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APOCALISSE
COLLANA
ACCÈNTI
L’accento cade su una parola chiave proponendo oggi riflessioni del passato,
creando connessioni e svelando motivazioni lontane. La nostra speranza:
riproporre testi da leggere col senno di poi per capire meglio il presente.
www.laciviltacattolica.it
© 2018 La Civiltà Cattolica, Roma
I edizione - novembre 2018
SOMMARIO
1 PRESENTAZIONE
Antonio Spadaro S.I.
LA BIBBIA
OPERE
71 «APOCALYPSE NOW»
Virgilio Fantuzzi S.I.
81 «WALL•E»
Antonio Spadaro S.I.
92 «MELANCHOLIA»
Virgilio Fantuzzi S.I.
95 FANTASCIENZA 2018
Giovanni Arledler S.I.
SFIDA POLITICA
***
***
***
Introduzione
4. Cfr G. Ravasi, Vieni, Signore Gesù. Un invito alla speranza nel libro dell’A-
pocalisse, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 1990; C. Mesters, The Hope of the
People who Struggle. The Key to Reading the Apocalypse of St John, Athlone, Theo-
logy Exchange Programme, 1994; J. C. Carvalho, Esperança e resistência em tempo
de desencanto. Estúdio esegético-teológico da simbologia babilónica de Ap 18, Porto,
L’APOCALISSE E IL «SISTEMA TERRESTRE»
Oscurità e difficoltà
La restaurazione universale
dato» (Gv 17,2). Tutto ciò che è dato dal Padre al Figlio si riferisce
ad «ogni essere umano», cioè a tutti gli uomini.
b) Il significato di «tutto» (panta). Nel Nuovo Testamento, il neu-
tro plurale panta (tutto) è usato abbastanza spesso, suscitando il pro-
blema del suo vero significato, poiché in alcuni casi possono nascere
dubbi sull’interpretazione corretta, perché la traduzione «tutti» non
sembra soddisfacente.
L’affermazione evangelica: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio»
(Mt 11,27; cfr Lc 10,22) è fatta in un contesto nel quale si tratta non
di cose ma di persone chiamate a conoscere chi è il Padre e chi è il
Figlio. Secondo tale orientamento sarebbe possibile la traduzione:
«Tutti mi sono stati affidati dal Padre mio». Nondimeno possiamo
chiederci se questa traduzione non restringa troppo la portata del-
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la dichiarazione e se non sarebbe meglio leggere: «Tutta l’opera di
salvezza mi è stata affidata dal Padre mio». Quest’ultima traduzione
suppone che il destino di tutti gli uomini sia stato affidato dal Padre
al Figlio, ma pone l’accento sull’opera.
Nell’episodio dell’arresto, riferito da san Giovanni, «Gesù, co-
noscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece avanti e disse
loro: “Chi cercate?”» (Gv 18,4). Possiamo forse fondarci sulla cono-
scenza che Gesù aveva delle persone per proporre l’interpretazione:
«Gesù, conoscendo tutti coloro che gli venivano incontro, si fece
avanti [...]»? Sarebbe ancora restringere il valore dell’osservazione
dell’evangelista: Gesù conosceva non soltanto coloro che sarebbero
venuti per arrestarlo, ma tutto lo sviluppo degli avvenimenti.
La triplice domanda rivolta a Pietro, dopo la risurrezione, su-
scita come risposta finale: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo»
(Gv 21,17). L’affermazione «tu sai tutto» può forse essere intesa nel
senso della conoscenza delle persone: «Tu conosci tutti gli uomini»?
Sembra piuttosto che Pietro voglia riferirsi alla scienza universale di
Gesù, che comporta la conoscenza del cuore di ognuno.
c) Interpretazione cosmologica di «tutto». In altri testi, «tutto», an-
che quando comporta un riferimento a persone umane, non ha
esclusivamente un significato antropologico. Nel testo di 1 Cor
15,27-28, che comporta cinque volte il vocabolo «tutto», mons. Gi-
IL DESTINO FINALE DELL’UNIVERSO
Maria svolge questa funzione e dà così alla materia, elevata alla con-
dizione superiore di vita divina, una meravigliosa efficacia.
Dopo la fine del mondo, la carne celeste di Cristo non eserciterà
più questa funzione, ma rimarrà senza fine come contributo del-
la materia alla formazione del mondo spirituale. Il supremo grado
di dignità della materia continuerà a verificarsi nell’incorporazione
alla persona di Cristo. Conviene anche porre in luce il valore della
risurrezione finale dei corpi, che ha come primo principio la risur-
rezione di Cristo, e per la quale Maria è un esempio unico, privi-
legiato. I corpi risuscitati assicureranno la permanenza eterna della
materia, proprietà definitiva dell’umanità.
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APOCALISSE: UN MODO DI VIVERE*
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Una parabola sul modo di vivere apocalittico
Entusiasmo apocalittico
Responsabilità apocalittica
Insieme alla gioia spontanea che rompe con il passato grazie alla
spinta dello Spirito (cfr Lc 10,17-22), c’è anche quella più ordina-
ria, ma ugualmente genuina, che fluisce con il ritmo regolare della
vita e del lavoro. Avendo conosciuto l’irruzione del regno di Dio, la
vita di ogni giorno dovrebbe essere vissuta al servizio di Dio, nello
spirito della parabola dei servi diligenti che compiono il loro nor-
male lavoro e obbediscono agli ordini del padrone. Questi servi non
si aspettano ringraziamenti e non pensano di ricevere particolari
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compensi dal loro buon padrone. Eppure questo è ciò che accadrà
nel regno di Dio, come Gesù descrive nella parabola del servo fe-
dele (cfr Lc 12,42-44). Se i servi compiono fedelmente il loro lavoro
anche nel tempo in cui il padrone è assente, quando egli ritornerà
e li troverà al loro posto verranno ricompensati con l’attribuzione
di maggiori responsabilità e saranno ricolmi di gioia. La parabola
dei servi vigilanti va oltre. Verrà un giorno in cui l’attenta vigilan-
za dei servi nel servizio al loro padrone sarà più che ricompensata:
il padrone, al suo ritorno, li farà sedere a tavola e li servirà (cfr Lc
12,35-37).
Per noi che viviamo un tempo finale ma la cui fine non si intra-
vede, lo scopo di queste parabole del servizio — e anche di quella dei
talenti (cfr Mt 25,14-30) — è di inserire e proiettare nella quotidia-
nità del presente la gioiosa anticipazione del futuro. Così facendo,
porteremo nel nostro quotidiano, qui e ora, un tranquillo appaga-
mento e una fiduciosa speranza nel futuro. La gioia nel compiere il
proprio dovere deve essere riconosciuta come un tratto apocalittico
dell’esistenza quotidiana nell’orizzonte escatologico, come possia-
mo desumere dalla parabola della donna che mescola la farina con
il lievito (cfr Mt 13,33)10.
10. Cfr E. Schüssler Fiorenza, Searching the Scriptures, New York, Cross
road, 1998, 521-525.
APOCALISSE: UN MODO DI VIVERE
Spinta apocalittica
sue azioni ha fatto rivivere le Scritture come non era mai avvenuto
prima.
Poiché Gesù ha convinto i suoi discepoli con autorevolezza, essi
vogliono sapere come comportarsi nel Regno divino che egli ha
inaugurato. Quindi Gesù dà loro nuovi precetti di vita che portano
a compimento quelli antichi, e insiste sul fatto che l’ingresso nel Re-
gno dipende da una maggiore fedeltà attiva a tali precetti, fondata
su una comprensione più profonda di quella praticata dalle autorità
religiose (cfr Mt 5,17-20). Perciò egli fa loro riconoscere la massima
espressione apocalittica in questo contesto escatologico. Quando,
ad esempio, un dottore della legge gli chiede che cosa deve fare per
ereditare la vita eterna, la sua risposta è la sorprendente parabola
del buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). Gesù fa capire al dottore
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della legge che la vita eterna dipende non soltanto dall’amore verso
Dio, ma anche dall’amore, dimostrato attivamente, per le persone
bisognose, chiunque esse siano, al di là della consueta divisione tra
amici e nemici.
Anche in molte altre occasioni l’insegnamento di Gesù è sor-
prendente, come nella parabola degli invitati al banchetto di noz-
ze (cfr Lc 14,7-10). Gesù propone un nuovo approccio agli eventi
sociali, che purtroppo è sperimentato soltanto da pochi, semplici
e schietti, che con la loro spontaneità sono impegnati nell’azione
apocalittica. Piuttosto che invitare sempre i parenti e gli amici
ricchi, sarebbe meglio che i padroni di casa pensassero ai poveri e
li accogliessero come ospiti (cfr Lc 14,12-14). Poiché i poveri non
possono ricambiare l’invito, Dio ricompenserà in modo molto
più generoso coloro che li hanno accolti, nell’ultimo giorno, che
tuttavia comincia oggi (cfr Mt 13,16-17; Lc 10,23-24).
Urgenza apocalittica
Raccolto apocalittico
11. Qui non è data la dovuta enfasi, come avviene invece nella splendida de-
scrizione del Regno in D. Ó Murchú, Reclaiming Spirituality, New York, Cross
road, 2000, 147.
12. Cfr la breve parabola del sale (Mc 9,50; Mt 5,13; Lc 14,34-35) nell’interpre-
tazione di C. H. Dodd, Le parabole del regno, Brescia, Paideia, 1970, 132-135.
13. Cfr ivi, 132-139.
APOCALISSE: UN MODO DI VIVERE
Glorificazione apocalittica
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L’Antico Testamento
blues» (ivi). E dunque sono «le parole e la musica» ad aver fatto ciò
che l’argomentazione è stata incapace di fare, scrive Bono: iniziarlo
all’esperienza di Dio (cfr ivi). Forse non ha del tutto torto quando,
ricordando il mondo cinematografico delle vetrate colorate della
chiesa in cui i suoi occhi si immergevano da bambino, afferma che
«il cinema l’hanno inventato i vetrai cristiani […] la luce proiettata
dai colori raccontava la loro storia» (p. 99).
Gli appassionati contributi della scrittrice inglese Antonia Byatt
sul Cantico dei Cantici e dello scrittore afro-americano di religione
buddista Charles Johnson sul libro dei Proverbi chiudono la sezione
dell’Antico Testamento. È Johnson a notare l’importanza di ave-
re una visione della realtà, riconoscendo nei Proverbi una «mappa
ricca di dettagli e meraviglie. Una sveglia eterna» (p. 106) che ci
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ricorda l’importanza di questa visione e la necessità di avere uno
scopo nella vita.
Il Nuovo Testamento
Tre contributi hanno come oggetto il Vangelo di Matteo: lo
scrittore statunitense Francisco Goldman, di madre guatemalteca e
padre ebreo americano; lo scrittore inglese A. N. Wilson e Pier Pa-
olo Pasolini, del quale sono qui ristampati alcuni scritti. I tre scritto-
ri concordano sulla «potenza», sulla intensità e la passione di questo
Vangelo. Tocca a Wilson mettere sull’attenti il lettore: «Rifiutando
questo Vangelo, rifiuterete uno dei libri più straordinari e inquie-
tanti che siano mai stati scritti. E non perché non siete perspicaci,
come potreste pensare, ma perché siete troppo vincolati (come me,
purtroppo) dai limiti dell’immaginazione e non riuscite a vedere
cosa è in grado di fare questo libro» (p. 152 s). Ma è senza dubbio il
contributo di Pasolini a rimanere insuperato, lì dove descrive la sua
emozione per «quel Cristo mite nel cuore, ma “mai” nella ragione»
(p. 143), amato «visceralmente» e capace di rimettere «pericolosa-
mente in ballo – scrive – tutta la mia carriera di scrittore» (p. 148).
Il contributo alla lettura del Vangelo di Marco è affidato soltan-
to al musicista Nick Cave5. Si tratta di uno splendido intervento, nel
quale l’autore si dice come afferrato dal testo biblico. L’Antico Te-
stamento aveva toccato quella parte di sé che «protestava, scalpitava
e sputava al mondo» (p. 161). Marco invece lo affascina perché ha
raccontato storie sulla vita di Gesù «con un’urgenza incredibile, con
una tale intensità narrativa da far pensare a un bambino che raccon-
ta una favola strabiliante, un bambino che prende un episodio dopo
l’altro, come se il mondo intero dipendesse dalla sua storia», tingen-
do «la missione di Cristo con l’abbaglio dell’impellenza. Il Vangelo
di Marco è un acciottolio di ossa, è così crudo, teso e scarno di
particolari che la narrazione si strugge per la malinconia dell’assen-
za» (p. 162 s). Il Cristo di Marco, secondo Cave, è «traboccante di
intensità», «irresistibile» (p. 164).
Il Vangelo di Luca è l’unico affidato a un ecclesiastico, il vescovo
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anglicano Halloway, ma anche allo scrittore spagnolo Ray Loriga,
il quale definisce quello di Luca un Vangelo per cristiani risoluti:
«Non è una promessa, ma un obbligo» (p. 184). Il Vangelo di Gio-
vanni è affidato allo scrittore inglese Blake Morrison e alla scrit-
trice statunitense Darcey Steinke. A dire il vero questi ultimi due
ci sembrano i Vangeli commentati in maniera meno significativa
e, forse, meno pertinente. La stessa mancanza di ispirazione forte
e convincente sembra legare gli interventi sulle Lettere ai Corin-
zi e agli Ebrei, commentate rispettivamente dalle scrittrici inglesi
Fay Weldon e Karen Armstrong. Ci viene da considerare che per
riscoprire, come se fosse nuova, la forza letteraria di un Vangelo
e, soprattutto, per comunicarla in maniera efficace sia necessario
un genio come quello di Pasolini per non rischiare di rimanere sul
generico. L’ispirazione torna nel commento alla Lettera di Giacomo
scritta dal Dalai Lama, nel quale si legge un tentativo riuscito di
accostamento rispettoso e fruttuoso di lettura di un testo sacro da
parte di un credente di un’altra religione, che in questo caso è un
grande leader spirituale. Egli non rinuncia alla fine a offrire il suo
tributo di riconoscenza a Thomas Merton, «che – scrive – mi ha
aperto gli occhi sulla ricchezza della tradizione cristiana» (p. 227).
Chiudono il volume due interventi sull’Apocalisse a firma della
scrittrice statunitense Kathleen Norris e dello scrittore inglese Will
Self, assolutamente diseguali, e dei quali noi preferiamo decisamen-
te il primo. La Norris inizia scrivendo: «Adoro questo libro odioso»
IL SENSO DELLE RISPOSTE
nella sfera del Verbo di Dio fatto carne, nel ciclo della salvezza. Da
questo deriva la dignità e l’importanza del libro in quanto tale6.
Gli approcci letterari alla Bibbia, fortunatamente, sono innu-
merevoli e di vario genere. Certo, però, non è per la sua qualità
letteraria che la Bibbia è considerata fondamentale per la vita di un
cristiano. Lo è perché è Parola di Dio. Tuttavia essa lo è in parola
di uomini. Risulta dunque, ad esempio, difficile da accogliere la
distinzione netta e radicale, anzi l’«infinita distanza» che Savonarola
ha posto tra «i versi dei poeti pagani» e quelli dei «nostri Profeti».
Savonarola infatti sostiene, sì, che i profeti «descrissero le cose di-
vine con versi ma non per questo utilizzarono l’arte poetica […];
e se nella composizione di tali versi hanno adottato l’arte poetica
lo han fatto per trarre a sé gli animi deboli degli uomini». In ogni
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caso «i Profeti non usarono affatto versi alla maniera di Virgilio o di
Ovidio»7. È veramente così?
Questa frattura non rende ragione, a nostro avviso, dell’ispi-
razione biblica, che a sua volta ha generato molta letteratura8. Isa-
ia – scriveva acutamente il grande critico Giacomo Debenedetti
– «appartiene a quella schiera di giganti per cui la poesia non è un
consapevole e volontario sforzo d’arte, ma piuttosto una necessità
del loro linguaggio, un altissimo valore interno delle parole che
vogliono essere dette»9. A volte, dunque, letture non strettamente
religiose della Bibbia aiutano a riscoprire la natura di libro letterario
proprio del testo sacro, aiutano forse anche a scoprire la potenza
6. Cfr Id., La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book,
2006.
7. G. Savonarola, Apologetico. Indole e natura dell’arte poetica [«Apologeticus
de ratione poeticae artis» (1491)], Roma, Armando, 1998, 91. Ricordiamo comun-
que che Savonarola scrisse canzoni, sonetti e laude, raccolte nell’edizione nazionale
delle sue opere: Id., Poesie, Roma, Belardetti, 1968.
8. Sarebbe bello avere per la nostra letteratura antologie come quelle che tro-
viamo in ambito anglosassone. Cfr, ad esempio, R. Atwan - L. Wieder, Chapters
into verse. A selection of Poetry in English Inspired by the Bible from Genesis through
Revelation, Oxford, University Press, 2000; D. Jasper - S. Prickett, The Bible and
Literature. A reader, Oxford, Blackwell, 1999.
9. G. Debenedetti, Profeti. Cinque conferenze del 1924, Milano, Mondadori,
1998, 109. Cfr il nostro «Giacomo Debenedetti. Novecento letterario e profetismo
biblico», in Civ. Catt. 2004 I 245-258.
IL SENSO DELLE RISPOSTE
insita nelle parole, nelle frasi, nelle immagini, nelle storie narrate. E
questo risulta vero per Apocalissi.
Diciamo però che il limite dell’operazione, specialmente nella
sua versione italiana, consiste nel puntare più a un’antitesi che a una
distinzione arricchente tra l’approccio religioso e quello «laico» e
culturale. Si tratta di un grosso limite, perché un testo letterario
è sempre tutt’uno anche con la sua tradizione e la sua ricezione.
Oscurare il fatto che il testo biblico sia un testo di significato re-
ligioso per consegnarlo a una lettura semplicemente «laica», come
se essa fosse in qualche modo «liberante», significherebbe alla fine
smarrirne il senso. Ma, se si prescinde da questa implicita antitesi fa-
stidiosa, Apocalissi può aiutare anche il lettore credente a riscoprire
in chiave nuova il testo biblico.
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Credenti e non credenti possono incontrarsi «nel» testo bi-
blico. Al di là di ogni altra considerazione, è vero che il raccon-
to biblico può arricchire l’immaginazione e, facendo breccia nel
profondo della coscienza, condizionare profondamente le reazioni
all’esperienza: la reazione nei confronti della vita sarà ben diversa,
ad esempio, «se ci hanno inoculato soltanto una definizione della
fede o se abbiamo tremato insieme ad Abramo che levava il coltello
su Isacco»10. Questo tremore può essere generato dal racconto di
una storia e non da un’idea astratta. A sua volta, senza la potenza
dell’immaginazione la fede rischia di divenire rachitica, flebile: «Un
impoverimento dell’immaginazione significa anche un impoveri-
mento della vita religiosa»11.
Richard Halloway, che è stato vescovo anglicano di Edimburgo,
nella sua introduzione ad Apocalissi afferma che ai giorni nostri
possiamo ancora leggere i miti classici e scoprirne significati nuovi
e profondi, mentre è molto improbabile leggere i trattati delle anti-
che scienze traendone profitto, perché il loro impatto sulla realtà è
stato soppiantato dalla moderna conoscenza. La Bibbia rientra nella
prima categoria, quella del mythos con tutta la sua capacità di desta-
10. F. O’Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mestiere di scrivere, Roma -
Napoli, Theoria, 1993, 112. Cfr il nostro «La letteratura nel territorio del diavolo.
La poetica di Flannery O’Connor», in Civ. Catt. 2001 IV 36-45.
11. F. O’Connor, «Il romanziere cattolico nel Sud protestante», in Id., Nel
territorio del diavolo, cit., 103.
SCRITTORI A CONFRONTO CON L’APOCALISSE
Ci sono poi diversi autori – noti, in realtà, per altri generi letterari –
che si sono cimentati anch’essi in tale filone con notevole successo: è il
caso di uno dei più grandi scrittori di thriller del mondo, Stephen King,
con L’ ombra dello scorpione (1978), e della scrittrice di gialli di gusto
decisamente britannico, Phyllis D. James, con lo straordinario I figli
degli uomini (1992), trasposto in versione cinematografica da Alfon-
so Cuarón nel 2006. Queste opere esprimono con chiarezza qualcosa
della nostra cultura contemporanea e delle sue paure. Ma in che modo
percepiscono la religione? E la fede? C’è posto per Cristo nel «mondo
che verrà dopo» e, in esso, che ne sarà della «religione»?
4. Quest’opera ispirerà molti altri autori, come Carl Amery con Der Untergang
der Stadt Passau (La caduta della città di Passau) (1975). Una protagonista de L’ ombra dello
scorpione si chiama «Madre Abigail» come la bella e scaltra moglie di Davide nella Bibbia.
IL SENSO DELLE RISPOSTE
effetti, nella maggior parte dei casi l’intensità della catastrofe ha pra-
ticamente privato gli esseri umani di regole, e quasi tutte le antiche
strutture politiche o religiose sono scomparse. Talvolta un unico in-
dividuo è custode del libro con tutti i rischi che ciò comporta, come
in Codice Genesi (2010), di Albert e Allen Hughes, dove uno strano
soldato si sente chiamato a salvare la Bibbia dalla distruzione totale.
Notiamo che, quando l’umanità non è annientata al 99%, come
accade nella maggior parte della letteratura e della filmografia post-
apocalittiche, ci sono delle opere di fantascienza più «classiche», che
conservano la Chiesa così come la conosciamo, con i suoi Ordini
religiosi «storici». Viene alla mente che, in The Sparrow (1996), Mary
Doria Russell poneva al centro del suo racconto una spedizione nel-
lo Spazio organizzata dalla Compagnia di Gesù5, e il protagonista
60
era un eminente linguista gesuita cubano. Anche nel film Arrival,
di Denis Villeneuve (2016), la dimensione linguistica è primordiale:
in che modo si può entrare in contatto con un universo dove i siste-
mi di comunicazione sono radicalmente diversi dai nostri6? Eppure,
nella maggior parte di questi racconti non sono le spedizioni nello
Spazio a costituire l’orizzonte di riferimento, ma piuttosto le attivi-
tà assolutamente prosaiche ed elementari della vita umana: nutrir-
si, scaldarsi, proteggersi dai banditi, vale a dire sopravvivere in un
mondo senza legge. Assistiamo a una sorta di «ritorno alla natura»,
dove tutte le protesi del nostro mondo tecnico, alle quali siamo così
attaccati (computer, telefonini, macchine ecc.) sono inesistenti.
5. Dieci anni prima, nel suo romanzo Il pianeta del silenzio (1986), il grande
autore di fantascienza polacco Stanisław Lem parlava di una spedizione analoga,
dove c’era un padre domenicano.
6. Cfr Cloud Atlas (L’atlante delle nuvole), di David Mitchell (2004), portato
sullo schermo nel 2012 da L. e L. Wachowski, dove l’inglese parlato diversi secoli
dopo il nostro tempo è molto cambiato e semplificato.
RELIGIONE E MONDO POST-APOCALITTICO
7. Si dice che siano nati in Italia, a Perugia, verso il 1260, con l’eremita Ra-
niero Frasani.
8. Nell’antichità la parola Ichthus, che in greco significa «pesce», veniva usata
come codice di riconoscimento tra cristiani. Questo perché le lettere della parola gre-
ca risultavano un acronimo dell’espressione «Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore».
9. Sembra che Hannah Arendt abbia detto di aver avuto questa illuminazione
interiore sul senso filosofico radicale della nascita ascoltando Il Messia di Händel, ed
è con una citazione di Is 9,6 («un figlio ci è nato»), da lei collocata in modo stupefa-
IL SENSO DELLE RISPOSTE
cente – ma non senza motivo! – nel Vangelo, che la scrittrice conclude il capitolo 5.
Cfr A. Cavarero, «“A Child Has Been Born unto Us”. Arendt on Birth», in Philo-
SOPHIA 4 (2014) 12-30.
10. Elemento che compariva anche ne L’ombra dello scorpione, con il figlio tan-
to atteso di Frances Goldsmith.
11. La «legge di Gresham», teorizzata dal mercante e banchiere inglese Tho-
mas Gresham nel XVI secolo, sottolinea la tendenza degli operatori economici a pa-
gare esclusivamente con monete danneggiate (dunque con minor valore intrinseco
del metallo impiegato) rispetto al loro valore nominale e, al contempo, ad accettare
solo monete nuove, il cui valore intrinseco rispecchia quello nominale. Di conse-
guenza, sempre più monete «buone» vengono trattenute da chi le riceve, mentre per
le transazioni si utilizzano in misura crescente le monete «cattive».
RELIGIONE E MONDO POST-APOCALITTICO
12. «La scritta sul muro» è un’espressione (ispirata da Daniele 5,24-25) ricor-
rente in queste opere, come nel film Stalker di Andrei Tarkovsky (1979), o nel ro-
manzo Labirinto di morte di Philip K. Dick (1970).
OPERE
«I GIORNI DELL’APOCALISSE»
SECONDO CLAUDEL*
sonale al testo sacro si appoggia la libertà del suo divagare, del suo
ricreare e rinnovare fantasticamente il materiale che sta osservando.
Parlando di simbolo e di interpretazione simbolica dobbiamo
prendere i termini secondo l’accezione usata da Claudel che vi
si riferisce, scartando il termine in quanto direbbe un rapporto o
una rassomiglianza arbitraria e convenzionale: «v’è una profonda
parentela essenziale fra le due cose create appunto l’una in funzio-
ne dell’altra, come se dovessero la loro origine a una stessa parola
e fra l’una e l’altra ci fosse una specie di continuità» (ivi, p. 58). Il
presupposto, cioè, di Claudel è di natura ontologica, è una valu-
tazione unitaria del reale. Tutto è rapportato a tutto, in modo da
formare un vastissimo variegato disegno. L’ente (ogni cosa, ogni
frammento di essere, ogni partecipazione dell’essere) è di natura sua
67
simbolica, in quanto tale. Si dischiude infatti per il compimento del
suo essere in una pluralità, si esprime, si manifesta in una pluralità.
Il fatto vale a ogni livello della realtà. L’ente si esprime e si autopos-
siede nella pluralità, realizza se stesso nella pluralità, e senza per ciò
stesso indicare un limite o una diminuzione di essere.
Tale posizione di indole ideologica è alla base dell’interpreta-
zione claudeliana. Lo sguardo di Claudel, audacemente lanciato sul
futuro e in corrispondenza dei quadri dell’Apocalisse, corrisponde
al fatto che tra tutti gli avvenimenti della storia umana (prima e
dopo di Cristo, fino ai nostri giorni) esiste un legame, e non solo
un succedersi di fatti uniti della cronaca; esiste una parentela, un’a-
nalogia. Il passato illumina il presente e nello stesso istante rischia-
ra l’avvenire. Accenniamo soltanto che Claudel in alcuni saggi, e
soprattutto in quelli di Positions et Propositions, si era espresso in
un simile atteggiamento, usato del resto anche come canone di va-
lutazione critica ed estetica: la realtà si completa, le singole, povere
o smaglianti immagini si afferrano pienamente quando il loro si-
gnificato è completo (Introductions à un poème sur Dante) quando il
mondo (l’intera totalità dell’essere) che non è infinito, svela tuttavia
la sua inesauribile carica di significati (Lettre sur Coventry Patmore),
quando si riesce a scoprire la tensione verso l’ultimo atto, sangui-
nante e glorioso, una tendenza sempre nuova e rinnovata che può
germinare dovunque (Religion et poésie).
OPERE
La posta in giuoco
Un viaggio allucinante
77
Alle radici dell’orrore
80
***
Sulle note di Put on your Sunday Clothes tratta dal musical Hello,
Dolly! del 1969 si dispiegano davanti a noi immagini dell’universo:
le sue galassie, le sue costellazioni, i suoi pianeti. Infine l’obiettivo si
concentra sulla Terra con una «zoomata» che consegna allo spettatore
81
l’immagine confusa di un’atmosfera opaca e polverosa. Così inizia il
film di animazione Wall•e, prodotto dalla Disney e dalla Pixar. Si di-
spiegano quindi le immagini poco nitide di quelle che appaiono colli-
ne e che presto si trasformano in ciminiere, ed ecco, alla fine, stagliarsi
uno skyline di grattacieli tra i quali l’occhio della camera si addentra
fino a guadagnare una visione dall’alto che è decisamente modellata
su quella che si gode dall’Empire State Building di New York. Tutto
avviene velocemente: abbiamo fin qui descritto il primo minuto del
film, distribuito nel giugno 2008 negli Stati Uniti, dove è stato cam-
pione di incassi, e dal successivo ottobre anche in Italia
La musica festosa presto sfuma e lascia il posto al soffio leggero
del vento. Le immagini, sfocate come acquerelli, rivelano una su-
perficie terrestre brulla, e si nota qualcosa che si muove velocemente
cigolando su una strada sterrata. Ecco che, grazie a una inquadra-
tura che improvvisamente si ribalta e osserva dal basso verso l’alto,
distinguiamo come ci siano vere e proprie strade e che esse sono
piene di immondizia. I grandi edifici si mischiano a grattacieli fatti
di rifiuti compattati e impilati: non sembra esserci differenza tra pa-
lazzi e discariche. In mezzo ai rifiuti si muove un piccolo robot che
raccoglie con i suoi bracci meccanici l’immondizia e la compatta. Il
2. Cfr http://www.mymovies.it/dizionario/pressbook.asp?id=46849
OPERE
dobba di luci natalizie, tenta di ricaricarla alla luce del sole, la ripara
dalla pioggia con un ombrello. Come non ricordare lo Charlot di
Charlie Chaplin davanti a queste immagini che certamente a lui,
in un modo o nell’altro, si ispirano per la loro purezza emozionale5?
Nello spazio
Nel bel mezzo dell’idillio l’astronave che aveva portato Eve sulla
terra ritorna per riprendersela. Wall•e è sconvolto e, dopo un attimo
di esitazione, si lancia sulla navicella che vola verso il cielo. Ormai in
orbita, il robottino ammira le stelle, gli anelli di Saturno, le galassie,
la Terra. Il suo senso di meraviglia è immenso. Ma ecco apparire
una enorme astronave, la Axiom, che ospita una città: gli uomini si
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sono trasferiti al suo interno, e lì la loro vita è ormai completamen-
te gestita automaticamente da macchine in attesa che sia possibile
tornare, prima o poi, sulla terra. Ecco apparire nel film gli esseri
umani, uomini e donne diventati obesi perché mangiano e non
si muovono mai sulle loro gambe ma solamente su comode sedie
pneumatiche. Per comunicare tra loro usano un sistema di monitor.
La loro vita è completamente gestita e facilitata dai meccanismi, e
dunque non hanno alcun bisogno di far nulla, neanche di muoversi
con le loro gambe. Così non sono più neanche in grado di stare
in posizione eretta. Da questo momento però la poesia del film si
attenua per lasciare il posto all’azione e alla sua dinamica. Il mondo
degli umani ha ormai perso ogni senso di bellezza. La comodità ha
annichilito gli spiriti e la possibilità di essere stupiti, all’interno di
una vita che ormai appare del tutto programmata.
Wall•e raggiunge la postazione del comandante della Axiom.
Ed ecco svelarsi il significato di Eve: è un robot incaricato di cer-
care segni di vita sulla terra. La piantina è uno di questi segni. Si
può quindi avviare l’operazione di ricolonizzazione del pianeta. Eve
viene risvegliata. Da questo momento è un succedersi di peripezie e
fraintendimenti avventurosi e gustosi. Ecco emergere il problema:
gli uomini sono saliti sulla Axiom in attesa di tornare sulla Terra ma
5. A. O. Scott, «In a World Left Silent, One Heart Beeps», in The New York
Times, 27 giugno 2008.
«WALL•E»
7. Gli omaggi alla Apple sono vari: oltre alla forma di Eve, i suoni di accen-
sione sia di Wall•e sia di Eve corrispondono ai suoni di accensione (il meno e il più
recente) dei computer Macintosh, e anche la voce del pilota automatico della Axiom
è realizzata sinteticamente con un software Mac. L’amministratore delegato della
Apple, Steve Jobs, è anche uno dei fondatori ed ex-proprietario della Pixar.
«WALL•E»
8. http://www.worldmag.com/articles/14127
OPERE
***
10. Prima del film Wall•e nelle sale viene sempre proiettato il cortometraggio
originale Presto, sempre prodotto dalla Disney e dalla Pixar: è la storia di un presti-
giatore di fin-de-siècle alle prese con un coniglio affamato che apparentemente gli
rovina lo spettacolo, ma in realtà glielo salva.
OPERE
«MELANCHOLIA»
due sorelle: Justine (Kirsten Dunst, Palma d’oro come migliore at-
trice, magra consolazione per chi si aspettava di più) e Claire (Char-
lotte Gainsbourg).
Le due parti del film si oppongono reciprocamente come il pie-
no e il vuoto. In un castello svedese di smagliante bellezza, sia come
edificio, sia per il paesaggio che lo circonda, si svolge nella prima
parte uno sfarzoso ricevimento di nozze. Justine e Michael (Ale-
xander Skarsgard), dopo il matrimonio in chiesa, raggiungono gli
invitati con due ore di ritardo. Il programma del ricevimento, che è
costato un fiume di denaro, è stato predisposto con sagacia e viene
gestito con energia dall’efficientissima Claire. Ma i contrattempi,
che si susseguono a catena, non fanno che prolungare l’attesa della
catastrofe di cui si parlava, catastrofe planetaria che va di pari passo
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con quella personale, familiare, culturale ecc., unica realtà che si na-
sconde dietro gli orpelli di un rito sociale nel quale nessuno crede.
Il matrimonio fallisce prima che i festeggiamenti abbiano termine.
Passiamo alla seconda parte. Spariti gli invitati della festa, che
riempivano il castello in ogni anfratto, il cast si riduce a pochi per-
sonaggi: oltre alle due sorelle, è presente John (Keifer Sutherland),
marito di Claire, di professione astrofisico, e il loro figlioletto. Si
precisa meglio il rapporto tra le due donne. Justine, la sorella mino-
re, soffre per una forte depressione. Ciò spiega il suo strano com-
portamento durante il ricevimento di nozze. Claire assume nei suoi
confronti un atteggiamento materno. Cerca di sostenerla per quan-
to può.
Nella seconda parte, terminata la baldoria con tutti i suoi con-
trattempi, non resta che aspettare l’inevitabile collisione tra la terra
e il pianeta, di nome Melancholia, che sta per stringerla in un ab-
braccio mortale. Questa volta è Claire, la sorella maggiore, a entrare
in crisi. In fondo, Justine, che non è legata a nessuno, non ha nulla
da perdere. Claire invece ha un marito, un figlio... John è uno di
quegli uomini, innamorati della scienza, che pensano di poter dare
una spiegazione logica ad ogni fenomeno. Questa volta vuole spie-
gare perché il pianeta non colpirà la terra. Per tutto il film rassicura
la moglie. Ma a un certo punto smette di farlo e allora lei si sente
perduta.
OPERE
Ma è proprio un futuro?
5. Si è già fatto apprezzare, tra l’altro, per il film di fantascienza Arrival (2016).
6. Scappa da altri bambini che lo vogliono picchiare e togliergli un giocatto-
lo, che nasconde nei macchinari di una fabbrica abbandonata.
OPERE
Ingarbugliandosi
Riflettendo su cosa si può dire di più sul film, ci siamo visti offrire
un aiuto formidabile da William Gibson7, l’inventore del cyberspazio,
un riferimento obbligato per la fantascienza degli ultimi trent’anni.
Gibson, fin dalle sue prime prove di narratore8 e presentando il suo
ultimo romanzo nella traduzione italiana, osserva che il mondo che sta
descrivendo da anni prende spunto proprio dal primo Blade Runner, per
via di quei personaggi tatuati e dai capelli come creste colorate (che con-
tribuirono a suggerire il termine cyberpunk, per la nuova umanità tecno-
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logica). Egli sottolinea anche che a creare lo straniamento, lo sfasamento
temporale, quel continuo senso di insicurezza e malessere che pervade
molta dell’attuale fantascienza, è lo sguardo che si volge all’indietro, e
non si ispira solo agli ultimi 20-30 anni, ma risale al tempo degli anni
Quaranta del secolo scorso: anni resi drammatici dalla Seconda guerra
mondiale, ma anche suggestivi a causa di vecchie foto, antiche partiture
musicali poggiate sul leggio di un pianoforte, canzoni di qualche decen-
nio prima – come l’italiana «Parlami d’amore Mariù» –, che rimangono
indelebilmente nella memoria delle generazioni non giovanissime.
William Gibson confessa ancora che nel suo ultimo romanzo,
The Peripheral, tradotto in italiano con Inverso9, si è accorto che non
stava parlando della Londra e degli Stati Uniti di un periodo più o
meno situato tra il 2025 e il 2095, ma dei giorni nostri, e la cosa
che più l’ha colpito è stata l’elezione di Donald Trump10, con tutto
quello che essa comporta.
Nella Virginia e nella Londra del 2025 ci sono soltanto, rispet-
to all’oggi, un po’ più droni, robot e avatar sperimentali, mentre
Scivolando all’indietro
11. Cfr V. Fantuzzi, «“La forma dell’acqua”, un film di Guillermo Del Toro»,
in Civ. Catt. 2018 II 190-193.
SFIDA POLITICA
RELIGIONE, MANICHEISMO POLITICO E
CULTO DELL’APOCALISSE*
© La Civiltà Cattolica 2017 III 105-113 | 4010 (15 lug/5-19 ago 2017)
SFIDA POLITICA
dei loro esponenti quali Steve Bannon, attuale chief strategist della
Casa Bianca e sostenitore di una geopolitica apocalittica1.
«La prima cosa che dobbiamo fare è dare voce alle nostre Chie-
se», dicono alcuni. Il reale significato di questo genere di espressioni
è che ci si attende la possibilità di influire nella sfera politica, parla-
mentare, giuridica ed educativa, per sottoporre le norme pubbliche
alla morale religiosa.
La dottrina di Rushdoony, infatti, sostiene la necessità teocratica
di sottomettere lo Stato alla Bibbia, con una logica non diversa da
quella che ispira il fondamentalismo islamico. In fondo, la narrativa
del terrore che alimenta l’immaginario degli jihadisti e dei neo-
crociati si abbevera a fonti non troppo distanti tra loro. Non si deve
dimenticare che la teopolitica propagandata dall’Isis si fonda sul me-
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desimo culto di un’apocalisse da affrettare quanto prima possibile.
E dunque non è un caso che George W. Bush sia stato riconosciuto
come un «grande crociato» proprio da Osama bin Laden.
1. Bannon crede nella visione apocalittica che William Strauss e Neil Howe
hanno teorizzato nel loro libro The Fourth Turning: What Cycles of History Tell
Us About America’s Next Rendezvous with Destiny. Cfr anche N. Howe, «Where
did Steve Bannon get his worldview? From my book», in The Washington Post,
24 febbraio 2017.
RELIGIONE, MANICHESIMO POLITICO E CULTO DELL’APOCALISSE
L’ecumenismo fondamentalista
Contro la paura
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