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Gregorianum 96,1 (2015) 11-91

Paolo Benanti, T.O.R.

La gioia del Vangelo


nel cambio antropologico
La ricerca del senso e del valore etico dell’umano

Agli inizi del terzo millennio l’umanità sembra angustiata da una crisi pro­
fonda: ci si trova nel travaglio tra un mondo ormai passato e percepito come
inadeguato che, tuttavia, non ha finito di esistere e un nuovo mondo di cui
non s’intravedono gli sviluppi. Viviamo il disagio di un’epoca caratterizzata
da forti contrasti ideologici, culturali, religiosi, in simbiosi con atteggiamenti
diffusi di indifferenza, apatia, rassegnazione. Si riscontrano modalità sociali
caratterizzate da ima convulsa accelerazione cui fa riscontro la penuria di
autentica novità.
L’annuncio e la trasmissione della fede sembra, a detta di alcuni, ormai im­
possibile e non resta che rassegnarsi a un dissolvimento dei valori morali e di
ogni forma di credenza passata. Alla luce del contributo dell’esortazione apo­
stolica Evangelii Gaudium1 vorremmo provare ad approfondire sfide e limiti
che si trova ad affrontare l’annuncio del Vangelo di fronte a queste nuove for­
me che assume la cultura contemporanea, in particolare rispetto alla visione
postumana dell’uomo.
Per raggiungere il fine che ci proponiamo procederemo in due momenti
distinti ma intimamente connessi. Dapprima proveremo a delineare alcuni
tratti culturali della nostra contemporaneità {contesto), successivamente, in
una seconda parte, cercheremo di lasciar emergere come affrontare l’annun­
cio del Vangelo di fronte a queste nuove forme che assume la cultura contem­
poranea sottolineando specialmente come la misericordia sia un elemento
chiave tanto per l’evangelizzazione quanto per una riflessione etico-teologica
adeguata alle complessità contemporanee {testo).

1 Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (= EG) dei Santo Padre Francesco ai Vescovi
ai Presbiteri e ai Diaconi alle persone consacrate e ai Fedeli Laici sull’annuncio del Vangelo
nel mondo attuale, 24 novembre 2013.
78 PAOLO BENANTI, T.O.R.

I. Inedite antropologie e nuovi valori?

Dobbiamo rilevare come la nostra sia una società in cui sono presenti
numerose contraddizioni e ambivalenze che indicano, per numerosi studiosi,
il declino di una logica unitaria e di un mondo percepito come totum2. Nel
dibattito e nella riflessione odierna si delinea una situazione di grande cam­
biamento, un passaggio d'epoca «entro cui si inverano stati di incertezza e di
instabilità associati all’estremo disorientamento che caratterizza la condizione
presente e ancor più quella futura»3. La società presente offre una chiave di
lettura prevalentemente in negativo che
confermano una diversità e una discontinuità con la cultura del tempo passato che
secondo alcuni afferma il superamento della modernità che sporta alla post-moder­
nità, mentre per altri rappresenta solo la parte finale della modernità, ovvero la tar­
da modernità4.

Sono stati coniati numerosi termini nel tentativo di descrivere questa situa­
zione, si parla di: società post-moderna, Risikogesellshaft, Individualized
Society, società vuota, società senza solidità, società senza passioni, società
senza lavoro, società del declino dell'uomo pubblico5.
Si esalta in maniera ossessiva il vivere il presente proponendo stili di vita
individuali che ignorano tanto i predecessori quanto i posteri, producendo,
così, una rapida perdita del senso della continuità storica e svalutando i capi­
tali conoscitivi e culturali del passato a favore delle esperienze personali del
momento6.
Si assiste alla delegittimazione delle istituzioni tradizionali quali il matri­
monio e la famiglia e all’affermarsi di nuovi modi di vita che rappresentano
un momento di estrema diffusione dell’individualismo, culminante nella «dis­
soluzione dell’individuo nelle reti del villaggio globale, ma soprattutto nella
sua trasformazione in “un’entità discontinua [...] costantemente plasmata e
riplasmata in un tempo neutro”»7. Il narcisismo si presenta come l’atteggia­
mento tra i più caratteristici della mentalità collettiva contemporanea e fa da

2 Cf. C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole, Milano 2007, 90, e l’opera di
Z. Bauman, Vita liquida, Roma - Bari 2006.
3 C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole (cf. nt. 2), 90.
4 C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole (cf. nt. 2), 89; anche se risulta parti­
colarmente difficile trovare una sintesi del periodo storico in cui ci troviamo emerge con
sempre maggiore chiarezza come questa modalità di capire noi e il nostro corpo sia
caratterizzata da una profonda matrice relativista. Cf. X. Lacroix, Il corpo di carne, Bologna
1996, 29-50.
5 C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole (cf. nt. 2), 90.
6 Cf. C. Lasch, La cultura del narcisismo, Milano 1995, 11-15; C. Carabetta, Corpo
forte e pensiero debole (cf nt. 2), 93.
7 C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole (cf nt. 2), 96.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 79

sfondo a una società interessata da un rilevante vuoto e da un depauperamen­


to della personalità8.
Ogni periodo storico ha elaborato il suo tipo d’uomo ideale. Nella nostra
epoca di estremo individualismo, la persona che venera l’emozione, l’uomo
emozionale, si configura come modello di idealità: Yhomo sentiens9. L’emo­
zione si presenta come l’oggetto di un vero e proprio culto e caratterizza
anche il posto dato al corpo:
il culto dell’emozione e il culto del corpo sono i due volti di una stessa rivoluzione
della mentalità. Il vantaggio dell’emozione è, infatti, di partecipare al contempo
della vita dell’anima e di quella del corpo. Essa è il segno di ciò che una volta si
chiamava l’unione dell’anima e del corpo. [...] Abbandonandosi alle proprie emo­
zioni si impara di nuovo a «essere» il proprio corpo. [...] si partecipa al sovverti­
mento della cultura da parte della natura10.

Dalle profondità di questa nostra società tecnologica e iperorganizzata rie­


merge oggi, prepotentemente, una nuova forma di irrazionalismo: l’emozione
forte, lo shock, il turbamento11. Tuttavia quella forma di emozione che pos­
siamo definire come la contemplazione-meraviglia (thaumazein) aristotelica
continua a essere poco attraente per i nostri contemporanei perché, al contra­
rio dell 'emozione-shock, si esprime nella durata. E il tempo è esattamente ciò
che manca alla nostra società, che riduce anche l’emozione a oggetto di mer­
cato, facilmente e rapidamente fruibile. Si preferisce allora l’eccitazione di un
momento a una vibrazione più intensa che potrebbe arricchire la nostra ani­
ma, in altri termini preferiamo espressioni brevissime e sempre più intense a
un sentito di natura prettamente spirituale.
Alcuni nostri contemporanei, alla luce delle spinte culturali delineate, for­
niscono una inedita elaborazione della condizione umana e declinano nuovi e
inediti valori che dovrebbero orientare le scelte e le vite delle persone. Questa
inedita antropologia prende il nome di postumanesimo e prende lentamente
forma a partire dalla seconda metà del secolo scorso. La Badmington rileva
come sia impossibile fissare un momento preciso per la nascita del postuma­
nesimo, e pur tuttavia suggerisce di guardare al 1982 come data in cui il

8 Cf. C. LASCH, La cultura del narcisismo (cf. nt. 6), 10-34.


9 Cf. M. Lacroix, Il culto dell’emozione, Milano 2002, 33.
10 M. Lacroix, Il culto dell’emozione (cf. nt. 9), 35.
111 media sono il veicolo più pervasivo di questa nuova ed estrema forma di emotività, dif­
fondendo — dai film, alle fiction, ai videogiochi — immagini capaci di suscitare emozioni
altrettanto violente. Inoltre in molti modi si esprimono attualmente le nostre pulsioni emotive:
il ritorno alla natura magica e misteriosa, T attrazione per il paranormale e per forme di reli­
giosità mistica. Dobbiamo anche segnalare il fascino che esercitano sui nostri contemporanei
le esperienze comunitarie, dove il gruppo toma a essere, a fronte del freddo individualismo
che caratterizza la nostra esistenza, una dimensione rassicurante e calda di vita. Cf M.
Lacroix, Il culto dell’emozione (cf. nt. 9).
80 PAOLO BENANTI, T.O.R.

movimento si inizia a costituire attorno ad alcune idee chiave12. Il motivo di


questa scelta è legata ad un articolo pubblicato dal popolare settimanale Time
che, all’epoca, suscitò parecchio scalpore nelPopinione pubblica mostrando
un mutamento ormai compiutosi nella società occidentale. Nel dedicare la
prima copertina di ogni nuova annata alla persona più influente dell’anno
appena trascorso, attribuendogli il titolo di Man of the Year, il Time sorprese i
suoi lettori. Nel 1983 il settimanale nordamericano, proseguendo una tradi­
zione lunga oltre cinquanta anni, indica così le qualità che contraddistinguono
il vincitore del 1982: è giovane, affidabile, silenzioso, pulito e intelligente. È
bravo con i numeri e insegnerà o intratterrà i bambini senza un lamento13.
Il Time non si riferiva però ad un essere umano ma ad un computer: nel­
l’editoriale che accompagnava la proclamazione del vincitore, Otto Friedrich
fa notare che nonostante molti uomini avessero potuto essere eletti a rappre­
sentare il 1982 nessuno era in grado di simbolizzare l’anno appena trascorso
come un elaboratore elettronico14. In accordo con Badmington e seguendo le
lettere di risposta dei lettori che seguirono la scelta del Time ci sembra di
poter indicare in questo evento un simbolo di quanto il postumanesimo avreb­
be proposto da lì a poco: l’umanità doveva riconoscere la sua sconfitta15.
Veniva così sancita l’idea di un uomo in crisi, incapace di saper gestire le
macchine che lui stesso aveva creato, destinato ad essere confinato in un pas­
sato fatto di residui archeologici. In realtà queste posizioni circolavano tra gli
intellettuali già da alcuni anni, nella forma del tramonto di un certo umanesi­
mo16 e attorno all’idea centrale di un’umanità sconfitta dal suo stesso progres­
so. Le difficoltà e le trasformazioni che ha conosciuto l’Occidente industria-
lizzato nel primo dopoguerra hanno fatto emergere una serie di dubbi sulle
capacità dell’uomo di saper gestire la complessità tecnico-sociale che egli
stesso andava producendo. Queste riflessioni sono state raccolte ed elaborate
dai postumanisti.
Non si deve pensare che il postumano si costituisca unicamente come un
insieme di idee e di pensatori di stampo apocalittico refrattari a ogni forma di
sviluppo tecnologico: questo movimento si costituisce attorno alla nascente
consapevolezza che la visione tradizionale di cosa costituisca un essere uma-

12 Cf. N. Badmington, Posthumanism. Readers in Cultural Criticism, New York (NY)


2000,1.
13 Cf. O. Friedrich, «The Computer Moves in», Time 121/1 (1983) 3.
14 Cf. O. Friedrich, «The Computer Moves in» (cf. nt. 13), 3.
15 Cf. N. Badmington, Posthumanism (cf. nt. 12), 1. Per le reazioni dei lettori si veda
«Letters Page», Time 121/2 (1983) 93-95.
16 Cf I. Hassan, «Prometheus as Performer. Toward a Postmodern Culture?». Georgia
Review 31 (1977) 843. Hassan utilizza per parlare della crisi delTumanesimo il termine post­
umanesimo coniando un neologismo che ben presto servirà ad indicare ben più che una ten­
denza.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 81

no è soggetta ad una profonda trasformazione17. Se Hannah Arendt a metà del


Novecento aveva parlato della condizione umana come la somma delle attivi­
tà e delle capacità dell’uomo che costituiscono caratteristiche essenziali del­
l’esistenza umana18, ora si ritiene necessario parlare di ima condizione post-
umana che non può essere facilmente definita ma che è la condizione dell’esi­
stenza in cui ci troviamo da quando è cominciata l’era postumana19.
Il movimento postumano parte dall’assunto che ima trasformazione profon­
da nel vivere dell’uomo è già avvenuta e che il risultato di questa trasforma­
zione genera un cambiamento nel suo modo di essere dando inizio all’era
postumana. Da questo punto di vista il movimento postumano, pur nella sua
eterogenesi e nella sua diversità, si differenzia dai numerosi altri movimenti
futuristici: chi si riconosce appartenente alla corrente postumana non guarda
al futuro possibile ma alla realtà presente, riconoscendo che un cambiamento
radicale nel modo di essere uomini già c’è stato. Il compito che si attribuisco­
no gli appartenenti al postumanesimo è, allora, quello di descrivere e analiz­
zare la condizione postumana.
Parlare di postumano implica Spesso, nella diversa letteratura, un riferi­
mento ad un altro termine dai contenuti altrettanto vaghi e contrastati: il post­
moderno. Attualmente il significato e le accezioni di postmoderno sono molto
discordanti tra loro20, tuttavia Waters21 identifica due caratteristiche che fanno
da sottofondo al riferimento postmoderno da parte dei postumanisti. Seguen­
do l’analisi di Waters possiamo riconoscere come parlare di postmoderno
all’interno del postumanesimo significa in primo luogo riferirsi al lavoro dei
sociologi, filosofi e teologi che abbracciano (o sono accusati dai loro critici di
abbracciare) l’assunzione storicista che la realtà è un artefatto dell’immagina­
zione, una costruzione sociale o politica22. Il postumanesimo però capisce se
stesso e si descrive soprattutto in relazione e contrasto con quello che viene
definito umanesimo-, da una prospettiva generata dalla recente filosofia euro­
pea, il postumanesimo è visto non come un movimento progressista ma come
un fenomeno reazionario, in base al modo con cui si oppone (positivamente)
alla nozione di un nucleo che definisca cosa sia l’essenza dell’umanità o a
una funzione essenziale comune nei termini della quale l’essere umano può
essere definito e capito23.

17 Cf. R. Pepperell, The Posthuman Condition Consciousness Beyond the Brain, Bristol -
Portland (OR) 2003, iv.
18 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano 19913, 8.
Cf.
19 R. Pepperell, The Posthuman Condition (cf. nt. 17), iv.
Cf.
20 C. Carabetta, Corpo forte e pensiero debole (cf. nt. 2), 89.
Cf.
21 B. Waters, From Human to Posthuman. Christian Theology and Technology in a
Cf.
Postmodern World, Aldershot (UK) 2006, X.
22 Cf. B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), x.
23 Cf. N. Badmington, Posthumanism (cf. nt. 12), 2.
82 PAOLO BENANTI, T.O.R.

Quello che il movimento postumano contesta in maniera decisa è resisten­


za di un’idea di umano e umanità che sia immutabile. La tecnologia, più che
la scienza, avrebbe distrutto l’idea di una natura immutabile dell’uomo, ren­
dendo evidente come l’essere umano sia un essere malleabile e capace di es­
sere modificato a piacimento. È questo il punto che cambia la condizione
umana in una condizione postumana: la condizione postumana è il doversi far
carico di questa malleabilità che rappresenta la fine della condizione umana
come è stata fin qui capita e conosciuta. L’era postumana, per usare i termini
di Robert Pepperell24, è iniziata da quando l’uomo ha scoperto di star cam­
biando se stesso tramite la convergenza tra biologia e tecnologia così da non
riuscire più a distinguere tra le due. La soluzione che propone il postumano a
questa difficoltà è il superamento della definizione di essere umano a favore
di un nuovo ibrido che prende il nome di cyborg che sintetizza la condizione
postumana25: si fa del cyborg un concetto chiave nella formulazione dell’an­
tropologia postumana26.
Le domande a cui il postumanesimo cerca di rispondere sono molteplici:
cosa vuol dire essere umano e cosa essere vivente? Come pensare un’antropo­
logia postumanal Come comprendere la tecnologia? Che rapporto c’è tra
l’uomo e la tecnologia? Come vivere la condizione postumanal
Questi quesiti generano una sorta di nuova mappa valoriale e inedite istan­
ze etiche: il dovere dell’uomo di fronte a una esistenza non più governata dal
concetto di natura ma dominata dalla malleabilità sarebbe quello di farsi cari­
co della sua costituzione indirizzando le modifiche del suo essere verso le
mete che sceglie di volta in volta. L'imperativo morale, nel postumanesimo,
diviene: devi farti carico della tua costituzione biologica modificandola a tuo
piacimento.
A partire da questo imperativo etico è possibile riconoscere nuove e inedite
mappe valoriali che proviamo a descrivere almeno nei loro nuclei fondamen­
tali. Quello che il postumanesimo intende come frantumato e non più valido,
quindi, è un modello di uomo mutuato e definibile con caratteristiche genera­
li: non sono più valide, secondo i postumanisti, definizioni di uomo quali ani­
mai rationale o unione di corpo e anima o creatura senziente. Quello che
rimane è un soggetto che si configura come postumano perché si presenta
come un amalgama, una collezione di componenti eterogenei, un’entità mate­
riale-informativa i cui confini sono sottoposti a una continua costruzione e
ricostruzione27.

24 Cf. R. Pepperell, The Posthuman Condition (cf. nt. 17), IV.


25 Cf. R. Munnik, «Donna Haraway. Cyborgs for Earthly Survival?», in H. Achterhuis, ed.,
American Philosophy of Technology. The Empirical Turn, Bloomington (IN) 2001, 95-118.
26 Cf. P. Benanti, The Cyborg. Corpo e corporeità nell’epoca del postumano, Assisi 2012.
27 Cf. N.K. Hayles, How We Became Posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literatu­
re, and Informatics, Chicago (IL) 1999, 3.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 83

La crisi del soggetto sfocia in una crisi del modello di libertà che era stato
elaborato dal cosiddetto pensiero liberale e che era basata principalmente su
una nozione di autopossesso combinata con l’assenza di limiti esterni al sog­
getto28: ora, per il soggetto postumano, si rifiuta la visione di natura o natura­
le intesa come un determinato dato a priori che possa essere posseduto dal­
l’uomo in quanto uomo e si conclude che non è dato alcun soggetto autono­
mo, perché il sé è solo il risultato di una costruzione storica29.
La costituzione del soggetto postumano, quindi, si capisce e si comprende
in relazione a una tecnologia che sembra aver permeato l’uomo fino a rag­
giungere lo stato di una sua dimensione ontologica. La tecnologia, artefatto
umano, è ora parte costitutiva del soggetto postumano definendone, in un
mutamento continuo, lo status e le caratteristiche. Il cammino percorso dai
postumanisti ha portato perciò a una nuova visione della libertà, basata sulla
visione dell 'umanesimo ma dai contorni profondamente mutati30. Di fronte a
una libertà privata, con l’ausilio della tecnologia, di ogni limite appare come
destino la scomparsa della specie umana; per i nostri contemporanei non
rimane che un’unica modalità di salvezza: creare corpi post-umani, i cyborg,
che tengano conto di quella condizione di finitudine dell’essere umano garan­
tendoci così la sopravvivenza31.
Il suffisso post- del postumanesimo suggerisce, seguendo le analisi di Neil
Badmington3 , il legame che questo pensiero ha con il movimento poststrut­
turalista degli anni Sessanta sviluppato in particolare da Jaques Derrida33.
Il prefisso post-, che distingue questa nuova corrente filosofica dallo strut­
turalismo, non va interpretato come il segnale di una contrapposizione agli
esiti della riflessione strutturalista. Questi pensatori hanno spinto alle estreme
conseguenze i concetti e le modalità di svolgimento dello strutturalismo, fino
a dissolverli in una direzione che potremmo definire relativista34.
Il postumanesimo si appropria delle analisi delle forme simboliche e del
linguaggio facendole divenire costitutive del soggetto postumano: il cyborg è
un essere di linguaggio, dove il linguaggio viene però capito nell’accezione
dell’informazione. Il linguaggio come informazione35 viene mediato nel

28 Cf.B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 43.


29 Cf.B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 43.
30 Cf.N.K. Hayles, How We Became Posthuman (cf. nt. 27), 286-287.
31 Cf. B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 43-44; N.K. Hayles, How We
Became Posthuman (cf. nt. 27), 5.
32 Cf. N. Badmington, Posthumanism (cf. nt. 12); R. Pepperell, The Posthuman
Condition (cf. nt. 17).
33 N. Badmington, Posthumanism (cf. nt. 12), 9.
34 Cf. M. Ferraris, Differenze. La filosofia francese dopo lo strutturalismo, Milano 20072,
9-14.
35 II concetto di informazione, così come viene mutuato dal postumanesimo, non può esse­
re facilmente definito, il significato del termine è strettamente relazionato e a volte coinciden­
te con le nozioni di linguaggio, comunicazione, controllo, dato, forma, istruzione, conoscenza,
84 PAOLO BENANTI, T.O.R.

movimento postumano dal contributo degli studi cibernetici e dalla spinta del­
la cosiddetta information technology36: l’avvento e la diffusione del computer
hanno contribuito a ricomprendere l’essenza dell’uomo facendo in modo che
l’essere umano concepisca se stesso come elaboratore di informazioni e com­
prenda la natura come una serie di informazioni da elaborare37. Le conse­
guenze di queste posizioni possono essere fatte ruotare attorno a quattro
assunti principali che caratterizzano l’antropologia postumana e che si ritro­
vano nel pensiero dei diversi autori38.
In primo luogo dobbiamo notare come per il postumanesimo i modelli in­
formativi sono molto più importanti o essenziali per la natura di un essere
rispetto a qualsivoglia istanza materiale, cosicché la corporeità in un substrato
biologico è vista come un accidente della storia più che un inevitabilità della
vita39.
La preminenza dell’informazione sulla materia non riguarda solo l’uomo
ma è basata sull’assunzione che siccome l’universo consiste principalmente
di informazioni, ogni entità che può codificare e processare informazioni è
viva40. Il concetto di vita stesso viene cambiato: viva è l’entità che contiene e
codifica informazioni, mentre il valore della vita è dato dalle informazioni
che ogni entità processa. La conseguenza della dichiarata superiorità dell’in-
formazione sulla materialità ha come effetto di cancellare, come petitio prin­
cipii, la linea che separa il naturale dall’artificiale41 : rimangono così solo
modelli o linee informative che possono essere cancellate e ridisegnate senza
alcuna possibilità di porre limiti a questo processo.
L’esito che emerge da queste convinzioni mostra come alla base della
visione postumana sia possibile rintracciare una moderna forma di antropolo-

significato, stimolo mentale, modello, percezione e rappresentazione (per un’analisi delle


diverse accezioni rimandiamo a B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 31-78 e
143-144).
36 Cf. L. Floridi, L., «Information Technology», in J.K.B. Olsen - S.A. Pedersen - V.F.
Hendricks, ed., A Companion to the Philosophy of Technology, Chichester (UK) 2009, 227-
231.
37 Si veda in particolare su questo lo studio di Neil Postman. Cf. Technopoly. The
Surrender of Culture to Technology, New York (NY) 1993, 11.
38 Anche se con formulazioni leggermente diverse, un certo numero di autori concordano
nel riassumere in questo modo le conseguenze della posizione linguistica del postumanesimo.
Cf. C.C. Hook, «Transhumanism and Posthumanism», in S.G. Post, ed., Encyclopedia of
bioethics, V, New York (NY) 20043, 2517-2520; R. Munnik, «Donna Haraway. Cyborgs for
Earthly Survival?» (cf. nt. 25), 95-118; B. Waters, From Human to Posthuman (cf nt.21).
La prima espressione di questa sintesi è stata formulata da Hayles nel suo saggio How We
Became Posthuman (cf nt. 27).
39 Cf. C.C. Hook, «Transhumanism and Posthumanism» (cf nt. 38), 2518.
40 Cf. B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 41.
41 Cf. B. Waters, From Human to Posthuman (cf. nt.21), 41.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 85

già dualista di stampo platonico secondo la quale la forma di un organismo


può venir separata dalla sua costituzione materiale42.
Il secondo assunto principale riguarda la costituzione dell’uomo. Per il
movimento postumano guardando all’essere umano si deve tener presente che
la coscienza è un mero epifenomeno del cervello e che non esiste alcuna ani­
ma immortale. Questa posizione racchiude in sé due elementi convergenti. Il
primo elemento rappresenta l’eredità dell’umanesimo anglosassone, ima for­
ma particolare di umanesimo, diffuso in larghi circoli intellettuali, che si con­
figura di fatto come un umanesimo secolarista più o meno sinonimo di
ateismo43.
Il secondo elemento è costituito dall’influsso degli studi delle neuroscien­
ze: la continua ricerca di meccanismi fisiologici che spieghino la coscienza
porta a un crescente clima di sfiducia nei confronti della libertà e della mora­
lità, trattandosi, per i sostenitori delle tesi più radicali, di condizioni acciden­
tali dovute allo stato biochimico del nostro cervello44.
Il terzo assunto centrale nell’antropologia postumana si costituisce attorno
alla concezione di corpo umano: l’idea di rimpiazzare parti del corpo o effet­
tuare delle modifiche radicali alla natura dell’uomo si configura come
un’estensione della nostra fondamentale relazione con un corpo che ci appar­
tiene ma che non ci costituisce per quel che siamo45.
Infine l’ultimo elemento che caratterizza la visione postumanista dell’uo­
mo è la capacità, riconosciuta all’essere umano, di essere congiunto, senza
soluzione di continuità con macchine intelligenti46. Questo perché come già
visto il postumanesimo non vede alcuna fondamentale differenza tra naturai e
artificiale, tra informazione biologica e informazione di altra natura.
Attualmente le influenze del pensiero postumano sono rintracciabili nelle
questioni e nelle provocazioni che il mondo della tecnologia pone alla società,
specialmente là dove il pensiero postumano raccoglie le aspettative immorta-
liste dei nostri contemporanei cercando di offrire una risposta che per alcuni
tratti assume un carattere che potremmo definire religioso: si può riconoscere
quasi una escatologia impropria. La condizione postumana, che succedereb­
be alla condizione umana, è una condizione che ha, nelle visioni dei postuma­

42 Sul dualismo postumano sono concordi tutti gli studiosi del postumanesimo, si veda ad
esempio la Hayles (How We Became Posthuman, cf. nt. 27), Waters (From Human to Post­
human, cf. nt. 21), Pepperel (The Posthuman Condition, cf. nt. 17), Hook («Transhumanism
and Posthumanism» (cf nt. 38), 2517-2520) e la Badmington (Posthumanism, cf. nt. 12).
43 N. Badmington, Posthumanism (cf nt. 12), 2.
44 La bibliografia in materia è notevole. Per una sintesi di alcune posizione che maggior­
mente influenzano questa visione rimandiamo a Z. Lynch - B. Laursen, The Neuro Revolu­
tion. How Brain Science Is Changing Our World, New York 2009 e T. Buller, «What Can
Neuroscience Contribute to Ethics?», Journal of Medical Ethics 32 (2006) 63-64.
45 Cf. N.K. Hayles, How We Became Posthuman (cf. nt. 27), 2-3.
46 Cf. C.C. Hook, «Transhumanism and Posthumanism» (cf. nt. 38), 2518.

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86 PAOLO BENANTI, T.O.R.

nisti, il carattere di un eskaton la cui realizzazione, però, è di carattere intra-


storico47.
Questo è il mainstream culturale in cui siamo immersi e forti di questi vis­
suti i nostri contemporanei si aspettano un cambiamento dalla Chiesa per ade­
guarsi ai mutati tempi e al mutato sentire degli uomini. La trasformazione
dovrebbe però coincidere con un rilassamento delle indicazioni morali e degli
insegnamenti che forniscono il patrimonio di fede dei credenti: non sarebbe
più possibile né auspicabile una Chiesa che ponga limiti alPagire dei credenti.
A una Chiesa che ha bisogno di lasciarsi trasformare secondo le dinamiche
della gioia del Vangelo e a questo contesto culturale, che percepisce gli inse­
gnamenti della Chiesa come troppo cogenti, statici e immutabili, l’esortazione
Evangelii Gaudium propone una volontà di ristrutturazione programmatica
della Chiesa come istituzione (cf. EG 27-33) che sia radicalmente nuova per­
ché «gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una
costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguag­
gio che consenta di riconoscere la sua permanente novità» (EG 41). La natura
e la direzione di questo cambiamento risulta però quanto mai sorprendente.

IL Dal cuore del Vangelo: la misericordia come risposta

Ciascuno di noi, in quanto essere umano, vive una strutturazione della


convivenza caratterizzata dal tempo e dal luogo. I modi di relazionarsi non
sono accadimenti singoli e puntuali, perché le relazioni si strutturano nel tem­
po, formano uno stile di rapporti che genera attese e interpretazioni, orienta­
menti valutativi e decisionali: è quello che chiamiamo stile di vita personale,
stile di vita di un gruppo, di una collettività, in ultima analisi cultura. In que­
sto senso, la strutturazione della convivenza in cui siamo inseriti è storica­
mente efficace sul nostro modo di vivere, di conoscere e di decidere. Le isti­
tuzioni sono il segno più evidente e più consistente della realtà chiamata
strutturazione della convivenza. Esse mediano, in maniera visibilissima e
solida, quello che prima di noi già è stato capito, assunto, voluto e deciso. In
esse le relazioni socialmente strutturate si mantengono e si trasmettono, dan­
do efficacia operativa al quadro di valori e alle nostre reali possibilità e
capacità di operare, a partire dalle stesse nostre capacità di comprendere e
valutare. Ogni istituzione tende a modificare nel tempo il suo modo di espri­

47 Da questo punto di vista anche il marxismo può essere visto come ima forma di escato­
logia impropria proponendo un perfezionamento definitivo dell’uomo all’intemo della storia.
Cf. J. Ratzinger, Escatologia, Assisi (PG) 1977, 223. Il post-umanesimo e il marxismo
rispetto al destino dell’uomo si configurano come due ideologie concorrenti: entrambe pro­
spettano una forma di salvezza di tipo escatologico intrastorico. Questo potrebbe spiegare
l’ostilità e le critiche di uno studioso come Pietro Barcellona nei confronti del
postumanesimo. Cf. A. Caronia, Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Roma 1985, 143-
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 87

mersi e anche di giustificarsi: al suo interno, anche il ruolo dell’autorità varia


corrispondentemente al variare stesso delPistituzione. La Chiesa in quanto
istituzione fatta di persone che vivono nella storia, conosce al suo interno del­
le dinamiche legate al darsi di relazioni strutturate tra gli uomini48.
Le istituzioni si esprimono attraverso artefatti, questi rappresentano il
modo con cui una cultura si esprime e si organizza in un tempo e in un luogo.
Edifici, tecnologie, realizzazioni artistiche e tutti gli altri prodotti dell’attività
dell’uomo costituiscono il livello visibile di una cultura. Questo livello esiste
e si realizza in forza di ima serie di giudizi di valore che sono condivisi da
una comunità. Infatti ogni gruppo sociale strutturato si propone una certa
visione di bene comune definito dalle finalità specifiche che determinano e
reggono il gruppo stesso. In base a tale bene comune specifico si strutturano
le relazioni interne ai singoli ambiti di socialità, in base ad esso viene anche
valutato l’esercizio dei ruoli attribuiti ai singoli e si formano le attese recipro­
che. La domanda etica attraversa tutto il processo di formazione, di progressi­
va strutturazione e di eventuale modificazione, che dà forma ai vari livelli e
modi concreti della socialità: è la domanda sulla correttezza, in termini di
autenticità umana, delle finalità perseguite e dei modi di perseguirle che costi­
tuisce Vethos di un popolo, ovvero è espressione della moralità dei singoli
nello strutturarsi della storia49.
Anche la Chiesa nella sua componente storica si esprime con modalità che
divengono rivelatrici dei valori di una cultura ed espressione della moralità di
una società: anche se l’essenza della cultura di un gruppo è il suo modello di
assunzioni di base condivise e date-per-garantite, la cultura si manifesterà a
livello degli artefatti e di convinzioni e valori condivisi e osservabili. Nel­
l’analisi di una cultura è importante riconoscere come gli artefatti siano facili
da osservare ma difficili da decifrare rispetto a quelle razionalizzazioni o
aspirazioni di convinzioni e valori condivisi che riflettono. Per capire la cultu­
ra di un gruppo bisogna cercare di arrivare a quelle assunzioni di base, condi­
vise dal gruppo che la genera, e si deve capire il processo attraverso il quale
tale assunti di base si sono formati e hanno dato luogo agli artefatti che com­
pongono il livello visibile di tale cultura50.
Tuttavia la Chiesa, come istituzione, conosce anche un’altra dinamica che
forgia e rinnova le sue strutture: «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la
vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salva­
re da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dal­
l’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG 1). Que-

48 Cf. E.H. Schein, Organizational Culture and Leadership, San Francisco (CA) 2010.
49 Cf. D. Abignente - S. Bastianel, Le vie del bene. Oggettività, storicità, intersoggetti­
vità, Trapani, 2009, 51-95; S. Bastianel - G. Parnofiello, Moralità personale nella storia,
Roma, 2005, 303-323.
50 Particolarmente illuminate è l’analisi che Shein propone di una cultura. Cf. E.H. Schein,
Organizational Culture and Leadership (cf. nt. 48), 36.
88 PAOLO BEN ANTI, T.O.R.

sta dinamica salvifica di incontro con il Vangelo anima e trasforma i fedeli


producendo dinamiche di superamento, in senso evangelico, della cultura e
producendo quindi una costante e radicale trasformazione della Chiesa por­
tandola a superare le ambiguità dello strutturarsi delle relazioni in forza della
gioia che si rinnova e si comunica.
Se queste sono le dinamiche interne alla vita ecclesiale, la Chiesa è altresì
consapevole delPirrinunciabile missione di annunciare tale gioia evangelica
tutti gli uomini e a tutte le culture. Oggi questa evangelizzazione del mondo
conosce delle sfide particolari.
Il Pontefice in Evangelii Gaudium percepisce la necessità di un cambia­
mento nella Chiesa e lo auspica come prossimo:
sogno ima scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetu­
dini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale
adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale [...]. La riforma delle strutture,
che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in
modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le
sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante
atteggiamento di «uscita» {EG 27).

Nei confronti di una cultura il cui elemento caratterizzante è il continuo


cambiamento e la profonda instabilità la Chiesa deve andare in contro, uscire
verso questo mondo (cf. EG 24). L'uscire che auspica papa Francesco non è
però una resa o un abbandono della verità del Vangelo o un rinnegamento del
vissuto credente, al contrario ne è proprio il suo contenuto più autentico.
L'uscire è il frutto dell’amore, è quel primerear, per utilizzare il neologismo
papale, quel prendere Finiziativa che chiede l’amore: il cristiano è tale perché
ha vissuto e sperimentato un Signore che ha preso l’iniziativa redimendolo.
Questo amore non solo spinge, Caritas Christi urget nos! (2Cor 5,14), ma eli­
mina ogni paura nell’andare incontro al mondo, ai lontani e agli esclusi (cf.
EG 24).
Questo coinvolgimento non segue, quindi, le rotte del mainstream culturale
ma la direzione di Colui che per primo si è coinvolto con l’uomo: «[la Chie­
sa] vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver spe­
rimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un
po’ di più di prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvol­
gersi”» {EG 24).
La vera e costante novità della Chiesa per vivere le nuove sfide culturali è
la misericordia che è in sé la novità stessa scoperta nell’autorivelazione stori­
ca di Dio51.

51 II tema della misericordia sembra essere centrale per il Pontefice tanto da apparire come
cuore del suo stemma pontificale. Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di
San Beda il Venerabile, sacerdote, il quale, commentando l’episodio evangelico della voca­
zione di San Matteo, scrive: Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 89

La Chiesa è esperta di misericordia perché è fondata nell’azione misericor­


diosa di un Dio fattosi uomo perché nessun uomo fosse troppo lontano dal­
l’amore di Dio, ma la Chiesa in se stessa è comunicatrice, tramite l’azione
salvifica dei sacramenti, di misericordia. La misericordia di cui è sacramento
la Chiesa è la possibilità per gli uomini del nostro tempo di sperimentare ciò
che più bramano: il senso dell’esistenza. La misericordia fa sperimentare il
senso dell’esistere in Colui che dell’esistere è il Senso: Dio Padre fonte di
ogni misericordia.
A partire dalla misericordia si costruisce anche la novità morale proposta
dalla Evangelii Gaudium che esprime nei numeri 36 e 37 il senso di questa
novità. In questi numeri papa Francesco ricorda come tutte le verità rivelate
procedendo dalla stessa fonte divina siano da credere con la stessa fede. Tut­
tavia questo non toglie che nel voler esprimere direttamente il cuore del Van­
gelo alcune risultino maggiormente importanti (cf. EG 36). Questa consape­
volezza è stata espressa dal Concilio Vaticano II nel concetto di gerarchia
delle verità essendo diverso il nesso con il fondamento della fede cristiana52.
Questa gerarchia però si da anche per il messaggio morale della Chiesa: esi­
ste una gerarchia nelle virtù e negli atti che da esse procedono53. Questo ordi­
ne delle virtù ha un suo vertice nella misericordia:
L’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo, che si
manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore». Per questo afferma che, in
quanto all’agire esteriore, la misericordia è la più grande di tutte le virtù: «La
misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad
altri e, quello che più conta, sollevare le miserie alimi. Ora questo è compito spe­
cialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di Dio usare miseri­
cordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza (EG 37).

La misericordia cui si riferisce Evangelii Gaudium va però resa scevra da


alcuni possibili fraintendimenti ideologici. La nostra società sembra non
accogliere positivamente questo termine edotta anche da quei pensatori del

vidit, ait illi Sequere me. Questa omelia, omaggio alla misericordia divina, è inserita nella
Liturgia delle Ore della festa di San Matteo e riveste un significato particolare nella vita e nel-
l’itinerario spirituale del Papa. Infatti, racconta il Pontefice, nella festa di San Matteo dell’an­
no 1953, sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa
di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la
discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla consacra­
zione. Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che
segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come
motto e programma di vita, l’espressione di San Beda miserando atque eligendo, che ha inte­
so riprodurre anche nel proprio stemma pontificio. Cf. www.vatican.va/holy_father/ffancesco-
/elezione/stemma-papa-ffancescoit.html [accesso: 2 aprile 2014]).
52 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio,
21 novembre 1964, n. 11.
53 Cf. Summa Theologiae I-II, q. 66, art. 4-6 e cf. EG 37.
90 PAOLO BENANTI, T.O.R.

Novecento che Paul Ricoeur chiamava i maestri del sospetto54: Karl Marx,
Frederick Nietzsche e Sigmund Freud. Infatti è possibile trovare negli scritti
di questi tre autori
la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo insieme come coscien­
za «falsa». Con ciò essi riprendono, ognuno in un diverso registro, il problema del
dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cartesiana. Il filo­
sofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che non sono come
appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia cosi come appare a se stessa; in
essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e
Freud, noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio sulla
coscienza55.

Alla luce di questi dubbi sull’umano, la misericordia, in primo luogo, va


liberata da una comprensione che potremo definire marxista. Karl Marx, in un
celeberrimo passaggio dei suoi scritti, definisce la religione oppio dei popo­
li56 : la misericordia non è un rifugio consolatorio che aliena il credente dal
confronto con il mondo e con l’ingiustizia. La misericordia non sottovaluta o
dice essere poco importanti le condizioni dell’altro e del povero.
In secondo luogo bisogna eliminare dal concetto di misericordia ogni pos­
sibile contaminazione di tipo nietzschiano, di chi vede, cioè, nella misericor­
dia e nella compassione quanto di maggiormente avverso possa esistere nei
confronti dell’avvento del vero uomo. Infatti per Nietzsche la misericordia
non è altruismo ma una raffinata forma di egoismo e di autocompiacenza del
ricco che vuole far sentire la sua superiorità ai poveri57.
Infine bisogna eliminare dal concetto di misericordia, per riscoprirne l’au­
tentico contenuto cristiano, il sospetto che il darwinismo, specialmente nelle
sue declinazioni sociali, ha posto su tutto ciò che sembra opporsi a quel pro­
cesso di dominio dei forti sui deboli che è associato all’evoluzione della strut­
tura sociale.
La misericordia, novità cristiana dell’agire morale, cioè della prassi della
Chiesa trova il suo autentico significato nella Rivelazione.
Il termine latino misericordia significa in base al suo senso letterale originario:
avere il proprio cuore (cor) vicino ai poveri (miser); avere un cuore per i poveri.
[...] In questo senso umano generale [...] misericordia indica quell’atteggiamento,
che supera il proprio egoismo e l’incentramento sul proprio io e che ha il cuore
non presso di sé, ma presso gli altri, in particolare presso i poveri e i bisognosi di

54 Cf. P. Ricoeur, DelVinterpretazione. Saggio su Freud, Milano 1967, 46-48.


55 A. Negri, Novecento filosofico e scientifico. I protagonisti, II, Milano 1991, 458-459.
56 Cf. K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, in Scritti politici giovanili,
Torino 1975, 394-412.
57 Cf. F. Nietzsche, Umano troppo umano, in Opere, IV/2, Milano 1960 ss.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 91

qualsiasi specie. Tale autosuperamento in direzione degli altri e tale dimenticanza


di se stessi non sono debolezza ma forza, sono la vera libertà58.

La misericordia mostra così il suo carattere di novità continua qualifican­


dosi come l’elemento fondamentale per la formazione della prassi del fedele e
della Chiesa. L’esperienza morale personale è legata alla relazione morale:
Tesserci di un tu davanti al soggetto morale che non dipendente da lui che fa
nascere nel luogo più profondo e intimo della persona stessa qualcosa e che
chiede una risposta59. Qualsiasi decisione di relazione si prenda a partire da
questa presenza è comunque risposta interpretante Tesserci dell’altro. Di
fronte alla presenza dell’altro la conoscenza e la libertà sono chiamate a farsi
responsabilità: la forma più piena e umana di questa responsabilità, la forma
che abbiamo visto possibile nell’agire salvante di Dio, è la misericordia.
Nell’ambito dell’esperienza personale, l’incontro con l’altro propone così
una realtà che ha la pretesa di riqualificare il senso globale del proprio vivere,
dell’interiorità più profonda e del suo esprimersi concreto secondo la modali­
tà della misericordia. La misericordia è quindi la realtà della reciprocità e del
riconoscimento dell’altro: della relazione e del modo di questa relazione. È il
luogo originario della responsabilità e, precisamente in questo, il luogo origi­
nario della moralità. La presenza del tu non produce nel soggetto morale un
vago sentimento ma attiva nel più profondo della persona {in imo direbbe
Gaudium et Spes 16) il fenomeno morale: siamo chiamati a riconsiderare noi
e il mondo in forza di quel tu che ci si pone di fronte. È importante sottoline­
are come non sia il tu in sé l’assoluto morale ma la presenza di un altro, di un
qualcuno e non di un qualcosa, chiama in causa la libera e consapevole
responsabilità, attiva in noi una necessità di risposta dal carattere assoluto

58 W. Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo. Chiave della vita Cri­
stiana, Brescia 2013, 38. Il valore del testo del card. Kasper risulta ancora più evidente se si
considera che durante il primo Angelus del pontificato il 17 marzo 2013 papa Francesco ha
indicato questo testo come un testo da cui aveva tratto tanto giovamento. Per una ricostruzio­
ne maggiormente dettagliata dei significati biblici del termine misericordia rimandiamo al
testo di Kasper essendo il nostro interesse maggiormente focalizzato sul significato etico di
porre la misericordia come chiave della prassi ecclesiale.
59 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et Spes [= GS], 7 dicembre 1965, n. 16: «In imo conscientiae legem
homo detegit, quam ipse sibi non dat, sed cui obedire debet, et cuius vox, semper ad bonum
amandum et faciendum ac malum vitandum eum advocans, ubi oportet auribus cordis sonat:
fac hoc, illud devita. Nam homo legem in corde suo a Deo inscriptam habet, cui parere ipsa
dignitas eius est et secundum quam ipse iudicabitur». Questo passaggio di Gaudium et Spes è
particolarmente significativo. I Padri conciliari nell’affrontare il tema della coscienza morale
hanno scelto di descrivere il darsi del fenomeno morale: più che offrire una definizione di
coscienza morale hanno preferito descrivere il carattere assoluto e originario del fenomeno
morale mostrando come il dovere morale s’innesti e sgorghi dalla coscienza morale, da quella
quella profondità della persona umana dove lo spirito ode l’eco della voce stessa di Dio, o per
usare i termini di Evangelii Gaudium, nel luogo dove siamo toccati dalla misericordia.
92 PAOLO BENANTI, T.O.R.

(fenomeno originario della moralità): accogliere l’altro e la relazione che mi


offre o il negarlo rifiutando tale relazione60.
La misericordia, additata come cuore del vissuto del singolo fedele e della
Chiesa, può delineare, in sintesi, la qualità, il fondamento dell’esperienza
morale e la perenne novità del bene capito come da farsi qui e ora secondo
due direzioni: la misericordia ricorda che l’esperienza morale si costituisce
nella relazionalità interpersonale e che questa esperienza morale è qualificata
dall’unità personale di conoscenza, libertà, responsabilità attivata dalla pre­
senza di un tu che strappa il soggetto dall’individualismo.
La misericordia, volto del Dio che si fa uomo, ha in sé tutta la novità del­
l’incarnazione. Porre al centro del vissuto morale la misericordia significa,
allora, cercare di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del
Vangelo vedendo spuntare nuove strade, metodi creativi, altre forme di
espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il
mondo attuale, rendendo ogni autentica azione evangelizzatrice sempre nuova
della novità della misericordia (cf. EG 11).
La risposta agli interrogativi posti dai nostri contemporanei e dai dubbi sul­
l’uomo che l’antropologia postumanista sviluppa e propone trovano nella
misericordia una via di confronto e di risposta. La misericordia si offre come
modalità chiave nel confronto con queste visioni dell’uomo perché invita a
passare attraverso l’esperienza e la dimensione esistenziale del vivere umano:
la misericordia come esperienza di Dio mostra e fonda il valore dell’uomo e
dell’umano.
Per poter chiarire il senso di quanto diciamo e per eliminare possibili ambi­
guità dal nostro discorso dobbiamo chiarire ulteriormente quanto abbiamo
affermato.
La parola esperienza proviene dal sostantivo latino experientia, a sua volta
derivato da experiens, participio presente del verbo experiri, cioè provare,
sperimentare. Il termine indica lo sperimentare o il conoscere direttamente un
aspetto della realtà61. Esperienza vuol dire, sinteticamente, aver attraversato
una serie di eventi che, accumulati, hanno sviluppato un arricchimento inte­
riore e una crescita morale, oppure ogni singolo atto che ha permesso di cono­
scere un particolare aspetto del mondo o della vita62.

60 Cf. J. De Finance, A tu per tu con Valtro, Roma, 2004, 1-46.


61 Cf. M. Cortelazzo - M.A. Cortelazzo - P. Zolli, Il nuovo etimologico, in Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana [CD-ROM], Bologna 1999.
62 Molto più complesso è invece il significato di esperienza nell’ambito della logica e della
scienza contemporanee: se infatti per l’uomo del Rinascimento il fatto osservabile attraverso i
sensi si contrapponeva ai dati acquisiti con la lettura dei classici o con la ragione, nella scien­
za del nostro secolo vengono condotti esperimenti in cui i fenomeni non sono osservati diret­
tamente, ma derivano da operazioni molto complesse che comportano calcoli matematici,
deduzioni, astrazioni. Pensiamo ad esempio alle prove che sostengono le diverse teorie sulla
struttura dell’atomo condotte su grandezze soltanto ipotizzate perché non osservabili. Come si
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 93

Appartiene a questa dinamica del vivere umano anche quella che chiamia­
mo esperienza di fede63. La misericordia è autentica esperienza di fede poiché
in essa, non è l’uomo che indirettamente o direttamente cerca di accedere al
divino — come avviene neW esperienza religiosa —, ma è il divino che viene
percepito come un Essere personale che «si presenta in uno spazio storico
preciso, sceglie un interlocutore ben definito e si presenta, lui stesso, come il
Vivente/Dialogante»64. L'esperienza di fede è quell’esperienza realizzata e
descritta nei libri dell’Antico Testamento, che precede e accompagna quella
che sarà poi Tesperienza propria della fede cristiana descritta a sua volta nei
libri del Nuovo Testamento. In essa la novità preponderante è quella secondo
cui «“l’Io sono di Jahweh” come Dio Uno e Unico si dischiude nel “Noi sia­
mo” inclusivo della relazione unità/distinzione di Gesù col Padre che invita (e
realizza) anche la nostra partecipazione [...]: nel senso che ci invita ad “entra­
re” in questa relazione come luogo della nostra dimora in Dio, perché Dio ha
preso dimora tra noi»65.
La misericordia allora, qualificandosi come autentica esperienza di Dio,
offre la più autentica ermeneutica di quanto si legge nella costituzione Gaudi­
um et Spes sulla verità dell’uomo: «Cristo, che è il nuovo Adamo [...] svela
[...] pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione [...]
proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore»66.
Le difficoltà nel saper valutare il valore dell’esistenza umana sembrano
allora qualificarsi come un’assenza di esperienza di umanità, in particolar
modo di quell’esperienza profonda e trasformante che è la misericordia.

vede quindi per l’uomo del nostro tempo il confine tra la sfera dell’esperienza e quella del
pensiero o della razionalità non può essere tracciato con nettezza.
63 II tema conosce un ampio dibattito e una notevole letteratura che approfondisce le possi­
bilità, le caratteristiche e i modi in cui si da un’autentica esperienza di fede. Rimandiamo a
due autorevoli contributi in materia: N. Galantino, «Esperienza», in G. Barbaglio - G.
Boff - S. Dianich, ed., Teologia, Cinisello Balsamo (MI) 2002, 595-607; J. Mouroux,
L’esperienza Cristiana. Introduzione a una teologia, Brescia 1956.
N. Galantino, «Esperienza» (cf. nt. 63), 601.
65 P. Coda, «Rivelazione cristologica ed esperienza di Dio», in E. Morandi - R. Panatto-
Nl, ed., Esperienza di Dio. Filosofi e teologi a confronto, Padova 1996, 252.
66 GS. 22. Particolarmente significativo a riguardo di questa connessione tra misericordia e
possibilità di comprendere l’esperienza umana sono le parole con cui Giovanni Paolo II apre
l’enciclica sul tema della misericordia: «Seguendo la dottrina del Concilio Vaticano II e
aderendo alle particolari necessità dei tempi in cui viviamo, ho dedicato l’enciclica Redemptor
hominis alla verità intorno all’uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in
Cristo. Un’esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a
scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è “misericordioso e Dio di
ogni consolazione” (2Cor 1,3). [...] la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua
natura, non può aver luogo senza il riferimento — non soltanto concettuale, ma integralmente
esistenziale — a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la
rivelazione del mistero del Padre e del suo amore». Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Dives
in misericordia, 30 novembre 1980, n. 1.
94 PAOLO BENANTI, T.O.R.

Conferme dell’eclissi dell’esperienza, e in particolare di quelle che si quali­


ficavano come esperienze profondamente umane e umanizzanti, ci vengono da
Filippo La Porta67 68
che porta a toccare con mano il progressivo eclissarsi della
possibilità di fare esperienza presente oggi nelle società più sviluppate dal
punto di vista industriale. Questo eclissamento è parallelo all’instaurarsi di una
realtà-irrealtà, quello che abbiamo descritto come condizione postumana,
composta di similacri, di espansione illimitata di fiction e spettacoli, di mondi
sempre più virtuali: in questi mondi virtuali l’esperienza che si fa, ammesso si
possa chiamarla ancora tale, è senza pericoli, potenzialmente infinita, conti­
nuamente intercambiabile, reversibile. Solo che questa più che un’esperienza
si riduce a quella che potremmo definire una pseudo-esperienza: non ci sono
limiti, non c’è noia, non ci sono pericoli, non c’è rischio, non c’è passività,
capacità d’attesa, non c’è storia, memoria, non c’è morte, non ci sono corpi. In
questa situazione siamo sempre più «condannati a controllare per intero
l’esperienza, a renderla comodamente reversibile, e così a perderla» .
Da questa virtualizzazione del vivere umano che alleggerisce l’esistenza di
tutto il suo peso e che non permette di accedere a quelle evidenze che il vive­
re offre all’uomo, siamo strappati dall’incontro con Dio, dalla scoperta della
misericordia. La misericordia, l’amore gratuito e salvante di Dio, non conosce
virtualità ma trasforma la nostra storia in storia di salvezza portandoci a (ri­
scoprire il peso e la dignità dell’esistenza umana: la misericordia ci strappa
all’irreale universo digitale in cui ci rifugiamo facendoci convertire al reale.
Nella misericordia non solo appare la reale costituzione dell’uomo come
ricordato da Gaudium et Spes ma si generano anche criteri e una gerarchia di
valori in grado di farsi carico della nostra condizione creaturale.
La misericordia è la novità cercata per vivere le sfide del nostro tempo per­
ché è principio di conversione del discepolo, del fedele che vive della relazio­
ne con il suo Signore. Convertirsi è cambiare il proprio modo di sentire, di
capire, di valutare e di decidere: riconoscere la realtà per quella che è e rico­
noscere il proprio peccato per pentirsi e cambiare vita. In Gesù Cristo la con­
versione è accogliere l’amore di Dio alla persona peccatrice, cambiando il
modo abituale di interpretare, di valutare e di decidere. Nello Spirito la con­
versione è memoria interpretante: non mera riproduzione di atti o parole di
altri, ma relazione viva che consente di affrontare la novità del vivere nella
storia.
La conversione è vivere la misericordia, vivere cioè secondo la logica del
Dono e con forza derivante dal fatto che il Dono è presente. L’itinerario di
fede dei discepoli, nei Vangeli, è presentato come un itinerario di conversio­
ne. La sequela dei discepoli consiste in un tempo di familiarità con il Signore
Gesù, di ascolto della sua parola, un tempo in cui vedono, ascoltano, impara­

67 Cf. F. La Porta, L’autoreverse dell’esperienza, Torino 2004.


68 F. La Porta, L’autoreverse dell’esperienza (cf. nt. 67), 140.
LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 95

no da lui come si vive sulla terra. Ciò che è successo ai discepoli in questa
familiarità terrena con Gesù è ciò che verrà riproposto a loro stessi e mediato
da loro per una familiarità fondata nel ricordo del Signore consegnato nella
sua parola, nella traditio vivente di fede: una scuola di misericordia.
Volendo provare a sintetizzare quanto fin qui emerso possiamo dire che la
misericordia è l’orizzonte della vita cristiana, intendendo con il termine oriz­
zonte, rispetto ad un soggetto morale, la sua consapevolezza (sempre presente
anche se non sempre tematica ed esplicita) dell’universo delle relazioni che
vive. In altri termini per ciascuno di noi vivere è sapersi dentro un orizzonte
di comprensione, è sapersi in un sistema di relazioni che è quello che ciascu­
no di noi riconosce, quello di cui ciascuno di noi è consapevole. Il mondo è
più vasto dell’orizzonte personale, ma se camminiamo nel mondo, ci cammi­
niamo con quella consapevolezza che è resa possibile dal nostro orizzonte,
anche se sappiamo che c’è un oltre69. Per un credente avere un orizzonte
significa che il suo capirsi e il suo decidere qualcosa è assunzione dell’univer­
so di comprensione formato, di fatto, da un orizzonte relazionale plasmato da
quell’incontro gratuito e salvante con Dio che è misericordia. Appare allora
evidente in tutta la sua profondità l’invito di Evangelii Gaudium (cf. EG 37) a
riportare la misericordia al centro dell’annimcio morale cristiano nell’incontro
con il mondo.
Per quanto riguarda i singoli e specifici problemi il Pontefice lascia emer­
gere, in quella che potremmo capire come una sorta di «regionalizzazione
della Chiesa», come il discernimento, basato su importanza e urgenza dei
valori, spetti agli episcopati regionali:
sono innumerevoli i temi connessi all’evangelizzazione nel mondo attuale che qui
si potrebbero sviluppare. Ma ho rinunciato a trattare in modo particolareggiato
queste molteplici questioni che devono essere oggetto di studio e di attento appro­
fondimento. Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una
parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il
mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discerni­
mento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo sen­
so, avverto la necessità di procedere in una salutare «decentralizzazione» (EG 16).

La misericordia allora può anche essere capita come motore della traditio
viva della Chiesa: la comunione con Dio in Cristo si realizza nella sequela e
la personale esperienza di ciascun discepolo è di aiuto agli altri e da qui sorge
la chiesa che vive insieme nel ricordo del Signore (traditio vivente). La con­
divisione del ricordo del Signore genera Vethos cristiano (moralità condivisa).
V ethos va oltre le singole risposte, pur esplicitandosi nelle singole risposte
immediate e categoriali; a partire da questo ethos sarà possibile un’etica cri­

69 Le riflessioni su quest 'oltre andrebbero integrate considerando come nella consapevo­


lezza cristiana vi sia un Avvenire che è già dato (orizzonte escatologico) in un futuro che si è
chiamati a costruire (orizzonte intramondano).
96 PAOLO BENANTI, T.O.R.

stiana o dei cristiani: morale esplicita non formulata solo in norme, ma anche
in espressioni sapienziali, in criteri di gerarchia e di urgenza tra valori legati
alle molteplici situazioni locali dove la Chiesa vive radunata attorno al
Vescovo suo pastore. Nella comunità l’autorità (magistero) ha il compito di
prendersi cura di essa precisamente in quanto comunità: il magistero locale a
cui il Pontefice rimanda per il discernimento sulle singole questioni, nella
misericordia, allora suppone la conversione dei singoli, la condivisione della
fede e della morale nel ricordo interpretante del Signore che ci salva.
L’annuncio del Vangelo di fronte alle nuove sfide culturali è un compito
che coinvolge quindi tutta la dinamica della moralità personale e la riflessione
etica ecclesiale. Questo compito trova la sua realizzazione nella novità della
misericordia. Solo la novità di chi sa assumere lo sguardo e i criteri di un Dio
che si china sull’uomo salvandolo saprà vivere la gioia del Vangelo e la spe­
ranza della fede nel dialogo con le inedite antropologie e i nuovi valori che
danno forma alla nostra contemporaneità.

Basilica dei Ss. Cosma e Damiano Paolo Benanti, T.O.R.


Via dei fori imperiali, 1
00186 Roma (Italia)
E-mail: benanti@unigre.it

RIASSUNTO

Oggi viviamo il disagio di un’epoca caratterizzata da forti contrasti ideologici, cul­


turali, religiosi. Assistiamo ad atteggiamenti diffusi di indifferenza, apatia, rassegna­
zione. In questo tempo l’evangelizzazione e la trasmissione della fede sembra ormai
impossibile e non resta che rassegnarsi a un dissolvimento dei valori morali e di ogni
forma di credenza passata. Alla luce del contributo dell’esortazione apostolica Evan-
gelii Gaudium il contributo prova ad approfondire sfide e limiti che si trova ad affron­
tare l’annuncio del Vangelo di fronte a queste nuove forme della cultura contempora­
nea, in particolare rispetto alla visione postumana dell’uomo.

Parole chiave: cultura, Evangelii Gaudium, postumano, antropologia, teologia morale


LA GIOIA DEL VANGELO NEL CAMBIO ANTROPOLOGICO 97

ABSTRACT

Today we live in an age characterized by huge ideological, cultural and religious


contrasts. We see indifference, apathy, and resignation. In this situation evangelizati­
on and faith transmission seems impossible and we should resign to moral values dis­
solving and give up any past certainty. This paper tries to challenge this situation with
the help of apostolic exhortation Evangelii Gaudium: we explore the challenges and
limitations that the proclamation of the Gospel faces cause of these new forms of con­
temporary culture, particularly due post-human culture.

Keyword: culture, Evangelii Gaudium, posthuman, anthropology, moral theology


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