγει), disse: “Ecco l’agnello di Dio! (Ἴδε ὁ ἀμνὸς
τοῦ θεοῦ)”» (Gv 1,35). La scena replica perfettamente quella descritta
nel giorno precedente: l’identico Ἴδε, l’identica formula sono utilizzati
con tutta evidenza per salutare l’Unigenito già conosciuto come incar-
natosi. Sono formule di ri-conoscimento, non di apocalittica, estatica
agnizione. Pertanto, l’Ἴδε di 1,29-30 non annuncia in diretta l’evento
straordinario dell’incarnarsi del Logos, rammemorato, e non estatica-
mente contemplato, in 1,32-34.
Ma quando, allora, la teofania è avvenuta? Se il IV vangelo insiste si-
stematicamente sull’identificazione di Gesù Cristo con la divina luce di
vita94, quando la Luce si è incarnata in lui? Se in Gv 12,34-36 «la Luce»
è personificata ne «il Figlio dell’Uomo»95, che in 3,13 è apertamente

du premier jour dans la Genèse. Les mots “le lendemain”, qui se trouvent répétés
aux versets 29, 35 et 43, marquent le début de chacun des “jours” suivants. On
arrive ainsi au quatrième jour. Le récit des noces de Cana est ensuite situé dans
le temps de la manière suivante: “et, le troisième jour, il se fit des noces à Cana
de Galilée” (2, 1). L’expression “le troisième jour”, dans la manière de compter
le temps chez les Grecs, est équivalente à l’expression “trois jours après”. Si l’on
additionne ces trois jours avec les quatre jours précédents, on retrouve bien les
sept jours de la nouvelle création. Le nombre 7, dans l’évangile de Jean, tire sa
signification symbolique du récit de la Genèse. Le sens qui lui est attaché est celui
de la perfection divine. Dieu, ayant achevé au septième jour son œuvre, a béni le
septième jour et l’a sanctifié (Gn 2, 3)» (130-131).
94 «Io sono la luce del mondo (ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου); chi segue me, non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (τὸ φῶς τῆς ζωῆς)» (Gv
8,12); «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (φῶς εἰμι τοῦ κόσμου)»
(9,5); «Io come luce sono venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν κόσμον ἐλήλυθα)»
(12,46). Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,304-309; R.A. Cul-
pepper, The Prologue as Theological Prolegomenon…, 6-9.
95 «La folla gli rispose: “Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in
eterno (ὁ Χριστὸς μένει εἰς τὸν αἰῶνα); come dunque tu dici che il Figlio dell’Uo-
mo deve essere elevato (πῶς σὺ λέγεις ὅτι δεῖ ὑψωθῆναι τὸν υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου;)?
Chi è questo Figlio dell’Uomo? (τίς ἐστιν οὗτος ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου;)”. Gesù, al-
lora disse loro: “Ancora per poco tempo la luce è con voi (τὸ φῶς ἐν ὑμῖν ἐστι)”…
Mentre avete la luce (ὡς τὸ φῶς ἔχετε) credete nella luce, per diventare figli della
168 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

identificato con colui che è disceso dal cielo96, quando la Luce che è
vita97 è discesa dal cielo nell’uomo Gesù, quindi nel mondo, nel quale
Cristo la porta e la rivela? Come non ricordare alcune affermazioni del
Prologo? «In lui [nel Logos] era la vita e la vita era la luce degli uomi-
ni (ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων). La luce splende nelle tenebre…
Veniva nel mondo la luce vera (τὸ φῶς τὸ ἀληθινόν… ἐρχόμενον εἰς
τὸν κόσμον)» (1,4 e 9). È ormai evidente che è al Prologo che occorre
tornare.

7. Il Prologo come ritrattazione sapienziale del battesimo

Se «John the Baptist is the Prologue embodied»98 e se questi ha in tutte


le tradizioni protocristiane un ruolo strutturale nella vicenda biografica di
Gesù, più che per la sua attività, per la sua “testimonianza” al Giordano
(certo forzata delle tradizioni gesuane), il Prologo, incentrato sulla rive-
lazione del rifulgere del Logos nel mondo degli uomini riconosciuto dal

luce (ἵνα υἱοὶ φωτὸς γένησθε)» (Gv 12,34-36). Cf. 3,19: «La luce è venuta nel
mondo (τὸ φῶς ἐλήλυθεν εἰς τὸν κόσμον)»; l’affermazione segue di pochi versetti
quella relativa al Figlio dell’Uomo disceso dal cielo, citata nella nota qui sotto.
96 «Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’Uomo che è disceso
dal cielo (ὁ ἐκ τοῦ οὐρανοῦ καταβάς, ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου)» (Gv 3,13). Cf. 6,62:
«E se vedeste il Figlio dell’Uomo salire là dov’era prima? (ἐὰν οὖν θεωρῆτε τὸν
υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου ἀναβαίνοντα ὅπου ἦν τὸ πρότερον;) È lo Spirito che dà la vita
(τὸ πνεῦμά ἐστιν τὸ ζῳοποιοῦν), la carne non giova a nulla; le parole che vi ho
dette sono Spirito e vita (τὰ ῥήματα ἃ ἐγὼ λελάληκα ὑμῖν πνεῦμά ἐστιν καὶ ζωή
ἐστιν)»; e 1,51: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul
Figlio dell’Uomo».
97 «Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo (ὑψωθῆναι δεῖ τὸν υἱὸν τοῦ
ἀνθρώπου), perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna (ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων
ἐν αὐτῷ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον)» (Gv 3,14-15). «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna»
(3,36). «Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la
vita in se stesso (καὶ τῷ υἱῷ ἔδωκεν ζωὴν ἔχειν ἐν ἑαυτῷ)» (5,26). «Il pane di Dio
è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo (ὁ καταβαίνων ἐκ τοῦ οὐρανοῦ
καὶ ζωὴν διδοὺς τῷ κόσμῳ)… Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque
vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (ζωὴν αἰώνιον)… Io sono il pane
disceso dal cielo (ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος ὁ καταβὰς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ)» (6,33 e 40-41).
«Io sono la via, la verità e la vita (ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια καὶ ἡ ζωή)»
(14,6); cf. 17,2-3.
98 S. Brown, John the Baptist: Witness and Embodiment of the Prologue in the
Gospel of John, in Ch.W. Skinner (ed.), Characters and Characterization in the
Gospel of John, T&T Clark, London 2013, 147-164, in part. 163.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 169

Battista99, non può non essere la testimonianza dell’incarnazione del Figlio


divino preesistente al cospetto di Giovanni il Testimone (ὁ μάρτυς), presso
il Giordano. I riferimenti del Prologo al Battista sono, pertanto, assoluta-
mente centrali perché segnalano lo slittare dell’annuncio dall’ambito della
preesistenza a quello della storia, nel medio dell’incarnazione100. «È questa
la testimonianza di Giovanni (καὶ αὕτη ἐστὶν ἡ μαρτυρία τοῦ Ἰωάννου)»
(1,18): questo versetto cerniera connette, a mio avviso, visione e testi-
monianza “in diretta” giovannee della teofania/incarnazione del Logos al
Giordano, innicamente esaltate dal Prologo, con il ricordo della sua visione
e la reiterazione della sua testimonianza, che, passando per 1,1,19-51, si
prolungano sino all’ultima grandiosa proclamazione di Gv 3,27-36.
È ormai dominante la tesi che il Prologo, dipendente da un inno pre-
esistente, sarebbe stato aggiunto al corpo del vangelo in sostituzione di
una originaria sezione narrativa, che avrebbe avuto come versetti iniziali
Gv 1,6-8, introduttivi della descrizione del battesimo di Gesù al Giordano,
attualmente collocata in Gv 1,32-34101. Insomma, il Prologo a) prendereb-
be il posto di un originario racconto del battesimo di Gesù al Giordano,
posto in apertura del vangelo, con struttura analoga a quella di Marco;
b) conserverebbe frammenti del primitivo racconto battesimale, di cui Gv
1,32-34 sarebbe sezione residuale e decentrata. Eppure, ritengo che la col-
locazione del Prologo al posto della descrizione del battesimo non sia una
vera e propria rimozione, ma una ritrattazione, attraverso la quale la teo-
fania al Giordano viene mantenuta, grazie alla testimonianza del Battista,

99 «The Prologue is concerned with the entry of Wisdom – the Logos – into the
world of men» (J. Ashton, Undestanding the Fourth Gospel…, 536).
100 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,275-279; e M. Hooker, John
the Baptist and the Johannine Prologue…: «They [le inserzioni e le testimonianze
del Battista nel Prologo] refer to the historical “event” of Jesus Christ, that is, to
the appearance of the Logos among men… Within the Prologue, the references
to John the Baptist serve to link the subsequent historical statements with the
metaphysical truths there outlines: they make clear that it is Jesus who is the true
light which gives light to men, and who is the full revelation of God» (357-358).
Cf. J. Zumstein, Il vangelo secondo Giovanni…, I,81.
101 «It is probable that the Gospel did not originally include the Prologue. It probably
began with a briefer way of introducing Jesus in connection with the witness of
the Baptist, like the beginning of Mark; traces of this original opening survive
in 1,6-8, 1,15» (B. Lindars, The Gospel of John, Eerdmans-Marshall, Morgan
& Scott, Grand Rapids-London 1972, 76). Cf. M.-E. Boismard, Le Prologue de
St. Jean, Cerf, Paris 1953, 39-41; J.A.T. Robinson, The Relation of the Prologue
to the Gospel of St John…; R.E. Brown, Giovanni…, 39; J. Ashton, Undestan-
ding the Fourth Gospel…, 156-157; J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…,
100-101.
170 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

ma reduplicata a livello ontologico, quindi “distillata”, facendo cadere o


trasfigurando elementi narrativi scomodi e troppo “materialistici”, a par-
tire dalla somministrazione di un battesimo di penitenza e conversione ad
opera del Battista. Se nel Prologo non sono immediatamente riconoscibili
le caratteristiche distintive della scena battesimale di Gesù al Giordano
(l’acqua, la discesa dello Spirito, la voce che discende dal cielo) è perché
il redattore finale vuole di fatto sganciare la teofania al Giordano dal bat-
tesimo (come prova la sua coerente ricapitolazione in Gv 1,32-34, ove di
battesimo non si parla affatto), sicché i particolari della teofania vengono
ritrattati, riformulati attraverso una simbologia mistica, speculativa, che
potremmo definire “gnostica” e al tempo stesso demitologizzante: sosti-
tuisce colomba, voce, acqua con luce, parola, vita, che, ricapitolate nella
Persona dell’Unigenito, restituiscono la dimensione interiore, spirituale,
persino “esistenziale” della rivelazione. Il Prologo intende, così, proclama-
re la verità profonda e nascosta dei racconti tradizionali del battesimo di
Gesù, rivelare la conoscenza teologica della venuta al Giordano del Figlio
eletto/prediletto, innalzare l’evento storico, che pure continua a descrivere
all’inizio del vangelo, a disvelamento apocalittico dell’intimo mistero di
Dio. D’altra parte, nel rileggere l’evento teofanico al Giordano tramite i
riferimenti all’eptamerone della Genesi, il Prologo non radicalizza ciò che
già era implicito nei racconti tradizionali (penso a quello di Marco)102 del
battesimo di Gesù, nuovo Adamo generato dallo Spirito che aleggia sulle
acque? Anzi, retrocedendo ulteriormente, se al Giordano Giovanni Battista
annuncia apocalitticamente la fine di questo eone e l’irruzione del regno di
Dio, preparata dalla discesa dello Spirito che consente l’ingresso battesi-
male nella comunità escatologica degli eletti, la predicazione di Giovanni
non dipendeva forse dalla pretesa di essere strumento profetico-messianico
della ricreazione di Dio, dell’avvento del nuovo eone/mondo, con l’appari-
zione della “luce” salvifica, la discesa vivificante dello Spirito sull’acqua,
la divisione tra il popolo della luce/dei salvati e quello della tenebra/dei
condannati?
Certo, se il Prologo inizia nel segno dell’ἐν ἀρχῇ, se mette in scena la
Parola creatrice di Dio, che fa venire la luce, se è articolato attraverso l’op-

102 Cf. G. Lettieri, L’ultimo nel primo. L’uomo ad immagine e somiglianza nella tra-
dizione cristiana primitiva e patristica, in A. Melloni e R. Saccenti (edd.), In
the Image of God. Foundations and Objections within the Discourse on Human
Dignity. Proceedings of the Colloquium at Bologna and Rossena (July 2009) in
Honour of Pier Cesare Bori, Berlin 2010, 127-215, in part. 128-133: Gesù è ti-
pologicamente restituito, in Mc 1,9-12, come nuovo Adamo, nuovo Mosè, nuovo
Elia.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 171

posizione esplicita tra luce e tenebra, con tutta evidenza il Prologo è un


«targumic midrash» di Gen 1,1-5, cioè del primo giorno della creazione,
incentrato sulla Parola/dabar/memra di Dio103. In effetti, a partire dalla
comune espressione iniziale «ἐν ἀρχῇ», il Prologo giovanneo è stato, già
nella primissima esegesi cristiana – dagli gnostici a Origene104 –, messo in
connessione con il racconto della creazione della Genesi105, in particolare
con quella del «primo giorno», descritta in Gen 1,1-5.

103 Cf. D. Boyarin, The Gospel of the Memra: Jewish Binitarianism and the Prolo-
gue to John, in «HTR» 94/3, 2001, 243-284, in part. 267-279: il Prologo sareb-
be un «targumic midrash» di Gen 1-5, sicché Gv 1,1-5 ritratterebbe «a common
“Jewish” theologoumenon» (271) di natura sapienziale, che Gv 1,6-18 adattereb-
be alla figura storica di Gesù in Gv 6-18 (cf. in part. 272). Cf. anche D. Boyarin,
Borderlines. The Partition of Judaeo-Christianity, University of Pennsylvania
Press, Philadelphia 2004, cap. 4, «The Intertextual Birth of the Logos: The Prolo-
gue to John as a Jewish Midrash», 89-111: La «gradation, “In the beginning was
the Word, and the Word was God”, can easily be accounted for as an expansion of
the formal rhetorical pattern found in the first verse of Genesis; “In the beginning
God created the heaven and the earth, and the earth was without form and void”»
(96); cf. 102-105. Segnalo, inoltre, J. Painter, Rereading Genesis in the Prologue
of John?, in D.E. Aune, T. Seland, J.H. Ulrichsen (edd.), Neotestamentica et Phi-
lonica: Studies in Honor of Peder Borgen, Brill, Leiden 2003, 179-201, in part. il
par. «The Targumic Character of the Prologue», 180-183. «This poet, in crafting
the Prologue, had one eye fixed on the Genesis account of creation… and the other
eye fixed on the stories about Jesus» (P.S. Minear, Christians and the New Crea-
tion…, 83). Cf. J.K. Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John…: «His use
of λόγος evokes the recurring Genesis language of “God said” in the creative acti-
vity (εἶπεν ὁ θεός [Gen 1:6, 9, 14, 20, 24, 26, 28 LXX])» (277). «Every assertion
regarding the ensarkos logos in the Prologue’s final five verses, with the exception
of the incarnation itself, is true of the targumic memra» (C.A. Evans, Word and
Glory. On the Exegetical and Theological Background of John’s Prologue, JSOT
Press/Sheffield Academic Press, Sheffield 1993, 121); cf. 121-129.
104 Cf. il fondamentale studio di A. Orbe, A propósito de Gen. 1,3 (fiat lux) en la
exegesis de Taciano, in «Gregorianum» 42/3, 1961, 401-443, in part. 430-440;
inoltre, J.C.M. Winden, In the Beginning: Some Observations on the Patristic
Interpretations of Genesis 1,1, in «Vigiliae Christianae» 17, 1963, 105-121, quin-
di in J.C.M. Winden, Arché. A Collection of Patristic Studies, Brill, Leiden-New
York-Köln 1997, 61-77; J.C.M. Winden, In the Beginning: Early Christian Exe-
gesis of the Term arché in Genesis 1:1, Leiden 1967, quindi in Archè…, 78-93; il
notevole volume collettaneo In principio. Interprétations des premiers versets de
la Genèse, Institut des Études Augustiniennes, Paris 1973, in part. il saggio di P.
Nautin, Genèse 1,1-2 de Justin à Origène, 61-93; M. Coloe, The Structure of the
Johannine Prologue and Genesis 1…, 40-55.
105 «The evangelist cites the first words of Genesis 1 from the LXX, Ἐν ἀρχῇ (“in
the beginning”), and by so doing evokes the story of creation as the starting place
for his Gospel about Jesus. Not only does John introduce the themes of life and
172 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu (καὶ εἶπεν ὁ θεός: “Γενηθήτω φῶς”. Kαὶ
ἐγένετο φῶς: sec. LXX) (Gen 1,3)106.

Pronunciandola, Dio fa essere la Luce, manifestazione folgorante del


suo potere creativo, della sua irradiante potenza donativa: la parola di Dio è
il venire stesso della luce, chiamata a fare irruzione nell’originaria «tenebra
che ricopriva l’abisso (σκότος ἐπάνω τῆς ἀβύσσου: sec. LXX)» (Gen 1,2),

light (ζωὴ and φῶς [1:4-5]), which are clearly derived from Genesis 1 (vv. 3, 14,
20, 24 LXX), but his use of λόγος evokes the recurring Genesis language of “God
said” in the creative activity (εἶπεν ὁ θεός [Gen 1:6, 9, 14, 20, 24, 26, 28 LXX]).
Certainly, the language of all things coming into existence via the λόγος (John
1:3) directly connects John’s introduction to the creation account of Genesis 1»
(J.K. Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John, in «The Catholic Biblical
Quarterly» 72, 2019, 275-290, in part. 277). «Gen 1,3 forms the background for
the term [Logos]… Gen 1,3 presents the most probable foundation for the term
Logos in the Prologue of John» (P. Borgen, Logos was the True Light…, p. 119 e
120); cf. p. 129.
106 «Gen 1,3 forms the background… and the most probable foundation for the term
Logos in the Prologue of John» (P. Borgen, Logos was the True Light. Contribu-
tions to the Intepretation of the Prologue of John, in «Novum Testamentum» 14,
1972, pp. 115-130, in part. pp. 118-119, in part. 119 e 120); cf. p. 129; P. Borgen,
Observations on the Targumic Character of the Prologue of John, in «New Te-
stament Studies» 16, 1970, pp. 288-295; e; infine P. Borgen, “John the Witness”
and the Prologue: John 1:1-34(37), in The Gospel of John: More Light from Phi-
lo, Paul and Archaeology, Brill, Leiden-Boston 2014, pp. 219-238. Ma cf. già
R.E. Brown, Giovanni…, p. 4: «Nella Bibbia ebraica il primo libro (Genesi) è
chiamato, dalle parole con cui si apre, “In principio”; perciò il parallelo tra il
Prologo e la Genesi era facilmente riconoscibile. Il parallelo continua nei versetti
seguenti, dove i temi di creazione e di luce e tenebre sono ripresi dalla Genesi».
Segnalo come P. Borgen, Logos was the True Light…, p. 120, rimandi a Filo-
ne, De somniis I,75. Ebbene, De somniis I,72-76 è davvero testo di straordinario
interesse, in quanto connette l’uomo ad immagine con il logos divino e la luce
primordiale di Dio, con esplicito riferimento al Fiat lux di Gen 1,3: «Dio è luce
(ὁ θεὸς φῶς ἐστι)… e non solo luce, ma archetipo di ogni altra luce (καὶ οὐ μόνον
φῶς, ἀλλὰ καὶ παντὸς ἑτέρου φωτὸς ἀρχέτυπον) o, meglio ancora, più antico e
più eccelso di ogni archetipo, perché Egli ha la ragione dell’archetipo (μᾶλλον
δὲ παντὸς ἀρχετύπου πρεσβύτερον καὶ ἀνώτερον, λόγον ἔχον παραδείγματος).
Modello infatti è la sua Parola pienamente compiuta (τὸ μὲν γὰρ παράδειγμα ὁ
πληρέστατος ἦν αὐτοῦ λόγος), che è luce (φῶς); si legge, infatti, nel testo sacro:
«Dio disse: “Sia fatta la luce”» (Gen 1,3); mentre Egli non è simile a nessuna cosa
creata (”εἶπε” γάρ φησιν “ὁ θεός· γενέσθω φῶς” (Gen 1, 3) –, αὐτὸς δὲ οὐδενὶ τῶν
γεγονότων ὅμοιος)» (I,75). Sul rapporto tra il prologo e speculazioni giudaico-
ellenistiche, quindi per una rilevante analisi dei paralleli con Filone, cf. T. Tobin,
The Prologue of John and Hellenistic Jewish Speculations, in «CBQ» 52, 1990,
252-269.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 173

rispetto alla quale si separa (cf. Gen 1,3), distinguendosi dalle acque pri-
mordiali, sulle quali originariamente lo Spirito aleggia (cf. Gen 1,2) e che
la luce trascende. Ebbene, proprio la connessione tra “parola” della «luce»
e «tenebre» “riappare” in Gv 1,5: «La luce splende nelle tenebre (τὸ φῶς
ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει)». La ritrattazione della Genesi è del tutto lampante107.
Si potrebbe obiettare: mentre Gen 1,3 afferma la creazione della luce da
parte di Dio, il Prologo identifica la Luce con il Logos divino, cioè con il
Figlio che è dio presso il Dio (Gv 1,1-2); d’altra parte, già in Proverbi 8 la
Sapienza era definita creata da Dio, pur essendole attribuito il ruolo divino
di “architetto” della creazione, quindi di vivificatrice del mondo:

Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua


opera fin d’allora (sec. LXX: κύριος ἔκτισέν με ἀρχὴν ὁδῶν αὐτοῦ εἰς ἔργα
αὐτοῦ). Dall’eternità sono stata costituita, sin dal principio (πρὸ τοῦ αἰῶνος
ἐθεμελίωσέν με ἐν ἀρχῇ)… Ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davan-
ti a lui in ogni istante (sec. LXX: καθ’ ἡμέραν δὲ εὐφραινόμην ἐν προσώπῳ
αὐτοῦ ἐν παντὶ καιρῷ)… Chi trova me trova la vita (sec. LXX: αἱ γὰρ ἔξοδοί
μου ἔξοδοι ζωῆς) (8,22-23; 29; 35).

Il Prologo, allora, dispiegherebbe una lettura sapienziale, quindi perso-


nalizzante del Fiat lux di Gen 1,3, interpretato quale Logos/Sapienza ἐν
ἀρχῇ108, quindi come Parola creatrice e donatrice di vita. E come la Sa-

107 Per una notevolissima reinterpretazione dell’intera dottrina della giustificazione


paolina quale apocalittica ri-creazione ex nihilo tramite la sua escatologica parola
di vita che è lo Spirito di Cristo, cf. E. Käsemann, Paulinische Perspektiven, Mohr
Siebeck, Tübingen 1969, 19722, tr. it. Prospettive paoline, Paideia, Brescia 1974:
l’esistenza cristiana è quindi restituita come «un continuo reditus ad baptismum,
un ascolto vissuto della parola creatrice» (137); «l’azione di Dio nella storia si
riferisce sempre, dal principio alla fine, a ciò che in sé non vale nulla… [operando
sempre] con un materiale inetto, in se stesso nullo; in ultima analisi, sempre sui
morti e coi morti (135).
108 Il primo studioso moderno che ha dispiegato una sistematica lettura “sapienziale”
del prologo, messo in relazione a Proverbi 8,22-31; Ecclesiastico 24; Sapienza di
Salomone e Baruch 3,37-4,1, è stato J. R. Harris, The Origin of the Prologue to St.
John’s Gospel, Cambridge University Press, Cambridge 1917. Per un aggiorna-
mento di questa prospettiva, cf. M.E. Willett, Wisdom Christology in the Fourth
Gospel, Mellen Research University Press, San Francisco 1992. Ancora preziose
sono le riflessioni di R.E. Brown, Giovanni…, Appendice seconda, «La “Paro-
la”», 1464-1471: riportando il Logos giovanneo all’ebraico dabar e all’aramaico
memra, insiste comunque sulla predominanza del senso ebraico di atto rivelativo,
operativo, eventuale, comunicativo, rispetto ad un’accezione ellenistica, preva-
lentemente ontologica, del termine. «Sembra che la descrizione della Parola fatta
nel Prologo sia di gran lunga più vicina a correnti di pensiero bibliche e giudaiche
174 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

pienza, così l’Unigenito che è il Logos vede il volto di Dio e per questo
può rivelarlo109. Non è possibile, pertanto, prescindere dal rapporto con
Proverbi 8 nella valutazione del Prologo giovanneo, tanto più che, in Prov
9,1-5, non soltanto si legge che «la Sapienza si è costruita la casa (sec.
LXX: ἡ σοφία ᾠκοδόμησεν ἑαυτῇ οἶκον), ha intagliato le sue sette colonne
[dunque la sua casa è presso Israele]» (1), ma anche che in essa offre il suo
pane e il suo vino:

Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato (Ἔλθατε


φάγετε τῶν ἐμῶν ἄρτων καὶ πίετε οἶνον, ὃν ἐκέρασα ὑμῖν). Abbandonate la
stoltezza e vivrete, andate dritti per la via dell’intelligenza (κατορθώσατε ἐν
γνώσει σύνεσιν) (Prov 9,5-6).

I paralleli con Gv sono del tutto evidenti, seppure rafforzati da riferi-


menti all’Esodo: in Gv 1,14 il Logos, incarnandosi, «venne ad abitare in
mezzo a noi (ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν)», divenendo il vero Tempio di Dio (cf.
3,19-21), il santuario della sua Gloria; in 2,11 il primo dei segni di Gesù
è la trasformazione miracolosa dell’acqua in vino; in 6,26-6 Gesù si iden-
tifica con la manna, il pane di vita disceso dal cielo110. Infine, Gesù dice
di sé: «Io sono la via, la verità e la vita (Ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια
καὶ ἡ ζωή)» (14,6). Si potrebbe proseguire nell’identificazione di paralle-
li sapienziali veterotestamentari e intratestamentari (si pensi al libro della
Sapienza)111, capaci di illuminare la genesi della nozione di Logos divi-

che non ad alcunché di puramente ellenistico. Nel pensiero del teologo del Pro-
logo la parola creativa di Dio, la parola del Signore che era rivolta ai profeti, è
divenuta personale in Gesù, che è l’incarnazione della rivelazione divina» (1470).
Per un’approfondita analisi dei testi sapienziali – Gb 28; Prv 1-9; Bar 3,9-4,4; Sir
1; 4,11-19; 6,18-31; 14,20-15,10; 24; Sap 6-10 –, a partire dai quali interpretare
il Prologo e la teologia giovannei, cf. ancora R.E. Brown, Giovanni…, CXLVIII-
CLIII; sottolineo come Brown consideri una lettura sapienziale di Cristo rivela-
tore già presente nei sinottici, in part. in Mt 11,25-27; Lc 10,21-22: cf., in part.,
CLII-CLIII.
109 «Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν πώποτε): proprio il Figlio uni-
genito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν
κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος ἐξηγήσατο)» (Gv 1,18).
110 Cf. Filone, Quis rerum divinarum heres sit, 79: «Israele alza gli occhi verso l’etere
e le rivoluzioni del cielo; egli ha imparato a guardare verso la manna, che è il
Logos divino, cibo celeste ed incorruttibile dell’anima amante della contempla-
zione (εἰς τὸ μάννα ἀφορᾶν, τὸν θεῖον λόγον, τὴν οὐράνιον ψυχῆς φιλοθεάμονος
ἄφθαρτον τροφήν)».
111 Mi limito a citare due soli brani: «[La sapienza] è un’emanazione della poten-
za di Dio (ἀτμὶς γάρ ἐστιν τῆς τοῦ θεοῦ δυνάμεως), un effluvio genuino della
gloria dell’onnipotente (ἀπόρροια τῆς τοῦ παντοκράτορος δόξης εἰλικρινής)…
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 175

no preesistente e rivelato del Padre, proclamato nel Prologo. Ma perché


Giovanni ha, con tutta evidenza, traslato sul termine Logos ciò che diversi
testi ebraici riferivano alla Sapienza? Non soltanto perché, riferito a Gesù,
un sostantivo greco maschile era preferibile a un sostantivo femminile112,
ma, forse, perché il termine Logos meglio esprimeva il significato biblico
di rivelazione vivente, di parola di comunicazione “non oggettivata”, ma
personalmente eventuale, che il IV vangelo vuole recuperare e identificare
con la persona di Gesù113, latore dell’apocalisse salvifica.

8. Lux in tenebris: l’innalzamento del rigettato Messia escatologico a


Logos protologico

Emerge, a questo punto, la delicatissima questione dell’eventuale scarto


tra l’ipostatizzazione del Figlio preesistente e le tradizionali figure ebrai-
che di mediazione, comunque tutte ipostaticamente deboli e create: dalla
Sapienza di Proverbi 8, appunto, al Logos filoniano, dal Figlio dell’Uomo
apocalittico (di Daniele 7 o dell’enochico Libro delle Parabole) ad Adamo
vero profeta redivivo114. Sono, infatti, sempre più diffusi i tentativi storio-

È un riflesso della luce perenne (ἀπαύγασμα γάρ ἐστιν φωτὸς ἀιδίου), uno spec-
chio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà (εἰκὼν τῆς
ἀγαθότητος αὐτοῦ)» (Sap 7,25-26); «Dio dei padri e Signore dei misericordia, che
tutto hai creato con la tua parola (ἐν λόγῳ σου) e che con la tua sapienza (καὶ τῇ
σοφίᾳ) hai formato l’uomo» (9,1-2).
112 Cf. J. R. Harris, The Origin of the Prologue to St. John’s Gospel…, 25-26.
113 «Lungo i secoli la Sapienza aveva eclissato la Parola di JHWH. Nel suo Prologo
Gv fa riapparire il “dabár”, posto in ombra nella sistematizzazione biblica più
recente… Tra il Prologo e la tradizione sapienziale non c’è quindi soltanto con-
tinuità in quanto intuizione della venuta “concreta” di Dio, per salvare il mondo
degli uomini; c’è anche una discontinuità, ma una discontinuità feconda di senso:
il Logos non poteva essere identificato con una legge che in lui avrebbe preso
figura, con un progetto, fosse pure divino, o con una scrittura, per quanto ispirata.
Il Logos dice ciò che la Legge intendeva essere fin dalle sue origini, cioè una
rivelazione vivente e personale di Dio con gli uomini» (X. Leon-Dufour, Lettura
del Vangelo secondo Giovanni…, 100-101).
114 Qui mi limito a riportare un brano davvero straordinario di Filone, che ricapitola
tutti i principali nomi o le più significative figure di mediazione, che, comunque,
non riescono ad aggregarsi ipostaticamente nell’ipostasi del Figlio come secon-
do dio, tant’è che il Logos stesso viene qui indicato come Arcangelo: «Coloro
che hanno conoscenza dell’Uno sono a giusta ragione chiamati “figli di Dio”…
E se anche ci fosse qualcuno che non è ancora degno di essere chiamato “fi-
glio di Dio”, si affretti a mettersi in sintonia con il suo primogenito, il Logos
(κατὰ τὸν πρωτόγονον αὐτοῦ λόγον), il più venerabile degli angeli (τὸν ἀγγέλων
176 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

grafici di anticipare non più in uno gnosticismo precristiano di problema-


tica identificazione storica, ma all’interno dello stesso ebraismo intrate-
stamentario l’emergere di una vera e propria teologia della mediazione,
quindi il diffondersi di una “cristologia pregesuana” del Figlio divino, sic-
ché non soltanto Marco e Giovanni condividerebbero la stessa prospettiva
teologica, ma Gesù stesso avrebbe preteso di “incarnare” in sé l’identità del
mediatore divino115. Si finisce, infatti, per assumere nomi e figure ebraiche
della mediazione come ipostasi analoghe al Logos/Unigenito preesistente
giovanneo, finendo per sfumare la distinzione tradizionale, e a mio avviso
ancora storicamente fondata, tra cristologia bassa e cristologia alta, cri-
stologia eventuale-carismatica e cristologia ontologica. Spirito e Logos,
Parola e Profeta, Cristo e Figlio dell’Uomo, Unigenito preesistente e Ada-
mo protologico o escatologico tendono a risultare interscambiabili, sicché

πρεσβύτατον), potremmo dire l’Arcangelo (ὡς ἂν ἀρχάγγελον). A questo Logos


si attribuiscono molti nomi (πολυώνυμον ὑπάρχοντα), secondo che sia chiama-
to “principio (ἀρχή)”, “nome di Dio (ὄνομα θεοῦ)”, “Logos (λόγος)”, “uomo a
immagine (ὁ κατ’ εἰκόνα ἄνθρωπος)”, oppure il Veggente, ossia Israele (ὁ ὁρῶν,
Ἰσραήλ)… Se non siamo ancora degni di essere chiamati “figli di Dio”, almeno
cerchiamo di essere figli della sua immagine ideale: il santissimo Logos (λόγου
τοῦ ἱερωτάτου). In verità, l’immagine di Dio è il Logos (θεοῦ γὰρ εἰκὼν λόγος
ὁ πρεσβύτατος), la più venerabile delle creature (ὁ πρεσβύτατος)» (Filone, De
confusione linguarum 146-147).
115 Cf. D. Boyarin, The Jewish Gospels, Jack Miles, New York 2012, tr. it. Il vangelo
ebraico, Lit, Roma 2015: «Quando Marco si riferisce a Gesù nel secondo capitolo
del Vangelo come “Figlio dell’Uomo”, lo fa per sottolineare la natura divina del
Cristo» (45); «Ora voglio dimostrare che lo stesso Gesù si vedeva come il Figlio
dell’Uomo divino e lo farò illustrando un paio di difficili passaggi del secondo
capitolo del Vangelo di Marco» (64); cf. 63-74. Il presupposto è interpretare il Fi-
glio dell’Uomo di Dan 7 come vera e propria «seconda figura divina… in forma
umana» (46-47). Prospettiva analoga è quella proposta da G. Boccaccini, How
Jesus Became Uncreated, in J. Baden, H. Nayman, E. Tigchelaar (edd.), Sybils,
Scriptures, and Scrolls. John Collins at Seventy, Brill, Leiden-Boston 2017, I,
185-208, che fa dipendere la genesi della cristologia giovannea dal celeste Figlio
dell’Uomo enochico (cf. Libro delle parabole), creatura preesistente rispetto alla
creazione degli angeli e del mondo, quindi “divino” giudice escatologico, che
poteva essere onorato come “dio”. Gesù, discepolo del movimento apocalittico
di Giovanni Battista fortemente condizionato da teologumeni enochici, sarebbe
stato interpretato dai suoi discepoli come il preesistente Figlio dell’Uomo disce-
so in terra, riconosciuto non soltanto come giudice ultimo, o come messia del
mondo a venire, ma anche come colui che (a rischio di essere accusato di blasfe-
mia) pretendeva di perdonare i peccati individuali agli uomini già su questa terra.
L’innovazione del IV vangelo sarebbe stata l’interpretazione di Gesù come Figlio
increato e non solamente “divino” (come il creato Figlio dell’Uomo enochico, o
la creata Sapienza di Prov 8).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 177

(come, di fatto, affermano non solo Boyarin, ma anche Talbert e Kinlaw) la


cristologia di Marco e la cristologia di Giovanni finiscono per sovrapporsi,
mentre penso esse siano piuttosto da interpretare come diversi stadi di un
rapido processo infracristiano di progressivo innalzamento dell’identità di
Gesù, che da uomo “divino”, Figlio messianico unto con lo Spirito esca-
tologico, diviene dio presso il Dio, preesistente Figlio unigenito, datore di
Spirito.
Allora, torna forse opportuno ricordare la messa in guardia di Barrett,
che valutava come «vicolo cieco»116 i tentativi di spiegare l’origine del
Logos giovanneo tramite la mera traslazione sul Gesù storico della no-
zione di dabar, memra, kavod o del nome di Dio (si pensi all’ἐγὼ εἰμί
ricorrente in Gv, derivato da una restituzione ellenistica di Esodo 3,14)117.
Forse, una prospettiva storicamente più attenta potrebbe indurre a non ri-
cercare a ritroso l’avatar della cristologia alta giovannea, postulando un’i-
dea astratta dell’ipostasi preesistente e persino della sua incarnazione in un
servo sofferente quale format teologico preconfezionato, successivamente
applicato alla singolare figura storica di Gesù. Penso, appunto, alle tesi
stimolanti e storicamente preziose, eppure a mio parere troppo semplifi-
catorie di Boyarin, che rischia la retroproiezione del modello della cristo-
logia giovannea prima sui vangeli sinottici, quindi su tradizioni ebraiche

116 Cf. C.K. Barrett, The Gospel According to St. John. An Introduction with Com-
mentary and Notes on the Greek Text, The Westminster Press, Philadelphia 1955,
19782, 153: «Memra is a blind alley in the study of the biblical background of
John’s logos doctrine… [Memra] was not truly a hypostasis but a means of spe-
aking about God without using his name, and thus a means of avoiding the nu-
merous anthropomorphisms of the Old Testament». Cf., in questa prospettiva, J.
Bowman, The Immanence of God: The Shekinah and the Memra, in J. Bowman,
The Fourth Gospel and the Jews. A Study in R. Akiba, Esther and the Gospel of
John, Pikwick Publications, Eugene 1975, 45-99; e R.E. Brown, Giovanni…: «La
Memra del Signore nei Targumin… è un surrogato per indicare Dio stesso….
Non si tratta di una personificazione, ma l’uso di Memra serve, per così dire, da
paraurti per la trascendenza divina» (1470).
117 Sulla restituzione del Logos giovanneo come “traduzione” di memra, cf. il cap.
«Logos of the Fourth Gospel and Memra of the Palestinian Targum (Exod 12:42)»,
in M. McNamara, Targum and New Testament. Collected Essays, Mohr Siebeck,
Tübingen 2001, 439-443; e soprattutto il volume di J. Ronning, The Jewish Tar-
gums and John’s Logos Title, Hendricksen, Grand Rapids 2010. Cf., inoltre, C.C.
Sullivan, Introducing the Incarnate Christ: How John’s Logos Theology Sets the
Stage for the Narrative Development of Jesus’s Identity, in «Canadian Theological
Review» 2/2, 2013, 33-44; J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…, 105-106.
Sulla nozione di memra e di altre figure di mediazione, cf. il pionieristico saggio
di G.F. Moore, Intermediaries in Jewish Theology: Memra, Shekinah, Metatron,
in «The Harvard Theological Review» 15/1, 1922, 41-85.
178 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

preesistenti. Senza dubbio, le figure di mediazione del mediogiudaismo


sono innumerevoli e paiono talvolta urgere verso la ricapitolazione storica
in una figura messianica escatologica, ma, d’altra parte, esse non hanno
mai avuto la forza concettuale e storica di mettere in discussione il rigoro-
so monoteismo tradizionale. Si pensi al Logos filoniano, che oscilla tra la
potenza impersonale di Dio e l’arconte creato/uomo ad immagine (quale
l’Adamo Vero profeta del corpus pseudoclementino), sicché soltanto l’in-
fluenza della nozione medioplatonica di “secondo dio” può giustificarne la
relativa consistenza ontologica. Questa è comunque incapace di “tenere”
ipostaticamente al cospetto dell’ormai dominante monoteismo ebraico, ri-
uscito a riassorbire e ricapitolare in sé qualsiasi disseminazione del divi-
no, comprese le deboli figure celesti di mediazione, chiamate comunque a
salvaguardare la trascendenza assoluta dell’Altissimo. Ebbene, ritengo che
prive di un apocalittico fondamento storico di crisi radicale della rivelazio-
ne, le figure ebraiche di mediazione tra la trascendenza dell’unico Dio e il
mondo/Israele non riescano mai a costituirsi in persistente ipostasi perso-
nale: proprio perché idee di connessione logica necessaria tra principio e
derivato, assoluto e contingenza, proprio perché teofanie che mediano in
un continuo il rapporto fra Dio e creazione, esse, oscillando tra manifesta-
zione celeste e teofania storica, si sovrappongono, vanno e vengono quali
estroflessioni riassorbibili della potenza suprema di Dio, interscambiabili
e precarie perché di fatto superflue. In effetti, esse sono tutte varianti della
rivelazione fondativa di Dio, quella della Legge (con la quale Sapienza,
Logos, lo stesso Figlio dell’Uomo giudice finiscono per identificarsi), che
essendo principio ontologico e religioso di ordinamento e giustificazione
della creatura (del mondo e soprattutto di Israele eletto) si rivela come
teofania dell’unico Dio, limitandosi a rappresentarne il potere assoluto di
subordinazione salvifica.
Ritengo, piuttosto, che soltanto il tentativo pragmatico di dare ragione
di radicalissimi traumi storici, violente lacerazioni tra comunità giudai-
che, dispute e conflitti tra antitetiche pretese autoritative e non il meccani-
co, astratto riciclo di “indifferenti”, comuni dispositivi teologici118, possa

118 «La teologia dei Vangeli, ben lungi dal costituire un’innovazione radicale nel
contesto della tradizione religiosa israelitica, è un ritorno alquanto conservato-
re ai momenti più antichi della tradizione, nel frattempo soppressi in gran parte
[dall’affermazione di un rigoroso monoteismo], ma non del tutto» (D. Boyarin, Il
vangelo ebraico…, 57); «Tutte le idee riguardanti Gesù sono antiche: la novità è
Gesù. Non vi è nulla di nuovo, nella dottrina del Cristo, salvo la proclamazione di
quest’uomo quale Figlio dell’Uomo… Le idee della Trinità e dell’incarnazione, o
almeno gli embrioni di tali idee, erano già presenti tra i seguaci del credo ebraico
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 179

spiegare la crisi e la paradossale ritrattazione giovannea di un monotei-


smo ebraico chiamato a fuoriuscire da se stesso, o, meglio, l’introduzione
nell’intimità del Padre della precosmica relazione con la persona119 dif-
ferente del Figlio/Dio. La piena divinizzazione giovannea del Messia è,
infatti, l’esito più alto ed estremo della pretesa apocalittica protocristiana
di incarnare la sapienza, di togliere l’intera economia divina (e con essa
Legge e Tempio) in un singolo uomo storico120, divenuto scandalo e pietra
di inciampo nella storia giudaica del secondo Tempio. La “folle” e reietta
pretesa che il senso ultimo del rivelarsi di Dio si nasconda nell’abiezione
del bestemmiatore crocifisso dal Tempio quale maledetto dalla Legge121
può “alla lunga” essere tollerata, nonostante l’enigmatico prolungarsi del
ritardo della seconda parousia, soltanto divinizzando il rivelatore messia-
nico, assicurandone nell’intimità di Dio l’elettiva presenza teofanica, stori-
camente in apparenza sottratta. Quanto più diviene acuta la crisi di credibi-
lità in Gesù crocifisso creduto messia resuscitato, glorificato, asceso nello
Spirito quale Signore escatologico d’Israele, tanto più radicale finisce per
essere il rilancio della pretesa storica gesuana, che la comunità giovannea

molto prima che Gesù arrivasse sulla scena per incarnare tali nozioni teologiche e
rispondere alla chiamata messianica» (96-97).
119 «Vengono fatte [in Gv 1,1-3] affermazioni personali sulla “parola”: essa sempli-
cemente “era”, come esiste una persona nella sua autonomia; essa “era presso
Dio”, come sono le persone che stanno insieme; essa “era Dio”, come si descrive
l’essere delle persone. Con l’affermazione di questo carattere personale del Lo-
gos è nettamente tracciata una linea di separazione dalla speculazione sapienziale
giudeo-ellenistica, dalla dottrina sul Logos di Filone, nonché dalle idee gnostiche
di potenze creatrici, che procedono ed emanano l’una dopo l’altra da Dio» (R.
Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, 294).
120 «Questa incarnazione in un unico uomo è molto di più delle reiterate incorpo-
razioni della sapienza in molti sapienti. Nel Nuovo Testamento si verificò una
rimitizzazione della sapienza» (G. Theissen, Erleben und Verhalten der ersten
Christen. Eine Psychologie des ersten Christentums, Gütersloher Verlaghaus,
Gütersloh 2007, tr. it. Vissuti e comportamenti dei primi cristiani. Una psicologia
del cristianesimo delle origini, Queriniana, Brescia 2010, 286).
121 «Secondo Paolo, la morte di Gesù contiene in sé in maniera inoppugnabile quel
conflitto che caratterizza essenzialmente la sua teologia, attraverso il contrasto
inconciliabile tra legge e vangelo. Il medesimo stato di fatto è presente in Hebr
13,12ss., ove si parla del morire fuori del campo della comunità del patto. Se
tentiamo di tradurre quest’affermazione in un’immagine moderna, al motivo della
morte di un delinquente si aggiunge quello di colui che muore senza Dio… Se la
croce, la quale oggi è considerata da noi come simbolo della religiosità, veniva
eretta nell’ambiente della lontananza da Dio, la venerazione di colui che vi era ap-
peso era in partenza lo scandalo estremo» (E. Käsemann, Prospettive paoline…,
61-62).
180 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

“raddoppia” nella proclamazione della sua preesistente divinità, signoria,


potenza teofanica. Soltanto la divinizzazione protologica può supportare
un già paradossale kerygma escatologico, quando il compiersi dell’attesa,
il ritorno dell’Amato è costretto ad essere indefinitamente rinviato. Eppure,
il nocciolo del kerygma rimane escatologico, apocalittico, estatico, sicché
la struttura della “nuova” relazione divina preesistente tra il Padre e il Fi-
glio gli si deve adeguare.
Si identifica, così, nel Figlio il punto archimedico di rovesciamento in-
terno e inveramento del monoteismo: il Figlio non è una (secondaria, con-
tinua, necessaria, quindi riassorbibile) manifestazione effusiva di ordine,
ma la tremenda alterazione rivelativa che dischiude “una volta per tutte”
il segreto del Padre, che ritratta la sua logica elettiva. Il Figlio è l’unico
interprete di Dio, il divino discrimine teofanico. È, allora, la violenza del-
la torsione dell’economia storica di salvezza quella che attiva la genesi
dell’economia binitaria (e successivamente trinitaria) protocristiana. Se
«tutto è compiuto (τετέλεσται)» (Gv 19,30) sulla croce, se nella catastrofe
della reiezione del messia culmina tutta la rivelazione del Dio di Israele, è
in questa paradossale perfezione rivelativa che va riconosciuto l’esclusivo
“venir fuori” di Dio, che ormai può essere visto soltanto grazie al Figlio,
che ne diventa l’intima apocalisse (Gv 1,18), al di là della Legge. Pertanto,
se la pienezza è nella fine, la fine è nella pienezza, se Dio compie il suo
rivelarsi nel Figlio crocifisso, questi, Luce che risplende nelle tenebre, ma-
nifesta l’eterno e divisivo segreto estatico, eventuale, comunicativo di Dio.
L’ordine della creazione e della Legge diviene l’ombra dell’eterna Luce
cristica, nella quale da sempre Dio avviene: se Cristo è il mistero ultimo di
Dio, la sua ontologizzazione comporta l’esaltazione protologica dell’esca-
tologia tragica gesuana, ovvero l’escatologizzazione gesuana della preesi-
stenza divina. L’innalzamento di Gesù “nel cuore” del Padre corrisponde,
inevitabilmente, alla frattura infraebraica, quindi a un’assolutizzazione del
trauma, di cui il nuovo binitarismo porta traccia.
In effetti, la radicale pretesa carismatico-escatologica di Gesù ultimo
profeta/messia apocalittico viene rigettata dall’ebraismo stabilito e mag-
gioritario: il Tempio lo crocifigge come maledetto della Legge, il popolo
di Israele non si converte (ad eccezione di un resto minimo), Tempio e
sinagoghe espellono, perseguitano o uccidono i suoi seguaci (da Stefano
a Paolo, da Giacomo ai martiri giovannei: cf. Gv 16,2-3), i più radicali dei
quali reagiscono avviando un processo di violenta denuncia dell’Israele
cieco e malvagio. A questo lacerante conflitto infraebraico (quello tra co-
munità gesuane e giudaismo stabilito e, parallelamente, quello tra pretese
gesuane e pretese profetico-messianiche rivali, quali quelle di Giovanni
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 181

Battista o di Simone samaritano) corrisponde un violento processo di radi-


calizzazione estatica delle originarie prospettive apocalittiche, che emerge
con sempre più forza dalla polimorfa rivelazione protocristiana. Questa
viene sempre più restituita come segnata dalla pretesa polemica di uno
scarto, più o meno radicale, tra vecchio e nuovo: nella potentissima pretesa
carismatica di Gesù apocalittico mediatore del Regno, interpretata come
messianica da parte delle comunità postpasquali, il Dio ebraico avrebbe
ritrattato la sua rivelazione, sicché vengono ad essere messi in tensione
antico e nuovo eone, antica e nuova rivelazione/alleanza, quindi Legge/
Tempio e Spirito del Risorto, elezione separata del giudaismo e razzia-
le universalizzazione (più o meno settaria) dell’elezione122. La pretesa di
“incarnare” in Gesù l’apocalisse della salvezza escatologica determina un
doppio scarto nella storia di Israele: Gesù e “i suoi” vengono scartati come
empi bestemmiatori dall’Israele incredulo, che questi reietti entusiasti giu-
dicano scartato (provvisoriamente per Paolo, definitivamente per Giovanni
e per il protocattolicesimo nascente) da Dio e dalla sua elezione salvifi-
ca. Alla condanna perdurante di bestemmia e apostasia, la fede in Gesù
Cristo non può che contrapporre, infine, una giustificazione iperbolica:
quella carne misconosciuta è l’ultima apocalisse dell’unico Dio nel Figlio,
che è il Logos Dio con il Padre sin dal principio del mondo. Nell’estatica
apocalisse gesuana, che vive della proiezione verso il Regno, quindi della
doppia catastrofe del Figlio (nel suo passare dalla pretesa messianicità alla
morte e da questa alla gloria del Risorto/Asceso) e della catastrofe eco-
nomica dell’ottenebrarsi dell’elezione di Israele (in Paolo e nello stesso
Giovanni), Dio si ritratta, si rivela volontà estatica, dischiude soltanto alla
fine la pienezza del suo disegno eterno: compie la sua rivelazione soltanto
in Gesù, nel quale riapre o riattiva la natura irriducibilmente eccedente,
quindi sempre aperta del suo rivelarsi, che relativizza la tradizione religio-
sa di Israele, quindi il “rivelato” del patto antico, riaffermando la dimen-
sione eventuale, carismatica, assolutamente libera della sua signoria. Se si
accede al segreto apocalittico di Dio soltanto attraverso l’eversivo, persino
“ripugnante” punctum contradictionis di Gesù, questi non può non essere
infine innalzato a irrinunciabile (ed elettiva, divisiva!) condizione teofa-
nica, che eternamente ne diffonde la Gloria. È soltanto la rivelazione del
Figlio dell’Uomo morto/risorto che trasforma il Dio della littera nel Padre
dello Spirito, sicché la relazione binitaria Padre invisibile/Figlio rivelatore

122 Cf. G. Lettieri, L’eresia originaria e le sue alterazioni. I – La matrice giudaico-


apocalittica dell’eresia di Gesù, in «B@belonline» 4, 2018 = Pensare l’eresia.
Tra origine e attualità, 26-78.
182 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

è la retroproiezione intradivina della dialettica economica littera-Spiritus


spinta al massimo grado di tensione rivelativa “dualistica”: l’unico Dio è
ormai interpretabile unicamente a partire dallo Spirito del Figlio morto/
risorto, crocifisso/esaltato, che lo rivela quale Padre.
L’estaticizzazione escatologica dell’economia salvifica (il compiersi
e togliersi di Legge/Tempio in Gesù Cristo/Spirito vivificante) determi-
na, pertanto, una sempre più radicale estaticizzazione protocristiana del
monoteismo. Il Logos giovanneo diviene, così, la torsione del vangelo/
logos escatologico in ontologia estatica, dell’evento della parola messia-
nica nell’eterno essere comunicativo e differente di Dio: l’apocalisse sto-
rico-eventuale diviene preesistente teofania elettiva, nella quale da sempre
Dio si rivela altrimenti, introiettando la differenza storicamente eversiva di
quel Figlio che l’Israele storico ha ormai espulso come radicalmente altro.
L’ultimo (il messia escatologico reietto, esaltato e presto ancora venien-
te) diviene il primo, l’eschaton irrompe nello stesso principio, il vangelo
apocalittico diviene apocalisse eterna di Dio nel Figlio. Gesù crocifisso e
risorto/glorificato nello Spirito viene così a costituire il polo personale, il
perno di torsione, paradossalmente interno e polemico, che magneticamen-
te attrae, ristruttura e riconverte in un paradossale principio escatologico la
pluralità di figure teologiche di mediazione della tradizione ebraica (come
più tardi farà con quelle del pensiero filosofico greco), perché viene ad es-
sere assunto come irrinunciabile, ultima, compiuta apocalisse del Padre. La
rivelazione escatologica di Dio nella kenosis di Gesù è talmente decostrut-
tiva della sua ipseità trascendente da estaticizzarla in se stessa: Dio invia
eternamente nella sua stessa intimità la sua parola apocalittica incarnata in
Gesù reietto e innalzato, giustificando sino alla divinizzazione la novitas,
quindi la crisi radicale che il vangelo introduce nella storia di Israele. Se
Cristo, misconosciuto da quasi tutto Israele, non è ancora venuto/tornato
è perché egli è già venuto da sempre presso il Padre come Luce elettiva,
decisiva.
Infatti, come si diceva, la proclamazione della divinità del Figlio da sem-
pre inviato dal Padre è irriducibilmente polemica e critica, porta ancora
traccia della frattura apocalittica infraebraica, impersonificata dal messia
reietto dall’Israele “accecato”, ma confessato Signore risorto ed esaltato
nei cieli dai suoi eletti, illuminati, veggenti apocalittici. Secondo un vero
e proprio processo di esemplarismo inverso, il Prologo descrive questa
traiettoria: il Figlio reietto, soppresso dalla tenebra del mondo/dei giudei
increduli, non è stato in realtà da questa compreso/afferrato/soppresso (il
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 183

καταλαμβάνω di Gv 1,5b; cf. 1,11)123, perché da sempre innalzato al Padre,


riconosciuto come la parola di Luce e Vita che separa ed espelle le tenebre.
La tragica scissione economica (l’ultimo è reietto dal primo, l’apocalisse
salvifica è rifiutata dal Tempio come empia secondo la Legge di Dio) viene
ritrattata e rovesciata nella preesistenza: Dio accoglie eternamente in sé il
Figlio reietto, il Logos messianico, che è sempre presso di sé. Pertanto, la
scissione storica aperta dall’apocalisse salvifica viene ad essere, tramite la
mediazione del Fiat Lux creativo, “accolta” nella preesistenza come eterna
donazione di Luce e separazione/crisi/giudizio/condanna delle tenebre, che
sono prima di tutto quegli ebrei che credono in un Dio statico e in-alterato,
cioè senza Figlio e senza intima estasi donativa. La creazione in principio
della Genesi viene, così, riletta come immagine prolettica della rivelazione
apocalittica. La risposta alla reiezione di Gesù messia è l’interpretazione
della crocifissione come innalzamento glorioso124, quindi come paradossa-
le manifestazione del risplendere della Luce nelle tenebre, sicché l’Unige-
nito preesistente creatore del mondo diviene il paradossale riflesso eterno
di Luce della fede nella resurrezione quale illuminazione escatologica.
Ne deriva una conclusione a prima vista paradossale: nel suo mitologico
ritrattare figure sapienziali della mediazione, il Prologo non è, malgrado le
apparenze, un testo “sapienziale”, mediatore, garante dell’ordine ontologi-
co, ma è un testo “kerygmatico”125, apocalittico, quindi elettivo, esclusivo e

123 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 10-11.


124 «Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo (ὑψωθῆναι δεῖ τὸν υἱὸν τοῦ
ἀνθρώπου), perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna (ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων
ἐν αὐτῷ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον)» (Gv 3,14).
125 Sul rapporto tra mito, sapienza, kerygma, cf. la complessa riflessione di G. Theis-
sen, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani…, 272-372; in part.: «Un mito
presenta due facce: una sapienza universale e un kerygma drammatico. La sapien-
za è la forma religiosa moderata del mito, che può essere riassunta in regole di vita
e in esempi generali. La parola d’ordine della sua appropriazione recita: credo ut
intellegam. Invece il kerygma è la forma estrema del mito. Le regole familiari di
vita sono fondate esclusivamente da Dio in un evento drammatico. In questo caso
si va contro le regole del mondo esperienziale. Un kerygma è una provocazione,
uno skandalon controintuitivo. Qui la parola d’ordine per l’appropriazione recita:
credo quia absurdum est… Paolo distingue qui [in 1Cor 1,28ss.] a modo suo tra la
sapienza religiosa moderata e il kerygma religioso limite. La sapienza moderata è
basata su una cooperazione fra sapienza divina e sapienza umana, invece il keryg-
ma della croce è una pura autorivelazione di Dio senza cooperazione da parte
dell’essere umano. L’attribuzione causale religiosa è là inclusiva e qui esclusiva»
(282-284).
184 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

conflittuale, polemico126, identificando in Gesù la personale, eterna, eppure


nuova/eversiva «pura autorivelazione di Dio». Certo, proprio perché vertice
ultimo della retroproiezione dell’escatologico nel protologico e dell’estati-
cizzazione apocalittica dell’unico Dio ebraico, pare davvero problematico
negare la straordinaria densità ontologica e ipostatizzante di Gv 1,1-3, re-
stituendone la prospettiva in chiave “neo-sociniana”, come ad esempio ha
proposto, in un suo pur affascinante saggio, Georges Neyrand127. D’altra
parte, proprio per le considerazioni sopra avanzate, nel Prologo risulta evi-
dentissima la scaturigine storica dell’ipostatizzante proiezione protologica:
la dimensione sapienziale dell’inno è finalizzata, quindi subordinata ad esal-
tare il manifestarsi del preesistente quale Figlio incarnato e questo, come

126 Elemento sapienziale ed elemento apocalittico non possono, certo, essere opposti
astrattamente, tanto più se la storicamente approssimativa categoria di “apocalit-
tica” comporta in sé comunque una pretesa sapienziale di visione e conoscenza
dell’intimo segreto di Dio, spesso identificabile con il destino ultimo del mondo
e della storia. Si assume, piuttosto, qui l’elemento sapienziale come quello chia-
mato a riconoscere l’ordine del mondo fissato dalla creazione o dalla rivelazione
divina, all’interno del quale inserirsi tramite conoscenza e azione; e l’elemento
apocalittico come quello chiamato a prospettare un’ulteriore rivelazione divina,
che corregge o ritratta l’ordine del mondo o ne disvela un segreto ulteriore, un
nuovo ordine/regno-a-venire, donato agli eletti chiamati a un’intimità singolare
con Dio. Chiaramente, la Legge mosaica può essere interpretata sia come elemen-
to apocalittico, che come elemento sapienziale, in quanto assumibile sia come
pura autorivelazione donativa di Dio, sia come ordine fissato dal suo rivelarsi, di-
venuto disponibile al desiderio di assicurazione dell’uomo. Il grado estremo della
ritrattazione apocalittica è chiaramente quello protocristiano, in quanto, proprio
per lo scandaloso presupposto della crocifissione del preteso messia, interpreta la
nuova rivelazione dell’unico Dio come crisi radicale dell’antica economia, della
quale diviene insieme paradossale compimento e superamento polemico.
127 Cf. G. Neyrand, Le sens de “logos” dans le prologue de Jean…, che, insistendo
sull’ispirazione apocalittica del IV vangelo, interpreta il λόγος come “vangelo”,
rivelazione salvifica, quindi in senso totalmente storico ed eventuale, e niente af-
fatto ontologico o protologico. Sin dal primo versetto, pertanto, il testo sarebbe
riferito a Gesù Cristo quale parola rivelatrice: «Le terme logos veut présenter
Jésus-Crist en tant que Parole révélatrice. Il s’agit dès le premier verset de Jésus
incarné. Il n’est pas question d’un Logos éternel» (60), né si farebbe mai rife-
rimento al Logos quale creatore. Il «principio» nel quale opera il Logos sareb-
be, quindi, il principio della predicazione di Gesù e della storia della chiesa (cf.
62-66). In tal senso, Gv 1,14 non affermerebbe una dottrina dell’incarnazione
dell’Unigenito divino preesistente, ma la verità salvifica: «La Révélation, c’est
l’homme Jésus» (70). Quest’interpretazione, che definirei neo-sociniana, non
risulta convincente a) per la sostanziale negazione del riferimento a Gen 1,1-3,
quindi della preesistenza del Logos; b) per non impegnarsi a verificare le sue
tesi con un’interpretazione degli eventi del Giordano, malgrado l’ingombrante
presenza del Battista nel Prologo.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 185

vedremo, già a partire da Gv 1,4-5 fino a 1,18. Il Prologo proclama la divini-


tà protologica del Figlio soltanto perché nel Gesù storico è apparsa «la Luce
della Vita (τὸ φῶς τῆς ζωῆς)» (Gv 8,12; cf. 5,20-47). È, quindi, la decisività
dell’esistenziale scelta di fede richiesta da Gesù a produrne e governarne la
divinizzazione “mitologizzante”, sicché il recupero di dispositivi mitolo-
gici/teologici tradizionali è, in effetti, demitologizzante (in proposito, l’in-
terpretazione di Bultmann rimane la più profonda)128. Di conseguenza, nel
Prologo la celebrazione della preesistenza divina del Figlio è finalizzata alla
giustificazione ed esaltazione della sua enigmatica rivelazione storica. «Io e
il Padre siamo una cosa sola (ἐγὼ καὶ ὁ πατὴρ ἕν ἐσμεν)… Il Padre è in me
e io sono nel Padre (ἐν ἐμοὶ ὁ πατὴρ κἀγὼ ἐν τῷ πατρί)»129: Dio è fuori di sé,
si dà soltanto nella rivelazione del Figlio, che è la rivelazione personale del
Padre, dischiusa dalla carne storicamente reietta di Gesù. Rivelazione dua-
listica, tragica, perché segno di contraddizione, principio di rovesciamen-
to nell’identità tradizionale di Israele. Il Figlio giovanneo, pertanto, non è
principio mediatore diffusivo, ma principio catastrofico, rivoluzionario del
monoteismo, che fa ruotare in sé verso l’a-venire dell’ultimo.
Rintracciamo nel Prologo la “prova” biblica della pretesa escatologico-
apocalittica giovannea; soltanto l’ultimo, il Figlio incarnato è l’interpre-

128 «[Il Gesù giovanneo] non trasmette, a differenza del redentore gnostico, misteri
cosmologici e soteriologici…. È quindi evidente che le espressioni mitologiche
hanno perso il loro senso mitologico. Gesù non è presentato davvero come un
essere divino preesistente, venuto sulla terra in figura d’uomo per rivelare misteri
inauditi; la terminologia mitologica ha la funzione di evidenziare il significato as-
soluto e decisivo della sua parola; la rappresentazione mitologica della preesisten-
za è posta al servizio dell’idea di rivelazione… La parola di Gesù è assolutamente
inaccessibile a qualsiasi controllo umano, è parola autoritativa, che pone l’uditore
di fronte alla decisione tra vita e morte… L’incontro con la sua persona chiama
alla decisione l’uomo nella totalità della sua situazione umana» (R. Bultmann,
Theologie des Neues Testaments, Siebeck, Tübingen 1953, 19777, tr. it. Teologia
del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1985, 19922, 394); cf. 337-348 e 372-
381; cf. R. Bultmann, Das Evangelium des Johannes…, 38-39, dedicate all’in-
terpretazione esistenziale giovannea del mito gnostico della rivelazione mondana
del redentore celeste, in riferimento a Gv 1,14; e J. Zumstein, Il Vangelo secondo
Giovanni…, I,82-86. Proprio perché governata dalla logica apocalittica della crisi
radicale della tradizionale rivelazione ebraica avvenuta tramite la singolarità sto-
rica della figura di Gesù, approfondirei la seguente affermazione di G. Theissen,
Vissuti e comportamenti dei primi cristiani…, 286: «Un’immagine divenne un
mito: il Logos si fece carne… Nel Nuovo Testamento si verificò una rimitizzazio-
ne della sapienza [veterotestamentaria]»; specificherei bultmannianamente: per
esaltare la decisione storica per il vangelo di grazia, singolarmente “incarnato” in
Gesù.
129 Gv 10,30 e 38; cf. ovviamente 17,11; 17,20-23.
186 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

te del primo, del Padre, da quello rivelato estatico, perché la rivelazione


elettiva del Padre ad Israele è apocalitticamente ritrattata nell’«io sono»
dell’Unigenito venuto nella carne130:

Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν πώποτε): proprio il Figlio/
dio unigenito, che è nel seno del Padre (μονογενὴς υἱός/θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν
κόλπον τοῦ πατρὸς), lui lo ha rivelato/dimostrato (ἐκεῖνος ἐξηγήσατο) (Gv
1,18).

L’origine della teologia binitaria giovannea è, quindi, dichiaratamente


ermeneutica, come segnala il verbo ἐξηγέομαι131. Il Figlio è l’esegeta apo-
calittico del Padre, in quanto il Padre rivela la sua eterna volontà soltanto
nell’escatologica rivelazione del Figlio132. Risulta del tutto logica, pertan-
to, l’introduzione nel Prologo del riferimento a Mosè (sul quale tornerò
più avanti): soltanto Cristo è la chiave interpretativa del dono della Legge,
quindi egli è (superando la promessa di Deut 18,15) un profeta assoluta-
mente più grande di Mosè. L’iperbolica pretesa del superamento dell’e-
conomia della Legge nell’ultima apocalisse del Figlio crocifisso133 viene,
allora, ontologizzata nell’esaltazione del messia misconosciuto a supremo
compimento della Legge, che egli toglie in sé quale diretto, preesistente,
divino “esegeta” del Padre. Soltanto il Figlio vede da sempre in profondità
il Padre, rivelandolo escatologicamente; soltanto il Figlio, e non Mosè, è
la Gloria irradiante e permanente di Dio: 2Cor 3-4 (su cui dovremo torna-
re) sembra qui presupposto e superato dal Prologo, quando questo proto-

130 Cf. L. Devillers, Exégèse et théologie de Jean I,18, in «Revue Thomistique» 89,
1989, 181-217; L. Devillers, Le sein du Père. La finale du prologue de Jean, in
«Revue biblique» 112/1, 2005, 63-79.
131 «Il verbo ἐξηγέομαι significa “raccontare, esporre, comunicare, far conoscere”. Il
suo impiego indica che “con il suo parlare e il suo agire Gesù è l’interpretazione
di Dio nel mondo. Con il suo volto si rivela chi è Dio. È l’interpretazione riuscita
di Dio, la traduzione di Dio nell’ambito dell’umano” (Josef Blank)» (J. Zumstein,
Il Vangelo secondo Giovanni…, I,91).
132 «Voi non conoscete né me né il Padre (Οὔτε ἐμὲ οἴδατε οὔτε τὸν πατέρα μου); se
conosceste me, conoscereste anche il Padre mio (εἰ ἐμὲ ᾔδειτε, καὶ τὸν πατέρα μου
ἂν ᾔδειτε)… Come mi ha insegnato il Padre, così io parlo (καθὼς ἐδίδαξέν με ὁ
πατὴρ ταῦτα λαλῶ)» (Gv 8,19 e 8,28). La conoscenza di Cristo: «Questa è la vita
eterna (αὕτη δέ ἐστιν ἡ αἰώνιος ζωή): che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui
che hai mandato Gesù Cristo (ἵνα γινώσκωσιν σὲ τὸν μόνον ἀληθινὸν θεὸν καὶ
ὃν ἀπέστειλας Ἰησοῦν Χριστόν)… La tua parola è verità (ὁ λόγος ὁ σὸς ἀλήθειά
ἐστιν)» (17,3 e 17,17). Se il Padre è l’unico Dio, questi è conoscibile unicamente
tramite la sua rivelazione nel Figlio, che è il Logos che è verità.
133 Cf. Gv 5,39-40; 5,45-47, con il riferimento a Mosè e alla Scrittura come prova
della divinità e della rivelazione escatologica del Figlio.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 187

logizza l’esaltazione paolina di Cristo quale Immagine/Gloria/Luce/Volto


escatologico di Dio superiore a Mosè. E, comunque, l’Unigenito è rivelato
“ai suoi” soltanto nella sua incarnazione, nel suo essere crocifisso e innal-
zato, sicché soltanto l’ultimo, il Figlio che viene, dischiude la profondità
originaria (l’ἀρχή) del Padre, nel cui seno l’Unigenito è l’eterno veniente:
«Da Dio sono uscito e vengo (ἐγὼ γὰρ ἐκ τοῦ θεοῦ ἐξῆλθον καὶ ἥκω)» (Gv
8,42). Ribadisco, allora, come il Prologo concepisca la generazione o la
venuta preesistente del Logos Unigenito non con finalità cosmologica, ma
con finalità apocalittica: il Logos non è tanto principio ordinatore e legisla-
tore della creazione, quanto vangelo escatologico divenuto evento persona-
le preesistente di donazione gratuita e di giudizio, di separazione tra luce e
tenebra, vita e morte, elezione e reiezione134. Divinizzare Gesù, identifican-
dolo con l’apocalittico Figlio dell’Uomo che discende dal cielo, significa
assolutizzare la κρίσις (il giudizio) rivelativa del Messia reietto e crocifisso
come maledetto, sicché la Luce che egli fa risplendere non è cosmologico,
universale principio di irradiazione ontologica, ma atto apocalittico, irridu-
cibilmente dualistico, essendo rivelazione critica, divisiva, enigmatica, nel
suo eleggere e respingere: l’uomo reietto dalla religione stabilita di Israele
viene rivelato come intimo segreto rivelativo di Dio, chiama alla decisione
e giudica la tenebra, dona la pienezza della vita eterna a “i suoi” e punisce
la resistenza ostile del mondo. Il Prologo è la traslazione nella protologia
teogonica del dramma storico di Gesù rivelatore apocalittico. Se l’Unigeni-
to, rivelato nella carne dell’uomo Gesù ai suoi eletti, è da sempre il divino
esegeta del Padre, la sua “Immagine” escatologicamente trasfigurante135,
questa è “da sempre” Lux in tenebris…

134 Cf. Gv 12,46 e 48: «Io come Luce sono venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν
κόσμον ἐλήλυθα), perché chiunque creda in me non rimanga nelle tenebre (ἵνα
πᾶς ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ ἐν τῇ σκοτίᾳ μὴ μείνῃ )… Chi mi respinge e non accoglie
le mie parole (ὁ ἀθετῶν ἐμὲ καὶ μὴ λαμβάνων τὰ ῥήματά μου ἔχει), ha chi lo con-
danna (τὸν κρίνοντα αὐτόν): la parola che ho annunziato lo condannerà l’ultimo
giorno (ὁ λόγος ὃν ἐλάλησα ἐκεῖνος κρινεῖ αὐτὸν ἐν τῇ ἐσχάτῃ ἡμέρᾳ)» (Gv 12,46
e 12,48). Se Cristo annuncia il vangelo, quindi le sue parole che sono il suo logos
annunziato, e se il vangelo/logos si risolve in Gv nell’annuncio di Cristo stesso, il
logos/Logos sarà il giudice escatologico.
135 Malgrado Gv non utilizzi mai il termine εἰκών, il Figlio Luce e “interprete” del
Padre richiama il paolino Cristo Gloria e Immagine illuminante (cf. 2Cor 2,18 e
4,4), nella quale sono incorporati e trasfigurati i credenti, fruendo dello Spirito
escatologico. Cf., in proposito, S. Kim, The Origin of Paul’s Gospel, Mohr Sie-
beck, Tübingen 1981, 19842, 140-144. Tornerò più avanti sul parallelo tra Gv e 2
Cor 3-4.
188 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

9. La struttura a spirale del Prologo e l’incarnazione della Luce al


Giordano

Ma quando il Prologo descriverebbe l’incarnazione del Logos? Il ver-


setto 1,14 dovrebbe lasciare pochi dubbi: «E il Verbo si fece carne (καὶ
ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο)»… Eppure, riconoscendo la struttura a spirale del
testo136, che, discendendo dalla trascendenza protologica alla bruciante at-
tualità storico-ecclesiale, torna ripetutamente a proclamare l’evento inau-
dito dell’irruzione del Figlio divino nella storia, convengo che in realtà il
versetto che per primo annuncia la teofania sia 1,5: «E la luce splende nelle
tenebre (καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει)». Già in 1,5 il Prologo descrive
l’apocalittico presente storico della teofania, il rifulgere della Luce incar-
nata in Gesù137 e non quello della Luce primordiale, né allude alla presenza

136 La struttura a spirale del Prologo è di fatto implicitamente condivisa da M. The-


obald, Le Prologue johannique (Jean 1,1-18) et ses “lecteurs implicites”, in
«Recherches de Science Religieuse» 83/2, 1995, 193-216, in quanto interpreta
come riferiti all’incarnazione già i vv. 4-5, seppure egli la consideri solennemente
proclamata nel v. 14: «Le v. 4 thématise déjà l’irruption de la lumière divine en
ce monde dans la personne et par la voie de Jésus de Nazareth; il parle par image
de ce qui sera appelé plus tard au v. 14 l’incarnation du Logos. En conséquence,
la séquence 1-5 contient effectivement le tout de la révélation du Christ in nuce:
commençant par l’existence éternelle, avant le monde, du Logos auprès de Dieu
(v. 1f), elle affirme le renvoi de la réalité de la création dans son ensemble à ce
Logos (v. 3), pour terminer en nommant le fondement et le point de référence
de toutes ces déclarations, à savoir que ce Logos éternel, divin, est apparu défi-
nitivement dans ce monde comme la vie et la lumière des hommes en Jésus de
Nazareth» (205).
137 Seguo, in questo caso, J. Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni…: «Nella sto-
ria dell’interpretazione il significato del presente “brilla” (φαίνει) è controverso.
Si tratta di un presente intemporale? In tal caso, il presente sarebbe in rappor-
to con il Logos asarkos (prima dell’incarnazione) e indicherebbe la luce di vita
presente nel mondo fin dalla creazione. O invece “brilla” è un presente storico
(cf. al v. 15 il presente “rende testimonianza [μαρτυρεῖ])? In questo caso il testo
alluderebbe al Logos ensarkos (incarnato). Non vi è alcun dubbio: si tratta del
Logos ensarkos. La luce che brilla nelle tenebre simboleggia la presenza di Gesù
di Nazareth, il rivelatore, nella storia. Infatti, da un punto di vista post-pasquale
– quello della comunità giovannea –, il fatto che “la luce brilli” non può essere
separato dall’incarnazione» (I,80); cf. A. Dettwiler, Le Prologue Johannique…,
200; e le lucide considerazioni di M. Hooker, John the Baptist and the Johanni-
ne Prologue…, 157, e n. 2. Sull’interpretazione di Gv 1,5 come riferimento alle
resistenze dei “Giudei” nei confronti della rivelazione di Gesù Cristo/Luce, cf. J.
Ashton, Understanding the Fourth Gospel, Clarendon, Oxford-New York 1991,
Oxford University Press, Oxford 20072, 367-370. Per un’interpretazione ambigua
di questi versetti, cf. J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…, 109-110, in part.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 189

della rivelazione del Logos nella Legge o nella “natura” umana creata ad
immagine138. Insomma, sin da “il prologo del Prologo” in cielo di 1,1-3139,
il Prologo gravita tutto intorno all’incarnazione del Logos, quindi alla sua
storica venuta nascosta nel mondo nella persona di Gesù, misconosciu-
ta dagli ebrei («i suoi (οἱ ἴδιοι)»), identificati con le tenebre del mondo,
ma che Giovanni ha, per dono di Dio, riconosciuta, vista e testimoniata.
La stessa irruzione della «vita [che] era la luce degli uomini» (1,4) è, in
realtà, riferita al Logos, quindi al vivificante venire storico della Luce di
1,5, con il suo redentivo risplendere (escatologico e non ontologico) tra gli
uomini140. L’irruzione del presente141, che interrompe la serie degli imper-

n. 56: i non cristiani avrebbero interpretato l’opposizione luce/tenebra, riferendola


all’ambito della creazione; i cristiani alla resistenza alla missione di Gesù Cristo.
138 Per un’interpretazione “gnostica” e sapienziale del Prologo, di cui è minimizzata
la centralità dell’incarnazione a favore della rivelazione “interiore” e universale
nell’intelligenza delle creature, cf. i notevoli saggi di E.H. Pagels, Exegesis of
Genesis 1 in the Gospels of Thomas and John, in «Journal of Biblical Literature»
118/3, 1999, 477-496; D. Boyarin, The Gospel of the Memra…; e quella cattolica
di U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, 45-46. Così, M.-É. Boismard,
Le Prologue de saint Jean, Cerf, Paris 1953, ritiene che il testo tratti del Logos
incarnato soltanto a partire dal v. 9, che quindi Gv 1,1-5 sia riferito unicamente
all’attività cosmologica del Figlio: cf. 24-38; 176-177. Analoga la prospettiva di
B. Peters, Das Evangelium nach Johannes…, 34-38; e di R.E. Brown, Giovan-
ni…, 36-38.
139 «Anche nel suo versetto iniziale il Prologo non concepisce una Parola che non
debba essere manifestata agli uomini… Tutto il carattere dell’inno come storia
della salvezza lo distanzia di molto dal più speculativo mondo del pensiero elleni-
stico» (R.E. Brown, Giovanni…, 33-34).
140 L. Miller, Salvation-History in the Prologue of John…, propone, infatti, di inter-
pretare Gv 1,4-5 non in prospettiva protologico-creazionistica, ma in prospettiva
escatologico-redentiva, quindi in riferimento allo «historical advent of the Logos»
(102), quindi alla stessa incarnazione del Logos quale salvifico Spirito vivificante:
cf. 97-109. Quest’ipotesi avallerebbe l’interpretazione che sto avanzando dell’in-
tero Prologo come discesa dello Spirito vivificante quale preesistente Logos della
Luce, incarnatosi nell’uomo Gesù presso il Giordano al cospetto del Battista.
141 «The present tense of “shines” (φαίνει) is a puzzle» (E. Haenchen, Das
Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr Siebeck, Tübingen 1980, tr. ingle-
se John 1. A Commentary on the Gospel of John. Chapters 1-6, Fortress Press,
Philadelphia 1984, 114). Lo stesso R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…,
I, 283, definisce il presente φαίνει «sorprendente», ma finisce per offrirne un’in-
terpretazione ambigua, persino indecisa: a) da una parte, esso farebbe riferimento
alla perdurante «luce del Logos che illumina l’umanità» (309); b) dall’altra, «la
sua espressione si riferisce tanto all’apparizione storica del Logos che è venuto
nel mondo, quanto all’epoca dell’evangelista, in cui continua ad essere operan-
te la forza della luce divina, portata nel mondo tenebroso, dall’incarnato… Alla
venuta storica del Logos si vide che “le tenebre non afferrarono la luce” (309-
190 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

fetti e aoristi precedenti, prova lo slittamento di piano dalla preesistenza


“sovratemporale” al presente storico. Il φαίνει è uno squarcio apocalittico,
descrive l’avvento folgorante del preesistente nella storia degli uomini, ac-
centuato dall’immediato ricorso a un nuovo aoristo: «Ma la tenebra non
l’ha accolta (καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν)». E qui l’unica storia dav-
vero salvifica, come preciserà Gv 1,17-18, non è certo quella precedente
l’avvento del Logos in Gesù, ma proprio quella apocalittica dell’irruzione
“traumatica” e dualistica della Luce del Logos incarnato nelle tenebre142. E,

310); comunque, nella sua proposta di tripartizione del Prologo, Gv 1,5 viene
assegnato alla sua prima sezione (1-5), quella che tratterebbe de «l’essere pree-
sistente del Logos» (283); seppure non escluda che «l’evangelista», rielaborando
un inno preesistente, abbia voluto «richiamare fin da principio l’attenzione sul
όγος ἔνσαρκος, perché nel suo vangelo tutto l’interesse è rivolto all’accetta-
zione o al rifiuto del Figlio di Dio fatto uomo, alla fede o all’incredulità in Gesù
Cristo» (285). Analoga l’interpretazione di J. Ashton, Understanding the Fourth
Gospel…: «The present tense in v. 5 (φαίνει), ‘shines’, which has puzzled many
commentators, does not indicate the bright start of a new age, but a continuous
illumination that finally flames out in the incarnation of the Logos» (389). Altret-
tanto ambigua risulta l’interpretazione di X. Leon-Dufour, Lettura del vangelo
secondo Giovanni (capitoli 1-4)…, 132-136: «“La luce brilla nelle tenebre”. Il
testo allude certamente alle infedeltà che tanto spesso i profeti avevano rimpro-
verato a Israele e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente; anticipa inoltre
eventi accaduti durante la vita di Gesù e la vittoria di Dio che risuscita il suo
Figlio: infine tiene viva nella mente del lettore l’esperienza dei cristiani che co-
statavano l’accecamento di un gran numero di persone di fronte a Gesù, mentre la
loro comunità fraterna continuava a irradiare attorno a sé la fede e l’amore (1Gv
2,8). La tenebra rimane sempre presente, ma non ha arrestato la luce, non più di
quanto l’arresti ancor oggi» (135). Nettamente più orientato a interpretare Gv 1,5
in riferimento all’incarnazione del Logos, malgrado sottolinei l’ambiguità inten-
zionale dell’espressione, è D.A. Carson, The Gospel According to John, Apollo/
Eerdmans, Leicester/Grand Rapids 1991, 119-120.
142 Il consenso è, in proposito, autorevolissimo: cf. R. Bultmann, Das Evangelium
des Johannes…, 25-27 e 32-33; in part.: «Von der gegenwärtigen Offenbarung ist
die Rede…», sicché la resistenza delle tenebre al rivelarsi della Luce è interpre-
tato «als Ablehnung des fleischgewordenen Offenbarers» (25); «Was 1,14 durch
die Identifikation des Logos mit dem Menschen Jesus behauptet wird, wird also
schon hier deutlich: in Jesus ist nicht ein anderes Licht erschienen als das, welches
in der Schöpfung immer schon leuchtete… Daß in diese Welt der Finsternis das
Licht der Heilsoffenbarung scheine, sagt 1,5a» (27-28). «Es gibt schlechterdings
kein durchschlagendes Argument dafür, daß [vv.] 5-13 jemals auf etwas ande-
res als die geschichtliche Epiphanie des Offenbarers bezogen worden sein» (E.
Käsemann, Aufbau und Anliegen des johanneischen Prologs, in W. Matthias e E.
Wolf (edd.), Libertas Christiana, Kaiser, München 1957, 75-99, quindi in Exege-
tische Versuche und Besinnungen, II, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1964,
155-180, in part. 166). Opportunamente Haenchen connette l’interpretazione di
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 191

Bultmann e Käsemann a quelle dominanti nell’antichità cristiana, pur respingen-


dole: «If one interprets verse 5 from the point of verses 6-8, verse 5 is to be
related to the incarnation of Jesus. In fact, the interpretation of the ancient church
is generally invoked for the first mention of the Logos becoming man in verse
5… For the church it was decisive that John the Baptist is treated in verse 6. On
that basis, the church unavoidably interpreted verse 5 to refer to the incarnation
of the Logos» (E. Haenchen, Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr
Siebeck, Tübingen 1980, tr. inglese John 1. A Commentary on the Gospel of John.
Chapters 1-6, Fortress Press, Philadelphia 1984, 114-115). Insomma, condivido
pienamente quello che, in riferimento a Gv 1,5, scrive J.R. Michaels, The Gospel
of John, Eerdmans, Grand Rapids-Cambridge 2010: «The tense of the verb chan-
ges from imperfect to present. The light “is shining” (phainei) in the darkness.
Having looked at beginnings, and how “all things came into being” (v. 3), the
Gospel writer returns to his own time and his own world. What is striking is that
he passes over the whole “biblical” period (what Christians today call the “Old
Testament”) in silence. Some modern interpreters have found this odd, and have
tried to find allusions to the Old Testament, beyond Genesis 1, either in verses
1-5 or verses 6-13, or both. But these supposed allusions are not convincing. This
book is a Gospel, not a survey of redemptive history. Having laid claim, briefly
and decisively, to the whole created order on behalf of the Word (and implicitly,
though only implicitly, to the entire biblical past), the writer moves on to tell the
Gospel story, the good news of Jesus. As readers, we are not kept in suspense.
We learn immediately that the story will have a happy ending. The light “is shi-
ning in the darkness” we are told, not continually through time but specifically
now, because something decisive happened. What that something was, we are
not told. The Christian reader familiar with the rest of the New Testament alrea-
dy knows, and probably the Gospel’s original readers knew. But all we are told
explicitly is what did not happen: “the darkness” did not “overtake” (katelaben)
the light» (30). Commentando Gv 1,5, Michaels mi pare colga perfettamente il
senso del versetto: «The writer boldly passes over the entire Old Testament pe-
riod in silence. In one breath he speaks of light and life coming into existence at
creation, and in the next he proclaims that same light shining today, unquenched
by the darkness around it. The rest of the Gospel makes clear that the reference
is to the life and death of Jesus, who came into the world as a light (3,19; 8,12;
12,46) and confronted darkness in the hour of his death (9,4-5; 11,9-10; 12,35-36;
13,30). “The light shines in the darkness” now, because of Jesus and what he has
done» (J.R. Michaels, John, Baker, Grand Rapids 1984, 19892, 11). Non trovo
convincente R.E. Brown, Giovanni…, che preferisce riferire Gv 1,4 all’ambito
della creazione, piuttosto che a quello della redenzione, avviata con l’incarna-
zione di Gesù, preannunciata dal Battista, a partire da 1,6-8. Non può comunque
escludere l’ipotesi che Gv 1,5 faccia riferimento all’incarnazione del Logos: «Se
“la luce” è un riferimento alla Parola incarnata…, la riga vuol dire che gli uomini
non percepirono la luce portata da Gesù durante il suo ministero (3,19)» (10). Cf.,
infine, M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos…, 189; 211-; e M. Theobald,
Le Prologue johannique…, 203-205; O. Schwankl, Die Metaphorik von Licht und
Finsternis im johanneischen Schrifttum, in K. Kertelge (ed.), Metaphorik und My-
192 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

in effetti, come ha segnalato Bultmann143, Gv 1,5 trova una notevolissima


corrispondenza con 1Gv 2,8: «Le tenebre stanno diradandosi e la vera luce
già risplende (ἡ σκοτία παράγεται καὶ τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν ἤδη φαίνει)»,
con esplicito riferimento al comandamento nuovo dell’amore rivelato e
compiuto dalla Luce incarnata nella sua comunità escatologica.
Non a caso sia 1,5 che 1,14 sono immediatamente seguiti dall’irruzio-
ne del Battista testimone144, che, come egli stesso afferma apertamente
in 1,34, può testimoniare soltanto se ha già visto: «E io ho visto (κἀγὼ
ἑώρακα) e ho testimoniato (καὶ μεμαρτύρηκα)». Pertanto, se, come co-
munemente riconosciuto, il redattore finale ha interpolato i versetti 1,6-8
subito dopo l’affermazione: «La luce splende nelle tenebre» (1,5), è per-
ché logicamente soltanto il precedente avvenire della teofania dell’in-
carnazione può determinare la conseguente, visionaria testimonianza del
Battista. Giovanni Battista è l’eletto testimone veggente, non il profeta
estatico dell’incarnazione del Logos: segue e non precede lo splendore
della rivelazione salvifica145. Il Battista può prendere la Parola, soltanto

thos im Neuen Testament, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1990, 135-167: Gv 1,5,


riferito alla venuta del Logos/Luce nel mondo, quindi alla sua incarnazione, è
interpretato come la tematizzazione dell’intero IV vangelo (cf. 143), sicché Gv
1,9-12 fornirebbe l’esegesi di Gv 1,5 (cf. 146); così come Theobald, Schwankl
sostiene, a mio avviso infondatamente, la presenza nel IV vangelo di una dottrina
dell’incarnazione per nascita del Logos: cf. 145.
143 Cf. R. Bultmann, Das Evangelium des Johannes…, 26. Già Origene, CmGv
II,166-167 interpreta Gv 1,5 in riferimento all’incarnazione e alla passione del
Figlio, che le tenebre cercano di sopprimere: «Cristo, a causa della sua azione
a favore degli uomini, ha preso su di sé le nostre tenebre, per annientare con la
sua potenza la nostra morte e dissipare le tenebre che sono nella nostra anima,
in modo che si adempia ciò che è detto in Isaia [9,1]: “Il popolo che stava nelle
tenebre ha visto una grande luce”. Questa luce, che è stata fatta nel Logos e che
è anche vita, “brilla nelle tenebre” delle nostre anime ed è venuta là dove erano
i prìncipi del mondo di queste tenebre, i quali lottando contro il genere umano si
sforzano di sottomettere alle tenebre tutti coloro che non si adoperano per essere
illuminati ed essere così chiamati “figli della luce”. Brilla dunque nelle tenebre
questa luce e dalle tenebre è perseguitata, ma non afferrata ( αὶ φαῖνον ἐν τῇ
σκοτίᾳ τοῦτο τὸ φῶς διώκεται μὲν ὑπ’αὐτῆς, οὐ καταλαμβάνεται δέ)». Assai
significativa è la connessione tra Gv 1,5 e 2Cor 4,6.
144 «Egli venne come testimone (οὗτος ἦλθεν εἰς μαρτυρίαν)» (Gv 1,7), «per rende-
re testimonianza alla luce (ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός)» (1,7 e 8); «Giovan-
ni gli rende testimonianza (Ἰωάννης μαρτυρεῖ περὶ αὐτοῦ)» (1,15)
145 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,317. R. Zimmermann, John
(the Baptist) as a Character in the Fourth Gospel. The Narrative Strategy of a
Witness Disappearing, in J.G. van der Watt, R.A. Culpepper, U. Schnelle (edd.),
The Prologue of the Gospel of John…, 99-115.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 193

perché questa si è già manifestata storicamente come Luce146. Appunto,


per Giovanni, il Battista non è affatto un profeta (mai è definito tale nel
IV vangelo!), non preannuncia ciò che deve ancora venire, bensì è testi-
mone di ciò che è già avvenuto o, meglio, della Luce che egli stesso ha
visto avvenire al Giordano147.
Ebbene, da 1,6 fino a 1,18, l’intero Prologo torna ad usare aoristi e im-
perfetti. Se il centro concettuale dell’inno attuale è stato da Bultmann e
Käsemann rispettivamente identificato in Gv 1,14a (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο)
e in 1,14b (ἐθεασάμεθα τὴν δόξαν αὐτοῦ), d’altra parte il centro eventuale
dell’inno penso sia Gv 1,5, di cui 1,14 finisce per essere la ricapitolazione,
non a caso espressa non al presente, ma all’aoristo, che precisa l’essersi fatto
carne/uomo della Luce che splende nelle tenebre. La teofania al Giordano,
allora, è quella sulla quale ritorna, con un movimento a spirale, il Prologo,
che la indica in 1,5 («La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno
accolta (καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν)»,
quindi in 1,9 («Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni
uomo (Ἦν τὸ φῶς τὸ ἀληθινόν, ὃ φωτίζει πάντα ἄνθρωπον, ἐρχόμενον εἰς
τὸν κόσμον)»), ancora in 1,11 («Venne fra i suoi (εἰς τὰ ἴδια ἦλθεν)»), in-
fine ricapitolandola in 1,14: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν)». E, in effetti,
dopo l’introduzione della testimonianza di Giovanni in 1,6-8, l’immediata

146 Rovescio, pertanto, l’argomentazione di R.E. Brown, Giovanni…, 37: «Colui che
ha curato l’edizione del Prologo ha inserito un riferimento a Giovanni il Battista
dopo il v. 5 e difficilmente si può immaginare che egli avrebbe introdotto Gio-
vanni il Battista dopo aver descritto il ministero di Gesù e i suoi effetti. Evidente-
mente il redattore pensava che gli accenni alla venuta di Gesù cominciassero nel
v. 10; egli mise la venuta di Giovanni Battista nei vv. 6-8 prima della venuta di
Gesù e si servì del v. 9 per collegare Giovanni il Battista col momento di quella
venuta… Questa obiezione vale anche contro la teoria di Käsemann, che vede un
riferimento alla venuta di Gesù non nel v. 4, ma in 5, che egli unisce a 10, e contro
la teoria di Bultmann, che fa cominciare l’opera del rivelatore nella storia col v.
5, che egli unisce a 9». Brown, però, trascura un fatto a mio parere probante: il
Battista è presentato da Gv soltanto come testimone, niente affatto come profeta o
precursore, ed esplicitamente, in Gv 1,34, la testimonianza viene fatta dipendere
dall’avere prima visto lo Spirito/Luce discendere su Gesù».
147 «He is not the “forerunner” (as depicted in the Synoptics), but merely a witness
(1:6-8,15; 1:19ff; 3:22ff). The phrase ἀπεσταλμένος παρὰ θεοῦ confirms his au-
thorisation as a witness… Neither the Baptist nor his baptism has any independent
significance; they exist in order to bear witness to Christ, who alone takes away
sin and also confers the Spirit» (D.G. van der Merwe, The historical and theolo-
gical significance of John the Baptist as he is portrayed in John 1, in «Neotesta-
mentica» 33/2, 1999, 267-292, in part. 271 e 285).
194 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

prosecuzione dei versetti 1,9-14 torna a trattare dell’epifania del Logos, che
annuncia come incarnato, ormai identificatosi con la carne/l’uomo Gesù148.
D’altra parte, tale è la radicalità con la quale il messia “disputato” è
retroproiettato ed esaltato nella protologica intimità con il Padre, da provo-
care un effetto di ritrattazione nel protologico del dispositivo escatologico-
messianico. Questo comporterà una rapidissima lettura prevalentemente
ontologica del Prologo, come testimonieranno gli gnostici (sui quali tor-
nerò più avanti), Origene, i teologici trinitari del IV secolo, Agostino stes-
so. Ciononostante, la drammatica scaturigine storica del Figlio dell’Uomo
continuerà a segnare in profondità la stessa ontologia binitaria, quindi tri-
nitaria, governandone la rivoluzionaria interpretazione estatica ed escato-
logica, che altera Dio nella sua stessa intimità, rivelandolo in sé soltanto
con l’altro e per l’altro.

148 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,319-327, che riferisce al Lo-


gos incarnato Gv 1,9-10, successivi all’apparizione di Giovanni quale testimone:
«L’evangelista ha certo riferito il versetto [10] al Logos incarnato. Già alla fine
del v. 9 aveva accennato alla sua venuta storica ed ora intende spiegare il rifiuto
mediante l’incredulità che Gesù ha trovato nel suo popolo. I circoli dirigenti di
esso rappresentano il κόσμος; di fronte a lui, “luce del mondo”, restano impassibi-
li, senza comprensione (cf. 8,14; 8,19; 9,29; inoltre 8,24; 8,43), ciechi addirittura
(9,39). Questo contegno è colpevole (9,41), il “non conoscere” è un ostinato “non
credere” (cf. 3,12; 5,38; 6,36; 8,24; 8,45; 12,37). Chi legge il Prologo di seguito
è portato da quest’interpretazione dei vv. 10ss. al Logos incarnato, com’è provato
dalla storia dell’esegesi moderna» (326). Come afferma R.E. Brown, Giovanni…,
«la maggior parte delle frasi che si trovano in 1,10-12 appaiono nel Vangelo come
una descrizione del ministero di Gesù… In realtà, i vv. 11 e 12 sono realmente
dei brevi sommari delle due parti del Vangelo: il libro dei Segni e il libro della
Gloria… L’argomento decisivo per sostenere che i vv. 10-12 si riferiscono al mi-
nistero di Gesù si trova, a nostro parere, in 12… Non è credibile che in un inno
proveniente da circoli giovannei la capacità di diventare figli di Dio possa essere
stata spiegata altrimenti che in termini di generazione dall’alto per opera dello
Spirito di Gesù» (40-41). Cf. J. Matera, New Testament Christology, Westmin-
ster John Knox Press, Louisville-London 1999: «The Prologue adumbrates the
conflict between the Word and the world (1,9-13) that will occur throughout this
Gospel… This part of the Prologue is the story of Jesus’ ministry, and it explains
that even though Jesus revealed God’s glory by many signs, the world did not
accept him (12:37-43). But his own disciples did, and, in his farewell discourse
(13,1-17,26), Jesus prepared them for the time after his departure from the world»
(218).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 195

10. La ritrattazione del battesimo “sinottico” nel Prologo

Ma se il Prologo annuncia il rifulgere della luce che s’incarna, perché


insistere nel collocare la sua epifania al Giordano? Basta la presenza del
Battista testimone (e non di Giuseppe, non di Maria, non della levatrice del
Protovangelo di Giacomo) per collocare presso le acque del Giordano l’a-
pocalittico discendere della Luce? Non aveva forse il vangelo di Luca già
prospettato un movimento di “svincolamento” della testimonianza del Bat-
tista dal Giordano, anticipandola nel seno di Elisabetta, quando Giovanni
in lei sussulta per la gioia nel momento in cui Maria, con Gesù in grembo,
viene a visitarla (cf. Lc 1,39-45)?
Ebbene, ritengo sia possibile rintracciare nel Prologo la traslazione della
scansione tripartita dell’avvio della missione di Gesù presente nei sinot-
tici149, che in successione prospetta: a) la predicazione e la testimonianza
di Giovanni, b) appunto, la descrizione della teofania battesimale al Gior-
dano, con la quale è rivelata la filialità divina di Gesù, c) la tentazione di
Gesù, “assalito” da Satana. Elementi specifici del Prologo e dello stesso
corpo del IV vangelo rispetto ai sinottici sarebbero, piuttosto, 1) l’inver-
sione del punto a) e del punto b), in quanto l’entrata in scena di Giovanni
segue e non precede la teofania al Giordano; 2) l’assoluto disinteresse nei
confronti della missione, della predicazione e dell’attività proprie di Gio-
vanni, che viene chiamato in causa unicamente come testimone di Gesù,
quindi come veggente della teofania del Logos/Luce.
Ma cerchiamo di rinvenire nel Prologo la traccia della sinottica teofania
al Giordano.
1) Ritengo che il Logos di Gv 1,1 e 14 tolga in sé la voce teofanica della
tradizione sinottica – «E venne una voce dal cielo (καὶ φωνὴ ἐγένετο
ἐκ τῶν οὐρανῶν)» (Mc 1,11) –, che sparisce dal resoconto del IV van-
gelo150. Invece, «la voce nel deserto» (Isaia 40,3), che Mc 1,3 riferisce

149 Giovanni, «d’accordo con i sinottici, inizia il racconto su Gesù di Nazaret con
l’attività di Giovanni Battista, ma trasforma profondamente la tradizione comu-
ne. Secondo questa tradizione, la vita pubblica di Gesù viene introdotta da un
trittico: la predicazione di Giovanni, il battesimo di Gesù e la tentazione di Gesù.
In Giovanni il predicatore diventa un testimone, il battesimo di Gesù viene indi-
rettamente evocato attraverso l’esperienza del Battista, la scena della tentazione
è del tutto scomparsa. Il trittico tradizionale è sostituito da tre quadri [descritti in
Gv 1,19-2,12] che, nella loro successione, formano una unità letteraria» (X. Leon-
Dufour, Lettura del Vangelo secondo Giovanni…, 215).
150 Comunque, per G. Richter, Zu den Tauferzählungen Mk 1,9-11 und Joh 1,19-34…,
la discesa dello Spirito dal cielo senza il risuonare della voce attesterebbe una tradi-
zione anteriore alla definizione sinottica della scena battesimale: cf. 319-321; 326.
196 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

al Battista, è attestata anche in Gv 1,23, mantenendo la sua funzione


indicativa della pienezza celeste151 ormai proiettata nella trascendenza
precosmica: Giovanni stesso, “voce della Voce”, diviene la voce del Lo-
gos, proclamandone la filialità divina. Il Logos, invece, è lo stesso Fiat
lux primordiale, la divina Parola in principio, quindi la personificata
“voce” assoluta e creativa, che da sempre “viene dai cieli”, cioè da Dio.
Il Logos è divenuto l’evento del parlare/rivelarsi di Dio sin dal primo
giorno, che ora discende redentivamente sull’uomo Gesù per rimanere
su di lui152. La soprannaturale, apocalittica “voce” sinottica è divenuta il
personale Fiat lux in principio, ma l’innalzamento al Logos protologico
è finalizzato alla glorificazione dell’escatologica rivelazione del Nome
di Dio nell’uomo Gesù, del Fiat Verbum in principio (evangelii).
2) Nel Prologo, la “tetrade” teofanica Logos/Luce/Vita/Gloria ritratta il si-
nottico Spirito divino che discende, sotto forma di colomba, su Gesù, la
cui katabasis è rievocata (e non descritta in diretta!) in Gv 1,32-34. Nel
Prologo, le acque del Giordano non possono non essere presupposte, in
quanto è soltanto presso di loro che Giovanni opera, come testimoniato
da tutte le tradizioni protocristiane, quindi dallo stesso prosieguo del IV
vangelo. Presso il Giordano, il “Battista” attende (a partire dalla rive-
lazione di Dio che gli prometteva la rivelazione del Cristo/Spirito: cf.
1,33) e infine riconosce la teofania del Figlio153. In effetti, il IV vangelo

151 Cf. E. Lupieri, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche…, 27.


152 Cf. Gv 5,36-38: «Io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni… E
anche il Padre che mi ha mandato ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete
udito la sua voce (οὔτε φωνὴν αὐτοῦ πώποτε ἀκηκόατε), né avete visto il suo
volto (οὔτε εἶδος αὐτοῦ ἑωράκατε) e non avete la sua parola che rimane in voi
(τὸν λόγον αὐτοῦ οὐκ ἔχετε ἐν ὑμῖν μένοντα), poiché non credete a colui che egli
ha mandato». Voce, Volto e Logos di Dio, sono significativamente identificati nel
Figlio che è l’eterna rivelazione del Padre. Si noti che il verbo μένειν è lo stesso
utilizzato in Gv 1,32-33, per sottolineare come lo Spirito, discendendo su Gesù
dinanzi al Battista, rimanga su di lui. Il verbo μένειν potrebbe richiamare il ver-
bo ἀναπαύειν, che in Isaia 11,2-4 sec. LXX caratterizza il riposarsi/restare dello
Spirito sull’eletto messianico, capace di giudicare la terra con il λόγος divino
della sua bocca. In Gv 3,1-21, nel suo colloquio con Nicodemo, Gesù gli rivela
la necessità di essere generati dallo Spirito che discende dal cielo, identificandosi
con il Figlio dell’Uomo che discende dal cielo, quindi con l’Unigenito e la Luce
che è venuta nel mondo; cf. C. Bennema, Spirit-Baptism in the Fourth Gospel.
A Messianic Reading of John 1,33, in «Biblica» 84/1, 2003, 35-60, che, a partire
da Isaia 11,2-4, indagando alcuni testi messianici del mediogiudaismo, insiste
sull’intima relazione teofanica tra Spirito e Logos, connessa con la figura del Fi-
glio dell’Uomo attestata in 1Enoch 37-71.
153 Per ebrei o giudeo-cristiani ellenisti, «who heard the Fourth Gospel read, John
1:14 (“the Word became flesh”) and 1:33 (“the Spirit descended and remained on
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 197

pare affacciarsi sul Giordano, “porta del cielo”, tramite la testimonianza


del Battista “suo arconte”, per reinterpretare, innalzandola vertiginosa-
mente, la scena teofanica della discesa dello Spirito di Elia direttamente
sul profeta Eliseo in 2 Re 2,1-15: il Giordano viene attraversato da Elia
(prossimo alla sua ascesa in cielo) e da Eliseo (dopo l’ascesa di Elia),
che non vi si bagnano; eppure, è presso il Giordano che lo Spirito di
Elia asceso al cielo discende direttamente su Eliseo. Insomma, il IV
vangelo pare “correggere” le notizie tradizionali sul battesimo di Gesù
tramite la scena della discesa dello Spirito di Eliseo presso (e non tra) le
acque del Giordano: una discesa dello Spirito sull’eletto di Dio, senza
immersione o abluzione. Ma come il Prologo reinterpreta lo Spirito?
Ebbene, se, biblicamente, lo Spirito Santo è quello che dona la vita
divina, se quindi è Spirito vivificante (identificato da Paolo con Cristo
stesso; così, per Gv 5,21, «il Figlio dà la vita a chi vuole (ὁ υἱὸς οὓς
θέλει ζῳοποιεῖ)»)154, nel Prologo lo Spirito potrebbe rivelarsi “tolto”
nel Logos in cui è la Vita, che si rivela agli uomini come Luce (cf. Gv
1,4). La discesa sinottica dello Spirito Santo è sostituita dalla teofania
della Luce che dà Vita, che è quindi la Luce dello stesso Spirito, perso-
nalmente identificato con il Logos di Dio. Proprio il riferimento traslato
a Genesi 1,1-5 governa lo slittamento dall’ambito carismatico proprio
dello Spirito (riaffermato in Gv 1,32-34) all’ambito protologico/onto-
logico proprio del Logos/Luce: la potenza divina dello Spirito, che è
il Logos della Luce, quindi la manifestazione della Gloria precosmica

him”) would sound like variant expressions of the same event. For converts who
had come out of a Hellenistic Judaism that used Wisdom, Word, Son, and Holy
Spirit interchangeably, “the Word became flesh” would equal “the Spirit descen-
ded and remained on Jesus”. If so, then in Johannine Christianity the incarnation
must have been assumed to have taken place in connection with the water of
John’s baptism» (Ch.H. Talbert, “And the Word Became Flesh”: When?..., 135).
Stranamente Talbert non fa qui riferimento al termine Luce (φῶς), né al termine
Uomo (ἄνθρωπος, φώς), come termini teologicamente interscambiabili con Lo-
gos, Sophia, Spirito Santo, etc…
154 «Paul himself was accustomed to speak of the spirit as “life-giving” (1Cor 15.45;
2Cor 3.6), and that was not a peculiarity of his. It was a belief shared by other
New Testament writers (Jn 6.63; 1Pt 3.18), by Philo (Op. mundi 30; Quaest in Gen
1.4; 2.8; 4.5), and by the writer of the Wisdom of Salomon (15.11). They inherited
from the Septuagint the idea of a πνεῦμα ζωῆς (Gen 6.17; 7.15; Ezek 1.21; 10.17;
37.5 (as v.1 in 10); Jdt 10.13-=”living person”). This association of “spirit” and
“life” is all too intelligible: as πνεῦμα in the sense of “breath” marked the presen-
ce of life, it is a very natural image» (A.J.M. Wedderburn, Baptism and Resurrec-
tion. Studies in Pauline Theology against Its Graeco-Roman Background, Mohr
Siebeck, Tübingen 1987, 275; cf. 294-295).
198 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

di Dio, discende “presso le acque” al cospetto del Battista sull’uomo


Gesù155, appare nel mondo delle tenebre (i seguaci del Battista che non
si convertono, i Giudei increduli).
Ma perché, stranamente, nel Prologo non appare il termine Spirito?
Probabilmente proprio perché il modello dell’inabitazione carismatica,
di fatto rivendicata dallo stesso Battista, non consentiva una sufficiente
esaltazione della superiorità di Gesù nei confronti del suo predecesso-
re, maestro, ma poi rivale. Già l’insistenza di Gv 1,33, sul permanere
(μένειν) dello Spirito disceso su Gesù, mostra l’esigenza, attestata an-
che dal giudeocristiano Vangelo dei Nazareni testimoniatoci da Giro-
lamo156, di specificare una modalità diversa, definitiva di inabitazione.
Il termine Logos, capace di rievocare la luce principale di Dio che in
Gen 1,3 risolve teofanicamente l’aleggiare originario dello Spirito sul-
le acque di Gen 1,2, consente di ipostatizzare il Figlio come preesi-
stente, quindi di togliere nella sua natura al tempo stesso sapienziale
(Verbo/Principio creatore) e apocalittica (Verbo/Rivelatore redentivo)
la dimensione carismaticamente troppo generica, quindi indefinita del-
lo Spirito, non esclusiva di Gesù, ma rivendicata dallo stesso Battista
storico, oltre che “propria” di tutti i profeti e di tutti i “figli di Dio” di
Israele.

155 «È lecito pensare che lo Spirito e la potenza venuta da Dio altro non siano che
il Logos (τὸ πνεῦμα οὖν καὶ τὴν δύναμιν τὴν παρὰ τοῦ θεοῦ οὐδὲν ἄλλο νοῆσαι
θέμις ἢ τὸν λόγον), che è anche il primogenito di Dio (ὃς καὶ πρωτότοκος τῷ θεῷ
ἐστι)» (Giustino, I Apologia 33, 6). «Jesus originated as the Logos (1:1ff.), he
returns as the Spirit (14:18; etc.), and therefore Logos and Spirit are virtually two
ways of expressing a similar thought» (G.M. Burge, The Anointed Community:
the Holy Spirit in the Johannine Tradition, Eerdmans, Grand Rapids 1987, 113).
Descrivendo la katabasis cristologica giovannea, M. Theobald, Die Fleischwer-
dung des Logos…, ha utilizzato la felice formula di «Doppelgängerschaft von
Logos (1,1f.14) und Pneuma (1,32f)» (50).
156 Corrispondente alla descrizione giovannea del discendere e del rimanere dello
Spirito di Gesù è la rilevantissima notizia geronimiana sul vangelo giudeocri-
stiano dei “Nazarei”: «Nel vangelo scritto in ebraico che leggono i Nazarei…
troviamo scritto: «Ora, quando il Signore fu uscito dall’acqua, discese l’intera
sorgente dello Spirito Santo, si riposò su di lui e gli disse: “Figlio mio, io ti attesi
in tutti i profeti, perché tu venissi ed io mi potessi riposare su di te. Tu difatti sei la
mia requie. Tu, il Figlio mio primogenito, che regni in eterno” (Porro in evangelio,
cuius supra fecimus mentionem, haec scripta reperimus: “Factum est autem cum
ascendisset dominus de aqua, descendit fons omnis Spiritus Sancti, et requievit
super eum, et dixit illi: Fili mi, in omnibus prophetis exspectabam te, ut venires,
et requiescerem in te. Tu es enim requies mea, tu es filius meus primogenitus,
qui regnas in sempiternum”» (Vangelo dei “Nazarei”, frammento in Girolamo,
Commento ad Isaia, IV,11,1-2).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 199

3) Il contenuto della voce celeste, che nei sinottici proclama Gesù come «il
mio Figlio prediletto (ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός)» (Mc 1,11), viene “messo
in bocca” al Battista che, indicandolo come colui che «era prima di me»
(Gv 1,15)157, lo ritratta nella formula più radicale di «Figlio Unigenito
(μονογενής) che è nel seno del Padre» (Gv 1,14 e 18). Segnalo come, in
Gv 13,23, si descriva «reclinato sul petto di Gesù il discepolo che Gesù
amava (ἀνακείμενος… ἐν τῷ κόλπῳ τοῦ Ἰησοῦ, ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς)»,
ove l’essere nel κόλπος è utilizzato appunto come metafora per indicare
colui che è «amato (ἀγαπητός)» più di ogni altro. Dire che il Figlio è
nel seno del Padre significa allora dire che egli è l’ἀγαπητός, il nome
disceso dal cielo, con il quale i sinottici salutano la manifestazione del
messia al Giordano. Il Figlio prescelto come Messia salvifico diviene
eternamente “eletto” come Figlio preesistente del Padre, che Giovanni
Battista proclama come Logos, Luce divina e Gloria incarnata158. Lo
stare del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre viene identificato, in
1Gv 4,7-21, con il soprannaturale «amore (ἀγάπη)», cioè con lo Spirito
Santo, dono del Padre e del Figlio, dal quale sono vivificati i «carissimi
(ἀγαπητοί)» fratelli dell’anziano. L’amore del Padre si manifesta sol-
tanto nel Figlio che, tramite il suo Spirito, lo comunica ai “suoi” fedeli:
caratteristica dell’amore è il rimanere nell’altro, è il fruire dello Spirito
con il quale Padre e Figlio si amano159. Sarebbe qui necessario rilegge-

157 «Mentre nei sinottici è la “voce divina” a indicare in Gesù il “Figlio amato”, nel
quarto vangelo questa funzione rivelatrice è assunta da Giovanni… [In questa]
riscrittura giovannea del battesimo di Gesù, quest’ultimo è dichiarato Figlio di
Dio proprio nella misura in cui è presentato come il portatore dello Spirito di Dio,
che a sua volta, tramite il battesimo “nello Spirito”, egli dispensa e trasmette a
ogni credente» (J. Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni…, I,110).
158 «Nella scenografia sinottica, era al momento del battesimo che Gesù veniva ri-
velato come il Figlio di Dio e ciò era simboleggiato con la discesa dello Spirito
Santo su di lui (si veda la connessione di Spirito e Filiazione divina in Rm 1,4).
Giovanni è venuto incontro alla necessità di fare questa rivelazione ricorrendo
al Prologo che ci parla di Gesù come del “Figlio unigenito che è nel seno del
Padre” (1,18). Ciò nonostante, Gv 1,33 conserva indirettamente il ricordo di Gesù
che viene battezzato con lo Spirito Santo mettendo in bocca a Giovanni Battista
una frase che combina questa idea con quella della preesistenza (1,30). Il battesi-
mo diventa ora semplicemente un momento dell’invio della Parola preesistente»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 60-61). Rispetto a Brown,
ribadisco l’assenza di un vero e proprio riferimento al battesimo in Gv 1,33 e
interpreto la teofania del Prologo come sostituto storico-narrativo (l’incarnazione
del Logos/Luce al Giordano) e non soltanto concettuale (ricapitolato nell’attribu-
zione a Gesù del termine Unigenito) del battesimo sinottico.
159 «Amati, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri (ἀγαπητοί,
εἰ οὕτως ὁ θεὸς ἠγάπησεν ἡμᾶς, καὶ ἡμεῖς ὀφείλομεν ἀλλήλους ἀγαπᾶν). Nessuno
200 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

re Gv 1,14 e 16-18 in connessione con il grandioso, bipartito discorso


dell’ultima cena di Gv 13,31-17,26, oltre che con 1Gv 4,7-21. In Gv
14,15-21 il dono escatologico del «Consolatore (παράκλητος)» (14,16),
cioè dello «Spirito di verità (τὸ πνεῦμα τῆς ἀληθείας)» (14,17), che
Gesù darà in sua vece quando sarà innalzato al Padre abbandonando il
mondo, garantirà la messa in pratica del comandamento dell’amore, in
maniera tale che «voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in
voi (γνώσεσθε ὑμεῖς ὅτι ἐγὼ ἐν τῷ πατρί μου καὶ ὑμεῖς ἐν ἐμοὶ κἀγὼ ἐν
ὑμῖν)» (14,20)160. Gloria e Spirito sono, insomma, sovrapponibili, quali
prerogative rivelative del Figlio, che questi trasmette ai “suoi”. Il dono
dello Spirito, quindi la grazia che si riversa sulla comunità, è l’amore
stesso che unisce Padre e Figlio, identificato con la Gloria preesistente
donata dal Padre all’Unigenito e incarnatasi in Gesù. Qui mi limito a
sottolineare come l’«amore (ἀγάπη)», che è l’essere uno con il Figlio
che è uno con il Padre già nella sua preesistenza, sia escatologicamente
identificabile con il dono dello Spirito, che è la grazia fruita dagli eletti
in tutta la sua pienezza trascendente161. Se Gesù, al Giordano, riceve

ha mai visto Dio (θεὸν οὐδεὶς πώποτε τεθέαται); se ci amiamo gli uni gli altri
(ἐὰν ἀγαπῶμεν ἀλλήλους), Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (ὁ
θεὸς ἐν ἡμῖν μένει καὶ ἡ ἀγάπη αὐτοῦ τετελειωμένη ἐν ἡμῖν ἐστιν). Da questo si
riconosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi (Ἐν τούτῳ γινώσκομεν ὅτι ἐν
αὐτῷ μένομεν καὶ αὐτὸς ἐν ἡμῖν); egli ci ha fatto dono del suo Spirito (ὅτι ἐκ τοῦ
πνεύματος αὐτοῦ δέδωκεν ἡμῖν). E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il
Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo (καὶ ἡμεῖς τεθεάμεθα
καὶ μαρτυροῦμεν ὅτι ὁ πατὴρ ἀπέσταλκεν τὸν υἱὸν σωτῆρα τοῦ κόσμου). Chiun-
que riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio (ὁ
θεὸς ἐν αὐτῷ μένει καὶ αὐτὸς ἐν τῷ θεῷ). Noi abbiamo riconosciuto e creduto
all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore (ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν); chi sta nell’amore
dimora in Dio e Dio dimora in lui (ὁ μένων ἐν τῇ ἀγάπῃ ἐν τῷ θεῷ μένει καὶ ὁ θεὸς
ἐν αὐτῷ μένει)» (1Gv 4,11-16).
160 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 1305-1310.
161 Mi limito a citare Gv 17,22-24 e 26: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a
loro (κἀγὼ τὴν δόξαν ἣν δέδωκάς μοι δέδωκα αὐτοῖς), perché siano come noi una
cosa sola (ἵνα ὦσιν ἓν καθὼς ἡμεῖς ἕν). Io in loro e tu in me, perché siano perfetti
nell’unità (ἐγὼ ἐν αὐτοῖς καὶ σὺ ἐν ἐμοί, ἵνα ὦσιν τετελειωμένοι εἰς ἕν) e il mondo
sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (ἠγάπησας αὐτοὺς
καθὼς ἐμὲ ἠγάπησας). Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con
me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché
tu mi hai amato prima della creazione del mondo… E io ho fatto conoscere loro
il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in
essi e io in loro (ἵνα ἡ ἀγάπη ἣν ἠγάπησάς με ἐν αὐτοῖς ᾖ κἀγὼ ἐν αὐτοῖς)». Cf.
J. Zumstein, Il vangelo di Giovanni…, II,813 e 817-818: «Il dono che il Padre
fa al Figlio, questi lo ha trasmesso ai credenti. Tale dono è quello della “gloria”,
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 201

lo Spirito, riceve in realtà la Gloria stessa di Dio, che è lo stesso pre-


esistente sussistere nell’amore effusivo del Padre, che lo Spirito gio-
vanneo, proceduto dal Figlio dopo la sua glorificazione, dona ai suoi
discepoli come grazia.
4) Inoltre, se in Mc 1,12-13 immediatamente lo Spirito “rapisce” l’uomo
Gesù nel quale ha fatto irruzione, rivelandolo come il nuovo impeccabi-
le Adamo riammesso nell’Eden (nel quale il deserto stesso si converte,
secondo Isaia 32,15)162, così il Prologo giovanneo rivela Gesù come
l’eterna “Immagine” rivelatrice di Dio (cf. 1,18), la Luce con la quale è
offerto nuovamente all’umanità il dono della vita eterna edenica163. Per
quanto riguarda l’affermazione del v. 14, «Venne ad abitare in mezzo a
noi e noi vedemmo la sua gloria (ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν, καὶ ἐθεασάμεθα

vale a dire della pienezza della realtà divina rivelata dal Cristo incarnato in seno
al mondo… Ai discepoli che hanno visto nella fede la gloria del Cristo incarnato
(1,14; 2,11) è promessa la visione faccia a faccia della gloria del preesistente…
La preesistenza del Figlio è presentata in termini di amore: è l’espressione di
un tale amore.., la preghiera conduce alla presenza faccia a faccia, espressione
dell’amore divino (cf. 1Cor 13,11-13)». Rimanderei soprattutto a 2Cor 3-4: vi
tornerò tra poco. Cf., infine, U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, 336-
340, che insiste sulla connessione tra gloria, amore preesistente del Padre e del
Figlio, ruolo-chiave dello Spirito nella preghiera escatologica di Gv 17; si avanza
l’ipotesi che questa presupponga una liturgia eucaristica.
162 «In noi sarà infuso uno Spirito dall’alto; (ἕως ἂν ἐπέλθῃ ἐφ’ ὑμᾶς πνεῦμα ἀφ’
ὑψηλοῦ); allora il deserto diventerà un giardino/il Carmelo (καὶ ἔσται ἔρημος ὁ
Χερμελ)» (Isaia 32,15). Frequente è l’identificazione del monte Carmelo, luogo
elettivo di Elia, con il giardino edenico.
163 «Fin dalle prime parole dell’inno c’è stato un intenzionale parallelo con i capitoli
iniziali della Genesi. Ciò è continuato nel v. 3 con l’uso di egeneto; e ora conti-
nua in vv. 4-5 con l’accenno alla luce e alle tenebre, perché la luce fu la prima
creazione di Dio (Gn 1,3). Anche “vita” è un tema del racconto della creazione…
Alla vita eterna si accenna anche nei primi capitoli della Genesi, perché 2,9 e
3,22 parlano dell’albero della vita il cui frutto, se mangiato, avrebbe fatto vivere
l’uomo per sempre. L’uomo fu escluso da questa vita a causa del suo peccato;
ma come vediamo in Ap 22,2, la vita eterna del giardino dell’Eden prefigurava
la vita che Gesù avrebbe dato agli uomini. In Gv 6, Gesù parlerà del pane di vita
che un uomo può mangiare e vivere per sempre: un pane, quindi, che ha le stesse
qualità del frutto dell’albero della vita nel paradiso… Noi pensiamo che nel v.
4 il Prologo parli ancora nel contesto del racconto della creazione della Genesi.
Ciò che aveva specialmente avuto origine nella Parola creativa di Dio era il dono
della vita eterna. Questa vita era la luce degli uomini, perché l’albero della vita
era strettamente associato all’albero della conoscenza del bene e del male» (R.E.
Brown, Giovanni…, 37-38). Su Gesù come nuovo Adamo in Giovanni, cf. J.K.
Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John…, 281-283.
202 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

τὴν δόξαν αὐτοῦ)», Raymond Brown ha avanzato una tesi originale164:


il versetto che proclama l’incarnazione come «l’attendarsi» della glo-
ria/shekinah di Dio – che colloca in Gesù il suo definitivo tabernaco-
lo165 – potrebbe far riferimento alla trasfigurazione, testimoniata dai
sinottici e da 2Pietro 1,16-18, ove Gesù è manifestato come più grande
di Mosè (cf. Gv 1,17) e di Elia166. Se la voce celeste che, sul monte
della trasfigurazione, definisce Gesù come «Figlio diletto (ὁ υἱός μου
ὁ ἀγαπητός)»167 coincide perfettamente con la voce discesa dal cielo al
battesimo; se la proclamazione giovannea dell’«attendarsi» del Logos
che è la Gloria di Dio in Gesù pare avere riscontro nell’ingenua pretesa
di Pietro, Giacomo e Giovanni, che chiedono di costruire «tre tende
(τρεῖς σκηνάς)» per Gesù, Mosè ed Elia; l’abbacinante, soprannaturale
fulgore di Gesù trasfigurato ricorda lo splendore luminoso della Gloria
di Dio nel Prologo. Ebbene, nel Prologo il Battista (che in Mc 9,13
e ancor più esplicitamente in Mt 17,10-13 è identificato con Elia già
venuto) è lo spettatore della maggior gloria del Figlio diletto, quindi
colui che esalta oltre Mosè stesso l’Unigenito, che è il Figlio diletto del
battesimo e della trasfigurazione168. Il rapporto tra acqua (il Mar Rosso
o il Giordano), deserto, monte (Sinai/Oreb, “Tabor”) e teofania caratte-
rizza in profondità le tre figure di Mosè, Elia, Gesù, dimostrando come
sia in atto un dispositivo tipologico rigorosamente articolato, che, nel
caso del Prologo, risulta del tutto contratto e nascosto (non c’è acqua,
non c’è deserto, non c’è monte, che sono presenti nei sinottici), spiri-

164 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 46-49. «Molte ragioni raccomandano l’ipotesi che
14c.d sia un’eco della trasfigurazione» (48).
165 Cf. Esodo 25,8-9; Zaccaria 2,14; Ezech 43,7. Sull’incarnazione del Logos
come “attendarsi” (σκηνόω) della Gloria di Dio ( αὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ
ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν: Gv 1,14), che non trova più il suo luogo nel Tempio di Geru-
salemme, ma in Gesù stesso (cf. Gv 2,13-22), cf. R.E. Brown, Giovanni…, 42-49.
166 Sul rapporto tra battesimo di Gesù, rapimento “violento” da parte dello Spirito,
invio nel deserto, collocazione su un alto monte, quindi tentazione di Gesù e sua
trasfigurazione tra Mosè ed Elia, penso che le testimonianze sinottiche debbano
essere lette in relazione al sopra citato passo del Vangelo sopra gli Ebrei, riporta-
toci da Origene. Gesù nuovo Adamo attraversa il deserto ed è collocato sul nuovo
Eden, ove, dopo aver vinto le tentazioni del Maligno, diviene teofanica Gloria di
Dio. Ricordo che secondo Epifanio di Salamina, Panarion II, tomo I, eresia LI,
Contro coloro che non accettano il vangelo di Giovanni e la sua apocalisse [gli
Alogi] 21,7, il Tabor sarebbe stato il monte della tentazione di Gesù (cf. Mt 4,8).
Cf. G. Lettieri, L’ultimo nel primo…, 130-133.
167 «E uscì una voce dalla nube: “Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo (καὶ ἐγένετο
φωνὴ ἐκ τῆς νεφέλης, Οὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἀκούετε αὐτοῦ)» (Mc 9,7).
168 Cf. U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, 51.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 203

tualizzato, ma attivo, quando il tema di Gesù rivelatosi Gloria di Dio al


cospetto del Battista (che in Gv 1,21 nega di essere Elia) chiama il rap-
porto con Mosè spettatore e mediatore della teofania di luce del Sinai.
Gv 1 restituisce, quindi, l’evento apocalittico del Giordano senza bat-
tesimo del Cristo, una teofania assoluta senza purificazione dell’uomo
Gesù, un’incarnazione del Logos senza mediazione attiva del Battista,
il quale è testimone di un evento che lo sorpassa ontologicamente, sin
dall’in principio. Il Prologo è la celebrazione della teofania al Giordano,
sfrondata dai “subordinanti” riferimenti al battesimo ricevuto da Gesù e
proiettata in dimensione protologica. D’altra parte, la “memoria” del bat-
tesimo, seppure occultata in riferimento a Gesù, rimane strutturalmente
incancellabile e comunitariamente irrinunciabile, così come l’originaria
dipendenza storica della missione di Gesù da quella del Battista. Il bat-
tesimo rimane, per la comunità giovannea, rito iniziatico fondativo, che
trasmette la fruizione dello Spirito, quello che Gesù stesso ha ricevuto
al Giordano169. Pertanto, il battesimo impartito nella comunità giovan-
nea non poteva non fare riferimento alla fotofania fondativa descritta nel
Prologo, che comunque pare connettere la conoscenza di Cristo Luce e
Vita a un’esperienza battesimale comunitaria. Ambiguamente, il battesi-
mo comunitario permane esperienza fondativa di luce, attingimento dello
Spiritus vivificans nel principio, seppure il ricordo del battesimo storico
di Gesù (che, nelle prospettive di cristologie sempre più alte, non aveva
bisogno alcuno di iniziazione) è bianchettato. Al Giordano, insomma, “li-
berato” da un umiliante battesimo, Gesù diviene la principale, protolo-
gica fonte di acqua di vita eterna, quindi di scaturigine dello Spirito (cf.
Gv 4,13 e 3,31-36, ove è il Battista a riconoscere che il Figlio che viene
dal cielo dà lo Spirito senza misura). L’ἀρχή del sacramento battesimale
immerge l’iniziato nell’ἀρχή escatologica (la rivelazione dell’inizio del
vangelo di Cristo quale Logos e Luce redentivi), riattivazione di quella
protologica (il Fiat Logos del Fiat Lux creativo); il fedele è così strappa-
to dalla tenebra del mondo maligno, ricreato dall’onnipotente Logos ri/

169 «Il dono dello Spirito a Gesù che mediante la visione fa di lui il Figlio di Dio ha
senza dubbio valore soltanto a partire dal battesimo… Al dono dello Spirito nel
battesimo risale anche la svolta fondamentale nella storia dei credenti. Da questo
momento essa è caratterizzata da un’esperienza dello Spirito particolarmente pro-
fonda e intensa» (H.-J. Klauck, Lettere di Giovanni…, 58); «Il dono dello Spirito
che Gesù riceve nel battesimo è in definitiva il modello soteriologico anche per i
credenti» (333). Significativamente, queste prospettive, attribuite da Klauck agli
avversari del presbitero, sono di fatto riscontrabili nella prospettiva complessiva
dello stesso IV vangelo; cf. 266-267; 332-335.
204 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

creativo di Dio, che con lo Spirito è venuto in principio (sia prima della
creazione del mondo, che all’inizio del vangelo salvifico di Gesù) quale
Luce che dona escatologicamente la fruizione della vita eterna170. Torne-
remo più avanti sulla ritrattazione nel Prologo della tentazione sinottica
di Gesù dopo il battesimo. Non prima, però, di esserci dedicati a un ex-
cursus paolino.

170 Si legga 1Gv 2,7: «Amati, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un co-
mandamento antico, che avete ricevuto sin dal principio (ἐντολὴν παλαιὰν ἣν
εἴχετε ἀπ’ ἀρχῆς). Il comandamento antico è la parola che avete udito (ἐντολὴ ἡ
παλαιά ἐστιν ὁ λόγος ὃν ἠκούσατε). E tuttavia è un comandamento nuovo quello
di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, poiché le tenebre stanno diradandosi
e la vera luce già risplende (ὅτι ἡ σκοτία παράγεται καὶ τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν ἤδη
φαίνει)» (1Gv 2,7-8). Il riferimento all’«in principio» connette l’insegnamento
iniziatico nella comunità giovannea alla proclamazione del Logos «in principio»,
Luce salvifica che risplende nelle tenebre. Infatti, all’inizio della lettera, il Logos
incarnato è appunto proclamato come colui che era «in principio»: «Ciò che era
fin da principio (ὃ ἦν ἀπ’ ἀρχῆς), ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Logos della vita (περὶ τοῦ λόγου τῆς ζωῆς) – poiché la
vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi –, quello
che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi (ὃ ἑωράκαμεν καὶ
ἀκηκόαμεν ἀπαγγέλλομεν καὶ ὑμῖν)» (1,1-3). L’insegnamento ricevuto «in prin-
cipio» non può non riecheggiare la scaturigine del mistero soteriologico, quindi
non può non vertere sull’incarnazione del Logos «in principio»; ebbene, questo
include un richiamo al battesimo come compimento del processo di conversione,
quindi come illuminazione spirituale: «Quando l’autore [di 1Gv] parla de “il prin-
cipio”, egli intende il principio della rivelazione di Gesù ai suoi seguaci durante
il ministero, ma per i suoi lettori questo significa il principio del loro contatto
con la tradizione che avvenne con la conversione/iniziazione/battesimo. Mentre
l’annuncio teologico giovanneo aveva le sue peculiarità, aveva in comune molte
caratteristiche con gli altri annunci battesimali cristiani; da qui i paralleli appena
discussi. Pure i secessionisti avevano udito l’annuncio giovanneo di conversione/
iniziazione/battesimo; ma, a giudizio dell’autore, la loro successiva posizione lo
aveva deformato. Essi avevano mostrato che, nonostante il loro battesimo, erano
figli del diavolo e non figli di Dio» (R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 597);
in 226-230, Brown discute largamente l’interpretazione del termine «principio»
nell’epistolario giovanneo e nello stesso NT. In riferimento a 1Gv 1,24, scrive
H.-J. Klauck, Lettere di Giovanni…, 193-194: «“Avete udito” definisce in modo
chiaro l’estensione di ἀπ’ ἀρχῆς: ai destinatari si ricordano gli inizi della loro vita
cristiana, la predicazione dell’annuncio e la professione di fede che ne è derivata
e che è stata conferita nel battesimo; ἀπ’ ἀρχῆς è direttamente connesso alla con-
fessione di Gesù Cristo e figlio di Dio a cui alludono implicitamente i vv. 22-23…
Al rimanere in noi della parola del principio e al nostro rimanere nel Figlio e nel
Padre è rivolta la promessa di vita eterna… La vita eterna consiste nel credere, nel
conoscere, nel dono della parola; è quindi pensata al presente».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 205

11. Fiat Lux/Fiat Spiritus: teofania e/o incarnazione battesimale in Pa-


olo e Giovanni

La tesi qui avanzata, che propone di interpretare il Prologo giovanneo


come descrizione e insieme protologizzazione dell’incarnazione in Gesù al
Giordano dello Spirito come Logos della Luce, necessita di un approfon-
dimento, che ci riporta indietro ai più antichi testi cristiani a noi pervenuti.
Prima di tutto, mi chiedo se il Prologo giovanneo non presupponga la co-
noscenza della Seconda lettera ai Corinzi di Paolo, in particolare di 2Cor
3-4171. In questo contesto, Paolo contrappone l’alleanza effimera della Leg-
ge, rivelazione soltanto indiretta di Dio, quindi incapace di “illuminare” e
salvare Israele – «τὸ γὰρ γράμμα ἀποκτέννει» –, alla rivelazione ultima e
perfetta di Cristo, che rivela direttamente e universalmente la gloria di Dio,
rendendone partecipi i credenti – «τὸ δὲ πνεῦμα ζῳοποιεῖ» (2Cor 3,6) –.
Ora, lo Spirito è identificato con Cristo stesso: «Il Signore è lo Spirito (ὁ
δὲ κύριος τὸ πνεῦμά ἐστιν) e dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà
(οὗ δὲ τὸ πνεῦμα κυρίου, ἐλευθερία)» (3,17); Cristo, inoltre, è interpretato
quale la luminosa «Immagine di Dio (εἰκὼν τοῦ θεοῦ)», che è la storica ri-
velazione della stessa Gloria di Dio, del suo Volto. Il vangelo di Cristo, che
viene trasmesso «non falsificando la parola di Dio (τὸν λόγον τοῦ θεοῦ),
ma annunziando apertamente la verità (τῇ φανερώσει τῆς ἀληθείας)» (4,2),
è quindi restituito non soltanto come kerygma che connette inseparabil-
mente λόγος e ἀλήθεια, ma soprattutto come folgorazione della luce (φῶς),
della gloria di Cristo, che irrompe nelle tenebre dei cuori dell’uomo, in-
corporando i credenti all’Immagine, rispetto alla quale l’Israele incredulo
risulta essere cieco, perché misteriosamente indurito:

E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria


del Signore (ἡμεῖς δὲ πάντες ἀνακεκαλυμμένῳ προσώπῳ τὴν δόξαν κυρίου
κατοπτριζόμενοι), veniamo trasformati in quella medesima immagine, di
gloria in gloria (τὴν αὐτὴν εἰκόνα μεταμορφούμεθα ἀπὸ δόξης εἰς δόξαν),
secondo l’azione dello Spirito del Signore (καθάπερ ἀπὸ κυρίου πνεύματος)…
E se il nostro vangelo rimane velato (εἰ δὲ καὶ ἔστιν κεκαλυμμένον τὸ
εὐαγγέλιον ἡμῶν), lo è per coloro che si perdono (ἐν τοῖς ἀπολλυμένοις ἐστὶν
κεκαλυμμένον), ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula
(ἐν οἷς ὁ θεὸς τοῦ αἰῶνος τούτου ἐτύφλωσεν τὰ νοήματα τῶν ἀπίστων), perché
non vedono lo splendore della gloria del vangelo di Cristo (εἰς τὸ μὴ αὐγάσαι
τὸν φωτισμὸν τοῦ εὐαγγελίου τῆς δόξης τοῦ Χριστοῦ), che è Immagine di Dio

171 Cf., in tal senso, le rapide indicazioni di M.D. Hooker, Beyond the Things that
Are Written? St Paul’s Use of Scripture, in «New Testament Studies» 27/3, 1981,
295-309, in part. 302; e R.P. Martin, 2 Corinthians, Word Books, Waco Texas, 73.
206 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

(ὅς ἐστιν εἰκὼν τοῦ θεοῦ)… E Dio che disse (ὅτι ὁ θεὸς ὁ εἰπών): “Rifulga la
luce dalle tenebre (Ἐκ σκότους φῶς λάμψει)” (Gen 1,3), rifulse nei nostri cuori
(ὃς ἔλαμψεν ἐν ταῖς καρδίαις ἡμῶν), per far risplendere la conoscenza della
gloria divina che rifulge sul volto di Cristo (πρὸς φωτισμὸν τῆς γνώσεως τῆς
δόξης τοῦ θεοῦ ἐν προσώπῳ Χριστοῦ)» (2Cor 3,18-4,4 e 6).

La rivelazione aperta della «verità (ἀλήθεια)» è l’annuncio del vangelo


di Cristo/Spirito che dà vita, che è l’Immagine di Dio, Gloria, Luce (φῶς)
che folgora nelle tenebre, sicché il riferimento a Genesi 1,3 è utilizzato
come metafora dell’evento della redenzione di grazia.
La corrispondenza con il Prologo mi pare notevolissima, seppure riten-
go che Paolo ancora non prospetti una cristologia della preesistenza divina
del Figlio presso il Padre, concependo Luce/Gloria/Volto/Spirito/(Uomo
ad) Immagine di Cristo come manifestazioni unicamente escatologiche,
redentive e non protologiche, intradivine e creative172. Entrambi i testi, co-
munque, ricorrono alla citazione di Gen 1,3, identificando la luce che riful-
ge nelle tenebre con la manifestazione della Gloria che è il Figlio stesso,
sicché il racconto della creazione diviene figura di quello della rivelazione
apocalittica. L’escatologica Luce/Gloria appare «in principio» (nello stes-
so principio del vangelo storico di Gesù) nelle tenebre, ma queste non la
riconoscono, non la vedono, sono rinchiuse nel loro mistero di reiezione.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende nelle
tenebre (καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει), ma le tenebre non l’hanno accolta
(καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν)… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi ( αὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν); e noi
vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre (ἐθεασάμεθα τὴν
δόξαν αὐτοῦ, δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ πατρός), pieno di grazia e di verità
(πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας) (Gv 1,5 e 14).

Anche per il Prologo, la rivelazione della Luce è la rivelazione del Figlio


Unigenito, che manifesta nella carne, cioè nell’uomo Gesù, l’intimo segre-
to di Dio. Il Figlio, infatti, è l’unico che vede e media/interpreta il Padre:

172 Soltanto nella deuteropaolina Efes1,3-14 la gloria escatologica di Cristo Immagi-


ne viene anche retroproiettata in una dimensione di preesistenza creativa, quindi
protologizzata. Sull’assenza di una cristologia della divina preesistenza creatrice
del Figlio in Paolo, mi limito a rinviare a R.E. Brown, La comunità del discepolo
prediletto…, 50-51; R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 120; K.-J. Kuschel,
Geboren vor aller Zeit? Der Streit um Christi Ursprung, Piper, München 1990, tr.
it. Generato prima di tutti i secoli? La controversia sull’origine di Cristo, Queri-
niana, Brescia 1996, 323-417; G. Lettieri, L’ultimo nel primo…, 141-153.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 207

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ
ἡμεῖς πάντες ἐλάβομεν) e grazia su grazia (καὶ χάριν ἀντὶ χάριτος). Perché
la legge fu data per mezzo di Mosè (ὅτι ὁ νόμος διὰ ωϋσέως ἐδόθη), la
grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (ἡ χάρις καὶ ἡ ἀλήθεια διὰ
Ἰησοῦ Χριστοῦ ἐγένετο). Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν
πώποτε·); proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, egli l’ha
rivelato (μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος ἐξηγήσατο
(Gv 1,16-18).

Il Padre, che nessuno può vedere, è rivelato unicamente dal suo “esege-
ta”, da colui che è nel suo seno: il tema messianico-apocalittico che domina
2Cor 3-4 – quello della rivelazione di gloria di Dio, irradiante dal volto di
Cristo risorto – pare anticipare questi versetti del Prologo, che pure sdop-
piano e retroproiettano l’apocalisse escatologica del Figlio nella preesi-
stente relazione di intimità “binitaria”. Per Paolo, rispetto alla rivelazione
di Mosè, Cristo è manifestazione in pienezza di gloria, di grazia, di luce,
non più nascosta, ma manifesta, perché il dono della verità riluce diretta-
mente sul volto di Cristo rivelatore, capace di vivificare «noi che non fis-
siamo lo sguardo sulle cose visibili (μὴ σκοπούντων ἡμῶν τὰ βλεπόμενα)»
(4,18). Come si diceva, il ricorso al primo giorno di Gen 1 scandisce l’op-
posizione tra l’apocalisse della Luce in principio e la resistenza accecata
delle tenebre173, incapaci di scorgere l’eccedenza/trascendenza della gloria
della nuova alleanza (rispetto alla stessa antica alleanza di Mosè)174 e di ri-
conoscere la sovrabbondanza della grazia, rivelata dal Figlio che è lo Spiri-
to vivificante che dona la partecipazione all’Immagine teomorfa. Pertanto,
l’Unigenito “esegeta” giovanneo – capace di vedere Dio e contrapposto a
Mosè che, come ogni uomo, non ha visto Dio – è il paolino Volto di Glo-
ria175, il Cristo nel quale tutti i credenti sono trasformati, moltiplicando la

173 Cf. Gv 3,19: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le te-
nebre alla luce, perché le loro opere erano malvage». Questo versetto, che segue
l’affermazione che «il Figlio dell’Uomo è disceso dal cielo», dichiarando il suo
imminente innalzamento salvifico sulla croce, è perfettamente corrispondente a
Gv 1,9-11, provando, a mio avviso, che questi versetti del Prologo non si riferi-
scono, come affermano tra gli altri Pagels o Boyarin, alla rivelazione della Legge
precedente l’incarnazione del Logos, ma a questa stessa incarnazione e al suo non
essere riconosciuta da gran parte delle “tenebre” (la maggior parte dei discepoli di
Giovanni) al suo apparire.
174 «L’inno [cioè il Prologo] termina con la trionfante proclamazione di una nuova al-
leanza in sostituzione dell’alleanza del Sinai» (R.E. Brown, Giovanni…, 48-49).
175 «Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto (οὔτε εἶδος
αὐτοῦ ἑωράκατε) e non avete la sua parola che dimora in voi (καὶ τὸν λόγον αὐτοῦ
οὐκ ἔχετε ἐν ὑμῖν μένοντα), perché non credete a colui che egli ha mandato» (Gv
208 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

fruizione di grazia, dando accesso in Cristo alla fruizione della pienezza


dei doni divini176. Torniamo a leggere due versetti paolini, mettendoli in
connessione con due versetti giovannei:

E noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria


del Signore (ἡμεῖς δὲ πάντες ἀνακεκαλυμμένῳ προσώπῳ τὴν δόξαν κυρίου
κατοπτριζόμενοι), veniamo trasformati in quella medesima Immagine
di gloria in gloria (τὴν αὐτὴν εἰκόνα μεταμορφούμεθα ἀπὸ δόξης εἰς
δόξαν), secondo l’azione dello Spirito del Signore (καθάπερ ἀπὸ κυρίου
πνεύματος)» (2Cor 3,18); «Tutto infatti è per voi, perché la grazia, an-
cora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’in-
no di lode alla gloria di Dio (ἵνα ἡ χάρις πλεονάσασα διὰ τῶν πλειόνων
τὴν εὐχαριστίαν περισσεύσῃ εἰς τὴν δόξαν τοῦ θεοῦ)» (2Cor 4,15).
E noi vedemmo la sua gloria (ἐθεασάμεθα τὴν δόξαν αὐτοῦ), gloria come di
Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ
πατρός, πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας)… Dalla sua pienezza noi tutti abbia-

5,37-38); «Non che alcuno abbia visto il Padre (οὐχ ὅτι τὸν πατέρα ἑώρακέν τις),
ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre (εἰ μὴ ὁ ὢν παρὰ τοῦ θεοῦ, οὗτος
ἑώρακεν τὸν πατέρα)» (6,46). «Naturalmente, è il fatto che Mosè non ha veduto
Dio che l’autore vuole mettere in contrasto con l’intimo contatto tra il Figlio e il
Padre. In Es 33,18, Mosè chiede di vedere la gloria di Dio, ma il Signore dice:
“Tu non puoi vedere il mio volto e restare vivo”. Isaia (6,5) esclama con terrore:
“Ohimè! Io sono perduto, perché… i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli
eserciti”, dove non si parla nemmeno di vedere il volto di Dio. Contro questo
sfondo veterotestamentario, che nemmeno i più grandi rappresentanti di Israele
hanno visto Dio, Giovanni innalza l’esempio del Figlio unico, che non solo ha
veduto il Padre, ma che è sempre accanto a lui. Possiamo, certo, sospettare che
questo tema facesse parte della polemica giovannea contro la sinagoga, poiché
esso è ripetuto in 5,37 e 6,46» (49). E se Giovanni attingesse anche da 2Cor 3-4
per sostenere la sua polemica contro la sinagoga?
176 «Pienezza, Plērōma, che ricorre solo qui [in Gv 1,16] negli scritti giovannei, è un
importante termine teologico paolino» (R.E. Brown, Giovanni…, 22). Ricordo
che R. Bultmann, Das Evangelium des Johannes…, 53, fa dipendere l’opposi-
zione tra legge e grazia/verità del v. 17 da un evidente influsso paolino, rispetto
al quale la prospettiva complessiva del IV vangelo sarebbe comunque estranea;
donde il carattere per Bultmann tardivo e interpolato del versetto in questione.
Ma cf. anche la deuteropaolina Epistola ai Colossesi 1,20: «Piacque a Dio di fare
abitare in lui ogni pienezza (ἐν αὐτῷ εὐδόκησεν πᾶν τὸ πλήρωμα κατοικῆσαι)».
Considerando che in Col 1,15 Cristo viene definito «Immagine del Dio invisibi-
le primogenito di tutta la creazione (εἰκὼν τοῦ θεοῦ τοῦ ἀοράτου, πρωτότοκος
πάσης κτίσεως)» e in 1,18 «il principio, il primogenito di coloro che resuscita-
no dai morti (ἀρχή, πρωτότοκος ἐκ τῶν νεκρῶν)», con un potente incrocio tra
preesistenza celeste e salvifica missione terrena, è legittimo chiedersi: Giovanni
conosce Colossesi, ne è influenzato?
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 209

mo ricevuto e grazia su grazia (ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ ἡμεῖς πάντες


ἐλάβομεν, καὶ χάριν ἀντὶ χάριτος) (Gv 1,14 e 16).

Entrambi i testi proclamano l’ultima apocalisse, in Cristo, della trascen-


denza assoluta della Gloria di Dio, che si rende visibile agli eletti ai quali è
stato donato il suo Spirito. Chi vede il Figlio, vede/vive, sia per Giovanni
che per Paolo, la gloria, e con essa la verità, cioè la Luce salvifica apoca-
litticamente rivelata, e fruisce della novità assoluta della grazia, che per
Paolo è donata da «lo Spirito [che] vivifica (τὸ πνεῦμα ζῳοποιεῖ)» che è
Cristo (cf. 2Cor 3,6 e 17), e che per Giovanni è attinta, con la verità, nella
stessa visione della gloria dell’Unigenito (Gv 1,14). Questi, incorporando/
trasformando in sé i fedeli, li fa passare «di gloria in gloria (ἀπὸ δόξης
εἰς δόξαν)» (3,18), donando loro quell’universalmente espansiva «grazia
ancora più abbondante (ἡ χάρις πλεονάσασα)» (4,15), che libera, a diffe-
renza dell’effimera e confinata rivelazione della Legge di Mosè (primo,
pure se ancora insufficiente dono di grazia)177. Il raddoppiamento paolino
di gloria, fruito da chi è vivificato dallo Spirito di Cristo, pare riecheggiare
in Gv ,1,16 nel riferimento alla «pienezza (πλήρωμα)» del dono di cui i
credenti nell’Unigenito fruiscono, ricevendo «grazia su grazia (χάριν ἀντὶ
χάριτος)», tanto più se entrambi i testi mettono in tensione il dono della
gloria/grazia o Spirito con la limitatezza del dono dell’antica alleanza ca-
peggiata da Mosè. Così, non soltanto in 2Cor 3,17 («Il Signore è lo Spirito
e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà (ὁ δὲ κύριος τὸ πνεῦμά ἐστιν·
οὗ δὲ τὸ πνεῦμα κυρίου, ἐλευθερία)»), ma anche nel IV vangelo il Figlio è
identificato con lo Spirito vivificante, quindi con colui che solo è autentica
libertà/liberazione, introducendo alla conoscenza della Verità:

È lo Spirito che dà la vita (τὸ πνεῦμά ἐστιν τὸ ζῳοποιοῦν), la carne non


giova a nulla (ἡ σὰρξ οὐκ ὠφελεῖ οὐδέν): le parole che vi ho dette sono Spirito
e vita (τὰ ῥήματα ἃ ἐγὼ λελάληκα ὑμῖν πνεῦμά ἐστιν καὶ ζωή ἐστιν)» (Gv
6,63); «Se rimanete fedeli alla mia parola (Ἐὰν ὑμεῖς μείνητε ἐν τῷ λόγῳ τῷ
ἐμῷ), sarete davvero miei discepoli; conoscerete la Verità e la Verità vi farà
liberi (γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καὶ ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς)… Se dunque
il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero (ἐὰν οὖν ὁ υἱὸς ὑμᾶς ἐλευθερώσῃ,
ὄντως ἐλεύθεροι ἔσεσθε) (8,32 e 36).

177 Cf. L.L. Belleville, Reflections of Glory. Paul’s Polemical Use of the Moses-Doxa
Tradition in 2 Corinthians 3.1-18, Sheffield Academic Press, Sheffield 1991:
«Ἀπὸ δόξης εἰς δόξαν in this context [2Cor 3] denotes increase. It is set in con-
trast to καταργέω in vv. 7,11, and 14: Moses’ glory as minister of the old covenant
was a fading glory; by contrast, the glory of the new covenant minister is one that
steadily grows» (289).
210 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Corrispondenze generiche e casuali tra due testi protocristiani del tut-


to irrelati l’uno rispetto all’altro, seppure separati da una cinquantina di
anni (periodo certo troppo lungo per escludere una totale irrelazione della
comunità giovannea nei confronti di comunità e documenti paolini, che
comunque nello stesso contesto storico, tra Siria e Asia Minore, operavano
e circolavano)? Non credo… Boismard, ad esempio, ha convincentemente
interpretato Gv 1,14-18 come “polemica” ritrattazione cristologica della
figura di Mosè, della teofania dell’Esodo e della dottrina della presa di
dimora di Dio nel Tempio178. Possibile, allora, che sia stato proprio Paolo a
influenzare il Prologo nella sua reinterpretazione della rivelazione mosaica
e persino nella sua originalissima retractatio del Fiat lux genesiaco in rife-
rimento all’apocalisse salvifica di Gesù Messia, identificato con la luce di
gloria irradiante del Padre, quindi con il datore escatologico dello Spirito
vivificante che libera e introduce alla verità?
Resta comunque da verificare un’ultima questione. Qual è il rapporto tra
il battesimo e il testo paolino sulla glorificazione dei credenti nella visione
diretta del Volto di Cristo Immagine/Luce, che ha fatto irruzione nelle tene-
bre? E questo eventuale rapporto può indirettamente illuminare la relazio-
ne tra il Battista e il Fiat lux del Logos nel Prologo? Il rifulgere della Luce
è un singolare evento mistico-apocalittico – quale quello che Paolo ha vis-
suto personalmente, nel suo incontro con Cristo/Luce(φῶς)/Voce(φωνή)179
–, o è fruito attraverso la mediazione sacramentale del battesimo180, come

178 Cf. M.-É Boismard, Le Prologue de saint Jean…, 165-175.


179 Rivelativa la descrizione della folgorazione di Saulo sulla via di Damasco in Atti
9,1-9, ove a Paolo si rivela Cristo come luce, voce, io sono: «E avvenne che…,
all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo (ἐξαίφνης τε αὐτὸν περιήστραψεν
φῶς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ) e cadendo a terra udì una voce (ἤκουσεν φωνὴν) che gli
diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, Signore?”. E la
voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti (Ἐγώ εἰμι Ἰησοῦς ὃν σὺ διώκεις)”» (9,3-5).
Più avanti il racconto, in parte diverso, è messo in bocca a Paolo stesso: «Verso
mezzogiorno sulla strada risplendette una luce dal cielo, più splendente del sole
(οὐρανόθεν ὑπὲρ τὴν λαμπρότητα τοῦ ἡλίου περιλάμψαν με φῶς), che avvolse
me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una
voce (φωνή)… E il Signore rispose: “Io sono Gesù” che tu perseguiti (ὁ δὲ κύριος
εἶπεν, Ἐγώ εἰμι Ἰησοῦς ὃν σὺ διώκεις)”» (Atti 26,12-14). Cf. 1Cor 9,1; Gal 1,16.
180 Molto netto è A.F. Segal, Paul the Convert. The Apostolate and Apostasy of Saul
the Pharisee, Yale University Press, New Haven – London 1990: «Many scholars
have felt echoes of a baptismal liturgy in 2 Corinthians 3 and especially in 2
Cor 4:4-6. The word phōtismos (4:4; 4:6) ant the phrase kaine ktisis (5:17) are
reminiscent of baptismal liturgy. Since the words lampō, augazō,and phōtismos,
which are commonly used in baptismal liturgy, are used by Paul here only, it is
quite possible that Paul is paraphrasing a baptismal liturgy to express this mystic
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 211

pare suggerire la dimensione comunitaria dell’essere trasformati dallo Spi-


rito in Cristo, che Paolo indica chiaramente in 2Cor 3,18? Ebbene, ritengo
che per Paolo soltanto nello Spirito del Risorto, fruito con la “morte” e la
“resurrezione” battesimali, i credenti possano divenire uno in Cristo, quin-
di venire folgorati nel loro cuore dal rifulgere del Fiat Lux redentivo. Que-
sto significa che soltanto nello Spirito, ricevuto con il battesimo, è possibile
attingere la visione interiore del Cristo Immagine di Gloria. Questa è stata
eccezionalmente anticipata in Paolo dalla teofania sulla via di Damasco,
che comunque si compie soltanto con la recezione del battesimo e il dono
dello Spirito immediatamente connessole, che subito restituisce luce agli
occhi accecati di Saulo181.
Tornando al IV vangelo, per cogliere l’interpretazione giovannea dello
Spirito, rilevantissima appare l’ultima solenne testimonianza del Battista
(cui pare siano state riferite affermazioni che originariamente il testo del
vangelo attribuiva a Gesù stesso), che si conclude riecheggiando l’autodefi-
nizione avanzata da Gesù a Nicodemo in Gv 3,13, ove «il Figlio dell’Uomo
che è disceso dal cielo (ὁ ἐκ τοῦ οὐρανοῦ καταβάς, ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου)»
si identifica con la stessa «Luce [che] è venuta nel mondo» (3,19).

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti (ὁ ἄνωθεν ἐρχόμενος ἐπάνω πάντων


ἐστίν); ma chi viene dalla terra appartiene alla terra e parla della terra (ὁ ὢν ἐκ
τῆς γῆς ἐκ τῆς γῆς ἐστιν καὶ ἐκ τῆς γῆς λαλεῖ). Chi viene dal cielo è al di sopra
di tutti (ὁ ἐκ τοῦ οὐρανοῦ ἐρχόμενος ἐπάνω πάντων ἐστίν)… Colui che Dio ha
mandato proferisce le parole di Dio (ὃν γὰρ ἀπέστειλεν ὁ θεὸς τὰ ῥήματα τοῦ
θεοῦ λαλεῖ) e dà lo Spirito senza misura (οὐ γὰρ ἐκ μέτρου δίδωσιν τὸ πνεῦμα).
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha

identification. Paul’s quotation might then indicate that it was specifically during
baptism that the identification between the image of the savior and the believer
was made» (61-62). Cf. J. Jervell, Imago Dei. Gen. 1,26f. im Spätjudentum, in
die Gnosis und in den paulinischen Briefen, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttin-
gen 1960, 196-198; 209; e U. Schnelle, Paulus. Leben und Denken, de Gruyter,
Berlin-Boston 20142, tr. it. Paolo. Vita e pensiero, Paideia, Brescia 2018: «È stato
Dio col battesimo a unire a Gesù Cristo sia i corinti sia l’apostolo e a rendere pos-
sibile in tal modo l’esistenza di chi crede nella forza dello Spirito (2Cor 1,21ss.).
La comunità e l’apostolo sanno che le promesse di Dio hanno trovato in Gesù
Cristo il loro adempimento (2Cor 1,19ss.), poiché in lui si è rivelato il potere di
Dio (2Cor 4,6) ed egli è l’immagine di Dio (2Cor 4,4)… In 2Cor 4,6, l’uomo che
giunge alla fede compie per Paolo un’azione creatrice (cf. Gen 1,3). Questo atto
conduce alla conoscenza della gloria di Dio al cospetto di Cristo crocifisso» (259).
Comunque, per una restituzione autobiografica di 2Cor 4,6, cf. 90-91.
181 Cf. Atti 9,8-18, anche se qui la recezione del battesimo segue immediatamente
l’imposizione delle mani da parte di Anania, quindi la trasmissione dello Spirito.
212 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

la vita eterna (ὁ πιστεύων εἰς τὸν υἱὸν ἔχει ζωὴν αἰώνιον); chi non obbedisce al
Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3,31 e 34-36)182.

Il Figlio è colui che viene dal cielo e dona senza misura lo Spirito, con
chiaro riferimento alla precedente, teofanica affermazione di Giovanni in
1,32-34, ove si identificava «colui che battezza in Spirito Santo (ὁ βαπτίζων
ἐν πνεύματι ἁγίῳ)» (1,33) con colui sul quale lo Spirito era disceso e ri-
masto. Ora, ricevere, a partire dal battesimo, lo Spirito dal Figlio/Spirito
significa ricevere la vita, in quanto il Figlio dà lo Spirito vivificante (cf. Gv
6,63).
Ebbene, si impone a questo punto un altro parallelo paolino. In Prima
lettera ai Corinzi, 15,44-53, Paolo propone la sua ricapitolazione antiteti-
ca dell’uomo vecchio/naturale e dell’uomo nuovo/spirituale nel primo e
nell’ultimo Adamo che è Cristo, nel quale tutti quelli che in Adamo sono
morti riceveranno la vita (cf. 15,22), grazie all’incorporazione a Cristo
operata tramite il battesimo (cf. 15,29), che è recezione del suo Spirito di
resurrezione.

Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente (Ἐγένετο ὁ πρῶτος


ἄνθρωπος Ἀδὰμ εἰς ψυχὴν ζῶσαν: Gen 2,7), ma l’ultimo Adamo divenne
Spirito vivificante (ὁ ἔσχατος Ἀδὰμ εἰς πνεῦμα ζῳοποιοῦν). Non vi fu prima
il corpo spirituale, ma quello animale e poi lo spirituale (ἀλλ’ οὐ πρῶτον τὸ
πνευματικὸν ἀλλὰ τὸ ψυχικόν, ἔπειτα τὸ πνευματικόν). Il primo uomo tratto
dalla terra è di terra (ὁ πρῶτος ἄνθρωπος ἐκ γῆς χοϊκός), il secondo uomo viene
dal cielo (ὁ δεύτερος ἄνθρωπος ἐξ οὐρανοῦ). Quale è l’uomo fatto di terra, così
sono quelli di terra (οἷος ὁ χοϊκός, τοιοῦτοι καὶ οἱ χοϊκοί); ma quale il celeste,
così anche i celesti (καὶ οἷος ὁ ἐπουράνιος, τοιοῦτοι καὶ οἱ ἐπουράνιοι). E come
abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra (καθὼς ἐφορέσαμεν τὴν εἰκόνα
τοῦ χοϊκοῦ), così porteremo l’immagine dell’uomo celeste (φορέσομεν καὶ τὴν
εἰκόνα τοῦ ἐπουρανίου). Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non
possono ereditare il regno di Dio (σὰρξ καὶ αἷμα βασιλείαν θεοῦ κληρονομῆσαι
οὐ δύναται), né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità… I morti
risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo
corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità (ἐνδύσασθαι ἀφθαρσίαν) e questo
corpo mortale si vesta di immortalità (ἀθανασίαν) (1Cor 15,45-50 e 52-53).

Anche in questo passo ritroviamo espressioni già sopra rilevate in rela-


zione a 2Cor 3-4, quindi la sostanziale identificazione tra a) Cristo ultimo
Adamo, l’Uomo dal cielo che è l’Immagine celeste e b) la novità ricreatrice

182 Non mi soffermo sulla dibattuta questione dell’originaria collocazione del passo:
cf. R.E. Brown, Giovanni…, 211-212; U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovan-
ni…, 101-103.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 213

de «lo Spirito vivificante (τὸ πνεῦμα ζῳοποιοῦν)», contrapposto anche in


questo caso alla «carne (σάρξ)»183. Il brano presenta notevoli affinità con
Gv 3,13, 3,31 e 3,34-36, quindi con Gv 6,63, sopra citati; tanto più se, nel-
la prospettiva giovannea, il paolino «ultimo Adamo Spirito vivificante»,
cioè il «secondo uomo [che] viene dal cielo» pare corrispondere al «Figlio
dell’Uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), quindi a «la Luce venuta nel
mondo» (3,19), incarnatasi, eppure capace di essere «lo Spirito vivificante»
(6,53) o di «dare lo Spirito senza misura» (3,34), che è la stessa Vita eterna
con la quale la Luce si identifica. Ebbene, anche in questo fondamentale
passo di 1Cor risulta evidente la connessione tra battesimo e incorporazione
nel Cristo celeste, che è il Cristo risorto, rigenerato dallo Spirito che discen-
de dal cielo184. Prospettiva analoga è quella della Lettera ai Romani: nei
capitoli 5,12-6,11, la contrapposizione analogica tra Adamo e Cristo viene
restituita come dialettica tra peccato/morte e grazia/vita, ma quest’ultima in-
timamente connessa con l’essere battezzati nella morte e nella resurrezione
del Figlio. L’ultimo Adamo, l’Immagine che è Luce e Gloria che comunica
l’immagine celeste, è quindi il Morto-Vivo nello Spirito, che nel battesimo
consente il trasferimento dell’umanità credente dalla morte e dalla tenebra,
quindi dalla stessa Legge come rivelazione di morte e condanna, all’illumi-
nazione della vita eterna dello Spirito (cf. Rom 7,6).
Non si vuole, con questi rilievi, schiacciare affatto la prospettiva giovan-
nea su quella paolina, ma identificare significative risonanze, comunque
riconoscendo l’esistenza di una connessione tra evento battesimale teofa-
nico e sua riattualizzazione sacramentale. Tanto più se anche in Paolo mai è
rammemorato il battesimo di Gesù, mentre sistematica è la connessione tra
recezione dello Spirito e recezione del battesimo sacramentale. Certo, Gio-
vanni complica la prospettiva paolina, identificando lo Spirito che discen-

183 «Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi
tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano
più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro. Cosicché ormai
non conosciamo più nessuno secondo la carne (ἀπὸ τοῦ νῦν οὐδένα οἴδαμεν κατὰ
σάρκα); e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo cono-
sciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova (ὥστε εἴ τις ἐν
Χριστῷ, καινὴ κτίσις): le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove
(τὰ ἀρχαῖα παρῆλθεν, ἰδοὺ γέγονεν καινά)» (2Cor 5,14-17). Del tutto evidente è il
riferimento allo Spirito del Risorto, che è l’atto vivificante della ricreazione, quin-
di la teofania cristica «della sovraeminente gloria (τῆς ὑπερβαλλούσης δόξης)»
(3,10) «della nuova alleanza (καινῆς διαθήκης)» (3,6).
184 Il brano sopra citato dipende, non a caso, da 1Cor 15,12-29, ove è esplicita la
connessione tra la resurrezione di Cristo e l’essere incorporati nella sua morte/
resurrezione attraverso il battesimo, impartito persino ai morti.
214 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

de su Gesù al Giordano con lo stesso Unigenito Dio preesistente, mentre


l’apostolo identifica lo Spirito con l’Immagine/Gloria escatologica che è il
Risorto da morte, nel quale lo Spirito, la carismatica, quindi impersonale
potenza divina che discende dal cielo trova infine collocazione personale
e definitiva. Comunque, Luce, Gloria, Logos/Sapienza, Spirito vivificante
fruito tramite l’acqua battesimale, “Uomo” Celeste (contrapposto al “ter-
reno”, alla carne, alla tenebra, alla morte) che è Gloria teofanica, risultano
sistematicamente connessi, con sistematici riecheggiamenti del libro del-
la Genesi: donde il Fiat lux, la distinzione tra cielo e terra, l’antitesi tra
luce e tenebra, l’avvento dello Spirito vivificante sulle acque, la creazione
dell’uomo ad immagine…
Possiamo concludere sottolineando come, in connessione con tradizioni
e prassi battesimali, sia Paolo che Giovanni tolgano lo Spirito in Cristo,
nella Luce/Gloria/Uomo ad Immagine escatologici il primo, nella Luce/
Gloria/Unigenito protologici ed escatologici il secondo.

12. Luce messianica e resistenza delle tenebre: Giovanni e Paolo


apocalittici

A proposito della distinzione tra cielo e terra e della separazione della


luce dalla tenebra, si è già evidenziato come in Gv 1,5 e 1,10-11 emerga
con tutta evidenza un dualismo di matrice apocalittica, chiamato a rappre-
sentare la resistenza dell’Israele incredulo rispetto alla rivelazione storica
della Luce divina incarnatasi in Gesù:

La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (καὶ τὸ


φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν)… Il mondo non lo
riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto (εἰς τὰ ἴδια
ἦλθεν, καὶ οἱ ἴδιοι αὐτὸν οὐ παρέλαβον).

Un’analisi del corpo del vangelo può aiutare all’intelligenza di questi


difficili versetti. Se in Gv 8,12 ritroviamo l’opposizione tra Cristo-Luce e
le tenebre185, in Gv 8,43-47, rivolgendosi persino ai «Giudei che avevano
creduto in lui» (8,31), Gesù li definisce incapaci di credere nella sua pree-
sistenza, quindi, per questo, li apostrofa come «voi che avete come padre il

185 «Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ
κόσμου ); chi segue me, non camminerà nelle tenebre (ὁ ἀκολουθῶν ἐμοὶ οὐ μὴ
περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ), ma avrà la luce della vita (ἀλλ’ ἕξει τὸ φῶς τῆς ζωῆς)”»
(Gv 8,12).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 215

diavolo (ὑμεῖς ἐκ τοῦ πατρὸς τοῦ διαβόλου ἐστὲ)… omicida fin da princi-
pio (ἐκεῖνος ἀνθρωποκτόνος ἦν ἀπ' ἀρχῆς)» (8,44).
Ebbene, il diavolo, il principe delle tenebre, è forse evocato nelle tene-
bre di Gv 1,5, nelle quali ha fatto irruzione la Luce assoluta del Figlio, che
«in principio» è Parola di Luce presso il Dio Padre? Emergerebbe, in tal
caso, uno strettissimo rapporto tra diavolo, tenebre e «i suoi (οἱ ἴδιοι)», cioè
i giudei (ovviamente non in senso razziale, ma in senso apocalittico: i giu-
dei che non credono), presso i quali comunque l’Unigenito si è manifestato
come presso il suo popolo eletto. Così, in Gv 12,30-50, Gesù tiene un lungo
discorso, all’interno del quale al Figlio/Luce è contrapposta la violenza
omicida de «le tenebre (σκοτία)» (12,35 e 46), assoggettate a «il principe di
questo mondo (ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου)» (12,31), da cui Cristo libere-
rà i credenti, chiamandoli ad essere «figli della luce (υἱοὶ φωτὸς)» (12,36),
tramite il suo essere innalzato/crocifisso:

Io sono come luce venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν κόσμον ἐλήλυθα),
perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre (ἐν τῇ σκοτίᾳ μὴ
μείνῃ)… Chi mi respinge e non accoglie le mie parole (ὁ ἀθετῶν ἐμὲ καὶ μὴ
λαμβάνων τὰ ῥήματά μου ἔχει), ha chi lo condanna (τὸν κρίνοντα αὐτόν): la
parola che ho annunziato lo condannerà l’ultimo giorno (ὁ λόγος ὃν ἐλάλησα
ἐκεῖνος κρινεῖ αὐτὸν ἐν τῇ ἐσχάτῃ ἡμέρᾳ) (Gv 12,46 e 12,48).

Come prova Gv 12,42-43, il passo è rivolto contro i capi del popolo giu-
daico, molti dei quali credono in Cristo, ma non lo riconoscono per timore
dei farisei e per amore della gloria degli uomini, piuttosto che della gloria
di Dio, rivelata dal suo logos/Logos. Mentre, in 14,24, Gesù sottolinea che
«la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato
(ὁ λόγος ὃν ἀκούετε οὐκ ἔστιν ἐμὸς ἀλλὰ τοῦ πέμψαντός με πατρός)»,
in 14,30 il suo parlare è contrapposto all’imminente venuta del «principe
di questo mondo (ὁ τοῦ κόσμου ἄρχων)», strumento violento e malvagio,
attraverso il quale comunque si realizza l’ultima obbedienza del Figlio alla
volontà del Padre. Così, in Gv 16, la “profezia” della cacciata dalle sinago-
ghe (16,2; cf. 9,22; 12,42) è connessa con il conflitto tra il Figlio Luce e il
«mondo», dominato ancora per breve tempo dal «principe di questo mondo
(ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου)» (16,11), perché Gesù afferma: «Io ho vinto
il mondo (ἐγὼ νενίκηκα τὸν κόσμον)» (16,33).
Insomma, il redattore finale del IV vangelo, componendo il Prologo (sia
esso o meno derivato da un inno preesistente), non poteva, descrivendo
l’irruzione folgorante della Luce nel mondo, quindi la resistenza delle tene-
bre alla teofania, non evocare la resistenza maligna del principe di questo
216 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

mondo186 e l’incredulità di gran parte del popolo ebraico in Gesù Messia:


come abbiamo sopra riconosciuto, Gen 1,1-3 viene immediatamente sotto-
posto, nel Prologo, a un’interpretazione dualistica di origine apocalittica.
L’apparizione della Parola di Luce che (è Spirito che) dà vita è rivelazione
di salvezza187, ma al tempo stesso è rivelazione di giudizio/condanna delle
tenebre, cioè dell’incredulità che dà morte188.
Ma, qualora «l’apparizione della luce nella tenebra (τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ
φαίνει)» avesse un contesto battesimale, come sembrerebbe confermato
dall’irruzione immediata in Gv 1,6 del Battista, la tenebra quale riferimen-
to mai potrebbe assumere? Ricordo che in tutti e tre i vangeli sinottici la
teofania al battesimo di Gesù al Giordano era seguita dall’episodio della
tentazione di Satana189, cioè dal tentativo della tenebra demoniaca di sop-
primere la luce messianica. Possibile che vi sia, in Gv 1,5, una reminiscenza
del primo assalto di Satana a Cristo subito dopo il battesimo, mentre in Gv
1,11 si potrebbe leggere la resistenza finale che, alla Luce venuta nel mondo,
avrebbero contrapposto Israele («i suoi» increduli) e il demonio ispiratore

186 Per l’interpretazione demoniaca delle tenebre nelle quali brilla la luce del Logos,
cf. Origene, CmGv II,167: «Questa luce… brilla nelle tenebre delle nostre anime
(“φαίνει ἐν τῇ σκοτίᾳ” τῶν ψυχῶν ἡμῶν) ed è venuta là dove erano i principi
del mondo di queste tenebre (ἐπιδεδήμηκεν ὅπου οἱ κοσμοκράτορες τοῦ σκότους
τούτου), i quali lottando contro il genere umano si sforzano di sottomettere alle
tenebre (οἵτινες διὰ τοῦ παλαίειν τῷ τῶν ἀνθρώπων γένει τῷ σκότῳ ὑπάγειν
ἀγωνίζονται) tutti coloro che non si adoperano per essere illuminati ed essere così
chiamati “figli della luce”. Brilla, dunque, nelle tenebre questa luce e dalle tenebre
è perseguitata, ma non afferrata (φαῖνον ἐν τῇ σκοτίᾳ τοῦτο τὸ φῶς διώκεται μὲν
ὑπ’αὐτῆς, οὐ καταλαμβάνεται δέ)».
187 «Io sono la Luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου); chi segue me, non
camminerà nelle tenebre (οὐ μὴ περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ), ma avrà la luce della
vita (ἀλλ’ ἕξει τὸ φῶς τῆς ζωῆς)» (Gv 8,12). «Come il Padre resuscita i morti e
dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole (οὕτως καὶ ὁ υἱὸς οὓς θέλει
ζῳοποιεῖ)… In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola (τὸν λόγον μου)
e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (ἔχει ζωὴν αἰώνιον) e non va
incontro al giudizio (εἰς κρίσιν οὐκ ἔρχεται)… Come infatti il Padre ha la vita in
se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso (καὶ τῷ υἱῷ ἔδωκεν
ζωὴν ἔχειν ἐν ἑαυτῷ)» (Gv 5,21; 24; 26). Se, quindi, in Gv 1,4 era la vita ad
essere ricapitolata nel Logos, qui il Logos è prospettato come eventuale parola di
salvezza, riassorbita nella stessa vita eterna che è il Figlio. Comunque, τὸ πνεῦμα
ζῳοποιεῖ è tolto nel Figlio stesso, che è Parola-di-Vita.
188 «Il giudizio è questo (αὕτη δέ ἐστιν ἡ κρίσις), che la luce è venuta nel mondo
(ὅτι τὸ φῶς ἐλήλυθεν εἰς τὸν κόσμον), ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla Luce (καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς), perché le loro
opere erano malvage (ἦν γὰρ αὐτῶν πονηρὰ τὰ ἔργα)» (Gv 3,19).
189 Cf. Mc 1,12; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 217

delle tenebre? Comunque, il Prologo mette in scena il mistero di un acceca-


mento. Ricordo che, in Gv 12,40 ricorre una lunga citazione di Isaia 6,9-10,
che poi viene connessa alla proclamazione della Luce venuta nel mondo,
contrapposta al «principe di questo mondo», signore dei Giudei increduli,
che pure si richiamano alla Legge, per non credere nel Figlio messianico190.
La citazione profetica ha sostanziale corrispondenza con altri testi veterote-
stamentari relativi all’indurimento e all’accecamento di Israele, citati in Rom
11,7-10, quali Isaia 29,10 e Salmo 69,23-24; ma, soprattutto, richiama 2Cor
4,3-6, testo sul quale ci siamo soffermati sopra. Il Fiat lux che rifulge nelle
tenebre, lo Spirito vivificante di Cristo crocifisso e risorto, subisce comunque
una resistenza soprannaturale da parte di Israele, indurito e accecato (defini-
tivamente, per Giovanni; soltanto provvisoriamente, per Paolo)191. Ebbene,
anche nel testo paolino, l’Immagine escatologica, la Luce dell’ultimo Ada-
mo, che è Cristo Spirito (e ricordo che anche per Mc 1,12 Gesù tentato era
restituito come nuovo, impeccabile Adamo in Spirito, messo in contrasto,
quindi, con l’Adamo peccatore di Gen 3), è contrapposta al

190 W.A. Meeks, The Man from Heaven in Johannine Sectarianism, in «Journal of
Biblical Literature» 91/1, 1972, 44-72, mette in rilievo l’insistenza giovannea
sulla rottura che il vangelo dello Spirito produce rispetto alle tradizioni religiose
giudaiche, restituendo (così come ad esempio Martyn, Ashton, McGrath) la sto-
rica espulsione degli ebrei giovannei dalle sinagoghe: «Though the Jews are “his
own”, when he comes to them they reject him, thus revealing themselves as not
his own after all but his enemies; not from God, but from the devil, from “below”,
from “this world”. The story describes the progressive alienation of Jesus from the
Jews. But something else is happening, for there are some few who do respond
to Jesus’ signs and words, and these, while they also frequently “misunderstand”,
are progressively enlightened and drawn into intense intimacy with Jesus, until
they, like him, are not “of this world”. Now their becoming detached from the
world is, in the Gospel, identical with their being detached from Judaism. Those
figures who want to “believe” in Jesus but to remain within the Jewish community
and the Jewish piety are damned with the most devastatingly dualistic epithets…
Coming to faith in Jesus is for the Johannine group a change in social location.
Mere belief without joining the Johannine community, without making the decisi-
ve break with “The world”, particularly the world of Judaism, is a diabolic “lie”»
(69). Cf. J. Ashton, Really as Prologue?, in J.G. van der Watt, R.A. Culpepper e
U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel of John…, 27-44, in part. 42-44,
ove si mette in rilievo come Gv 1,17 esalti la grazia di Cristo contro la grazia
di Mosè, attribuendo al dono della vita e della verità rivelato da Gesù ciò che
la tradizione giudaica attribuiva alla Legge. In questa prospettiva, seppure più
prudente, cf. J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…, 111-112: malgrado egli
sottolinei la differenza tra la prospettiva giovannea e quella paolina (il IV vangelo
non avrebbe mai affermato che la Legge uccide!), riconosce quanto esse siano di
fatto abbastanza vicine; cf., alla n. 66, la citazione di 2Cor 3,6-18.
191 Cf. L.L. Belleville, Reflections of Glory…, 238-242.
218 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

dio di questo mondo (ὁ θεὸς τοῦ αἰῶνος τούτου) [che] ha accecato la mente
incredula (ἐτύφλωσεν τὰ νοήματα τῶν ἀπίστων), perché non vedano lo
splendore del glorioso vangelo di Cristo (εἰς τὸ μὴ αὐγάσαι τὸν φωτισμὸν τοῦ
εὐαγγελίου τῆς δόξης τοῦ Χριστοῦ), che è Immagine di Dio (ὅς ἐστιν εἰκὼν
τοῦ θεοῦ) (2Cor 4,4).

La prospettiva di Paolo, proprio perché apocalittica192, contrappone all’ir-


ruzione della Gloria/Luce di Dio la resistenza della tenebra, dipendente dal
suo arconte/dio diabolico. La fotofania paolina rimane, comunque, escato-
logica: Paolo, insomma, sembra polemizzare in 1-2 Corinzi contro una con-
cezione protologica dell’Adamo Immagine celeste, Spirito di Luce disceso
e risalito in cielo, che egli ritiene metta in ombra la realtà storica del dono
escatologico impersonificato in Gesù Cristo, che salva tramite la “catastro-
fe” sacrificale, ricreativa e liberante della sua morte come maledetto dalla
Legge e dalla sua resurrezione nello Spirito vivificante di Dio. Se per Paolo
il vero Cristo è sapienza e potenza di Dio soltanto in quanto crocifisso e
risorto, per i suoi avversari a Corinto e, probabilmente, anche per alcuni
suoi interlocutori a Filippi, Cristo pare essere stato concepito soprattutto
come potenza protologica, sapienza celeste discesa, forse impassibile. Egli
potrebbe richiamare l’impeccabile Adamo di luce attestato o in tradizioni
giudaico-ellenistiche di origine alessandrina193 o nella tradizione pseudo-
clementina, che lo interpretava quale Cristo o “Spirito” creato originario,
peregrino quale potenza soterica rivelativa e salvifica di Dio attraverso tutti
i giusti di Israele (sul quale discendeva periodicamente), infine disceso e ri-
masto definitivamente su Gesù. Contro una concezione analoga, Paolo con-
fessa Gesù come Immagine escatologica e non protologica, sicché Cristo di
fatto ascende nello Spirito, senza essere “personalmente” disceso.
Invece, seppure a partire da un comune presupposto apocalittico, Giovan-
ni forse non recepisce proprio dottrine dell’Adamo/Elia/Luce/Spirito cele-
ste, avvicinandosi a quelle prospettive sapienziali che alcuni studiosi hanno
attribuito a quello sfuggente Apollo, proveniente da Alessandria ed evan-
gelizzatore a Corinto alternativo a Paolo? Ma, in tal caso, non tornerebbe
plausibile la tesi di una (protognostica?) cristologia sapienziale dell’Uomo
di luce preesistente, influente su Giovanni e nota allo stesso Paolo? Perché,

192 Cf. B.R. Matlock, Unveiling the Apocalyptic Paul: Paul’s Interpreters and the
Rhetoric of Criticism, Sheffield Academic Press, Sheffield 1996; e D.A. Campbell,
The Deliverance of God. An Apocalyptic Rereading of Justification in Paul, Eer-
dmans, Grand Rapids-Cambridge 2009.
193 Cf. G.E. Sterling, “Wisdom among the Perfect”: Creation Traditions in Alexan-
drian Judaism and Corinthian Christianity, in «Novum Testamentum» 37, 1995,
353-384.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 219

allora, non dare credito all’ipotesi bultmanniana e post-bultmanniana (pure


in questo saggio contrastata) di una speculazione battista su Giovanni ma-
nifestazione della Luce protologica? Si noti come Atti 18,24-19,17 faccia
seguire all’enigmatica menzione dell’alessandrino Apollo, seguace di Gesù
che pure «conosceva soltanto il battesimo di Giovanni (ἐπιστάμενος μόνον
τὸ βάπτισμα Ἰωάννου)» (18,25), la menzione di una comunità efesina di se-
guaci del Battista, ancora ignari del battesimo nello Spirito. Al di là delle
lucane forzature polemiche antibattiste, era forse anche Apollo, con la sua
cristologia sapienziale attestata da 1Cor, un erede del Battista?
Non è questo il luogo per addentrarci in questioni così complesse e,
comunque, inevitabilmente sfuggenti, considerata l’esiguità della docu-
mentazione storica. Il passo decisivo compiuto dall’autore del Prologo
pare, comunque, essere stato quello di pensare come assolutamente divina
e creativa la preesistenza della Sapienza/Potenza/Parola/Luce di Dio, con-
trapposta a quella luce “meramente” messianica che molto probabilmente
la comunità di Giovanni Battista proiettava sul suo escatologico “uomo di
Dio”. Si tratterebbe, allora, di verificare se la “cristologia” dei seguaci del
Battista fosse più bassa di quanto Bultmann non sospettasse.

13. Il IV vangelo e i passi messianici di Isaia

In questo pur sommario tentativo di interpretazione del battesimo di


Gesù al Giordano fotologicamente ritrattato, è da indagare una fonte fon-
damentale certamente influente sul Prologo, il quale risulta in effetti vivere
di un “doppio gioco”, di un andirivieni metaforico: esso torna a proiettare
sulla protologica relazione intradivina quel Fiat Lux primordiale, che atte-
se profetico-messianiche avevano traslato sul messia atteso, l’uomo di luce
escatologico, apocalitticamente identificato con Gesù dai suoi discepoli.
Fondamentale è, infatti, nel IV vangelo e in particolare in Gv 1 il ruolo dei
passi messianici contenuti nel libro di Isaia194, che condizionano in profon-

194 Numerosi e rilevanti sono i contributi dedicati a dimostrare la profonda influenza


del libro di Isaia e delle sue traduzioni greche sulla teologia e sulla stessa strut-
tura del IV vangelo. Pionieristico è stato il saggio di F.W. Young, A Study of the
Relation of Isaiah to the Fourth Gospel, in «Zeitschrift für die Neutestamentliche
Wissenschaft» 56, 1955, 215-233; G.D. Kirchhevel, The Children of God and the
Glory That John 1:14 Saw, in «Bulletin for Biblical Research» 6, 1996, 87-93; J.
Hamilton, The Influence of Isaiah on the Gospel of John, in «Perichoresis» 5/2,
2007, 139-162; A.J. Köstenberger, John’s Appropriations of Isaiah’s Signs Theo-
logy: Implications for the Structure of John’s Gospel, in «Themelios» 43/3, 2018,
376-386. J.J.M. Roberts, Whose Child Is This? Reflections on the Speaking Voice
220 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

dità la teofania al Giordano anche nei racconti sinottici: si pensi ad Isaia

in Isaiah 9:5, in «Harvard Theological Review» 90/2, 1997, 115-129, ribadisce


la fondatezza dell’interpretazione di von Rad, che restituiva i versetti iniziali di
Isaia 9 «as reflecting the joyous assent of the divine council to the new king,
Yahweh’s son» (129), ribadendo la dipendenza del testo biblico da protocolli reali
egiziani relativi all’intronizzazione del faraone. Mi concentro, in particolare, su
quello di J. Hamilton, The Influence of Isaiah on the Gospel of John…: cf., in
part., 146-149 e 154, ove si fa riferimento a Isaia 9 e ad altri passi di Isaia (in
part. 8,23; 42,6; 49,6; 60,1; 60,3; 2,5; 10,17) quali profezie dell’avvento redentivo
della luce e della Gloria, che Gv (in part. in 1,4-5 e 1,7-9; 3,19-21; 2,11) riferisce
a Gesù. Così, a p. 149, la discesa dello Spirito su Gesù, descritta in Gv 1,32-34 dal
Battista – autoidentificatosi tramite Isaia 40,3 in Gv 1,23 –, viene fatta dipendere
da Isaia 11,2; 42,1; 48,16; 61,1; così, l’«Ecce agnus Dei» di Gv 1,36 viene messo
in connessione con Isaia 53,7. Inoltre, il riferimento all’innalzamento del Figlio
dell’Uomo in Gv 3,14 (e 8,28; 12,32; 12,34) viene letto in connessione con Isaia
52,13. Infine, alle pp. 153-156, il frequente ricorrere in Gv del riferimento a Gesù
del nome di Dio ἐγὼ εἰμί è messo in relazione al suo ricorrere in Isaia 41,4; 43,10-
11; 43,25; 45,19; 46,4; 48,12; 51,12. Sul rapporto tra il pane che discende dal cielo
di Gv 6,33 con Isaia 55,1-11 (in part. 55,10) e 40,6, cf. F.W. Young, A Study of
the Relation of Isaiah to the Fourth Gospel…, 227-230, ove si sottolinea la di-
pendenza della nozione giovannea di Logos/parole di vita e di pane della vita (cf.
Gv 6,27-79) dalla Parola di Dio di Isaia 40,5-8 (la manifestazione della Gloria di
Dio è manifestazione della sua Parola, che dura per sempre), 55,10-11 (la salvifica
Parola di Dio è paragonata al pane che discende dal cielo), 59,19-60,1 (lo Spirito
che Dio ha fatto discendere sul suo eletto, che manifesta Gloria e Nome di Dio,
è connesso alle parole che Dio gli mette in bocca e alla Luce che viene), seppure
i LXX traducono la Parola di Dio con τὸ ῥῆμα τοῦ θεοῦ; sottolineo come Isaia
40,5-8 segua immediatamente i versetti (40,3-4) che il Battista giovanneo attribu-
isce a se stesso: «“Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al
Signore”, come disse il profeta Isaia» (Gv 1,23). Cf. inoltre F.W. Young, A Study
of the Relation of Isaiah to the Fourth Gospel…, 222-224, ove si sottolinea la
dipendenza del Figlio quale Nome di Dio in Gv 14,13-14; 115,16; 16,23-26; 17,6;
17,26, dal Nome attestato in Isaia 52,5; 55,13; 62,2; 65,15. Considero rilevante
l’interpretazione di E.D. Freed, Some Old Testament Influences on the Prologue of
John, in H.N. Bream, R.D.Heim, C.A. Moore (edd.), A Light unto My Path: Old
Testament Studies in Honor of J.M. Myers, Temple University Press, Philadelphia
1974, 145-16, che prima di tutto insiste sul dato che non il Logos, ma la Luce è
l’autentico protagonista del Prologo: «Light (φῶς), not Word (λόγος) is the domi-
nant theme of vv. 3-13 and 14b. Whereas the word λόγος occurs only four times
in vss 1-14, three of which are in the first verse, the word φῶς is used six times in
vss 4-9… The dominance of the λόγος concept in the Prologue has been grossly
exaggerated. And since Light, not Word, is the dominant idea, we have a Phōs
(light) poem or hymn» (148-149); cf. 154-158. In tal senso, Freed, a p. 145-148
e 156, mette in relazione Isaia 60,1-5 e 19, quindi Isaia 9,1 con il ricorrente tema
della Luce in Gv. Al contrario, si sottolinea come «the only idea in the Prologue
which has no counterpart in the Gospel is Jesus as the Logos» (158). Infine G.D.
Kirchhevel, The Children of God and the Glory That John 1:14 Saw, in «Bulletin
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 221

11,2: «Su di lui si poserà lo Spirito del Signore (sec. LXX: ἀναπαύσεται ἐπ'
αὐτὸν πνεῦμα τοῦ θεοῦ)»; a Isaia 42,1: «Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio (sec. LXX: ὁ ἐκλεκτός μου, προσεδέξατο
αὐτὸν ἡ ψυχή μου). Ho posto il mio Spirito su di lui (ἔδωκα τὸ πνεῦμά μου
ἐπ'αὐτόν)»; e a Isaia 61,1 (citato in Lc 4,18-19): «Lo Spirito del Signore è
su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato
a portare il lieto annunzio ai miseri» (sec. LXX: Πνεῦμα κυρίου ἐπ' ἐμέ,
οὗ εἵνεκεν ἔχρισέν με· εὐαγγελίσασθαι πτωχοῖς ἀπέσταλκέν με)». Ebbene,
essi devono essere connessi alla profezia messianica di Isaia 9,1 e 5, che
tra l’altro segue immediatamente un riferimento al Giordano in Isaia 8,23:

Il popolo immerso nelle tenebre (sec. LXX: ὁ λαὸς ὁ πορευόμενος ἐν σκότει)


ha visto una grande luce (ἴδετε φῶς μέγα); su quelli che dimoravano in terra
e ombra di morte (οἱ κατοικοῦντες ἐν χώρᾳ καὶ σκιᾷ θανάτου), una luce si è
levata (φῶς λάμψει ἐφ› ὑμᾶς)… Poiché un bambino è nato per noi (ὅτι παιδίον
ἐγεννήθη ἡμῖν), ci è stato dato un figlio (υἱὸς καὶ ἐδόθη ἡμῖν). Sulle sue spalle è
il segno della sovranità (οὗ ἡ ἀρχὴ ἐγενήθη ἐπὶ τοῦ ὤμου αὐτοῦ) ed è chiamato:
Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.

Propongo, allora, l’ipotesi di Isaia 9 come fonte decisiva del Prologo,


sottolineando come ricorra nella traduzione dei LXX di Isaia 9,5 l’attri-
buzione al Figlio che viene dell’ἀρχὴ (cf. anche Isaia 9,6: μεγάλη ἡ ἀρχὴ
αὐτοῦ), mentre nel testo ebraico ricorre persino l’appellativo di «Dio po-
tente» (9,5). Insomma, a partire da Isaia 9, testo già utilizzato dai sinottici
per descrivere l’avvento escatologico di Gesù Messia, il Prologo presenta
un Figlio messianico come (primordiale e storica) Luce che risplende nelle
tenebre, cui è attribuita la massima ἀρχὴ e persino l’appellativo di dio. Se-
gnalo, inoltre, come Mt 4,16 citi Isaia 9,1 subito dopo le tentazioni di Cri-
sto e l’arresto del Battista, quando, proprio con la metafora del risplendere

for Biblical Research» 6, 1996, 87-93, sostiene la dipendenza di Gv 1,12-14 da


Is 53,1-2: il farsi carne del Logos corrisponderebbe al kenotico nascondersi della
Gloria di Dio nel servo sofferente del deutero-Isaia. D’altra parte, la citazione di
Isaia 6,9 53,1 e 6,9-10 ricorre in Gv 12,38-41, ove si legge: «Questo disse Isaia
quando vide la sua gloria e parlò di lui (ταῦτα εἶπεν Ἠσαΐας, ὅτι εἶδεν τὴν δόξαν
αὐτοῦ, καὶ ἐλάλησεν περὶ αὐτοῦ)» (12,41). Cf. in proposito il notevole saggio
di M. Pesce, “Isaia disse queste cose perché vide la sua gloria e parlò di lui”
(Gv 12,41): Il Vangelo di Giovanni e l’Ascensione di Isaia, in «Studia Patavina»
50, 2003, 649-666: vi si cerca di riconoscere una «costellazione giovannista»,
all’interno della quale verrebbero prodotti o interpretati testi come l’Ascensione di
Isaia e l’Apocalisse d’Abramo, che rivelano elementi sistematici corrispondenti a
quelli giovannei che, a differenza di Pesce, non ho dubbi a definire “apocalittici”.
222 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

di «una grande luce» è indicato l’avvio della predicazione di Gesù195. Ri-


tengo, allora, sia del massimo interesse leggere Prologo giovanneo e ritrat-
tazione dell’evento battesimale nella semplice discesa dello Spirito sull’e-
letto di Dio (in Gv 1,32-34) parallelamente all’intero inizio dell’attività di
Gesù Messia in Mt 3,13-4,17, dal battesimo, passando per le tentazioni,
quindi alla vera e propria “sostituzione” del Battista con Gesù. Vi ritrovia-
mo, infatti, la connessione tra principio della rivelazione e risplendere di
una grande luce nella tenebra (Mt 4,16-17; Gv 1,5a; 1,9; 1,14), parabola
discensiva del Battista corrispondente al sorgere del Figlio di Dio/l’Eletto,
che viene e lo sorpassa (Mt 3,14-17 e 4,12-17; Gv 1,6-9; 1,15), superamen-
to da parte di Gesù della resistenza demoniaca della tenebra (Mt 4,1-11; Gv
1,5b; 1,10-11). Non intendo, con questo, provare una dipendenza testuale
di Giovanni da Matteo, ma indicare la presenza sotto traccia dello stesso
schema rivelativo-messianico tradizionale, che in entrambe le ricostruzioni
degli eventi del Giordano e del principio della predicazione di Gesù riaf-
fiora, seppure con differenze talmente profonde da renderlo difficilmente
riconoscibile. D’altra parte, anche in Luca 1,67-79, il Benedictus intonato
da Zaccaria – con il quale saluta suo figlio Giovanni esaltandolo come
«profeta dell’Altissimo (προφήτης ὑψίστου)» (1,76) – riferisce a Gesù
Isaia 9,1, citato al v. 79196.
Ma che Gv 1 sia impegnato a ritrattare in sé i testi messianici di Isaia
è confermato da un ultimo, davvero fondamentale riferimento, quello ad
Isaia 40,3-11, il cui v. 3 è citato dal Battista per autodefinirsi in Gv 1,23197:

Una voce di chi grida nel deserto (sec. LXX: φωνὴ βοῶντος ἐν τῇ ἐρήμῳ):
“Preparate la via al Signore (Ἑτοιμάσατε τὴν ὁδὸν κυρίου), appianate nella
steppa la strada per il nostro Dio… Allora si rivelerà la gloria del Signore (καὶ
ὀφθήσεται ἡ δόξα κυρίου) e ogni carne vedrà la salvezza di Dio (καὶ ὄψεται
πᾶσα σὰρξ τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ), poiché il Signore ha parlato (ὅτι κύριος
ἐλάλησεν)”… La parola di Dio dura sempre (τὸ δὲ ῥῆμα τοῦ θεοῦ ἡμῶν μένει
εἰς τὸν αἰῶνα)… Alza la voce, non temere; annunzia alla città di Giuda: “Ecco

195 Lc 2,9, invece, pare riecheggiare Isaia 9,1, quando, alla nascita di Gesù, l’angelo
porta la notizia ai pastori e «la gloria del Signore li avvolse di luce (δόξα κυρίου
περιέλαμψεν αὐτούς)».
196 «Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge (ἐπισκέψεται ἡμᾶς ἀνατολὴ ἐξ
ὕψους), per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte
(ἐπιφᾶναι τοῖς ἐν σκότει καὶ σκιᾷ θανάτου καθημένοις) e dirigerà i nostri passi
sulla via della pace (τοῦ κατευθῦναι τοὺς πόδας ἡμῶν εἰς ὁδὸν εἰρήνης)» (Lc
1,78-79).
197 «Gli dissero [sacerdoti e leviti inviati dai Giudei a interrogare il Battista]: “Chi
sei?”… Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto; preparate la via al
Signore”» (Gv 1,22-23). Il brano è citato anche in Mc 1,2-3; Mt 3,3; Lc 3,4-6.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 223

il vostro Dio (Ἰδοὺ ὁ θεὸς ὑμῶν)! Ecco, il Signore viene con potenza (ἰδοὺ
κύριος μετὰ ἰσχύος ἔρχεται), con il braccio egli detiene il dominio” (Isaia 40,3;
5; 8-10).

Non soltanto ricorre, in questo passo, il versetto tramite il quale il Bat-


tista giovanneo “si” identifica, ma soprattutto è trasparente la connessione
tra la voce che grida l’avvento del Signore Dio e la manifestazione del-
la «gloria del Signore (δόξα κυρίου)», identificata con la manifestazione
dell’eterna parola (ῥῆμα, piuttosto che λόγος) di Dio, che è «il Signore
[che] viene (κύριος ἔρχεται)» e che “la voce che grida” indica appunto
come avveniente tramite l’espressione tipica del “veggente”: «Ecco/ἰδού/
ἴδε»198. Essa è indirizzata ad esaltare l’avvento del messia, interpretato
(iperbolicamente dal testo profetico, realmente da Gv) come nostro «dio (ὁ
θεὸς ὑμῶν)». Ebbene, proprio sulla bocca del Battista l’«Ecco/ ἴδε» ricorre
in Gv 1,29 e 1,36, chiamato a proclamare Gesù, che il Prologo ha già con-
fessato come «dio» e come «il veniente (ὁ ἐρχόμενος)» (Gv 1,15)199.
Il Prologo può essere, allora, restituito come vero e proprio montaggio
delle profezie di Isaia, che tra l’altro faceva in 8,23 riferimento proprio
al Giordano come luogo di avvento e diffusione della gloria salvifica
verso luoghi della Galilea, prima maledetti da Dio200. Ma se le immagi-
ni profetiche del profeta vengono utilizzate nel Prologo per descrivere
l’avvento messianico di Luce/Gloria/Spirito del Figlio/Dio/Principio nel
mondo, si rafforza l’ipotesi che il Prologo stia descrivendo l’evento del
Giordano, sulle cui rive Giovanni, con il suo «Ecco/ ἴδε», ripetutamente

198 Cf. C. Ginzburg, Occhiacci di legno, Feltrinelli, Milano 1998, il cap. “Ecce. Sulle
radici scritturali dell’immagine di culto cristiana”, 100-117, in part. 108-109.
199 Cf., ovviamente, anche Gv 19,5: «Ἰδοὺ ὁ ἄνθρωπος (Ecce homo!)»; e 19,14: «Ἴδε
ὁ βασιλεὺς ὑμῶν (Ecce rex vester!)».
200 «In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà
gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim» (Isaia 8,23); diversa
è la traduzione dei Settanta, che comunque mantiene il riferimento al Giordano,
introducendo un più esplicito riferimento alla Galilea dei gentili: «Τοῦτο πρῶτον
ποίει, ταχὺ ποίει, χώρα Ζαβουλων, ἡ γῆ εφθαλιμ ὁδὸν θαλάσσης καὶ οἱ λοιποὶ
οἱ τὴν παραλίαν κατοικοῦντες καὶ πέραν τοῦ ορδάνου, Γαλιλαία τῶν ἐθνῶν, τὰ
μέρη τῆς ουδαίας». Sottolineo come Mt citi proprio Isaia 8,23-9,1, specificando
che, «avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella
Galilea e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territo-
rio di Zàbulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo
del profeta Isaia: “Il paese di Zàbulon, e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al
di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto
una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte, una luce si è
levata» (Mt 4,12-16).
224 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

saluta l’avvento del «veniente» (Gv 1,15; ma cf. 1,9). Gesù è il Figlio
«eletto» (Isaia 42,1) di Dio, sul quale questi ha fatto discendere lo Spirito
(Isaia 11,2 e 42,1), rivelandolo come manifestazione della «Gloria» di
Dio (Isaia 40,5), della sua «Parola» (Isaia 40,8), della sua escatologica
«Luce» salvifica (Isaia 9,1), che, rivelandosi come «il Dio/il Signore che
viene» (Isaia 40,9-10), rifulge nella tenebra mortale, portando vita e sal-
vezza. Conseguentemente, Gv 8,12 ricapitola in termini più facilmente
riconoscibili la testimonianza del Battista nel Prologo, ora divenuta auto-
proclamazione di Gesù, che si presenta, a partire da Isaia, quale l’atteso
Figlio/Principio/Parola/Vita/Luce nella tenebra, manifestato dalla disce-
sa dello Spirito:

Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς
τοῦ κόσμου); chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della
vita (ὁ ἀκολουθῶν ἐμοὶ οὐ μὴ περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ, ἀλλ› ἕξει τὸ φῶς τῆς
ζωῆς)” (Gv 8,12).

Ebbene, ritengo che nel caso lucano (cf. 1,78-79), così come nel caso
giovanneo, sia evidente la necessità di traslare su Gesù precedenti attese
profetico-messianiche proiettate sul Battista. Entrambi i testi sono, più
o meno esplicitamente, “polemici”, in quanto affermano che Gesù e non
il Battista è la luce “messianica”. Excusatio non petita… Evidentemen-
te, esisteva una rivendicazione fotologica rivale, incentrata su Giovan-
ni, maestro di Gesù. Pertanto, l’innalzamento del Prologo, che identifica
Gesù con la Luce primordiale, è quasi certamente una ritrattazione proto-
logica, intradivina di una preesistente “cristologia” profetico-messianica
battista, che appunto vedeva in Giovanni il vero (ultimo?) profeta, colui
sul quale si sarebbe posato al Giordano lo Spirito di Elia/Eliseo, l’ἀρχή
di Dio, la Luce escatologico-apocalittica. Molto probabilmente la stes-
sa profezia di Isaia viveva della traslazione escatologica del racconto
genesiaco della creazione, che diveniva figura del Figlio/Messia atteso,
che avrebbe finalmente illuminato Israele decaduto nelle tenebre, prima
dell’avvento del Regno. La reinterpretazione “battista” rilanciava la pro-
fezia isaiana in prospettiva apocalittica, collegandola all’avvento escato-
logico del Regno di Dio, probabilmente alla venuta del Figlio dell’Uomo,
quindi alla possibilità ultima di essere salvati grazie alla conversione/
penitenza e alla purificazione in extremis del Battista, prima del (quasi
universale) giudizio di condanna.
Il Prologo, si diceva, compie un salto in alto radicale: fa ri-avvenire il
Principio, rivelato grazie all’apocalittica apertura del cielo, innalzando
la precedente fotofania escatologico-messianica “battista” a rivelazio-
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 225

ne della preesistente Luce teofanica e creativa. Lo slittamento simboli-


co isaiano, per il quale il Fiat lux genesiaco diveniva figura dell’evento
messianico, viene riconvertito in una paradossale apocalisse protologica:
l’apparizione della luce messianica al Giordano, quando lo Spirito torna
ad aleggiare sulle acque, è rivelazione reale della stessa Luce primordiale
che “sfugge” alla presa delle tenebre. Pertanto, rispetto alle tradizioni
affioranti nei vangeli sinottici, Giovanni non si accontenta di far slittare
la fotofania genesiaco-messianica dal Battista a Gesù, ma, compiendo il
percorso inverso a quello che l’aveva analogicamente generata in Isaia
(che procedeva dal principio atemporale della creazione illuminatrice
alla profezia della redenzione storica), la rilegge ontologicamente, pro-
clamando la preesistenza divina e creatrice del Figlio incarnatosi in Gesù,
quindi apocalitticamente manifestatosi come il solo, autentico messia
salvifico, in quanto ontologicamente “più grande” o “pre-avveniente”
presso il Padre.
Non mi pare plausibile, invece, che la comunità battista abbia po-
tuto “inventare” una cristologia alta, che rivelasse Giovanni, ricono-
sciuto quale vero/ultimo(?) profeta, anche come Luce divina preesi-
stente incarnatasi. Non abbiamo infatti attestazioni in tal senso, come
non abbiamo notizia alcuna su resurrezione o apparizione di Giovanni
dopo la sua decapitazione, convinzioni che mi paiono essere preludio
logico indispensabile per approdare, come innalzamento ulteriore, all’i-
dea di divina preesistenza personale. Probabilmente, la comunità bat-
tista attendeva il suo ritorno nel momento dell’universale resurrezione
escatologica, che sarebbe dovuta coincidere con il giudizio immediato,
l’avvento del Regno, nel quale Giovanni avrebbe forse potuto avere il
ruolo di Figlio dell’Uomo/Giudice. Insomma, la parabola storica del
Battista pare rimanere circoscritta all’interno di un pensiero profetico-
apocalittico eventuale: il suo approdo – la morte violenta del profeta
per mano di un re corrotto – non è stato, in effetti, così infamante,
quindi religiosamente eversivo, quale quello di Gesù, per il quale è
stato “necessario” un rilancio iperbolico della sua identità carismati-
ca per avvalorarne la pretesa. Soltanto la catastrofe storica del messia
amato, ma reietto come bestemmiatore crocifisso dal Tempio, quindi
maledetto dalla Legge, può avere potuto generare – come una molla
straordinariamente compressa, quindi libratasi proiettando verso l’alto
l’energia accumulata – una paradossale potenza, capace di rilanciare
la radicalissima “pretesa” gesuana prima tramite la resurrezione nello
Spirito, infine tramite l’introduzione nel seno stesso di Dio, di cui viene
esaltato come unico eterno rivelatore.
226 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

14. ΦΩΣ: l’Uomo di Luce “incarnatosi” al Giordano

Il “doppio gioco” sopra identificato del Prologo – a) quello della rica-


pitolazione della teofania battesimale “sinottica” nella rivelazione del Fiat
Verbum/Fiat Lux protologico, quindi b) quello della presentazione dell’in-
carnazione in Gesù del dio Unigenito che è Luce al cospetto del Battista
– rimarrebbe un’ipotesi astratta, se non fosse possibile individuare testi
protocristiani che restituissero proprio come rivelazione di Luce, connessa
alla proclamazione del Logos della filialità, la discesa dello Spirito, quindi
l’incarnazione del Figlio divino in Gesù al Giordano. A partire dal Fiat
Lux di Gen 1,3, l’identificazione della Luce primordiale con il Logos –
cioè con lo stesso “parlare” creativo di Dio201 – può richiamare la nozione
di primordiale Uomo ad Immagine, soprattutto se contestualizzata in un
contesto giudaico-ellenistico. Il rivelarsi della Luce, pertanto, può essere
interpretato come il rivelarsi del primo o del nuovo Adamo, quindi (del
Figlio) dell’uomo, interpretato quale Immagine e Gloria di Dio. Ricordo
che in greco φως può significare al tempo stesso «luce (τὸ φῶς)» e «uomo
(ὁ φώς)»202. Ebbene, è possibile identificare alcuni testi assai rilevanti nei
quali: a) la Luce è identificata con la “Potenza” o lo “Spirito” divini che
discendono al battesimo nell’uomo Gesù; b) la nozione della Luce come
“Uomo” luminoso che discende dal cielo in Gesù si retroproietta a livello
protologico, ove, secondo il principio dell’esemplarismo inverso, l’origine

201 Sull’identificazione tra Luce e Logos divino, connessi proprio tramite un riferi-
mento a Gen 1,3, notevolissimo è un passo filoniano: «Dio è luce (ὁ θεὸς φῶς
ἐστι)… e non solo luce, ma archetipo di ogni altra luce (καὶ οὐ μόνον φῶς, ἀλλὰ
καὶ παντὸς ἑτέρου φωτὸς ἀρχέτυπον) o, meglio ancora, più antico e più eccelso di
ogni archetipo, perché Egli è il modello in assoluto. Modello è infatti il suo Logos,
pienamente compiuto (τὸ μὲν γὰρ παράδειγμα ὁ πληρέστατος ἦν αὐτοῦ λόγος),
che è luce (φῶς) – si legge infatti nel testo sacro: “Dio disse: “Sia fatta la luce”
(”εἶπε ὁ θεός· γενέσθω φῶς”)” (Gen 1,3) –, mentre egli non è simile ad alcuna
cosa creata» (Filone, De somniis I,75).
202 Cf. G. Quispel, Ezekiel 1:26 in Jewish Mysticism and Gnosis…, 6: «this con-
cept [quello dell’Anthropos gnostico] presupposes a pun on ho phōs, the man,
and to phōs, the light, and therefore must have originated in the Greek diaspora»
(6)». Cf., inoltre, J.E. Fossum, The Image of the Invisible God. Col. 1.15-18a,
Jewish Mysticism and Gnosticism, in The Image of the Invisible God. Essays on
the Influence of Jewish Mysticism on Early Christology, Vandenhoek & Ruprecht,
Göttingen 1995, pp. 13-39, in part. p. 17: «The light which enclosed the heavenly
Man is the light which was created on the first day according to Gen 1.3: “And
God said: ‘Let there be light!’. And there was light”. The word for “light” in
the LXX is φως, which significantly also means «man» (τὸ φῶς, “light”; ὁ φώς,
“man”».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 227

stessa dell’uomo è spiegata a partire da un primordiale battesimo di luce,


contrastato dalle potenze del mondo.

a) Fotofanie battesimali giudeocristiane. Sono attestate notizie che in-


terpretano la discesa al Giordano di Spirito/Logos/Sapienza/Potenza/Uomo
come apparizione di Luce. Di fondamentale importanza è la sovrabbon-
dante notizia su Elxai, quindi su Sampseni, Osseti ed Elcasaiti, di Epifanio
di Salamina, nella XXX eresia del I libro del Panarion, Contro gli ebioni-
ti, ove è ricapitolata una serie di dottrine che potremmo definire (certo con
una povera approssimazione) giudeocristiane. Agli ebioniti, Epifanio attri-
buisce, prima di tutto, dottrine attestate nel corpus pseudo-clementino (Cri-
sto è l’impeccabile Adamo/Cristo preesistente, disceso prima sui patriar-
chi, Mosè e i profeti, infine su Gesù), alle quali comunque aggiunge
un’importante variante:

Alcuni di loro dicono persino che il Cristo fosse Adamo (Ἀδὰμ τὸν Χριστὸν
εἶναι λέγουσιν), il primo uomo creato e reso animato dal soffio di Dio (τὸν
πρῶτόν τε πλασθέντα καὶ ἐμφυσηθέντα ἀπὸ τῆς τοῦ θεοῦ ἐπιπνοίας). Altri
invece tra loro predicano che Egli viene dall’alto, ma è stato creato prima di
tutte le cose. È Spirito, è superiore agli angeli e di tutto è Signore. È chiamato
Cristo e ha avuto in sorte il mondo di lassù. Scende però quaggiù quando vuole,
venne anche nella persona di Adamo e apparve ai patriarchi rivestito di corpo.
È sempre lui che, già venuto presso Abramo e Isacco e Giacobbe, tornò alla
fine dei giorni, si rivestì dello stesso corpo di Adamo e fu visto nel mondo, fu
crocifisso, risorse e risalì. Ma poi viceversa quando loro garba ci dicono: “No,
è lo Spirito e cioè il Cristo, che è sceso in Lui e si è rivestito dell’uomo Gesù
(οὐχί, ἀλλὰ εἰς αὐτὸν ἦλθε τὸ πνεῦμα ὅπερ ἐστὶν ὁ Χριστὸς καὶ ἐνεδύσατο
αὐτὸν τὸν Ἰησοῦν καλούμενον)”.203.

In quest’ultima variante “ebionitica”, Cristo non è l’arconte dell’umanità,


quindi l’impeccabile Adamo/Imago Dei e Vero Profeta del corpus pseudo-
clementino, ma lo stesso divino Spirito Santo, esplicitamente identificato
con il Cristo o il Figlio preesistente, che discende sull’/nell’uomo Gesù. La
prospettiva cristologica corrisponderebbe a quella di Cerinto, che ho sopra
interpretata, seguendo Brown, come estremizzazione o variante radicale
della corrente infragiovannea di docetismo moderato (che non negava la di-
mensione umana dell’uomo Gesù, ma riportava la redenzione alla teofania

203 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 3,3-6;
cf. 3,1-3. Utilizzo l’edizione e la traduzione a cura di G. Pini, Epifanio di Salami-
na, Panarion, Libro Primo, Morcelliana, Brescia 2010.
228 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

del Logos e non alla passione e morte di Cristo), combattuta dal presbitero
di 1-2Gv. In proposito, è del massimo interesse la notizia fornitaci da Epi-
fanio poco più avanti: dopo aver piuttosto confusamente percorso il frasta-
gliato gruppo di cerintiani/merintiani, nazorei, ebioniti, pur sottolineando
come egli stesso faccia difficoltà a distinguerne le dottrine204, prima afferma
che anche gli ebioniti si riconoscevano nel vangelo ebraico di Matteo o
«secondo gli Ebrei»205 (su cui tornerò poco più sotto), quindi aggiunge che
alcuni di essi facevano riferimento anche a un vangelo di Giovanni, pure dal
greco tradotto in ebraico, custodito nella tesoreria dei Giudei, in particolare
in quella di Tiberiade e vi si conserva in segreto; così ci hanno confidato
dettagliatamente alcuni venuti alla fede dal Giudaismo.206
Qualora volessimo assumere come storicamente fondata questa proble-
matica testimonianza di Epifanio, riportata subito dopo la descrizione della
cristologia divisiva che ho appena riportata, avremmo una prova dell’esi-

204 Il movimento ebionita è significativamente definito come «mostro polimorfo


(πολύμορφον τεράστιον), idra dalle molte teste (πολυκέφαλος ὕδρα)… in quanto
ogni messaggio più pericoloso e funesto ed abominevole, laido e insieme assurdo
e ridondante di ottusità prese da ogni eresia e rifece se stesso sul modello di tutte
(ἀ<ντι>ζηλίας ἔμπλεον παρ’ ἑκάστης αἱρέσεως λαβὼν ἑαυτὸν ἀνετύπωσεν εἰς
ἁπάσας). Egli infatti in sé ha l’aspetto odioso dei samaritani, il nome tratto dai
giudei, i dogmi di ossei, nazorei, nasarei, la natura dei cerintiani ( ηρινθιανῶν
τὸ εἶδος), la malvagità dei carpocraziani e dei cristiani ambisce ad avere solo
la qualifica… Egli sta a mezzo tra tutti, per così dire, e in se stesso non è niente
(μέσος δὲ ὡς εἰπεῖν ἁπάντων τυγχάνων οὐδὲν πέφυκεν)» (Epifanio di Salamina,
Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 1,1-4). L’ebionismo finisce
per essere l’intero indistinto, polimorfo ambito giudaico-cristiano, anteriore alla
definizione protocattolica del dogma. Così, dopo aver finito di descrivere l’eresia
cerintiana/merintiana, Epifanio passa all’eresia nazorea, esprimendosi in termini
sostanzialmente analoghi: «Vengono di seguito a questi [ai cerintiani] i Nazorei,
che fiorirono con essi o anche prima di essi, o confusi con loro o dopo di loro, co-
munque contemporanei; non sono in grado di esprimermi con maggiore certezza
sulle rispettive successioni. Come ho detto, erano di fatto reciprocamente contem-
poranei ed ebbero opinioni rispettivamente simili (ὅμοια ἀλλήλοις κέκτηνται τὰ
φρονήματα)» (Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXIX, Contro i
nazorei 1,1).
205 Cf. Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 3,7:
«Accettano anch’essi [gli ebioniti] il vangelo secondo Matteo; anch’essi, come i
cerintiani e i merintiani, usano solo quello. Lo chiamano però “secondo gli ebrei”;
ed in effetti è la verità che solo Matteo nel Nuovo Testamento fece l’esposizione
scritta e la predicazione del vangelo in ebraico e con lettere ebraiche». Cf. eresia
XXIX, Contro i nazorei 9,4: «Usano il vangelo secondo Matteo, integralmente, in
ebraico: infatti presso di loro questo si conserva ancora, ed è certo, come era stato
scritto all’origine, in lettere ebraiche».
206 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 3,8.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 229

stenza di un vangelo di Giovanni (ancora privo di Prologo?), le cui pro-


spettive cristologiche corrisponderebbero sostanzialmente a quelle che lo
stesso Epifanio attribuisce a Cerinto:

Cerinto nacque e visse a lungo in Asia e qui dette inizio alla sua
predicazione… Diceva poi che dall’alto, dal Dio supremo, dopo che Gesù si
fece adulto, il Gesù generato dal seme di Giuseppe e da Maria, discese su di lui
il Cristo, cioè lo Spirito Santo in forma di colomba nel Giordano e rivelò a lui
e per mezzo di lui ai suoi seguaci il Padre inconoscibile. Per questo, dopo che
fu discesa su di lui la potenza celeste, egli compì opere prodigiose; e dopo che
subì la passione lo Spirito che era venuto dall’alto volò via da Gesù di nuovo
in alto. Dunque Gesù subì la passione e di nuovo risorse, mentre Cristo, quello
che era venuto in lui dall’alto, vale a dire era disceso in forma di colomba, volò
via indenne. Insomma Gesù non era Cristo (οὐ τὸν Ἰησοῦν εἶναι Χριστόν).207

Comunque, che la discesa dello Spirito/Cristo avvenga al battesimo è


confermato da una notizia di straordinario interesse, trasmessaci da Epifa-
nio nella stessa descrizione della XXX eresia, quella genericamente defini-
ta ebionitica. Si tratta della narrazione del battesimo di Gesù, riportata da
un «Vangelo secondo Matteo… adulterato e mutilato, onde l’appellativo di
“ebraico”»208. In esso si legge:

“Quando fu battezzato il popolo [dal Battista], venne anche Gesù e fu


battezzato da Giovanni”. E come venne su dall’acqua si aprirono i cieli,
ed egli vide lo Spirito Santo in forma di colomba, che scese ed entrò in lui
(ἠνοίγησαν οἱ οὐρανοὶ καὶ εἶδεν τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον ἐν εἴδει περιστερᾶς,
κατελθούσης καὶ εἰσελθούσης εἰς αὐτόν). E ci fu una voce dal cielo che
diceva: “Tu sei il mio Figlio diletto. In te mi sono compiaciuto (καὶ φωνὴ
ἐκ τοῦ οὐρανοῦ λέγουσα·σύ μου εἶ ὁ υἱὸς ὁ ἀγαπητός, ἐν σοὶ ηὐδόκησα)”.
E, ancora, “Oggi ti ho generato” (καὶ πάλιν· ἐγὼ σήμερον γεγέννηκά σε). E
subito rifulse attorno al luogo una grande luce (καὶ εὐθὺς περιέλαμψε τὸν
τόπον φῶς μέγα). Al vederla, Giovanni gli dice: “Chi sei tu, Signore? (σὺ
τίς εἶ, κύριε;)”. E di nuovo a lui una voce dal cielo: “Questi è il mio Figlio
diletto, nel quale mi sono compiaciuto”. “Allora”, aggiunge il testo, “Gio-
vanni si prostrò a terra e gli disse: “Ti prego, Signore, battezza tu me!”. Ma
Egli lo proibì, dicendo: “Lascia, poiché conviene che tutto si compia”.209

Lo Spirito Santo che discende dal cielo al momento del battesimo è,


quindi, non soltanto identificato con l’elemento “generatore” della filialità

207 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXVIII, Contro i cerintiani o
merintiani 1,4-7.
208 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,2.
209 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,7-8.
230 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

messianica di Gesù, così come in effetti leggiamo in Marco, ma con la


stessa grande Luce teofanica. Mi pare plausibile la dipendenza da Gen 1,2-
3 e da Isaia 9,1 e 61,1: lo Spirito che aleggia sulle acque precede il Fiat
lux, sicché il dire principale di Dio, il Verbo della Luce, corrisponde alla
voce che manifesta la gloria del Figlio diletto di Dio, che è quello sul quale
discende lo Spirito, insieme con la manifestazione della Luce messianica.
La prossimità con il Prologo giovanneo, quindi con il flashback di Gv 1,33-
35, mi pare evidente. Da segnalare, inoltre, il fatto che il Battista dichiari
apertamente di non conoscere l’identità di Gesù al momento del battesimo,
deducendone l’essere il Signore /Figlio diletto soltanto a partire dalla teo-
fania, in analogia con quanto è sottolineato in Gv 1,33-34210. Soprattutto,
nel Prologo rintracciamo la corrispondenza tra manifestazione della Luce e
disvelamento del Figlio Unigenito, ancora più sistematica se interpretiamo
la Vita giovannea come riferimento allo Spirito vivificante (che in principio
aleggia sulle acque al momento del Fiat Lux) e se facciamo corrispondere
la Voce teofanica al Logos rivelatore del Figlio/Luce.
Di particolare interesse, in questa prospettiva, un passo del Dialogo
con Trifone di Giustino211, proprio perché a) attesta l’immagine del fuoco,
che divampa sul Giordano al momento del battesimo, connettendola alla
discesa dello Spirito212; b) identifica con questa fotofania la “generazio-
ne” storico-rivelativa del Figlio messianico. Ebbene, Taziano, discepolo
di Giustino, conserva l’apparizione del «Lumen» al Giordano213. Infine,

210 «Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una
colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato
a battezzare con acqua, mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e ri-
manere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso
testimonianza che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,32-33).
211 «E quando Gesù si recò sul fiume Giordano, dove Giovanni battezzava, ed entrò
nell’acqua, un fuoco divampò nel Giordano (πῦρ ἀνήφθη ἐν τῷ Ἰορδάνῃ) e quan-
do risalì dall’acqua lo Spirito Santo volteggiò sopra di lui in forma di colomba,
come hanno scritto gli apostoli del nostro Cristo… Nel contempo venne dai cieli
una voce che già era riecheggiata per mezzo di Davide, che, come impersonando-
lo, pronuncia le parole che gli sarebbero state rivolte dal Padre: “Tu sei mio Figlio,
io oggi ti ho generato (Υἱός μου εἶ σύ, ἐγὼ σήμερον γεγέννηκά σε)” (Salmo 2,7)»
(Giustino, Dialogo con Trifone 88,3 e 8).
212 Sull’apparizione del fuoco e/o della luce al Giordano, in occasione del battesimo
di Gesù, cf. A. Orbe, Cristología gnóstica. Introducción a la soteriología de los
siglos II y III, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1976, I, 518-532.
213 «Cum illo die multi baptizarentur, Spiritus super unum descendit et quievit… qui
descendit in similitudine columbae… Lumen super aquam exortum et vox de ca-
elo delapsa… “Hic est Filius meus dilectus”» (Taziano, Diatessaron, in Th. Zahn
(ed.), Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons I-X, Deichert,
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 231

l’apparizione di un «lumen ingens» che risplende sulle acque battesimali,


mentre il cielo si apre e discende lo Spirito di Dio in forma di colomba, è
attestata anche da una variante matteana presente nel Codice di Vercelli
(IV sec.)214.
La rivelazione del Figlio è, quindi, diffusamente restituita come mani-
festazione della Luce divina, intimamente connessa con la discesa dello
Spirito e la teofania dell’Uomo di luce. Evidentemente questi testi presup-
pongono quello che è apertamente evidenziato nel Prologo: al Giordano si
rinnova il Fiat lux della creazione del mondo e dell’uomo ad immagine,
sicché Cristo è il Figlio della redenzione, il messia che opera la ricreazione
salvifica del mondo nello Spirito, che torna ad aleggiare sulle acque della
materia tenebrosa e informe (metaforicamente, le tenebre del peccato).
Segnalo, infine, un noto passo messianico di un fondamentale e strati-
ficato apocrifo dell’Antico Testamento, i Testamenti dei dodici patriarchi,
in particolare del Testamento di Levi, del massimo interesse proprio perché
trasmesso con massicce interpolazioni cristiane, sicché il testo pervenutoci
è in sé fluido, essendo databile tra il II sec. a.C. e il II sec. d.C. Lo riporto
senza distinguere tra l’ipotizzato originale ebraico e le interpolazioni cri-
stiane proposte:

Allora il Signore farà sorgere un sacerdote nuovo (ἱερέα καινόν), al


quale tutte le parole del Signore saranno rivelate (ᾧ πάντες οἱ λόγοι υρίου
ἀποκαλυφθήσονται)… Nel cielo sorgerà il suo astro, come di un re, brillando
della luce della conoscenza come un giorno nel sole (φωτίζων φῶς γνώσεως ἐν
ἡλίῳ ἡμέρας). Sarà celebrato su tutta la terra. Questi brillerà come il sole sulla
terra e farà scomparire ogni tenebra di sotto il cielo (Οὗτος ἀναλάμψει ὡς ὁ
ἥλιος ἐν τῇ γῇ καὶ ἐξαρεῖ πᾶν σκότος ἐκ τῆς ὑπ’ οὐρανόν)… La conoscenza del
Signore si riverserà sopra la terra come acqua del mare. Gli angeli della gloria

Erlangen 1881, Leipzig 19292, in part. I,124); cf. A. Orbe, La unción del Verbo.
Estudios Valentinianos III, Libreria Editrice dell’Università Gregoriana, Roma
1961, il cap. «El resplandor», 281-287.
214 «Et cum baptizaretur, lumen ingens circumfulsit de aqua; ita ut timerent omnes
qui advenerant. Et baptizato Jesu, confesti ascendit de aqua, et ecce aperti sunt ei
caeli: et vidit Spiritum Dei descendentem de Caelo sicut columbam venientem in
ipsum» (Codex Vercellensis Evangeliorum, Mt 3,16, in A. Gasquet (ed.), Collecta-
nea biblica latina, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1914, vol. III); l’integrazione
matteana ricorre anche nel Codez Sangermanensis: «Et cum baptizaretur Jesus,
lumen magnum fulgebat de aqua, ita ut timerent omnes qui congregati erant»; cf.
il notevolissimo saggio, che amplia la documentazione a testi siriaci e armeni, di
G. Winkler, The Appareance of the Light at the Baptism of Jesus and the Origins
of the Feast of Epiphany, in M.E. Johnson (ed.), Between Memory and Hope:
Readings on the Liturgical Year, Liturgical Press, Collegeville 2000, 291-348.
232 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

del volto del Signore si rallegreranno di lui. I cieli si apriranno e dal tempio
della gloria verrà su di lui la santità, con voce paterna (ἐκ τοῦ ναοῦ τῆς δόξης
ἥξει ἐπ’ αὐτὸν ἁγίασμα μετὰ φωνῆς πατρικῆς) come da Abramo a Isacco. La
gloria dell’Altissimo sarà pronunciata sopra di lui (δόξα ὑψίστου ἐπ’ αὐτὸν
ῥηθήσεται) e lo Spirito di intelligenza e di santità riposerà su di lui sull’acqua
(καὶ πνεῦμα συνέσεως καὶ ἁγιασμοῦ καταπαύσει ἐπ› αὐτὸν ἐν τῷ ὕδατι ) (Tes-
tamento di Levi, XVIII,2-7).215

Ritroviamo la connessione esplicita tra la isaiana e giovannea Luce che


risplende nelle tenebre, la Voce del Padre e la Gloria celeste che discendono
dal cielo sopra l’eletto, l’unzione messianica con lo Spirito che non soltan-
to discende, ma riposa, quindi rimane (cf. Gv 1,33) sul Figlio “sacerdote”.
Soprattutto, è rilevantissimo il riferimento finale alla discesa «sull’acqua»
(interpolazione certamente cristiana!), che avvicina notevolmente questa
teofania apocalittica al Prologo, se letto in connessione con Gv 1,32-34, per
di più esplicitando l’elemento “vitale” dell’acqua del Giordano, presso la
quale il Battista operava e che il Prologo omette di nominare.
È opportuno, poi, introdurre un breve excursus su un testo sfuggente
e straordinario quali le Odi di Salomone (inizio II secolo)216, fortemente
influenzate da prospettive giovannee e partecipi, come il Vangelo di Tom-
maso217, di quel processo di precoce ritrattazione mistico-speculativa dei

215 Testamenti dei dodici patriarchi, in P. Sacchi (ed.), Apocrifi dell’Antico Testamen-
to, Utet, Torino 1981, I,768-948, in part. Testamento di Levi I,789-808, brano cit.
806-807, tr. di P. Sacchi.
216 Utilizzo qui la traduzione del testo siriaco di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del Nuovo
Testamento, I/1: Vangeli. Testi giudeo-cristiani e gnostici, Marietti, Casale Mon-
ferrato 1975, verificata e talvolta ritoccata a partire dalla traduzione di M.-J. Pier-
re, Les Odes de Salomon, Brepols, Tunrhout 1995.
217 L’identificazione di Cristo con l’«Uomo di luce» è presupposta nel logion 24 del
Vangelo di Tommaso (=NHC II,38,10-12): «Dissero i suoi discepoli: “Mostraci il
luogo dove tu sei, perché ci è necessario cercarlo”. Disse loro: “Chi ha orecchi,
intenda! Vi è luce in un uomo di luce, e illumina il mondo intero. Se non risplende,
è la tenebra”» (tr. it. di A. Annese lievemente ritoccata, Il Vangelo di Tommaso.
Introduzione storico-critica. Con una nuova traduzione italiana del testo greco e
copto, Carocci, Roma 2019). Si fa qui riferimento alla partecipazione degli eletti
a Cristo, che nel logion 77 dice di sé: «Io sono la Luce che è sopra tutte le cose».
L’eletto partecipa della rivelazione dell’Immagine di Luce, la quale rende ogni
uomo spirituale luce per il mondo. Pertanto, gli eletti stessi partecipano del movi-
mento dialettico della rivelazione della Luce, il suo procedere illuminante e il suo
ritornare/permanere nel Padre. Cf. logion 50=NHC II,41,30-42,7: «Disse Gesù:
“Se vi dicono: “Da dove siete venuti all’esistenza?”, rispondete loro: “Siamo ve-
nuti dalla luce, dal luogo dove la luce è venuta all’esistenza da se stessa, si è levata
e si è manifestata nella loro immagine”. Se vi dicono: “Siete voi?”, dite: “Noi
siamo i suoi figli e noi siamo gli eletti del Padre vivente”. Se vi chiedono: “Qual
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 233

salvifici eventi apocalittici, che, ulteriormente radicalizzata, approderà alla


prospettiva gnostica. Quello che colpisce è la centralità del tema della teo-
fania (piuttosto che del battesimo!) di Cristo al Giordano, spesso espressa
con termini desunti dal IV vangelo e, soprattutto, indicata come simbolo
dell’appropriazione interiore del Logos da parte del credente. L’incontro
con Cristo Signore è restituito come trasfigurazione nella Luce del Logos,
essere rivestiti di luce ed essere ricreati nella vita218, partecipazione alla
Luce assoluta che è il Logos stesso219, Volto che irradia escatologicamen-
te220 la Gloria luminosa di Dio221. In particolare, nell’Ode 41,13-14, si legge:

«Il Figlio dell'Altissimo si rese visibile nella pienezza (o perfezione) del


Padre suo. La luce sorse dalla parola (Logos) che fin da principio era in lui
(=Padre)» (tr. it. di Alberto Camplani).

La dipendenza dal Prologo giovanneo è evidentissima: la Luce scaturi-


sce dal Logos del Padre, è irradiata dal Fiat Lux di Dio. Il Logos è perfor-
matività assoluta: è l’evento protologico della manifestazione personale
della Luce, rivelato dall’evento escatologico dell’incarnazione del Logos,
sui quali le Odi di Salomone tornano in più luoghi. Mi concentro qui su
un passo particolarmente significativo, perché, pur facendo esplicito riferi-
mento alla teofania al Giordano – ricapitolata nella discesa della colomba/

è il segno del Padre vostro in voi?”, dite loro: “È movimento e riposo”». Per una
restituzione del Vangelo di Tommaso come “mistico”, piuttosto che “gnostico”,
cf., A.D. De Conick, Seek To See Him. Ascent and Vision Mysticism in the Gospel
of Thomas, Brill, Leiden-New York-Köln 1996, 3-39.
218 «Il Signore guidò la mia bocca con la sua parola/ ed ha aperto il mio cuore con la
sua luce./ La sua vita immortale ha stabilito in me/ e m’ha concesso di raccontare
il frutto della sua pace» (Odi di Salomone 10,1-2). «Il Signore mi ha fatto nuovo
con il suo vestito e mi ha recuperato con la sua luce. Mi ha ridato la vita con la sua
incorruttibilità» (11,11-12). «Una lampada mi ponesti alla destra e alla sinistra,
perché nulla in me fosse senza Luce. Fui rivestito con la veste del tuo Spirito e mi
levai gli abiti di pelle» (25,7-8); ove è evidente il contesto battesimale. Cf. 12,1-3.
219 «La luce rifulse dal Verbo,/ da tempo in essa presente» (Odi di Salomone 41,14);
«Salì sulla Luce della Verità come su carro e la Verità mi condusse e mi trasportò»
(38,1).
220 «Come il sole è gioia per quelli che desiderano il suo giorno,/ così il Signore è la
mia gioia./ Lui è il mio sole;/ i suoi raggi mi hanno levato;/ la sua luce ha tolto
ogni tenebra dal mio volto» (Odi di Salomone 15,1-2). Mi pare evidente il riferi-
mento a Isaia 9,1. Cf. 41,3-4 e 6: «Noi viviamo nel Signore per il suo favore e per
il suo Unto vita riceviamo. Il grande giorno difatti per noi rifulse… Nella sua luce
i nostri volti rifulgano».
221 «Mi sono tolta l’oscurità e ho rivestito la luce… Mi levai nella luce e passai di
fronte al suo volto» (Odi di Salomone 21,3 e 5). Cf. 13,1-4.
234 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Spirito sul capo di Gesù e nel canto/voce rivelativi della sua trascendente
filialità – di fatto non descrive il battesimo di Cristo:

La colomba volò sul Messia,/ perché egli era suo capo./ Cantò sopra di lui/
e fu udita la sua voce./ Gli abitanti ebbero paura/ e tremarono i residenti!... Gli
abissi si aprirono e si richiusero,/ cercavano il Signore come partorienti./ Ma
egli non fu dato ad essi in pasto,/ ché egli ad essi non apparteneva./ Gli abissi
però furono inondati con l’inondazione del Signore e perirono con quella trama
in cui dai primordi esistevano.222

Il battesimo, pertanto, sembra essere cancellato dalla memoria della


teofania al Giordano: ne sussiste soltanto una traccia negativa, in quanto
il rapporto di Gesù con le acque è restituito come conflitto violento, nel
quale Cristo riesce a sottrarsi al tentativo di afferramento, inabissamento,
inghiottimento da parte delle tenebre/acque, che risultano a loro volta in-
ghiottite dalla potenza superiore del Logos di Vita immortale, che, tramite
il dono dello Spirito, è comunicata al suo eletto223, che da Cristo riceve (con
il battesimo?) l’acqua di vita eterna224.

b) L’avvento battesimale dell’Uomo/Luce gnostico. È nota la straordina-


ria fortuna di Gv all’interno della polimorfa tradizione gnostica225, in parti-
colare in quella “sethiana”/barbelita e in quella valentiniana, che ritengo

222 Odi di Salomone 24,1-3; 5-7. Cf. 17,1-16, ove l’essere coronato con la corona
viva di Cristo Dio, quasi certamente identificabile con la recezione del battesimo,
di fatto “indïa” il credente, che diviene uno con l’uomo Gesù nel quale si mani-
festa il Logos/Luce, che rompe la prigione del mondo. Cf. 23,1-22, ove «grazia»
e «conoscenza perfetta» del Signore, identificati con il suo Logos, discendono
«come lettera… dall’alto» (23,5), nella quale si rivela «il capo… il Figlio vero
procedente dal Padre altissimo» (18); il riferimento alla lettera, che ricorda l’Inno
alla perla degli Atti di Tommaso 110,40-111,68 (ove la lettera celeste è portata da
un’aquila e ha il potere di essere luce e via), è ancora una volta battesimale. Cf.
l’eccellente saggio di D.M. Burns, “The Garment poured its entire self over me”:
Christian Baptismal Traditions and the Origins of the Hymn of the Pearl, in K.
Corrigan e T. Rasimus (edd.), Gnosticism, Platonism and the Late Ancient World.
Essays in Honour of John D. Turner, Brille, Leiden-Boston 2013, 262-273.
223 «Come ali di colombe sui loro pulcini e il becco di questi verso il becco di quelle,
così sono pure le ali dello Spirito sul mio cuore… Vita immortale mi ha abbrac-
ciato e mi ha baciato. Da essa proviene lo Spirito in me; questi non può morire,
perché è Vita» (Odi di Salomone 28,1 e 6-7).
224 Cf. Odi di Salomone 30,1-7.
225 «Tutte le prove in nostro possesso stanno a indicare che il quarto Vangelo riscos-
se un’ampia accoglienza prima tra i cristiani eterodossi che tra quelli ortodossi»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 172).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 235

non possano essere spiegate senza individuare una loro dipendenza struttu-
rale nei confronti sia della cristologia giovannea, sia della paolina econo-
mia escatologica dello Spirito, appunto influenti su di esse e non dipenden-
ti da esse226, come invece è stato sostenuto, a partire dalle indagini
pionieristiche della scuola storico-religiosa di Göttingen, poi da Bultmann
e dai suoi epigoni, infine da una successiva, imponente tradizione di studi
che ha cercato di rintracciare in ambito giudaico-ellenistico l’origine della
gnosi, quindi il prototipo della stessa cristologia giovannea. Le due princi-
pali tradizioni gnostiche, l’una certamente influente sull’altra, articolano
infatti una teologia dualistica che ontologizza “spazialmente” e “protologi-
camente” l’escatologico scarto paolino tra nuova e vecchia economia nella
contrapposizione tra l’assoluta trascendenza spirituale del pleroma e il
mondo cosmologico, creato dall’Arconte/Demiurgo come immagine in-
consapevole e degradata del mistico cielo pleromatico. Inoltre, a partire dal
Prologo giovanneo, di cui i valentiniani furono i primi profondi esegeti, il
pleroma è pensato come intimità relazionale che (secondo una struttura
proto-trinitaria) rivela Dio come processo amoroso di un Padre che, trami-
te lo Spirito/Madre, genera eternamente il suo Figlio quale Dio-Uomo,
quindi come eterna incarnazione del Logos nella carne mistica di Sophia.
Questa è la protologica “Eva”/Madre dei viventi, tratta dal corpo dell’Uo-
mo, quindi peccatrice, infine redenta, prefigurazione della chiesa eletta, la
divinizzata “casta meretrix”.

Insomma, i testi gnostici ci presentano le prime esegesi mistico-specu-


lative dell’annuncio apocalittico del Prologo giovanneo, impegnate a re-
duplicare la storicità della rivelazione salvifica nell’eterna verità di Dio,
dischiusa come intimo processo rivelativo: la profonda intelligenza gno-
stica consiste nel riconoscere la verità allegorica del dramma teogonico,
sicché, esasperando il “doppio gioco” di Giovanni, la teologia gnostica re-
duplica a livello intradivino il dramma dell’incarnazione e della redenzio-
ne storiche di Gesù Cristo. Pertanto, il forte carattere mitologizzante della
speculazione gnostica dipende dalla sistematica ritrattazione intrateologi-
ca del vangelo escatologico, quindi dalla restituzione storico-processuale,
messianico-escatologica della “natura” separata di Dio. Il mito narra Dio in
figure perché la vera natura di Dio è intimamente apocalittica, rivelativa,

226 «La figura di Cristo sembra sia stata il catalizzatore che ha fatto sì che atteggia-
menti ed elementi proto-gnostici si organizzassero in corpi ben definiti di pensiero
gnostico» (R.E. Brown, Giovanni…, LXII-LXIII). Cf. G. Lettieri, Deus patiens.
L’essenza cristologica dello gnosticismo, edizione a cura di Gaetano Lettieri,
Roma 1996.
236 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

quindi processuale, estatico-eventuale, al tempo stesso donativa, patica e


redentiva, ricapitolata nell’eterno venire del Figlio dal Padre nello Spirito,
quindi nell’eterno incarnarsi del Logos nella sua carne mistica, rivelata
dal IV vangelo come «una cosa sola» con il Figlio, che è «una cosa sola»
con il Padre. Sethiani e valentiniani, pertanto, fanno del vangelo, in parti-
colare del Prologo giovanneo, la gnostica chiave interpretativa del miste-
ro profondo di Dio: se Cristo è la rivelazione storica del Figlio redentore
inviato dal Padre, Dio in se stesso “narrerà” la generazione del Figlio e il
suo dramma kenotico, segnato dalla caduta, dall’imprigionamento, infine
dalla redenzione della sua eterna carne patica, lo gnostico corpo mistico
di Cristo Salvatore, quindi dalla Madre Sophia, che questi toglie in sé, per
riportarla dal kenoma nel pleroma.
Ricapitolando, il mito protologico dualistico barbelognostico/sethiano
e valentiniano drammatizza, in senso teogonico, la protologizzazione gio-
vannea dell’avvento escatologico del Figlio nel mondo, interpretato dal
Prologo come precosmico essere inviato dell’Unigenito quale Logos del
Fiat lux creativo-redentivo, che dissipa le tenebre, avvenendo come dono
di vita e salvezza. Gv 1,5, pertanto, diviene il perno di una retroproiezione
intradivina dell’escatologica venuta salvifica del Logos di Luce, che di-
viene così il modello per pensare l’origine dell’uomo e lo stesso dramma
dualistico che spiega origine del mondo arcontico e liberazione da esso.
La teofania sulle acque cosmiche è una scena chiave dell’Apocrifo di
Giovanni (=ApGv)227: essa descrive quella che è di fatto la prima teofania
redentiva del Salvatore pleromatico, disceso a formare spiritualmente la
Sophia extrapleromatica pentitasi del suo peccato, ma anche ad avviare la
dualistica creazione di Adamo, quindi il processo di ricapitolazione dello
spirituale decaduto nell’uomo creato dal Primo Arconte Jaldabaoth. Questi
crea Adamo di natura ilico-psichica quale immagine “idolatrica”, capace
di catturare l’Uomo/Luce rifulso dal pleroma per redimere Sophia, eppure
la figura demiurgica di Adamo diviene, per decisione comune del pleroma,
del Figlio e della Madre, destinatario dello pneumatico seme divino emes-

227 Faccio riferimento alla versione lunga dell’Apocrifo di Giovanni, NHC II,1,1-
32,10, che corrisponde sostanzialmente a quella riportata in NHC IV,1,1-49,28.
Utilizzo la traduzione italiana del testo copto di F. Berno, in L’Apocrifo di Gio-
vanni. Introduzione storico-critica. Con una nuova traduzione italiana del testo
copto, Carocci, Roma 2019, confrontata con la tradizione inglese a cura di J.M.
Robinson, in The Nag Hammadi Library in English, Brill, Leiden-New York-
Köln 19964, 105-123. Eccezion fatta per l’Elenchos attribuito a Ippolito, i testi
gnostici trasmessi dagli eresiologi protocattolici saranno citati nell’edizione e
nella traduzione a cura di M. Simonetti, Testi gnostici in lingua greca e latina,
Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 237

so da Sophia228. Occorre, seppure brevemente, ripercorrere le tappe della


teofania sulle acque e dell’origine sdoppiata di Adamo.
1) In seguito alla caduta di Sophia al di fuori del pleroma, viene generato
Jaldabaoth, suo figlio abortivo, «un’opera imperfetta» (10,4). Questi crea il
mondo, esaltandosi per la sua potenza: le più note autoproclamazioni mono-
teistiche del Dio veterotestamentario vengono attribuite all’Arconte come
prova della sua autistica arroganza. 2) Conseguentemente, Sophia «si pentì»
(13,23), «si pentì con molto pianto e l’intera Pienezza sentì le invocazioni
della sua penitenza» (13,36-14,1). 3) Commosso dal pentirsi di Sophia, l’in-
tero pleroma invoca «lo Spirito invisibile e virginale», perché riversi la sua
grazia su di lei: mediante il pleroma, discende su Sophia il dono dello Spirito
Santo, che la redime, riconciliandola con il pleroma divino. 4) Contempo-
raneamente, «una voce venne dal glorioso eone celeste: “Esiste l’Uomo e
il Figlio dell’Uomo”» (14,13-15). 5) Insieme con la voce, dal pleroma il
«Padre del tutto…, il Primo Uomo insegnò loro, rivelando la propria Imma-
gine» (14,19-24). 6) La sublime teofania pleromatica si compie, pertanto,
come apocalisse di un’immagine d’Uomo di Luce, che si riflette nelle acque,
con effetto stupefacente e destabilizzante nei confronti dell’inferiore ordi-
ne arcontico229. 7) Il Primo Arconte reagisce, dicendo agli arconti/potenze a
lui inferiori: «Andiamo, creiamo un uomo ad immagine di Dio [dell’Uomo
di Luce] e secondo la nostra somiglianza, così che la sua immagine possa
diventare luce per noi» (15,2-4). Il tentativo è quello di impadronirsi della
potenza eccedente dell’Uomo divino tramite una sua immagine creata, di
natura però inferiore, proprio perché demiurgica creatura psichico-ilica. 8)
Ma il Padre pleromatico e la Madre extrapleromatica decidono di recuperare
la potenza spirituale decaduta di Sophia, concentrandola nella nuova creatura
arcontica: suggeriscono quindi all’Arconte di vivificare il corpo psichico da
lui creato, soffiando in lui il “suo” spirito, coincidente con la potenza spiri-
tuale dispersa di Sophia e nell’Arconte soltanto transitata. Adamo, immagine

228 Per un’analisi del teologumeno gnostico della teofania sulle acque e per un’in-
terpretazione che ne identifica la scaturigine nella retroproiezione antropogoni-
ca della teofania del battesimo di Gesù al Giordano, cf. G. Lettieri, La teofania
sulle acque: il fondamento cristologico del mito gnostico, in «Cassiodorus» 1,
1995, 151-165; cf. le intelligenti osservazioni di F. Berno, L’Apocrifo di Giovan-
ni…, Introduzione, par. 7.2: «La genesi del battesimo ed il battesimo che diviene
Genesi».
229 «E l’intero eone del primo arconte tremò e le fondazioni dell’abisso si mossero.
E dalle acque che erano sotto la materia, la superficie si illuminò dell’apparenza
della sua immagine, che era stata rivelata. E quando tutte le potestà e il primo
arconte guardarono, videro l’intera regione di sotto illuminarsi e, attraverso la
luce, videro nell’acqua la forma dell’immagine» (15,24-34).
238 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

ilico-psichica dell’Uomo di Luce, viene così a ricevere in sé la sostanza spi-


rituale alienatasi da Sophia e rivela di avere conoscenza, intelligenza e forza
eccedenti rispetto a quelle del primo Arconte. Questi avvia, pertanto, la sua
opera di persecuzione dell’Adamo “divino” immagine dell’Uomo di Luce,
mentre Sophia e il pleroma cominciano ad operare per salvare la filialità
adamitica e ricondurla nel pleroma230.
Mi pare risulti evidente la dipendenza del mito fondativo della teofa-
nia sulle acque dal Prologo giovanneo, in particolare da Gv 1,5: la disce-
sa dell’uomo di Luce, dell’immagine del Primo Uomo, quindi del Figlio
dell’Uomo è caratterizzata da un tentativo ostile e di fatto vano delle potenze
inferiori di afferrarlo e impadronirsene. Riconoscibilissima è la struttura teo-
fanico-battesimale del mito preposto alla spiegazione dell’origine d’Adamo,
che attesta un vero e proprio incrocio tra tradizioni sinottiche, ritrattazio-
ne dell’interpretazione paolina del battesimo come nuova creazione nello
Spirito e retroproiezione giovannea del battesimo in Spirito, reinterpretato
come teofania del Figlio dell’Uomo che è Luce. La discesa dal pleroma del-
lo Spirito Santo e della voce binitaria – che pronuncia il nome del Padre
(l’Uomo) e del Figlio (il Figlio dell’Uomo) –, preceduta dal pentimento di
Sophia, ricorda la sinottica successione tra predicazione del Battista e teofa-
nia redentiva del Figlio prediletto; la manifestazione del Figlio dell’Uomo/
Immagine di Luce, connessa alla discesa dello Spirito, ricorda la teofania al
Giordano di Giovanni; l’interpretazione dualistica della creazione dell’uomo
ilico-psichico cui è contrapposta l’“escatologica” genesi celeste dell’“ultimo
Adamo”, pneumatico perché colmato dello Spirito divino, dipende dalla
retroproiezione protologica dell’interpretazione paolina del battesimo, in-
terpretato come cristica incorporazione dell’uomo “naturale”, appunto psi-
chico-ilico, nel Figlio/Spirito che viene dal cielo, quale Gloria e Volto del
Padre. Inoltre, è da sottolineare come alla teofania del Figlio dell’Uomo che
è Luce e Logos binitario venga contrapposto il vano tentativo di resistenza
e afferramento delle potenze mondane, restituite quali “tenebre” arcontiche.
Significativo, infine, è rintracciare lo stesso nucleo generativo anche nella
descrizione che precedentemente ApGv 4,19-5,24 propone della teogonia del
pleroma spirituale: persino in questo caso, il modello genetico della superfe-
tazione mitopoietica è, di fatto, quello del battesimo di Cristo come teofania
luminosa e processione del Logos/Uomo con lo Spirito nell’intimità stessa
di Dio. Limitandoci al raffronto con il IV vangelo, certo emerge con tutta
evidenza quello che Giovanni cerca di nascondere, ma che ai suoi esegeti
gnostici appare ancora del tutto evidente: la teofania della Luce protologica

230 Cf. ApGv 19,15-20,9.


G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 239

ed escatologica dell’Unigenito, generatrice del seme spirituale, avviene sulle


acque, è cioè una superfetazione della sdoppiata restituzione del battesimo al
Giordano come fotofania redentiva.
Struttura simile a quella dell’ApGv ritroviamo nella notizia sui barbelo-
gnostici trasmessaci da Ireneo, Adversus haereses I,30,1, quando si de-
scrive la generazione intratrinitaria del Figlio Salvatore. Il Padre, «primus
homo», insieme con il Figlio preesistente, «secundus homo», esultando

super formositate Spiritus, hoc est Foeminae et illuminante eam, generavit ex


ea Lumen incorruptibile, tertium masculum, quem Christum vocant, Filium
Primi et Secundi Hominis et Spiritus Sancti Primae Foeminae.

Il Figlio Cristo, il Terzo Uomo che è Figlio dell’Uomo (il Primo) e del
Figlio dell’Uomo (il Secondo), è, quindi, definito «Lumen incorruptibile»!
Ritroviamo il mito gnostico della caduta della Secunda Foemina, Sophia
Prunicos, causa della generazione defettiva di Ialdabaoth, cui consegue la
penitenza e la rivelazione binitaria di Sophia, quindi la creazione dell’uo-
mo ad immagine, la persecuzione demiurgica di Adamo ed Eva; infine,
la notizia ireneana si concentra sul mistero della redenzione. Al Giordano
discende Cristo «Lumen incorruptibile» e con lui l’«universa humectatio
luminis» (AdvHaer I,30,12), che si uniscono con l’uomo Gesù, seppure
concepito miracolosamente dalla vergine Maria, quindi non nato natural-
mente da Giuseppe e Maria. La Luce redentiva del Figlio è quindi identifi-
cata con lo stesso Spirito vivificante, dono del Figlio del quale partecipano
gli spirituali eletti. Anche in questo caso, il mito teologico gnostico pare
dichiarare quello che in Giovanni era in parte implicito: l’incarnazione al
Giordano è la katabasis nell’uomo Gesù della Luce primordiale, quindi
dello stesso Spirito di grazia, con il quale si identifica il seme eletto.
Ma passiamo ai testi gnostici di tradizione valentiniana. Anche i tolome-
ani identificano con «la Luce» Cristo a tutti i suoi livelli rivelativi, quale
a) il Figlio Unigenito/Logos della prima ogdoade231, b) il Cristo redentore
della Sophia infrapleromatica, c) il Salvatore/Frutto comune del pleroma,
generato per essere inviato al di fuori del pleroma quale redentore della
Sophia extrapleromatica, chiamata Achamoth, proprio in quanto abban-
donata nelle tenebre del kenoma dalla Luce cristica che aveva redento la

231 «Dicono che la loro Madre, essendo passata per tutta la passione ed essendone
uscita fuori a stento (Διοδεύσασαν οὖν πᾶν πάθος τὴν ητέρα αὐτῶν, καὶ μόγις
ὑπερκύψασαν), si volse a supplicare la luce che l’aveva abbandonata, cioè Cristo
(ἐπὶ ἱκεσίαν τραπῆναι τοῦ καταλιπόντος αὐτὴν φωτὸς, τουτέστι τοῦ Χριστοῦ,
λέγουσιν)» (Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,4,5).
240 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

prima Sophia232. Occorre pertanto dettagliare l’interpretazione tolomeana


del Prologo, riportataci da Ireneo233, proprio per la sua rilevanza storica,
trattandosi della prima sistematica interpretazione speculativa del testo
giovanneo. Tolomeo afferma sinteticamente:

Il Salvatore… Frutto di tutto il pleroma… lo ha definito Luce che risplende


nelle tenebre e non viene compresa da queste (Gv 1,5) (φῶς εἴρηκεν αὐτὸν τὸ
ἐν τῇ σκοτίᾳ φαινόμενον, καὶ μὴ καταληφθὲν ὑπ›αὐτῆς)… E lo definisce Figlio
Verità e Vita e Logos divenuto carne di cui abbiamo visto la gloria ed era la
sua gloria quale quella dell’Unigenito, data a lui dal Padre, piena di grazia e
di verità.234

L’intero Prologo, sin da 1,5, viene pertanto interpretato in riferimento al


Salvatore/ αρπός, cioè al Cristo generato da tutto il pleroma per incarnarsi
nel mondo e redimere la Sophia decaduta al di fuori del pleroma. Comunque,
l’incarnazione è già anticipata nell’intimo, protologico segreto pleromatico:
nell’ogdoade primordiale, infatti, la terza sizigia Logos/Vita, figura del Sal-
vatore/ αρπός è eternamente “incarnata” nella quarta sizigia Uomo/Chiesa,
figura della Sophia patiens espulsa dal pleroma, quindi peccatrice, ma re-
denta e riportata nel pleroma quale sua carne mistica, quindi come madre
e ricapitolazione di tutti gli gnostici/pneumatici235. Infatti, nella cristologia
incarnazionistica gerarchicamente rifratta che governa il mito tolomeano, era
stata la visione della luce di Cristo, mediata dagli angeli, ad avere determi-

232 Cf. Grande notizia tolomeana in Ireneo, I,8,2.


233 Cf. Interpretazione tolomeana del Prologo giovanneo, in Ireneo, AdvHaer I,8,5-6.
234 Interpretazione tolomeana del Prologo giovanneo, in Ireneo, AdvHaer I,8,6.
235 «Questo dice anche Paolo: “Tutto ciò che è manifestato è luce (Πᾶν γὰρ τὸ
φανερούμενον φῶς ἐστιν)”. Pertanto la Vita, avendo manifestato e genera-
to (ἐφανέρωσε καὶ ἐγέννησε) l’Uomo e la Chiesa, è detta Luce di questi (φῶς
εἰρῆσθαι [εἴρηται] αὐτῶν)» (Interpretazione tolomeana del Prologo giovanneo, in
Ireneo, AdvHaer I,8,5-6). La carne di Sophia è la totalità del seme luminoso degli
eletti; cf. i valentiniani Excerpta ex Theodoto trasmessici da Clemente Alessandri-
no: «”Padre”, disse Gesù, “nelle tue mani rimetto il mio Spirito” (Lc 23,46). L’e-
lemento carnale che, dice [Teodoto], Sophia ha emesso per il Logos (ὅ προέβαλε
σαρκίον τῷ όγῳ ἡ Σοφία), cioè il seme spirituale (τὸ πνευματικὸν σπέρμα), aven-
dolo rivestito il Salvatore è disceso. Perciò nella passione rimette Sophia al Padre
per riceverla dal Padre e non essere trattenuto qui da quelli che hanno il potere di
spogliare. Così con le parole sopra riportate egli rimette tutto il germe spirituale,
cioè gli eletti (πᾶν πνευματικὸν σπέρμα, τοὺς ἐκλεκτούς, παρατίθεται). Chiamano
il seme eletto anche scintilla vivificata dal Logos (σπινθῆρα ζωοποιούμενον ὑπὸ
τοῦ όγου) e pupilla dell’occhio (κόρην ὀφθαλμοῦ)» (ExcTh 1,1-3).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 241

nato l’emissione del seme spirituale informe e femminile di Sophia236. Nella


retroproiezione del battesimo di luce paolino (che incorporava nel mortale e
peccaminoso corpo psichico dell’uomo terreno lo Spirito vivificante e divi-
nizzante di Cristo Risorto, ultimo Adamo che viene dal cielo), il mito gno-
stico riporta l’elettiva preesistenza degli gnostici eletti alla protologica gene-
razione del seme pneumatico da parte di Sophia237; sicché l’incarnazione del
Salvatore avrà la funzione di risvegliarli alla loro intima essenza divina, alla
loro luminosa natura pneumatica, illuminando la luce che già è in loro, e non
quella di farla in loro avvenire escatologicamente, quale dono soprannaturale
dello Spirito di Cristo risorto. Detto altrimenti, l’evento storico del battesimo
pneumatico viene retroproiettato in protologica teofania della luce, in gene-
razione cristica dell’uomo spirituale come preesistente uomo di luce.
Insomma, Tolomeo interpreta l’avvento luminoso del Figlio Logos qua-
le Vita che è Luce degli uomini eletti (cioè della Chiesa che è Sophia),
come eterna generazione teogonica, quindi come eterna incarnazione di
Dio nell’uomo, che, nella prima ogdoade/radice del pleroma, struttura la
stessa articolazione trinitaria (prima tetrade) e incarnazionistico-redentiva
(seconda tetrade) del Dio “trinitario” rivelato da Gesù: il Figlio Logos del
Padre, che eternamente viene grazie allo Spirito di Vita. Dio in se stesso
è protologica apocalisse del vangelo della Luce, che viene poi dispiegato
storicamente:

236 Cf. Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,4,5, ove il seme spirituale è
generato dalla Sophia extrapleromatica dopo la visione della Luce del Salvatore/
Frutto comune del pleroma e dai suoi angeli: «Quanto ad Achamoth, [i valenti-
niani] insegnano che, liberata dalla passione (ἐκτὸς πάθους γενομένην), ebbe la
visione con la gioia che le veniva dalle luci che erano con lui (συλλαβοῦσαν τῇ
χαρᾷ τῶν ἐν αὐτῷ φώτων τὴν θεωρίαν), cioè degli angeli che erano con lui, e,
diventata incinta da parte loro, partorì frutti ad immagine (κεκυηκέναι καρποὺς
κατὰ τὴν εἰκόνα), un prodotto spirituale nato a somiglianza degli accompagnatori
del Salvatore (κύημα πνευματικὸν καθ’ ὁμοίωσιν γεγονότως τῶν δορυφόρων τοῦ
Σωτῆρος)»; ricordo che gli angeli di luce saranno i compagni escatologici di sizi-
gia degli intelletti gnostici, generati alla loro vista da Sophia. Cf. I,5,6.
237 In Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,5,6, il seme spirituale emesso
da Sophia e introdotto nell’Adamo ilico-psichico dal Demiurgo nascostamente
manovrato dalla Madre, è la chiesa stessa, immagine della Chiesa superiore,
ultimo eone dell’ogdoade primordiale: «Sfuggì al Demiurgo l’uomo spirituale,
seminato insieme col suo soffio da Sophia con misteriosa potenza e provvidenza.
Infatti come egli [il Demiurgo] ignorava la Madre, così anche il suo seme; e di-
cono che questo è la Chiesa, immagine della Chiesa superiore». Sull’evoluzione
dell’antropologia spirituale da Paolo agli gnostici, sino a Origene e Agostino, cf.
G. Lettieri, L’ultimo nel primo….
242 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

Poiché [l’autore del Prologo] ha aggiunto: “E la vita era la luce degli


uomini” (Gv 1,4), nominando l’Uomo, insieme con l’Uomo con lo stesso nome
ha manifestato anche la Chiesa, per mostrare con un sol nome la comunanza
della sizigia: infatti dal Logos e dalla Vita nascono Uomo e Chiesa. Ha definito
la Vita luce degli uomini perché essi sono illuminati da lei, cioè sono formati e
manifestati (Φῶς δὲ εἶπε τῶν ἀνθρώπων τὴν Ζωὴν, διὰ τὸ πεφωτίσθαι αὐτοὺς
ὑπ’ αὐτῆς, ὃ δή ἐστι μεμορφῶσθαι καὶ πεφανερῶσθαι). Questo dice anche
Paolo: “Tutto ciò che è manifestato è luce (Πᾶν γὰρ τὸ φανερούμενον φῶς
ἐστιν)” (Efes 5,14).238

Si compie, così, la retroproiezione giovannea della discesa escatologica


del Figlio dell’Uomo al Giordano in generazione precosmica del Logos
di Luce dal Padre: se il Prologo chiamava in causa Gen 1,3 per innalzare
l’identità del Figlio, comunque mantenendo la teofania nell’ambito storico
dell’incarnazione escatologica, il testo valentiniano ormai pensa – con il
principio dell’ontologico esemplarismo inverso che è il culmine della re-
troproiezione giovannea dell’escatologico nel protologico – la stessa pro-
tologia come eterna fotofania redentiva, quindi come intradivine venuta e
incarnazione del Figlio nella “carne” dell’umanità eletta.
Anche la notizia dell’Elenchos “ippoliteo” su Basilide risulta fortemente
dipendente dal IV vangelo, proprio nel suo presentare generazione e incarna-
zione della Luce redentiva. Sorvolando sull’esegesi basilidiana del Fiat Lux
di Gen 1,3, interpretato tramite Gv 1,9239, è di grandissimo interesse la resti-
tuzione criptica della fotofania al Giordano, che attesta, nel senso contrario
di quanto avverrà nella tradizione protocattolica (che colloca l’incarnazione
del Logos nel seno di Maria), una ritrattazione giovannea della stessa notizia
lucana della soprannaturale generazione di Gesù nella vergine. Questa viene
di fatto traslata al Giordano, quando risplende la Luce divina che discende su
«il Figlio di Maria», cioè sull’uomo Gesù, adombrandolo240. Inoltre, analo-
gamente a quanto avviene nel Prologo e nell’intero IV vangelo, il battesimo
di Gesù non è apertamente citato, pur risultando evidente che l’incarnazione

238 I Interpretazione tolomeana del Prologo giovanneo, in Ireneo, AdvHaer I,8,5.


239 Cf. Notizia basilidiana in “Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, VII,22,3-4,
qui citata nell’ed. del testo greco e nella tr. italiana a cura di A. Magris, Morcellia-
na, Brescia 2012.
240 Cf. Notizia basilidiana, in “Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, VII,26,8:
«Orbene la Luce, che era scesa dall’alto dall’Ogdoade sul Figlio dell’Ebdomade,
scese dall’Ebdomade su Gesù, figlio di Maria, ed egli fu illuminato, infiammato
dalla Luce che brillò su di lui. Ecco – secondo lui – il significato della frase scrit-
turale: “Lo Spirito Santo scenderà su di te”, cioè dalla “seconda” filialità passando
per lo Spirito intermedio sull’Ogdoade e sull’Ebdomade, arrivando fino a Maria,
“e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà” (Lc 1,35)».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 243

redentiva della Luce avviene presso il Giordano241. Che per Basilide l’incar-
nazione storica si dia al Giordano e non nel seno di Maria è confermato dalla
moltiplicazione della fotofania redentiva, che è rivelazione del Figlio/Logos
pleromatico (la «seconda filialità» pleromatica, il Cristo/Salvatore, distinto
dalla «prima filialità», che è l’intelletto del Padre), che invia la sua luce quale
«vangelo», interpretato come illuminazione di gnosi, che raggiunge prima il
primo Arconte, quindi il secondo Arconte, entrambi ammaestrati dai loro “Fi-
gli”, figure “psichiche” del Cristo pleromatico242. Infatti, la rivelazione della
Luce determina timore, penitenza e confessione del peccato243, in analogia
non soltanto con la connessione canonica tra penitenza e battesimo/teofania
al Giordano, ma anche con quanto, nella “battesimale” teofania sulle acque,
avveniva nell’Apocrifo di Giovanni, seppure riferito a Sophia e non al primo e
al secondo Arconte. Il rapporto tra fotofania e penitenza è, quindi, chiaramen-
te allusivo della teofania al Giordano dopo la predicazione di conversione del
Battista, seppure è del tutto cancellato il riferimento al battesimo.
Assumendo una collocazione singolare tra gli scritti di Nag Hammadi,
La testimonianza veritiera244 è caratterizzata da un rigoroso ascetismo, quin-
di dal rifiuto della sessualità e dalla polemica contro il battesimo d’acqua,
considerato materiale, contaminante e contrapposto al battesimo spirituale,
interpretato come rigorosa rinuncia al mondo245. Ebbene, l’opposizione tra la
gnosi di luce e la concupiscenza tenebrosa è sceneggiata al Giordano, tramite

241 È questa l’interpretazione proposta da A. Orbe, Cristología gnóstica, I,335-337;


A. Orbe, El diácono del Jordán en el sistema de Basílides, in «Augustinianum»
13, 1973, 165-183; e da A. Magris, in “Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie…,
263, n. 52: «Qui si allude all’illuminazione di Gesù durante il suo battesimo nel
Giordano». In realtà, il testo basilidiano, come si è detto, non fa esplicito riferi-
mento al battesimo al Giordano.
242 Cf. Notizia basilidiana in “Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, VII,26,1-6.
243 «Il vangelo venne prima dalla seconda filialità all’Arconte per mezzo del Figlio
che gli sedeva accanto: allora l’Arconte apprese di non essere lui il Dio di tutte le
cose…, così si convertì e fu preso da timore, comprendendo in quale ignoranza
si trovava… Pertanto l’Arconte, una volta istruito, reso edotto e preso da timore,
confessò il peccato che aveva fatto esaltando se stesso. A ciò si riferisce, secondo
lui, il detto: “Ho conosciuto il mio peccato e conosco la mia iniquità, per questa
mi pentirò nei secoli”… Ma il vangelo doveva ancora giungere all’Ebdomade»
(“Ippolito”, Confutazione di tutte le eresie, VII,26,1 e 3-4). «Il Figlio dell’Arconte
dell’Ebdomade fu illuminato e annunciò il vangelo dell’Arconte dell’Ebdomade
sicché anche questo qui fu preso da timore e confessò il peccato» (VII,26,5). Evi-
denti le corrispondenze con l’Apocrifo di Giovanni.
244 La testimonianza veritiera=NHC, IX,3,29,6-74,30, qui citata nella tr. it. di C. Gia-
notto, La testimonianza veritiera, Paideia, Brescia 1990.
245 Cf. La testimonianza veritiera, 69,7-32.
244 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

la radicale contrapposizione tra Cristo Figlio dell’Uomo/Luce e Giovanni


Battista Arconte dell’Utero/Tenebra/materiale acqua contaminante:

Il Figlio dell’Uomo [è venuto] dall’Incorruttibilità, [restando] estraneo


alla contaminazione. Scese nel mondo al fiume Giordano e subito il Giordano
rifluì indietro. E Giovanni rese testimonianza alla [discesa] di Gesù. Fu il solo,
infatti, a vedere la [potenza] scendere sopra il fiume Giordano; e riconobbe
che il dominio della procreazione carnale era ormai terminato. Ora, il fiume
Giordano è la potenza del corpo, vale a dire le sensazioni dei piaceri. L’acqua
del Giordano, invece, è la concupiscenza del rapporto sessuale; Giovanni,
infine, è l’arconte dell’utero.246

Il testo è del massimo interesse, perché presuppone una lettura del IV


vangelo, seppure dualisticamente forzata: Gesù non risulta affatto battezzato
da Giovanni, ma la discesa del Figlio dell’Uomo, identificato con il Logos
di Luce, è collocata proprio al Giordano, malgrado questo sia interpretato
come fiume della concupiscenza materiale, quindi del potere contaminante
della sessualità247. Ebbene, il Giordano si ritrae dinanzi alla manifestazio-
ne del Figlio rivelatore/redentore, che, a differenza del IV vangelo, non ha
un autentico rapporto con la carne dell’uomo. Comunque, proprio come in
Gv, il Battista è l’unico che al Giordano vede la rivelazione escatologica del
Figlio della Luce, distruttore del potere della tenebra, seppure qui egli non
collabori all’opera di redenzione, ma sia designato quale antitetico Arconte
dell’utero, araldo della logica della Legge (che prescrive il matrimonio e la
propagazione carnale), oltre che battezzatore tramite l’impura acqua battesi-
male, sacramento contaminante della concupiscenza materiale.

c) Il battesimo come partecipazione alla Luce teofanica in Clemente


d’Alessandria. Di grande interesse è, infine, un testo protocattolico, certo
di un secolo più tardo rispetto al IV vangelo, ma che è in grado di restituir-
ci un’interpretazione originale di alcuni versetti del Prologo, testimonian-
do come la teofania dello Spirito venisse interpretata come manifestazione
dell’Uomo/Luce, quindi come partecipazione battesimale al perfetto Uomo
ad immagine e somiglianza, identificato con lo stesso Logos preesistente.
Si tratta di un passo del Pedagogo di Clemente d’Alessandria, dedicato
all’intelligenza “gnostica”, ma in senso protocattolico, del battesimo:

246 La testimonianza veritiera, 30,17-31,4.


247 La testimonianza veritiera si apre con il riferimento al mitologumeno enochico
del peccato sessuale degli angeli vigilanti con le donne: cf. 29,15-18.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 245

Battezzati, noi siamo illuminati (βαπτιζόμενοι φωτιζόμεθα); illuminati,


siamo adottati come figli (φωτιζόμενοι υἱοποιούμεθα); adottati come figli
siamo fatti perfetti (υἱοποιούμενοι τελειούμεθα), divenuti perfetti riceviamo
l’immortalità (υἱοποιούμενοι τελειούμεθα)… Questa operazione (ἔργον τοῦτο)
è denominata in molti modi: dono, illuminazione, perfezione, lavacro (χάρισμα
καὶ φώτισμα καὶ τέλειον καὶ λουτρόν )… Appena noi abbiamo toccato le
frontiere della vita siamo perfetti (ἄρα οἱ πρῶτον ἀρξάμενοι τῶν ὅρων τῆς ζωῆς
ἤδη τέλειοι) e viviamo già, noi che siamo stati separati dalla morte. È salvezza
infatti seguire Cristo: “Ciò che è stato fatto in lui, è vita” (Gv 1,3)… E uno,
solo che sia stato rigenerato, come indica la parola stessa, illuminato, subito è
liberato dalla tenebra (φωτισθεὶς ἀπήλλακται μὲν παραχρῆμα τοῦ σκότους) e
per questo stesso fatto ha ricevuto la luce (ἀπείληφεν δὲ αὐτόθεν τὸ φῶς)…
Noi che siamo stati battezzati, liberatici dai peccati che come nebbia facevano
ostacolo allo Spirito divino, abbiamo libero e senza ostacoli e lucido l’occhio
dello spirito per mezzo del quale solamente vediamo il divino, perché dal cielo
si riversa su di noi lo Spirito Santo (οὐρανόθεν ἐπεισρέοντος ἡμῖν τοῦ ἁγίου
πνεύματος) (cf. Gv 1,32-34). Questa è una mescolanza di splendore eterno
che può vedere la luce eterna (κρᾶμα τοῦτο αὐγῆς ἀιδίου τὸ ἀίδιον φῶς ἰδεῖν
δυναμένης), poiché il simile è caro al suo simile e ciò che è santo è caro a ciò da
cui viene la santità, mescolanza la quale propriamente è chiamata luce (φῶς):
“Un giorno eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Efes 5,8) e per questo,
penso, l’uomo riceveva dagli antichi il nome di luce (Ἐντεῦθεν τὸν ἄνθρωπον
ὑπὸ τῶν παλαιῶν ἡγοῦμαι κεκλῆσθαι φῶτα). Ma – dicono – non ha ancora
ricevuto il dono perfetto. Ne convengo anch’io, ma è nella luce (ἐν φωτί ἐστιν
) e “la tenebra non lo afferra” (καὶ τὸ σκότος αὐτὸν οὐ καταλαμβάνει Gv 1,5) e
non c’è niente di mezzo tra luce e tenebre.248

Il sacramento battesimale è esperienza di illuminazione, recezione dello


Spirito che discende dal cielo, accoglimento del dono della vita eterna, in-
troduzione e visione della Luce assoluta del Figlio Dio, separazione dalle
tenebre che non riescono ad afferrare la salvifica donazione di luce che salva
l’uomo, identificato (con il gioco di parole tra φῶς e φώς) con la stessa luce,
di cui partecipa ricevendo lo Spirito del Figlio, Uomo/Luce, che dona la vita
celeste, cioè la libertà dalla mondanità mortale e peccaminosa. Analogamen-
te, Clemente in Eclogae propheticae 1-8 interpreta l’iniziazione battesimale
tramite riferimenti sistematici a Gen 1,1-7: in questa prospettiva di traslazio-
ne dal protologico al dono escatologico, mediato dal battesimo, la Genesi
è figura del Prologo, letto integralmente come testo soteriologico, piuttosto
che protologico, sicché sia la vita fatta nel Logos, che la Luce che risplende
nelle tenebre, sono restituiti come eventi di liberazione spirituale.

248 Clemente d’Alessandria, Pedagogo I,VI,26,1-2; 27,1; 27,3; 28,1-3.


246 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

L’esistenza di una consistente e persistente tradizione teologica primi-


tiva che colloca al Giordano la discesa di una Luce celeste in occasione
del battesimo di Gesù, con il quale avverrebbe l’incarnazione del Figlio
celeste o del suo Spirito/Potenza in Gesù, è una verifica strategica dell’i-
potesi avanzata in questo saggio. Tanto più se “la Luce” si presenta antro-
pomorficamente, come (Figlio dell’)Uomo celeste che manifesta la Gloria
di Dio. L’influenza del “proto-apocalittico” Ezechiele 1,26-28 risulta, in
proposito, della massima importanza: sul trono di Dio, il veggente scorge
il suo kabod, la sua gloria:

Una figura dalle sembianze umane (ὁμοίωμα ὡς εἶδος ἀνθρώπου)… Tale mi


apparve l’aspetto della gloria del Signore (αὕτη ἡ ὅρασις ὁμοιώματος δόξης
κυρίου).

In un suo notevole saggio, Gilles Quispel, che pure non si dedica all’a-
nalisi del IV vangelo, fa dipendere dal testo di Ezechiele sia (deutero-)
Isaia 40, 5, sia un decisivo passo dal Libro delle parabole dell’etiopico
Enoc 46,1-5249: nel primo è annunciato l’avvento messianico de «la gloria
del Signore»; nel secondo, accanto a Dio, appare un essere «con le sem-
bianze di uomo», che viene identificato con «il Figlio dell’Uomo», giudice
escatologico. Ebbene, se nel Prologo il Logos incarnatosi nell’uomo Gesù
è ripetutamente identificato con Gloria e Luce, in Gv 1,49-51 il messianico
Figlio di Dio è esplicitamente chiamato «il Figlio dell’Uomo», che ritratta
in sé Giacobbe/Israele, sul quale salgono e scendono gli angeli del cielo,
rivelando finalmente dischiusa «la porta del cielo» (cf. Gen 28,10-17).
La peculiarità del Prologo giovanneo starebbe, allora, nella ricapitola-
zione nell’Unigenito preesistente di molteplici figure di mediazione della
tradizione teologica ebraica, in particolare apocalittica, comunque a partire
dalla singolarissima retroproiezione del trauma “dualistico” di Gesù mes-
sia crocifisso nell’intima natura di Dio.

249 Cf. G. Quispel, Ezekiel 1:26 in Jewish Mysticism and Gnosis, in «Vigiliae Chri-
stianae» 34, 1980, 1-13, in part. 2-3: «These Jews theologians identify the Power
issuing from God with the Glory and with the Anthropos; it is clear that they have
the vision of Ezekiel in mind... This Glory of God was called the “creator in the
beginning” or “the body of the Shekhinah”… And the kabod was identified with
the beloved of the Song of Songs». Quispel, inoltre, fa risalire a queste eterodosse
speculazioni “mitico-sapienziali” ebraiche precristiane non soltanto la nozione
filoniana di Logos, ma anche quella gnostica di Anthropos, prefiloniana e precri-
stiana. Infatti, da questa tradizione Quispel fa dipendere la stessa identificazione
paolina tra Cristo e l’Uomo Immagine, Potenza e Sapienza di Dio, Spirito vivifi-
cante: cf. 7-13.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 247

Conclusione

Si è restituito il Prologo giovanneo come principio storico-narrativo del


IV vangelo, seppure speculativamente reduplicato quale principio proto-
logico-creativo: esso è la solenne presentazione della teofania al Giorda-
no quale nuova Genesi, apocalisse che disvela l’intimo ed eterno segreto
“binitario” di Dio. Il principio, pertanto, è escatologicamente ritrattato a
partire dalla rivelazione della fine, che è il vangelo estatico del Figlio. Alla
teofania escatologica assiste Giovanni, il deuteragonista del Prologo, co-
munque “diminuito” da sinottico battezzatore mediatore (reale o simboli-
co) dello Spirito, a principale “testimone” della teofania dell’Unigenito,
che è la Luce che lo trascende ontologicamente. Insomma, il battesimo
sinottico di Gesù è nel Prologo ripensato come incarnazione in Gesù del
Logos preesistente, vista “in diretta” da Giovanni, sicché la teofania che
questi riferisce in Gv 1,32-34 è da interpretare come mero flashback. Di
conseguenza, si è cercato di dimostrare come tutti i riferimenti cronologici
della prima settimana della missione di Gesù, presentata quale avvio della
ri-creazione redentiva, presuppongano il darsi della teofania al Giordano
nel “primo giorno” del Logos incarnato, di cui il Prologo descrive al tempo
stesso il principio precosmico e il principio storico.
Dixit Deus: “Fiat lux” (Gen 1,3). La Luce principale e creativa è genera-
ta dal parlare di Dio, sicché il Figlio/Logos è il “dire” vivente di Dio, la ma-
nifestazione irradiante del Padre. Il Fiat Lux della creazione viene a coinci-
dere con il Fiat Verbum, con il venire del Figlio/Luce/Vita sia nell’intimità
preesistente di Dio, sia nell’evento storico della discesa dello Spirito al
Giordano, che, secondo un evidente esemplarismo inverso, viene pensata
come la teofania escatologica del mistero protologico, quindi come storico
disvelamento effettuale dell’eterna causa primordiale. Il Prologo è, allora,
l’ultimo approdo di una rapidissima parabola di innalzamento cristologico,
che culmina nella retroproiezione e ritrattazione del battesimo teofanico al
Giordano nella protologica intimità di Dio: la voce celeste diviene Logos
preesistente, l’escatologico Figlio prediletto diviene il coeterno Unigenito
del Padre, la luce messianica diviene Luce eterna di Dio, lo Spirito disceso
sulle acque diviene creativa e ricreativa Vita divinizzante.
Questo significa che, in una prospettiva storico-genetica, nel Prologo gio-
vanneo l’elemento eventuale precede, ridefinisce, governa l’elemento onto-
logico, che pure lo toglie in sé: il Logos non è una mera Parola eterna, un
principio cosmologicamente mediatore, ma è l’evento storico dell’avvento
del Figlio innalzato a manifestazione intima e irrinunciabile di Dio, sicché la
stessa creazione, che il Prologo fa dipendere dal Logos, risulta essere imma-
248 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta

gine della ricreazione escatologica. In Paolo stesso, infatti, l’apocalittica ri-


velazione di Gesù è espressa tramite una reinterpretazione antropologica del
Fiat lux genesiaco, molto probabilmente connesso a una reinterpretazione
battesimale dei passi messianici di Isaia, in particolare della profezia dell’av-
vento del Figlio quale luce messianica, principio, “dio” in Isaia 9,1 e 5.
Eppure, in 2Cor 4,3-6 come in Gv 1,5, la Luce avviene rivelando/respin-
gendo le tenebre, che non la comprendono e l’aggrediscono. Nel Prologo,
pertanto, Gesù confessato come Logos, Luce, Uomo, Gloria, Spirito che
solo dà Vita, porta comunque traccia di un lacerante trauma storico: l’Uni-
genito misconosciuto e messo a morte da “i suoi” diviene per i “giovanni-
sti” irriducibile punto di contraddizione e catastrofe, ma per questo anche
unico, decisivo principio di svelamento della natura estatico/donativa di
Dio, che nello stesso principio non è senza il Figlio. Pertanto, in Giovanni
come in Paolo, l’apparizione della Luce salvifica (protologica ed escatolo-
gica per il primo, soltanto escatologica per il secondo) è anche manifesta-
zione “polemica” del mistero delle tenebre, quindi apocalittica κρίσις, che
oppone il Logos/l’Immagine celeste e il suo corpo d’elezione al mondo e ai
suoi arconti demoniaci, sicché il battesimo nello Spirito è inestricabilmente
connesso non soltanto con la generazione della nuova creatura spirituale,
ma anche – tramite la sconfitta del demonio tentatore operata dal Figlio
dell’Uomo – con la condanna della creazione e dell’Israele terreni, pec-
catori e mortali. Non a caso, seppure con diverse prospettive teologiche,
frammenti di vangeli giudeo-cristiani e varianti dei vangeli canonici, testi
gnostici e protocattolici interpretano la salvifica discesa dello Spirito/del
Figlio sulle acque come redentivo avvento dell’Uomo di Luce o dell’Im-
magine luminosa di Dio nelle tenebre ostili.
Con tutta evidenza, quest’esaltazione di Gesù crocifisso quale preesistente
Luce e Gloria di Dio non può non comportare una singolarissima oscillazio-
ne: l’Agnus Dei qui tollit peccata mundi, divinizzato, corre il rischio di essere
docetisticamente risolto in puro principio teofanico, sicché l’innalzamento,
da tragica esperienza di reiezione, passione, ultima donazione fino alla per-
dita di sé, finisce per essere interpretato come abbacinante e, almeno poten-
zialmente, destoricizzante rivelazione di potere e di dominio, ontologico ed
escatologico. Ma quest’ambiguità – che presto si cristallizzerà nel conflitto
infragiovanneo tra il presbitero e gli anticristi “docetisti” e protognostici – ri-
produce e potenzia, in effetti, lo stesso “circolo vizioso” della rivendicazione
apocalittica, nel quale il logos sensibile al grido delle vittime della storia si
rovescia nell’escatologica violenza della loro “risentita” glorificazione.
Nel Prologo, insomma, principio ontologico-creativo e principio escato-
logico-apocalittico si riflettono l’uno nell’altro. L’apocalisse salvifica, che
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 249

riattualizzava il Fiat lux genesiaco nel Fiat Verbum al Giordano, torna retro-
proiettata nella preesistenza, rivelando l’intima natura di Dio come relazio-
nale: Gesù apocalittico, il messia discepolo del Battista crocifisso e creduto
risorto, è divenuto, nel IV vangelo, l’eterna apocalisse del Padre. Squarciatisi
i cieli presso il Giordano per la katabasis dello Spirito messianico sul Figlio
prediletto, il Veniente risale, malgrado e attraverso l’ostinazione violenta del-
la tenebra, sino al Padre amorosamente estatico, di cui si è rivelato unico
eterno interprete, decisivo e per questo divisivo. Il veggente Giovanni, testi-
mone della discesa dal cielo del Logos di Luce che s’incarna in Gesù, vede il
messia apocalittico quale Figlio Unigenito che da sempre viene dal Padre e
da sempre torna nel suo seno, per scrutarne e rivelarne il mistero.

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