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18 dicembre 2023 - 16:31 > Versione online

Il messaggio di Monsignor Sandro Salvucci


alla Parrocchia Universitaria

7' di lettura18/12/2023
- In prossimità del Natale, nell’occasione dell’incontro mensile con i docenti
dell'Università di Urbino promosso dalla pastorale universitaria, l’arcivescovo di Pesaro
e Urbino Monsignor Sandro Salvucci è intervenuto con la seguente riflessione:
Suggestioni attorno al tema: “La religione vissuta da moderni”

“Tutto intorno a te”, slogan pubblicitario di qualche anno fa, è un’espressione che meglio
di ogni altra riassume, a mio parere, lo spirito del tempo che viviamo. Dobbiamo
riconoscere a Papa Francesco la lucidità nel cogliere le profonde trasformazioni culturali
che attraversano il mondo, specie quello occidentale, tanto da affermare che non siamo
di fronte a un’epoca di cambiamenti, ma a un “cambiamento d’epoca”. Ecco cosa ha
affermato in un discorso di alcuni anni fa ai membri della Pontificia Accademia della Vita:
“La creatura umana sembra oggi trovarsi in uno speciale passaggio della propria storia
che incrocia, in un contesto inedito, le antiche e sempre nuove domande sul senso della

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vita umana, sulla sua origine e sul suo destino. Il tratto emblematico di questo passaggio
può essere riconosciuto sinteticamente nel rapido diffondersi di una cultura
ossessivamente centrata sulla sovranità dell’uomo - in quanto specie e in quanto
individuo - rispetto alla realtà. C’è chi parla persino di egolatria, ossia di un vero e
proprio culto dell’io, sul cui altare si sacrifica ogni cosa, compresi gli affetti più cari.
Questa prospettiva non è innocua: essa plasma un soggetto che si guarda
continuamente allo specchio, sino a diventare incapace di rivolgere gli occhi verso gli
altri e il mondo (5 ottobre 2017).
L’ipertrofia dell’io è bene rappresentata da un altro slogan di una rivista patinata del
passato che, giocando palesemente con le parole, affermava: “Io esiste”. Qui non si
mette in discussione l’affermazione della dignità e dei diritti dell’uomo, di tutti gli uomini
(proprio in questi giorni, un po’ in sordina per la verità, si è celebrato il 75° anniversario
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) che è indiscutibilmente una
conquista di civiltà, ma si tratta di considerare quale spazio abbia il tema dell’altro e
dell’Altro con la “A” maiuscola (quindi il tema di Dio) davanti all’avanzare del “culto
dell’io”.
Afferma don Armando Matteo: Una tale diagnosi ricorda molto da vicino quella offerta
recentemente da altri studiosi del paesaggio contemporaneo. Penso a Colette Soler che
denuncia il nocivo diffondersi, nelle società occidentali, di un terribile «narcisismo»;
oppure a Luigi Zoja che ha dato alle stampe un piccolo ma acuto saggio intitolato La
morte del prossimo. Ci comportiamo, insomma, come se l’altro e gli altri nulla avessero a
che fare con il pieno raggiungimento della nostra umanità. Avanza, pertanto, l’illusione di
poter semplicemente bastare a noi stessi per una vita piena, compiuta, umana. (vedi:
https://www.settimananews.it/papa/altare-della-egolatria/)
L’illusione di poter bastare a sé stessi è affermazione di vera libertà? La rimozione
dell’altro e del senso religioso non sembrano aumentare il tasso di felicità, ma generano
disorientamento crescente e disillusione.
A questo punto vorrei portare l’attenzione su una riflessione, a me molto cara, del
Cardinale Carlo Maria Martini, una delle personalità religiose più di spicco del ‘900, sul
tema del “Dialogo con i non credenti” (ricordiamo che il Cardinale, Arcivescovo di Milano,
ha dato vita alla “cattedra dei non credenti”). Innanzitutto, nel leggere il contesto
culturale del nostro tempo, scrive:
Al di là delle interpretazioni possibili della crisi delle ideologie, della fine della modernità
e del profilarsi del tempo postmoderno, ciò che oggi in Occidente rende culturalmente
più poveri è la mancanza di un orizzonte comune rispetto a cui porre l’ethos, non
soltanto come prassi e costume, ma anche come radicamento e dimora, come ultimo
fondamento del vivere, dell’agire e del morire umani. Questo senso di abbandono e di
addio, questa fragilità e debolezza è terreno di cultura per ogni scetticismo o relativismo,
ma può anche essere un luogo in cui credenti e non credenti si confrontano. Non però
combattendosi muovendo da facili certezze o impugnando la clava della verità, con cui
punire o giudicare l’altro, ma cercando di comprendere e interpretare questo
spaesamento

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In questo spaesamento del pensiero ed esistenziale c’è un terreno comune di incontro


che è “l’altro”:
La categoria che tutti ci provoca non è l’identità, ma l’alterità, in quanto essa ci raggiunge
nel bisogno d’altri, nell’urgenza della com-passione e nell’inquietante oscurità dell’ultimo
orizzonte verso cui muovere il cammino.
La sfida si gioca perciò sul piano dell’etica:
È qui che si presenta con nuova rilevanza, come termine di comune interrogazione per
tutti, la sfida dell’etica. Non si tratta infatti solo di un esistere davanti all’Altro e con l’Altro,
ma anche di un esistere per gli altri: che non possono essere colti soltanto come
produzione del nostro pensiero, o condizione del nostro operare, o limite o sfida della
nostra libertà e delle nostre scelte, ma si offrono anche e soprattutto come esigitività
radicale, come fondamento dell’esistere responsabile.
Il tema dell’altro diventa lo spazio del dialogo tra credenti e non credenti:
Nel raccogliere la sfida dell’alterità, credenti e non credenti si scoprono più vicini di
quanto si potrebbe supporre: il credente, nella sua lotta interiore per aprirsi al Dio
dell’avvento, si riconosce in certo modo come un ateo che ogni giorno si sforza di
cominciare a credere, e il non credente pensante si riconosce come il credente che ogni
giorno vive la lotta di cominciare a non credere. Non si tratta quindi qui dell’ateo banale,
negligente e in fuga da sé stesso, ma di chi vive le tensioni profonde che agitano una
coscienza retta, in ricerca di coerenza globale; si tratta di chi, avendo cercato e non
avendo ancora trovato, patisce l’infinito dolore dell’assenza di Dio. Questo tipo di ateo
può considerarsi in qualche modo l’altra parte di chi crede. Questo riconoscere nell’altro,
nel diverso, non un pericolo, ma un dono, un incontro, è una forma esigente di eticità
sulla quale si possono sintonizzare anche credenti e non credenti. Si tratta di amare
l’altro come è, per quello che è, cercando in lui la verità di noi stessi e offrendogli
umilmente, ma al tempo stesso fiduciosamente, la verità di noi stessi.
In ultima analisi:
… la differenza da marcare non sarà tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra
pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la
sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che
hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e
non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e
dell’ultima patria. La sfida pastorale che ne deriva è allora quella di ascoltare le
domande vere del pensiero davanti al mistero dell’esistenza, ponendosi insieme,
credenti e non credenti pensosi, a capire ciascuno le ragioni dell’altro.
Siamo ormai prossimi al Natale che ci rimanda al mistero di un Dio che non se ne sta
nella sfera del “totalmente altro”, ma in Cristo “svuotò sé stesso assumendo una
condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,8). Auguro a ciascuno di trovare
nel Dio che si è fatto bambino uno stimolo a non rimanere chiusi in sé stessi, ma a fare
“esodo” dal proprio io per aprirsi al Mistero e andare incontro all’altro, per accoglierlo,
ascoltarlo, comprenderlo e imparare a percorrere insieme le strade della vita, sognando
e impegnandosi insieme a costruire un mondo più giusto e fraterno.

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Il Signore vi dia pace!


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