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Lezione 007 di Fisiopatologia del 13/04/2007 (Prof.

Atzori)

Patologie dell'apparato respiratorio


Oggi andremo a verificare quei meccanismi patogenetici che portano a una riduzione dei livelli di ossigeno in
circolo a seguito di patologie che interessano l'apparato respiratorio. Al livello del sangue arterioso si va al di
sotto di una certa pressione parziale di ossigeno e abbiamo visto che ci possono essere tante cause, quindi
tante malattie polmonari possono provocare una riduzione dell'ossigenazione del sangue e quindi dei tessuti e
abbiamo cominciato a parlare dei meccanismi che possono portare all'insorgenza dell'asma.
(piccola digressione dove dice che i suoi lucidi non sono una fotocopia del libro di testo, ma uno spunto di vari
argomenti da integrare, e non sufficienti da soli per una buona preparazione per l'esame)
Noi abbiamo parlato la volta scorsa dell'asma, abbiamo visto di come sia una malattia infiammatoria e questo
processo infiammatorio può essere stimolato da tante situazioni: una risposta allergica non controllata
(importante il ruolo dell' IgE, degli eosinofili e dei TH2 helper) ma soprattutto centrale nell'asma e in molte altre
patologie è l'intervento di tutti quei mediatori dell'infiammazione che a seconda del tessuto da dove vengono
liberati esercitano azioni diverse (nel caso dell'asma abbiamo visto la broncocostrizione, l’ipersecrezione
mucosa, l'iperplasia della tonaca media) quindi tutte modificazioni su base infiammatoria che hanno come
risultato quello di portare ad una riduzione nel lume bronchiale, una riduzione del passaggio di aria nelle vie
respiratorie e quindi insufficienza respiratoria, dato che meno aria passa, meno ossigeno passa, meno se ne
scambia a livello degli alveoli e meno ne troviamo in periferia.
Abbiamo visto che ci sono delle forme particolari di asma, tipo l'asma da sforzo che interessa soprattutto chi fa
attività sportiva.

Stavamo cominciando a parlare di un altra molto diffusa patologia respiratoria che e la broncopneumopatia
cronica ostruttiva (BPCO) e abbiamo detto che questa patologia ha due caratteristiche: da una parte una
componente di distruzione dei setti alveolari che è quella che quando si presenta isolatamente da luogo ad un
quadro di enfisema polmonare, dall'altra uno stato infiammatorio e un'ipersecrezione a livello di bronchi che è
tipico della bronchite cronica. La BPCO associa le due componenti (il danno di tipo enfisematoso e il danno di
tipo bronchiale).
Nel caso della bronchite cronica ostruttiva abbiamo visto come la causa principale (mentre per l’asma ci
possono essere decine di fattori scatenanti) sia il fumo di sigaretta che rappresenta la quasi totalità dei fattori
responsabili. Diciamo che la maggior parte di quelli che hanno la bronchite cronica, o sono fumatori o abitano
vicino a persone che fumano molte sigarette.
Per quanto riguarda i due processi patologici (la bronchite cronica ostruttiva e l'asma), ci sono delle differenze
per quanto riguarda la localizzazione nel polmone, in quanto la bronchite cronica interessa prevalentemente il
parenchima e i bronchioli, mentre invece l'asma interessa principalmente le vie aeree bronchiali. Quindi in un
caso abbiamo un restringimento dei bronchi di diametro medio (nell'asma), nell'altro caso invece abbiamo
l’ipersecrezione mucosa e il danno alveolare che avviene al livello dal parenchima o dei bronchi più periferici.
Abbiamo già visto la parte riguardante l'asma in cui fattori scatenanti attivano delle cellule che poi liberano dei
mediatori che portano all'aumento dei TH2 e degli eosinofili che portano a degli effetti che sono
broncocostrizione e ipereattività delle vie aeree. Per ipereattività si intende che il soggetto asmatico di fronte
ad uno stimolo risponde con una broncocostrizione mentre un soggetto non asmatico allo stesso stimolo
reagisce senza broncocostrizione. Si fanno dei test di provocazione facendo inalare al paziente asmatico una
sostanza che possa dare una crisi di broncocostrizione, si riscontra che nel paziente asmatico la crisi insorge a
concentrazione più basse rispetto alle concentrazioni necessarie per far insorgere la crisi nel soggetto
normale.
Invece nel caso della bronchite cronica ostruttiva le cellule interessate sono diverse, le cellule che iniziano la
cascata degli eventi patologici sono macrofagi, poi si hanno partecipazione delle CD8 per quanto riguarda i
linfociti, e neutrofili invece degli eosinofili. In questo caso fondamentalmente si ha la distruzione, quindi
l'enfisema, l’ipersecrezione e la fibrosi delle piccole vie aeree.

Vediamo adesso brevemente i due componenti della bronchite cronica: l'enfisema e la bronchite.
Per enfisema polmonare intendiamo una situazione patologica in cui abbiamo una eccessiva dilatazione degli
spazi aerei terminali. Questo è dovuto al fatto che ci sia una distruzione delle pareti alveolari. Manca in un
tipico quadro di enfisema polmonare una componente fibrotica. Esiste in questo caso una chiara correlazione
tra enfisema e la quantità di sigarette e che l'individuo fuma (quindi anche in questo caso, come nell'esempio
del polmone, vari studi epidemiologici hanno dimostrato una correlazione diretta tra le sostanze presenti nel
fumo di sigaretta e l'enfisema). Esistono diverse teorie che cercano di spiegare il perché il fumo di sigaretta
determini questo processo patologico. Tenete presente che all'interno del fumo di sigaretta troviamo migliaia di
sostanze, e non è sempre la stessa sostanza che induce tumore polmonare, il danno aterosclerotico ecc. Ogni
sostanza è coinvolta più specificatamente in un processo patologico; per quanto riguarda la comparsa
dell'enfisema, le sostanze interessate sono quelle in grado di modificare quello che il rapporto tra sostanze
proteolitiche (proteasi) e sostanze che invece inibiscono o comunque tengono sotto controllo e riducono il
grado di proteolisi (antiproteasi). Tra le sostanze che più sono coinvolte nella degradazione di tipo proteolitico
c'è l'elastasi che è un enzima rilasciato soprattutto dai neutrofili, che in condizioni normali è bilanciato da
sostanze come per esempio l'alfa-1-antitripsina o altre molecole anti-elastasi o anti-proteolitiche. Se noi
abbiamo una patologia in cui abbiamo un aumento delle elastasi, oltre alle proteasi, e una diminuzione delle
anti proteasi, ovviamente la membrana alveolare tende ad essere degradata, quindi riduzione degli spazi
disponibili per gli scambi con l'ossigeno. In anatomia patologica vedrete che queste distruzioni dei tetti
alveolari possono avvenire in diverse parti del parenchima polmonare dando origine a quadri diversi di
enfisema, ma a noi interessa soltanto che c'è una distruzione del tetto alveolare.

In che modo avviene questa distruzione del tetto alveolare? Nel contesto dell'esposizione al fumo di sigaretta il
ruolo principale ce l'hanno quelle sostanze che si chiamano specie reattive dell'ossigeno (possiamo tradurre
come anione superossido, perossido di idrogeno, radicale idrossilico). Queste sostanze, come anche, sembra,
la beta-nicotina, sono capaci di far arrivare attraverso i capillari polmonari, mediante l'azione anche di sostanze
chemiotattiche (in particolare IL8, LTB4(LeucoTriene-B4) e TNF-alfa), i neutrofili, i quali a questo punto
possono rilasciare ulteriori quantità di specie reattive dell'ossigeno, che richiameranno ancora altri neutrofili, e
inoltre rilasciare l'elastasi, la quale ha un'azione di danno sulla matrice extracellulare, quindi sull'impalcatura
che sostiene l'alveolo. Quello che fanno le specie reattive dell'ossigeno e che da una parte fanno arrivare i
neutrofili che rilasciano più elastasi capace di danneggiare la struttura alveolare, dall'altra inibiscono anche
delle sostanze che hanno un'azione di anti-elastasi, per cui aumentano le proteasi e diminuiscono le anti-
proteasi.
Esistono delle situazioni, su base genetica, in cui certi individui sono carenti, più o meno completamente, della
alfa-1-antitripsina. Ovviamente un individuo che è con bassi livelli di alfa-1-antitripsina è più sensibile a quello
che può essere il danno dall'esposizione al fumo di sigaretta. L'aver osservato che pazienti con deficit di alfa-1-
antitripsina sono molto più sensibili al danno da fumo di sigaretta fa appunto rafforzare l'ipotesi che un
disequilibrio tra proteasi e anti-proteasi sia alla base della patologia di tipo enfisematoso.

Domanda: c'è qualche differenza tra il fumo attivo e passivo?


Per quanto riguarda il fumo passivo, dipende tutto, anche in questo caso, dalla quantità alla quale il soggetto è
esposto, anche essere le evidenze per il fumo passivo non sono così forti come quelle per il fumo attivo.
Fumare le sigarette direttamente e molto peggio non fosse altro per le concentrazioni che possono arrivare a
livello dell'apparato respiratorio. Il problema è che se ci sono dei soggetti asmatici o con deficit di alfa-1-
antitripsina: in questi casi, essendo dei soggetti già predisposti ad andare incontro ad un danno polmonare o
ad una aumentata reattività bronchiale, bastano concentrazioni anche più basse, date dal fumo passivo, per
scatenare crisi di broncocostrizione o essere responsabili del danno.

Storiella: in alcuni paesi patologie provocate dal fumo di sigaretta non vengono finanziate dall’Istituto nazionale
di sanità. Dato che è una cosa che uno sceglie volontariamente sapendo di farsi del male, che è se ne occupi
da solo! A Londra il comitato etico non da il consenso di effettuare esperimenti sul fumo di sigaretta sugli
animali, perché parte dal principio che il fumo di sigaretta fa male, e basta non fumare per non avere gli effetti
negativi (in Italia si possono fare).

Dell'enfisema abbiamo detto che il danno è principalmente la degradazione della parete alveolare da parte
delle proteasi che prevalgono perché si ha il richiamo di neutrofili che rilasciano sostanze proteolitiche.

Nel caso della bronchite, questa può anche non essere associata alla comparsa di enfisema; anche se nel
caso del fumatore, questo ha frequentemente associati sia bronchite che enfisema, un soggetto può avere
semplicemente un processo bronchitico, e in questo caso quello che abbiamo è il processo infiammatorio, che
può essere causato da diversi agenti: il fumo di sigaretta è quello che più frequentemente è coinvolto in una
bronchite, però possono essere anche agenti inquinanti presenti nell'aria esterna all'ambiente in cui viviamo,
ma anche agenti inquinanti, chiamati INDOOR, presenti nell'aria in ambienti al chiuso, inoltre possono essere
agenti biologici di vario tipo, come batteri, virus e microrganismi in genere.
Quando questo processo infiammatorio persiste con delle caratteristiche che sono definite dalle linee guida
delle società respiratorie, con caratteristiche di tosse persistente ed espettorato per almeno tre mesi l'anno per
almeno due anni consecutivi, in questo caso il processo viene definito come bronchite cronica, e per quello
che insorge nel fumatore (dato che se uno ha processo infettivo si cura, quindi non si protrae per lunghi
periodi, e tutto si risolve normalmente). In chi fa esposizione al fumo di sigaretta il processo irritativo viene
mantenuto nei mesi e negli anni e quindi porta ad una situazione di bronchite cronica, come anche nel caso di
inquinanti ambientali. Ci sono delle caratteristiche istologiche del bronco che è andato incontro al processo di
cronicizzazione della bronchite, fra le quali troviamo una metaplasia caliciforme che porta ad una eccessiva
produzione di muco. Anche in condizioni normali abbiamo delle secrezioni mucose al livello dei bronchi, ma
l'esposizione al fumo di sigaretta le aumenta e si accumulano i macrofagi che diventano pigmentati perché nel
fumo di sigaretta ci sono dei derivati pigmentati, e in fase avanzata compaiono anche note di fibrosi,
soprattutto attorno alla parete dei bronchi che ne riducono il lume e lo rendono meno sensibile alle
modificazioni di tipo broncodilatatorio o broncocostrittorio.

(lucido 84)
Nel caso della bronchite si potrebbero elencare tutti quei precursori delle infiammazione che abbiamo visto
nell'asma e nell'arteriosclerosi, ma alcuni risultano essere più importanti: tra questi citiamo IL8, TGF-beta e
TNF-alfa, ma anche tutti gli altri sono comunque importanti. Le cellule che li possono secerne sono di diversi
tipi, i più importanti sono i macrofagi e i neutrofili (le altre sono presenti ma hanno un ruolo minore). I loro effetti
sono: l'ipersecrezione, la fibrosi e la distruzione alveolare. Non sono liberati soltanto mediatori chimici
dell'infiammazione, ma queste cellule possono liberare anche sostanze che sono coinvolte nella bronchite
quali le elastasi, le catepsine e le metallo-proteasi (a proposito delle quali esistono anche degli enzimi inibitori
di queste metallo proteasi, le TIP. Sia delle MMP che delle TIP esistono diversi tipi che sono specifici per i vari
tessuti).

Nella bronchite cronica e nell’enfisema quattro cellule infiammatorie hanno un ruolo centrale e in ordine di
importanza sono: macrofagi, neutrofili, linfociti T ed eosinofili. Ecco alcune caratteristiche di queste cellule, che
sicuramente avrete già visto: i macrofagi metteteli al centro di una situazione in cui abbiamo un'esposizione al
fumo di sigaretta; la prima cosa che fa il fumo di sigaretta e che ne aumenta il numero e la capacità di
rilasciare le sostanze che queste cellule producono. Tra le varie sostanze quello che è importante è come
queste vadano a modificare l'attività di altre cellule, per cui diciamo che indirettamente un'esposizione al fumo
di sigaretta funge, tramite in questo caso l' IL8 che come abbiamo detto in precedenza è tra i mediatori chimici
più importanti, da attivatore dei neutrofili, attraverso altre molecole della classe CXCR2, che recentemente è
stato identificato come possibile mediatore del processo di infiammazione della bronchite cronica e dell'asma,
attivano i monociti, e altre sostanze richiamano i CD8. Quindi cellule diverse sono regolate dai macrofagi. Uno
potrebbe domandarsi: ma a me che studio medicina cosa mi interessa sapere di tutti questi mediatori chimici?
Il motivo per cui può interessare è che tutte le terapie che vengono attuate per una determinata patologia
cercano di utilizzare come bersaglio quelli che sono i meccanismi alla base del processo infiammatorio: per
esempio, se in questo caso si dimostrasse che l'IL8 è centrale nel regolare l'arrivo, l'attivazione e il rilascio
dell’elastasi da parte dei neutrofili, io potrei ipotizzare che magari bloccando il recettore per l'IL8 che viene
rilasciata, metto una croce sopra l'azione dei neutrofili, e vedrete che magari senza la partecipazione dei
neutrofili esageratamente presenti nel processo infiammatorio, la bronchite va incontro a guarigione. Magari
non funziona così, allora dobbiamo prendere come bersaglio una metallo-proteinasi, perché magari la
degradazione della parete alveolare risulta essere l'elemento principale di quella patologia che sto valutando. Il
problema va bene fino ad un certo punto, perché, se vi ricordate, la volta scorsa abbiamo detto, a proposito
dell'asma, che la terapia si basa su un approccio antinfiammatorio mediato dai corticosteroidi, i quali
funzionano perché come molecole antinfiammatorie vanno a bloccare decine di funzioni che intervengono nel
corso del processo infiammatorio. Quando noi invece abbiamo una situazione come questa (lucido 86) e il
nostro bersaglio vuole essere solo, per l'esempio,un anti-LTB4, succede che probabilmente tanti altri stimoli
possono lo stesso indurre i neutrofili, o comunque posso bloccare una parte del processo, ma si sono tante
altre cellule interessate che liberano lo stesso sostanze di tipo proteolitico e quindi il processo va avanti
ugualmente. Quindi è abbastanza complesso per determinate patologie avere degli effetti positivi bloccando un
solo processo (in Italia stanno arrivando dei nuovi farmaci anti-immunoglobuline E come terapia per il processo
asmatico, ma che funzionano solamente nei casi in cui il paziente abbia realmente una patologia asmatica con
alti livelli di IgE, e questo non sempre accade), si usano quindi farmaci molto aspecifici che eliminano tutto il
processo infiammatorio, ma purtroppo non curano la malattia (ma i sintomi) e hanno gravi effetti collaterali.
Domanda: cosa sono le EGFR?
Sono dei recettori per le Epithelial growth factor (o EGF) (il prof sembra che dica Epithelial growth factor, non
si capisce bene. Non escludo quindi anche Epidermal growth factor. Ho provato a cercare sul libro, ma
"Epidermal" non compare riferito alla bronchite cronica, ed epithelial non compare proprio. Cercando su
internet, ho visto che esistono entrambi e che sono implicati in tantissimi meccanismi differenti, ma non ho
trovato niente sulle bronchiti :-( Saranno ugualmente la stessa cosa?A voi maggiori approfondimenti). Questo
recettore può essere stimolato da diverse sostanze, tra le quali anche le elastasi. Si trova a livello bronchiale e,
quando viene ad essere stimolato, determina la metaplasia delle cellule e la capacità da parte di queste di
secernere muco; ovviamente maggiore è la quantità di muco sull'epitelio bronchiale, maggiori sono i problemi
per quanto riguarda la clearance dell'epitelio bronchiale, inoltre un'abbondante secrezione di muco favorisce la
crescita batterica con il ripetersi di infezioni, il cronicizzarsi di un processo infiammatorio e così via. Questo
recettore non è là che aspetta di essere attivato per determinare la metaplasia e l'ipersecrezione mucosa, se
pero TGF-beta, elastasi o altre sostanze presenti nel processo infiammatorio conseguente al fumo di sigaretta
sono presenti, hanno la capacità di attivare questo recettore e indurre secrezione.

Tra tutte queste sostanze (sempre lucido 86) quella più importante è il TGF-beta, che può agire determinando
l'ipersecrezione mucosa ma può anche determinare, agendo su altre cellule, l'aumentata produzione di matrice
extracellulare, quindi la fibrosi.

Tutta una serie di mediatori presenti nel processo infiammatorio che noi osserviamo nella bronchite cronica
sono mediatori di tipo lipidico, che originano dal metabolismo dell'acido arachidonico. Alcuni di questi mediatori
sono del tipo prostanoidi, originati dagli enzimi ciclo-ossigenasi, in particolare sono la prostaglandina F2, la
prostaglandina F2A e il trombossano, che non hanno un coinvolgimento solo nelle patologie respiratorie: qua
indurranno bronco costrizione, aumento della permeabilità vasale, quindi edema, ma abbiamo già nominato
alcuni di questi, per esempio il trombossano, importante negli fenomeni di aggregazione piastrinica nel corso
dell'emostasi; quando invece interviene l'azione degli enzimi lipossigenasi , questi producono tutta una serie di
molecole, chiamate leucotrieni, in particolare nella patologia bronchiale il Leucotriene B4 e i cistenilleucotrieni.
Come dicevamo prima, farmaci che bloccano l'azione dei leucotrieni si utilizzano in situazioni di
broncocostrizione (solo alcuni tipi di bronco spasmo possono essere ridotti in questo modo, non vanno bene
per tutti).

(lucido 89)
Per quanto riguarda le specie reattive dell'ossigeno, ma questo vale anche per altri mediatori chimici
dell'infiammazione, ricordatevi che una volta che vengono prodotte hanno la capacità di modulare i fattori di
trascrizione che agiscono a livello nucleare inducendo la produzione di determinate sostanze piuttosto che di
altre. Il tutto può essere scatenato, per esempio, dall'azione delle specie reattive dell'ossigeno sull' NF-kB, che
normalmente se ne sta la tranquillo in una forma inibita, però le specie reattive dell'ossigeno o altri mediatori
possono attivarlo e a quel punto andrà a trovare il suo sito di legame a livello nucleare determinando
l'espressione di alcuni geni. Al centro di questo schema (sempre lucido 89) troviamo le specie reattive
dell'ossigeno, che come vedete modificano la bilancia delle proteasi - anti-proteasi. Un altro aspetto importante
è che noi, molto spesso, non sappiamo la causa di determinate patologie, quindi usiamo i corticosteroidi,
blocchiamo il quadro infiammatorio e ce ne liberiamo (del quadro infiammatorio, non della patologia!);
purtroppo le specie reattive dell'ossigeno possono determinare dei quadri di resistenza corticosteroidea, cioè i
corticosteroidi, che normalmente agiscono a livello cellulare modificando l'espressione di alcuni geni pro-
infiammatori, diminuendone l'espressione e riducendo l'infiammazione, non funzionano più per colpa delle
specie reattive dell'ossigeno. Altro aspetto delle specie reattive dell'ossigeno e che inducono la secrezione
mucosa, inducono inoltre la produzione di isoprostani (???) che sono liberati dalla lipoperossidazione degli
acidi grassi di membrana e hanno come effetti l'aumento della permeabilità vasale, quindi edema, e inducono
broncocostrizione. Ancora le specie reattive dell'ossigeno attivano le NF-kB, le quali aumentano la trascrizione
di IL8 oppure inducono il TNF-alfa che a sua volta induce IL8; il risultato finale è comunque l'azione
chemiotattica dell'IL8 che richiama i neutrofili, quindi in zone dove sono presenti alte concentrazioni di specie
reattive dell'ossigeno, abbiamo grandi quantità di neutrofili, con tutte quelle sostanze che essi produrranno.

Un'altra sostanza presente nei processi infiammatori è l'ossido di azoto che dà luogo a contatto con del specie
reattive dell'ossigeno ad una sostanza molto reattiva che è il perossinitrito, che essendo molto reattivo va' a
legare e modificare strutture proteiche e strutture cellulari con conseguenze patologiche (questo è il danno
indiretto dell'ossido di azoto, ma può anche agire direttamente).
Tra i mediatori che portano alla bronchite, l'interleuchina 8 è quello che dovete ricordare di più, come per
l'asma ricordiamo principalmente l'interleuchina 5 che richiama e attiva gli eosinofili, che sono i principali
responsabili del processo asmatico. Qui invece il mediatore chimico più importante è l' IL8 che serve da
richiamo per i neutrofili; la sua produzione viene regolata da diversi fattori: mediatori chimici, batteri, virus. Per
quanto riguarda i mediatori chimici, basta pensare al fumo di sigaretta, come causa dell'infiammazione, che
porta ad un aumento del TNF-alfa o delle specie reattive dell'ossigeno che a sua volta porta ad un aumento
del NF-kB che, legandosi al suo sito di riconoscimento al livello del DNA, induce la sintesi del gene che
produrrà poi il prodotto chemiotattico per i neutrofili (lucido 93).

Prima abbiamo parlato dell’ Epithelial growth factor (lucido 98), è un recettore che viene attivato dai vari
prodotti del fumo di sigaretta (per esempio le specie reattive dell'ossigeno) che a sua volta, tramite una
cascata di reazioni di tipo fosforilativo mediate da MAP chinasi, porta ad una iperplasia delle ghiandole
bronchiali e ad una eccessiva produzione di muco. Quando si vuole andare a verificare la presenza di
un'abbondanza di muco, il markers per la secrezione mucosa è questa mucina chiamata MUC5AC (questo è
un argomento che approfondirete in anatomia patologica).

Nel caso di disequilibrio tra proteasi e anti-proteasi, il bersaglio più importante risulta essere l'elastina, che è
importante perché è quella che, in condizioni normali, conferisce elasticità al parenchima polmonare. Una volta
che l'elastina viene ad essere distrutta per azione delle proteasi, il parenchima risulta meno elastico e la
distruzione comporta anche una perdita di superficie per gli scambi respiratori. Esistono diverse sostanze che
antagonizzano l'azione proteolitica (lucido 100), volendo molto semplificare, alfa-1-antitripsina da una parte e
elastasi dall'altra, rappresentano i due blocchi di sostanze che portano rispettivamente alla conservazione o
alla degradazione dell'elastina.

Abbiamo nominato solo una piccola parte delle sostanze che hanno un ruolo nella comparsa della bronchite,
qua (lucido 103) vedete tutti quelli che sono i punti in cui avete il processo patologico (enfisema,
ipersecrezione mucosa, costrizioni bronchiali, proliferazione di tessuto connettivo, fibrosi) che possono
risultare bersaglio di farmaci e nel momento in cui uno pensa a quali sono i farmaci, sa anche quali sono le
sostanze coinvolte in quel determinato processo patologico. Guardando dentro questi quadrati, trovate quelli
che sono i responsabili di un determinato aspetto del processo patologico. Nel caso dell'enfisema qui si parla
di cellule staminali, dato che se a causa dell'enfisema abbiamo una distruzione della parete bronchiale che
non può essere più sostituita, magari rimettendo delle nuove cellule dall'esterno capaci di ricostruire la parete
alveolare modifico la situazione.

Quindi bronchiti croniche e asma sono due gravi aspetti che possono portare ad una insufficienza respiratoria,
ma possiamo avere anche insufficienza respiratoria perché abbiamo atelettasia (anche qui approfondirete in
anatomia patologica), che è un difetto di espansione del parenchima polmonare in cui abbiamo collabimento
degli alveoli e diminuzione del contenuto di aria. Praticamente è un collasso del polmone, a livello degli alveoli
non c'e aria e non possono avvenire i normali scambi gassosi. Le cause possono essere: un bronco risulta
essere ostruito (tumore, corpo estraneo, muco), un bronco risulta essere chiuso dall'esterno (aria che arriva
dalle cavità pleuriche e comprime il polmone, compressione redatta da una cisti e o da un tumore all'esterno
del bronco), oppure un'aderenza pleurica che fa collassare il polmone.
Per Bronchiectasia intendiamo una alterazione dilatativa delle vie avere causata spesso da infezioni croniche
dei bronchi e dei bronchioli, molto spesso queste dilatazioni possono essere dovute ad ostruzioni che fanno si
che una parte non ostruita tenda a compensare dilatandosi di più; possono essere molto spesso congenite,
ovviamente quello che succede e che se i bronchi sono dilatati si hanno secrezioni mucose sulle quali, con
molta più facilità, possono insorgere infezioni ricorrenti, che non si risolvono completamente se non si risolve
prima la causa della bronchiectsasia. Quindi collasso del parenchima polmonare e dilatazione dei bronchi. A
volte può succedere che a livello della cavità pleurica si abbia un ingresso di gas o aria, che tende a
comprimere sempre di più il polmone, determinando dei quadri di collasso ed esclusione di questo polmone da
quelle che sono le normali funzioni respiratorie (vedrete in chirurgia che queste soluzioni di continuità con
l'esterno possono creare dei meccanismi a valvola (lucido 109), in cui l'aria entra però poi non riesce più ad
uscire, per cui pian piano questa aumenta all'interno della gabbia toracica e il polmone collassa sempre di più.
Questo può avvenire non solo per traumi che mettono a contatto la cavità pleurica con l'esterno, ma anche per
rottura di bolle enfisematose sulla superficie del polmone che vanno a contatto con la cavità pleurica, per cui
durante il respiro l'aria fuoriesce attraverso queste bolle dal polmone alla cavità pleurica, si accumula fino a
quando il polmone collassa sempre di più).
2a ora
Per quanto riguarda l'edema polmonare (che mi avete detto di aver già fatto), questo è un aumento del
contenuto idrico che aumenta o nello spazio alveolo-capillare (edema interstiziale), o addirittura nello spazio
alveolare (edema alveolare). Questa (lucido 112) è la membrana alveolo-capillare e qua, vedete, avete un
aumento del contenuto di liquidi nel corso dell’edema (interstiziale): quando trovate l’acqua anche al di fuori
abbiamo un edema alveolare (che è quello che si verifica, per esempio, quando abbiamo elevati valori pressori
nel circolo polmonare).

Pneumoconiosi, sono dei quadri patologici per accumulo di polveri. Le polveri possono essere di diverso tipo e
a seconda delle caratteristiche chimico fisiche delle polveri avremo diversi tipi di pneumoconiosi. Ricordatevi
che le polveri molto grosse, dal punto di vista del danno respiratorio, sono meno pericolose di quelle piccole
perché si fermano nelle prime vie aeree; le piccole (frazione delle polveri respirabile), essendo nell’ordine di 2-
5µ , riescono ad entrare ed andare in profondità dove potrebbero accumularsi a livello dei bronchioli e degli
alveoli. Ovviamente le polveri agiscono in maniera diversa se si trovano associate, per cui dipende da quali
polveri sono presenti e da come interagiscono tra di loro (ci sta sempre bene il fumo di sigaretta, perché se
fumo in ambiente polveroso, in miniera, il danno sarà sicuramente maggiore), e ovviamente influisce la
quantità delle polveri (tant’è che in ambienti dove c’è il rischio di danno a livello dell’apparato respiratorio da
polveri, questo viene misurato con apparecchi appositi per valutare la concentrazione di polveri per metro3).
Ci sono diversi tipi di pneumoconiosi a seconda dell’agente presente nella polvere che tende ad accumularsi
nel polmone (antracosi quand’è polvere di carbonio, silicosi se silice ecc.). Nel caso della silicosi, queste
polveri portano all’attivazione dei macrofagi, i quali fagocitano le particelle di silice e non sono capaci di
degradarle; c’è il rilascio dei mediatori dell’infiammazione che determinano tutta una serie di reazioni (fibrosi,
danno alveolare, produzione di granulomi ecc…), però la sostanza rimane sempre lì (diciamo che il processo
non va a buon fine come quando si ha la fagocitosi di un microrganismo, che viene eliminato) e viene rimessa
in circolo, si ha l’attivazione di altri fagociti e il processo tende a cronicizzarsi, con tutta una serie di danni.
L’asbestosi, in cui abbiamo a livello interstiziale l’accumulo di fibre inalate tipo asbesto. E’ impostante ricordare
che queste fibre sono anche potentemente cancerogene, soprattutto per il mesotelioma (tumore della cavità
pleurica), addirittura si ipotizza che sia il responsabile di tutte le forme di mesotelioma.

Un tipo di patologie che a me interessano particolarmente sono quelle chiamate interstiziopatie: sono malattie
in cui abbiamo, in generale, un accumulo di tessuto connettivo a livello dell’interstizio polmonare. Tenete
presente che in questo spazio (tra l’alveolo e il capillare) non dovrebbe esserci niente, per gli scambi di
ossigeno e anidride carbonica; se invece abbiamo delle situazioni patologiche dove si ha un accumulo di
tessuto connettivo a livello interstiziale, ovviamente gli scambi avvengono con difficoltà, sino a quando si ha un
accumulo tale di matrice extra-cellulare di connettivo per cui l’ossigeno non passa più (tant’è che le forme
d’interstiziopatia più avanzate hanno una sola possibilità di risoluzione: togliere il polmone e metterne un altro.
Senza trapianto non si può….a meno che il paziente, fino a quando può, viva con la bombola di ossigeno
attaccata finché non riesce più ad avere sufficienti scambi di ossigeno). Esistono tante cause di queste
interstiziopatie: qua (lucido 122) sono indicate alcune di queste situazioni. Tenete presente che per moltissime
di queste patologie non si sa ancora quale sia la causa e ci sono tante discussioni su come si possano
classificare: vengono quindi chiamate fibrosi polmonari ideopatiche. Altre volte la causa si riconduce ad
inquinanti ambientali, farmaci (in particolare la bleomicina, potente chemioterapico che ha però come effetto
collaterale quello di indurre danno e fibrosi polmonare) e in alcuni casi, nell’interstiziopatia, come elemento
caratterizzante si ha la formazione di granulomi (tipo granulomi da corpo estraneo) e in questo caso una delle
patologie che meglio rappresentano questo tipo di interstiziopatie è la sarcoidosi (ma sono tutte cose che
vedrete nella clinica…)
Per quanto riguarda la patogenesi di queste interstiziopatie, possiamo dire che una possibilità è quella in cui
abbiamo un agente responsabile (qua ne trovate elencati alcuni dei più importanti); diciamo che situazioni che
determinano un danno cronico a livello dell’epitelio alveolare determinano la rimozione degli alveoli e al di sotto
cominciano a proliferare miofibroblasti, producono tessuto connettivo e si ha un sempre più grosso accumulo
di matrice extracellulare. Secondo le ipotesi più recenti abbiamo stimoli ripetuti che portano ad una alterazione
di quelli che sono i meccanismi normali di riparazione delle ferite (in questo caso dell’epitelio): anziché seguire
un meccanismo di normale riparazione della ferita, succede qualcosa di simile alla formazione del cheloide
cutaneo, il meccanismo viene tenuto attivo e aumenta sempre di più la quantità sia di cellule (fibroblasti) che di
tessuto connettivo. Poiché questo meccanismo venga ad essere mantenuto trovate una predisposizione
genetica (uno sbilanciamento tra TH1 e TH2) e un processo infiammatorio cronico. Il risultato, comunque, è
sempre quello di avere un quadro di fibrosi polmonare. Nel caso del polmone (lucido 124), è facile anche per
chi non è un grande anatomopatologo capire quale è normale e quale ha quadri di fibrosi polmonare (in
quest’ultimo caso gli scambi di ossigeno non possono avvenire) e quello che succede è:
- distruzione del tessuto
- quadri più o meno marcati di infiammazione
- attivazione dei miofibroblasti (che normalmente non sono presenti nello spazio tra capillare e alveolo)
- deposito di matrice extracellulare
- aumento di cellule (si creano delle specie di cisti nel parenchima polmonare)

L’ispessimento e la crescita di queste parti può essere così marcata che scompaiono quasi del tutto le aree
dove ancora c’è possibilità di contenuto di aria e il polmone assume un aspetto simile al fegato (visto al piccolo
ingrandimento). In condizioni normali quello che succede è quindi il danno (con distruzione degli alveoli), e
l’arrivo dei miofibroblasti che, però, dopo un po’ di tempo vanno incontro a eliminazione per apoptosi. Se io per
esempio sono esposto a una sostanza che mi danneggia gli alveoli è che, per un certo periodo di tempo,
arrivano delle cellule (miofibroblasti) che crescono, aiutano a costruire l’impalcatura e nel frattempo i
pneumociti si riorganizzano e si riposizionano sugli alveoli (poi dopo i miofibroblasti vanno via, il tessuto
extracellulare viene degradato e si ha la riepitelizzazione normale). In alcuni casi (quelli che portano alla
fibrosi), a seguito di danni ripetuti, si ha il persistere dei miofibroblasti (qualcuno dice che manchino i
meccanismi che inducono l’apoptosi quando queste cellule devono sparire) e la liberazione di mediatori chimici
(in particolare di TGF-beta, che viene considerato il più importante per la stimolazione dei miofibroblasti a
produrre il collagene) e se abbiamo persistenza di miofibroblasti e aumento della matrice extracellulare, le
cellule epiteliali non crescono, per cui quella parte rimane denudata dell’epitelio alveolare. Il problema è se e a
seguito di un danno il processo prenderà questa direzione (lucido 127), che lo porterà alla riparazione di un
danno, o se invece prenderà la direzione che porterà alla alterazione della struttura del polmone: non si sa, c’è
un punto interrogativo a questo proposito. Anche in questo caso, man mano che (se qualcuno va a
guardarselo) si cerca di vedere la complessità che porta alla fibrosi polmonare e al danno del parenchima
alveolare, ci sono tante possibilità di intervento terapeutico perché si ha azione di proteasi, di geni
dell’apoptosi, trasduzione del segnale, recettori per il TGF-beta nelle sue varie forme, fattori di crescita e così
via. Diciamo che, comunque, nella fibrosi polmonare la sostanza che è responsabile del tutto sembra essere
questo collagene prodotto in eccesso e senza essere controllato che induce la perdita del passaggio
dell’ossigeno negli alveoli (anche in questo caso, come in tutte le altre patologie precedenti, un po’ perché è di
moda e un po’ perché potrebbe essere così, se abbiamo cellule dell’epitelio alveolare che non sono più
proliferanti dopo la distruzione, ci sono diversi tentativi di riepitelizzazione con l’impianto di cellule staminali,
che arresterebbero la crescita di questi miofibroblasti e interromperebbero la produzione di collagene).

Collegato al danno polmonare c’è questa situazione patologica, “ARDS” (sindrome da stress respiratorio
dell’adulto), che interessa soprattutto pazienti in terapia intensiva, in cui abbiamo un danno a carico
dell’epitelio alveolare per arrivo enorme di cellule infiammatorie che vanno a liberare tutti i mediatori,
distruggono e così via.

Sono tante le situazioni per cui il polmone non scambia più ossigeno.
Avevamo visto all’inizio questa definizione di insufficienza respiratoria: quando la PO2 nel sangue (delle
arteriole) è inferiore ai 60 mm/Hg. Dal punto di vista delle classificazioni, tutti i valori di PO 2, PCO2, pH
eccetera, vengono sempre determinati a livello del sangue arterioso. Io non chiedo più di tanto, perché forse
non li avete visti, ma quando si parla di prelievi di sangue in genere si parla di prelievi di sangue a livello
venoso; è sempre il personale medico (eccetto nei centri di terapia intensiva, dove c’è del personale
paramedico allenato) che effettua i prelievi di sangue arterioso e viene fatto a livello dell’arteria radiale (in
prima battuta) per monitorizzare i valori di pressione dei gas o studiare l’equilibrio acido-base. Questo esame
viene fatto molto spesso nei reparti di pneumologia, per esempio, per controllare la quantità di ossigeno da
dare o le variazioni che ci possono essere in tema di acidosi, alcalosi e così via (e va fatto con siringhe a
tenuta per non far entrare in contatto il prelievo di sangue con l’aria atmosferica, altrimenti non sto più
misurando quello che c’è nel sangue ma l’aria che c’è nell’ambiente, e va messo in ghiaccio, portato subito in
laboratorio e analizzato quanto prima, per evitare che ci siano delle modificazioni).

L’insufficienza respiratoria, questa diminuzione dell’ossigeno nel sangue (che poi è la diminuzione nella cellula
che si trova a un metro di distanza dal polmone, che però deve funzionare tramite la benzina che le arriva dal
metabolismo dell’ossigeno nei mitocondri) può essere da ipoventilazione o da diminuzione della capacità di
diffusione della membrana respiratoria. Quindi due tipi di grossi gruppi di patologie.
Qua (lucido 139) io ho riassunto i vari tipi di insufficienza respiratoria (questa è la classificazione mia, gli
anatomopatologi ve ne faranno altre, sul libro ce ne saranno ancora altre.. Voi fatevi la classificazione vostra
personale e va bene lo stesso, a meno che non si faccia riferimento alla classificazione dell’Associazione
Medicina Respiratoria Europea che ha stabilito le linee guida, per esempio). Io prendo l’individuo e dico che la
sua insufficienza respiratoria può essere, ad esempio, data da cause extrapolmonari. Questo è importante
perché uno non pensi che ogni volta che ho insufficienza respiratoria ho una patologia polmonare... potrei
avere anche una patologia non polmonare, per esempio traumi, neoplasie, lesioni midollari o farmaci che
modificano quelli che sono i centri della respirazione: il polmone può essere perfettamente funzionante ma non
gli arrivano gli stimoli per eseguire i normali atti respiratori. Oppure il polmone è sempre normale ma abbiamo
delle patologie che interessano la muscolatura intercostale: se questi muscoli non funzionano la fase
inspiratoria non può avvenire e quindi il risultato è l’insufficienza respiratoria. Come pure le normali escursioni
della gabbia toracica devono necessariamente presupporre che la colonna vertebrale e la gabbia toracica
siano normali: se abbiamo delle alterazioni della colonna, delle fratture a livello costale o dei versamenti
notevoli a livello del cavo pleurico o degli irrigidimenti (per fibrosi) del cavo pleurico, il polmone potrà essere
normale ma non avremo una normale ventilazione.
Per quanto riguarda le cause di insufficienza respiratoria da diminuzione della ventilazione, possono essere
patologie che hanno alla base la diminuzione dell’elasticità del tessuto polmonare, quindi fibrosi o
pneumoconiosi. Abbiamo brevissimamente parlato di pneumoconiosi: il polmone non si espande, risulta
essere più rigido per deficit di elasticità e ovviamente avviene minor ventilazione e minor ossigenazione.
Oppure a livello dei bronchi si hanno dei restringimenti, dovuti a chiusura del lume bronchiale, ipersecrezione
(quali si ha nell’asma o nella bronchite), oppure le vie aeree possono essere ostruite fisicamente da qualcosa
che ci va a cadere dentro, qualcosa che ci sta crescendo dentro o qualcosa che comprime le vie bronchiali,
quale un pneumotorace. Quindi ostruzioni delle vie aeree che potranno essere localizzate in un solo lobo, in un
solo lato, potranno essere più o meno diffuse, ed in questo caso dipenderà dalla localizzazione e dalla
diffusione quanto più o meno grave sarà il quadro di insufficienza respiratoria.
Semplificando, abbiamo visto l’ipoventilazione oppure quelle situazioni in cui l’insufficienza respiratoria è
dovuta a una diminuita capacità di diffusione dei gas nella membrana alveolo-capillare (situazione di sclerosi a
livello dell’interstizio polmonare oppure accumulo di liquidi come nell’edema polmonare). La riduzione della
capacità di diffusione può essere dovuta anche al fatto che la membrana alveolo-capillare (che è quella in cui
avvengono gli scambi di ossigeno e anidride carbonica) è insufficiente perché ne è stata asportata
chirurgicamente una parte (un bel pezzo di polmone). Si è visto che, non proprio come il fegato ma similmente,
a seguito di certi interventi di pneumonectomia, il polmone residuo va incontro a un certo rimodellamento
compensatorio: si è notato che, se ne tolgo il 40%, dopo un po’ di tempo la funzione magari rimane al 75-85%
(ci sono dei rimodellamenti del parenchima residuo per cui, in parte, si compensa).
Atelectasia: se abbiamo il collasso del parenchima polmonare, tutta la zona andata incontro al processo non
sarà più disponibile a livello alveolo-capillare per quanto riguarda gli scambi di ossigeno.
Enfisema. Nell’enfisema sembra quasi un controsenso, nel senso che se voi guardate un polmone
enfisematoso di aria ce n’è molta di più perché sono spariti tanti setti alveolari e i “buchi” sono molto più grandi.
Però queste zone di aria più evidenti hanno a disposizione una minore superficie di scambio con l’ossigeno
perché i setti non ci sono più!
Riduzione della superficie la possiamo avere a seguito di bronchiti, bronchioliti (processi infiammatori dei
bronchioli terminali), compressione della gabbia toracica e tumori polmonari. Quindi tutte situazioni che voi
avete già visto o che abbiamo nominato (non pensate che adesso abbiamo fatto la fisiopatologia respiratoria,
abbiamo cominciato a vedere le prime cose).
Un’altra condizione che può portare anche alla diminuzione di quello che è la superficie disponibile per gli
scambi è quando si ha una riduzione non tanto nel versante alveolare quanto una riduzione nel versante del
circolo dei capillari polmonari. Si hanno a seguito di enfisema, ma anche di ostruzione del circolo polmonare,
ascessi che vanno ad ostruire il circolo polmonare o sclerosi a livello dei capillari (quindi potrebbe anche
essere che gli alveoli sono normali, l’ossigeno ci arriva però non riesce a trovare dall’altra parte il versante che
lo riceve per poi distribuirlo in circolo).

Se abbiamo tutte queste situazioni di patologie polmonari o extra-polmonari, ne consegue una caduta dei livelli
di ossigeno e a livello sistemico abbiamo ipossia e aumento della PCO2 (ipercapnia, situazione più comune in
cui se un paziente non ha capacità di portare dentro ossigeno e far fuoriuscire a livello capillare la CO2, questa
tende ad accumularsi mentre l’O2 si abbassa); si ha la riduzione dell’ossigenazione dell’emoglobina e quando
supera certe concentrazioni da’ luogo a quella colorazione bluastra sulla cute che si chiama cianosi. Dipende
da quanta emoglobina ridotta abbiamo in circolo. Ci possono essere situazioni patologiche in cui l’emoglobina
ridotta aumenta anche per alterazioni di quelli che sono i rapporti emoglobina/globuli rossi e così via (senza
avere l’ipossia), ma la situazione più comune resta la prima. A compensare, il paziente che ha un’insufficienza
respiratoria cronica molto spesso ha un aumento dei globuli rossi (situazione tipica degli abitanti sopra i 3-4000
m d’altezza dove, avendo la pressione di ossigeno più bassa, compensano con un aumento degli eritrociti).
Oppure, in generale, le alterazioni di PO2 e PCO2 portano all’alterazione dell’equilibrio acido-base. Ma la prima
conseguenza del basso livello di ossigeno (che fa si che abbiamo o non abbiamo l’insufficienza respiratoria) è
la comparsa dell’ipossia, anche se noi quando parliamo di ipossia, in generale dovremmo dire che è una
situazione in cui si ha un insufficiente apporto di ossigeno ai tessuti o per una diminuzione del suo contenuto o
per una diminuzione della capacità di utilizzarlo. Questo vuol dire che posso avere sia l’ipossia perché
ossigeno non ce n’è, sia perché pur essendoci l’ossigeno non sono capace, a livello tissutale, di utilizzarlo. Per
quanto riguarda l’ipossia, voi avete visto in patologia generale come il modello dell’ipossia sia usatissimo per
spiegare e descrivere i vari processi che portano a morte cellulare (tant’è che se si fa mancare l’ossigeno alle
cellule sperimentalmente mettendole in un incubatore dove ne sia stato bloccato l’ingresso e sia invece
permesso a un altro gas come la CO 2, dopo un po’ di tempo le cellule muoiono; si va quindi a studiare cosa
succede dopo un minuto, dopo 2 ore, dopo 6 ore in mancanza d’ossigeno, in ipossia). In biochimica avrete
fatto tutto quello che si deve sapere sul trasporto dell’ossigeno, le varie curve di dissociazione per quanto
riguarda il trasporto dell’ossigeno in funzione della pressione parziale, della temperatura, del pH e così via,
questo per indicare che ci sono diversi fattori che possono modificare nel nostro organismo quelli che sono i
valori di ossigeno.

Per quanto riguarda le forme di ipossia, io mi sono preso il divertimento (su spassiu!) di elencarle in quattro
tipi. Anche in questo caso non è Vangelo (come non lo è nessun libro in cui andate a studiare queste cose): se
lo trovate più semplice utilizzatelo... l’importante è che capiate la situazione che cerco di spiegarvi. Uno
potrebbe avere una situazione definita di ipossia anossica o arteriosa (lucido 146), in cui abbiamo che nel
sangue arterioso si ha una diminuzione della concentrazione di PO2 rispetto al normale.

Uno potrebbe avere una situazione definita di ipossia anossica o arteriosa (lucido 146), in cui abbiamo che nel
sangue arterioso si ha una diminuzione della concentrazione di PO2 rispetto al normale; quindi io prendo un
paziente, gli faccio un prelievo arterioso, controllo la PO2 e vedo che questa è diminuita rispetto al normale.
Prima uno pensa alle cose più semplici, giustamente, quindi se ho bassa PO2 per prima cosa penso che abbia
qualcosa a livello polmonare, ma potrebbe anche non essere qualcosa a livello polmonare, perché una bassa
PO2 potrebbe anche essere determinata da un ambiente povero di ossigeno (un esempio è un individuo non
abituato che si ritrova da un momento all'altro a 5000 m di altezza), in questo caso ci sarà ipossia perché c'è
una bassa pressione di ossigeno, anche se i polmoni sono a posto.

Le cause più frequenti di ipossia respiratoria sono:


problemi di ventilazione polmonare, varie cause di insufficienza respiratoria, cause di inadeguata
ossigenazione dei polmoni, o patologie cardiache, soprattutto congenite, in cui abbiamo degli shunt artero-
venosi, per cui parte del sangue arterioso va nel circolo venoso prima di aver ossigenato i tessuti. Queste sono
cause che possono portare ad una riduzione di pressione parziale di ossigeno nel sangue, però io posso avere
una diminuzione dell'ossigenazione perché pur essendoci sufficienti quantità di ossigeno nell'aria che respiro e
niente di patologico a livello dei polmoni, ho qualcosa a livello dei globuli rossi, perché una volta che l'ossigeno
arriva a livello della membrana alveolo-capillare e attraversa il versante capillare, deve trovare i globuli rossi
che attuano tutti quei meccanismi (visti in biochimica e in fisiologia) che fanno sì che l'emoglobina leghi
l'ossigeno e lo trasporti. Questo accade in tutte le patologie in cui abbiamo una diminuzione dell'emoglobina,
quindi per esempio anemia, oppure abbiamo che l'emoglobina risulta essere legata ad una sostanza quale
l'ossido di carbonio, che prende il posto dell'ossigeno occupando il sito di legame, oppure quando abbiamo
un'emoglobina che risulta essere modificata nella sua struttura, ad esempio dopo ossidazione con nitrati, per
cui non è capace di effettuare il trasporto dell'ossigeno. In questi casi abbiamo che l'ossigenazione a livello
polmonare è adeguata, però e impossibilitato il trasporto dell'ossigeno per problemi che riguardano la funzione
o la quantità dell'emoglobina. In questo caso si parla di ipossia anemica. Un altro tipo di ipossia e quella in cui
l'ossigeno c'è, viene trasportato correttamente, arriva alla periferia ma qui non viene distribuito in maniera
corretta, quindi si ha un deficit della distribuzione del circolo sanguigno, tipico è quello che si ha
nell'insufficienza cardiaca congestizia, oppure quando abbiamo grosse modificazioni delle quantità di sangue
in circolo, oppure anche nelle ipossie localizzate in certi distretti, per motivi di ostruzione o di stasi sanguigna:
in questo caso l'ossigeno c'è, ma non viene distribuito in maniera corretta o perché la pompa del cuore non
funziona bene, o perché localmente si ha impossibilità all'arrivo dell'ossigeno. Un'altra situazione è quella in
cui tutto è andato per bene, l'ossigeno è anche entrato dentro la cellula, ma abbiamo un problema a livello
cellulare, come per esempio problemi alla catena respiratoria, che risulta essere "guastata" da sostanze quali i
cianuri, l'ossido di carbonio (l'ossido di carbonio in grandi concentrazioni può sostituirsi all'ossigeno con
l’emoglobina, a concentrazioni altissime va a bloccare la catena dei citocromi a livello mitocondriale) e in quel
caso l'ossigeno che ho nel tratto arterioso è uguale a quello che ho nelle sangue venoso perché non si ha
consumo di ossigeno a livello cellulare essendo la catena respiratoria bloccata. Quindi abbiamo diversi quadri
che possono portare all'ipossia tissutale, perché quello che conta è che, indipendentemente dal meccanismo,
abbiamo una ridotta presenza di ossigeno a livello cellulare, quindi la cellula va incontro a tutti quei
meccanismi (che dovete sapere benissimo all'esame per Columbano!) che portano alla morte cellulare,
attraverso le varie tappe, prima reversibili, poi irreversibili. Il fatto che la carenza dell'ossigeno sia data da
problemi ambientali, polmonari o altro non cambia il fatto che alla fine la cellula rimane senza ossigeno.

Qui vedete (lucido 153) i vari meccanismi delle tappe reversibili e irreversibili della morte cellulare (è un
ripasso) dove, come voi sapete, fino a un certo punto, ossigenando posso ancora recuperare la cellula ma,
dopo che si è avuta la deplezione della catena respiratoria, l'aumento della ATP, glicolisi, acidosi, si
cominciano ad avere danni alla membrana, danni al Dna, e la cellula è fatta fuori e va incontro a morte.

Per quanto riguarda... (vaneggi incomprensibili) (lucido 157) se io diminuisco la ventilazione quello che
succede è che la reazione va in questo senso, cioè tende ad accumulare CO 2 e a produrre idrogenioni e
HCO3-: questo aumento degli idrogenioni e HCO3- porta ad una situazione tipica del paziente con una
insufficienza respiratoria cronica, cioè si accumulano queste sostanze in circolo e il risultato è una acidosi
respiratoria. Come riconosco un’acidosi respiratoria? quando è presente una diminuzione della PO2 (non si
scambia ossigeno quindi la PO2 tende a diminuire), non entrando ossigeno non esce nemmeno CO2, quindi
aumento della PCO2, la quale a sua volta comporta l'aumento di H +, abbassamento del pH e acidosi
respiratoria.
Al contrario se iperventilo, dopo un certo periodo di tempo vado incontro ad una situazione caratterizzata da
aumento della PO2 in circolo, che sarà accompagnato da una diminuzione della PCO 2 in circolo, e in questo
caso la reazione va verso questo senso (vedi sempre lucido 157) perché la CO2 viene ad essere eliminata,
quindi vengono utilizzati più idrogenioni, di conseguenza aumento del pH, quindi avrò alcalosi respiratoria.

Esistono anche situazioni in cui le modificazioni del pH non sono su base respiratoria, prima o poi qualcuno
avrà il buon cuore di spiegarvi anche che il rene è un importantissimo organo nella regolazione dell'equilibrio
acido-base, quindi un malfunzionamento renale, perdite eccessive di bicarbonato o un'eccessiva produzione di
acidi grassi con produzione di corpi chetonici e acido acetoacetico (ad esempio nel diabete non compensato di
tipo 1) comporta modificazioni a livello dei tre parametri visti prima (PO2, PCO2 e pH) e il quadro tende ad
essere invertito, nel senso che nella forma di acidosi metabolica, l'acidosi e sempre acidosi, perché il pH
scende, solo che avrete un'inversione dei valori di PO2 e PCO2 rispetto a quelli dell'acidosi respiratoria, e
questo avviene abbastanza frequentemente durante casi di diabete, insufficienza renale o diarrea. Una perdita
di idrogenioni si può avere in seguito del vomito, oppure per assunzione eccessiva di sostanze alcalinizzanti:
una persona che per esempio soffre di mal di stomaco potrebbe fare eccessivo uso di antiacidi e sostanze
alcalinizzanti portando a situazioni di alcalosi metabolica. In questo caso abbiamo abbassamento del pH ma il
valore di PO2 e PCO2 sono invertiti rispetto quelli che abbiamo nella alcalosi respiratoria.

Alla fine di questa lezione gli uomini e le donne di buona volontà possono andare a recuperare o in rete o
chiedendoli a me alcuni lavori che cercano di spiegare più in dettaglio i meccanismi patogenetici dell'asma e
della bronchite cronica, che sono le patologie più frequenti alla base di una insufficienza respiratoria. Ci
fermiamo qua, più in fretta non era possibile farla questa lezione e vediamo la prossima volta endocrino e
obesità.

Le scritte in corsivo sono miei commenti personali. La serie di punti di domanda (???) significa che non sono
sicuro al 100% di cosa il prof abbia detto. Buono studio a tutti.

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