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MALATTIE AUTOIMMUNI

Riprendiamo dai fattori favorenti l’ insorgenza di malattie autoimmuni: età, sesso, familiarità, geni
HLA, però sicuramente anche fattori ambientali, come le infezioni o altri fattori non infettivi, come
per esempio ormonali che apportati dall’ esterno possono giocare un ruolo molto importante.
Quindi da una parte abbiamo i fatti genetici, dall’ altra un’ interazione con i fattori ambientali: le
malattie autoimmuni sono patologie multifattoriali, dove gioca un ruolo maggiore o minore la
situazione ambientale.

Questa diapositiva illustra quello che accade in un modello sperimentale spontaneo di lupus
eritematoso, o simil-lupus visto che nn si tratta di una forma umana. In pratica vediamo l’ incrocio
fra due ceppi di topi New Zeland, quello black (NZB) e quello white (NZW); il NZB, che è
caratterizzata da un’ anemia emolitica autoimmune, peraltro nn particolarmente grave, si incrocia
con il NZW, che è sano, dà luogo ad un ibrido che sviluppa spontaneamente una malattia che è
molto simile al lupus umano, che è servito come studio per le caratteristiche patogenetiche della
malattia e anche come modello per possibili interventi terapeutici.

I topolini dell’ ibrido presentano anticorpi- antinucleo, analogamente a quelli che sono presenti
nella forma umana, una nefropatia che anche da un punto di vista istologico è di tipo lupico, con il
deposito di immuno-complessi a vari livelli nel rene, con infiltrazione o meno di cellule, cioè con
quadri istopatologici che possono essere molto simili al lupus umano; proteinuria, che poi è
secondaria alla nefropatia, cui si aggiunge insufficienza renale e i topolini vanno incontro a morte
proprio per lo sviluppo della patologia.

Questo modello ha permesso anche di anticipare quello che poi si è visto nella donna, e cioè che il
sesso è particolarmente importante. Anzitutto i topi di sesso femminile vanno incontro alla malattia
più precocemente, hanno un decorso più rapido e la malattia è più aggressiva rispetto a quella che
compariva nei topi di sesso maschile, e questo ha fatto ipotizzare che gli ormoni sessuali hanno un
qualche ruolo, anche perché già l’osservazione in patologia umana aveva fatto notare che queste
forme avevano una differenza notevolissima: 10 donne malate per un uomo malato. Questo rapporto
di 10:1 vale per le donne in età fertile: prima del menarca e dopo la menopausa il rapporto F:M
ridiventa di 1:1. quindi quello che fa la differenza è il sesso ormonale, che alla donna si instaura alla
pubertà, quindi gli estrogeni. In questi topolini è stato fatto un esperimento banale: una quota è stata
fatta evolvere come prevede la malattia naturale, e una quota è stata trattata con androgeni. Si è
visto che i topolini trattati con androgeni hanno un insorgenza molto più tardiva, anche se una volta
che la malattia compare, si instaura il circolo vizioso di danno che poi procede rapidamente. Però un
ritardo di 6 mesi nell’ esordio della malattia nn sono pochi considerando la vita media di un topo!
Quindi l’ androgeno in qualche modo proteggeva dall’ esordio della malattia autoimmune simil-
ludica.

Questo ha anticipato delle osservazioni di tipo epidemiologico perché quando è stata


commercializzata su ampia scala la pillola anticoncezionale con estroprogestinico, il dosaggio dei
due componenti era piuttosto elevato, anche perché l’ obiettivo che si voleva raggiungere era quello
di inibire l’asse ipotalamo-ipofisario ed essere sicuri di bloccare l’ovulazione: il fine era quello di
bloccare una gravidanza nn desiderata. Una sufficiente quantità di ormone riusciva ad interrompere
questo circuito con meccanismo di feedback e quindi a garantire la non ovulazione. Si sono
utilizzati composti ad elevata attività ed ad elevato dosaggio. Si è notato negli anni successivi, man
mano che aumentava la quota di popolazione che ne faceva uso e il periodo di osservazione, che
questo tipo di intervento dall’ esterno era come se rompesse un equilibrio fragile ed in alcune donne
faceva comparire un quadro tipo LES. Praticamente l’ aggiungere una quota di estrogeni piuttosto
elevata poteva portare alla comparsa di una malattia in donne sane. Nelle donne con LES, in cui una
gravidanza può essere veramente poco opportuna in certe fasi di malattia, perché magari sono in
fase acuta, devono fare terapie che possono essere molto aggressive anche per il feto, si rende
necessario programmare una gravidanza laddove la donna si trovi in fase di remissione.
Programmare una gravidanza significa avere a disposizione un mezzo anticoncezionale sicuro:
questo sembrava sicurissimo, si è visto però che l’ utilizzo di questo strumento riacutizzava il LES
in remissione. Col tempo si è visto che la pillola anticoncezionale nn era il mezzo adatto, si sono
studiati dei composti attivi a dosaggi più bassi per avere comunque lo stesso effetto inibente in
modo da limitare al massimo tutti quelli che sono gli effetti indesiderati.

Quindi fattori ambientali legati al sesso o a particolari situazioni possono interferire con un
background genetico nn ancora ben chiarito e determinare la comparsa della malattia.

Un altro fattore che ha riscontro clinico riportato è la comparsa di forme autoimmuni in seguito ad
infezioni: già molte malattie autoimmuni hanno un esordio acuto, con febbre, dolori articolari,
malessere, che fa ricordare un’ infezione acuta. Si è visto che in fase di risoluzione di un quadro
infettivo possono comparire, più o meno gradualmente o più bruscamente, dei quadri di esordio di
malattia autoimmune. Le ipotesi per il ruolo degli agenti infettivi sono due:
1. il patogeno induce nelle cellule presentanti l’ antigene (APC) l’ espressione di molecole co-
stimolatorie come B7 1-2, e questo comporta un’ attivazione di cloni linfocitari T
autoreattivi che nn sono stati eliminati perché nn erano ad altissima affinità, ma che sono
anergici in quanto, nel momento in cui interagiscono con la cellula presentante l’ auto-
antigene, manca il segnale co-stimolatorio: un riconoscimento in assenza di un segnale co-
stimolatorio induce uno stato di nn risposta da parte del linfocita T. In pratica il patogeno
induce l’ espressione di una cellula, in modo tale che trascriva ed esprima la molecola co-
stimolatoria, ed in questo modo bypassa quello che è uno dei meccanismi del mantenimento
della tolleranza periferica, cioè i cloni T autoreattivi con affinità intermedia o bassa che
vengono di norma mantenuti nn attivi grazie al fatto che l’ interazione avvenga sempre in
assenza di un segnale di pericolo.
2. un’ altra possibilità è il mimetismo molecolare: ci sono delle molecole presenti su patogeni
che sono identiche o simili a molecole self: questo può portare ad un riconoscimento una
risposta verso il patogeno, però automaticamente consente anche l’ attivazione di tutti i cloni
autoreattivi nei confronti della molecola self. Un meccanismo di questo genere sta per
esempio alla base dell’ interessamento cardiaco dopo una malattia reumatica: la malattia
reumatica colpisce le articolazioni ma morde il cuore, nel senso che il danno si ha a livello
del miocardio, in modo particolare a livello delle valvole, e poi la cicatrizzazione del danno
porta alla retrazione del danno, con tutte le conseguenze che si fanno sentire a decenni di
distanza.
Questi sono i due meccanismi più accreditati. Quale ruolo può giocare l’ HLA, soprattutto in
quest’ultima forma? Può giocare un ruolo perché il linfocita T riconosce il complesso peptide +
HLA di 2° classe. Quindi lo stesso peptide o lo stesso antigene microbico che viene presentato da
molecole diverse viene riconosciuto da linfociti diversi, cioè una cosa è il peptide presentato da una
molecola x, una cosa è lo stesso peptide presentato da una molecola y. Quindi soggetti che hanno un
certo aplotipo HLA, in modo particolare di classe 2°, hanno un rischio maggiore dopo infezioni di
vario genere di sviluppare la malattia autoimmune.

I meccanismi di danno più frequenti sono:


• tipo 2°: citotossicità mediata da autoanticorpi e complemento-PMN, diretti verso
autoantigeni presenti su cellule o tessuti, quindi si hanno autoantigeni cellulari oppure
tissutali, autoanticorpi, un’ attivazione dei meccanismi effettori quali complemento e PMN.
Il complemento svolgerà un ruolo prevalente in tutte le forme di anemie emolitiche
autoimmuni, di piastrinopenie autoimmuni, di neutropenie autoimmuni, mentre il
complemento e i PMN hanno sicuramente un ruolo in tutte quelle forme in cui gli
autoanticorpi sono diretti per es. contro la membrana basale a livello renale e polmonare,
dando luogo alla sindrome di Goodpasture, una forma di glomerulite emorragica e di
alveolite emorragica, una forma abbastanza grave.
• Tipo 3°: danno da immunocomplessi circolanti: in questo caso l’ autoantigene è solubile e l’
autoanticorpo andrà a formare degli immunocomplessi circolanti che possono precipitare
che possono causare un quadro di danno a carico di vari organi ed apparati.
• Tipo 4°: danno cellulo-mediato, dovuto ai linfociti T Cd4+ secondo le reazioni
immunopatogene.

Nelle varie forme nn è che avvenga l’ uno e venga escluso l’ altro, nn esiste
compartimentalizzazione: vedremo come in una patologia come l’ artrite reumatoide, una patologia
frequente ed invalidante, coabitino come meccanismi di danno in alcuni casi autoanticorpi e fattori
del complemento attivati e PMN a livello della sinovia, quindi a livello dello spazio articolare, ma
ci sono delle forme in cui prevale il danno da immunocomplessi circolanti, dette forme di vasculite
reumatoide che sono particolarmente aggressive e resistenti alla terapia e compaiono in età
giovanile, e poi è stato messo sempre più in evidenza come il danno di base sia dovuto alle cellule T
CD4+: questi sono i meccanismi e a seconda della forma prevale o l’ uno o l’ altro.
Nel punto A di questa immagine vediamo quella che è
La reazione fisiologica: opsonizzazione e fagocitosi
Mediata dal complemento e dagli anticorpi con i loro
Specifici recettori.
Una forma patologica, con infiammazione e danno
Tissutale, si può avere per esempio nella malattia di
Good- pasture, l’ alveolite- glomerulite emorragica.
Ci sono però delle situazioni in cui l’ anticorpo può
Mediare direttamente da solo il quadro clinico, e
Queste forme sono rappresentate da due patologie
particolari: la miastenia gravis e la malattia di
Basedow, o ipertiroidismo su base autoimmune.

Nella miastenia gravis c’è un anticorpo che ha come bersaglio antigenico il recettore per l’
acetilcolina a livello della placca motrice (Ach receptor). Il legame dell’ anticorpo con il recettore
blocca il recettore e lo rende non disponibile per l’ Ach (il suo ligando naturale) quando questa,
ricevuto un impulso nervoso, viene liberata. Questo comporta una mancata risposta muscolare agli
stimoli, quindi una astenia a livello muscolare progressiva che può arrivare a quadri di emergenza di
arresto respiratorio per paralisi della muscolatura respiratoria.
L’ altro caso è dato dalla malattia di Basedow o di Graves, nella quale abbiamo la produzione di
autoanticorpi verso il recettore per il TSH. (NB= Quando aumenta l’ ormone in periferia si ha una
diminuzione dell’ induzione a livello dell’ ipotalamo- ipofisi e viceversa). Questo autoanticorpo,
legandosi al recettore per il TSH, lo stimola, cioè anziché bloccarne la normale funzione come
avviene nella miastenia, e avendo un’ affinità estremamente elevata per il suo antigene, si lega,
questa interazione dura moltissimo perché data l’ affinità nn può essere spostato dal ligando
naturale, e determina una stimolazione continua della tiroide a produrre ormoni tiroidei, ossia T3 e
T4, che è totalmente vincolato dal normale controllo ipofisario. Il quadro che ne deriva è un quadro
di ipertiroidismo, che è piuttosto impegnativo anche da un punto di vista terapeutico.

Nelle malattie da immunocomplessi, la forma autoimmune più classica è il lupus eritematoso


sistemico, dove l’ autoantigene è costituito da DNA, da nucleoproteine, da altre varie sostanze che
sono presenti su varie cellule.
2° ora
Vi ricordo l’ultimo meccanismo che è operante nelle malattie autoimmuni, che è quello cellulo-
mediato, con i due meccanismi: il primo meccanismo è quello TH1 – macrofago – citochine, e il
secondo dove il ruolo principale è legato all’attività citotossica dei CD8 +. Qualche esempio delle
forme mediate dai linfociti T, come vedete ce ne sono parecchi, e sono sempre più conosciuti grazie
all’individuazione di modelli animali sperimentali spontanei oppure indotti.
Un esempio tipico è il diabete mellito insulino-dipendente, la malattia umana è particolarmente
diffusa nella nostra popolazione, dove gli antigeni non sono stati perfettamente identificati in modo
specifico, e dove il danno è legato soprattutto ad un meccanismo di tipo citolitico. Cioè chi
determina il danno sono i CD8+ che infiltrano e distruggono per apoptosi le cellule β pancreatiche.
La malattia compare solo quando le cellule β scendono sotto un certo livello soglia, che è quello
minimo per mantenere l’increzione di insulina. Quindi, quando compare il diabete, la distruzione
dell’organo è già avvenuta e non è più rimediabile, non è possibile più intervenire con terapie per
bloccare, perché l’organo con le cellule sono state già distrutte; compare così il quadro
dell’insufficienza ormonale, con riduzione dell’insulina e aumento della glicemia, e sintomatologia
che l’accompagna.
Modelli animali particolarmente studiati sono quelli del topolino diabetico non obeso, studiato
anche per altre patologie, tra le quali la sclerosi multipla, ugualmente diffusa in Sardegna. È stato
identificato l’autoantigene, rappresentato dalla proteina basica della mielina, è stato messo a punto
anche un modello sperimentale indotto nell’animale, con immunizzazione nei confronti della
mielina. In questi animali è possibile indurre un quadro clinico analogo a quello della sclerosi
multipla spontanea umana.
Un altro tipo di approccio che si può fare alle malattie autoimmuni è quello di distinguerle in:
malattie autoimmuni organo-specifiche, e quelle autoimmuni sistemiche o non organo-specifiche.
Le prime, come dice il nome, interessano degli organi o degli apparati specifici, senza che venga
coinvolto l’intero organismo; in quelle sistemiche abbiamo invece l’interessamento dei vari organi
ed apparati. Questa differenza è legata ai meccanismi patogenetici del danno. Nelle forme organo-
specifiche, per esempio il diabete mellito insulino-dipendente tipo I che ne rappresenta il prototipo,
abbiamo visto che il danno è dato dalla distruzione del tessuto endocrino ad opera dei linfociti di
tipo CD8+, sono presenti anche autoanticorpi il cui ruolo nella patologia non è però chiaro, e
comunque compaiono nella fase precoce della malattia o la precedono.
Nella malattia di Goodpasture, fortunatamente abbastanza rara, abbiamo autoanticorpi diretti contro
la membrana basale glomerulare e alveolare.
Un’altra malattia specifica è la sclerosi multipla, in questo caso di nuovo sono i linfociti T che
hanno un ruolo principale, e in modo particolare i T-helper, quindi citochine, macrofagi e
produzione di citochine da parte dei macrofagi, con conseguente infiammazione, lesione,
riparazione del danno di tipo cicatriziale, con perdita della normale funzione della guaina mielinica,
e comparsa della sintomatologia.
Abbiamo poi malattie autoimmuni organo-specifiche, come la malattia di Graves Basedow,
ipertiroidismo legato all’autoanticorpo anti-recettore TSH, e le varie forme di tiroiditi, tra le quali la
tiroidine di Hashimoto, molto frequente nelle donne anche giovani, che fortunatamente non danno
particolari problemi. In questo caso c’è una distruzione del parenchima tiroideo, però l’ormone
tiroideo è facilmente sostituibile per os senza particolari problemi, quindi con una banale terapia
sostitutiva si risolve il problema.
Ben diversa invece la situazione dell’ipertiroidismo, dove si deve bloccare l’aumento dell’attività
ormonale e tutte le alterazioni metaboliche che ne conseguono, però può non essere facile.
Altre malattie autoimmuni sono: la malattia di Addison, caratterizzata da un iposurrenalismo su
base autoimmune; la vitiligine che interessa le cellule pigmentate della cute, non è grave ma si
associa ad altre malattie autoimmuni e al fatto che può creare problemi legati ai rapporti sociali.
Vediamo questi topolini NOD, vedete è stato dimostra che i topolini diabetici non obesi in pratica
sviluppano spontaneamente dopo la nascita, nell’arco di qualche mese, il diabete mellito. Si sono
presi dei topolini NOD, e alla nascita gli è stata indotta una immunodeficienza asportandogli
direttamente il timo; altri topi invece sono stati invece trattati, in modo regolare alla nascita, con
anticorpi anti-CD3, che hanno determinato una situazione di assenza di linfociti T, per eliminazione
di tutti i linfociti T, che sapete hanno il CD3 come complesso multimolecolare di traduzione
cellulare del TCR verso l’interno della cellula. La rimozione del timo alla nascita o il trattamento
con anticorpi anti-CD3 in pratica proteggono il topo dalla comparsa del diabete.
Questa immagine è un’insula pancreatica con le cellule β, e questo invece è un reperto di un
soggetto diabetico deceduto, dove è chiaramente visibile l’assenza delle isole di Langherans, le
cellule β sono praticamente distrutte e la normale struttura è sostituita da un infiltrato linfo-
monocitario.
Nella miastenia gravis il danno è legato all’anticorpo. Nei pazienti con miastenia la presenza
dell’autoanticorpo impedisce all’acetilcolina di interagire col proprio ligando, perché con questo
recettore l’autoanticorpo ha una maggiore affinità rispetto all’acetilcolina stessa, quindi non può
essere spostato, non solo, ma questo legame con l’anticorpo media un progressivo danno a livello
della placca motrice, con una riduzione dei recettori stessi. È una forma non gravissima, e si è visto
che si associa, in un certo numero di casi, ad un timoma (neoplasia a carico del timo). La rimozione
della neoplasia comporta anche la scomparsa del quadro di miastenia, e quindi in caso di miastenia
gravis la prima cosa che si fa è trattare subito per prevenire la possibile insufficienza respiratoria,
escludere la presenza di un timoma oppure, se lo si riscontra, asportarlo. In questo caso la terapia
consiste nell’utilizzare dei farmaci attivi sul recettore o, in caso di emergenza, quando la
concentrazione degli autoanticorpi è talmente elevata da determinare problemi, soprattutto a livello
respiratorio (insufficienza respiratoria acuta), si può ricorrere alla plasmaferesi, tecnica che consiste
nel rimuovere dal sangue gli autoanticorpi.
Questo è il quadro clinico della tiroidite di Hashimoto, la cui normale evoluzione porta
all’ipotiroidismo. Vedete qui abbiamo colloide e tireociti. Qui invece il tessuto è sostituito da uno
strato linfo-monocitario, e la morte dei tireociti è dovuta proprio all’apoptosi indotta dai CD8+, in
più c’è tutto un quadro di tipo infiammatorio che poi darà luogo a tessuto cicatriziale.
L’encefalite allergica sperimentale, questo è il quadro sperimentale della forma umana, che è
rappresentata dalla sclerosi multipla: in pratica il topolino viene immunizzato con la proteina basica
della mielina, poi i linfociti sensibilizzati in coltura vengono espansi, cioè si stimolano a proliferare
in modo da averne un certo numero. Si fa in vitro in pratica un periodo di proliferazione, e poi li si
trasferisce in un topo singenico, e cioè con una struttura genica identica, e dopo un tempo variabile
il topo sviluppa l’encefalite allergica sperimentale, con decorso clinico analogo a quello della
malattia umana spontanea. Tra l’altro i sintomi nel topolino compaiono man mano che decrescono il
numero delle cellule T-specifiche nel sangue periferico, e aumentano a livello del sistema nervoso,
in particolare quello centrale.
Anche l’artrite reumatoide ha varie componenti. Per esempio, anche nell’artrite sperimentale i CD4+
in particolare i TH1, hanno un ruolo non indifferente. Si è visto per esempio che immunizzando con
collagene un topolino sano, e continuando a immunizzarlo, dopo un po’ di tempo compariva la
malattia (9 topi su 10). Mentre se trattiamo il topolino, prima della somministrazione del collagene,
con anticorpi anti-CD4, che quindi mi blocca i T-helper, e di nuovo viene trattato con lo stesso
anticorpo di autoimmunizzazione, in questo caso gli animali che si ammalano sono soltanto 2 su 10,
e il tempo di insorgenza della malattia è molto più lungo. Quindi sicuramente i linfociti hanno un
ruolo molto importante. A livello articolare però vediamo anche altri meccanismi che già
conosciamo, e che sono legati al fatto che, a livello locale, si ha la produzione di anticorpi a livello
articolare. Gli autoanticorpi, che possono essere anticorpi per esempio anti-immunoglobulina G,
autoanticorpi che vengono anche chiamati “fattore reumatoide”, e che possono precipitare, attivare
il complemento, richiamare i PMN con la liberazione di enzimi e di intermedi reattivi dell’ossigeno,
attivazione dei macrofagi, e infine si instaura un danno locale con ulcerazione a livello della
cartilagine nel tentativo di superare il danno, e infine alterazioni di tipo irreversibile delle superfici
articolari. Vi cito questi due casi per mostrarvi come si possono avere più meccanismi concomitanti
nel determinare un danno. Inizialmente, per esempio nell’artrite reumatoide, si da quasi esclusivo
rilievo al ruolo degli autoanticorpi, soprattutto al fattore reumatoide. Il fattore reumatoide è utile
come criterio diagnostico, ma vi vorrei far notare come il ruolo dei linfociti T nella loro attivazione
sia stato non solo chiarito, ma sia stato utilizzato come possibile bersaglio terapeutico. Qui per
esempio abbiamo una sintesi abbastanza ben fatta del meccanismo di danno a livello articolare di un
caso di artrite reumatoide: uno stimolo sconosciuto causa tutta una serie di patologie ad eziologia
sconosciuta. Per il momento le malattie autoimmuni sono ad eziologia sconosciuta, quindi stimolo
sconosciuto, attivazione dell’immunità innata, presentazione dell’antigene ai linfociti T nel
linfonodo, amplificazione del clone, e reclutamento da parte delle cellule TH1 in modo particolare
dei macrofagi, iperazione di mediatori, compreso per esempio il TNF-α. Il TNF è una citochina,
sostanza ad azione proinfiammatoria poderosa, anche a livello generale, localmente svolge un ruolo
molto importante nel determinare un danno locale, e vedete qui sono state messe a punto, come
terapie, degli inibitori del TNF. Abbiamo due tipi principali di inibitori: il primo è l’anticorpo anti-
TNF, anticorpo monoclonale, il cui obiettivo è bloccare il TNF bloccando cosi il danno articolare; il
secondo è una chimera, in pratica è un anticorpo dove la porzione specifica IgG è coniugata col
recettore del TNF: in pratica questo anticorpo-recettore intercetta il TNF solubile e ne impedisce
l’azione a livello locale sui recettori tissutali. Sono entrambe terapie utilizzate e commercializzate.

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