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Lezione di immunologia del 29 Novembre 2006 - 1° ora

Il linfocita T helper CD4+ riconosce l’antigene nel contesto dell’antigene MHC di seconda classe, invece il linfocita T
CD8+ citotossico riconosce l’antigene nel contesto della molecola MHC di prima classe.
Le molecole MHC di seconda classe sono peptidi che derivano da antigeni di origine esogena, cioè derivati da proteine
esternamente alle cellula.
Le molecole MHC di prima classe invece sono peptidi di
origine endogena, cioè derivanti da proteine che sono
presenti nel citosol.
Le cellule che presentano l’antigene professionalmente,
che sono in grado di captarlo, elaborarlo e presentarlo,
sono macrofagi, cellule dendritiche e linfociti B.

Quindi di norma da una parte si può avere una di queste


tre cellule, mentre dall’altra parte si può avere una
qualsiasi cellula purché enucleata, quindi sicuramente
mancano gli eritrociti.
In questa diapositiva c’è anche altro da notare. Allora da
un lato si ha l’MHC di classe II che presenta il suo
peptide, e il complesso MHC – peptide viene riconosciuto
dal TCR. L’interazione tra i due è stabilizzata dal CD4.
Invece osservando il linfocita T CD8, l’interazione MHC di prima classe - peptide - recettore è stabilizzata dal CD8.
Quindi CD4 e CD8 fanno parte del complesso recettoriale, non sono specifici, non riconoscono nessuna parte specifica,
però stabilizzano l’interazione tra recettore e MHC col suo peptide. Si vede come sulla superficie cellulare si hanno
anche delle altre molecole rilevanti per quanto riguarda il riconoscimento dell’antigene e soprattutto l’esito di questo
riconoscimento, di questa interazione TCR – antigene - MHC. Queste molecole sono delle molecole di adesione, LFA1
e CD2 sul linfocita, ICAM1 e LFA3 sulla controparte cellulare. L’importanza di queste molecole sta nel favorire la
stabilità di questo legame. Il legame non si può avere se manca questa interazione o comunque non da seguito a nessun
evento. L’intervento anche delle altre molecole favorisce la durata dell’interazione.

B7-1 e B7-2
Infine si trovano delle altre molecole fondamentali per l’attivazione positiva del linfocita T, cioè qualcosa che produce
quella catena di risposte che poi si valutano come espansione clonale, produzione di citochine, acquisizione di certe
capacità effettrici.
Allora il linfocita T costitutivamente esprime sulla propria superficie una molecola che è definita CD28. Il ligando del
CD28 è rappresentato da delle molecole presenti su altre cellule che sono B7-1 e B7-2, sono anche definita come CD80
e CD86. A differenza del CD28 sui linfociti, B7-1 e B7-2 non sono espresse costitutivamente sulle cellule, cioè di
norma le cellule, siano esse cellule normali o cellule presentanti l’antigene, non trascrivono, non sintetizzano e non
espongono queste molecole.
Quindi il contatto tra il recettore, il peptide nel suo complesso di MHC di I o II classe, l’interazione di molecole di
adesione e così via, può avvenire contemporaneamente all’interazione CD28 – B7-1/B7-2 oppure in assenza di questa
interazione perché la cellula non presenta il ligando per il CD28.
Questo determina una differenza sostanziale perché in presenza di questo ligando l’interazione complessiva porta
all’attivazione del linfocita T; in assenza di questo secondo segnale continuatorio (il primo segnale è CD4-MHC II) alla
cellula arriva un segnale inibitorio, tollerogeno.
Questo è indispensabile per assicurare una non reattività nei confronti delle cellule normali dell’organismo, su cui il
recettore dei B ha un’attività seppure a bassa affinità.
APC

Parlando delle APC si considerano le varie linee cellulari e la loro funzione.


Queste cellule sono dette cellule presentanti l’antigene convenzionali, perché non solo lo presentano ma sono in grado
di captarlo dall’esterno, di processarlo e poi di esporlo. Questa è la differenza con le altre cellule nucleate.

La cellula dendritica per poter interagire con


una risposta di attivazione positiva col linfocita
T naive ha bisogno di esporre, oltre che l’MHC
di II classe, anche il B7 1 o 2. Solo in caso di
doppio segnale la cellula T entrerà in ciclo.
Questo avviene di norma nell’organo linfatico
secondario, che può essere rappresentato da
linfonodi, da tessuto linfatico associato alle
mucose o, per quanto riguarda determinati
antigeni, anche la milza. Tutto ciò che arriva dal
circolo ematico viene bloccato, captato e
presentato a livello della milza.
La cellula dendritica è una cellula che serve per
la captazione, la presentazione e l’attivazione.

I macrofagi e la cellula B servono per la


captazione, la processazione e la presentazione
però hanno anche delle funzioni effettrici. Sono
coinvolte nella risposta che deve servire ad eliminare l’antigene che ha indotto la risposta.
Questi si ritrovano in organi linfatici secondari ma anche in organo non linfoidi dove sono protagonisti di questa
risposta.
Il macrofago presenta l’antigene al linfocita T effettore, lo deve presentare assieme ad un secondo segnale rappresentato
sempre dalla molecola B7 1 o 2.
Quindi: primo segnale  interazione specifica,
secondo segnale  interazione della molecola costimolatoria CD28 col ligando B7 1o2.
Lo stesso discorso vale anche per le cellule B, anch’esse attivano i T in questo modo.

A livello dei tessuti però i linfociti B e il macrofago vengono a loro volta attivati dal linfocita T che hanno attivato, per
svolgere le loro funzioni effettrici che sono trasformazione in plasmacellula e produzione di anticorpi e l’attivazione
delle caratteristiche di killing del macrofago.
Vengono quindi trasformate in cellule effettrici molto più efficienti.
Si può quindi osservare la morfologia. Le cellule dendritiche hanno il citoplasma ramificato.
I linfociti T vengono caratterizzati dalle immunoglobuline.
Morfologicamente T e B non sono distinguibili.

STIMOLAZIONE DEL LINFOCITA T


Come arriva l’antigene agli organi linfatici secondari e quindi come si determina la stimolazione del linfocita T?
Si devono prendere in considerazione due aspetti:
1. come circolano i linfociti (sono praticamente
sempre in circolo)
2. come arriva l’antigene all’organo linfatico
secondario dove si possono creare le
condizioni di incontro e quindi di attivazione
dei linfociti stessi.

Si considera ad esempio l’epitelio. Tutte le zone di contatto


con l’esterno sono delimitate da un epitelio.
A livello del tessuto connettivo l’antigene, che sia penetrato
con un patogeno o che sia una sostanza chimica, può andare
incontro a due destini:
- essere captato dalle cellule dendritiche; arriva alla milza
dove viene captato, bloccato e dove si creano le
condizioni di incontro con il linfocita T naive specifico.
- entrare direttamente in circolo; viene drenato attraverso
il liquido interstiziale nel vaso linfatico afferente e arriva
così al linfonodo.

Un aspetto molto importante è che la cellula dendritica, che veicola l’antigene, durante questo tragitto si modifica. Da
cellula dendritica immatura che cattura l’antigene si trasforma in una cellula dendritica matura che è quella presente
nell’organo linfatico secondario e che acquisisce la capacità di presentare l’antigene e di attivare il linfocita T.

(è importante ricordare che il dotto toracico si versa nella vena succlavia e c’è quindi un ricircolo continuo tra linfatici e
sangue)

Linfociti
Anche linfociti naive circolano nel sistema ematico. Nella formula
leucocitaria i linfociti sono il 20-30%, quindi ammettendo che uno abbia
7000 globuli bianchi, in numero assoluto ha 2100 linfociti.
Normalmente quindi arrivano nel sangue arterioso, passano attraverso i
capillari e arrivano alle vene.
C’è un tratto del segmento venoso delimitato da un endotelio particolare,
sono le venule ad alto endotelio. A livello delle venule ad alto endotelio
nei linfonodi, i linfociti naive lasciano il circolo e passano nel linfonodo
stesso. Si dirigono verso delle zone che sono tipiche per i linfociti B,
follicoli linfatici nella corticali. Invece i linfociti T si collocano nella
paracorticale. La diversa localizzazione è dovuta al richiamo di
chemochine specifiche per T e per i B.
Nella milza si hanno dei fenomeni analoghi. Nella milza non si hanno le
venule ad alto endotelio ma c’è comunque questo passaggio di linfociti
dal circolo ematico all’organo linfatico.
La localizzazione si può vedere nell’immagine dove in verde, con
fluoresceina sono marcati i linfociti B, mentre in rosso sono marcati
linfociti T.

A livello del linfonodo quindi arrivano gli antigeni, se arrivano liberi


possono essere catturati anche da macrofagi e linfociti B che sono
comunque presenti. Si creano le condizioni potenziali d’incontro tra
l’antigene, presentato da una cellula presentante l’antigene costituzionale, e il linfocita T helper o il linfocita T
citotossico presentato nell’ambito delle molecole di prima classe.
Di norma le cellule presentanti l’antigene captano in continuazione materiale esogeno, lo processano e lo presentano.
Però è materiale esogeno self, cioè son peptidi normali, fisiologici, che vengono presentati nell’ambito delle molecole
per esempio di seconda classe.
Però contemporaneamente non espongono il B7 1o2 perché questa molecola può essere indotta solo dopo stimoli
particolari che si generano ad esempio in un’infiammazione, dopo una situazione di necrosi. L’espressione della
molecola B7 1o2 è un segnale di pericolo, quando viene espressa significa che c’è una situazione che si è creata
dall’esterno di pericolo per l’organismo.
Quindi di norma se il materiale captato, processato e presentato è materiale endogeno alla cellula o esogeno self,
normale, viene riconosciuto e mancando il segnale costimolatorio (B7 1o2) manca il secondo segnale per attivare il T,
la cellula non risponde. Quindi in questo caso il linfocita riceve il primo segnale specifico però manca il secondo
segnale e quindi la risposta è di tipo tollerogeno.
Solo quando la cellula espone anche il segnale B7 1°2, la cellula avrà una risposta di tipo positivo.

Cellula dendritica
Nell’esempio si ha la cute.
Si ha una cellula dendritica dotata dei suoi recettori per il riconoscimento dei pattern molecolari ad esempio di alcuni
patogeni. Questo riconoscimento e questa captazione di materiale comporta una modifica delle caratteristiche della
cellula dendritica. La cellula dendritica perde l’adesività, attraverso la linfa arriva al linfonodo e qui cambia anche
aspetto morfologico e si presenta come una molecola che non è più in grado di captare, ma è in grado di presentare,
nell’ambito di molecole di seconda classe.
Nel contempo ha anche trascritto ed espresso la molecola
B7 1o2, e quindi diventa capace di attivare il T specifico.

Questo può avvenire per la cute e può avvenire per le


mucose. Nelle mucose esiste un sistema linfatico
disperso, cioè non riconoscibile come struttura anatomica,
ed è rappresentato da linfociti all’interno della lamina
propria. Però esistono anche delle strutture organizzate, le
più facili da individuare sono le placche del Peyer a
livello dell’intestino tenue.
Questa è una struttura particolare dove al di sotto di una
cellula epiteliale differenziata, una cellula M o don
(campana, cupola), al di sotto della sua base si ha una
raccolta di tutte le cellule necessarie per avere una
risposta immunitaria completa. La cellula M non è una
cellula presentante l’antigene però permette il passaggio
di antigeni che provengono ad esempio dal lume
intestinale, la captazione a livello della placca di Peyer e
il trasporto fino all’antigene tributario.

Stesso discorso si può fare per la cute. La cellula


dendritica della cute è detta cellula di Langerhans ed è
stata ben studiata. La cellula di Langerhans presenta delle
sue molecole di classe seconda costitutivamente, però di
norma non esprime molecole costimolatorie B7 1o2.
Soltanto dopo essere stata attivata attraverso recettori tipo quelli dei pattern molecolari o aver subito l’azione di varie
citochine tipo l’IL1, comincia a migrare attraverso la linfa, è stata infatti definita come cellula ….(non si è capito) che
migra verso il linfonodo. Una volta arrivata al linfonodo si stabilisce nelle zone T dipendenti e qui diventa una cellula
fissa. Lungo il percorso ha trascritto, sintetizzato ed espresso la molecola B7 1o2 che la rende una cellula presentate
l’antigene efficiente nell’attivare in modo complesso il linfocita T.

La cellula dendritica cosiddetta immatura, che non ha subito le modifiche legate al segnale di pericolo, ha come
funzione principale quella della cattura dell’antigene,
un fenomeno di endocitosi.
Presenta recettori per il mannosio in grado di captare
vari patogeni, e dei recettori FC per le
immunoglobuline. Quindi è in grado di captare
materiale che è stato marcato specificatamente da
un’immunoglobulina.
Non esprime molecole costimolatorie ed esprima molecole di classe seconda con un’emivita di circa 10 ore e una
densità medio-bassa. Il numero di molecole espresso è di 106.
Invece la cellula dendritica attivata non è più in grado di captare niente perché scompare la funzione di recettore per il
mannosio e per FC. L’espressione delle molecole costimolatorie è intensa. Il numero di molecole di classe seconda sulla
superficie diventa molto più elevato e l’emivita cresce fino a più di 100 ore. Sono modifiche che variano la funzione
della cellula.

Quindi sintetizzando tutto ciò che arriva attraverso il sangue arriva alla milza, il resto passa attraverso i linfonodi. Il
MALT è un caso particolare che verrà analizzato in detteglio parlando della funzione effettrice dei linfociti B.
IMMUNITA’ INNATA E IMMUNITA’ SPECIFICA
A questo punto è necessario fare una sintesi tra l’immunità innata e l’immunità
acquisita. L’immunità acquisita è quella specifica, è quella dotata di anticorpi
ecc.. però tra le due componenti si ha una notevole interdipendenza.
Ad esempio si considera come la cellula T helper sia fondamentale
nell’immunità specifica, come possa riconoscere il proprio antigene e come
possa essere attivata o meno riconosciuto l’antigene. La fase che porta
all’espressione delle molecole B7 1o2 è il risultato di una serie di eventi che
sono tipici dell’immunità innata, d’altra parte una volta differenziato il linfocita
T in cellula effettrice, essa utilizza delle cellule aspecifiche come i macrofagi o i
natural-killer per eseguire le funzioni necessarie all’eliminazione dell’antigene.
Quindi immunità innata e specifica hanno delle caratteristiche diverse ma non
possono essere considerate come dei capitoli totalmente separati in modo netto.

Quindi abbiamo visto


• il riconoscimento combinato dell’antigene (MHC –
peptide – TCR).
• CD4 o 8 servono a stabilizzare
• il secondo segnale dato da una molecola costimolatoria

Annesso al TCR abbiamo una molecola, il CD3, che serve per la


trasduzione del segnale all’interno della cellula.
Infatti quando tutte queste molecole possono interagire con il
loro ligando si ha un’attivazione a livello della membrana, un
avvicinamento dei recettori che porta all’attivazione delle sequenza intracellulare di attivazione stessa.

Quindi il recettore specifico ci garantisce il riconoscimento specifico; le molecole di adesione stabilizzano


quest’interazione una volta avvenuta; la presenza del B7 1o2 sulla cellula che espone l’antigene determina un ulteriore
stabilizzazione e un’aggregazione dei vari recettori, è quella che si chiama sinapsi immunologia. Si indica così una
stretta contiguità che si crea tra una cellula e l’altra. Si stabilisce un tempo di contatto sufficiente a determinare
l’attivazione della cellula T.
Anche le integrine quindi hanno la loro responsabilità nel determinare e favorire questo contatto prolungato.
È stato anche suggerito che il recettore T non sia tanto un binding receptor quanto un timing receptor, cioè quello che
conta il tempo per cui dura il contatto. Se il contatto è inferiore a un certo tempo non si ha nessuna risposta, altrimenti si
hanno vari tipi di risposta che vanno dall’antagonista, parziale agonista, agonista.
Il fatto principale è sempre il riconoscimento specifico, che però richiede una serie di altri fenomeni che possono essere
messi in moto solo se è stata attivata l’immunità innata con produzione di citochine di vario genere che hanno portato
alla stimolazione delle cellule dell’immunità specifica e alla trascrizione delle molecole costimolatorie.

Quindi:
- assenza di segnale costimolatorio  nessuna risposta
- presenza di segnale costimolatorio  risposta
Esiste un terzo fattore fondamentale nel determinare la risposta proliferativi, quindi l’espansione clonale. Questi fattori
sono stimoli di natura solubile, cioè le citochine, in modo particolare le interleuchine.
L’interleuchina chiave nel processo di proliferazione leucocitaria è l’interleuchina 2. Infatti la proliferazione del clone
cellulare è mediata dall’attivazione e trascrizione dei geni che codificano da un lato per l’interleuchina 2 (oligopeptide
che viene sintetizzato e secreto all’interno della cellula) e dall’altro anche l’attivazione e la sintesi della catena alfa del
recettore dell’interleuchina 2 che rende questo recettore ad elevata affinità.
Quindi il fenomeno che porta all’attivazione della cellula porta essenzialmente a tre eventi fondamentali:
1. la sintesi e la secrezione dell’interleuchina 2 da parte del linfocita T attivato
2. la sintesi della catena alfa per il recettore dell’interleuchina 2 già presente sulla membrana del linfocita T naive
che diventa ad alta affinità
3. aumento del numero di recettori sintetizzati ed espressi

Questa interleuchina agisce quindi con modalità autocrina, è prodotta dalla stessa cellula che presenta anche il recettore
sul quale andrà a legarsi. Agisce ovviamente anche con modalità paracrina interagendo con tutte le cellule vicine che
presentano il recettore.
L’interleuchina 2 viene anche definita fattore di crescita dei linfociti perché è il mediatore solubile che ne determina la
proliferazione e l’espansione clonale. I linfociti che reagiscono in questo modo sono i CD4 e i CD8. alla fine del
processo di proliferazione invece è ben visibile il processo di differenziazione dei linfociti CD4 in effettori e dei CD8 in
citotossici attivati o in CD8 della memoria.

Lezione di Immunologia del 29 novembre, seconda ora

La risposta cellulo-mediata (CMI) è quel tipo di risposta che dipende dalle cellule T o da cellule che sono in parte
indirizzate dai T.

- Le citochine

Abbiamo già visto una citochina, centrale perché è il fattore di crescita dei linfociti T, sia CD4 sia CD8, che
determina l’espansione clonale, cioè un aumento del numero dei linfociti. Le citochine possono essere definite come
delle molecole che mediano delle funzioni durante vari processi (immunitario, infiammatorio), di natura proteica; sono
dei peptidi che mediano le informazioni tramite recettori.

Proprietà generali:
- sono prodotte transitoriamente in risposta all’antigene; lo stimolo porta alla trascrizione del gene che codifica
per la citochina, ma terminato lo stimolo si torna allo stato di riposo, si interrompono la sintesi e la
secrezione;
- agiscono sulla stessa cellula che le produce (attività autocrina) o su cellule vicine (attività paracrina); è
sempre un fenomeno locale: quando si ha la produzione di citochine su scala sistemica si associano sempre
eventi infausti, situazioni che si associano ad agenti conosciuti, per esempio il contatto con superantigeni o la
sindrome da shock settico da iperproduzione di TNF; di norma è un fenomeno locale, con attività di tipo
paracrina e autocrina;
- pleiotropismo: la stessa molecola media effetti diversi su cellule diverse che presentino il suo recettore;
- ridondanza: citochine diverse possono avere lo stesso effetto su una determinata cellula; spesso può cambiare
il recettore, ma le vie di traduzione del segnale rimangono le stesse, e questo spiega perché l’effetto rimane
identico.
Citochine prodotte dai linfociti T:
- interleuchina 2, fattore di crescita prodotto dai CD4 e CD8, che però non agisce solo su questi: per esempio
i natural killer, linfociti aspecifici, hanno costitutivamente il recettore per l’interleuchina 2, quindi quando
essa viene prodotta da CD4 e CD8 nel contesto locale ne subiscono gli effetti e proliferano, aumentando
come numero; si ha quindi reclutamento di cellule aspecifiche nei meccanismi di difesa aspecifici;
- interleuchina 4 e interleuchina 5: sono citochine prodotte da CD4 e dai mastociti, quindi cellule
infiammatorie; l’IL-4 determina uno stimolo nel linfocita B al livello del nucleo, quindi del DNA, verso
l’utilizzo per esempio del gene della parte costante e della catena pesante, quindi rappresenta lo stimolo che
determina la sintesi di IgE; l’IL-5 è prodotta dallo stesso tipo di cellule e determina l’attivazione degli
eosinofili, quindi sono le molecole che spesso caratterizzano le parassitosi (tutte le parassitosi si associano ad
un elevata eosinofilia), si associano alla produzione di geni nei confronti dei parassiti e, in minore entità, alle
malattie allergiche dove IgE e l’attivazione e il reclutamento degli eosinofili vengono indirizzati verso
antigeni innocui;
- interferone γ: è un’altra molecola estremamente importante, definita anche interferone immune, prodotta dai
CD4, CD8 e cellule natural killer una volta stimolate per esempio dai macrofagi con l’interleuchina 12;
l’effetto dell’IFN-γ è di attivare e potenziare l’attività dei macrofagi stessi e in parte agisce anche sui B
determinando la trascrizione del gene γ1 per la parte costante della catena pesante, e quindi delle IgG, quindi
la sintesi di IgG1;
- Transforming Growth Factor β (TGF-β): è una citochina regolatoria molto importante nel mantenere
l’equilibrio all’interno del nostro organismo e nel determinare a un certo punto il ritorno allo stato di base
dopo la risposta; è prodotto da molti tipi cellulari, tra cui i CD4, e determina soprattutto inibizione
dell’attività dei linfociti T.
Quindi IL-2 dà proliferazione dei T e predispone anche, non da sola, alla trascrizione di geni per altre citochine, IL-
4 e IFN-γ; nel toto questa trascrizione è esclusiva, cioè i CD4 che trascrivono il gene per IFN-γ non trascrivono quello
per IL-4. Nell’uomo non è però proprio così, ma esiste comunque questa sorta di equilibrio, o prevale IL-4 o prevale
IFN-γ.
Nell’immagine si vede che il fattore di crescita dei linfociti è compreso nei natural killer. L’aumento del numero dei
natural killer determina un potenziamento della risposta aspecifica complementare a quella dei CD8. Bisogna ricordare
che i CD8 riconoscono il bersaglio nel contesto delle molecole di I classe, mentre i natural killer riconoscono le cellule
che non esprimono nella loro superficie le molecole di I classe.
Gli eritrociti non vengono eliminati perché non hanno un nucleo, il loro metabolismo è estremamente limitato,
compresa la sintesi, e non hanno sulla loro superficie quelle molecole di attivazione. Quindi manca l’interazione con le
molecole MHC, ma manca anche l’interazione con i recettori di attivazione.

- Differenziazione T helper 1 e 2
Vediamo come dall’attivazione di linfociti T CD4, T helper, si
possa generare e differenziare due sottopopolazioni di T helper.

Da un T helper cosiddetto naive che entra in ciclo (si ha


l’espansione clonale dopo che è stato stimolato), quindi dai suoi cloni,
si hanno da un lato cellule che differenziano come promotrici della
risposta cellulo-mediata, dall’altro delle cellule che differenziano come
helper della risposta di tipo umorale. Le prime sono definite T helper 1
e promuovono la risposta cellulo-mediata, mentre le seconde sono
definite T helper 2 e promuovono la risposta di tipo anticorpale.
Si è visto che il fatto che una cellula proliferante naive entrata in
ciclo tenda a trascrivere certi geni, quindi ad acquisire certe funzioni
invece di altre, dipende essenzialmente dall’ambiente citochinico in cui
si trova a proliferare. Se l’ambiente citochinico è dominato come
quantità dall’IL-12, la cui fonte principale è il macrofago che può
essere attivato da un qualsiasi patogeno, viene trascritto
prevalentemente il gene per l’IFNγ, che è quello che determina il
…….. funzionale del T helper 1, che media l’immunità cellulo-
mediata. Se invece nel contesto locale prevale l’IL-4 prodotta da
mastociti attivati al livello delle mucose o dagli stessi CD4 (si crea un
circuito di amplificazione locale) viene potenziata la sintesi di IL-4, IL-
5 e IL-10; tutto ciò porta a un’inibizione della risposta cellulo-mediata
e promuove la risposta di tipo umorale.

Quindi di fronte a un particolare stimolo antigenico il T helper, una


volta che è stato stimolato a proliferare, ha due strade, un po’ come nel
caso di una bilancia:
1) prevale nell’ambiente la presenza di interleuchina 12,
citochina caratterizzante, e viene prodotto l’IFN-γ; questo è caratteristico del T helper 1, e determina la
selezione di una modalità di risposta di tipo cellulo-mediata; per esempio un micobatterio tubercolare o un
patogeno intracellulare tipicamente porta alla selezione di questo tipo di risposta;
2) può capitare, partendo da un antigene diverso che crei un contesto citochinico differente, che venga
selezionata la trascrizione delle altre citochine che vanno ad agire su recettori prevalentemente sui linfociti
B e determinano al livello del loro DNA non solo la proliferazione ma anche la trascrizione di certi geni per
le immunoglobuline invece che di altri; in questo caso quindi si ha la selezione di una modalità di risposta
di tipo umorale o anticorpale, che tipicamente viene selezionata nei confronti di patogeni extracellulari.

Questo vale per la fisiologia; in immunopatologia ci possono essere delle selezioni non adeguate del tipo di
risposta.

Ancora, per ripetere:

T HELPER 1 RISPOSTA CELLULO-MEDIATA

T HELPER 2 RISPOSTA DI TIPO UMORALE


Una delle fonti principali di IL-12 è il macrofago che, stimolato da patogeni, per esempio dall’LPS, determina la
trascrizione e la secrezione di IL-2; d’altra parte produce anche TNF, IL-2, varie chemochine, cioè tutta la serie di
fenomeni che costituiscono l’INFIAMMAZIONE.
L’IL-12 al livello di immunità innata determina l’attivazione delle cellule NK, natural killer, che a loro volta sono
produttrici di IFN-γ che vedremo essere la citochina che arma e corazza i macrofagi. Quindi il macrofago nell’ambito
dell’immunità innata recluta tutta una serie di cellule attraverso fattori chemiotattici, con fattori che vanno a stimolare
l’emopoiesi quindi la produzione di nuove cellule infiammatorie e attraverso fattori che attivano altre cellule, e a sua
volta ne viene stimolato. Questo per quanto riguarda l’immunità innata; abbiamo però già visto come questa citochina
sia fondamentale nel decidere quale sarà il destino del linfocita T helper attivato in un senso o nell’altro.
Per quanto riguarda le citochine che vengono prodotte dai T helper 1 e dai T helper 2, i T helper 1 producono Il-4,
IL-5 e IL-10; l’effetto principale di quest’ultima è di inibire, bloccare in parte, la via T helper 1, cioè la risposta cellulo-
mediata. Invece nella risposta T helper 1 la citochina prevalentemente prodotta è l’IFN-γ la cui attività è attivare i
macrofagi; bisogna ricordare che nella risposta cellulo-mediata il T helper effettore, il T helper 1, non agisce
direttamente ma agisce utilizzando il macrofago, definito MACROFAGO ARMATO, e bisogna ricordare anche che
l’IFN-γ determina nei linfociti B la trascrizione del gene per la parte costante della catena pesante γ1, che comporta la
sintesi di IgG1 che sono immunoglobuline che hanno effetto opsomizzante e attivanti il complemento, che ha a sua
volta un azione opsomizzante, quindi favorisce ancora e indirizza l’attività dei macrofagi.
Ricapitolando ci sono due …….. di popolazioni T che derivano dalla popolazione naive iniziale in fase di
proliferazione, che si associa a una differenziazione in senso T helper 1 o T helper 2; quando prevale una l’altra e meno
evidente e viceversa. È facile immaginare la cosa come due piatti di una bilancia.
Nel topo c’è una differenziazione funzionale quanto a sintesi di citochine estremamente ……. . Nell’uomo non è
così netta, ma esiste ugualmente una differenziazione funzionale, soprattutto per l’IFN-γ, quello che fa la differenza per
i T helper 1, e l’IL4 e 5, IL-13 e IL-10 per i T helper 2.

IL-3, GM e CSF sono fattori di crescita: IL-3 è una panemopoietina, cioè va a stimolare il midollo osseo stimolando
la proliferazione, maturazione e immissione in circolo di tutte le linee emopoietiche. Quindi di fatto tutt’e due le linee
producono una citochina che fornisce loro linee cellulari da reclutare.
GM-CSF è un fattore di crescita stimolante le colonie per granulociti e monociti.
Questa è la differenza più importante assieme agli isotipi anticorpali stimolati. Nell’uomo i T helper 1 determinano
le IgG1, nel topo le IgG2α oltre alle IgG1; i T helper 2 invece determinano nell’uomo le IgG4. L’attivazione dei
macrofagi, mediata dall’interferone γ, è caratteristica dei T helper 1.
- Sottoclassi di linfociti e caratteristiche

Prima di passare alla fase di risposta possiamo dire che arrivati a questo punto è possibile identificare varie classi e
sottoclassi di linfociti.

Linfociti T helper CD4+: si possono distinguere in T helper 2 e 1 a seconda della loro differenziazione dopo
l’incontro con l’antigene specifico. Sono caratterizzati da eterodimeri α-β e dal punto di vista fenotipico, essendo CD3+,
sono CD4+.
Nella tabella sono riportate le percentuali nel sangue e negli organi linfatici secondari.

Linfociti T citotossici: altra cellula importante effettrice di risposta; la sua caratteristica è quella, una volta attivato,
di trasformarsi in una formidabile macchina killer, il cui bersaglio sono cellule infettate da virus, cellule tumorali, ed è
interessato nel rigetto dei trapianti. Il recettore per l’antigene è sempre costituito da eterodimeri α-β, quindi CD3+ e
CD8+. Sono decisamente in percentuale inferiore, restando in periferia.

Linfociti B: sono deputati alla produzione di anticorpi; anche in questo caso, come vedremo, esistono 2 sottoclassi,
B1 e B2. Mediano l’immunità umorale, sotto controllo dei T helper 2: il linfocita B senza cooperazione con il T è in
grado di produrre solo IgM, non è in grado di differenziare ulteriormente e di produrre immunoglobuline di altra classe
e soprattutto non è in grado di generare cellule memoria. Queste ultime sono le cellule che dopo la proliferazione,
anziché differenziarsi in cellula di risposta, tornano a uno stato apparente di quiescenza pronte per un contatto
successivo. Il recettore per l’antigene sono le immunoglobuline di membrana, i marcatori fenotipici sono ovviamente
l’HLA di seconda classe, il CD19. Sono abbastanza poche, 10-15%.

Cellule natural killer: circa 10%, sono cellule aspecifiche; anch’esse hanno un tipo di attività in parte
sovrapponibile e complementare a quella dei T citotossici. I recettori per l’antigene sono attivatori di recettori di
inibizione, sono indirizzati in parte anche dalle immunoglobuline.
Nella tabella manca un linfocita T, CD3+ γδ, che è molto basso come percentuale e che non ha né CD4 né CD8.

Finora abbiamo visto cellule naive, cellule che vengono attivate dal contatto, cellule effettrici e cellule memoria; la
cellula naive è quella che non ha ancora incontrato il suo antigene, la cellula attivata, o proliferante, è pronta a
differenziarsi, differenziazione che può avvenire o come cellula effettrice o come cellula memoria.
Ciascuna di queste fasi è caratterizzata da dei marcatori che possono essere fenotipici o funzionali. Per quanto
riguarda la migrazione per esempio i linfociti T naive tendono a ricircolare tra sangue e linfonodi; se non incontrano
l’antigene escono attraverso i linfatici efferenti, rientrano in circolo e così via. Il linfocita attivato invece tende a
localizzarsi soprattutto nei tessuti periferici, e comunque nei tessuti dove ci sia infiammazione. D’altra parte una cellula
di risposta o una cellula pronta a determinare l’eliminazione dell’antigene deve essere equipaggiata con molecole di
adesione di superficie per i tessuti periferici.
I linfociti della memoria tendono a stare nei tessuti periferici, infiammati o annessi alle mucose; anche questi quindi
non hanno bisogno di un circolo costante negli organi linfatici secondari perché hanno già riconosciuto il loro antigene,
sono gia stati stimolati. Per interagire e riattivarsi non hanno bisogno più della molecola co-stimolatoria, quindi
ovunque riconoscano il loro antigene specifico possono nuovamente attivarsi, proliferare e rispondere.
Quindi il linfocita naive ha la risposta mediata dall’interazione specifica più la molecola co-stimolatoria (secondo
segnale). La cellula linfocita che è stata attivata, cioè il linfocita della memoria, è in grado, una volta che venga
impegnato e attivato attraverso il suo recettore specifico, di proliferare e attivarsi indipendentemente dalla presenza di
molecole co-stimolatorie. Questa è la differenza sostanziale.
Per quanto riguarda la frequenza delle cellule che rispondono, i linfociti naive specifici per una determinata
sostanza sono molto pochi, diventano molto più numerosi quando c’è l’espansione clonale, nel qual caso la stessa
cellula entra in ciclo, si divide dando luogo a tante cellule identiche a quella d’origine. Ci sono tante cellule con quel
recettore e quella specificità.
I linfociti della memoria sono meno rispetto a quelli attivati durante l’espansione clonale, ma sono comunque in
numero molto superiore rispetto a quello dei linfociti naive. Quindi, a parte il fatto che non necessitano del segnale co-
stimolatorio, anche le probabilità statistiche di incontro con l’antigene specifico sono molto aumentate.
In ciclo cellulare ci sono in pratica solo i linfociti attivati effettori; i linfociti della memoria entrano rapidamente in
ciclo ma di fatto chi prolifera sono i linfociti in fase di proliferazione e di differenziazione.
Espressione di proteine di membrana: il recettore dell’interleuchina 2 ad alta affinità, che è chiamato CD25, è tipico
delle cellule in fase di attivazione, alle quali serve per iniziare o mantenere la proliferazione. Nel linfocita naive e nel
linfocita memoria che non sia stato di nuovo attivato l’espressione del recettore per l’interleuchina 2 è bassa.
Un’altra molecola che viene utilizzata di fatto nell’uomo per distinguere soprattutto i linfociti naive da quelli
attivati è l’isoforma del CD45; praticamente il linfocita naive presenta il CD45RA che viene modificato ed espresso
come CD45RO nei linfociti attivati. Questo è un marcatore che può essere utilizzato per distinguere i linfociti naive da
quelli attivati.
Per quanto riguarda la morfologia i naive sono piccoli, mentre spesso quelli attivati sono ampi con citoplasma ampio e
qualche volta anche un nucleo con la cromatina abbastanza lassa; i linfociti memoria sono piccoli. Bisogna notare però
che la morfologia non aiuta, non serve né per stabilire se sono T o B, né se sono T1 o T2. Se ci sono marcatori
morfologici veramente importanti di attivazione possiamo dire che sono cellule attivate, e che sono blasti, ma non si
può dire altro.

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