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Meningiti Batteriche

In questa lezione verranno trattate le meningiti batteriche fra l'eta neonatologica e i 18 anni, mentre le virali non
verranno trattate durante il corso ad eccezione dell'encefalite da herpes; la sintomatologia e la diagnostica sono
comunque simili.

La scatola cranica contiene tre membrane: Dura madre, che aderisce al cranio, Aracnoide che accoglie seni venosi e
arteriosi nelle proprie involuzioni ed ha uno spazio solo virtuale se non in condizioni patologiche (es. ematoma
subdurale) e l'Aracnoide che circoscrive lo spazio dove si sviluppano le meningiti e che se interessano anche la
corteccia sottostante diventano meningo-encefaliti.

L'epidemiologia è cambiata per l'avvento dei vaccini; solitamente le meningiti sono date da ceppi capsulati la cui
virulenza è data dai polisaccaridi della capsula che non sono in grado di montare una risposta immune nei bambini sotto
i 2 anni. L'Haemophilus Influenzae di tipo B è ormai trattato con vaccino pertanto sono prevalenti le infezioni da
agenti non coperti da tali presidi come pneumococco e meningococco. Le popolazioni sotto i 2 mesi sono quelle più
colpite (81/100000) insieme a quelle sotto i 2 anni perché a questa età il sistema immunitario non è in grado di reagire e
produrre anticorpi contro i polisaccaridi, condizione superabile con i vaccini coniugati in cui il polisaccaride virulento è
legato covalentemente con tossina tetanica o difterica inattivate o geneticamente modificate (nei vaccini coniugati la
coniugazione con la proteina fa si che le cellule T siano coinvolte nel processo immune). Dopo i 2 anni l'incidenza è
molto più bassa (1/100000 sotto i 10 anni). Fra 1 e 3 mesi si ha ancora l'influenza dei ceppi responsabili delle infezioni
neonatali fra cui lo Streptococco di gruppo B, che vive nel canale del parto ed e responsabile delle infezioni trasmesse
dalla madre al feto sopratutto in caso di rottura prematura delle membrane materne (è difficile sviluppare un vaccino
contro streptococco di gruppo B perchè ci sono antigeni in comune con tessuti cerebrali per cui in caso di vaccino
contro questi antigeni si rischiava l'encefalite, ora è stato possibile sintetizzarne uno grazie al sequenziamento del
genoma e costa poco più degli altri); questo batterio non è da confondere con lo Streptococco beta emolitico di gruppo
A responsabile delle faringiti batteriche (beta emolisi vuol dire che nell'agar sangue c'è un alone chiaro di totale
trasparenza per digestione del sangue, se c'è alfa emolisi la chiarificazione è parziale). Nella fascia 1-3 mesi quindi
abbiamo un'incidenza del 40% per quanto riguarda lo Streptococco di gruppo B, gram negativi 32% (prevalentemente
Escherichia Coli), Streptococcus pneumoniae 14% e Neisseria meningitidis 12%. Questo è importante per la terapia
empirica perchè nei primi tempi non è possibile aspettare risultati delle colture e in questa fase si usano l'ampicillina e
gentamicina che sono attivi sia sullo Streptococco di gruppo b che su Escherichia coli. Fra i 3 mesi e i 3 anni prevale lo
S. pneumoniae con una incidenza del 45% e che al microscopio ha un aspetto caratteristico a diplococco permettendo
una terapia mirata immediata; Neisseria meningitidis è al 34% ed è gram negativo, per cui la colorazione immediata
può essere importante per intraprendere una terapia, lo Streptococco di gruppo B 11%, bacilli gram negativi 9%. Fra i 3
e i 10 anni prevale lo Streptococcus pneumoniae e sotto i 18 il Neisseria meningitidis.

I fattori predisponenti
I fattori predisponenti sono diversi e fra questi citiamo:

• Recente esposizione a soggetti con meningite da meningococco o h. influentiae dove l'esposizione aumenta di
300 volte il rischio di ammalarsi di meningite rispetto alla popolazione non esposta e in questi casi è quindi
consigliata la profilassi con rifampicina

• Recente infezione respiratoria (spesso la prima manifestazione è una faringite poco sintomatica) o otite per cui
il batterio può muoversi per contiguità
• Viaggio in regioni di endemia (in Africa il ceppo principale di meningococco è quello di tipo A mentre alle
nostre latitudini prevale il ceppo B)

• Trauma penetrante della testa

• Otorrea fra cui anche quella dovuta a cause congenite (importante verificare che non ci siano fossette dermiche
nella regione sacrale del bambino e se si trovano bisogna controllare che non ci sia una fistola in
comunicazione col midollo spinale potendo essere quindi una causa di meningite per cui è necessario
analizzarne l'eventuale presenza con una ecografia)

• presenza di impianti cocleari.

Clinica
Le meningiti sono una condizione patogena per la quale la clinica descritta nei libri di testo moderni è minima. I
sintomi generali sono diversi e per avere anche solo il sospetto di meningite basta che ci siano febbre, cefalea violenta
e vomito cerebrale (a getto, non preceduto da nausea); possiamo poi avere anoressia, segni di ipertensione intracranica
come il grido di tipo idrocefalico, fontanella tesa o bombata ( tipica del lattante, il bambino ''ha la cresta'' dice la
madre) e suono di “pentola fessa” ( età successive, percuotendo il cranio si sente il rumore di un vaso di ceramica
filato ed è dovuto al minimo distacco delle ossa craniche avuto a causa dell'ipertensione endocranica). Se non c'è
cefalea l'esame del liquor sarà negativo.

Segni specifici sono atteggiamenti e riflessi ipertonico-antalgici attribuibili a irritazione di radici spinali nel tratto
intratecale per cui le manovre causano dolore; sintomi sensitivi e sensoriali, sintomi motori (convulsioni e tremori) ecc.

La cefalea è violenta, di tipo lancinante o gravativo, costante con periodi di esacerbazione, frontale talora diffusa,
esacerbata da percussione e talora anche solo dallo sfioramento del cuoio capelluto. I bambini sono agitati, cambiano
continuamente la posizione del capo, portano le mani alla testa e gridano ( un'altra situazione caratterizzata da grida è
quella dovuta al vaccino per la pertosse che può dare una encefalite post infettiva con una irritazione meningea per cui
i bambini urlano). II vomito è improvviso, non correlato al cibo e non preceduto da nausea; nel lattante sotto l'anno
questi segni non sono specifici.

I segni ipertonico antalgici sono i segni più specifici, come la postura che assume il bambino, rigidità della nuca e
del dorso che da incapacità alla flessione del collo mentre sono conservati i movimenti di lateralità (la rigidità della
nuca precede quella del dorso), incapacità di toccare col mento lo sterno o far toccare il naso e le ginocchia ( segno di
rigidità dorso lombare), segno del tripode (il bimbo non e in grado di star seduto normalmente poiche la distensione
della colonna causa dolore per cui si appoggia in 3 punti), decubito a cane di fucile (decubito laterale con le gambe
flesse), opistotono (casi gravi con elevata ipertensione endocranica, nell'opistotono non è possibile flettere e c'è
iperestensione nel senso opposto).

Sono inoltre presenti riflessi evocabili con manovre particolari, presenti in tutti i casi di irritazione meningea anche
senza meningite ma che, se presenti, bisogna sempre approfondire controllando il liquor. Fra questi abbiamo il segno di
Kerning in cui il paziente è sdraiato e se lo si porta in posizione seduta il bimbo flette le ginocchia per ridurre il dolore,
il segno di Lasegue (si usa anche nella sciatica) in cui si flette la coscia sulla gamba e si estende la gamba a 180 gradi
ma non si riesce perchè provoca dolore; Il segno di Brudzinski della nuca in cui la flessione forzata del capo sul
mento causa flessione brusca degli arti inferiori, il segno di Brudzinski del pube in cui esercitando pressione in sinfisi
pubica il bimbo risponde con la flessione degli arti inferiori, presente anche in sepsi urinarie del lattante, Brudzinski
controlaterali in cui il bimbo è disteso, si flette un arto e automaticamente si flette anche l'altro, oppure partendo con la
flessione di un arto e alla flessione dell'altro si ha distensione del primo (questi ultimi segni di Brudzinski sono
leggermente meno sensibili); segno di Binda in cui ci si pone dietro al bimbo e gli si ruota il capo e lui ruoterà
automaticamente la spalla controlaterale portandola in avanti; segno di Manus-De Klein in cui con la rotazione laterale
del capo si ha l'estensione degli arti controlaterali e flessione di quelli omolaterali (segno tardivo, è l'opposto del
“riflesso dello schermidore” normale nei lattanti e segno di paralisi spastica se presente sopra i 3 mesi o se il bambino
poi rimane in posizione). Serve sempre un corteo di sintomi e se isolati bisogna rivalutare col tempo.

Sintomi motori ipercinetici, presenti quando c'è coinvolgimento della corteccia sottostante le meningi, sono segni di
sofferenza corticale in cui ci sono alterazioni all'elettroencefalogramma e si presentano convulsioni generalizzate, più
raramente di tipo jacksoniano (iniziano da un arto e poi si diffondono) o ancora più di rado convulsioni focali. La
convulsione ha un significato prognostico meno importante se correlata al picco febbrile mentre la prognosi è severa se
si presentano ancora dopo 3 giorni di terapia; le convulsioni non sono correlate a quanto è elevata la temperatura ma
alla velocità con cui la temperatura sale. Possiamo avere poi tremori di tipo cerebrale acuto che sono a carico di
estremità di arti e lingua, i movimenti automatici che non sono volti ad afferrare qualcosa ma sono automatici (così
come deglutizione e il digrignare i denti).

Esistono anche i segni ipocinetici dovuti a paralisi o paresi dei nervi cranici e il sesto nervo cranico (l'abducente, la cui
paralisi da uno strabismo in convergenza che si accentua se si fa guardare il soggetto dal lato della paralisi) è il primo a
paralizzarsi perchè ha un decorso endocranico molto più prolungato per cui è esposto per gran parte della sua lunghezza
alla ipertensione endocranica; la sua paralisi è tipica delle forme di meningite che coinvolgono la base.

I sintomi sensitivo sensoriali sono più precoci dei motori e sono parestesie superficiali di tipo tattile o termico. Le
sensazioni dolorose sono spesso accompagnate da midriasi e si presentano anche allo solo sfioramento della pelle
mentre le manifestazioni di tipo termico sono rappresentate da orripilazione e brividi allo spostamento del lenzuolo dal
corpo del paziente. Possono essere presenti anche parestesie più profonde come il segno di Von Hainiss dove si ha
dolore alla compressione dell'anello degli adduttori (fra terzo medio e terzo inferiore della coscia) ed è il punto di
emergenza del nervo femorale; si ha dolore anche alla compressione dei punti di emergenza di altri nervi come nel
punto sovraorbitario, mascellare, sovramentoniero, zigomatico, mastoideo (segno di Signorelli), dolore anche alla
compressione muscolare dove non c'è emergenza di nervi, sopratutto a livello del poplite o del bicipite brachiale. Altri
sintomi sensitivi sono fotofobia in assenza di congiuntivite, iperacusia con insofferenza ai rumori; nelle forme più
avanti nella progressione di malattia c'è perdita di funzione con ambliopia e ipoacusie, fino ad amaurosi, cecità
completa e sordità.

Possiamo avere inoltre sintomi neurovegetativi come il dermografismo rosso che si ottiene sfregando con l'unghia la
superficie dell'addome con comparsa di una stria rossa ritardata di 30-60 secondi (che lo differenzia dal dermografismo
dei bambini atopici dove si presenta una stria chiara seguita in breve tempo da una stria rossa). Sintomi neurovegetativi
da stimolazione vagale come vomito e stipsi, bradicardia (spesso segno di ipertensione endocranica), sintomi da
sofferenza del parasimpatico pelvico come ritenzione urinaria e priapismo.

Ancora, sintomi bulbari come disfunzione della termoregolazione e turbe del respiro con presenza di respiro di
Biot, che è caratterizzato da respiri ampi con pause di variabili (diverso dal Chein Stokes tipico del paziente comatoso
con ampiezza crescente che poi si riduce seguito da una pausa e dal respiro di Kussmaul che è tipico dell'acidosi
metabolica come quella dovuta da diabete).

Alterazioni psichiche frequenti sono la sonnolenza, lo stato soporoso, lo stato confusionale, delirio, allucinazioni,
irrequietezza, agitazione irrefrenabile e sono stati alternanti nel tempo.

La diagnosi è facile in forme conclamate iperacute e l'errore è spesso quello di diagnosticarla in eccesso; difficile è
invece diagnosticarla inizialmente nella meningite tubercolare per presenza di poca febbre e sintomi aspecifici per cui
la diagnosi è spesso tardiva.
Analisi di Laboratorio
Il laboratorio aiuta molto nella diagnosi grazie a emocolture e la liquor-coltura fatte per isolare l'agente eziologico,
all'emocromo completo dove ci si aspetta leucocitosi assoluta e si indagano elettroliti, creatinina e glucosio perchè
sono frequenti le turbe dell'equilibrio idrosalino e ipoglicemie e alla valutazione di alterazioni della coagulazione per
evoluzione in sindrome di Waterhouse-Friderichsen (insufficienza surrenalica associata a massiva emorragia
surrenalica bilaterale, CID, ipotensione progressiva fino allo shock).

Prima della terapia si fa puntura lombare anche nel solo sospetto a meno che non ci siano controindicazioni, come segni
di ipertensione endocranica con erniazione delle tonsille cerebellari o papilledema, compromissione cardiopolmonare,
infezione della cute in cui si effettua puntura; se la puntura è controindicata si fa una TC (che è la tecnica di imaging
più veloce) e si inizia la terapia empirica il prima possibile.

Sul liquor si contano le cellule che normalmente sono 4/ml ma nelle meningiti batteriche aumentano drasticamente e
prevalgono i granulociti neutrofili (nelle forme virali prevalgono i linfociti), il glucosio diminuisce così come le
proteine; altre indagine importante è colorazione di Gram.

Terapia
Se non trattata la meningite batterica ha una mortalità del 100% e anche trattandola morbilità e mortalità sono elevate e
sono possibili le sequele neurologiche di grado elevato, pertanto è necessario evitare ritardi nella terapia antibiotica
precedendola da emocoltura ( il meningococco è molto sensibile pertanto se si inizia prima la terapia la coltura potrebbe
risultare negativa, altri sono meno sensibili per cui si potrebbe fare la coltura anche dopo). La terapia di supporto
comprende ossigeno e assistenza ventilatoria e rianimatoria secondo i casi. Molto importante risulta essere la terapia
anti shock che si fa a dosi massive e con elevata rapidità (a volte con siringate ripetute) utilizzando una soluzione
isotonica di sodio cloruro 0,9% 20 ml/kg (rapidamente si fa solo cosi, se non si conosce la natriemia una soluzione
ipotonica può essere mortale; la natriemia può essere bassa per elevata secrezione di ADH). Si valuta poi il fegato e se
non è aumentato di volume (indice di sovraccarico emodinamico) si può proseguire con un'altra infusione, se aumentato
no.

È necessario trovare subito un accesso venoso e incannulare, monitorare la situazione cardio respiratoria, elevare la
testa del letto, correggere eventuale ipoglicemia con glucosio 0,25 gr/ kg, effettuare una adeguata terapia per eventuali
acidosi e convulsioni.

Per quanto riguarda l'idratazione c'è rischio sia di shock sia di eccesso di liquidi per la sindrome da inadeguata
secrezione, per cui è necessario uno stretto controllo del bilancio idrico e terapia con fisiologica per mantenere
pressione arteriosa e perfusione cerebrale. Il peso del bambino all'ingresso e durante il ricovero è molto importante da
monitorare. Normalmente un bambino deve bere 100 ml di acqua per ogni 100 kcal del suo fabbisogno calorico (che si
calcola per i primi 10 kg: ogni kilo corrisponde ad un fabbisogno calorico di 100 kcal quindi bambino di 10 kg=
fabbisogno calorico di 1000 kcal, sopra i 10 e fino ai 20 kg: ad ogni kg si aggiungono 50 kcal per cui bambino di 20
kg= fabbisogno di 1500 kcal, sopra i 20 kili : si aggiungono altri 20 kcal quindi bambino di 30 kg= fabbisogno calorico
di 1700 kcal). Il bambino è in bilancio perfetto se le uscite (pesando i pannolini) meno 45 ml/ 100 kcal del fabbisogno
calorico dovuti alla perspiratio sono uguali alle infusioni, valutando quindi eventuali ipovolemia e ipervolemia. Se il
peso sale è possibile ci sia la sindrome da inadeguata secrezione di ADH legata alla sintomatologia neurologica, in
cui c'è iponatriemia, alta sodiuria ed è una condizione spesso presente in meningiti da pneumococco che si tratta con
restrizione dei fluidi al 60% del fabbisogno idrico del bambino; la terapia endovenosa per trattare l'iposodemia si fa al
3% di sodiocloruro.
Per quanto riguarda la terapia antibiotica bisogna usare antibiotici battericidi perchè oltre la barriera ematoencefalica
il sistema immunitario è depresso con presenza di pochi linfociti (non si usano antibiotici batteriostatici quindi per
assenza di risposta cellulare); una eccezione è il cloramfenicolo che pur essendo batteriostatico diffonde bene
attraverso la barriera permanendo a lungo e risultando particolarmente utile nelle infezioni da Haemophilus influenzae.
In linea generale si utilizzano antibiotici che diffondono bene nella barriera ematoencefalica (anche se rispetto alla
concentrazione ematica quella liquorale è nei migliori dei casi un decimo), tenendo presente che passano meglio
molecole piccole e lipofiliche , con migliore penetrazione se la barriera è infiammata (la penicillina durante il primo
giorno di terapia si trova al 45% della concentrazione sierica, a guarigione passa solo il 10%). La terapia si effettua per
via endovenosa mentre cloramfenicolo anche per os sopratutto in paesi non industrializzati. La terapia empirica che si
effettua prima di aver isolato l'agente infettivo si fa con vancomicina (attiva contro diplococco, Staphilococco, MRSA e
Meningococco, eventualmente Streptococco di gruppo B), più ceftriaxone o cefotaxime (attivi contro Haemophilus).

L'utilizzo del cortisone è discusso, risulta utile nel caso di infezione da Hemophilus perchè riduce la tossicità otogena
del batterio mentre è ancora oggetto di dibattito l'utilizzo in bimbi piccoli, bambini asplenici e bambini non vaccinati.
Nell'eventualità si decida di utilizzarlo si predilige il desametasone e nel caso bisogna farlo prima di utilizzare
l'antibiotico o subito dopo.

In presenza di batteri gram- si utilizzano aminoglicosidi come gentamcina o amikacina , se gram negativi resistenti a
questa terapia si sostituisce il ceftriaxone con meropenem.

La durata della terapia è variabile, di più per Streptococcus pneumoniae, solo 5-7 g per menigitidis (ma nella realtà si
mantiene la terapia per circa 2 settimane), Haemophilus influenzae 7-10 gg, la Listeria monocitogenes tipica del
neonato ha terapia più prolungata, Staphilococco aureo almeno 3 settimane; i più resistenti sono i gram - per i quali la
terapia ha durata di 3 settimane o 2 settimane oltre la negativizzazione del liquor.

La mortalità varia dal contesto e dal paese, negli USA è del 4.8% mentre nei paesi sottosviluppati è doppia. Il peggiore
in termini di mortalità è lo Streptococcus pneumoniae con 15% di mortalità, seguito da Neisseria meningitidis ed
Haemophilus influentiae.

Le sequele neurologiche più frequenti sono sono ipoacusia, sordità, epilessia, disabilita intellettuale, spasticità o paresi
flaccida.
Malattia celiaca

Ci sono una serie di fattori genetici (genotipo 1, 2, 3, 4 e così via) che interagiscono con fattori ambientali
o perinatali e questi fattori genetici possono causare un’anomalia nella risposta immune innata oppure una
riduzione dell’espressione timica dei self-antigeni ma possono anche ridurre la soglia di attivazione di una T
cellula, che diventa quindi iper reattiva.
Poi abbiamo una serie di fenomeni di natura casuale, come può succedere in due gemelli monocoriali che
sono identici per tutto ma se esposti a differenti stimoli ambientali possono comportarsi nei confronti di una
malattia in modo differente. L’insieme di tutto questo contribuisce a determinare quello che poi noi vediamo
dal punto di vista clinico, cioè la malattia autoimmune.

I fattori ambientali sono dettati anche dall’epoca in cui viviamo. Mentre il nostro genoma è molto antico,
l’ambiente si modifica continuamente. Quindi noxe ambientali presenti oggi non potevano causare patologie
nel passato.
Nella malattia celiaca ci sono circa 40 geni implicati, ma i più importanti sono quelli del sistema maggiore di
istocompatibilità che nell’uomo si chiama HLA. DQ2 o 2.5 sono quelli che dovete ricordare.
Come fattore di tipo ambientale di questa malattia si riconosce un’abnorme permeabilità intestinale. Il
fattore ambientale principale è il glutine, però ci sono anche come cofattori dei virus e tutto ciò contribuisce
a generare la malattia celiaca.

La coltura del grano è un fenomeno prettamente europeo; per esempio in Asia veniva coltivato il riso, nelle
Americhe il mais, in Africa sorgo e miglio. Stiamo parlando della cosiddetta farmer revolution, cioè circa
10000 anni fa gli uomini da cacciatori e raccoglitori cominciarono coltivare. Tutte queste piante erano
presenti in natura e gradualmente vennero coltivate nei luoghi di origine ma non solo, poi l’uomo si spostava
e l’agricoltura arrivò nel nord dell’Europa dopo circa 5000 anni rispetto ai 10000 in cui sorse nella
mezzaluna fertile. Ben presto venne scoperta una qualità di grano con aumentate capacità elastiche che ne
migliorarono la panificazione. Questa a sua volta spinse questa qualità alla selezione di varietà con sempre
maggior contenuto di glutine. Quindi il glutine non venne scelto per le qualità nutrizionali, infatti ha uno
scarso valore nutrizionale, ma per le sue qualità commerciali.
Circa il 50% del fabbisogno energetico umano, sia in aree industrializzate che nei paesi in via di sviluppo, è
determinato da cibi derivati dal grano.
Le frazioni tossiche sono tra loro più imparentate rispetto a quelle non tossiche. Per frazioni tossiche
parliamo di segale, orzo, mentre avena, riso, mais, sorgo e miglio sono alimenti che per il celiaco sono
tollerati.
Un chicco di grano nella sua composizione ha un 15% di proteine, in pratica di glutine, che è insolubile in
acqua ed è quello che rimane dopo aver tolto l’amido che costituisce circa il 65% del chicco.

Il glutine si suddivide poi in:


• Gliadine, che sono solubili in alcol, e si possono distinguere dal punto di vista proteico attraverso
una corsa elettroforetica in alfa, gamma e omega gliadine.
• Glutenine, che possono essere divise in glutenine ad alto e basso peso molecolare e sono solubili in
acido.
Queste sono le cosiddette frazioni tossiche.

Esistono poi nel grano anche delle altre proteine, come per esempio l’Amylase-trypsin inhibitors (ATI),
che sono delle molecole che conferiscono al chicco la resistenza ai pesticidi o la wheat germ agglutinin che
è una lectina che protegge il grano da insetti, lieviti e batteri. Secondo alcuni ricercatori anche queste frazioni
hanno un ruolo di tossicità.

Glutenine e gliadine formano una rete che intrappola l’aria durante la fermentazione e questa assicura
l’elasticità del pane.
La regione HLA si suddivide in diversi loci. La
classe II si suddivide nei loci DP, DQ e DR. Il
locus DR si suddivide a sua volta in DR A1
che è monomorfo, non ha polimorfismi, e
quindi è in grado di combinarsi con i diversi
loci DR B1, B3, B4, B5. Alcuni di questi, come
B4 e B5, sono espressi soltanto in alcuni
aplotipi, mentre il B1 è espresso in tutti gli
aplotipi. Questo è quello che conferisce
variazione. Quindi diverse combinazioni
alleliche del locus B1 associate alla catena A
monomorfa, determinano poi le specificità che
vanno da DR 1 a DR 10. Poi all’interno di queste ci sono altre suddivisioni.
Al locus DQ riconosciamo due altri loci: DQ A1, DQ B1. Questi sono entrambi polimorfi e dalla loro unione
nascono le molecole di DQ, gli eterodimeri DQ.
Poi all’interno della classe II abbiamo anche delle altre molecole che intervengono nel cosiddetto antigen
processing e nel trasporto degli antigeni della classe I.

Questa è una struttura cristallografica di una molecola di classe II dove vedete la catena alfa1 alfa2 e beta1
beta2. Queste sono delle alfa eliche, poi abbiamo un pavimento fatto da delle beta cis. Quello in blu è il
cosiddetto peptide.

Questa è una molecola sempre di classe II vista dall’alto. Qui avete ugualmente una catena alfa1, beta1 e gli
sheets che compongono il pavimento di queste molecole.

Un antigene extracellulare viene catturato per endocitosi, viene trasferito negli endosomi, questi si uniscono
con dei lisosomi primari dove ci sono le molecole di classe II che sono state generate attraverso la sintesi
proteica e passaggio a livello del golgi. Qui inizia la frammentazione di questo peptide, perché non tutti i
peptidi vanno bene per tutte le molecole MHC.
C’è una sorta di scelta in rapporto alle cariche elettriche di queste molecole e, a facilitare questa scelta,
interviene una molecola che si chiama DM che fornisce una sorta di editing alla classe II, cioè riesce a far
entrare nella tasca che lega il peptide quelli più adatti in termini di cariche elettriche e anche di sequenza
peptidica.
Una volta che la molecola di classe II è stata caricata del suo peptide, viene espressa a livello della cellula
che presenta l’antigene, pronta per essere riconosciuta da cellule T, e in particolare dal loro T-cell receptor.
Le molecole di classe II servono a presentare peptidi in particolare alle cellule CD4, mentre quelli di classe I
li presentano alle cellule CD8, nel timo per la generazione del T-cell repertoire, alla presentazione di self
peptidi e al mantenimento della tolleranza in periferia, ma anche alla regolazione quantitativa e qualitativa
della risposta immune. Qualitativa perché non tutti i peptidi possono legarsi a tutte le molecole MHC, ma
soltanto alcuni peptidi riescono a legarsi bene ad alcune molecole MHC; quantitativa perché un eterozigote
per quella molecola presenterà la metà di peptidi che invece vengono presentati da un individuo omozigote.
Il polimorfismo è concentrato nell’alfa elica e determina la forma, la morfologia del sito che lega i peptidi e
il repertoire di differenti peptidi legati da differenti molecole MHC.
L’associazione ad alcune malattie autoimmuni è correlata non a geni, che si trovano in linkage disequilibrium
all’interno di questi aplotipi, ma alla funzione di queste molecole di per sé.

Meccanismo centrale per l’induzione della tolleranza

Il timo si suddivide in una parte corticale e una midollare. Nella parte corticale avviene la selezione positiva,
mentre nella parte midollare avviene la selezione negativa.
Ci sono cellule che presentano le molecole di classe I o di classe II, ma in questo frangente le cellule sono
doppie positive, cioè positive sia per CD8 che per CD4.
Perchè possa avvenire una selezione positiva, il signaling all’interno di queste T cellule non dev’essere né
troppo forte ma neanche troppo debole, perché se è troppo debole queste cellule muoiono, invece le cellule
che hanno un legame troppo forte, perchè magari hanno un t cell receptor che riconosce parti specifiche delle
molecole MHC oltre che del peptide, sarebbero delle cellule di tipo autoreattivo e quindi muoiono per
apoptosi.
Vengono ad essere selezionate a livello della midollare quelle T cellule che hanno un’affinità intermedia per
il peptide. Su 100 T cellule, verso la periferia ne escono il 3%, quindi il 97% muoiono nel timo.
Il locus DR è quello che ne contiene più di tutte, ma anche gli alleli di classe I hanno molteplici forme.
Un altro concetto fondamentale per le molecole di classe II, ma anche per quelle di classe I, è che queste
molecole sono espresse in modo codominante, cioè vengono espresse a livello della superficie cellulare
esattamente nella stessa quantità. A complicare ancora di più questi polimorfismi è il fatto che talvolta queste
molecole possono anche formare dei transdimeri. Questa aumenta ancora di più il livello di complessità dei
polimorfismi.

Malattie associate con l’HLA

Perché una T cellula venga attivata ci dev’essere una cellula che presenta l’antigene, come cellule di tipo
macrofagico, cellule dendritiche, a volte le B cellule, ma talvolta possono essere anche delle cellule epiteliali
attive. Queste presentano molecole MHC ad una cellula che ha un T-cell receptor. In assenza di segnali
costimolatori in generale si ha una tolleranza, quindi la T cellula tollererà questo peptide in assenza di
molecole coaccessorie.
Quando vengono coespresse molecole di tipo coaccessorio, dove c’è un secondo segnale, a questo punto la T
cellula risponde con l’attivazione e con la produzione di citochine.

Queste sono le cellule epiteliali della mucosa dell’intestino, e nel lume ci possono essere sia antigeni di
origine batterica che alimentare. Ci sono delle cellule dendritiche che normalmente risiedono nella
sottomucosa e nella lamina propria che con i loro dendriti campionano quello che c’è nella mucosa
intestinale. Queste cellule dendritiche in assenza di infiammazione sono prone a produrre alcune citochine
che promuovono la differenziazione di cellule cosiddette regolatorie, cellule CD4, CD25, FOXP3 positive
nei confronti di quel determinato antigene.
Queste cellule regolatorie poi istruiranno altre cellule a tollerare quel determinato antigene.
Questo è quello che avviene normalmente nel nostro intestino nei confronti ad esempio di antigeni di natura
alimentare.
Un altro concetto importante è quello della permeabilità intestinale e della presenza delle giunzioni serrate
che normalmente non consentono il passaggio a determinate molecole che siano più grandi di 3,5 kD. Però
queste giunzioni e una proteina che si chiama zonulina, in rapporto a determinati stimoli, possono aprirsi e
lasciar passare delle altre molecole di natura peptidica o batterica.

Spettro dei disordini correlati al glutine

Si possono dividere in forme di natura: autoimmune


• allergica
• non autoimmune e non allergica

Quelle di natura autoimmune possono essere suddivise a loro volta in:

• malattia celiaca
• atassia da glutine
• dermatite erpetiforme

Le forme di natura allergica (allergia al grano) possono suddividersi in forme:

• respiratorie
• alimentari
• urticaria da contatto
• wheat dependent, exercise-induced anaphylaxis (WDEIA), un’anafilassi determinata
dall’ingestione di grano o derivati del grano che si verifica dopo l’esercizio fisico-psichico
Forme di natura non autoimmune e non allergica:

• Gluten wheat sensitivity


Mentre per le forme autoimmuni e allergiche abbiamo la presenza di biomarcatori, per le forme non
autoimmuni e non allergiche non abbiamo nulla e la diagnosi è basata solo sulla clinica e non è semplice
perché prevede diverse settimane di prove.

Atassia da glutine
È una condizione che non interessa i pediatri, perché l‘età media d’insorgenza è 53 anni. I sintomi
gastroenterici sono pochi o quasi assenti e se compaiono lo fanno una decina di anni prima rispetto alle
manifestazioni. C’è evidenza alla risonanza magnetica di atrofia del verme del cervelletto, ma si evidenzia
quando c’è già la clinica, quindi in ritardo. È una forma nei confronti della quale si sono riscontrati anticorpi
anti-transglutaminasi di tipo 6. Gli anticorpi anti tranglutaminasi si richiedono per la malattia celiaca e
quelli che noi richiediamo sono le TG di tipo 2 o tissutali (tTG), perché le transglutaminasi sono una famiglia
di isoenzimi e non tutti sono espressi in tutti i tessuti. A livello del cervelletto è espresso in particolare la TG
di tipo 6.

Dermatite erpetiforme
La dermatite erpetiforme è una manifestazione della malattia celiaca a livello cutaneo. L’antigene principale
è la transglutaminasi di tipo 3 ( TG3 ).
È caratterizzata da lesioni simmetriche nelle superfici estensorie degli arti superiori e inferiori.
Il sintomo principale è il prurito.
All’immunofluorescenza ci sono dei depositi granulari di IgA nelle papille dermiche e lungo la membrana
basale nelle zone di cute apparentemente indenne, mentre nella zona interessata dalla lesione si possono
trovare dei micro ascessi.
Per quanto concerne le forme allergiche abbiamo la possibilità di fare i test cutanei e i RAST.

WDEIA
L’antigene principale della WDEIA (wheat dependent, exercise-induced anaphylaxis), è una delle frazioni
della gliadina, l‘omega-5 gliadina.
Si tratta di un’allergia che può sfociare in un’anafilassi ,dove i sintomi possono essere cutanei, ma il sintomo
principale è l’ipotensione fino allo shock e alla morte.
La fisiopatologia sembra essere un’abnorme permeabilità intestinale che in questi individui è indotta
dall’esercizio. Questa abnorme permeabilità intestinale promuove l’ingresso di queste frazioni della gliadina
a livello della lamina propria; lì la transglutaminasi , anche questa indotta dall’esercizio, forma dei grossi
complessi che poi scatenano questa reazione di tipo IgE-mediata.
Ad aumentare la permeabilità intestinale intervengono anche altri cofattori come per esempio l’alcol o
l’utilizzo di FANS.

Da nominare abbiamo anche l’asma del mugnaio, una malattia professionale che coinvolge un centinaio di
differenti molecole antigeniche presenti nella farina.

La malattia celiaca
Secondo i criteri ESPGHAN 2012, che dettano le nuove linee guida per la diagnosi e il follow-up della
malattia celiaca nel bambino e nell’adolescente, la malattia celiaca è una malattia di tipo sistemico
immunomediata scatenata dal glutine e dalle prolamine correlate in individui geneticamente suscettibili,
caratterizzata dalla presenza di una combinazione variabile di manifestazioni cliniche che possono essere
glutine-dipendenti, da anticorpi specifici per la malattia celiaca e da aplotipi DQ2 o DQ8 e da enteropatia.
Questa è la sequenza dell’alfa gliadina, che è quella più conosciuta e più importante. È ricchissima di proline
e glutammine (sequenze PQ). I residui di prolina prevengono la sua completa digestione enzimatica, infatti è
una proteina difficile da digerire. Si sa che alcuni di questi peptidi permangono a livello dell’intestino anche
per 24-48 ore perché risultano non digeribili dai nostri enzimi.
La tranglutaminasi riconosce la sequenza QXP, in cui X può essere qualsiasi aminoacido.
Sono segnate con diversi colori varie azioni della gliadina.
La sequenza 31-55, è coinvolta nell’attivazione della risposta immune di tipo innato.
Un peptide di 33 aminoacidi è invece coinvolto nella risposta immune mediata dalle molecole HLA.
Abbiamo anche un frammento del glutine molto importante che è coinvolto nella secrezione della zonulina,
molecola importante per la permeabilità intestinale.
Alcune delle attività di questa molecola vengono svolte nell’intestino di tutti, altre invece solo nell’intestino
del paziente celiaco.
Queste sono le molecole HLA di predisposizione. Si è visto che le molecole realmente coinvolte nella
malattia celiaca non erano quelle descritte in precedenza, osservate per un linkage disequilibrium, ma i geni
responsabili della predisposizione alla malattia celiaca si trovano a livello del locus DQ: l’HLA-DQ2 e
l’HLA-DQ8.
Si può avere la formazione di una molecola alla superficie cellulare chiamata 2.5 in DQ2 in cis lungo
l’aplotipo del DR3 DQ2. Questa è una predisposizione nei confronti della malattia celiaca molto elevata, poi
ancora più elevata negli individui DQ2 omozigoti.
Poi si ha una suscettibilità abbastanza elevata data dalla formazione di molecole in trans, quindi si formano
attraverso i due aplotipi ereditati dai due genitori.
Il DR7-DQ2 ha un’associazione con la malattia celiaca molto bassa ed è raro trovare dei pazienti che siano
celiaci DR7 positivi.
L’HLA DQ8 ha un’associazione abbastanza importante con la malattia celiaca ed è anche importante (DR4-
DQ8) per la sua associazione con il diabete mellito insulino-dipendente autoimmune del bambino.

La tranglutaminasi di tipo 2 è un enzima nei confronti del quale si vengono a creare anticorpi nel paziente
affetto da malattia celiaca. Questa è un enzima riparativo, quindi in tutte le situazioni in cui c’è
infiammazione e lesione tissutale, viene liberata transglutaminasi perché deve formare dei cross-linking tra
residui di glutammina e residui di lisina. Dopo aver svolto la sua azione, se nell’intestino ci sono molte
glutammine, questa comincia a deamidare, soprattutto quando c’è un pH basso , come nell’infiammazione e
quando c’è un rapporto di glutammina molto elevato come succede nella gliadina. Fa una reazione di
deamidazione e quindi trasforma le glutammine in acidi glutammici, cambiandone la carica elettrica.
È un peptide che resiste alla proteolisi, presenta gli epitopi PQ e PY che vengono riconosciuti dalla
transglutaminasi, e trasforrma quelle Q in E (glutammina in acidi glutammici).
Oltretutto si vengono a costituire una serie di epitopi che vengono riconosciuti sia dalle molecole MHC ma
anche da cellule T con T-cell receptor e hanno un binding, proprio per queste caratteristiche, favorito con la
molecola HLA DQ2.
La molecola DQ2, come la molecola DQ8, presenta diverse tasche che sono in grado di legare il peptide
però, a differenza del DQ8, nel DQ2 abbiamo, in posizione P4, P6, P7 delle tasche che sono cariche
positivamente. Siccome la glutammina viene trasformata in acido glutammico che è carico negativamente,
questo viene quindi attratto dalle cariche positive presenti nella molecola DQ2. Questi residui di acido
glutammico possono essere legati da una molecola DQ2 in differenti registri, può legarsi in P6, P4 o P7.
Invece in DQ8 abbiamo delle tasche cariche positivamente solo in P1 e P9 e quindi c’è una restrizione del
numero dei peptidi che possono essere legati, e questo è il motivo principale per cui la malattia celiaca è
principalmente associata a DQ2.
Il 95% dei pazienti celiaci è DQ2 positivo e un restante 5% è DQ8 positivo.

Nella celiachia abbiamo due tipi di danno: un danno a livello epiteliale e un altro a livello della lamina
propria. Le molecole HLA sono coinvolte nel danno della lamina propria mentre l’immunità innata è
coinvolta nel danno epiteliale.
La gliadina è in grado di dare un danno a carico della cellula epiteliale che, essendo stressata, esprime a
livello della superficie cellulare molecole dette MIC-A e MIC-B, che a loro volta vengono riconosciute in
presenza anche della secrezione di IL-15. Si ha quindi attivazione dei linfociti T epiteliali che riconoscono
queste molecole di stress espresse dalle cellule epiteliali e le distruggono. Quindi sono due tipi di danno
differenti che interessano due porzioni del sistema immunitario differenti: una è quella di tipo innato, l’altra è
quella di tipo adattativo.
Nella mucosa duodenale normale vediamo frammenti di glutine che non sono stati tutti quanti digeriti dagli
enzimi intestinali, qualche cellula epiteliale e cellule T intraepiteliali, il cui numero non deve essere
maggiore di 20, altrimenti si parla già di un aumento dei linfociti T intraepiteliali. Il recettore della
transferrina, CD71, si trova in posizione basale.

Quando ci sono frammenti di glutine non digeriti, cosa che accade in tutti i soggetti, questi si legano al
recettore CXCR3 e viene rilasciata la zonulina che si lega all’EGFR e questo dà un aumento della
permeabilità intestinale col passaggio di antigeni di glutine a livello paracellulare. Siccome non c’è
infiammazione, in generale si verifica la produzione di IL-10, differenziazione delle cellule CD4 in cellule
regolatorie CD4, CD25 e FOXP3 positive, e quindi tolleranza nei confronti di questi antigeni.
Invece nella mucosa del paziente celiaco si ha sempre l’aumento della permeabilità cellulare però alcune
frazioni, per motivi che non sono ben noti, sono anche tossiche, come quell’altro frammento che era in grado
di promuovere il rilasciamento dell’IL-15 che promuove l’attivazione delle cellule intraepiteliali che
riconoscono le cellule epiteliali come stressate e iniziano a distruggerle.
Siccome c’è danno e infiammazione, viene rilasciata dalle cellule epiteliali danneggiate ma anche dai
fibroblasti la transglutaminasi tissutale, che è un enzima riparativo. Questa inizia a deamidare i frammenti di
glutine, le cellule che presentano l’antigene inglobano a livello della lamina propria transglutaminasi,
l’enzima e il gluten peptide e, una volta che acquisiscono molecole di attivazione migrano nei linfonodi
mesenterici, che sono delle stazioni dove transitano continuamente durante l’arco della giornata linfociti.
Questi linfociti quando trovano una cellula che presenta l’antigene che presenta molecole di attivazione e
hanno un T-cell receptor che è compatibile, si fermano lì e iniziano a proliferare e ad essere attivate. Questo
succede sia per le cellule CD4 con fenotipo TH1 che per le cellule B, che sono quelle che produrranno le IgA
secretorie che noi andremo a dosare nel sangue e che sono gli anticorpi anti-gliadina, anti-transglutaminasi, e
altri anticorpi.
Infine il danno è talmente grosso che si perde l’apicalità delle cellule epiteliali e il recettore della transferrina
è in grado di legare gli anticorpi IgA secretori collegati al glutine; quindi il glutine oltre a passare a livello
paracellulare passa anche a livello transcellulare.

Oltre al glutine possono esserci anche altri fattori ambientali, e alcuni di questi possono essere virus. Si è
visto che i reovirus, che sono dei virus intestinali innocui che non danno patologia, hanno però la
peculiarità, una volta che vengono riconosciuti dalle cellule dendritiche, di istigare un fenotipo di tipo
infiammatorio. Può succedere quindi che questi peptidi del glutine che sono capaci di penetrare nella mucosa
intestinale per l’aumento della permeabilità, se si trovano in compresenza anche di un’infezione da virus,
sono in grado di confondere la cellula presentante l’antigene e farle produrre , al posto delle citochine
antiinfiammatorie come l’IL10, citochine di tipo infiammatorio e quindi differenziazione in cellule TH1 e
produzione poi di interferone gamma. Alla fine si hanno anche B cellule che producono non solo anticorpi
contro il reovirus, ma anche contro la transglutaminasi e il glutine.

La malattia celiaca manifesta è soltanto l’apice dell’iceberg.


La maggior parte dei pazienti celiaci sono ancora da
diagnosticare. Nella malattia celiaca manifesta con
manifestazioni di tipo tipico e atipico, si hanno come segni
clinici uno o più sintomi.
All’istologia avete tutto quello che caratterizza la malattia
celiaca, cioè atrofia dei villi, alterato rapporto
villo/cripta, aumento dei linfociti T intraepiteliali.

C’è una certa quota di pazienti che non hanno sintomi e quindi viene definita celiachia silente, ma hanno
esattamente le stesse lesioni a livello della mucosa intestinale che hanno coloro con la celiachia manifesta.
Poi abbiamo anche un sottogruppo di pazienti, i cosiddetti potenziali, che non presentano nessun sintomo
come quelli silenti ma, nonostante abbiano dei marcatori di malattia celiaca, hanno una normale anatomia
patologica livello della mucosa duodenale.
Infine esistono i soggetti sani, con mucosa normale, che presentano genotipi a rischio. In tutte queste
categorie elencate si ha un HLA a rischio e la presenza anche degli anticorpi specifici della celiachia. Il gap
tra la prevalenza che si ottiene dai dati clinici e quella attraverso lo screening sierologico. In diversi paesi del
modo, come Europa e Stati Uniti, si stima che le diagnosi cliniche siano 1/8, 1/10 di quelle che si possono
fare con gli anticorpi.

Forma tipica
Nella forma tipica nei bambini prevalgono i sintomi intestinali:
• diarrea,
• distensione addominale,
• perdita di peso,
• anoressia,
• astenia,
• vomito,
• scarso accrescimento,
• dolori addominali.

Sono bambini distrofici, malnutriti, con un addome enorme, con le gambe magrissime, con le pieghe glutee,
e questa è la presentazione che potete avere in un’età del bambino fino ai 3 anni.
Dai 3 anni in poi la clinica è diversa. Questo tipo di presentazione la osserviamo ancora oggi ma molto di
rado, è difficilissimo trovare un bambino che arrivi in queste condizioni.

Forma atipica o monosintomatica


Le forme monosintomatiche o atipiche possono interessare qualsiasi distretto a livello extra intestinale.
Possiamo avere:
• anemia da carenza marziale, di B12 o folati; l’anemia da carenza marziale è più comune rispetto alla
carenza di B12 o di folati per un meccanismo di tipo anatomico: il ferro viene assorbito nel primo
tratto dell’intestino tenue, quindi a livello duodenale, mentre la vitamina B12 viene assorbita a
livello terminale, a livello dell’ileo. Quindi ecco perché se non si corregge il danno prosegue verso le
parti più distali dell’intestino e l’anemia da carenza marziale è molto più comune delle altre carenze
vitaminiche.
• dermatite erpetiforme
• bassa statura
• pubertà ritardata
• infertilità e aborto ricorrente nella donna fertile
• ipoplasia dello smalto dentario
• artrite e atralgia, durante la fase florida della malattia
• epatite cronica e/o ipertransaminasemia, probabilmente legata all’abnorme permeabilità intestinale e
all’arrivo nel fegato di sostanze di tipo tossico che possono creare un aumento delle transaminasi
• afte orali ricorrenti,
• osteoporosi, infatti nell’adolescente bisogna sempre ricordarsi di fare una MOC perché potrebbe
esserci osteoporosi

Interessamento del SNC con:


• atassia da glutine
• irritabilità
• epilessia
• atassia
• calcificazioni cerebrali (sindrome di Gobbi)

Celiachia silente
Si riscontra positività di EMA e/o anti-TG2. Presenza di genotipi di HLA di predisposizione. Se facciamo
la biopsia la mucosa è anormale e presenta le tipiche alterazioni della malattia celiaca. Solitamente sono
parenti di primo grado di pazienti celiaci. Anche se silente quindi ci possono essere manifestazioni occulte
che alterano la qualità della vita e si sa che c’è un incremento di morbilità per eventuale associazione con
altre malattie croniche, ad esempio tiroiditi autoimmuni.
Si ha anche un aumento della mortalità del 2-4%. È utile quindi che questi pazienti, nonostante siano
asintomatici, si mettano comunque a dieta aglutinata perché sono celiaci a tutti gli effetti.

Celiachia potenziale
Rappresenta il 10-15% di tutte le casistiche di celiachia.
Si ha positività degli EMA e anti-TG2 solitamente a basso titolo. Ci sono genotipi di HLA di
predisposizione ma sono quelli a basso rischio. La mucosa può essere quasi normale o con un aumento di
linfociti intraepiteliali.
Sono degli individui in cui la diagnosi è stata fatta in seguito a screening e che probabilmente nel corso degli
anni, in circa il 40-50% dei casi, svilupperanno una malattia celiaca franca.
Un’altra piccola percentuale, intorno al 25% non sviluppa la malattia celiaca e un altro 25% regredisce, cioè
gli anticorpi spariscono. Quindi quando gli anticorpi sono a basso titolo si può trattare anche di una falsa
positività.

Soggetti sani con genotipo a rischio


Infine possiamo trovare individui normali con genotipo HLA di predisposizione, magari appartenenti a
gruppi a rischio all’interno delle famiglie. Il rischio è 10 volte superiore rispetto a quello della popolazione
generale.
Si stima che su 5 individui omozigoti su 100 DR DQ2? Svilupperanno nella loro vita la malattia celiaca.

Diagnosi di celiachia

Criteri di ESPGHAN del 1970


In passato occorreva fare tre biopsie intestinali: una prima biopsia a dieta libera quando c’era il sospetto
diagnostico con magari anche una positività degli anticorpi anti gliadina (che oggi non si fanno più perché
poco sensibili e poco specifici). Attraverso la biopsia si individuavano i danni a livello intestinale e
successivamente il paziente veniva posto a dieta priva di glutine.
Dopo anche un anno dalla dieta priva di glutine si faceva una seconda biopsia che serviva a dimostrare che i
danni che si erano evidenziati nella prima erano scomparsi con la dieta priva di glutine. Però, per poter
dimostrare la glutine-dipendenza di quelle lesioni, bisognava riesporre il paziente al glutine altri 6 mesi, con
la cosiddetta gluten challenge.

Si è visto che, se si prendevano tutti i pazienti celiaci che facevano le tre biopsie e si andava a vedere quanti
di quelli che avevano un danno nella biopsia iniziale non ce l’avevano poi in quella finale, il 97% di quelli
che avevano il danno nella biopsia iniziale ce l’avevano anche dopo la riesposizione al glutine.
Quindi all’inizio degli anni 90 si decise che era sufficiente un’unica biopsia che dimostrasse l’atrofia
intestinale, ci doveva però essere una completa remissione clinica con la dieta priva di glutine, dovevano
sparire gli anticorpi anti-glutine, anti-endomisio e anti-tTG, riservando la biopsia intestinale di controllo solo
a quei casi che risultavano dubbi o erano asintomatici.
Questi sono i range di sensibilità e di specificità dei vari anticorpi. Quello di prima linea è l’anticorpo anti-
tTG di tipo IgA che viene dosato insieme alle IgA totali per escludere un deficit di IgA. Una volta che
questo risulta positivo si può richiedere anche l’anticorpo anti-endomisio.
Nel bambino sotto i due anni vanno richiesti anche gli anticorpi anti-gliadina deamidata, cioè quella
gliadina che è stata processata e anziché avere residui di glutammina ha residui di acido glutammico.

Nel 2012, almeno per il bambino e l’adolescente, anche quest’unica biopsia può essere evitata se si hanno
determinate caratteristiche . Si è passati da 3 biopsie prima degli anni 90, a una sola biopsia dagli anni 90
fino al 2010, e dal 2012 facciamo diagnosi clinica di malattia celiaca nel bambino e nell’adolescente senza
per forza dover eseguire la biopsia intestinale.
Le caratteristiche che devono essere presenti sono:
• dei sintomi riferibili alla malattia celiaca
• un alto titolo degli anticorpi IgA anti-tTG, che dev’essere di almeno 10 volte i valori normali.
• Bisogna poi confermare questa positività con la positività degli anticorpi anti-endomisio
• Il paziente dev’essere DQ2 o DQ8 positivo, perché essere DQ2 e DQ8 negativo ha un valore
predittivo negativo nei confronti della celiachia del 100%, cioè se non sono positivi la malattia
celiaca non può svilupparsi.

Questo è l’elenco dei sintomi da tener conto per poter far diagnosi senza biopsia:
• anemia da carenza marziale
• anoressia
• perdita di peso
• meteorismo addominale
• vomito
• flatus
• diarrea
• bassa statura
• difetto di crescita
• irritabilità
• irregular bowel habits
• fatica cronica

Nuove linee guida per la diagnosi di malattia celiaca nel bambino e nell’adolescente
Si parte dal dosaggio delle IgA totali e dall’anti-tTG.
Vi potete trovare di fronte a due situazioni:
• transglutaminasi negativa. Si può escludere la malattia celiaca. Nei bambini sotto i 2 anni bisogna
richiedere anche gli anticorpi anti-gliadina deamidata, mentre dopo i 2 anni non si utilizzano perché
potrebbero essere falsamente positivi.
• transglutaminasi positiva. In questo caso potete trovarvi di fronte a due situazioni:
◦ valori 10 volte i valori normali
◦ valori inferiori a 10 volte i valori normali.
Se sono 10 volte i valori normali si fa la biopsia, se invece i valori sono più alti di 10 volte i valori
normali, chiedete come test di conferma gli EMA e la suscettibilità genetica.
Se abbiamo EMA positivi e HLA positivi, transglutaminasi 10 volte i valori normali e con
sintomatologia suggestiva, potete fare diagnosi di malattia celiaca e mettere il paziente a dieta priva
di glutine.
Da questo punto in poi dovete seguire il bambino che avete messo a dieta aglutinata come se avesse
fatto la biopsia, cioè dovete vedere il sintomo clinico e gli anticorpi nel sangue che spariscono.
Poi ci sono altri individui che invece sono asintomatici e possono avere un aumentato rischio per malattia
celiaca. Questi costituiscono il secondo gruppo di pazienti da sottoporre a screening:
• parenti di primo grado di pazienti celiaci
• pazienti con diabete mellito insulino dipendente
• sindrome di Down
• sindrome di Turner
• tiroidite autoimmune
• deficit selettivo di IgA (fattore predisponente nei confronti dell’autoimmunità in generale)
• malattie autoimmuni del fegato (10-13% di pazienti celiaci)

Uno dei primi test che fate nei pazienti a rischio è l’HLA, perché vi potete trovare con un HLA negativo che
non ha alcun rischio di sviluppare la malattia, chi invece ha un HLA positivo va a fare gli anticorpi anti-tTG.
Se la tTG è superiore a 3 volte i valori normali si fa la biopsia, se è sotto 3 volte i valori normali e se i
sintomi permangono nel tempo va a fare comunque la biopsia.
Utilizziamo l’HLA non solo per completare il percorso diagnostico, ma anche per stratificare il rischio nei
familiari di primo grado e attribuire un rischio aggiuntivo per possibile insorgenza del diabete mellito di tipo
1. Infatti circa l’1% di pazienti celiaci nel corso della loro vita svilupperanno il diabete di tipo 1, però lo
svilupperanno solo quegli individui che hanno determinati alleli a rischio.
Anatomia patologica

Classificazione di Marsh-Oberhuber

Quando fate la biopsia potete trovarvi di fronte a differenti lesioni:


• lesione di tipo1 o infiltrativa: c’è un aumento dei linfociti T intraepiteliali, che sono superiori a 25
ogni 100 cellule epiteliali. Questi causano il danno a livello dell’epitelio e sono quelli che aumentano
per primi; infatti sentono che le cellule epiteliali sono danneggiate perché stanno esprimendo
molecole di stress MIC-A e MIC-B. Questo è il primo step che porta verso la marcia che porterà al
danno del villo. Può ritrovarsi non solo nella malattia celiaca ma anche in altre condizioni:
◦ in corso di giardiasi
◦ nell’allergia alle proteine del latte vaccino o altri alimenti
◦ nella sprue tropicale
◦ nelle enteropatie autoimmuni
◦ nel rigetto di trapianto intestinale
◦ nella GVH
◦ in pazienti senza patologia enterica riconoscibile.
I villi sono normali ma con incremento del numero dei linfociti T intraepiteliali.

• lesione di tipo 2 o iperplastica: interessa le ghiandole, che aumentano di volume (iperplasia)

• lesione di tipo 3 o distruttiva: viene interessato anche il villo. Viene divisa in:
3A: villi con lieve atrofia, dove il rapporto villo/cripta si porta da 3:1, com’è normalmente, a 2:1
3B: atrofia dei villi moderata. Il rapporto da 2:1 scende a 1:1
3C: atrofia totale dei villi

Esiste anche una classificazione più semplice, la classificazione di Corazza-Villanacci.


Ha raccolto 5 lesioni in 3 gradi:
• Grado A: il villo non è interessato, quindi siamo di fronte ad una lesione non distruttiva, dove avete
qualche anomalia per aumento dei linfociti T intraepiteliali e iperplasia delle ghiandole.
• Grado B: si divide in
◦ B1: ricomprende il 3A e il 3B perché si continuano a riconoscere delle strutture villari.
◦ B2: il villo non è più riconoscibile.

Alimenti vietati:
• frumento
• segale
• orzo
• farro

Qual è la dose di glutine oltre la quale questi pazienti cominciano ad avere dei disturbi che sono misurabili?

È stato fatto uno studio che ha stabilito che se si superano i 50 mg (che vuol dire 50 parti per milione) al
giorno di glutine iniziano a comparire i danni a carico della mucosa, quindi una quantità molto piccola.

Futuro della celiachia

• breakdown of gliadin peptides: esistono delle endopeptidasi batteriche che sono in grado di fare
quello che i nostri enzimi digestivi non riescono a fare. Quindi ci sono delle companies che stanno
producendo delle peptidasi batteriche che potrebbero essere ingerite insieme alla gliadina e che a
livello dell’intestino, distruggendo quei peptidi tossici che abbiamo detto prima, impediscono sia il
danno a livello del sistema immune innato, che quello del peptide di 33 aminoacidi che entrando
nella lamina propria scatena poi quella risposta che è mediata dalle molecole HLA.
• Inibizione della permeabilità intestinale (larazotide acetato). Se si utilizzano delle molecole che
impediscono a questi peptidi della gliadina di penetrare la mucosa intestinale perché le giunzioni non
si aprono, avete il danno epiteliale ma non avete lo scatenamento di quel tipo di risposta mediata dal
sistema maggiore di istocompatibilità.
• Blocco della risposta infiammatoria nei confronti della gliadina. Una company americana è riuscita
a produrre una serie di peptidi che sono capaci di legarsi unicamente al DQ2 e quindi è una sorta di
vaccino peptidico che stanno producendo solo per gli individui DQ2 positivi, quindi non può essere
utilizzati in quel 5% di pazienti DQ2 negativi ma DQ8 positivi.

Non celiac gluten sensitivity

È una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali e extraintestinali correlata all’ingestione di cibi


contenenti glutine che si verifica in soggetti che non sono né affetti da malattia celiaca né allergici al glutine.
La proteina dietetica responsabile non si conosce, alcuni pensano che sia il glutine mentre altri pensano siano
gli amilase trypsin inhibitors, cioè quelle altre frazioni proteiche contenute nel chicco di grano che hanno
funzioni difensive per il vegetale.
La non celiac gluten sensitivity è molto più comune della malattia celiaca. Il trattamento è lo stesso perché
questi devono abolire il glutine dalla dieta ma, siccome si tratta di un fenomeno forse di natura transitoria, la
tolleranza dev’essere rivalutata nel tempo.
La latenza fra l’ingestione del glutine e la comparsa dei sintomi è abbastanza corta. In alcuni pazienti
avviene entro qualche ora, in altri il giorno dopo o massimo due giorni dopo.

Sintomi in comune con i celiaci

Sintomi intestinali:
• dolore addominale,
• meteorismo
• stipsi
• diarrea

Sintomi extra intestinali:


• cefalea
• mente annebbiata
• affaticamento

È una sindrome dove non ci sono marcatori, quindi la diagnosi è prettamente clinica.

Criteri di Salerno

Una serie di esperti nel 2015 si sono riuniti a Salerno per cercare di trovare dei criteri per la diagnosi.
Si utilizza la gastrointestinal symptom rating scale (GSRS), cioè una scala di disturbi gastrointestinali che
è stata modificata includendo anche delle manifestazioni extraintestinali. Il paziente con questo questionario
inquadra i sintomi che presenta, che possono essere da 1 a 3 e poi gli da un rating numerico, cioè a seconda
della gravità, va da 1 (mild) fino a 10 (severo). Utilizzando questa scala e questa numerical rating scale
potete avere dei cosiddetti responder.

Si parte da una baseline, in cui il paziente descrive il suo sintomo, e poi questa va valutata in 6 settimane .
È maggiormente applicabile nel paziente adolescente, mentre nel bambino piccolo meno perché la mamma
può condizionare i sintomi.
Abbiamo un paziente a dieta con glutine. Inizia a fare la gluten-free diet e poi 6 settimane di valutazione.
Vi potete trovare di fronte a due situazioni: il paziente è migliorato oppure non è migliorato.
Se non è migliorato, la non celiac gluten sensitivity è da escludere.
Se invece è migliorato, dovete fare una randomizzazione in doppio cieco, cioè dovete rifare le 6 settimane
dando la gluten-free diet con il pacchetto A o B dove neanche voi che lo state dando sapete cosa c’è, se
glutine o non glutine, per una settimana. Poi fate un washout di dieta priva di glutine per un’altra settimana,
fino alle 6 settimane dopo le quali ci si ferma e si potrà confermare o escludere questa malattia. Tutto ciò
perché non esistono biomarcatori ed è quindi una diagnosi clinica difficile per il lungo periodo che questa
prevede.
Poi è presente una parte di pazienti che si sono già messi per conto loro a dieta agglutinata. Gli dovete far
riprendere il glutine per 6 settimane e poi si rimettono al pari con la prima parte dello schema ,cioè con quei
pazienti che erano a dieta contenente glutine.

La gluten sensitivity è almeno 6-8 volte più frequente della malattia celiaca, riguarda il 6-8% della
popolazione o anche di più.
Secondo alcuni è un tipo di reazione immune nei confronti del glutine o di qualche altra sostanza presente
nel grano. Secondo altri è legata invece ai FODMAPs.
In uno studio fatto sui topi messi a dieta aglutinata confrontati con dei controlli a dieta libera, si vede che i
topi in gluten-free diet hanno più grasso e hanno una quantità di lipidi totali superiore a quella dei controlli e
hanno anche un’insulina e una glicemia a digiuno più basse rispetto ai controlli. Quindi questi autori
concludono che il glutine può essere implicato in uno stato infiammatorio della sindrome metabolica.

Un altro studio del 2016 ha utilizzato dei sieri di circa 80 pazienti e su questi sono state dosate alcune
molecole prima e dopo la dieta priva di glutine. Hanno visto che durante la dieta con glutine i sieri di questi
pazienti avevano più alti valori del CD14 solubile e della lipopolysaccharide binding protein che sono
molecole che attivano il TLR-4 che poi a sua volta scatena un tipo di risposta innata e produzione di
citochine da parte delle cellule dendritiche macrofagiche. Hanno anche identificato una reattività nei
confronti del lipopolisaccaride batterico e della flagellina e un aumento della fatty acid binding protein 2,
un marcatore di danno epiteliale intestinale. Queste sparivano nei sieri dei pazienti che facevano la dieta
priva di glutine. Conclusero che la gluten sensitivity è un’entità reale ed è legata ad un’attivazione del
sistema immune innato.

Tra i FODMAPs abbiamo i fruttani, ma negli individui con deficit di lattasi anche il lattosio si può
comportare come un FODMAP.
Il 90% dei sardi presenta un deficit di lattasi, infatti l’85% dei soggetti che si sottopongono al breath test al
lattosio risultano positivi, mentre il gap del 5% è legato ad altri fenomeni e alla bassa sensibilità del test.
L’1% sono invece persone capaci di digerire lo zucchero del latte come quando si è allattati al seno e il 9%
sono eterozigoti, sono capaci di digerire una certa quota di lattosio.
Circa la metà del nostro intake di FODMAPs proviene da derivati del grano.

Alcuni autori norvegesi volevano dimostrare che la gluten sensitivity era legata ad una disregolazione del
sistema immunitario. Avevano inventato delle barrette particolari che erano identiche e quindi indistinguibili
per gli individui che le stavano prendendo che contenessero glutine, FODMAPs oppure placebo. Hanno
diviso circa 60 pazienti in 6 gruppi da 10 che sono stati sottoposti alla randomizzazione. C’è chi prendeva
prima il fruttano, poi il glutine e poi il placebo, chi invece prendeva il placebo, poi il fruttano e poi il glutine
e così via.
Lo schema era: esposizione per 7 giorni, poi washout di dieta senza glutine per altri 7 giorni e compilazione
del questionario GSRS (gastrointestinal symptom rating scale).
Si è arrivati a dimostrare che i pazienti che avevano dei disturbi erano quelli che assumevano il fruttano.
A tutt’oggi la questione è ancora aperta, quindi sicuramente esiste, all’interno di questo 6-8% di persone che
si mettono a dieta priva di glutine per motivi salutari ( negli Stati Uniti in cui si stima che siano il 10-20%) ,
una piccola percentuale di pazienti che rientrano in questa categoria.
IL DOLORE ADDOMINALE ACUTO
Il dolore addominale acuto deve essere distinto dal dolore addominale ricorrente cronico, che riconosce
altre cause.

Si tratta di quadri in parte chirurgici e in parte medici. A volte sono banalità, a volte sono quadri molto
urgenti che possono mettere a rischio la vita del paziente, perciò di fronte al dolore addominale è
importante saper distinguere le due possibilità. Una causa frequente e banale è la costipazione, le gravi
sono appendicite, l’invaginazione e il volvolo.

Dobbiamo ricordare sempre che il dolore addominale può avere un’origine extra-addominale:

• Epilessia addominale: responsabile della comparsa di un dolore improvviso, spesso accompagnato


da iperattivazione dei sistemi simpatico e parasimpatico, accompagnato da aumento della
sudorazione, arrossamenti; sono vere e proprie convulsioni che interessano il sistema simpatico.

• Emicrania addominale, col tempo evolve in vomito ciclico acetonemico del bambino, condizione
non ben definita dal punto di vista eziologico. L’acetone può essere prodotto molto spesso durante
un “banale” episodio febbrile, poiché in questi momenti si altera il metabolismo lipidico, con
formazione di prodotti come l’acido acetacetico e l’acido idrossibutirrico. Nel caso dell’emicrania
addominale invece c’è una condizione di vomito compulsivo ripetitivo, con durata da qualche ora a
qualche giorno. Ha la caratteristica di essere stereotipato, cioè per quel determinato soggetto
insorge alla stessa ora e con la stessa modalità, spesso durante le ore notturne). Tende ad avere
sempre la stessa durata, risolvendosi da solo o in seguito a trattamento medico, con infusione di
soluzione glucosata. Si presenta nei bambini che hanno spesso cefalea – ma non per forza la
riferiscono, soprattutto se non sono bimbi già grandi. Appaiono obnubilati durante la crisi. Proprio
per la concomitanza di questi sintomi (vomito indipendente da alimenti, ottundimento del
sensorio), la diagnosi differenziale è con massa endocranica. La diagnosi è aiutata anche dal fatto
che spesso c’è un genitore che presenta nella sua storia clinica l’emicrania; anche nel bambino poi -
con l’adolescenza - questa situazione si converte in emicrania tipica, con dolore preceduto da aura
visiva, fotofobia e scotomi (dovuti alla prima fase di vasocostrizione), aura uditiva, fonofobia e
necessità di isolarsi dall’ambiente, paresi sia degli arti che a livello fonatorio, quindi biascicamento
della parola etc. Si tratta di episodi isolati, fra l’uno e l’altro il bambino sta bene. Se sono frequenti
posso fare terapia profilattica con un antistaminico con attività anche anticolinergica, ciproectadina
(nome commerciale: Pediactin). Veniva usato come stimolatore della fame nei bambini inappetenti:
considerando che non esistono sostanze che facciano aumentare la fame, si pensa che l’aumento di
peso fosse da attribuire all’effetto sedativo che rendeva i bambini meno attivi. [Il professore
commenta ulteriormente l’inappetenza infantile sconsigliando di utilizzare farmaci in questo caso,
ricordando che prima di tutto andrebbe ricercata la causa di questo comportamento e che
semplicemente non si dovrebbe forzare il bambino a mangiare.]

• Sindrome emolitico-uremica: si manifesta con dolori addominali. Nella forma tipica c’è una
enterite di tipo emorragico precedente questa forma. È legata ad alcuni ceppi di Escherichia coli
produttori di tossina Shiga-like, che produce un danno all’endotelio intestinale. Viene espressa da
un plasmide, che i batteri si scambiano, che spesso ha anche geni di antibiotico resistenza, quindi
sono dei produttori di penicillinasi e altri enzimi. Ciò vuol dire che ogni volta che si presenta un
paziente con sospetta sindrome emolitico-uremica è importante non dare antibiotico, perché il
batterio amplificherebbe il plasmide, istituendo una resistenza maggiore e aumentando il danno
endoteliale.

Dopo che il quadro addominale si è risolto, si inizia ad osservare un progressivo aumento della
creatinina, contrazione della diuresi, aumento della pressione arteriosa, poiché nel bambino si
verifica una trombosi delle arteriole del letto renale che dà ostruzione; in più i tralci di fibrina
all’interno dei vasi frammentano il globulo rosso formando schistociti, elemento che si può
evidenziare con l’osservazione dello striscio di sangue e con l’esame emocromocitometrico: anemia
con anisocitosi (aumento del RDW).

• Porpora di Schoenlein-Henoch: vasculite pediatrica delle piccole arterie che coinvolge


soprattutto quattro distretti: cute con porpora (soffusioni emorragiche) degli arti inferiori – tanto
più è aggressiva e tanto più salgono in alto, fino addirittura agli arti superiori; caratteristico è anche
l’interessamento della natiche, quindi non dobbiamo mai dimenticare di ispezionare
completamente il pazientino, togliendo il pannolino (perché nel 15% dei casi il quadro d’esordio è
dolore addominale e il non osservare altri segni ci può far pensare all’appendicite); artralgie fino a
vere artriti, infiammazione della capsula ma niente versamento; dolore addominale importante
(spesso la porpora di S-H dà anche gastroenteriti emorragiche, può evolvere in una invaginazione
intestinale); l’ultimo elemento, il coinvolgimento renale, è il più importante in quanto definisce la
prognosi: nel 10-15% può evolvere in insufficienza renale cronica. Esclusi questi casi, la porpora di
SH si vede spesso nei reparti di pediatria ed è una patologia benigna.

• Farmaci: il ferro è un esempio tipico, è irritante nei confronti della mucosa gastrica. In realtà quasi
tutti i farmaci danno dolore, anche il più semplice, tranne forse il Paracetamolo; perciò mai
dimenticare di raccogliere l’anamnesi farmacologica del bambino.

• Faringite da Streptococco, scarlattina, hanno spesso come sintomi d’esordio vomito e dolore
addominale: eseguire l’ispezione del faringe per poter osservare una situazione di infiammazione
(quindi mai dimenticare l’esame extra-addominale anche in un contesto clinico suggestivo di
patologia addominale).

• Polmonite in particolare se localizzata nei lobi inferiori, può interessare la pleura diaframmatica e
irradiarsi in addome (un po’ come succede nel quadro clinico dell’infarto dell’adulto).

• Sepsi.

APPROCCIO AL BAMBINO (in generale, ma nello specifico il pazientino con dolore addominale)

Quando visitiamo un bambino con dolore addominale, è bene approcciarsi senza spaventarlo e cercando di
farlo sentire a suo agio. Chinarsi per mettersi alla sua altezza, non guardarlo negli occhi perché è un gesto
che incute timore, se possibile visitarlo mentre la mamma lo tiene in braccio. Lo faccio giocare con gli
strumenti del mestiere (martelletto, fonendoscopio), per distrarlo e fare in modo che non si senta oggetto
della visita. Bisogna guadagnarsi la sua fiducia.

A grandi linee dobbiamo comunque essere guidati dai momenti dell’esame obiettivo, partendo
dall’ispezione: la semplice osservazione della camminata, del modo in cui il bambino entra in ambulatorio,
può farci pensare a qualche possibile causa del dolore addominale (ad es piegato in avanti, con una gamba
flessa e l’altra che viene strascicata dietro di sé potrebbe essere indicativo di dolore da appendicite, in
quanto la flessione del tronco su una coscia serve a detendere la parte infiammata).

Se è in grave sofferenza posticipiamo la visita e si prendono le misure d’urgenza per il trattamento di uno
shock, quindi reperire un accesso venoso per la somministrazione di liquidi e farmaci, somministrare
ossigeno eccetera.

La visita procede secondo i desideri del bambino. Se piange gli guardo la gola con la pila, insomma a
seconda del momento e del suo stato d’animo visito una parte diversa. Il torace si può auscultare meglio se
il bimbo sta in braccio alla mamma. Possiamo anche visitare la mamma per fargli capire che è tutto
innocuo.

Ispezione: distensione addome, se è acuta penso a cose chirurgiche (volvolo), se è cronica penso a celiachia
e fibrosi cistica (che dà malassorbimento e feci viscose e difficili da espellere). Guardo se con gli atti del
respiro l’addome è mobile (cosa che non accadere in caso di peritonite) e se ci sono onde peristaltiche (che
possono essere visibili se c’è distensione legata a occlusione acuta e nei bambini che soffrono di stenosi
ipertrofica del piloro). Se ci sono masse in addome prendo in considerazione le neoplasie più frequenti in
età pediatrica, come tumore di Wilms e nefroblastoma.

Palpazione: se il bambino piange bisogna sfruttare il rilassamento inalatorio per palpare. In determinati casi
può essere meglio chiedere alla madre di farlo mentre noi osserviamo la correttezza del movimento e le
reazioni del bambino. Allo stesso modo potrei chiedere alla madre di evocare qualche segnale, tipo farlo
saltellare sulle ginocchia per evocare dolori da appendicite.

Esplorazione rettale non si fa quasi mai, mentre è una manovra spesso eseguita dal chirurgo pediatra. Per il
pediatra normale può essere utile nelle encopresi1, in cui facendo una esplorazione sento feci, mentre nella
malattia di Hirschsprung2 non ne sento perché non c’è progressione delle feci oltre il sigma. All’esplorazione
rettale posso trovare sangue, ad esempio nelle invaginazioni, nelle fistole rettali, in presenza di ascessi
eccetera.

Ispezione dei genitali esterni. Ribadiamo che il bambino piccolo va spogliato, anche del panno. Ad esempio
guardo che non ci siano ernie e torsioni del testicolo. Valutare sempre che non ci siano capelli della madre
che abbiano causato strozzamenti del pene – si può arrivare addirittura all’amputazione.

Valutare sempre lo stato di idratazione.

È inoltre importante sedare il dolore, in questo modo l’esame può essere condotto in maniera migliore e la
diagnosi non rischia di essere compromessa. In passato si sconsigliava di farlo perché si pensava che
alterasse i riflessi e compromettesse la nostra comprensione dei segni clinici.

CAUSE DI DOLORE ADDOMINALE: LA GASTROENTERITE


La prima causa di dolore addominale è la gastroenterite. Si tratta di un dolore che nella maggior parte dei
casi non è molto marcato; fanno eccezione i casi di gastroenterite enteroinvasiva, quindi con infiltrazione
dei batteri della parete (E. coli, Shigelle, tifo).

La gastroenterite è il più frequente processo infiammatorio gastrointestinale in pediatria; generalmente è


dovuto ad infezione di tipo virale, in particolare Rotavirus (nei bambini piccoli, 4-23 mesi) e Norovirus (che
è causa del 40% delle diarree nei bambini più grandi).

Per quanto riguarda i batteri, il Campylobacter è quello più frequentemente implicato.

1 DA WIKIPEDIA: Con grande frequenza l'encopresi si manifesta a seguito della stipsi cronica. Con il termine encopresi
ritentiva ci si riferisce proprio alla volontaria ritenzione di feci, molto spesso conseguente alla paura dell'emissione
delle stesse. In alcuni soggetti è la stessa stipsi cronica a causare delle evacuazioni irregolari e incomplete, spesso
dolorose. Molti bambini spesso quando avvertono lo stimolo della defecazione lo trattengono volontariamente per
evitare spiacevoli situazioni. Quando il bambino si abitua alla distensione cronica del retto può non sentire più il
bisogno di defecare normalmente. Questo processo termina con il passaggio di feci molli, poltacee o liquido fecale che
scivolano intorno alla massa fecale trattenuta. Ne risulta un involontario imbrattamento fecale.

2 DA ORPHANET: La malattia di Hirschsprung (HSCR) è una patologia congenita della motilità intestinale, caratterizzata
da segni di ostruzione intestinale dovuti alla presenza di un segmento aganglionare, di misura variabile, nella porzione
terminale del colon.
SINTOMI

• Sequenza vomito - diarrea. Prima sono interessati stomaco e duodeno, più tardivamente il grosso
intestino, quindi avremo prima il vomito e dopo 12-24 ore la diarrea.

• Febbre modesta (quando misurate la temperatura ad un bambino ricordate che di base loro hanno
0,5°C in più rispetto all’adulto).

• Bisogna sempre chiarire l’entità dei volumi persi con vomito e diarrea, considerando l’elevato
rischio di disidratazione del bambino. Se il volume perso è modesto la disidratazione è modesta,
quindi clinicamente dà pochi segni. Tutto si basa sull’aumentato turnover di liquidi: ricordiamo che
il bambino ha un fabbisogno idrico maggiore, circa 100ml di liquidi per 100kcal di fabbisogno
calorico. Ciò vuol dire che un bambino di 10kg ha bisogno di 1L, e se perde o non assume un litro,
ha perso 1/10 del peso corporeo. Questo dato del 10% di perdita idrica è tanto importante da
rappresentare la soglia tra la terapia domiciliare e il ricovero in ospedale. Superato il 10% di perdita
il bambino va ricoverato per reidratarlo per via endovenosa, perché la reintegrazione orale non
basta. Ricordare che inoltre il bambino ha un rapporto superficie-peso a favore della superficie,
quindi aumenta la perspiratio attraverso la pelle; compie un maggior numero di atti respiratori,
anche 50/min, perciò aumenta anche la perspiratio insensibile (vapor acqueo emesso con
l’espirazione); inoltre all’aumento di temperatura di 1°C corrisponde un aumento di 12kcal di
fabbisogno energetico, quindi 12ml di fabbisogno idrico. Sono tutti fattori che devono essere presi
in considerazione. Si è maggiormente a rischio di disidratazione se si è sopra le 8 scariche di diarrea
(chiaramente di adeguata entità, non pochi ml di feci emesse) e i due episodi di vomito al giorno.

• Addome generalmente soffice, non disteso, non dolorabile, non peritonismo. Ci potrebbe essere
ileo paralitico in casi gravi, tipo infezione da Norovirus.

Di fronte alla gastroenterite bisogna interrogarsi sempre sulla sua origine dal punto di vista eziologico;
infatti, benché la terapia di reidratazione non cambi molto, in alcuni casi specifici è bene impostare anche
una terapia antibiotica, ad esempio nei casi con interessamento parietale profondo con febbre e sangue
(forme enteroinvasive).

Nelle forme virali la diarrea è acquosa e copiosa perchè interessa l’intestino tenue, con dolore in sede
periombelicale. Il batterio invece interessa il colon, con dolore colico intenso prevalentemente nei
quadranti inferiori, volumi fecali inferiori con feci più formate con anche sangue e muco (che indica sempre
interessamento colico). La presenza di sintomi sistemici e una storia recente di viaggi in altri continenti
(soprattutto Asia e Africa) aiutano ad orientarci verso l’eziologia batterica.

Di fronte al bambino che vomita la diagnosi differenziale deve essere posta con: infezioni delle vie urinarie,
appendicite, difetti congeniti del metabolismo (che si traduce anche in deficit energetici importanti),
volvolo per i bimbi molto piccoli, chetoacidosi diabetica (attenzione al tipo di respiro, in questo caso è di
Kussmaul), e poi sindrome emolitico uremico (preceduta da diarrea).

Si assume che 1kg di peso perso corrisponda ad 1L di acqua. La terapia va impostata sull’entità della
perdita, quindi si calcola la differenza tra il peso attuale e quello registrato alla visita pediatrica precedente
(questa misurazione rientra nel bilancio di salute mensile, per fare il quale i pediatri vengono pagati
appositamente). Se la madre non è andata dal pediatra e non abbiamo un’attuale misura dell’entità della
perdita, va fatta una valutazione clinica della disidratazione, considerando che la perdita percentile di
liquidi varia per gli stessi sintomi a seconda dell’età del bambino:
DISIDRATAZIONE DISIDRATAZIONE DISIDRATAZIONE
LIEVE MODERATA SEVERA
Bambino grande (>1aa) 3% (30cc/kg) 6% (60cc/kg) 9% (90cc/kg)
Bambino piccolo (<1aa) 5% 5-10% >10%

Ciascun sintomo quindi avrà una diversa entità in base al grado della disidratazione:

• PELLE AL TATTO (normale in caso di disidratazione lieve, secca per disidratazione moderata,
argillosa in caso di disidratazione severa).

• TURGORE DELLA PELLE: qui si usa la plica cutanea a livello dell’addome (normale nella
disidratazione lieve, in quella moderata la plica crea la “tenda” per un po’ cioè non si riappiana
immediatamente, la plica rimane sollevata a lungo nella severe); si valuta anche il tempo di
riperfusione dei capillari (ritorna roseo entro 2 secondi, ritorna roseo dopo 3-4 secondi).

• MUCOSE: umide, secche, papiracee (arse).

• OCCHI: sono sospesi in un tessuto connettivo lasso imbibito d’acqua che risente di questo,
causando uno sprofondamento dell’occhio nell’orbita in caso di disidratazione. Questo segno si
usava per valutare i bambini “tossici”, ossia con la sindrome da risposta infiammatoria sistemica.

• LACRIME: presenti nella forma leggera, ridotte nella moderata e piange senza lacrime nella severa.

• FONTANELLA: appiattita, soffice o sprofondata se è molto disidratato (al contrario della bombatura
della fontanella se c’è ipertensione endocranica).

• SNC (bambino consolabile, oppure insofferente, oppure letargico e con ottundimento del sensorio).

• FREQUENZA CARDIACA (regolare, aumentata o molto aumentata vicino allo shock).

• EMISSIONE URINE (normale, contratta, fino all’anuria). Ricordiamo che la produzione minima di
urine nel bambino è di 1 ml/kg/ora, quindi circa 240ml al giorno per un bimbetto di 10kg.

INDAGINI DI LABORATORIO

• Valutazione della glicemia, perché la disidratazione può essere indicativa di chetoacidosi diabetica.

• Esame urine per distinguere dalle infezioni urinarie.

• Eseguire screen metabolico nel caso in cui il vomito e la disidratazione siano in assenza di chetoni.
Ricordate che tra le alterazioni metaboliche più frequenti ci sono le alterazioni della β-ossidazione
dovute all’assenza di specifici enzimi3, quindi non si completano i vari livelli di ossidazione degli
acidi grassi a catena corta, media o lunga: pertanto i livelli degli intermedi metabolici aumentano
nel sangue.

• Coprocoltura se il bambino è ospedalizzato, se presenta segni sistemici (febbre), se sono stati fatti
dei viaggi recentemente, se proviene dall’asilo nido, se è immunodeficiente, post-antibiotico.

• Valutazione degli elettroliti (DALLA SLIDE: da fare se c’è alterazione dello stato mentale, se
compaiono segni clinici di ipernatriemia/ipokaliemia, in caso di diarrea severa che dura più di 48h,
nei lattanti con età inferiore ai 6 mesi) – in America si fa se la disidratazione è moderata-severa, da
noi si fa sempre. È importante perché il livello di Na ci aiuta a distinguere l’entità della

3 (se non sbaglio il professore dice Acil-CoA deidrogenasi ma la registrazione in quel momento non è chiarissima)
disidratazione in ipotonica, ipertonica e normotonica o con ancor più precisione iposodiemica,
normosodiemica e ipersodiemica, considerando che quello è l’elemento che più di tutti condiziona
la pressione arteriosa.

La disidratazione ipertonica (Na >145) può essere ricondotta al fatto che magari le perdite sono state
ripristinate in maniera scorretta, utilizzando soluzioni eccessivamente concentrate oppure somministrate
troppo in fretta (nel dopoguerra si dava latte concentrato, cioè con densità calorica e di nutrienti superiore
al normale, per riequilibrare in fretta, ma questo è un errore da non commettere); ancora, il bambino
potrebbe aver perso troppi liquidi per via indiretta, come il vapore acqueo perso con la tachipnea o con
eccessiva sudorazione.

Se la disidratazione è ipotonica (Na <135) capiamo che son stati persi più sali che acqua – o meglio, dato
che i sali da soli non possono essere persi, anche qua è la correzione che ha causato danno: la reidratazione
è stata eccessiva.

La disidratazione isotonica invece è da attribuire in genere alla diarrea e al vomito.

TERAPIA DELLA DISIDRATAZIONE

È necessario intervenire con la reidratazione: questa deve essere orale per disidratazione moderata,
intravenosa se è severa o se c’è alterato stato mentale o evidenza di ileo – sempre tenendo presente la
perdita di peso >10kg come threshold tra trattamento domiciliare o ospedalizzazione.

La soluzione reidratante da assumere oralmente, un parafarmaco come Dicotral o Reidrax, può anche
essere fatta in casa con 1L di acqua, 5 cucchiaini di zucchero, ½ cucchiaino di sale, succo di 2 arance o di 1
pompelmo (per il potassio). Importante: poiché la reidratazione orale sfrutta una pompa molecolare
nell’intestino tenue in cui l’assorbimento di 2 molecole di Na è associato al passaggio di una molecola di
glucosio, e poiché questa pompa è saturata se si raggiunge la concentrazione di 20gr/L di glucosio, se
eccedo con lo zucchero rischio di avere effetti collaterali dati dall’azione osmotica del glucosio. Bisogna
ovviamente evitare in rischio di vomito, che aumenta all’aumentare dei liquidi che somministro. Il bimbo
deve bere spesso e poco, circa 5mL ogni 2min. Se c’è vomito ci si ferma e si aspettano 15min, per poi
ricominciare.

Il nostro obiettivo è ripristinare la perdita, se è stimata del 5% devo arrivare a somministrare 50mL/kg, se è
del 10% somministro 100mL/kg. Nel giro di un paio d’ore quindi posso riuscire a risolvere la disidratazione.
In Italia usiamo una soluzione con concentrazioni di sodio abbastanza alte, con 60-90mEq/L, ossia 1/3
ipotonica rispetto al plasma.

Si è discusso a lungo su quale potesse essere la sostanza migliore da somministrare in caso di grave
disidratazione ipotonica, prendendo in considerazione soluzioni di albumina, oppure soluzioni di destrano
isotoniche, ma alla fine la scelta migliore è la soluzione fisiologica. Questa deve essere data sotto forma di
bolo da 20ml/kg rapidi, antishock. Dopodiché si valuta il fegato, se non è ingrandito somministro un
secondo bolo.

Se è ipertonica, intuitivamente vorremmo dargli acqua (è chiaro che non si dà acqua distillata per
flebo, avrei emolisi e intossicazione d’acqua) ma dobbiamo ragionare sul fatto che durante questo tipo di
disidratazione nel cervello si formano delle sostanze osmotiche in grande quantità, metaboliti cerebrali che
rendono le cellule avide di acqua e questo potrebbe essere molto pericoloso. Per lo stesso motivo, non va
neanche bene dare una glucosata al 5%: benché essa sia normotonica, non appena il glucosio viene
metabolizzato resteranno nell’organismo solo CO2 e acqua, quindi di nuovo mettiamo a rischio il SNC.
Quindi devo dare soluzioni che contengono Sodio. La riduzione del Na deve essere graduale, non oltre
12mEq/die di Na.
In passato era uso comune dare antiemetici e antidiarroici per aiutare il bambino con la sintomatologia
gastrointestinale; in realtà questo è qualcosa che NON dobbiamo fare, poiché il vomito e la diarrea sono
meccanismi che il nostro organismo mette in atto per liberarsi di tossine, batteri, virus, qualcosa che non
dovrebbe essere presente. Inoltre, l’antidiarroico rischia di darci effetto paradosso, perchè con il blocco
della peristalsi mi fa pensare che la diarrea sia terminata, ma la secrezione di liquidi sta comunque
continuando a verificarsi a livello intestinale e il bambino rischia di andare in shock senza alcun segno
visibile.

Sono utili invece i fermenti lattici, riducono di 1 o 2 giorni la durata della diarrea. Il principalmente indicato
per le enteriti è il Lactobacillus enterii.

Gli antibiotici non vanno usati quasi mai, soprattutto nel rischio che l’agente patogeno sia E. coli
produttore di Shiga-tossina. In passato si impiegava la combinazione Ampicillina+Claritromicina, ma proprio
questa terapia era la causa del ricovero lunghissimo dei bambini, anche per un paio di mesi, poiché non si
riusciva a far negativizzare la coprocoltura: gli antibiotici alla fine agiscono più nei confronti della flora
commensale che verso il patogeno batterio (ad esempio Salmonella), allungando dunque i tempi di
guarigione.

• Gli antibiotici sono invece necessari per i bambini con talassemie o emoglobinopatie, perché
facilmente in questi pazienti si ritrova la Yersinia, avida di ferro, che può dare ascessi intestinali.

• Le shigellosi si trattano con trimethoprim e sulfametossazolo (ma il prof dice di non aver mai visto
in tutta la sua carriera un caso di gastroenterite da Shigella.

• Si usa Eritromicina per il Campylobacter.

• Il Metronidazole deve essere usato in caso di infezione da Giardia, protozoo che assomiglia un po’
alla Trichomonas vaginalis e che ha sulla superficie ventrale due ventose che aderiscono alla mucosa
intestinale: quando c’è una proliferazione marcata riescono a tappezzare tutto l’intestino, senza
penetrare nella mucosa o nella sottomucosa, senza produrre tossine ma impedendo ovviamente
qualsiasi meccanismo di assorbimento degli alimenti. Per questo motivo le diarree saranno
caratterizzate da feci putrefattive, maleodoranti, grasse. È rarissimo vedere infezioni da Giardia
oramai, ma in passato erano talmente tanto diffuse che si potevano addirittura vedere casi di
malassorbimento cronici e difetti di crescita.

• Vancomicina per il Clostridium difficile.

Infine, ultimo grosso errore che si faceva in passato e che bisogna evitare è quello di tenere a stecchetto il
bambino, ritardando il momento della rialimentazione per tenere a riposo l’intestino. In realtà l’assenza di
proteine non consente la riepitelizzazione dell’intestino e rallenta la guarigione, perciò appena possibile è
necessario ricominciare ad alimentarlo.

Sempre nel contesto della rialimentazione, in passato si sospendeva l’allattamento. Questo era giustificato
da un razionale, ossia il fatto che la lattasi è l’enzima più labile che abbiamo nell’intestino e viene distrutto
quasi subito perché si trova sull’apice dei villi; ci vogliono circa 14 giorni per riniziare a produrla e
ricostituire la capacità enzimatica. Di fatto però si è visto che i bambini comunque riescono a tollerare il
latte, quindi gli unici casi in cui è bene sospendere l’allattamento sono quelli in cui abbiamo indicazione di
intolleranza, cioè il bambino ha meteorismo, diarrea. Si crea diarrea osmotica e acida per formazione di 4
molecole di acido lattico e anidride carbonica a partire dal lattosio fermentato dalla flora microbica
commensale. La diarrea ha un odore acre, le feci fermentate con bollicine, galleggianti, e il sederino è
arrossato.
COSTIPAZIONE
Costipazione: non tanto evacuazioni infrequenti, quanto piuttosto feci dure che provocano dolore.
Frequenza normale:
Neonato 0-12 vv/die nella prima settimana
NB: il lattante ha il riflesso gastrocolico, ed è molto vivace, quindi si possono avere tante scariche quante
sono le poppate (che devono essere 8-12); generalmente le scariche in questo caso sono molli e gialle, con
aspetto “a mostarda”.

Le prime evacuazioni di un neonato si chiamano meconio.


Il meconio non deve essere emesso prima della nascita, in utero (liquido tinto), sarebbe segno di sofferenza
fetale e acidosi metabolica; però non deve essere neppure ritardata l’emissione, che normalmente deve
avvenire entro 24 ore. Oltre le 24 ore dobbiamo pensare a 2 patologie che sono: la fibrosi cistica e il morbo
di Hirschsprung.
Dopo il meconio abbiamo le feci di transizione per 4-5-6 giorni e dopo devono essere feci da latte materno,
cioè mostarda. Se le feci non sono color mostarda vuol dire che il bambino non sta mangiando bene o il
latte è insufficiente.

Il latte artificiale è derivato dal latte vaccino ma è riformulato in modo da alterare la composizione relativa
dei costituenti in maniera tale da renderlo più simile al latte di donna.
Nel latte di donna la componente di sieroproteine è del 60%, caseina 40% nel latte vaccino sono 87% e
13%. Il latte di donna però è un mistero ancora. Il latte artificiale formulato ha un contenuto di sodio
eccessivo perché il latte vaccino ha 3 volte più sale rispetto al latte di donna, cerco di portarlo al latte di
donna ma oltre ad una volta e mezzo non riesco ad abbassarlo. Il sale viene assorbito e rende il plasma
iperosmolare, di conseguenza viene tolta alle feci tutta l’acqua che c’è. Disidratazione e secchezza. Quindi il
latte formulato determina stitichezza.

Dopo i 3 mesi assistiamo ad una diminuzione dell’evacuazione (1-4 vv/die), e a 4 anni ci si attende
un’evacuazione giornaliera come nell’adulto.

Cause
La costipazione è una condizione piuttosto banale, ma al di sotto dei 2 mesi di vita (così come per la febbre)
può essere sintomo di una condizione grave, come:
- ano imperforato, stenosi anale (queste due già osservabili in nursery)
- tappo di meconio: segno di fibrosi cistica nella madre questo può essere evidenziato da
iperecogenicità addominale, che per essere suggestiva di fibrosi cistica, deve essere almeno di II
grado (ecogenicità simile a quella dell’osso; 3% probabilità) o superiore (ecogenicità superiore a
quella dell’osso; probabilità alte di fibrosi cistica > eseguire analisi genetica)
- ileo da meconio: emissione di feci dopo le 24h ma seguita da difficoltà ad espellere; gli equivalenti
dell’ileo da meconio sono crisi di subocclusione periodica accompagnate da dolori addominali nel
periodo perinatale
- malattia di Hirshprung: legata a mutazione del gene RET che è implicato nella regolazione della
migrazione delle cellule nervose, in particolare in questo caso nella migrazione delle cellule nervose
responsabili della peristalsi nell’ampolla rettale (formeranno il plesso di Auerbach); ci sono
mutazioni con perdita di funzione o mutazioni con guadagno di funzione che mantengono il
recettore in uno stato di attivazione costante (generalmente queste mutazioni sono a carico dei
recettori); causa stipsi già in periodo perinatale
[NB: le mutazioni con guadagno di funzione sono rare, e possono determinare l’insorgenza di neoplasie in
sede intestinale, surrenalica, tiroidea, dei gangli, con relative sindromi paraneoplastiche. Si tratta delle MEN.
Solitamente i bambini con queste mutazioni sviluppano carcinoma tiroideo entro i 10 anni, è quindi uno dei
pochi casi in cui si esegue un test genetico su minorenni, perché nel caso è necessaria una tiroidectomia. ]
- volvolo: piuttosto frequente nei neonati
- ragadi
- botulismo infantile: diversamente dal botulismo dell’adulto non si tratta di un’intossicazione, ma nel
bambino è una vera infezione, che può essere correlata all’ingestione di miele fino al 25-30% dei
casi (alimento da evitare fino al compimento del primo anno di vita); si manifesta subdolamente ed
ha conseguenze importanti legate alla disfagia, alla difficoltà nella suzione, deglutizione, oltre che
altri sintomi come paralisi dei nervi cranici (soprattutto a carico degli occhi  strabismo, ptosi); si
ha anche stipsi perché la tossina ha un effetto non solo sulle placche motrici ma anche sulla
muscolatura liscia; c’è anche un’ipotonia generalizzata quindi in caso di ipotonia bisogna tenere in
considerazione il botulismo nella DD, che si fa anche con lesioni del SNC, I motoneurone, II
motoneurone, placca motrice, lesioni muscolari, malattie del metabolismo (vitamina D), malattie
ormonali e molte altre
- ipocalcemia: causa stipsi per riduzione di funzione > l’intestino non si contrae
- ipercalcemia: causa stipsi per eccesso di funzione > contrazione spastica
- ipotiroidismo: condizione ormai piuttosto rara perché attualmente si esegue lo screening neonatale,
perché è importante effettuare la diagnosi prima che si manifestino i sintomi, dato che una volta
che questi sono presenti, i danni cerebrali sono pressoché irreversibili; addome globoso, ernia
ombelicale, faccia porcina, mixedema palpebrale con rima palpebrale stretta, lingua grossa e
sporgente, pianto roco, ipotonia generalizzata, cute secca e fredda: questi sono i segni di
ipotiroidismo

Nel bambino più grande le cause di costipazione sono:


- passaggio dal seno alla formula
- dieta liquida > solida
- assunzione di pochi liquidi
- eccesso di sale assunto con la dieta: cibi conservati, prosciutto, olive; il rene ha capacità ridotta di
eliminare il sale una volta che questo viene introdotto nell’organismo e per mantenere l’omeostasi i
liquidi dell’organismo vengono ridistribuiti e le feci risulteranno meno umide
- eccesso di carboidrati: sono molto calorici e producono poche scorie quindi poche feci; se assunti in
forte eccesso non vengono assorbiti e possono causare diarrea osmotica
- rifiuto dell’uso dei bagni scolastici
- encopresi: condizione in cui il bambino trattiene le feci in ampolla rettale; la causa è una perdita
della sensibilità dell’ampolla rettale (può essere organica, funzionale, o psicologica) e si associa ad
impaccio rettale, mutande sporche, feci in ampolla, corda colica; normalmente la distensione
dell’ampolla provoca necessità e rilasciamento dello sfintere; è importante fare DD tra encopresi e
Hirshprung: all’esplorazione rettale se l’ampolla è piena il bambino ha encopresi; se è vuota ed il
dito esploratore è pulito, il bambino ha il morbo di Hirshprung

NB: il quadro può essere simil-appendicite, ma in quest’ultimo caso il dolore si localizza a destra, con
caratteristiche che vedremo in seguito.

Trattamento
Se impaccio fecale > disimpaccio
- clistere con fosfato ipertonico (rischio ipocalcemia, arresto cardiaco); segni di ipocalcemia: tetania,
mano ad ostetrica, segno di Trousseau, convulsione, segno di Chvostek 1, crisi di apnea,
laringospasmo; evitare di usarli; per equilibrio di massa quando sale il fosfato scende il calcio

1 Il segno di Chvostek, o anche segno di Chvostek-Weiss, è la particolare contrazione dei muscoli fac-
ciali in seguito alla stimolazione tattile di specifici punti del cranio.
Segno di Chvostek tipo I: percuotendo con un dito o un martelletto un punto che si trova circa 2 cm davanti
al lobo dell'orecchio e circa 1 cm sotto al processo zigomatico si ottiene, ipsilateralmente, la contra-
zione di tutti o alcuni muscoli innervati dal nervo faciale. L'effetto finale è la deviazione laterale del-
la rima labiale e della pinna nasale verso il lato stimolato.
- clistere con acqua: rischio iponatriemia, convulsioni, morte; evitare di usare, è molto meglio usare…
- clisteri con soluzione fisiologica (fatta in casa: 1L acqua + circa 9 g sale cioè circa 2 cucchiaini)
- olio minerale/vasellina per os: 1-4 ml/kg/dose per 1-2 vv/die: controindicato nel lattante ed anche
in bambini con rischio di aspirazione; ha lo scopo di fluidificare le feci; si può usare anche sotto
forma di clistere in dose di 2-3 ml/kg, si lascia in sede per mezz’ora e poi si esegue un clistere con
soluzione fisiologica [sembra quello maggiormente consigliato dal professore perché elimina i rischi
legati alla somministrazione per os e fluidifica naturalmente le feci]
- lattulosio, 1-2 ml/kg/dose per 1-2 vv/die; disaccaride per cui noi non abbiamo i batteri in grado di
metabolizzarlo correttamente, quindi si ottengono 4 molecole di acido lattico da ogni molecola di
disaccaride, e queste richiamanoacqua per osmosi ed acidificano le feci modificano il micorbiota
favorendo la fermentazione; ricordare che non è un lassativo immediato quindi gli aggiustamenti di
dose si fanno almeno dopo 48h, l’effetto collaterale può essere meteorismo, distensione
addominale, coliche
- sali di magnesio
- PEG, 10-14 ml/kg/die in 2 dosi: usato bene per la preparazione intestinale ad un intervento,
attualmente usato come lassativo anche nei lattanti, con ottimi risultati
- Sorbitolo; zucchero indigeribile (stesso meccanismo del lattulosio); il sorbitolo è spesso contenuto
nei succhi di frutta e può essere responsabile del dolore addominale nei bambini che assumono
molti succhi di frutta
- Senna o dulcolax (bisacodile): formulazione in supposta, può dare irritazione; produce contrazioni
dell’ampolla

APPENDICITE
Continuando con le condizioni patologiche che sono causa di dolore addominale, una delle più importanti
da conoscere è l'appendicite, comune causa di interventi pediatrici, potenzialmente letale. Colpisce 4
bambini su 1000, riguarda il 2,3% di bambini che hanno dolore dell'addome e quando questi vengono
ricoverati nel 32% risultano poi avere un'appendicite (il ricovero è per addome acuto sostanzialmente).

Nel bambino piccolo la diagnosi è molto difficile e questo può portare a perforazione nel 30-65% dei casi,
questo perché lo scarso sviluppo dell’omento ostacola l’effetto di interposizione quindi si ha una peritonite
generalizzata. Il motivo per cui c'è questa tendenza alla perforazione è lo scarso sviluppo dell'omento, che
ha meno adipe e funge meno da barriera alla diffusione delle infezioni. Voi sapete che l'omento è la
riflessione del foglietto peritoneale che quando trova aree di infiammazione aderisce a queste aree e tende
a creare una limitazione alla lesione e, in caso si abbia una perforazione, questo più nell'adulto, consente di
limitare l'infiammazione allo stesso peritoneo, cioè si crea una raccolta saccata; nel bambino con il fatto che
è così sottile, se si perfora l'appendice si perfora facilmente anche il foglietto peritoneale e quindi abbiamo
l'evoluzione verso una peritonite generalizzata con facilità.
Un problema dell'appendicite in età pediatrica è che appunto evolve molto rapidamente verso le
perforazioni, quindi per questo motivo un bambino, anche per questioni medico legali, in cui voi non avete
escluso un'appendicite, va rivalutato entro 8 ore, perché questo è il termine che vi dà il medico legale per
non dichiararvi negligente.

NB: generalmente il dolore addominale funzionale viene riferito sulla linea mediana, mentre tanto più il dito
del bambino indica un punto lontano dalla cicatrice ombelicale, tanto più è probabile che sia un dolore di
tipo organico.
Il dolore dell’appendicite si localizza solitamente nel punto di McBurney, localizzato in fossa iliaca destra,

Segno di Chvostek tipo II: percuotendo un punto tra il terzo medio e il terzo superiore della linea
congiungente l'angolo della bocca al processo zigomatico si osserva la contrazione dei soli muscoli
dell'angolo della bocca e della radice del naso.
sulla linea che congiunge cicatrice ombelicale e spina iliaca antero-superiore, al confine tra terzo medio e
terzo distale di questa linea.

Patogenesi
La presentazione tipica è inusuale in pediatria.
La presentazione tipica è quella in cui si ha prima un dolore in sede epigastrica che poi migra in fossa iliaca
destra, questo perché prima il dolore è viscerale e poi diventa somatico. Ciò che provoca l'appendicite, il
primum movens, è un'ostruzione del lume che in genere può essere causata da un fecalita, un seme di
ciliegia, più raramente parassiti, un qualcosa che ostruisce il lume; la secrezione all'interno dell'appendice
però continua e questo fa sì che si distenda; la distensione è ciò che provoca il dolore viscerale, che viene
riferito alla linea mediana; quindi il primo dolore epigastrico è dovuto alla distensione, dopo di che però
quando all'occlusione del lume segue la proliferazione dei batteri, quindi l'infezione e l'infiammazione e
quando questa è tale da emergere sulla sierosa allora c'è il contatto con il peritoneo parietale che è l'unico
con i recettori del dolore e a quel punto il dolore è un dolore localizzato di tipo somatico.

Clinica
Quello iniziale è un dolore sordo, vago che si accompagna a nausea, sudorazione (e le solite caratteristiche
del dolore viscerale), quello parietale invece è un dolore ben localizzato, in un punto preciso.
Tutto questo appena detto in pediatria scordatevelo, perché prima dei 6 anni il bambino vi dirà che gli fa
male ovunque.
Le visite vanno fatte più precocemente rispetto agli adulti perché appunto l'evoluzione in perforazione è più
facile, per cui se c'è un dolore addominale e non si può escludere l'appendicite, si deve visitare il paziente
abbastanza in fretta.
In genere è presente il segno di Blumberg e di Rovsing (la pressione sul fianco sinistro provoca un
movimento retrogrado del gas verso destra che determina distensione e dolore) e sono abbastanza sensibili
e specifici di peritonite.

I segni più comuni sono: dolorabilità addominale, dolore nel quadrante inferiore destro, difesa, vomito; più
rari ma da ricercare sono iperestesia (evocazione del dolore solo strisciando un dito), ipomobilità con gli atti
del respiro.
Se sospettate appendicite e dovete fare la palpazione, partite da lontano; si può evocare dolore anche con
la semplice percussione.
La difesa è un segno che può essere presente anche nelle fasi precoci e precedere gli altri segni: consiste
nella percezione di quella tensione, di quella contrazione della muscolatura dell'addome che voi percepite
quando cercate di palpare profondamente, è una reazione antalgica di difesa stimolata dall'infiammazione
peritoneale. Per apprezzarla è bene effettuare la palpazione a due mani in cui una mano palpa e l’altra sente
eventuali reazioni di difesa.
Il vomito è la componente meno specifica di tutti questi sintomi. Ricordate che la sequenza vomito > dolore
addominale depone a favore dell'appendicite rispetto alla gastroenterite (il contrario invece, cioè dolore
addominale >vomito, fa pensare ad una gastroenterite).
Un'altra differenza con l'adulto è che mentre nell'adulto abbiamo tipicamente l'alvo chiuso a feci e gas (ileo
paralitico), nel bambino questo non accade, anzi possiamo avere addirittura la diarrea; la diarrea però non è
mai così profusa come quella che abbiamo nella gastroenterite.

Ricordare sempre che c'è grande variabilità nella posizione dell’appendice, per questo motivo è sempre
giusto far precedere l'intervento di appendicectomia da un'ecografia che visualizzi la posizione
dell'appendice e quando voi riuscite a vedere l'appendice vuol dire che le sue dimensioni sono aumentate e
quindi c'è infiammazione. Ricordate che l’ecografia è uno strumento sensibilissimo ma è operatore-
dipendente.
Un modo per evocare dolore è stirando lo psoas, su cui sta l'appendice.

Diagnosi
Importante fare diagnosi differenziale:
- infezioni, soprattutto le gastroenteriti, che sono la più comune causa di errore; soprattutto quella da
Yersinia, che è il germe che infetta di più i talassemici perché è un sideroforo e cioè ha un recettore
che succhia il ferro, inoltre questa infezione dà formazione di ascessi e quindi all’ecografia si può
facilmente confondere con appendicite; quando c'è la gastroenterite in diagnosi differenziale, la
diarrea è molto più profusa di quella che possiamo avere nell'appendicite
- infezioni del tratto urinario (UTI), nell’esame urine e si va a cercare la presenza di leucocituria,
batteriuria ecc.

Nelle misdiagnosi spesso il quadro clinico comprende diarrea, la nausea è assente, così come la febbre.

Come ci aiuta il laboratorio? Non ci sono test specifici che ci dicono che uno ha l'appendicite.
- WBC: aspecifici e poco sensibili, ma utili a confermare un sospetto clinico; i Gram– possono non
dare un’elevazione dei globuli bianchi; in genere nelle appendiciti c'è una grossa componente di
clostridi che tende ad elevare i globuli bianchi comunque
- Piuria: può confondere dando sospetto di infezione delle vie urinarie, quindi bisogna stare attenti
all'entità della piuria per discriminare tra una falsa piuria (cioè quella provocata dall'infiammazione
dell'appendice) e quella invece vera provocata da un'infezione delle vie urinarie e poi in questo caso
ci sono anche nitrati e batteri

Come imaging: con la radiografia diretta possiamo trovare al massimo dei fecaliti nel 10% dei casi, questi
appaiono come opachi.
Con una radiografia con un pasto baritato si potrebbe osservare la non visualizzazione del lume
dell'appendice però ci sono molti falsi positivi in questo caso (fino al 30%).
L'ecografia addominale è l'esame di prima scelta, non è invasiva, è rapida, non necessita di mezzo di
contrasto, innocua e facilmente disponibile; l'appendice normale all'ecografia non si visualizza a meno che
non ci sia minor sottocutaneo, se invece supera i 6 millimetri in diametro (cosa che si ha in genere con
l'appendice infiammata) diventa visibile, è aperistaltica, e poi se esercitate una pressione con la sonda vi
accorgete che è rigida e non comprimibile e questo è un altro segno di flogosi. Se all'ecografia si vede del
fluido peri appendicolare, questo va a favore di ipotesi di perforazione.
Nonostante l'ecografia abbia migliorato la diagnosi, però non ha migliorato l'esito in termini di appendiciti
inutili (cioè quelle catarrali in cui non c'è l'infiammazione) e anche in termini di tempo dell'intervento non è
migliorata la situazione. Con il color doppler si dovrebbe aumentare la potenzialità diagnostica perché si
coglie l'aumentato flusso sanguigno dell'infiammazione.
Si può osservare il “segno del Target”, cioè cerchi concentrici di iper ed ipoecogenicità ma che sono presenti
anche nell'invaginazione e nella stenosi ipertrofica del piloro e il “segno della salsiccia” ed anche questo lo
vedremo nell'invaginazione, quindi non sono segni molto specifici, quello che però vi aiuta è la sede in cui li
trovate e cioè in fossa iliaca destra.

L'esame in realtà con la più alta sensibilità è la TAC ma è meno disponibile e dà una quantità maggiore di
radiazioni. La TAC quindi si fa quando l'eco lascia dubbi e si vuole maggiore accuratezza. La TAC sembra
ridurre il numero di laparotomie inutili ma non in modo significativo; tuttavia le cose che vi ho detto prima
la rendono di secondo livello rispetto all'ecografia. Ricordare che la TAC quasi mai è tarata per un bambino,
espone quindi a radiazioni eccessive: uno studio in particolare ha dimostrato che questa quantità di
radiazioni sarebbe sufficiente a determinare ablazione midollare.
Un altro test, che però si usa poco, è il test dei leucociti marcati con Tecnezio, che si localizzeranno nella
sede dell’appendice.

Nessun tipo di indagine strumentale ha accuratezza del 100%.

Trattamento
Se il sospetto è elevato è necessaria una consulenza chirurgica; nella preparazione per un eventuale
intervento stabilire dieta liquida, eventualmente anche endovena. In America si usano i “cibi trasparenti”
cioè gelatine, di frutta principalmente.
Se ci sono segni di perforazione, si fanno antibiotici sia contro Gram– che contro gli anaerobi e questi sono
utili anche per limitare la diffusione di batteri nel campo operatorio.
Gli antibiotici vengono somministrati anche in caso di appendicite non perforata, per ridurre il rischio di
complicanze settiche e post-operatorie. Solitamente si usano penicilline.
Considerare l’appendicectomia come prevenzione per un nuovo episodio di appendicite.
Ricordate sempre di rivalutare il bambino entro 8 ore.

INVAGINAZIONE
L'invaginazione è un'altra evenienza sulla quale bisogna avere un livello di attenzione particolarmente
elevato.
Invaginazione o intussuscezione è il prolasso di una porzione di intestino prossimale in una porzione di
intestino distale; la porzione prossimale si introflette a dito di guanto in una porzione di intestino distale.
In genere la sede più tipica riguarda la valvola ileo-ciecale però può riguardare anche altri tratti di intestino.

Vengono trainati anche i vasi mesenterici che sostengono ogni tratto di intestino e in un primo tempo si ha
l'ostruzione del flusso venoso, quindi un rallentamento ed un edema, però con il progredire della tensione e
della distensione si ha anche una ostruzione del flusso arterioso e questo esiterà in gangrena e infine in
perforazione. La gangrena e la perforazione sono responsabili dei segni clinici di invaginazione, una triade
caratteristica: dolore addominale, vomito e feci ematiche, però le feci ematiche (ematochezia) sono
ovviamente conseguenza della gangrena, sono un risultato a cui non bisogna arrivare perché siamo in una
situazione di ritardo diagnostico.
La diagnosi si può fare anche solo con i primi due sintomi e soprattutto con il dolore dell'invaginazione che è
un dolore colico ricorrente. La ricorrenza delle fasi del dolore, che prima c'è poi non c'è poi ritorna ecc,
anche al telefono, deve farvi pensare ad un'invaginazione, soprattutto se il bambino è un bambino molto
piccolo, perché l'invaginazione ha un picco tra i 6 e i 12 mesi, quindi molto frequente nell'età del lattante e
in genere in quest'età è idiopatica. Il 60% dei casi avviene nel primo anno di vita.

Cause
Cause: è più frequente nei maschi, in particolare tra i 3 mesi ed i 5 anni di vita; il 60% dei casi riguarda il
primo anno di vita ed il picco è tra i 6-11 mesi. Nel lattante è idiopatica.
Le cause conosciute, che riguardano bambini più grandi (<5 anni), sono tutte situazioni che provocano una
protrusione nel lume della mucosa, che si verifica per esempio per una semplice adenomesenterite, una
gastroenterite, la porpora di Schoenlein Henoch, e altre condizioni che danno edema delle mucose e questo
predispone con la peristalsi ad essere invaginato. Le altre cause principali sono i polipi peduncolati che
fungono da traino, diverticolo di Meckel, polipi sessili, linfonodi ingrossati.

Clinica
La classica triade: coliche addominali intermittenti, vomito, feci muco-ematiche; questa triade è presente
solo nel 20-40% dei casi; almeno due sintomi sono presenti nel 60% dei casi. Il sintomo più comune è il
dolore intermittente; coliche che durano 1-5 minuti, dolore importante, bambino ansioso, inconsolabile,
irritabile, pianto e tensione degli arti inferiori, che si risolvono improvvisamente.
Il vomito può non essere biliare in caso di ostruzione bassa. Alla palpazione si può riscontrare una massa nei
quadranti inferiori dx come un salsicciotto, direzionata verso l’ombelico, anche se comunque è raro ed è un
segno che riguarda maggiormente i chirurghi; è più importante l’intermittenza del dolore ed il fatto che le
pause libere da dolore si riducono progressivamente.
Se non si assiste alla crisi ci si basa sulla descrizione dei genitori.
Il dolore è presente prima e dopo il vomito; talora il bambino presenta letargia.
NB: in caso di gastroenterite i genitori non riferiscono dolore, a meno che non sia una gastroenterite entero-
invasiva.
All’esame obbiettivo il dolore risulta sproporzionato rispetto ai reperti obbiettivi.
Se vi capita di visitare il bambino con un'invaginazione al di fuori della colica non trovate niente, l'esame
dell'addome è normale, ma vi dovete lo stesso insospettire perché c'è una sproporzione tra il dolore che
magari vi era stato riferito o avete colto dal pianto acuto del bambino, e poi visitate il bambino e non
trovate nessun segno, non c'è il Blumberg, nessuna massa da palpare.
Una cosa però importante che potete vedere anche nei momenti non di colica è che il bambino è ansioso.
Molto importante l'anamnesi e se avete il sospetto dovete aspettare nel caso che al bambino che non ha
niente si verifichi la colica, così potete visitarlo quando ha la colica in atto.
Le feci ematiche sono un segno tardivo.

Diagnosi
La diagnosi differenziale si fa con
- Gastroenterite, dove però la diarrea è più pronunciata e poi solitamente ci sono anche altri familiari
che hanno avuto gli stessi sintomi.
- Tutte le volte che c'è sangue nelle feci o che c'è un vomito biliare bisogna sempre andare a ricercare
bene la causa e non sottovalutare patologie gravi, soprattutto nel bambino molto piccolo
- Sanguinamento da diverticolo di Meckel, ma questo è per lo più indolore salvo infiammazione del
diverticolo
- Ernia incarcerata, torsione testicolare o ovaio danno presentazione simile con dolore e vomito; ma
in questi casi è presenta la tumefazione addominale l’ernia e lo scroto vuoto per la torsione
testicolare
NB: ispezione dei genitali sempre, spogliare il bambino!
- Coliche renali, sono rare nei lattanti, sono più una patologia dell'adulto; nei bambini è frequente la
cistinosi, una malattia da difetto del metabolismo che dà calcoli di cistina che all’esame del
sedimento urinario hanno una forma particolare, cristalli esagonali; oppure si possono avere calcoli
da ipercalciuria idiopatica per difetti del metabolismo, che si diagnostica facendo un rapporto tra
calcio e creatinina nelle urine

Rimarco che quando c'è dolore addominale il bambino va sempre spogliato tutto.

Poco utile la rx diretta addome senza mezzo di contrasto, però qualche volta potete vedere l'immagine tipo
pseudo rene, chiaramente lo osservate in una sede in cui il rene non dovrebbe esserci; all’ecografia si può
vedere il segno del target, anche qui si può osservare pseudo rene.
NB: l’invaginazione può essere così marcata da determinare un prolasso rettale, quindi anche qui si
dovrebbe effettuare un’esplorazione rettale.
Il clistere di pasto baritato era il gold standard sia per la diagnosi che per la terapia; in realtà poi
ultimamente si preferisce fare un clistere d'aria: aumentando la pressione (o con liquido o con aria) si riesce
a respingere indietro il viscere invaginato sino alla valvola ileo-ciecale e quindi questo sarebbe risolutivo,
però tenete presente che se le condizioni che hanno provocato la prima invaginazione non si risolvono, nel
caso che fosse una condizione secondaria si potrà rimanifestare. Il clistere d'aria ha il vantaggio di non
irritare (con il pasto baritato in caso di rottura e perforazione il pasto baritato potrebbe finire in peritoneo
irritando), visto che l'aria in peritoneo viene riassorbita. Deve essere eseguito entro le 24h perché dopo
questo lasso di tempo è già insorta l’ischemia e con questa manovra si rischia rottura dell’intestino; un’altra
controindicazione all’esecuzione di questa manovra è la presenza di segni di irritazione peritoneale.

La recidiva è possibile anche dopo risoluzione chirurgica.

OSTRUZIONE ILEALE
Le ostruzioni ileali sono un'altra causa di dolore addominale. Possono essere legate a cause intrinseche
come tumori, ma più comunemente sono da cause estrinseche, altre cause sono intraluminali.
Frequentemente sono date da adesioni cicatriziali da un precedente intervento chirurgico, più rari sono
ernie, intussuscezioni, appendiciti, diverticoli di Meckel, malrotazioni dell'intestino. Tumori sono l'ultima
causa.
Clinica
Come sintomi abbiamo il vomito, più tipicamente biliare, però se l'ostruzione è molto bassa il vomito può
non essere biliare. C'è un blocco della canalizzazione quindi un alvo tipicamente chiuso a feci e a gas, una
distensione addominale acuta (anche in 24h), timpanismo, dolorabilità e rumori peristaltici ad alta tonalità
(ileo dinamico).
L'aumento della distensione delle anse, provocato appunto dalla distensione interna, tende a creare una
pressione che occlude prima le vene, poi le arterie e alla fine abbiamo un'ischemia proprio come avevamo
visto nell'invaginazione, con un meccanismo diverso: anziché la costrizione meccanica dei vasi come
avevamo nell'invaginato, qua abbiamo la distensione delle anse che raggiunge il limite per cui la pressione
blocca l'afflusso di sangue.
Ecco perché uno dei presidi più importanti e immediati è quello di detendere l'addome con un sondino naso
gastrico, sembra una manovra banale ma ha molta utilità. Anche qui non si vuole arrivare ad avere
l'ematochezia come segno di ostruzione ileale.

Diagnosi
La diagnosi differenziale si fa con l'appendicite, però nell'appendicite l'ileo è paralitico, i rumori in genere
non ci sono o sono molto più attenuati, l'addome è piatto nell’appendicite o addirittura incavato (a barca)
nella peritonite, invece in caso di ostruzione ileale abbiamo distensione e ileo dinamico.

Come imaging all’rx diretta si possono osservare multipli livelli idro aerei con distensione delle anse a monte
e si può anche trovare aria libera (falce aerea sottodiaframmatica) nel peritoneo in caso di perforazione. L’rx
diretta per osservare i livelli idro-aerei deve essere eseguita in posizione eretta.

La terapia si fa rapidamente, entro 24h, con sondino naso-gastrico decompressivo e antibiotici ad ampio
spettro.

ERNIA STROZZATA
Le ernie strozzate son una patologia frequentissima. Si stanno configurando sempre più come una patologia
di tipo metabolico secondo i chirurghi, nel senso che la predisposizione all'ernia sarebbe data da un tessuto
connettivo in cui ci sarebbe un minor contenuto di aminoacidi, che sono quelli che conferiscono resistenza
al tessuto connettivo. Questo spiega anche la ricorrenza nelle famiglie e vi ricordo anche che si associano a
patologie di tipo vascolare, come le varici.

Ernia inguinale: presente in 1-4% della popolazione, maschi (6:1) perché sono soggetti a migrazione del
testicolo e si può avere una permanenza dell’apertura del canale inguinale; colpisce più frequente il lato dx
(2:1) perché la migrazione del testicolo destro è generalmente successiva a quella del testicolo sinistro.
Colpiscono i prematuri nel 30% dei casi, perché la migrazione avviene nell’ultimo trimestre di gravidanza;
l’ernia può essere in questo caso preceduta da microcele. Le strozzature avvengono nel 60% dei casi entro il
primo anno di vita.
NB: le ernie ombelicali non si strozzano, si risolvono spontaneamente entro l’anno. Ciò che regola l'esito di
un'ernia ombelicale è la sua dimensione (porta erniaria) e la presenza di un cercine fibroso, che rappresenta
un ostacolo alla guarigione spontanea, però diciamo che il 98% guarisce da sola.

Presentazione clinica: pianto improvviso, tumefazione generalmente evidente, seguiti da segni di


ostruzione.
DD con idrocele: transilluminazione (transilluminando si vede il liquido trasparente e il testicolo piccolino da
un lato in caso di idrocele; il viscere non transillumina invece) o ecografia. L’idrocele rappresenta comunque
un fattore di rischio per lo sviluppo di ernia perché indica che non si è richiudo il canale vaginale.

Trattamento: posizione di Trendelenburg (paziente sdraiato in modo che il capo sia posto inferiormente a
ginocchia e bacino), con applicazione di ghiaccio locale e analgesici. Il ghiaccio ha la capacità di ridurre il
dolore, ridurre il flusso e anche di far consumare meno ossigeno alle anse che sono sofferenti. Se non si
riesce a ridurre si ricorre alla chirurgia.
DIVERTICOLO DI MECKEL
Rappresenta una delle cause di dolore addominale acuto nel bambino, tuttavia nelle presentazioni
tipiche non tende a causare dolore, questo infatti si presenta in corso di complicanze, quale la
diverticolite (l’infiammazione del diverticolo di Meckel), per infiammazione-infezione, o per
patologia acido-correlata dovuta alla secrezione acida da parte di mucosa gastrica eterotopica a
livello del diverticolo.

È la più comune anomalia congenita dell’intestino, consiste nel residuo del dotto onfalomesenterico
(che fa da collegamento attraverso l’ombelico tra sacco vitellino e intestino embrionale), presente
fino alla 7 settimana di vita intrauterina e che poi va incontro a riassorbimento. È costituito da tutte
e tre le tonache intestinali.

Possono essere presenti ectopie di diverso genere:

- gastriche nel 60 % dei casi;

- pancreatiche;

- endometriali (con perdite ematiche per via intestinale, correlate al ciclo mestruale);

- duodenali.

L’anatomia è molto varia, e si può presentare come:

- dotto a fondo cieco che parte dall’intestino (diverticolo vero e proprio);

- cisti ripiena di secreto a tendenza accrescitiva (è provocata dall’atrofia delle estremità);

- cordone, con atrofia complessiva del dotto onfalomesenterico;

- comunicazione persistente tra intestino e ombelico (si manifesta già a livello


fetale/neonatale con fuoriuscita di contenuto intestinale a livello ombelicale1).

Gli Americani, come trucco mnemonico, utilizzano la regola del due, per ricordare l’epidemiologia
del diverticolo del Meckel: il diverticolo di Meckel è presente nel 2% della popolazione, è 2 volte più
prevalente nei maschi che nelle femmine, a fronte di complicanze sviluppate nel 2% dei pazienti, nel
2% dei pazienti presenta l’eterotopia gastrica, fonte di dolore, e si presenta generalmente entro i
primi 2 anni di vita; le dimensioni del diverticolo sono di 2 pollici (5-6 cm), e si trova entro 2 piedi (60
cm) dalla valvola ileo-cecale.

Clinica

Sotto i 5 anni si presenta come sanguinamento senza dolore.

La presenza di dolore è invece associata a una patologia ulcerosa, secondaria alla produzione di acidi
da parte della mucosa gastrica ectopica, oppure in caso di ostruzione, probabilmente legata
all’invaginazione del diverticolo, la sintomatologia è simile a quella dell’appendicite, ma in sede
atipica, correlata ai pasti come l’ulcera duodenale, ma con un ritardo temporale leggermente
superiore nell’insorgenza del dolore, fino a quadri di addome acuto.
1 Il cordone ombelicale cade attorno al 10° giorno di vita, ed un ritardo nella caduta può essere dovuto ad
infezioni del cordone o qualche volta alla ritardata invasione da parte dei neutrofili a livello del residuo
gelatinoso del cordone ombelicale. Valutare in quest’ultimo caso difetti di chemiotassi dei neutrofili. Nelle
neutropenie, quale la malattia di Kostmann, è invece più frequente il primo quadro con sepsi e infezione del
cordone ombelicale.
Complicanze

Possibili ulcerazioni, perforazioni o invaginazioni (per effetto traino del diverticolo nei confronti
delle anse intestinali).

Diagnosi

La diagnosi è difficile e gli esami sono scelti sulla base dei sintomi che il paziente presenta. Essa si
basa sull’identificazione dell’ectopia gastrica attraverso lo Scan radioattivo con tecnezio
pertecnetato, sostanza che ha particolare affinità per la mucosa gastrica (se l’indagine è positiva, si
osserva una sorta di bottoncino marcato in corrispondenza dell’ombelico). Da ricordare che l’ectopia
è però una condizione molto poco frequente nei pazienti con diverticolo di Meckel.

Diagnosi differenziale

Con l’ulcera peptica, l’invaginazione e il volvolo: in queste tre patologie è sempre presente una
sintomatologia dolorosa. In assenza di dolore la diagnosi differenziale è con i polipi intestinali, i
tumori, e le malformazioni arterovenose.

Trattamento

Si ricorre alla chirurgia in caso di diverticolite, ostruzione o sanguinamento. I diverticoli asintomatici


non richiedono trattamento chirurgico.

DOLORE ADDOMINALE NEL LATTANTE


Le cause di dolore addominale nel lattante sono rappresentate in ordine di frequenza da:

- Coliche;

- Stenosi ipertrofica del piloro (il sintomo più tipico è il vomito/nausea, anche se può essere
presente pure dolore);

- Volvolo (si presenta in seguito a malrotazioni intestinali, e oltre il picco di incidenza nel
lattante, si ha anche un picco nell’anziano tuttavia per condizioni di tipo neoplastico e non
malrotativo).

COLICHE
È una condizione molto frequente, In 1 caso su 6 vi è familiarità, e il picco d’incidenza è tra la quarta
e l’ottava settimana e risoluzione dopo il 3 mese. Secondo i criteri di Roma della Società Europea di
Gastroenterologia Pediatrica, si può parlare di coliche quando il bambino piange (almeno) per 3h al
giorno, per (almeno) 3 giorni a settimana, per (almeno) 3 settimane consecutive.

Le cause sono ad ora ignote:

- Per molto tempo si sono associate ad un eccesso di gas intestinale, condizione che potrebbe
essere legata all’assunzione di aria al momento della suzione della mammella, oppure al
passaggio troppo rapido del latte dal biberon alla bocca del bambino (orifizio della tettarella
del biberon troppo ampio). In realtà, in seguito a somministrazione di Simeticone, delle
gocce inassorbibili ed insapore che servono a frantumare le bolle d’aria eventualmente
ingerite, la condizione non ha subito miglioramenti, dimostrando che, probabilmente,
questa teoria non sia corretta.
- Una teoria molto accredita afferma che invece le coliche non siano altro che una variazione
gaussiana del pianto, infatti il pianto nei neonati è una condizione assolutamente fisiologica
e questi bambini sarebbero quelli che si collocano nell’estremità destra della curva, con alta
intensità e frequenza del pianto.

- Si correla con gradi maggiori di scolarizzazione della madre, essendo stato ipotizzato inoltre
che le coliche del neonato possano essere influenzate dalla presenza di problemi psicologici
nella madre, stress, ansia etc.

Clinica

Inizio della sintomatologia verso la 2a settimana con addome disteso o teso, meteorismo, cosce
flesse e pianto acuto2 (molto forte e vigoroso). Le crisi sono in genere serali.

Non sono presenti vomiti, né diarrea, né febbre, né perdita di peso. La crescita e lo sviluppo sono
normali. L’EO è normale. È fondamentale prestare attenzione allo stress familiare dovuto al pianto
continuo del lattante, che può condurre a situazioni gravi quali la Shaken Baby Syndrome, in cui il
bambino giunge all’attenzione clinica in coma perché uno dei genitori, sfinito ed esasperato,
comincia a scuotere il neonato causandogli gravi lesioni visibili esclusivamente alle indagini
strumentali (RMN); non si deve mai dimenticare di spiegare che la situazione è transitoria e che nel
giro di poche settimane il quadro di coliche rimetterà di solito poco dopo l’8a settimana.

Diagnosi differenziale

- Ragadi anali, in cui il pianto è evocato all’atto dell’evacuazione;

- Abrasioni corneali, dovute per esempio alla presenza di un ciglio che agisce da corpo
estraneo sclerocorneale; per rimuoverlo dall’occhio del neonato si deve utilizzare un cerotto
sterile e, tenendolo per la porzione della garza, utilizzare la parte collosa per farvi aderire il
ciglio.

- Spille da balia: mentre da noi è un evento inconsueto, negli Stati Uniti si usano pannolini
lavabili di cotone che sono bloccati tramite spille (ragioni ecologiste, riduzione della plastica
usa e getta nell’ambiente);

- Intolleranza al latte artificiale;

- Fratture, in particolare della clavicola, in genere secondaria a una complicanza del parto e
spesso sottodiagnostica. La diagnosi è soprattutto clinica e si fa con una serie di manovre:
alla palpazione, da un lato si percepirà normalmente la clavicola, dal lato opposto, quello
della frattura, non la si percepisce, per la presenza di un ematoma; valutare il riflesso di
Moro, che apparirà asimmetrico con mancanza di abduzione sul lato affetto;
successivamente, trainando il neonato per le braccine in posizione seduta, ci sarà
un’asimmetria, infatti, mentre da un lato si sorreggerà perfettamente, dall’altro lato tenderà
a cedere; ancora, quando lo si solleva in posizione ventrale, tenendo presente che il neonato
nasce con un ipertono flessorio, ci sarà un’asimmetria evidente tra i due arti (i segni obiettivi
ad eccezione della palpazione delle clavicole sono presenti anche nella paralisi di Erb,

2 In genere quando il pianto è molto forte e acuto di solito non si tratta di condizioni gravi: in genere il pianto
tende ad aggravare la sintomatologia dolorosa, come nel caso di otiti; facendo un paragone con la tosse del
neonato in corso di polmoniti, anche gravi, questa sarà leggera e lamentosa in ragione del dolore pleuritico che
si accentuerebbe con una tosse più vivace. Il bambino avrà piuttosto una facies sofferente manifestante
discomfort.
lesione del plesso brachiale avvenuta durante il parto). Non si effettua alcuna terapia,
ingessatura, o posizionamento di chiodi o tutori, perché nel neonato le fratture guariscono
molto velocemente, anche quelle scomposte; l’unico accorgimento deve essere avuto nel
disturbare il meno possibile il neonato per evitare di provocargli dolore.

- Hair Turniquettes: i capelli della mamma attorcigliati attorno ad alcune parti anatomiche del
lattante possono portare a situazioni di amputazione, di dita o persino pene.

- Ematomi, nel neonato sono perlopiù cefaloematomi, e possono essere dovuti a deficit dei
fattori della coagulazione quali l’F.VIII e l’F.IX.

- Ernie strozzate: valutare sempre la presenza di tumefazioni in sede inguinale.

- Infezioni (IVU, meningiti, gastroenteriti).

- Intussuscezione (vedi lezione precedente).

- Otite media, che si caratterizza per pianto lamentoso, con dolore e pianto che si presentano
nella posizione supina, mentre quando il bambino viene preso in braccio la sintomatologia
migliora per riduzione dell’afflusso ematico nella sede di infiammazione (il bambino può
sembrare viziato perché smette di piangere solo quando è in braccio). Fondamentale
valutare sempre la membrana timpanica ricordando che l’infezione si può presentare anche
senza febbre.

- Reazione a farmaci, in particolare decongestionanti nasali, come l’epinefrina, che possono


causare crisi ipertensive con emorragie cerebrali e non vanno mai usati in età pediatrica.

Terapia

- Anticolinergici (numerosi effetti collaterali).

- Simeticone (inutile, che si usa perlopiù perché in questa condizione spesso non si sa cosa
fare e i genitori si sentono confortati dall’intervento medico).

- Accorgimenti dietetici:

- Sostituzione con latte di soia o idrolizzati, spesso inutili, ma prestare attenzione al


fatto che l’allergia alle proteine del latte vaccino potrebbe simulare una colica. In questo
caso, però, i dolori non sono solo serali, sono inoltre presenti nausea e vomito,
manifestazioni orticariodi, asma fino allo shock anafilattico o, semplicemente, rifiuto
per il cibo;

- Esclusione del latte vaccino e dei derivati per la madre, legata alla teoria del “il latte
fa il latte”, che si pensa possa causare alterazioni del latte materno tali da determinare
o favorire la comparsa delle coliche.

- Tecniche varie di coccolamento come ad esempio il ciuccio, fare il sacchetto (cioè il


fagottino), fare un giro in auto, il rumore della lavatrice, dondolare il piccolo.

- Fondamentale rassicurare i genitori della durata limitata della patologia e dar loro dei time
out: evitare il rischio di maltrattamento del lattante (Shaken Baby Syndrome).
STENOSI IPERTROFICA DEL PILORO
È una condizione di interesse chirurgico, che riguarda 1/250 lattanti, soprattutto i maschi con un
rapporto M:F di 4:1. Tipicamente ha esordio verso la 3-5 settimana.

Eziopatogenesi

L’origine dell’ipertrofia della muscolatura pilorica è sconosciuta; si verifica un ispessimento della


mucosa pilorica che porta a riduzione della capacità di progressione del chimo. Si ipotizza che possa
essere secondaria ad un’infezione da Helicobacter Pylori, in quanto c’è una correlazione tra le aree a
maggior diffusione di questa infezione e la presenza di stenosi ipertrofica del piloro; o ancora si è
ipotizzata una correlazione all’uso durante la gravidanza di macrolidi, specie azitromicina e
claritromicina, che stimolano la peristalsi tramite l’aumento dei livelli di Motilina circolante. Si è
osservata una trasmissione genetica, soprattutto da madre a figlio maschio ed una maggiore
incidenza nei bambini che ricevono latte artificiale.

Clinica

Vomito occasionale che diviene sempre più frequente, fino a manifestarsi ad ogni pasto. Esso è di
tipo proiettivo, a getto, perché la muscolatura dello stomaco, per cercare di vincere l’ostruzione, si
ipertrofizza ed acquisisce importanti capacità contrattili, e non è (quasi) mai biliare, essendo
l’ostruzione tra stomaco e duodeno e non più a valle.

A causa del vomito, e quindi della perdita di idrogenioni, ioni cloro e potassio, sarà presente
un’alcalosi ipocloremica, per via della perdita di acido cloridrico tramite il vomito, associata a
ipokaliemia; sarà inoltre presente stipsi, per via del ridotto contenuto alimentare che riesce a
superare l’area stenotica, ed il bambino apparirà affamato, ma per il resto tutto sommato
presenterà un esame obiettivo tendenzialmente normale. Esiste la possibilità di osservare
disidratazione, che si manifesterà come ittero3.

Per quanto concerne l’esame obiettivo, esso è tendenzialmente normale. Il bambino, tuttavia, si
presenta affamato (diagnosi differenziale con patologie di tipo infiammatorio o vomito secondario a
masse endocraniche) ed è possibile riscontrare la presenza di segni di disidratazione, per la perdita
di liquidi, ed ittero: questo accade in ragione dell’aumentata circolazione enteroepatica che si
verifica a seguito di riduzione dell’assunzione di calorie e del volume di alimento da parte del
bambino. La curva di crescita sarà piatta o addirittura negativa.

Potremmo anche osservare delle onde peristaltiche e antiperistaltiche nel quadrante superiore
sinistro dopo i pasti per via della riduzione del trofismo dei tessuti cutanei, a testimonianza di come
la mucosa gastrica eserciti una contrazione notevole per superare l’ostruzione a livello pilorico. È
inoltre possibile palpare “l’oliva” a destra del muscolo retto dell’addome: per palparla può essere
utile, oltre che, ovviamente, l’esperienza, lubrificare il dito e distendere il tratto coinvolto con un
sondino naso-gastrico; tuttavia ormai per la diagnosi si usa quasi esclusivamente l’ecografia.

Diagnosi differenziale

3 L’ittero protratto è spesso una condizione conseguenza della disidratazione, che si può osservare anche
nell’ittero da latte materno: in questa situazione il latte materno è insufficiente e si manifesterà una
disidratazione ipertonica; in condizioni obbiettive di latte insufficiente è importante sempre supportare
l’alimentazione del bambino con latte vaccino e varie formule. Se non trattato, col tempo il bambino tenderà a
smettere di lamentarsi per la fame e apparirà denutrito. Ricordare inoltre che la mammella va svuotata
quando si alimenta il neonato con latte artificiale, altrimenti si favorirà un feedback negativo sulla produzione
del latte a livello degli acini mammari per riduzione della secrezione di prolattina
- Volvolo, in cui il deterioramento delle condizioni generali di salute è più rapido (ore, a fronte
di giorni); il vomito è biliare e potrebbero esserci anche tracce di sangue. Può essere insorta
come complicanza una sepsi, a seguito di emorragie e necrosi.

- Ernia strozzata, rara nel lattante.

- Invaginazione, frequente in periodi diversi da quello della stenosi ipertrofica del piloro.

- Gastroenterite virale che, tuttavia, è rara sotto le sei settimane ed è causa di diarrea;

- Reflusso gastroesofageo, principale patologia con cui fare diagnosi differenziale; è una
condizione molto più frequente della stenosi, in cui il vomito, di quantità scarsa, è presente
sia prima che dopo il pasto; inoltre, non è proiettivo ed infatti si tratta perlopiù di rigurgiti.
Bisogna sottolineare che il rigurgito, entro certi limiti, è fisiologico nei lattanti, per esempio
perché non hanno effettuato l’eruttazione in seguito al pasto, o hanno ingurgitato troppo
velocemente il latte. Tuttavia, le madri tendono ad allarmarsi poiché confondono i rigurgiti
con il vomito. In caso di rigurgito, non vi sono infatti alterazioni della curva di crescita, poiché
l’entità non è tale da compromettere l’assorbimento delle sostanze necessarie per la crescita
del bambino. Solo nel momento in cui dovessero essere presenti difetti della crescita,
potremmo iniziare a pensare che il rigurgito non sia più un evento fisiologico ma legato ad
una patologia, e si possa quindi parlare di malattia da reflusso gastroesofageo.

- Intolleranza al latte e al lattosio;

- Infezioni, soprattutto UTI (infezioni del tratto urinario), per cui bisogna fare sempre l’esame
delle urine;

- Masse endocraniche, in cui il vomito è principalmente al momento del risveglio.

Diagnosi strumentale

Se non si è riusciti ad individuare il segno dell’oliva alla palpazione, si effettua un’ecografia


addominale che risulta diagnostica se mostra un aumentato spessore pilorico (tipicamente ≥ 4 mm;
normale < 2 mm) con un piloro allungato (> 14-16 mm). L’ecografia presenta, tramite questi criteri,
una sensibilità e specificità prossime al 100%. Ci possono essere dei falsi positivi se sono presenti
degli spasmi a livello pilorico.

Se la diagnosi resta dubbia, si può ricorrere a uno studio RX con m.d.c. (Gastrografìn) del tratto
gastrointestinale alto, che mostra un tipico ritardo dello svuotamento gastrico che provoca il segno
della stringa, mentre il muscolo ipertrofico che sporge nel canale gastrico provocherà il segno del
becco. Possiamo inoltre visualizzare il segno del bersaglio (già visto in precedenza per l’invaginazione
e l’appendicite) in sede alta, appena sotto l’ipocondrio, e di dimensioni piccole rispetto agli esempi
tra parentesi.

Terapia

Prevede la reidratazione del bambino, la correzione delle alterazioni elettroliche e acido-base.

In caso di necessità si effettua la pilorotomia extramucosa, mentre, in Giappone, si utilizza


l’atropina fino a risoluzione del quadro patologico.
VOLVOLO
Definizione

Il volvolo è una malrotazione di un’ansa intestinale con conseguente torsione lungo l’asse
mesenterico che porta a riduzione dell’afflusso prima venoso e poi arterioso, fino a condurre ad
ischemia.

Nulla a che vedere con le malrotazioni (la rotazione delle anse intestinali avviene durante la vita
intrauterina), condizione che può essere associata a patologie congenite alla cui base vi sono
alterazioni della struttura e/o della funzione delle ciglia, come nella Sindrome di Kartagener,
caratterizzata clinicamente da Situs Viscerum Inversus.

Epidemiologia

Si osserva un picco d’incidenza verso il 1 mese, ma rimane una condizione sempre possibile, specie
in forma di volvoli transitori, con molte meno conseguenze cliniche. Anche in questo caso è più
frequente nei maschietti, con un rapporto di 2:1 rispetto alle femmine.

Clinica

Il volvolo si può manifestare in tre modi diversi:

1. Nei neonati, con occlusione intestinale ed improvviso vomito biliare e dolore. Il vomito
biliare (giallo) soprattutto nel neonato, è sempre una condizione d’emergenza: va sempre
considerato segno di ostruzione intestinale fino a prova contraria.

2. Più gradatamente, con una storia di difficoltà alimentari del piccolo e vomito biliare non,
apparentemente, da ostruzione, poiché si instaura e si risolve, che corrisponde alla forma
transitoria già citata (diagnosi differenziale con il vomito ciclico acetonemico).

3. Condizione più rara tra le tre, si caratterizza per un difetto di crescita secondario a
un’intolleranza alimentare.

All’esame obiettivo osserveremo un addome più o meno disteso, a seconda del livello in cui si è
verificato il volvolo. Il dolore è di tipo continuo.

La parete addominale nelle fasi tardive assume una colorazione bluastra se è presente ischemia o
necrosi. Vi è anche la possibilità di osservare una colorazione cutanea itterica e la presenza di
ematochezia, anche queste condizioni tardive.

Diagnosi differenziale

- Gastroenterite, quando ancora il volvolo non dà come sintomo il vomito biliare; inoltre nel
neonato non si verifica praticamente mai;

- Stenosi pilorica, in cui il vomito non è biliare, inoltre il bambino presenta condizioni generali
migliori;

- Ernia strozzata, che dovrebbe essere visibile;

- Atresia del duodeno o dell’ileo, in cui si ha una sintomatologia simile ma più precoce,
persino in epoca prenatale tramite il “segno della doppia bolla” visibile tramite indagini
ecografiche;

- Enterocolite necrotizzante, che si osserva essenzialmente nei prematuri;


- Iperplasia corticosurrenale congenita, in cui si ha il deficit dell’enzima 21-idrossilasi che,
nelle forme in cui è completamente carente (insufficienza surrenalica), causa una perdita di
sali con vomito biliare, senza che vi sia effettivamente un’ostruzione anatomica. In Sardegna
è diffusa una particolare mutazione del gene responsabile del deficit di questo enzima che
causa questa patologia.

- Morbo di Hirschsprung che, in genere, esordisce subito dopo la nascita, con l'ostruzione del
tratto gastrointestinale inferiore, per la mancata evacuazione del meconio nelle prime 48
ore di vita, con dolore addominale, stipsi, progressiva distensione addominale, vomito e
talvolta diarrea.

Diagnosi strumentale

All’ RX diretta dell’addome si osserva il double bouble sign, in cui una delle due bolle è quella dello
stomaco e l’altra è quella data dall’occlusione; inoltre si osserva l’assenza d’aria nelle restanti parti
poiché vi è l’ostruzione.

Terapia

Il volvolo rappresenta una condizione di urgenza chirurgica. Si effettua una decompressione con
sondino che permette di ridurre la dilatazione dell’ansa che è alla base dei fenomeni ischemici, e si
somministrano antibiotici.
INFEZIONI TERATOGENE: IL T.O.R.C.H.
I difetti congeniti possono essere dovuti a diverse cause tra cui infezioni (2%), fattori sconosciuti (che
peraltro sono una grossa quota), difetti citogenetici, fattori metabolici, danni da parto, farmaci e
tossici, difetti citogenetici (essenzialmente si tratta di trisomie, specie 13 e 18).

Per quanto riguarda le infezioni ricordiamo l’acronimo:

- T = Toxoplasmosi.

- O = Others, da considerare principalmente varicella e parvovirus b19. La varicella è stata a


lungo in dubbio se fosse una malattia teratogena o meno e si è risolto negli ultimi anni
affermativamente anche se la frequenza con cui provoca danni arriva circa al 2%. (Comprese
in questo gruppo si hanno anche Sifilide, HIV e Coxsackievirus).

- R = Rosolia infezione teratogena per antonomasia, quando infetta il feto si ha tra il 70-80% di
rischio di danno teratogeno.

- C = Citomegalovirus è un po’ negletto nel senso che è un’infezione che anche dal legislatore
è stata considerata meno importante - la legge Bindi infatti, che ha messo un po’ di ordine
nell’assistenza alla maternità - non include gratuitamente il test per il CMV tra quelli
garantiti dal Sistema Sanitario Nazionale. Molti medici pertanto, essendo l’esame a
pagamento per la paziente, non lo prescrivono. In realtà, in termini di frequenza e impatto
sociale, è la più importante.

- H = Herpes virus, ha un rischio teratogeno poco superiore a quello dell’influenza.

Durante le prime due settimane, in cui si ha la divisione dello zigote, l’impianto e la gastrulazione,
non c’è suscettibilità agli agenti teratogeni, infatti qualunque di questi agisca in questo periodo
esercita l’effetto del tutto o niente, si ha la perdita dell’embrione o nessun effetto e la gravidanza
prosegue.
I danni maggiori si possono verificare tra la 3° e l’8° settimana durante le quali si sviluppano una
serie di organi tra cui: SNC, occhio, orecchio, palato, cuore, arti superiori e inferiori etc. Questo è il
periodo di massima suscettibilità. Ciò vale per qualsiasi insulto potenzialmente teratogeno, non solo
per le infezioni, quindi, ad esempio anche radiazioni o farmaci.

Nelle settimane successive possono comparire difetti minori, non di tipo anatomico ma di tipo
funzionale, a carico del SNC, perdita di udito o vista, e sono difetti non visibili all’ecografia. La
teratogenesi quindi può verificarsi circa fino al terzo mese, ma con conseguenze progressivamente
meno gravi all’andare avanti dell’epoca gestazionale in cui si verifica l’infezione.

TOXOPLASMOSI
È l’unica malattia di questo gruppo ad essere dovuta ad un protozoo, il Toxoplasma gondii.

Generalmente è un’infezione che nell’individuo immunocompetente decorre in maniera


asintomatica o con modesti sintomi quali: adenopatia (specie laterocervicale e/o sottomandibolare)
accompagnata da sintomi generali come astenia e febbricola che perdurano per circa due mesi.

È una malattia endemica. Il 50% dei giovani adulti ha già contratto l’infezione; in gravidanza c’è un
tasso di conversione del 2-16‰. Si verificano circa 600 casi all’anno.

La diagnosi è sierologica (anticorpale, che si positivizza con una certa latenza, e molecolare, utile
invece per una diagnosi più precoce). Le IgG e le IgM impiegano inoltre molto tempo per
negativizzarsi.

Il contagio avviene principalmente tramite ingestione di carne infetta cruda o poco cotta (compresi
insaccati). È conosciuta peraltro come malattia del gatto, sebbene in realtà solo raramente la
trasmissione possa avvenire tramite questi animali quando domestici. Il gatto pericoloso è il gatto
che caccia topi perché il ciclo si completa tra topi e uccelli: molte persone che, avendo il gatto in
casa, pensano di essere immuni, in realtà sono anergiche. Quando il gatto si infetta libera le oocisti
con le feci solo per un periodo limitato di tempo, con un massimo di 21 giorni di infestazione
dell’animale: non è quindi necessario allontanarlo, ma basta adottare un minimo di precauzioni nel
cambiare la lettiera (cioè farla cambiare a un’altra persona non gravida). Il contagio non avviene solo
ingerendo carne di maiale ma è a rischio tutta la carne proveniente da animali che pascolano e
brucano dove ha defecato un gatto affetto quindi vacche, capre, pecore. Il pollo di allevamento è in
genere esente dal contagio mentre il pollo ruspante può accadere che si infetti. Le oocisti
nell’animale infetto si distribuiscono in tutto il corpo, soprattutto nei muscoli e nel cervello. Sono a
rischio anche le verdure contaminate dalle feci infette, sia a rischio per gli animali che per l’uomo,
che rappresenta un ospite intermedio del parassita.

Fattori Di Rischio

Ingestione di carne cruda o poco cotta: la temperatura che inattiva la oocisti del toxoplasma è
superiore a 68°C mantenuta per più di mezz’ora!

- Rischio moderato se c’è contatto con la terra;

- Manipolazione a mani nude di carni;

- Consumo di vegetali crudi non ben lavati;

- Contatto con feci di animale non domestico;


- Il latte non pastorizzato;

- Viaggi in Paesi poco sviluppati.

Per quanto riguarda insaccati come mortadella e prosciutto cotto, il rischio si presenta se vengono
affettati nella stessa affettatrice usata per prosciutto crudo. Una precauzione è porre gli alimenti a
rischio in freezer per 24h in modo da neutralizzare il microorganismo.

Diagnosi

Presentano una sintomatologia solo il 5% delle gestanti con: mialgia, l’esantema si verifica
raramente, potendo dare una sindrome simil-mononucleosica. Se trovate una linfomonocitosi in un
quadro di linfadenopatia, splenomegalia, senza tonsillite si può pensare, più che alla mononucleosi,
alla toxoplasmosi.

La diagnosi è sierologica si fa dosando le IgG e le IgM e le IgA (queste ultime si usano molto meno) e
la avidità delle IgG, questo è il test di più recente introduzione, su cui ci basiamo per decidere se
l’infezione è più o meno recente. Eventualmente si può fare la PCR che ci dice solo se il parassita si
trova in circolo in quel momento ma non ci dà informazioni circa il tempo trascorso dall’infezione
primaria.

Profilo sierologico: per prima cosa


abbiamo l’aumento delle IgM
seguite da IgA e IgG. È importante
valutare la curva dell’avidity che
quando è elevata si ritiene si possa
retrodatare l’infezione di almeno 6
mesi.

La toxoplasmosi è una malattia ad


elevata inerzia per quanto riguarda
la montata della risposta
anticorpale. Se troviamo IgG e IgM
(insieme) positive possiamo dire
che l’infezione è abbastanza
retrodatabile, oppure se trovo un titolo IgA elevato, ad esempio nel primo trimestre, posso quasi
essere sicuro che sia antecedente alla gravidanza. C’è comunque una certa variabilità individuale
nella velocità di produzione di anticorpi o nello switch isotipico. Questo l’abbiamo sperimentato
soprattutto nelle infezioni virali: qualche persona monta una risposta anticorpale rapidamente e ha,
magari, già un’avidità anticorpale alta dopo solo due mesi. Il declino delle IgM è talmente lento, nella
siero conversione per Toxoplasmosi, che trovare le IgM non è sintomo di infezione recente (discorso
analogo in seguito a contrazione della rosolia o a relativa vaccinazione). Possono essere positive fino
a un anno o anche due dopo l’infezione.

L’avidità sostanzialmente misura l’affinità dell’anticorpo per un antigene: si basa sul principio per cui
i primi anticorpi prodotti non hanno un’affinità di legame elevata, essendo anticorpi preesistenti.
Ognuno ha un set di linfociti B, ognuno con un anticorpo, tale per cui è coperta la quasi totalità degli
antigeni cui possiamo essere esposti. Quest’anticorpo “primitivo” non è preciso, si lega ma non ha
un’affinità di legame elevato. Quel linfocita che produce l’anticorpo viene attivato e durante questa
attivazione avvengono mutazioni somatiche per cui gli anticorpi si modificano e diventano via via più
attivi, i cloni meno attivi si estinguono e i cloni invece più attivi vengono perpetuati. Il test della
avidità è basato su una doppia determinazione del titolo: si fa una prima determinazione dopodiché
si sottopone la soluzione in cui è presente il complesso antigene-anticorpo ad un trattamento con un
agente denaturante che favorisce il distacco dell’anticorpo, soprattutto se questo è poco affine,
generalmente si usa l’urea a concentrazione 6 M. Si rivaluta poi la percentuale di anticorpo che è
rimasto (es: 20% di anticorpi residui, 80% di anticorpi residui). Ogni laboratorio ha il proprio test e
questi non sono confrontabili tra di loro. Maggiore è l’affinità e più tempo si stima sia passato dalla
primoinfezione.

Abbiamo una serie di opzioni:

- IgG-, IgM-, individuo sieronegativo;

- IgG+ (≤200 UI-Unità Internazionali), IgM-, infezione precedente alla gravidanza;

- IgG+, IgM+, IgA+, IgG avidity >15% infezione acuta;

- IgG+ (>300 UI), IgM+, IgA- (le IgA si negativizzano un po’ prima delle IgM) probabile infezione
recente;

- IgG+ (<300 UI), IgM+, IgA-, portatore cronico di IgM;

- IgG+ (>300 UI), IgM-, IgA-, IgG avidity >30% probabile reinfezione, normalmente non dà un
titolo elevato di IgM ma da un titolo molto elevato delle IgG rispetto alla prima infezione, è
bene documentare questo incremento del titolo sempre a distanza di due settimane;

- IgG-, IgM+, IgA- natural IgM, situazione simile a quella che si verifica per le emoagglutinine
naturali. Si ritiene che ci siano nel nostro intestino, una grandissima quantità di germi, circa
2kg, tra questi c’ è qualcuno che ha sulla superficie degli antigeni simili e quindi cross-reattivi
con il gruppo A o B. Vale anche per la toxoplasmosi, ci deve essere qualche germe che ha
cross-reattività crociata con antigeni simili producendo IgM e non IgG.

Importante fare delle analisi prima di avere una gravidanza, come anche è importante l’assunzione
di acido folico in tutte le donne in età fertile che vogliono intraprendere una gravidanza, poiché
previene il 70% dei difetti di chiusura del tubo neurale, ma anche il 30-40% di altri difetti. In Italia nel
97% dei casi lo prendono dopo che hanno scoperto di essere in gravidanza.

Questi sono i valori di avidità del Sacro Cuore di Roma relativamente al test di affinità anticorpale:

• <15 infezione primaria meno di 5 mesi avidità bassa;

• 15-25 avidità intermedia, infezione da più di sei mesi;

• >25 avidità alta infezione retrodatabile ben oltre sei mesi.

Esiti dell’infezione in gravidanza

- Gravi: aborto, morte fetale precoce o successiva, una sintomatologia seria o meno seria;
quando c’è almeno la corioretinite e le calcificazioni intracraniche consideriamo il quadro
grave e si possono accompagnare, difetti neurologici, convulsioni e ritardo mentale,
possibilità di idrocefalo, ventricolomegalia, segni sistemici di setticemia. L’evoluzione in
idrocefalo con macrocefalia è una condizione frequente nella toxoplasmosi mentre la
microcefalia è più frequente nell’infezione da CMV con danno di tipo necrotico.
- Lieve: apparentemente normale nel periodo neonatale e nel seguente sviluppo
neuromotorio, con presenza di cicatrici retiniche o calcificazioni intracraniche al follow-up,
una delle manifestazioni è una forma di epilessia tardiva che si può ascrivere alla
toxoplasmosi.

- Nessuna manifestazione alla nascita e al follow-up, è forse la condizione più frequente


questo perché è l’unica per la quale esiste una cura. Non sono curabili rosolia, infezione da
CMV e tutte le altre infezioni virali.

Non ci sono specificità delle lesioni tali per cui si possa fare diagnosi eziologica: le varie lesioni sono
quindi identiche qualunque sia il tipo di agente infettivo a provocarle.

Paralisi cerebrale: un bambino con paralisi spastica con persistenza del riflesso di Moro oltre 3-4
mesi di vita, cioè il riflesso di abduzione e successiva adduzione degli arti superiori e inferiori che si
evoca lasciando cadere la testa del bambino e bloccandolo successivamente; Se è assente nei primi
mesi è un segno di paralisi cerebrale, la persistenza dopo il quarto mese è comunque, ulteriormente,
un segno di paralisi cerebrale. Anche la difficoltà del bambino di estendere le dita da un lato, o le
estende in maniera asimmetrica, può essere dovuto alla presenza di una paralisi cerebrale infantile.

Ruolo della placenta

La placenta è l’organo fondamentale nell’impedire il passaggio del toxoplasma al versante embrio-


fetale; essa ha una elevata capacità di barriera nei primi mesi di vita intrauterina del bambino, a
fronte di una perdita progressiva di questa capacità fino agli ultimi 3 mesi di gestazione. È appunto
l’ultimo trimestre il periodo in cui è più probabile il contagio fetale.

Possono essere riscontrati anche segni ecografici prenatali ad indicare infezione placentare:
- Aumento di spessore della placenta;

- Aree di calcificazione o necrosi placentare, la placenta è sia un organo barriera sia un organo
serbatoio perché è il luogo in cui si replica il protozoo e in cui questo persiste più a lungo.

Nella diagnosi di infezione fetale non si fa la villocentesi ma si preleva il liquido amniotico perché
nella placenta è facile che ci sia l’infezione ma questo non vuol dire che sia infetto anche il feto:
- infezione placentare ma neonati non infetti (8%);

- placenta non infetta ma neonati infetti (27%). L’effetto filtro della placenta a volte funziona
a volte no.

A fronte del fatto che una placenta dall’aspetto ecografico sano nel primo trimestre non implica un
feto altrettanto sano, e considerato che i maggiori rilievi ecografici di teratogenesi (idrocefalia,
splenomegalia, epatomegalia…) si riscontrano oltre il termine utile per l’IVG o Aborto Terapeutico,
risulta impossibile intervenire tramite aborto per impedire la nascita di un figlio con deformità, si
rivela particolarmente utile il monitoraggio sierologico nel primo trimestre di gravidanza, periodo in
cui la placenta è meno incline a permettere il passaggio degli agenti infettivi ma dove si ha un
elevato rischio teratogenico qualora questi riuscissero ad attraversarla. In tal modo, un intervento
tempestivo tramite aborto terapeutico risulterà ancora possibile.

In generale nel corso della gravidanza aumenterà progressivamente il rischio che il feto vada
incontro ad infezione transplacentare da toxoplasmosi, ma al contempo si ridurranno i rischi
teratogenetici dovuti a quell’infezione.
Relativamente ad un’infezione ignota, nel primo periodo c’è il 2% di rischio di infezione ma se si
infetta c’è il 100% di rischio fetale. Fanno eccezione il CMV, che ha tasso di incidenza di infezione
transplacentare costante attorno al 40% durante tutto il decorso della gravidanza, e la Rosolia, che
presenta elevato rischio teratogenetico ed elevato rischio infettivo nel primo trimestre con
progressiva decrescita di entrambi al passare dei mesi di gestazione.

Terapia

A seconda della sierologia si orienta la terapia. Sempre utile conoscere il proprio stato sierologico
ToRCH prima di intraprendere una gravidanza. Con IgM positive si deve iniziare la terapia, con il
farmaco che è meno tossico, cioè la spiramicina.

Nella probabile infezione attiva si fa un’ecografia e un counseling genetico, si predispone anche per
l’amniocentesi per verificare la presenza del protozoo sul liquido amniotico che in passato, per la
diagnosi, si inoculava nella cavia, attualmente viene studiato tramite PCR in quanto le metodiche di
sequenziamento del DNA sono dotate di una maggiore sensibilità e specificità.

Si segue nel tempo e ci sarà un cambiamento di terapia da fare dopo la XVIII settimana. Importante
che trascorra un certo tempo dal momento in cui si stima sia avvenuta l’infezione e il momento in
cui si fa la diagnosi prenatale, in quanto la presenza del protozoo nel liquido amniotico è influenzata
dalla maturità del rene fetale e pertanto dalla capacità produrre l’urina, formante parte del liquido
amniotico, in questo caso contenente il protozoo, escreto anch’esso per via renale.

Riguardo il valore predittivo positivo del test con PCR su liquido amniotico:

- Sotto le sei settimane la percentuale di infetti è 0. Si attende infatti almeno tre mesi prima di
fare il test.

- Per quanto concerne la specificità e la sensibilità del test tramite PCR sul liquido amniotico si
può dire che, si ha una elevata specificità e una scarsissima sensibilità se si fa il test nelle
prime 7 settimane, proprio per via del suddetto tempo di attesa. La sensibilità cresce man
mano che il rene fetale matura.

- Tra le 7 e le 11 settimane la percentuale degli infetti diagnosticati è del 14%.

- Tra la XVII e la XXI settimana è il periodo in cui è maggiormente conveniente effettuare la


diagnosi. Anche per quanto riguarda il CMV, questo si studia attorno alla XX settimana,
riducendo la quota di falsi negativi.

Nel caso di neonato infetto si fa una valutazione clinica, si fa valutare dall’oftalmologo pediatra e dal
neurologo pediatra, si fa la TC-cranio senza m.d.c.; tutte queste malattie possono dare
visceromegalia e sindrome mononucleosica con piastrinopenia, quindi si effettua l’emocromo; si
valuta la positività IgG e IgM, le transaminasi e si fa la ricerca dell’agente infettivo tramite PCR su
sangue e liquor.

Importante, nella valutazione del neonato, confrontare con la sierologia materna, in quanto le IgG le
ha acquisite dalla madre, e pertanto dovrebbe presentare le stesse caratteristiche seppur con una
affinità inferiore. Questo aiuta nel caso meno frequente di negativizzazione precoce delle IgM.

La spiramicina è il farmaco di elezione: si tratta di un macrolide, il cui uso principale è appunto nel
trattamento della toxoplasmosi (uso secondario è in odontoiatria in quanto si concentra nella saliva).
Nel caso di diagnosi sierologica prima della XVIII settimana, lo si assume fino alla conferma o meno
della diagnosi sul liquido amniotico.
Qualora la diagnosi fosse confermata si utilizzano altri farmaci, che non vengono usati prima nella
diagnosi solo presunta di infezione da Toxoplasma, costituiti da pirimetamina-sulfadiazina (cioè
pirimetamina più sulfamidico) da non utilizzare prima perché anti-folici e quindi potenziali agenti
causali di difetti del tubo neurale (e non solo!). Nel caso di effettuazione della suddetta terapia, la
madre deve essere supplementata con acido folinico, cioè nella forma attiva dell’acido folico.

Ultimamente c’è una tendenza ad anticipare la diagnosi dell’infezione fetale, anche a partire dalla
XVI settimana, pur continuando la spiramicina. La spiramicina si concentra nella placenta ma è poco
attiva nel feto: in sostanza impedisce la trasmissione dalla madre al feto.

In caso di terapia adeguata si ha risoluzione nel 99% dei casi, con un 1% di forma sub-clinica con
calcificazioni e qualche cicatrice corioretinica come manifestazioni minori. Il rischio comunque non si
può mai escludere. Nel caso di terapia inadeguata si ha il 9% di sintomatici e il 2,7% di subclinici.

La pirimetamina è attiva sia sul protozoo nel sangue materno sia su quello che abbia attraversato la
placenta. La combinazione con il sulfamidico è più efficace di circa 8 volte.

La pirimetamina e la sulfadiazina, con corticosteroidi in caso di iperproteinorrachia superiore a 1


g/dl, o di corioretinite particolarmente aggressiva, vanno somministrate per un anno al neonato.
Terapia Toxoplasmosi acuta

Terapia donna gravida


pirimetamina sulfadiazina folinico
50 mg die per 2 v 100mg/kg/die in 2 5-20mg/ die
per 2gg, poi dosi, max 3gr/die
50mg/die
In tabella è riportata la terapia gravida per la toxoplasmosi acuta. La terapia è specifica, si può fare solo a
partire dalla diciottesima settimana per evitare l’effetto teratogeno dell’azione antifolica di queste due
sostanze, che agiscono sulla tetraidrofolato reduttasi, inibendo due tappe, per cui non si forma nessun
tetraidrofolico. Non è ben tollerata dalle donne gravide, provoca nausea e altre problematiche, però impedisce
l’infezione fetale con la maggior efficacia.
Nella seconda tabella invece è riportata la terapia del neonato:
Terapia del neonato
pirimetamina sulfadiazina folinico
2 mg/kg/die per 2 gg, poi 1 100mg/kg/die in 2 5-20mg/ die per 1
mg/kg/die per 2-6 mesi, poi 3 dosi, max 3gr/die anno
gg/sett. L/M/V fino all’anno per 1 anno
Per evitare il rischio cecità da corioretinite attiva o in caso di Iperproteinorachia >1gr/dl, è opportuno
aggiungere corticosteroidi (prednisone)1 mg/kg/die in 2 dosi, fino a normorachia o risoluzione della
corioretinite. Si aggiunge anche il folato, perché previene i danni sul neonato e non è utilizzato dal protozoo,
che utilizza solo quello sintetizzato dalla sua cellula.

CMV
Il Citomegalovirus è un virus ad azione teratogena con effetto citopatico sulle cellule, che in coltura
assumeranno un aspetto definito a occhio di civetta, per la presenza di caratteristici corpi inclusi.Il virus
appartiene alla famiglia dell'Herpes virus, insieme all’herpes zoster, Epstein barr e Herpes Simplex. È un virus a
DNA, con capside icosaedrico. In questo grafico possiamo osservare la consapevolezza del rischio associato a
questa infezione negli Stati Uniti, paragonabile alla situazione italiana. Solo il 22% delle donne sono allertate
per l'infezione da CMV, un dato che fa riflettere se paragonato all'HIV 98%, alla morte in culla 94% (SIDS) per
cui ricordiamo è raccomandato disporre il neonato in posizione supina, alla Sindrome FAS (83%, anche da
piccole quantità da alcol) o alla Spina bifida (76%), per cui è molto importante l’assunzione di acido folico prima
del concepimento. Paradossalmente, nonostante i danni maggiori teratogeni siano dati proprio dal CMV (molto
vicina ai danni da alcol), anche i test pre concezionali non includono CMV nella ricerca sierologica.
L'impatto sociale è molto alto come vediamo in questa immagine: nonostante però i danni da HIV siano molti
meno per anno (200 casi da dati americani), contro i 5.500 da CMV, l’attenzione sui danni causati da CMV è
molto inferiore rispetto ai danni provocati dall’HIV.

Modalità di contagio in gravidanza


Il virus è presente in tutti i fluidi corporei: sangue, saliva, liquido seminale, secrezioni vaginali e latte. Non
sempre si è contagiosi, l'adulto è contagioso per un periodo limitato, il bambino che lo contrae nell'utero
continua a essere contagioso per anni, eliminando il virus con le urine. Il contagio di un genitore di un bambino
affetto avviene in 1 caso su 5 entro un anno, ed esiste il contagio per via sessuale. L'infezione è perlopiù
asintomatica, a volte si presenta con sintomi simil influenzali. Uno dei sintomi che sono riportati con maggior
frequenza è una cefalea molto intensa e protratta.
In una donna con sierologia positiva, bisogna chiedere se ha avuto nei 20 giorni precedenti cefalea importante.
Si assiste inoltre a un aumento di transaminasi di grado moderato. Come si può ridurre il rischio di contrarre
l'infezione da CMV?
Solitamente queste informazioni vengono fornite alle donne che frequentano i corsi pre parto, e alla prima
visita ginecologica. Lavare frequentemente le mani (regola universale), sopratutto dopo aver cambiato
pannolino, dopo aver pulito saliva e naso del bambino e dopo aver toccato i giocattoli, in quanto quasi tutti i
virus hanno un involucro lipoproteico che è altamente sensibile al sapone. È Importante inoltre non
condividere oggetti vari come piatti,bicchieri, tovaglioli, spazzolini ecc, e disinfettare giocattoli e ogni cosa
possa essere entrata a contatto con urine o saliva del bambino.

Epidemiologia

INFEZIONE PRIMARIA
Il 2.0 - 2.5% (range 0.47-12.9%) delle donne contraggono il virus in gravidanza. Questo dato è variabile in base
allo stato socioeconomico, in quanto nei paesi in via di sviluppo frequentemente l’infezione viene contratta
precocemente durante l’infanzia.
• 0.7% (STATO SOCIO-ECONOMICO BASSO)
• 4% (STATO SOCIO-ECONOMICO ELEVATO)
La trasmissione al feto avviene nel 30% dei casi (range 15 - 50%), ma non i tutti i casi di trasmissione si avrà un
effetto teratogeno.

REINFEZIONE/RIATTIVAZIONE
5 -15%
TRASMISSIONE : 0.15 - 1%
In caso di reinfezione (esistono vari ceppi di CMV) o riattivazione il rischio di trasmissione è molto minore.
Possiamo avere tre tipi di trasmissione:
1. trasmissione verticale (transplacentare)
• prima infezione 30 - 50%
• reinfezioni/riattivazioni materne 0.2 - 2%
2. Trasmissione connatale 57%
(donne con colture cervicali +)
3. Trasmissione perinatale 63%
(Infezione attiva materna)
In caso di trasmissione connatale l’infezione è molto rapida, per cui è importantissimo nelle donne che hanno
contratto il virus durante la gravidanza controllare il primo giorno se c'è stata infezione, in caso contrario,
riscontrando l’infezione nel neonato dopo una settimana, non possiamo dire se l’ha contratto nel passaggio del
canale del parto o prima. La sintomatologia nel neonato che contrae l’infezione dopo il parto è simile a quella
dell’adulto, prevalentemente sintomi simil influenzali molto lievi o asintomatica e non è assolutamente
teratogeno.

Conseguenze dell’infezione embrio-fetale


• Aborto
• Morte endouterina
• Embriopatia malformativa: il virus ha infatti un effetto teratogeno, le cui manifestazioni principali sono
la microcefalia (molto piu frequente nell’infezione da CMV che nella toxoplasmosi, caratterizzata da
idrocefalo), Anomalie cardio-vascolari, gastroenteriche, microftalmia, corioretinite, atrofia del nervo
ottico, sordità e iposviluppo. Si può assistere alla scomparsa dei solchi cerebrali, emorragie e
calcificazioni cerebrali (segno anche dell’embriopatia da toxoplasma).
• Fetopatia generalizzata: conseguenze di tipo sistemico nel neonato e nel feto sono ittero, alterazioni
ematologiche, sopratutto leucopenia, anemia e piastrinopenia, ingrossamento dei visceri addominali,
polmonite, encefalite e scarso sviluppo cerebrale con iposviluppo somatico.
• Si può avere un bambino apparentemente sano che poi può manifestare tardivamente un deficit di tipo
cognitivo o uditivo nel 10-15% dei casi (ipoacusia, retinopatia o ritardo mentale)
• Neonato sano: è comunque più frequente che il neonato sia sano nonostante l’infezione.

A seguito d’infezione materna il rischio di sequele con danni neurologici importanti nel neonato è dell’8%.
Il rischio generico di danni malformativi è del 3%, quindi si tratta di un rischio quasi triplicato.
i sintomi neonatali sono:
• rari dopo reinfezione o riattivazione (<1%)
• 2-10% nel caso d’infezione primaria, si osserva principalmente microcefalia, corio retinite (simile a
quella provocata dalla toxoplasmosi) e poliviscerite
• 20% mortalità neonatale
• 90% sopravvissuti con sequele tardive

Diagnosi

La diagnosi si fa in base ai dati sierologici,


igG, igM e igA, in base alla clinica, agli
esami di laboratorio che possono
evidenziare la presenza del virus nelle
urine (urinocoltura e tampone vaginale),
e soprattutto con la PCR sul sangue
materno ( tecnica molto più utilizzata) e
urinaria. Il microcitemico di Cagliari è
stato tra i primi ospedali a svilupparla e a
renderla disponibile in tutta la Sardegna,
dove si è creato un team di biologi molecolari e pediatri. La PCR ha velocizzato molto le diagnosi, anche se agli
inizi tutte le potenzialità non erano state molto sfruttate inizialmente. Per la diagnosi sierologica si cerca
l’aumento delle IgM e delle IgG e si valuta l’avidità, che segue la crescita delle IgG e ci da una misura del tempo
trascorso dal momento della prima infezione.
Le infezioni secondarie sono invece rilevate da un piccolo aumento di IgM poco pronunciato, non intenso come
nella prima infezione, e un picco di IgG contemporaneo talvolta più sensibile dell’aumento delle IgM (non
segnato nel grafico).
Si valuterà inoltre la viremia. Le IgM persistono circa 2 mesi: la linea è tratteggiata perché a volte persistono
per più o meno tempo. L'avidità si raggiunge in genere dopo 6 mesi, inizialmente moderata poi alta. Noi tutti
produciamo però anticorpi con diversa velocità, alcune donne fanno eccezione, e sviluppano subito un’alta
avidità dopo l’infezione. Di conseguenza non ci rassicura completamente un’alta avidità.

Si può fare una diagnosi prenatale quando si osserva una sieroconversione in gravidanza, ossia nel caso in cui i
valori negativi pre-concezionali si positivizzano. Si distinguono procedure invasive e non invasive:

diagnosi invasiva:
 amniocentesi (e/o cordocentesi)
(dopo 21 sett. E >6 sett. Dal test positivo )
• sierologia fetale (IgM)
• ricerca DNA virale con PCR (s.f. - l.a.)
• ricerca antigeni virali precoci (w.b. sn95%, sp 92.5%)
• isolamento virale (s.f. - l.a.)
• es. Funzionalità Epatica (γ-gt), ematologia (plt.) (s.f.)
Non invasiva
 ecografia
 RM fetale

In genere si conferma l'infezione cercando nel sangue materno il DNA del virus con la PCR, dopodiché se ci
sono le indicazioni, si offre alla donna la possibilità di eseguire un’amniocentesi, una tecnica invasiva con
rischio di aborto (1 su 300) che peraltro non si può fare precocemente.
Se si esegue troppo presto infatti si possono avere falsi negativi: affinché si trovi il virus nel liquido amniotico,
devono essere trascorse sei settimane dalla positività del test che confermava la presenza del virus nel sangue
materno. Si è vicini al limite della possibilità di interrompere la gravidanza, dopo le 22 settimane non viene più
interrotta. Per poter fare la sierologia fetale è necessario eseguire la cordocentesi: durante l’esame si preleva
dal cordone ombelicale, nel punto in cui si inserisce sulla placenta, essendo il punto più fermo. Si ricerca la
presenza di IgM: il riscontro nel feto indica infezione.
Si può ricercare il DNA virale (principalmente è l’esame più eseguito), sia su sangue fetale sia su liquido
amniotico. In genere si fa sul liquido amniotico perché l’amniocentesi è preferibile alla cordocentesi, in quanto
quest’ultima è una procedura con rischio molto più alto: si passa da 1/300 aborti a 3/100; la cordocentesi può
esporre a rischio di emorragie. Inoltre il rischio attualmente è anche correlato al fatto che se ne eseguono
poche, mentre in passato se ne facevano tante, poiché era l'unico modo per fare diagnosi di talassemia nei feti
a rischio, ricercando le globine nel sangue fetale. Con l’avvento della PCR si può fare la diagnosi sul DNA fetale
all’11esima settimana tramite prelievo dei villi coriali. La cordocentesi inoltre non si può eseguire prima della
20esima settimana.
Si può fare la ricerca di antigeni virali precoci tramite western blot, che consiste nella ricerca di antigeni virali
con anticorpi diretti verso gli antigeni virali. È un esame con buona sensibilità (95%) e specificità (92%).
L’isolamento virale è eseguito principalmente a scopi scientifici.
Si ricercano inoltre gli enzimi epatici alterati nel sangue fetale, principalmente γGT e transaminasi, e si rilevano
anche le piastrine basse.
La sensibilità della diagnosi prenatale cambia in base al liquido che si va a indagare e al periodo della
gravidanza in cui si effettuano i test.
la sensibilità GLOBALE è del 77%.

• SU SANGUE FETALE 75%


1. Coltura virale 30%
2. Anomalie ematologiche / enzimi epatici 45%
3. IgM specifiche 75%
• SU LIQUIDO AMNIOTICO (antigeni precoci e coltura cellulare) 77%.
• ECOGRAFIA 19.2%

In particolare per quanto riguarda la sensibilità della diagnosi tramite PCR con liquido amniotico, possiamo
vedere che la PCR qualitativa ha maggior sensibilità (100%) con specificità 73%, mentre la PCR quantitativa ha
una specificità del 100% e sensibilità 75%. La PCR è una tecnica talmente potente da amplificare anche il DNA
presente in quantità ridottissime.
Attraverso l’ecografia invece possono essere evidenziate varie anomalie fetali: nella tabella è riportato uno
studio ( i casi analizzati son pochi) in cui sono paragonate le anomalie riscontrate negli infetti e nei non infetti.
Nel 100% degli infetti è stata evidenziato microcefalia, macroftalmia e ascite. Ci sono altri elementi riscontrabili
nel 50% degli infetti come la ventricolomegalia, il difetto di crescita intrauterina, e la presenza di calcificazioni
cerebrali. Questi però non sono segni precoci, si rilevano quando la gravidanza non può essere più interrotta.
L’atteggiamento negli Stati Uniti è più conservativo: viene consigliata l’interruzione di gravidanza nel caso in cui
evidenzino delle alterazioni ecografiche, in Italia è sufficiente l’evidenza della presenza dell’infezione da CMV.

Possibilità terapeutiche

È stato utilizzato il Valaciclovir, 2 g x 4 volte al giorno in 20 gravidanze, ma non è stata evidenziata nessuna
differenza con il gruppo di controllo. È un profarmaco dell’aciclovir: è stato sperimentato con l’ipotesi di
partenza che essendo il CMV della famiglia herpes, potesse essere quindi sensibile all’azione di questo farmaco,
agendo quest’ultimo sull’enzima timidina chinasi dei virus erpetici. L’enzima erpetico è 1000 volte più sensibile
di quello umano all’azione del farmaco. Nonostante sia un farmaco efficace contro l’herpes virus, gli altri virus
sono meno sensibili. Fa eccezione solo l’herpes zoster che conserva una certa sensibilità, in cui viene utilizzato
in dosi più alte per migliorare l’efficacia. È stato proposto anche l’uso terapeutico e profilattico delle
immunoglobuline iperimmuni nei confronti del CMV. È stato fatto uno studio che aveva evidenziato risultati
che sembravano buoni, dei trattati a dosi 200 U / kg solo 1 su 31 aveva manifestato danni, nel controllo invece
7/14. Non era però uno studio randomizzato controllato e di fatto non è stato poi confermato, né nell'infezione
certa né come uso profilattico per prevenire l’infezione dalla madre al feto. Alcuni propongono ancora questa
terapia, ma di fatto non è consigliata poiché non ha il supporto dell’evidenza scientifica.

Un altro studio svolto in Italia su 550.000 donne gravide mette in evidenza il rischio di effetti teratogeni da
CMV sul feto. Le donne suscettibili sono il 35%, il restante 65% sono già immuni.
Delle donne suscettibili, il 2% può andare incontro a infezione primaria, con infezione fetale nel 40% dei casi.
Globalmente l’8% presenterà sequele più o meno gravi. Dei feti asintomatici, solo il 10% avrà poi delle sequele
tardive (entro 5 anni); nei feti sintomatici si avranno sequele nel 70% dei casi, e la mortalità è elevata ( 20%).
Solamente il 10% dei sintomatici sarà poi sano. Delle donne immuni l'1% può andare incontro a riattivazione,
ma globalmente solo nello 0,03% dei casi si avranno degli effetti teratogeni. In particolare si può notare che in
questo caso si può trasmettere l’infezione al feto nel 5% dei casi. Di questi, il 95% dei feti sarà asintomatico,
con sequele nel 3% dei casi. Il 5% sarà invece sintomatico, e di questi l’80% presenterà sequele.

Rosolia

È stata la prima delle infezioni esantematiche infantili per cui si è sviluppato un vaccino, in quanto erano noti
da tempo gli effetti teratogeni del virus. Fa parte del genere Rubivirus: le epidemie avvenivano in epoca pre-
vaccinali ogni 5-10 anni. Il contagio è interumano (naso-faringe, sangue , urine, feci, liquido amniotico). La
trasmissione avviene tramite goccioline per via inalatoria,e la sieroconversione è rara in epoche
interepidemiche (0.3%) e nel 4% in corso di epidemie. Il virus ha un periodo di incubazione di 14-20 giorni e il
soggetto è contagioso dai 10 giorni prima ai 10 giorni dopo la comparsa dell’esantema. La trasmissione
verticale si presenta nel 30% delle donne che contraggono l’infezione in gravidanza. L'incidenza di rosolia
congenita è dello 0.05-3%. La diagnosi è principalmente clinica (sintomatica nel 50-67% dei bambini e nell’85%
degli adulti) o sierologica. In seguito ad infezione e viremia materna, il virus si può diffondere per passaggio
transplacentare con infezione embrione/feto. Le conseguenze possono essere aborto spontaneo, morte in
utero o la nascita del neonato infetto, che potrà presentare un’infezione asintomatica, oppure dei difetti che
possono manifestarsi alla nascita o durante la crescita.
L’embriopatia rubeolica è caratterizzata da:
• cecità ( microftalmia, cataratta, retinopatia, glaucoma) 33%
• sordità o ipoacusia (degenerazione cocleare) 70%
• microcefalia
• cardiomiopatia (persistenza del dotto di botallo, stenosi a.polmonare, DIV, coartazione aortica e Fallot)
• difetti della dentizione.
Si possono presentare 1 difetto nel 13% dei casi, 2 difetti nel 24%,3 o più difetti nel 63%.
La Triade classica consiste in microcefalia, dotto arterioso pervio e cataratta. La leucocoria è un segno
prognostico importante, il pediatra deve sempre ricercarla, per vedere se il riflesso della retina è identico da
entrambe le parti e simmetrico. In questi casi bisogna fare diagnosi differenziale con il retinoblastoma. Altri
segni importanti sono porpora trombocitopenica, anemia emolitica, epatite, ittero colestatico, patologie a
carico del miocardio, polmonite interstiziale, glomerulonefrite, meningoencefalite , ritardo psicomotorio,
iposviluppo , alterazioni ossee (calcificazioni metafisi ossa lunghe), alterazioni cutanee ecc.
Molto importante l'età gestazionale in cui si ha l'infezione: se la donna presenta un rush cutaneo entro 11
giorni dal concepimento non ci sono rischi di trasmissione, mentre nel periodo successivo fino all’inizio
dell’11esima settimana nel 90% dei casi si avrà embriopatia, una percentuale che cala progressivamente al 33%
nell’11esima e 12 settimana. Tra la 13esima e 16esima settimana si riportano principalmente casi di sordità.
Dalla 18esima settimana l’effetto teratogeno è nullo.

Prevenzione
Il vaccino proposto principalmente fuori da Cina e Giappone è il ra27/3, che fa parte del MMR (morbillo
parotite e rosolia ra27/3). Aver già avuto il morbillo o la parotite non è una controindicazione per la
vaccinazione. Negli Stati Uniti non si valuta la sierologia, se non ci sono gli anticorpi della rosolia si fa
direttamente il vaccino.
Per quanto riguarda la somministrazione del vaccino in gravidanza, se si fa il vaccino entro 3 mesi dal
concepimento, il massimo rischio teorico è < 0.06%, entro 2 mesi dal concepimento il rischio è < 2.5%. In realtà
il rischio osservato è zero. Mentre in passato ci si asteneva dai rapporti sessuali dopo il vaccino per 3 mesi,
attualmente ci si astiene solo per 1 mese. Questo dato è importante per le donne in età già adulta che
desiderano un figlio. Le reazioni avverse sono lievi e aumentano con l'età: son riportati principalmente casi di
linfoadenopatia, lieve rialzo febbrile, rash, dolore articolare, trombocitopenia (più frequente). L’anafilassi è
molto rara, perché il vaccino è sviluppato in cellule umane.
In corso di reinfezione si avrà un aumento di IgM più moderato rispetto al picco osservato nell’infezione
primaria, e un aumento del titolo anticorpale delle IgG. In caso di reinfezione in gravidanza, la diagnosi è
sierologica, in quanto la maggior parte delle pazienti è asintomatica. Il rischio è minimo per il prodotto del
concepimento, più elevato se la reinfezione è sintomatica. Sono comunque segnalati dei casi di embriopatia
rubeolica a seguito di reinfezione, ma sono eventi veramente molto rari.

Diagnosi prenatale
• INVASIVA
- PCR su liquido amniotico
- Isolamento virale su liquido amniotico
- PCR su sangue fetale
- Isolamento virale su sangue fetale
- IgM specifiche su sangue fetale
• NON INVASIVA
- Ecografia
- Ecocardiografia
La PCR è l’esame più utilizzato.
È stato fatto uno studio sulle diagnosi tramite PCR. La PCR su liquido amniotico/sangue fetale/villi coriali ha
evidenziato su 253 gravidanze:
112 casi con rash, 41 PCR positive (37%).
141 casi senza rash 7 PCR positive (5%).
-delle 48 PCR positive:
2 casi di CRS, 5 nati non infetti, 2 aborti spontanei e 37 IVG (interruzione volontaria di gravidanza), 2 esito
sconosciuto.
- 205 PCR negative
184 nati non infetti, 5 aborti spontanei, 15 IVG,1 esito sconosciuto.

Varicella Herpes Zoster


Il virus appartiene al genere Herpesvirus, è un virus a DNA caratterizzato dal capside icosaedrico.
L’infezione endemica ha un picco in inverno e primavera. Il potenziale teratogeno di questo virus è stato
accertato negli ultimi dieci anni. La copertura vaccinale per questo virus è molto più bassa rispetto alle altre, il
vaccino è stato introdotto più tardivamente.
La diagnosi è clinica (meno del 5% dei casi sono asintomatici): la varicella è quasi sempre sintomatica,
solitamente caratterizzata dalla comparsa delle vescicole. Nella donna gravida l'immunità è lievemente
compromessa, per cui i virus diventano più aggressivi in gravidanza.
Il Contagio è interumano: il soggetto è contagioso da 1-4 giorni prima a 5 giorni dopo l'esantema, con periodo
di incubazione di 10-23 giorni.
Una volta passata l'infezione, il virus sopravvive nei gangli dei nervi sensitivi e può riattivarsi sotto forma di
herpes zoster con criteri clinici facilmente diagnosticabili. Negli adulti la malattia è più severa, al di sotto dei 12
anni non è trattata, mentre sopra i 12 anni si cura con l'Aciclovir, negli immunodepressi tramite terapia
endovenosa. Negli adulti può manifestarsi con polmonite ed encefalite.
Le Pazienti in età riproduttiva che non hanno contratto l'infezione sono circa il 5-20%.
L’incidenza di Herpes zoster è molto bassa in gravidanza, circa 0.005% ( il professore sottolinea che sono dati
americani, vecchi). In caso di infezione durante la gravidanza il rischio di trasmissione al feto è del 25-30% ma è
teratogeno solo nel 1-2%. Il rischio di trasmissione peripartum invece è del 20-60%, con una mortalità in
quest’ultimo caso del 20-30%. I sintomi della sindrome da varicella congenita sono microftalmia, cataratta e
corioretinite, ma sopratutto cicatrici cutanee distribuite lungo i metameri, ipoplasia muscolo scheletrica e
anomalie neurologiche.
Il rischio globale di CVS è circa l’1%:
• (1,4-2%) per infezioni tra 13 e 20 settimane,
• (0,5%) per infezioni tra 0 e 12 settimane,
• praticamente nullo per infezioni tra 20 settimane e il parto.
Si ritiene che il danno teratogeno non sia da attribuire all’infezione da varicella ma alla susseguente herpes
zoster fetale. Questo accade perché esiste una relazione tra epoca della vita in cui si contrae la varicella e la
latenza con cui si manifesterà l’herpes zoster. Tanto più precoce è l'infezione, tanto è breve l 'intervallo con cui
si manifesta herpes zoster. Di conseguenza, se la contrae il feto, lo zoster si può manifestare durante la
gravidanza stessa, con distribuzione metamerica della stessa.
Prevenzione
La prevenzione consiste principalmente in:
• Evitare contatto con malati / contagiati
• VACCINO (immunizzazione attiva). Il vaccino è composto da virus vivo attenuato, con rari effetti
collaterali, principalmente rash cutaneo (5-6%) e Herpes zoster (0-3%). Ha un’immunogenicità del 94%,
con efficacia del 97-100%.
Terapia
La terapia è prescritta per gli adulti, consiste nella somministrazione di ACYCLOVIR, 5-10 mg/Kg (5mg negli
immunocompetenti, 10 mg nei soggetti immunocompromessi) ogni 8 ore e.v. per 5 giorni nella polmonite, per
os nelle forme meno gravi. In alternativa si può somministrare il pro farmaco, VALACICLOVIR (Adulti : 1 g x 3 /
die per 7 gg, da somministrare entro 72 h.) che è più semplice da somministrare.
- αIFN e VIDARABINA vengono utilizzati molto raramente.
Si può ricorrere anche all’immunizzazione passiva (ZIG o VZIG) che riduce la sintomatologia ma non previene
l’infezione materna o fetale.
• Negli adulti sieronegativi (entro 4 g - 96h - dall’esposizione) una singola iniezione i.m. 0.2-0.4 ml/kg
(4-5 fiale)
• Nei Neonati di madre con VZV peri-partum una fiala i.m. alla nascita (5 g. prima- 2 g. dopo). È
importante perché nei neonati è associata a una sintomatologia molto grave e a elevata mortalità.
Morbillo
Probabilmente la più importante tra le malattie esantematiche. Il suo nome deriva dal termine “piccolo
morbo” ed è determinato da un Paramyxovirus ad RNA. È una malattia autolimitante in genere dell’infante
con mortalità infrequente nei Paesi sviluppati, ma raggiunge una stima del 10% in quelli sottosviluppati: nei
Paesi in cui vi è una condizione di denutrizione e di immunodepressione infantile determinata dalla
deprivazione calorica, il Morbillo è una delle patologie più letali che ci sia, seconda solo alle enteriti.

Il contagio avviene per via respiratoria perché il virus è presente nelle secrezioni salivari e viene eliminato
con la saliva e la tosse o attraverso le secrezioni nasali. Il virus è presente fin da una settimana prima del
rash fino a cinque giorni dopo. È una delle malattie più contagiose insieme alla pertosse: quando vi è un
individuo affetto in famiglia difficilmente qualcuno dei familiari viene risparmiato. L’incubazione è di una-
due settimane.

In genere il periodo pre vaccinale in età scolare (tra i 5 e i 10 anni) è quello più colpito, anche se nei Paesi in
via di sviluppo si presenta più precocemente. Esiste il vaccino che è diventato obbligatorio con la legge
Lorenzin: è trivalente (MPR) ma esiste anche il quadrivalente (con l’aggiunta della Varicella). I bambini che
provengono dall’Asia non sono immunizzati.

Quadro clinico

• Rash preceduto da tosse;

• Febbre alta e persistente;

• Fotofobia.

Possiamo considerare il Morbillo come un prototipo della malattia virale, poiché colpisce la maggior parte
delle mucose. Regoletta che consente di distinguere le infezioni batteriche da quelle virali: maggiore è il
numero delle mucose colpite maggiore è la probabilità che si tratti di virus. Quindi davanti ad un bambino
febbrile è importante analizzare tutte le mucose partendo dalle congiuntive (per le quali va valutato il
coinvolgimento bilaterale e la presenza di essudato, generalmente presente nella batterica e non nella
virale, tranne che per l’Adenovirus) e poi scendendo progressivamente valutando il naso (rinorrea, starnuti,
prurito) e la cavità orale. Da quest’ultima si valuta la mucosa della faringe e della laringe: la laringite è una
tipica manifestazione dell’infezione virale (da quando non c’è più la Difterite responsabile di laringite
batterica-tossica) che si caratterizza soprattutto per il timbro particolare della tosse definita “da foca” o
“abbaiante”, talvolta si accompagna ad ostruzione da edema della glottide con stridore inspiratorio. Va
valutata anche la mucosa gastrointestinale circa la presenza di vomito e diarrea. Se vengono colpiti tutti
questi distretti si può escludere con buona probabilità l’infezione batterica e non si fa il tampone faringeo
proprio per questo motivo. Si fa solo se c’è la faringite non complicata da altri di questi sintomi e in questo
caso potrebbe trattarsi di Streptococco.

Tornando al Morbillo, è la coriza (coinvolgimento di tutte le vie aeree superiori) più frequente.

C’è un enantema caratteristico rappresentato dalle macchie di Koplik: spruzzature bianco giallastre di 1-2
mm in numero variabile che compaiono soprattutto a livello della mucosa orale all’imboccatura del dotto di
Stenone, possono anche essere congiuntivali, anche se meno frequentemente. È un segno che compare in
seconda giornata e che poi scompare rapidamente, è seguito da rash. A questo proposito è importante
indicare il tipo di lesione preminente del rash cioè macule (solo eritemi da vasodilatazione), papule (se sono
rilevate), la localizzazione di comparsa, la modalità di diffusione (es cranio-caudale) e il coinvolgimento di
cuoio cappelluto, palme delle mani o dei piedi. Ancora va descritta la durata e se ci sono delle
modificazioni come nella Varicella, in cui ci sono tutte le fasi: le vescicole modificano il loro contenuto
passando da liquido limpido a torbido se vengono richiamati dei leucociti, pustole se hanno contenuto
purulento, e infine le croste. Bisogna ricordare la differenza tra le vescicole (<0.5mm) e le bolle (>0.5 mm)
sulla base delle dimensioni.

Nella diffusione cranio-caudale la sede più ricercata dai pediatri è dietro le orecchie o dietro il collo, da lì si
ha la diffusione al tronco e alle estremità, in genere senza coinvolgere palmi e piante. Il prurito è minimo e
con il regredire dell’esantema si riducono anche i sintomi sistemici. C’è una linfoadenomegalia
generalizzata ma non marcata tanto quanto nella Rosolia nella quale è invece elemento caratteristico
insieme anche alla localizzazione delle sedi coinvolte.

In quasi tutte le malattie esantematiche è importante la relazione presente tra febbre e rash: già gli
intervalli di tempo tra la comparsa dell’una e dell’altro sono utili per la diagnosi differenziale. Nel Morbillo è
presente la febbre che va crescendo nei primi 3-4 giorni e dopo il terzo giorno compare l’esantema. Esso
raggiunge il suo acme mentre la febbre è ancora elevata e poi permane per circa una settimana. Le macchie
di Koplik sono di una giornata (12-24 ore) precedenti l’esantema, la coriza (febbre, congiuntivite e tosse)
precede ed è una componente importante della fase iniziale.

Ci sono delle ulteriori gittate di esantema: le prime sedi, quindi volto e tronco, sono sempre le più colpite.
Ma soprattutto, al 3 giorno è molto più importante, questa è una importante differenza con la Rosolia.

Bisogna fare diagnosi differenziale con il rash da farmaci: il farmaco mima qualsiasi situazione e si
caratterizza per un quadro molto acceso, la durata e alcuni aspetti francamente vasculitici di tipo
purpurico-emorragico. Per esempio, anche la penicillina può dare dei quadri tipo vescicolo bolloso nel caso
di allergia.

Anche nella malattia di Kawasaki, nonostante la somiglianza per le vescicole, esistono delle differenze
importanti.

Va fatta la diagnosi differenziale con altre malattie virali e la Scarlattina ad esempio.

Si è già detto che esiste il vaccino, il quale è responsabile di un’immunizzazione attiva. Viene effettuato al
15esimo mese di vita, questo perché prima sono ancora presenti gli anticorpi materni e se si facesse il
vaccino non attecchirebbe perché essi lo neutralizzerebbero. Tuttavia, in caso di epidemia, si fa anche
prima dell’anno, perché una parte dei bambini potrebbe rispondere anche se non totalmente. Inoltre la
vaccinazione è doppia e si ripete ai 5-6 anni: nonostante la catena del freddo, può capitare che qualche
lotto di dose non sia stato conservato adeguatamente durante il viaggio e quindi non sia stato in grado di
attecchire. Questo sistema effettivamente migliora la risposta immune del 5% circa. Si può fare anche
immunizzazione passiva con immunoglobuline arricchite in caso di pazienti particolari (es. lattanti, donne in
gravidanza e immunocompromessi in cui il Morbillo può assumere aspetti particolari come quelli
francamente emorragici sia a livello cutaneo che polmonare).

La terapia è quella di tutte le malattie virali, quindi è sintomatica: riposo a letto, antipiretici, liquidi.
L’antibiotico va riservato ai casi di complicanze batteriche. Nei Paesi in via di sviluppo si aggiunge anche la
vitamina A che spesso è carente.

Complicanze: otite media, polmonite, tracheite, neurologiche (es. convulsioni anche febbrili), alterazioni
elettroencefalografiche, encefalite. Quest’ultima è la più preoccupante e spiega l’importanza di evitare il
Morbillo con il vaccino, infatti ha una incidenza di 1/1000 e di questi 1/3 muore. Altra complicanza è la
panencefalite subcuta sclerosante che è stata eradicata proprio dal vaccino ed è devastante poiché letale
al 100%: il virus si comporta come lento e difettivo che dà manifestazioni a distanza di anni (circa 7) dalla
prima infezione. Comporta una neurodegenerazione fino al decesso.
Herpes
Pur non essendo una malattia esantematica classica, va menzionata perché facilmente riconoscibile. È
causata dal virus Herpes Simplex di tipo 1 e 2 e si manifesta con un quadro classico: ulcere che riguardano
labbra, bocca e tutto il cavo orale e vescicole che emergono dai lati della bocca e che, in qualche caso,
coinvolgono tutto il volto. È possibile l’autoinoculo il quale è responsabile di una maggiore diffusione. È
caratteristica la gengivostomatite.

I due tipi di virus sono molto simili, con una omologia di circa il 50% con altri subtipi. Il tipo 1 dà
prevalentemente infezione delle mucose orali, encefaliti (specie nei giovani e negli adulti), il tipo 2 si
associa maggiormente ad infezioni delle mucose genitali e conseguentemente neonatali.

Dà l’infezione primaria e poi si ritiene che risalga dalle terminazioni nervose sensitive verso i gangli sensitivi
posteriori paraspinali e cranici. Da questi, quando vi sono delle situazioni di immunosoppressione, il virus
può ricomparire dando infezione secondaria. L’infezione primaria decorre asintomatica nella maggior parte
dei casi, in una minoranza di individui compare una gengivostomatite oppure febbre protratta 7/8 giorni,
quindi è assai variabile. Sono colpiti maggiormente i bambini più piccoli o qualche adolescente o adulto che
è cresciuto in ambienti chiusi: tutte queste malattie prese in età più avanzata sono più gravi.

I sintomi sono: febbre elevata, irritabilità, dolore alla deglutizione, vescicole e ulcere delimitate da areole
rosse sulla regione orale o periorale, le gengive sono rosse, infiammate e facilmente sanguinanti. E
presente linfoadenopatia dolorosa laterocervicale, self inoculo, con una durata generale da una settimana
fino a 14 giorni.

La meningoencefalite erpetica è una manifestazione primaria rara nei bambini, ma è più seria e frequente
nel neonato tra i quali sono particolarmente colpiti quelli con difetti del TLR-3 (toll like receptor-3). Questi
recettori fanno parte della risposta immune innata e sono importanti soprattutto nella protezione da
questo virus.

Questa è una evidenza di come quelle malattie tipicamente acquisite, alla base della loro manifestazione e
della loro aggressività e progressività possiedano una componente genetica. Questo succede non solo in
questo caso, ma anche in riferimento all’IFNγ per la tubercolosi, alla proteina SAP2 nella mononucleosi
infettiva, che può essere letale nel maschio con questo difetto, e altre che nemmeno ancora conosciute.
Per esempio l’AIRE, la poliendocrinopatia multipla con candidiasi cronica: il motivo per cui si presenta è
dato da anticorpi diretti contro l’IL-17 che regola specificamente l’immunità specie nel caso della Candida.

L’infezione da Herpes 2 dopo il periodo neonatale in soggetti per altri versi sani è benigna, il 15% dei
pazienti che hanno infezione erpetica genitale hanno anche una modesta meningite concomitante con
cefalea, nausea e altri di segni sfumati. Differentemente dall’encefalite data da Herpes 2, quella dell’Herpes
1 è gravata dalla mortalità del 70% degli affetti, se non viene trattata entro una settimana. L’Herpes può
anche impiantarsi su condizioni di base quali la dermatite atopica: una regione infiammata dall’atopia è una
regione in cui l’Herpes prolifera e si diffonde molto più rapidamente. Questo accadeva in passato anche col
vaccino antivaioloso e della Varicella e veniva definito come eczema vacinatum e poteva avere una
diffusione enorme a tutto l’organismo.
Rosolia
La Rosolia è un Togavirus a RNA del quale è difficile avere delle epidemie cicliche per via della copertura
vaccinale. La via di trasmissione è aerea, mediante goccioline di flugge, tosse, starnuti. Il contagio è
antecedente alla comparsa di sintomi con viremia che anticipa la comparsa del rash, alcuni la hanno anche
contemporaneamente e altri anche successivamente. L’incidenza si è ridotta con l’introduzione del vaccino,
il quale è stato formulato soprattutto nell’ottica di prevenzione della Rosolia congenita, disastrosa in epoca
prevaccinale. Attualmente è più frequente nei giovani adulti per effetto del vaccino che sposta più avanti
l’età maggiormente colpita, lo stesso vale per il Morbillo e la pertosse.

L’incubazione è di 2-3 settimane, il rash è preceduto e seguito da una linfoadenomegalia importante


retroauricolare, laterocervicale, nucale suboccipitale che è presente quasi solamente nella Rosolia, inoltre
in periferia si noterà un aumento delle plasmacellule e una modica splenomegalia. È presente febbricola,
rash maculo o maculopapulare più attenuato rispetto al Morbillo e meno diffuso, inizia sulla fronte e
svanisce molto rapidamente: già in terza giornata svanisce nelle sedi dove è insorto per primo. La febbre è
di scarsa entità ed è quasi sincrona al rash a differenza del Morbillo, i linfonodi ingrossati sono presenti in
concomitanza col rash e poi persistono fino ad una settimana dopo il rash. C’è malessere anche se
abbastanza contenuto, idem per la coriza.

La diagnosi differenziale si fa con le forme più lievi del Morbillo, Scarlattina, esantemi da farmaci che però
colpisce in genere bambini più piccoli.

La Rosolia congenita è già stata trattata nella scorsa lezione, però va ricordato che l’infezione si trasmette
soprattutto se contratta nel primo trimestre, nel secondo un po’ meno, dopo la 17esima settimana non si
trasmette più. La profilassi non garantisce la prevenzione e non esiste il vaccino solo per la Rosolia, ma
vengono compresi anche Morbillo e parotite. Non esiste una terapia se non quella supportiva. Per quanto
riguarda la cataratta, questa non è segno esclusivamente di Rosolia congenita ma può anche essere la
manifestazione di un retinoblastoma, di malattie del metabolismo quali la galattosemia, la sindrome di Low
che si caratterizza per difetti visivi, o a sindrome di Fanconi.

Varicella
È determinata dal virus Varicella Zoster che è un virus a doppia elica a DNA che appartiene agli Herpesvirus
e somiglia in maniera particolare all’Herpes Simpex. Abbiamo anche il Citomegalovirus e il Virus di Epstein-
Barr. L’omologia tra la Varicella Zoster e questi che abbiamo citato fa si che la timidina chinasi, che è
l’enzima fondamentale per la replicazione virale nonchè bersaglio dell’Aciclovir, possa essere inibita dal
farmaco. Essendo leggermente diversa rispetto a quella dell’Herpers virus contro la quale è stato
formulato, occorrono dosi più elevate per inibire quella dello Zoster.

Come l’Herpes simplex, dà un’infezione latente, e si stabilisce nei gangli delle radici dorsali dai quali a
seguito di riattivazione si ha la manifestazione clinica. La differenza importante consiste nel fatto questo
risale dalle vescicole cutanee che hanno colpito tutto l’organismo, e pertanto può presentarsi diffuso in
ogni parte del corpo, mentre l’Herpes presente delle localizzazioni particolari quali bocca, occhio, mucosa
nasale e area del trigemino.

Il contagio avviene per via respiratoria e la replicazione avviene nei linfonodi cervicali da cui si ha una
prima viremia con localizzazioni al fegato, milza e sistema reticolo-endoteliale, quindi si ha una seconda
viremia a partire da questi organi, e in concomitanza a ciò si ha la manifestazione esantematica.
L’incubazione media è di 14-16 giorni fino ad arrivare a 21 giorni. C’è un’ampia variabilità nell’intensità
dell’eruzione: alcuni bambini possono avere pochissime vescicole (6-7) per cui è anche difficile fare
diagnosi, altri possono arrivare ad averne 300 o migliaia fino a configurare una sindrome da ustionato con
ampio essudato e shock ipovolemico. I sintomi prodromici precedono il rash di 24-48 ore e sono febbre,
anoressia, cefalea e qualche volta il distretto gastro-intestinale.

Sopra i 12 anni deve essere trattata, al di sotto invece non è necessario. Inoltre se il soggetto è
immunoconpromesso è necessaria la terapia endovenosa.

Le prime lesioni compaiono sullo scalpo, sul viso e sul tronco: inizialmente sono delle macule che evolvono
in vescicole sierose con l’aspetto di “rugiada su petalo di rosa”. Le lesioni sono distanziate o, meno
frequentemente, confluenti e compaiono prima sulle zone sottoposte ad attrito. Sono inoltre pruriginose
con prurito variabile, poi si ha intorbidimento del contenuto delle vescicole che poi diventano ombelicate
centralmente e infine si trasformano in croste. L’andamento è a gittate su tronco ed estremità che durano
da 3 a 6 giorni.

Spesso l’intensità è maggiore nei contatti: nel passaggio da un soggetto all’altro diventa più aggressiva e
questo potrebbe essere dato dal confronto con il sistema immunitario con una selezione da un individuo ad
un altro: il modo in cui si attenuano i vaccini è quello di farli crescere in piastre seriali alimentandoli e quindi
sopravvivono anche in presenza di mutazioni che diminuiscono la virulenza; viceversa accade con il sistema
immunitario che seleziona i virus con elevata virulenza.

Oltre che sul tronco e le estremità, è presente enantema: delle piccole vescicole che spesso non sono
visibili, mentre si notano le ulcere residue a livello del cavo orale. Il passaggio da uno stato all’altro è molto
più veloce che sulla cute perché la vescicola si sfalda prima in quanto la mucosa è più sottile e lo strato della
vescicola idem. La localizzazione è palatale, vicino alle tonsille. Le vescicole più grandi o quelle a particolare
localizzazione (es sul volto e tronco) tendono a guarire esitando in cicatrici.

La diagnosi differenziale si fa con gli Enterovirus che danno delle papule-vescicole che si distinguono per la
presenza di un’unica gittata: macule sincrone che diventano papule e vescicole. Sono rari, ma la
presentazione è caratteristica. Va differenziata dall’infezione da Stafilococco Aureo produttore di tossine
che dà bolle più che vescicole (quindi di maggiori dimensioni), da manifestazioni da farmaci, dermatite da
contatto, punture di insetto, specie se presentano pochi elementi. In quest’ultimo caso sarà necessario
attendere per valutare se si tratta di Varicella perché si attende la maturazione e la manifestazione del
caratteristico aspetto a “cielo stellato” (aspetto che si trova anche nella formula leucocitaria della
mononucleosi infettiva con tutti i gradi di evoluzione): papule, vescicole, croste, insomma tutti gli stadi
della maturazione.

Le complicanze sono legate soprattutto alla sovrainfezione batterica poiché le vescicole rappresentano la
porta di ingresso di germi soprattutto cutanei quali Stafilococco Aureo e Streptococco Pyogenes fino ad
arrivare a sindrome da shock tossico. Si può avere impetiginizzazione, che deve essere attentamente
distinta dal’intorbidimento delle vescicole che fa parte della storia naturale della vescicola che si essica
progressivamente e passa da un contenuto limpido ad uno più scuro e concentrato. Se ci sono bolle è
fortemente seignificativo per sovrainfezione. Può esserci cellulite, linfadenite, ascessi sottocutanei. Oltre a
queste complicanze locali, può esserci un coinvolgimento a distanza tipico della Varicella gangrenosa
dovuta ad uno Streptococco Pyogenes che produce una tossina che determina vescicole eritematose, calde,
dolorose, edematose con coinvolgimento del muscolo ed evoluzione in fascite necrotizzante.

Anche nella Varicella possono esserci delle complicanze neurologiche che sono meno frequenti rispetto al
Morbillo di 10 volte con una frequenza di 1/10 000. Interessa soprattutto i bambini sotto i 5 anni. La
cerebellite è più frequente dell’encefalite anche se possono esserci dei quadri di overlap. La cerebellite si
manifesta con incapacità di restare in piedi, di camminare in maniera coordinata (atassia) e avviene su base
allargata per mantenere l’equilibrio. C’è la tendenza alla retropulsione, diadococinesia (che si valuta con la
prova indice-naso sia ad occhi aperti che chiusi), nistagmo in posizione laterale di sguardo e tremori che si
manifestano specie in fase iniziale con disgrafia. Il decorso è in generale benigno con rari residui in epilessia
o deficit neuro-sensoriali. La Varicella non deve essere trattata con salicilati perché può determinare la
sindrome di Reich (che può essere causata anche da influenza B), per questo si preferisce il paracetamolo.
Qualche eccezione è rappresentata della Kawasaki e AR che si trattano con aspirina.

Ancora mielite trasversa con interessamento di una sezione del midollo e sarà evidenziata dalla comparsa
di segni piramidali con Babinski, iperreflessia e segni sensitivi quali ipoestesia o ipopallestesia se vengono
coinvolti anche i cordoni posteriori del midollo. Rara è la sindrome di Guillaume-Barrè: poliradicolonevrite
con paralisi ascendente che può coinvolgere anche l’apparato respiratorio il cui trattamento si basa sulla
somministrazione di immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa.

Febbre e rash sono sincroni, compaiono macule e papule quasi contemporaneamente alla febbre, la quale
è meno intensa e più breve di quella del Morbillo.

Negli immunocompromessi le lesioni possono essere emorragiche sia a carico della cute che a carico del
polmone, con polmoniti emorragiche. Un’ultima complicanza è rappresentata dalla CID.

Lo Zoster è strettamente legato alla Varicella, di cui costituisce la fase latente nei gangli dai quali si può
riattivare dando luogo a vescicole su base eritematosa, seguono il dermatomero dando manifestazioni
lungo le aree in cui sfiocca il nervo. Un’altra caratteristica è il dolore, talvolta è presente l’herpes in herpes
quindi dolore senza rash che può presentarsi prima oppure dopo, ma soprattutto non attraversa MAI la
linea mediana.

Scarlattina
Tra tutte le citate, è l’unica dovuta ad un batterio, lo Streptococco Pyogenes oppure β emolitico di gruppo
A. Ricordiamo che la β emolisi in agar sangue si manifesta come aree chiare date dalla digestione, mentre la
α emolisi dà aree non totalmente trasparenti ma verdastre; questo è importante per la coltura perché è un
importante indizio già da prima di avere i risultati.

A Scarlattina è data da un ceppo che produce tossine eritrogeniche e piogeniche, quindi dà sia il rash che la
febbre. Non solo, produce anche una emolisina che è responsabile di alcune particolari caratteristiche.
Quindi si tratta di una manifestazione non superativa di un’infezione da Streptococco.

In genere è presente la faringite, tuttavia ci può essere la Scarlattina da ingresso cutaneo (es. ferite o
traumatismi). Ha un esordio acuto, ma a differenza delle altre è meno virulenta rispetto al passato, con
vomito e altri sintomi costituzionali sistemici quali brividi e cefalea. L’esantema è simile a quello di un
eritema solare. Si instaura in una cute secca (che non suda nonostante la febbre), simile alla pelle d’oca al
tatto, con lesioni molto piccole a capocchia di spillo numerose nel tronco e nelle zone intertriginose quali
collo e ascelle. Ci possono essere petecchie nelle estremità distali, nei solchi delle fosse antecubitali assume
un aspetto emorragico detto “line di Pastia” [Linee rosse trasversali, rilevabili sui rigonfiamenti cutanei
nella parte interna dei gomiti, dei polsi e nell’area inguinale, nelle fasi iniziali della Scarlattina. Persistono
durante il decorso della malattia e possono essere di ausilio come sintomi per una diagnosi tardiva. Sono
dette anche segno di Pastia o segno di Thomson.]

Talvolta c’è la maschera di Filatov che è un aspetto dato dal risparmio della zona circumorale. In realtà
questo aspetto non è tipico della Scarlattina in quanto presente anche nella sesta e nella quinta malattia,
nella Rosolia etc.

Le tonsille si presentano iperemiche e edematose, con la presenza o meno di essudato: il prof è orientato
maggiormente verso lo Streptococco quando l’arrossamento è molto intenso e coinvolge anche la faringe e
l’ugola, accompagnato da petecchie e povero o totalmente mancante di essudato. Al contrario le forme
virali sono maggiormente ricche in essudato.
Importantissima è la valutazione della lingua: nelle fasi inziali essa si presenta interamente ricoperta di una
patina biancastra (che spesso è associata a nausea in quanto indica il coinvolgimento gastrointestinale
aspecifico e si attribuisce a pochi movimenti) che in due giorni viene persa e le papille appaiono rigonfie per
effetto della tossina eritrogenica le quali conferiscono l’aspetto a “fragola o a lampone” tipiche della
Scarlattina.

Sono presenti petecchie anche sul palato. La febbre segue l’andamento del rash e dura 5-7 giorni se non è
trattata. Da queste infezioni si guarisce, ma è importante intervenire per la prevenzione delle complicanze
non suppurative: febbre reumatica (crossretattività con antigeni miocardici) e la glomerulonefrite post-
streptococcica (crossreattività con antigeni anti-MBG) le più importanti, ma ci possono essere anche
complicanze neurologiche (PANDAS- tipo sdr di Tourette, DOC dati da crossreattività di anticorpi
antistreptococco con alti ASLO) e artriti reattive.

Dopo la febbre è presente una desquamazione forfuracea che comincia dal volto e poi si estende alle mani,
dove ha un aspetto caratteristico lamellare, questo è tipico della Scarlattina ma lo si ritrova anche più
evidente nella malattia di Kawasaki. A questo proposito è importante dire che la Scarlattina e la malattia di
Kawasaki hanno molti aspetti in comune (febbre, lingua a lampone, desquamazione etc.) e pertanto spesso
è difficile fare una adeguata diagnosi differenziale.

Un altro segno importante è quello definito “della mano gialla” che si riscontra poggiando una mano in
genere sul dorso o comunque dove è presente la zona eritematosa, sollevandola non rimane una impronta
bianca (come accade normalmente) ma gialla. Questo perché l’emolisina prodotta dallo streptococco viene
rilasciata e determina questo aspetto.

Tra le complicanze suppurative annoveriamo gli ascessi peritonsillari o retrofaringei, questi ultimi
specialmente determinano una ridotta motilità cervicale che associata a febbre ci aiuta alla diagnosi. Altre
complicanze sono: fascite necrotizzante, artrite settica, osteomielite, polmonite, sepsi.

Sindrome mano piedi bocca


È data dal Coxackievirus specie la 16 oppure dall’Enterovirus 71, che sonovirus a RNA. È altamente
contagiosa e si trasmette per via oro-fecale. È tipica degli asili e scuole materne, quindi in bambini sotto i 4
anni, soprattutto in estate con una incubazione di una settimana. C’è un rash preceduto da febbricola,
malessere, quindi sintomi generali, associati a sintomi addominali e respiratori. La comparsa
contemporanea di lesioni della mucosa orale e di rash alle estremità e perigenitali è patognomonico della
malattia. Sulla mucosa orale si presentano ulcere di piccole dimensioni (4-8 mm) che sono dolorose. Le
lesioni possono essere maculo-papule ma anche vescicole o bolle. Ci sono variazioni nel tipo di esantema
dovuto alla possibilità del coinvolgimento anche di altri virus rispetto a quelli già citati. Una caratteristica
delle lesioni cutanee è che sono collocate su palmo e pianta soprattutto nella zona di confine con il dorso, si
trovano su un alone eritematoso, il liquido può essere chiaro o giallastro, durano circa una settimana e poi
si riassorbono. La diagnosi differenziale si fa soprattutto con l’Herpes rispetto al quale non è associata a
gengivostomatite. La terapia è rappresentata da gelato alla vaniglia. Possono dare pericarditi,
meningoencefaliti anche asettiche, sindromi di Guillaume Barrè e in gravidanza è descritto qualche caso di
aborto spontaneo.
Impetigine
L’impetigine è una patologia frequente nei bambini piccoli, in particolare quelli con la pelle molto sottile. È
determinata da una infezione streptococcica (più frequente) o stafilococcica e la sua epidemiologia è
variabile a seconda della regione di riferimento. Si caratterizza per la presenza di lesioni bollose nello strato
più superficiale dell’epidermide che evolvono rapidamente, spaccandosi, e si trasformano in croste mielate.
Le lesioni si intensificano nella regione delle narici, dove generalmente alberga il germe dal naso (e poi può
auto-inocularsi nella cute delle guance e a livello periferico). Alla pari della faringite streptococcica e della
scarlattina, questa patologia può, nelle due settimane successive, evolvere in febbre reumatica o
glomerulonefrite; e a differenza di quello che succede nelle prime due, l’evoluzione in queste complicanze
non è prevenuta dal trattamento antibiotico.

Eritema infettivo (quinta malattia o megaloeritema)


Malattia esantematica determinata da Parvovirus B19; si tratta di un virus a DNA che si trasmette
attraverso la via respiratoria (slide: contagio 50%). Ha una incubazione media di 10 giorni e colpisce
bambini dai 3 ai 12 anni, ma anche adulti non immuni. Il tipico esempio sono le donne gravide, oppure un
adulto con una patologia anemica (emolitica o da carenza di ferro) di base nella quale la malattia si
presenta come ipo o aplasia a carico del midollo. Nel bambino generalmente è una patologia benigna e
autolimitante, in particolare nel momento in cui si diagnostica perché quando si fa la diagnosi la patologia è
praticamente cessata. Il bambino generalmente sta bene, e può essere riammesso a scuola in quanto non
contagioso.

Si presenta con eritema soprattutto nei bambini, mentre nell’adulto questo può non succedere. La diagnosi
pertanto è più complicata e si basa su un eventuale contatto con un bambino con megaloeritema e indagini
di tipo laboratoristico.

Clinica

Si caratterizza per una fase prodromica, due giorni prima della comparsa del rash, caratterizzata da sintomi
sistemici quali cefalea, febbricola, rinite, faringite e tosse. L’esantema non è sincrono con la viremia, si
presenta quindi dopo alcuni giorni (tipico di una reazione da immunocomplessi o cellule T), e ha un aspetto
tipico, definito a “guancia schiaffeggiata”. È simmetrico, e ha la tendenza ad essere rilevato rispetto alla
cute sana della regione interessata. La regione di naso, bocca e mento è risparmiata, dando un aspetto
presente anche nella scarlattina e definito Maschera di Filatow.

Il rash si diffonde rapidamente al tronco e alle estremità prossimali, con un aspetto maculare diffuso. La
guarigione centrale della macula, e la tendenza della stessa a espandersi perifericamente determina la
creazione di una confluenza con aspetto reticolato (o a ghirlanda), che ha una durata molto breve e di
frequente non si ha il tempo di vederla. L’esantema sul volto invece persiste per un tempo molto
prolungato (spesso più dei 5-10 giorni indicati nella slide) e può ricorrere nelle settimane successive a
seguito di stimoli aspecifici come sole, esercizio fisico, cambi termici o stress. È importante spiegare ai
genitori che questa eventuale “ricaduta” sia una manifestazione attesa di questa infezione. Sono inoltre
presenti altri sintomi associati come prurito, artralgie o artriti (questi ultimi due soprattutto nell’adulto e
nell’adolescente).

Diagnosi differenziale e trattamento

La diagnosi differenziale si fa con rosolia, morbillo, infezioni enterovirali, e, soprattutto, reazioni a farmaci.
Il trattamento è sintomatico, ma generalmente non viene effettuato in quanto, come già detto, al
momento della diagnosi la patologia è già in fase di risoluzione.
Il professore mostra uno schema nel quale si vede l’andamento di reticolociti, emoglobina e piastrine
rispetto alla viremia. In corrispondenza del picco viremico il bambino può presentare lievi sintomi (come già
detto) e quindi può esserci una condizione di astenia, mentre tardivamente ci sarà solo il rash. C’è una
caduta importante dei livelli di reticolociti (ipoplasia) che però, negli individui sani, non si ripercuote sul
valore dell’emoglobina. Negli individui con anemia emolitica o da carenza di ferro, invece, ci può essere un
abbassamento dell’Hb più marcato. Le piastrine generalmente non sono coinvolte, può esserci un piccolo
abbassamento (anche della serie bianca in generale) però di scarsissima entità.

Ricapitolando, l’esantema caratteristico si presenta in volto con il tipico aspetto di guancia schiaffeggiata. Il
primo giorno, l’esantema nel corpo è di tipo maculare con diffusione cranio – caudale, e dopo due o tre
giorni le macule guariscono centralmente e confluiscono assumendo un aspetto reticolare. Questo aspetto
è presente anche nella sesta malattia, però è meno evidente anche perché i bambini generalmente sono di
età inferiore. Un’altra caratteristica di questa patologia è la possibilità di manifestarsi con un eritema
definito guanto – calzino, confinato al dorso dei piedi e delle mani. Questa stessa manifestazione può
esserci anche nella malattia di Kawasaki, per la quale propendiamo nel caso in cui si tratti di bambini
piccoli. Se invece il bambino è grande, si tratterà più probabilmente di quinta malattia.

Altre manifestazioni cliniche

Crisi aplastica transitoria

Tipica dei pazienti con emolisi cronica, come per esempio in caso di talassemia. In particolare ci riferiamo
alle forme di alfa talassemia nelle quali c’è il difetto funzionale di tre geni alfa globinici su 4. La condizione è
chiamata malattia da HbH. Si tratta di una patologia prevalentemente emolitica perché l’emoglobina H è
instabile e termo-sensibile, quindi precipita in corso di febbre (ma anche, per esempio, in caso di acidosi),
determinando appunto l’insorgenza di crisi emolitiche. Nella beta talassemia, invece, c’è più che altro una
condizione di eritropoiesi inefficace.

Anche l’anemia falciforme si associa (con una prevalenza del 70%) a questa complicanza, così come la
sferocitosi ereditaria1.

DOMANDA D’ESAME: Quale altra condizione si presenta con sferocitosi NON ereditaria nel circolo
periferico?

Le anemie emolitiche autoimmuni, nelle quali ci sono degli anticorpi diretti nei confronti delle strutture del
globulo rosso, che vengono rimossi dal sistema reticolo endoteliale e trascinano via la membrana del
globulo stesso. C’è pertanto una riduzione del rapporto superficie/volume, l’eritrocita assume una forma
sferica e basta anche un piccolo stimolo osmotico perché vada incontro a lisi. Il test di laboratorio che si
utilizza per fare diagnosi consiste nel mettere i globuli rossi in soluzioni decrescenti di cloruro di sodio, e
misurare la quantità di emolisi, quindi la quantità di emoglobina che va in soluzione. Man mano che scende
la concentrazione di sodio, l’acqua entra all’interno del globulo rosso che, nel caso degli sferociti, è già
dilatato e quindi lisa molto prima rispetto a una condizione di normalità.

Nelle talassemie invece c’è un eccesso di membrana rispetto al contenuto, quindi si formano le cosiddette
cellule a bersaglio, mentre nelle epatopatie croniche c’è un aumento dell’emoglobina per alterazioni a
livello delle lipoproteine.

1 Difetto genetico da danno di membrana del globulo rosso. Tra le cause si annovera un difetto della spectrina,
proteina citoscheletrica, ma anche dell’anchirina o la proteina 4.3. C’è una riduzione del rapporto tra superficie e
volume, del globulo rosso, e l’esito è lo sferocita.
Altre condizioni che possono determinare una crisi aplastica transitoria sono il difetto della piruvato kinasi
(estremamente raro), la malaria e l’anemia sideropenica.

Cos’hanno in comune le patologie appena descritte? Il fatto di caratterizzarsi per una condizione di EMOLISI
CRONICA. Il parvovirus inibisce i precursori midollari e quindi il globulo rosso avrà una emivita non più di
120 giorni ma di 20-25, determinando così una deflessione dell’emoglobina con anemia ipoplastica, o anche
aplastica.

L’anemia sideropenica per esempio, si caratterizza così perché già di base la carenza di ferro determina una
riduzione dei reticolociti, in più l’insulto di tipo tossico – virale determina un peggioramento dell’anemia.

Il rash in queste condizioni è assente generalmente perché si tratta di persone adulte; i sintomi principali
quindi sono quelli dell’anemia (pallore, calo notevole dell’Hb e raramente scompenso cardiaco). La
situazione si risolve in una, due settimane e raramente sono necessarie delle trasfusioni. Alla biopsia
midollare riscontriamo ipoplasia e normoblasti giganti con inclusioni virali (aspetto caratteristico).

Infezione fetale

Quando colpisce il feto, c’è la possibilità di evoluzione in morte intrauterina da aplasia eritrocitaria, con
anemia grave, ipossia tissutale e insufficienza cardiaca. Di base l’eritropoiesi fetale è accelerata e quindi
espone maggiormente il feto a un danno di questo tipo. Un’altra manifestazione può essere l’idrope fetale.
Per valutare la gravità dell’anemia si può misurare con l’ecodoppler la velocità del flusso nell’arteria
cerebrale media, che sarà tanto aumentata quanto più grave sarà l’anemia (meccanismo di compenso).
Quando però l’anemia diventa molto marcata il compenso viene meno, il cuore scarsamente irrorato e
ossigenato si dilata e si determina uno scompenso cardiaco. Si tratta di una complicanza relativamente
frequente (10% di rischio per il feto se la madre è infettata). Anche rosolia e citomegalovirus hanno
sicuramente una percentuale di trasmissione madre-feto elevata (rispettivamente 70% e 8%), ma sono
anche più importanti rispetto al parvovirus, che rappresenta meno del 5% delle infezioni in gravidanza. Le
donne vengono contagiate prevalentemente in ambiente scolastico

Artrite

Manifestazione prevalente in adulti e adolescenti. Riguarda le piccole articolazione, a livello delle estremità,
in modo simmetrico. Soprattutto polsi, caviglie e ginocchia, con o senza eritema infettivo. Il rash si presenta
nel 75% dei casi, e quello malare solo nel 20% (è più tipico dei bambini). La durata è di circa tre settimane,
talora può esserci ricorrenza o persistenza ma non ci sono danni articolari erosivi a differenza di quanto
accade in alcune patologie come l’artrite reumatoide.

Anemia ipoplastica cronica

Si presenta in pazienti immunodepressi, che quindi non presentano una risposta immune e fanno si che la
viremia sia persistente. Può esserci anche aplasia, che raramente evolve in exitus. Si presenta generalmente
in pazienti con leucemie, linfomi, che hanno subito un trapianto o con immunodeficienze congenite o
acquisite.

Si caratterizza per una reticolocitopenia periferica (la percentuale di reticolociti nel sangue periferico
normalmente è dell’1%), e pronormoblasti giganti midollari. L’anemia è la manifestazione più caratteristica
ma possono esserci anche leucopenia (38%), e trombocitopenia (21%).
Altre manifestazioni cliniche rare possono essere epatite, miocardite e polmonite.

Dal momento che questi pazienti sono immunocompromessi, non presentano le classiche manifestazioni da
immunocomplessi, quindi rash o artriti. La prevalenza dell’infezione è del 10% nei trapiantati di rene, del
13% in caso di CMV, e 12% per EBV. Non si tratta di prime infezioni ma generalmente di riattivazioni del
virus che si trova allo stato latente.

Sesta malattia
È conosciuta con vari nomi: esantema critico (l’esantema compare nel momento della scomparsa della
febbre per crisi), esantema subitum (compare subito dopo la febbre), roseola infantum o febbre dei tre
giorni. A differenza di quanto accade, per esempio, nel morbillo, al momento della comparsa dell’esantema
il bambino non presenta febbre e pertanto si ritiene guarito. È una malattia tipica del lattante, colpisce
bambini piccoli, generalmente sotto l’anno (intervallo dai 6 mesi ai due anni), ed è causata da due herpes
virus, il 6 e il 7. Questi si caratterizzano per delle piccole differenze tra loro – per quanto siano molto simili-:
per esempio, le manifestazioni di tipo convulsivo sono più tipiche dell’infezione da Herpes Virus 7.

Quando si ha il sospetto di questa patologia è importante NON somministrare l’antibiotico, che potrebbe
disorientarci sulla causa dell’esantema; è pertanto buona norma, soprattutto se non ci sono segni che ci
facciano sospettare qualcos’altro, aspettare.

Il periodo di incubazione è di circa 15 giorni. Il virus una volta acquisito rimane in saliva per tutto il resto
della vita.

La patologia si caratterizza per un inizio acuto, con febbre che spesso supera i 40 gradi, di durata media tra i
tre e i cinque giorni. Possono esserci alcuni segni associati come adenopatia cervicale, faringite, diarrea,
edema perioculare. La diagnosi, è una diagnosi PER DEFINIZIONE: febbre di 3/5 giorni che scompare e
comparsa di esantema successivo = sesta malattia.

L’esantema è maculo papulare e si localizza nel tronco, nel collo e nelle estremità prossimali. Dura uno o
due giorni, talvolta anche poche ore. È un esantema causato da immunocomplessi, mentre la viremia è
pressoché assente.

Può eventualmente esserci anche neutropenia, che, essendo di origine virale, è periferica. La percentuale di
neutrofili in periferia corrisponde all’1% del totale, di conseguenza non si tratta di una condizione clinica
significativa. Può esserci anche linfocitosi reattiva.

Il trattamento è sintomatico; la febbre va curata con regolarità perché questi virus hanno un tropismo
marcato per il sistema nervoso centrale, ed è importante evitare l’insorgenza delle convulsioni febbrili.

Complicanze

• Fontanella bombata

• Convulsioni febbrili

• Meningite/encefalite e epatite fulminante. Sono situazioni rarissime, può esserci a volte un


aumento delle transaminasi.

Il professore mostra una slide che indica i sintomi e segni riscontrati in una serie di 80 bambini con
Esantema critico. In questi 80 bambini, si è riscontrato:

• Linfadenopatia – 98% (cervicale, post auricolare, sub occipitale)


• Timpanite – 93%

• Irritabilità – 92%

• Nagayama spots (macule o ulcere alla giunzione di ugola, palato, lingua) – 87%

• Anoressia – 80%

• Sintomi vie aeree superiori – 25%

• Diarrea – 15%

• Tosse – 11%

• Convulsioni – 4%

Il professore mostra una seconda slide nella quale si evidenzia la correlazione tra diversi tipi di lesione e
patologia corrispondente.

• Lesioni maculari/papulari/maculo – papulari che scompaiono alla digitopressione: rosolia,


morbillo, esantema critico. Ancora, patologie da enterovirus o, meno comunemente, scarlattina o
morbo di Kawasaki. Anche i farmaci possono determinare un esantema di questo tipo.

• Petecchie (non scompaiono alla digitopressione): porpora di Schonlein – Henoch,


meningococcemia, trombocitopenia. Come distinguiamo queste ultime due? Il bambino
trombocitopenico sta bene, gioca e si comporta in modo normale.

• Lesioni vescicolari: dimensioni inferiori a 0.5cm a contenuto vario (sieroso, cristallino ecc). Tipiche
della varicella

• Lesioni bollose: dimensioni superiori a 0.5 cm, causate da impetigine o da Staphylococcal scalded
skin syndrome (SSSS), patologia che si caratterizza per una lisi dello strato superficiale della cute e
formazione di bolle

• Desquamazione: tipica della fase post esantematica di scarlattina e malattia di Kawasaki. Fare la
diagnosi differenziale tra queste due è abbastanza complicato.

Malattia di kawasaki
È una delle vasculiti pediatriche più frequenti, soprattutto in asia orientale. Generalmente si autolimita, ha
una durata media di 12 giorni e la sua eziologia è sconosciuta, sebbene si ritenga sia causata da una
interazione tra più agenti virali e un substrato genetico predisposto. In particolare, si pensa sia dovuta
all’insulto da virus deboli in soggetti geneticamente predisposti e a una reazione immune anomala a stimoli
infettivi o ambientali. La cura è molto efficace, tanto più rapida è la diagnosi.

Causa varie anomalie cardiovascolari, tra cui aneurismi coronarici, miocardite, (30%), insufficienza cardiaca,
aritmie e trombosi arteriose periferiche. Queste complicanze si caratterizzano per un’alta morbilità e
mortalità, ma possono essere prevenute con la somministrazione di immunoglobuline ad alte dosi (2 g per
Kg di peso). È essenziale, lo ribadiamo, la diagnosi precoce. La diagnosi generalmente viene fatta al quinto
giorno di febbre (cinque giorni di febbre sono infatti uno dei criteri per la diagnosi), ma se ci sono altri
elementi ne bastano anche quattro. Atto limite per la diagnosi è il decimo giorno, che comporta una
riduzione notevole delle complicanze.
La patologia fu descritta per la prima volta in Giappone, nel 1967. La frequenza riscontrata li è di 1 paziente
ogni 100, di età inferiore ai cinque anni (soprattutto tra i 6 e gli 11 mesi); questo aspetto va sicuramente a
favore di una ipotesi eziologica genetica. Fino al 1986 si verificarono epidemie ogni 3-4 anni. Per quanto
riguarda la prevalenza nella popolazione, quella maggiormente interessata è quella Giapponese; a seguire
cinesi, afroamericani, ispanici e infine caucasici.

La popolazione maschile è più colpita rispetto a quella femminile (1,5 volte più frequente), e questo va a
favore di una origine infettiva della patologia, così come il fatto che sia rara nei bambini al di sotto dei sei
mesi di età. È rara in adolescenti e adulti. 10 volte più frequente nei fratelli, due volte nei figli di genitore
affetto.

Si ha una malattia infiammatoria a livello delle arterie di medio calibro, soprattutto le coronariche.
L’infiltrato infiammatorio nei vasi è costituito da GN, CD8, eosinofili, plasmacellule e IgA, però, a differenza
di altre vasculiti, mancano i depositi endoteliali di IgA.

A supporto per origine infettiva abbiamo:

• Esantema con mucosite e linfoadenite, tanto che il primo nome della patologia era Malattia
linfonodale muco cutanea

• Incidenza stagionale

• Epidemie

• Prevalenza maschile nelle malattie infettive e femminile nelle autoimmuni

• Malattia nei familiari spesso entro una settimana da esordio nell’index

• Rara in lattanti e adulti (immunizzazione passiva e già immuni)

• Clustering spaziale e temporale

• Cause comunque sconosciute

• 33% dei casi associazione con infezioni di vario tipo

Clinica

I sintomi sono spiegabili con una infiammazione diffusa delle arterie di medio calibro. La diagnosi si basa
sulla presenza di una infiammazione sistemica e a livello mucoso e cutaneo. In generale, quello che si ha è
una congiuntivite sierosa bilaterale, eritema di labbra e cavo orale (90%), rash polimorfico (70-90%),
modifiche a livello delle estremità (50-85%), linfadenopatia cervicale (25-70%) e prodromi respiratori. Tutti
questi sono alla base dei criteri diagnostici, ma vanno rivalutati man mano che compaiono (non
necessariamente sono contemporanei).

I criteri diagnostici sono tutti clinici, però ci si può avvalere dei marker infiammatori.

Congiuntivite

È una congiuntivite sierosa, non essudativa. Si presenta come una infezione bulbare bilaterale, che
risparmia il limbo. Appare nei primi giorni, e spesso si associa a fotofobia. È importante fare una visita
oculistica per riscontrare l’uveite anteriore, che si presenta nel 70% delle congiuntiviti. La presenza di
questa patologia è infatti un supporto importante alla diagnosi.
Mucosite

Si associa al rash. Le manifestazioni sono polimorfiche, con eritema perineale, maculare, morbilliforme. Ci
possono essere lesioni a bersaglio su tronco o estremità e, tardivamente, desquamazione perineale. Talora
possono esserci manifestazioni psoriasiche misconosciute. Se sono presenti vescicole o bolle bisogna
orientarsi su un’altra diagnosi. Fanno parte del quadro anche una faringite, associata eventualmente a
linfadenopatia cervicale (almeno un linfonodo maggiore di 1.5 cm). Se la linfadenopatia però non è solo
cervicale ma generalizzata, ci si orienta su altre patologie. Un aspetto tipico è la formazione di un eritema o
di una crosta nei sito di vaccinazione BCG. Il professore mostra una immagine di lingua a fragola, che si può
presentare anche nella scarlattina.

Modificazioni estremità

Ultime ad apparire. In fase acuta ci sono edemi duri a livello del dorso delle mani e dei piedi, che sono
anche caldi, con un eritema diffuso a livello di palmi e piante. Questo, nel lattante, è un segno
particolarmente importante. Nella fase di convalescenza compare invece una desquamazione lamellare,
che inizialmente è peri – ungueale e poi si diffonde. Questo si ha anche nella scarlattina non trattata. Se
siamo incerti è possibile fare le immunoglobuline (possono dare anche effetti collaterali e sono costose).

Reperti cardiovascolari

Non costituiscono criterio, ma sono altamente supportivi per la diagnosi differenziale perché sono assenti
in altre condizioni. Possiamo trovare:

• Toni di galoppo o attenuati (anche nella febbre reumatica, determinati da un edema delle valvole
cardiache)

• Dilatazione cardiaca all’ecografia nel 30% alla diagnosi. È quindi molto importante eseguire questo
esame, e va fatto da un cardiologo pediatrico esperto

• Tachicardia sproporzionata alla febbre, che indica una miocardite sottostante

• Aneurismi, anche se non si presentano prima del decimo giorno di malattia

• Nei bambini piccoli, possono esserci aneurismi fusiformi delle arterie brachiali, visualizzabili a livello
ascellare

• Dita di mani e piedi fredde per ridotta perfusione, e questo talvolta può portare alla gangrena.

Artrite

• Non è inclusa nei criteri diagnostici ma è presente fino al 25% dei casi di patologia

• Interessa grosse articolazioni, può essere oligo o poli articolare (più o meno di 5 articolazioni
coinvolte)

• Autolimitante e non deformante

• C’è una relazione tra la comparsa di artrite e chi presenta valori elevati di PCR, VES e neutrofilia.

Altri aspetti clinici

Ci sono dei segni aspecifici, prodromici della patologia, presumibilmente legati al virus che successivamente
scatena la vasculite. Tra questi, abbiamo

• Diarrea, vomito o dolori addominali – 61%


• Irritabilità – 50% e nei bambini grandi letargia

• Vomito isolato – 44%

• Tosse o rinorrea – 35%

• Inappetenza – 37%

• Dolore articolare 15%


Malattia di Kawasaki
La malattia di Kawasaki (MK) è una vasculite acuta sistemica che colpisce i vasi di medio calibro di tutti i
distretti dell’organismo, autolimitante, ad eziologia sconosciuta, probabilmente multifattoriale, che colpisce
prevalentemente lattanti e bambini nella prima infanzia. La patogenesi della malattia è sconosciuta: vari
agenti infettivi, soprattutto virali, sono ritenuti cause scatenanti della malattia in individui geneticamente
suscettibili. È caratterizzata da febbre da più di 5 giorni, associata ad almeno 4 dei seguenti segni o criteri
clinici: iperemia congiuntivale bilaterale, eritema delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle
estremità, rash e linfoadenopatia cervicale1.

Le anomalie delle estremità rappresentano un criterio diagnostico fondamentale nel lattante, in cui
possono essere talvolta un segno isolato. Alle estremità si riscontra la presenza di edema duro palmo-
plantare, di eritema, accompagnato da calore, e secchezza.

La complicanza più temibile è legata a una predilezione della malattia per le coronarie, con formazione di
aneurismi coronarici che possono andare incontro a rottura o a trombizzazione, con rischio di infarto del
miocardio acuto. L’incidenza del danno coronarico viene significativamente ridotta quando i pazienti sono
trattati con immunoglobuline entro il decimo giorno dall’esordio della febbre. Questo fa capire quanto sia
fondamentale la diagnosi precoce.

• Esami di laboratorio
Gli esami di laboratorio non sono inclusi nei criteri diagnostici, che sono prevalentemente clinici, ma
supportano le forme incomplete di MK. In letteratura è segnalato un numero crescente di bambini che
presenta rilievo ecocardiografico di alterazioni delle coronarie (dilatazione, aneurismi) senza soddisfare
pienamente i criteri diagnostici classici, pertanto sono stati coniati i termini di MK incompleta e MK atipica.
Nelle forme incomplete, in presenza della tipica febbre (talvolta può essere il criterio mancante), i pazienti
non presentano il numero sufficiente di criteri diagnostici (meno di 4), pur presentando alterazioni
coronariche. Nelle forme atipiche, i pazienti presentano all’esordio della malattia, oltre alla febbre,
manifestazioni che tipicamente non si riscontrano nella MK.

a. PCR: nella MK sono presenti segni di infiammazione sistemica, con aumento di PCR e VES.
La PCR è il criterio da seguire tra i due perché ha una minore inerzia: aumenta rapidamente
in corso di infiammazione, potendo aumentare anche di mille volte in prima giornata, e
quando il processo infiammatorio si spegne, essa decresce altrettanto in fretta. Per
valutare la risposta alla terapia antibiotica si valuta la PCR, senza aspettare la
normalizzazione della VES. Per la sua rapida variabilità, la PCR può essere sfruttata come
indice di variazione dell’intensità del processo infiammatorio giornalmente.

b. VES: il valore di questo parametro varia molto lentamente nel tempo, sia quando cresce
che quando decresce. Può essere usata per seguire l’andamento del processo
infiammatorio al passare delle settimane. La valutazione della VES dà una misura indiretta
del fibrinogeno e delle immunoglobuline. Le immunoglobuline agiscono neutralizzando le
cariche negative della superficie delle membrane dei globuli rossi. Il venir meno delle
cariche repulsive fa in modo che si formino dei macroaggregati di globuli rossi, che
sedimentano più rapidamente, con aumento della VES. Considerando che la terapia della
MK prevede l’uso di immunoglobuline ad alte dosi, è chiaro come queste possano andare
1 Per via del rash cutaneo con desquamazione e ingrossamento dei linfonodi cervicali, la MK viene anche chiamata
sindrome mucocutanea-linfonodale.
ad influire sulla VES, rendendola meno affidabile come parametro di valutazione del
processo infiammatorio.

c. Neutrofili a banda: si ha un aumento delle cellule a banda, che rappresentano il penultimo


stadio di maturazione della linea neutrofila. In questo stadio il nucleo è allungato, con una
forma a ferro di cavallo, simile al nucleo reniforme dei monociti, ma più accentuato. In
questa fase il nucleo non è ancora segmentato in più lobi. L’aumento dei neutrofili a banda
indica che c’è uno stimolo di richiamo dal midollo osseo di cellule per combattere
un’infezione batterica.

d. Trombocitosi: la conta piastrinica aumenta, potendo arrivare anche a 106/µL. L’aumento si


verifica in genere nella fase subacuta della malattia, cioè dalla seconda settimana in poi.
Non sempre si riscontrano valori così elevati di trombocitosi, ma ci sarà comunque un
aumento della conta piastrinica rispetto al valore basale del paziente. In alcuni studi
l’aumento di piastrine è stato associato ad un aumentato rischio coronarico.

e. Ferritina: si ha un’elevazione della ferritina, in quanto proteina di fase acuta, ma con valori
entro 5N (v.n. 20-200 µg/dL). Se il valore di ferritina dovesse superare di più di cinque volte
il valore normale, ciò segnalerebbe una possibile evoluzione verso una MAS (macrophage
activation syndrome). La MAS è caratterizzata da una proliferazione sistemica non-maligna
e da infiltrazione multiviscerale di istiociti, i quali vanno incontro ad incontrollata
emofagocitosi nel midollo osseo e/o nel sistema reticolo-endoteliale, con grado elevato di
morbilità se non curata. Si scatena un’infiammazione sistemica incontrollabile. In questa
sindrome si ha un notevole incremento dei valori di ferritina e, quando questa è superiore a
9000 µg/dL, si tratta quasi sempre di una MAS. Nei pazienti talassemici la ferritina è
aumentata, ma non raggiunge valori così elevati. Uno dei segni tipici della MAS è la
splenomegalia, quindi la diagnosi risulta più complessa in pazienti splenectomizzati.

f. Linfociti: nella MK tendono a essere ridotti in fase acuta (1ª -2ª settimana), poi aumentano
durante la fase di convalescenza (dalla 5ª alla 8ª settimana). Una linfocitosi iniziale sarebbe
a favore di una diagnosi di infezione virale. La MK è una diagnosi di esclusione: anche se si
ritiene che spesso sia conseguenza di un’infezione virale, la linfocitosi iniziale pone dei
dubbi. La malattia di Kawasaki generalmente segue l’infezione virale. Se invece si isola il
virus in corso di malattia, questo fa orientare la diagnosi a favore di un’infezione virale e
non di MK.

g. Anemia lieve con normalità di MCV e MCH.

h. Piuria con più di 10 leucociti per campo, esterasi-negativa. L’esterasi è rilasciata


soprattutto dai granulociti neutrofili e indica generalmente la presenza di un’infezione. La
presenza di leucociti all’esame del sedimento, senza reazione dell’esterasi al Combur-test®,
indica una piuria non granulocitaria e ciò supporta la diagnosi di MK.

i. Alterazione della funzione epatica: è frequente trovare transaminasi moderatamente


elevate e alterazioni della coagulazione (45% dei casi). Si possono riscontrare un aumento
di bilirubina, lipoproteine a bassa densità (LDL) e trigliceridi e una riduzione delle
lipoproteine ad alta densità (HDL). Se è presente un’ipoalbuminemia, questa correla con
una malattia più grave e prolungata.

j. Meningite asettica: la pleiocitosi mononucleare è molto frequente. In genere nel liquor ci


sono 4-5 cellule per mm3, mentre in caso di MK si possono ritrovare valori mediani di 22
cellule per mm3. È una pleiocitosi non accompagnata da alterazioni di glicorrachia e
proteinorrachia.

k. Sinovite: nelle forme artritiche (20% dei casi di MK) si avrà la presenza di cellule
infiammatorie anche nel liquido sinoviale: GB 125.000-300.000/mm3.

l. Iponatriemia: pare che correli con un aumentato rischio di sviluppare aneurismi coronarici.

• Algoritmo diagnostico della forma completa


Febbre da più di 5 giorni con almeno quattro criteri tra:
- iperemia congiuntivale bilaterale: se è monolaterale è più facile che si tratti di una congiuntivite
batterica o da corpo estraneo. In corso di MK si tratta di una congiuntivite non essudativa che
risparmia il limbo2, cioè la parte di cornea immediatamente adiacente all’iride.

- modificazioni della mucosa orale: in particolare iperemia e fissurazioni delle labbra, iperemia della
faringe e/o lingua a fragola.

- modificazioni delle estremità periferiche: edema e eritema a livello palmare (eritema a guanto) e
plantare (eritema a calzino). Gli eritemi a livello degli arti sono presenti anche nel megaloeritema,
ma in quest’ultimo caso compaiono quando il bambino è ormai apiretico. In caso di MK, invece, la
febbre è importante e persistente, provocata da una grave infiammazione sistemica. Entro 2-3
settimane dall’esordio (fase subacuta) della febbre si verifica una desquamazione delle dita, che
solitamente inizia in regione periungueale e che può estendersi alla regione palmo-plantare. La
desquamazione in genere è tanto più marcata quanto più marcato era l’eritema in fase acuta. In
fase acuta, inoltre, si può osservare un eritema perineale che evolve precocemente in
desquamazione.

- rash polimorfo: un rash eritematoso del tronco e delle estremità, comunemente maculo-papuloso,
ma che può avere altre morfologie, appare generalmente entro 5 giorni dalla comparsa della
febbre. In genere le macule hanno un aspetto a coccarda.

- linfoadenopatia cervicale: la linfoadenopatia laterocervicale è la meno comune delle principali


caratteristiche cliniche. Generalmente è unilaterale, con uno o più linfonodi di diametro > 1,5 cm,
spesso fissi, di consistenza parenchimatosa, senza segni di colliquazione e ricoperti da cute integra.

Se un bambino presenta febbre da almeno 5 giorni, senza una spiegazione alternativa, si va a vedere quanti
dei criteri clinici sono soddisfatti. In caso di forma completa si può iniziare subito il trattamento con
immunoglobuline e si effettua un ecocardiogramma basale, che non serve tanto ad identificare gli
aneurismi coronarici (tardivi), quanto ad evidenziare le possibili complicanze cardiache di fase acuta:
miocardite (con dilatazione delle camere cardiache), pericardite, endocardite, insufficienza mitralica,
insufficienza aortica e tricuspidalica.

• Algoritmo diagnostico delle forme incomplete


I criteri clinici non includono segni di alterazione cardiovascolare e hanno quindi specificità e sensibilità sub-
ottimali, intorno al 90%. Infatti, in un 10% dei casi i pazienti non soddisfano i criteri clinici, pur presentando
degli aneurismi coronarici, individuati a posteriori. Esistono degli algoritmi che permettono di orientarsi

2 Il limbo è la zona di giunzione tra cornea e sclera, dove l'epitelio corneale si fonde con l'epitelio della congiuntiva.
verso la MK, anche se i criteri sono incompleti. Lo scopo è quello di fare diagnosi in fase acuta e non a
posteriori, per ridurre il rischio che si sviluppino aneurismi coronarici misconosciuti.

L’esantema e la congiuntivite, se presenti, non sono specifici e da soli non ci aiutano a fare diagnosi nelle
forme incomplete. Si trovano frequentemente nelle virosi, ma in queste ultime è raro trovare l’iperemia e
le fissurazioni labiali, così come l’edema palmo-plantare. Le infezioni da HSV causano frequentemente
iperemia labiale, ma in più si associano gengivostomatite e vescicole diffuse su labbra, palato e guance e in
generale nella regione periorale. Le alterazioni delle estremità, invece, sono molto caratteristiche e
consentono di orientarsi meglio, soprattutto nei lattanti.

Se la febbre persistente si associa a 2 o 3 criteri diagnostici, in caso di forte sospetto clinico, entrano in
gioco i parametri di laboratorio: PCR e VES.

Se sono presenti almeno tre criteri laboratoristici supplementari (vedi immagine), con PCR superiore a 3
mg/dL e/o VES superiore a 40 mm/h, si può fare diagnosi di MK incompleta anche prima del riscontro di
alterazioni all’ecocardiogramma, che andrà comunque effettuato.

2-3 criteri clinici + PCR/VES + 3 criteri di laboratorio supplementari → MK incompleta

Se si riscontrano meno di 3 criteri di laboratorio supplementari, l’ecocardiogramma sarà risolutivo per la


diagnosi. Se all’ecocardiogramma si riscontrano alterazioni cardiovascolari, si pone la diagnosi di MK
incompleta. Se l’ecocardiogramma è negativo, in un paziente apiretico, la MK si esclude. Se invece
l’ecocardiogramma è negativo, ma la febbre persiste, si opta per la ripetizione dell’esame.

2-3 criteri clinici + PCR/VES + 2 criteri di lab. supplementari + ECOCARDIO posi4va → MK incompleta

Se la febbre persiste, anche se PCR e VES sono negativi, si valuta quotidianamente il paziente. Se compare
desquamazione cutanea, anche in assenza di febbre, si sospetta una MK e si indaga con un
ecocardiogramma.

La forma di MK incompleta è più frequente nei bambini al di sotto dei 12 mesi, pertanto dovrebbe essere
sospettata in ogni lattante di età < 6 mesi con febbre da più di 7 giorni ed infiammazione sistemica
documentata, senza una causa spiegabile. Si fa un’ecocardiografia di base e, se positiva, si fa diagnosi di MK
incompleta. Se l’ecocardiografia è negativa, rimane comunque il sospetto clinico e si sfruttano i criteri
laboratoristici. Si monitora strettamente il bambino con ecocardiogrammi seriali, fino a che la malattia di
Kawasaki è diagnosticata, o fino a quando il paziente è apiretico e sta bene per almeno 48h.

• Diagnosi differenziali

Infezioni virali → in circa un terzo dei casi di MK è presente una storia di recente infezione virale. Per
parlare di MK l’infezione virale non deve essere in corso. In caso di congiuntivite essudativa bilaterale si
tratta in genere di infezioni virali, in particolare da Adenovirus, associata a faringotonsillite. La congiuntivite
essudativa monolaterale fa invece pensare ad un’eziologia batterica. Nel morbillo, oltre all’esantema, si ha
la comparsa delle macchie di Kӧplik, patognomoniche. L’infezione da parte di EBV va sospettata in caso di
linfoadenopatia generalizzata.

Scarla5na → è tipica dell’età prescolare e scolare. Può dare un quadro molto simile a quello della MK. Il
batterio Streptococcus pyogenes risulta ancora molto sensibile alla penicillina, a differenza dello
Staphylococcus aureus che è diventato resistente a tanti antibiotici. Se ci si orienta verso una scarlattina,
ma dopo 48h di antibiotico correttamente somministrato non si ha un miglioramento del quadro clinico,
aumenta il sospetto che si possa trattare di una malattia di Kawasaki. Per lo SGA risultano d’aiuto il test
rapido e il tampone faringeo e, se negativi, già questi possono dirimere il dubbio. Nella scarlattina viene
prodotta una tossina responsabile di eritema intenso. Bisogna pensare ad un’infezione streptococcica non
tanto quando c’è pus, quanto in presenza di iperemia che coinvolge tonsille e pilastri, talvolta con un
aspetto petecchiale. La scarlattina dà papule caratteristiche a capocchia di spillo di 1-2 mm nella zona
ascellare, nel collo e nell’inguine. Può essere presente desquamazione cutanea. I linfonodi sono dolenti e
dolorabili alla palpazione.

Sindrome di Stevens-Johnson → è raro che la malattia di Kawasaki assuma un aspetto di esantema


vescicolare bolloso, ma in tal caso possono nascere problemi di diagnosi differenziale. Può causare
congiuntivite essudativa e cheratite a livello oculare, mentre a livello della mucosa orale può essere causa
di eritema, ulcere e pseudomembrane. Generalmente le lesioni hanno una morfologia a coccarda. La
sindrome di Stevens-Johnson può essere causa di artralgie, molto spesso associate a infezioni erpetiche
(fino al 75% dei casi).

Sindrome da shock tossico → questa sindrome è frequentemente associata all’uso di tamponi vaginali. In
genere esordisce con febbre alta improvvisa, accompagnata da eruzioni cutanee diffuse e dopo una o due
settimane può comparire una desquamazione palmo-plantare, preceduta da edema palmo-plantare. In
genere riguarda adolescenti sopra i 10 anni, in particolare di sesso femminile. All’esame
emocromocitometrico è presente una trombocitopenia, contrariamente alla trombocitosi che si ha
tipicamente in corso di MK.
Artrite idiopatica giovanile sistemica (Malattia di Still) → colpisce in particolare bambini tra i 2 e i 5 anni.
L’elemento clinico principale è la febbre, di carattere intermittente-remittente, con uno o due picchi al
giorno, fino a temperature superiori ai 40°C. La febbre si associa in genere ad artralgia e ad eruzioni
cutanee evanescenti rosate, che scompaiono dopo qualche ora. Può esserci il riscontro di un’adenopatia
generalizzata ma non dolente e non dolorabile oltre che di polisierosite. All’esame emocromocitometrico si
ritrovano frequentemente alterazioni di più linee cellulari: anemia, leucopenia, trombocitopenia.

La malattia di Kawasaki interessa principalmente bambini con meno di 5 anni e si presenta con una febbre
persistente. La congiuntivite è bilaterale, non essudativa e risparmia il limbo. La mucosa orale è iperemica
ed edematosa, la lingua ha un aspetto a fragola e i linfonodi non sono purulenti. Possono essere presenti
fenomeni artritici.

• Terapia
Nella MK è fondamentale fare diagnosi precoce. La terapia va iniziata preferibilmente entro dieci giorni
dall’inizio della febbre. Questo riduce di cinque volte il rischio di avere aneurismi coronarici e più è trattato
precocemente, minore è il rischio di sviluppare aneurismi. I ritardi diagnostici si fanno soprattutto nei
lattanti con meno di 6 mesi, in cui per fortuna la malattia è rara: gli anticorpi materni contrastano le
infezioni virali, che si ritiene scatenino una parte importante di MK.

La terapia comprende:

- Immunoglobuline ev ad alte dosi: le Ig hanno un effetto antinfiammatorio. La dose raccomandata è


2 g/kg in unica somministrazione (o al massimo due); tale schema terapeutico si è dimostrato
essere più efficace nel ridurre di 5 volte l’incidenza di aneurismi coronarici e la durata della febbre
rispetto agli altri, che prevedevano la somministrazione di 0,4 g/kg/die di Ig per 5 giorni.

- Aspirina: durante la fase acuta viene somministrata a dosi antinfiammatorie (100 mg/kg/die), in
genere sino al settimo giorno. Dopodiché, quando compare la trombocitosi, si somministra a dosi
antiaggreganti (5-10 mg/kg/die).
Vasculiti
La vasculite è un’entità clinico-patologica caratterizzata da infiammazione e danno a carico dei vasi
sanguigni con restringimento del lume e conseguente ischemia dei tessuti irrorati. Questo può causare
numerose sindromi cliniche, in quanto possono essere colpiti vasi di ogni calibro e sede. Possono essere
una manifestazione primaria oppure rappresentare un evento secondario ad altre malattie. In genere si
riconoscono due meccanismi fisiopatogenetici principali: l’attivazione delle cellule endoteliali e l’attivazione
e migrazione per chemiotassi dei leucociti lungo le pareti dei vasi sanguigni.

Esistono diverse classificazioni delle vasculiti. Quella più utilizzata si basa sul calibro dei vasi. Altre si basano
sull’immunofisiopatologia o sull’organo colpito.

Le vasculiti possono essere associate a:


 presenza di auto-anticorpi;
 deposizione di IC;
 infiltrazione di cellule T;
 disturbi allergici (forme di ipersensibilità, soprattutto a farmaci).

In base al calibro del vaso interessato:


- Vasi di grande calibro: arterite di Takayasu;
- Vasi di medio calibro: malattia di Kawasaki;
- Vasi di medio e piccolo calibro: poliarterite nodosa giovanile e granulomatosi di Wegener;
- Prevalentemente dei vasi di piccolo calibro: porpora di Schönlein-Henoch;
- Tutti i vasi: angioite primaria del SNC e malattia di Behçet.
Porpora di Schönlein-Henoch
La porpora di Schönlein-Henoch (S-H) è una vasculite a carico dei piccoli vasi, caratterizzata dalla presenza
di IgA e di porpora palpabile, quest’ultima localizzata prevalentemente a livello di glutei e arti inferiori.

La vasculite da IgA (o porpora di S-H) è la vasculite più comune nei bambini, ma può verificarsi anche in
neonati e adulti. La malattia sembra riconoscere una patogenesi da deposizione di immunocomplessi, in
quanto, all’immunofluorescenza, si riscontrano IgA nelle aree di flogosi. La malattia sembra inoltre avere un
andamento stagionale, con picco di incidenza in primavera.

• Eziopatogenesi
L’eziopatogenesi è sconosciuta. Si pensa che la porpora di S-H sia dovuta a trigger infettivi. Questi trigger
agiscono in soggetti con predisposizione su base genetica, ambientale e geografica, che poi induce questa
reazione di tipo infiammatorio. Qualche studio ha correlato la porpora di S-H con la vaccinazione MPR, ma
degli studi più estesi hanno escluso o comunque conferito un ruolo marginale alla vaccinazione.

• Epidemiologia
La porpora di S-H è la vasculite sistemica pediatrica più frequente, ma può riguardare anche un 10% di
adulti. Negli adulti, alcuni studi hanno evidenziato che l’interessamento renale sia più comune e più grave
rispetto a quello pediatrico, e può esserci, inoltre, un interessamento cardiaco, raro nel bambino.

L’incidenza annua è 13-18/100.000. La fascia di età più frequentemente colpita è quella che va dai 3 ai 15
anni. Nel 50% dei casi interessa bambini con meno di 5 anni e la percentuale sale al 75% se si considerano i
bambini al di sotto dei 10 anni.

La malattia ha una leggera predilezione per il sesso maschile: in generale nei maschi sono più comuni le
malattie infettive, mentre nelle femmine quelle autoimmuni. Anche in questo caso si suppone una
disregolazione immunitaria nei confronti di un’infezione o di un insulto di tipo farmacologico. L’incidenza
della porpora di S-H aumenta progressivamente dall’autunno alla primavera ed è rara d’estate, per via del
minore rischio di infezioni durante il periodo estivo. In questa malattia, tra le infezioni, un ruolo preminente
è svolto da Streptococcus spp. In questi casi bisogna sempre effettuare un tampone faringeo.

Il 5% delle persone affette da Febbre Mediterranea Familiare (FMF) sviluppa la porpora di S-H, cioè un
bambino su venti degli affetti, che è una frequenza molto importante. La FMF, chiamata anche polisierosite
ricorrente benigna, è una malattia febbrile ereditaria, a carattere autosomico-recessivo, legata alla
mutazione del gene della marenostrina (gene MEFV 16p13.3). La marenostrina, espressa principalmente dai
neutrofili, sembra giocare un ruolo nel controllo dell’infiammazione. La FMF è caratterizzata dalla comparsa
di manifestazioni cutanee, di tipo orticarioide, accompagnate da dolori addominali, polisierosite, artralgia e
febbre ricorrente periodica. Bisogna ricercare la mutazione del gene MEFV quando si ha la ricorrenza
periodica di febbre associata a queste manifestazioni. In questa patologia c’è già di base un quadro di
infiammazione sistemica, con disregolazione immunitaria, che spiega l’aumentato rischio di sviluppare
porpora di S-H.
• Diagnosi
La diagnosi si basa sui segni e sui sintomi clinici. La biopsia cutanea può essere utile nel confermare la
presenza di vasculite leucocitoclastica, con depositi di IgA e C3 all’immunofluorescenza. La biopsia renale è
raramente necessaria per la diagnosi, ma può assumere un ruolo più importante per la prognosi.

La porpora, generalmente, si riscontra in tutti i pazienti pediatrici. La differenza tra porpora di Schönlein-
Henoch e porpora trombocitopenica è la palpabilità. La porpora di S-H è dovuta al processo infiammatorio
e alla deposizione di IgA, risultando rilevata e dunque palpabile. Per questa caratteristica, la porpora di S-H
è anche chiamata porpora anafilattoide. Si manifesta soprattutto agli arti inferiori, a livello di caviglie e
gambe, ma può risalire verso un’altra sede tipica, rappresentata dai glutei. Queste manifestazioni di solito si
hanno nel bambino che deambula. In quello che non deambula ancora è possibile riscontrare
manifestazioni nelle parti superiori del corpo.

Oltre alla porpora, la diagnosi è aiutata dalla presenza di dolori addominali diffusi ad esordio acuto,
artralgie non artritiche e segni di interessamento renale, di tipo glomerulonefritico.

Il tratto gastrointestinale è caratterizzato da coliche addominali associate generalmente a nausea, diarrea


o stipsi, con frequente emissione di feci mucosanguinolente. A causa del processo infiammatorio, può
verificarsi un’intussuscezione intestinale.

Il coinvolgimento articolare è comune e si manifesta generalmente con artralgie in assenza di una vera
artrite.

L’interessamento renale è caratterizzato da una modesta glomerulonefrite, con proteinuria, ematuria


microscopica e cilindri eritrocitari. In assenza di segni clinici, la biopsia renale può evidenziare la presenza di
una GN proliferativa con deposito di IgA. La presenza di proteine, soprattutto nel caso di un quadro di tipo
nefrosico, correla con un aumentato rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale.

• Esami di laboratorio e esami strumentali


Nei pazienV affeX da porpora di S-H si riscontra un aumento degli indici di flogosi (↑ VES/PCR) e, in più
della metà dei soggetti (sino al 60%), anche un aumento delle IgA sieriche. Il motivo di ciò non lo si è ancora
ben compreso; non si capisce se l’incremento delle IgA costituisca un elemento in grado di favorire la
formazione degli IC, cioè se la tendenza a produrre più facilmente anticorpi di tipo IgA sia una condizione
geneticamente determinata che precede lo sviluppo della Porpora S-H, oppure se alcuni virus (capaci
d’indurre più facilmente una risposta di tipo IgA) portino alla formazione di IC, che sarebbero alla base
dell’aumento delle IgA.

All’emocromo si può reperire:

1. un’anemia normocitica, dovuta allo stravaso di GR a livello cutaneo, mucoso o di organi interni e/o
alle perdite intestinali di sangue; come si è detto, è normocitica, ma può essere anche macrocitica
(↑ MCV) per l’immissione (compensatoria) in circolo, nel giro di pochi giorni, di reVcolociV e
giovani eritrociti che hanno dimensioni maggiori di un GR più maturo;

2. una leucocitosi, col significato di indice infiammatorio generico, ma che risulterà ancora più
spiccata nelle forme da Streptococco ed in generale post-infettive;

3. una conta piastrinica normale o elevata: si ricordi che la trombocitosi rappresenta un marcatore di
risposta infiammatoria; la si ritrova spesso nelle malattie autoimmuni, nelle connettivopatie, nelle
artriti etc.).
Una buona quota di pazienti può presentare, inoltre, un’ipocomplementemia (↓ C3-C4), che, se marcata,
può associarsi ad una più importante compromissione renale.

L’esame delle urine va sempre fatto, perché il coinvolgimento renale è il fattore che più condiziona la
prognosi della malattia. Può essere eseguito anche a domicilio, dato che in genere si tende a non ricoverare
i bambini affetti da tale patologia, a meno che non abbiano dei sintomi importanti. I pazienti con uno scarso
coinvolgimento sistemico, per esempio con forme solamente cutanee, possono essere seguiti a domicilio:
in tali casi, ai genitori si consiglia di verificare con uno stick acquistabile in farmacia la presenza di sangue
nelle urine. In caso di risultato positivo, si procederà al ricovero del paziente per una valutazione più
scrupolosa.

Il sangue occulto nelle feci è presente in circa il 50% dei casi.

Qualora si effettui una biopsia cutanea (in genere non necessaria, di solito eseguita nelle forme atipiche, in
cui non ci sono coinvolgimenti d’organo classici utili per porre la diagnosi), è importante ricordare che
occorre biopsiare lesioni non vecchie, cioè comparse da meno di 24 h, perché i depositi di IgA che vi si
rinvengono sono specifici di queste lesioni, mentre, se si va a biopsiare lesioni più vecchie di 24 h, vi è uno
stravaso aspecifico anche di altri IC contenenti IgG, che possono confondere la diagnosi.

Gli esami strumentali utili per la diagnosi comprendono:

- un’ecografia addominale, con la quale si possono apprezzare ispessimenti della parete intestinale
(delle anse intestinali) ed eventuali invaginazioni;

- una radiografia dell’addome, che può evidenziare una perforazione intestinale o una distensione
delle anse intestinali dovuta ad un quadro simil-ileo paralitico;

- una biopsia cutanea, di solito limitata, come si è detto, ai casi atipici;

- una biopsia renale, indicata sostanzialmente solo nel caso compaia una proteinuria di tipo
nefrosico.

• Anatomia patologica
Lo studio istologico della biopsia cutanea permette di identificare una vasculite di tipo leucocitoclastico,
soprattutto a carico delle piccole venule post-capillari, dove si ritrovano infiltrati prevalentemente costituiti
da neutrofili e monociti. All’immunofluorescenza si evidenziano depositi di IgA, di frazione C3 del
complemento e depositi di fibrina nella parete dei vasi.

A livello renale si verifica il deposito di IgA e C3 nell’endotelio glomerulare e nel mesangio. Se si fa una
biopsia renale, non è tanto il contorno dei glomeruli ad essere in risalto, quanto il mesangio.

A livello dei tessuti colpiti si depositano immunocomplessi, che attivano il complemento e richiamano
linfociti per chemiotassi, causando inoltre necrosi fibrinoide dei piccoli vasi.

Una caratteristica è che le IgA depositate sono IgA di tipo 1. Sono riscontrabili anche IgA anti-cardiolipina, in
genere presenti in malattie autoimmuni come il LES o nella Sindrome anti-fosfolipidi, dove causano
trombosi. Nella porpora di S-H, nonostante siano presenti, non sono causa di trombosi.
• Quadro clinico
Gli organi coinvolti nella porpora di S-H sono fondamentalmente quattro. La tetrade è costituita da cute,
articolazioni, tratto gastroenterico e rene.

Non c’è una successione caratteristica dei sintomi. In genere la cute è il primo organo a essere coinvolto,
ma può esserci per primo un coinvolgimento articolare o un interessamento renale. Gli altri segni si
succedono in tempi variabili per giorni o settimane, con un ordine non prevedibile. La maggiore difficoltà
diagnostica si presenta in caso di quadri addominali o renali senza interessamento cutaneo, perché
quest’ultimo, quando presente, rende la diagnosi più facile.

Interessamento cutaneo
La porpora palpabile deve essere presente per la diagnosi, ma non sempre compare per prima (nel 25% dei
casi è tardiva). Si presenta senza alterazioni della conta piastrinica. La distribuzione di solito è dalla cintola
in giù, ma nei bambini che ancora non deambulano si può presentare al di sopra della vita. Quando le
manifestazioni sono al di sopra della cintola, nei bambini più grandi, questo è un segno di particolare
attività della porpora di S-H, con maggiore rischio di coinvolgimento renale.

Si può riscontrare la presenza di edema sottocutaneo a livello periorbitale e/o nelle regioni declivi,
soprattutto nei bambini con meno di 3 anni.

Interessamento articolare
L’artralgia si presenta nel 50-75% dei casi, è migrante e può essere il primo sintomo nel 15% dei casi.
L’articolazione è dolente, con edema periarticolare e assenza di versamento che, a differenza dell’artrite
settica e di quella giovanile, qui è raro. Non ci sono erosioni e non c’è coinvolgimento della sinovia, quindi
dopo la fase di convalescenza si ha una restitutio ad integrum dell’articolazione. Il bambino non cammina a
causa del dolore. Il dolore articolare risponde abbastanza facilmente alla terapia con antinfiammatori.

Interessamento gastroenterico
L’interessamento gastrointestinale è meno frequente di quello articolare (fino al 60% dei casi) e può essere
il sintomo iniziale nel 12% dei casi. Il bambino può presentare nausea, vomito, diarrea, dolori addominali
(lievi) o quadri più gravi: enterite emorragica e intussuscezione ileo-ileale (2%). Quest’ultima è dovuta
all’edema della mucosa, che protrude nel lume intestinale e funge da propulsore di invaginazione. Per la
diagnosi di invaginazione ci si basa sull’ecografia (segno del target o segno del salsicciotto), preferibile al
clisma a doppio contrasto: non si usa il pasto baritato perché, se non fatto entro 24h dall’esordio, c’è il
rischio che ci sia già una necrosi intestinale e che l’intestino vada incontro a perforazione, con spandimento
del bario in cavo peritoneale. Nel 20-30% dei casi si ritrovano quadri di emorragia intestinale, ma il SOF in
realtà è positivo nel 50% dei pazienti.

Interessamento renale
L’interessamento renale è il meno frequente della tetrade, dal 20% al 50% dei casi. È più frequente in
bambini grandi e adulti.

La manifestazione tipica è un’ematuria con o senza cilindri. Per distinguere tra origine alta e bassa
dell’ematuria ci si può basare sull’aspetto dei globuli rossi: si ritiene che i GR passati attraverso i glomeruli
siano deformati, mentre quelli che derivano da un sanguinamento post-renale conservino la propria forma.
In Sardegna, tuttavia, c’è un’alta frequenza di portatori di talassemia, quindi il dato morfologico di GR nelle
urine è poco utilizzabile. Tra alfa e beta talassemia, gran parte della popolazione sarda avrà la morfologia
dei GR alterata. Risulta molto più utile cercare un cilindro ematico, anche se ci vuole più tempo, che in caso
conferma l’origine renale dell’ematuria. I cilindri di grosse dimensioni rappresentano un’indicazione alla
biopsia renale precoce per sospetta glomerulonefrite proliferativa rapidamente progressiva.

La proteinuria nefrotica è rara, così come è raro che ci sia una IRA. La proteinuria marcata è il segno
prognostico più sfavorevole. La possibilità di evoluzione verso una IRC è del 5%.

I fattori che fanno predire un maggiore coinvolgimento del rene sono:

- età (adolescenti e adulti);

- presenza di dolore addominale importante in assenza di enterite emorragica, perché ciò aumenta la
probabilità che il dolore sia di origine renale;

- ricorrenza: ogni recidiva aumenta il rischio di avere un coinvolgimento renale;

- neutrofilia importante, trombocitosi elevata, ipocomplementemia;

- titolo ASLO (antistreptolisina O) elevato: l’infezione streptococcica può causare danni renali di tipo
nefritico. Combinato con la porpora, la possibilità di avere un coinvolgimento renale aumenta.

La porpora di Schönlein-Henoch è una manifestazione sovrapponibile alla sindrome di Berger. Quest’ultima


è una nefropatia con deposito di IgA, caratterizzata da ematuria post-infettiva, che può verificarsi a tutte le
età. Si ritiene che la porpora di S-H sia la manifestazione pediatrica del processo fisiopatologico che causa la
malattia di Berger nell’adulto.

• Evoluzione
La prognosi normalmente è buona, con tendenza alla risoluzione spontanea. Si può scegliere di effettuare
un follow-up domiciliare, quindi non necessariamente in regime di ricovero. La prognosi è peggiore per i
bambini più grandi. La malattia dura circa 4-6 settimane, con recidive in un terzo dei casi e che diventano
più rare quanto più ci si allontana dal primo episodio. In casi atipici la malattia può protrarsi per anni con
un’alternanza di recidive e remissioni. Risulta fondamentale sorvegliare la funzionalità renale, da cui
dipende la mortalità. Vi è una mortalità inferiore all’1%, principalmente legata all’insorgenza di emorragie
cerebrali o alla comparsa di una grave compromissione renale.

• Terapia
In caso di artrite importante, si possono somministrare dei FANS. Se possibile, è meglio optare per il
paracetamolo, che è privo di quasi tutti gli effetti collaterali dei FANS. Si ricordi, però, che il paracetamolo
ha un effetto antalgico, ma non antinfiammatorio, per cui, se la flogosi è marcata (per esempio in caso di
edema peri-articolare di grossa entità), è giustificato l’uso di un FANS, ed in genere in ambito pediatrico si
ricorre all’ibuprofene. Ultimamente c’è la tendenza a sostituire quest’ultimo col naprossene, che è un po’
meno tossico.

La presenza di dolori addominali, e soprattutto la comparsa di enterorragie importanti, costituisce


un’indicazione all’utilizzo di corticosteroidi per via sistemica.

Anche nella Porpora S-H possono, inoltre, essere somministrate immunoglobuline ev, mentre alla terapia
chirurgica si ricorre in caso di invaginazione o perforazione intestinale.
• Metanalisi su 1133 bambini con porpora di S-H
La presenza di ematuria associata a proteinuria è stata riscontrata nel 34% dei casi. La proteinuria, quando
presente, non era nel range nefrosico se non in un quinto dei casi. La metanalisi ha evidenziato che
ematuria e proteinuria compaiono entro 4 settimane nell’84% dei bambini, entro 6 settimane nel 91% e
entro 6 mesi nel 97%. Se dopo un mese e mezzo (6 settimane) non c’è danno renale, si può relativamente
rassicurare il bambino perché c’è una possibilità di circa 8-9% che possa avere danni in seguito.

Questi bambini sono stati sottoposti a controllo delle urine settimanalmente il primo mese e mezzo e
mensilmente nel follow-up successivo.

Una complicanza evidenziata frequentemente è l’edema scrotale, presente nel 22% dei pazienti maschi.
Può essere un primo segno di malattia e può creare dei problemi di diagnosi differenziale con la torsione
del testicolo. L’ecografia è dirimente. Nella torsione del testicolo l’ecodoppler evidenzia una riduzione del
flusso ematico, lo scroto è vuoto e si può notare il sollevamento del testicolo. Nell’edema scrotale associato
alla porpora di S-H il flusso ematico è aumentato e c’è un edema di tipo infiammatorio.

Dallo studio è emerso un possibile coinvolgimento del SN, senza sequele. Si tratta di convulsioni e cefalee,
ma possono manifestarsi, raramente, delle emorragie cerebrali.

A livello polmonare la porpora di S-H può causare un danno di tipo interstiziale, riscontrabile fino al 60% dei
casi. Un’alterazione della diffusione del CO è presente, in caso di danno polmonare, fino al 97% dei casi,
come espressione dell’infiltrato interstiziale.

Ci può essere un coinvolgimento oculare, con quadri di cheratite e uveite. La presenza di un’uveite,
tuttavia, rende più probabili altre diagnosi (es. Malattia di Behçet).
Emostasi

Gli obbiettivi della lezione di oggi sono:


• capire la fisiologia dell’emostasi;
• conoscere gli aspetti clinici suggestivi di una malattia emorragica;
• conoscere gli algoritmi diagnostici delle malattie emorragiche;
• conoscere ereditarietà e terapia delle principali malattie emorragiche.

I sistemi coinvolti nell'emostasi sono vari. La prima fase è la fase vascolare dove c’è una
contrazione del lume, talvolta sufficiente a interrompere il flusso. Poi c’è la formazione del tappo
piastrinico attivato dal fatto che l’endotelio leso espone collagene e altre sostanze che vanno ad
attivare le piastrine. Si attiva la cascata coagulativa, si forma un tappo di fibrina e poi
successivamente, anche in qualche mese, si ha la dissoluzione del tappo di fibrina con nuova
pervietà del vaso che era stato precedentemente occluso dal trombo.

Siamo abituati a considerare le vie della coagulazione come divise in via intrinseca ed estrinseca (la
slide che credo ci fornirà è errata, le due vie dovrebbero essere invertite) e poi in una via comune.
In realtà la via intrinseca non esiste fisiologicamente o perlomeno non esiste un innesco della
coagulazione da parte sua: non si ha mai un inizio di coagulazione dovuto ai suoi fattori, che
comunque partecipano alla coagulazione con un altro meccanismo.
Quindi normalmente la via intrinseca è un sistema di innesco che esiste solo in vitro. Ponendo in
contatto con una superficie in vitro si può innescare la via instrinseca ma vale solamente per lo
studio in vitro di quella fase. In vivo non esiste. Quindi la via estrinseca, che si attiva per prima, va
ad attivare a sua volta la via intrinseca. La trombina (primo prodotto della via estrinseca) va ad
attivare altri fattori e così ha inizio la cascata coagulativa.

Il fattore di von Willebrand è un fattore la cui funzione è stata confusa a lungo. Infatti in parte un
suo difetto determinava alterazioni dell'emostasi primaria e in parte alterazioni della fase
coagulativa. Successivamente è stato clonato e così si è potuta comprendere la sua funzione.
A seguito di un danno vasale si ha vasocostrizione e contemporaneamente attivazione del fattore
di von WIllebrand, che porta ad attivazione piastrinica e anche a formazione del tappo. Tale
fattore ha recettori sia per le piastrine che per il collagene dell'endotelio del vaso danneggiato,
può così fare da ponte bloccando le piastrine nella sede in cui è avvenuto il danno vasale.

Si libera contemporaneamente il fattore tissutale che attiva il fattore settimo.

Tutti i fattori della coagulazione sono dei proenzimi che si attivano per proteolisi, effettuata da
una proteasi (il fattore precedente): questa tagliando un pezzetto, un piccolo peptide, attiva la
proteina. Quindi avremo fattore VII normale e un fattore VII attivato: gli manca un pezzetto per
azione del fattore tissutale. Il fattore tissutale,legandosi al fattore VII, agisce poi sul fattore IX, e
poi si va avanti con le proteolisi.
Questo sistema coagulativo è molto simile al sistema del complemento, un altro sistema di
proteine e proteasi dove ognuna attiva quella seguente. Tant’è vero che si ritiene che questi geni
derivino da una duplicazione dei geni del complemento.
Quindi il fattore di von Willebrand è una delle più grosse proteine che conosciamo: non solo è
grossa di per se stessa ma è anche in grado di polimerizzarsi,e quindi di formare un multimero di
PM elevatissimo. La caratteristica di questo fattore è di essere tanto più attivo quanto più è
polimerizzato: i multimeri sono molto più attivi dei monomeri. E’ prodotto e conservato nelle
cellule endoteliali e nei megacariociti e viene rilasciato al momento in cui si danneggia l’endotelio.
E’ presente in circolo e la sua funzione è quella di fungere da trasportatore e stabilizzatore del
fattore VIII:il fattore VIII contenuto all’interno di questa grossa proteina ha una emivita molto più
lunga. Sostanzialmente in assenza di fattore di von WIllebrand, o quando il fattore di von
Willebrand è difettoso, può capitare, in particolare per quelle mutazioni che avvengono nel sito di
legame del fattore VIII, che il fattore VIII non abbia la possibilità di essere protetto e quindi la sua
emivita sarà breve e ci sarà un effetto sulla fase coagulativa. Questo spiega questa sorta di
dicotomia del fattore di von WIllebrand, che era un enigma per gli antichi esperti patologi.
Il fattore di von Willebrand ha sia recettori per le piastrine che per il fibrinogeno e questo
complesso di recettori piastrinici, fattore di von Willebrand e fibrinogeno interagiscono tra loro
andando a formare una rete in cui si aggregano le piastrine, rilasciano i loro granuli che a loro volta
promuovono una ulteriore reazione di aggregazione piastrinica. Alla fine della emostasi primaria si
forma un tappo piastrinico che è instabile e dovrà essere completato con l’innesco della reazione
coagulativa che porterà così a un coagulo di fibrina stabile. La maggior stabilizzazione è data dal
fattore XIII che stabilisce dei legami laterali, di cross linking nella fibrina, creando una rete
definitiva.

Ci sono una serie di reazioni quindi, attivate dalla presenza di Calcio e di fosfolipidi, componenti
che infatti si utilizzano anche in vitro per attivare le reazioni di PT e PTT: queste non sono possibili
se non ripristiniamo il calcio che è stato legato dagli anticoagulanti (EDTA, citrato), messi all’atto
del prelievo di sangue per bloccare la coagulazione. Quindi ogni proteasi inattiva viene convertita
nella sua forma attiva in presenza di Calcio e di fosfolipidi.

La reazione segue inizialmente la via estrinseca, quindi in vivo abbiamo: fattore tissutale
combinato col fattore VII, proteolisi del fattore IX, proteolisi del fattore X, proteolisi della
protrombina in trombina e infine conversione del fibrinogeno in fibrina. Tutto ciò avviene però in
quantità insufficienti, fino a che non si innesca quel feedback positivo in grado di autoalimentarsi e
questa via si amplifica enormemente: la produzione di trombina diventa fino a 1000 volte
superiore (da un punto di vista quantitativo) quando si attiva anche la via intrinseca. La trombina
però oltre che convertire il fibrinogeno in fibrina ha anche altre attività: attiva il fattore XI in XIa,
con attivazione del fattore IX; contemporaneamente attiva anche il fattore VIII in VIIIa che
sommato col fattore IX amplifica la reazione di proteolisi dal fattore X al fattore Xa; il fattore V
agisce combinandosi al fattore X amplificando la produzione di protrombina. Quindi il prodotto
della reazione della via estrinseca innesca e aumenta fino a 1000 volte la formazione dei prodotti
della via intrinseca e quindi di trombina e di fibrina.

Il sistema kallicreina/chinina si autoattiva per contatto con superficie negativa come il vetro, in
vitro, non funziona invece in vivo. E’ solo utile in laboratorio nella determinazione della via
intrinseca del PTT.

Esistono però anche dei sistemi inibitori fisiologici:


• Inibitore del fattore tissutale: blocca la via estrinseca, agendo sia sul complesso fattore VII-
fattore tissutale che sul fattore X attivato;
• Antitrombina: agisce sul X attivato e sulla trombina;
• Trombina: ha anche la funzione – mentre aumenta la attività della via intrinseca – di
attivare un importante sistema di inibizione, quello della proteina C e della proteina S. Si
tratta di due anticoagulanti naturali il cui difetto è una importante causa di trombofilia: i
difetti soprattutto omozigoti si presentano in pediatria con trombosi e gangrena già nel
neonato; sono emergenze molto gravi.

Quindi abbiamo un sistema che è in equilibrio dinamico: da un lato è sempre attivo perché le
piastrine tappezzano regolarmente le pareti vasali ma contemporaneamente c’è l’attivazione del
sistema anticoagulante che impedisce che si abbia la coagulazione intravascolare in condizioni
fisiologiche.

Parlando di tempi:
• La prima fase è la fase vascolare, che persiste pochi minuti: c’è una lesione vascolare e
entro il primo minuto, se non secondi, si ha la contrazione della arteria lesa.
• Fase piastrinica: primi 7-8 minuti
• Fase coagulativa: si completa in genere entro i 10 minuti
• Contemporaneamente, già dall’inizio, si innesca la fase fibrinolitica che perdura non solo
minuti ma anche giorni.

I fattori della coagulazione sono quasi tutti prodotti dal fegato, qualcuno è prodotto anche dagli
endoteli e dai megacariociti e il fattore VIII ha anche una piccola produzione renale. Questo spiega
perché la compromissione della funzione epatica sia responsabile di importanti problemi di
coagulazione: le emorragie sono spesso causa di morte nei pazienti cirrotici.

L’emivita dei vari fattori è variabile. Il fibrinogeno sembra essere quello con una emivita maggiore
(5 giorni); questo spiega anche perché la VES (legata anche alle immunoglobuline ma
principalmente al fibrinogeno), per ridursi, avrà bisogno di vari giorni. Questo anche per rimarcare
che quando vogliamo verificare l’efficacia di una malattia antinfiammatoria la PCR deve essere il
marcatore da utilizzare per primo.

I fattori della via estrinseca sono quasi tutti K dipendenti: sono dei fattori che sono carbossilati in
una particolare sequenza di amminoacidi, che contiene l’acido glutammico, e solo dopo la
carbossilazione dell’acido glutammico acquisiscono capacità di legare il calcio e dunque di essere
attivi. In assenza di carbossilazione questi fattori saranno presenti ma non saranno attivi. Gli
antagonisti della vitamina K sono gli anticoagulanti che sono stati usati per tantissimo tempo come
il Warfarin; sono degli anticoagulanti indiretti nel senso che sono difficili da controllare perché è
difficile sapere quanta vitamina K assume il paziente in trattamento con anticumarolici. Se un
paziente per esempio ingerisce molte verdure a foglia verde, ricche in vitamina K, ci sarà uno
squilibrio e questo spiega perché i soggetti devono recarsi periodicamente a fare dei controlli e
spiega anche perché in caso di alterazioni della dieta ci potrà facilmente essere uno
sbilanciamento della terapia.

In base all'età :
• Il feto ha la maggioranza dei fattori sintetizzati già alla X settimana;
• I valori dell’adulto si raggiungono però all’età di 2 anni.

Ci sono alcuni fattori, come quelli K dipendenti, che sono bassi nel neonato e questo spiega perché
il neonato sia a rischio di malattia emorragica del neonato, malattia emorragica dovuta a carenza
di vitamina K, una delle poche patologie che colpisce di più in caso di allattamento al seno per la
carenza di vitamina K e per l’assenza della flora batterica intestinale che non è ancora ben
formata. In tutti i neonati si fa una iniezione di vitamina K come profilassi. Spesso però si fa anche
una profilassi continuativa per rischio di rebound al quindicesimo giorno.

Ci sono fattori ben sviluppati già nel neonato: fibrinogeno, fattore VIII, V, XIII, possono essere
uguali o maggiori già nell’età infantile. vWB è aumentato nei primi mesi di vita postnatale.

Approccio al bambino con emorragie

La maggior parte delle coagulopatie gravi hanno esordio precoce, perlopiù nel primo anno di vita.
Quelle meno gravi possono essere assenti fino a un determinato episodio che si può presentare
anche in età adulta. Il difetto del fattore di von Willebrand per esempio si può presentare nel
sesso femminile con il menarca, o in occasione di un intervento chirurgico nel sesso maschile (ma
anche femminile). Occorre una anamnesi, anche perché molte coagulopatie sono ereditarie, con
una ereditarietà che può essere autosomica dominante o legata all’X (e quindi saranno prevalenti
nel feto ma anche nei fratelli della madre e nel nonno materno).
I bambini sono molto attivi e avranno spesso dei piccoli traumi dovuti a cadute, con sbucciature
ecc. E' quindi facile che sviluppino delle ecchimosi. Dobbiamo tener presente che questi saranno
generalmente dei bambini sani, dove le ecchimosi o il sanguinamento sono legati a traumi.

Quindi, quando ci poniamo il problema di esser di fronte a un disordine emorragico?


• Facilità alle ecchimosi,
• sanguinamento mucose,
• inatteso sanguinamento chirurgico, più abbondante e protratto nel tempo rispetto alla
norma,
• ematomi profondi muscolo tendinei o articolari,
• sanguinamenti in più siti, per esempio più di una mucosa, soprattutto per traumi minimi o
in assenza di traumi,
• presentazione di importante emorragia in occasione di una circoncisione, estrazioni
dentarie, tonsillectomia, emorragia da drenaggi o da siti di iniezione venosa,
• scarsa cicatrizzazione,
• necessità di emotrasfusioni dopo interventi minori.

Inoltre dobbiamo ricordare che può capitare che i bambini vengano abusati dai genitori, e
noteremo in questo caso un interessamento soprattutto a livello di capo, tronco e ossa lunghe
(perché il bambino tende a proteggersi dai colpi) e avrà quindi ecchimosi in queste sedi.

• Invece, nelle coagulopatie, vedremo le ecchimosi perlopiù sulle protuberanze ossee degli
arti (spine iliache anteriori superiori, ginocchia, gomiti) o della colonna.
• Estensione superiore a una moneta da 5o centesimi, se inappropriata al trauma ricevuto,
soprattutto se su arti o colonna e se ci sono diversi stadi di evoluzione che vedremo come
diversi colori per la trasformazione dell'emoglobina.

Tutte le volte in cui ci sono petecchie bisogna pensare prima di tutto a una piastrinopenia, più
raramente a una piastrinopatia, o può essere una conseguenza del difetto del fattore di von
Willebrand. Le petecchie sono piccole, dimensioni a capocchia di spillo, 1-2 mm, e scompaiono
alla pressione nelle fasi sottoposte a maggior pressione arteriosa.

Sono invece tipici dell’emofilia:


• ematomi intramuscolari,
• emartri che riproducono più o meno una condizione di artrite in assenza di febbre. Nei
bambini l'emartro si può presentare come rifiuto a camminare o a muovere l’arto.

L’epistassi è molto comune nei bambini, dovuta a: secchezza (riscaldamento eccessivo), rinite
allergica (tipica dei bambini che fanno la manovra del saluto allergico e a furia di fare questo
movimento avranno anche un solco orizzontale nel naso). Bambini che hanno il raffreddore spesso
sanguinano. Bambini con varici nel setto nasale possono facilmente sanguinare. Se legato a una
varice, il sanguinamento sarà sempre dallo stesso lato. Se c’è l’alternanza di sanguinamento dalle
narici invece pensiamo a un difetto coagulativo. Tra i pazienti valutati per epistassi ricorrente circa
il 30% ha malattia emorragica.

Menorragia al menarca può essere il primo segno di malattia coagulativa. Valutiamo l'importanza
dell'emorragia facendo riferimento a:
• presenza di abbondanti coaguli
• anemia sideropenica. Valutiamo quindi se l'emorragia è tale da indurre anemia
sideropenica.

Faremo quindi i test di primo e di secondo livello. Valuteremo anche il fattore di von Willebrand
che quasi mai altera i test coagulativi di primo livello (PT e PTT).

Fenotipo clinico dell'emorragia


Potranno presentarsi emorragie mucose/cutanee oppure emorragie profonde, quindi emartri o ad
origine muscolare.
Le prime sono dovute a un difetto della emostasi primaria, quindi un difetto delle piastrine sia di
numero che di funzione, un difetto del fattore di von WIllebrand o anche difetti della parte vasale
di cui una manifestazione tipica è la malattia di Rendu Osler (da difetto di proteine che
compongono la parete dei vasi sanguigni).
Se invece abbiamo ematomi muscolari, emartri o emorragie chirurgiche ritardate bisogna pensare
a un difetto dei fattori della coagulazione, principalmente emofilia.
E’ un difetto congenito o acquisito?
I difetti ereditari si presentano già in età neonatale o nella prima infanzia, soprattutto dopo
circoncisione , o come emorragie alla caduta del cordone ombelicale o anche in presenza di
cefaloematomi. I cefaloematomi sono ematomi secondari all’utilizzo di forcipe o vacuum al
momento del parto; si presentano come raccolte liquide di sangue limitate alle suture frontali,
parietali ecc. Tra i bambini che hanno cefaloematomi è più facile trovare un difetto coagulativo
così come in quelli con emorragia intracranica. Quando ci sono emorragie intracraniche
ovviamente sarà importante agire rapidamente, fare diagnosi urgente per evitare l’estensione
della emorragia.
Importante l’anamnesi familiare: cugini, zii, nonno materno. Questa è però positiva solo in 1/3
degli emofilici perché tutte le malattie legate all’X hanno una notevole componente di mutazioni
ex novo. La consanguineità è importante per i difetti recessivi, mentre i difetti di von WIllebrand
sono autosomici dominanti con espressione variabile. Si presentano più nelle donne che negli
uomini perché le donne hanno il ciclo mestruale che determina una maggiore occasione di
emorragia.

Per quanto riguarda le forme acquisite, in genere è più facile che ci sia un problema
farmacologico: è comunissimo l’uso di FANS nei bambini e questo altera la funzionalità delle
piastrine: una compressa di aspirina inattiva le piastrine per 14 giorni, per tutta la loro emivita
quindi, sino alla formazione di nuove piastrine. Questo effetto, caratteristico dell’aspirina, ce
l’hanno in realtà anche gli altri FANS.
Altre possibilità che ci sia una malattia acquisita: autoimmunità, uremia che agisce anche
alterando la funzione delle piastrine perché l’azoto dell’urea ha effetti nocivi sulle piastrine,
epatopatie perché intervengono sulle componenti coagulative viste prima, la carenza di vit K, la
CID. Tra questi prevalentemente l’autoimmunità è da prendere in considerazione. (Anche
trombocitopenia).

I difetti dell’emostasi primaria si distinguono in qualitativi e quantitativi. La porpora


trombocitopenica idiopatica non si chiama più così ma si chiama porpora trombocitopenica
immune: il test che si utilizza a volte non riesce a individuare gli anticorpi ma comunque questi ci
sono. Si assume quindi che abbia sempre una origine immune.

Difetti quantitativi:
• sindrome emolitico uremica,
• porpora trombotica trombocitopenica (estensione a livello sistemico dei meccanismi che
innescano la sindrome emolitico uremica),
• farmaci come l’eparina che promuove l’esposizione di Ag normalmente nascosti sulle
piastrine (piastrinopenia come complicanza tipica di terapia con eparina prolungata),
• aplasia midollare,
• sequestro piastrinico da ipersplenismo, consumo e diluizione.

Qualitativi: rari.
• Disordine ereditario di aggregazione piastrinica. In genere sono difetti dei recettori o del
fattore di von Willebrand o ancora del fibrinogeno;
• anche qui farmaci.
I difetti della emostasi secondaria sono prevalentemente difetti congeniti della coagulazione. In
particolare parliamo di emofilia A e emofilia B, ma anche malattia di von Willebrand (interessa sia
la fase coagulativa che la fase piastrinica) o anche altri difetti acquisiti come quello della vitamina
K o legati a insufficienza epatica dove interviene sia la problematica della vitamina K ma anche
difetti produttivi dei fattori.
Altri problemi si hanno in presenza di anticorpi antifosfolipidi ma rispondono più a un problema di
trombofilia e non di emorragie.

Malattia di von Willebrand


E' il difetto genetico più frequente. Riguarda quasi l'1% della popolazione ma in realtà è molto
sottostimata perché molti si accontentano dei test di screening di primo livello che, come abbiamo
detto, sono spesso normali in queste situazioni (PT, PTT e fibrinogeno).
Ci sono tre tipi di difetti primari:
• tipo 1 e tipo 3 sono quantitativi. L'1 è il più diffuso ed è un difetto quantitativo parziale.
Invece il 3 è un difetto quantitativo totale.
• tipo 2: difetti qualitativi.
Le manifestazioni dipendono dal tipo e possono essere da modeste fino a gravi.
Ci sono anche fattori modificatori, per esempio il gruppo sanguigno 0 ha in genere il fattore di von
Willebrand ridotto del 25% rispetto al gruppo AB. Inoltre il fattore di von Willebrand è una
proteina di fase acuta quindi può variare con l'infiammazione.

Il TE (tempo di emorragia) non si fa quasi più. Si basa sul creare una piccola lesione e si valuta il
tempo in cui scompare, sfruttando l'utilizzo di un bracciale a pressione. Normalmente il tempo è di
circa 6 minuti. Si riduce al ridursi delle piastrine o in base al difetto funzionale.

Per la diagnosi è molto importante l'anamnesi personale (quante volte ha avuto emorragie), una
anamnesi familiare positiva, la ridotta attività del fattore di Von Willebrand; il test di screening più
utile è il test di aggregazione fatto con un antibiotico che favorisce l'aggregazione piastrinica, la
ristocetina (von Willebrand factor activity- ristocetin cofactor).

Le piastrine sono fatte in questo modo:


• in condizioni di riposo hanno dei sistemi canlicolari introflessi attraverso i quali poi
proietttano fattori coagulativi come il von Willebrand o il fibrinogeno;
• hanno una serie di granuli: alcuni sono alfa granuli (che dovrebbero produrre le sostanze
sopra menzionate), e altri sono granuli densi che producono ADP, ATP, calcio e serotonina,
tutti fattori in grado di innescare la reazione di aggregazione piastrinica;
• poi ci sono tutta una serie di glicoproteine di membrana, come la IIb/IIIa, che quando è
difettosa è responsabile della sindrome di Glanzmann. Questa è una proteina importante
sia per il legame del fibrinogeno, ma anche per il legame del fattore di von Willebrand.
Però il vWF ha anche un altro recettore, più specifico, che è la glicoproteina Ib/IX/V.
Questa, legando il fattore, a sua volta legato al collagene esposto dall'endotelio, fa da
ponte e fissa così le piastrine e inoltre richiama e aggrega le altre piastrine.
C'è anche un'altra glicoproteina che può interagire direttamente col col collagene senza
interposizione del fattore di von Willebrand, la GP Ia/IIa.
Quindi fisiologicamente le cellule endoteliali liberano il fattore di von Willebrand, questo
multimerizza e diventa in grado di legare sia il collagene che le piastrine, e di innescare
l'attivazione dei fattori della coagulazione che formano la maglia di fibrina e il tappo definitivo.
Il fattore di von Willebrand è una grande proteina, 2813 amminoacidi già prima di multimerizzare.
Ha una serie di domini; alcuni sono di legame al fattore VIII, poi ci sono domini che interagiscono
con la GP Ib, altri che interagiscono col collagene e altri ancora che interagiscono con la GP IIb/IIIa.
E' dunque una proteina multifunzionale. Ha inoltre un sito di clivaggio, un sito proteolitico per la
proteina ADAMS13. Il clivaggio impedisce la formazione di multimeri, e quindi in assenza di questa
proteina si formano multimeri fino alla coagulazione intravascolare in assenza di stimoli esogeni.

I sottotipi di von Willebrand qualitativi dipendono da quali domini sono interessati da delle
mutazioni: tipo 2A, 2N, 2B, 2M, un altro con compromissione per il fattore VIII, oppure ci può
essere un difetto/consumo di piastrine (questo dovrebbe essere il 2M ma servirebbero le slide).

L'analisi di laboratorio è complicata perché richiede una ricerca elettroforetica che non tutti fanno
se non i laboratori specializzati. Quando facciamo correre in un gel di agarosio valuteremo la
concentrazione delle proteine: quelle meno concentrate penetrano più facilmente, invece quelle
più concentrate penetrano meno facilmente e si separano meglio.
Vedremo diversi casi: il tipo terzo non ha totalmente il fattore di von Willebrand (carenza totale
della strisciata); la porpora trombotica trombocitopenica ha più multimeri rispetto alla norma e
quindi una iperattività nella coagulazione. Poi il tipo 1 ha multimeri ma ha una quantità inferiore
rispetto alla norma di fattore di von Willebrand. Il 2B ha tendenza all'incapacità di formare
multimeri ad alto peso molecolare, così come anche il 2A.

La distinzione di tipo si fa determinando se è presente o meno l'antigene, determinando se c'è


normale attività del fattore VIII, facendo analisi multimerica col gel di agarosio del fattore di von
WIllebrand, studiando la aggregazione piastrinica a basse dosi di ristocetina. Questo in particolare
rivela il tipo 2B in cui c'è un difetto con aumentata affinità; qui nel 2B il recettore per le piastrine le
lega più avidamente e quindi bastano basse dosi di ristocetina per innescare la aggregazione.

Ricordiamo che il primo gruppo è del 25% più basso nel gruppo 0 e 25% più frequente nel gruppo
AB.

Malattia di von Willebrand


Distinzione di tipo: antigene, attività, analisi multimerica, aggregazione piastrinica a basse dosi di
ristocetina, emogruppo.
vWF proteina di fase acuta (aumenta con lo stress, con l'esercizio fisico, con la gravidanza, in caso
di infiammazioni).
Un singolo test è insufficiente.
Terapia: desmopressina. Aumenta la produzione del fattore ma solo quando ce n'è. Nel tipo 3 in
cui non ce n'è per niente è totalmente inutile. Invece nel tipo 1 èuò essere utile. Ma sarà utile
soprattutto per i tipi 2A e 2M. Fa aumentare sia il fattore di von Willebrand che il fattore VIII
rapidamente, entro un'ora. Si può fare prima di un intervento chirurgico ma va testata: l'aumento
del fattore non è del tutto prevedibile. Effetti collaterali: antidiuretici con iponatriemia.
Si associano in genere agenti antifibrinolitici come acido examinocaproico e tranexamico.
I disordini della funzione piastrinica si dividono in congeniti e acquisiti. Danno emorragie
spontanee muco-cutanee. Quelli acquisiti sono più frequenti. Spesso le alterazioni delle piastrine
sono provocate da farmaci antiepilettici o antidepressivi; l'aspirina dà una inibizione irreversibile
mentre gli altri FANS più che altro finché sono presenti in circolo. L'aspirina invece è irreversibile,
mantiene l'effetto per 14 giorni, ovvero l'emivita delle piastrine.

I difetti funzionali congeniti sono difetti dei recettori piastrini che sono importanti per la adesione,
l'aggregazione e la trasduzione del segnale. Perlopiù danno sanguinamenti mucocutanei modesti,
allungano il tempo di emorragia e i test di aggregazione piastrinica. Oggi questi test di
aggregazione si usano per saggiare le risposte ad ADP, ATP e collagene e in base alle differenti
risposte si può predire il difetto di recettore più probabile. Al microscopio ottico si possono vedere
le anomalie delle piastrine, queste sono frequentemente più grosse della norma, a volte proprio
abnormi o ci possono essere alterazioni di forma.

Emofilia
Parliamo di emofilia A (difetto del fattore VIII) e di emofilia B (difetto del fattore IX). Entrambi i
geni si trovano sul cromosoma X, il fattore VIII nella sua porzione terminale.
L'incidenza dell'emofilia A è 1/5000. La b è invece 6 volte meno frequente: 1/30.000.
La severità dipende da quanto sono ridotti i fattori: ci sono forme leggere, moderate e gravi. E'
facile avere una storia di sanguinamento importante alla circoncisione nei paesi in cui si pratica.
Nei non circoncisi l'esordio è nella prima infanzia quando il bambino gattona, cade, e
frequentemente sbatte o urta cose. Facili anche emorragie mucose legate a traumi a livello di
lingua e gengive. Ci saranno anche ematomi sottocutanei del tronco e degli arti, ematuria ed
ematomi profondi.
Il sanguinamento da trauma cranico è l'emergenza medica più importante.

Le forme lievi iniziano più tardivamente. Ci saranno facilità alle abrasioni, meno sanguinamenti
spontanei, presenza di sanguinamenti protratti dopo trauma.

L'emofilia più grave è quella con attività inferiore all'1% del fattore VIII e del fattore IX. Sino al 5% è
una forma moderata. E' invece leggera dal 6 al 30%. La forma più frequente è proprio quella
severa, segue la leggera e infine la moderata.

Le cause di emorragie non ci sono: sono spontanee nelle severe, traumi minori nelle moderate,
maggiori o chirurgia nelle lievi.
La frequenza dell'emorragia è da 2 a 4 volte al mese nelle forme severe, 4-6 volte l'anno nelle
moderate, rare le emorragie spontanee nelle forme leggere.
Il pattern di sanguinamento è perlopiù articolazioni, tessuti profondi, dopo circoncisione,
intracraniche nei neonati. Stesso discorso vale per le moderate ma con frequenza inferiore.
Sono molto utili i test di screening:
• PTT ridotto (fattore VIII, XI e V, tipici della fase intrinseca);
• PT normale
• funzionalità piastrinica normale.
La diagnosi si fa col dosaggio dei fattori: il IX dipende anche dalla vitamina K; è basso nel neonato.
Per quanto riguarda il fattore VIII, se la sua concentrazione è inferiore al 30% fa pensare
all'emofilia; dal 50 all'80% pensiamo a un difetto di vWF con riduzione dell'emivita del fattore VIII.
Attualmente si fa terapia profilattica e non al bisogno. Si utilizzano dei fattori ricombinanti in
quanto ritenuti più sicuri anche se oggi è sicuro anche il fattore VIII derivante dal plasma e
ritrattato in maniera appropriata. In realtà poiché i derivati del plasma sono più economici c'è una
tendenza al ritorno al loro utilizzo. Teniamo presente che: 1U/kg produce un incremento del 2%
del fattore VIII plasmatico. Quindi 50U/kg fanno raggiungere una protezione del 100%, cosa che si
fa solo negli interventi chirurgici maggiori. In generale l'obiettivo è una protezione del 50%,
sufficiente per gran parte delle emorragie, con eccezione delle intracraniche o intraddominali
superiori (qui 100%).
Per quanto riguarda invece il fattore IX: 1U -> incremento 0.8% di attività del fattore IX.

Con la terapia quasi nel 30% della popolazione si sviluppano anticorpi nei confronti del fattore VIII
entro la 50esima infusione: è un meccanismo atipico dovuto al periodo della vita intrauterina in
cui non c'è produzione del fattore VIII, quindi il feto non viene esposto ai linfociti self reattivi e
quindi possono innescare una reazione contro questa proteina sconosciuta. Questo nel caso in cui
sia una proteina assente ma ci sono anche altre modalità. Questo avviene solo nell'1-3% dei casi
nell'emofilia B.
Si tratta di un problema complicato, che ricordiamo può avvenire anche in individui non emofilici:
si tratta della cosiddetta emofilia acquisita, ovvero produzione di Ab contro fattore VIII nell'adulto.
E' una condizione complessa e molto difficile da trattare.

Diagnosi prenatale: si offre solo per le forme gravi e non per lievi.
Sono comunque dei difetti della coagulazione rari: alterano PT, PTT o entrambi a seconda del
fattore coinvolto. Es. 5 pTT, 7 PT, 10 entrambi. 11 PTT e 13 entrambi.
Se screening normali ma emorragie severe: prendere in considerazione difetti congeniti del
connettivo es. Ehlers-Danlos ma anche difetti della parete vasale es. Rendu Osler.

Per quanto riguarda i difetti acquisiti, possono comparire in corso di malattie sistemiche,
soprattutto epatopatie dove c'è una ridotta produzione di fattori: ci sarà contemporaneamente un
difetto di attivazione tramite vitamina K e un difetto di produzione. Infatti si somministra vitamina
K quando c'è una epatopatia.
Anche nei neonati c'è la possibilità che si manifesti questa malattia emorragica, poiché il
microbiota non è ancora sviluppato.
Un'altra possibilità è che ci sia un difetto della vitamina K per deficit dell'assorbimento, es.
celiachia, fibrosi cistica, atresia delle vie biliari. Anche l'uremia dà piastrinopenia e piastrinopatia.
Altra opzione ancora è una CID in cui si ha una contemporanea attivazione della coagulazione e
della fibrinolisi con quindi immisione in circolo dei prodotti di degradazione della fibrina.

Difetti della coagulazione acquisiti: riguardano prevalentemente il fattore VIII e IX.


Si può avere anche un vWD acquisito in cardiopatie congenite con shunt dx-sn da consumo
accelerato di multimeri.
Nel tumore di Wilms avremo il fattore di von Willebrand ridotto per assorbimento su cellule
neoplastiche.
Si può avere anche una coagulopatia nella leucemia promielocitica.

Valutazione laboratoristica: faremo i test di primo e secondo livello e valuteremo l'emostasi


primaria e le vie della coagulazione.
Test emostasi primaria: emocromo, striscio periferico che evidenzia l'aspetto delle piastrine. Il
tempo di emorragia è in disuso, meglio utilizzare degli analizzatori di funzione piastrinica.
Test coagulazione: PT e PTT (PT saggia la via estrinseca e comune; PTT il sistema di contatto dal
fattore XII al fattore XI e IX, poi fattore VIII e via comune). PT e PTT non sono sensibili a difetti
leggeri. Si alterano quando siamo al di sotto del 30%. Quindi in caso di forte sospetto clinico
utilizzare i fattori specifici.
Per il fattoer XIII occorre un test specifico.
Il PTT è prolungato più spesso per fattori acquisiti in bambini senza storia di emorragia ma con
lupus anticoagulante (Ab anti fosfolipidi). Parliamo di prolungamento del PTT in vitro. In vivo
paradossalmente è causa di trombosi. Perché? I fosfolipidi sono importanti per la coagulazione,
quindi se ci sono gli anticorpi antifosfolipidi dovremmo provocare una emorragia ma in realtà non
accade perché agisce sui fosfolipidi della membrana basale e innesca attivazione endoteliale con
innesco della reazione di trombosi.

Vanno ricercati anche in condizioni di aborto ripetuto perché l'utero è tra gli organi più esposti a
condizioni di trombofilia per rallentamento della circolazione a questo livello e quindi tendenza
alla formazione di trombi che possono determinare aborti; in particolare sono perlopiù aborti non
dei primi mesi ma successivi.

Un test importante che si fa per distinguere tra difetti acquisiti e congeniti è fare una miscela 1 a 1
del sangue campione con un plasma normale. Se abbiamo la correzione era un difetto di un
fattore. Se invece c'è un LA non ci sarà correzione, perché? La concentrazione di autoanticorpi è
elevatissima e quindi la correzione 1:1 non basta per correggere il difetto.

E' molto importante la storia clinica del sanguinamento, soprattutto il pattern: mucoso cutaneo o
dei tessuti profondi.
Se è alterato PTT: fattori VIII, IX e XI. PT: VII. Entrambi: V, X (protrombina e fibrinogeno).

Disordini piastrine congeniti o acquisiti: valutiamo il numero di piastrine, la morfologia, si fa la


aggregometria, poi si utilizza il microscopio elettronico, si valutano farmaci che alterano la
funzione e poi si valutano altre malattie sistemiche come leucemia ecc. Se non c'è nessuna
anormalità valutare bene fattore XIII o disordini della fibrinolisi.
Approccio al bambino anemico
L’anemia è la riduzione della quantità dell’emoglobina nel sangue. Vale il concetto che il valore sia alterato
quando è al di sopra o al di sotto delle due deviazioni standard che includono dal 2,5% al 97,5% dei
soggetti. Di conseguenza il 2.5% della popolazione sarà considerato erroneamente anemico. I valori
compresi tra le due deviazioni standard comprendono quindi i range di emoglobina rappresentativi di quasi
tutta la popolazione.

Trovarsi al di sotto del 2,5% può rappresentare una condizione di anemia mentre trovarsi sopra il 97.5%
può voler dire policitemia.

Occorre però valutare la funzione dell’emoglobina, ossia la capacità di trasportare l’ossigeno ai tessuti; un
soggetto potrebbe avere valori di emoglobina normali o al di sopra della norma ma non avere una buona
ossigenazione periferica e quindi trovarsi in una condizione di anemia funzionale.

E.g. pazienti cardiopatici cianotici, in insufficienza respiratoria o con emoglobina ad alta affinità per
l’ossigeno possono essere anemici con valori di emoglobina normali.

La vita media dei GR è di 120gg. Vengono rimossi dal sistema reticolo-endoteliale e son sostituiti
giornalmente da eritropoiesi compensatoria. Ogni giorno il nostro sangue si rinnova dell’1% dei GR. I nuovi
eritrociti(reticolociti) saranno più grandi e con meno emoglobina.

Distinguiamo le anemie da:

• Ridotta produzione GR;

• Eccessiva distruzione di GR.

Classificazione fisiopatologica
Disordini della produzione di GR:

1. Insufficienza midollare

• Anemia aplastica:

congenita (la più tipica dell’età pediatrica è l’anemia di Fanconi);

acquisita(da cloramfenicolo; da virus o altre condizioni).

• Anemia eritrocitaria pura o ipoplastica:

congenita (sindrome di Blackfan-Diamond, che si manifesta nei primi anni di vita e quasi
sempre dovuta a difetti di proteine ribosomiali. Non si sa perché questi difetti si
ripercuotano solo sulla serie rossa, probabilmente perchè c’è una richiesta superiore
rispetto ad altri tessuti);

acquisita (eritroblastopenia transitoria del bambino, si può presentare al 2,3 o 4 mese ed è


dovuta a un ritardo nella ripresa dell’attività midollare che è parzialmente inibita nel
periodo post-natale. Il bambino nasce con livelli di emoglobina molto elevati, 18-19 g/dl,
tuttavia i GR si esauriscono e se non sono riciclati a causa di un ritardo di attività midollare
si può avere un’anemia anche molto importante, con caduta dei valori a 5-6 g/dl, che può
necessitare di trasfusioni)
• Infiltrazione midollare. Può essere causata da:

o Tumori;

o Aumento matrice ossa (osteopietrosi);

o Mielofibrosi;

o Malattia renale cronica (per via della displasia ossea che essa comporta);

o Difetto di vitamina D;

o Infezioni;

o TBC.

• Sindrome di schwachman-Diamond o sindrome da insufficienza pancreatica-insufficienza


midollare.

2. Difettosa produzione di eritropoietina:

• Malattia renale cronica;

• Ipotiroidismo e ipopituitarismo;

• Infiammazione cronica;

• Malnutrizione proteica;

• Varianti emoglobiniche con ridotta affinità per l’ossigeno.

3. Anormalità di maturazione del citoplasma

• Difetto di ferro;

• Talassemie;

• Anemie sideroblastiche (difetti dell’eme);

• Intossicazioni da piombo: causano inibizione della ferrochelatasi, enzima che inserisce


l’atomo di ferro nella protoporfirina, che dopo l’inserzione diventa eme.

4. Anormalità di maturazione nucleare:

• Deficit di vitaminaB12;

• Deficit di acido folico;

• Anemie megaloblastiche da tiamina;

• Anemie ereditarie da farmaci;

• Anemie metaboliche più rare ( Orotic aciduria).

5. Anemie diseritropoietiche primarie:

Sono una classe a se stante, non correlabile con le altre. Ci sono difetti genetici rari.

6. Protoporfiria eritropoietica:

Il feto perde la ferrochelatasi e quindi la sua funzione di introdurre il ferro nella protoporfirina.
7. Anemie sideroblastiche refrattarie (rare, di cui non parleremo).

Difetti da aumentata distruzione o perdita dei GR

I. Intrinseche o corpuscolari:

• Difetti dell’emoglobina: Mutanti strutturali (HbSS, HbSC); riduzione di produzione di


emoglobina per perdita di catene (talassemie);

• Difetti membrane dei GR: la più importante e frequente è la sferocitosi, seguita dalla
ellittocitosi e dalla piropoichilocitosi(forma recessiva grave che si manifesta già nel
neonato);

• Difetti del metabolismo dei GR: G6PD carenza e difetto di piruvato chinasi ( meno frequente
ma più grave).

II. Estrinseche o extracorpuscolari:

• Da alloanticorpi;

• Da danno meccanico al GR: SEU, PTT, CID;

• Da danno termico;

• Da stress ossidativo ( può essere peggiorato dal difetto enzimatico della G6PD);

• Emoglobinuria parossistica notturna (rara i pediatria);

• Anomalie della membrana indotte dall’eccesso di lipidi che si può verificare in epatopatie o
in nefropatie;

• Emorragia acuta/cronica;

• Ipersplenismo: in genere da anemie e piastrinopenie combinate di grado moderato.

Analisi parametri emocromo


Ci sono 2 metodi per valutare le cellule del sangue:

A. Coulter counter o contaglobuli: variazione della resistenza elettrica che si crea al passare della
cellula nello strumento. Più grande è il volume del GR maggiore è la resistenza.

B. Sistemi che si basano sulla deflessione del raggio laser.

Bisogna sempre eseguire lo striscio di sangue per esaminare il sangue periferico. C’è variabilità dei valori
dell’emocromo in base all’età e al sesso. I bambini fino alla pubertà sono sostanzialmente identici poi si
differenziano perchè il testosterone stimola la produzione di emoglobina.

Vanno valutati eventuali artefatti di laboratorio, soprattutto in pediatria perchè nei bambini non si può
prelevare più di 1ml/kg di peso corporeo, ciò comporta che spesso vengano riempite di meno le provette e
con una quantità di anticoagulante che sarà maggiore di quella che servirebbe. Questo può portare ad una
falsa riduzione dell’emoglobina.
Nei neonati si può fare un prelievo dal tallone e anche qui ci possono essere degli artefatti, per evitarli
bisogna che il tallone sia riscaldato, inoltre non deve essere spremuto perché altrimenti lo si arricchisce di
liquido interstizìale, falsando cosi i valori.

Sarebbe meglio quindi valutare la spettrofotometria dell’emoglobina.

N.B. in realtà gli strumenti misurano MCV e numero dei GR. Gli altri parametri dell’emocromo sono
derivati.

Valutata la presenza dell’anemia bisogna valutare gli indici eritrocitari. Il più importante è l’MCV(fl), il
secondo è l’MCH(pg). L’MCV ci può orientare per avere una diagnosi differenziale tra le anemie, l’MCH
invece è un parametro più sensibile per la valutazione del portatore sano di anemia mediterranea, questi
hanno microcitosi e ipocromia, tuttavia possono avere un MCV normale ma avranno un MCH quasi sempre
ridotto(<27pg).

L’MCV consente di distinguere le anemie in:

• Microcitiche(<80 fl);

• Macrocitiche(>96 fl);

• Normocitiche(80-96 fl).

Questi riportati sono i valori nell’adulto. Nel bambino i valori variano con l’età ma nei >10 anni il valore
minimo non scende mai sotto i 70 fl. Ai 2 anni è circa 72fl, ai 6 aa è circa 74 fl poi cresce fino alla pubertà
dove raggiunge i valori dell’adulto.

In pediatria il valore massimo dell’MCV si ottiene con questa formula:

84+ (0,6*età)

Es. un bambino di 10 anni avrà 84+6=90fl di MCV massimo.

Molti adultologi mandano dei bambini per fare degli approfondimenti perchè dopo aver fatto un esame i
valori riportati dall’emocromo risultano essere uguali a quelli dell’adulto.

Variazione dei valori di emoglobina nel bambino

Alla nascita il bambino ha circa 16.5 g/dl di emoglobina ma al 1-3° gg si raggiungono valori molto più
elevati. Questo perchè il bambino non si nutre subito e ha una condizione di disidratazione, in più c’è un
eccesso di superficie rispetto al volume perciò è aumentata anche la termodispersione. Tutto ciò comporta
l’aumento dell’emoglobina fino a 18.5. Dopo un mese scende a 14. I valori alla nascita sono legati al fatto
che il bambino si trova nell’utero e ha una condizione di deficit di ossigeno e quindi deve sottrarlo alla
madre tramite l’emoglobina fetale che è più affine della materna per l’ossigeno.

Il valore più basso è intorno al secondo mese (circa 11.5), perchè l’emoglobina non serve più e si ha quindi
un emolisi che è anche responsabile dell’ittero fisiologico del lattante, dovuto all’immaturità dei sistemi
enzimatici per il metabolismo della bilirubina. Tra i 6 mesi e 2 anni sale a 12, poi 12.5 fino ai 6 anni e 13.5
fino ai 12 anni. C’è una differenza tra M e F di 0,5g alla nascita poi di 1,5-2g con la pubertà.

L’ematocrito si comporta più o meno come l’emoglobina.

Variazione valori MCV nel bambino

L’MCV invece è molto elevato alla nascita e nei primi 3gg, 108fl, questo è legato all’eritropoiesi macrocitica
del bambino.
Tende a ridursi progressivamente con valori di 104fl dopo 1 mese e 96fl dopo 2 mesi. Raggiunge il valore
più basso tra i 6 mesi e i 2 anni(78fl) e poi risale progressivamente fino alla pubertà.

La differenza tra l’MCV del feto e quella dell’adulto è anche sfruttata nelle cordocentesi per sapere se si è
prelevato realmente sangue fetale(>100fl) o sangue materno(80-90fl). Se dovesse essere sangue materno
bisogna insistere con i prelievi. In genere si preleva nel punto di inserzione sulla placenta che resta più
fermo, tuttavia spesso bisogna fare più di un prelievo e ciò porta ad un rischio di aborto della procedura del
3%.

In questa diapositiva (scusate se non si vede bene l’immagine)


vediamo i valori medi di MCV nella popolazione sana e nei
portatori di talassemia beta nella fascia d’età 0-14 anni. Il
portatore oscilla tra 50-65 fl e c’è una sovrapposizione con l’area
che delimita i valori dei bambini normali. Quindi bambini sani
con MCV più basso si sovrappongono ai bambini beta talassemici
con MCV più alto.

Variazioni altri parametri dell’emocromo

L’MCHC è un parametro meno importante degli altri e si altera quasi esclusivamente nella sferocitosi dove
aumenta perchè lo sferocita è un GR che per problemi di membrana tende ad essere disidratato.

L’RDW è l’ampiezza della distribuzione dei volumi dei GR, nonché un indice di anisocitosi. Se è molto ampio
significa che c’è elevata variabilità di volumi dei GR.

L’HDW è la distribuzione dell’emoglobina media ed è indicatore di policromasia, ossia di quanto varia la


distribuzione dell’emoglobina tra i GR. Questo parametro non è dato da tutti i sistemi di misurazione.

Es. in caso di anemia da carenza di ferro dopo che inizio il trattamento avrò GR vecchi che sono poveri di
emoglobina e i nuovi che invece ne sono ricchi, ciò determina un aumento dell’HDW.

N.B. nell’emocromo si valutano anche GB e piastrine, se ci dovesse essere un alterazione di tutte le linee
infatti è orientativa di malattie linfoproliferative, leucemie linfomi ecc.

Ricapitolando:

MCH ed MCHC sono derivati ed in genere meno diagnostici eccetto che nella talassemia dove è utile l’MCH
e nella sferocitosi dove è utile l’MCHC.

L’MCH si muove in sintonia con l’MCV.

L’MCHC riflette lo stato di idratazione:

• Stabile nello sviluppo (>35 nella sferocitosi)

• Basso in sideropenia

RDW associata ad MCV è utile nella diagnosi differenziale di alcune malattie. Ad esempio l’RDW può aiutare
nella distinzione tra anemia sideropenica e talassemia perchè è più elevato nella sideropenica perché nei
talassemici i GR sono tutti più piccoli, mentre nei sideropenici c’è una popolazione di cellule normali con
MCV elevato e cellule con carenza di ferro con MCV bassissimo(30-40fl).
Bisogna fare attenzione all’aspetto leucoeritroblastico (eritroblasti, reticolocitosi, arneth, cellule a goccia)
che può indicare malattie maligne e infiltrazione midollare metastatica o altro.

Leucocitosi e trombocitosi in genere in pediatria


sono reattive per infiammazione (es. sindrome di
kawasaki, infezioni ecc.). La trombocitosi può
conseguire più raramente ad una mancanza di ferro
perché causa un aumento dell’eritropoietina che ha
cross reattività con il recettore della trombopoietina.

In questa immagine vediamo le variazioni dei valori


di emoglobina nei bambini portatori di beta
talassemia. Il prof. Sottolinea che questi bambini
hanno “normalmente dei valori più bassi e per
questo non necessitano trasfusioni.

Esame dello striscio periferico


Bisogna valutare dimensioni, forma e colore dei GR.

Il GR ha un aspetto a disco biconcavo con un area chiara centrale inferiore in genere ad 1/3 del diametro
del GR. I reticolociti sono più grandi e più chiari perchè hanno ipocromasia. Lo sferocita al contrario è più
piccolo ma ha più concentrazione di emoglobina perciò perde l’area chiara centrale.

La forma può essere alterata, quindi poichilocitosi. Esempi classici sono le talassemie e l’anemia falciforme.

Le punteggiature basofile possono essere presenti sia in talassemia che in intossicazioni da piombo.

Non è mai normale trovare eritroblasti se non nel neonato.

Le granulazioni tossiche le troviamo nelle infiammazioni acute


ma sono più frequenti nella serie bianca.

Ipersegmentazione neutrofila.

Es. trovare un neutrofilo con 6 segmentazioni è indicativo di


carenza di vitamina B12 e acido folico e anche senza fare
ulteriori accertamenti diagnostici si è certi che c’è una carenza.
Questo è importante perchè nelle anemie da carenza di
vitamina b12 ed acido folico spesso i valori assoluti di questi
sono nel range di normalità.

Il GR può avere quindi variazioni di forma e volume.

Un aumento di superficie può dare origine al leptocita o al macrocita che sono rispettivamente più sottile e
più grosso. Oppure la riduzione di rapporto tra superficie e volume può dare origine al codocita o allo
sferocita. Lo sferocita assume questa conformazione in modo da immagazzinare più emoglobina possibile.

Cellule a bersaglio: queste cellule vengono prodotte con un aumento di membrana rispetto al volume e
sono tipiche della talassemia e dell’anemia sideropenica, sono dette cellule bersaglio(target cell).
Ancora ci possono essere cheratociti che sono cellule con le corna tipiche delle mielodisplasie e spesso
associati a ovalociti.

Cellule a matita (pencil cells) indicative di carenza di ferro, sono come ovalociti ma un po più allungati.

N.B. in caso di ellittocitosi presente in entrambi i genitori portatori può nascere un bambino affetto da
piropoichilocitosi, anemia molto grave che da la peggiore anisopoichilocitosi con eritrociti molto piccoli
frammentati.

Test per diagnosi di anemia falciforme

Le cellule hanno un aspetto dovuto alla formazione di polimeri di emoglobina che si estendono e
deformano il GR. Per far comparire quest’aspetto bisogna indurre una carenza di ossigeno tappando i bordi
del vetrino, questo induce la polimerizzazione dell’HBS.

Questo è chiamato test di falcizzazione e si fa ancora per la diagnosi di anemia falciforme quando troviamo
all’elettroforesi un’emoglobina variante di Hbs. Se dopo il test quasi tutte le cellule assumono questo
aspetto a falce allora si ha la diagnosi.

Indizi diagnostici da morfologia GR


Classificazione delle anemie emolitiche sulla base della morfologia predominante.

Sferociti:

• Sferocitosi ereditaria: sono in genere soggetti che stanno nel complesso bene, perchè a fronte di
un’emivita ridotta dei GR c’è una produzione aumentata di reticolociti(8-10%);

• Incompatibilità AB0;

• Anemie immunoemolitiche: i GR sono ricoperti di anticorpi e complemento e si hanno sempre


alterazioni di membrana. In questi casi c’è un aumentato attacco su questi frammenti di membrana
alterati dagli anticorpi o dal complementi perché vengono riconosciuti dai macrofagi splenici;

• Difetti enzimatici;

• Anemie trasfusionali immunoemolitiche: in questo caso si tratta di anticorpi IgM nel sangue del
ricevente. La reazione è immediata con sensazione di morte imminente nel trasfuso e la prima cosa
che bisogna fare è bloccare la trasfusione e controllare se il sangue era compatibile.

Poichilociti bizzarri:

• Sindromi da frammentazione dei GR: sindromi macroangiopatiche e microangiopatiche(PTT e SEU);


danno ossidativo acuto; ellissiocitosi ereditaria; piropoichilocitosi ereditaria.

Ellissiociti:

• Talassemie;

• Anemie da carenza di ferro;

• Anemie megaloblastiche;

• Ellittiocitosi ereditaria.
In genere in tutte le forme che non sono la ellittiocitosi ereditaria ci sono <15% di ellittiociti, di conseguenza
trovare >15% di ellittiociti è indicativo di una forma ereditaria.

Stomatociti(anzi che avere un area centrale circolare ha una fessura centrale):

• Stomatocitosi ereditaria;

• Gruppi sanguigni rh negativi;

• Stomatocitosi con emolisi fredda(malattie epatiche, soprattutto alcolismo acuto);

• Stomatocitosi mediterranea.

Cellule a falce

• Anemia falciforme;

Parassiti intraeritrocitari

• Malaria; Babesiasi; bartonellosi; leishmaniosi(la più frequente da noi).

GR spiculati o crenati: cosi chiamati per la presenza di sicolature alle estremità

• Necrosi epatica acuta

• Uremia;

• Sindromi da frammentazione dei GR;

• Picnocitosi infantile;

• Altre(embden-meyerhof pathway defects; deficit vit E; Abetalipoproteinemia…)

Cellule a bersaglio (uno dei reperti più frequenti)

• Tutte le forme di talassemia;

• Emoglobinopatie(ricordare che le emoglobinopatie C, D ed E sono anche talassemie perchè oltre ad


esserci il difetto dell’amminoacido, e quindi qualitativo, c’è anche un difetto quantitativo di
produzione delle catene globiniche);

Punteggiature basofile prominenti

• Talassemie;

• Emoglobine instabili;

• Intossicazioni da piombo;

• Difetto di pirimidina 5’-nucleotidasi (tutti i GR hanno punteggiature, è un difetto gravissimo)

Nessuna alterazione morfologica o alterazioni non specifiche

• Difetto enzimatico della via di Embdein-Meyerhof;

• Difetto della via dell’esoso monofosfato;

• Emoglobine instabili

• Emoglobinuria parossistica notturna;


• Anemie diseritropoietiche;

• Morbo di Wilson;

• Alterazioni permeabilità di membrana;

• Porfiria eritropoietica;

• Deficit vitamina E;

• Anemia emolitica neonatale da anticorpi anti Rh;

• Ipersplenismi e anemia immunoemolitica.

Rilievi Anamnestici
L’indagine anamnestica in caso di anemia in età pediatrica è fondamentale e deve essere mirata a indagare
la storia:

A. Materna;

B. Familiare;

C. Del paziente.

Nell’anamnesi materna dobbiamo capire:

• Com’è andata la gravidanza e il parto (se ci sono state complicanze.. Es. sapere se durante la
gravidanza è passato del sangue fetale alla madre, se la madre ha avuto carenze nutrizionali in
gravidanza. A questo proposito si ricorda che anche quando la madre ha anemia da carenze
nutritive, il feto in genere non ne risente perchè l’evoluzione favorisce il feto, quindi quel poco che
c’è va al feto. In altre parole il feto può essere considerato un parassita);

• Farmaci;

• Storia di PICA (disturbo dell’alimentazione per cui il paziente tende ad ingerire sostanze non
alimentari, questo vale per la madre e anche per il bambino.

E.g. alcuni bambini mangiavano dei pezzi di intonaco dei muri verniciati con tinture al piombo e ciò
poteva causare intossicazione da piombo con annessa anemia);

• Anemie durante la gravidanza.

Nella storia familiare bisogna valutare:

• Etnia (I sardi hanno più frequentemente la talassemia. Gli afroamericani più frequentemente
l’anemia falciforme. Nel sud est asiatico si pensa prima ad una emoglobinopatia E);

• Storia di anemia o ittero;

• Splenomegalia;

• Storia di calcoli biliari(infatti l’emolisi causa un aumento della bilirubina che comporta un
aumentato rischio colestasico);

• Storia di diatesi emorragica, tumori o trasfusioni;


Nella storia del paziente si valuta:

• Iperbilirubinemia (se c’è stato un ittero neonatale e non era dovuto all’incompatibilità Rh, che
ormai non si verifica quasi più per i tanti test di screening e per la profilassi anti-D);

• Prematurità: il feto si riempie di ferro negli ultimi mesi perciò se nasce prematuro non avrà depositi
di ferro. Quindi ai prematuri va data una profilassi per la carenza di feto);

• Peso neonatale: vale lo stesso discorso della prematurità, infatti il neonato esaurisce i propri
depositi quando raddoppia il proprio peso;

• Storia alimentare e soprattutto che tipo di latte (allattamento al seno o con latte vaccino). C’è una
raccomandazione dell’istituto europeo di non usare latte vaccino sotto il primo anno di vita,
tuttavia anche una parte dei bambini che prendono latte di vacca non bollito dopo 1 anno di vita
vanno incontro a un’intolleranza nei confronti di una componente ancora non ben conosciuta, ciò
comporta uno stillicidio cronico e anemie anche importanti) e quanto latte( se un bambino
prendesse 1 litro di latte al giorno quasi tutte le calorie arriverebbero dal latte, che però è povero di
ferro e quindi se ne stabilisce una carenza).

Ricordarsi che l’allattamento al seno è sufficiente da solo al massimo fino al 6 mese, se si protrae
l’allattamento quasi esclusivo fino all’8 mese ci sarà il 22% di carenza di ferro nel bambino. Le
industrie per un periodo avevano promosso l’utilizzo del latte artificiale con il vantaggio di vedere
una maggiore crescita del bambino. Questo era vero ma portava inevitabilmente a obesità, di
conseguenza si è stabilito che la crescita ottimale si ha con il latte di donna.

La valutazione della crescita si fa sulla base di percentili e bisogna stare attenti a quali si usa
perché i vecchi sono basati su bambini allattati con formule(più grossi) mentre i nuovi dell’OMS
sono fatti sulla base di bambini allattati al seno.

• Uso di farmaci soprattutto quelli che possono dare sanguinamenti o stillicidio cronico(FANS)

• Infezioni acute o recenti o croniche: ogni infezione porta ad un aumento dell’epcidina, ormone che
regola negativamente l’assorbimento del ferro e della sua emissione dai macrofagi per il blocco
della ferroportina. Quindi se si trova un’anemia con tutti i parametri normali la causa più probabile
è l’infezione stessa;

• Endocrinopatie(ipotiroidismo);

• Malattie epatiche per la loro interferenza sulla membrana del GR e poi per la possibilità di
emorragie da alterazione dei fattori della coagulazione;

• Emorragie o facilità agli ematomi.


Inclusioni eritrocitarie
Il professore si limita a leggere la seguente slide aggiungendo ciò che segue:

Gli anelli di Cabot sono probabilmente degli artefatti;

I corpi di Heinz si ritrovano quando c’è un’emoglobina instabile che tende a collabire con la membrana, può
succedere nella malattia da emoglobina H dove ci sono 3 geni alfa globinici mutati e si formano i tetrameri
beta che tendono a precipitare e a creare questi corpi.

I siderociti invece non si osservano in clinica perchè servono delle colorazioni particolari che in genere sono
di pertinenza degli anatomopatologi. Si vedono alla colorazione di perls che evidenzia il ferro non eme,
quindi quello della ferritina o dell’emosiderina e indica una condizione di accumulo di ferro
intraeritrocitario.

Analisi di laboratorio nel pz pediatrico con anemia


Indagini di primo livello o di screening:

• Emocromo: MCV, MCHC, MCH, RDW, HDW.

• Striscio periferico;

• Conta reticolociti e indice reticolocitario;

Ovviamente nel rimo livello rientrano la storia e anamnesi completa, esame obiettivo completo ed
esclusione cause non ematologiche(Renali, tiroidee, metaboliche ecc.).

Indagini di secondo livello o di conferma:

• Test di coombs diretto (più importante, consiste nella ricerca di anticorpi adesi sui GR) e indiretto
(ricerca di anticorpi nel siero, meno importante perchè possono essere presenti anche in soggetti
che non hanno alcuna condizione di emolisi immune);

• Elettroforesi dell’emoglobina ormai sostituita dalla Hblc. Il risultato è lo stesso e consente di vedere
le emoglobine varianti o aumenti di emoglobine normalmente presenti (HbF o HbA2);
• Screening G6PD carenza;

• Test fragilità osmotica: ormai non si fa più, si faceva in Sardegna per individuare i portatori di G6PD.
Si preparano soluzioni di cloruro di sodio osmoticamente decrescenti partendo dalla fisiologica e si
mette la stessa quantità di GR in ogni soluzione. Quando aumenta la ipotonicità della soluzione c’è
un passaggio di acqua nel GR per osmosi e il GR finisce per esplodere. Il test è specifico per la
sferocitosi perché lo sfeorocita è già in una condizione di pre-emolisi perché ha già assunto la forma
che doveva assumere quindi basta poca acqua per emolizzarlo. Le soluzione sono 0.9%, 0.75%,
0.5%, 0.45%... nella sferocitosi si ha emolisi già per soluzioni 0.75% quindi lievemente ipotoniche,
per avere l’emolisi del portatore in genere invece bisogna arrivare a 0.45%.

• Aspirato midollare: viene fatto raramente e quasi esclusivamente nelle forme di anemie
diseritropoietiche, oppure nel sospetto di una leucemia per riduzione anche delle altre linee;

• Altri indici di emolisi: Bilirubina indiretta, LDH, aptoglobina, vitamine B12 e folati, assetto marziale
completo(il parametro più importante per fare diagnosi di carenza di ferro è l’indice di saturazione
della transferrina. Nel bambino con carenza di ferro l’indice è <8-10. La ferritina ci da invece
indicazione sui depositi però costa di più ed è meno affidabile infatti se il suo valore è basso è
abbastanza specifica per carenza di ferro, se invece è alto è poco specifico perchè potrebbe
mascherare fino al 30% di carenze di ferro, magari concomitanti a un episodio infiammatorio che
ne fa aumentare il valore perchè è una proteina della fase acuta).

Serum lead and RBC ZPP: test che si fa poco perché costa molto e si fa solo nei laboratori per lo
screening per la policitemia. E’ l’esame più semplice per valutare la carenza di ferro, aumenta nei
GR quando c’è poco ferro perchè l’eme si lega allo zinco fluorescente, poi c’è una macchinetta che
misura la fluorescenza dei GR e si è in grado di dire subito se c’è una carenza. E abbastanza
sensibile non influenzato dall’assunzione degli alimenti come invece può accadere per l’assetto
marziale, che nonostante il prelievo si faccia a digiuno può essere influenzato dalla dieta del giorno
prima. Le zincoprotoporfirine possono essere alterate anche in caso di intossicazione da piombo o
in caso di ittero, questi sono motivi di aspecificità del test.

Terzo livello o studi addizionali:

• Isoelettrofocusing e altri test per rare varianti emoglobiniche per cercare di stabilire meglio ed
identificare le varianti emoglobiniche, ma ormai non si fa più e si va diretti con il test genetico;

• Test per emoglobine instabili;

• Studi citogenetici;

• Pannelli enzimatici dei GR: non li fa quasi nessuno in Sardegna (solo a Sassari c’è un esperto del
settore che se ne occupa);

• Studio delle proteine di membrana (non vengono eseguiti in Sardegna).


Relazione tipo di danno e morfologia GR
Questa è un’immagine schematica che ci consente di ragionare sulle cause patogenetiche dell’anemia
combinando la morfologia del GR con il possibile danno.

A. Dall’esterno la prima cosa che può capitare è l’emorragia, in questo ambito vengono incluse anche
patologie rare come l’emosiderosi polmonare che può portare a emorragie intrapolmonari con
anemia sideropenica e in genere si arriva alla diagnosi per l’associazione di anemia e quadro
respiratorio caratteristico(emottisi). In assenza di emottisi e difficile fare diagnosi perchè somiglia
ad una normale carenza di ferro ma che non tende a guarire.

Nelle emorragie il plasma diventa più chiaro perchè il poco ferro viene usato per produrre altri GR, la
morfologia è normale o ci può essere microcitosi nella cronicità.

B. Al secondo compartimenti troviamo l’ipersplenismo in cui il GR viene catturato e distrutto nella


milza, in genere si trovano sferociti e cellule bersaglio. Spesso è una condizione conseguente un
danno epatico, disordini vascolari portali o splenomegalie primarie.

Ricorda che la trombosi della vena porta in pediatria è soprattutto conseguenza dell’incannulamento della
vena ombelicale in terapia intensiva.

C. Più internamente ancora troviamo il danno vascolare e le cellule saranno ad elmetto (tipo
cheratociti), si può trovare emoglobinuria. Tipico dei difetti vascolari, degli angiomi, delle malattie
vascolari renali, della CID.

D. Poi abbiamo i fattori plasmatici con sferociti o cellule morsicate. Queste cellule sono il risultato
dell’attacco del macrofago che al passaggio della cellula nella milza porta via un pezzetto di
membrana riconoscendo anticorpi o complemento adesi alla membrana. Questo si verifica infatti in
caso di anticorpi, tossine, farmaci o nel morbo si Wilson.

E. Ancora abbiamo alterazioni di membrana che danno varie alterazioni di forma. La più tipica è
l’anemia falciforme ma si possono presentare anche nell’emoglobinura parossistica notturna o in
caso di difetti di permeabilita.

F. Nei due riquadri più interni troviamo il danno metabolico con cellule morsicate e contratte. Dovute
soprattutto a difetti come G6PD e PK. Infine abbiamo le emoglobinopatie.
Anemie
Per risalire alla causa di un’anemia il ragionamento che il clinico deve fare è partire da fattori situati
all’esterno del vaso sanguigno e procedere verso l’interno dello stesso. Infatti, bisogna considerare in primo
luogo le emorragie (generate dall’interruzione della parete vasale); seguono poi l’ipersplenismo e
situazioni di danno vascolare endoteliale o intravascolare. Una volta escluse queste possibili cause
“extravasali”, è necessario considerare un possibile danno generato da fattori plasmatici (soprattutto
autoanticorpi), un eventuale danno dello scheletro di membrana dei globuli rossi (sferocitosi, elissocitosi),
e infine problemi interni a queste cellule (difetti enzimatici, emoglobinopatie).

Diagnosi differenziale
Nell’ambito della diagnosi differenziale tra le anemie bisogna innanzi tutto tener conto dell’età: per
esempio, l’anemia da carenza marziale non si verifica quasi mai al di sotto dei 6 mesi di vita, perché il
neonato ha depositi di ferro che sono sufficienti per garantire un supporto all’eritropoiesi fino al sesto
mese, o almeno finché non si raggiunge un raddoppiamento del peso corporeo. Pertanto i bambini che
crescono rapidamente, nel momento in cui raggiungono il raddoppiamento del peso, hanno bisogno anche
di più ferro.
Nel neonato la carenza di ferro quindi è rarissima; ci sono però delle condizioni prenatali che possono
condurre o favorire l’insorgenza di un’anemia sideropenica. Una è rappresentata dalle trasfusioni feto-
materne, dovute ad anomalie della circolazione placentare: il sangue del feto si riversa nel circolo materno
e questo determina un’importante perdita di ferro e l’insorgenza di un’anemia cronica fetale. E’ indicativo
di questo fenomeno il riscontro di significative quantità di HbF nel sangue materno.
L’altra condizione, forse più frequente, è quella che si ha per via di trasfusioni feto-fetali in corso di
gravidanza gemellare. Queste si verificano tipicamente in caso di monozigosi, in cui i gemelli condividono la
circolazione placentare, e proprio a questo livello si possono creare degli shunt (su cui si può anche
intervenire ostetricamente) che direzionano preferenzialmente le sostanze nutritive verso uno dei due
prodotti del concepimento. Si avrà un gemello che cresce rapidamente, diventando pletorico; l’altro,
invece, sarà pallido e anemico.
In generale, quando si ha un’anemia nel neonato la causa più probabile è l’emorragia che si è verificata nel
periparto. Un’altra condizione frequente è l’isoimmunizzazione dovuta al fattore RH (malattia emolitica del
neonato).
Inoltre, quasi tutte le infezioni (abbiamo visto in particolare il gruppo TORCH) danno alterazioni
dell’emopoiesi, con trombocitopenia, anemia e leucopenia. Una riduzione di tutte le serie deve quindi far
pensare a un’infezione congenita.
Invece, l’α-talassemia e altre emoglobinopatie come la piropoichilocitosi sono condizioni rare, soprattutto
in Sardegna.
Le α-talassemie possono avere diverse configurazioni (α 0 e α+); tra di queste, l’α0 è scarsamente
rappresentata in Sardegna e per questo da noi non si presenta quasi mai la condizione di idrope fetale.
L’idrope è espressione di una condizione di anemia gravissima e determina morte intrauterina nell’ultimo
periodo della gravidanza; in alternativa, il bambino può nascere, ma con livelli di Hb che ne determineranno
morte precoce, a meno che non subisca trasfusioni. Affinché si abbia questa condizione, però, il difetto
deve essere totale [-- -- : tutti e quattro i geni che codificano per le catene α devono essere deleti o non
funzionali]. La piropoichilocitosi è quella condizione che dà la più marcata anisopoichilocitosi. Si manifesta,
infatti, con delle alterazioni sia delle dimensioni che di forma dei globuli rossi. Affinché la malattia si
presenti entrambi i genitori devono essere portatori (sani) di una condizione di elliptocitosi (la trasmissione
è autosomica recessiva); cioè guardando il loro striscio troverete che hanno un numero di elliptociti
superiore al 15% .
Altre condizioni (per lo più non neonatali, a insorgenza un po’ più ritardate), sono le ribosomopatie, come
l’anemia di Blackfan-Diamond; questa si manifesta attraverso una ipoplasia della serie rossa, dovuta ad
alterazioni di alcuni geni che codificano per proteine ribosomiali.

Invece, sia i pazienti con β-talassemia sia con anemia falciforme (le cui manifestazioni sono dovute alla
presenza della variante emoglobina HbS) sono clinicamente normali alla nascita. In questo caso infatti
l’anemia si manifesta solo dopo che si è verificato e completato lo switch delle catene globiniche. Lo switch
inizia nel periodo intrauterino e si completa intorno al terzo mese; ovviamente è presente una certa
variabilità individuale. In alcuni soggetti il passaggio dall’HbF all’emoglobina dell’adulto HbA (che presenta
le catene β) è anticipato e in questo caso le trasfusioni sono richieste già dal primo mese; in genere, invece,
in un soggetto β-talassemico si iniziano tra il quarto e il sesto mese. Ricordiamo che è poi possibile il
fenotipo intermedio della talassemia, in cui le trasfusioni non sono necessarie se non occasionalmente nel
corso della vita, in concomitanza con episodi infettivi o di stress.

[Il professore parla del caso di una bambina seguita in reparto, le cui caratteristiche ematologiche
sembrerebbero riconducibili a una talassemia. Il problema si è posto però quando si è scoperto che la
madre non è portatrice di alterazioni dei geni β, o almeno non è portatrice classica (e questo è stato visto
sequenziando interamente il cluster dei geni β globinici); il padre è invece portatore classico.
La bambina ha, dal punto di vista ematologico, le caratteristiche di una talassemia; verosimilmente
presenta un difetto a livello di un gene regolatore che coinvolge sia il gene α sia il gene β. Non è pertanto
una vera e propria talassemia specifica ma una talassemia “α-β”, che è ancora in fase di studio.
Una possibilità terapeutica, in questi casi, potrebbe essere data dal trapianto; ovviamente poi bisogna
considerare caso per caso e in questa bambina, ad esempio, i valori di emoglobina si mantengono sugli 8-9
g/dL. In questa condizione si può optare per nessun intervento terapeutico, neanche trasfusioni, a meno
che la bambina non vada incontro a infezioni o a complicazioni, quali la splenomegalia].

ESAME FISICO
Può rivelare la presenza di segni come:
- Tachicardia: indica la presenza di processo acuto (esempio, emorragia) non ancora compensato;
- Ittero: in caso di emolisi (intravascolare o extravascolare);
- Splenomegalia: si riscontra classicamente in corso di anemie emolitiche congenite, infezioni e
ipersplenismo [condizione in cui l’aumento della funzionalità della milza si associa a una o più
alterazioni ematologiche];
- Petecchie: indicano un coinvolgimento di altre linee (in particolare smascherano una trombocitopenia).
Questo si può avere in condizioni quali l’infiltrazione midollare (metastasi, fibrosi) e nell’anemia di
Fanconi.

CLASSIFICAZIONE
Le anemie possono essere classificate in base al meccanismo patogenetico che ne è alla base:
1- Ridotta produzione di globuli rossi;
2- Aumentata distruzione periferica dei globuli rossi (ie anemie emolitiche: per l’aumentata distruzione si
ha una riduzione della vita media degli stessi): le cause possono essere intraglobulari o extraglobulari.

Le anemie vengono, in genere, classificate in base ai valori dell’MCV: si possono avere anemie microcitiche,
normocitiche e macrocitiche.

Anemie microcitiche

Nell’anemia microcitica si ha un difetto quantitativo nella produzione di emoglobina (ricordiamo che questa
è tetramero di catene globiniche, ciascuna delle quali contiene un gruppo prostetico eme, contenente
ferro). Nel bambino, il valore soglia dell’MCV al di sotto del quale si può parlare di microcitosi è 70 fL.
In genere, quando c’è un MCV sotto i 70 fL è presente un difetto quantitativo nella produzione di
emoglobina; ricordiamo che per l’assemblaggio corretto di quest’ultima devono essere presenti in quantità
corrette catene globiniche, gruppi eme e ferro (inserito come ferroprotoporfirina). Nel caso dell’anemia
microcitica non si riesce a sintetizzare una giusta quantità di emoglobina per via della carenza di una di
queste tre componenti.

Le quattro cause di anemia microcitica sono:


1- Sideropenia;
2- Talassemia (anche stato di portatore, il “tratto talassemico”);
3- Intossicazione da piombo (anemia saturnina): i casi si sono ridotti notevolmente a seguito di misure
quali la rimozione del piombo dalle vernici;
4- Flogosi cronica.

Il picco di frequenza si ha tra 8 e 18 mesi. Il latte materno soddisfa il fabbisogno di ferro del lattante, a
meno che non ci siano fattori di rischio (basso peso, prematurità); in assenza di questi fattori l’anemia non
si manifesta prima dell’ottavo mese, perché (come abbiamo già detto) è a partire dal sesto mese che inizia
a verificarsi la carenza di ferro, ma sappiamo che l’anemia è l’ultima manifestazione di questa carenza
(anche perché la vita media dei globuli rossi è di tre mesi, quindi comunque se la carenza inizia al sesto
mese l’anemia effettiva si manifesta in seguito).

Un altro picco di frequenza si registra in età adolescenziale, quando interviene la pubertà e quindi il
menarca: il ciclo mestruale raddoppia le perdite di ferro nelle femmine, che sono più esposte a questo
rischio rispetto ai maschietti.

Per quanto riguarda i possibili approcci terapeutici di fronte a un’anemia microcitica, gli americani sono
“pratici” e fanno sempre un primo tentativo dando una terapia marziale (ferro solfato, 6 mg/kg in 2-3 dosi).
Questo, effettivamente, si giustifica col fatto che la migliore evidenza che ci sia carenza di ferro (anche
subclinica o sublaboratoristica, cioè anche quando i parametri dell’emocromo sono ancora normali) si può
fare ex adiuvantibus, a posteriori, dando una terapia marziale e valutando la risposta dopo un mese. Se
entro questa scadenza si rileva un aumento dei reticolociti e un incremento dei valori di Hb di almeno 1
grammo, significa che veramente era presente uno stato di carenza subclinico o sublaboratoristico.
Quindi sono due i parametri che consentono di valutare se il paziente risponde alla terapia marziale:
reticolocitosi (in genere si verifica dopo già una settimana) e incremento dei valori di emoglobina (entro un
mese dall’inizio).
Se questi parametri non si riscontrano significa che la terapia è inefficace; ciò può essere dovuto a
situazioni di malassorbimento o a una scarsa compliance. La compliance in questo caso è influenzata
negativamente dal fatto che il ferro è gastrolesivo e irritante, perché con queste dosi si saturano facilmente
i meccanismi di assorbimento del ferro; ne conseguirà una persistenza di ferro libero, che ricordiamo essere
tossico in quanto coinvolto nella produzione di specie reattive dell’ossigeno (reazione di Fenton).

Esami di laboratorio
Un parametro da considerare nella diagnosi differenziale delle anemie microcitiche è il numero di globuli
rossi: in genere si tratta di un dato non significativo, ma davanti a un’anemia microcitica il riscontro di un
numero elevato di globuli rossi sta a favore di una talassemia piuttosto che di una carenza marziale.
Altra caratteristica è il RDW (red cell distribution width, ampiezza di distribuzione dei globuli rossi): la
distribuzione di volumi è più ampia nell’anemia sideropenica rispetto alla talassemia. Questo dipende dal
fatto che nella carenza di ferro abbiamo inizialmente globuli rossi normali; poi la sideropenia determina una
riduzione progressiva dei volumi (da sopra 80 fino a sotto 40 fL). Invece, il talassemico ha variazioni intorno
al volume globulare medio, che in genere è di 60-65; l’MCV nel talassemico va un po’ sopra e un po’ sotto
questo valore, ma l’ampiezza della distribuzione è ridotta (non ci sono cellule normali, mentre nella
sideropenia abbiamo qualche cellula normale e altre microcitiche).

[Questo può emergere analizzando i resoconti del Coulter, che traccia anche la gaussiana dei globuli rossi
(disposti in base a dimensioni e volume); quando c’è una risposta alla terapia in questo tracciato si potrà
rilevare un picco di cellule ad alto volume, che sono appunto i reticolociti].

Una poichilocitosi marcata è più a favore di una talassemia; l’anisocitosi, invece, è un’espressione
dell’RDW, che abbiamo già detto essere aumentato caratteristicamente nell’anemia sideropenica.
L’anemia microcitica si può riscontrare anche in corso di una malattia infiammatoria cronica; a favore di
questo sta una bassa sideremia, con bassa trasferrinemia, associate a una ferritina normale o aumentata (in
genere è aumentata, perché la ferritina è una proteina della fase acuta dell’infiammazione). Si possono
avere ulteriori indizi dai reticolociti (ricordiamo che devono essere sempre conteggiati davanti a
un’anemia): in caso di flogosi cronica questi sono normali sia in percentuale (1-2%) che in valore assoluto
(50-100 000/mm3). Per quanto riguarda i reticolociti, ricordiamo che dopo un’anemia acuta si instaura una
reticolocitosi; questa compare dopo 3-5 giorni e raggiunge il picco al 10° giorno. La reticolocitosi è quindi
tipica delle anemie emolitiche e delle emorragie (anemie da aumentata distruzione); i reticolociti sono
invece bassi nell’anemia sideropenica e nelle anemie di tipo aplastico/ipoplastico. Nelle talassemie, i
reticolociti sono aumentati ma l’aumento non è quello atteso per l’entità di quell’anemia (in genere c’è una
relazione tra valori di Hb e numero di reticolociti, si tratta di due valori inversamente proporzionali). Questo
accade perché nella talassemia c’è la condizione di eritropoiesi inefficace: a fronte di un midollo
ampiamente proliferante, con numerosi precursori, si ha una scarsa emissione di reticolociti in circolo. Nella
talassemia abbiamo due eventi importanti, e cioè un blocco di differenziazione, nel senso che una parte
delle cellule non riesce a giungere a maturazione per via della mancanza di emoglobina, dovuta al deficit di
una catena; d’altra parte, le cellule residue vanno incontro ad apoptosi nel midollo (per via della catena che
invece riesce a essere espressa e che quindi precipiterà, trovandosi in una condizione di eccesso relativo).
Quindi, a fronte di un midollo ampiamente sviluppato, si ha una scarsa emissione di cellule in circolo e
questo è il concetto di eritropoiesi inefficace. Ciò è anche alla base delle deformità ossee che un tempo
erano tipiche dei soggetti talassemici e che oggi, per via dell’avvento della terapia trasfusionale, si possono
ancora riscontrare solo nei soggetti talassemici a fenotipo intermedio.

Ci sono altri test di laboratorio che possono aiutare a dirimere eventuali dubbi di diagnosi differenziale
nell’ambito delle anemie microcitiche. Questi sono:
 ZnPP (zincoprotoporfirina): è un incorporatore dello zinco. Aumenta quando nei globuli rossi viene
inibita la sintesi dell’eme, e ciò avviene in caso di carenza di ferro o di intossicazione da piombo. In
genere, le ZnPP sono più alte in caso di esposizione a piombo che in presenza di carenza marziale.

 Dosaggio ferro libero e della capacità legante residua, o della trasferrina. Questi sono due concetti
diversi, e attualmente i laboratori stanno sostituendo la determinazione della capacità legante con la
determinazione della transferrina. Che differenza c’è? Il test che si fa, in un caso, consiste nel dosaggio
della sideremia su un campione di siero; si aggiunge poi ferro in eccesso, in modo da saturare tutti i siti
della transferrina, la quale precipita e si va a questo punto a dosare nel precipitato quella che è la
capacità legante residua. Ora c’è però anche la possibilità di andare a dosare la quantità di transferrina
priva di ferro legato; si tratta di un test ELISA, che però non corrisponde effettivamente alla situazione
reale; infatti dà in genere una sottostima, per cui il valore ottenuto va aumentato del 25%. Per
esempio, se abbiamo un valore di transferrina a 200 e sappiamo che il dosaggio è stato fatto con
metodica ELISA, in realtà il vero valore, e quindi la capacità legante, sarà 250.

 Rapporto sideremia / transferrina; importantissimo, perché nell’anemia sideropenica la sideremia si


abbassa e la transferrina sale, e questo è il parametro più indicativo di carenza marziale. Il rapporto è
detto indice di saturazione (ferro/transferrina) ed è spesso espresso in percentuale; nel bambino il
rapporto è anormale e indica carenza di ferro quando è al di sotto del 10% (nell’adulto sotto il 15%).

 Recettore solubile della transferrina (sTfr): questo aumenta quando aumenta la proliferazione dei
progenitori eritroidi ed è elevato sia nell’anemia sideropenica sia nella talassemia, mentre è basso
nell’anemia che si riscontra in corso di flogosi cronica. Per distinguere l’anemia sideropenica dalla
talassemia utilizzando l’sTfr si può fare un rapporto tra sTfr/ferritina, rapporto che è alto nella carenza
di ferro mentre è basso nella talassemia (nella talassemia la ferritina è alta per via della situazione di
emocromatosi che si viene a creare).

 Indici di emolisi: nelle anemie emolitiche abbiamo un incremento della bilirubina indiretta e delle LDH,
con diminuzione dell’aptoglobina in caso di emolisi intravascolare.

 Indici di flogosi: il riscontro di alti valori di VES e PCR è a sostegno di un’anemia da flogosi cronica.

Si fanno sempre l’esame delle urine e la ricerca di sangue occulto nelle feci per escludere cause di perdite
continuative di ferro attraverso le vie urinarie (ematuria) o dall’apparato digerente.
Attualmente si fanno anche l’elettroforesi e l’HPLC (cromatografia liquida ad alta risoluzione); questo è un
esame automatizzato che consente di misurare tutte le emoglobine, permettendo facilmente di fare
diagnosi differenziale tra tutte le talassemie e di individuare eventuali emoglobinopatie, perché verrà
rilevata la variante emoglobinica che migra in una sede diversa dal solito.
Anemie macrocitiche

Il valore di MCV al di sopra del quale si può parlare di macrocitosi nel bambino si calcola con la formula
seguente:

84 fL + 0,6 x (numero di anni del bambino)

Ad esempio, se il bambino ha 10 anni questo valore sarà pari a 90 fL.

La prima cosa da fare di fronte a un’anemia macrocitica è verificare se è presente una reticolocitosi: o
chiediamo la conta reticolocitaria congiuntamente all’emocromo oppure, più semplicemente, facciamo uno
striscio (la policromasia è indicativa di questa condizione). I reticolociti, in effetti, hanno un alto volume
globulare e se presenti in grandi quantità spostano il volume globulare medio (MCV) verso valori tipici di
una condizione di macrocitosi.
Bisogna prestare attenzione all’RDW, che sarà ugualmente alto in una condizione di reticolocitosi, e
ricercare altri segni di emolisi. L’emolisi è seguita dopo qualche giorno da una reticolocitosi più o meno
marcata, in base all’entità dell’anemia che determina.

Possiamo però anche avere una condizione di reticolocitopenia (anemia iporigenerativa): questa si ha in
tutte quelle condizioni che possono determinare un’alterazione della sintesi del DNA (soprattutto carenze
vitaminiche di B12 e di folati), oppure in presenza di ipoplasia o aplasia midollare.

La presenza di ovalociti o il riscontro di una ipersegmentazione dei neutrofili consente di fare diagnosi
differenziale tra le carenze nutritive, in cui c’è una ipersegmentazione dei neutrofili, e condizioni di
mielodisplasia, in cui il riscontro di ovalociti è tipico.

La causa principale di anemia macrocitica è la carenza di B12 e/o folati.


Ricordiamo che mentre la vitamina B12 è presente principalmente in cibi animali (stati di carenza tipici:
dieta ristretta, anemia perniciosa, malattie infiammatorie idiopatiche dell’intestino), i folati sono
abbondanti nei vegetali verdi, ma la cottura ne riduce in maniera significativa la biodisponibiità.
Alcune cause importanti di carenza di folati sono:
- Malassorbimento: celiachia, malattie infiammatorie idiopatiche dell’intestino;
- Eccessivo consumo periferico di acido folico: anemie emolitiche croniche, aumentato turn-over
cellulare in distretti corporei come quello cutaneo (dermatiti esfoliative);
- Utilizzo di latte di capra. Questo è il latte più simile al latte umano; è qualitativamente migliore rispetto
a quello di vacca o di pecora, ma ha proprio il problema di essere carente in acido folico. Per questo ne
è consigliata l’integrazione per le popolazioni che fanno uso abituale di questo latte.
- Antibiotici e chemioterapici: farmaci antifolici sono sia alcuni antibiotici che antiparassitari (in
particolare il Bactrim e la pirimetamina, usata contro i protozoi e in particolare nella Toxoplasmosi) e
altri chemioterapici come il metotrexate. Gli antifolici inibiscono le ultime fasi di formazione del
tetraidrofolato, agendo sugli enzimi diidrofolato e tetraidrofolato reduttasi.
- Difetti congeniti (che coinvolgono ad esempio gli enzimi del ciclo dell’acido folico).
Le diete ristrette sono un importante problema dei nostri giorni; ricordiamo che carenze alimentari dovute
a una dieta ferrea durante la gravidanza si possono ripercuotere non solo sulla madre ma anche sul
prodotto del concepimento, con gravi danni spesso di natura neurologica e condizioni dismetaboliche quali
la metilmalonico aciduria acquisita.

Nell’ambito delle anemie macrocitiche entra in gioco anche l’anemia di Blackfan-Diamond; questa è una
condizione che insorge nel 1-2 mese di vita ed è un’anemia ipoplasica, limitata alla serie rossa, dovuta a un
difetto delle proteine ribosomiali.
Negli adolescenti un’altra causa da ricercare è l’abuso di alcool; in questo caso uno dei segni che si possono
riscontrare è dato dall’atrofia della mucosa linguale (glossite). Invece, in caso di segni neurologici spinali,
soprattutto difetti di tipo sensitivo, dobbiamo pensare a un difetto di vitamina B12.

Esami per la diagnosi


Abbiamo detto che la principale causa di macrocitosi è il deficit vitaminico, e questa sarà pertanto la prima
condizione che dobbiamo escludere.
La diagnosi della carenza di vitamina B12 e di folati si fa principalmente con la ricerca nel sangue di due
metaboliti: l’acido metilmalonico e l’omocisteina. Questo perché l’eventuale carenza si manifesta a livello
biochimico e funzionale con l’accumulo di composti che sono sottoprodotti di reazioni favorite, in
condizioni fisiologiche, proprio da queste due vitamine. L’accumulo dell’acido metilmalonico e
dell’omocisteina si ha prima che si abbia effettivamente una riduzione dei livelli di queste vitamine a livello
plasmatico. In caso di carenza di vitamina B12 aumentano entrambi, mentre in caso di carenza di acido
folico aumenterà solo l’omocisteinemia. È importante sottolineare che si tratta di parametri che
aumentano precocemente (due settimane circa) in caso di carenza, permettendo un anticipo della diagnosi
rispetto a quanto si potrebbe fare andando a dosare direttamente queste vitamine.
L’anemia macrocitica va trattata con la combinazione acido folico + vitamina B12 per evitare soprattutto il
rischio che si abbia una correzione dell’anemia (somministrando alte dosi di acido folico questo è possibile)
ma non dei disturbi neurologici, che sono invece ascrivibili esclusivamente alla carenza di B12.

Anemie normocitiche

Nel caso di un’anemia normocitica bisogna innanzi tutto verificare la presenza di eventuali alterazioni a
carico delle altre serie: si tratta di situazioni di pancitopenie, che rientrano per lo più nell’ambito di tumori
e displasie del midollo. Si fa quindi un aspirato midollare per escludere leucemie e mielodisplasie.
Se nel midollo si riscontra un semplice aumento della cellularità dobbiamo pensare a un’aumentata
distruzione periferica (emolisi). Questo vale per le anemie ma anche per le neutropenie e le
trombocitopenie: un aumento dei megacariociti a livello midollare indica un problema periferico di
sopravvivenza delle piastrine; invece, una riduzione del numero di megacariociti indica un problema
centrale, primitivamente o secondariamente midollare. Una tipica anemia normocitica è quindi quella che
si verifica in corso di condizioni acute quali emorragia ed emolisi; questo soprattutto nelle fasi iniziali, in
quanto poi si instaura una reticolocitosi e quindi si avrà uno spostamento verso la macrocitosi. Nella fase
acuta si avrà anche una tachicardia, come tentativo di compenso della riduzione della quantità di
emoglobina circolante.

Se nel midollo non si trova niente di anomalo, e cioè le cellule sono normalmente distribuite tra serie rossa
e serie bianca (linea mieloide e linea linfoide), con una normale differenziazione, dobbiamo poi pensare a
uno stato di flogosi cronica o di un’anemia indotta da un virus. Le infezioni, infatti, si traducono spesso in
un’inibizione midollare che è assolutamente transitoria (non più di 2-3 mesi).
Altre possibili cause di anemia normocitica sono malattie epatiche, renali o endocrine.

Se ci sono cause miste questo si traduce in un aumento dell’RDW.

Le anemie normocitiche si possono classificare in acute e croniche, congenite o acquisite, intrinseche o


estrinseche.
Si può avere un’anemia normocitica in caso di un’aumentata distruzione periferica dei globuli rossi
(emolisi) che sarà, almeno inizialmente, compensata da’aumentata immissione di reticolociti da parte del
midollo (e questo compenso riesce, almeno in fase iniziale, a evitare che lo stato anemico si manifesti).
Questo si verifica soprattutto per via della presenza di deficit enzimatici.
Se di fronte a un’anemia normocitica sospettiamo un’emolisi bisogna stabilirne la sede, che può essere
intravascolare o extravascolare (quando si verifica all’interno del sistema reticolo-endoteliale).
In caso di emolisi intravascolare si ha emoglobina libera in circolo e questo si traduce dal punto di vista
clinico nell’insorgenza di emoglobinuria.
Come si rileva l’emoglobinuria? Si potrebbero sottoporre le urine a centrifugazione (le urine rimangono
omogeneamente rosse anche dopo la centrifugazione se è presente emoglobina libera e non globuli rossi);
l’esame di routine che si fa per ricercare un’eventuale emoglobinuria è però il semplice stick urinario, che
sarà positivo (reazione enzimatica all’eme positiva). In alternativa si osserva una goccia di urine sul vetrino
al microscopio e non si ritrovano globuli rossi (non c’è eritrocituria). Una condizione molto simile che
dobbiamo però escludere è la mioglobinuria: anche in questo caso abbiamo positività allo stick urinario in
assenza di globuli rossi visibili al vetrino, e questo si spiega col fatto che lo stick urinario è in grado di
reagire non tanto con l’emoglobina o la mioglobina ma con il gruppo eme, e non riesce pertanto a
distinguere le due proteine in cui questo gruppo è contenuto.
Nell’emolisi intravascolare abbiamo inoltre una riduzione dell’aptoglobina, preposta a captare l’eventuale
emoglobina libera in circolo; invece, se abbiamo un’emolisi extravascolare si può riscontrare anche
semplicemente un aumento della bilirubina indiretta (clinicamente: ittero).

Nelle anemie emolitiche congenite rientrano le emoglobinopatie e le anemie da difetto di membrana,


facilmente individuabili ricorrendo rispettivamente all’elettroforesi o alla striscio. In particolare
quest’ultimo è un esame semplicissimo, che dà delle informazioni che possono permettere di fare diagnosi
senza ricorrere ad altri esami, magari più costosi. Tra le anemie da difetto di membrana abbiamo la
sferocitosi, che è l’unica malattia che si associa a un’alterazione dell’MCHC; o meglio, il riscontro di un
elevato MCHC può aiutare nella diagnosi solo di questa patologia.
L’iter per la diagnosi di sferocitosi è il seguente:
1. emocromo: un MCHC alto dà il sospetto di sferocitosi;
2. controllo globuli rossi allo striscio: alterazioni nella forma;
3. conferma diagnostica: si ha con il test delle resistenze osmotiche. Si testano i globuli rossi del paziente
a concentrazioni decrescenti di NaCl (per emodiluizione) e si osserva una maggiore emolisi degli
sferociti rispetto al controllo.

L’anemia normocitica potrebbe poi conseguire a un difetto di G6PD. C’è un difetto di tipo mediterraneo,
che può dare emolisi acute ma si associa a normalità in condizioni di mancata esposizione a stress
ossidativi. Solo raramente, e non se ne capisce effettivamente il motivo, il soggetto affetto da favismo va
incontro ad emolisi, magari per la prima volta quando è anziano; non si capisce che cos’è, effettivamente,
che in certe condizioni favorisce il danno ossidativo che conduce alla crisi emolitica. Un’altra variante di
G6PD carenza è quella africana.
La crisi si ha in genere per esposizione ad agenti ossidanti e si manifesta attraverso una emolisi
intravascolare. Allo striscio si riscontra la caratteristica comparsa di bite cells (cellule morsicate).

Abbiamo poi l’anemia falciforme; recentemente si sta riscontrando un incremento di questa


emoglobinopatia in Sardegna, anche per via dell’aumento del numero di Afro-Americani. Ci sono da noi una
ventina di casi circa, prima se ne avevano non più di 4-5.

Un’altra possibilità di fronte a un’anemia normocitica è che si tratti di una crisi aplastica in corso di anemie
emolitiche croniche; ne abbiamo già parlato soprattutto in relazione all’infezione da parte del parvovirus
B19.

Le anemie emolitiche acquisite sono per lo più causate da autoanticorpi o alloanticorpi (se trasferiti
tramite trasfusione); oppure, possono originare da cause tossiche, meccaniche o manifestarsi in corso di
coagulazione intravascolare disseminata. Nelle forme in cui si sospetta la presenza di autoanticorpi bisogna
fare il test di Coombs. Si possono ricercare autoanticorpi (o il frammento C3 del complemento) già adesi
alla membrana dei globuli rossi (test di Coombs diretto, il più importante); nel test indiretto si prende il
siero del paziente e si mette a confronto con un preparato contenente anticorpi, in genere di coniglio,
contro il frammento Fc delle immunoglobuline umane. Il test indiretto è però meno correlato con le anemie
autoimmuni. Tra l’altro non è raro trovare il test di Coombs positivo in assenza di anemia emolitica: il test
di Coombs va sempre correlato con la clinica. Se abbiamo un test di Coombs positivo in un paziente
anemico è sicuramente un dato significativo; se invece il test è positivo in un paziente che non accusa alcun
segno di anemia emolitica significa probabilmente che sono presenti autoanticorpi fissati sulla membrana
dei globuli rossi, ma non sono quantitativamente sufficienti a innescare la reazione complementare.
Ricordiamo che quest’ultima richiede in genere IgG in concentrazioni molto elevate, in modo da avere
almeno due immunoglobuline adiacenti e avviare così il legame del complemento. Solo le IgM sono in
grado di attivare il complemento anche se presenti come molecola singola (e quindi determinare
eventualmente emolisi).
Le anemie emolitiche autoimmuni, in pediatria, sono per lo più indotte da virus, e più raramente da
farmaci. Ricordiamo che i farmaci possono determinare anemie emolitiche legandosi a proteine presenti
nella membrana del globulo rosso (che fungono da apteni) e rendendole immunogeniche (si produrrano
anticorpi contro il complesso proteina + farmaco, ma questi anticorpi talvolta permangono e continuano a
reagire con la proteina anche quando il trattamento col farmaco incriminato viene sospeso).

Nei neonati ci può essere il transfert passivo di anticorpi attraverso la placenta, fenomeno prevenuto
adesso dalla profilassi con anticorpi anti-D, che si fa in tutte le gravidanze e in tutti i parti, compresi gli
aborti.

Le anemie normocitiche possono essere dovute anche a un danno meccanico, cioè un’emolisi
intravascolare, in questo caso avremo al vetrino gli schistociti.

In questa figura si vedono globuli rossi normali (fisiologicamente hanno dimensioni leggermente inferiori
rispetto a quelle di un linfocita); ci sono frammenti e cellule dette “a elmetto” (o cheratociti). Questi
frammenti si formano quando i globuli rossi sono proiettati contro tralci di fibrina eventualmente presenti
all’interno del vaso. Se il danno vasale persiste il fenomeno continua e si possono formare dei veri e propri
“embolini” dall’aggregazione di questi frammenti. Ciò è tipico della porpora trombotica trombocitopenica,
in cui il fenomeno è sistemico.

Ricordiamo che lo striscio è importantissimo davanti a qualsiasi anemia: si tratta di un esame


semplicissimo, che permette spesso di fare diagnosi o comunque di nutrire un sospetto molto forte.
Anemia megaloblastica

È un anemia macrocitica (si riscontra un aumento del volume medio dei globuli rossi maturi) generalmente
associata a leucopenia e piastrinopenia. Questo si verifica perché l’anemia megaloblastica è riconducibile a
un’insufficiente disponibilità di vitamine (B12, folati), che si ripercuote a livello sistemico e non solo su una
singola linea cellulare.
Queste vitamine intervengono nella duplicazione del DNA e quindi nella proliferazione cellulare. Si tratta in
particolare di cofattori nella trasformazione dell’uracile (base dell’RNA) in timina (DNA). In caso di carenza
si avrà un blocco della replicazione, con diminuzione del numero di mitosi; questo fa sì che le cellule
progenitrici mantengano una massa più grande del normale. Con poche divisioni cellulari si avranno
precursori più grandi del normale (megaloblasti) ed immissione di cellule mature con le stesse
caratteristiche (macrociti).
In genere l’anemia megaloblastica si ha per la carenza di entrambi questi cofattori.

Nel corso di un’anemia di questo tipo i progenitori eritroidi sono iperplasici, per via dello stato anemico che
incrementa le concentrazioni di eritropoietina, ma essi sono proni ad andare incontro ad apoptosi; quindi
molti di essi non riusciranno proprio a ultimare il loro processo di maturazione (eritropoiesi inefficace), con
aumento dell’LDH, del ferro e della bilirubina (l’LDH e la bilirubina indicano l’aumento della distruzione di
questi tipi cellulari per via dell’eritropoiesi inefficace).
Perché il ferro aumenta? Perché nell’anemia megaloblastica abbiamo una scarsa cattura di ferro da parte
del midollo. Noi sappiamo che ciò che determina immediatamente la sottrazione del ferro periferico è
proprio l’attività proliferativa di quest’ultimo. Infatti, se si somministra epcidina a un soggetto il ferro
scompare dal circolo entro pochi minuti; questo è dovuto al fatto che l’epcidina blocca sia l’assorbimento
del ferro sia l’eflusso dello stesso dai macrofagi. Il ferro circolante viene pertanto immediatamente
sottratto per far fronte all’attività di eritropoiesi. Questo non si verifica nelle anemie megaloblastiche, in cui
l’attività del midollo è inibita.

Nelle anemie megaloblastiche abbiamo anisopoichilocitosi, con macrocitosi e riduzione della vita media
degli eritrociti. C’è un aumento del rapporto RNA/DNA, perché è stato già detto che il problema riguarda
soprattutto la sintesi delle basi che fanno parte del DNA (trasformazione dell’uridina in timidina); questo fa
sì che l’attività mitotica sia molto bassa.
L’RNA aumenta anche perché è proporzionale alla quota citoplasmatica, che nelle anemie megaloblastiche
è in espansione, per via del numero ridotto di mitosi. Abbiamo quindi cellule con ampio rapporto
citoplasma/nucleo. In questa condizione ci sono i macrociti, che sono molto più grandi dei comuni globuli
rossi, ma anche i precursori degli eritrociti avranno dimensioni maggiori. Questi sono chiamati megaloblasti
e mostreranno una caratteristica asincronia maturiva tra il nucleo e il citoplasma. Ad esempio, si può
riscontrare un eritroblasto policromatofilo o ortocromatico (l’ultimo stadio di maturazione del globulo
rosso prima dell’espulsione del nucleo), in cui appunto ci aspetteremmo un nucleo picnotico, che sta per
essere estruso, con un nucleo invece ben evidente e cromatina lassa, e con citoplasma completamente
emoglobinizzato. E’ proprio questa l’asincronia maturativa, che è assolutamente tipica di questo tipo di
anemia (per questo, quando la si riscontra, si può fare diagnosi).

Un altro elemento importantissimo è quello che si vede in figura: i neutrofili mostrano un nucleo
ipersegmentato. In particolare, riscontrare almeno un neutrofilo esalobato o oltre 5 neutrofili pentalobati
indica un’anemia che si può ascrivere a una condizione di folato o cobalamina deficienza. Il professore dice
di aver avuto a che fare con bambini i cui neutrofili presentavano più di 12 segmentazioni nonostante il
dosaggio plasmatico delle vitamine fosse normale. È quindi molto importante non fermarsi mai al semplice
dosaggio plasmatico di folati e B12, ma in caso di sospetto deficit andare a studiare lo striscio e chiedere
almeno il dosaggio dei due composti che abbiamo detto essere precocemente aumentati nel plasma in
questo caso, e cioè l’acido metilmalonico e l’omocisteina.
Struttura della vitamina B12. La struttura ricorda quella dell’eme; invece che essere presente ferro è però
presente cobalto, in un legame coordinato da parte di 4 atomi di azoto. Il cobalto ha poi altre due
possibilità di legame, permesse dalla presenza di un gruppo radicalico X che può essere un metile
(metilcobalamina), gruppo idrossilico (idrossicobalamina) o cianico (cianocobalamina); questi sono tutti
composti che si possono usare nella terapia sostitutiva.
L’uomo non può sintetizzarla, ma può essere prodotta dal nostro microbiota. La dose giornaliera
raccomandata è una molto piccola (2,4 mcg/die); c’è poi l’uso di usare la vitamina B12 come tonico, come
ricostituente, soprattutto negli anziani; in questo caso si usano dosi molto più elevate.
Tuttavia se andiamo a utilizzare sistemi di determinazione di una carenza subclinica (test di
misincorporazione dell’uracile al posto della timina) la dose raccomandata sarebbe più alta, fino a 10
mcg/die. Questo test valuta la quantità di DNA contenente uracile invece che timina (fenomeno dovuto alla
carenza); nelle cellule è addirittura presente un enzima apposito che distrugge questo DNA, perché lo
riconosce come scorretto, anormale.

Trasporto della cobalamina. Ci sono tre proteine che intervengono nel trasporto della vitamina B12, da
quando essa viene ingerita a quando viene assorbita e poi trasportata ai vari tessuti. Queste proteine sono
tra di loro omologhe fino al 60-80%, e ciò fa pensare derivino da un singolo gene ancestrale (lo stesso
succede per la mioglobina e l’emoglobina).
Stiamo parlando di:
- Fattore intrinseco: prodotto dalle cellule parietali dello stomaco;
- Transcobalamina, detta anche transcobalamina II, che è espressa in tutti i tessuti;
- Aptocorrina, o transcobalamina I, che è espressa principalmente dalle cellule mieloidi.
Nel plasma la cobalamina circola legata principalmente alla aptocorrina, che la esporta poi nella bile,
mentre solo il 10% della vitamina viaggia con la transcobalamina II, che la importa poi in tutte le cellule.
Questo è molto importante, perché ci sono alcuni difetti genetici in cui manca la transcobalamina II, e se si
va a dosare la vitamina nel plasma questa avrà valori comunque nei limiti della norma perché al 90% questo
trasporto dipende dalle aptocorrine, che saranno comunque presenti. Però, siccome l’importazione nei
tessuti può avvenire solo grazie alla transcobalamina (i tessuti periferici esprimono un recettore per la
transcobalamina e non per le aptocorrine), in questi soggetti si manifesterà un grave stato anemico,
nonostante quindi i livelli plasmatici di B12 siano normali.

La vitamina B12 è prima legata nello stomaco dalle aptocorrine, che vengono liberate nella saliva;
l’aptocorrina è poi degradata da proteasi pancreatiche. La vitamina B12 si lega quindi al fattore intrinseco; il
complesso fattore intrinseco – vitamina B12 viene assorbito per endocitosi da un recettore (un complesso
proteico costituito da due proteine: cubilina – cubam/amnionless); nei lisosomi il complesso si scinde e
rimane la vitamina libera, che viene trasferita sulla transcobalamina ed immessa nel circolo come
olotranscobalamina (transcobalamina con la vitamina legata). Viene a questo punto captata da recettori
cellulari dei tessuti periferici, di cui in realtà non si sa ancora molto.

All’interno delle cellule la vitamina B12 interviene nella reazione omocisteina => metionina, che avviene
nel citoplasma, e acido metilmalonico => acido succinico, che avviene invece a livello mitocondriale.
Ricordiamo che la carenza di vitamina B12 si associa ad aumento di omocisteina e metilmalonato proprio
per questo motivo.

Esami di laboratorio
La macrocitosi nell’adulto si ha per valori di MCV superiori a 120 fL, anche se nel bambino i valori sono
leggermente inferiori (100-110 fL).
In caso di anemia megaloblastica troviamo:
- Megaloblasti nel midollo;
- Ovalociti (macrociti di grandi dimensioni, rappresentano ciò che residua dall’estrusione del nucleo
da parte dei megaloblasti) e ipersegmentazione dei neutrofili nel sangue periferico.
Aumentano le LDH, il ferro, la bilirubina e la saturazione della transferrina. L’anemia megaloblastica può
identificarsi con l’anemia perniciosa e in questo caso si troveranno auto-anticorpi, sia non specifici (anti-
mucosa gastrica) sia specifici, cioè anticorpi anti-fattore intrinseco (solo nel 70% dei casi). L’anemia
perniciosa è un’anemia che dipende da un difetto di fattore intrinseco di origine autoimmune, dovuta al
fatto che esistono anticorpi contro la mucosa gastrica.

In quest’immagine sono evidenti dei precursori eritroidi con ancora il nucleo e cromatina lassa, nonostante
il citoplasma abbia un colore rosso paragonabile a quello dei globuli rosi maturi. Altri presentano invece
alte concentrazioni di emoglobina nonostante il nucleo sia ancora ben rappresentato. Questa asincronia
maturativa tra nucleo e citoplasma è assolutamente caratteristica dell’anemia megaloblastica.

Ricordiamo che la cobalamina sierica non necessariamente riflette lo stato di carenza e che la carenza
precede, come nel caso della sideropenia, l’anemia conclamata. L’aumento dell’omocisteina (che si ha in
circa l’80% di carenti in folati e/o B12) e di metilmalonato sono considerati comunque i più sensibili
indicatori della carenza di B12. In questo caso possono inoltre insorgere, prima delle alterazioni
ematologiche, danni neurologici, soprattutto di natura sensitiva, o addirittura psichiatrici.

Un’altra possibilità diagnostica è data dal test di Schilling, un po’ caduto in disuso in quanto basato
sull’utilizzo di composti radioattivi. Si somministra cobalamina con cobalto radioattivo, per poterlo tracciare
e misurare nelle urine; contemporaneamente si dà anche una dosa di vitamina B12 non radioattiva per via
intramuscolare, e questa serve a saturare i recettori della cobalamina, per fare in modo che la cobalamina
radioattiva che abbiamo somministrato per os venga assorbita, ma non sia legata dal fegato e venga quindi
escreta con le urine. Quindi si esegue il dosaggio nelle urine: il test di Schilling è considerato normale se
nelle urine è presente almeno il 10% della quantità di vitamina che abbiamo somministrato per os. Se il test
è anormale, cioè abbiamo un assorbimento inferiore al 10%, si passa a una seconda fase per confermare
l’anemia perniciosa e quindi il deficit di fattore intrinseco: si dà fattore intrinseco in abbondanza
congiuntamente alla vitamina e a questo punto il test si normalizza, cioè l’assorbimento supera di nuovo il
10%. Si può infatti così dedurre che il problema era proprio la mancanza di fattore intrinseco.

Questo grafico mostra la risposta nei confronti della terapia correttiva di un’anemia megaloblastica. Dopo
l’inizio della terapia con vitamina B12 si ha, come primo parametro, una correzione di alcuni aspetti
biochimici del siero, in particolare la riduzione del ferro sierico e dei valori di LDH. Abbiamo detto che in
caso di anemia megaloblastica abbiamo un aumento della saturazione della transferrina; nel momento in
cui si rimette in moto l’eritropoiesi per effetto della terapia, per prima cosa il ferro viene catturato e quindi
il ferro sierico si normalizza; lo stesso succede per l’LDH. Abbiamo poi la risposta reticolocitaria, la riduzione
dei premetaboliti (omocisteina e metilmalonico); infine sopraggiunge la correzione dell’anemia, ma per
ottenere questo risultato ci vogliono almeno 4 settimane.
La linea rossa è quella che, secondo questo schema, porta alla riduzione della segmentazione dei neutrofili.

In base alla quantità di vitamina che si usa si può avere un aiuto nella diagnosi differenziale tra carenza di
B12 o folati. Infatti se c’è una deficienza di folati si avrà una risposta reticolocitaria anche a seguito della
somministrazione di basse dosi di folato (0,5 mg/die per 2-3 giorni); se invece diamo dosi alte di folati
queste agiscono anche correggendo in parte il deficit di vitamina B12 (questo succede almeno per quanto
riguarda il versante ematologico; invece, a livello neurologico i sintomi permarranno a meno che non si dia
cobalamina).

Trattamento dell’anemia megaloblastica


Nei casi di anemia severa ci sono casi di morte descritti in letteratura. Questo rischio è riportato raramente
nei testi moderni perché si trattava per lo più di casi in cui all’anemia si aggiungeva una situazione di
scompenso cardiaco; in questa situazione, prima bisogna correggere lo scompenso e poi l’anemia, anche
perché la correzione di quest’ultima richiede tempo, per cui se si vuole ottenere un miglioramento è meglio
dare sempre un po’ di sangue, un po’ di ossigeno e un po’ di diuretici. Tra l’altro lo scompenso stesso è uno
dei rischi di un’anemia severa protratta; ricordiamo che inoltre sarà presente un’omocisteinemia elevata
che aumenterà notevolmente anche il rischio trombotico.

La dose di cianocobalamina che permette di correggere il deficit è di circa 10 mcg al giorno negli adulti,
0,2mcg/kg/die nel bambino; la dose è sufficiente a normalizzare le LDH, a ridurre la saturazione della
transferrina, e a indurre una reticolocitosi in sette giorni. Invece, per la normalizzazione dei metaboliti
occorre più tempo.
La terapia si potrebbe fare indifferentemente con cianocobalamina o idrossicobalamina.
Quale via di somministrazione prediligere? Abbiamo visto che in linea di massima non si può pensare che la
carenza sia solo alimentare (a meno che non ci troviamo di fronte a un paziente vegano), e quindi, di fronte
a un’eventuale anemia perniciosa con associata carenza di fattore intrinseco (che renderebbe impossibile
l’assorbimento in caso di somministrazione orale), è preferibile fare sempre una terapia parenterale.
Sono sufficienti dosi molto piccole (100 microgrammi al giorno) di cianocobalamina; nella pratica si usano
dosi molto alte (fino a 1 mg/die) durante la prima settimana, seguite da dosi più basse nella settimana
successiva. Secondo alcuni nuovi studi si potrebbe, in tutti i casi, usare una terapia orale ad alte dosi;
questa sarebbe molto semplice da seguire e sarebbe inoltre ben tollerata. Le dosi sarebbero così alte da
consentire il trasporto e l’assorbimento non mediato dal recettore cubalamina-cubam, e quindi
indipendente dalla presenza del FI. Si avrebbe quindi un assorbimento della vitamina B12 attraverso altre
vie ancora non ben conosciute (giunzioni intercellulari tra enterociti, ad esempio).
Di fronte a un’anemia associata a un interessamento neurologico la prima scelta è data dalla
somministrazione intramuscolare; in questo modo abbiamo una risposta più rapida che permette di
fronteggiare queste situazioni (deficit sensoriali, depressione e demenza). Ricordiamo che in generale,
mentre la risposta è rapida nei confronti dei sintomi psichiatrici, la risoluzione dei sintomi neurologici
richiede più tempo, fino a sei mesi, e alcuni di questi disturbi possono essere irreversibili. Il danno si ha a
livello dei cordoni midollari laterali posteriori, che veicolano per lo più la sensibilità; ecco perché i danni
sono soprattutto atassia, ipoestesia con difetti della sensibilità vibratoria (pallestesia) e infatti questo
difetto è oggigiorno svelato spesso da un segno detto “segno del cellulare”, cioè incapacità di percepire la
vibrazione del proprio cellulare.
Nell’anemia perniciosa, che ricordiamo essere dovuta alla presenza di anticorpi anti-fattore intrinseco, la
cura sarà a vita.
Nei bambini con difetti del metabolismo si usano dosi molto alte, con l’intento di forzare e bypassare
quella tappa enzimatica. Ricordiamo che tutte le volte che siamo di fronte a un difetto enzimatico si
possono usare dosi molto elevate; questo perché ad esempio il difetto è di affinità e si riesce così a
superarlo.

La carenza si instaura molto lentamente; questo è giustificato dall’emivita lunga della vitamina e dal fatto
che sono presenti depositi epatici di B12. I depositi non sono presenti, o comunque non sono significativi,
per l’acido folico, le cui scorte possono soddisfare i fabbisogni per solo due settimane.
L’ipersegmentazione dei neutrofili e l’accumulo di metaboliti, così come le anomalie midollari, precedono
lo stato anemico conclamato; in assenza di anemia, raramente i problemi neurologici e psichiatrici vengono
attribuiti alla carenza di questa vitamina.

Si parla di anemia perniciosa solo quando si riscontrano anticorpi contro le cellule parietali gastriche o
soprattutto contro il fattore intrinseco; il target degli anticorpi anti-mucosa gastrica è la pompa ATPasi
potassio-idrogeno, lo stesso bersaglio degli inibitori di pompa protonica. Non si parla di anemia perniciosa
in riferimento ad altre condizioni simili quali quelle che conseguono, ad esempio, alle resezioni gastriche:
infatti con la resezione si elimina una componente cellulare che produce fattore intrinseco, e ciò può
condurre comunque a una carenza di vitamina B12, ma non siamo nell’ambito di un’anemia perniciosa vera
e propria. Lo stesso discorso può essere fatto di fronte a un deficit genetico che riguarda il fattore
intrinseco.

Nell’anemia perniciosa abbiamo, oltre alle alterazioni ematologiche, manifestazioni sistemiche che vanno
dalla glossite atrofica a disturbi gastrointestinali.
Le manifestazioni neurologiche sono dovute alla demielinizzazione dei cordoni laterali e posteriori del
midollo, probabilmente riconducibile al difetto di metionina. L’atassia è uno dei primi segni (nel 65% dei
casi); poi abbiamo la riduzione della sensibilità (50%), soprattutto per quanto riguarda il senso di posizione
o di vibrazione (pallestesia), e iporeflessia. Possono essere anche segni piramidali; questi non sarebbero
attesi perché indicano una lesione dei cordoni anteriori del midollo.
[Ricordiamo che i segni tipici di piramidalismo sono l’ipereflessia (spesso oscurata però dalla concomitante
neuropatia) e il riflesso cutaneo plantare in estensione (Babinski). Si parla di ipereflessia, soprattutto in
pediatria, quando si elicita il riflesso patellare in una zona in cui normalmente questo riflesso non si
eliciterebbe (cioè non percuotendo sul legamento patellare ma percuotendo, ad esempio, sulla tibia:
questo è un chiaro e obiettivo segno di risposta atipica). Un altro segno è la cosidetta “estensione del
riflesso”: l’area reflessogena efferente riguarda in questo caso anche l’altra gamba. Quindi, ad esempio, si
percuote a destra e il riflesso sarà bilaterale; anche questo è un segno di ipereflessia, e in pediatria è tipico
delle paralisi spastiche].

Ci sono segni psichiatrici come demenze (90% dei casi) e/o depressione, e abbiamo già detto che questi
rientrano tra i disturbi che rispondono più rapidamente alla terapia.

Inoltre, molti pazienti riferiscono dopo la terapia un notevole benessere generale (non si sa se questo sia un
effetto placebo).

Quadri clinici materno-fetali. Una problematica attuale è rappresentata dalle donne che seguono, anche in
gravidanza, una dieta vegetariana, vegana, macrobiotica o comunque povera di carne. In questo caso la
situazione di carenza si ripercuote sul neonato determinando esiti neurologici anche permanenti e quadri di
metilmalonico aciduria acquisita; l’incidenza di questa condizione sta aumentando perché oggigiorno
abbiamo a disposizione un test di screening esteso che la smaschera facilmente. Le malattie che
“classicamente” sono sempre state sottoposte a screening neonatale sono ipotiroidismo e fenilchetonuria
(quasi tutte le regioni attuano poi anche un test per la fibrosi cistica); si fa poi anche un test che consente di
evidenziare una quarantina di malattie metaboliche, tra cui la metilmalonico aciduria congenita ma anche il
difetto congenito (= legato alla madre) di vitamina B12, che può comunque condurre a una condizione di
metilmalonico aciduria.

Per questo motivo le donne che seguono una dieta povera di carne e che in età fertile intendano
programmare una gravidanza dovrebbero essere sottoposte a una supplementazione di vitamina B12,
anche quando i livelli sierici di cianocobalamina sembrerebbero normali.
Nel neonato è importante correggere subito un’eventuale carenza per evitare i danni neurologici
permanenti; è anche vero che è a livello della placenta si stabilisce comunque un gradiente e per questo i
sintomi di una carenza non si manifestano in realtà in età propriamente neonatale ma in fase un po’ più
avanzata.
Nei bambini spesso la carenza è subclinica e non sempre è presente la macrocitosi.

Di fronte a un MCV elevato nel bambino dobbiamo pensare a tutta una serie di cose:
- somministrazione di farmaci, soprattutto chemioterapici;
- insufficienza cardiaca congestizia;
- reticolocitosi;
- trisomia 21;
- aplasia/displasia midollare: in queste età pensare soprattuttto alla malattia di Blackfan-Diamond o
all’anemia di Fanconi.

Quadri clinici nel neonato e nei lattanti. La carenza determina quadri abbastanza aspecifici, quali difetto di
crescita, apatia, anoressia e rifiuto per i cibi solidi. Quindi bisogna ricordarsi che tutte le volte in cui ci si
trova davanti a una difficoltà nel nutrimento con cibi solidi questo può essere indicativo di una sottostante
carenza di vitamina B12.

Un altro aspetto tipico è il ritardo nell’acquisizione delle varie tappe dello sviluppo psicomotorio. Bisogna
sempre andare a ricercare segni neurologici anche sfumati, e in caso di sospetto andare subito a dosare il
metilmalonato. Se la terapia viene impostata tardivamente, i danni clinici o comunque evidenziabili con
esami strumentali quali la RMN sono spesso irreversibili.

Sappiamo che tutte le donne in gravidanza devono essere supportate dalla somministrazione di acido folico
e ricordiamo che questa è una supplementazione e non una integrazione, in quanto si danno dosi superiori
a quelle che sarebbero normalmente raccomandate. Questo perché spesso si possono avere difetti di
chiusura del tubo neurale anche in donne i cui valori plasmatici di folato sono normali; questo problema
può essere risolto dando dosi più alte di quelle normalmente previste.
Per ridurre questo tipo di problema molti Paesi (USA ad esempio) hanno deciso di procedere con
l’arricchimento di cibi, come il latte, in acido folico (“fortificazione”), e questa misura si è rivelata
particolarmente efficace. Un’altra fortificazione che viene fatta in alcune nazioni consiste nell’arricchimento
dell’acqua in fluoro.

Nel neonato-lattante, oltre a una carenza dovuta a un deficit materno, bisognerebbe poi escludere la
presenza di difetti genetici del metabolismo cobalaminico. Abbiamo ad esempio la sindrome di Imerslund-
Grasbeck, che si presenta nell’infanzia con difetto di crescita, disturbi gastrointestinali, proteinuria atipica
(data soprattutto da albuminuria), infezioni respiratorie, pallore, anemia megaloblastica senza (in genere)
segni neurologici. La mucosa intestinale è normale (si può così escludere la presenza di malassorbimento) e
non ci sono anticorpi anti fattore intrinseco; il test di Schilling è negativo e cioè è presente una normale
escrezione urinaria di vitamina B12. Dobbiamo pensare a un difetto genetico quando tutte queste indagini
sono negative.
Nella sindrome di Imerslund-Grasbeck il difetto risiede in genere in quel recettore costituito dal complesso
cubilina–cubam, proteina che lega il complesso Fattore intrinseco–cobalamina [nel complesso il professore
fa quindi rientrare 4 componenti: cubilina, cubam, fattore intrinseco e vitamina B12]. Ci può essere un
difetto a carico di una delle due componenti proprie del recettore. Ma perché un difetto di questo
recettore si associa a tutti questi sintomi? Semplicemente perché esso è diffusamente espresso nel nostro
organismo. Per esempio, è espresso a livello delle cellule tubulari renali, ed è qua importante per il
riassorbimento dell’albumina che normalmente fa parte dell’ultrafiltrato: questo spiega la proteinuria.
Invece, le infezioni respiratorie si spiegano tenendo conto che spesso in genere a questa condizione si
associa una carenza di vitamina D, e anche la vitamina D viene eliminata nel rene e riassorbita con un
meccanismo che sfrutta queste molecole recettoriali.

Se invece i recettori sono normalmente funzionanti, la malattia può essere ascrivibile a un difetto (molto
raro) del gene che codifica per il fattore intrinseco (GIF).

Possiamo avere poi un difetto della transcobalamina: abbiamo già detto che questa è la proteina cui la
vitamina si lega una volta essere stata assorbita, per essere immessa e circolare nel plasma e venire poi
catturata a livello periferico. In questo caso il quadro sintomatologico del neonato sarà assolutamente
simile. Anche qua avremo infezioni respiratorie ricorrenti (è riportato in letteratura, ma il professore non
trova una spiegazione), difetti immunitari e segni neurologici, che si manifestano in genere dopo i sei mesi
di vita.
Sappiamo inoltre che la cobalamina nel plasma è legata per il 90% all’aptocorrina; in questo caso il difetto
riguarda la transcobalamina, che è responsabile solo di un 10% di questo trasporto. Quindi il dosaggio
sierico in questi soggetti è spesso normale, ma è presente un difetto funzionale tale per cui le cellule non
riescono a importare questa vitamina.

Altre volte i difetti genetici sono si manifestano a carico dei geni che codificano per le aptocorrine; qui però
non abbiamo problematiche di tipo ematologico perché la olotranscobalamina è normale. Rimangono però
difetti di carattere neurologico, perché queste aptocorrine producono intermedi metabolici tossici per i
neuroni.

Anemia megaloblastica da carenza di folati


I folati sono presenti in molti alimenti. Sono abbondanti nel fegato, nei reni, nel succo d’arancia e negli
spinaci. Una fonte importante è rappresentata dai vegetali freschi, ma la luce e la cottura ne riducono la
biodisponibilità. La carenza difficilmente si realizza da noi, ma è più frequente in altri Paesi del mondo.
Il fabbisogno giornaliero è di 150-200 mcg, sia per gli uomini che per le donne.
C’è però da dire che l’effetto preventivo della supplementazione sui difetti di chiusura del tubo neurale,
anche in assenza di una carenza laboratistica, fa supporre che spesso molti soggetti si trovino in una
condizione di carenza funzionale con valori normali di folati. Tra l’altro questa supplementazione determina
anche una riduzione dei livelli di omocisteina nel sangue e un importante abbassamento del rischio
trombotico.
La fortificazione dei cibi ha fatto scomparire per il 90% il problema dei difetti di chiusura del tubo neurale;
non ci si spinge ulteriormente per coprire il restante 10% perché si pensa che si potrebbero così
mascherare eventuali casi di anemia perniciosa e contribuire allo sviluppo di alcuni tumori (l’acido folico
stimola la proliferazione cellulare).

I soggetti più esposti al rischio della carenza sono quelli in cui le richieste sono aumentate: neonati,
bambini, gravide e nutrici, soggetti a rischio trombotico, terapia con antiepilettici (soprattutto acido
valproico e carbamazepina), contraccezione orale, soggetti con anemie emolitiche croniche o con
aumentate richieste periferiche (dermatiti esfoliative).

Quando è presente un difetto di folati si viene a creare la cosiddetta trappola del 5-metiltetraidrofolato, in
cui è presente una tappa enzimatica, sostenuta dalla metionina-sintetasi, che è cobalamina dipendente;
questa è l’unica tappa che consente di rigenerare l’acido tetraidrofolico dal 5-metiltetraidrofolato.
Si parla di trappola perché quando c’è un difetto di cobalamina si ha anche un difetto di metionina (blocco
della metionina sintetasi, che richiede come cofattore la B12), e si blocca nel contesto anche la produzione
di acido tetraidrofolico; per questo sia la deficienza di folati sia quella di vitamina B12 evolvono in anemia
megaloblastica.

La carenza di folati è tra le più diffuse al mondo insieme a quella di ferro; le femmine sono più soggette a
questo deficit rispetto ai maschi. In genere la causa è il ridotto apporto alimentare, anche perché la cottura
dei cibi, soprattutto vegetali, altera e distrugge la vitamina. Nei Paesi in via di sviluppo è inoltre una
condizione molto frequente per via della contemporanea presenza della sprue tropicale e di altre infezioni
che provocano malassorbimento.

La diagnosi ematologica è simile a quella che si ha in caso di deficit di B12: il midollo, ad esempio, è
indistinguibile nelle due condizioni e sono presenti le stesse anomalie biochimiche.
Anche dal punto di vista clinico la carenza è equivalente a quella causata dal deficit di cianocobalamina, ma
non sono presenti segni neurologici.

I livelli sierici di folati scendono sotto soglia entro due settimane dal mancato apporto, questo perché i
depositi sono rapidamente depleti; si avrà a questo punto un aumento di metaboliti e in particolare di
omocisteina, ma non di acido metilmalonico (mentre nella carenza di vitamina B12 abbiamo un aumento di
entrambi).

La terapia si basa sulla somministrazione di 5mg per os (100 mcg/kg in pediatria); l’anemia risponde anche
a piccole dosi, che non correggerebbero l’anemia da difetto della cobalamina. Anzi, se c’è un concomitante
difetto di cobalamina queste dosi non eliminerebbero o addirittura aggraverebbero i danni neurologici, per
via del ritardo diagnostico che si genererebbe.
La carenza di folati nelle donne in gravidanza è una causa di difetti di chiusura del tubo neurale (altre cause
sono le anomalie cromosomiche), e per questo si ricorre alla supplementazione. Durante la gravidanza una
condizione di carenza potrebbe rivelarsi con un aumento di omocisteina o con un ritardo di crescita
intrauterina; le donne che sono portatrici o soffrono di anemia falciforme hanno un aumentato fabbisogno
di acido folico e quindi sono un po’ più a rischio. Un dato clinico importante che si ha nelle donne con
carenza di acido folico è la poliabortività, che si ha per fenomeni di trombosi a livello della circolazione
placentare per via dell’omocisteinemia.
La supplementazione di acido folico riduce non solo i difetti di chiusura del tubo neurale ma ha anche molti
altri benefici: riduce l’incidenza di malformazioni cardiache, palatoschisi, stenosi ipertrofica del piloro,
anomalie degli arti, onfalocele, l’agenesia renale e anomalie dei tronchi arteriosi.
LE ANEMIE
Oggi parleremo dell’approccio al bimbo con pallore, quindi di tutte le condizioni che determinano
un’anemia.
Per anemia si intende una riduzione della concentrazione di Hb, dell’Hct o del numero dei globuli
rossi per ml di sangue (nella talassemia sono invece tantissimi ma piccoli e quindi dal punto di
vista di trasporto dell’ossigeno sono funzionalmente equivalenti a meno globuli rossi con più
emoglobina).
In genere come per tutti gli esami di laboratorio si ritiene che il valore di normalità sia contenuto
entro due deviazioni standard dalla media di quel valore. Tenete conto che anche trovarsi al di fuori
delle due deviazioni standard non significa che ci si trova necessariamente in una condizione di
anormalità ma senz’altro di allarme per una possibile anormalità. Questo ragionamento vale per tutti
gli esami di laboratorio. Da questa considerazione ne consegue che circa il 2,5% della popolazione
sarà considerato erroneamente anemico. All’opposto la stretta aderenza a criteri numerici può
mascherare importanti segni patologici perciò bisogna avere del buon senso nell’utilizzo delle curve
di percentili e dei grafici delle deviazioni standard.
Nella valutazione del grado d’anemia bisogna tenere conto del metabolismo dell’O2 e della
compensazione cardiovascolare. Possiamo avere, infatti, pazienti funzionalmente anemici con un
deficit di trasporto dell’ossigeno ai tessuti pur avendo concentrazioni normali di Hb. Ci sono ad
esempio pazienti cardiopatici cianotici, in insufficienza respiratoria con un incremento
compensatorio dell’Hb che risulta avere quindi valori normali. Stesso discorso vale per pazienti con
emoglobinopatie ad alta affinità per l’ossigeno, in questo le caso le emoglobine non cedono
l’ossigeno ai tessuti per cui pur avendosi valori di emoglobina elevata non si ha la cessione
dell’ossigeno ai tessuti innescando poi le reazioni compensatorie come l’aumento dell’eritropoietina
etc.
I globuli rossi durano circa 120 giorni e sono rimossi dal SRE, in genere dai macrofagi presenti
soprattutto nella milza ma anche nel midollo e nel fegato; sono poi sostituiti giornalmente grazie ad
una eritropoiesi compensatoria.
Classificazione:
Le anemie sono divise dal punto di vista della fisiopatogenesi in:
1. Anemie da ridotta produzione di GR
2. Anemie da eccessiva distruzione di GR

1. ANEMIE DA RIDOTTA PRODUZIONE DI GLOBULI ROSSI:


• Abbiamo le sindromi da insufficienza midollare e tra queste abbiamo le anemie
aplastiche che si distinguono in congenite e acquisite.
Abbiamo poi le aplasie eritroidi pure, alcuni le chiamano anche anemie ipoplastiche,
cioè confinate alla serie rossa, tra queste una delle poche che osserviamo in pediatria
è la sindrome di Diamond–Blackfan che si presenta nei primi mesi di vita ed è una
ribosomopatia, cioè una patologia legata ad un difetto di una delle tantissime
proteine ribosomiali, sono circa 15 le proteine che possono essere implicate nella
genesi di questa anemia e la più frequentemente implicata è la ribosomial protein 19.
Questa anemia è dovuta dunque ad un difetto delle sintesi proteica che si ripercuote
sulla produzione di globuli rossi.
Nel periodo neonatale è importante ricordare anche una condizione che è fisiologica,
la eritroblastopenia transitoria del lattante. Nella vita intrauterina c’è un’elevata
quantità di Hb nel sangue e i bambini nascono con circa 16-17gr. di Hb in media.
Questo accade perché nella vita intrauterina l’Hb fetale, che ricordiamo possiede
un’affinità incrementata per l’ossigeno, dovendo lavorare tra placenta, tessuto con
una scarsa concentrazione di ossigeno, e tessuti fetali, che ne hanno una ancora più
bassa, va incontro ad un meccanismo di compenso proprio per poter esercitare questa
attività di cessione dell’ossigeno dalla placenta ai tessuti fetali. Subito dopo la
nascita con l’esposizione all’ossigeno ambientale avviene una drammatica riduzione
dell’Hb che in 1-2 mesi arriva a 11-9gr. mantenendosi costante per più o meno il
primo anno di vita. Quindi nel passaggio dall’eritropoiesi fetale a quella di tipo
adulto talvolta c’è una sorta di intervallo e questo fa si che si abbia una
eritroblastopenia quando il midollo neonatale non ha preso appieno la sua attività.
Questa condizione va distinta dall’anemia ipoplastica che si distingue perché
aspettando un mese in questo caso si ha la persistenza dell’anemia mentre nel caso
dell’eritroblastopenia transitoria del lattante si ha una ripresa.
Poi ci sono condizioni in cui il midollo viene sostituito da tessuto tumorale,
tipicamente leucemia linfomi vari, da un aumento della componente ossea
nell’osteopetrosi, da condizioni di mielofibrosi, dovute ad alterazioni cromosomiche
che espongono a questa condizione di aumento del tessuto connettivo intramidollare.
Ci sono poi delle condizioni di ipoplasia dovute ad insufficienza renale cronica
anche per difetto della produzione di eritropoietina; la vitamina D, le infezioni e la
tubercolosi sono ugualmente citate.
Da ricordare anche l’associazione con l’insufficienza pancreatica nella sindrome di
Shwachman.
• Abbiamo condizioni di ridotta produzione di eritropoietina come
nell’insufficienza renale cronica, ipotiroidismo e ipopituitarismo, infiammazione
cronica, dove però non abbiamo solo la componente di ridotta produzione di
eritropoietina ma anche una interferenza con il metabolismo del ferro,
l’infiammazione cronica determina infatti un aumento dell’epcidina che è un’ormone
che regola negativamente il ferro, avremo quindi una netta diminuzione del ferro;
ricordiamo che l’epcidina ha una funzione fisiologica importante nella protezione
dalle infezioni, infatti tutti i batteri internalizzano e utilizzano il ferro per proliferare
e l’organismo ha evoluto questo meccanismo appunto per sottrarre il ferro in corso di
infezione o di infiammazione. In queste patologie abbiamo quindi un difetto di
utilizzazione del ferro pur essendo questo presente all’interno dell’organismo. Anche
la malnutrizione proteica influisce nella produzione di eritropoietina e di Hb e poi
possiamo avere dei casi di emoglobinopatie con ridotta affinità per l’ossigeno.
• Possiamo avere anomalie della maturazione citoplasmatica. In questo gruppo
rientra quella che è senz’altro l’anemia più diffusa che è quella da carenza marziale,
in Sardegna abbiamo anche tutte le sindromi talassemiche, più raramente abbiamo
anemie sideroblastiche e da intossicazione da piombo. Sono tutte anemie che
interferiscono con la produzione di Hb o di ferro o dell’eme, le componenti che
costituiscono l’emoglobina adulta.
• Abbiamo poi anomalie della maturazione nucleare come in caso di deficit di
vitamina B12, deficit di acido folico, o casi molto più rari come le anemie
megaloblastiche responsive alla tiamina date da un difetto del metabolismo, difetti
degli enzimi che entrano in gioco nell’attivazione di queste vitamine e cofattori, così
come possiamo avere casi da difetto del metabolismo del folato e l’aciduria orotica;
sono tutte patologie del metabolismo che possono determinare una concomitante
anemia di tipo arigenerativo.
• Poi ci sono le anemie diseritropoietiche primarie che sono estremamente rare e
sono dovute a 2-3 difetti genetici.
• Abbiamo poi la protoporfiria eritropoietica data da un difetto nel metabolismo
delle protoporfirine.
• Infine abbiamo le anemie sideroblastiche refrattarie.

2. ANEMIE DA ECCESSIVA DISTRUZIONE DI GLOBULI ROSSI:


Abbiamo quelle dovute a cause intrinseche o corpuscolari e quelle dovute a cause
estrinseche o extracorpuscolari.
• Tra le prime rientrano i
difetti dell’emoglobina,
soprattutto mutanti
strutturali (disordini di
tipo qualitativo) come
l’anemia falciforme
oppure combinazioni di
HbS ed HbC, oppure
ancora in caso di
talassemia (disordine di
tipo quantitativo).
Tra le cause intrinseche
troviamo anche i difetti
della membrana
cellulare, il più tipico dei
casi è la sferocitosi ma
possiamo avere anche
altri casi come
l’ellissocitosi. Sono delle patologie nelle quali vi è un’alterazione delle proteine della
membrana, che costituiscono l’impalcatura del globulo rosso, con perdita di
membrana e tendenza all’emolisi; sono malattie emolitiche perlopiù croniche con
esacerbazioni acute
Poi abbiamo difetti del metabolismo dei globuli rossi, difetti in genere enzimatici
della via glicolitica che portano ad un accorciamento della vita media del globulo
rosso.
• Tra le cause estrinseche le più importanti e frequenti sono sicuramente le cause
immuni, quindi la distruzione di globuli rossi mediata da autoanticorpi, che saranno
ovviamente evidenziate dalla positività laboratoristica al test di Coombs [test di
laboratorio utilizzato per rilevare la presenza di anticorpi fissati alla superficie dei
globuli rossi (test di Coombs diretto) oppure di anticorpi liberi nel siero (test di
Coombs indiretto)].
Poi abbiamo una serie di condizioni in cui il globulo rosso subisce un danno di
membrana dovuto ad alterazioni del letto vascolare, in genere sono tutte condizioni
in cui si ha una coagulazione intravasale, intracapillare, intraarteriolare. Queste
condizioni sono distinte secondo l’estensione e secondo la sede in cui avviene
questa, diciamo, trombosi dei piccoli vasi nella sindrome emolitico-uremica
(condizione che consegue tipicamente una gastroenterite emorragica, soprattutto da
ceppi produttori di verotossine, quindi Shigelle o anche E. Coli O157, che attivano la
coagulazione e possono portare ad un quadro di IRA), nella porpora trombotica
trombocitopenica (più tipica dell’adulto, in pediatria la vediamo soprattutto negli
adolescenti; spesso è associata anche a tumori e a differenza della sindrome
emolitico-uremica abbiamo una trombosi che non riguarda solo in distretto renale ma
anche il SNC e può quindi manifestarsi con ictus e sintomi neurologici) e nella
coagulazione intravasale disseminata (data da un’attivazione della coagulazione in
tutti i distretti che ha come immediata conseguenza il consumo di tutti i fattori della
coagulazione e una sindrome emorragica; la condizione più tipica è quella che
abbiamo nella sindrome di Waterhouse-Friderichsen, la sepsi da meningococco, in
cui le endotossine attivano questa CID e si muore nel giro di poche ore, perlopiù a
causa di un emorragia surrenale, indipendentemente dalla terapia antibiotica; questa
condizione si verifica anche in gravidenza nella HELLP Syndrome che si pensa sia
dipendente da difetti dell’ossidazione nello stato di eterozigosi)
Poi abbiamo condizioni caratterizzate da danno da calore. Quando avete delle
ustioni cutanee estese c’è anche un interessamento della membrana eritrocitaria.
Possiamo poi avere un danno dato da agenti ossidativi, l’emoglobinuria
parossistica notturna con attivazione del complemento dovuta a difetti di alcune
proteine del globulo rosso, anormalità lipidiche indotte dalla membrana cellulare e
poi infine tra queste anemie rientra anche la perdita all’esterno dei globuli rossi,
l’emorragia. Tra queste io metterei anche una condizione mista in cui c’è
un’emorragia intracorporea come ad esempio in caso di emosiderosi polmonare
idiopatica nella quale il paziente ha delle emorragie polmonari con accumulo di
sangue negli alveoli senza segni esterni, al limite si può avere emottisi; in questa
patologia avremo segni di anemia combinati a segni di anemia emolitica per
riassorbimento delle componenti eritrocitarie dagli alveoli, pur non essendoci una
vera e propria anemia emolitica.
E poi abbiamo ovviamente le condizioni di ipersplenismo con un incremento
dell’emocateresi. In questo caso non ci sarà solo un’anemia ma bensì una
pancitopenia di grado generalmente moderato.
Emocromo
Come ci si comporta in caso di anemia? Come prima cosa si valuta l’emocromo, in secondo luogo
si fa l’analisi di un vetrino di sangue.
Nell’anemia è importantissimo fare riferimento all’età del bambino, ricordatevi che il laboratorio dà
come valori di riferimento quelli dell’adulto e che un neonato ha determinati valori, il bambino
degli altri valori e l’adolescente degli altri ancora che sono simili a quelli dell’adulto.
Per l’emocromo è importante eseguire un prelievo venoso. Si potrebbe fare anche un prelievo
capillare ma questo non riflette perfettamente il prelievo venoso perché spesso bisogna spremere se
non si ha l’accorgimento di riscaldare prima il piede del neonato in modo tale che fluisca la goccia
di sangue con più facilità e spremendo accade che il prelievo si arricchisce in plasma, viene diluito e
questo dà una falsa condizione di anemia.
Molte volte in pediatria non si fa riempire completamente la provetta questo perché c’è un limite al
prelievo di sangue del bambino, in genere non si preleva più di 1ml per kg, questo accorgimento
però non deve essere preso per l’emocromo, in questo caso la provetta deve essere completamente
riempita per non falsare il risultato.
Per la valutazione dell’emocromo sono principalmente usati due tipi di strumento il contaglobuli o
contatore Coulter e il Technicon. Questi differiscono leggermente nel tipo di approccio, il primo è
basato su variazione della resistenza elettrica data dal passaggio dei globuli rossi in un potenziale
elettrico e l’altro invece è un sistema laser che valuta quella che è la rifrazione di un raggio laser sul
globulo rosso e in base a questo ne determina le dimensioni.
Attualmente gli apparecchi che determinano l’emocromo non misurano l’Hb ma il volume del
globulo rosso (MCV) e il loro numero e poi in base a questi ricavano tutti gli altri parametri. In
realtà per quanto riguarda l’Hb sarebbe preferibile il vecchio emoglobinometro perché è più
accurato nel valutare spettrofotometricamente la quantità di Hb.
Una volta che abbiamo stabilito che ci sia una condizione di anemia occorrerà porre attenzione sugli
indici eritrocitari. Tra questi i più importanti sono MCV e MCH.
Il volume corpuscolare medio (mean cell volume, MCV) ci dice in femtolitri (fl) qual è il volume
medio dei globuli rossi. L’MCV è importante per la divisione delle anemie in tre grandi categorie:
micro-, macro-, normocitica. I bambini sotto i 10 anni devono avere un valore minimo di normalità
sempre sopra 70 fl e un valore massimo di 84 + (0.6 x anni d’età) fl; nell’adulto il valore minimo di
normalità di MCV è sopra gli 80 fl e il valore massimo, che si raggiungerà a 15-16 anni, è di 96 fl.
Il contenuto cellulare medio di emoglobina (mean cell hemoglobin, MCH) è più importante in caso
di talassemia perché è un parametro più specifico nell’individuare il portatore sano di talassemia
rispetto all’MCV.
Questa sulla destra è la tabella dei valori normali di Hb in
pediatria. Vedete come da 1 a 3 giorni dalla nascita l’Hb
ha un valore di 18.5 g/dl, questo aumento è dovuto alla
disidratazione a cui il neonato va quasi obbligatoriamente
incontro perché succhiando dal seno i volumi, questi non
sono sufficienti a mantenere un’idratazione adeguata nei
primi giorni. A 2 mesi abbiamo il valore minimo medio di
11.5 g/dl però bisogna tenere conto delle due deviazioni
standard, infatti un bambino di 2 mesi con l’Hb di 9 g/dl
non viene considerato anemico ma si ritrova all’interno
delle curve di normalità per questo intervallo d’età.
Vi ricordo poi che in Sardegna esiste un alto numero di
portatori sia di α che di β talassemia e questo fa scendere
ulteriormente il valore intorno a 8 g/dl che in queste
circostanze viene dunque ritenuto normale. Ci sono
comunque delle curve specifiche per i portatori.
Dopodichè si ha un progressivo aumento dell’Hb e dopo i 12 anni si ha una differenza tra maschi e
femmine perché il testosterone è uno stimolante dell’eritropoiesi e porta nei maschi ad un aumento
di circa mezzo grammo nel periodo adolescenziale e di 1.5 gr. dopo i 18 anni.
Altri valori dell’emocromo derivati da MCV e numero dei globuli rossi sono la concentrazione
cellulare media di emoglobina (mean cell hemoglobin concentration, MCHC), l’ampiezza di
distribuzione eritrocitaria (red cell distridution width, RDW, dove i volumi medi dei globuli rossi
sono riportati in una gaussiana, questa gaussiana può essere più o meno stretta, se è stretta abbiamo
un’ampiezza della distribuzione dei volumi che è ridotta; RDW è sostanzialmente un’indicatore
dell’anisocitosi) e l’HDV (grafico della distribuzione della popolazione cellulare suddivisa secondo
classi di volume cellulare molto utile per identificare cellule frammentate, agglutinate e la presenza
di popolazioni dimorfiche).
L’MCV e l’MCH generalmente vanno di pari passo. Se abbiamo MCV e MCH bassi avremo
un’anemia di tipo microcitico ipocromico mentre se sono elevati avremo un’anemia di tipo
macrocitico ipercromico.
L’MCHC, L’MCH e l’MCV sono parametri abbastanza stabili nel tempo, salvo condizioni di
anemia. L’MCHC aumenta in condizioni di disidratazione, così come aumenta tipicamente anche
nella sferocitosi, in cui si associa spesso una condizione di difetto di acqua all’interno del globulo
rosso. L’aumento dell’MCHC è sensibile solo alla sferocitosi, tutte le altre condizioni di aumento di
questo parametro sono praticamente inesistenti, può però essere basso nella sideropenia.
L’HDV esprime la variabilità del contenuto di emoglobina e si esprime in grammi di emoglobina,
mentre l’RDW si esprime in percentuale di variazione dei globuli rossi.
L’RDW è importante nella diagnosi differenziale delle anemie. Non bisogna trascurare inoltre i
valori dei globuli bianchi e delle piastrine, soprattutto il numero, perché una variazione di questi
potrebbe suggerire una diagnosi differenziale con le leucemie. Si parlerà di pancitopenia o citopenia
isolata ed in questi casi è d’obbligo fare un puntato midollare per escludere la presenza di una
leucemia o una anemia aplastica.
Viene descritto un aspetto leucoeritroblastico dello striscio periferico, con eritroblasti, reticolocitosi,
spostamento a sinistra della formula di Arneth, cioè presenza di neutrofili a banda oppure cellule a
goccia (dacriociti), o cellule a racchetta per l’alterazione della differenziazione dei globuli rossi.
Ci può essere anche un aumento nell’emocromo di leucociti e trombociti in genere reattivi a
infezioni o infiammazioni. Soprattutto i leucociti sono tipicamente aumentati mediante citochine
come IL-2 e IL-6, la trombocitosi aumenta sia per infiammazione ma anche a volte nella
sideropenia, con un meccanismo che si basa sull’aumento compensatorio della produzione di EPO,
che va a stimolare anche il recettore dei megacariociti, il recettore MPL, che per somiglianze
strutturali tra trombopoietina ed eritropoietina può essere stimolato anche da quest’ultima.
L’aumento dei trombociti può essere fino a 600-700.000 piastrine/mm3.

Analisi dello striscio di sangue periferico


L’analisi dello striscio periferico serve per determinare le dimensioni, la forma ed il colore dei
globuli rossi. Il diametro normale di un globulo rosso corrisponde più o meno al nucleo di un
linfocita non attivato. Il globulo rosso normale deve avere un’area chiara centrale di dimensioni
inferiori a 1/3 del diametro totale, nel caso sia aumentata si parla di ipocromia, mentre un’assenza
dell’area chiara centrale associata ad una
riduzione del volume del globulo rosso è tipica
dello sferocita. Nel passaggio da discocita a
sferocita si ha inizialmente un “pop-up” di una
concavità, con la formazione di un codocita, in
seguito si completa lo sferocita.
Se si vedono globuli rossi più grandi e più chiari
si parla di reticolociti, stadio che precede il
globulo rosso maturo: sono cellule che hanno
appena espulso il nucleo e che necessitano ancora di un rimodellamento con riduzione di volume
per maturare a globulo rosso. Il colorito è dato dal fatto che il reticolocita produce ancora
emoglobina per 1-2 giorni.
Dunque una reticolocitosi nello striscio periferico causerà la presenza di globuli rossi più chiari e
più scuri contemporaneamente, condizione chiamata policromasia.
Per quanto riguarda le alterazioni di forma, possiamo trovare:
• sferocitosi, forma sferica causata da un deficit di membrana
• stomatocitosi, con fissura centrale
• ellissocitosi, dotato di un diametro superiore all’altro, allo stato eterozigote non dà
grandi problemi, in omozigosi dà una gravissima anemia neonatale.
La poichilocitosi, alterazione di forma dei globuli rossi, è tipica delle talassemie, ma anche
dell’anemia falciforme, in cui la falcizzazione avviene solo in condizioni di ridotta ossigenazione,
dunque nello striscio periferico in condizioni normali la maggior parte delle cellule saranno
inalterate.
Il ritrovamento di punteggiature basofile è tipico di una intossicazione da piombo o della
talassemia. Gli eritroblasti non sono normalmente ritrovati se non nel periodo neonatale, sono
altrimenti indicativi di una alterazione della ematopoiesi, in genere sono espressione di una
eritropoiesi da stress con aumentata produzione midollare non necessariamente associata ad un
aumento dei globuli rossi circolanti.
È importante verificare la morfologia dei globuli bianchi e delle piastrine. Il rapporto globuli
rossi:piastrine è circa 18:1, quindi anche all’analisi dello striscio potremmo riscontrare trombocitosi
o trombocitopenia. Possiamo ritrovare varie alterazioni riguardanti la linea bianca: le granulazioni
tossiche ritrovate nei granulociti neutrofili sono degli indicatori di infiammazione acuta, mentre un
neutrofilo a banda è una cellula giovane che non ha segmentazioni del nucleo, se in numero
maggiore del 20% sono indicativi di una infezione batterica in atto, invece un’ipersegmentazione
neutrofila (numero normale 3 segmentazioni) è un segno di senescenza, tipica della carenza di acido
folico. Il dosaggio di acido folico non sempre riflette uno stato reale di carenza.
Finora abbiamo parlato di sferocitosi per cause congenite, ma la sferocitosi può essere anche
causata da un meccanismo di tipo acquisito, nel caso di forme immuni, a causa di anticorpi che si
legano alla membrana dell’eritrocita, che verranno poi rimossi nella milza assieme ad una porzione
della membrana. Ciò riduce la superficie di membrana provocando la sferocitosi; il caso più tipico è
la malattia da isoimmunizzazione Rh del neonato, così come tutte le anemie emolitiche
autoimmuni.
Nel caso di target cells si parla di globuli rossi che hanno un quantitativo maggiore di membrana
rispetto al loro volume, l’opposto degli sferociti che invece hanno un quantitativo minore di
membrana rispetto al loro volume. L’aumento quantitativo della membrana può avvenire a causa di
una riduzione del contenuto di emoglobina (talassemie, carenza di ferro), oppure in certe malattie
epatiche con contenuto emoglobinico normale ma con
aumento superficie della membrana per presenza di
lipoproteine di membrana di provenienza epatica.
Nelle anemie ipocromiche avremo anulociti, con emoglobina
ad anello ed area chiara centrale aumentata; combinate con
cellule a bersaglio sono tipiche della carenza di ferro.
Alterazioni tipiche dei pazienti con mielodisplasia sono
invece gli ovalociti combinati con microciti e cellule a corno
tipo cheratociti. Il cheratocita si forma attraversando vari
stadi: si forma un vacuolo all’interno dell’eritrocita, in genere
legato all’azione di agenti ossidanti, che va ad aprirsi
all’esterno dando una forma particolare alla cellula.
Le cellule a matita sono cellule allungate, non sono ellissociti, sono tipiche dell’anemia
sideropenica. Le bite cells sono cellule “morsicate”, date da un’alterazione della membrana per
ossidazione e precipitazione dell’emoglobina che, al passaggio nel SRE e nella milza, viene portata
via. Questo meccanismo può dare vita ad un dacriocita o ad un cheratocita.
Per esempio, in un bambino sardo con anemia, spesso itterico e allo striscio la presenza di bite cells
il sospetto potrebbe essere una crisi emolitica da G6PD carenza. Prima di andare a determinare la
funzionalità enzimatica è dunque meglio visualizzare lo striscio di sangue periferico, infatti i globuli
rossi carenti dell’enzima saranno andati incontro ad emolisi, lasciando i globuli rossi giovani che
hanno una funzionalità dell’enzima ancora normale, che altererebbero quindi il risultato.
Per mettere in evidenza il fenomeno della falcizzazione questo si può provocare artificialmente: si
può mettere un copri-vetrino su un vetrino normale sigillandone i bordi, ciò riduce la tensione di
ossigeno, che insieme alla presenza di un agente ossidante causa una falcizzazione della gran parte
delle cellule contententi HbS.

Di fronte ad un’anemia nel bambino


occorre verificare alcuni dati, in modo
particolare riguardanti la gravidanza, la
storia familiare e la storia del paziente. Per
esempio nel caso di placenta previa o un
distacco placentare, il bambino potrebbe
nascere senza quell’apporto di sangue
placentare che normalmente avviene alla
nascita. Quando un bambino nasce è infatti
consigliato di lasciare fluire attraverso il
cordone ombelicale per circa 30 secondi il
sangue materno. Tutto il ferro contenuto in
questo sangue verrà poi riciclato nel
periodo post-partum.
È importante sapere se la madre abbia
precedentemente assunto farmaci o meno,
se avesse il “Pica” con manifestazioni di
carenza di ferro, se esistesse già un’anemia
durante la gravidanza, se fosse vegana o facesse una dieta molto ristretta. Queste sono persone a
rischio di anemia per carenza di acido folico o vitamina B12 e ad effetti metabolici che somigliano
alla acidemia metilmalonica (difetto congenito del metabolismo della vitamina B12), con possibili
danni neurologici da carenza di vitamina B12 neonatale.
È importante l’etnia, infatti nei sardi sarà più probabile una talassemia, in un africano una anemia
falciforme, in un tailandese una HbE. Bisogna anche indagare sulla familiarità per anemia.
Il riscontro di soggetti itterici indirizza a enzimopatie del globulo rosso. Possono essere un
indicatore anche la splenomegalia e i calcoli, questi ultimi tipici delle malattie emolitiche.
E’ importante verificare un aumento della bilirubina che indirizza ad una anemia emolitica, vedere
se c’è stata prematurità alla nascita. Infatti il bambino di basso peso o prematuro è maggiormente
predisposto ad anemia poiché i meccanismi di trasporto e immagazzinamento del ferro fetale
avvengono soprattutto negli ultimi due mesi di gravidanza. Questo comporta un’assenza o una
diminuzione dei depositi di ferro gravidici alla nascita in un prematuro, con maggiore
predisposizione allo sviluppo di un’anemia fetale, che invece in un bambino nato a termine, grazie
al ferro depositato, andrebbe invece a svilupparsi solo dopo circa 5/6 mesi o finché non venisse
raggiunto il doppio del proprio peso. Quindi in un nato a termine l’anemia da carenza di ferro si
manifesta al sesto mese, in un prematuro può manifestarsi al secondo mese o anche alla nascita.
In una donna in gravidanza con distacco placentare o con anomalie placentari si possono avere
perdite sanguigne anche importanti, con uno stillicidio cronico che causa una carenza di ferro nel
neonato già alla nascita. Ancora un’altra condizione di emorragia del feto è la presenza di uno o più
gemelli, che possono avere anastomosi placentari più o meno vantaggiose, con un gemello che
sottrae sangue all’altro.
Altra condizione importante nella predisposizione all’anemia del bambino è la dieta: il latte materno
è sufficiente ad evitare la carenza di ferro come alimento singolo solo fino al sesto mese, dunque già
da poco prima del sesto mese bisogna integrare con carni o legumi. I bambini che tendono a
mangiare molto latte mangiano poca carne.
Il Fe è anche un componente della mioglobina e una sua carenza può provocare astenia oltre che
insufficiente trasporto dell’ossigeno.
Anche la concomitanza di infezioni può provocare anemia acuta, data da difetto di utilizzazione del
ferro, anche se disponibile nel corpo. La presenza di petecchie ed ecchimosi deve invece orientare
verso una anemia associata a leucemia.
Una anemia nel neonato a termine è più frequentemente data da emorragie o infezioni o
incompatibilità Rh, ora prevenuta con la somministrazione di Ig anti-D, mentre sta diventando più
frequente la isoimmunizzazione madre 0 e feto A nella forma tipica o madre 0 e feto B.
Le anemie nel periodo neonatale possono essere espressione di infezioni congenite del gruppo
TORCH, ma anche da parvovirus B19, che è dotato di tropismo per i progenitori eritroidi e può dare
anche solo un’anemia di tipo ipoplastico.
La talassemia si manifesterà dal terzo mese in poi, perché aumenterà la quota di emoglobina
dell’adulto rispetto a quella fetale, stesso discorso vale per l’HbS.
C’è una forma di talassemia che si può manifestare alla nascita, ovvero l’alfa talassemia HbH, la
forma più grave di alfa-talassemia si manifesta con idrope fetale, questo perché l’alfa-globina è
prodotta già dai primi mesi di vita.
Bisogna verificare se il bambino anemico ha segni di compenso cardiocircolatori: se è tachicardico
ci indirizza verso una anemia acuta, se ha invece un buon compenso cardiaco, senza tachicardia
pronunciata, porta a prendere in considerazione l’anemia cronica, per esempio da carenza di ferro.
Se ci sono ittero o splenomegalia possono esserci ipersplenismo o anemie emolitiche.
Età del paziente

Bisogna tener conto della frequenza d’anemia per l’età, ad esempio:


• una carenza di ferro è la causa più frequente di anemia nell’infanzia, eccezionale prima dei
6 mesi perché il bambino deve prima terminare le riserve che si sono accumulate durante
la vita intrauterina. Il trasporto di ferro attraverso la placenta è talmente efficiente che il
bambino lo assorbe dalla madre anche quando questa è deficitaria (stesso discorso vale per
molti nutrienti). Gli ultimi due mesi di gravidanza sono decisivi per un corretto
assorbimento del ferro: in questo arco di tempo viene assorbita una quantità di ferro che è
sufficiente a far raddoppiare il peso di 2 volte. Una volta esauriti i depositi di ferro
(sufficienti per circa 6 mesi), il neonato deve assumerlo attraverso una dieta adeguata. In
pratica questo vuol dire che un bambino di 3 kg, ha accumulato ferro sufficiente per
raggiungere i 6 kg di peso, cosa che avviene attorno al sesto mese di vita.

Il ferro diventa insufficiente nel latte materno attorno al sesto mese di vita quindi dopo il
sesto mese il bambino deve iniziare ad assumere alimenti che lo contengano, anche se può
continuare a essere allattato. Non c'è un tempo massimo per l'allattamento, ora si dice di
allattare fino a che fa piacere al neonato e alla madre. Tempo fa si teorizzava che un
allattamento troppo prolungato determinasse fenomeni di dipendenza psicologica del
bambino alla madre, ma non è vero. Cosi come non è vero che il bambino cresce meglio
con il latte di vacca come si credeva prima, convinzione basata sul fatto che con il latte
vaccino il bambino aumentava di più di peso; l'aumento di peso non vuol dire crescita e
sviluppo più rapidi. Ricordare che il latte materno è specie specifico e tempo specifico
perché modifica i suoi nutrienti per adeguarsi alle esigenze nutrizionali del bambino. Un
altro mito da sfatare è che allattare faccia cadere il seno. È la gravidanza che può alterare
l'estetica della mammella.

Attorno ai 6 mesi bisogna introdurre alimenti che contengano ferro come carne e legumi. Il
ferro della carne è assorbito per il 40 %, mentre nelle verdure (tipo spinaci) ne assorbiresti
meno dell'1 %

• I neonati prematuri e /o con basso peso hanno livelli di Hb significativamente inferiori


rispetto a quelli nati a temine e normo peso.

• Sempre nel neonato si potrebbe identificare una condizione anemizzante che fa seguito ad
infezioni avvenute nel corso della gravidanza : CMV, rosolia, toxoplasmosi e herpes
(screening del gruppo TORCH), varicella e parvovirus (anemia con idrope fetale). Sono tutte
situazioni che, se avvenute nel corso della gestazione, si rendono responsabili di
piastrinopenia ed anemie.

• alfa talassemia (o la rarissima forma di beta talassemia omozigote), da un'anemia alla


nascita poiché le catene alfa sono prodotte durante la gravidanza e quando carenti danno
un anemia del neonato. I geni per le catene alfa sono qua<ro: se mancano tu= → idrope
fetale; se mancano tre → HbH; l'assenza di uno o due geni determina talassemia silente o il
tratto alfa talassemico, rispettivamente. I pazienti HbH presentano anemia emolitica
moderata tanto che talora sono inizialmente asintomatici. Poi possono sviluppare
splenomegalia più o meno gravi.
• Ribosomopatie, ipoplasia eritroide e anomalie delle altre linee mieloidi, tipo l’anemia di
Diamond-Blackfan, un disturbo caratterizzato da anemia macrocitica ipoplastica.
• Emolisi secondaria a alloimmunizzazione, alla nascita, contro feto Rh positivo. Ormai è
rara perche nelle donne Rh negativo si fa un trattamento profilattico con anticorpi anti
RhD. Succede non alla prima gravidanza ma alla seconda di madre Rh – e feto Rh + perchè
con la prima si formano gli anticorpi contro gli eritrociti del feto che poi attaccheranno il
secondo.

• Anemia falciforme e beta talassemie non danno problemi fino a che le catene beta non
diventano preponderanti nelle emazie, quando l’HbF scompare (ai 4-8 mesi di vita). Infatti
prima nell'era pre DNA non si riusciva a fare diagnosi di talassemia prima del sesto mese
perché solo da questo momento si identificavano le catene globiniche anomali per via di
un rapporto beta/alfa < 2 %. Ora si fa con l'analisi del DNA una diagnosi prenatale, che
consente alla donna un interruzione di gravidanza.

Gemello monozigote
Questa condizione può correlarsi con un anemia nel neonato qualora si sia instaurata una
trasfusione sanguigna gemello-gemello (conseguente alla comunicazione dei vasi sanguigni tra i
due gemelli), in cui uno si accresce a discapito dell’altro, che può essere soggetto, ad
esempio, a carenza marziale.

Una situazione simile si può verificare qualora sussistesse una emorragia feto-maternale. In
questo caso risulterà aumentata L'Hb fetale della donna. L'emoglobina fetale però può essere
aumentata di base: è più che altro il cambiamento nel senso di un aumento dei valori a fare la
diagnosi.

Anemia da flogosi CRONICA. Reazione protettiva dell'organismo nei confronti del batterio per
privarlo del ferro che è necessario per il suo metabolismo. Le citochine stimolano macrofagi e
fegato a produrre epcidina, un ormone inibitore della ferroportina che blocca l'assorbimento
intestinale del ferro e lo trattiene all'interno dei macrofagi.

Sono cause di anemia sideropenica quelle da malassorbimento o da dispersione enterica del ferro
(es celiachia e morbo di Crohn), o da aumento del fabbisogno (gravidanza, pubertà).

Iron refractory iron deficency anemia (IRDA), condizione ereditaria da difetto genetico di una
triptasi importante nella downregulation dell'epcidina. Questi pz non possono essere trattati con
terapia di supplementazione perché non responsivi.
All’esame fisico possiamo riscontrare la presenza di:
• tachicardia e tachipnea marcata, in corso di processo anemizzante ACUTO come segni di
tentativo di compenso.
IN CRONICO
• scarsa tolleranza all’esercizio fisico
• Affaticamento
• Irritabilità
• Pallore: sono da controllare labbra, mucosa orale, letto ungueale e congiuntiva palpebrale
• Ittero: dobbiamo pensare ad un processo di emolisi avvenuto in sede intravascolare o
extravascolare
• Splenomegalia: ci deve far pensare a fenomeni di anemia emolitica, o infezioni acquisite o
congenite
• Petecchie: conivolgimento delle altre linee della serie midollare, escludere sempre
leucemia o linfoma. Possibile compaiano per sepsi

ANEMIE MICROCITICHE

<70 fL
La condizione di microcitosi si verifica ogni qualvolta ci sia un’alterata sintesi quantitativa
emoglobinica, per qualunque deficit di uno dei suoi componenti qui sotto illustrati.

- Difetto della globina, come nel caso della talassemia ,


- Carenza di ferro, in corso di anemia sideropenica
- Difetto dell’eme, caratteristico delle porfirie (disordini dovuti a deficit enzimatici a carico della via
biosintetica dell’eme)

Le 4 cause più frequenti di anemia microcitica sono:


1)L’anemia sideropenica (la più frequente, deficit di ferro)
2)La talassemia (deficit globinico)
3)Anemia da Intossicazione da Piombo (bimbi che mangiano i calcinacci dei muri intonacati con
vernici a pb)
4)Anemia da malattia infiammatoria o infettiva cronica
ANEMIE SIDEROPENICHE
Picco tra 8 e 18 mesi e poi negli adolescenti (per la crescita rapida, nelle donne le mestruazioni o
diete inappropriate).
L'anemia è una manifestazione tardiva del deficit di ferro poiché i GR hanno una vita di 120 gg
quindi ci vuole tempo affinché il deficit si mostri. La carenza marziale è per lo più asintomatica o
può manifestarsi solo con scarsa tolleranza all’esercizio fisico. Quando compare l’anemia, il pallore
delle mucose e della cute è il sintomo oggettivo più significativo.
Gli americani in queste situazioni di solito fanno il tentativo di una supplementazione empirica di
ferro con 6 mg/Kg divisi in 2-3 dosi e vedono se guariscono. La risposta è giudicata positiva se
aumento di 1gr di Hb dopo una settimana e aumento dei reticolociti.
Il farmaco viene assorbito con la stessa percentuale dell'alimento con cui lo dai (il fe della carne è
assorbito al 40% quindi se dai il farmaco con la carne del tot della dose ne assorbi il 40%)

Effetti avversi:
• feci nere (dd melena),
• denti macchiati,
• disturbi al livello gastroenterico (come insorgenza di lesioni a livello della mucosa gastrica
intestinale).

La mancata risposta impone un’attenta valutazione:


• dell’aderenza alla prescrizione, della dose di ferro prescritta
• della coesistenza di eventuali processi infiammatori ,che determinano il sequestro del ferro
nel sistema reticolo endoteliale,
• di una carenza associata di acido folico e / o vitamina B12 ,
• di sanguinamento occulto non prima evidenziato.
• condizione di malassorbimento (per cui potrebbe essere necessario somministrare il ferro
per via parenterale): nel caso in cui siamo certi che il piccolo paziente stia assumendo il
ferro, ma da questo non ne trae alcun beneficio ,possiamo pensare alla malattia celiaca
(ricordiamo che in Sardegna questa condizione affligge 1 persona su 90). SOSPETTARE
SEMPRE.

DIFFERENZE ALL'EMOCROMO TRA SIDEROPENIA E TALASSEMIA. Se i globuli rossi sono alti è più
facile sia una talassemia, RDW è più alto nelle anemie che nella talassemia, < 14% è un valore
normale. La carenza di ferro crea col tempo GR piccoli quindi a 120 gg si troviano sia GR di volume
normale sia GR di volume piccolo per via della carenza; anisocitosi e GR piccoli peggiore nelle
talassemie.
La talassemia determina: perifericamente accorciamento della sopravvivenza del globulo rosso con
dacriociti, schistociti e stomatociti (cellule con una forma di fessura alla parte centrale anziché la
forma classica di disco biconcavo), presenza di maggior numero di cellule a bersaglio ( eritrociti
caratterizzati da una colorazione rossa centrale che conferisce loro l’aspetto di un bersaglio a
conseguenza della disposizione dell’emoglobina ad anelli concentrici.

DIFFERENZE ANEMIA INFIAMMATORIA: VES elevata, ferritina aumentata, transferrina e sideremia


basse.
(nelle sideropeniche: ves normale, ferritina bassa, transferrina e sideremia alte)

ll test principale per confermare la carenza marziale è la determinazione della sideremia (che
risulta essere ridotta) combinata con lo studio della trasferrina (che invece sarà incrementata) con
conseguente riduzione del rapporto sideremia/tranferrina (<8%). Ricordiamoci che in condizioni
carenza ferro, esiste un meccanismo di compenso: l’incremento della trasferrina è legato al fatto
che si sta tentando di catturare tutto il ferro disponibile. (NB: in uno screening per le anemie
vanno sempre dosate tutte e due). Se è troppo alto invece può essere un emocromatosi.

Invece nelle anemia infiammatorie il rapporto > 8%.

LA FERRETINA E' SPECIFICA al 70%)MA NON SENSIBILE. (quando la trovi bassa è quasi sempre
carenza di ferro, pero magari hai avuto un infezione ed è comunque alta, quindi si alza subito)

I reticolociti dopo un anemia acuta di qualunque tipo salgono in 3-5 giorni e raggiungono il
massimo in 10 giorni, sono ridotti nelle anemie sideropeniche (v.n. dei reticolociti = 1-1,5 % delle
cellule circolanti) e leggermente aumentati nelle talassemie ma non proporzionalmente all'anemia
per via dell'eritropoiesi inefficace (iperproduzione centrale di GR con poche emazie mature alla
periferia che per via dei “difetti di fabbrica” che presentano vengono eliminate prima di essere
messe in circolo, più nello specifico nella talassemia ci sarebbe un vero e proprio arresto
differenziativo dovuto a un fattore di crescita, il GDF11, prodotto dalla condizione di ipossia che
inibisce la maturazione delle emazie. Stanno sviluppando a tal proposito terapie biologiche dirette
contro questo fattore)

ALTRO ELEMENTO PER LA DD DI ANEMIA SIDEROPENICA SONO LE FEP: protoporfirine che non
possono chelare il ferro perché non c'è quindi chelano lo zn, che diventa fluorescente e noi con un
test di fluorescenza andiamo a valutare il livello di fluorescenza. Più alto è il valore più e grave la
carenza di ferro. Sono molto alte nelle intossicazioni da pb, la cui diagnosi si fa dosando
direttamente il metallo

sTtfR: marcatore recettore della trasnferrina che aumenta negli stati di proliferazione ertiroide
come anemia sideropenica e talassemia ed e basso nelle flogosi, ma non è quasi mai dosato.

Nelle anemie emolitiche sono alti LDH e bili indiretta.

Altro esame molto importante da eseguire è l’elettroforesi per diagnosi delle forme di talassemia
(alfa, beta beta, delta) e anemia falciforme (presenza di HbC ed HbS.)

CERCRE SEMPRE LE POSSIBILI CAUSE DI EMORRAGIA CRONICA: sangue occulto+++,


microematuria.
ANEMIE MACROCITICHE

Abbiamo già ricordato che il valore normale dell’MCV è di circa 70 fL;questo vale per quasi tutte le
età. Nel bambino con un’età inferiore ai due anni l’MCV rientra nella normalità quando ha dei
valori compresi tra 71 e 77 fL.
Calcolo dell’MCV massimo per età del bambino: MCV>2ds 84 +0,6 x ogni anno di età, fino al
valore dell’adulto. Ad esempio: un bimbo di due anni sarà 85,2, uno di dieci anni sarà 90.

Quando si riscontra una condizione di macrocitosi, il primo passo è determinare la presenza di


reticolociti nello striscio poiché i reticolociti hanno un volume maggiore dei GR maturi che fa salire
l'MCV. Questo si nota anche dalla policromasia delle cellule allo striscio (diverse intensità di
colore), quelli più chiari sono i reticolociti.

Si devono valutare il RDW, i segni di emolisi (secondari alla reticolocitosi)

Nel caso in cui fosse riscontrata una reticolocitopenia, bisognerebbe pensare ad un’alterata sintesi
del DNA durante l’eritropoiesi.
Questa condizione si potrebbe verificare in corso di :
• Carenza di vitamina B12 (l’apporto giornaliero dovrebbe essere intorno ai 2µg/die),
evenienza più rara nel bambino rispetto alla carenza di ac. Folico, che si potrebbe verificare
in seguito a:
• apporto inadeguato( la Vit.B12 è principalmente contenuta nei cibi
animali,come carne e pesce e nei derivati come i latticini. Problema dei
vegetariani)
• fabbisogno aumentato (come in corso di gravidanza, allattamento,
accrescimento)
• deficit di trancobalamina
• alterato assorbimento, come nel caso di :
▪ ac contro la mucosa gastrica e contro il Fattore Intrinseco,indispensabile
per l’assorbimento della vitamina B12, = anemia perniciosa
▪ morbo di Crhon
▪ celiachia
▪ atrofia delle mucose
▪ assunzione di chemioterapici(analoghi delle purine/pirimidina)
▪ abuso di alcol in adolescenti
• Carenza di acido folico, che potrebbe essere ipotizzata qualora venisse riscontrata
un’ipersegmentazione dei nuclei (più di 5 segmenti). L'acido folico è nei vegetali verdi,
quindi i bambini che non mangiano verdure sono esposti a questa carenza. Possibili
carenze potrebbero essere dovute a:
◦ carenze alimentari(nei Paesi in via di sviluppo)
◦ malassorbimento
◦ eccessivo consumo (es: talassemia c'è un fabbisogno aumentato e si da acido folico con
efficacia limitata)
◦ aumentate richieste (come nel bambino in rapido accrescimento e nelle anemie
emolitiche)
◦ assunzione di latte di capra (nei pazienti intolleranti a latte vaccino). Il latte di capra è
tuttavia più simile al latte materno che il latte vaccino.
◦ terapie con antibiotici-chemioterapici (perchè danneggiano la flora batterica)
◦ difetti congeniti (difetto du tetraidrofolatoreduttasi)

• Anemia di Blackfan-Diamond (ribosomopatie) la diagnosi più probabile nel neonato e nel


lattante, nota anche come anemia ipoplastica congenita. Il termine ipoplasia ci indica
l’interessamento elettivo della sola linea eritroide, al contrario dell’aplasia, in cui sono
coinvolte tutte le serie. Si tratta di un’anemia caratterizzata dall’alterazione congenita della
sintesi di proteine ribosomiali. Si tratta di un’anemia severa (con livelli di Hb intorno ai 4-6
g/dl) moderatamente macrocitica. Solitamente viene trattata con cortisonici in maniera
cronica, ma al sensibilità al trattamento varia a seconda del tipo di mutazione proteica.

Il quadro clinico in carenza di B12 è caratterizzato da glossite atrofica: lingua rossa, arida e
dolente. Nei casi più gravi è presente un quadro neurologico perdita della sensibilità
profonda,parestesie, iporeflessia profonda,sindrome piramidale e atrofia del nervo ottico. Tavolta
la sintomatologia neurologica può precedere la comparsa di anemia.
La diagnosi si pone in base al quadro emocromocitometrico che rileva:
- Anemia macrocitica di grado variabile
- Ipersegmentazione dei granulociti
- Modesta piastrinopenia e neutropenia
È confermata dal dosaggio sierico della vitamina B12.
È utile anche la valutazione sierica ed urinaria dell’acido metilmalonico(oltre 3,5mg/24h) e
dell’omocisteinemia.
Il trattamento consiste nella combinazione di vit.B12 e acido folico

La sintomatologia della carenza di folati oltre a quella dell’anemia, è caratterizzata da glossite,


cheilite e diarrea.
La diagnosi si pone con la valutazione dell’esame emocromocitometrico, che mostra :
- un’anemia di grado variabile
- MCV>100 fL
- Aumento dell’RDW
- Diminuzione reticolociti.
- dosaggio acido folico
Per il trattamento di questa condizione si somministra ac. folico per os o per via parenterale in
caso di malassorbimento: in caso di risposta si assiste all’incremento della conta reticolocitaria già
dopo 2-4 giorni
ANEMIE NORMOCITICHE (MCV 80-95FL)
• Pancitopenie
• Anemie aplastiche congenite ed acquisite
• Aplasie selettive della serie rossa congenite ed acquisite,
• Anemia in presenza di leucemie mielodisplasia (riscontrabili nell’aspirato midollare) e
tumori metastatizzanti (al midollo osseo o in corso chemio/radioterapia
• Anemie da emorragia (alla fase iniziale)
• Anemie sideroblastiche -
• Anemie emolitiche (è esclusa dalle anemie normocitiche la βtalassemia,che ,pur essendo
caratterizzato da un’emolisi ,si differenzia per le ridotte dimensioni dei globuli rossi). NB: È
da sospettare qualora il midollo risultasse ipercellulare
• Anemie secondarie ad infiammazione o infezione da virus
• Anemie secondarie a malattie epatiche (come conseguenza di malattia epatica che
determina un incremento delle lipoproteine costitutive della membrana del GR con
aumentata fragilità) renali (per anomalie dell'eritropoietima) ed endocrine (Ipotiroidismo)
• Anemie secondarie a cause miste

Importante fare l'agoaspirato midollare perché ci sono le cause centrali (aplasia) chee vanno
differenziate dalle forme da aumentata distruzione periferica.

Acuta o cronica, congenita o acquisita, intrinseca o estrinseca


Quando cronica può essere compensata e non dare anemia. C'è un aumento dei reticolociti e Hb
NORMALE.

In caso di ANEMIA EMOLITICA è importante stabilire la sede di emolisi: intra o extravascolare.


Le extravascolari sono più leggere e sono spesso croniche, possono essere asintomatiche o dare
solo un aumento della bili indiretta (anche senza sare ittero grazie alla buona efficienza del fegato)
Nelle forme acute l’emolisi è soprattutto intravasale (deve essere valutata l’emoglobinemia e
l’emoglobinuria: le urine possono essere rosse; spesso vi è la riduzione dell’aptoglobina). NB:
l'emoglobinuria non è ematuria.
Le anemie emolitiche possono essere congenite o acquisite.

Cause congenite
SFEROCITOSI vuol dire aumento MCHC (unico caso in cui questo valore è diagnostico).
La diagnosi definitiva di sferocitosi si effettua riscontrando una riduzione di resistenza osmotica
globulare; a tal fine si esegue il test di Simmel (test di resistenza osmotica), che valuta la
resistenza alla rottura dei globuli rossi immersi in soluzioni saline ipotoniche. Nella sferocitosi i
globuli rossi non presentano la forma di disco biconcavo (tipica dei normali eritrociti)che da la
possibilità al globulo rosso la capacità di resistere all’eventuale ingresso di liquidi al suo interno se
idratato; hanno invece un alterato rapporto tra la membrana e il volume (c’è meno membrana
rispetto al volume). Questo fa si che lo sferocita, con ridotta resistenza osmotica, esploda in corso
di idratazione della cellula stessa.
Nella sferocitosi i globuli rossi sono piccoli, rotondi, e policromatici allo striscio.
Quando c'è sferocitosi pensare anche alle anemie autoimmuni perché le emazie rivestite da
anticorpi si deformano.
Nella talassemia i globuli rossi sono ipocromici: questi ultimi resisteranno maggiormente
all’osmosi, dato l’eccesso di membrana rispetto all'emoglobina, con conseguente aumento di
resistenza osmotica. Il test della resistenza osmotica globulare è un vecchio test screenig per la
talassemia ,utlizzato prima degli anni 70; è aspecifico: non distingue infatti tra α e β talassemia.

ANEMIA FALCIFORME (DREPANOCITOSI)


Quest’ultima rappresenta l’emoglobinopatia più diffusa al mondo. In Italia si riscontra soprattutto
in Sicilia e Calabria .
Nell’anemia falciforme riscontriamo la presenza di un particolare tipo di emoglobina : l’HbS,in cui
in posizione 6delle β-catene una valina sostituisce un acido glutammico determinando una
struttura emoglobinica fortemente modificata. Le molecole di HbS, meno idrosolubili rispetto
all’emoglobina normale, tendono ad aggregare formando dei polimeri filamentosi,che vanno ad
alterare la forma della cellula che assume una forma a falce.
Questa conformazione ,soprattutto in condizioni di scarsa ossigenazione, di acidosi e del
rallentamento del circolo,favorisce l’agglutinazione delle emazie(sickiling) con formazione di trombi
e occlusione dei vasi (infarti). Tenendo conto di questa considerazione,qualora non fosse possibile
riscontrare la presenza di cellule falciformi nello striscio periferico, ma si sospettasse una
condizione di depranocitosi, bisognerebbe ridurre la PO2 per incrementare la percentuale dei GR
che si falcizzano.
Nei primi 2-4 mesi il bambino è protetto da fenomeni di sickling dai fisiologici alti livelli percentuali
di HbF rispetto l’HbS. Quindi solo dopo il 3°-4° mese potrebbero verificare crisi emolitiche dovute
alla falcizzazione delle emazie.
L’anemia falciforme ha costituito una forma di opposizione alla diffusione della malaria in Africa
(ma anche in alcune zone della Sardegna) : si tratta di una resistenza meccanica,in cui i depranociti
infilzerebbero il plasmodium della malaria ,determinandone la morte.

DIFFETTO DI G6PD
Anemia acuta dopo esposizione a ossidanti emolisi intravasale con tachicardia, ittero,
emoglobinuria, bited cells (aree di ossidazione di membrana rimosse).

Cause acquisite
AUTOIMMUNI
Passeggere nel bambino e legate a infezioni virali. Nell'adulto invece di solito si accompagnano a
patologie tumorali.
Sono Coombs positive con sferociti allo striscio.

DA DANNO MECCANICO
emolisi intravascolare con schistociti (pochi possono essere normali, molti sono patologici). Es: da
valvole cardiache, maratoneti.

ALTRI: tossiche, da veleno di serpenti

CRISI APLASTICHE IN PZ CON ANEMIE EMOLITICHE CRONICHE


In genere dovute a infezione da parvovirus B19, che tropismo per i progenitori eritroidi. Nelle
persone normali questo non fa nulla perchè la lunga emivita non permette un danno da
anemizzazione, mentre laddove ci sia una causa di aumentata degradazione periferica dei GR, si
verifica un anemia in quanto le cellule periferiche vengono distrutte in breve tempo mentre i
progenitori centrali
Informazioni di carattere generale

Il seguente corso si baserà sull’apprendimento dei principali cardini della neonatologia tra cui:

• Criteri classificativi dei neonati


• Sepsi
• Infezioni
• Asfissia nel neonato
• Prematurità e sue conseguenze

Queste condizioni rappresentano la causa maggiore di morte neonatale nel mondo, determinando 1 milione
di morti all’anno per danni cardiaci, renali e cerebrali Nel caso della pediatria, nella fattispecie della neona-
tologia, è fondamentale l’alleanza terapeutica con i genitori, quindi, è importante non solo curare la malattia
ma sapersi prendere cura del paziente e saper comunicare con i suoi cari. Infatti, molte delle denunce, di-
pendono dalla scarsa comunicazione fra medico e paziente in questo caso rappresentato dai genitori. Alla
base della comunicazione c’è il concetto che la medicina vada vista attraverso gli occhi dei pazienti e non di
quelli di medici.

 La medicina del passato e del futuro

Con il passare degli anni la medicina è mutata passando da una concezione:

Epidemiologica (evidence-based medicine) > Individualizzata

La metanalisi non è tutto: è importante la evidence-based medicine, ma anche la medicine-based evidence,


cioè quello che abbiamo imparato in corsia. L’assenza di evidenza alla metanalisi non è un’evidenza dell’as-
senza.

Descrittiva > Predittiva

Nei testi attribuiti a Ippocrate vi era descritto tutto: la patologia tumorale, infiammatoria, infettiva,
calcolotica.

Riduzionistica > Olistica

Ci interessa la medicina che va a studiare la creatinina? Quando si alza la creatinina è stato già perso il 40%
del patrimonio nefronico. Ci interessa come medici, ma prima ancora come pazienti, padri di pazienti? E’ un
modo abbastanza antiquato di approcciare le cose.

Reattiva > Prospettica

Oggi si fa una medicina reattiva: ad esempio si fa diagnosi di carcinoma del pancreas, si fa la terapia, poi si
dà la terapia palliativa e si lascia il paziente in terapia intensiva. La medicina prospettica si chiede cos’è lo
stato di salute e benessere e come si può conoscerlo meglio, incrementarlo e mantenerlo.
Basata sulla genetica > Basata sull’epigenetica

Ad oggi il 98-99 % delle malattie sono multigeniche, multifattoriali. Con il termine epigenetica (dal greco
epi= stare sopra) intendiamo una scienza che si occupa dei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza
alterare il genotipo. Letteramente l’epigentica sta sopra la genetica.
Il concetto da portare a casa è che il fattore epigenetico più importante è la nutrizione.
In sintesi, oggi, la medicina può essere rappresentata dalle 10P:

1. Personalizzata

2. Prospettica

3. Predittiva

4. Preventiva

5. Precisa

6. Partecipata

7. Paziente-centrica

8. Psicocognitiva

9. Post-genomica

10. Pubblica

I concetti di crescita e sviluppo sono importanti in pediatria poiché si muovono l’uno accanto all’altro par-
tendo dal concepimento, alla nascita, all’accrescimento, fino all’età adulta e alla vecchiaia. Da non sottovalu-
tare è ciò che avviene dopo il concepimento e qui introduciamo il concetto dei 1000 giorni (tradotti nei pri-
mi due anni di vita del bambino) durante i quali si forma l’individuo; in questo frangente chi ha maggior re-
sponsabilità sono gli ostetrici, i neonatologi e i pediatri.
L’importanza di questi giorni è legata al fatto che abbiamo lo sviluppo del cervello, del sistema immunitario
e del microbiota. Nel neonato a nato a termine il cervello pesa 300g alla nascita e intraprende poi una cre-
scita pari a 1g al giorno per i successivi 1000 gg.
Per quanto riguarda la maturità del sistema immunitario e del microbiota questa si osserva tra i 2-3 anni.

 Latte materno

Il microbiota viene trasmesso dalla madre al bambino. Sappiamo, infatti, che la placenta non è sterile ma
contiene piccole quantità di batteri che servono ad educare il sistema immunitario del feto; nemmeno il lat-
te materno è sterile e ciò è dimostrato dal fatto che con l’allattamento la madre passa al suo bambino circa
10 milioni di batteri al giorno. Oltre al microbiota, il neonato eredita dalla madre anche i mitocondri, orga-
nelli derivati da antichi batteri.

 Dieta materna
Un fattore fondamentale nello sviluppo e nella salute del bambino è rappresentato dalla dieta materna nei
6 mesi antecedenti alla gravidanza; anche la dieta e lo stile di vita del partner, 6 mesi prima del concepimen-
to, risultano incidere epigenicamente sullo sviluppo del figlio. L’importanza dell’epigenetica è dimostra dal
fatto che, all’interno del nostro orgnaismo, ci sono cellule differenti (esempio: neuroni e linfociti) che hanno
lo stesso genoma ma che si sono differenziate in base all’’ambiente.

Fino alla nascita si parla di periodo intrauterino o prenatale seguito poi dal periodo extrauterino o postna-
tale. In base a ciò possiamo calcolare l’età biologica del bambino rappresentata dalla formula:

Età gestazionale + età cronologica= età biologica o postconcezionale.

Esempio: bambino nato prematuro a 32 settimane e con 3 settimane di vita, l’età biologica sarà di 35 setti-
mane.

Dal grafico sottostante si può notare come, da precendeti studi, sia emerso che la deprivazione energetico-
calorica precoce determini un ritardo di crescita che rimane per sempre influenzando, quindi, negativamen-
te la vita del bambino. Se la stessa deprivazione si sviluppa in fase più avanzata, il bambino può perdere
peso, inizialmente, ma poi riprendere quella che è la normale crescita (catch up growth).

E’ bene ricordare che il bambino può sia peggiorare rapidamente ma anche migliorare rapidamente, è infat-
ti un organismo resiliente.
La diade madre neonato è un terreno di prova per giudicare la civlità di una società e di un continente. Un
bambino di 700g ha lo stesso valore ontologico e deontologico di un anziano di 80 anni.
Lo studioso David Barker ha osservato come, i giovani adulti nati durante la carestia Olandese, conseguente
al dominio nazista, da madri con deprivazioni energetico-caloriche del primo trimestre, sviluppavano soprat-
tuto:
• patologie cardiovascolari
• obesità
• ipertensione

Se la deprivazione, invece, avviene nel secondo trimestre si hanno:


• patologie polmonari
• patologie renali

Quando in un neonato individuo una patologia renale devo sempre valutare che non ci sia una concomitan-
te patologia polmonare e viceversa; questo perché questi due organi sono strettamente connessi.
Esempio: se diagnostico un rene policistico devo indagare per l’eventuale presenza di un pneumotorace.

Nel terzo trimestre è stato descritto come la deprivazione possa favorire la comparsa di:
• diabete
• depressione
• schizofrenia
• ADHD

Tutto questo si ha perché il cervello si sviluppa maggiormente a partire dal terzo trimestre di gravidanza e
fino ai 2 anni.

 Classificazione del neonato

Fondamentale in neonatologia è la classificazione del neonato che può essere nato:

• Pretermine: <37 settimane gestazione


• A Termine: 37-42 serttimane
• Post-termine: >42 settimane

Molto spesso si sente parlare (anche nei testi) di neonato “prematuro”, ma il termine più corretto da utiliz-
zare è “pre-termine”. In neonatologia occorre bandire anche il termine di immaturità, al massimo si deve
parlare di maturità degli organi.
Per quanto riguarda i neonati post-termine questi, al giorno d’oggi, sono sempre più rari da vedere poiché
vengono fatti nascere prima. Ciò che li caratterizza è l’esfoliazione della cute e la colorazione verdastra del
cordone a testimonianza di come l’ambiente materno non fosse più adatto ad accogliere il prodotto del con-
cepimento. Eccezionalmente possiamo vedere bambini nati post-termine in soggetti poco seguiti (es:mi-
granti).

Ciascuno di noi ha una capacità di crescita intrinseca (nature) in cui si inserisce l’influenza dell’ambiente
(nurture). Precedentemente abbiamo detto che i concetti di crescita e di sviluppo sono fondamentali in
pediatria: rispetto al soggetto adulto, che è in una condizione di staticità, il neonato e il bambino devono
crescere progressivamente e quindi si trovano in una condizione di dinamicità.
Perchè noi siamo diventati homo sapiens? Cosa ha permesso l’accrescimento della scatola cranica e, inse-
guito, l’espansione del volume cerebrale? Tra i fattori fondamentali vi è sicuramente la cottura dei cibi, che
ci ha permesso di usare maggiormente le proteine della carne, favorendo così lo sviluppo del nostro cervel-
lo.

La durata della gravidanza, nelle specie più intelligenti, è prolungata con la finalità di far crescere di più il
cervello e, assieme all’allattamento materno e alle coccole della mamma, favorire lo sviluppo di sinapsi neu-
ronali (circa un milione al secondo).
Una delle caratteristiche principali della genetica è che ristabilisce il ritorno verso la media.
Esempio: da un punto di vista pratico, c’è una tendenza ad un ritorno verso la media, cioè due genitori alti
avranno un figlio più basso di loro, ma più alto della media, mentre due genitori bassi avranno un figlio più
alto di loro, ma più basso della media.

 Placenta

La placenta è l’organo più sconosciuto della medicina: è la scatola nera della gravidanza. Infatti, si pensa che
molte malattie dipendano da alterzioni di quest’ultima; questo perché, quando le alternazione della placen-
ta subbentrano prima della 26esima settimana di gestazione, c’è una distruzione di tutti gli alberi dell’orga-
nismo.

Con ciò intendiamo:


• Albero vascolare
• Albero bronchiali
• Albero biliare
• Albero dei vasi renali

Se ciò succede dopo la 26esima settimana possono svilupparsi delle alterzioni loco-regionali senza che per
forza ci sia un interessamento sistemico.

 Classificazione peso- lunghezza nel neonato

Il seguente grafico ci permette di comparare il peso del


neonato con la settimana di gestazione. Il peso è ottenuto,
semplicemente, tramite una pesata sulla bilancia. Le due
curve a “S” sul grafico rappresentano: quella più in basso la
curva del 10ecimo percentile e, quella più in alto, quella
del 90esimo percentile.
Mettendo insieme le linee del pretermine, a termine e del
post-termine con le linee del decimo e del novantesimo
percentile, possiamo evidenziare 9 aree.
I neonati possono essere PICCOLI, APPROPIATI o GROSSI
per età gestazionale; i cosiddetti “grossi” per età gestazio-
nale solitamente si associano a mamma diabetica. Questa
condizione la si può riscontrare frequentemente in Sarde-
gna e in Finalndia, regioni ad alta incidenza di diabete.

Quindi, tutto ciò che sta nell’area tra il decimo e il novantesimo percentile è considerato normale, cioè con
un peso appropriato per età gestazionale (AGA o Appropriate for Gestional Age):

1. neonato pretermine appropriato per età gestazionale

2. neonato a termine appropriato per età gestazionale


3. neonato post-termine appropriato per età gestazionale

Tutto ciò che sta sotto l’area tra il decimo e il novantesimo percentile è piccolo per età gestazionale (SGA o
Small for Gestional Age), vengono anche definiti IPODISTROFICI:

4. neonato pretermine piccolo per età gestazionale

5. neonato a termine piccolo per età gestazionale

6. neonato post-termine piccolo per età gestazionale

Tutto ciò che sta sopra l’area tra il decimo e il novantesimo percentile è grande per età gestazionale (LGA o
Large for Gestional Age):

7. neonato pretermine grosso per età gestazionale

8. neonato a termine grosso per età gestazionale

9. neonato post-termine grosso per età gestazionale

Ammettiamo di avere un bambino di 27 settimane che pesa 460 g, ovviamente piccolo per età gestazionale,
cioò comporta che tenderà a rimanere sempre piccolo e basso nella sua vita.

Domanda provocatoria (come la chiama lui):


Un neonato ha 48 mila globuli bianchi, è normale o patologico? Dipende dalla categoria di appartenenza del
neonato. Quanti giorni ha? I suoi valori cambiano in base alla fase di sviluppo, quindi, bisogna sempre rap-
portare il tutto all’età del piccolo paziente.
Il neonato medio nasce e ha il 50esimo percentile di peso, di lunghezza e di circonferenza cranica. Ci sono
però delle situazioni patologiche in cui la variazione dei percentili può essere dirimente nel farci sospettare
una determinata diagnosi.

Esempio:
Ho una neonata al 50esimo percentile di lunghezza e peso e al 90esimo di circonferenza cranica. Questa
condizione viene definita come MACROCRANIA BENIGNA e, in Sardegna, è presente in un 10 % della popola-
zione (1 su 10).

Un neonato ha 50esimo percentile per lunghezza, peso e circonferenza, dopo due mesi viene portato dal pe-
diatra e la circonferenza cranica è al 75 esimo percentile. Dopo un altro mese il peso e lunghezza sono ugua-
li, mentre la circonferenza cranica raggiunge il 90esimo percentile; è ovvio che siamo di fronte ad una pato-
logia che può essere rappresentata da un tumore cerebrale, un idrocefalo oppure da una mamma che, in se-
guito all’assunzione di troppa vitamina D, ha causato un’intossicazione nel bambino.

Altra condizione: ho un neonato perfetto, dopo due mesi si trova al 50esimo percentile per peso e lunghezza
mentre la circonferenza cranica risulta essere al 25esimo percentile. Da ciò si evince già che il contenuto dell
scatola cranica cresce poco. Il mese seguente si reca nuovamente dal pediatra e il bambino raggiunge il
10esimo percentile della circonferenza cranica; in questo caso il problema può essere un’infezione da TORCH
oppure Virus Zika.
Tutto questo per arrivare al concetto che la crescita dev’essere armonica.
Ad oggi esistono anche i percentili per valutare il volume renale.
Le malformazioni urinarie e cardiache sono le più frequenti nel bambino: in Sardegna hanno il doppio della
frequenza rispetto alle altre regioni quindi vanno sempre indagate.

Altro esempio:
Al controllo per i due mesi, ammettiamo che si voglia valutare il rene, il bambino ha un percentile che sta
nel range 10/90 percentile (80 esimo circa). L’ecografista deve dare un’informazione ben precisa su volume
e dimensioni, in questo caso del rene, poiché altrimenti non si avrebbero termini di paragone. Infatti, al suc-
cessivo controllo, al terzo mese, il rene può scende al 50esimo percenatile, al quinto mese potremmo esse-
re al di sotto del 50esimo percentile e ciò ci deve mette in allarme perchè il bambino rischia di perdere il
rene.

A questo proposito, quando si parla di farmaci nei neonati, non esiste una posologia univoca, al contrario, è
previsto un dosaggio individualizzato perché altrimenti si rischia di mandarli in insufficienza renale.

 Età gestazionale

L’età gestazionale si calcola a partire dalla data dell’ultima mestruazione.

Un neonato SGA o Small for Gestional Age, cioè di basso peso, è maggiormente esposto al rischio di svilup-
pare alcune patologie rispetto ad un neonato AGA:

- problemi respiratori, come la sindrome da aspirazione di meconio (dal latino meconium, che signi-
fica “papavero”. Gli antichi romani, greci ed egizi erano dei profondi osservatori e avevano notato
che alcuni neonati nascevano come se fossero sotto gli effetti dell’oppio). Questi bambini hanno un
rilasciamento della muscolatura, compresa quella intestinale, per cui il meconio fuoriesce nel liqui-
do amniotico, e questo determina una situazione di asfissia.

- infezioni

- ipoglicemia, che è un marker dei bambini che nascono di peso basso

- malformazioni congenite

- ritardo di crescita al follow-up, assente invece nei neonati AGA. Per esempio, consideriamo un
bambino nato pretermine (24 settimane), ma di peso appropriato per età gestazionale (600g), la cui
nonna ritiene che, siccome è nato piccolissimo, deve mangiare tanto perché deve recuperare, per
cui gli dà il miele: questo bambino diventerà obeso. Se invece il peso è molto basso e non adeguato
per l’età gestazionale (SGA), il bambino a cui viene dato il miele non diventerà mai grasso, anzi avrà
difficoltà a crescere.

Invece un neonato AGA o Appropriate for Gestional Age va incontro più facilmente a iperbilirubinemia (it-
tero) rispetto ad un neonato SGA.

La crescita del neonato è legata sia al numero delle cellule che al volume delle cellule. Questo concetto è le-
gato ai concetti di ipertrofia (aumento del volume delle cellule) e di iperplasia (aumento del numero delle
cellule). Infatti, una deprivazione calorico-nutrizionale in una fase precoce dello sviluppo va ad interferire
sul numero finale delle cellule (ipoplasia), mentre in una fase successiva dello sviluppo va ad influire di più
sul volume cellulare (ipotrofia). Ovviamente una deprivazione prolungata nel tempo provoca sia un proble-
ma di ipoplasia che di ipotrofia.
Questo esempio fa capire l’importanza della finestra di vulnerabilità dello sviluppo: considero ratti femmina
gravide e somministro loro cortisone ad alte dosi prima della quindicesima settimana di gravidanza, e non
accade nulla. Se somministro ai topi il cortisone ad alte dosi dopo la diciottesima settimana, non accade nul-
la. Se il cortisone ad alte dosi viene somministrato tra la quindicesima e la diciottesima settimana, i topi che
nascono moriranno tutti perché hanno delle ipertensioni sisto-diastoliche incurabili.

Il Professore mostra la foto di un neonato di 1580 grammi e 35 settimane, è un bambino sottopeso, pur con-
servando uno sguardo maturo, segno che la maturità dei suoi organi è efficiente.

Il Professore mostra l’immagine di due gemelli: uno cresciuto troppo e l’altro troppo poco poiché sono anda-
ti incontro al fenomeno della “twin to twin transfusion syndrome” che comporta che uno è sovraccarico di
liquidi mentre l’altro ne è deprivato ( con compromissione dell’ossigenazione).

I bambini che hanno un IUGR(ritardo di crescita intrauterino) hanno una distribuzione del peso degli organi
che può essere simmetrica o asimmetrica. Nel caso di querst’ultima la distribuzione non è proporzionale ma
vengono privilegiati organi come il cervello e il cuore.
Se un bambino pesa 500g di meno rispetto all’età gestazionale non perde peso in maniera simmetrica ma
asimmetrica cercando di preservare gli organi più nobili.

Nell’ordine avremo:
• Cervello
• Cuore
• Ghiandole surrenali (è al terzo posto perché, quando l’organismo è vicino alla morte, se non
ci fossero i surreni, non potrebbe avvalersi di quella sferzata di ormoni che gli permettono
una risposta. Quando entrambe le ghiandole surrenali vanno in tilt, si muore: questo accade
per esempio nella Sindrome di Waterhouse-Friderichsen, in seguito alla quale il bambino
muore in tempi rapidissimi e all’autopsia si riscontra necrosi bilaterale acutissima delle
ghiandole surrenali.)
• Rene
• Intestino
• Cute

In realtà l’intestino e il cervello si sono sempre fatti la guerra. Infatti, presentando l’intestino il microbiota
(parliamo di cento trilioni di batteri), in una condizione di asfissia esso può aumentare la permeabilità della
propria parete favorendo così la comparsa di sepsi (Sindrome dell’intestino gocciolante).

Il Professore fa vedere l’immagine di due bambini: uno è microcefalo e la diagnosi è stata fatta semplice-
mente tramite la circonferenza cranica valutata poi con percentile. Il problema dei bambini con microcefalia
è che possono andare incontro ad asfissia legata alla patologia di base.
La comunicazione in pediatria
In Pediatria la mamma dice sempre la verità assoluta. Ovviamente ascoltiamo sia lei che il padre, ma la
mamma, che vi racconta che il bambino ha un determinato problema, và presa in considerazione poiché ciò
che ci dice è una verità rivelata.
Una raccomandazione: in caso di chiamata in guardia medica (es:lattante con febbre alta) andate assoluta-
mente a vederlo. Ricordatevi che il lattante è la tomba del pediatra. 1

 Errori medici nella comunicazione

La mamma vi parla, l’interruzione da parte del medico (in media dopo 22secondi) è stata indetificata come
violenza. Per effettuare una comunicazone efficiente è fondamentale ricordarsi queste cose:
• Parlare la stessa lingua di chi si ha davanti
• Trasmettere non significa comunicare
• Parlare agli altri, non a sè stessi
• La responsabilità della comunicazione è di chi sa non di chi ascolta

Nella pedatria bisogno salvaguardare il bambino e per fare ciò bisogna interaggire con i genitori che posso-
no essere contrappositivi, uno contrappositivo e uno no, o entrambi d’accordo.

Il professore fa l’esempio di un bambino con trisomia 18, incompatibile con la vita, che però respira, ha una
crisi e si pone il problema se intubarlo o meno. La mamma è d’accordo il papà no e minaccia la denuncia. Si
decide di intubarlo, ricordando che l’intubazione non è un atto straordiario. Dopo tre mesi il bambino è de-
ceduto e ha avuto una qualità di vita non ottimale. Gli aspetti etici sono molto importanti in pediatria e le
reazioni dei genitori sono proporzionali all’importanza che i bambini hanno nelle loro vite.

1Neonato da 0 a 1 mese, lattante è colui che beve latte.


CLASSIFICAZIONE DEI NEONATI

I concetti di crescita e di sviluppo sono fondamentali in pediatria: rispetto al soggetto adulto, che è
in una situazione di staticità, il neonato e il bambino devono crescere progressivamente, e questo
differenzia enormemente la pediatria dal resto della medicina. Tanto che in alcuni paesi la Facoltà
di Pediatria è completamente separata dalla Facoltà di Medicina: questo perché ad esempio la
distribuzione dell’acqua intra- ed extra-cellulare è molto diversa, come sono diverse la funzionalità
renale ed epatica, e di conseguenza anche la farmacocinetica e la farmacodinamica dei farmaci.
Consideriamo tre momenti: quello del concepimento, quello della nascita e quello dell’età adulta.
In questo arco di tempo gli organi maturano e si differenziano, per cui sia la loro anatomia che la
loro funzione cambia.
Esiste una vita prenatale intrauterina ed una vita postnatale extrauterina. La prima corrisponde
all’età gestazionale, mentre dal momento della nascita c’è un età cronologica o postnatale;
l’insieme di queste due corrisponde all’età biologica o post-concezionale (cioè dal momento del
concepimento) di un individuo.

Una classificazione molto importante dal punto di vista clinico è quella del neonato:
- pre-termine, cioè <37 settimane
- a termine, cioè da 37 a 41 settimane, che sarebbe la situazione ottimale pensata dalla
natura
- post-termine, cioè ≥42 settimane
Molto spesso si sente parlare (anche nei testi) di neonato “prematuro”, ma il termine più corretto da
utilizzare è “pre-termine”. Questa è una classificazione internazionale che, per quanto arbitraria, è
importante che venga rispettata, in modo che i medici parlino lo stesso linguaggio tra loro e, nel
nostro caso, con i genitori, o in generale, con i pazienti.
Questa classificazione è molto precisa e si basa sulle settimane di età gestazionale; invece il
concetto di prematurità riguarda più la maturazione funzionale dell’organo, che però è difficile da
definire.
Mentre i neonati pre-termine e a termine si vedono tranquillamente in reparto, quelli post-termine
non si vedono praticamente più. Sono molto rari perché andare oltre il termine non va bene per il
neonato, perché significa stare in un ambiente che non è più quello che era stato pensato dalla
natura per lui. Si vede qualche neonato del genere per esempio nel caso di mamma migrante che
non ha avuto la possibilità di essere seguita bene durante il suo viaggio.
L’aspetto di un neonato post-termine è molto particolare: la cute si desquama, le unghie sono
lunghe e il cordone ombelicale ha un colorito verdastro, a testimonianza di una situazione che non è
più adeguata per il benessere del feto. Quindi anche il liquido amniotico comincia a rappresentare
un ambiente non più adeguato per il feto.
Nature e Nurture
Tra i concetti fondamentali in pediatria e neonatologia, come anche più generalmente in medicina,
ci sono quelli di:
- Nature → è il potenziale di crescita intrinseco, che dipende in particolare dai genitori e
dai nonni, ma anche da tutto quello che c’è prima. Da un punto di vista pratico, c’è una
tendenza ad un ritorno verso la media, cioè due genitori alti avranno un figlio più basso di
loro, ma più alto della media, mentre due genitori bassi avranno un figlio più alto di loro, ma
più basso della media. Per cui, definire che gli aspetti genetici non son importanti è una pura
follia; l’importanza della genetica è poi dimostrata dalle malattie monogeniche
monofattoriali, anche se queste sono solo l’1-2% di tutte le malattie (la grande maggioranza
delle malattie sono multigeniche multifattoriali).
- Nurture → è il supporto di crescita estrinseco, cioè il nutrimento e l’apporto di ossigeno,
che nella vita intrauterina sono forniti dalla placenta.
Se volessimo esprimere questi due concetti in maniera più moderna, diremmo che la Nature è la
genetica, mentre la Nurture è l’epigenetica, termine che deriva dal greco, dove epì significa “sto
sopra”. Per cui l’epigenetica sta sopra alla genetica, e questo vuol dire che è più importante, ad
eccezione di quell’1-2% di malattie monogeniche monofattoriali.
Quando parliamo di epigenetica ci riferiamo anche a quella intrauterina: infatti il periodo nel
grembo materno è quello più importante nella vita di un individuo. Oggi sappiamo che i fattori
epigenetici intervengono addirittura prima che lo spermatozoo fecondi l’ovulo: per esempio, un
padre che fuma o che ha una dieta grassa dà delle trasformazioni epigenetiche attraverso
meccanismi di accensione dei geni (acetilazione) e spegnimento (metilazione), che poi si
trasmettono addirittura per due/tre generazioni, nonostante il genoma sia esattamente lo stesso.
Questo è stato anche argomento sul Time, con il titolo “Why your DNA in not your destiny”: ciò
potrebbe avere anche un significato molto favorevole, ovvero che non siamo “incarcerati” nella
genetica.
Lo stesso Progetto Genoma è stato un grandissimo fallimento, in quanto pur avendo dato dei
risultati, questi si son dimostrati totalmente sproporzionati in difetto rispetto alle enormi quantità di
denaro che sono state investite; per questo motivo anche Craig Venter è passato dalla genetica o
genomica all’epigenetica o epigenomica.

Un esempio che ci fa capire quanto l’epigenetica sia più importante rispetto alla genetica è quello
dell’autismo: trent’anni fa 1 bambino ogni 1.600 era autistico, mentre oggi siamo ad 1 bambino
ogni 64 ed in molti paesi 1 bambino ogni 30 (ciò significa che in ogni classe ce n’è uno). Perché la
genetica fosse responsabile di questo percorso, ci sarebbero voluti millenni.
E’ evidente che la genetica c’entra con l’autismo, ma se prendiamo in considerazione gemelli
identici, che hanno il 100% del genoma sovrapponibile, ci sono delle discordanze.
Nel 2025 nessun sistema sanitario evoluto potrà permettersi di pagare il solo problema “autismo”.

Il Professore si riferisce ad un’immagine in cui ci sono due topi che hanno il 100% di genoma
identico, ma uno è obeso e l’altro è normale; i due topi hanno anche il colore del pelo diverso.
Anche questo esempio dimostra che l’epigenetica è più importante della genetica.

Per usare delle immagini metaforiche, la genetica è un pianoforte con 30.000 tasti, che sono i geni,
mentre l’epigenetica è “quali tasti suono e con quale sequenza” (potrebbe venir fuori L’uccello di
fuoco di Stravinskij o la Sinfonia n°40 di Mozart, che son due cose ben diverse, e questo si può
provare attraverso un esempio neonatologico: se prendete un neonato sano e gli fate sentire
L’uccello di fuoco di Stravinskij, gli vengono le apnee; se invece gli fate sentire la Sinfonia n°40 di
Mozart, si sente benissimo).
Possiamo anche dire che:
- la genetica propone e l’epigenetica dispone
- la genetica tira il grilletto, l’epigenetica spara
- la genetica è scritta a penna e non si può cancellare, l’epigenetica è scritta a matita e la si
può cancellare cambiando i fattori epigenetici (di cui il più importante è la nutrizione).

Nel grembo materno la genetica e l’epigenetica determinano le dimensioni al momento della


nascita (size at birth):
- birth weight (BW) o peso alla nascita
- birth length (BL) o lunghezza alla nascita
- birth head circumference (BHC) o circonferenza cranica alla nascita (per evidenziare
un’eventuale microcefalia o macrocefalia)
Sono tre parametri semplici, ma molto importanti da valutare in un neonato: se avrete occasione di
scegliere un pediatra, sceglietene sempre uno che abbia la bilancia per pesare e il metro per
misurare la lunghezza e la circonferenza cranica. Ovviamente queste misure devono essere
registrate ad ogni visita su una scheda che riguarda il bambino, perché è impossibile ricordarle.

Il cranio del neonato presenta una fontanella anteriore e una posteriore, che devono esser
misurate con il metro. Sono strutture importanti dal punto di vista clinico, perché una fontanella
infossata vuol dire per esempio che il bambino è disidratato o ha altre problematiche; al contrario,
una fontanella bombata significa che la pressione all’interno è aumentata e il neonato potrebbe
avere una meningite o un’intossicazione da vitamina D.

Se il feto ha un certo potenziale genetico, trasmesso dai genitori e da tutto quello che è venuto
prima di loro, e si trova in un ambiente favorevole, avrà una crescita ottimale.
Invece, potrebbe avere una crescita sub-ottimale, nel caso in cui avesse lo stesso potenziale
genetico, ma non ricevesse un adeguato nutrimento dalla placenta, oppure per cause come le
infezioni, ad esempio quelle del gruppo TORCH (Toxoplasmosi, Others, Rosolia, Citomegalovurus,
Herpes Virus), che determinano un accrescimento ridotto, oppure sostanze chimiche tossiche e
radiazioni.
AGA, SGA e LGA
Nel grafico sono indicate sulle ascisse le
settimane di gestazione e la suddivisione, in
base a queste, nelle categorie neonato
pretermine, a termine e post-termine; nelle
ordinate invece troviamo il peso alla nascita
espresso in Kg.
Il peso alla nascita, se abbiamo una bilancia
affidabile, è una misura molto ben
quantificabile e prescisa. Al contrario, le
settimane di gestazione non sempre sono
individuabili con estrema precisione, e questo è
dovuto alla variabilità dei cicli mestruali. In
ogni caso il neonatologo, attraverso l’esame
neurologico del neonato, può stabilire l’età
gestazionale con un margine d’errore
relativamente modesto.
Nell’immagine sono rappresentate due linee sinusoidali, che sono quelle del decimo e del
novantesimo percentile.
Esempio: il neonato ha 39 settimane e pesa 2,4 Kg, perciò è al decimo percentile: questo significa
che, considerando 100 neonati dello stesso sesso e di quella popolazione di riferimento (ad esempio
Italia, Europa…), 10 neonati pesano di meno e 90 neonati pesano di più. Se invece il neonato si
trovasse al novantesimo percentile, vorrebbe dire che nella popolazione studiata (quindi sempre alla
trentanovesima settimana), solo 10 neonati hanno un peso superiore e 90 neonati pesano di meno.
Anche questa classificazione è arbitraria. Mettendo insieme le linee del pretermine, a termine e del
post-termine con le linee del decimo e del novantesimo percentile, possiamo evidenziare 9 aree.
Tutto ciò che sta nell’area tra il decimo e il novantesimo percentile è considerato normale, cioè con
un peso appropriato per età gestazionale (AGA o Appropriate for Gestional Age):
1. neonato pretermine appropriato per età gestazionale
2. neonato a termine appropriato per età gestazionale
3. neonato post-termine appropriato per età gestazionale
Tutto ciò che sta sotto l’area tra il decimo e il novantesimo percentile è piccolo per età
gestazionale (SGA o Small for Gestional Age):
4. neonato pretermine piccolo per età gestazionale
5. neonato a termine piccolo per età gestazionale
6. neonato post-termine piccolo per età gestazionale
Tutto ciò che sta sopra l’area tra il decimo e il novantesimo percentile è grande per età
gestazionale (LGA o Large for Gestional Age):
7. neonato pretermine grosso per età gestazionale
8. neonato a termine grosso per età gestazionale
9. neonato post-termine grosso per età gestazionale

Ciascuna di queste aree ha delle caratteristiche cliniche e laboratoristiche ben definite: per esempio,
un neonato che alla nascita ha 42.000 globuli bianchi, se è un neonato a termine appropriato, è
patologico, mentre se è un neonato di 24 settimane piccolo per età gestazionale, è normale.
Questo discorso dei percentili è importante anche nella correlazione tra le varie parti del corpo.
Prendiamo come esempio il neonato che taglia a metà la popolazione italiana, cioè quello che nasce
e ha il peso, la lunghezza e la circonferenza cranica al cinquantesimo percentile (su 100 neonati
dello stesso sesso e appartenenti alla popolazione italiana, metà sono sopra e metà sono sotto per
questi parametri). Questi valori devono essere seguiti nel tempo: dopo un mese il pediatra rileva che
il bambino è cresciuto e che il peso e la lunghezza sono ancora al cinquantesimo percentile, ma la
circonferenza cranica è passata dal cinquantesimo al settantacinquesimo percentile, quindi in
proporzione la circonferenza cranica è cresciuta di più rispetto al peso e alla lunghezza. Il pediatra
aspetta altre 3-4 settimane e poi lo misura di nuovo, trovando peso e lunghezza al cinquantesimo
percentile e la circonferenza cranica al novantaduesimo percentile: questo vuol dire che certamente
siamo di fronte ad una patologia, per esempio potrebbe essere un tumore espansivo del cervello o
un’idrocefalia.
Lo stesso vale per una variazione da questo percentile verso il basso, cioè una circonferenza cranica
che anziché crescere rimanendo sulla stessa linea del percentile, diminuisce per un danno cerebrale
che sta esitando in un’atrofia (normalmente il contenente, cioè la scatola cranica, si espande perché
si espande il contenuto, cioè l’encefalo).

Un altro aspetto importante è quello delle dimensioni del rene nel primo anno di vita, valutate
con ecografo: anche in questo caso prendiamo in considerazione le linee del decimo e del
novantesimo percentile, e tutto ciò che sta tra le linee è un rene normale, tutto ciò che sta al di sotto
del decimo percentile è un rene troppo piccolo (ipoplasico, quindi è cresciuto poco e ha meno
nefroni, meno funzionanti), infine tutto ciò che sta al di sopra del novantesimo percentile è un rene
troppo grande (ad esempio un’idronefrosi, un rene policistico, una displasia multicistica).
I due reni, destro e sinistro, devono essere uguali, con uno scarto inferiore al 10%. Il radiologo deve
scrivere un referto adeguato, che deve comprendere la lunghezza dei reni, lo spessore della
corteccia parenchimale, la dilatazione della pelvi e la dilatazione degli ureteri (che non si devono
vedere mai all’ecografia, in quanto sono una struttura dinamica in cui passa l’urina: perciò quando
sono dilatati, c’è sempre una patologia). L’ecografia andrebbe fatta sia a vescica vuota che piena
(perché se è piena è più facile trovare delle dilatazioni a monte), anche se questo non è facile in
pediatria.
Facciamo l’esempio di una mamma che prenota tramite CUP un’ecografia per il suo neonato: il
radiologo trova una lunghezza del rene di 5,5 cm, confronta questa misura con il grafico dei
percentili e per risparmiare tempo, nel referto scrive “esame n.n”, cioè nella norma. Siccome c’era
una dilatazione pelvica renale (detta anche idronefrosi o pielectasia), condizione che interessa un
numero molto importante di gravidanze (circa 1 su 20-25), alla madre viene consigliato di prenotare
a distanza di tempo un’altra ecografia, che viene fatta da un altro radiologo: il primo radiologo non
aveva messo le dimensioni del rene, che erano 5,5 cm, ma aveva scritto “rene nella norma”; il
secondo radiologo misura il rene e a tre mesi e mezzo trova 5,1 cm e anche lui per risparmiare
tempo e fare più esami, scrive “esame nella norma”. A distanza di tempo, la madre prenota un’altra
ecografia e il terzo radiologo scrive di nuovo “esame nella norma”, senza poter vedere le misure
rilevate negli esami precedenti. Ma il bambino in realtà sta perdendo il rene! Questo fa capire
quanto è importante prendere le misure nel tempo e soprattutto riportarle nel referto.
Teniamo presente che l’insufficienza renale cronica assorbe l’1,8% del PIL mondiale.
Altro esempio: la mamma durante la gravidanza va dall’ostetrico, che diagnostica al feto una
dilatazione pelvica renale. Alla nascita viene fatta un’ecografia al neonato e la dilatazione non c’è
più: questo non significa che sia tutto a posto, perché al momento della nascita il rene comincia a
funzionare e a produrre urina (funzione prima vicariata in qualche modo dalla placenta), e quindi
nei primi 7-10 giorni di vita, il contenente, cioè la vescica, non è piena perché il rene non ha ancora
raggiunto livelli accettabili di funzione, per cui sembra che sia scomparso tutto. In realtà, se si ripete
l’ecografia dopo 7-10 giorni si vede che la dilatazione che c’era prima della nascita si ripresenta ed
è ancora più importante di prima.

Un neonato SGA o Small for Gestional Age, cioè di basso peso, è maggiormente esposto al rischio
di sviluppare alcune patologie rispetto ad un neonato AGA:
- problemi respiratori, come la sindrome da aspirazione di meconio (dal latino meconium,
che significa “papavero”. Gli antichi romani, greci ed egizi erano dei profondi osservatori e
avevano notato che alcuni neonati nascevano come se fossero sotto gli effetti dell’oppio).
Questi bambini hanno un rilasciamento della muscolatura, compresa quella intestinale, per
cui il meconio fuoriesce nel liquido amniotico, e questo determina una situazione di asfissia.
- infezioni
- ipoglicemia, che è un marker dei bambini che nascono di peso basso
- malformazioni congenite
- ritardo di crescita al follow-up, assente invece nei neonati AGA. Per esempio,
consideriamo un bambino nato pretermine (24 settimane), ma di peso appropriato per età
gestazionale (600g), la cui nonna ritiene che, siccome è nato piccolissimo, deve mangiare
tanto perché deve recuperare, per cui gli dà il miele: questo bambino diventerà obeso. Se
invece il peso è molto basso e non adeguato per l’età gestazionale (SGA), il bambino a cui
viene dato il miele non diventerà mai grasso, anzi avrà difficoltà a crescere.
Invece un neonato AGA o Appropriate for Gestional Age va incontro più facilmente a
iperbilirubinemia (ittero) rispetto ad un neonato SGA.

Il Professore mostra l’immagine di un neonato di 35 settimane (pretermine), che pesa 1580g: questo
bambino pesa poco e sta sotto il decimo percentile (SGA).

Il Professore mostra l’immagine di due gemelli, dei quali uno è cresciuto troppo e l’altro troppo
poco: questo fenomeno, in cui un gemello prende il nutrimento dall’altro, prende il nome di “twin
to twin transfusion syndrome” e crea problemi ad entrambi i bambini, perché uno diventa
sovraccarico di liquidi, mentre l’altro viene deprivato (e questo comporta una minore
ossigenazione).

Se c’è una restrizione calorica o nutrizionale, l’organismo non depriva i vari organi in maniera
simmetrica, ma tende a privilegiare gli organi nobili, che in ordine sono:
1) Cervello
2) Cuore
3) Surrene → è al terzo posto perché, quando l’organismo è vicino alla morte, se non ci
fossero i surreni, non potrebbe avvalersi di quella sferzata di ormoni che gli permettono una
risposta. Quando entrambe le ghiandole surrenali vanno in tilt, si muore: questo accade per
esempio nella Sindrome di Waterhouse-Friderichsen, in seguito alla quale il bambino muore
in tempi rapidissimi e all’autopsia si riscontra necrosi bilaterale acutissima delle ghiandole
surrenali.
4) Rene
5) Intestino
6) Cute

Nella storia dell’umanità c’è sempre stato uno scontro tra cervello ed intestino: quando eravamo
australopitechi avevamo un enorme intestino con delle anse molto dilatate e un cervello molto
piccolo; poi, con l’evoluzione, la scatola cranica è aumentata, ma il contenuto (l’encefalo) non
riusciva a star dietro a questa crescita. Il cervello è potuto crescere solo in seguito alla scoperta del
fuoco, che ha permesso di cucinare la carne e quindi di aver a disposizione enormi quantità di
proteine.
Quindi in questo scontro tra intestino e cervello, vince sempre il cervello, ma l’intestino si vendica
in moltissime situazioni, ed un esempio è quello che accade in seguito ad asfissia. Nell’intestino
abbiamo il microbiota, ovvero 100 trilioni di batteri nell’adulto, che corrispondono a 1,5-2 kg di
peso (pesa più del cervello); in una situazione di asfissia, i batteri attaccano dall’intestino perché
esso diventa permeabile (Leaky Gut Syndrome o Sindrome dell’intestino gocciolante).

Oggi quindi gli attori dello scenario sono i batteri dell’intestino e il cibo. Solo dall’unione di questi
due elementi si formano dei metaboliti a basso peso molecolare (i più famosi sono gli Short Chain
Fatty Acids, cioè gli acidi grassi a catena corta), che sono parte del linguaggio con cui le cellule e
gli organi parlano tra loro (intestino e cervello parlano attraverso questi metaboliti).
La dieta fatta senza sapere che tipo di microbiota abbiamo non ha senso. Oggi è possibile fare un
sequenziamento del microbiota, anche se possiamo conoscere solo il 25-30% dei batteri che
abbiamo. Attraverso questo sequenziamento possiamo dividerci essenzialmente in tre popolazioni:
- quelli che mangiano tanto e non ingrassano
- quelli che se mangiano un po’ più del solito, ingrassano immediatamente
- quelli che dimagriscono di 10kg in un certo tempo, dopodichè il microbiota protesta e
aumentano di 20 kg
Per capire l’importanza del microbiota facciamo un esempio che riguarda la preferenza della
cioccolata fondente o di quella al latte: noi pensiamo di aver espresso un nostro gusto, ma in realtà
stiamo trasferendo quello che i batteri del nostro intestino ci dicono di fare, con degli “sms”
biologici.

Esempio di un bambino di 31/32 settimane che nasce con un peso appropriato per età gestazionale
(1.691 Kg): questo peso corrisponde alla somma del peso dei vari organi.
Un bambino di 31/32 settimane che nasce con un peso piccolo per età gestazionale pesa circa la
metà del bambino precedente, e questo vuol dire che gli organi del suo corpo pesano meno rispetto
a quelli del bambino AGA: ad esempio, il suo cervello (139g) pesa un po’ più della metà del
cervello del bambino AGA (204g).
Siccome abbiamo una riserva funzionale clamorosa (non utilizziamo tutto il cervello, il rene,
ecc…), potrebbe anche essere che nessuno si accorga di questa differenza di peso del cervello;
questo bambino potrebbe avere qualche problema in matematica alle scuole elementari. Questo è
quello che accade se tutto va bene, ma se questi due bambini avessero un’asfissia, il bambino SGA
avrebbe più difficoltà a compensare poi questa situazione.
Programming perinatale
Una larga misura del destino di una persona si concretizza nel periodo dei “mille giorni dal
concepimento”, che corrisponde ai 9 mesi nel grembo materno e ai primi due anni di vita di una
persona. In generale i medici che studiano l’adulto non sono ancora consapevoli di questo concetto,
che si chiama Programming perinatale (o programmazione perinatale) o anche Developmental
Origins of Health and Disease (DOHaD), cioè l’origine della salute e delle malattie in relazione
allo sviluppo.
La nostra vita è un continuo, a partire dal periodo pre-concezionale e peri-concezionale. La
donna, prima di diventare mamma, può aver preso dei farmaci oppure può aver fatto delle lastre,
che hanno esposto le sue cellule uovo ai raggi → environment.
Oggi sappiamo che molte malattie, come il Parkinson e l’Alzheimer, derivano da un primo step
avvenuto nel grembo materno e nei primi due anni di vita.
David Barker ha cambiato la storia della medicina: egli ha correlato il basso peso alla nascita con
la patologia a distanza di molti anni, non solo studiando le registrazioni delle ostetriche inglesi, ma
anche l’esempio clamoroso dell’assedio tedesco in Olanda, durante il quale le donne gravide
subirono una deprivazione calorica importantissima. Barker osservò che se tale deprivazione
calorica avveniva nel primo trimestre, andando a studiare i figli a distanza di 25-30 anni, questi
avevano:
- malattie cardiovascolari
- ipertensione
- dislipidemie
- obesità
Se la deprivazione calorica avveniva nel secondo trimestre, i figli, a distanza di 25-30 anni,
avevano:
- problemi polmonari
- problemi renali
Se la deprivazione calorica avveniva nel terzo trimestre, i figli, a distanza di 25-30 anni, avevano:
- diabete
- depressione maggiore
- schizofrenia
- autismo
- sindrome ADHD
- comportamento antisociale aggressivo e violento
E’ sconvolgente immaginare che a 30 anni un individuo possa avere una o più patologie in base a
quello che è successo nel grembo materno.
Nel Programming perinatale non sono importanti solo i fattori endogeni. Il nostro organismo in
condizioni di salute lavora secondo lo slogan “minima spesa, massima resa”, ma se abbiamo una
malattia, lo slogan diventa “massima spesa, minima resa”. Se succede qualcosa in quella finestra
vulnerabile dello sviluppo, i mitocondri cambiano per sempre per superare quel momento, quindi
c’è una programmazione che parte dai mitocondri. Questi ultimi sembrano essere molto
verosimilmente dei batteri che sono stati inglobati dalla cellula (un fenomeno di simbiosi).
L’ultima intervista di David Barker sul TIME si intitolava “Come i primi nove mesi modellano il
resto della vita”.
La domanda provocatoria è se il feto e il neonato siano padri dell’uomo, e la risposta è “si”.
Definizione di Programmazione perinatale: la risposta di un organismo in via di sviluppo ad uno
specifico cambiamento durante una finestra critica dello sviluppo, che altera la traiettoria dello
sviluppo stesso, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, con un effetto permanente sul fenotipo.

Concetto di finestra di vulnerabilità dello sviluppo


Questi sono studi del ’62 ancora validi: si prendono in considerazione dei topi di controllo e dei topi
ai quali, nel corso dello sviluppo, viene provocata una deprivazione calorico-nutrizionale. In questo
momento della vita, tale deprivazione ha un effetto permanente sull’individuo, cioè per tutta la vita
questo soggetto deprivato in quella finestra avrà un’alterazione della struttura e della funzione degli
organi.
Se la stessa deprivazione viene provocata in un periodo successivo della vita, che non è così
suscettibile, si assiste ad un allontanamento dalla curva di crescita ottimale e poi per fortuna ad una
crescita di recupero (catch up growth), con un ritorno ai livelli normali.
Questo vale anche per un lattante che, per una deprivazione calorica o per un episodio infettivo
come una diarrea, perde molto peso nell’unità di tempo (in 48 ore può perdere anche una
percentuale rilevante del suo peso), dopodichè viene reidratato e rialimentato, e la curva di crescita
torna normale.
Questo concetto è legato ai concetti di ipertrofia (aumento del volume delle cellule) e di iperplasia
(aumento del numero delle cellule). Infatti, una deprivazione calorico-nutrizionale in una fase
precoce dello sviluppo va ad interferire sul numero finale delle cellule (ipoplasia), mentre in una
fase successiva dello sviluppo va ad influire di più sul volume cellulare (ipotrofia). Ovviamente
una deprivazione prolungata nel tempo provoca sia un problema di ipoplasia che di ipotrofia.

Questo esempio fa capire l’importanza della finestra di vulnerabilità dello sviluppo: considero ratti
femmina gravide e somministro loro cortisone ad alte dosi prima della quindicesima settimana di
gravidanza, e non accade nulla.
Se somministro ai topi il cortisone ad alte dosi dopo la diciottesima settimana, non accade nulla.
Se il cortisone ad alte dosi viene somministrato tra la quindicesima e la diciottesima settimana, i
topi che nascono moriranno tutti perché hanno delle ipertensioni sisto-diastoliche incurabili.

Un lavoro di David Barker sulla mortalità negli uomini (nelle donne è lo stesso) per malattie
cardiovascolari, insufficienza renale cronica, diabete, autismo e comportamento antisociale
violento ha dimostrato che il rischio è aumentato nei soggetti di basso e alto peso alla nascita
(macrosomia perché la mamma è diabetica, condizione frequente in Sardegna), rispetto a quelli di
nati con un peso normale.

Immaginiamo una donna in gravidanza che va a fare un’ecografia di controllo: il bimbo, che alla
prima visita aveva un peso al cinquantesimo percentile, ora è al venticinquesimo percentile. Al
controllo successivo tutte le misure sono al cinquantesimo percentile, tranne il peso, che è al
dodicesimo percentile (dunque non è ancora sotto il decimo percentile). Cosa sta succedendo nel
grembo materno?
1) Fenotipo risparmiatore o thrifty phenotype, cioè impariamo velocemente a difenderci: se
c’è stata una noxa nel grembo materno (es. un virus, una deprivazione calorica), il bambino
si fortificherà e terrà l’esperienza, in modo che quello che gli è successo gli possa ricapitare
meno in futuro
2) Trasmissione transgenerazionale: quello che è successo al bambino nel grembo materno
influisce sul suo genoma (epigenetica) e verrà trasmesso per due/tre generazioni
3) Il Gol: la riproduzione → tutto quello che succede ad un individuo avviene per fargli avere
la possibilità di riprodursi, e quindi farlo arrivare a 12/14/16/18 anni; se, come succede oggi,
questa età viene superata, il prezzo che dovrà pagare è la sindrome metabolica (ipertensione,
stroke, insufficienza renale cronica, dislipidemie, diabete, ecc…)
4) Mismatching: il bambino sarebbe dovuto essere al cinquantesimo percentile come peso, ma
si è dovuto adattare al dodicesimo percentile per arrivare all’ottavo mese ed esser tirato fuori
dal grembo materno; una volta che questo accade, viene ricoverato in terapia intensiva
neonatale e i neonatologi gli danno una grande quantità di nutrimento, anche se lui era
abituato a poco. Questo perché ancora oggi si cerca di far crescere il feto come se fosse nella
pancia della madre ed è una grande sciocchezza pensare che si possa fare con
un’incubatrice, se pensiamo a tutto quello che può succedere nel grembo materno (es.
epigenetica), però queste son le linee guida internazionali.
Il passaggio da un ambiente troppo poco favorevole ad uno troppo favorevole è pericoloso.
Quindi, non è che così facendo stiamo anticipando la sindrome metabolica in questi
bambini?

Programmazione perinatale degli organi


Oggi nascono moltissimi neonati late-preterm o pretermine tardivi, cioè di 34-36 settimane. Tirare
fuori un bambino in questo momento significa farlo nascere con 1/3 del cervello mancante e senza
metà della corteccia: questo perché il cervello cresce in maniera esponenziale nel terzo trimestre di
gravidanza (ecco perché Barker ha osservato tutte quelle patologie neuropsichiche se la
deprivazione calorica avveniva nel terzo trimestre).
Per quanto riguarda la programmazione del rene, confrontiamo quelli di due neonati dello stesso
sesso e peso e della stessa età: il rene del primo ha tantissime cellule staminali, mentre quello del
secondo praticamente non ne ha. Il motivo non si conosce ancora, ma quello di cui la medicina di
oggi non è ancora consapevole è la straordinaria variabilità interindividuale che c’è tra di noi: c’è
più differenza tra due uomini, piuttosto che tra questi due uomini e i maiali, con cui condividiamo il
98,5% dei nostri geni.
La medicina di oggi è di tipo difensivo e per questo c’è un’attenzione ossessiva ai protocolli, ma la
regola “one fits all” non va bene perché siamo tutti clamorosamente diversi. I protocolli servono in
situazioni di emergenza e non servono alla straordinaria variabilità interindividuale dei pazienti, ma
a quella dei medici.
In reparto può capitare il bambino che ad esempio pesa 710g e ha la sepsi e altre cose, ma è
resiliente (come i suoi genitori e gli operatori sanitari che gli stanno vicino), e invece il bambino di
2,4 kg che la prima infezioncina se lo porta via perché è fragile. I protocolli non tengono conto di
questa straordinaria diversità.

Variabilità del numero totale di nefroni per singolo rene alla nascita
Consideriamo i reni di tre individui diversi:
- uno ha 200.000 nefroni
- uno ha 900.000 nefroni
- uno ha 2.500.000 nefroni
Tutti e tre sono normali, perché la normalità va da 200.000 a 2.500.000 nefroni. Ma se vi fosse
una noxa, e quindi un ritardo di crescita intrauterino, e/o farmaci antinfiammatori non steroidei, che
“bruciano” 100.000 nefroni, il neonato che ne aveva 200.000 andrà incontro ad insufficienza renale
cronica in età pediatrica.
Nel soggetto con 900.000 nefroni, la stessa noxa non brucia la metà del patrimonio nefronico, ma
solo 1/9: questo soggetto avrà uno screzio renale quando sarà in età più avanzata.
Nel caso di quello che aveva 2.500.000 nefroni, solo 1/25 di essi viene perso: questo soggetto non
avrà alcuna ripercussione.

Che cos’è una malattia?


La malattia è una riduzione del numero di cellule in tutti gli organi e apparati (ipoplasia) e una
displasia (cellule meno funzionanti), che molto spesso vanno a braccetto (ipodisplasia).
Quindi meno cellule e meno funzionanti, a livello di cervello, fegato, cuore, polmone, pancreas,
ecc...
Inoltre è caratterizzata da una riduzione dell’arborizzazione all’interno dell’organismo, che è
formato da tantissimi “alberi”: il connettoma cerebrale, il budello ureterale, l’albero bronchiale,
l’albero epatico, l’albero vascolare, la placenta (che è un organo fugace ed anche il più
sconosciuto).
Su PubMed si possono trovare degli articoli interessanti a proposito della placenta: uno è “la
placenta è la scatola nera della gravidanza” oppure “il diplomatico della gravidanza”, perché non è
un testimone innocente di quello che succede tra madre e feto. Questi ultimi hanno degli interessi
contrapposti, tanto che articoli della letteratura parlano di “tiro alla fune tra madre e feto”. Il solo
fatto che il feto sia maschio o femmina cambia tutto, oggi infatti si parla di “placento” e “placenta”,
cioè c’è una differenza di genere nella placenta. I maschi hanno molta più difficoltà a sopravvivere
nella pancia della mamma rispetto alle femmine.
Sappiamo poco della differenza di genere nell’adulto, e questa è una carenza grave. Per esempio, le
donne hanno un rischio cardiovascolare che è diventato uguale a quello degli uomini, però tutti i
farmaci cardiovascolari sono stati studiati sugli uomini; quando poi diamo questi farmaci alle
donne, sono molto meno efficaci ed hanno molti più effetti collaterali.
Figuriamoci quanto la differenza di genere possa essere importante in neonatologia e perinatologia
(cioè prima della nascita). Se consideriamo il numero di maschi e femmine che nascono, ci
aspetteremmo che fossero più o meno uguali, e invece nascono più maschi perché muoiono più
maschi. Essi infatti sono meno resilienti: hanno più asfissie, più patologie croniche (displasia
broncopolmonare, retinopatia del pretermine…).

Ogni anno muoiono nel mondo 4 milioni di neonati, di cui:


- un milione muore di sepsi
- un milione muore di asfissia
- un milione muore di conseguenze della prematurità
- un milione muore per cause varie

Il latte materno
Due cose ci hanno resi diversi dalle altre specie, facendoci diventare Homo sapiens: la durata della
gravidanza e l’allattamento al seno, che non vuol dire solo trasmissione di proteine e glucidi, ma
significa anche “le coccole materne”.
Il Professore mostra un articolo riguardante l’allattamento al seno, in cui si parla delle “3 M”:
- Metabolomica
- Microbiota → nei testi di pediatria di 12 anni fa c’è scritto che il latte materno è sterile:
questo non è assolutamente vero, infatti una mamma che allatta il bambino trasferisce fino a
10 milioni di batteri al giorno
- Cellule Staminali Multipotenti → il latte materno ha delle cellule staminali che, una volta
raggiunto l’intestino del bambino, passano le tight junction e vengono captate da pseudopodi
di cellule dendritiche, che le fagocitano, portandole poi nei vari organi, tra cui il cervello.
Le cellule staminali della mamma colonizzano il cervello del neonato e si trasformano in
neuroni, oligodendrociti e astrociti.

Domanda di un collega: queste cellule staminali restano a vita nell’individuo? Avrà all’interno del
suo cervello delle cellule con un genoma diverso dal proprio?
Ancora non sappiamo quanto durano queste cellule staminali, ma sappiamo che ci son dei marcatori
presenti alla nascita che rimangono per mesi: il CD44, che è un marcatore di almeno una dozzina di
tumori tremendi (ad es. tumore di Wilms), è il marcatore delle staminali del latte materno. Altri
marcatori che son presenti alla nascita dopo tre giorni scompaiono, come il CD133 (anche questo un
marcatore di tumori).
Questi marcatori, su una dozzina di cellule staminali, ne colorano solo una, e sono presenti sia nel
latte di mamme di nati pretermine che in quello di mamme di nati a termine.
Anche le nostre ricerche dicono che il latte delle mamme di bambini con ritardi della crescita
endouterina hanno una percentuale di cellule staminali fino a 20 volte superiore a quella dei
bambini che non hanno un ritardo di crescita. Questo torna con il fatto che bisogna proteggere il
cervello, per cui probabilmente la natura agisce per dare al neonato la possibilità di avere più
tessuto nervoso.
Si parla di chimerismoma, cioè il feto ha le cellule staminali della mamma, la mamma ha le cellule
staminali del feto, e il secondogenito ha le staminali del primogenito. Quindi noi siamo una forma
di chimerismo.
Il significato di tutto ciò è ancora poco chiaro, ma la domanda è: il latte della mamma è un unicum
per quel neonato? Che ruolo ha il latte di Banca umano donato?

Implicazioni pratiche
Esistendo una linea continua che collega la vita fetale (e anche prima) e la vita dell’adulto
(Parkinson, Alzheimer, ipertensione, sindrome metabolica), più si fa un intervento preventivo
precoce, più si hanno risultati positivi a distanza e meno spende la società.
- Prenatali → dieta prudente: con la dieta mediterranea si possono prevenire il 15% dei
parti prematuri (nel mondo ci sono 15 milioni di prematuri)
- Post-natali → latte materno

La medicina ieri e oggi


Paternalistica → Alleanza terapeutica
Cure → Care
Disease (malattia) → Illness (ripercussione che la malattia ha sulla psiche)
Compliance → Aderence
Comunicare a (uno degli errori più gravi) → Comunicare con
Paziente passivo → Paziente attivo (empowerment)
Occhi del medico → Occhi del paziente

La medicina del passato e del futuro


Epidemiologica (evidence-based medicine) → Individualizzata
La metanalisi non è tutto: è importante la evidence-based medicine, ma anche la medicine-based
evidence, cioè quello che abbiamo imparato in corsia. L’assenza di evidenza alla metanalisi non è
un’evidenza dell’assenza.

Descrittiva → Predittiva
Nei testi attribuiti a Ippocrate vi era descritto tutto: la patologia tumorale, infiammatoria, infettiva,
calcolotica.

Riduzionistica → Olistica
Ci interessa la medicina che va a studiare la creatinina? Quando si alza la creatinina è stato già
perso il 40% del patrimonio nefronico. Ci interessa come medici, ma prima ancora come pazienti,
padri di pazienti? E’ un modo abbastanza antiquato di approcciare le cose.

Reattiva → Prospettica
Oggi si fa una medicina reattiva: ad esempio si fa diagnosi di carcinoma del pancreas, si fa la
terapia, poi si dà la terapia palliativa e si lascia il paziente in terapia intensiva. La medicina
prospettica si chiede cos’è lo stato di salute e benessere e come si può conoscerlo meglio,
incrementarlo e mantenerlo.

Basata sulla genetica → Basata sull’epigenetica

La medicina delle 10 P
1. Personalizzata
2. Prospettica
3. Predittiva
4. Preventiva
5. Precisa
6. Partecipata
7. Paziente-centrica
8. Psicocognitiva
9. Post-genomica
10. Pubblica
Le infezioni del neonato
Le infezioni sono collegate alle sepsi, che sono le infezioni più gravi dell'organismo perché interessano tutto
l'organismo, non sono locoregionali.
Il termine sepsi deriva dal greco, la radice è quella di πέψις (pépsis), quindi qualcosa legato all'apparato
gastro-intestinale perché gli antichi greci avevano osservato che una persona che prima stava bene, se
mangiava qualcosa di avariato o ingeriva dell'acqua contaminata, stava male, gli veniva la febbre e poi
moriva. E appunto chiamarono la malattia σῆψις (sépsis). In realtà la stessa malattia è descritta nei papiri
egiziani, sotto il nome di u-khed-u (tipico cognome sardo che potrebbe ricollegarsi alle teorie secondo le
quali i mitici guerrieri Shardana colonizzarono la nostra isola dall'Alto Egitto).

Di 4 milioni di neonati morti l'anno, 1 milione è dovuto ad infezioni e sepsi, 1 milione all'asfissia, 1 milione
alla prematurità e le sue conseguenze, 1 milione per miscellanea. Ovviamente c'è una grossa differenza
tra una parte e l'altra della Terra, in molti paesi africani dove c'è una povertà indicibile le donne vanno a
partorire da sole sul fiume, tagliano il cordone ombelicale con la pietra e il neonato muore per il tetano
neonatale. Ovviamente noi siamo in condizioni molto diverse, però le infezioni, anche ospedaliere,
rappresentano in termini generali nei paesi industrializzati qualcosa di assolutamente prevedibile e
prevenibile. Pensate che in Italia ci sono circa 500'000 infezioni ospedaliere l'anno, quindi si può e si deve
fare molto di più.
Il neonato è un organismo immaturo e il neonato prematuro è un organismo ancora più immaturo.
Ricordate sempre questo paragone: il bambino non è un adulto piccolo (tant'è che, come abbiamo detto,
in alcuni paesi la facoltà di pediatria è separata da quella di medicina), il neonato non è un piccolo
bambino, il neonato prematuro non è un piccolo neonato e il neonato grandemente prematuro (24
settimane) non è un piccolo prematuro. Ovviamente i bambini pretermine hanno un'immaturità dei vari
sistemi, organi e apparati e quindi ci sarà un’immaturità dell'intestino come anche del sistema
immunitario.

Fisiopatologia delle sepsi


Una cosa che accomuna tutte le Multi Organ Failures è che partono dall’endotelio, e anche le sepsi
partono dai vasi sanguigni e spesso dall'intestino.
Prendiamo come esempio l'arteria surrenale (e abbiamo visto che la surrenale è al terzo posto tra gli
organi più importanti dell’organismo), ma i meccanismi fisiopatologici sono gli stessi in tutto l’organismo.
In una prima fase abbiamo una apoptosi delle cellule endoteliali, quindi una morte cellulare
programmata, che si propaga a domino nelle altre cellule endoteliali. Si ha quindi un danno endoteliale
con le cellule che si sfaldano nel lume endoteliale, quindi una disfunzione dell'endotelio e infine una
completa perdita della barriera endoteliale (disendotelizzazione). A quel punto si aggettano nel lume
vascolare una serie di antenne, i toll like receptors, che normalmente dovrebbero essere coperte. Queste
ultime attirano le piastrine e dunque si ha una trombosi, che si estende a domino, con accumulo di sangue
a monte. Di conseguenza il vaso si dilata, la pressione al suo interno aumenta, con stravaso ed edema,
sino alla rottura. A valle abbiamo invece una ipoperfusione ed ischemia. Si ha quindi un blocco della
funzione multi organo.
Oggi ci sono anche dei farmaci, come la Timosina beta 4, che sono in grado di inibire alcuni dei mediatori e
che sono considerati dei farmaci del futuro per le MOF (Multi Organ Failure). Entrano in gioco molti
mediatori, il Tumor Necrosis Factor alpha è particolarmente importante.
Il postulato di Koch “un germe-una malattia” oggi sappiamo non essere più vero e anzi tutto quello che si
sa oggi sulle malattie è la straordinaria importanza del microbiota non solo intestinale, ma anche quello
urinario, cutaneo, polmonare ecc. Nel nostro organismo solo 1 cellula su 10 è umana e solo 1 genoma su
100 è umano, il resto sono cellule e genomi batterici. Abbiamo appena iniziato a capire qualcosa del
batterioma, ma ci sono anche il viroma, il fungoma ecc, di cui non sappiamo niente. Il problema è che la
medicina di oggi considera le persone come degli individui, invece siamo dei veri e propri ecosistemi, e
molti dei fallimenti della medicina di oggi possono essere ascrivibili al fatto che noi non consideriamo
l'ecosistema.
Negli ultimi 2-3 anni c’è il concetto del “collasso del microbioma”, come vediamo nell’articolo "Collapse of
the Microbiome, Emergence of the Pathobiome, and the Immunopathology of Sepsis", pubblicato a
febbraio 2017 su Critical Care, che il professore ci invita a leggere:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term="Collapse+of+the+Microbiome,
+Emergence+of+the+Pathobiome,+and+the+Immunopathology+of+Sepsis"
L’articolo ci porta l’esempio di un paziente adulto con polmonite che muore dopo 30 giorni di ricovero in
ospedale. Per quale motivo è deceduto?
• Era fragile (esaurimento delle difese immunitarie),
• non ha risposto alle cure mediche, ha fato dei cicli di antibiotico in seguito ai quali il paziente era
migliorato ma non era guarito
• i patogeni erano molto resistenti
• si è selezionata una comunità di patogeni, il patobioma, capace di eliminare i batteri del microbiota
che competevano con i batteri cattivi e sovvertire il sistema immunitario.
Oggi in un caso del genere la diagnosi di morte è di “deceduto da polmonite da Pseudomonas
aeruginosa”. Quello che oggi si ritiene, molto fondatamente, è che invece ci sia un collasso del microbiota
perché la terapia antibiotica non è in grado di ammazzare selettivamente il batterio che causa la malattia,
e quindi per eliminare lo Pseudomonas sono stati eliminati tantissimi batteri dell'intestino e non solo. Gli
antibiotici del futuro si chiameranno contrabiotici e saranno selettivi contro l'unico batterio responsabile
della malattia, oppure saranno delle sostanze che impediscano al batterio di crescere. Ad esempio lo
Pseudomonas ama il ferro, senza il quale non cresce, se usiamo una sostanza che lo deprivi del ferro
riusciamo ad ottenere lo stesso risultato.
Citiamo Lev Tolstoji in Anna Karenina: "Tutte le famiglie felici sono uguali l'una con l'altra, ogni famiglia
infelice è infelice a modo suo". Il titolo di questo articolo riprende questa citazione: "All healthy
microbiomes are similar; each dysbiotic microbiome is disbiotic in its own way" (tutti i microbiomi sani
sono simili; ogni microbioma disbiotico è disbiotico a suo modo).
Tutte le malattie sono legate alla presenza di batteri, gli animali da esperimento senza batteri alla nascita
non hanno malattie autoimmuni, né malattie infiammatorie. Quindi i batteri hanno un ruolo nel
determinismo del 90% delle malattie.
Il problema non è tanto innescare l'infiammazione, il problema è frenarla.
Oggi esiste il trapianto di feci, che è stato utilizzato per molte malattie, ad esempio nelle malattie
infiammatorie croniche intestinali (Morbo di Crohn e RCU). È stato proposto in molte altre patologie, ad
esempio nell'autismo. L’autismo interessava trent'anni fa 1 bambino su 500, oggi 1 bambino su 59, in
molti Paesi 1 su 30. Cioè a scuola ogni due classi c'è un bambino autistico. Nessuno sa cosa sia, c'è una
componente genetica e una componente epigenetica che ci sfugge. Infatti per arrivare a questo aumento
di incidenza, a parte l'aumento della capacità diagnostica, entra sicuramente in gioco l’epigenetica, infatti
se fosse dovuto soltanto alla genetica ci sarebbero voluti secoli/millenni. Oggi sappiamo che i bambini
autistici hanno un'abnorme colonizzazione da Clostridi, 10 volte la norma, e l'utilizzo di probiotici,
simbiotici, postbiotici e il trapianto di feci hanno dato dei risultati molto incoraggianti.
Ma parliamo di trapianto di feci perché è stato utilizzato per trattare le sepsi resistenti a tutti gli
antibiotici.
Classificazione
Le infezioni del neonato, di cui le sepsi
rappresentano le infezioni più importanti,
sono un caleidoscopio: possono
presentarsi in maniera diversa e possiamo
classificarle in maniera diversa.
Ci sono molti modi di classificare le
infezioni neonatali:
• in base al tipo di patogeno
(batteri, virus, funghi, protozoi,
ecc)
• in base al timing dell'infezione:
congenite (gruppo TORCH, che
include anche il virus Zika, che oggi
è sempre più importante), perinatali (ascendenti, da Streptococco di gruppo B) e post-natali (da
sorgente esterna, ad esempio nel soggetto che fa un prelievo e si infetta il sito di prelievo). Queste
ultime sono dette anche nosocomiali o ospedaliere, sono prevedibili e prevenibili e verso queste
non ci si deve rassegnare.
• in base al tempo di comparsa dei sintomi (quest’ultima classificazione non esclude le precedenti): a
esordio precoce (early onset) e a esordio tardivo (late onset). Ci sono anche le infezioni a esordio
molto tardivo (late late onset) che però non dobbiamo studiare.

Le infezioni da Streptococco di gruppo B (GBS) sono molto importanti in neonatologia. Sono infezioni che
hanno un intervallo libero, quindi il bambino nasce a termine, il parto va bene, il bambino sta bene,
respira bene, va al nido. Dopo circa 4-6-8 ore inizia a respirare male, peggiora a vista d’occhio, il tempo di
portarlo in terapia intensiva ad intubarlo e va in shock settico e muore.
Per evitare questo si è fatta una profilassi antibiotica nelle madri nei confronti dello Streptococco di
gruppo B, facendo una esposizione ad antibiotici molto allargata e c'è stato un tracollo di queste infezioni,
ma non una completa abolizione. In particolare ci sono delle forme tardive, nonostante la mamma abbia
fatto la profilassi, che compaiono a distanza di 4-5 settimane sotto forma di meningiti.
Quindi questa esposizione enorme ad antibiotici non ha comunque debellato il problema. L'effetto
collaterale di questa esposomica (enorme esposizione) è il fatto che viene cambiato completamente il
microbiota delle mamme, quindi della placenta, della gola e anche quello vaginale, che è importantissimo.
Quando un neonato nasce, e dovrebbe nascere per via spontanea, si tuffa nella più grande bevanda
probiotica che esista, che è il liquido vaginale materno. Infatti si è visto che gli ormoni dello stress vanno
alle stelle, si calcola che il neonato abbia 80 volte il valore degli ormoni dello stress dell’adulto in
condizioni normali e 4 volte il valore degli ormoni dello stress di una persona che spacca la legna o di una
persona che fa la sauna ad alte temperature. Però questo stress al neonato fa molto bene.
Nascere con parto spontaneo o con cesareo cambia la vita: oggi sappiamo che chi nasce di parto cesareo
avrà molte più probabilità di avere asma, allergie, rinite allergica, ecc.
Per cui oggi ci si pone il problema se valga la pena fare la profilassi a 1000 donne per prevenire 5 di queste
infezioni, mentre gli altri 95 potrebbero avere tutta una serie di problemi. Forse la risposta di questi dubbi
è legata all'utilizzo di tecnologie complesse che si utilizzano oggi, cioè le discipline omiche: genomica,
trascrittomica, proteomica, metabolomica, microbiomica.
Vediamo a destra un neonato che nasce coperto da
un’eruzione che è una candidiasi congenita,
sicuramente acquisita in grembo materno.

Qual è il posizionamento della cosiddetta sottile linea


rossa con cui distinguiamo le infezioni early onset e late
onset? Era stata posizionata a cinque giorni, oggi si
ritiene sia a tre giorni. Queste sono classificazioni
arbitrarie ma internazionali. Quindi si ritiene che se i
sintomi di un neonato, in questo caso infettivi,
esordiscono nei primi tre giorni siano correlati alla
gravidanza e al parto, se compaiono dopo i tre giorni
siano correlati ad una infezione ospedaliera
nosocomiale acquisita. La prima è più difficile da
prevenire, la seconda è prevedibile e prevenibile, quindi
abbiamo grande responsabilità in questo.
In termini generali c'è una grande differenza tra
le forme congenite e acquisite, early onset e late
onset. Sottolineiamo che le complicanze
ostetriche sono frequenti nelle forme early
onset, mentre sono inusuali nelle forme
acquisite. Altro dato molto importante è che le
forme da Streptococco di tipo B nel bambino
non hanno grandi conseguenze, mentre
possono far morire il neonato per una sorta di
vulnerabilità genetica, presente in particolare in
alcuni neonati. Inoltre le forme congenite hanno
una rappresentazione multisistemica, che
interessa diversi organi e apparati. Le forme
acquisite sono invece più focali. La mortalità è
molto più alta nelle forme congenite, ma
comunque dipende dal tipo di germe.
Come vediamo nella slide a destra,
microrganismi usuali sono streptococco di
gruppo B (GBS), Escherichia coli e
stafilococchi.
Per quanto riguarda i vari batteri, alcuni di
questi hanno una loro peculiarità. Per
esempio le infezioni da Listeria, che in
Sardegna per fortuna sono poco
frequenti, sono importanti perché hanno
una storia molto caratteristica: la mamma
ha 40 di febbre in occasione del parto e il
neonato nasce con anche lui 40 di febbre.
Se al neonato vengono dati 3-4 antibiotici
o muore o sviluppa un idrocefalo, con danno cerebrale molto importante. Il professore racconta di aver
visto a Verona 6 casi, di cui 4 bambini sono morti e 2 hanno sviluppato idrocefalo, e altri due casi a
Cagliari, che sono deceduti entrambi. Nel Nord Europa è un’infezione molto frequente, e si acquisisce per
contagio oro-fecale. Regola delle 4F per la trasmissione oro-fecale: food, flies, feaces, fingers (cibo,
mosche, feci, dita). Quindi spesso si trasmette tramite insalata contaminata non lavata oppure nell'ambito
dell'allevamento quando c’è contatto con gli animali (come nei casi che abbiamo avuto in Sardegna).
Nelle early onset la storia caratteristica è appunto la mamma che ha la febbre alta e il bambino che ha
febbre alta. Ma ci sono anche delle altre situazioni pericolose, ad esempio la mamma con la febbre alta e
con la varicella: è molto pericoloso per il neonato perché ci può essere un'infezione cerebrale a breve
distanza dalla nascita.
In uno studio su oltre 1000 infezioni
tardive si è visto che sono legate a germi
gram-positivi nel 70% dei casi, gram-
negativi nel 17%, funghi nel 12%.
Ovviamente la situazione cambia se noi
siamo, come in questo caso, negli Stati
Uniti, nel Canada o in Europa, oppure se
siamo ad Abu Dhabi.
Corollario pratico: è importante iniziare
ed aggiornare degli studi epidemiologici
locoregionali per capire quali sono i
batteri che si hanno di fronte e per poterli
combattere con armi adeguate.

Concetto di straordinaria importanza è: quanto più piccolo è il bambino, più piccolo è il peso e bassa l’età
gestazionale tanto più alta è la probabilità di sviluppare infezioni. In reparto ad esempio capita di avere
anche fino a 12 bambini sotto 1 kg.

Classificazione dei neonati in base al peso: il bambino è low birth weight (LBW) quando il suo peso è
inferiore ai 2500g, a prescindere dall'età gestazionale, very low birth weight (VLBW) quando sta sotto i
1500g di peso alla nascita, extremely low birth weight quando il peso alla nascita è estremamente basso. E
come vediamo nel grafico sotto abbiamo un primo picco di infezioni precoci, un secondo picco di infezioni
tardive e poi quelle late late che non vedremo.

Il bambino molto piccolo, oltre ad avere un’immaturità degli organi, apparati e del sistema immunitario,
ha anche le conseguenze di questa maturità. In particolare non respira autonomamente ma deve essere
intubato con un tubo endotracheale, bisogna mettere un catetere in ombelico per fare prelievi e
infondere liquidi, perché anche per mani esperte i vasi sono molto piccoli e si rompono anche molto
facilmente (altra conseguenza dell’immaturità). È possibile che abbiano uno pneumotorace, per cui in quel
caso avremo anche un tubo di drenaggio, non urina e gli si deve mettere un catetere vescicale. Tutte
queste sono delle protesi che fanno sì che vengano superate le già blande difese immunitarie.

Fattori di rischio
I fattori di rischio per una early onset sepsis sono:
• Infezione da gruppo B durante la gravidanza. Teniamo presente che non tutte le mamme sono
colonizzate, non tutte quelle colonizzate trasmettono il batterio, non tutti i neonati che hanno
ricevuto il batterio (in questo caso un batterio gram negativo) dalla mamma sviluppano l'infezione.
Però tra quelli che sviluppano l'infezione ci sono quelli che la sviluppano in maniera molto grave.
• Nascere prima del termine.
• Avere una rottura delle membrane per 24 ore, ma anche 18 ore, prima della nascita.
• Infezione del liquido amniotico (corioamnionite).

I fattori di rischio per una sepsi post-natale:


• Presenza di cateteri nell'albero vascolare per lungo tempo, c'è infatti tutta una politica di
cambiamento dei cateteri.
• Permanenza in ospedale per un periodo lungo, perché naturalmente è più probabile l’acquisizione
di germi ospedalieri, in particolare germi difficili multiresistenti.

Una cosa importante da fare in un reparto per evitare le infezioni è il lavaggio delle mani. I primi
neonatologi, che erano francesi, dicevano che bisogna tagliarsi le mani, che ovviamente è un paradosso.
Ma pensiamo anche a Semmelweis e alle sepsi puerperali quando i medici non si lavavano le mani
passando da una paziente all'altra e quindi trasmettendo di tutto e di più. È stato fatto uno studio a
Londra ad un congresso di igienisti in cui è stata messa una telecamera nella toilette e si è visto che metà
di coloro che erano lì per parlare di infezioni nosocomiali non si lavava le mani.
Oggi sappiamo che la placenta e il liquido amniotico hanno piccole quantità di batteri che servono a
educare il sistema immunitario del feto. È un problema se questi però sono batteri cattivi e se soprattutto,
come nel caso della corioamnionite, si moltiplicano moltissimo. Molte delle malattie oggi sono
considerate frutto non solo della genetica, ma anche dell'interazione del genoma e dell'epigenoma
intrauterino. Quindi anche la dieta e le infezioni materne sono molto importanti.
Ci sono delle osservazioni sperimentali molto importanti, ad esempio se la mamma ha la corioamnionite in
forma grave solitamente il neonato non sopravvive, ma se sopravvive non avrà malattie polmonari
croniche. Se invece la madre ha una forma lieve solitamente il neonato sopravvive, ma avrà tutta una serie
di malattie tra cui la broncodisplasia polmonare, o cronic lung disease. Oggi sopravvivono molti più
prematuri che in passato, e alcuni di questi, soprattutto quelli con peso alla nascita inferiore al kg, hanno
questa malattia polmonare cronica che può richiedere la somministrazione di ossigeno al momento della
dimissione.
Clinica
Cosa succede quando un neonato o un
piccolo lattante ha un'infezione? Prima
l'organismo si comporta come una
tartaruga (the ebb phase), reagisce
cercando di lavorare al minimo per
risparmiare energia. La salute è massima
resa minima spesa, la malattia è massima
spesa minima resa. Tutto è proteso al
raggiungimento di una elevata quantità di
moneta energetica (ATP) spendibile
nell'organismo, e al suo
immagazzinamento nei luoghi opportuni
dell'organismo. Nella fase successiva
invece l’organismo si comporta come un
ghepardo (the flow phase): il metabolismo aumenta molto velocemente e se non si interviene in questa
seconda fase in molti casi si ha il decesso del paziente.
Come si manifesta l’infezione del neonato e del lattante, quindi fino ad un anno di vita. Tutto è il contrario
di tutto: il colorito cutaneo è pallido o eritrosico o cianotico o si ha la sindrome da Arlecchino (quindi metà
bianco e metà rosso); tachicardia o bradicardia; polipnea o apnea o dispnea; leucocitosi o leucopenia;
piastrinosi o piastrinopenia; può essere di tutto.
Dobbiamo invece ricordare queste tre cose: not looking well, not feeding well, not breathing well. Quindi
non ha un bell'aspetto, non mangia bene, rifiuta il cibo e il seno della mamma, e non respira bene.
L’infermiera del reparto ad esempio ci dirà che il bambino non le piace, che non è lui, che è diverso
rispetto al giorno precedente. Il bambino rifiuta il pasto oppure mangia controvoglia e poi vomita. Poi
comincia a respirare male e ce ne accorgiamo per l’alitamento delle pinne nasali, cioè vediamo proprio le
narici che si aprono e si chiudono. Questo perché comincia ad essere insufficiente la quantità di ossigeno
che arriva ai tessuti, c’è un’ipoperfusione e l’organismo mette in moto i meccanismi accessori della
respirazione. L’alitamento delle pinne nasali non serve a nulla all'organismo, aumenta l’efficienza
respiratoria solo dell'1%, ma ci interessa perché ci fa rendere conto che il bambino comincia ad avere
delle difficoltà respiratorie. Viene seguito dalle escursioni al giugulo e agli spazi intercostali. Quando
abbiamo queste 3 caratteristiche dobbiamo fare qualcosa.
Il torace di un neonato infetto può essere del tutto aspecifico, non dobbiamo aspettarci di trovare grosse
cose se non un torace poco aerato, magari un aumento dell’interstizio oppure un addensamento.
L’addome è molto importante, ad esempio troviamo l’addome a mongolfiera nella patologia chirurgica più
grave e tra le più destruenti del neonato, cioè
l'enterocolite necrotizzante.
Nell'enterocolite necrotizzante la mucosa diventa
molto sofferente, l'addome è molto proteso, il
bambino è molto sofferente (not looking well, not
feeding well, not breathing well), ci possono
essere delle macchie rosso vinose che sono molto
specifiche ma poco sensibili. Cioè ci sono poco
frequentemente, ma quando presenti sono
patognomoniche di una situazione di grande
gravità e di ischemia intestinale. La diagnosi si fa
con la radiografia del torace tenendo il neonato o
lattante in posizione seduta, se l'aria si raccoglie
nello spazio subdiaframmatico vuol dire che
l’intestino si è bucato. L'ecografia ovviamente è
l'indagine di prima scelta e non invasiva e mostra un’ansa fissa, una parte dell'intestino che non si muove,
come possiamo sospettare anche dal fatto che non sentiamo più i borborigmi. Poi l'ecografista vede la
parete intestinale aumentata di 3-4 volte, quindi molto ispessita, con all’interno dei puntini iperecogeni
che sono delle bolle d'aria. Le bolle d’aria vanno verso la superficie e la bucano e il microbiota va in
peritoneo, dove non deve esserci nessun batterio. Ovviamente bisogna andare in sala operatoria, e nel
bambino molto piccolo può essere un problema. È una patologia che può colpire anche il neonato a
termine e il lattante. I bambini allattati al seno hanno una minor incidenza di questa patologia, ma non
sono esenti.
Un terzo delle mamme ha un latte non protettivo nei confronti delle infezioni, sono le cosiddette madri
con fenotipo non secretore, che dipende dalla quantità di alcuni tipi di oligosaccaridi.

Vediamo un altro tipo di infezione, si tratta di un bambino


di 12 mesi con le ginocchia che sono asimmetriche e hanno
tutti i segni dell’infiammazione, quindi tumor, calor, dolor,
rubor e functio laesa. L’urocultura, l’emocultura e il liquido
sinoviale sono positivi per Escherichia coli: questo neonato
ha una pielonefrite, quindi una infiammazione delle alte vie
urinarie, che poi è diventata un’urosepsi. I batteri sono finiti
nel sangue e da lì hanno dato un’infezione secondaria nel
liquido sinoviale, che può avere degli esiti molto pesanti,
che non ci sono stati in questo bambino perché è stato
trattato immediatamente. Il trattamento, tramite
antibiotico, in questo caso è durato per sei settimane,
perché l'osso è difficile da raggiungere, quindi il
trattamento deve essere molto prolungato.

Questa è un’infezione da Serratia. Da


poco c’è stata una epidemia nella
Terapia intensiva di Brescia, non
esiste terapia intensiva neonatale
italiana dove non ci siano state delle
piccole epidemie da Serratia.
Dobbiamo in particolare ricordare
l’acronimo KES, cioè Klebsiella,
Enterobacter e Serratia, che indica
germi estremamente cattivi.

Questa è un’infezione da Stafilococco, e in questo caso la diagnosi è molto


semplice perché sono delle pustole.
Una domanda tipica d’esame è: che differenza c'è tra vescicola e pustola?
La vescicola è primitivamente sterile e si sovrainfetta, la pustola è
primitivamente purulenta. Ad esempio, nella varicella abbiamo delle
vescicole che dopo un po’ di tempo cambiano colore perché si
sovrainfettano.
In questo caso se con un ago si estrae il pus e si fa la coltura vediamo lo
stafilococco aureus.
Alcuni bambini invece hanno queste lesioni, che sono tipiche di infezioni da
stafilococco e da streptococco e si chiamano impetigine. Sono infezioni che
nascono localizzate, ma poi il bambino grattandosi si autoinfetta in altre sedi. In
questo caso l’errore più frequente è quello di prescrivere il Gentalyn beta,
quindi una pomata a base di cortisone e aminoglicoside. Dopo tre giorni
effettivamente la lesione sparisce, ma dopo una settimana torna tutto come
prima. Questo perché questa patologia va trattata con una antibioticoterapia
generale per una settimana.

Quello a sinistra è un catetere che viene messo nei


bambini piccoli ma anche nei neonati a termine, perché si
taglia il cordone ombelicale, dove abbiamo i vasi
ombelicali che vengono cateterizzati. Il catetere serve per
far prelievi e per infondere liquidi. Dopo 2-3 giorni di
posizionamento si forma del materiale proteinaceo che
ha lo stesso significato finalistico dell'infiammazione, cioè
quello di emarginare l'oggetto che è entrato nel corpo e
che non fa parte del self.
Quello a destra invece è un catetere di un neonato che
ha un'infezione da CoNS (Coagulase-
Negative Staphylococci), quindi stafilococchi epidermidis, hominis ecc. Questa è l'enorme quantità di
colonie di stafilococchi.
Il messaggio pratico è: se si ha un’infezione ospedaliera da catetere bisognerebbe togliere il catetere, però
se si toglie il catetere non si riesce più ad iniettare i farmaci. Si potrebbe mettere un altro un altro catetere
ma non è detto si riesca e soprattutto potrebbe essere ugualmente pericoloso, perché potrebbero partire
degli emboli settici. La soluzione in questi casi è un compromesso: si tiene il catetere un giorno o due e si
fa una terapia antibiotica massiccia, se non si ottiene un miglioramento si toglie il catetere e si valuta il
caso.
Gli stafilococchi coagulasi-negativi e i funghi aderiscono alla parete attraverso particolari sostanze, gli
stafilococchi con lo slime, che è un materiale colloso, i funghi con il biofilm. E queste sostanze fanno sì che
questi batteri o funghi non possano essere eradicati. Diventa praticamente impossibile depurare, ad
esempio, il catetere e alla fine, nella maggior parte dei casi, bisogna rimuoverlo.

Diagnosi di infezione
• Globuli bianchi inferiori a 5000. In realtà possono
essere anche molto alti, ma in genere sono bassi.
• Neutropenia. Quanto più basso è il numero di neutri,
tanto più grave è la forma (<1500, <1000, se <500 il
rischio è molto alto soprattutto in un bambino, che di
base ha delle difese immunitarie molto blande).
• Una cosa interessante, anche se nella pratica non
sempre è possibile farlo, è il rapporto tra i neutrofili
immaturi e i neutrofili totali, quando supera il valore
di 0,2 c'è un’elevata probabilità che ci sia
un’infezione.
• Piastrine <100’000, quindi una piastrinopenia, ma ci può essere anche una trombocitosi. La
piastrinopenia però è più importante rispetto alla trombocitosi. Alcuni lattanti, soprattutto quelli a
termine, all’inizio dell’infezione manifestano una piastrinopenia, poi nel corso della guarigione
sviluppano una trombocitosi, che può arrivare a 1'000’000-1'200’000-1'400'000.
• Per la proteina C reattiva bisogna fare attenzione al valore di riferimento di quel metodo, perché
per alcuni il cut-off è 1, per altri è 10 mg/dl.
• Gli esami visti sono a disposizione di qualsiasi laboratorio.
• Nel liquido cefalorachidiano ci deve essere una certa quantità di globuli bianchi, ma senza globuli
rossi. Il problema di fare la lombare è che se si prende un piccolo vaso diventa inattendibile.
• Radiografie.
Una cosa importante è che l’emocultura è positiva solo nel 5-25% dei casi di sepsi neonatale. Quindi se è
positiva significa che si deve fare qualcosa, se negativa non si può non fare niente necessariamente. Il
motivo per il quale la percentuale è così bassa è la phlebotomy losses. Il neonato ha nel suo organismo 80
ml di sangue per chilo di peso, quindi un bambino di 3 kg ha 240 ml, un bambino di 1kg ha 80ml, un
bambino di 500g ha soltanto 40 ml. Per fare uno screening allargato si va praticamente a mandare il
neonato in stato di shock, in quel caso dovremmo trasfondere con però il sangue di un adulto donatore, e
i globuli rossi degli adulti sono molto poco distensibili rispetto a quelli di un neonato. Mentre i globuli rossi
del neonato in un vasellino si plasmano, diventano sottili e ci passano, quelli dell'adulto sono tozzi e non
riescono a passare. Quindi come abbiamo visto prima a monte il vaso si dilata e si spacca, a valle non
arriva più sangue. Ci sono tante patologie correlate alla trasfusione nel neonato, come reazioni allergiche
anafilattiche e la enterocolite necrotizzante.
Poi c'è un problema per alcuni tipi di infezioni, per esempio in un soggetto adulto in cui si sospetta
un’infezione fungina da funghi che non siano la Candida albicans, ma magari Candida parapsilosis ecc, per
fare una diagnostica ci vogliono 40-50 ml di sangue, ovvero l'equivalente di tutto il sangue di un neonato
di 500 g. Oggi ci sono dei sistemi avanzati che permettono in quattro ore, quindi senza aspettare le
classiche 48 ore per la coltura, di sapere se c'è un'infezione, ma anche, sulla base di pezzi del genoma
batterico, il germe in causa. In questo modo non si fa più una terapia empirica, ma una terapia mirata su
quel germe. Il problema di questi metodi è il loro costo.

Marcatori della sepsi


Nella storia della medicina sono stati proposti 150’000 marcatori di salute, quelli che usiamo oggi sono
circa una ottantina. Riguardo a questo c’è un articolo in letteratura che si intitola “a drop into the ocean”.
Per quanto riguarda la sepsi oggi vengono ipotizzati una sessantina di marcatori, ne vedremo comunque
meno. Tra i marcatori convenzionali abbiamo la PCR e la procalcitonina. Tra quelli promettenti la
presepsina e poi, tra quelli di nuova generazione, le discipline omiche.
In un neonato che ha un’infezione il primo
marcatore che si alza sono le interleuchine. I
problemi delle interleuchine, per cui non si usano nei
reparti, sono il costo e il fatto di essere fugaci. Poi
aumentano la procalcitonina e la sieroamiloide.
Infine la PCR, che sale lentamente. Il problema della
PCR è che è un indice non solo di infezione ma anche
di infiammazione, e ci sono una serie di cause che
possono determinare un aumento della PCR senza
che il neonato sia infetto. Il problema della
procalcitonina è che cambia di giorno in giorno il
valore di riferimento, quindi bisogna sempre
verificarlo nelle tabelle apposite. Una cosa interessante è che la procalcitonina ha un potere predittivo
negativo importante: se si ha la procalcitonina negativa la probabilità di avere un’infezione è di 1 su 20.
Prendiamo il caso di un neonato prematuro con un'infezione. La PCR aumenta ma intanto viene già messo
in terapia antibiotica, e la PCR continua a salire. Questo riguarda anche il bambino: se un bambino di 10
anni ha dei rantoli all’auscultazione e un addensamento all’Rx si fa diagnosi di polmonite e si inizia la
terapia antibiotica. Ma magari ha 140 mg/L di PCR e il giorno dopo ripetendo l'esame la PCR è a 280 mg/L.
Sappiamo infatti che la PCR continua ad aumentare anche se si sta facendo la terapia corretta. I nuovi
marcatori, invece, con la terapia antibiotica si riducono immediatamente, quindi nella pratica clinica sono
molto importanti.
Ovviamente facendo più di un marcatore si sarebbe più tranquilli, ma questo va contro ciò che abbiamo
detto prima: più marcatori significa più sangue, più rischio di shock, più trasfusioni, ecc. Tra i nuovi
marcatori abbiamo la presepsina, che ha il vantaggio di essere un marcatore di outcome. Infatti non serve
per sapere se il paziente ha un’infezione o meno, per quello abbiamo gli altri due marcatori, ma se in
corso di antibiotico entro ventiquattr'ore il valore diminuisce vuol dire che la terapia funziona. Un valore
molto alto all'ingresso significa che il paziente non sopravviverà, un valore molto alto in corso di terapia
antibiotica massiccia significa che il paziente non sopravviverà.

Laboratorio e diagnosi di sepsi neonatale


Da un punto di vista pratico se il neonato/bambino/lattante sta molto male non si deve aspettare. Se
abbiamo le 3 caratteristiche viste prima (not looking well, not feeding well, not breathing well) significa
che ha un’infezione e bisogna iniziare subito la terapia antibiotica, senza aspettare che arrivi la risposta del
laboratorio, che può arrivare anche dopo varie ore.
Se il neonato sta bene non si devono trattare i valori di laboratorio, la PCR potrà essere aumentata per
tutta una serie di motivi. Ovviamente questo non vale se troviamo la PCR molto alta, ad esempio a 168
mg/L, ma in realtà in quel caso il neonato sta male. Tra questi due estremi abbiamo tutta una serie di
quadri che non sono così facili. Il valore di laboratorio è straordinariamente importante nell'area del
grigio. Mai considerare i test in un vuoto clinico, ma alla luce del contesto in cui si trova il dato di
laboratorio. Una cosa molto importante è dialogare con il laboratorista.

Laboratorio: 5 messaggi da portare a casa


• Nessun test è perfetto e infallibile. Ci sono falsi positivi e falsi negativi.
Una cosa importante anche per l’esame è che c'è un caso in cui una emocoltura negativa non è sufficiente
ma bisogna averne due: i CoNS, gli stafilococchi coagulasi-negativi. Questo perché ci vuole poco per
contaminare l’ago con cui si fa il prelievo, perché sulla cute abbiamo milioni di stafilococchi.
• I test correnti non consentono di evitare l'antibiotico nel neonato con sospetta infezione, semmai
consentono di fare un precoce stop. Il messaggio da portare a casa è “start early, stop early”, non
bisogna aver paura di mettere un antibiotico in più. Perché il bambino è nell'area del grigio, perché
ha 2 delle 3 cose che abbiamo visto prima, perché non ci convince, perché la mamma è molto
agitata e ci dice che non è lui, che non lo ha mai visto così da quando è nato, che è strano e diverso,
che ha rifiutato il latte ed è la prima volta che succede.
Il problema è che oggi spesso si inizia la terapia antibiotica però poi non si ha il coraggio di
sospenderla, arrivando all’esposomica, cioè all’esposizione agli antibiotici che cambiano il
microbiota, che portano verso il collasso del microbiota, soprattutto se il bambino è molto
piccolo e avrà bisogno di più antibiotici nel corso della sua degenza. Mediamente un italiano dalla
nascita all’età dell’adolescenza fa 15 cicli di antibiotico.
Quello che spesso succede è che arriva un bambino, accompagnato dalla mamma, che ha male
all'orecchio. Nei primi due anni di vita semplicemente piange, ma con l’otoscopio vediamo che la
membrana timpanica è protusa, rossa, e si intravede del pus. È un’otite e va trattata con un antibiotico,
infatti bisogna sempre ricordare che l’otite anche per contiguità può diventare una meningite.
Ma prendiamo il caso di una mamma che porta un lattante, o anche un bambino di 2-3 anni che può
essere confondente, e il bambino non ha sintomi, non si porta la mano all’orecchio quindi non ha male
all’orecchio. Visitandolo però troviamo in timpano arrossato, che non vuol dire che abbia un’otite
purulenta. Nel dubbio diamo un antibiotico e la febbre va via. Si ripete però anche una seconda e una
terza volta. Quello che deve venirci in mente in questo caso è di fare un esame delle urine, perché questo
bambino non ha un’otite bensì un’infezione delle vie urinarie febbrile, vista l’età molto probabilmente si
tratta di una pielonefrite. Quello che succede è che con l’antibiotico (dato per il timpano arrossato)
vengono sterilizzate le vie urinarie del neonato, senza accorgersi che ha avuto una infezione delle vie
urinarie febbrile. Dopo 2-3 volte il bambino avrà un’insufficienza renale, soprattutto se è maschio e ha una
malformazione delle vie urinarie sfuggita ai filtri della diagnosi prenatale. Il bambino febbrile piccolo ha
una probabilità di avere un’infezione delle vie urinarie di 1 su 10, quindi bisogna sempre pensarci e fare un
esame urine.
• PCR > 10 mg/dl e rapporto neutrofili immaturi/maturi >0,25 è considerato criterio di inizio di
terapia anche in assenza di sintomi;
• Altra cosa pratica: due PCR negative a distanza di 24 ore escludono ragionevolmente l’infezione,
quindi possiamo sospendere l’antibiotico.
• Una giudiziosa selezione di un pannello di markers è molto utile per aumentare le probabilità
diagnostiche. Però dobbiamo fare l’emogasanalisi 4 volte al giorno, gli dobbiamo fare gli elettroliti,
dobbiamo monitorare la PCR. Quindi dobbiamo stare attenti nel richiedere tutti i marcatori, perché
potremmo poi avere la necessità di trasfondere il paziente.
Oggi nella pratica clinica utilizziamo dei marcatori tardivi, per nulla specifici e sensibili. Ad esempio la
creatinina, che aumenta quando il soggetto ha perso il 40% dei nefroni. Il motivo per cui si usa è che costa
pochissimo. In neonatologia poi, nella prima settimana di vita, esprime il valore della creatinina della
mamma.
Un’altra cosa importante messa in evidenza da un famoso laboratorista di Londra, è che quando si ha un
marcatore di cui è stata approvata l'efficacia da articoli internazionali validati ecc, passano 17 anni prima
che venga introdotto nella pratica clinica. Nel caso di un marcatore o di una terapia salvavita passano 10
anni.
Ci sono poi le nuove tecnologie, le cosiddette omiche, discipline olistiche che riescono a catturare la
grande complessità del nostro organismo. E infatti proprio per questa grande complessità dell’organismo,
pur applicando i protocolli internazionali, i pazienti rispondono in maniera diversa.

Terapia delle infezioni


La terapia delle infezioni sono gli antibiotici, ovviamente con o senza la terapia di supporto. Nelle infezioni
precoci si usano la beta-lattamina e l’amicoglicoside, nelle infezioni tardive si usano la vancomicina, o la
Teicoplanina, e l’Aminoglicoside.
L’Aminoglicoside ha il problema della tossicità, per cui richiede un dosaggio sartoriale nel singolo
bambino. Può essere una tossicità renale, molto frequente ma reversibile, o anche una tossicità cocleare,
molto meno frequente ma irreversibile. Peraltro la tossicità renale altera la farmacocinetica
dell’Aminoglicoside e questo poi dà con maggiore probabilità un danno a livello cocleare. Quindi bisogna
personalizzare il dosaggio e dare, nel neonato o nel lattante, una dose per chilo di peso superiore a quella
dell'adulto o del bambino, aumentando l'intervallo tra le dosi in modo da dare al rene la possibilità di
smaltirlo. Ad esempio, da anni si fa il monitoraggio delle concentrazioni ematiche degli Aminoglicosidi, ma
non entreremo nel dettaglio.
Un'altra cosa pratica importante è che non tutte le cefalosporine sono uguali, ognuna ha le sue
indicazioni. Il Ceftriaxone (nome commerciale Rocefin) non si può usare nel neonato (c'è una nota
dell'AIFA che lo proibisce) perché può causare la morte del paziente, mentre è eccellente in tutte le altre
età pediatriche. Il Ceftazidime non va utilizzato nei bambini cardiopatici e con edemi. Il Cefotaxime non va
utilizzato nei bambini che hanno disturbi della coagulazione.
Nelle infezioni tardive si usano i glicopeptidi. Non c'è motivo di utilizzare la Vancomicina, si utilizza come
prima scelta la Teicoplanina che è molto meno nefrotossica e dà eccellenti risultati.
Ci sono poi antibiotici molto potenti come i Carbapenemi, che hanno un'attività molto potente e ad ampio
spettro. Il Meropenem ad esempio è un farmaco eccellente.
Vancomicina + Aminoglicoside è la terapia delle forme ospedaliere.
Il problema è che mentre la ricerca ha fatto dei passi da gigante negli antivirali, anche per il problema
dell’HIV, negli ultimi anni sono stati prodotti pochi nuovi antibiotici. Intanto ci sono i super-bugs, che
hanno ucciso una quantità enorme di neonati, e c’è anche il problema delle resistenze di alcuni antibiotici
soprattutto nelle aree a rischio come i reparti di terapia intensiva neonatale e pediatrica.

Cosa vorremmo fare?


Il nostro sogno è quello di prevenire tutte le infezioni, ma non si può fare. Allora vorremmo almeno
diagnosticarle precocemente, se non lo si può fare vorremmo diagnosticarle velocemente e se non lo si
può fare vorremmo diagnosticarle almeno facilmente. L'obiettivo della nostra terapia è evitare che il
bambino muoia ed evitare che il bambino che supera l'infezione abbia dei danni di tipo neurologico.

Come si vince la guerra contro i batteri?


• Trattare solo quelli che ne hanno bisogno e, dovendo trattarli, trattarli efficacemente.
• Conoscere i farmaci e tenere sempre presente che utilizzando, ad esempio, due antibiotici la
tossicità si amplifica.
• Ricordiamo ciò che abbiamo detto prima, e cioè “start early, stop early”.
• Altra cosa importante è limitare gli antibiotici a basso spettro se è possibile. Oggi una scuola di
pensiero dice che invece nelle prime 48 ore bisogna utilizzare antibiotici ad ampio spettro, quando
poi si è isolato il batterio, ammesso lo si abbia isolato, utilizzare l’antibiotico specifico.
• Altro messaggio importante è “hit fast, hit hard” cioè se si decide di colpire si è in guerra e bisogna
combattere.
• Trattare la sepsi e non la colonizzazione: avere 1 batterio in gola non è importante, in gola abbiamo
1 milione di batteri.
• Trattare solo nel periodo stretto necessario.
Nel 1908 hanno vinto il premio Nobel per la medicina Paul Ehrlich e Il'ja Il'ič Mečnikov, il primo ha parlato
di “magic bulletts” cioè i chemioterapici, che oggi chiamiamo antibiotici, il secondo ha ipotizzato i
probiotici.
I batteri sono dei degli obiettivi in movimento e dobbiamo imparare ancora molte cose, perché altrimenti i
proiettili magici possono perdere la loro magia con un uso ripetuto. Il problema dell'antibioticoterapia è
un problema molto importante che riguarda noi clinici ma anche l’ambiente, perché gli animali e
l’ambiente in generale vengono trattati con gli antibiotici.
Gli antibiotici in pediatria
Sono passati molti anni da quando io avevo la vostra età ma nel trattamento delle infezioni neonatali e pedia-
triche è cambiato relativamente poco perché gli antibiotici, con o senza la terapia di supporto, rimangono la
cosa più importante. Gli antibiotici vanno conosciuti bene in pediatria perché come abbiamo detto il bambino
non è un piccolo adulto, il lattante non è un piccolo bambino, il neonato non è un piccolo lattante, il neonato
prematuro non è un piccolo prematuro e il neonato grande prematuro non è un piccolo prematuro.
I farmaci più usati in pediatria [domanda d’esame] sono gli antibiotici e negli ultimi 2/3 anni sono stati supe-
rati da un’altra classe terapeutica che sono i FANS.
Una cosa molto importante tra le caratteristiche degli antibiotici è quel “ben tollerato” e “privo di effetti se-
condari anti-renali” quindi significa che il rene per le sue caratteristiche è anche un concentratore di farmaci
e bisogna fare molta attenzione agli effetti collaterali.
Off-label significa che viene usato un farmaco fuori etichetta, cioè usiamo dei farmaci nel cui foglietto illu-
strativo non c’è l’indicazione per cui lo usiamo oppure lo usiamo con un dosaggio diverso. Oppure farmaci
cosiddetti “senza ricetta” che in teoria nn si dovrebbe usare ma purtroppo usiamo anche dei farmaci così. Li
usiamo perché sono farmaci indispensabili per i nostri piccoli pazienti. I farmaci sono studiati sull’adulto,
molto meno sul bambino, ancora meno sul neonato.
Addirittura più della metà dei farmaci che vengono usati nel bambino piccolo non sono stati sperimentati a
sufficienza. Per usarli correntemente nei bambini serve che, oltre ad aver eseguito una serie di studi clinici,
entrambi i genitori firmino il consenso informato.
Il messaggio è: la somministrazione di farmaci nei bambini piccoli è una cosa complicata infatti il rene e il
fegato funzionano in maniera diversa, la distribuzione dell’acqua è diversa e tutto questo ha una ripercussio-
ne pratica nel modo di somministrare i farmaci. Giusto per farvi una idea se il bambino piccolo ha molta più
acqua nello spazio extracellulare se io somministro il farmaco a parità di dosaggio per chilo si distribuisce in
un volume più ampio e quindi il picco è inferiore in proporzione a quello dell’adulto. Quindi in sostanza per
lo stesso tipo terapeutico devo usare dosi superiori a quelle degli adulti. Invece la capacità escretrice del rene
ma an- che del fegato del farmaco è ridotta quindi in proporzione devo
dare un intervallo di dosaggio più prolungato perché devo dare
la possibilità al rene e/o al fegato di poterlo eliminare.

Occorre sapere anche le differenze tra i vari tipi di


farmaci, e in questo caso degli antibiotici, perché se
non sapete queste cose finite per non fare l’interesse
del vostro paziente e vi ripeto che con le infezioni
non si scherza. Se voi sbagliate il farmaco o il do-
saggio avrete la falsa sensazione di aver coperto il
paziente ma se non avete usato il dosaggio giusto o
il farmaco giusto non riuscirete a raggiungere il pic-
co che per alcuni farmaci significa non risolvere il
problema del paziente. Raggiungere il picco per gli
aminoglicosidi è molto importante e se non si rag-
giunge la mortalità è 10 volte superiore.
Quindi queste sono alcune delle caratteristiche che riassumono quello che abbiamo detto:
- elevato contenuto di acqua
- Maggiore distribuzione del farmaco
- Riduzione del picco (es classico Aminoglicosidi)
- Immaturità renale
- Riduzione dell’iscrizione renale
E quindi la necessità della riduzione della frequenza di somministrazione.

Quindi alcuni farmaci come gli aminoglicosidi che sono tra i più utilizzati in neonatologia sono caratterizzati
da un basso indice terapeutico che vuol dire che il confine tra l’efficacia del farmaco e la sua tossicità è mol-
to labile.
Ecco perché è necessario somministrare la giusta dose al bambino e ci sono dei sistemi anche computerizzati
che ci permettono di trovare il dosaggio giusto dell’aminoglicoside.
Altro concetto importante è che non tutti gli aminoglicosidi sono uguali e non tutte le cefalosporine sono
uguali, alcune non vanno assolutamente usate in neonatologia nel primo mese di vita come il Ceftriaxone

1
perché associati a morte improvvise. Il nome commerciale del ceftriaxone è il Rocefin ed è un farmaco ec-
cellente nelle meningiti del bambino.
Se uno è in guardia medica e arriva un bambino con una meningite sospetta gli fa una fiala di Rocefin (se
non è un neonato) perché se non fa la fiala di Rocefin il bambino rischia di morire in quanto i batteri ogni 20
minuti si replicano e il medico finisce in galera.
Il Cefotaxime (Claforan) non va usato se ci sono problemi di coagulazione. Il Claforan e il Glazidim (Cefta-
zidime)non vanno utilizzati in bambini edematosi o con sindrome nefrosica.
Non entro nel discorso dei farmaci generici. Vi dico solo che il ceftriaxone ha 54 farmaci generici ed è stato
dimostrato che c’è una variazione nel raggiungimento del picco in oltre il 50% dei casi quindi la molecola
trasportata da un trasportatore piuttosto che di un altro, coniugata con un eccipiente piuttosto che un altro, ha
molti effetti diversi.
Ci sono delle differenze anche nei Glicosidi (non ho tempo per trattare tutti questi argomenti ma vi consiglio
di studiarli). Tra i carbapenemi il meropenem è meglio dell’imipenem.

Una cosa che invece dovete sapere sempre all’esame è


qual è il trattamento nel neonato, nel lattante, delle in-
fezioni early-onset e late-onset.
Per quanto riguarda le infezioni early-onset una asso-
ciazione di una ampicillina e un aminoglicoside poi
bisogna vedere se vi trovate dall’altra parte del mondo
perché la flora batterica può cambiare completamente.
Nelle infezioni late-onset la letteratura consiglia glico-
peptide come la vancomicina oppure cefotaxime se c’è
un sospetto di meningite. Le cefalosporine hanno una
penetrazione liquorale che è circa 100 volte superiore
agli altri farmaci.

I punti di forza dell’aminoglicoside, il farmaco più


utilizzato in neonatologia e in pediatria, sono
- velocità di batteriocidia, se dovete combattere una
sepsi o una infezione è meglio un antibiotico batte-
ricida che batteriostatico (un batteriostatico se usato
per giorni diventa un battericida però è meglio usa-
re un battericida da subito), l’aminoglicoside am-
mazza velocemente il nemico.
- Effetto post-antibiotico, quindi uso l’aminoglicosi-
de, se non ammazzo il nemico lo stordisco per 6/8
ore, anche se le mie concentrazioni sono andate al
di sotto delle minime concentrazioni inibenti dei
batteri

L’altra faccia della medaglia dell’uso degli antibiotici è che questi non vanno a colpire solo il batterio cattivo
ma tutti i batteri che possediamo.
Oggi sentirete sempre più parlare dello Stewardship ossia guidare le persone nel corretto uso degli antibioti-
ci, questo perché 58.000 neonati sono morti di infezioni batteriche che non rispondevano agli antibiotici.
Trovarsi di fronte ad una infezione e non sapere come trattarla è una frustrazione unica.
Ci sono problematiche microbiologiche di grande attualità per quanto riguarda le aree di neonatologia, fate
attenzioni a questo concetto di ESBL (extended-spectrum beta-lactamase) quindi in pratica sostanze che
vanno ad inattivare le beta-lattamasi.
Altro problema che riguarda i bambini piccoli sono le forme resistenti alla Vancomicina. Così come i batteri
si replicano velocemente si scambiano molto facilmente le informazioni, in questo modo tutta la resistenza
che uno ha maturato dal punto di vista selettivo la trasmette agli altri.
Inoltre quando avevo la vostra età c’era un’esplosione di nuovi antibiotici mentre oggi voi vi troverete ad an-
dare in giro con un bagaglio terapeutico che è poco efficace. Quindi dovete scegliere bene il vostro antibioti-
co perché altrimenti rischiamo di non avere più antibiotici a disposizione. Insieme al decremento degli anti-
biotici si è registrato invece un drammatico aumento degli antivirali, trascinato dal problema dell’HIV nel

2
mondo e anche da un altro concetto importante che non dovrebbe
centrare nulla che sono i profitti delle aziende farmaceutiche.

Che cosa vorremmo fare? Prevenire tutte le infezioni.


Se non riusciamo a prevenirle vorremmo almeno diagnosticarle pre-
cocemente.
Prevenzione primaria è evitare il contatto col batterio.
Prevenzione secondaria è fare una diagnosi precoce.
Se non riesco a far diagnosi precocemente vorrei almeno farla velo-
cemente.
O vorremmo almeno diagnosticarlo facilmente.
L’obiettivo è ovviamente ridurre la mortalità, soprattutto quella infantile, e ridurre il danno neuronale.

Come vincere la guerra contro i batteri?

- Trattare solo quelli che richiedono il trattamento e trattare in


maniera efficace
- Start early e Stop early, se avete qualche dubbio picchiate
duro, usando anche due farmaci
- Usare antibiotici a spettro limitato
- Trattare la sepsi, non la colonizzazione
- Trattare solo per lo stretto tempo necessario

Quando usate un farmaco ricordatevi che 9 su 10 viene


escreto con il rene, i farmaci determinano una insufficien-
za renale di tipo non oligurico ossia voi chiedete alla
mamma se il bambino urina e vi dirà che urina corretta-
mente e voi state tranquilli invece è sbagliato perché ad un
certo punto il bambino smette di urinare quando ha 3.2 di
creatinina. Quindi monitorare la funzione renale perché
guardare la diuresi non è sufficiente.

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ASFISSIA PERINATALE

Asfissia significa mancanza del polso. Gli antichi romani avevano osservato che alcuni neonati nascevano
come se fossero sotto l’effetto dell’oppio. Nel XVII secolo usavano mettere i neonati che non respiravano in
acqua fredda. I neonati hanno non di rado delle tachicardie parossistiche sopraventricolari con una frequenza
cardiaca di 300 che se perdura per qualche ora porta allo scompenso cardiaco. Ci sono diversi farmaci per
bloccare questa cosa e un metodo piuttosto brutale che però funziona è quello di immergere la testa del neo-
nato in una bacinella di acqua fredda e vedete che la frequenza cardiaca si normalizza.
Su 4 milioni di neonati morti 1 milione sono morti per asfissia. Elevato numero di danni cerebrali di cui 3/4
evitabili. Un bambino asfittico alla società costa circa 500.000€.

La prima causa di morte neonatale e di lesioni permanenti in Italia. Da qualche anno si pratica l’ipotermia e
negli ultimi anni si è scoperto che ci sono delle sostanze protettive nei confronti dell’asfissia. È interessante
il fatto che in Sardegna i neonati producono più sostanza che rispetto ad altre parti quindi è come se i neonati
sardi siamo geneticamente protetti dai danni dell’asfissia.

La frequenza dell’asfissia è 1-3 per 1000 nati vivi. Regola del 20% : il 20% di questi neonati può morire
quindi 1 su 5. Talvolta bisogna fare attenzione perché ci possono essere delle malformazioni e problematiche
che favoriscono l’asfissia. L’asfissia può verificarsi anche in parti assolutamente regolari fino all’ultimo mi-
nuto.

Encefalopatia asfittica perinatale è caratterizzata da disturbi neurologici che si verificano subito dopo la na-
scita e consistono nella difficoltà alla respirazione, ipotermia muscolare, riduzione dei riflessi e del livello di
coscienza.

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Asfissia neonatale (continuo…)

È bene ricordare che anche per i bambini che vengono prontamente rianimati in seguito a riscontro di asfissia
feto-neonatale, nel trasferimento dalla sala parto alla terapia intensiva passano almeno 100 secondi. Questo
naturalmente solo nei centri dotati di TIN, in centri periferici la situazione è molto diversa, soprattutto in Sar-
degna, unica regione italiana in cui non esiste un servizio di trasporto neonatale.

FATTORI DI RISCHIO DELL’ASFISSIA


- Malattie tiroidee materne: in Sardegna molto diffuse
- Ritardo di crescita intra-uterino
- Pre-eclampsia: che, nel mondo ogni anno, causa la morte di 30000 donne
- Febbre materna (listeriosi)
- Eventi ostetrici acuti

FISIOPATOLOGIA DELL’ASFISSIA
Nel cervello del neonato si susseguono, a seguito di asfissia una serie di eventi:
1. Deprivazione di ossigeno con conseguente ischemia
2. Fase di rivascolarizzazione (eccesso di ossigeno)
Lo stress ossidativo, quindi un danno da radicali liberi dell’ossigeno, si estrinseca a livello di tutti gli organi,
nel cervello in particolare.
L’organismo nel momento in cui si ha una depravazione di ossigeno va a privilegiare cervello, cuore, ghian-
dole surrenali e reni. L’organo che risente maggiormente della riduzione di ossigeno è il rene, soprattutto la
cellula del tubulo prossimale. Le cellule renali e cerebrali hanno dei contatti particolari (brain-kidney con-
nection): quando ad essere colpito è il rene (quindi le cellule renali) è più probabile che ci sia un danno neu-
rologico a distanza. Inoltre il rene svolge un ruolo cruciale per quanto riguarda tutto l’organismo: in caso di
insufficienza multi-organo, il coinvolgimento del rene porta ad un netto aumento dei tassi di mortalità.
Durante l’asfissia la cosa più preziosa da salvaguardare è il cervello, seguito dal cuore (ecocardiogramma del
neonato appena nato), il rene e il fegato (valutazione accurata della funzione renale ed epatica). Talvolta la
deprivazione di ossigeno è tale che nella cute del bambino sono presenti delle vere è proprie aree di necrosi.
A livello microscopico la cellula renale danneggiata si evidenzia per un orletto a spazzola (brush border)
danneggiato, le cellule morte successivamente vanno a sfaldarsi nel lume provocando ostruzione del lume.
Quest’ultimo evento è molto probabile che si verifichi dal momento che il diametro del lume è appena il
doppio del diametro della cellula tubulare.

Le tempistiche di intervento sono molto importanti: nel momento in cui si è verificata la necrosi cellulare su
questa non è più possibile intervenire. Nel momento in cui è presente solo un’infiammazione invece la riper-
fusione porta a un danno da stress ossidativo. Nella prima

1
situazione è presente un danno necrotico immediato, nella seconda un danno di tipo apoptotico che avviene
se la riperfusione avviene dopo le sei ore. Il danno necrotico prevale nei neuroni maturi, mentre il danno
apoptotico prevale nei neuroni immaturi.
Il concetto delle 6 ore viene anche molto utilizzato in terapia per valutare o meno se effettuare una terapia ri-
perfusiva a seguito di un evento ischemico.

In topi da esperimento sottoposti ad asfissia, sezioni di cervello analizzate al microscopio evidenziano una
netta riduzione sia del numero dei neuroni che delle connessioni interneuronali (perdita dell’arborizzazione
neuronale) rispetto ai topi non sottoposti ad asfissia. Anche per perdite minime di neuroni e di interconnes-
sioni neuronali il danno a livello clinico può non manifestarsi per i primi anni di vita ma iniziare a dare evi-
denza di sé durante gli anni della scuola dell’obbligo, fino ad un deterioramento molto rapido della riserva
funzionale dei mediatori e una maggiore predisposizione allo sviluppo di patologie neurodegenerative come
Alzheimer e Parkinson.

TERAPIA DELL’ASFISSIA
- IPOTERMIA: intervento terapeutico che funziona soprattutto nelle asfissie di tipo moderato (meno in
quelle di tipo grave). La metodica consiste nel raffreddare il bambino, soprattutto la testa del bambino. Il
rapporto tra bambini trattati e bambini che hanno un giovamento in termini di salute con questa metodica
è buono.
- INTERVENTI PREVENTIVI SULLA MAMMA: in questo caso il rapporto tra bambini trattati e bambini
che traggono giovamento dalla terapia pre-natale è sicuramente meno vantaggioso se confrontato all’ipo-
termia.
- INTERVENTI FARMACOLOGICI: molto discussi. Fino ad oggi sono state proposti una sessantina di far-
maci. La neuropotezione dei bambini, soprattutto dei neonati, è uno degli argomenti più importanti della
pediatria attuale. Di queste 60 sostanze quelle più utilizzate sono:
• ALLOPURINOLO: somministrato alla madre. Il problema di questo farmaco sta nel fatto che de-
v’essere somministrato a 54 madri per riuscire a prevenire un singolo episodio.
• ERITROPOIETINA: non solo utilizzata nell’aumentare la produzione di globuli rossi ma anche nel-
la prevenzione degli episodi di asfissia.
Questi farmaci vengono tutti testati su animali da esperimento controllati da comitato etico. I topi sottoposti
ad asfissia non sono più in grado di seguire i cunicoli (che i topi normali seguono
in automatico) ma rimangono a lungo indecisi su quale strada percorrere: tanto più è grave il danno asfittico
tanto più il topo rimarrà indeciso su dove andare. Il topo messo su un rullo invece, anche con danno asfittico
non molto grave non riuscirà a mantenere la coordinazione necessaria per non cadere dal rullo. Nei topi trat-
tati con EPO la capacità di rimanere sul rullo è simile a quella dei topi normali. Inoltre è stato notato come la
terapia con EPO funzioni molto meglio nella terapia delle neonate femmine.
- CELLULE STAMINALI

2
L’IPOTERMIA
Al neonato viene messo un casco che porta la temperatura del capo a 34°C-34,5°C e si ha comunque un raf-
freddamento di tutto il corpo. Un’altra tecnica prevede invece l’utilizzo di un lettino che raffredda tutto il
corpo. Il trattamento dura in genere 72 ore. Il raffreddamento porta ad un rallentamento del metabolismo ba-
sale delle cellule che diventano più resistenti e resilienti alla carenza si ossigeno. I danni neurologici nel
bambini grazie a questa metodica attualmente con molto diminuiti. Il raffreddamento fa sicuramente molto
bene ad un cervello in asfissia, ma per gli altri organi la situazione è un po’ dibattuta e non ci sono risposte
certe. L’applicazione di questa tecnica avviene in quel momento della vita detto anche ‘Golden hour’, ora
d’oro, da cui dipende tutto il destino di un individuo. Sono stati pubblicati tre grandi studi riguardanti l’effet-
to che l’ipotermia poteva avere sugli altri organi: il primo studio ha dimostrato che il rene non risentiva gran-
ché dell’ipotermia; nel secondo studio invece il rene si era dimostrato insofferente all’ipotermia.

Ci sono dei precisi protocolli che definiscono quali neonati devono essere sottoposti ad ipotermia e quali no.
Criteri che definiscono la possibilità di iniziare il trattamento sono:
• il tracciato elettroencefalografico (EEG) che in condizioni di emergenza può essere difficile da usare e vie-
ne più spesso utilizzato il Celebral Function Monitoring che è un sistema più semplice e veloce che con-
sente anche il monitoraggio durante la terapia e dà informazioni sulla prognosi. Si possono vedere delle
unghiate nel tracciato che sono associate a delle crisi convulsive clinicamente evidenti o sub-cliniche.
• L’ecografia cerebrale attraverso la fontanella anteriore (finestra acustica sull’osso) che permette anche di
misurare la pulsatilità dei vasi cerebrali e valutare la presenza di edema. Nei casi più gravi si ha un’imma-
gine ecografia cosiddetta a 4 colonne, la frase cronica è caratterizzata da segni di atrofia (accentuazione dei
normali solchi formazione di cisti corticali e sub-corticali)

Esistono dei precisi criteri di esclusione:


• Neonati con più di 6h di vita
• Anomalie congenite gravi (non sempre facile da valutare, non ci sono i tempi necessari per riunire il comi-
tato etico e il pediatra deve prendere la decisione in tempi molto brevi).

L’ipotermia è uno degli interventi più efficaci in pediatria e neonatologia: si devono trattare 4/8 pazienti
(NNT) perché uno abbia un vantaggio. Basti pensare che la somministrazione di surfactante alveolare, che ha
letteralmente rivoluzionato la neonatologia rendono possibile la sopravvivenza di neonati piccolissimi, ha un
number-needed-to-treat (NNT) di 8-9.
In ogni caso, prima si interviene con l’ipotermia maggiore è l’effetto terapeutico.

EFFETTI COLLATERALI DELL’IPOTERMIA


Come ogni intervento terapeutico anche l’ipotermia ha degli effetti collaterali. L’ipotermia può dare princi-
palmente ipotensione e bradicardia.

3
PROSPETTIVE FUTURE
Nel prossimo futuro si spingerà sempre di più verso terapie personalizzate. Ad esempio gli ultimi studi indi-
cano che un trattamento con ipotermia di 2 giorni (48h), e non più 3 giorni (72h), porterebbe a risultati tera-
peutici simili riducendo invece l’entità degli effetti collaterali.
L’ipotermia non si applica, attualmente, sul neonato prematuro anche se gli ultimi studi indicano che anche
questi neonati potrebbero giovare dell’ipotermia, soprattutto quelli ‘vicini’ alla definizione di neonato pre-
termine (late pre-term). Attualmente si tende in alcuni casi a proporre ai genitori la terapia personalizzata off-
lebel anche in bambini pre-maturi.
Nuovi studi stanno anche dimostrando che non si può escludere in assoluto che anche dopo le 6h dal parto un
bambino non possa trarre giovamento dall’ipotermia così come viceversa non si può essere certi che un bam-
bino trattato, per esempio, mezz’ora dopo la nascita non possa avere un esito comunque negativo.

Oggi si stanno cercando dei metodi diagnostici più raffinati basati su alcuni metaboliti per inquadrare l’asfis-
sia in maniera molto più accurata in ogni neonato e fare poi una terapia sempre più personalizzata. I metabo-
liti più usati sono il lattato, fumarato, succitato, alfa-chetoglutarato. Nel giro di qualche anno sarà disponibile
uno stick che permette di valutare in tempo reale i metaboliti e che permetterà di decidere del trattamento di
ogni neonato. 02:19:33

4
INSUFFICIENZA RENALE

Si parla di insufficienza d’organo quando l’organo ha difficoltà a svolgere la sua funzione in


maniera tale da rendere necessaria una terapia di tipo sostitutivo.

Si parla di danno renale acuto quando c’è un aumento della creatinina, testimonianza di un
ridotto funzionamento della funzionalità renale, a causa di un danno che può riconoscere diverse
origini come malformativo, infettivo, infiammatorio, iatrogeno, etc.

Si parla di insufficienza renale quando questo danno è così importante da mettere in atto una
terapia sostitutiva. La terapia sostitutiva, in questo caso, è la dialisi, declinata in tutte le sue
modalità: dialisi peritoneale, emodialisi, emofiltrazione, etc. Con la dialisi il rene può essere messo
a riposo.
Ci sono altri organi, invece, per i quali questo non risulta possibile. Ad esempio, i polmoni in caso
di insufficienza respiratoria, in questo caso sarà necessario intubare il bambino in modo da
consentire l’ossigenazione dei tessuti. In questo caso, il polmone, che ha già delle problematiche,
può ricevere inoltre un danno di tipo iatrogeno, collegato al volutrauma e al barotrauma.
Nel caso del rene, invece, è possibile mettere a riposo l’organo.
Quando un paziente, specialmente un bambino, ha una problematica di insufficienza renale, la sua
mortalità aumenta tantissimo, a testimonianza del ruolo importante svolto dal rene
nell’organismo.

Settimane di vita del bambino e filtrazione glomerulare:


- nella prima settimana di vita di un neonato prematuro la funzione è molto bassa
- in un neonato a termine ha più del doppio della funzionalità renale del neonato pretermine

La parte neonatale è un laboratorio molto importante perché avvengono numerose modificazioni


nell’unità di tempo, modificazioni repentine che sono servite molto nella storia della pediatria per
capire tutta una serie di cose, ad esempio, nella prima settimana di vita aumenta la gittata
cardiaca, diminuiscono le resistenze periferiche, aumenta il flusso ematico renale, aumenta la
diuresi e quindi questo che avviene brevemente in questo arco di tempo aiuta a capire i
meccanismi.
Nel lattante la funzionalità renale è significativamente inferiore a quella dell’adulto e quindi, posto
che il “burrone” della filtrazione glomerulare è lo zero, il bambino tanto più è piccolo tanto più è
vicino al burrone. Se un soggetto adulto ha 100 o più mL/min/m2 ha un margine superiore prima di
arrivare al burrone.
Il rene è un organo silente, dunque quando da segno di se vuol dire che si è già in una situazione
avanzata.

Nel neonato il tasso di insufficienza renale è superiore rispetto a quello delle età successive,
questo per il discorso fatto precedentemente, ovvero la funzione renale è più vicina al burrone
dello zero.
Se andiamo a vedere l’apporto delle singole forme di insufficienza renale, le tre grandi aree
dell’insufficienza renale (pre-renale, renale e post-renale) hanno una differente incidenza delle
varie età pediatriche:
- nel neonato 9 e più insufficienze renale su 10 sono di tipo pre-renale
- nel lattante fino all’anno di vita, circa il 60% sono di tipo pre-renale
- superato l’anno d’età sino all’adolescenza, diminuisce la percentuale di forme pre-renale e
aumenta quella delle forme intrinseche e parenchimali (renali), che sono più gravi rispetto
alle precedenti perché ci si trova in una situazione di non ritorno

L’insufficienza renale pre-renale viene anche detta insufficienza renale di tipo vasomotorio, perché
c’è una influenza importante del letto vascolare a livello generale e a livello del letto vascolare
intrarenale (glomerulare).

Quanto più piccolo è il bambino, soprattutto nel primo anno di vita, più è difficile poter
diagnosticare la patologia e tanto maggiore è la responsabilità dei pediatri e di chi avrà occasione
di vedere dei bambini. Se il bambino è in una fase di insufficienza renale di tipo pre-renale è molto
importante mettere in atto tutta una serie di strategie diagnostiche e terapeutiche per evitare che
la forma pre-renale si trasformi in forma renale.
Fare una diagnosi tempestiva e mettere in atto delle azioni utili è fondamentale per evitare che il
bambino poi vada sulla strada della dialisi.

Nel primo anno di vita, metà delle forme di insufficienza renale sono legate all’asfissia.

Un altro concetto importante è che la mamma si accorge che il bambino urina molto poco o che
addirittura smette di urinare.

È molto differente avere un’insufficienza renale in un bambino che sta ancora urinando o una
insufficienza renale in un bambino che urina poco. Nella condizione, infatti, dell’oligo-anuria, i
liquidi vengono trattenuti.

Fisiopatologia
La fisiopatologia dell’insufficienza renale è un braccio di ferro tra i fattori vasocostrittori
(angiotensina II e endotelina) e quelli vasodilatatori(prostaglandine e ossido nitrico), dove quelli
costrittori svolgono il ruolo di “cattivi”.
L’ossido nitrico è un potentissimo vasodilatatore, in neonatologia viene utilizzato a livello
terapeutico per il trattamento delle ipertensioni polmonari sia primitive sia secondarie (ad
esempio, infenzione).
Il rene neonatale è prostaglandino-dipendente, soprattutto in condizioni quali asfissia,
ipoperfusione renale, danni da farmaci (FANS).

Nelle forme pre-renali, abbiamo un qualche cosa che va a inibire le PG E2 urinarie, i FANS vanno
appunto a inibire queste PG, è da tenere in mente perché questi farmaci vengono usati dai
neonatologi e pediatri per chiudere il dotto arterioso di Botallo proprio perché si sfrutta questa
azione terapeutica di inibizione delle PG. Ciò che però fa bene a livello cardiaco fa male a livello
renale e di altri organi. Un tempo veniva usata l’indometacina, ora si usa l’ibuprofene perché è
egualmente efficace ma meno nefrotossico. Altri effetti collaterali importanti di questi farmaci
sono: emorragia cerebrale, gastropatia erosiva e enterocolite necrotizzante.

Nel glomerulo, quindi, agiscono fattori con azione o vasocostrittrice o vasodilatatoria, con
eccezione di una sostanza, l’adenosina, che ha un doppio ruolo: vasocostrittrice sull’arteriola
afferente e vasodilatatrice su quella efferente.
Questo è importante perché l’adenosina è un prodotto di degradazione dell’ATP e, quando il rene
è stato molto stressato e ha consumato molta ATP (le cellule del tubulo prossimale sono le più
specializzate, dopo i neuroni), quindi c’è molta adenosina e questa va ad esplicare la sua azione,
quindi vasocostringe l’afferente e vasodilata l’efferente. Nel glomerulo arriva meno sangue e e la
pressione all’interno del glomerulo si riduce e, di conseguenza, anche la filtrazione glomerulare.
Da un punto di vista pratico in un primo momento, il rene filtra ma non riassorbe e perde Na+,
fattore importantissimo per l’organismo, e la sua carenza a sua volta riduce la funzionalità renale.

In una cellula del tubulo prossimale normale, è presente il brush border ben organizzato, sono
presenti le pompe Na/k nel versante antiluminale e poi sono presenti delle molecole che hanno il
ruolo di agganciare le cellule del tubulo tra di loro.
In caso di danno renale, si verifica: rasatura di questo tetto a spazzola, lo spostamento delle
pompe Na/K dal versante anti-luminale al versante luminale (questo sconvolge tutti i processi di
riassorbimento elettrolitico e conseguentemente di acqua) e la perdita del contatto tra cellule
adiacenti e tra cellula e membrana basale (Anoikis= perdita della casa). Poi le cellule del tubulo
prossimale si sfaldano e quei “ganci”, che tenevano insieme le cellule, assumono qui un significato
negativo perché tengono unite le cellule e si verifica un’ostruzione tubulare. Se c’è un’ostruzione
tubulare a monte aumenta la pressione (la pressione transtubulare). Se prima di questo fenomeno
si era in una condizione di oligo-anuria, ora in una condizione di anuria.
Attualmente, a livello sperimentale, si stanno studiando delle disintegrine, che vanno a sturare il
lume tubulare.

Cause insufficienza renale acuta

Insufficienza renale:
- pre-renale
- intrinseca
- post-renale, abbastanza facili da diagnosticare perché si può diagnosticare con
un’ecografia

Nella forma post-renale:


 ostruzione a livello uretrale: tipico delle valvole dell’uretra posteriore nel maschio, che
sono reponsabili della maggior parte delle insufficienze renali croniche in tutto il mondo
 ostruzione da miceti, che deve essere bilaterale o in un mono-rene o in un mono-rene
funzionale (uno ectopico non funzionante). A livello del rene si formano le cosidette fungus
balls, che sono degli ammassi di miceti (diagnostica differenziale: ife nell’esame delle
urine). Quando c’è un’infezione renale da miceti, bisogna sempre stare attenti perché è
un’infezione molto grave e sistemica, associata ad una elevata mortalità e notevole rischio
di danno neurologico in caso di sopravivvenza.

Nella forma pre-renale:


 ipovolemia e ipotensione: emorragia, disidratazione (esempio, enterocolite necrotizzante
con perdita di enormi quantità di liquidi ed elettroliti a causa della perforazione), sepsi,
cardiopatie congenite, asfissia, farmaci come FANS, aminoglicosidi (sono gli antibiotici più
usati in pediatria e neonatologia per la loro potente azione battericida con un effetto post
antibiotico, quindi anche quando il farmaco ha una concentrazione bassissima continua ad
avere un’azione di blocco sui batteri, hanno un basso costo e hanno un’elevata velocità di
batteriocidia, cioè causano una morte preoce del batterio)
Nelle forme renali o intrinseche o parenchimali:
 asfissia: se questa dovesse essere molto grave, è come se venisse saltata la forma pre
renale e si avrà direttamente quella parenchimale
 sepsi: in caso di grave sepsi, si avrà immediatamente un’insufficienza renale
 infezioni
 farmaci

Caso clinico:
bambino che al momento della nascita ha una funzione renale normale, dopo 2 giorni ha
un’insufficienza renale acuta perché ha le valvole dell’uretra posteriore. Durante la vita fetale la
funzione renale viene vicariata dalla placenta, quindi al momento della nascita il rene comincia a
funzionare e quindi solo dopo si manifesterà l’insufficienza renale.
All’ecografia del rene a due giorni di vita, si possono osservare dei “buchi neri”, che sono le zone
sprovviste di nefroni. Un rene ha circa 1 milione di nefroni per rene, quando sono presenti questi
buchi vorrà dire che il rene non avrà 1 milione di nefroni ma magari 600.000.
Partire con un numero di nefroni ridotto significa avere un grosso handicap perché significa che
una noxa di qualunque genere (infezione, aminoglicosidi, compressione, ipotensione, ecc) può
causare più facilmente un’insufficienza renale.

Caso clinico:
bambino con diagnosi prenatale di pielectasia bilaterali (dilatazione della pelvi), alla nascita
l’ecografia è negativa e non viene programmato nessun controllo. Arriva al pronto soccorso, in 17a
giornata, per vomito insorto da qualche giorno e anuria. Il bambino presenta acrocianosi, calo
ponderale di mezzo kg (mezzo kg su un bambino che pesa 5 kg è un calo ponderale molto
importante). La diagnosi era urosespi, quindi una sepsi con partenza dalle vie urinarie con grave
insufficienza renale acuta, iposodiemia e iperkaliemia. Le indagini dimostravano una dilatazione
importante dell’uretere, segno che indica sempre una patologia, l’uretere non si dovrebbe vedere
all’ecografia.

Quindi, un antibiotico, o più in generale un farmaco, può danneggiare il rene in molti punti diversi,
ad esempio la cellula del tubulo prossimale.
• Gli aminoglicosidi vanno ad accumularsi nei lisosomi, interferiscono con il riassorbimento
proteico nel brush border, interferiscono con la fosforilazione ossidativa nei mitocondri,
con la sintesi del reticolo endoplasmatico e con la pompa Na/K.
• Glicopeptidi: Vancomicina e teicoplanina vanno a concentrarsi nei lisosomi.
Nei bambini, l’associazione aminoglicosidi e vancomicina causano una rottura lisosomiale
(lisosoma-tropismo) e quindi la morte della cellula.
Quindi più farmaci possono agire a livello di diversi punti oppure sullo stesso (aminoglicosidi e
vancomicina).

Uno studio effettuato sul’insufficienza renale nel neonato ha dimostrato la connessione tra
assunzione di FANS in gravidanza e insufficienza renale nel bambino, proprio a causa
dell’inibizione delle prostaglandine. Se la mamma prende i FANS prima del termine, questi vanno a
chiudere il dotto di Botallo, causando morte del bambino.
Quindi il rene si trova in una posizione particolare, perché può essere danneggiato sia dai farmsci
somministrati al bambino, sia indirettamente per i farmaci somministrati alla mamma.
Laboratorio

- Na basso
- K alto: il K è un serial killer. La creatinina non ha mai ammazzato nessuno, invece il K alto
può portare alla morte. Davanti ad un paziente con il K alto è necessario intervenire
precocemente (si possono usare vari farmaci come kayexalate, resine, salbutamolo, ecc
che hanno meccanismi differenti, il kayexalate depaupera le riserve di K, gli altri
semplicemente lo spostano). Se il K è alto, verificare che il prelievo non sia stato emolitico.
È necessario fare subito un ECG.

Come distinguere i vari tipi di insufficienza renale?

Per le forme post-renali, si può notare la presenza di un globo vescicale.


È importante differenziare le forme renali da quelle pre-renali: intanto bisognerà valutare
l’osmolarità urinaria e l’escrezione frazionata del Na.
Il rene inizialmente perde del Na, si applica l’escrezione frazionata del Na, ovvero (Na urinario/Na
plasmatico) x (Cr plasmatica/Cr urinaria) x100. Quando il bambino ha un valore >3% perde molto
Na, se se ne perde il 5% o il 7% significa che ormai l’insufficienza renale è di tipo renale.
Se è una forma pre-renale, c’è una ipotensione o ipovolemia, si verificano in 9 casi su 10 nel
neonato e 6 casi su 10 nel lattante. Se noi diamo dell’acqua in queste forme, evitiamo che si passi
dalla forma pre alla forma renale.

Il rene per funzionare bene ha bisogno di:


• Acqua
• Ossigeno, soprattutto nelle cellule tubulari, che consumano elevatissime quantità di ATP
• Calorie, qui c’è un dubbio amletico, cioè per far funzionare il rene c’è bisogno di energia,
per dare energia devo dare un carico di volumi elevato, se però il paziente non urina
perché ha un’insufficienza renale di tipo parenchimale-intrinseca, allora non si posono dare
alti volumi e gliene dovrei dare pochi, se però ne do pochi allora do poche calorie, se do
poche calorie allora il rene non funziona bene. In questa situazione qualunque cosa si fa è
sbagliata, l’importante è sbagliare in meglio.
• Na, è un fattore di crescita per l’organismo ma serve anche al rene. Se uno ha insufficienza
renale e si è bloccato per altri motivi, allora si bloccherà anche perché il Na è basso.
• Proteine, devono essere adeguate. Pensiamo alla sindrome nefrosica, uno degli errori più
frequenti è non riconoscerla nonostante i bambini si presentino gonfissimi. Questi bambini
sono pieni di liquidi che stanno al di fuori del letto vascolare, il bambino ha un’ipotensione.
L’errore più grave è quello di somministrare un diuretico, che farà collassare il bambino,
perché c’è poco liquido nel sangue e quindi con il diuretico la situazione precipita. Invece è
necessario somministrare albumina, che aumenterà la pressione oncotica, richiamando
liquidi all’interno del compartimento vascolare. Solo alla fine dell’infusione di albumina si
potrà usare il diuretico, permettendo al bambino di urinare senza collassare. In pediatria il
diuretico va usato con moderazione, massimo 2 mg/kg/die x Creatininemia, partendo dal
dosaggio più basso per poi arrivare a quello più alto.

Quando si somministrano dei farmaci nefrotossici, e questi sono numerosissimi perché il 90% dei
farmaci viene escreto per via renale, bisogna ricordarsi di fare attenzione alla funzione del rene
perché l’insufficienza renale da farmaci nelle prime fasi è di tipo non oligo-anurico, per questo sarà
necessario valutare la creatinina e non solo la quantità di urine, perché in questa fase si trova il
bambino che urina però con una creatinina a 1.7, ad esempio. Se non si blocca la
somministrazione del farmaco, allora il bambino smette di urinare e a quel punto siamo già in
un’insufficienza renale di tipo renale.

Un altro errore frequente, soprattutto in mancanza di tempo, è quello di aggiornare


automaticamente la terapia senza un’attenta valutazione degli esami di laboratorio, quindi magari
la creatinina, il giorno prima normale, diventa 1.8 e questo può creare problemi nel caso in cui non
dovesse essere modificato il dosaggio della terapia.

Nella pratica, se un bambino si presenta gonfio per la perdita di liquidi dal compartimento
vascolare, potrà arrivare anche a non respirare più, a quel punto bisognerà considerare di
ventilarlo.

Quindi, tornando al discorso della differenza tra una forma pre-renale e una renale, se il bambino
arriva alla vostra attenzione e non urina la probabilità che si tratti di una forma pre-renale è molto
elevata, allora si utilizza la prova dell’espansione (che i nefrologi chiamano finestra d’acqua)
bisogna dare dell’acqua perché se è una forma pre-renale si sblocca.
Quanta acqua? 20 mL/kg di fisiologica in 2 h.
Se la diuresi non riprende, allora ripeto la prova dell’espansione e dopo furosemide, almeno 2
mg/kg. Se il bambino ha ancora una funzione residua riprenderà a urinare, sia per l’acqua che per
il diuretico.
Se questo non dovesse accadere, allora significa che siamo già nell’insufficienza di tipo renale.
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE

Le infezioni delle vie urinarie sono delle infezioni batteriche serie e più pericolose nel bambino.
Nei maschi sono delle infezioni molto comuni, sia all’inizio che alla fine della vita. Nelle femmine
invece c’è un piccolo picco nell’infanzia e poi aumentano sempre, con l’inizio della vita sessuale
cambiano anche i germi, aumentano in gravidanza perché la gravidanza, da un punto di vista
biocibernetico, è una condizione di riduzione della tolleranza immunologica in modo da consentire
ad un corpo estraneo di crescere.

Guardando l’epidemiologia delle infezioni delle vie urinarie, nel primo anno di vita si verificano più
frequentemente infezioni febbrili, cioè pielonefriti.
Esiste una predisposizione genetica per le infezioni delle vie urinarie.

L’urotelio delle vie urinarie è tappezzato di cellule ombrello, sono come delle piastrelle che
tappezzano la vescica e che hanno un significato protettivo perché i batteri le attaccano si sfaldano
e questo evita la penetrazione del germe, quindi l’infezione.

Clinica

Vomito, anoressia, febbre, calo ponderale, disidratazione, oliguria, ematuria.


Nel neonato c’è l’ittero, in un neonato con ittero prolungato è necessario fare un esame delle
urine con coltura. È sempre bene fare contemporaneamente esame urine con coltura.
Nel neonato con diarrea si tende sempre a pensare ad una patologia dell’apparato
gastrointestinale ma può essere presente nell’ambito di queste infezioni.

8/9 su 10 sono dovute a E. coli. In Europa, un germe su due è resistente all’amoxicillina, di fronte
ad un bambino con infezione delle vie urinarie febbrile bisogna sempre dare amoxicillina-ac.
Clavulanico.

Un bambino su dieci che arriva in pronto soccorso con febbre ha un’infezione delle vie urinarie,
quindi è sempre necessario fare uno stick delle urine, se si vede la presenza di leucociti e nitriti
positivi fa sospettare un’infezione urinaria.
Tipicamente è la mamma a dire “le urine hanno un odore strano”, la mamma è abituata all’odore
di urina del bambino quindi si accorge immediatamente nel caso in cui questo dovesse essere
diverso. Se l’odore è diverso, è molto probabile la presenza di un’infezione delle vie urinarie.

Se il bambino dovesse avere una pielonefrite, in un caso su tre si può associare una sepsi.

In una infezione delle vie urinarie su tre è presente una malformazione delle vie urinarie. Le
malformazioni più frequenti in pediatria sono quelle cardiache e quelle dell’apparato
genitourinario. In Sardegna, le malformazioni cardiache sono il doppio rispetto a quelle del resto
dell’italia, a causa della segregazione genica e forse per la presenza di uranio impoverito ecc.

Ecografia: nel caso di infezioni da miceti si possono osservare le fungus balls, che appaiono
iperecogene, sono degli ammassi di funghi.

Caso clinico: bambino nasce a termine, 3 kg, con una dilatazione della pelvi bilaterale. Alla nascita
viene fatta un’ecografia e risulta negativa. Viene in pronto soccorso in 27a giornata per vomito
post prandiale da 3 giorni. Questo bambino aveva un’urosepsi con reflusso vescico-ureterale
bilaterale. Si mette un catetere in vescica e si fa una cistouretrografia minzionale, comunemente
chiamata cistografia e si mette un colorante in vescica.

Caso clinico: bambino con oliguria e piuria, è un bambino che ha un’insufficienza renale, la
creatininemia arriva a 2.5. Mettendo le urine al microscopio si vede un tappeto di leucociti
(piuria). Il bambino ha un reflusso vescico-ureterale monolaterale.

Laboratorio:

 PCR, è un marcatore non solo di infezione ma anche di infiammazione


 Procalcitonina, in neonatologia avere la procalcitonina negativa anche a fronte di una PCR
positiva significa avere un potere predittivo negativo molto elevato, cioè se sospettiamo
un’infezione in un bambino piccolo e la procalcitonina è negativa, la probabilità che ci sia
un’infezione è 1 su 20, quindi ci da un’indicazione importante. Nelle pielonefriti, la
procalcitonina è molto alta. Si correla all’entità e alla vastità del danno pielonefritico,
trovare valori alti significa, a distanza di tempo, trovare cicatrici con la scintigrafia, cioè
riduzione dei nefroni.

La maggior parte delle infezioni delle vie urinarie si verificano da piccoli, all’età di 7 anni il 97% dei
bambini ha già avuto un’infezione delle vie urinarie.
Di fronte ad un bambino con la febbre bisogna sempre eseguire un esame urine altrimenti c’è il
rischio di dare un antibiotico, si sterilizza e questo può far passare inosservata una possibile
malformazione delle vie urinarie, con il rischio di arrivare all’insufficienza renale cronica.

Gestione di una prima infezione delle vie urinarie febbrile:


in passato, bastava avere una prima infezione febbrile per eseguire una cistografia. La cistografia
può essere complessa nel sesso maschile, nei maschi invece l’inserimento del catetere può essere
più problematico. Inoltre, alcuni genitori percepiscono la cistografia come un abuso sessuale.
Allora è stato creato un algoritmo per ridurre al minimo il numero di cistografie, questo algoritmo
ha ridotto di più della metà l’esecuzione di questi esami, facendolo solo in caso di effettivo
bisogno.
Quindi, di fronte ad un primo episodio febbrile, si esegue un’ecografia, se questa è normale e non
ci sono fattori di rischio, non si fa niente. Si fa qualcosa solo alla seconda infezione. Se invece
l’ecografia è patologica oppure sono presenti dei fattori di rischio, allora viene fatta subito la
cistografia. Molto spesso i bambini vengono messi, in attesa dell’esecuzione della cistografia, in
antibiotico-profilassi, che di per sé è un controsenso.
La cistografia si fa, in genere, dopo un mese. In questo periodo il pediatra fa eseguire
un’antibiotico-profilassi in modo da evitare un’altra infezione delle vie urinarie.
Neuropsichiatria Infantile
La Neuropsichiatria Infantile è una branca specialistica della medicina che si occupa dello sviluppo
neuropsichico e dei suoi disturbi, neurologici e psichici, nell’età tra zero e diciotto anni. (definizione da
Wikipedia). Nata nel secondo dopoguerra come sub-specializzazione della neuropsichiatria, in Italia è
rimasta unificata, mentre altrove ha seguito le vicende del settore adulti, che negli anni ’70 ha iniziato a
suddividersi in psichiatria e neurologia. Quindi l’unione delle due parti nell’ambito pediatrico esiste solo in
Italia e in questo corso verranno affrontate entrambe ma con una maggiore attenzione su quella
psichiatrica. In questo contesto ci riferiremo alla patologia non come male dell’anima ma impareremo
come il cervello, durante il suo sviluppo, porta ad una serie di comportamenti differenti per quanto
riguarda le maniere di sentire il mondo e di interagire con esso. Gran parte della psicopatologia dell’adulto
infatti inizia in età evolutiva. Quello che verrà trattato in questa lezione è essenzialmente lo sviluppo del
bambino normale, come si sviluppa fisiologicamente il suo sistema nervoso, che servirà poi come base per
trattare in seguito le patologie. Ciò che dobbiamo imparare da questo corso è il metodo con cui affrontare
il problema, dividerlo nelle sue singole componenti, imparare il giusto approccio terapeutico pensando che
quello che verrà attuato o meno adesso, avrà degli effetti ed eventuali ripercussioni su quel che sarà il
bambino da adulto.

Prima di iniziare il prof mostra un video di Davide, 3 anni, affetto disturbo dello spettro autistico. Il bambino
ha scarso interesse nell’interazione con la neuropsichiatra e scarsa capacità di comunicazione (non la
guarda e non le rivolge la parola). Si nota a un certo punto lo spiccato interesse per la simmetria : il bimbo
allinea gli oggetti quasi perfettamente e continua a controllare che stiano allineati. Questo tipo di disturbo
comprende una grande variabilità di comportamenti e di forme con cui si può presentare.

Introduciamo alcuni concetti:

Salute neuropsichica in età evolutiva: la salute cognitiva emotiva e sociale che permette al bambino di
sviluppare un’interazione con l’ambiente adeguata alla sua età. La salute è quindi intesa come capacità di
godere delle occasioni di vita tipica dei coetanei. Da questo possiamo capire come un paziente può avere
una patologia ma riuscire comunque a fare le cose che fanno gli altri: si parla di buon funzionamento
globale. Questo si collega al concetto di qualità della vita come la percezione soggettiva del proprio
benessere correlato alla salute; essendo soggettiva non è correlata alla gravità del disturbo. Ad esempio
quando abbiamo l’influenza la nostra qualità della vita è bassissima perché non riusciamo a fare niente,
tuttavia non è una malattia grave e dopo tre giorni guariamo. Salute, gravità dei sintomi e qualità della vita
sono cose diverse e il medico deve tenere conto di tutti questi aspetti assieme all’assenza di
psicopatologia.

Altro concetto fondamentale è che lo sviluppo non è lineare ma va “a salti”. Ci sono tappe in cui la vita del
ragazzino cambia, se una tappa va male, le altre tenderanno ad andare peggio (valuto non solo come è
adesso ma di come diventerà da grande se non si interviene). Per esempio i disturbi d’ansia sono
frequentissimi anche durante lo sviluppo e se non vengono gestiti, potrebbero scomparire per un certo
periodo ma poi ripresentarsi in un’altra forma. È dunque importante anche questo: man mano che lo
sviluppo va avanti cambia anche la psicopatologia, pur essendo l’alterazione di base la stessa.

Quali sono le tappe di sviluppo?


• Una delle tappe fondamentali è quando cammina e potrebbe fare delle cose che l’adulto (punto di
riferimento) non vuole e quindi inizia la necessità di entrare in conflitto. Quale è il miglior modo
per farlo? Parlarne, infatti a quell’età incomincia anche a parlare. Quest’ultima è una cosa
faticosissima, quindi ci deve essere un motivazione, una spinta, per cui iniziare a parlare.

• Altra tappa importante è quando il bambino va alla scuola materna e si trova a che fare con altri
coetanei, non più solo la mamma. Deve “dividere” con gli altri le attenzioni dell’adulto e acquisirà
tutta una serie di funzioni molto importanti, come seguire le prime regole ecc.

• A 6 anni va alla scuola elementare, non solo deve seguire le regole ma viene anche valutato per
quello che farà: nuovo cambiamento importante.

• 11-15 anni: inizia la fase che chiamiamo adolescenza e inizia il pensiero ipotetico deduttivo(?)*
ovvero “Io penso che lui pensi che io pensi..”. C’è inoltre una ricerca importante di autonomia che è
fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano: nel momento in cui l’uomo è in grado di
riprodursi cerca di diventare autonomo perché ha tutte le capacità dell’adulto. In questa fase, noi
siamo costruiti in modo tale che la parte di ricerca del piacere e della gratificazione è molto
sviluppata mentre la parte inibitoria corticale non lo è ancora del tutto. Questo si è mantenuto in
natura e fa parte dell’evoluzione umana perché è quel che portava alla sopravvivenza (conflitto coi
genitori allontanamento da essi fondazione di un’altra tribù/famiglia).

*Nella Rec non si sente la parola, su Internet ho trovato che lo sviluppo cognitivo dell’adolescente è
caratterizzato dal pensiero ipotetico-deduttivo, cioè in grado di trarre conclusioni da pure ipotesi
che vanno oltre l’osservazione concreta. Quindi se il bambino si occupa perlopiù del presente e di ciò
che oggetto della sua esperienza immediata, l’adolescente estende la sfera della sua attività
concettuale all’ipotetico, al futuro e a ciò che è lontano nello spazio.

Il Nucleo accumbens

Biologicamente tutto quello che facciamo, lo facciamo perché porta alla gratificazione. Qui ha un ruolo
centrale il Nucleo Accumbens, esso non percepisce il piacere ma il fatto che sarò gratificato. Esso è il motore
che si attiva quando sto per mangiare un pezzo di cioccolato; quando inizierò a mangiarlo si attiveranno
invece altre aree. Questo vale per tutto quello che si fa. Sino ai dieci anni ciò che il bambino vuole ottenere
è gestire il comportamento degli adulti. C’è un disturbo chiamato disturbo di condotta in cui il bambino
cerca di violare sistematicamente le regole; è un disturbo in cui si può intervenire, talora
farmacologicamente, prima che possa diventare un disturbo della personalità da adulto.

La parte del nucleo Accumbens si sviluppa prima della parte cognitiva e tornando al discorso
sull’adolescenza, è normale e fisiologico che avvenga così. La maggior parte dei ragazzi di questa età ha un
buon funzionamento, circa il 20 % ha qualche difficoltà, e di questi la metà sono casi che possono essere
gestiti anche senza ricorrere alla farmacologia; il 10% rappresenta la percentuale a cui viene fatta una vera
e propria diagnosi neuropsichiatrica. C’è infine un 2% che rappresenta i casi in cui l’intervento medico non
funziona. Il motivo principale sta nel fatto che questi ragazzi non chiedono l’aiuto o al massimo lo chiedono
ai coetanei; questi ultimi talvolta li vedono “strani” e li allontanano o li bullizzano. La prevenzione della
patologia si fa facendo conoscenza sulla psicopatologia stessa. Così come Giacomo fa una vita normale pur
avendo il diabete e quindi una disfunzione a livello del pancreas, allo stesso modo il ragazzo affetto da
questo tipo di patologie ha una porzione di cervello che non sta funzionando e anche per lui esistono una
serie di interventi per farlo funzionare come gli altri. Il problema di alcuni disturbi, come vedremo, è che
sono appunto difficilmente gestibili come etichetta patologica ma in realtà sono fortemente gestibili dal
punto di vista terapeutico per il miglioramento della qualità della vita.

Il nucleo accumbens è stato studiato da anni da Dott. Gian Luigi Gessa. Lui faceva delle ricerche utilizzando i
roditori e agli allievi faceva questo esempio. Immaginate una gabbia dove c’è un ratto femmina in estro,
immaginate di mettere nella gabbia il ratto maschio, il suo nucleo acumbens si attiva all’impazzata perché
sta pensando quello che farà, quando entrerà in azione si attiveranno altre aree. Il nucleo acumbens è
quello implicato anche in tutte le sostanze d’abuso. Si tratta infatti di sostanze che fanno aumentare i livelli
di dopamina in questa regione che rappresenta il nostro motore per vivere ma che può essere poi falsato e
quindi dare psicopatologia.

Come si sviluppa il sistema nervoso centrale?

Lo sviluppo morfologico, in generale, non è omogeneo. Abbiamo un picco intorno ai 4-5 anni per la parte
sensitivo motoria. Nel complesso questo tipo di sviluppo finisce intorno ai 20 anni, invece quello funzionale
continua sino ai 25. Se parliamo delle diverse patologie, l’ADHD inizia intorno ai 5 anni, i disturbi d’ansia tra
i 5 e i 10 anni, i disturbi dell’umore possono iniziare intorno ai 7-8 anni ma il picco è intorno ai 14-15 anni, lo
stesso vale per la schizofrenia. L’uso e abuso di sostanze ultimamente si è spostato di recente a un’età un
po’ inferiore rispetto a prima ma in generale tutti i tipi di psicopatologie iniziano in età evolutiva (prima dei
15 anni circa).

Lo sviluppo motorio

Il bambino attraversa diverse fasi:

- Il bambino a 3 mesi si guarda intorno e inizia a sollevare e muovere il capo, se non lo fa può essere
un campanello d’allarme.

- Il bambino a 6 mesi, riesce a stare più dritto, a rimanere seduto e tiene le mani e le braccia “a
paracadute” come riflesso. Anche qui se ciò non avviene ci si deve insospettire. Una lesione del
cervelletto ad esempio può portare ad un bambino totalmente ipotonico. Sono infatti presenti
fisiologicamente tutta una serie di riflessi che il bambino fa senza pianificare.

Esistono tutta una serie di tabelle (presenti nelle slides) che permettono di valutare eventuali segni di
alterazione dello sviluppo.
Da Internet:

BIMBO SINO AI 3 MESI:

o Aumenta gradualmente la capacità di controllare la testa, che riesce poco a poco a tenere
sollevata. Comincia anche a sollevarla verso l'alto quando è a pancia in giù.

o Aumenta gradualmente la capacità di portare le mani alla bocca.

BIMBO A 6 MESI:

o Sta seduto con o senza appoggio.

o Riesce a mettersi su un fianco e a rotolare.

o Si piega sulle ginocchia quando i piedi sono appoggiati a una superficie stabile.

o Afferra gli oggetti, sia con la destra sia con la sinistra, e li porta alla bocca.

BIMBO A 9 MESI:

o Rotola, striscia, gattona, si mette a sedere da solo.

o Riesce a sostenere il proprio peso sulle gambe e talora a mettersi in piedi.

BIMBO A 12 MESI:

o Si mette in piedi e compie passi laterali, cammina appoggiandosi ai mobili o in modo autonomo.

o Afferra oggetti in modo sempre più fine e coordinato. (mette e toglie oggetti da un contenitore, si
sfila le calze ecc.)

Questo è lo sviluppo motorio. La parte cognitiva e affettiva è quella meno conosciuta dai pediatri e più
approfondita dallo neuropsichiatra infantile.

Come inizia l’interazione del bambino con l’ambiente esterno?

Abbiamo varie fasi:

• Identificare le regolarità predicibili

Quando vedete un bambino appena nato, in genere gli sorridete e lo salutate. Il bimbo in genere
sorride, perché? Tutti i bambini sono fatti in modo che quando sentono una certa frequenza
sonora, in risposta, contraggono i muscoli della faccia (qualsiasi cosa gli venga detto). Così inizia
un’interazione perché voi, a vostra volta, in risposta al sorriso del bambino continuate a
guardarlo/parlargli/sorridergli. In questa fase dello sviluppo, il massimo della gratificazione è
identificare le regolarità predicibili: ogni cosa che si ripete per lui è importante perché può
prevedere quello che capiterà. Questo è l’inizio della comunicazione, al bambino piace sentire il
suono.

• Brevi episodi di interazione sociale

Dopo un po’ voi vi girate a parlare con la mamma, portando meno attenzione al bambino: questo è
il modo in cui il bambino inizia a capire che le interazioni con gli altri possono essere mutevoli e non
necessariamente prevedibili. Quando riesce a prevederle però è contento, quindi la mamma gli fa il
solletico, lo prende in braccio, lo gira, ed è il ripetere dello stimolo che crea gratificazione e da qui
nasce il legame. Quest’ultimo dipende da sistemi di interazione basati sull’ossitocina e dal nucleo
accumbens .

• Possibilità di movimento

Cosa succede quando il bambino inizia a camminare? Qui può iniziare a raggiungere i suoi primi
obbiettivi ma non è detto che “tutti siano d’accordo”. Ad esempio il bambino si allontana per
raggiungere la palla ma la madre per tenerlo sotto controllo non vuole che si allontani. Iniziano così
i primi piccoli conflitti, e nasce la necessità di spiegare il perché si vuole spostare, dove vuole
andare, cosa vuole ottenere ecc. e da qui la necessità di comunicazione verbale.

• Percezione degli altri come oggetti soggettivi

Percepire gli altri come “oggetti soggettivi” significa che il bambino capisce che non tutti fanno
quello che vuole lui, ma hanno i propri obbiettivi ed è lui che deve convincerli a entrare in relazione
con sé stesso per ottenere quello che vuole (anche qui sottolineiamo l’importanza del nucleo
accumbens).

Sviluppo del linguaggio nel primo anno di vita

Intorno ai 5 mesi inizia a dire le prime sillabe, intorno ai 7 mesi, imitando i suoni che sente dice “mamma”,
non perché ne capisce il significato, ma nel momento in cui la dice ottiene l’attenzione e la reazione della
madre e capisce che quella parola è importante. Verso i 9 mesi inizia a capire il significato delle prime
parole e lo fa in maniera probabilistica. Un po’ come quando noi parliamo e/o leggiamo non ci soffermiamo
sul significato della singola parola ma dopo l’intera frase capiamo il senso e anche se quest’ultima non è del
tutto corretta, riusciamo comunque a capirne il significato. Il bambino impara anche tramite l’equivoco, ad
esempio se io dico “bambi” una persona può pensare che stia dicendo “bambino” ma magari io sto
parlando di Bambi il cerbiatto; impara così vari significati delle parole. All’inizio le frasi mancano dei verbi,
ma abbastanza rapidamente il linguaggio si evolve e si arricchisce.

Chiaramente tutto questo processo nel complesso è abbastanza faticoso: devi emettere suoni, imparare in
termini probabilistici, provare a dire le parole, associarle al significato, unirle insieme. O si ha un motore
che spinge a farlo oppure non lo fate; qual è il motore? Entrare in relazione e avere da questo la
gratificazione. Nel bambino autistico del video il linguaggio era molto povero; normalmente a 3 anni i
bambini sanno già un sacco di parole e le articolano già bene. Inoltre il bambino ripetendo la parola
“aquilone” aveva una strana intonazione, quasi cantilenante. Nella frase è importante non solo la
morfologia ma anche la sintassi e la modulazione della voce.
Man mano che cresciamo iniziamo a capire come ciò che fanno gli altri è mosso dai loro desideri, e questo
avviene dal secondo anno di età. Questo è sotto un certo punto di vista il periodo “peggiore”
nell’educazione del bambino perché l’aggressività è totalmente fisiologica. Esempio: il bambino vede un
suo coetaneo giocare con un giocattolo, allora glielo prende e glielo porta via. A 3 anni invece i bambini
giocano insieme, cosa è successo? Tornando all’esempio di prima, supponiamo che il bambino condivida il
giocattolo con l’altro, succede che per questo viene lodato e premiato dall’adulto. Capisce che se si
comporta così ottiene un premio. Se nel momento in cui si comporta male e prende i giocattoli degli altri
viene gratificato, ovviamente continuerà a comportarsi così. Esiste un disturbo, il disturbo di condotta, in
cui come vedremo ci sono delle basi biologiche ma è anche l’ambiente in cui cresce che porta il suo
cervello a svilupparsi in maniera diversa! Questo è importante da capire, perché significa che il contesto in
cui il bambino cresce farà in modo che a 15 anni egli sarà biologicamente diverso dal bambino che invece
ha avuto molto supporto esterno.

Sviluppo sociale tra i 3 e i 6 anni

• Capacità simboliche fondamentali

• Inizio di relazioni triadiche con sviluppo di emozioni complesse (non si tratta solo della
relazione tra io-e-mamma ma comincia la relazione tra più persone)

• Gestione nuove emozioni (incomincia a tollerare e modulare le rivalità, a sentire la gelosia,


eccitazione e desiderio)

• Sistema di regole e la morale (la quale ha una sede fisica nel lobo frontale, e da cui
scaturisce il senso di colpa ecc.)

Domanda: il fatto che alcuni bambini inizino a camminare a 7 mesi e altri a un anno è dovuto a differenze
biologiche o all’ambiente in cui vivono?

Risposta: Entrambi. Ci possono essere alcune parti del cervello che maturano più lentamente ma se
opportunamente stimolate il problema si risolve. Teniamo conto comunque che in biologia le variazioni
interindividuali possono essere del 10% in generale per essere considerate fisiologiche.

Funzioni esecutive

Poniamo il caso in cui è presente un problema che voi dovete risolvere. Bisogna affrontare varie tappe per
raggiungere lo scopo: avere in mente ciò che si vuole ottenere e organizzare la successione delle attività in
maniera regolare, quindi organizzare un piano. Queste capacità vengono definite funzioni esecutive. Nel
SNC la sede deputata a queste funzioni è la porzione dorsolaterale della corteccia prefrontale.
Da Internet

La porzione dorsolaterale è deputata all’organizzazione e pianificazione dei comportamenti complessi e


delle cognizioni di livello superiore, che vanno dalle azioni volontarie e logicamente ordinate alla
programmazione motoria, alla fluidità verbale, all’apprendimento e all’utilizzo di concetti e strategie.

Mentre tutto questo avviene però, percepite dall’esterno tutta una serie di stimoli che devono rientrare nel
vostro schema. Se infatti non rientrano tendenzialmente vi fermate, ed elaborate un altro piano. Per
portare a termine il vostro scopo dovete dunque utilizzare una serie di funzioni. Vediamo quali sono più nel
dettaglio:

• Inibizione

Quando state imparando a guidare siete sempre più inibiti rispetto a chi guida da tempo. Allo
stesso modo se dovesse capitare che al semaforo invece del verde spuntasse una luce blu, cosa
fate? Vi fermate. Quindi anche l’inibizione è una funzione utile nello svolgimento di una
pianificazione. Un bambino di 6 anni può utilizzare queste strategie.

• Memoria di lavoro

Si tratta di ricordare delle informazioni e saperle manipolare. Esempio: avete i numeri 3,6,25,64. Se
prendete il primo e l’ultimo numero, e poi lo sottraete dalla somma dei quattro numeri. State
utilizzando la memoria di lavoro.

• Pianificazione

Devo seguire una serie di tappe.

• Flessibilità

Essere flessibile significa che se cambia il contesto devo adattarmi e attuare una strategia diversa
da quella pianificata all’inizio.

• Fluenza

Vuol dire che devo sempre ragionare con nuove idee


Tutte queste funzioni possono essere misurate in maniera attendibile dai 6 anni in poi tramite dei test.
Chiaramente noi non nasciamo così ma crescendo si sviluppano queste capacità. Se voi infatti regalate a un
bambino di 3 anni uno scatolone di Lego per costruire un castello, noterete che il bambino, iniziando a
costruire mattoncino per mattoncino, borbotterà: si sta dicendo cosa deve fare. È un discorso autodiretto
verbale che poi intorno ai 6 anni diventa non verbale, perché se lo tiene per sé, iniziando a pianificare e a
utilizzare le funzioni esecutive.

Il bambino inizia così a controllare anche le emozioni e a posticipare una gratificazione. Ad esempio: al
bambino in età scolastica in genere cosa piace fare? Correre, rotolare e azzuffarsi coi compagni. A un certo
punto la maestra gli dice che deve imparare la poesia; il bambino nonostante preferisca fare alto, si mette
d’impegno e impara la prima strofa. Perché la impara? Perché sa che se lo fa riceverà un premio dalla
maestra e/o dalla mamma; ha dunque posticipato la gratificazione. Poi la maestra lo esorta a imparare
anche seconda e terza strofa; il bambino che tuttavia vorrebbe andare a giocare decide di svolgere prima
questi compiti (per lo stesso motivo). Sta quindi imparando che un’azione complicata può essere suddivisa
in parti semplici, una dopo l’altra; impara il senso del tempo, del ritmo e della pianificazione.

Le parti del SNC che permettono questi sviluppi sono principalmente la corteccia prefrontale dorsolaterale
che è fortemente connessa con i nuclei della base.

Il SNC

Un po’ di filogenesi: gli uccelli non hanno la corteccia e non la avevano neanche i rettili. Dunque
utilizzavano il talamo e i nuclei della base. Con l’evoluzione tramite la corteccia i rettili facevano un sacco di
cose sfruttando la corticale. Se andate a vedere la differenza morfologica tra il cervello di uno scimpanzè e
quello di un umano quali sono le differenze? La corteccia prefrontale ma anche il cervelletto.

Da Internet: Nel corso dell'evoluzione il cervello dell'uomo, così come degli altri organismi viventi, è
notevolmente aumentato in termini di dimensioni e complessità. Caratteristiche, queste, che hanno
permesso un migliore adattamento all'ambiente esterno. Le risposte agli stimoli ambientali dunque sono
passate dall'essere risposte automatiche e riflesse ad essere intelligenti e plasmabili dall'esperienza.

La corteccia cerebrale
Nell'essere umano la corteccia cerebrale presenta delle circonvoluzioni. È infatti notevolmente ripiegata al
fine di poter contenere un ampia superficie (ben mezzo metro quadrato!) senza un aumento del volume del
cervello. Le pieghe più profonde prendono il nome di scissure. Nella corteccia umana ci sono quattro
scissure, due laterali e due centrali che rappresentano i punti di riferimento principali della corteccia umana.
Infatti attraverso queste scissure possiamo individuare quattro lobi:

• il lobo frontale
• il lobo parietale
• il lobo temporale
• il lobo occipitale.

La parte anteriore del lobo frontale viene denominata corteccia prefrontale. Nei mammiferi il 90 per cento
della corteccia cerebrale prende il nome di neocorteccia. Si tratta della parte di corteccia più recente dal
punto di vista evolutivo ed è caratterizzata da 6 strati. Il 10 per cento rimanente è dato dalla corteccia
olfattiva e dall'ippocampo. Queste due parti vengono definite anche paleocorteccia per la loro origine più
antica. È sicuramente degno di nota il fatto che nella maggior parte dei pesci, dei rettili e degli uccelli la
corteccia olfattiva occupi quasi del tutto la corteccia cerebrale. Ogni lobo è sede di funzioni localizzate
individuabili nella superficie cerebrale e denominate aree corticali.

Il concetto di localizzazione delle funzioni non significa che una funzione sia svolta esclusivamente da una
determinata area dato che la maggior parte delle funzioni sono espletate da neuroni di regioni cerebrali
diverse. Ciò che è importante sottolineare è che certe aree hanno una più stretta relazione con determinate
funzioni rispetto ad altre. Dunque ogni area è deputata a svolgere principalmente una certa funzione. Ma
come vengono integrati i diversi stimoli che giungono alla corteccia? Questi processi di integrazione
avvengono grazie alle cortecce associative. Esse ricevono informazioni dalle aree sensoriali e fanno sì che
abbiano luogo le funzioni cerebrali più elevate come la percezione, il pensiero, il linguaggio, la memoria e il
comportamento emozionale.

Tutta la parte cognitiva è regolata dalla parte che percepisce il premio o la punizione. Tutte le performance
cognitive sono regolate dalla ricompensa. La parte del SNC in cui percepiamo il premio o la punizione è la
corteccia orbitofrontale. La sua parte più laterale percepisce le punizioni e la porzione più mediale
percepisce i premi. Quest’ultima è organizzata in modo tale che ci sia una zona deputata alla gratificazione
semplice (ad esempio il gusto) e verso l’altro polo la regione deputata alla gratificazione complessa (ad
esempio il denaro). Quando metto in atto un’azione cognitiva complessa, devo attivare tutta l’area della
gratificazione; essa durante lo sviluppo tende a modificarsi sino ai 20-25 anni.

Come prendiamo una scelta?

Giro del cingolo: parte anteriore deputata alle scelte, parte posteriore deputata all’introspezione. Le scelte
possono essere cognitive (sopra il ginocchio) o affettive (sotto il ginocchio). Il paziente depresso, essendo
anedonico, non percepisce la gratificazione e non attiverà il cingolo perché non fa scelte affettive.

Da Internet: Giro del cingolo  Zona della corteccia del lobo prefrontale situata al di sopra del corpo
calloso. È parte del sistema limbico e presiede al coordinamento tra afferenze sensitive ed elaborazioni
emozionali. (Nell’immagine in basso è la porzione in viola)

Il prof descrive le slides elencando le varie aree: corteccia motoria, corteccia premotoria (schemi del
movimento), dorsolaterale (funzioni esecutive), orbitofrontale. Queste aree sono connesse con i nuclei
della base. Abbiamo poi la parte cognitiva e il nucleo acumbens.

Tutto questo è regolato da neurotrasmettitori come la dopamina. Essa è prodotta in diverse aree e
permette dei network funzionali tra i neuroni del mesencefalo, i nuclei della base e l’area limbica. Grazie
alla dopamina si può partire dalla gratificazione per gestire un movimento e viceversa posso utilizzare il
movimento per gestire la gratificazione. Sono dei sistemi anatomici che vanno in parallelo, possiamo
definirli indipendenti ma allo stesso tempo correlati tra loro in qualche maniera. Da un lato elaboro le
informazioni, dall’altro decido come utilizzarle: decido di fare un movimento ma anche come farlo e a cosa
è finalizzato. Nel disturbo ossessivo compulsivo il paziente ha dei pensieri intrusivi, percepiti come
spiacevoli e deve fare delle azioni (compulsioni) finalizzate ad alleviare il disagio provocato dalle ossessioni.
Qui l’alterazione principale è a livello dei nuclei della base e nel ragazzino si accompagna spesso ai tic.

L’Amigdala

Cosa fareste se vi buttassero addosso un serpente? Scappate, ancora prima di capire cosa stia
effettivamente succedendo. Questo avviene grazie all’amigdala che percepisce gli stimoli avversivi ancora
prima della comprensione visiva. Quando vedo una faccia in primis cerco di capire chi è (quindi gli aspetti
invariabili delle facce) e nel frattempo capisco come è (se è contento, triste, arrabbiato ecc.). Quindi
anatomicamente parlando, si attiva l’area visiva a livello della Scissura calcarina del lobo occipitale ma
anche la Circonvoluzione fusiforme (area delle forme emotivamente importanti). Tramite la corteccia
uditiva cerco di capire cosa sta dicendo e infine in amigdala, insula e altre aree associo le emozioni. Ad
esempio se al museo una persona qualunque vede una scultura, dopo poco tempo si allontana e prosegue
la visita, ma se arriva una persona appassionatissima di arte e scultura, quella persona rimarrà molto tempo
a osservare la medesima opera d’arte perché a essa assocerà anche una buona componente emotiva. Nei
disturbi d’ansia vedremo come si ha una disregolazione dell’amigdala che non viene inibita dalla corteccia.
Invece tramite uno studio era stato dimostrato come, nel ragazzo autistico, alla visione di una persona non
corrisponde l’attivazione di tutte queste aree cerebrali. Questi ragazzi hanno talora una percezione degli
altri come se fossero oggetti e non associano l’area affettiva alla visione della persona. Questo fa capire
anche come spesso possano essere sotto tensione quando circondati da molte persone che cercano di
interagire con loro; per avere un’idea immaginate di vedere gli oggetti di una stanza rivolti verso di voi che
vi parlano.

Default Network

Quando non state facendo niente, vi state riposando. Qual è l’organo che consuma più ossigeno? Il cervello,
seguito dal cuore e poi dal fegato. A un certo punto fate un gesto, si attiva l’area motoria, consumate più
ossigeno (il 5% in più). Ci sono delle tecniche che permettono di valutare l’attivazione di un’area cerebrale e
di quelle a esso connesse tramite il ritmo di consumo dell’ossigeno. La tecnica di Risonanza
Magnetica funzionale (fMRI) consiste nell'uso dell'imaging a risonanza magnetica (MRI) per
valutare la funzionalità di un organo o un apparato, in maniera complementare all'imaging
morfologico. Questa tecnica è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (cambiamenti
nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata all'attività neuronale del
cervello. Quindi potete organizzare delle mappe sulla base del pattern del consumo di ossigeno delle aree
cerebrali e questo aiuta a capirne la funzione. Quando non fate niente c’è una parte che consuma
l’ossigeno che viene indicata col nome di Default Network. Nel momento in cui compio un gesto invece, si
spegne il default network e si attiva la parte motoria. Sono due parti in equilibrio. [Da Internet: Per Default
Mode Network (DMN) si intende una rete neuronale distribuita in diverse regioni corticali e sottocorticali,
che viene generalmente attivata durante le ore di riposo e di attività “passive”, viene anche definita
Connettività funzionale intrinseca. Essa viene invece dis-attivata quando al cervello è richiesto di svolgere
compiti che richiedono un’attenzione focalizzata (Executive Attention Network – EAN). Le due reti neuronali
sembrano agire come muscoli agonisti e antagonisti: l’attivazione della prima rete tende a sopprimere
l’attività della seconda.]

Quindi: 1) mi riposo  attivazione default network, 2) compio un’azione/movimento  attivazione


corteccia parietale (che riceve informazioni dall’esterno) con attivazione area motoria e disattivazione
default network. 3) Subito dopo però avrò una riattivazione del DMN perché esso rappresenta la
connettività con sé stessi, ed io, compiuto il movimento devo “pensare a me stesso”.

Alterazioni di questi sistemi sono state associate a sintomi psicopatologici.

Da Internet: Aree cerebrali del Default Network: Le strutture corticali e sottocorticali che fanno parte di
questa rete possono in parte variare da individuo ad individuo, ma in generale sono riconducibili ad alcune
aree principali: ippocampo, giro para-ippocampale, corteccia prefrontale mediale, regioni temporali
laterali e temporo-parietali, cortecce posteriori mediali (corteccia cingolata posteriore e precuneo).
Tali circuiti cerebrali attivi di default sono tipici, appunto, dei momenti in cui non si è focalizzati sul mondo
esterno e non si sta compiendo un’azione, ma piuttosto caratterizzano circostanze in cui si è svegli e si sta
pensando a noi stessi, a eventi del passato o si sta pianificando il futuro. Ecco che il Default Mode
Network (DMN) può corrispondere a un’attività di introspezione o al pensiero autoreferenziale o ancora “al
sognare ad occhi aperti”.

Ricapitolando come funzionano tutte queste aree cerebrali e sistemi di cui abbiamo parlato oggi - corteccia
prefrontale, il cingolo, la gratificazione e il default network- facciamo un esempio:

Immaginiamo Luigina, 14 anni, che è stata invitata alla festa di una compagna di classe, ci vorrebbe andare
perché c’è Gigetto con cui vorrebbe parlare ma è indecisa perché alla festa del mese prima non era riuscita
a parlare con lui. Deve prendere una decisione e dunque una serie di informazioni da sè stessa: quanto è
importante andarci? Ne vale la pena? Qual è il tempo per farlo e qual è la probabilità giusta che ci riesca?
Deve stimare l’importanza per se stessa e mettere in atto le strategie per arrivare all’obbiettivo. Dovrà
attivare Working Memory (Memoria di lavoro). Valutazione, decisione e management sono in parallelo.

Dal punto di vista biologico attiverà il Default Network, quindi cingolo anteriore, una parte di corteccia
parietale ecc. Attiverà anche l’autoregolazione che è controllata dalla parte esecutiva (corteccia prefrontale
dorsolaterale), lo striato dorsale e la corteccia parietale dove arrivano le informazioni. Ovviamente ha un
ruolo la gratificazione - penso che potrò uscire con Gigetto- sia la valutazione di quello che è successo e che
potrebbe succedere. Nella psicopatologia, l’alterazione di una di queste porzioni fa si che il decision
making tenda verso una parte o verso l’altra; siamo noi che scegliamo, ma lo facciamo sulla base di queste
alterazioni biologiche a livello del SNC. Addirittura si può vedere la psicopatologia come l’alterazione di
questi singoli sistemi.

Sviluppo embrionale e post natale dell’encefalo

Abbiamo sinora parlato di aree che si sviluppano, già prima della nascita c’è uno sviluppo.

Notocordatubo neurale si formano 3 “bolle”


Dalla “bolla anteriore” si forma il diencefalo, da quella intermedia il mesencefalo, dalla terza si formeranno
bulbo e midollo allungato.

Intorno ai 7 mesi si formano le circonvoluzioni perché viene a “mancare lo spazio” e la corteccia come un
foglio di carta si ripiega. Abbiamo gli abbozzi dei due emisferi, la corteccia e infine i nuclei della base.

Vediamo come si sviluppa la corteccia, in maniera molto semplificata. È importante anche perché alcune
patologie hanno origine proprio durante questo sviluppo, ad esempio l’autismo.

All’inizio, nella corteccia abbiamo una parte ventricolare in cui sono presenti cellule staminali che iniziano a
dividersi in maniera programmata in base all’assetto genico. Si formeranno i neuroni e poi si formeranno
cellule (ovalari?). Avremo una porzione di neuroni che diverranno piramidali che incominciano a migrare
attraverso una sorta di binario, la glia radiale, verso quella che sarà poi la corteccia. Prima di arrivare
troveranno altre cellule gliali che le “fermeranno” perché il neurone piramidale deve arrivare al momento
giusto, ovvero quando stanno arrivando gli interneuroni (che giungeranno per via trasversale). Solo al
momento giusto potranno quindi migrare. Gli interneuroni partono da quello che sarà poi il talamo e da
quelli che saranno i nuclei della base prendendo la via “radiale”. I neuroni piramidali sono
fondamentalmente eccitatori, gli interneuroni sono GABAergici/inibitori. Come funziona il sistema? Arriva
lo stimolo, il neurone “si accende” e trasmette lo stimolo a un altro neurone (che può essere anche
dall’altra parte della corteccia). Una volta acceso il neurone però deve essere spento , e quindi serve un
sistema attivato dalla stessa innervazione che ha la funzione di inibire. Se però rimane inibito quel sistema
non funziona più: c’è allora un altro interneurone che inibisce l’inibitore. Questo meccanismo di doppia
inibizione è un meccanismo comune a tutto il sistema nervoso centrale. Dopamina, serotonina,
noradrenalina altri neurotrasmettitori hanno l’effetto di modulare questi sistemi a livello della corteccia e
dei nuclei della base. Regolano così la parte cognitiva, affettiva ma anche motoria.

A sei anni il cervello è aumentato di dimensioni perché sono aumentate le arborizzazioni, questa crescita
continua più o meno sino ai 20 anni. La porzione che si modifica di più è quella parietale, che riceve gli
stimoli esterni, poi si sviluppa molto quella prefrontale (elaborazione delle informazioni) e infine l’insula, di
cui parleremo nelle prossime lezioni. Questo processo continua in realtà anche dopo i 20 anni: cambiano i
nuclei della base e la corteccia prefrontale che continuerà a evolversi.

Che cosa si intende per malattia?

In una disciplina in cui i criteri di diagnosi sono un po’ variabili bisogna saper definire questo concetto. In
termini medici qualsiasi la malattia è caratterizzata da una fenomenologia clinica. Ad esempio: nell’infarto
si ha dolore precordiale che si irradia al braccio, per quanto riguarda la fisiopatologia sapete che vi è stato
un fenomeno ischemico e in base alla patogenesi sapete che ci può essere una placca aterosclerotica ecc.
Alla base abbiamo l’eziologia e i fattori di rischio: ipertensione, dislipidemie ecc. Sapete infine che se non si
fa nulla il paziente può morire o anche sopravvivere con delle complicanze.

Criteri per la definizione di un’entità nosografica distinta:

• Eziologia

• Patogenesi

• Fisiopatologia
• Fenomenologia clinica

• Storia naturale, decorso

• Complicanze

• Strategie terapeutiche

Questi tipi di ragionamento riguardano tutta la medicina compresa la psichiatria. Per quanto per alcune
patologie ci siano i test genetici, nella psichiatria, come vedremo non si possono utilizzare per prevedere
l’insorgenza di una patologia perché ci sono tanti altri fattori da considerare.

Kandel, uno dei maggiori neuroscienziati del XX secolo, studiò i meccanismi della memoria nei molluschi,
quindi in un sistema semplice costituito da circa 1000 neuroni. Egli era anche uno psichiatra e quando vinse
il premio Nobel raccontò la sua esperienza di specializzando in psichiatria negli anni 50 a New York. Gli
dissero addirittura di non studiare prima di entrare a contatto col paziente, perché se avesse studiato
avrebbe “cambiato” la diagnosi clinica. All’epoca infatti contava solo quello che diceva il paziente: niente di
oggettivo. Quando i soldati tornavano dalla guerra di Corea, se avevano un braccio amputato ricevevano la
pensione ma se tornavano con -quello che definiamo ora- Disturbo post Traumatico da Stress non sapevano
bene come valutarlo. Iniziarono così a utilizzare il DSM I: un approccio nominale, niente di evidence-based,
puramente teorico. È stata apportata poi qualche modifica nel DSM II (organizzato un po’ meglio) ma la
rivoluzione è nata col DSM III. Negli anni 60 gli Stati Uniti avevano sviluppato un sistema di assistenza
pubblica per cui lo stato dava una serie di sussidi alla popolazione; furono approvati i programmi di
assistenza federale Medicare e Medicaid messi in atto soprattutto durante la presidenza di Johnson. Negli
anni 80, Regan smonta il sistema sanitario in nome dei tagli alla spesa pubblica e arrivarono così le prime
limitazioni e una riduzione delle fasce sociali beneficiarie. Ecco così che tra le varie modifiche si trovano a
dover essere codificate patologie psichiatriche che sino ad allora erano solo descrittive. Nello stesso
periodo si andava avanti anche con gli studi genetici ma il vero cambiamento fu la definizione di un insieme
di sintomi per definire la patologia. La task force del DSM-III infatti, guidata da Robert Spitzer, ha lavorato
per eliminare qualsiasi teoria eziopatogenetica e limitarsi alla sola descrizione di sintomi e segni. Si
definisce per questo “ateorica”: lo scopo era creare uno strumento attendibile che facilitasse la ricerca e il
dialogo tra i professionisti di diversi orientamenti teorici. La task force della quarta edizione (DSM-IV),
guidata dallo psichiatra Allen Frances, ha proseguito sulla stessa linea, mantenendone i presupposti
descrittivi e ateoretici. Quindi DSM III e DSM IV sono dei sistemi che si basano solo su questa logica
(sintomi, fisiopatologia, complicanze). Il DSM V, è la sigla con cui viene identificata l’ultima edizione del
DSM, la cui pubblicazione negli Stati Uniti è avvenuta a maggio del 2013. Viene così introdotto il
raggruppamento in Spectrum disorders: vengono messi insieme disturbi con caratteristiche diverse, ma che
condividono possibili basi neuropatologiche. Questo permette di intraprendere delle strategie terapeutiche
che vanno ad agire sulle varie componenti che talora possono essere in comune nelle varie psicopatologie.
La successione dei capitoli segue l’andamento del ciclo di vita: dai disturbi dello sviluppo (infanzia), a quelli
che esordiscono in giovane età (spettro schizofrenico, bipolari) e, infine, a quelli neuro-cognitivi, più
caratteristici dell’età avanzata (demenze). L’approccio dimensionale si associa a quello categoriale, al fine di
meglio comprendere il disturbo individuale nella sua complessità. Questo cambia le visione della patologia:
dalla semplice presenza o assenza al grado di sofferenza della persona, che diviene elemento centrale e
maggiormente rilevante della diagnosi.

In tempi recenti si è assistito all’emergere anche di un altro approccio allo studio delle malattie mentali
chiamato Research Domain Criteria o RDoC, (creato da Insel, 2010) e promosso in USA dal National
Institute of Mental Health. Esso si costituisce come una rete di ricerca con lo scopo di integrare dati
provenienti da diverse linee di studio (dalla genomica alle neuroimmagini, senza dimenticare la ricerca
clinica in senso stretto) ed in tal modo di “comprendere meglio le dimensioni di base del funzionamento
sottostante lo spettro completo dei comportamenti umani dal normale al patologico” (NIHM, RDoC).
Questo approccio si propone, in lungo termine, di fornire degli elementi di precisa caratterizzazione
fisiopatologica di quegli elementi clinici, notoriamente transnosografici, che caratterizzano le malattie
mentali per come le conosciamo e classifichiamo oggi.

Per spiegare la differenza tra DSM V e sistema RDoC facciamo un esempio: consideriamo la paura.
Proviamo a pensare a un ragazzino di 9 anni che ha paura degli aghi e non si fa fare un prelievo perché
piange e/o fugge . Dovendo fare una diagnosi, cosa direste che ha? Tramite l’RDoC abbiamo tutta una serie
di informazioni riguardo geni, molecole, serotonina, recettori del GABA, glutammato, oppioidi, i circuiti
implicati, il comportamento ecc. Questo sistema tiene conto di tutti questi aspetti ed è molto importante e
interessante ma nel momento in cui faccio una diagnosi è decisamente più pratico utilizzare il DSM V.
Tramite quest’ultimo posso infatti fare diagnosi di fobia specifica per aghi sangue e ferite che corrisponde
a un determinato codice.

La diagnosi del neuropsichiatra infantile

Competenza, pazienza, empatia e tempo sono gli ingredienti per una buona diagnosi.

Abbiamo già detto che sino ai 10 anni lo scopo del bambino è gestire l’adulto. Dopo però la situazione
cambia e dobbiamo tenere conto di altre informazioni esterne.

Quali sono le nostre fonti? L’adulto è un’ottima fonte di informazione per quanto riguarda il
comportamento del bambino (che per il bambino stesso, è un comportamento “normale” poiché è il suo)
ma bisogna tenere conto che l’adulto talvolta è un pessimo informatore di quello che il bambino sente.
Quindi abbiamo principalmente due fonti di informazioni : il bambino e il genitore. Chiaramente più fonti di
informazione si hanno meglio è; posso così avere un’idea più chiara del comportamento del bambino nei
vari contesti (ad esempio parlando con entrambi i genitori, l’insegnante ecc.). Inoltre se mi rivolgo a un
bambino, devo porgli la domanda in modo tale che mi capisca. Ad esempio se voglio indagare sulla
depressione (che seppure rara può essere presente anche nell’infanzia), non chiederò al bambino “Ti senti
depresso?” ma gli chiederò: “Se avessi una bacchetta magica e puoi realizzare tre desideri, cosa
sceglieresti?”. In base alla risposta posso capire se è demoralizzato (ad es. se risponde che non vuole fare
niente). È importante inoltre tenere conto del fatto che i sintomi non sono il disturbo, quest’ultimo è dato
principalmente dalla compromissione funzionale.

Per ottenere le informazioni si possono utilizzare anche dei questionari con delle domande già pronte ma
bisogna considerare che possono dare un sacco di falsi positivi. Qualsiasi questionario, anche il migliore,
tende a sovrastimare il risultato per motivi matematici. Questo fa si che possano essere più utili per uno
screening piuttosto che per una diagnosi finale.
La neuropsichiatria infantile come disciplina esiste solo in Italia, negli altri paesi sono 2
discipline separate: una è la psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (in alcuni stati è
un’ultra-specializzazione della psichiatria e in altri una disciplina autonoma) e l‘altra è la
neurologia pediatrica, superspecialità della neurologia o della pediatria.

PROGRAMMA:

• Neurobiologia e psicopatologia dell’età evolutiva

• Disturbi del neurosviluppo :

◦ D. spettro autistico

◦ ADHD

• Disturbi Dirompenti della condotta e da discontrollo degli impulsi

• Disturbi d’ansia e dell’umore in età evolutiva

• Neurologia età evolutiva:

◦ Epilessie1

◦ Paralisi cerebrali infantili

◦ Dist. del movimento (s. Tourette)

• Urgenze psichiatriche

Il Professore proietta un filmato in cui vi è un paziente affetto da Sindrome di Tourette,


disturbo neuropsichiatrico a insorgenza giovanile caratterizzato dalla presenza di tic verbali e
motori, in cui il paziente sente la necessità di dover parlare senza riuscire a fermarsi con
possibile coprolalia. Esso è un disturbo misurabile in vita ma soprattutto post-mortem a
livello dei gangli della base, fondamentali per iniziare un movimento.

Noi rispondiamo a stimoli che arrivano al talamo, vengono integrati e nei mammiferi vengono
inviati alla corteccia. Visto che le informazioni sono tante, serve qualcosa che ne regoli il flusso
in modo che gli impulsi inviati dal talamo alla corteccia non siano né troppi né troppo pochi.

Quando parte l’innervazione del motoneurone, contemporaneamente parte un altro impulso

1 L'epilessia la vediamo da un altro punto di vista rispetto a ciò che avete fatto in neurologia, ad
esempio se un signore a 40 anni ha la prima crisi epilettica a ciel sereno pensiamo principalmente
a cause tumorali, invece nei bambini gran parte delle crisi sono cause benigne, cioè guariscono
come il ragazzo cresce.
che va allo striato. Di base lo striato è formato da neuroni di medie dimensioni spinosi
(medium spiny neuron), gabaergici, che rappresentano l’unica uscita dallo striato, che vanno
ad inibire il pallido interno e in parte la linea reticolata. Anche qua ci sono dei neuroni
gabaergici che inibiscono il talamo: se questi vengono inibiti dai neuroni dello striato, non
inibiranno più il talamo e l’informazione raggiungerà la corteccia.
Abbiamo tutta una serie di sistemi di controllo come il nucleo subtalamico di Lewis, in cui vi
sono dei neuroni glutammatergici che in condizioni normali attivano i neuroni inibitori del
talamo.

Questo sistema non controlla solo la componente motoria, ma anche la componente cognitiva
ed affettiva.

Lo striato è composto da due parti distinte, i compartimenti denominati matrice e striosomi.


Questi compartimenti hanno caratteristiche istologiche diverse e possiedono recettori
differenti.
Il compartimento degli striosomi riceve afferenze principalmente dall’ippocampo (anche se
non direttamente), dal cingolato anteriore che è la parte che ci fa fare le scelte, dalla corteccia
orbito frontale (premi e punizioni, regolata dal nucleo accumbens) e dall’amigdala
(percezione dei sentimenti degli altri).
Tutte le aree della corteccia cerebrale inviano proiezioni eccitatorie glutammatergiche a
specifiche zone dello striato, dove abbiamo poi l’integrazione di queste informazioni. Lo
striato riceve anche segnali eccitatori dai nuclei intralaminari del talamo, proiezioni
dopaminergiche dal mesencefalo e serotoninergiche dai nuclei del rafe.

La parte più caudale dei nuclei della base controlla il movimento, la parte intermedia connessa
con la corteccia premotoria controlla gli schemi di movimento, ma anche la funzione cognitiva,
ovvero la corteccia dorso laterale. La parte più anteriore, rappresentata dal nucleo accumbens,
controlla la corteccia orbito frontale, ovvero la parte affettiva.

Il nucleo accumbens è stimolato da tutte le sostanze d’abuso, ed è quell’area che ci predice che
avremo una ricompensa, ci consente di pregustare il piacere prima di provarlo. Esso ci
permette di apprendere, perché se noi non pensassimo di ottenere un premio non avremmo lo
stimolo ad imparare, e questo ci dice indirettamente che la punizione non ci insegna niente se
non è seguita da un premio. A 3 anni posso imparare che se prima faccio una cosa che non mi
piace poi il premio sarà maggiore, ma se questo non funziona noi non facciamo nulla.
La mancata produzione del piacere si chiama anedonia uno dei sintomi fondamentali della
depressione.

Tutto è modulato dai neuromodulatori, in questo caso la dopamina, che modula quindi
movimento, cognizione e gratificazione. Manipolando in maniera indiscriminata la dopamina,
possiamo magari migliorare il movimento ma alterare cognizione e affettività.
Per alterazioni delle stesse aree dello stesso circuito possiamo quindi avere dei disturbi
diversi.

Lo sviluppo dei nuclei della base e della corteccia che li regola non è sincrono. Ogni area ha
dei periodi in cui matura, arriva a un massimo di volume e poi diminuisce per il fenomeno del
plug in (?), ovvero del taglio di tutte le connessioni che non mi servono.
La mielinizzazione inizia già alla nascita, ma si raggiunge un picco di maturazione intorno ai 4
anni per la corteccia sensimotoria, e 12 anni per la corteccia prefrontale (cognitiva e affettiva).
Questo spiega perché gran parte della psicopatologia inizia in età evolutiva:
• TIC iniziano intorno ai 5-6 anni
• ADHD 4-5 anni e dura per tutta la vita
• DOC inizia in età evolutiva e poi ricomincia intorno ai 10-11 anni.
La prevenzione dovrebbe iniziare quindi molto precocemente, introno ai 3 anni e non dopo i
15 anni.

Un periodo fondamentale è quindi quello dell’adolescenza, visto comunemente come un


periodo di crisi.
Questo concetto di “adolescenza = crisi” deriva dal fatto che le prime descrizioni
psicopatologiche le facevano i medici che vedevano solo adolescenti patologici. Dopo
l’introduzione degli studi di popolazione, si è visto che in realtà l’80% degli adolescenti non ha
alcun problema.
Solo il 20% ha delle difficoltà ad affrontare questo periodo e ha bisogno di aiuto, e in un 10%
di questi ultimi può essere fatta una diagnosi psichiatrica, con un grosso range di variabilità
tra grave e lieve.
Un 2-5% dei ragazzini sono i più gravi e sono proprio quelli che non chiedono aiuto, e spesso
vengono isolati dai compagni che li vedono diversi. Arrivano pertanto all’osservazione del
medico molti anni dopo.
Questo vuol dire che la prevenzione in psicopatologia vuol dire educazione dei bambini sani, a
cui deve essere spiegato che questi ragazzi non vanno isolati ma aiutati come se fossero affetti
da qualsiasi altra patologia.

Tutta la psicopatologia può essere vista sotto una chiave evolutiva: l’essere “diversi” dagli altri
ci ha permesso di evolverci.

Concetti base sullo sviluppo del SNC

A 25giorni di vita embrionale il tubo neurale presenta 3 rigonfiamenti che diventeranno:


- encefalo
- mesencefalo
- tronco encefalico.

L’encefalo si dividerà a sua volta in 2 bozze che sono gli emisferi. Immaginiamoci delle cellule
molto lasse e piene di liquido che cominciano a formare l’encefalo. Ad un certo punto
compaiono nella corteccia le circonvoluzioni. Immaginatevi un foglio molto grande che deve
stare in uno spazio piccolo e si ripiega.
In altri animali le circonvoluzioni sono molto meno evolute perché la corteccia è stata una
conquista dei mammiferi, nel senso che gli uccelli ne hanno pochissima in quanto le
integrazioni avvengono nel talamo.
Una parte di emisfero dà luogo al talamo, putamen ecc.
Dal punto di vista di tipologia di cellule sono diverse e hanno un destino di sviluppo diverso.
Se voi immaginate il tubo e andate a vedere in sezione, vedete una parte ventricolare dove ci
sono le cellule staminali che si riproducono per un paio di cicli prima di iniziare a sviluppare e
esprimere le proteine per la distinzione tra neurone e glia (GAP). Si differenziano e migrano
verso la corteccia, attorcigliandosi durante la migrazione.
Quando arrivano sotto la placca corticale trovano altre cellule gliali che le fermano. Perché?
Le fermano perché devono migrare e arrivare alla posizione definitiva quando arriveranno le
connessioni da altre parti della corteccia e dal talamo.
Quando queste fibre migrano e arrivano, le cellule gliali muoiono e vediamo che sono le cellule
piramidali, l’output delle informazioni che le mandano fuori dalla corteccia, migreranno fino
ad arrivare al loro posto, in genere tra il 4° e 6° strato della corteccia stessa.
E’ un meccanismo regolato fine e se c’è qualcosa che lo altera come infezioni, febbre, cibo, o
qualsiasi evento in gravidanza che modula lo sviluppo, si avranno degli effetti anche dopo la
nascita.

I neuroni piramidali rappresentano l’unica uscita dalla corteccia, tutte le informazioni che
escono dalla corteccia sono eccitatorie e il neurotrasmettitore è il glutammato. Capita che
dalla periferia ad altre parti della corteccia arrivano informazioni anche esse eccitatorie che
attivano questo neurone, ora però il sistema funziona in economia ossia quando arriva lo
stimolo eccitatorio per il neurone giallo(non lo specifica immagino sia il piramidale) prende
anche l'interneurone gabaercico (nero) che qualche millisecondo dopo spegne il neurone
piramidale , perché non può comunicare se sempre acceso, d'altra parte se il neurone nero
funziona troppo non sarà più in grado di comunicare per cui subito dopo arriverà un stimolo a
quello grigio che fa inibire quello nero, ed è classico del SNC.

Noi siamo un pochino più raffinati perciò non c’è solo un interruttore che accende la luce ma
provate a pensare a un reostato, in cui voi ruotando aumentate la luminosità. Questa cosa la
fanno altri trasmettitori, si chiamano neuromodulatori e sono la dopamina, la noradrenalina,
la serotonina ecc.
Nella slide quello che vedete è la dopamina: la gran parte dei neuroni che ci sono nella zona
bianca, sono nel mesencefalo, e, siccome la natura va a risparmio, usa lo stesso
neurotrasmettitore e le cellule che sono tra loro vicine per regolare quelle diverse. Regola le
cellule dei nuclei della base (in blu), che usano il glutammato, la corteccia dorso laterale (in
rosso) quindi la via meso-corticale, quella con cui noi pensiamo, e quella in giallo che è la
parte con cui proviamo i sentimenti, le affezioni. Se voi andate a vedere la noradrenalina e la
serotonina, praticamente sono sovrapposti e comprendono anche il globo pallido e il talamo.
Quindi, abbiamo due neurotrasmettitori principali e una serie di modulatori. Quello che
possiamo fare clinicamente, sia nell’adulto sia nel bambino, è modulare i modulatori, non
direttamente i neurotrasmettitori.

Una delle differenze tra l’encefalo di 6 mesi e quello di 9 mesi sono le circonvoluzioni che
servono ad aumentare, nonostante il poco spazio disponibile, la superficie della corteccia. Ci
sono alcuni studi che permettono di studiare lo spessore della corteccia e di correlare ciò con
le malattie psichiatriche. In realtà non tutto è perfettamente sviluppato durante i 9 mesi:
mettendo a confronto le dimensioni dell’encefalo tra un neonato e un bambino di 6 anni il
volume aumenta di circa 6 volte, sebbene non ci sia proliferazione cellulare e quindi il numero
di neuroni e le cellule gliali sia grosso modo lo stesso. Questo vuol dire che in quei 6 anni c’è
un aumento esponenziale delle connessioni che ovviamente occupano spazio. Quindi è
fondamentale anche il periodo dopo la nascita.
Vedremo che ci sono una serie di eventi che avvengono nei primi anni di vita che influenzano
in modo drammatico l’evoluzione dell’uomo. Esperimento naturale, su cui ci sono un centinaio
di studi, è quello effettuato sui bambini rumeni adottati in Inghilterra. Questi ragazzini sono
stati studiati dall’89, data in cui sono arrivati in Inghilterra, a oggi, quindi per quasi 30anni. Gli
studiosi hanno fatto vedere che quando i bambini arrivavano non erano in grado di avere
nessun tipo di relazione con gli altri bambini. Nella maggior parte dei casi in 6 mesi hanno
recuperato tutto. Quando poi sono arrivati a 18-20anni molti di loro hanno avuto tutta una
serie di traversie durante lo sviluppo e molti di loro sono andati all’università. Come media
avevano 5secondi di QI in meno rispetto agli adottati nati in Inghilterra. Ciò non vuol dire
ritardo mentale e, alcuni di questi sono entrati in maniera competitiva a Oxford. Per cui l’altro
concetto è che una cosa sono i gruppi un’altra sono gli individui. Ovviamente questa cosa
continua fino a 20 anni qualcuno sostiene fino a 25.

Nella slide vengono mostrate una serie di immagini che permettono di vedere quanto cambia
la morfologia della corteccia, lo spessore ecc. Più l’immagine è blu più è stabile e più è rossa
più cambia. La corteccia parietale, dove arrivano la maggior parte degli stimoli, continua a
cambiare progressivamente fino ai 15 anni, la corteccia prefrontale, la corteccia temporale ecc.
La corteccia orbito-frontale è addirittura in rosso e è quella che percepisce le punizioni. Dietro
c’e’ l’insula che percepisce la sofferenza degli altri.

Il professore illustra la slide.


Per essere più precisi dopo 18 anni queste sono le aree che continuano a svilupparsi: in viola
la corteccia prefrontale, in blu la corteccia temporale e l’ippocampo che rimane immobile, un
pochino dietro il rostro parietale e occipitale visivo e poi la parte in verde che comprende i
nuclei della base, che sono estremamente plastici. Prima abbiamo parlato di Tourette e uno
degli indici prognostici sono le dimensioni dei nuclei della base: vedremo infatti una
correlazione lineare tra dimensione dei nuclei della base e possibilità che da giovane il
soggetto non abbia quei tic. Più grandi sono i nuclei della base, meno tic avrà il soggetto.
Questo per dirvi che è possibile modulare la patologia.

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• Cos'è la salute ?

Si intende la capacità del ragazzino di raggiungere un livello cognitivo, emotivo e sociale


che permetta di sviluppare una interazione ambientale e sociale adeguata all' età.
Questo vuol dire che deve avere le stesse occasioni di vita di un suo coetaneo. Ad esempio se
pensiamo a una fobia sociale grave che diventa mutismo selettivo e questo a suo volta fobia
scolare il bambino non andrà più a scuola , per questo motivo non morirà ma avrà comunque
una compromissione per tutta la vita e non avrà le stesse opportunità dei suoi coetanei.

• Un altro concetto importante è quello di QUALITà della VITA (essa è diversa dai
sintomi) intesa come la percezione soggettiva di benessere, non correlata alla gravità
de sintomi.

Qual' è secondo voi la patologia più frequente che dà la peggior qualità della vita?
L'Influenza perché dà in quel arco di tempo una qualità della vita pessima, quindi per
qualità della vita non si intende entità dei sintomi ma percezione del soggetto; ci sono
malattie ritenute banali che hanno una pessima qualità della vita e viceversa malattie
molto gravi che hanno una ottima qualità di vita.

In quanto medici dovete saper le patologie, i sintomi, la gravità e la qualità della vita.

Quando un bambino nasce fa una serie di controlli, tra cui i controlli neurologici:

un bambino appena nato ha un tono muscolare , ha gli arti flessi, se tirate la testa ha una serie
di reazioni automatiche, piega un braccio estende l'altro, se voi lo mettete a pancia in giù quel
tono muscolare c'è sempre ,se non c'è dobbiamo preoccuparci.
Un bambino a 3 mesi, cosa è in grado di fare? Controlla il capo, non sempre la mamma se lo
ricorda però è fondamentale vedere l'entità di una lesione ...del sistema nervoso centrale.

Mostra un bambino a 6 mesi dove è in grado di controllare non solo il capo ma anche il tronco
e mette le mani in avanti, la posizione così definita a paracadute, questo per dirvi come
guardando il bambino facendo una serie di manovre che vedremo è possibile seguire uno
sviluppo del SNC . Se voi prendete il bimbo dalle braccia quando lui ha 1 mese non controlla
ancora la testa quindi questa cade all' indietro. A 3 mesi quando è in grado di sollevare il capo,
se lo tirate è in grado di portare il capo in avanti , se invece ha avuto una lesione del SNC ,delle
vie piramidali non controlla il collo quindi non riesce. Ci sono dei meccanismi arcaici presenti
alla nascita che sono funzionali e poi scompaiono, perchè permettono poi di sviluppare
risposte(..) adeguate. Mettendo il bambino in piedi spingerà con questi poichè è una reazione
di sostegno automatica e se lo mettete sul bordo di una superficie egli è come se volesse
camminare. Ovviamente non lo sa fare e queste sono reazioni automatiche che scompaiono.
Dopo 3- 4 mesi con la stessa manovra non avremo la stessa risposta, cade come un "sacco",
perchè sta iniziando a sviluppare le misure di coordinamento dei movimenti , poi punterà i
piedi e li manterrà intorno agli 8 mesi e poi completerà il meccanismo perfettemente al
compimento dell' anno dove inizierà a camminare e parlare. Quindi alla fine dell' anno di vita
cambia il mondo perchè si può muovere e andare dove vuole , anche se pericoloso , questo è
un aspetto fondamentale ,cioè una necessità di comunicare per affermare se stesso.

Commenta la slide in cui vi è un floppy child , completamente atonico in cui vi è un danno


marcato che non rimarrà così ma evolverà a seconda di dove è la lesione, quindi se questo è
corticale ossia completamente motorio evolverà in una forma spastica e quindi verso una
rigidità, discorso analogo se ha una lesione a livello cerebellare e quindi non controlla la
coordinazione del movimento, ma anche lesioni dei nuclei della base da ipossia.

La manovra del paracadute ci permette di evidenziare come noi esercitando una spinta, una
forza ad esempio verso il lato il bimbo mette la mano per non cadere ma se ha un emiparesi
non controlla e non riesce a mettere la mano , intorno ai 4 - 5 mesi si comincia a vedere che
non ha nessun altro segno ma se si osserva meglio questa mano si nota che la utilizza molto
meno e si intuisce che è un emiparesi.

Questi controlli dovrebbero essere fatti anche da un punto di vista psichiatrico, studiando
alcune tappe fondamentali dello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale.

Un aspetto fondamentale in psicolopatologia dell'età evolutiva è infatti quello di tappe: un


bambino non nasce come un adulto, è fatto e funziona in maniera diversa e il suo sviluppo non
è lineare ma ci sono dei momenti in cui la vita del ragazzino cambia completamente.
Importante è ricordare che se il ragazzino non è in grado di fare la prima tappa questo avrà
ripercussione su tutte quelle successive ed è questa la più grande differenza tra disturbo
neuropsichiatrico nel bambino e nell'adulto.

Quali sono le tappe fondamentali?

1) Primo anno di vita: il bambino cammina e parla


2) Terzo anno di vita: il bambino va alla scuola materna
3) Sesto anno di vita: il bambino va a scuola

Tutti i bambini del mondo sono programmati a rispondere a una certa frequenza sonora e,
indipendentemente dalla lingua, rispondono ai versi che noi emettiamo in maniera
automatica, contraendo i muscoli della faccia. Noi lo percepiamo come un sorriso e lui
continua perché a questa età la cosa che è più gratificante è predire pattern predicibili, per
esempio la contrazione facciale.
Crescendo comincia a modularlo, ma l’inizio è così, tant’è che anche i bambini autistici, anche
se poi da grandi non vi guarderanno in faccia, hanno questo comportamento, lo fanno uguale.
Noi nasciamo per iniziare ad avere una relazione sociale. E il tipo di relazione inizia non con
uno scopo ma per puro intrattenimento, perché lui, se vede la cosa che si ripete, è contento. La
ripetizione di un’azione viene sviluppata precocemente.

Man mano che cresce incomincia a capire che non è che ogni volta che lui sorride la mamma
gli da quello che vuole. Deve imparare anche lui a emettere dei suoni per dire che ha fame e se
la mamma poi gli da’ da mangiare lui lo ripete perché è un vantaggio.
Se la mamma non lo considera per niente lui quell’azione non la fa più, sia nel bene sia nel
male. Per esempio il professore racconta che al San Giovanni, essendoci il cambio degli
infermieri a mezzanotte, a quell’ora non danno da mangiare ai bambini ma lo fanno alle 4 del
mattino, quindi dopo 3 giorni mamma e figlio escono dall’ospedale con il ritmo ospedaliero: a
mezzanotte il bambino dorme e alle 4 si sveglia perché ha fame. Quindi, quando si sveglia alle
4, lo fate piangere per 1 o 2 notti e gli date da mangiare alle 6 e provate a svegliarlo a
mezzanotte, in 2 giorni già il bambino prende il ritmo. Grazie a questa plasticità a questa età si
riesce sincronizzare e desincronizzare i suoi ritmi.
Che succede all’anno? Incomincia il movimento, autonomia e anche il conflitto. Incomincia a
percepire che deve essere in grado di modulare il suo comportamento e convincere gli altri a
fare quello che lui vuole. Per questo comincia a condividere lo sguardo, a condividere
l’attenzione, a indicare e comincia con degli stimoli emotivi che lui inizierà a seguire. E’ questo
il periodo in cui comincia a parlare.
Nei primi sei mesi il bambino è in grado di riconoscere i suoni di tutte le lingue del mondo,
risponde alla frequenza e riconosce le frequenze non le parole. Dopo i 6 mesi incomincia ad
esprimere dei suoni, che sono semplici e monosillabici, anche la parola “mamma” è la
ripetizione del fonema “ma”. Rapidamente capisce che quell’insieme di suoni corrisponde alla
figura della mamma che per lui è importante e comincia a decodificare i suoni per capire che
significato hanno, in maniera puramente probabilistica. Se io mi metto a parlare con voi e dico
“bambi” voi pensate che io stia parlando di “bambino” perché quando parlo chi ascolta
completa la frase per avere un senso di frase, se ha un senso totale andate avanti a capire
mentre io potevo intendere Bambi il cerbiatto ma voi non ci avreste mai pensato sebbene il
suono sia uguale e in termini probabilistici andate a pensare al significato generale.
E quello che si chiama statistica algebrica di distribuzione della frequenza ed è fondamentale
perché il bambino produca dei suoni e poi possa comunicare. Ovviamente fa una fatica infinita
per cui serve un motore che lo aiuti a fare questa fatica. Noi siamo costruiti biologicamente
per fare le cose che ci piacciono.

Intorno all’anno e mezzo il bambino utilizza una o 2 parole per il senso di una frase: “mamma
pappa” vuol dire “mamma ho fame, dammi da mangiare”. Dietro a questo c’è la relazione con
l’altro. C’è stato uno studio in cui è stato posto a confronto lo sviluppo di un bambino
americano che interagiva con la tata cinese e invece l’altro con la televisione . quello che
interagiva con la tata non ha imparato il cinese ma rispondeva a tutta una serie di stimoli
vocali anche se non li capiva.
Di cosa si compone il linguaggio?
Il linguaggio è composto dal fonema (il suono). Noi però articoliamo un insieme di suoni che
danno le parole che noi organizziamo, da qui la fonologia. C’è poi la morfologia ovvero come
questa parola può essere variamente strutturata, si può avere un’intonazione o un accento
diverso. Noi non usiamo delle singole parole ma le articoliamo insieme per fare delle frasi e
questo si chiama sintassi. In realtà però utilizziamo le frasi per dare un significato usando la
semantica (cosa vogliamo dire), e lo diciamo in maniera che può essere estremamente
ambivalente. La stessa frase, usando le stesse parole, può avere dei significati finali opposti a
seconda del tono che utilizziamo, e questa è la pragmatica. Sviluppare questo comporta delle
capacità fonetiche e fonologiche del linguaggio, l’utilizzarlo in maniera linguistica.
Perché ve lo dico? Perché ci capiterà di parlare di bambini che parlano regolarmente ma non
comunicano o comunicano delle cose in una maniera che poi vedremo. Tutto questo per dirvi che
impariamo a dire bene le parole ad 1 anno ma almeno sino ai 5-6 anni continuiamo ad evolvere.
Evoluzione che prosegue soprattutto intorno ai 15 anni, con la comparsa del pensiero discorsivo, che
consiste nell’attribuire agli arti un pensiero. La pragmatica fa da padrone.

Ora 2° anno di vita: il bambino sa camminare, sa parlare ma deve cominciare ad interagire con gli altri
e quindi deve imparare a regolare le emozioni.
Inizia a capire la differenza tra emozioni e desideri e emozioni e credenze.

Tra i 3 e i 6 anni il bambino incomincerà a sviluppare una serie di funzioni simboliche, riuscendo ad
astrarre. Questo è un altro aspetto fondamentale, non automatico. La capacità di astrarre ovvero di
pensare a dei concetti è innata ma non avviene alla nascita. Avviene intorno ai 3 anni poi si sviluppa
intorno ai 4-6 anni.
E' con il gioco poi che imparo ad autoregolare le emozioni. Relazionandomi: ad esempio relazioni
triage quindi ci sono tre persone intorno a me; non ci sono più solo io ma anche mamma, un altro
adulto e un mio coetaneo. Per giocare non devo dire tutto, devo dire un pezzo se voglio ottenere
qualcosa. Devo poter fare un bluff. Per fare un bluff mi devo mettere nei panni dell'altro, e imbrogliarlo
che è una funzione abbastanza complicata che è misurabile intorno ai 3 anni ma che in alcuni bambini
compare intorno ai 5-6 aa.
Ora alla base di tutto questo c'è la capacita per esempio di avere un obiettivo e di regolare le mie azioni
per raggiungerlo.
Vi ricordate quando avete
imparato a usare la bicicletta e
guidare la macchina? Una volta
che imparate fate tutto in
automatico. Se ipoteticamente
nel semaforo vedreste una luce
blu come vi comportereste? Vi
fermereste. Si chiama
inibizione. E N un meccanismo
mentale.
Voi avete una serie di stimoli
che arrivano a voi e li
confrontate con quello che
sapete. Se combaciano andate
avanti, se non combaciano c’è
un sistema che vi blocca. Alla
base del vostro comportamento
c’e ̀ un meccanismo. C’e ̀ un
problema? Individuo l’obiettivo, pianifico quello che voglio fare, metto in atto controllandolo, verifico
passo passo, se questa cosa va bene vado avanti altrimenti ricomincio.
Per fare queste cose devo avere una serie di capacità che si chiamano funzioni esecutive e ci servono a
mantenere le informazioni per raggiungere gli obiettivi.
Le funzioni sono date
dall’inibizione. Devo essere in
grado di fermarmi e gestire le
eventuali interferenze.

Per il Controllo dell’interferenza, l’esempio classico è il test di Stroop:


Pronunciare il nome del colore di queste parole ad alta voce più veloce possibile, ignorando il
testo della parola (esempio se la parola rosso è scritta in verde, pronunciate ad alta voce la
parola VERDE):

Verde Rosso Blu


Giallo Blu Giallo

Blu Giallo Rosso


Verde Giallo Verde

L'effetto Stroop consiste nella differenza dei tempi di reazione o nel numero di errori
commessi nella enunciazione tra la prima e la seconda serie di colori

Nel sistema di riferimento io devo essere pronto a bloccare un’azione o compiere un “Set Shifting”
ossia un atto di Plessibilità . Un’altra funzione esecutiva è la memoria di lavoro che è la capacità di
mantenere un’informazione, confrontarla con quello che so manipolandola e cercando una nuova
soluzione. La maniera più semplice è tenere a mente 5-7 numeri. Sommate il primo e l’ultimo e
sottraete la somma degli altri numeri. Questa azione di manipolazione si chiama memoria di lavoro.
L’altra caratteristica e ̀ la pianiPicazione e la Pluenza, che signiPica generare nuove idee.
Ognuna di queste cose può essere misurata con un test dai 6 anni in su.

Se voi regalate a un bambino di tre anni una grande scatola di lego, con una bellissima figura di un
astronave, il bambino inizierà a borbottare tra se e se. Si chiama discorso autodiretto verbale, che è la
capacità di mettere insieme memoria di lavoro, pianificazione, flessibilità e fluenza, ma sente il bisogno
di dirlo a se stesso per farsi uno schema.
A 6 anni tutto ciò diventa non verbale con l’aiuto dei genitori.
Queste cose le fa il cervello, per cui la capacità di pianiPicare, la memoria di lavoro ecc la fa la corteccia
prefrontale e dorso laterale.
Come per il movimento io decido di muovere una mano e oltre a mandare informazioni al primo
motoneurone mando informazioni anche ai nuclei della base che momento per momento mi dicono
come è il mio tono ma anche al cervelletto. Cosa succede delle informazioni che vanno ai nuclei della
base?
I nuclei della base servono per regolare il tipo di informazioni e selezionarle. Questo meccanismo
avviene anche per la parte cognitiva. La parte cognitiva usa sempre i nuclei della base che hanno
diverse funzioni.
Oltre all’acceso/spento, c’e ̀ un’altra funzione di controllo. Questa funzione non e ̀ data dai
neurotrasmettitori principali: GABA e Glutammato ma è data dai neuro modulatori che sono le
monoammine (Dopamina, Serotonina, Noradrenalina...) che sono messi da altre parti.
La dopamina ha i nuclei cellulari che la producono nel mesencefalo. Da qui ci sono le proiezioni ai
nuclei della base, alla corteccia dorsolaterale e alla corteccia mesolimbica. Facendo accendere in
maniera diversa le aree cerebrali.

Foto: la regione rossa permette di ragionare meglio, utilizzare meglio le informazioni che so. Nella
parte arancione che ha sempre il centro nei nuclei della base ci sarà l’area della gratiPicazione. Poi c’è la
parte motoria.
Quella inibizione che sviluppiamo è poi quella che ci serve per affrontare il mondo.

Un bambino di 3 anni all’asilo ha come unica preoccupazione quella di rotolarsi, azzuffarsi, giocare. EN il
massimo della soddisfazione. Arriva la maestra e chiedere di imparare una poesia. Per lui è
estremamente noioso ma si ricorda che se ubbidisce farà contenta la maestra e la mamma. Impara la
poesia e pensa “ Pinalmente posso giocare”. Invece no, c’è un’altra cosa da fare. Quindi man mano il
bambino impara la percezione del tempo e la successione degli eventi.
In questa maniera il bambino imparerà anche a posticipare le gratiPicazioni come quella del gioco.
Se io ho difPicoltà ad inibire devo anche valutare il premio. Se inibire mi costa 5 e il premio vale 3 non
inibirò mai. L’adulto quindi deve dare un premio proporzionale all’inibizione, poi vedete come
cambiano le cose.
Ricapitolando:

Il bambino quindi sta attento in classe. Se il bambino è annoiato e demotivato ci deve essere un premio
a motivarlo. Quale è la parte del cervello che codiPica per quelle condizioni? EN la corteccia
orbitofrontale; talmente rafPinata nell’uomo che è divisa in una parte laterale che codiPica per le
punizioni e la parte mediale per i premi. La parte caudale codifica per premi facili come il cibo. Nel polo
codiPica per i premi più complicati come il denaro. Se voi fate fare ad un adulto un test complicato si
accenderà anche il polo frontale. Si accenderà più tutta questa area rispetto ai nuclei della base.
Immaginatevi un bambino di 2 anni che va con nonna al parco. Gioca e vede un bambino che ha un
giocattolo bellissimo. Quindi va e glielo prende. EN un comportamento normalissimo a 2 anni. A 2 anni
l’aggressività è molto alta. Stessa scena 6 mesi dopo: il bambino gioca insieme all’altro e comunica con
lui. Cosa è successo?
1) ha un linguaggio migliore
2) l’altra volta la nonna l’ha sgridato
Per questo motivo i bambini giocano insieme, imparano a bloccare un’azione (strappare il giocattolo),
posticipare una gratiPicazione (che sarà ad esempio la merenda che preparerà la nonna) e a trovare un
equilibrio.
La funzione esecutiva e la motivazione messe insieme funzionano a 3 anni. Se qualcuna di queste cose
non funziona allora non si impara.
Questi comportamenti che sono normali a 2 anni, a 6 diventano patologici.
Alla fine del terzo anno si sviluppa l’inibizione delle azioni automatiche, riesco a mantenere
informazioni per guidare il comportamento (memoria di lavoro), acquisisco la capacità di posticipare
una gratificazione.
Devo fare delle scelte: questo si, questo no. L’area responsabile di ciò è la parte anteriore del giro del
cingolo. La parte dorsale fa le scelte per la parte cognitiva. La parte sotto il ginocchio fa le scelte della
parte affettiva e funziona male nei soggetti depressi. Quando vedo un bambino che si muove molto,
non segue le regole, si diverte a fare il contrario di quello che dice l’adulto e si diverte a vedere l’adulto
fare quello che lui vuole....
Qual è il massimo della gratificazione a 6 anni? Gestire il comportamento dell’adulto. Vuole
che il padre gli compri quell’oggetto. Quale sarà la punizione peggiore: ignorare il bambino per
un certo lasso di tempo.
Ma la percezione del bambino non è però la stessa dell’adulto. L’area cerebrale atta a percepire
il tempo è il cervelletto (controlla la componente temporale del movimento).
Regola del professore: non parlo al bambino per un numero di minuti uguale alla sua età meno
1:
bambino di 6 anni: 6 - 1= 5 minuti.
Dopo rinizio a parlargli, questo è il premio, e la punizione risulta essere efficace.

Torniamo ai nuclei della base, corteccia, mesencefalo con i nuclei


dopaminergici. La parte blu è la parte motoria cui corrispondono i
nuclei della base con neuroni dopaminergici. Man mano che mi
sposto nella parte piu ̀ anteriore avro ̀ la parte premotoria
(pianificazione del movimento) ma anche la parte dorsolaterale
gialla dell’inibizione, della memoria del lavoro ecc. e la parte rossa
che è la orbitofrontale. Ognuna di queste ha una corrispondenza. EN
come se fossero una serie di loop in parallelo. Io posso gestire il
movimento con un’altra azione e un’altra azione con il movimento.
Questo è alla base delle strategie educative in campo scolare. Dopo i
10 anni le cose cambiano un pochino.
Facciamo un altro esempio: io vi butto addosso un serpente. Voi cosa
fate? Vi farà schifo e paura. Che possibilità ho io di avere un serpente
velenoso?
- Zero
- Allora perché avete paura? Quanti serpenti velenosi avete mai visto
in vita vostra?
- Nessuno
- Allora perché avete paura?
Perché Pino a 300 milioni di anni fa facevamo le scimmie sugli alberi. Il nostro pericolo era il serpente.
EN un riPlesso automatico.
Ma noi siamo scesi dagli alberi. Serpenti ce ne sono meno e sono meno pericolosi. La stessa area
cerebrale dove nasce la paura per il serpente, ora è adibita alla paura verso gli uomini. Qui vengono
riconosciute le espressioni facciali degli altri.
Noi percepiamo i serpenti con la stessa area con cui percepiamo le facce, ovvero il giro occipitale
inferiore.
In questo caso gioca un ruolo anche l’Amigdala. Quando vediamo una persona automaticamente
cerchiamo di capire chi è andando ad analizzare i tratti invariabili delle facce. La faccia di Giovanni è
sempre Giovanni. In automatico andiamo anche a vedere gli aspetti mutevoli delle facce e quindi gli
stati d’animo: è felice, triste, guarda verso di me, sta parlando ecc.
Attiviamo il giro occipitale inferiore e successivamente il giro temporale superiore che fa parte del lobo
temporale che poggia sul cervelletto ed è l’area in cui decodiPichiamo le forme che hanno un valore
affettivo. Ad esempio negli appassionati di scultura futuristica si accende il giro laterale fusiforme.
A seconda dell'espressione facciale e della direzione dello sguardo di chi ho davanti(guarda voi, guarda
lontano), l'amigdala si attiva in maniera diversa. Se la faccia è contenta si attiverà solo una parte
mentre se è terrorizzata la attivo tutta. Se una persona guarda verso di me viene attivata la nostra
amigdala con un segnale importante. EN una regolazione Pisiologica degli stimoli ambientali.
Cosa è che porta questo meccanismo a spegnersi? Se ripetiamo lo stimolo cosa succede? Una faccia
impaurita se non c'è nessun altra conseguenza a lungo andare ci fa adattare. Se io lancio il serpente 5-6
volte io non ho più paura. Questo ci dice come tutto può essere modulato dal contesto. Cosa lo fa
spegnere? Le connessioni con la corteccia prefrontale. Sia quella mediale che dorsolaterale. Questo è
importante perché durante lo sviluppo, le aree non sono le stesse. Il giro fusiforme durante lo sviluppo
è molto più piccolo. A seconda dell'età la capacità dell'amigdala di attivarsi è diversa. Si attiva molto di
più intorno ai 15 aa. Ogni stimolo ambientale-affettivo per noi è fondamentale. È questo perché dal
punto di vista evolutivo? L'idea di andarsene via di casa, l'opporsi alle regole. All’attivazione alta
dell'amigdala corrispondono bassi livelli di ansia e viceversa. L ansia è regolata dal fatto che il sistema
che inibisce l'amigdala funzioni o meno. Se si va a vedere lo sviluppo della corteccia prefrontale,
dorsolaterale funziona di meno con lo sviluppo però in epoca adulta la amigdala funziona poco.
Quando funziona molto non ce la fa ad inibirla. È questo è il comportamento normale. La corteccia
prefrontale matura più lentalmente dei nuclei della base (10-12aa).matura 5 6 anni dopo.
Ricapitolando:
Questa e ̀ la corteccia prefrontale dorsolaterale. L’amigdala e ̀ vicina all’ippocampo (funzioni
mnemoniche), all’ipotalamo (azioni vegetative), nucleo accumbens (motivazione), locus ceruleus
(produce noradrenalina), nuclei del rafe (serotonina), sostanza nigra (dopamina).
L’informazione sociale parte dalla corteccia dorsomediale frontale (parte cognitiva), ventrale, poi
amigdala, ippocampo e striato ventrale. Tutto è regolato dal nucleo fusiforme, dal temporale superiore
(linguaggio), corteccia anteriore.
Molte di queste aree sono importanti anche nel processamento delle facce. Quindi la differenza tra un
bambino e un adulto sta ad esempio nella volontà di cercare sensazioni. EN importante nel bambino,
nell’adolescente e meno nell’adulto.
Come funziona il nucleo accumbens in vista di un premio? Nell’adolescenza risponde di più . Cosa
inibisce la ricerca di sensazioni e la risposta? La corteccia prefrontale che funziona molto in età
evolutiva e nell’infanzia, meno in adolescenza e nell’adulto.
15 anni fa si studiavano le RMN di giovani adulti con marcante radioattivo e si andavano a misurare la
risposta alle facce, verso gli oggetti, verso una figura astratta.
Un soggetto normale attiva per le facce una parte gialla che è il (giro fusiforme), mentre per gli oggetti
una parte più laterale. Il soggetto con disturbo autistico non attiva per le facce il giro laterale fusiforme
ma attiva altre cose. Questo non vuol dire che il giro non funzioni ma vuol dire che non sta codificando
quel tipo di informazione.
Adesso invece si usa un approccio diverso per lo studio del SNC. Immaginate di trovarvi in un momento
in cui non state facendo niente. Quale è la parte del corpo che consuma più ossigeno? Il cervello. Anche
se non fate niente è cosı̀. Se comincio a parlare e pensare mi si accendono diverse aree cerebrali. La
differenza di attivazione è un artefatto statistico perché il cambiamento di Plusso ematico che è quello
alla base del gold è del 5%. Ogni fenomeno biologico per essere signiPicativo deve avere almeno il 10%
di differenza per cui voi mentre fate un’operazione avete un cambiamento piccolissimo. Ripetiamo il
task tante volte per avere quell’immagine e poi facciamo la media su 20 rilevazioni. Ma quella
variazione sul singolo non la vedete. C’è la possibilità di andare a valutare il singolo soggetto facendo
un’altra cosa. Se eseguo un movimento attivo la corteccia motoria cambia il flusso nel giro di 3 secondi.
Questo può essere misurato come variazione del ritmo di consumo di ossigeno. Quando non fate niente
le aree che consumano più ossigeno sono il cingolo posteriore e la parte mediale della corteccia
prefrontale. Si chiama anche Default Network. Quando cominciate a fare qualcosa come contare,
questo si spegne per qualche secondo e si attiva un’altra area. L’andamento è alternante tra default
network e le parti motorie. Se questo equilibrio viene sfalsato per cui la parte di default si attiva
quando non dovrebbe troveremo delle difPicolta ̀ ad esempio nel compiere le azioni.
Quindi nelle prossime lezioni vedremo le alterazioni di connessione tra le varie aree.
Negli ultimi 8 anni gli studi su questo campo sono andati molto avanti. EN possibile avere delle vere e
proprie mappe del default network con comprese le aree visive occipitali, del controllo cognitivo,
somatomotorio ecc.
Voi potete andare a vedere come nell’autismo le diverse aree possono essere attivate in maniera
diversa ed è possibile andare a vedere come il grado di attivazione di quell’area correla con la gravità di
una scala di osservazione. La correlazione è inversa ma quasi lineare.
Il default network vi permette di ricordare il passato, anticipare eventi futuri secondo il pensiero che
abbiamo di noi stessi. Se questo non funziona bene non sarò capace di valutare le mie azioni presenti e
future. In una serie di studi psichiatrici le problematiche partono proprio da questa area.

Come definireste voi una malattia? Grazie a:


- TERMINOLOGIA CLINICA
- Patogenesi
- Eziologia
- Fattori di rischio
- Storia naturale, decorso, complicanze, trattamento
Anche in psichiatria dovrebbe essere lo stesso, ma i sistemi di classificazione sono diversi
Quali sono i sistemi di classificazione?
DSM V e l’ICD10. Entrambi si basano su una serie di sintomi che coesistono in quella determinata
patologia.
Si tratta però di un sistema totalmente ateorico. Il DSM ha una serie di categorie con all’interno dei
disturbi.
Questo tipo di classificazione ha avuto una serie di meriti perché ha permesso di usare la stessa lingua
e di interpretare la patologia secondo determinati criteri.
Però con questo sistema non partiamo dalle cause, dalla fisiopatologia, perché in parte non la
conosciamo.
Secondo un altro filone di pensiero bisogna quindi comprendere cause e modelli, integrando genetica
ecc. questo permette di andare nel profondo della psicopatologia ma vi è anche in questo caso una
falla: questo sistema nuovo permette di approfondire alcuni aspetti ma si basa sul mettere insieme
tutti i dati possibili, con una mole immensa di dati, difficilmente gestibili.
DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Descritto da Kanner e Asperger nel 1943. Kanner era un docente della Johns Hopkins, mentre Asperger
un medico scolastico in una scuola elementare austriaca, che ha scritto in tedesco ed è stato riscoperto
negli anni 70. Entrambi descrivono un quadro che si basa su alterazioni della capacità di interazione
sociale, della comunicazione e sulla presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati.
Negli ultimi vent’anni la prevalenza è aumentata notevolmente.
L’autismo fa parte dei disturbi del neurosviluppo, presenti nei primi anni di vita, a 6-7 anni,
dovuti ad un’alterazione dello sviluppo del sistema nervoso centrale, che permangono per
tutta la vita.
In generale i limiti tra questi disturbi sono molto relativi: un tempo si diceva che un 70% dei pazienti
con autismo avesse una disabilità intellettiva.
Che cos’hanno in comune? La neurobiologia, il tipo di intervento e quelli che sono i problemi
principali di cui parleremo adesso. Per dare un’idea vedremo le rappresentazioni cliniche, le
caratteristiche neurobiologiche, come si fa la diagnosi, gli interventi terapeutici e la terapia
attuale, sia dal punto di vista educativo e dal punto di vista farmacologico. I farmaci infatti
sono utili solo in alcuni bambini, ed è un pretesto per cominciare a dirvi come si valuta
l’efficacia dei trattamenti e i criteri per valutarne l’efficacia.

Sistemi di classificazione
C’è stato un cambiamento importante tra il DSM IV e il DSM V.
Nel DSM IV i disturbi di comunicazione sociale, del linguaggio e i comportamenti ripetitivi erano
considerati come 3 domini separati.
Se erano presenti tutti e tre allora si faceva diagnosi di autismo; se non c’era il problema del linguaggio
si parlava di Asperger e se mancava anche un ulteriore criterio si diagnosticava un disturbo pervasivo
dello sviluppo non altrimenti specificato (con una prevalenza 5 volte superiore rispetto agli altri).
Risultava però difficile mantenere la diagnosi nel tempo. Tra un autistico intelligente e un Asperger
qual è la differenza? Si diceva che l’Asperger è quello che vuole costruire delle relazioni sociali ma non
sa come si fa, mentre l’autistico è quello a cui non interessa costruire delle relazioni sociali. Se però
passano 10 anni in cui gli altri non ti considerano, anche l’Asperger non vuole più avere delle relazioni
sociali. Quindi dove vediamo la differenza?
Nel DSM V si è pensato pertanto di accorpare le tre dimensioni in due dimensioni: sociale-
comunicazione e comportamenti ripetitivi, partendo dal presupposto che per avere una relazione
sociale devo essere in grado di comunicare.
Nel DSM V si è cambiato il nome da “Disturbo pervasivo dello sviluppo” a “Disturbi dello
spettro autistico” (DSA). Il DSA comprende:
• - disturbo autistico;
• - disturbo di Asperger;
• - disturbo disintegrativo dell’infanzia;
• - disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.

Nel DSM V è stata creata una nuova categoria di “disturbo della comunicazione sociale e
pragmatica” (al di fuori dello spettro autistico) per fornire copertura diagnostica ai bambini
che presentano solo problemi socio-comunicativi e non comportamenti ripetitivi e
stereotipati. Questa nuova entità è stata molto criticata dai linguisti.
Criteri diagnostici
Per far diagnosi bisogna avere tutti e 3 i disturbi della comunicazione sociale e altri 2 degli
interessi ristretti e ripetitivi.

1. Disturbi della comunicazione sociale:


- il deficit nella reciprocità emotivo sociale, cioè mentre voi parlate con un’altra
persona ascoltate quello che la persona dice ma in automatico cercate di capire cosa sta
pensando. Se voi non siete in grado di farlo e vi fermate solo a quello che sentite,
perdete 2/3 della comunicazione, perché non capite l’ironia, le forme del linguaggio
non dirette, né siete in grado di astrarre, quindi vi fermate a quello che sentite
oggettivamente. Se voi pensate alla vostra comunicazione con gli altri, il fermarsi a
quello che dice senza interpretarlo, significa che perdete i 2/3 della comunicazione.
- Mentre voi parlate non parlate e basta, ma avete una comunicazione non verbale che è
altrettanto importante come la comunicazione verbale. Guardate in faccia la persona,
assumete un atteggiamento che cambia a seconda di chi avete di fronte e così via. In
questi casi si ha un deficit della comunicazione non verbale.
- Infine deficit nello sviluppare e mantenere rapporti con gli altri, fino a un totale
disinteresse nei confronti delle altre persone.

2. Interessi ristretti e ripetitivi. Per esempio i bambini che giocano eseguendo sempre lo
stesso movimento ininterrottamente.
- Il linguaggio e i movimenti sono stereotipati.
- Eccessiva aderenza alla routine, il bambino tende a fare sempre le stesse cose e tende a
resistere al cambiamento;
- Interessi ristretti, non riesce ad astrarre e ad usare l’immaginazione;
- Ipo o iperreattività a stimoli sensoriali.

Esiste un range che va dal medio al grave, quindi potrete avere un disturbo lieve, che ha
bisogno di poco aiuto o un disturbo grave che ha bisogno di molto aiuto e l’etichetta è la
stessa.
Più nel dettaglio:
- i deficit persistenti e significativi della comunicazione sociale e deficit della reciprocità
sociale vanno dalla difficoltà nell’approccio sociale e nel tenere la comunicazione,
all’incapacità di provare interesse per qualcosa. Questi bambini non comunicano ciò
che loro stanno provando, quindi emozioni, interessi e affetti. Oppure sono incapaci di
provare qualsiasi interazione sociale.
- La comunicazione non verbale significa che i bambini non mostrano la mimica e la
gestualità della comunicazione, non hanno un contatto visivo, oppure non sanno
parlare anche se hanno 3-4 anni. Molto spesso non è che non sanno articolare i suoni
ma non parlano perché percepiscono le persone come oggetti. Quindi non sono in
grado di mantenere le relazioni e soprattutto non sono in grado di imitare o
immaginare e astrarre ciò che vedono.
Questo è il nocciolo principale. Nella realtà voi vedete dei casi che sono tra loro diversissimi
perché dipendono dal:
- livello di linguaggio, in alcuni è totalmente assente, in altri è apparentemente normale.
- livello di adattamento al contesto; un tempo per dire che c’era una disabilità
intellettiva o un ritardo mentale si faceva il QI, e un QI di 30 significava un ritardo
mentale. Ma un QI di 50 che significa che il bambino a malapena parla, può voler dire
che il bambino non riesce a interagire. Quindi oggi si misura il QI numerico ma anche la
capacità di adattamento sociale. Cioè un ragazzino che ha un QI di 60 che non riesce ad
andare a scuola e ad imparare, però in un contesto dove deve fare dei lavori pratici lui
può funzionare bene. Lo stesso ragazzino messo in un contesto che gli richiede troppo,
può non funzionare per niente. Quindi il tipo di aiuto dipende sia da ciò che riesce a
fare, sia dalla capacità di adattarsi a ciò che ha di fronte.

Il bambino può avere una serie di patologie mediche o psichiatriche associate. Quindi i
disturbi del neurosviluppo predispongono ad altri disturbi, per cui una depressione in un
bambino con disturbo autistico è diversa da una depressione di un ragazzino che ha avuto un
neurosviluppo normale. Stesso discorso per il disturbo d’ansia.
Nella diagnosi bisogna poi specificare se:
- è presente disabilità intellettiva (ritardo mentale 70%);

- è presente compromissione del linguaggio;

- è associata a condizione medica o genetica conosciuta o significativo fattore


ambientale (codice in asse III);

- è associata ad altro disturbo del neuro-sviluppo, mentale o comportamentale


(codice in asse I-III);

- è associata a Catatonia, una sindrome grave che in Europa e in Nord America è


scomparsa da circa 60 anni, associata a schizofrenia. È presente invece in India. Questo
per dirvi come il disturbo spesso dipenda dal contesto culturale.

Il paziente è immobile, non mangia, non beve, non fa nulla. O prende le posizioni che
voi gli imponete o si oppone. È una totale emergenza, che va gestita in maniera
piuttosto rapida con dosi alte di BDZ fino a 20 mg al giorno e.v. Se non risponde dopo
due giorni si fa l’elettroshock. Solitamente è correlata o a eccesso di farmaci
(antipsicotici) o a disturbo dell’umore in disturbo dello spettro autistico.

In Sardegna abbiamo la legge 20 dà sussidi economici a disturbi psichiatrici gravi: disturbo


bipolare, schizofrenia e autismo.
Disturbo autistico
 Epidemiologia
Finiamo il discorso sull’autismo iniziato la volta scorsa. Non è detto che questi dati
corrispondano alla verità assoluta, sono i dati ufficiali del Governo degli Stati Uniti che, dal
punto di vista statistico, si considera una fonte ufficiale perché raccoglie i dati
sull’epidemiologia in maniera abbastanza rigorosa, pubblica; le altre fonti epidemiologiche
sono essenzialmente i registri scandinavi (di cui parleremo in seguito), mentre in Italia
l’epidemiologia è lasciata un po’ in mano ai singoli, si basa essenzialmente sui DRG, ma il
rigore con cui vengono raccolti i dati è molto più approssimativo. In ogni caso questi dati
USA ve li mostro per farvi vedere come
negli anni è cambiata la prevalenza del
disturbo: si parla di un numero
immenso, mentre vent’anni fa era una
malattia rara. Questo è un esempio per
capire come sia cambiata nel tempo, con
dati degli Stati Uniti: siamo passati da
1:150 a 1:68 che è considerata
attualmente la prevalenza dei disturbi
dello spettro autistico. Sempre da fonti
USA vediamo come le diagnosi siano
aumentate da 1:5.000 ad 1:150 (il prof
dice nel 2009, ma nella tabella è indicato
il 2007), quindi circa 10 anni fa.
Sono presenti delle differenze importanti tra le diverse zone (parliamo sempre degli Stati
Uniti per non parlare dell’Italia, dove la situazione è ancora più bizzarra!) con delle
prevalenze che vanno da 1:74 nel Minnesota all’Ohio con 1:175 e posti in cui si supera
l’1:500 (Iowa, ndr). Ovviamente, come vedremo quando faremo la neurobiologia e la
fisiopatogenesi, non è una patologia virale (per cui quando arriva il virus in uno Stato e
nell’altro non c’è, cambiano i dati tra le diverse zone): è ovviamente una variazione
strettamente correlata con i criteri di diagnosi e l’attenzione critica posta al problema. In
alcuni Stati (come anche in alcune regioni italiane) ci sono poi delle leggi specifiche per il
disturbo, che ovviamente inflazionano la prevalenza: in Sardegna esiste la Legge 20 che dà
dei sussidi finanziari1 e che copre 3 patologie: schizofrenia, disturbo bipolare ed autismo. La
mia non è una critica alla legge, ma ci sono dei problemi: mentre la schizofrenia
(chiaramente dell’adulto, perché anche nei ragazzini esiste, ma è molto più rara) non ha
grandi margini di variabilità clinica e “di per sé quella è” 2, invece nel disturbo bipolare i
criteri sono estremamente labili…per non parlare dell’autismo! Perché se parliamo di
1:5.000 è un conto, ma se la prevalenza, il numero dei pazienti reali è lo stesso e siamo
passati a 1:68 evidentemente abbiamo allargato le maglie di inclusione di molto. Come
abbiamo visto la scorsa volta esiste proprio uno spettro dell’autismo in cui ci sono delle
forme molto più lievi e delle forme decisamente più gravi: lieve però non è inteso dal punto
di vista della gravità clinica, ma è lieve per intensità dei sintomi. Vi faccio un esempio: pochi
giorni fa abbiamo avuto un pasticcio in Clinica perché mi hanno mandato da Sassari un
ragazzino di 15 anni scappato dall’ospedale, ripreso dai carabinieri e infine mandato da noi,
che aveva la diagnosi di disturbo autistico. Dalla prima lezione dovreste sapere che il
disturbo dello spettro autistico è caratterizzato dai problemi della comunicazione e della
relazione sociale, interessi ristretti ed azioni ripetitive: questo ragazzino di cui vi parlo non è
intelligentissimo3, ma in realtà non ha importanti segni di ristretti interessi e comportamenti
ripetitivi; i colleghi di Sassari hanno posto questa diagnosi perché ha un estremo interesse
per gli oroscopi, quindi quando deve affrontare qualcuno (poiché non ha altri mezzi, ha
difficoltà a mettere su una relazione sociale) si mette a parlare di oroscopi su cui è

1 In accordo tra Servizio Sanitario ed i servizi sociali dei Comuni.


2 Ha però ampi margini di variabilità d’interventi.
3 Ha poco più di 70 a livello cognitivo ed è in una parte molto bassa della gaussiana, quasi borderline.
1
ferratissimo ed è anche l’unico argomento che ha. In realtà con noi ha parlato di tutto, e ha
anche detto che vuole tornare a casa; è scappato da Sassari perché non è stato gestito in
maniera adeguata. Nella nostra Clinica la diagnosi non è quella di disturbo dello spettro
autistico perché “gli manca un pezzo di diagnosi”, ma è un Disturbo semantico-pragmatico
del linguaggio: non è un disturbo del linguaggio, è un disturbo autistico lieve, quasi ai limiti;
però lui “non funziona” ed il ricovero è
previsto in un anno, perché il tipo di
intervento è finalizzato ad insegnargli a
vivere. Lui infatti non ha idea di come si
metta su una relazione sociale: la
terapista ha preso tutti i ragazzini (sono
8) e li ha messi in piedi in una stanza
con la musica; lui si è messo a ballare
trascinando gli altri! Quindi non è che
non lo sappia fare per niente4, ha
estrema difficoltà, e siccome ha estrema
difficoltà scappa; il suo unico hobby è
esplorare, salire su un pullman ed
esplorare una città oppure perdersi su
una montagna; sono già andati a
recuperarlo 5-6 volte i carabinieri e poi
puntualmente il 118 lo riporta in ospedale. Per cui la compromissione funzionale è grave,
ma i sintomi non sono gravissimi; questo è quindi il margine in cui ci si muove, come vi
dicevo prima abbiamo una notevole variabilità: per cui mentre prima magari questi ragazzi
erano considerati bizzarri, ma tutto sommato “normali”, ora ricevono una diagnosi.

 Modelli neuropsicologici
Avevamo cominciato a parlare di modelli neuropsicologici
durante la lezione scorsa, abbiamo parlato di teoria della
mente5. Ci sono però altri aspetti e nelle slides sono
presenti diversi esempi; uno dei test classici, direi storici
che si fanno ai bambini (non si usa appunto solo questo,
ma ce ne sono anche di più raffinati), è quello di Sally ed
Annie: Sally è la bambina bionda che mette la palla nel
cestino e va via; Annie è un po’ dispettosa, prende la palla
dal cestino e la mette nella scatola, poi va via; Sally dove
cercherà la palla? Ovviamente un bambino normale di età
superiore ai 3-4 anni si mette nei panni di Sally e vi dirà
che la cerca nel cestino; il ragazzino con disturbo dello spettro autistico anche se
intelligentissimo si ferma su quello che vede, quindi lui ha visto che è nella scatola e dice
che Sally la cerca lì, non riesce a mettersi nei panni di Sally. Tenete presente che poi il
bambino a un livello di sviluppo cognitivo di 10-11 anni capisce l’antifona e dà la risposta
giusta, ma un bambino normale la dà a 4 anni. Capite quindi che c’è una parte
fondamentale dello sviluppo in cui il bambino autistico non ha punti di riferimento.

4 Intende “mettere su una relazione sociale”.


5 Da slide: “Abilità di spiegarsi e predire il comportamento degli altri, basandosi sulla capacità di intuirne
(presumerne) pensieri e sentimenti.”
“Uno start-up kit presente alla nascita, modulato dall’ambiente (percezione di facce, voci, movimento ed interazioni
tra persone) permette lo sviluppo delle capacità di mentalizzare. Meccanismi: 1) Astrazione dalla realtà oggettiva.
2) Espressione per concetti.”
2
Questo non è l’unico aspetto, perché un altro molto importante (anche
se molto discusso) è la mancanza di coerenza interna6. Se voi
andate a guardare le figure di Arcimboldo vedete una faccia, ma a
guardar bene sono tutta una serie di vegetali. Chiunque di noi quando
vede un’immagine va a cercare di capire in automatico che cosa
quell’immagine vuol dire. Le persone autistiche hanno difficoltà ad
astrarre e quindi sono attentissime ai dettagli: alcuni di loro sono in
grado di riprodurre con enorme precisione dei disegni anche
estremamente complessi perché riescono proprio a focalizzare
l’attenzione sui dettagli. Il punto molto discusso è proprio se sia o non
sia un problema, e perché: questa
capacità ce l’hanno anche persone che
non sono autistiche. In ogni caso si
focalizzano sui dettagli e ciò fa si che
abbiano tutta una serie di isole di genialità, per esempio
molti di questi ragazzini autistici riescono a leggere anche
molto bene già a 3 anni, il problema è che non capiscono
quello che leggono, perché per loro è il segno che li ha attratti.
Ci sono pure degli altri aspetti, come la disfunzione esecutiva 7. Delle funzioni esecutive
abbiamo parlato la volta scorsa, cioè la capacità di inibire, di pianificare, la memoria di
lavoro, la fluenza e la flessibilità; sono delle funzioni che sono alterate anche in alcune altre
patologie: nella demenza, sicuramente nella schizofrenia (il paziente non riesce a prendere
le informazioni e a modularle), sicuramente nell’ADHD (di cui parleremo in seguito).
Nell’autismo esistono le stesse
compromissioni, ma sono molto più
importanti ed esistono indipendentemente
dal livello cognitivo, quindi anche se sono
ragazzini molto intelligenti poi dal punto di
vista pratico sono “tremendamente
imbranati” perché hanno estrema difficoltà
non solo affettiva (cioè di mettersi nei
panni dell’altro), ma anche logica nel riuscire a prendere le informazioni. La maniera per
ovviare a questo deficit è per loro quella di essere estremamente rigidi, talmente tanto che
se qualcosa non va come dovrebbe per loro è veramente una tragedia: vedremo infatti
nell’ultima lezione8 che avere un disturbo dello spettro autistico ed essere intelligenti è un
enorme fattore di rischio suicidario9, perché se una cosa gli va male la conseguenza logica è
per loro “io non servo, quindi mi faccio fuori”...e smontargli un’idea del genere non è
semplicissimo. Probabilmente vi farò vedere un filmato di una ragazzina di 16 anni che è
arrivata da noi per un tentativo di suicidio serio, nessuno le aveva fatto la diagnosi prima:
se capite che l’autistico non è una persona di 30 anni che non sa parlare, è un persona che
magari parla, ma che non si mette nei panni dell’altro, allora sentendola parlare percepirete
immediatamente che questa ragazza ha un disturbo dello spettro autistico.

6 Da slides: “La difficoltà nel processare le informazioni sulla base del significato e della forma “gestalt”:
spiegazione dei sintomi sociali?
• focalizzazione sui dettagli
• scarsa considerazione degli aspetti contestuali
• percezione frammentata del mondo esterno
Es. block test (WISC-III), Embedded Figure test”
7 Deficit di funzioni esecutive.
8 Durante la quale parleremo delle urgenze in neuropsichiatria.
9 “Immaginate che vi arrivino in ospedale 3 ragazzini con ideazione suicidaria grave o tentativo già attuato di
suicidio e voi avete magari 6 letti in tutto, ma solo 1 è disponibile: dovete scegliere chi ricoverare e chi mandare a
casa, quindi dovete fare una disamina dei fattori di rischio. Sappiate che avere un disturbo dello spettro autistico ed
essere intelligenti è un enorme fattore di rischio suicidario.”
3
 Patogenesi
Nell’autismo ci sono due nuclei principali: problemi della
comunicazione e interazione sociale e interessi e
comportamenti ripetitivi10, ma non solo; esistono anche un
sacco di altre caratteristiche intorno perché si tratta di un
aspetto fenomenologico alla base del quale ci possono essere
diverse cose, tra cui:
- tutta una serie di alterazioni genetiche11:
 malattie genetiche “strictly” (tra cui per esempio l’X-fragile, la sclerosi
tuberosa), cioè un gruppo di malattie date dalla mutazione di un solo gene;
in molte di queste in una percentuale elevatissima di soggetti (circa il 60%)
hanno un disturbo dello spettro autistico;
 legate alle copy number variation (CNV); alcuni di questi pazienti hanno un
numero molto più elevato di variazione del numero di copie di un certo
numero di geni che codificano per una serie di aspetti (questo lo vedremo
meglio in seguito).
- molti hanno alterazioni del sistema immunitario;
- molti alterazioni del sistema mitocondriale;
- alterazioni dello sviluppo motorio e dello sviluppo del sistema centrale in
genere; in molti c’è un aumento del volume dell’encefalo e quindi del cranio, che poi
magari dopo i 4-5 anni ridiventa normale nella curva di crescita.
- alterazioni di alcuni neurotrasmettitori, cioè il 30% di questi ragazzini ha un
aumento dei livelli di serotonina nel sangue (essenzialmente dentro le piastrine);
- possono avere alterazioni dell’elettroencefalogramma, che nella pratica vuol dire
avere più spesso epilessie;
- e così via.

Questi soggetti possono avere tutta una serie di altre alterazioni:


- del livello cognitivo,
- dell’attività intellettiva,
- del linguaggio,
- ansia,
- iperattività,
- agitazione, e così via.
In pratica ciò significa che esiste una sorta di substrato su cui si innestano tutta un’altra
serie di patologie, per cui sono in genere casi complessi in cui la diagnosi è molto articolata.

 Screening e diagnosi
Il problema principale è riconoscerli il prima possibile perché non esiste una terapia: quello
che si può fare è cercare di insegnare a questi bambini le cose che gli altri imparano da soli,
cioè riconoscere le emozioni degli altri, autoregolarsi, ecc. Sono interventi molto intensi, ma
funzionano se attuati precocemente. Il problema quindi è: come li riconosciamo da piccoli?
Ci sono una serie di strumenti che vengono in genere gestiti dal medico pediatra di base e

10 Da slides (Criteri diagnostici del DSM V):


“1.Clinically significant, persistent deficits in social communication and interactions, as manifest by ALL of the
following: Deficits in social-emotional reciprocity [...]; Deficits in nonverbal communicative behaviors used for
social interaction [...]; Deficits in developing and maintaining relationships, appropriate to developmental level
[...].
2. Restricted, repetutive patterns of behavior, interests, and activities, as manifested by at least TWO of the
following: Stereotyped or repetitive speech, motor movements, or use of objects [...]; Excessive adherence to
routines, ritualized patterns of verbal or nonverbal behavior, or excessive resistance to change [...]; Highly
restricted, fixated interests that are abnormal in intensity or focus [...]; Hyper-or hypo-reactivity to sensory input
or unusual interest in sensory aspects of environment [...].”
11 Ne parleremo nel corso opzionale.
4
che gli permettono di fare un intervento di screening. Come sappiamo il problema comune
negli screening è che tanto più è stretta la maglia, maggiore sarà la serie di falsi positivi,
per cui si ingolfa il sistema. Nella slide sono presenti le CHAT, test di screening in diverse
versioni che si usano generalmente nei bambini fino ai 2 anni; cioè la diagnosi si può fare a
3 anni, se uno la sa fare, e siccome ci fanno vedere dei segni fortemente indicativi, anche 2
anni e mezzo.1213

Ci sono alcuni test di screening anche per i bambi più grandi di cui:
- uno è il Social communication questionnaire (SCQ) che viene dato anche per altre
patologie. Permette di misurare con una serie di domande la capacità di
comunicazione e sociale dei soggetti;
- l’SRS (Social responsiveness scale)14, che in italiano esiste ed è stata pubblicata
come SRS-1. Stiamo cercando di validare la SRS-2, che è quasi la stessa cosa, ma
ha un algoritmo diverso di valutazione. Misura la capacità di responsività sociale, cioè
se il ragazzino è interessato a mettere su una rete sociale e se è in grado farlo, se è
motivato a farlo. Il problema principale è che le SRS distinguono molto bene
l’autistico dal non autistico, ma per esempio non discriminano l’ADHD grave
dall’autismo, che sono disturbi diversi. Sono test compilati dal genitore, ma il
genitore non corrisponde alla diagnosi, risponde alle domande e le domande sono
ambigue, cercano di definire una dimensione che però può essere coinvolta in diversi
disturbi, anche se come qualità il coinvolgimento è diverso15.
- Altre scale (nelle slides: CAST, ASSQ, AQ).

Ci sono quindi delle scale che sono essenzialmente di screening, come l’SRS di cui abbiamo
parlato adesso, e poi ci sono due strumenti principali di diagnosi che sono:

12 (NdR) Scusate, non riesco a capire bene questa frase, parla troppo in fretta. Ho riportato quello che ho capito.
13 Il bambino che abbiamo visto la volta scorsa aveva 2 anni e si poteva già far diagnosi, aveva sì una disabilità
intellettiva, ma era chiaramente autistico.
14 In due versioni, SRS-1 e 2.
15 Quando farete il tirocinio sicuramente vedrete degli ADHD ed i loro test, ma in genere c’è almeno un autistico
per giorno, quindi i colleghi in reparto vi spiegheranno bene questi concetti.
5
- 16
Un’intervista che dura due ore e che contiene una lunga serie di domande che
vengono poste da una persona altamente formata, che conosce molto bene il test ed
il disturbo, tanto da saperlo codificare con dei numeri; l’intervistatore chiede al
genitore tutto sullo sviluppo del figlio, com’era da piccolo, cos’è successo ecc. E’ uno
strumento relativamente semplice nel senso che serve una persona esperta, ma non
necessita di altri strumenti.
- Il gold standard è questo strumento, l’Autism diagnostic observation schedule
(ADOS-1 o 2) che contiene tutta una serie di “giochini”, chiamateli così, ben tarati
per il livello cognitivo e di comunicazione del bambino. Sono 4 moduli: i primi 2
moduli sono indirizzati al bambino che non parla (o perché è molto piccolo, o perché
proprio non parla) o al bambino che comunque ha grossi problemi di linguaggio; gli
altri 2 moduli (quindi il 3 e il 4) sono per i ragazzini più abili, con più capacità verbali.

Entrambe le prove sono relativamente poco sensibili al cambiamento17, quindi si usano per
fare la diagnosi, ma non per valutare l’evoluzione dell’intervento;
- Per l’evoluzione dell’intervento si usa una scala18 che misura la capacità di
adattamento sociale; questa stessa scala si usa non sono per l’autismo, ma anche
per fare la diagnosi di disabilità intellettiva o di ritardo mentale dove non mi importa
solo il numero, ma devo sapere se il soggetto in un suo contesto con quel livello
cognitivo riesce “a funzionare” o no. E’ una scala essenzialmente di comportamento
adattivo.
- La CARS (Childhood autism rating scale, 1 e 2) 19 è un pochino diversa, veniva
utilizzata molto alcuni anni fa; permette ugualmente di fare diagnosi di autismo, ma
anch’essa è poco sensibile al cambiamento. Tuttavia è uscito qualche mese fa uno
studio francese sulla bumetanide, un vecchio farmaco diuretico che fa sì che si
elimini, si perda il cloro. Nello studio questo farmaco viene utilizzato con l’ipotesi che
in questi ragazzini ci sia più cloro all’interno delle cellule che non all’esterno come
avverrebbe nelle persone “normali”20. L’idea è che se gli do un diuretico questi
soggetti eliminano cloro e in questa maniera miglioro i sintomi. E’ un’idea se
vogliamo un po’ bizzarra, però questo studio policentrico francese che è uscito da
poco dà dei risultati estremamente interessanti – veri o non veri; il punto è che per
la valutazione dei risultati si usa questa scala, che però ormai non usa più nessuno,
quindi il dubbio resta.
- Si usa anche una scala21, l’ABC (Aberrant behavior checklist), che non è una scala di
autismo, ma è una scala di comportamento anomalo in qualche maniera, che misura
l’irritabilità, la letargia ecc. E’ stra-usata per misurare gli effetti dei farmaci
sull’irritabilità e sui disturbi del comportamento che questi ragazzini hanno (vedremo
poi degli esempi).

L’ADOS è la scala di cui abbiamo parlato prima, e consiste in una serie di giochini; ci sono 2
moduli per bambini non-verbali che comprendono (tra gli altri):
- Gioco libero: dai al bambino un giochino e vedi, osservi come gioca;
- Risposta al nome: per rispondere al nome vuol dire che sono interessato all’altro,
altrimenti non mi giro; questi bambini vengono chiamati molte volte dall’esaminatore
e continuano a giocare come se l’altro non esistesse, come se non stesse chiamando

16 (Ndr) Penso che si riferisca alla 3Di.


17 Anche se la situazione migliora la scala non cambia di molto.
18 (Ndr) Mi dispiace, ma questo pezzo è un po’ oscuro, non nomina le scale e non si capisce mai a cosa si riferisca
rispetto alla slide.
19 (Ndr) Non le nomina (“queste qua”), ma in base al discorso ho fatto una ricerca su internet e dovrebbero
essere state usate le CARS. http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=49240
20 Vorrei ricordare che durante la vita embrionale il cloro è più concentrato dentro le cellule che non fuori le
cellule.
21 (Ndr) Nelle slides vecchie non la trovo da nessuna parte, ma ho trovato su internet diverse corrispondenze in
vari studi su farmaci, dovrebbe essere giusta.
6
loro! Per potenziare la prova si fa chiamare dalla mamma, e a volte il ragazzino non
risponde manco a lei; questo è già un indice iniziale di compromissione sociale.
- Gioco delle bolle: è molto facile da fare, è il classico gioco di scambio e basta una di
quelle boccette per fare le bolle. Un bambino di 2 anni, quando voi fate le bolle, vi
guarda, le vuole prendere, magari si gira verso mamma e le indica come per dire
“visto che bello questo?” e poi indica perché cerca di farvi capire che le vuole fare
anche lui, cerca di interagire con voi; il bambino autistico ha estrema difficoltà, prova
interesse per le bolle, ma non guarda mamma e non guarda voi, guarda solo le bolle
e non capisce come chiedervi di fargliele fare anche a lui. Quindi sono degli stimoli
molto semplici per misurare tutto questo.
- Imitazione simbolica e funzionale: per esempio c’è una macchinina, l’aeroplanino, la
rana, la tazzina…Giochi con la macchinina e gli dici: “guarda che bellina, fa brum
brum!”; se il bambino è “normale” lo fa anche lui, se è autistico non ci gioca e non fa
nemmeno “brum brum”; ammettiamo però che lo faccia, allora voi gli date un
cilindretto di legno delle costruzioni e gli dite: “questa qui è una macchinina e fa
brum brum, fai la stessa cosa!”, in questo modo lui deve immaginare che il pezzo di
legno sia una macchinina e deve fare lo stesso, è il classico gioco di “far finta”.
Sono tutte delle tecniche stra-codificate, ed è necessario fare dei training perché bisogna
attribuire dei punteggi e grossomodo questo punteggio dovrebbe essere uguale per tutti;
l’ADOS permette di trasformare dei sintomi in numeri, quindi di codificare i sintomi del
disturbo nella stessa maniera.
Per i bambini verbali ci sono delle altre prove: di far-finta, di dimostrazione22, descrizione
di figure, raccontare delle storie da un libro, oppure ancora domande sulle emozioni,
domande sulle relazioni sociali (su amicizia, matrimonio, solitudine…) e poi creare una storia
con 5 oggetti.
Vengono proiettati dei filmati:
1. Si mostra l’esempio del gioco del compleanno, uno dei più classici del test, in cui
l’esaminatore finge che sia il compleanno del bambolotto e cerca di coinvolgere il
bambino; nel filmato si nota che il bambino ha un’ipersensibilità acustica, la vocina
gioiosa gli dà fastidio, non finge di mangiare la torta e non la sa immaginare 23, non
guarda quasi mai l’esaminatore…
2. Già visto anche la scorsa lezione, si tratta di un ragazzino più grande, verbale, cui
viene posta la domanda “chi sono i tuoi amici?”. Il professore commenta: coi
ragazzini più grandi è un po’ più complicato fare questi test.
3. Il video della ragazzina di 16 anni ricoverata in seguito al tentativo di suicidio di cui
si parlava prima: si definisce stramba, non c’è niente di affettivo in tutto quello che
dice, il professore la definisce “agghiacciante”. E’ una ragazzina intelligentissima che
legge ogni giorno un romanzo di cui sa tutto, bravissima a scuola, ma
completamente carente dal punto di vista affettivo e di relazione. In tutta la sua vita
lei non ha mai trovato affetto perché non l’ha mai percepito negli altri; si comporta
in maniera strana e gli altri ragazzini (anche le compagne) la percepiscono strana;
non è particolarmente avvenente e non viene ricercata dai coetanei. Il tipo di
intervento su una ragazzina di questo genere è complicato, sia dal punto di vista
psicologico (perché fare una psicoterapia con una ragazzina del genere è
estremamente impegnativo), ma anche dei farmaci, perché negli autistici la risposta
ai farmaci è diversa: loro hanno un rischio suicidario infinitamente più alto di un
coetaneo che prende farmaci antidepressivi.
Domanda: Ha detto che la ragazza ha difficoltà relazionali e affettive (nel senso che non riesce a
mettersi nei panni nell’altro), ma quindi lei soffre di questo?
Risposta: Alla fine se ne fa una ragione di questa non-considerazione da parte degli altri e si
autodefinisce stramba perché le altre ragazze non la considerano e definisce i maschietti come delle
scimmie e li evita. Lei proprio non ci riesce a mettere su una relazione, e quando viene forzata a parlare
di relazioni sociali quali matrimonio, amicizie, ecc, lei cerca di sfuggire alla domanda, devia, e dà risposte
particolari. Durante il corso opzionale si vedranno una serie di ragazzini diversi, e se gli si chiede “cos’è il

22 Far finta che ci siano delle cose e fare delle cose per finta significa avere la capacità di astrarre, di immaginare.
23 Gli veniva porta della plastilina, lui la guardava e non capiva che dovesse fingere fosse una fetta di torta.
7
matrimonio?” sentirete risposte come: il matrimonio è il buffet, si mangia, si fanno cose…E’ vero che è
una domanda abbastanza ambigua, ma nessuno di loro parla dell’affetto, dell’amore per l’altra persona, e
così via.
E’ importante notare un altro punto: sono tutti ragazzini autistici, ma in particolare il primo
e la seconda sono due autistici diversissimi tra loro: questo vi spiega perché sono 1:68
persone, tutti quanti rientrano nella stessa diagnosi pur essendo così diversi.

 Neurobiologia
Questo dell’immagine è una specie di sommario, uno schema riassuntivo. Alla fine troviamo:
- Problemi d’interazione e cognizione sociale;
- Problemi del linguaggio e comunicazione;
- Problemi di sviluppo motorio (avete visto bambini che camminavano sulle punte,
ecc).

Queste sono una serie di traiettorie del neurosviluppo che sono in qualche maniera
alterate e che dipendono da alterazioni delle traiettorie neurobiologiche, quali:
- organizzazione neuronale e corticale,
- alterazioni del modelling dendritico e sinaptico, cioè la formazione delle sinapsi
e la stabilità delle sinapsi,
- crescita del sistema nervoso centrale
- sviluppo di specifici network corticali. Questo è dato da una serie di fattori che
sono:
a) Fattori genetici: non c’è il gene dell’autismo! Ci sono tutta una serie di geni
che predispongono, ma anche alcune mutazioni genetiche che danno una
determinata malattia (sclerosi tuberosa, X-fragile, ecc) in cui la gran parte
hanno anche l’autismo;
b) Fattori ambientali: fattori materni (per sostanze che passano dalla mamma
al ragazzino), infezioni e tossine.
Giusto per darvi un’idea di quali sono le alterazioni, analizziamo alcuni aspetti:

 Questi sono dei dati non recentissimi, hanno quasi 15 anni, ma sono stati replicati
tantissime volte. Casanova nel 2002 ha studiato le minicolonne, coi loro neuroni piramidali
e gli interneuroni che ne controllano la funzione. Nell’immagine si osservano sezioni
bioptiche24 non di tutto il SNC, ma essenzialmente in aree frontali e temporali, con
colorazione di Nissl25; è un confronto tra il controllo (B) e soggetto con autismo (A): la

24 Stiamo parlando di esami autoptici, non è in vivo, non è una biopsia cerebrale.
25 Quindi non stiamo distinguendo tra i vari tipi di cellule.
8
differenza è che nell’autistico le minicolonne sono molte di più,
molto meno compatte26 e più piccole, perché devono stare in molto
meno spazio. Avere più minicolonne vuol dire che lo stesso impulso
viene amplificato, e questo vi spiega per esempio perché il
ragazzino si protegge dai rumori, perché sente la percezione
sensoriale molto maggiore, essa in qualche modo viene
amplificata.27

 Un altro lavoro un pochino più recente riguarda un certo numero


di soggetti di diversa età, dai 2 ai 15 anni, e sono andati a vedere
delle biopsie in diverse aree cerebrali. Sono stati usati tutta una
serie di specifici anticorpi per specifici antigeni, e anche se non si
vede bene dall’immagine, in alcuni punti “mancano dei pezzetti”: questo vuol dire che nella
corteccia tutta una serie di neuroni è come se non ci fossero, è come se in questo pezzo
della corteccia ci fosse un buco, alcuni neuroni non ci sono e quindi quella porzione non
funziona; questi “buchi” sono sparsi nel SNC, in alcune zone
non fanno nulla, ma in altre danno qualche problema; sono
talmente piccoli che in genere con la RMN da 1,5 tesla (ma
neanche da 3) non si vedono, vi dovete mettere su un campo
particolare per andare a vedere se ci sono queste
microalterazioni. Nelle slides sono indicati i vari marker e
come vedete non sono sempre gli stessi: i soggetti sono tutti
autistici, ma le mutazioni o la mancata espressione di quella
proteina cui l’anticorpo si lega è random; qualsiasi di queste
proteine da sola o messe insieme dà comunque questo tipo di
problema.

 Uno studio vecchissimo del 2000 condotto da Bob Schultz,


uno psicologo, ha veramente cambiato la percezione della
malattia e vi fa vedere che bisogna sempre stare attenti anche
nell’interpretare i dati. Sono stati analizzati dei giovani adulti
autistici ad alto funzionamento (quindi verbali, ecc) vs controlli,
cui è stata fatta una PET28, dando cioè un marcatore radioattivo29: lui fa vedere delle facce e
degli oggetti e confronta l’attivazione di specifiche aree versus una figura neutrale. Un
soggetto normale, quando vede una faccia, tra le varie aree attiva il giro fusiforme, che è
quello che codifica per gli aspetti non variabili delle facce. In realtà il giro fusiforme non
codifica per le facce, ma codifica per le forme che hanno valore affettivo; se voi andate al
museo insieme ad un cultore di scultura e guardate una bella statua, magari voi la guardate
un paio di minuti, dite che è bella e ve ne andate, mentre quello resta mezz’ora a
guardarsela: lui attiva il giro fusiforme perché quelle forme per lui hanno un grosso valore
affettivo; se invece vede un altro oggetto attiva delle aree un po’ più laterali. Il soggetto
autistico che vede una faccia non attiva il giro fusiforme, attiva le aree più laterali che gli
altri attivano per gli oggetti; questo non succede certo perché in lui non funziona, perché
anzi, se gli fate vedere un oggetto che per lui è importante lo attiva eccome! Piuttosto
questo vuol dire che per lui la faccia è come se fosse un oggetto, e se voi capite questo e vi
mettete nei panni del ragazzino autistico da piccolo, capite anche che lui non vede la
persona, ma piuttosto vede una sorta di oggetto che si muove e parla! Se vedeste l’armadio
che si muove e parla, sareste perlomeno preoccupati e quindi dovreste mettere su delle

26 Il professore dice: “molte di più, molto più compatte e più piccole, vedete che devono stare in molto meno
spazio” mentre nella slide c’è scritto: “Più numerose, più piccole e meno compatte (minor numero di interneuroni)”.
27 Nella sbobinatura del 2014: “Casanova nel 2002 è andato a vedere diverse “minicolonne” in una serie di aree
cerebrali, soprattutto prefrontale e temporale. Ha visto che sono più numerose ma meno dense. Significa che
hanno meno interneuroni. Lo stesso stimolo arriva a più minicolonne.”
28 Stiamo parlando di studi di quasi 20 anni fa, all’epoca il tipo di immagini PET erano abbastanza grossolane.
29 Questi studi non sono fattibili nei ragazzini per motivi etici.
9
strategie per gestire l’ansia che questo vi genera: il modo migliore per gestire l’ansia è
quello del serpente, se voi ripetete lo stimolo avversivo senza conseguenze ciò fa sì che
l’ansia diminuisca; gran parte dei comportamenti ripetitivi dell’autistico sono perciò dovuti a
questo motivo, ovviamente ce ne sono anche altri però questo esempio è per fissare l’idea.
Domanda: Nel bambino autistico tutte le persone sono viste effettivamente come oggetti oppure nei
confronti della madre, del padre ci sono delle differenze in termini emotivi?
Risposta: Come vi ho detto esiste un range, quindi bisogna anche vedere a che livello di gravità si colloca
il ragazzino. Per alcuni di essi “gli altri” sono persone, e gli piacerebbe anche avere dei rapporti con queste
persone, però non lo sanno fare. Per quelli più gravi la mamma può diventarlo (una “persona”), ma anche con
mamma hanno difficoltà a percepire le emozioni: certo, lo fanno con un po’ più di facilità perché sono molto
più esposti alla loro vicinanza e quindi in qualche maniera si abituano, sviluppano una qualche strategia… però
non è la stessa relazione affettiva che ha un altro ragazzino con sua mamma. Per mamma, che ovviamente
investe molto (in termini pratici, ma anche emotivo) sul figlio autistico, è estremamente sfiancante non
riuscire a comunicare. Poi è vero che l’uomo riesce a sopravvivere alle situazioni più tragiche, ci sono anche
dei genitori che riescono a seguire delle situazioni gravissime. Per esempio un ragazzo che continuiamo a
seguire (ormai ha 28 anni) che da quando aveva 3 anni passa il tempo a picchiarsi; questo ragazzo ha un
fratello assolutamente normale che sta anche facendo l’università, papà è carabiniere e mamma era poliziotta,
ma ad un certo punto si è dovuta licenziare. Questo ragazzo un periodo doveva costantemente stare con due
persone che al momento del bisogno lo tenessero perché si picchiava da solo; poi banalmente ci è venuto in
mente che gli potessero mettere delle protezioni (ginocchiere, parastinchi…), quindi ora non può piegarsi, non
può fare praticamente più nulla, ascolta musica e al massimo un pochino interagisce perché sorride quando la
musica gli piace. Per cui mamma è eroica se gestisce una cosa di questo genere, è un ragazzo con un QI che
non è misurabile che sì, comunica, partecipa alle cose, ma a livelli molto, molto elementari.

 La volta scorsa abbiamo visto che è possibile andare a studiare il default network,
quindi andare a vedere se le connessioni tra i network sono aumentate o diminuite.
Nell’autistico dipende: alcuni network sono aumentati, generalmente i network corti, per cui
le connessioni all’interno della corteccia prefrontale sono molto più attive; mentre sono
molto meno attive quelle lunghe, ad esempio quelle che uniscono la corteccia prefrontale a
quella temporale. Questo vuol dire ovviamente che il controllo sulla parte emotiva è molto
minore perché quelle fibre sono di meno; ma siccome è molto più alto il numero di
connessioni nella parte frontale e prefrontale significa che sono soggetti molto più vigili,
sono molto più attivi nella parte logica. Tuttavia questa iper-connessione fa anche sì che gli
stimoli aumentino e che questi ragazzini da piccoli o da pre-adolescenti sviluppino epilessia,
appunto perché le connessioni sono tante e ci sono meno meccanismi inibitori.

 Geni e genetica: analizziamo uno studio molto carino uscito su Nature30 che prende in
esame un database immenso, composto da quasi 4.00031 soggetti con autismo e quasi
10.00032 soggetti sani, tutti più o meno della stessa origine geografica.

Questo studio evidenzia che ci sono 22 geni autosomici che danno un segnale forte33, ma ci
sono anche altri 107 geni autosomici che danno un segnale un pochino più debole, cioè
nessuno di questi ha un potere tale da poter dire che sia il gene dell’autismo, però danno un
segnale e questo vuol dire che possono essere implicati nell’autismo. Andando poi a vedere
nello specifico che cosa fanno questi geni, sono tutti geni che codificano per proteine:
- implicate nella formazione delle sinapsi,
- implicate nel rimodellamento della cromatina,

30 De Rubeis, Nature 2014: "Synaptic, transcriptional and chromatin genes disrupted in autism".
31 3.871.
32 9.937.
33 Il prof. dice: “al total genome scan”, ma penso intenda Whole exon sequencing (WES).
10
- che regolano canali voltaggio-dipendenti e che quindi regolano pacemaking ed
eccitabilità,
- istoniche, che quindi regolano l’attivazione di altri geni.

Quello che generalmente si fa è usare la Systems biology34, cioè prendo tutti questi geni e li
analizzo, guardo che tipo di connessione hanno, in quali vie metaboliche sono coinvolti:
abbiamo quindi regolazione della trascrizione, trasmissione sinaptica, giunzioni fra le cellule.

34 Non la fa il ricercatore, la fa il bioinformatico con i sistemi informatici che lavorano per lui.
11
Con queste tecniche possiamo andare a vedere dove sono questi geni, dove sono queste
mutazioni: per esempio sono state trovate una serie di mutazioni su un canale al sodio35 e,
ugualmente, specifiche mutazioni su un canale al calcio36; oppure nella sinapsi
glutammatergica della corteccia ci sono una serie di mutazioni di neuroleghina e
neurorexina37 (che tengono pre-sinapsi e post-sinapsi unite), di PTEN, di SHANK38, della
gamma-catenina. Le catenine sono una cinquantina di proteine e molte di queste catenine
sono coinvolte nei diversi disturbi neuropsichiatrici; se vi ricordate la glia radiale, sono quei
neuroni embrionali che stanno andando verso la corteccia, e che per salire si legano, come
se ci fossero dei pioli, a delle proteine che sono appunto delle catenine: ciò vuol dire che la
gran parte dei disturbi neuropsichiatrici sono dovuti a delle alterazioni dello sviluppo, e la
“rivoluzione copernicana” è stata proprio questa, infatti mentre 20 anni fa si diceva che
adulti e piccolini avessero gli stessi disturbi, ora si dice che tutta la psicopatologia dell’adulto
dipende da qualcosa che è successa molto prima. Se vogliamo riassumere, quando l’assone
comincia a migrare verso il suo target la parte che migra si chiama cono di crescita, ed in
quest’ultimo vi sono tutta una serie di geni espressi; se voi andate a fare uno studio su tutti
quei soggetti analizzati di cui abbiamo parlato, vedrete che ci sono segnali per mutazioni su
questi geni, e che la gran parte si trovano sulla sinapsi glutammatergica. Si tratta di
alterazioni genetiche essenzialmente dei geni che controllano la trasmissione sinaptica,
l’anatomia (dando delle micro-displasie delle minicolonne), lo sviluppo della sostanza bianca
(quindi le connessioni tra le aree, che sono in qualche maniera alterate). Da tutto ciò capite
perché esiste questo tipo di variabilità tra i soggetti. Tutti questi geni sono coinvolti anche
nelle cellule di Leydig del testicolo39.

35 Sulle slides: Na 1.2 (SCN2A).


v

36 Sulle slides: Ca 1.3 (CACNA1D).


v

37 Neuroligins e neurorexins.
38 “Proteine che tengono insieme la sinapsi e che in genere cambiano di morfologia e si attivano (perché vengono
fosforilate) quando il loro inibitore eccita il pezzo post-sinaptico”.
39 Questo indica che tutta la psicopatologia dello sviluppo è molto più frequente nei maschi che nelle femmine.
12
 Piano d’intervento terapeutico: obiettivi
Almeno teoricamente i principi sono:
 Promozione dello sviluppo sociale (autonomie, relazioni sociali, problem-
solving sociale). Vuol dire insegnare a quel bambino40 a fare le cose che gli altri
imparano da soli, come riconoscere le emozioni, capire che l’altro pensa diversamente
da lui, mettersi nei panni dell’altro. Questo si fa con tutto quello che è possibile fare per
quel bambino, un esempio è giocare a palla: se io ti tiro la palla e mi aspetto che tu me
la ritiri, io mi devo mettere nei panni tuoi che me la devi ritirare; quindi già giocare a
palla è un intervento terapeutico che promuove le relazioni sociali, e poi le cose si
fanno via via più complicate. Sviluppo sociale vuol dire anche sviluppare le autonomie:
ce lo dimentichiamo tutti, ma il bambino fa una grande fatica per imparare a controllare
gli sfinteri. Perché lo fa? Perché percepisce quanto è contenta mamma quando lo fa, gli
da i baci, ecc. Se il bambino però ha difficoltà a percepire i sentimenti degli altri non
impara in questo modo, l’unica via che ho per insegnarglielo è quella cognitiva: gli creo
una routine dimodoché il futuro sia per lui prevedibile, non-ansiogeno. Lui sviluppa
questa routine perché gli metto a disposizione quelle che si chiamano “agende visive”,
cioè le figurine di tutti i passaggi che deve fare. Se gli spiego tutto quello che deve fare
con le figure lui memorizza, perché con le immagini stimolo la parte visiva, che è un
canale preferenziale di comunicazione: se io non mi metto nei panni dell’altro la sua
voce non mi interessa, il canale di comunicazione verbale diventa inutile, mi interessa
più quello che vedo di quello che sento. Nei ragazzini un po’ più grandi si arriva al
“problem solving sociale”: ad esempio alla ragazzina del video abbiamo dovuto
spiegare che non ce l’avevamo con lei o che non dicevamo che fosse brutta, stramba,
ecc; le abbiamo dovuto far capire che la stavamo ascoltando e che potevamo fare delle
cose insieme. Ovviamente questo si fa prima in un rapporto 1:1 con l’educatore, poi
pian piano si aggiunge un altro coetaneo e via via anche gli altri. E’ importante
l’inclusione, il bambino autistico deve essere mandato a scuola però devo anche sapere
che non reggerà mai 5 ore di lezione come gli altri! Ha bisogno “di staccare”, stare da
solo o con una persona che lo rassicuri, per poi rientrare in classe. Bisogna insegnargli a
stare con gli altri, lui da solo non lo impara.
 Promozione dello sviluppo della capacità di comunicazione e del linguaggio
(uso sociale della comunicazione). Banalmente il senso è: non mi importa che parli,
mi importa che comunichi. La scorsa lezione abbiamo visto lo sviluppo del linguaggio e
sappiamo che in termini probabilistici impariamo con i suoni a fare le parole, e così via.
La comunicazione però si basa su altri principi, io posso comunicare anche con delle
immagini e difatti uno dei mezzi più usati è proprio codificare per immagini. Questo è il
punto finale cui si arriva, ci sono ragazzini o anche adulti che sono fortemente
compromessi, sono anche in grado di parlare (cioè sanno articolare le parole) ma non di
comunicare, non sanno mettere su un discorso in relazione a qualcosa. Dovete trovare
una maniera per comunicare anche con un bambino con QI di 20 che non parlerà mai41,
ma che può comunicare per immagini. Si può iniziare da un bambino piccolo facendogli
vedere delle immagini, o anche con dei principi, dei concetti come per esempio il si o
no; ma dato che “si e no” sono parole allora si usa il pulsante: se la risposta è si il
bambino mi fa un “drin”, e già questa è una forma iniziale di comunicazione. È una
faticaccia comunicare solo con si o no, però è meglio di niente, e via via si possono
usare delle immagini semplici per creare delle agende visive in cui ad ogni immagine
corrisponde un concetto, un significato, o addirittura può anche essere uno stato
d’animo (vi può arrivare a dire “sono arrabbiato” perché usa il disegno della persona
arrabbiata); sulla base di questo poi si può arrivare a costruire un minimo di
comunicazione. Stiamo parlando dell’estremo, con disabilità intellettive piuttosto
marcate. La stessa cosa si può fare con il ragazzino molto intelligente: ci sono delle cose

40 In maniera che lui lo capisca, quindi sulla base del suo sviluppo cognitivo.
41 Perché sotto i 20 non si parla.
13
che lui ha difficoltà a percepire, a comprendere, ma gli si può spiegare logicamente che
una data cosa è così; lui se ne fa una ragione e la ingloba nella sua vita quotidiana.
 Promozione dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento (scolastico e
lavorativo).
 Riduzione dei comportamenti maladattivi (diversione, prevenzione fattori
scatenanti, abilità di coping).

 Piano d’intervento terapeutico: metodi


a) Struttura (prevedibilità, funzionalità, approccio visivo), cioè come abbiamo detto
un approccio visivo che deve essere prevedibile (lui deve aver imparato che X vuol dire X
e tutti devono saperlo, per cui se utilizzate una figura tutti devono utilizzare la stessa
immagine per dire la stessa cosa) e deve essere funzionale.
b) Appropriatezza secondo Sviluppo (valutazioni e modifiche periodiche). In nostro
intervento deve cambiare, perché man mano che il bambino cresce non possiamo usare
sempre gli stessi metodi. Un buon piano terapeutico cambia ogni 6 mesi, si mettono dei
nuovi obiettivi via via per aiutarlo in qualche maniera a crescere.
c) Si basa sui Punti di forza (per compensare i deficit). Ognuno dei bambini che avete
visto aveva i suoi punti di forza: la ragazzina “stramba” era intelligente e sapeva leggere;
il ragazzino che non festeggiava il finto compleanno era iperattivo (quindi si sfrutta anche
l’iperattività che viene gestita con farmaci)42. Insomma ci sono tutta una serie di strategie
che devono essere adattate caso per caso.
d) Programmi a tempo pieno. Il problema è proprio che è tutto a tempo pieno, non fanno
solo un’ora di terapia e poi tutto finisce lì: se io uso le immagini è fondamentale che la
maestra, papà, mamma, nonna, i cuginetti…tutti usino le immagini nella stessa maniera.
e) Attività strutturate ripetute e piccole unità temporali. Poiché il carico emotivo è
molto elevato il bambino si stanca prima, si fanno delle pause per poi riniziare.
f) Intervento individuale, piccoli gruppi. Inizialmente il rapporto sarà 1:1, dopo
diventerà di 2:1 e poi si potranno seguire dei piccoli gruppi.
g) Inclusione di scuola e famiglia. Tutti devono sapere che cosa sta facendo il
ragazzino43. Purtroppo capita soprattutto nelle zone periferiche 44in cui ci sono problemi
nel seguire i programmi d’intervento. Ad esempio un nostro collega ha dei problemi
perché non ha terapisti, ci sono degli educatori pagati dal Comune e capita che questi
educatori non parlino con il dottore o con lo psicologo, ognuno fa le cose separatamente.
Ovviamente tutto questo costa l’ira di Dio per ottenere pochissimo, perché il programma
deve essere necessariamente modificato, ma soprattutto dev’essere concordato.

 Tipi d’intervento terapeutico45


 Essenzialmente nei ragazzini più grandi sono interventi di tipo cognitivo-
comportamentale: ti spiego una cosa e ti gratifico se fai quello che hai capito, ti tolgo
dei privilegi46 se non mi ascolti, e soprattutto poi ti aiuto a farti un piano, trovare diverse
soluzioni, ragionare su qual è la migliore soluzione in quel contesto (ambientale, affettivo,
cognitivo e così via).
 Farmaci. Il professore mostra un’immagine47: ognuno di questi colori è una classe di
farmaci diversa e ognuna di queste sbarre è un Paese diverso (Arabia Saudita, Colombia,

42 “Lui riusciva a partecipare al colloquio anche se chiacchierare per lui era tremendamente ansiogeno; gli si
possono fare lo stesso delle domande, normalmente ci si trattiene di più rispetto a quello che avete visto. Avendo
una telecamera abbiamo pensato di far vedere il video a voi studenti e per rendere il video più didattico lo abbiamo
un pochino forzato per vedere dove arrivava, ma nelle sedute di routine non si va così pesanti, ci si trattiene un
pochino di più.”
43 Intende che tipo di terapia sta facendo e come.
44 “A Cagliari è un po’ diverso, anche se abbiamo anche qui una serie di problemi, ma di altro tipo.”
45 “Per questi lavori vi darò dei pdf, per cui ve li potrete vedere.”
46 Questi privilegi possono essere anche affettivi, non è per forza “ti tolgo il giocattolo”.
47 Non fornita.
14
Islanda, Finlandia…). Di questi colori, il più ampio è il blu scuro che corrisponde agli
antipsicotici; gli altri colori sono tutta la farmacopea: stimolanti, farmaci per il sonno,
betabloccanti, benzodiazepine, anti-parkinson, antidepressivi, antiepilettici, ecc. Un
gruppo48 di grandi e noti studiosi ha fatto un po’ di correlazione ed è andato a vedere
l’uso dei vari farmaci nei diversi Paesi con una serie di parametri. Quello che ci hanno
fatto vedere è che per ogni singola categoria di farmaci il tasso di utilizzo è sulla base del
reddito, cioè più il paese è ricco e più si usano farmaci. Tuttavia se andate a vedere
l’efficacia di queste classi di farmaci sui disturbi dello spettro autistico, questa è 0.

Dovete valutare l’efficacia degli interventi terapeutici con delle misure statistiche.
“Per confrontare due farmaci si ricorre a diversi parametri:
- Effect size definisce quanto un trattamento è superiore a un altro in termini di
efficacia;
- Number needed to treat definisce quanti pazienti è necessario trattare perché uno
migliori;
- Analogamente si utilizza un terzo parametro che definisce quanti pazienti è necessario
trattare perché si osservi un effetto collaterale.”49

 La prima è una misura matematica


davvero elementare 50 che si chiama
Effect Size, cioè la differenza di
cambiamenti tra basale (basaline) e
gli interventi (endpoint)51. In questo
caso abbiamo uno studio con
52
l’intervento (A) cui corrisponde una
scala di valutazione: più alto è il
punteggio e più grave è il paziente.
Questo punteggio dopo l’intervento
(A) da 38,5±5,8 scende a 25,5±4,2
quindi il paziente è migliorato; ma
anche nell’intervento (B)53 il punteggio
da 40,4±6,1 è sceso a 32,7±5,8,
quindi anche dopo l’intervento (B) i
pazienti sono migliorati. Quello che voglio sapere è: di quanto sono migliorati? È un
miglioramento importante? Qual è più significativo? Come confronto i numeri?
Dobbiamo calcolare questo indicatore che è l’Effect Size o “d” di Cohen secondo la
procedura riportata nella slide54; alla fine avrete un rapporto che standardizza le unità di
misura dei diversi studi; sulla base di questo rapporto potrete quindi fare la valutazione dei
diversi interventi perché ad ogni range di “ES” corrisponde un significato:
• Se ES ≤0.2 vuol dire che praticamente non c’è differenza, la differenza non è
significativa, potete avere anche milioni di soggetti, ma non è significativa.
• Se 0.2≥ES≤0.4-0.5 è una differenza lieve, avete bisogno di milioni di soggetti per
vedere un effetto, ma lo vedete. L’esempio tipico riguarda il fatto che negli anni ’60

48 Li cita uno per uno, riconosco: Emily Simonoff, Declan G. M. Murphy, Ian C. K. Wong.
49 Copiato dalla sbobinatura del 2014.
50 “Quindi non vi servono grandi statistiche. Ora, giusto perché ci capiamo, se voi uscite da questo corso con
questi pochi concetti che utilizzerete poi nella pratica clinica quotidiana, io sono contento.”
51 Potete usarlo per studi farmaco vs placebo, ma anche per qualsiasi altro approccio: fisioterapia, trattamento
cognitivo, psicoterapia…quello che volete.
52 In questo caso un farmaco.
53 Placebo.
54 “Differenza tra i cambiamenti dal basaline tra farmaco e placebo, diviso la media delle deviazioni standard
(placebo e farmaco ad endpoint).
15
negli Stati americani desertici55 hanno provato a prevenire le carie dentali mettendo il
fluoro (tipico dell’acqua marina e delle zone marine) nell’acqua da bere, e si è visto
dopo 5 anni che erano diminuite di qualche punto percentuale le carie nella popolazione,
con un Effect Size di 0.4 che non è bassissimo, però non è che voi vi bevete il fluoro per
non farvi venire le carie, solo su grandi numeri vedete qualcosa.
• Se 0.5≥ES≤0.7 è un effetto medio, vuol dire che c’è l’effetto, dovete essere dei bravi
clinici per vederlo.
• Se ES≥0.8 “lo vedono anche i sassi”, cioè l’effetto lo vede chiunque, è alto.
Questa è la misura di quanto migliorano.

 C’è anche un’altra misura molto elementare che è il Number needed to treat (NNT).
Facciamo un esempio: avete usato una terapia (di qualsiasi natura essa sia) che normalizza
il 75% dei pazienti, però anche nel braccio del placebo guariscono il 25% dei pazienti.
L’effetto vero dell’intervento quindi è il 50%: tradotto vuol dire che devo trattare 2 pazienti
perché 1 migliori, perché 100/50=2  Number needed to treat.

 Gli effetti indesiderati ci sono anche con il placebo, non solo per la terapia: si utilizza una
misura che si chiama Number needed to harm (NNH).

Queste 3 misure (ES, NNT e NNH) sono la base del vostro lavoro quotidiano, ogni medico
deve essere in grado di valutare l’efficacia degli studi, di capire che cosa funziona di più o di
meno e perché. Ora con questi dati andiamo a vedere qualche studio:
 Questo è uno studio vecchiotto dei primi anni 2000 su un farmaco che si chiama
risperidone, ed è uno studio in cieco non delle industrie farmaceutiche56; misura
l’irritabilità dei ragazzini, e vi fa vedere che col placebo essa migliora, ma abbastanza
poco, mentre col risperidone migliora tanto. Potete fare la differenza tra trattamento e
placebo e avrete che l’Effect size è di 1.1; potete andare anche a vedere quanti
migliorano col placebo (meno del 10%) e quanti migliorano col risperidone a 8
settimane (l’80%); il NNT è 1.6. Questi sono tra i più grandi effetti, i migliori che
esistano, però misurano solo l’irritabilità. Sempre nello stesso studio andiamo a vedere
anche le altre dimensioni analizzate:
- irritabilità, come abbiamo detto, ha un ES circa 1.2;
- iperattività, uguale;
- ritiro sociale, l’ES è 0.4;
- linguaggio, ES=0.3…
Vuol dire che il risperidone non funziona sull’autismo, non funziona sul nucleo principale
della patologia, ma funziona su dei sintomi associati: irritabilità, scoppi d’ira, non
riuscire a rimanere mai fermo, ecc. Studi del 2014 e 2015 ci dicono quindi che il
risperidone funziona sull’irritabilità, ma non funziona sul core symptome rappresentato
dalla difficoltà di relazione sociale: voi gli dovete insegnare come relazionarsi con l’altro.
Questo farmaco vi permette di insegnarglielo con meno fatica, lui impara prima perché
è meno irritabile, è meno iperattivo, riesce a concentrarsi un pochino di più.
 Qualche anno fa abbiamo misurato “in casa” dei dati su una decina di ragazzini (tutti
molto gravi) per 6 mesi di terapia con metilfenidato, un farmaco per l’iperattività
usato nell’ADHD dove ha un ES intorno a 1: usando una scala molto sensibile al
cambiamento, abbiamo visto che nell’autismo l’effetto sull’iperattività è molto minore
rispetto all’ADHD, perché vero che ci sono tanti soggetti iperattivi, ma hanno
un’iperattività diversa.

L’EMA ha un network di centri clinici a causa della Pediatric Rule per la somministrazione dei farmaci: negli Stati
Uniti ed anche in Europa qualsiasi farmaco che può avere qualsiasi effetto sui bambini deve essere studiato sui
bambini, sennò il farmaco non viene registrato; sapete che i neonatologi non hanno farmaci on-label, tutti i farmaci
sono utilizzati off-label, perché non ci sono studi; e così in generale nei bambini circa il 70% dei farmaci sono

55 New Mexico, Arizona, ecc.


56 Sono stati spesi dei fondi pubblici del Governo degli Stati Uniti che fa il bando, ci sono dei consorzi di cliniche
che partecipano.
16
utilizzati off-label. Per cui gli enti regolatori richiedono che, se produci ad esempio un farmaco che può essere un
risperidone nuovo, che può essere anche utilizzato nei bambini, devi fare tutto l’iter di studio altrimenti non lo
registrano neanche per gli adulti. In realtà devono fare lo studio, non devono dimostrare l’efficacia! Se lo studio si
può fare, ovviamente. Se chiedono a 100 ospedali di condurre lo studio e nessuno lo vuole fare, registrano il
farmaco per gli adulti e i bambini si arrangiano; siccome però questo l’hanno fatto un po’ troppo spesso, ora l’EMA
fa un bando e chiede a dei network di centri clinici che sono disponibili di fare studi clinici per l’industria,
ovviamente discutendo il protocollo e seguendo una serie di regole. Io ero vice-rappresentante all’EMA e facevo
parte di un network; dall’EMA ci hanno chiesto di riunirci per fare gli studi sulla neuropsicofarmacologia nei
ragazzini. L’European Child and Adolescent Neuropsychopharmacology Network è un network di centri clinici
riconosciuto dall’ECNP (che è una società scientifica), ma anche dall’EMA; questo network fa gli studi per
l’industria. Una volta che ci siamo riuniti ci siamo quindi chiesti: qual è il disturbo per cui c’è
maggiore necessità di studi farmacologici? Le risposte sul podio sono state: 1) l’autismo; 2)
il disturbo di condotta; 3) la disabilità intellettiva; solo dopo vengono i disturbi alimentari e
così via. Ciò non vuol dire che siano i disturbi più gravi, ma sono quelli per cui non ci sono
farmaci, quindi la strategia è andare a cercare delle altre vie. Per esempio:
 Nell’X-fragile ci sono delle triplette che vengono amplificate e sono nel cromosoma
X, fino ad un certo numero il soggetto è portatore, oltre un certo numero è malato;
l’aspetto fondamentale è la disabilità intellettiva, però molti pazienti X-fragile sono
anche autistici. Ci sono una serie di evidenze che la disabilità intellettiva sia legata a
uno sbilanciamento GABA/glutammato non a livello del neurotrasmettitore, ma a livello
di recettore, per cui si può provare a modulare il recettore metabotropico al
glutammato57.
 Nella Sclerosi tuberosa la mutazione è essenzialmente a carico della tuberina o
dell’amartina, due
proteine coinvolte in
una cascata di eventi
che controlla l’m-TOR,
una proteina sensibile
ad un antitumorale, la
rapamicina. Se m-TOR
non viene inibita dalla
rapamicina o da altre
proteine o altri
secondi messaggeri,
fa sì che ci sia una
proliferazione
cellulare, quindi
bloccare m-TOR è un
meccanismo
antitumorale. Si è
visto che nella sclerosi
tuberosa dei farmaci
che passano la
barriera e bloccano
questa proteina fanno
scomparire i tuberi, e quindi ci sono degli studi per capire se il trattamento migliora
anche l’autismo. La rapamicina in realtà non passa la barriera ematoencefalica, quindi
c’è il derivato che si chiama Everolimus.

 Per quanto riguarda la bumetanide58, è stato visto che qualcuno peggiora anche col
farmaco, qualcuno migliora anche col placebo, però la gran parte dei pazienti migliora
col farmaco. Sono pazienti medio-gravi, quello che succede è che i medi aumentano un
po’ di numero e qualcuno diventa anche molto lieve.

57 Li avete fatti in biochimica e sapete che sono di 2 tipi.


58 Abbiamo nominato prima questo studio.
17
Per cui il tentativo è questo, si cerca di differenziare i trattamenti in base al coinvolgimento
di PTEN, neurofilamenti, tuberina 1 o 2, il pathway dell’m-TOR, SHANK, neuroleghina e
neurorexina (che tengono in piedi la sinapsi), e così via. Sono studi complicati che
richiedono grossi investimenti e network solidi.
59
La ricerca in Europa riceve dei finanziamenti dalle università e da un altro tipo di supporto rappresentato da quelli
60 61 62
che si chiamano IMI in cui l’Unione Europea mette tanti soldi , una parte la mette l’industria e alla fine si cerca
63
di mettere su una rete che riesce a portare a delle conoscenze. Uno di questi progetti , appena finito, ha prodotto
tutta una serie di dati e ha cominciato a mettere su un network di Centri Clinici che sono pronti a fare studi sui
farmaci: in Italia ci sono Pisa e noi di Cagliari, Roma non c’è più.
Tutto questo per dirvi che non abbiamo farmaci validi per la cura dell’autismo, non abbiamo
medicine, abbiamo solo terapie educative o psico-educative; però probabilmente quando voi
vi specializzerete64ci saranno degli interventi farmacologi validi, perché in questi anni le
conoscenze sull’argomento sono molto aumentate. Ovviamente sono molto aumentate anche le fake-
news, ad esempio sugli ultrasuoni, che nessuno dimostra essere efficaci, ma che diventano molto popolari. In
quanto medici avete il dovere di avere almeno un’infarinatura su come si studiano i farmaci e su come si leggono i
risultati, perché poi voi questi farmaci li dovete consigliare e prescrivere.

Il Disturbo da Deficit Attentivo Con Iperattività (ADHD)


e i Disturbi dirompenti del comportamento
Iniziamo con un filmato vecchissimo: è una bambina di 5 anni con un QI ai limiti della
norma (ma pur sempre nell’ambito della norma), che ora ha 18 anni; questa ragazzina ha
anche una gemella che ha una lieve disabilità intellettiva. Nel filmato una pedagogista che
all’epoca lavorava con noi stava cercando di valutare se questa bambina all’età di 5 anni
avesse le capacità cognitive per iniziare la 1° elementare, cioè valutava quelli che si
chiamano i prerequisiti: capisce i concetti di “grande e piccolo”, “sopra e sotto”, riesce ad
orientarsi con l’uso dei segni, e cosi via. Questa bambina non riesce a fare una cosa per più
di 5 minuti, appena le si chiede di fare una cosa dice di no e si diverte a far saltare i nervi a
tutti quelli che le stanno intorno65, però “comincia a funzionare” dopo 10 minuti (dopo che
ne ha combinato di tutti i colori) quando ha molti più stimoli che sono in qualche maniera
distraenti.
Normalmente se mettete un bambino a fare i compiti davanti alla televisione, si distrae;
questi bambini no, incominciano a fare i compiti con la radio, il televisore ecc, cioè più
stimoli gli date e più in qualche maniera loro “cominciano a funzionare”. In realtà l’aspetto
fondamentale di questi ragazzini66 è la noia, cioè la diversa percezione del tempo per cui
percepiscono il tempo in modo molto più accelerato, se non avvengono abbastanza cose si
annoiano e non fanno quello che devono fare. Il problema di questa ragazzina – tra le altre
cose – è la difficoltà di inibire le risposte automatiche, quindi quello che le viene in
mente fa; ha difficoltà ad attendere una gratificazione, solo se ha una gratificazione
immediata riesce a fare le cose. Poiché si annoia immediatamente, o voi aumentate la
frequenza degli stimoli e gliene date anche altri incongrui (e allora lei “funziona”), altrimenti
fa quello che avete visto nel video.

 Dalla sbobinatura del 2014: “Per quanto riguarda il disturbo ADHD i problemi
principali sono rappresentati da:
- difficoltà nell’inibizione delle risposte automatiche;

59 “In genere vengono dati se hai anche una piccola/media industria dentro.”
60 Innovative Medicines Initiative.
61 “Stiamo parlando di 30-40milioni di euro.”
62 “Che collabora in maniera non competitiva, quindi non sul farmaco, ma sui metodi per usare il farmaco.”
63 (Ndr) Mi dispiace, ma non sono riuscita a ricavare il nome.
64 “Tra 5-6 anni.”
65 Si chiama Disturbo oppositivo provocatorio (DOP).
66 Ma anche quando sono adolescenti o adulti.
18
- difficoltà nella pianificazione, nel prendere le informazioni e manipolarle;
- difficoltà nel generare nuove idee;
- avversione per l'attesa (quindi la ricompensa e il tempo possono essere
percepiti in maniera diversa).”

Qualche volta, se conoscete bene la biologia, farete delle cose che sono assolutamente
efficaci, ma che sono totalmente controintuitive. Nell’immagine generale dell’insegnante 67 il
bambino che va male a scuola vuol dire che non capisce. Se la lezione procede troppo
lentamente una ragazzina come lei vi ribalta la classe, ma se voi accelerate il ritmo 68 lei non
si annoia e “funziona”.

Questo di cui abbiamo parlato si chiama Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività
(ADHD) e fa parte dei Disturbi del
Neurosviluppo dal 2013 perché prima era
tra i “Disturbi Dirompenti, del Controllo
degli impulsi e della Condotta” insieme al
Disturbo Oppositivo-Provocatorio e al
Disturbo di Condotta69.
 Il Disturbo di condotta vuol dire
una violazione sistematica delle
regole: appiccare fuoco, scatenare
risse, ficcare la matita nell’occhio
del compagno sapendo che questo
comporterà la perdita dell’occhio...
E’ il disturbo più grave che esista
(insieme all’Autismo se volete, ma
per motivi diversi), anche più del
Disturbo Bipolare o della Schizofrenia, perché queste ultime sono malattie che si
curano al giorno d’oggi, le persone schizofreniche ormai fanno una vita normale. Di
Disturbo di Condotta invece si può morire: o perché si finisce in carcere o perché si
fa uso di sostanze.

Vedremo nel corso della chiacchierata che il pattern dell’ADHD e del Disturbo Oppositivo-
Provocatorio è l’inizio poi della storia delle dipendenze. Anche l’ADHD70 è un disturbo
estremamente eterogeneo e gli stessi farmaci curano le diverse forme.

 Criteri di diagnosi
I criteri per la diagnosi di ADHD comprendono l’avere 6 o più sintomi di inattenzione e/o
d’iperattività che devono iniziare prima dei 12 anni, che devono compromettere la
vita del soggetto, che devono essere presenti in almeno 2 contesti e che non devono
essere causati da altre psicopatologie gravi, ad esempio schizofrenia o simili (lo
schizofrenico è inattento per definizione, perché sente le voci).

67 “Che per fortuna sta cambiando.”


68 Accelerare significa tagliare il numero di informazioni (cioè gliene date poche e dirette), ma anche dargliene
una dopo l’altra.
69 Cui accenneremo soltanto.
70 Come l’Autismo.
19
di amici, va bene a scuola, ha la pagella con un sacco di 10, non è bambino ADHD: è vivace,
è un bambino e ha diritto di esserlo. Se però il bambino viene mandato sempre a fare le
fotocopie perché la maestra con lui non riesce più a fare lezione; se il prete gli dice di non
andare più a catechismo e che gli fa fare lo stesso la prima comunione, basta che non vada
più là; se il maestro di pallacanestro gli dice di andare a giocare a qualsiasi altra cosa e
inventa anche scuse sul fatto che sia ancora troppo piccolo per giocare a pallacanestro;
ecc…questo è un bambino ADHD, e come pensate che si senta? Tutto quello cha fa non va
bene, si sente di non valere niente; ma poi ci pensa e capisce che in realtà una cosa la sa
fare bene, ed è il massimo della gratificazione per un bambino fino a 10 anni: controllare il
comportamento degli adulti. Si mette d’impegno e fa saltare i nervi a papà e mamma e alla
maestra, ed ogni volta che si arrabbiano lui è contento perché c’è riuscito; così continua e
diventa un Disturbo Oppositivo-Provocatorio. Questi ragazzini infatti arrivano alla nostra
attenzione medica non tanto perché sono iperattivi, ma perché sono oppositivi-provocatori,
che è la conseguenza del fatto che sono iperattivi.
Questi sintomi elencati d’iperattività e impulsività che dicevamo prima (è irrequieto, si alza
in situazioni non opportune, corre e salta eccessivamente…) sono i sintomi pensati per un
bambino della scuola elementare; questa condizione però non si ferma ai bambini delle
elementari, spesso continua anche in adolescenza e qualche volta in età adulta71.
Ovviamente nessun adulto “corre e salta eccessivamente”, l’adulto avrà maggior senso
d’irrequietezza interna o psichica; per cui i criteri del DSM-5 comprendono la parte dei
bambini e mettono anche degli esempi per spiegare come può essere un adulto.

 Modelli neuropsicologici
Analizziamo uno studio di più di 10 anni fa fatto con ragazzini di controllo, ADHD e ragazzini
con disturbi della lettura. Questo studio riguardava le funzioni esecutive: inibizione,
memoria di lavoro, pianificazione… Ognuna di queste ha un suo task col quale è stata
studiata, ed ognuna di esse ha delle alterazioni importanti, anche se non gravissime.

71 “Leggetevi bene le slides perché la maggior parte dei concetti importanti di questo punto sono riassunti li”.
(NDR: ovviamente non le riporto tutte).
20
più, per cui se devo attendere molto tempo quel dato premio per me non vale più. Il
concetto generale è: preferisco una ricompensa piccola
subito, piuttosto che una grande dopo. Un tempo si
pensava che questi ragazzini non riuscissero ad
aspettare, in realtà il concetto è più complicato.
Facciamo fare al bambino ADHD un test che lui sa fare e
gli diciamo che può scegliere un premio (in genere di
tipo monetario): può scegliere se avere 10cent adesso
oppure 1€ tra un’ora. Il bambino ADHD vi dice che vuole
10cent ora, ma non perché non capisce il valore dei soldi
o che 10cent valgano meno di 1€; fa un ragionamento
che voi non fate72: “se io prendo 10 cent ora è meglio,
perché in quell’ora rifaccio il gioco tante volte, venti
volte, ed in un’ora ho 2€ e non 10 cent o 1€”. Lui pensa
più rapidamente di voi, si fa subito il calcolo, salta subito alla conclusione. Se voi gli
dite che può avere i 10 cent subito, ma che tanto il gioco in quell’ora non lo rifate
più, allora lui ci pensa e dice di no, è meglio aspettare un’ora e prendere 1€; il
problema è che per lui un’ora è come se fossero 10 ore per una persona “normale”,
si annoia, si scoccia e dopo 5 minuti comincia a stressarvi e tormentavi. Sono cioè
dei ragazzini che pensano e funzionano in una maniera diversa dagli altri.
- Percezione del tempo in maniera diversa.

72 Perché siete adulti e non pensate come un bambino ADHD.


21
Possiamo andare a vedere dove sono le alterazioni
delle connessioni dei default network: uno studio
americano di qualche anno fa ci fa vedere che,
confrontando ragazzini con ADHD-combinato (ADHD-
C)73 VS ragazzini con Typical Developmental Control
(TDC), le alterazioni maggiori74 sono nel default
network. Il default network permette di: ricordare il
passato, pianificare, anticipare eventi futuri; questi
bambini quindi non riescono a proiettarsi nel futuro,
o meglio non riescono a pianificare il futuro, vogliono
tutto e immediatamente.

Se le 3 dimensioni fondamentali dell’ADHD sono:


deficit esecutivo, avversione per l’attesa, percezione
del tempo in maniera diversa; pochissimi bambini
hanno tutte e 3 le alterazioni, eppure sono tutti
ADHD (eterogeneità).

Analizziamo 3 studi fatti in posti diversi:


 Uno studio inglese75 analizza 77 ragazzini di età compresa
tra i 7-12 anni; di questi: 22 non avevano nessun deficit;
alcuni avevano avversione per l’attesa; un’altra percentuale
aveva alterata percezione del tempo; in alcuni i problemi
erano di inibizione… ma solo 4 (cioè il 5%) aveva alterate
tutte e 3 le funzioni.
 Uno studio simile fatto invece in Svezia con 102 ragazzini
dice che: per le funzioni esecutive hanno problemi il 35%;
l’avversione per l’attesa è presente nel 14% dei soggetti;
però il 30% dei ragazzini non ha nessun problema neuropsicologico e tutte le funzioni
sono normali, anche se sono tutti ADHD. Altra variabile molto importante che in
questo studio si vede bene è la Reaction time variability (RTVAR)76 che
differenzia molto bene gli ADHD dai controlli, e che indica la variabilità intra-
individuale del tempo medio di reazione. Immaginate di dover fare un test:
- quando lo state imparando dovete faticare un po’
- via via aumentate la vostra velocità di risposta ai vari stimoli del test
- quando avete imparato arrivate al massimo della velocità
- alla fine vi scocciate e diventate nuovamente lenti.
Questa variabilità è normale; questi soggetti invece è come se non imparassero mai,
il tempo varia sempre, e questa variabilità (che può essere misurata) li caratterizza,
rappresenta il marker maggiore. Il problema è che questa alterazione ce l’hanno solo
la metà dei casi, ed inoltre ce l’hanno ragazzini con anche altri problemi. RTVAR è
quindi un indicatore sensibile, ma non è specifico.
Ricordate che queste alterazioni sono presenti circa nel 70%, abbiamo visto prima
che il 30% non aveva nessun problema.
 Andando a vedere il rapporto con le emozioni, anche se sono soggetti solo con ADHD
e non autistici, comunque quasi il 40% dei soggetti dello studio ha difficoltà nel
riconoscere le emozioni, mentre quasi il 70% che ha difficoltà a regolare le

73 Cioè sia inattento che iperattivo.


74 Cioè i pallini rossi più grandi.
75 Sonuga-Barke et al. JAACAP 2010.
76 Qui nel 54% dei casi.
22
emozioni. Regoliamo le emozioni con i processi esecutivi (inibizione, posticipare la
gratificazione…): gli ADHD non ce la fanno.

 Uno studio scozzese77ha analizzato 83 ragazzini con ADHD di età compresa tra i 6-12
anni, che non avessero mai preso farmaci per l’ADHD prima (treatment naïve). Questo
studio analizza l’effect size in relazione a varie caratteristiche studiate con test tra i pazienti
ADHD ed i controlli, ed evidenzia
che per l’inibizione è 0.7 (quindi
non proprio basso), per
l’avversione per l’attesa è 0.8,
per la memoria visuo-spaziale
(che non è una funzione
esecutiva) è quasi 1, ma questa
alterazione è presente solo nel
30-40%, quindi anche se è
molto forte non c’è nella maggior
parte dei casi. Capite bene che se
fate un test diagnostico che
analizza questo parametro (la
memoria visuo-spaziale)
includete questi pazienti, ma non
gli altri che sono comunque
affetti. Per questo la diagnosi non
si può fare con un test, ma è una
diagnosi clinica; i test si
possono fare per capire quale sia la maggior compromissione e per questo ne dovete fare
una batteria.
Le compromissioni sono:
- funzioni esecutive,
- percezione del tempo,
- rinforzo-motivazione (cioè imparo
dalle gratificazioni),
- attivazione/regolazione, cioè lo sforzo
che impiego per fare quello che devo fare
è proporzionale al risultato. Se lo sforzo è
5 per un premio che vale 6; se lo sforzo diventa 6, quel premio da 6 non vale più, quindi
o il premio sale a 7 o ci vuole qualcosa che faccia scendere lo sforzo a 5. Le soluzioni
sono quindi giocate sui premi o diminuire lo sforzo.
- Discontrollo motorio.

Le funzioni vere e proprie alterate sono:


- inibizione,
- memoria di lavoro
- avversione per l’attesa
Ora, queste funzioni nell’ADHD non sono deficitarie, ci sono, ma gli costa più fatica usarle.
La performance cognitiva dipende quindi dal contesto. Esempio:
 Un bambino “normale” di 3° elementare sta attento il 60% del tempo, la maestra lo
sa e quindi in genere fa delle lezioni di 15-20minuti, poi fa una battuta per far ridere
tutti e diminuire l’attenzione per un attimo, e infine può andare avanti con la lezione.

77 Coghill, Seth, MaShews, 2013.


23
- Se però in classe hanno appena visto un film
avventuroso come Jurassic Park, che non
avevano mai visto prima, e hanno anche una
maestra molto carismatica che gli spiega tutta
la storia dei dinosauri e lascia tutti i ragazzini
affascinati, allora stanno attenti anche per il
90% del tempo.
- Se arriva la maestra un po’ imbranata, alla
prima esperienza, poco carismatica,
l’attenzione dei ragazzini è di circa il 30%.
 Questa è la vostra esperienza normale,
sono cose che abbiamo sperimentato
tutti.
 Un ragazzino con ADHD lieve sta attento il 30% del tempo;
- se si guarda il film interessante, si parla di dinosauri e la maestra è molto brava,
sta attento il 60% del tempo come fa un bambino “normale”;
- se la lezione è scarsa la sua attenzione è del 30%, come in un bambino “normale”!
 Quindi vi accorgete che c’è un problema nel bambino solo in alcune situazioni
e non in altre.
 Se l’ADHD è grave, l’attenzione c’è nel 20% del tempo; neanche il miglior insegnante
riuscirà ad ottenere l’attenzione normalmente.

 I soggetti degli esempi sono tutti e due ADHD, ma molto diversi tra loro: il concetto è che
non è un disturbo categoriale (cioé o sei o non sei), ma è un disturbo dimensionale, il
cut-off lo mettiamo noi sulle esigenze che abbiamo.

 E’ un disturbo eterogeneo, perché:


1. Ha diverse forme cliniche:
- iperattivo/impulsivo,
- inattentivo
- combinato.
2. Ha diversi modelli neuropsicologici.
3. Esistono diversi sistemi
di classificazione:
l’ADHD del DSM-5 non è lo
stesso dell’ICD-10, o
meglio i sintomi sono gli
stessi, la codifica è
diversa. Per il DSM-5
potete avere 6/9 sintomi
di iperattività e nessuno di
inattenzione, oppure con
6/9 di inattenzione e 3/9
di iperattività allora si
parla di ADHD di tipo
inattentivo. Per l’ICD-10
servono: 4 sintomi di
iperattività, 2 sintomi di
inattenzione e 1 di
impulsività e ci deve essere anche una compromissione funzionale in tutti contesti. E’
quindi una forma molto più grave di ADHD. Su 100 ADHD, 20 di loro saranno
ipercinetici; se andate a vedere il rapporto di efficacia degli interventi versus gravità,
è importante sapere che a quei 20 o gli date le medicine o non risolvete nulla, perché
la forma ICD-10 è una forma molto più grave.
4. Le comorbidità sono diverse.

24
Vediamo cosa c’è alla base di questa
eterogeneità. In questi dati sperimentali, non
sono ipotesi anche se sono un po’ vecchi, si
analizza lo sviluppo morfologico e di volume dei
nuclei della base, nello specifico il nucleo
caudato; come abbiamo visto alla prima
lezione, il massimo volume (circa 11 ml) si ha
intorno ai 10 anni e poi tende a diminuire. I
soggetti con ADHD lo sviluppano di meno, ma
anche il loro poi tende a diminuire e comunque alla fine (intorno ai 18 anni) non c’è più
differenza di volume tra ADHD e controlli, il che vuol dire che l’iperattività motoria (legata
ai nuclei della base) con l’età tende a diminuire.
Se invece se andate a vedere il cervelletto
(un’area molto arcaica, ma che comunque ha
avuto nell’evoluzione uno sviluppo molto
marcato), in alcune aree il massimo dello
sviluppo normalmente si ha a 20 anni ed è
questo il momento in cui si ha la massima
differenza di volume con l’ADHD. Nell’ADHD a
20 anni permane la diversa percezione del
tempo, quindi l’impulsività o il non riuscire
a rimanere fermi.
Stessa cosa anche per la corteccia. Andando a vedere lo sviluppo della maturazione della
corteccia negli ADHD si è visto che è come se alcune aree fossero in ritardo di
maturazione: corteccia prefrontale, frontale, un pochino di temporale, ma è maggiore nella
parte motoria. La corteccia prefrontale in un soggetto normale di 8 anni è già ad uno
sviluppo totale, mentre invece in un ADHD della stessa età lo sviluppo è ancora molto
indietro, se tutto va bene lo avremo 2 anni dopo; quindi la capacità di controllo degli
impulsi, delle emozioni, ecc, è come se fosse di 2 anni più piccola.
Ciò non è correlato al
disturbo, ma è correlato
ai sintomi: se andate a
vedere l’effetto tra un
soggetto che non ha
sintomi (quindi sano) ed
un soggetto ADHD vedete
una bella differenza;
però i due intermedi sono
soggetti che non hanno
una batteria di sintomi
tale da avere una
diagnosi; i soggetto coi
sintomi “moderati” hanno
la stessa alterazione degli
ADHD e hanno sintomi
magari anche abbastanza
marcati, ma non tali da
fare la diagnosi.

Analizziamo anche la differenza di variazione di spessore della corteccia tra soggetti


sani e ADHD: intorno ai 10 anni molte delle connessioni neurali che avevamo prima non ci
servono più e le tagliamo, perché se non le tagliassimo non riusciremmo a controllarci;
tagliando le connessioni si perdono delle fibre dendritiche e la corteccia si assottiglia di un
certo valore che può essere misurato con delle tecniche di risonanza. Un soggetto normale

25
perderà 0,03mm/anno di spessore corticale78 (quindi è una differenza molto piccola).
L’ADHD è in ritardo di maturazione quindi non perderà spessore corticale. Il ritardo dipende
dai sintomi e non dal disturbo, ciò vuol dire che di nuovo è un disturbo dimensionale e non
categoriale.

 Geni e genetica
Si sono fatti una serie di studi di genetica e nessuno ha trovato i geni dell’ADHD, perché non
esistono: ci sono piuttosto dei geni che controllano una serie di funzioni e, come
nell’autismo, ci sono copy number variation. Questo disturbo non segue una trasmissione
mendeliana perché non è una malattia monogenica, quindi se andiamo a classificare il
disturbo in maniera dicotomica, con si/no, siccome è una malattia così eterogenea non
troveremo mai un gene.
I dati di questi studi sono molto vecchi, sono andati a vedere i geni che controllano il
sistema dopaminergico, quindi geni di sintesi, geni di recettori, geni di degradazione. I
recettori della dopamina sono di diverso tipo, ed il gene dove l’odd ratio era più alto era
quello del recettore D4. D4 è una catenella amminoacidica transmembrana che ha una tasca
dove si lega la dopamina (o i farmaci che agiscono sul sistema) ed un loop che si va a legare
sulla proteina-secondo effettore, di solito una G-protein; questo loop è formato da delle
sequenze che tendono a ripetersi, sono copie ripetute. Nella gran parte delle persone
caucasiche si hanno 4 di queste ripetizioni, ma circa il 7-8% di questi individui caucasici ha
7 ripetizioni. Nello schema del gene, nell’esone 3, si possono avere diverse varianti, e
questa morfologia dell’esone con 7 ripetizioni è correlata al tratto di personalità di ricerca
della novità. I primi studi dicevano che nei soggetti ADHD era più frequente la variante con
7 ripetizioni. Il temperamento è la tinta affettiva con cui noi affrontiamo il mondo; pensate
ai vostri amici:
- alcuni sono simpaticissimi ed esuberanti, fanno cose diverse e si scocciano se non fanno
niente di nuovo, e sono le persone che hanno come tratto distintivo della personalità la
ricerca della novità;
- qualche altro invece fa cose nuove, ma per farle ha bisogno di essere rassicurato;
- qualche altro ha uno spiccato senso di evitamento del pericolo, e se c’è qualcosa di
pericoloso si tira indietro;
- qualche altro invece fa qualsiasi cosa anche nuova, ma se la fa deve farla talmente bene
che tende a ripeterla finché è perfetta e questo è il tratto del perfezionismo.
Sono tutti amici sani, e ci sono anche altri tipi di personalità. Questi aspetti sono correlati ad
assetti genici: in genere cercano le novità gli individui col recettore D4 che abbiamo visto
prima con 7 ripetizioni, mentre gli altri tratti sono correlati soprattutto al recettore della
serotonina o in generale alla regolazione serotoninergica. Essendo però geni diversi vuol dire
che sono tratti indipendenti:
- una persona può avere un sacco di voglia di ricercare le novità, ma ha anche un po’ di
senso di evitamento del pericolo: fa un sacco di cose diverse e divertenti, ma il controllo dei
pasticci funziona benissimo.
- Se ha tanta ricerca delle novità, ma anche tanto evitamento del pericolo, è il classico
“vorrei-ma-non-posso”.
E così via. Per cui è possibile prevedere come un individuo funziona, in genere, sulla base
del suo assetto genico; si diceva che avere 7 ripetizioni sul loop del recettore della
dopamina fosse un tratto di ricerca della novità e che predisponesse all’ADHD.
Se andiamo ad analizzare le varie popolazioni, quella in cui è più frequente nella popolazione
generale l’isoforma 7-repeats del D4 è quella degli indiani del Sud America, mentre quella in
cui è una variabile meno frequente è la popolazione giapponese. La ricerca della novità ha
portato l’homo sapiens ad uscire dall’Africa e a colonizzare il mondo proprio perché ricercava
le novità: andava in una terra nuova, non gli piaceva e si spostava; pian piano ha
colonizzato tutta la Terra, quindi possiamo dire che essere “poco poco ADHD” è un
vantaggio evolutivo.
Inoltre, se andate anche la pratica, si è visto che avere questa isoforma a 7-repeats
comporta che il paziente ADHD guarisce, mentre chi non ce l’ha tende ad essere ADHD
anche da adulto.

78 Un valore 0 significa che non si è assottigliata.


26
Quindi un fattore correlato non è necessariamente un fattore sfavorente, ma può essere un
fattore favorente sia nella popolazione generale che in alcuni disturbi psichiatrici.

27
Non tutti i ragazzini affetti da ADHD (Attention-Deficit Hyperactivity Disorder) guariscono, ma possiamo
vedere dei casi anche nell’adulto. In tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti è ancora un grosso problema,
stanno nascendo delle cliniche per gli adulti con ADHD, ma non in Italia, se ne parla come se fosse una cosa
stranissima.

I sintomi sono invalidanti, ma anche abbastanza comuni (li possiamo trovare nella popolazione generale
nelle diverse età), e variano durante le fasi della vita. La definizione di ADHD per il DSM 5 (Diagnostic and
Statistical Manual of mental disorders) è:

- Un pattern persistente di inattenzione e/o di iperattività/impulsività che interferisce con il


funzionamento e lo sviluppo (6 sintomi su 9).

- I sintomi di inattenzione e/o iperattività/impulsività sono presenti prima dei 12 anni di età.

- I sintomi sono presenti in due o più contesti.

- Chiara evidenza che i sintomi interferiscono, o riducono, la qualità del funzionamento sociale ,
scolastico o occupazionale.

- I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di schizofrenia, o altri disturbi psicotici o
non sono meglio spiegabili da altri disturbi mentali.

Se il bambino con disattenzione e/o iperattività funziona bene non è un problema, la diagnosi si pone se ha
invece tutta una serie di interferenze.

Porre diagnosi entro i 12 anni non è un problema, mentre negli adulti la diagnosi si deve fare su doppia
fonte di informazione, non basta il paziente, ci vuole un’altra persona che documenti com’era il paziente da
bambino, e difficilmente il fratello minore o la fidanzata sanno com’era alla scuola materna. Se invece lo
osservate a 12 anni le informazioni sono più facilmente raccoglibili.

La scorsa lezione abbiamo visto un video di Alessia, 5 anni, quindi età prescolare, e a 5 anni si fa diagnosi di
“ADHD” tra virgolette perché per quanto fosse un caso abbastanza pesante non andava ancora alla scuola
materna, non può essere una grave compromissione funzionale quando metà dei bambini non ci vanno.
Quindi in età prescolare è difficile fare diagnosi perché è difficile misurare la compromissione funzionale. In
Alessia la compromissione funzionale era evidente, non riusciva a seguire nessuna indicazione per un
tempo sufficiente, tant’è che gli interventi terapeutici sono iniziati all’epoca con la mamma, ma poi sono
stati modificati quando è entrata in prima elementare.

In età prescolare abbiamo:


- massimo grado di iperattività;

- crisi di rabbia, delle vere e proprie tempeste affettive (Alessia infatti batteva i piedi);

- litigiosa e provocatoria;

- non ha paura e quindi nella vita ordinaria non va a limare i suoi comportamenti in base alla
situazione, può incorrere più facilmente in incidenti;

- comportamenti aggressivi;

- spesso sono presenti anche disturbi del sonno.


Che succede quando il bambino con ADHD entra a scuola? È a quel punto che vediamo la disattenzione!
Dalla scuola elementare il bambino deve produrre conoscenza, deve stare attento, e stare attento costa
fatica. Quindi avremo:
- comparsa di disattenzione, si manifesta essenzialmente come difficoltà ad organizzare le proprie
cose;

- impulsività, non riesce ad aspettare il proprio turno;

- difficoltà scolastiche;

- man mano che il bambino cresce c’è una diminuzione dell’iperattività, che poi andrà a scomparire
in adolescenza e in età adulta (però rimane l’impulsività che comunque è fortemente invalidante!);

- evitamento dei compiti prolungati;

- comportamento oppositivo-provocatorio.

Michael, 9 anni: ha un ADHD puro, non ha altre caratteristiche psicopatologiche (fa parte di una minoranza,
quasi sempre sono anche oppositivo-provocatori e, man mano che crescono, manifestano anche altri
problemi). Michael non è un ADHD particolarmente grave, però la condizione è comunque molto
invalidante. Nel video sta facendo un cifrario, un test per misurare il QI: nella prima riga ci sono i simboli e i
numeri corrispondenti, dopodichè il test va avanti solo a simboli, e sotto ogni simbolo bisogna scrivere il
numero. La prima riga è di prova, e le sottostanti 8 righe sono il vero test. Si conta il numero di risposte
corrette scritte in un determinato tempo. Il cifrario è un test che viene fatto dai 7 anni fino ai 18, è quello
che viene fatto nella maggior parte dei casi per misurare il livello cognitivo. Il livello cognitivo è la base, uno
standard: come durante una visita si misurano altezza e peso, in neuropsichiatria infantile misuriamo il QI
(ci si impiega un’ora o più, dipende dalla collaborazione, qualche volta viene diviso in due volte perché il
ragazzino si alza, si stanca, non lo fa, ecc). Dopo la valutazione del livello cognitivo, i test che faremo fare in
seguito dipenderanno dal risultato del livello cognitivo, dal QI, e quindi dall’età mentale e non dall’età
anagrafica, perché se il ragazzino ha un QI più basso, poi tutta la valutazione successiva risulterà sballata.
Michael di fronte al compito la prima cosa che dice è: “Non lo so fare!” o “È troppo!” anche se è
assolutamente alla sua portata. Se adeguatamente motivato e rassicurato allora si mette a fare le cose,
però la durata del test è minore perché poi si scoccia, si alza, non ne ha più voglia.

Quando i bambini crescono ed entrano in adolescenza, l’ADHD non sparisce, ma si rendono sempre più
evidenti le conseguenze del disturbo:
- il disturbo dell’attenzione permane, non è più iperattivo anche se c’è una componente soggettiva di
instabilità;

- difficoltà ad iniziare e organizzare le cose (pianificazione), difficoltà scolastiche;

- difficoltà a rimanere fermo ed elaborare le informazioni, ha problemi a scuola, a lavoro, nelle


relazioni;

- manca di savoir faire sociale. Tutti i ragazzini prima di agire pensano alle conseguenze di quello che
faranno, ma gli ADHD, essendo impulsivi, fanno e dicono la prima cosa che gli viene in mente, senza
pensarci. Di conseguenza non stanno ai giochi di relazione, che sono normativi, e questo comporta

- bassa autostima (“Io non valgo niente!”), ansietà;


- comportamento rischioso, perché attaccano briga non pensando alle conseguenze.

Valentin, 15 anni, è un ragazzino più grande di origine rumena, con una mamma che cerca di arrabbattarsi
come può, e un papà che non c’è quasi mai: senza regole ma soprattutto senza gratificazioni e capacità
organizzative. Marcatamente iperattivo, diventa oppositivo-provocatorio, e proviamo a immaginarlo
all’interno di una classe! Nel video vediamo un altro test con cui si misura il livello cognitivo, è un test non
verbale che si utilizza per bambini o ragazzini (ma anche adulti) che hanno difficoltà linguistiche o che
hanno un’altra lingua, per cui perdono le sottigliezze del parlato, e perdere le sottigliezze vuol dire che
potrebbero sembrare meno intelligenti degli altri. È un test di associazione logica per cui è possibile
derivare l’età mentale, e quindi il livello cognitivo, dagli errori che fa. Valentin, da Olbia dove viveva, è stato
poi mandato in una comunità in continente dove ha preso prima metilfenidato, poi gli hanno dato
antipsicotici, dopodichè è stato dimesso perché il comune di origine non era più in grado di pagare, ed è
stato trasferito in una comunità qui in Sardegna. Questa comunità in Sardegna prima si occupava di
tossicodipendenti, poi ha iniziato a occuparsi di ragazzini, ma ovviamente la gestione di un ragazzino del
genere è diversa da quella di un tossicodipendente. E in questa comunità ne combina di tutti i colori: ha
fomenta gli altri ragazzini, ruba, scappa, ritorna, se viene bloccato si arrabbia, ecc.
A 17 anni ritorna d’urgenza in clinica, però a questo punto aveva anche dei procedimenti penali in corso, in
comunità ne avevano paura, veniva sedato e trattato con antipsicotici. A un certo punto riesce a farsi
regalare l’accendino da genitori di altri ragazzini, un giorno si arrabbia con la caposala, prende l’accendino
e, puntandolo alla bombola di ossigeno, minaccia di far saltare in aria l’ospedale. La collega ha dovuto far
evacuare tutta la clinica Maciotta, ha chiamato i carabinieri e i pompieri e solo allora Valentin si è arreso e
si è fatto sedare. Ormai era già grande e con una situazione grave, poteva essere aiutato quando aveva 7-8
anni!
La storia continua perché un giorno uno degli altri ragazzini della comunità decide di fuggire, per fuggire ha
bisogno di una macchina e dei soldi per la benzina. Valentin lo aiuta, fanno una colletta, il ragazzino riesce a
rubare un’auto, ma muore in un incidente stradale. A questo punto Valentin si sente colpevole della morte
dell’altro ragazzino e cerca di sfasciare la comunità (tutto questo 3 giorni prima del suo compleanno). Viene
portato al pronto soccorso psichiatrico ma i colleghi decidono di non farlo entrare fino al compimento del
18esimo anno. Quindi la sera prima del compleanno torna al Maciotta, dove ormai si era tranquillizzato. Il
lunedì successivo i servizi sociali del suo comune lo riportarono al Nord Sardegna, e da allora non ne
abbiamo più avuto notizie.
Questo ragazzo non era psicotico né depresso, non era maniacale né altro, ha una storia sociale incredibile,
ma è lui che non funziona. E quando vedremo i ragazzi con disturbo di condotta, è vero che è una
problematica che porta spesso alla delinquenza, ma la diagnosi implica che sia una disfunzione
dell’individuo, e non un contesto sociale. Tutto ciò rende molto più complicato fare diagnosi, ed è
fondamentale per l’intervento terapeutico.

In età adulta diminuisce l’attività motoria ma può residuare come irrequietezza psichica, mentre
l’inattenzione spesso persiste e si può manifestare come difficoltà nel portare a termine i compiti. Il tutto
può interferire significativamente con vari aspetti della vita quotidiana. L’aspetto fondamentale degli adulti
è che hanno una minore percezione delle gratificazioni perché il loro nucleus accumbens funziona di meno,
e quindi hanno un deficit di motivazione (tutto dipende anche dalla qualità degli stimoli).
Se andiamo a vedere anche alcune realtà isolane in cui i ragazzini non fanno niente, ciondolano in giro dalla
mattina alla sera, è chiaro che in questi contesti non ci sono grandi stimoli esterni: dei bambini che magari
erano solo lievemente ADHD, non trovano un contesto che li motivi da piccoli, non vengono aiutati con
misure educative specifiche, per cui arrivati alle scuole superiori si fermano perché non trovano niente per
loro. Un tempo sarebbero andati a fare il fornaio o a zappare i campi, ora a zappare i campi non ci va più
nessuno e per fare il fornaio bisogna avere la qualifica e quindi il diploma di scuola media superiore.
Abbiamo una percentuale molto elevata in questa regione perché è vero che c’è un contesto sociale, ma
sono loro che funzionano meno bene e al momento fondamentale non trovano l’aiuto di cui hanno diritto.

Per gli adulti esiste uno strumento di valutazione che è il DIVA (Diagnostic Interview for ADHD in adults),
un’intervista semistrutturata scaricabile gratis da internet ideata dalla collega olandese Sandra Kooij.

Metanalisi di circa 10 anni fa del collega brasiliano


Polanczyk, con un numero di studi abbastanza
ampioci fa vedere che c’è una prevalenza per l’ADHD
del 4% circa per le femmine e del 10% per i maschi, è
più frequente nei bambini che non negli adolescenti
e, considerando tutto il globo terrestre, la prevalenza
totale è intorno al 5%.

Per quanto riguarda la prevalenza dell’ADHD ci sono


delle grosse differenze: se chiediamo agli insegnanti
troviamo una certa percentuale; se chiediamo ai
genitori ne troviamo un’altra; se vediamo le
percentuali per le quali genitori e insegnanti sono
d’accordo, troviamo un’altra percentuale ancora
(abbiamo dei dati molto cautelativi, che vanno a
vedere i casi su cui almeno due fonti sono d’accordo).
La prevalenza è del 3-4% per i maschi, e dell’1-2% per le femmine. Il che significa che ne abbiamo più o
meno uno per classe! Non è un disturbo raro, è estremamente frequente, anche se con livelli di gravità
diversa.
Avere un ragazzino con ADHD in casa è molto complicato, la mamma ci dice: “Da quando il bambino
cammina non posso andare più in pizzeria, perché appena lo porto mi buttano fuori!”.

Il farmaco più utilizzato per l’ADHD, che è rientrato in commercio in Italia nel 2007 (mentre negli altri Paesi
è stato reintrodotto nel ’95) è il metilfenidato, un farmaco estremamente efficace e sicuro. Molti anni fa
veniva usato con diversi scopi: per dimagrire, come stimolante, come sostanza d’abuso, ed era stato ritirato
dal commercio negli anni ’80 (l’Italia è stata l’ultimo Paese a ritirarlo perché doveva garantire la vendita
delle scorte dell’industria). Leandro Panizzon inventò il metilfenidato con lo scopo di sfruttare uno
stimolante per gestire l’intossicazione o la dipendenza da amfetamine. Lo provò (all’epoca gli scienziati che
scoprivano un farmaco lo provavano su di sé) e non osservò alcun effetto; lo fece poi provare alla moglie,
che invece lo trovò un farmaco estremamente interessante, probabilmente perché riusciva a rimanere
attenta e a giocare meglio a bridge. Siccome la moglie si chiamava Margherita, il nome commerciale fu
Ritalin. Il metilfenidato fu introdotto per la prima volta nel mercato statunitense nel 1956.

Vediamo il decorso del disturbo con l’avanzare dell’età:


- inizialmente abbiamo solo ADHD;

- poi disturbate relazioni familiari e comportamento distruttivo;

- bassa autostima, scarse attitudini sociali e problemi di apprendimento;

- svilupperà un comportamento provocatorio di base e un disturbo oppositivo, ed eventualmente un


disturbo dell’umore, se ha un carico genetico predisponente;
- quando diventa più grande sarà demotivato, avrà difficoltà di apprendimento, si allontana dalla
scuola, incomincia ad avere un comportamento antisociale (perché tende poi a stare insieme agli
altri ragazzini che funzionano poco), potrà avere un disturbo di condotta e/o abusare di sostanze
stupefacenti.

Ha bisogno di una gratificazione intensa e immediata, e quale gratificazione più intensa e immediata se non
una violazione delle regole? L’evoluzione dell’ADHD dipende da che caratteristiche aveva il singolo
ragazzino e da quanto era grave il disturbo. Se andiamo a studiare gli ADHD da 0 a 18 anni, possiamo
vedere la loro psicopatologia oltre all’ADHD.

Grafico basato su 3 studi


epidemiologici effettuati su
popolazioni di servizio, ovvero sui
pazienti che si rivolgono al medico.
Ci mostra qual è la prevalenza delle
patologie associate all’ADHD.
Lo studio MTA è uno studio
statunitense non finanziato
dall’industria farmaceutica,
effettuato su bambini dai 7 ai 9 anni,
iniziato negli anni ’90: nei primi 14
mesi venivano divisi in 4 gruppi in
maniera random e, in aperto (non in
cieco!), un primo gruppo prendeva il
farmaco, un secondo gruppo faceva
un training psicoeducativo, un terzo
gruppo faceva sia il training
psicoeducativo che la terapia
farmacologica e il quarto gruppo di
pazienti veniva lasciato libero di prendere ciò che era disponibile (“Prendi quello che trovi!”). Il farmaco in
questione era sempre il metilfenidato, che ha una durata d’azione di circa 3 ore e veniva dato diverse volte
durante la giornata.
Quello in blu scuro è uno studio fatto nel Sud del Brasile, che ha un clima temperato, un paesaggio svizzero,
e una popolazione essenzialmente di tedeschi e italiani. Il capo dello studio Brazil si è formato negli Stati
Uniti e i dati sono molto simili a quelli dello studio MTA.
Lo studio in celeste più chiaro (ADORE) è europeo, con 22 centri coinvolti di cui 8 italiani.
Se andiamo a vedere le patologie associate nei ragazzini che vanno dal dottore negli Stati Uniti (studio
MTA) il 40% sono oppositivi-provocatori, dicono sempre “No!”, si divertono a far saltare i nervi a papà e
mamma. Quasi il 20% ha anche un disturbo di condotta, violano sistematicamente le regole, rubano,
aggrediscono gli altri, appiccano il fuoco, ecc. Il 30% ha disturbi d’ansia, il 10% è anche depresso. Tra gli
europei il 60% sono oppositivi-provocatori, più del 40% ha disturbi di condotta, il 30% soffre di depressione.
Come interpretiamo questi dati? In realtà la prevalenza sugli studi di popolazione è identica, mentre sono
diversi i dati di epidemiologia di servizio, quindi tutto dipende da chi va dal dottore e chi invece non ci va.
Negli Stati Uniti ad esempio le scuole sono statali, ma vengono finanziate anche dai soldi degli ex-alunni
della scuola e da fondi federali di premialità, che quindi vanno a premiare le performance degli stessi alunni
della scuola. Un ragazzino con ADHD che va male a scuola abbassa la performance della scuola e, per una
scuola del genere il ragazzino con ADHD non ha scelta: o va dal dottore e prende la medicina, oppure va
fuori dalla scuola (questo fatto può avvenire anche in Europa, in Paesi come la Germania, con dei criteri un
po’ diversi, ma sono comunque pochi casi rispetto agli USA). Ciò vuol dire che negli Stati Uniti dal medico ci
vanno tutti perché sennò escono fuori dalla scuola, mentre qui in Europa ci vanno solo i più gravi.
Abbiamo visto questo studio per cominciare a usare i dati in maniera critica, dobbiamo ragionare quando
analizziamo i dati, e dobbiamo andare a vedere cosa c’è dietro i dati.

Nel disturbo oppositivo-provocatorio abbiamo almeno 4 sintomi (significativamente più frequenti che nei
coetanei) che danno una significativa compromissione funzionale per almeno 6 mesi.
Angry/irritable mood:
- scoppi d’ira;

- permaloso e infastidito dagli altri;

- irritabile e risentito.
Defiant/headstrong behavior:
- polemico con gli adulti;

- sfida o rifiuta attivamente di seguire le indicazioni;

- disturba volutamente gli altri;

- scarica sugli altri i propri errori o responsabilità.


Vindictiveness:
- dispettoso e vendicativo.

Questa è la definizione del DSM 5, che è identica a quella del DSM 4 ma con la differenza che i sintomi
vengono raggruppati in dimensioni: arrabbiato e irritabile, provocatorio e testardo, vendicativo e
pericoloso. Se suddividiamo i sintomi in questo modo, ponendo la diagnosi potremo anche prevedere che
disturbi svilupperà il ragazzino da grande (lo si prevede sulla base degli studi di popolazione).

Lo studio ALSCP (Avon Longitudinal Study of Children and Parents) è uno studio famoso in cui sono state
seguite circa 14000 gravidanze tra il ‘91 e il ‘92. Durante lo studio ogni 2-3 anni tutto il campione veniva
valutato sia per vedere la crescita e l’alimentazione, ma anche con dei questionari di comportamento dati a
genitori e insegnanti:
- chi è irritabile a 8 anni, tende a rimanere irritabile fino a 13; a 16 anni diventano depressi. Cioè
l’irritabilità e la bassa autostima da bambino sono dei precursori della depressione da adulto.
Ovviamente non tutti diventano depressi, solo quelli predisposti.

- Quelli che da bambini sono testardi/vendicativi tendono a persistere in questo stato in una
percentuale maggiore rispetto a quelli che invece si mostrano irritabili da bambini. I
testardi/vendicativi evolvono verso un disturbo di condotta, e una parte di questi va verso il tratto
calloso-anemozionale che, in termini brutali, significa godere della sofferenza altrui.

- Ci può essere poi un disturbo d’ansia.


A volte avere 3 disturbi (irritabile + vendicativo/provocatorio + ansioso) è meglio che averne solo 2
(irritabile + vendicativo/provocatorio), perché l’ansia paradossalmente può fare da freno (non ti metti nei
pasticci).
Il problema è che spesso c’è l’evoluzione del disturbo di condotta, che ha come definizione per il DSM 5:
modalità di comportamento ripetitiva e persistente di violazione di regole/norme appropriate per l’età o
dei diritti fondamentali degli altri, con:
- aggressione ad animali o persone;

- distruzione di proprietà;

- frode o furto;

- gravi violazioni di regole (marino la scuola prima dei 12 anni, fuggo di casa per almeno 2 notti
consecutive, ecc).
Questa definizione è debole dal punto di vista psicometrico, perché bastano 3 items per porre la diagnosi,
ma in effetti nella popolazione generale sono dei casi piuttosto rari.
Tra l’aggressione ad animali o persone e la frode o furto è peggio la frode o furto perché se ha solo
l’aggressività, questa col tempo tende a scomparire. Frode o furto è un fattore predittivo molto grave:
finisce in carcere!

Il disturbo di condotta è un disturbo grave perché non esiste una terapia veramente efficace. Se noi siamo
molto bravi clinicamente, molto fortunati e molto ricchi (e quindi abbiamo tutti gli indicatori, le comunità
adeguate, ecc), riusciamo ad aiutarne circa il 50%. Se però riusciamo ad agire nell’infanzia o addirittura
prima dei 7 anni abbiamo buone probabilità di prevenire tutta la psicopatologia successiva, e quindi anche
il disturbo di condotta.

Il problema è che l’ansia, che da bambino frena i comportamenti rischiosi, spesso col tempo vira in disturbo
dell’umore, che può essere depressione, ma più frequentemente è un disturbo bipolare di tipo 2. Ed è
questo mix di disturbo di condotta e disturbo dell’umore che non consente al ragazzino la pianificazione e
l’organizzazione della propria vita, e da qui evolve verso l’uso di sostanze e disturbo antisociale di
personalità (rubo, violo le regole ecc).

Esistono diversi tipi di disturbo di condotta: tutti violano le regole, ci può essere ribellione senza motivo, ci
può essere aggressività, che a sua volta può avere diverse caratteristiche. L’aggressività può essere di tipo
reattivo o affettivo, che ha l’intrusione come modello animale: “Ho paura che tu ce l’abbia con me, di
conseguenza e ti aggredisco io prima che possa aggredirmi tu”. Questa paura è immotivata, fa sì che ci sia
la tendenza a dare delle attribuzioni negative agli altri. Di fronte a uno stimolo avversivo il soggetto ha
aumento della frequenza cardiaca, suda, è iperattivato e teso. L’aggressività affettiva spesso dipende da un
evento passato come un trauma, un abuso, una deprivazione.
L’aggressività predatoria è l’esatto contrario: gode alla sofferenza altrui, quando c’è uno stimolo avversivo
si calma, si concentra, diminuisce l’attivazione, diminuisce il cortisolo in circolo, diminuisce la sudorazione
delle mani, si riduce la frequenza cardiaca. Spesso ci sono delle patologie associate, più frequentemente un
disturbo dell’umore come bipolare di tipo 2 o 3, quindi con grosse variazioni del tono dell’umore.
L’aggressività predatoria può essere tra i precursori del tratto calloso-anemozionale: il tipo di educazione
ricevuto è stato particolarmente coercitivo, e da qui la convinzione che si può ottenere qualcosa solo
forzando gli altri.
Questa è una maniera utile per semplificare e concettualizzare, ma spesso son presenti tutti e due i tipi di
aggressività: paradossalmente l’aggressività predatoria non è impossibile da gestire, anche se bisogna
iniziare il trattamento molto precocemente; a un soggetto con aggressività affettiva invece dovremmo
insegnare che seguire le regole è più divertente che violarle.
Questi sono i tratti calloso-anemozionali o con scarse abilità prosociali, che vuol dire mancanza di rimorso
o senso di colpa, non sta male né si pente quando fa qualcosa di sbagliato e non ha nessuna
preoccupazione sulle conseguenze delle proprie azioni, non si preoccupa né è interessato ai sentimenti
dell’altro, non gliene importa niente della scuola né di quello che succede, non esprime nessun sentimento
se non se gli è utile. Sono una percentuale piccola e questo in genere non è correlato con l’ADHD.
Se non portati all’estremo come succede nella patologia, questi tratti possono essere funzionali. Pensiamo
a un imprenditore, o a un soggetto che maneggia molti soldi o che deve gestire molte persone: se è troppo
empatico non ci riesce, ci perde sicuramente. Se invece è abbastanza cinico e “cattivo”, allora ha successo.
Esistono dei questionari che possono misurare tutti questi aspetti, e se noi li somministriamo a una
categoria di imprenditori, riscontriamo alcuni di questi tratti, pur in assenza di patologia. Gran parte della
psicopatologia dipende da motivi biologici, ma si trasforma in patologia quando un soggetto diventa unable
to fit, non riesce ad avere adattamento e successo in quel contesto. Quindi quello che in certi contesti è
favorente, in altri può essere sfavorente (ad esempio nel soggetto con disturbo di condotta il tratto calloso-
anemozionale lo fa andare in carcere!).
Teniamo presente che l’aggressività è un comportamento “fisiologico”, che ha il suo picco massimo a 2 anni
di età (qualcuno ha scritto su Science che se i bambini avessero le armi noi non esisteremmo!). Il bambino a
2 anni inizia l’inibizione delle risposte automatiche, sviluppa la capacità di manipolare le informazioni per
modellare il proprio repertorio comportamentale e posticipare le gratificazioni, che è il meccanismo
normale per superare istinto e aggressività.

Il concetto che troviamo nei vecchi libri è che ci sono due tipi di disturbi di condotta e aggressività: quella a
esordio prepubere, prima dei 12 anni, rara ma tende a persistere per tutta la vita; e quella che insorge dopo
i 10-12 anni, in adolescenza, che aumenta come entità ma è autolimitante e tende poi a diminuire. Questo
concetto, che è stato un assioma per almeno 20 anni, è ormai stato superato. Se studiamo la popolazione
generale troviamo invece:
- soggetti con esordio durante l’età infantile, che dopo un po’ migliorano, sono il 20% (hanno sempre
qualche reliquato in età adulta ma non così invalidante);

- altri che, pur avendo un esordio prepubere, continuano ad avere aggressività e ne risultano
fortemente invalidati;

- tra i soggetti con esordio in adolescenza alcuni migliorano col tempo, ma altri sono

- adolescence onset persistent.


Tutto ciò ci indica che c’è un certo rischio individuale nella evoluzione del disturbo, cioè dipende dalle
caratteristiche dell’individuo, ma c’è anche un rischio ambientale, che comprende in una certa maniera il
reddito familiare, ma soprattutto la struttura sociale attorno al ragazzino.
Dipende anche dal sesso, le femmine sono meno dei maschi, e sono rarissime le femmine con aggressività a
insorgenza prima dei 12 anni; inoltre la maggior parte delle femmine con aggressività a insorgenza
adolescenziale, hanno una più frequente persistenza del disturbo. Per cui una ragazzina con un disturbo di
condotta ha delle possibilità di recupero molto basse, molto più basse rispetto ai maschi che sviluppano il
disturbo dopo i 12 anni.

“L’errore di Cartesio”, scritto dal neurologo Antonio Damasio, è un libro che dimostra che il libero arbitrio è
un fenomeno biologico. Racconta l’avventura di Phineas Gage, un uomo molto ligio al dovere e ben
organizzato, che era impegnato nella costruzione della ferrovia del far West. Per mettere i binari ci si faceva
spazio con la dinamite, ma un giorno la dinamite non esplose, e Phineas Gage si avvicinò per capire il
perché: la dinamite esplose proprio in quel momento, e un tubo metallico gli trapassò il cranio. In epoca
preantibiotica guarì senza reliquati neurologici, ma cambiò carattere, e da persona ligia, timorata di Dio e
ben organizzata diventa disorganizzato, donnaiolo, spendaccione, violava tutte le regole sociali dell’epoca,
si rendeva conto di violarle ma non gli importava, perché la gratificazione la riceveva altrove (il lobo
frontale non inibiva più i suoi comportamenti). Non perse la sua intelligenza, capì di essere un caso
importante e si fece dare i soldi in cambio del suo cervello alla sua morte. Quello che mancava dal suo
cervello era proprio il lobo frontale.
La rivista Nature qualche anno dopo pubblicò il caso di due bambini che avevano subìto l’escissione di parte
del lobo frontale: uno per trauma dopo un incidente stradale (era stato tolto per il rischio di infezione);
nell’altro bambino era stato escisso per tumore. A 17 anni manifestarono un disturbo di condotta senza
senso morale, violavano le regole contenti di averle violate.
Questi sono dei casi estremi ma ci fanno capire come anche la morale ha una sede fisica e una sua biologia.
Inoltre, tra tutti i delinquenti, alcuni di questi sono delinquenti e basta, ma altri hanno un problema
biologico sottostante, il che apre delle praterie etiche enormi!

Quanto è importante la componente familiare nella morale? Tanto.

Una coppia di scienziati, Caspi e Moffitt, hanno basato quasi tutta la loro carriera scientifica sullo studio dei
disturbi di condotta e dei comportamenti antisociali. Il primo studio l’hanno fatto in Nuova Zelanda nella
contea di Dunedin, una regione molto famosa per gli studi epidemiologici. Sono andati a cercare i fattori
correlati alla comparsa dei disturbi di condotta: dove i ragazzini vivevano (es: quartieri ghetto), il reddito, la
struttura familiare (es: famiglie disgregate), ecc. Quello che hanno notato è che il fattore protettivo per i
disturbi di condotta, non è l’avere più soldi, o la localizzazione geografica, ma la struttura del quartiere. Ad
esempio, se i genitori del ragazzino lavorano tutto il giorno, o sono ubriachi e comunque non sono in grado
di dare un modello da seguire, se i ragazzini giocano per strada, può essere importante la guida del
bottegaio del quartiere, o dell’edicolante, che li conoscono bene e magari li gratificano se seguono le
regole.

Dobbiamo poi andare a valutare le variabili nel singolo individuo, e tutto dipende da quanto è grave la
disfunzione. Nelle disfunzioni lievi la violazione delle regole può essere considerata un fattore di crescita:
pensiamo a un bambino un po’ inibito che va alla scuola materna e gli altri bambini gli fanno i giochi cattivi.
Può reagire in due modi: o rimanere inibito e chiudersi ancora di più, o tirare fuori la grinta e rispondere
con un pugno a un pugno ricevuto. Gli stessi papà e mamma gli dicono “Difenditi!”, a 3 anni è del tutto
lecito. A 5 anni però il bambino si rende conto che anche se ha l’impulso a reagire, è molto più economico e
gratificante non farlo, o reagire in maniera diversa.

Nella prima lezione abbiamo fatto l’esempio del bambino che a 2 anni ruba il giocattolo a un altro bambino;
6 mesi dopo, non gli ruba più il giocattolo ma si mettono a giocare assieme. Cosa è successo? È successo
che ha trovato un bambino un po’ inibito che l’ha fatto giocare insieme a lui, la mamma l’ha premiato e
quindi lui ha capito che se gioca assieme all’altro bambino piuttosto che rubargli il giocattolo tutti sono
contenti. Il cervello del bambino sta maturando e, contemporaneamente, c’è un determinato contesto: il
bambino riceve un privilegio e viene gratificato dalla mamma se fa una cosa (giocare assieme all’altro
bambino), oppure perde un privilegio se ne fa un’altra (rubare il giocattolo).

La psicopatologia negli adottati è molto frequente, ci sono diversi studi che lo evidenziano. Questo non vuol
dire che tutti i ragazzini o i bambini che vengono adottati avranno dei disturbi in futuro, ma vuol dire che
quelli che staranno bene hanno trovato dei genitori e dei supporti sociali che hanno permesso di gestirli al
meglio. Chi decide di prendere in affidamento un ragazzino del genere sa che ha il 50% di probabilità di
avere seri problemi in futuro, quindi deve essere pronto a gestirseli, cosa che non sempre è così.
Uno studio molto interessante riguarda i bambini rumeni adottati dopo Ceaușescu, presidente della
Romania per 20 anni col partito comunista fino al 1989. All’epoca c’erano tutta una serie di orfanotrofi in
condizioni tragiche, dove i bambini venivano abbandonati, pestati, affamati, ridotti a una vita di stenti.
Questi bambini sono stati adottati in molti Paesi europei, e in Inghilterra sono stati seguiti 120 ragazzini per
25 anni, inseriti in famiglie inglesi di piccola borghesia, e sono stati confrontati con ragazzini inglesi, adottati
sempre in Inghilterra da famiglie più o meno dello stesso tipo.
Molti di questi ragazzini di origine rumena all’inizio sembravano autistici, non erano in grado di instaurare
nessuna interazione sociale; col passare del tempo gran parte dei bambini non sembravano più autistici,
perché non erano mai stati veramente autistici, è solo che non avevano ricevuto nessuno stimolo
ambientale. Molti di questi bambini hanno avuto tutta una serie di problemi negli anni, erano molto più
instabili, l’ADHD era molto più frequente, i disturbi d’ansia ugualmente.
A distanza di 20 anni dall’adozione i QI medi erano 5-6 punti più bassi per gli adottati rumeni rispetto a
quelli inglesi. Tra questi 120 ragazzi comunque una decina sono stati ammessi (per merito!) in Università
prestigiose come Oxford e Cambridge, quindi è vero che l’intelligenza media tra i ragazzini rumeni era
inferiore, ma l’insorgenza e l’evoluzione di eventuali disturbi dipendeva anche dalle condizioni iniziali e
dalle caratteristiche di ognuno di loro. Il caso era tanto più grave quanto prima entravano in orfanotrofio e
quanto più ci restavano: quelli che sono entrati prima dei 6 mesi di vita hanno avuto una compromissione
funzionale molto maggiore rispetto a quelli che ci sono entrati dopo i 6 mesi. Il tutto è influenzato da più
variabili, ma ci fa capire comunque quanto sia importante l’ambiente.

Oggi il tasso di psicopatologia è molto aumentato perché il contesto sociale si è disgregato. La crisi degli
ultimi anni non è come la crisi del ’29 in cui nei Paesi europei c’erano i fascisti o i nazisti, che in ogni caso
motivavano la popolazione, negli Stati Uniti c’era il New Deal, per cui il futuro era roseo. Oggi non c’è la
stessa percezione positivistica del futuro che ci poteva essere dopo la crisi del ’29, e in una famiglia dove
magari i genitori non lavorano, come faccio a dare una guida e a trasmettere ottimismo? Ora la percezione
generale è che il futuro potrà essere peggio del presente, non c’è niente che ci indichi che tutto migliorerà.
E questo sui ragazzini ha un impatto devastante. La psicopatologia di base è rimasta la stessa, ma è la
gestione della psicopatologia stessa che è cambiata radicalmente.

Potrebbe avere un’importanza sulla psicopatologia il fatto che i ragazzini di oggi vengono mollati con i
tablet e i cellulari anziché socializzare con gli altri ragazzini? Ci sono dati contrastanti al riguardo. Non è il
mezzo in sé che è un problema, ma è come il mezzo viene usato. I ragazzini imparano molto in fretta a
usare questi strumenti tecnologici perché l’hanno sempre fatto, per loro è normale, non possiamo limitarli
solo perché per noi non è stato così. Possiamo fare lo stesso discorso per la lettura (chissà cosa leggo, testi
peccaminosi!), oppure quando hanno inventato la scrittura è stata la stessa cosa, o quando hanno
inventato la televisione.
A oggi quello che ci preoccupa di più è l’uso di sostanze, che inizia circa a 10 anni. L’uso di sostanze ha un
impatto enorme non tanto perché i ragazzini si fanno le canne, ma per tutto il resto che si fumano: l’erba è
poca, per la maggior parte si tratta di cannabinoidi sintetici che vengono fatti non in laboratorio ma nel
garage sotto casa, quindi con parametri di pressione, temperatura, ecc non controllati, e l’azione di molti di
questi composti è sconosciuta. Un esempio può essere un ragazzino di 12 anni che arriva alla nostra
osservazione visibilmente strafatto, a cui facciamo un esame delle urine che risulta negativo: in 3 giorni il
ragazzino si riprende, ma questo può scatenare degli altri disturbi per cui magari rimane ricoverato 1 mese
in clinica. Per cui da una parte c’è una disgregazione dei fattori di protezione, dall’altra un aumento dell’uso
di sostanze.
Si può quantificare l’influenza dell’ambiente? Sì, esistono degli studi, fatti soprattutto sui gemelli sia mono
che eterozigoti, dove si può smontare il fattore genetico, il fattore ambientale condiviso (papà e mamma) e
quello ambientale non condiviso.
Un esempio: la depressione dipende sia da fattori genetici (per il 40% circa) che da fattori ambientali non
condivisi, che non sono papà e mamma, ma sono i propri pari. Papà e mamma hanno molta importanza fino
ai 12 anni, dopodichè cominciano a contare sempre di meno, mentre i coetanei diventano sempre più
importanti (ovviamente l’impatto dei coetanei dipende da come è fatto il singolo). Per l’ADHD i fattori
ambientali influiscono per circa il 70% ed è la parte ambientale condivisa.

Due ricercatori, Mannuzza (di origini siciliane ma nato e vissuto a New York) e la moglie Klein, hanno
condotto diversi studi sull’ADHD. Su una popolazione di un centinaio di ragazzini di Central Manhattan,
quindi media borghesia, diagnosticati negli anni ’70, sono andati a vedere cosa succedeva 10 anni dopo, in
adolescenza. Rispetto alla popolazione generale era aumentata la psicopatologia, l’uso di sostanze, la
violazione della legge e alcuni di questi ragazzi erano ancora ADHD.
Nella struttura sociale degli anni ‘70, tutti i lavoratori sono lavoratori dipendenti; con l’arrivo di Ronald
Reagan alla Presidenza degli Stati Uniti è cambiata la struttura sociale, e i top manager sono passati
dall’essere dei dipendenti a freelancer. I ragazzini, ormai adulti, erano diventati dei lavoratori autonomi,
avevano trovato la loro nicchia ecologica, facevano l’idraulico, l’elettricista, e funzionavano poiché
lavoravano secondo i loro ritmi.
Lo studio viene ripetuto su un'altra coorte di ragazzini diagnosticati negli anni ’80, e studiati quindi per 10
anni fino agli anni ’90. Gli ADHD sembrano scomparsi, ma è perché sono andati a vivere da altre parti
(“terapia del Greyhound”, il levriero, simbolo di un’importante azienda di trasporti statunitense): i servizi
sociali dell’epoca regalavano un biglietto di sola andata per l’Arizona, dove c’è perenne estate, la vita costa
poco, e il problema veniva così scaricato su un altro Stato. La struttura sociale era cambiata ancora, gli
ADHD diventati adulti erano spesso depressi, o in carcere.

In un altro studio sono stati seguiti 200 probandi e 178 controlli, ragazzini della stessa classe e seguiti per
circa 30 anni. Se andiamo a vedere la psicopatologia hanno un livello socio-educativo più basso, il 36% sono
andati in carcere contro l’11% dei controlli, il disturbo antisociale di personalità è più alto, 32% versus 3%, il
consumo di nicotina è aumentato al 60% rispetto al 30% dei controlli. Teniamo in considerazione che ci può
essere un’evoluzione verso il disturbo di condotta, o il disturbo antisociale di personalità come tratto
fondamentale, ma resta il fatto che possono rimanere ADHD.
Con questo campione è stato studiato il volume della corteccia cerebrale degli ADHD, che è in generale
inferiore rispetto alla popolazione di controllo, ma sono state osservate anche delle differenze tra i soggetti
in cui persiste l’ADHD e quelli in cui invece c’è una remissione, ed è una differenza sia di materia grigia, e
quindi corteccia, sia di materia bianca, e quindi fasci nervosi. Tutto il SNC si sviluppa in maniera diversa.

I fattori genetici predisponenti, assieme ai fattori ambientali danno delle disfunzioni; le disfunzioni portano
ad avere dei sintomi; ma i sintomi a loro volta cambiano l’ambiente, e cambiando l’ambiente cambiano le
disfunzioni e di nuovo le presentazioni cliniche.
I diversi geni coinvolti sono circa 150, la maggior parte di questi interessano soprattutto le sinapsi
glutamatergiche. L’ADHD non ha una trasmissione mendeliana ma è un’alterazione della funzione e dello
sviluppo che danno la predisposizione al disturbo vero e proprio. Si potrebbe pensare che se cambiamo il
contesto educando i genitori l’ADHD guarisce: non è proprio così.

Con le tecniche cognitivo-comportamentali andiamo ad applicare delle contingenze positive (rinforzi) e


negative (punizioni). Andremo a premiare:
- l’orientamento del compito;

- l’esecuzione delle attività assegnate;

- l’uso di efficaci strategie cognitive;

- il controllo degli impulsi.


Ci sarà une perdita dei rinforzi se invece si mostra:
- oppositivo;

- impulsivo;

- distruttivo.
Premieremo il ragazzino non se segue le mie regole, ma se arriva a un risultato valido anche seguendo altre
regole, perché non dobbiamo tarpare la sua fantasia e capacità immaginativa. Le forme lievi di ADHD
possono socialmente essere vantaggiose: sono molto rapidi nel pensare, scannerizzano rapidamente
l’ambiente e hanno tante idee. Un ADHD lieve e ben gestito può diventare un leader, un genio.

Studio di metanalisi sugli interventi non farmacologici per l’ADHD sulla base di criteri di inclusione come
l’età (dai 3 ai 18 anni), la diagnosi formale di ADHD, la valutazione della gravità dei sintomi (iperattività,
inattenzione e impulsività) attraverso strumenti validati con tutta una serie di analisi statistiche. I dati
inoltre sono stati raccolti dalla persona più vicina al bambino, come uno dei genitori (most proximal
assessment), e probabilmente in cieco, ad esempio la maestra (probably blinding assessment). Vengono
analizzati diversi interventi non farmacologici, tra cui:
- dieta restrittiva;

- supplementazione di acidi grassi liberi come omega 3 e omega 6;

- neurofeedback, che è il controllo del proprio EEG attraverso la valutazione di un segnale specifico. È
possibile per un individuo controllare il proprio ritmo dell’elettroencefalogramma, l’esempio
classico è la meditazione trascendentale: se vediamo con l’EEG una persona che fa meditazione,
questa è in grado di controllare il suo ritmo. La stessa cosa la possiamo fare con un bambino, per
cui se lui cambia il ritmo all’EEG si sposta la pallina sullo schermo, quindi è possibile insegnare a un
bambino a controllare il ritmo del suo EEG: questo si chiama neurofeedback (deriva da
biofeedback, una tecnica che viene utilizzata per imparare a rilassare alcuni gruppi muscolari, ad
esempio nella cefalea, la contrazione del muscolo viene associata a un segnale sonoro, è possibile
quindi controllare il tono muscolare sentendo la variazione del rumore). C’è un assetto di
frequenze, tra onde beta e onde gamma, che è diverso nei bambini con ADHD rispetto agli altri
bambini.

- Training cognitivo;

- interventi comportamentali.
Dalla metanalisi risulta che per gli interventi comportamentali l’effect size è di 0,40 se la fonte sono papà e
mamma, che magari si sono impegnati moltissimo per dare i premi e le gratificazioni al figlio; se lo chiedete
alla maestra (probably blinding assessment) l’effect size è solo 0,02.

Una parte dei colleghi di questa metanalisi hanno fatto un’altra metanalisi 2 anni dopo, comprendendo altri
studi usciti nel frattempo, e inserendo come dimensioni anche i disturbi di condotta, le abilità sociali e il
rendimento scolastico, oltre ai sintomi dell’ADHD. Aumentando il numero degli studi, l’effect size riferito
dai genitori da 0,40 passa a 0,35, mentre quello riferito dalla maestra rimane 0,02. Cioè sui sintomi di
inattenzione, iperattività e impulsività, il training cognitivo-comportamentale non fa nulla o quasi niente.
Se andiamo a vedere l’effect size sui disturbi di condotta invece, non osserviamo un grande effetto ma gli
insegnanti lo vedono molto più dei genitori. Se andiamo a vedere la percezione dei genitori sulla propria
capacità genitoriale o la percezione degli insegnanti sulla capacità genitoriale dei genitori del bambino,
l’effect size è di circa 0,6: questo serve per i genitori per capire che la patologia del figlio non è colpa loro,
ma al massimo un loro problema, e se sanno come fare riescono a migliorare i sintomi di comportamento.
Quindi l’intervento può essere efficace ma dipende sulla base di cosa lo misuriamo, perché può essere
efficace su un disturbo ma non efficace su un altro.

Quando gli psichiatri ci dicono che bisogna gestire gli esordi o i prodromi della malattia a 16 anni, è
sbagliato, perché i prodromi sono a 4-5 anni (vale per tutta la psicopatologia).

Farmaci per l’ADHD. In Italia sono in commercio solo


il metilfenidato (Ritalin) e derivati e l’atomoxetina
(Strattera), che è un bloccante della ricattura di
noradrenalina.

Gli stimolanti come cocaina, amfetamina e


metilfenidato, bloccano la ricattura delle monoamine.
Per la dopamina non è sempre vero, dipende dal
farmaco: ad esempio l’amfetamina blocca a basse
dosi la noradrenalina, a dosi intermedie la dopamina
e ad alte dosi la serotonina. Se blocchiamo la ricattura
delle monoamine, otteniamo un aumento del rilascio;
se però l’aumento del rilascio è molto elevato, può
attivare l’autorecettore, con un effetto netto
inibitorio. E questa è la differenza tra gli agonisti
diretti e quelli indiretti che invece bloccano il sito di
ricattura.
Tra gli stimolanti, l’amfetamina blocca la ricattura sia
di dopamina che di noradrenalina, ma blocca anche la
ricattura vescicolare attraverso un blocco del VMAT-
2, che è il sito di trasporto delle vescicole. Se blocca
l’imagazzinamento nelle vescicole sinaptiche, ne
aumenta i livelli citoplasmatici e ne aumenta il rilascio; se usiamo dosi molte alte possiamo arrivare a
depauperare le riserve di noradrenalina. L’amfetamina inoltre blocca le MAO, responsabili della
degradazione delle monoamine.
Il metilfenidato invece blocca solamente il trasportatore sinaptico e non quello vescicolare. Dal punto di
vista clinico il metilfenidato ha una potenza doppia rispetto all’amfetamina, per cui otteniamo lo stesso
effetto somministrando 5 mg di metilfenidato, che corrispondono a spanne a 10 mg di amfetamina.
L’atomoxetina è un NRI, blocca solo la ricattura della noradrenalina, che ha i suoi siti di trasporto distribuiti
in modo particolare, per cui è un po’ diverso. Il meccanismo d’azione (ma non l’effetto clinico!) è quello
degli antidepressivi, e quindi questo funziona dopo 2-6 settimane (mentre il metilfenidato funziona al picco,
40 minuti dopo la somministrazione).
Per sapere cosa succede in vivo con la somministrazione del metilfenidato è stato fatto uno studio con la
PET su giovani adulti sani (gli stimolanti funzionano anche sui soggetti sani) durante lo svolgimento di un
test cognitivo. Osserviamo prima il consumo di ossigeno basale, poi somministriamo il metilfenidato e il
consumo di ossigeno si riduce nettamente. In realtà il consumo di ossigeno non si è spento del tutto,
perché alcune aree, come la corteccia prefrontale dorso-laterale, il giro del cingolo anteriore, il cervelletto,
presentano attività. Quindi il metilfenidato regola una funzione esattamente come fa una radio con la
manopola: appena accendiamo la radio captiamo un sacco di stazioni e non si capisce niente; poi giriamo la
manopola e regoliamo il rapporto segnale/rumore finchè non troviamo la nostra stazione e le altre son
scomparse. Il metilfenidato modula essenzialmente i recettori D1 (non i D2), e soprattutto nella corteccia
cerebrale. Questo è vero soprattutto per gli stimolanti; l’atomoxetina fa più o meno lo stesso, ma ci impiega
più tempo.

La dottoressa Volkow, direttrice del NIDA (National Institute


Drug Abuse) che studia negli Stati Uniti le sostanze d’abuso,
ha condotto numerosi studi su questi farmaci insieme a
Swanson, uno psicologo.
Questo che vediamo è uno studio vecchio ma ci aiuta a capire
come funziona il metilfenidato. Si tratta di un giovane adulto
sano a cui viene dato il tracciante radioattivo raclopride, che
si va a legare ai recettori dopaminergici, per cui si andrà a
legare soprattutto nei nuclei della base. La raclopride ha
un’elevata costante di dissociazione, cioè se viene liberata
dopamina dalle sinapsi, questa va a spiazzare il tracciante, che
rientra in circolo e ci fa perdere il segnale. Lo stato basale del
test lo otteniamo facendo vedere una fotografia di un
personaggio noioso; se somministriamo il metilfenidato
assieme alla foto del personaggio noioso non osserviamo
nessuna variazione. Osserviamo poi cosa succede se diamo il placebo al soggetto e gli facciamo fare un
compito di matematica. Se al compito di matematica associamo il metilfenidato, osserviamo una variazione
(il puntino rosso non c’è più): è uscita dopamina dalle sinapsi che ha spiazzato il raclopride. A questo punto
possiamo misurare quanta dopamina esce. Poi gli chiediamo: “Quando facevi il compito di matematica,
come ti sembrava?” il probando risponderà che l’ha trovato interessante, eccitante e motivante, e questo
effetto è proporzionale alla quantità di dopamina liberata. In pratica il metilfenidato rende interessanti le
cose noiose.

Qualche anno fa su Science hanno pubblicato un sondaggio a cui non tutti hanno risposto. Il campione era
formato da scienziati, non ADHD. La domanda era: “Qualcuno di voi utilizza stimolanti per tenersi
concentrato?”. Il 60% di quelli che hanno risposto hanno risposto “Sì”. Vuol dire che lo stimolante migliora
le performance cognitive anche dei sani. Negli Stati Uniti lo usano gli studenti per studiare meglio e, negli
anni ‘60 si usava anche in Italia per sostenere gli esami.
Il problema è che questo effetto dipende dal livello iniziale di funzioni esecutive. Le funzioni esecutive
hanno un andamento a U rovesciata: man mano che aumenta la liberazione di dopamina migliorano le
funzioni esecutive ma fino a un certo punto, dopodichè se aumentiamo ancora la dopamina, le funzioni
esecutive tendono a peggiorare. Se il metilfenidato lo prende una persona che ha già elevate funzioni
esecutive, non migliora le proprie funzioni esecutive, o addirittura le peggiora! Migliorano solo in quelli in
cui le funzioni esecutive hanno un livello più basso.
Per cui Panizzon non ha sentito alcun effetto perché era già al top delle sue funzioni esecutive, mentre la
moglie che giocava a tennis o a bridge, l’effetto l’ha visto.

L’effetto non dipende soltanto dalla quantità di farmaco somministrata o da quanti recettori vengono
bloccati, ma dipende anche dalla velocità con cui questo avviene.
Osserviamo le concentrazioni del farmaco dato per os: viene assorbito lentamente, in parte viene
degradato dal fegato e per avere livelli elevati nello striato ci vuole tempo; il picco nello striato lo otteniamo
più o meno a 60 minuti dalla somministrazione.
Se somministriamo una dose più piccola ma in vena, il farmaco non passerà attraverso il fegato, e il picco
verrà raggiunto molto più velocemente. La liberazione di dopamina è quantitativamente la stessa, però
avviene con velocità diverse. Se poi chiediamo al paziente se si sente euforico, se si sente “high”,
osserveremo un effetto di “high” in quelli che hanno preso il farmaco endovena, e l’euforia risulta
direttamente proporzionale a quanta dopamina viene liberata; quelli che l’hanno preso per os non
sperimentano nessuna euforia. Quindi l’effetto dipende dalla velocità con cui il farmaco passa nel SNC.
Immaginiamo il 5-6% dei ragazzini delle elementari che all’ora di ricreazione dovevano fare la fila dal bidello
per prendere la medicina (il metilfenidato ha una durata di 3-4 ore). Il problema era che i bidelli se lo
rivendevano o lo polverizzavano e lo sniffavano e lo usavano come sostanza da abuso.

Negli anni ’80 esisteva la ALZA Corporation, una piccola ditta che faceva micropompe osmotiche utilizzate
in laboratorio.
Quando i topi dovevano fare un trattamento cronico, ad esempio 2 dosi al giorno per 15 giorni, si facevano
2 punture intraperitoneali ogni giorno per 15 giorni consecutivi (povero topo e povero ricercatore!). Per
ovviare al problema, avevano inventato delle specie di grosse capsule che venivano cucite sulla spalla del
topo, che da una parte erano porosa per l’acqua ma non per i soluti, e che si espandevano con l’ingresso di
acqua. L’aumento di volume spingeva il farmaco verso un buchino e quindi si riusciva a controllare la dose
di farmaco, che veniva rilasciata di continuo e per giorni con questa micropompa. Swanson ha così avuto
un’idea, ha inventato un sistema osmotico di rilascio prolungato da poter utilizzare per os, come sostituto
delle 3 dosi giornaliere: costruisce delle capsule di circa 1,5 cm con un po’ di farmaco all’esterno, con un
compartimento espansibile che, attraverso il suo aumento di volume, permetteva il rilascio del farmaco da
un primo compartimento (prima dose) e da un secondo compartimento (seconda dose) in un secondo
momento.
Questo farmaco dà tachifilassi: nel giro di ore tende a diminuire l’effetto, per cui bisogna aumentare le dosi
per avere lo stesso effetto, e questo è lo scopo del secondo compartimento di farmaco. Il paziente rimane
sprovvisto di farmaco nelle ore notturne per cui l’indomani mattina si annulla l’effetto della tachifilassi.
Dopo quest’invenzione la ALZA, che era una ditta farmaceutica molto piccola, ha provato ad entrare nel
mercato ma è stata acquistata da una ditta farmaceutica molto più grossa, che ha così cominciato a
vendere questo farmaco col nome commerciale Concerta (che non è mai entrato in Italia per motivi
economici, non c’è mercato). Dopodichè queste pompe osmotiche sono state usate anche per altri farmaci.
Il risperidone per esempio, è un farmaco vecchio per cui è scaduto il brevetto, la ditta che l’ha prodotto ha
pensato di brevettare il principio attivo del risperidone per avere un farmaco nuovo con altri 15 anni di
brevetto. Il problema del metabolita attivo, il paliperidone, è che non dura più le 18 ore del risperidone con
un’unica somministrazione al giorno, ma ha una durata d’azione di sole 4 ore. Il paliperidone viene quindi
utilizzato attraverso micropompa osmotica.
Dobbiamo imparare a smaliziarci con l’industria farmaceutica, dobbiamo farci noi i calcoletti con l’effect
size, confrontare i diversi studi ed eventualmente smontare ciò che ci dicono i rappresentanti.

Esistono in commercio delle formulazioni costituite


per il 30% da microsfere fatte da un core inerte, uno
strato intermedio con dentro il farmaco, e un
rivestimento esterno; le restanti microsfere hanno
un triplo rivestimento, che fa rilasciare il farmaco più
lentamente. In questo farmaco la farmacodinamica,
cioè l’effetto, dipende dalla farmacocinetica, non
dipende dalle dosi ma dalla velocità con cui entra in
circolo: in una formulazione con lento assorbimento avremo bisogno di più picchi per avere un aumento
delle concentrazioni abbastanza rapido da dare un effetto.

Studio degli anni ’90 finanziato dal governo degli Stati Uniti e affidato a 5 Università, di cui quattro
americane e una canadese. Tra i coordinatori c’era Benedetto Vitiello, professore ordinario di
neuropsichiatria infantile a Torino da un anno. I probandi erano stati divisi in 4 gruppi:
- un gruppo ha usato solo farmaco, il Ritalin (quindi metilfenidato a rilascio immediato). Per il primo
mese questo gruppo era in doppio cieco, ogni giorno era una dose diversa e qualche giorno era
anche placebo, per trovare la dose migliore per quel determinato bambino. E se rispondeva al
placebo non entrava nello studio. Veniva visto una volta al mese e circa 20 minuti della visita di
un’ora e mezza veniva dedicata alla parte psicoeducativa, però non era un training formale.

- Un secondo gruppo invece non usava farmaco (almeno in teoria!), ma faceva un training
psicoeducativo intensivo, che vuol dire 35 sedute per i genitori, dopo la 35esima diminuiva la
frequenza, prima 3 al mese, poi 2 al mese fino poi a smettere. Era previsto poi un insegnante in
classe che valutava l’andamento dei primi mesi e che insegnava ai maestri come gestire il ragazzino.
Il trattamento durava in tutto 14 mesi e durante l’estate i ragazzini andavano in una colonia nel
parco della loro città dalle 8 alle 17, tutto organizzato: gioco libero, un gioco organizzato, un po’ di
scuola, un po’ di test, tutto in compartimenti di mezzora.

- Un altro gruppo faceva sia farmaco che training psicoeducativo;

- Il quarto gruppo, poiché non era eticamente corretto dare il placebo, era libero di andare nel
laboratorio sotto casa e: “Prendi quello che trovi!”. Alla fine della storia il 60% di questo gruppo
aveva preso il farmaco.
In questo studio sono stati utilizzati una ventina di parametri di misurazione e, dopo 14 mesi, tutti e 4 i
gruppi erano migliorati, con la differenza che i ragazzini che prendevano il farmaco da solo o il farmaco col
trattamento psicoeducativo miglioravano di più di quelli che facevano solo il training psicoeducativo. E il
quarto gruppo, che andava sotto casa, migliorava meno del primo gruppo che aveva preso il farmaco, ma
migliorava molto di più che col solo intervento psicoeducativo.

Come lo spieghiamo? Con l’importanza dell’ambiente. I ragazzini che andavano sotto casa venivano visitati
ogni 6 mesi, mentre gli altri venivano visti ogni mese, e gestiti sia a casa che a scuola. Il farmaco associato al
trattamento psicoeducativo non cambiava l’efficacia: in realtà, poiché la dose era libera e veniva tarata per
ogni singolo ragazzino, quelli che facevano in trattamento psicoeducativo intensivo avevano bisogno del
30% di farmaco in meno. La dose dipendeva quindi dalle caratteristiche del singolo ragazzino e da eventuali
altri trattamenti.

Quanti ragazzini sono guariti e si mostrano indistinguibili dai ragazzini normali? Dei ragazzini trattati sotto
casa il 25% erano indistinguibili dagli altri ragazzini, e guariti (poi smettevano l’intervento e tornavano come
prima, ma questo è un altro discorso). Di quelli che facevano solo intervento psicoeducativo 1/3 erano
guariti. Di quelli che prendevano il farmaco guarivano circa la metà; se al farmaco aggiungete l’intervento
psicoeducativo si arrivava al 70%, però con un training psicoeducativo intensivo, che è la “cadillac” degli
interventi. Guardando la cosa da un altro punto di vista, i risultati ci dicono anche che, nonostante gli
interventi, rimane un 30% che sarà migliorato ma che ha ancora problemi.

Una volta fatto questo studio questi ragazzini venivano mandati a casa, seguiti dal loro dottore e rivisti in
maniera approfondita una volta all’anno. Dopo 3 anni dall’inizio dello studio, tra i ragazzini di questi gruppi
non c’era più nessuna differenza, sia per i sintomi ma anche per la diagnosi. Se andiamo a vedere quanti in
ogni gruppo prendevano il farmaco prima di iniziare lo studio, circa il 20% prendeva metilfenidato.
Durante lo studio invece:
- del primo gruppo dovevano prendere il farmaco il 100%, e invece lo prendevano solo il 90% (di
quelli trattati solo col farmaco);

- tra quelli che dovevano fare solo il training psicoeducativo il 15% di fatto prendeva il farmaco;

- nel quarto gruppo che veniva trattato sotto casa il 60% prendeva metilfenidato.
Finito lo studio, dopo 3 anni:
- del primo gruppo ha continuato a prendere il farmaco il 61%;

- quelli trattati in teoria col solo training psicoeducativo arrivavano al 43%;

- del quarto gruppo ha continuato a prendere il farmaco sempre il 60%.


Ognuno si è scelto ciò di cui aveva bisogno, non c’è più differenza tra i diversi gruppi.
Quindi quando andiamo a vedere uno studio dobbiamo conoscere le condizioni con cui un effetto viene
valutato. Un conto è lo studio formale e rigoroso, un conto è l’esempio che abbiamo appena visto, cioè che
dopo 14 mesi vengono lasciati liberi di fare quello che vogliono. Per cui non è il farmaco a fare la differenza
ma è come i farmaco viene utilizzato e prescritto.

Col metilfenidato non c’è un rischio significativo di effetti collaterali gravi, ma ci possono essere degli effetti
collaterali lievi che hanno fatto scatenare un dibattito sugli studi sul metilfenidato per l’ADHD pubblicati dal
BMJ (British Medical Journal), che ha la fama di avere una politica anti-farmaco per principio. Quello su cui
si dibatte è questo: siccome ci sono degli effetti indesiderati lievi, ad esempio la nausea, non è più uno
studio in cieco, perché i genitori o l’insegnante scoprono in questo modo che il bambino ha preso il
farmaco. Si è scoperto poi che c’erano dei ricercatori anche negli studi finanziati del governo degli Stati
Uniti che avevano collaborato con le industrie, e questo è un altro bias che degrada il livello di evidenza.
Questa polemica è andata avanti, stiamo finendo di fare una metanalisi per finire di confrontare tutti i
farmaci tra loro.

C’è una convinzione generale che la psichiatria sia “l’ancella” della medicina, non abbiamo test, farmaci,
ecc. Se però andiamo a vedere l’effect size di farmaci comunemente utilizzati in medicina generale, e quelli
usati in psichiatria vediamo che:
- l’aspirina per la prevenzione delle malattie cardiovascolari ha un effect size di solo 0,06;

- gli antipertensivi per prevenire la mortalità ed allungare la vita hanno effect size pari a 0,11;

- gli antiasmatici per l’asma 0,54, l’effetto c’è ma non è così evidente come vorremmo;

- l’interferone per l’epatite C ha un effect size alto, arriviamo a 2;

- se andiamo a vedere gli antipsicotici di seconda generazione per la terapia dell’adulto l’effect size è
di 0,5

- gli antidepressivi hanno un effect size di 0,3. Gli antidepressivi funzionano molto più come
ansiolitici che non come antidepressivi, e infatti per l’ansia gli antidepressivi hanno un effect size di
0,4.

- L’effect size dei farmaci per l’ADHD è di 0,7 per l’atomoxetina che non è uno stimolante; la
lisdesamfetamina, profarmaco dell’amfetamina, ha un effect size di 1,3-1,4.
Quindi i farmaci usati in psichiatria sono tra i farmaci più efficaci in medicina.

Ma dare uno stimolante a un bambino con il SNC in via di sviluppo può fare dei danni? Per rispondere a
questa domanda l’insegnante di neuropsichiatria infantile al King’s College Katya Rubia ha condotto una
metanalisi, per vedere morfologicamente quali sono le aree del SNC che sono più diverse tra ADHD e
controlli. L’area studiata comprende i nuclei della base: gli ADHD hanno i nuclei della base più piccoli
rispetto ai controlli, ma la differenza dipende dalle diverse variabili. Una variabile è l’età, se si tratta di
bambini piccoli la differenza volumetrica è maggiore; ma questa differenza tende a diminuire sempre più
fino a scomparire intorno ai 20 anni. Un’altra variabile è quanti prendevano stimolanti nel campione
studiato, indipendentemente dall’età: se nessuno prendeva lo stimolante, la differenza volumetrica era
significativa; se nel campione invece il 100% prendevano farmaci, non si osservava nessuna differenza tra
ADHD e controlli. Ciò vuol dire che i farmaci non solo cambiano il comportamento, ma cambiano anche la
morfologia.

Ci sono poi 2 studi scandinavi che basati sui registri: in Scandinavia registrano tutto, per cui hanno il registro
delle nascite, il registro delle patologie, quello delle prescrizioni, dei ricoveri, delle multe, dei problemi con
la legge, ecc. Larsson, il leader dello studio, assieme ad altri colleghi ha preso i registri di diagnosi di ADHD, i
registri di terapia e i registri di problemi con la legge, e ha seguito ciò che è successo al suo campione dal
momento della diagnosi per i 4-5 anni successivi. Per quanto riguarda i problemi con la legge:
- il 50% dei maschi trattati non ha avuto problemi con la legge;

- tra i maschi che non hanno preso il farmaco meno del 40% non ha avuto problemi con la legge.
La stessa osservazione la possiamo fare per le femmine.
Un'altra cosa che si può andare a vedere sono gli incidenti
stradali negli adulti: avere una diagnosi di ADHD aumenta il
rischio di 2,5 volte (comunque almeno di 1,5 volte a
seconda di come viene calcolato il rischio), sia nei maschi
che nelle femmine. Prendendo il farmaco il rischio si riduce
del 30% nei maschi, un po’ di meno nelle femmine.

Studio condotto nei quartieri poveri di Boston sull’uso di


sostanze. La popolazione di controllo sono i ragazzini al di
sotto dei 18 anni, adolescenti:
- il 22% della popolazione di controllo è dedita al
binge drinking;

- il 16% fuma sigarette;

- il 31% fuma marjuana;

- il 3% prende cocaina;

- in totale il 65% prende una qualche sostanza (alcool, nicotina ecc).


Se andiamo a vedere i soggetti con ADHD che iniziato il trattamento farmacologico dopo i 15 anni e che lo
fanno per 2 anni:
- il binge drinking interessa il 41%;

- le sigarette il 36%;

- la marjuana il 60%;

- la cocaina il 10%;

- l’85% prende una qualche sostanza.


Se invece analizziamo i ragazzini che iniziano a prendere il farmaco in un’età inferiore ai 9 anni, e che lo
prendono per 6 anni, i risultati sono sovrapponibili a quelli della popolazione di controllo.
Prendere il farmaco prima dei 9 anni e per un tempo sufficiente previene l’uso di sostanze. In realtà non è
che l’ADHD porta come conseguenza l’uso di sostanze, ma l’ADHD può evolvere nel disturbo oppositivo-
provocatorio ed è questo che predispone all’uso di sostanze. Per cui se noi trattatiamo i ragazzini prima che
diventino oppositivi-provocatori stiamo prevenendo anche l’uso di sostanze.

Effetti avversi comuni del trattamento con metilfenidato:


- diminuzione di appetito, e ci può essere una diminuzione di crescita. In genere in età prepubere un
anno di terapia ininterrotta in età prepubere comporta 2 cm di altezza in meno. Bisogna valutare
ogni singolo ragazzino e quanto potrà diventere alto, però in genere si fanno le vacanze
terapeutiche: si sospende il farmaco per un mese in estate, e nel giro di questo mese di vacanza si
recupera la crescita.

- Insonnia se il farmaco viene preso troppo tardi e in genere non si da dopo le 14: avendo un effetto
di 4 ore, alle 18 l’effetto è svanito. In alcuni bambini però, come il farmaco viene eliminato, ci può
essere un effetto rebound, quindi questi bambini non dormono perché sono iperattivati
dall’assenza di farmaco: in questi casi si può dare una piccola dose di metilfenidato così da
tranquillizzarli e permettere l’addormentamento.
- Tic. La terapia può scatenare i tic o, se uno ha già i tic, possono peggiorare. I tic, se presenti prima
del trattamento, possono anche migliorare, la variabilità interindividuale è abbastanza elevata (si
valuta caso per caso).

- L’effetto zombie è un effetto avverso non frequente, 1/150-200: il farmaco aiuta a focalizzare ma in
alcuni soggetti l’iperfocalizzazione fa perdere riflessività cognitive e creatività. L’effetto zombie non
è dovuto a una dose molto alta ma all’ipersensibilità del singolo bambino, e su questi non si usa.

Il metilfenidato, che agisce già dopo mezzora, va veramente cucito addosso nel singolo ragazzino.
È un farmaco efficace e sicuro ma in Italia per mille motivi è utilizzato pochissimo; in Sardegna abbiamo un
maggiore uso di farmaco, sia perché funziona, sia perché abbiamo un’alta frequenza di ADHD.

In conclusione: l’ADHD è un disturbo eterogeneo e invalidante che si manifesta con quadri diversi nel corso
della vita. I farmaci sono efficaci in tutte le età della vita, mentre ci sono poche evidenze sull’efficacia
dell’intervento psicoeducativo, (o meglio: ci sono delle evidenze ma vanno interpretate in maniera
corretta). Inoltre i farmaci possono prevenire parte della psicopatologia associata all’ADHD.
ADHD
Non tutti i ragazzini affetti da ADHD (Attention-Deficit Hyperactivity Disorder) guariscono, ma possiamo
vedere dei casi anche nell’adulto. In tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti è ancora un grosso problema,
stanno nascendo delle cliniche per gli adulti con ADHD, ma non in Italia, se ne parla come se fosse una cosa
stranissima.

La storia di questa sindrome inizia all’inizio del 1900 quando George Still la studiò, mentre il farmaco che si
utilizza fu studiato nel 1937 ma inizialmente veniva utilizzato per altri motivi. Si iniziò con l’anfetamina ma
adesso si usa un derivato meno potente. In Italia era un farmaco da banco ed è stato ritirato dal mercato in
tutta Europa (anche se era scarsamente oggetto di abuso) negli anni 80. L’Italia fu l ultima a ritirarlo. Via via
è stato reintrodotto e l’Italia fu l’ultima a reintrodurlo nel 2007 con tutta una serie di regole alle spalle.

È un disturbo eterogeneo, è un difetto del neurosviluppo, non un disturbo della condotta, anche se di fatto
il 60% dei bambini che arrivano all’osservazione ci vanno perché i genitori lamentano appunto disturbi della
condotta. Per questo motivo dovremo attuare due tipi di trattamento: uno farmacologico e uno educativo.

È un pattern persistente, il bambino è così in ogni contesto (due o più contesti secondo i criteri diagnostici)
quindi il comportamento non dipende da una situazione particolare. Deve essere presente in due o più
contesti perché se è solo a scuola magari semplicemente non è portato, o se è solo a casa magari sono i
genitori inadeguati. Il disturbo non lo danno i sintomi, lo danno la compromissione funzionale che i sintomi
provocano.

I sintomi sono invalidanti, ma anche abbastanza comuni (li possiamo trovare nella popolazione generale
nelle diverse età, non è strano vedere un bambino iperattivo e poco attento), e variano durante le fasi della
vita. La definizione di ADHD per il DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders) è:

- Un pattern persistente di inattenzione e/o di iperattività/impulsività che interferisce con il


funzionamento e lo sviluppo (6 sintomi su 9).

- I sintomi di inattenzione e/o iperattività/impulsività sono presenti prima dei 12 anni di età.

- I sintomi sono presenti in due o più contesti.

- Chiara evidenza che i sintomi interferiscono, o riducono, la qualità del funzionamento sociale ,
scolastico o occupazionale.

- I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di schizofrenia, o altri disturbi psicotici o
non sono meglio spiegabili da altri disturbi mentali.

Se il bambino con disattenzione e/o iperattività funziona bene non è un problema, la diagnosi si pone se ha
invece tutta una serie di interferenze. I bambini possono avere una sindrome combinata, quindi presentare
6 sintomi su 9 sia per quanto riguarda i sintomi di iperattività che quelli di inattenzione, oppure essere
esclusivamente iperattivi o esclusivamente disattenti. La vecchia definizione poneva dei tipi, in realtà ora si
chiamano presentazioni perché in base all’età si manifestano in maniera diversa; ovviamente
l’inattenzione non si osserva prima dei 6 anni perché non si presta molta attenzione prima di quell’età in
generale, l’iperattività tende a diminuire con l’età, mentre l’impulsività tende ad aumentare.
Porre diagnosi entro i 12 anni non è un problema, mentre negli adulti la diagnosi si deve fare su doppia
fonte di informazione, non basta il paziente, ci vuole un’altra persona che documenti com’era il paziente da
bambino, e difficilmente il fratello minore o la fidanzata sanno com’era alla scuola materna. Se invece lo
osservate a 12 anni le informazioni sono più facilmente raccoglibili.

Mostra il video di Alessia, 5 anni, quindi età prescolare, e a 5 anni si fa diagnosi di “ADHD” tra virgolette
perché per quanto fosse un caso abbastanza pesante non andava ancora alla scuola materna, non può
essere una grave compromissione funzionale quando metà dei bambini non ci vanno. Quindi in età
prescolare è difficile fare diagnosi perché è difficile misurare la compromissione funzionale. In Alessia la
compromissione funzionale era evidente, non riusciva a seguire nessuna indicazione per un tempo
sufficiente, tant’è che gli interventi terapeutici sono iniziati all’epoca con la mamma, ma poi sono stati
modificati quando è entrata in prima elementare. A quest’età in realtà sono particolarmente efficaci anche
gli interventi educativi.

Alessia era provocatoria ( e uno studio di popolazione dice che è un segnale che è una ragazza predisposta a
sviluppare un disturbo dell’umore). È un video vecchio, ora studia all’università, ha avuto due episodi
depressivi non gravissimi, quindi è ancora seguita ma si controlla con i farmaci. Il farmaco l’ha salvata da
piccola visto che ha potuto intraprendere un percorso assolutamente normale, mentre magari in passato i
bambini con ADHD non venivano seguiti e supportati.

In età prescolare abbiamo:


- massimo grado di iperattività;

- crisi di rabbia, delle vere e proprie tempeste affettive (Alessia infatti batteva i piedi);

- litigiosa e provocatoria;

- non ha paura e quindi nella vita ordinaria non va a limare i suoi comportamenti in base alla
situazione, può incorrere più facilmente in incidenti;

- comportamenti aggressivi;

- spesso sono presenti anche disturbi del sonno.

Che succede quando il bambino con ADHD entra a scuola? È a quel punto che vediamo la disattenzione!
Dalla scuola elementare il bambino deve produrre conoscenza, deve stare attento, e stare attento costa
fatica. Quindi avremo:
- comparsa di disattenzione, si manifesta essenzialmente come difficoltà ad organizzare le proprie
cose;

- impulsività, non riesce ad aspettare il proprio turno;

- difficoltà scolastiche;

- man mano che il bambino cresce c’è una diminuzione dell’iperattività, che poi andrà a scomparire
in adolescenza e in età adulta (però rimane l’impulsività che comunque è fortemente invalidante!);

- evitamento dei compiti prolungati;

- comportamento oppositivo-provocatorio.
Michael, 9 anni: ha un ADHD puro, non ha altre caratteristiche psicopatologiche (fa parte di una minoranza,
quasi sempre sono anche oppositivo-provocatori e, man mano che crescono, manifestano anche altri
problemi). Michael non è un ADHD particolarmente grave, però la condizione è comunque molto
invalidante. Nel video sta facendo un cifrario, un test per misurare il QI: nella prima riga ci sono i simboli e i
numeri corrispondenti, dopo di che il test va avanti solo a simboli, e sotto ogni simbolo bisogna scrivere il
numero. La prima riga è di prova, e le sottostanti 8 righe sono il vero test. Si conta il numero di risposte
corrette scritte in un determinato tempo. Il cifrario è un test che viene fatto dai 7 anni fino ai 18, è quello
che viene fatto nella maggior parte dei casi per misurare il livello cognitivo. Il livello cognitivo è la base, uno
standard: come durante una visita si misurano altezza e peso, in neuropsichiatria infantile misuriamo il QI
(ci si impiega un’ora o più, dipende dalla collaborazione, qualche volta viene diviso in due volte perché il
ragazzino si alza, si stanca, non lo fa, ecc). Dopo la valutazione del livello cognitivo, i test che faremo fare in
seguito dipenderanno dal risultato del livello cognitivo, dal QI, e quindi dall’età mentale e non dall’età
anagrafica, perché se il ragazzino ha un QI più basso, poi tutta la valutazione successiva risulterà sballata.
Michael di fronte al compito la prima cosa che dice è: “Non lo so fare!” o “È troppo!” anche se è
assolutamente alla sua portata. Se adeguatamente motivato e rassicurato allora si mette a fare le cose,
però la durata del test è minore perché poi si scoccia, si alza, non ne ha più voglia.

Quando i bambini crescono ed entrano in adolescenza, l’ADHD non sparisce, ma si rendono sempre più
evidenti le conseguenze del disturbo:
- il disturbo dell’attenzione permane, non è più iperattivo anche se c’è una componente soggettiva di
instabilità;

- difficoltà ad iniziare e organizzare le cose (pianificazione), difficoltà scolastiche;

- difficoltà a rimanere fermo ed elaborare le informazioni, ha problemi a scuola, a lavoro, nelle


relazioni;

- manca di savoir faire sociale. Tutti i ragazzini prima di agire pensano alle conseguenze di quello che
faranno, ma gli ADHD, essendo impulsivi, fanno e dicono la prima cosa che gli viene in mente, senza
pensarci. Di conseguenza non stanno ai giochi di relazione, che sono normativi, e questo comporta

- bassa autostima (“Io non valgo niente!”), ansietà;

- comportamento rischioso, perché attaccano briga non pensando alle conseguenze.

Vladimir, 15 anni, è un ragazzino più grande di origine rumena, con una mamma che cerca di arrangiarsi
come può, e un papà che non c’è quasi mai: senza regole ma soprattutto senza gratificazioni e capacità
organizzative. Marcatamente iperattivo, diventa oppositivo-provocatorio, e proviamo a immaginarlo
all’interno di una classe! Nel video vediamo un altro test con cui si misura il livello cognitivo, è un test non
verbale che si utilizza per bambini o ragazzini (ma anche adulti) che hanno difficoltà linguistiche o che
hanno un’altra lingua, per cui perdono le sottigliezze del parlato, e perdere le sottigliezze vuol dire che
potrebbero sembrare meno intelligenti degli altri. È un test di associazione logica per cui è possibile
derivare l’età mentale, e quindi il livello cognitivo, dagli errori che fa. Vladimir, da Olbia dove viveva, è stato
poi mandato in una comunità in continente dove ha preso prima metilfenidato, poi gli hanno dato
antipsicotici, dopo è stato dimesso perché il comune di origine non era più in grado di pagare, ed è stato
trasferito in una comunità qui in Sardegna. Questa comunità in Sardegna prima si occupava di
tossicodipendenti, poi ha iniziato a occuparsi di ragazzini, ma ovviamente la gestione di un ragazzino del
genere è diversa da quella di un tossicodipendente. E in questa comunità ne combina di tutti i colori: ha
fomenta gli altri ragazzini, ruba, scappa, ritorna, se viene bloccato si arrabbia, ecc.
A 17 anni ritorna d’urgenza in clinica, però a questo punto aveva anche dei procedimenti penali in corso, in
comunità ne avevano paura, veniva sedato e trattato con antipsicotici. A un certo punto riesce a farsi
regalare l’accendino da genitori di altri ragazzini, un giorno si arrabbia con la caposala, prende l’accendino
e, puntandolo alla bombola di ossigeno, minaccia di far saltare in aria l’ospedale. La collega ha dovuto far
evacuare tutta la clinica Maciotta, ha chiamato i carabinieri e i pompieri e solo allora Vladimir si è arreso e
si è fatto sedare. Ormai era già grande e con una situazione grave, poteva essere aiutato quando aveva 7-8
anni!
La storia continua perché un giorno uno degli altri ragazzini della comunità decide di fuggire, per fuggire ha
bisogno di una macchina e dei soldi per la benzina. Vladimir lo aiuta, fanno una colletta, il ragazzino riesce a
rubare un’auto, ma muore in un incidente stradale. A questo punto Vladimir si sente colpevole della morte
dell’altro ragazzino e cerca di sfasciare la comunità (tutto questo 3 giorni prima del suo compleanno). Viene
portato al pronto soccorso psichiatrico ma i colleghi decidono di non farlo entrare fino al compimento del
18esimo anno. Quindi la sera prima del compleanno torna al Maciotta, dove ormai si era tranquillizzato. Il
lunedì successivo i servizi sociali del suo comune lo riportarono al Nord Sardegna, e da allora non ne
abbiamo più avuto notizie.
Questo ragazzo non era psicotico né depresso, non era maniacale né altro, ha una storia sociale incredibile,
ma è lui che non funziona. E quando vedremo i ragazzi con disturbo di condotta, è vero che è una
problematica che porta spesso alla delinquenza, ma la diagnosi implica che sia una disfunzione
dell’individuo, e non un contesto sociale. Tutto ciò rende molto più complicato fare diagnosi, ed è
fondamentale per l’intervento terapeutico.

In età adulta diminuisce l’attività motoria ma può residuare come irrequietezza psichica, mentre
l’inattenzione spesso persiste e si può manifestare come difficoltà nel portare a termine i compiti. Il tutto
può interferire significativamente con vari aspetti della vita quotidiana. L’aspetto fondamentale degli adulti
è che hanno una minore percezione delle gratificazioni perché il loro nucleus accumbens funziona di meno,
e quindi hanno un deficit di motivazione (tutto dipende anche dalla qualità degli stimoli), non è il fatto che
si muova molto a colpirci. Ci sono molte persone che sono così, ma lo diventano. Loro invece lo sono da
sempre a causa della loro sindrome.
Se andiamo a vedere anche alcune realtà isolane in cui i ragazzini non fanno niente, ciondolano in giro dalla
mattina alla sera, è chiaro che in questi contesti non ci sono grandi stimoli esterni: dei bambini che magari
erano solo lievemente ADHD, non trovano un contesto che li motivi da piccoli, non vengono aiutati con
misure educative specifiche, per cui arrivati alle scuole superiori si fermano perché non trovano niente per
loro. Un tempo sarebbero andati a fare il fornaio o a zappare i campi, ora a zappare i campi non ci va più
nessuno e per fare il fornaio bisogna avere la qualifica e quindi il diploma di scuola media superiore.
Abbiamo una percentuale molto elevata in questa regione perché è vero che c’è un contesto sociale, ma
sono loro che funzionano meno bene e al momento fondamentale non trovano l’aiuto di cui hanno diritto.

Per gli adulti esiste uno strumento di valutazione che è il DIVA (Diagnostic Interview for ADHD in adults),
un’intervista semistrutturata scaricabile gratis da internet ideata dalla collega olandese Sandra Kooij.

Metanalisi di circa 10 anni fa del collega brasiliano Polanczyk, con un numero di studi abbastanza ampioci fa
vedere che c’è una prevalenza per l’ADHD del 4% circa per le femmine e del 10% per i maschi, è più
frequente nei bambini che non negli adolescenti e, considerando tutto il globo terrestre, la prevalenza
totale è intorno al 5%.
Per quanto riguarda la prevalenza dell’ADHD ci sono delle grosse differenze: se chiediamo agli insegnanti
troviamo una certa percentuale; se chiediamo ai genitori ne troviamo un’altra; se vediamo le percentuali
per le quali genitori e insegnanti sono d’accordo, troviamo un’altra percentuale ancora (abbiamo dei dati
molto cautelativi, che vanno a vedere i casi su cui almeno due fonti sono d’accordo).
La prevalenza è del 3-5% per i maschi, e dell’1-2% per le femmine. Il che significa che ne abbiamo più o
meno uno per classe! Non è un disturbo raro, è estremamente frequente, anche se con livelli di gravità
diversa. La media è intorno al 3% nella popolazione generale.
Avere un ragazzino con ADHD in casa è molto complicato, la mamma ci dice: “Da quando il bambino
cammina non posso andare più in pizzeria, perché appena lo porto mi buttano fuori!”.

Il farmaco più utilizzato per l’ADHD, che è rientrato in commercio in Italia nel 2007 (mentre negli altri Paesi
è stato reintrodotto nel ’95) è il metilfenidato, un farmaco estremamente efficace e sicuro. Molti anni fa
veniva usato con diversi scopi: per dimagrire, come stimolante, come sostanza d’abuso, ed era stato ritirato
dal commercio negli anni ’80 (l’Italia è stata l’ultimo Paese a ritirarlo perché doveva garantire la vendita
delle scorte dell’industria). Leandro Panizzon inventò il metilfenidato con lo scopo di sfruttare uno
stimolante per gestire l’intossicazione o la dipendenza da amfetamine. Lo provò (all’epoca gli scienziati che
scoprivano un farmaco lo provavano su di sé) e non osservò alcun effetto; lo fece poi provare alla moglie,
che invece lo trovò un farmaco estremamente interessante, probabilmente perché riusciva a rimanere
attenta e a giocare meglio a bridge. Siccome la moglie si chiamava Margherita, il nome commerciale fu
Ritalin. Il metilfenidato fu introdotto per la prima volta nel mercato statunitense nel 1956.

Vediamo il decorso del disturbo con l’avanzare dell’età:


- inizialmente abbiamo solo ADHD;

- poi disturbate relazioni familiari e comportamento distruttivo;

- bassa autostima, scarse attitudini sociali e problemi di apprendimento;

- svilupperà un comportamento provocatorio di base e un disturbo oppositivo, ed eventualmente un


disturbo dell’umore, se ha un carico genetico predisponente;

- quando diventa più grande sarà demotivato, avrà difficoltà di apprendimento, si allontana dalla
scuola, incomincia ad avere un comportamento antisociale (perché tende poi a stare insieme agli
altri ragazzini che funzionano poco), potrà avere un disturbo di condotta e/o abusare di sostanze
stupefacenti.

Ha bisogno di una gratificazione intensa e immediata, e quale gratificazione più intensa e immediata se non
una violazione delle regole? L’evoluzione dell’ADHD dipende da che caratteristiche aveva il singolo
ragazzino e da quanto era grave il disturbo. Se andiamo a studiare gli ADHD da 0 a 18 anni, possiamo
vedere la loro psicopatologia oltre all’ADHD.

Grafico basato su 3 studi epidemiologici effettuati su popolazioni di servizio, ovvero sui pazienti che si
rivolgono al medico. Ci mostra qual è la prevalenza delle patologie associate all’ADHD.
Lo studio MTA è uno studio statunitense non finanziato dall’industria farmaceutica, effettuato su bambini
dai 7 ai 9 anni, iniziato negli anni ’90: nei primi 14 mesi venivano divisi in 4 gruppi in maniera random e, in
aperto (non in cieco!), un primo gruppo prendeva il farmaco, un secondo gruppo faceva un training
psicoeducativo, un terzo gruppo faceva sia il training psicoeducativo che la terapia farmacologica e il quarto
gruppo di pazienti veniva lasciato libero di prendere ciò che era disponibile (“Prendi quello che trovi!”). Il
farmaco in questione era sempre il metilfenidato, che ha una durata d’azione di circa 3 ore e veniva dato
diverse volte durante la giornata (secondo un altro studio inoltre ci sarebbe una forte correlazione tra
farmacocinetica e farmacodinamica, ovvero il farmaco è tanto più efficace quanto più velocemente entra in
azione)
Quello in blu scuro è uno studio fatto nel Sud del Brasile, che ha un clima temperato, un paesaggio svizzero,
e una popolazione essenzialmente di tedeschi e italiani. Il capo dello studio Brazil si è formato negli Stati
Uniti e i dati sono molto simili a quelli dello studio MTA.
Lo studio in celeste più chiaro (ADORE) è europeo, con 22 centri coinvolti di cui 8 italiani.
Se andiamo a vedere le patologie associate nei ragazzini che vanno dal dottore negli Stati Uniti (studio
MTA) il 40% sono oppositivi-provocatori, dicono sempre “No!”, si divertono a far saltare i nervi a papà e
mamma. Quasi il 20% ha anche un disturbo di condotta, violano sistematicamente le regole, rubano,
aggrediscono gli altri, appiccano il fuoco, ecc. Il 30% ha disturbi d’ansia, il 10% è anche depresso. Tra gli
europei il 60% sono oppositivi-provocatori, più del 40% ha disturbi di condotta, il 30% soffre di depressione.
Come interpretiamo questi dati? In realtà la prevalenza sugli studi di popolazione è identica, mentre sono
diversi i dati di epidemiologia di servizio, quindi tutto dipende da chi va dal dottore e chi invece non ci va.
Negli Stati Uniti ad esempio le scuole sono statali, ma vengono finanziate anche dai soldi degli ex-alunni
della scuola e da fondi federali di premialità, che quindi vanno a premiare le performance degli stessi alunni
della scuola. Un ragazzino con ADHD che va male a scuola abbassa la performance della scuola e, per una
scuola del genere il ragazzino con ADHD non ha scelta: o va dal dottore e prende la medicina, oppure va
fuori dalla scuola (questo fatto può avvenire anche in Europa, in Paesi come la Germania, con dei criteri un
po’ diversi, ma sono comunque pochi casi rispetto agli USA). Ciò vuol dire che negli Stati Uniti dal medico ci
vanno tutti perché sennò escono fuori dalla scuola, mentre qui in Europa ci vanno solo i più gravi.
Abbiamo visto questo studio per cominciare a usare i dati in maniera critica, dobbiamo ragionare quando
analizziamo i dati, e dobbiamo andare a vedere cosa c’è dietro i dati.

Nel disturbo oppositivo-provocatorio abbiamo almeno 4 sintomi (significativamente più frequenti che nei
coetanei) che danno una significativa compromissione funzionale per almeno 6 mesi.
Angry/irritable mood:
- scoppi d’ira;

- permaloso e infastidito dagli altri;

- irritabile e risentito.
Defiant/headstrong behavior:
- polemico con gli adulti;

- sfida o rifiuta attivamente di seguire le indicazioni;

- disturba volutamente gli altri;

- scarica sugli altri i propri errori o responsabilità.


Vindictiveness:
- dispettoso e vendicativo.

Questa è la definizione del DSM 5, che è identica a quella del DSM 4 ma con la differenza che i sintomi
vengono raggruppati in dimensioni: arrabbiato e irritabile, provocatorio e testardo, vendicativo e
pericoloso. Se suddividiamo i sintomi in questo modo, ponendo la diagnosi potremo anche prevedere che
disturbi svilupperà il ragazzino da grande (lo si prevede sulla base degli studi di popolazione).
Lo studio ALSCP (Avon Longitudinal Study of Children and Parents) è uno studio famoso in cui sono state
seguite circa 14000 gravidanze tra il ‘91 e il ‘92. Durante lo studio ogni 2-3 anni tutto il campione veniva
valutato sia per vedere la crescita e l’alimentazione, ma anche con dei questionari di comportamento dati a
genitori e insegnanti:
- chi è irritabile a 8 anni, tende a rimanere irritabile fino a 13; a 16 anni diventano depressi. Cioè
l’irritabilità e la bassa autostima da bambino sono dei precursori della depressione da adulto.
Ovviamente non tutti diventano depressi, solo quelli predisposti.

- Quelli che da bambini sono testardi/vendicativi tendono a persistere in questo stato in una
percentuale maggiore rispetto a quelli che invece si mostrano irritabili da bambini. I
testardi/vendicativi evolvono verso un disturbo di condotta, e una parte di questi va verso il tratto
calloso-anemozionale che, in termini brutali, significa godere della sofferenza altrui.

- Ci può essere poi un disturbo d’ansia.


A volte avere 3 disturbi (irritabile + vendicativo/provocatorio + ansioso) è meglio che averne solo 2
(irritabile + vendicativo/provocatorio), perché l’ansia paradossalmente può fare da freno (non ti metti nei
pasticci).
Il problema è che spesso c’è l’evoluzione del disturbo di condotta, che ha come definizione per il DSM 5:
modalità di comportamento ripetitiva e persistente di violazione di regole/norme appropriate per l’età o
dei diritti fondamentali degli altri, con:
- aggressione ad animali o persone;

- distruzione di proprietà;

- frode o furto;

- gravi violazioni di regole (marino la scuola prima dei 12 anni, fuggo di casa per almeno 2 notti
consecutive, ecc).
Questa definizione è debole dal punto di vista psicometrico, perché bastano 3 items per porre la diagnosi
(tra quelli appena elencati), ma in effetti nella popolazione generale sono dei casi piuttosto rari.
Tra l’aggressione ad animali o persone e la frode o furto è peggio la frode o furto perché se ha solo
l’aggressività, questa col tempo tende a scomparire. Frode o furto è un fattore predittivo molto grave:
finisce in carcere!

Il disturbo di condotta è un disturbo grave perché non esiste una terapia veramente efficace. Se noi siamo
molto bravi clinicamente, molto fortunati e molto ricchi (e quindi abbiamo tutti gli indicatori, le comunità
adeguate, ecc), riusciamo ad aiutarne circa il 50%. Se però riusciamo ad agire nell’infanzia o addirittura
prima dei 7 anni abbiamo buone probabilità di prevenire tutta la psicopatologia successiva, e quindi anche
il disturbo di condotta.

Il problema è che l’ansia, che da bambino frena i comportamenti rischiosi, spesso col tempo vira in disturbo
dell’umore, che può essere depressione, ma più frequentemente è un disturbo bipolare di tipo 2. Ed è
questo mix di disturbo di condotta e disturbo dell’umore che non consente al ragazzino la pianificazione e
l’organizzazione della propria vita, e da qui evolve verso l’uso di sostanze e disturbo antisociale di
personalità (rubo, violo le regole ecc).

Esistono diversi tipi di disturbo di condotta: tutti violano le regole, ci può essere ribellione senza motivo, ci
può essere aggressività, che a sua volta può avere diverse caratteristiche. L’aggressività può essere di tipo
reattivo o affettivo, che ha l’intrusione come modello animale: “Ho paura che tu ce l’abbia con me, di
conseguenza e ti aggredisco io prima che possa aggredirmi tu”. Questa paura è immotivata, fa sì che ci sia
la tendenza a dare delle attribuzioni negative agli altri. Di fronte a uno stimolo avversivo il soggetto ha
aumento della frequenza cardiaca, suda, è iperattivato e teso. L’aggressività affettiva spesso dipende da un
evento passato come un trauma, un abuso, una deprivazione.
L’aggressività predatoria è l’esatto contrario: gode alla sofferenza altrui, quando c’è uno stimolo avversivo
si calma, si concentra, diminuisce l’attivazione, diminuisce il cortisolo in circolo, diminuisce la sudorazione
delle mani, si riduce la frequenza cardiaca. Spesso ci sono delle patologie associate, più frequentemente un
disturbo dell’umore come bipolare di tipo 2 o 3, quindi con grosse variazioni del tono dell’umore.
L’aggressività predatoria può essere tra i precursori del tratto calloso-anemozionale: il tipo di educazione
ricevuto è stato particolarmente coercitivo, e da qui la convinzione che si può ottenere qualcosa solo
forzando gli altri.
Questa è una maniera utile per semplificare e concettualizzare, ma spesso son presenti tutti e due i tipi di
aggressività: paradossalmente l’aggressività predatoria non è impossibile da gestire, anche se bisogna
iniziare il trattamento molto precocemente; a un soggetto con aggressività affettiva invece dovremmo
insegnare che seguire le regole è più divertente che violarle.

Questi sono i tratti calloso-anemozionali o con scarse abilità prosociali, che vuol dire mancanza di rimorso
o senso di colpa, non sta male né si pente quando fa qualcosa di sbagliato e non ha nessuna
preoccupazione sulle conseguenze delle proprie azioni, non si preoccupa né è interessato ai sentimenti
dell’altro, non gliene importa niente della scuola né di quello che succede, non esprime nessun sentimento
se non se gli è utile. Sono una percentuale piccola e questo in genere non è correlato con l’ADHD.
Se non portati all’estremo come succede nella patologia, questi tratti possono essere funzionali. Pensiamo
a un imprenditore, o a un soggetto che maneggia molti soldi o che deve gestire molte persone: se è troppo
empatico non ci riesce, ci perde sicuramente. Se invece è abbastanza cinico e “cattivo”, allora ha successo.
Esistono dei questionari che possono misurare tutti questi aspetti, e se noi li somministriamo a una
categoria di imprenditori, riscontriamo alcuni di questi tratti, pur in assenza di patologia. Gran parte della
psicopatologia dipende da motivi biologici, ma si trasforma in patologia quando un soggetto diventa unable
to fit, non riesce ad avere adattamento e successo in quel contesto. Quindi quello che in certi contesti è
favorente, in altri può essere sfavorente (ad esempio nel soggetto con disturbo di condotta il tratto calloso-
anemozionale lo fa andare in carcere!).
Teniamo presente che l’aggressività è un comportamento “fisiologico”, che ha il suo picco massimo a 2 anni
di età (qualcuno ha scritto su Science che se i bambini avessero le armi noi non esisteremmo!). Il bambino a
2 anni inizia l’inibizione delle risposte automatiche, sviluppa la capacità di manipolare le informazioni per
modellare il proprio repertorio comportamentale e posticipare le gratificazioni, che è il meccanismo
normale per superare istinto e aggressività.

Il concetto che troviamo nei vecchi libri è che ci sono due tipi di disturbi di condotta e aggressività: quella a
esordio prepubere, prima dei 12 anni, rara ma tende a persistere per tutta la vita; e quella che insorge dopo
i 10-12 anni, in adolescenza, che aumenta come entità ma è autolimitante e tende poi a diminuire. Questo
concetto, che è stato un assioma per almeno 20 anni, è ormai stato superato. Se studiamo la popolazione
generale troviamo invece:
- soggetti con esordio durante l’età infantile, che dopo un po’ migliorano, sono il 20% (hanno sempre
qualche reliquato in età adulta ma non così invalidante);

- altri che, pur avendo un esordio prepubere, continuano ad avere aggressività e ne risultano
fortemente invalidati;
- tra i soggetti con esordio in adolescenza alcuni migliorano col tempo, ma altri sono

- adolescence onset persistent.


Tutto ciò ci indica che c’è un certo rischio individuale nella evoluzione del disturbo, cioè dipende dalle
caratteristiche dell’individuo, ma c’è anche un rischio ambientale, che comprende in una certa maniera il
reddito familiare, ma soprattutto la struttura sociale attorno al ragazzino.
Dipende anche dal sesso, le femmine sono meno dei maschi, e sono rarissime le femmine con aggressività a
insorgenza prima dei 12 anni; inoltre la maggior parte delle femmine con aggressività a insorgenza
adolescenziale, hanno una più frequente persistenza del disturbo. Per cui una ragazzina con un disturbo di
condotta ha delle possibilità di recupero molto basse, molto più basse rispetto ai maschi che sviluppano il
disturbo dopo i 12 anni.

“L’errore di Cartesio”, scritto dal neurologo Antonio Damasio, è un libro che dimostra che il libero arbitrio è
un fenomeno biologico. Racconta l’avventura di Phineas Gage, un uomo molto ligio al dovere e ben
organizzato, che era impegnato nella costruzione della ferrovia del far West. Per mettere i binari ci si faceva
spazio con la dinamite, ma un giorno la dinamite non esplose, e Phineas Gage si avvicinò per capire il
perché: la dinamite esplose proprio in quel momento, e un tubo metallico gli trapassò il cranio. In epoca
preantibiotica guarì senza reliquati neurologici, ma cambiò carattere, e da persona ligia, timorata di Dio e
ben organizzata diventa disorganizzato, donnaiolo, spendaccione, violava tutte le regole sociali dell’epoca,
si rendeva conto di violarle ma non gli importava, perché la gratificazione la riceveva altrove (il lobo
frontale non inibiva più i suoi comportamenti). Non perse la sua intelligenza, capì di essere un caso
importante e si fece dare i soldi in cambio del suo cervello alla sua morte. Quello che mancava dal suo
cervello era proprio il lobo frontale.
La rivista Nature qualche anno dopo pubblicò il caso di due bambini che avevano subìto l’escissione di parte
del lobo frontale: uno per trauma dopo un incidente stradale (era stato tolto per il rischio di infezione);
nell’altro bambino era stato escisso per tumore. A 17 anni manifestarono un disturbo di condotta senza
senso morale, violavano le regole contenti di averle violate.
Questi sono dei casi estremi ma ci fanno capire come anche la morale ha una sede fisica e una sua biologia.
Inoltre, tra tutti i delinquenti, alcuni di questi sono delinquenti e basta, ma altri hanno un problema
biologico sottostante, il che apre delle praterie etiche enormi!

Quanto è importante la componente familiare nella morale? Tanto.

Una coppia di scienziati, Caspi e Moffitt, hanno basato quasi tutta la loro carriera scientifica sullo studio dei
disturbi di condotta e dei comportamenti antisociali. Il primo studio l’hanno fatto in Nuova Zelanda nella
contea di Dunedin, una regione molto famosa per gli studi epidemiologici. Sono andati a cercare i fattori
correlati alla comparsa dei disturbi di condotta: dove i ragazzini vivevano (es: quartieri ghetto), il reddito, la
struttura familiare (es: famiglie disgregate), ecc. Quello che hanno notato è che il fattore protettivo per i
disturbi di condotta, non è l’avere più soldi, o la localizzazione geografica, ma la struttura del quartiere. Ad
esempio, se i genitori del ragazzino lavorano tutto il giorno, o sono ubriachi e comunque non sono in grado
di dare un modello da seguire, se i ragazzini giocano per strada, può essere importante la guida del
bottegaio del quartiere, o dell’edicolante, che li conoscono bene e magari li gratificano se seguono le
regole.

Dobbiamo poi andare a valutare le variabili nel singolo individuo, e tutto dipende da quanto è grave la
disfunzione. Nelle disfunzioni lievi la violazione delle regole può essere considerata un fattore di crescita:
pensiamo a un bambino un po’ inibito che va alla scuola materna e gli altri bambini gli fanno i giochi cattivi.
Può reagire in due modi: o rimanere inibito e chiudersi ancora di più, o tirare fuori la grinta e rispondere
con un pugno a un pugno ricevuto. Gli stessi papà e mamma gli dicono “Difenditi!”, a 3 anni è del tutto
lecito. A 5 anni però il bambino si rende conto che anche se ha l’impulso a reagire, è molto più economico e
gratificante non farlo, o reagire in maniera diversa.

Nella prima lezione abbiamo fatto l’esempio del bambino che a 2 anni ruba il giocattolo a un altro bambino;
6 mesi dopo, non gli ruba più il giocattolo ma si mettono a giocare assieme. Cosa è successo? È successo
che ha trovato un bambino un po’ inibito che l’ha fatto giocare insieme a lui, la mamma l’ha premiato e
quindi lui ha capito che se gioca assieme all’altro bambino piuttosto che rubargli il giocattolo tutti sono
contenti. Il cervello del bambino sta maturando e, contemporaneamente, c’è un determinato contesto: il
bambino riceve un privilegio e viene gratificato dalla mamma se fa una cosa (giocare assieme all’altro
bambino), oppure perde un privilegio se ne fa un’altra (rubare il giocattolo).

La psicopatologia negli adottati è molto frequente, ci sono diversi studi che lo evidenziano. Questo non vuol
dire che tutti i ragazzini o i bambini che vengono adottati avranno dei disturbi in futuro, ma vuol dire che
quelli che staranno bene hanno trovato dei genitori e dei supporti sociali che hanno permesso di gestirli al
meglio. Chi decide di prendere in affidamento un ragazzino del genere sa che ha il 50% di probabilità di
avere seri problemi in futuro, quindi deve essere pronto a gestirseli, cosa che non sempre è così.

Uno studio molto interessante riguarda i bambini rumeni adottati dopo Ceaușescu, presidente della
Romania per 20 anni col partito comunista fino al 1989. All’epoca c’erano tutta una serie di orfanotrofi in
condizioni tragiche, dove i bambini venivano abbandonati, pestati, affamati, ridotti a una vita di stenti.
Questi bambini sono stati adottati in molti Paesi europei, e in Inghilterra sono stati seguiti 120 ragazzini per
25 anni, inseriti in famiglie inglesi di piccola borghesia, e sono stati confrontati con ragazzini inglesi, adottati
sempre in Inghilterra da famiglie più o meno dello stesso tipo.
Molti di questi ragazzini di origine rumena all’inizio sembravano autistici, non erano in grado di instaurare
nessuna interazione sociale; col passare del tempo gran parte dei bambini non sembravano più autistici,
perché non erano mai stati veramente autistici, è solo che non avevano ricevuto nessuno stimolo
ambientale. Molti di questi bambini hanno avuto tutta una serie di problemi negli anni, erano molto più
instabili, l’ADHD era molto più frequente, i disturbi d’ansia ugualmente.
A distanza di 20 anni dall’adozione i QI medi erano 5-6 punti più bassi per gli adottati rumeni rispetto a
quelli inglesi. Tra questi 120 ragazzi comunque una decina sono stati ammessi (per merito!) in Università
prestigiose come Oxford e Cambridge, quindi è vero che l’intelligenza media tra i ragazzini rumeni era
inferiore, ma l’insorgenza e l’evoluzione di eventuali disturbi dipendeva anche dalle condizioni iniziali e
dalle caratteristiche di ognuno di loro. Il caso era tanto più grave quanto prima entravano in orfanotrofio e
quanto più ci restavano: quelli che sono entrati prima dei 6 mesi di vita hanno avuto una compromissione
funzionale molto maggiore rispetto a quelli che ci sono entrati dopo i 6 mesi. Il tutto è influenzato da più
variabili, ma ci fa capire comunque quanto sia importante l’ambiente.

Oggi il tasso di psicopatologia è molto aumentato perché il contesto sociale si è disgregato. La crisi degli
ultimi anni non è come la crisi del ’29 in cui nei Paesi europei c’erano i fascisti o i nazisti, che in ogni caso
motivavano la popolazione, negli Stati Uniti c’era il New Deal, per cui il futuro era roseo. Oggi non c’è la
stessa percezione positivistica del futuro che ci poteva essere dopo la crisi del ’29, e in una famiglia dove
magari i genitori non lavorano, come faccio a dare una guida e a trasmettere ottimismo? Ora la percezione
generale è che il futuro potrà essere peggio del presente, non c’è niente che ci indichi che tutto migliorerà.
E questo sui ragazzini ha un impatto devastante. La psicopatologia di base è rimasta la stessa, ma è la
gestione della psicopatologia stessa che è cambiata radicalmente.
Potrebbe avere un’importanza sulla psicopatologia il fatto che i ragazzini di oggi vengono mollati con i
tablet e i cellulari anziché socializzare con gli altri ragazzini? Ci sono dati contrastanti al riguardo. Non è il
mezzo in sé che è un problema, ma è come il mezzo viene usato. I ragazzini imparano molto in fretta a
usare questi strumenti tecnologici perché l’hanno sempre fatto, per loro è normale, non possiamo limitarli
solo perché per noi non è stato così. Possiamo fare lo stesso discorso per la lettura (chissà cosa leggo, testi
peccaminosi!), oppure quando hanno inventato la scrittura è stata la stessa cosa, o quando hanno
inventato la televisione.
A oggi quello che ci preoccupa di più è l’uso di sostanze, che inizia circa a 10 anni. L’uso di sostanze ha un
impatto enorme non tanto perché i ragazzini si fanno le canne, ma per tutto il resto che si fumano: l’erba è
poca, per la maggior parte si tratta di cannabinoidi sintetici che vengono fatti non in laboratorio ma nel
garage sotto casa, quindi con parametri di pressione, temperatura, ecc non controllati, e l’azione di molti di
questi composti è sconosciuta. Un esempio può essere un ragazzino di 12 anni che arriva alla nostra
osservazione visibilmente strafatto, a cui facciamo un esame delle urine che risulta negativo: in 3 giorni il
ragazzino si riprende, ma questo può scatenare degli altri disturbi per cui magari rimane ricoverato 1 mese
in clinica. Per cui da una parte c’è una disgregazione dei fattori di protezione, dall’altra un aumento dell’uso
di sostanze.

Si può quantificare l’influenza dell’ambiente? Sì, esistono degli studi, fatti soprattutto sui gemelli sia mono
che eterozigoti, dove si può smontare il fattore genetico, il fattore ambientale condiviso (papà e mamma) e
quello ambientale non condiviso.
Un esempio: la depressione dipende sia da fattori genetici (per il 40% circa) che da fattori ambientali non
condivisi, che non sono papà e mamma, ma sono i propri pari. Papà e mamma hanno molta importanza fino
ai 12 anni, dopodichè cominciano a contare sempre di meno, mentre i coetanei diventano sempre più
importanti (ovviamente l’impatto dei coetanei dipende da come è fatto il singolo). Per l’ADHD i fattori
ambientali influiscono per circa il 70% ed è la parte ambientale condivisa.

Due ricercatori, Mannuzza (di origini siciliane ma nato e vissuto a New York) e la moglie Klein, hanno
condotto diversi studi sull’ADHD. Su una popolazione di un centinaio di ragazzini di Central Manhattan,
quindi media borghesia, diagnosticati negli anni ’70, sono andati a vedere cosa succedeva 10 anni dopo, in
adolescenza. Rispetto alla popolazione generale era aumentata la psicopatologia, l’uso di sostanze, la
violazione della legge e alcuni di questi ragazzi erano ancora ADHD.
Nella struttura sociale degli anni ‘70, tutti i lavoratori sono lavoratori dipendenti; con l’arrivo di Ronald
Reagan alla Presidenza degli Stati Uniti è cambiata la struttura sociale, e i top manager sono passati
dall’essere dei dipendenti a freelancer. I ragazzini, ormai adulti, erano diventati dei lavoratori autonomi,
avevano trovato la loro nicchia ecologica, facevano l’idraulico, l’elettricista, e funzionavano poiché
lavoravano secondo i loro ritmi.
Lo studio viene ripetuto su un'altra coorte di ragazzini diagnosticati negli anni ’80, e studiati quindi per 10
anni fino agli anni ’90. Gli ADHD sembrano scomparsi, ma è perché sono andati a vivere da altre parti
(“terapia del Greyhound”, il levriero, simbolo di un’importante azienda di trasporti statunitense): i servizi
sociali dell’epoca regalavano un biglietto di sola andata per l’Arizona, dove c’è perenne estate, la vita costa
poco, e il problema veniva così scaricato su un altro Stato. La struttura sociale era cambiata ancora, gli
ADHD diventati adulti erano spesso depressi, o in carcere.

In un altro studio sono stati seguiti 200 probandi e 178 controlli, ragazzini della stessa classe e seguiti per
circa 30 anni. Se andiamo a vedere la psicopatologia hanno un livello socio-educativo più basso, il 36% sono
andati in carcere contro l’11% dei controlli, il disturbo antisociale di personalità è più alto, 32% versus 3%, il
consumo di nicotina è aumentato al 60% rispetto al 30% dei controlli. Teniamo in considerazione che ci può
essere un’evoluzione verso il disturbo di condotta, o il disturbo antisociale di personalità come tratto
fondamentale, ma resta il fatto che possono rimanere ADHD.
Con questo campione è stato studiato il volume della corteccia cerebrale degli ADHD, che è in generale
inferiore rispetto alla popolazione di controllo, ma sono state osservate anche delle differenze tra i soggetti
in cui persiste l’ADHD e quelli in cui invece c’è una remissione, ed è una differenza sia di materia grigia, e
quindi corteccia, sia di materia bianca, e quindi fasci nervosi. Tutto il SNC si sviluppa in maniera diversa.

I fattori genetici predisponenti, assieme ai fattori ambientali danno delle disfunzioni; le disfunzioni portano
ad avere dei sintomi; ma i sintomi a loro volta cambiano l’ambiente, e cambiando l’ambiente cambiano le
disfunzioni e di nuovo le presentazioni cliniche.
I diversi geni coinvolti sono circa 150, la maggior parte di questi interessano soprattutto le sinapsi
glutamatergiche. L’ADHD non ha una trasmissione mendeliana ma è un’alterazione della funzione e dello
sviluppo che danno la predisposizione al disturbo vero e proprio. Si potrebbe pensare che se cambiamo il
contesto educando i genitori l’ADHD guarisce: non è proprio così.

Con le tecniche cognitivo-comportamentali andiamo ad applicare delle contingenze positive (rinforzi) e


negative (punizioni). Andremo a premiare:
- l’orientamento del compito;

- l’esecuzione delle attività assegnate;

- l’uso di efficaci strategie cognitive;

- il controllo degli impulsi.


Ci sarà une perdita dei rinforzi se invece si mostra:
- oppositivo;

- impulsivo;

- distruttivo.
Premieremo il ragazzino non se segue le mie regole, ma se arriva a un risultato valido anche seguendo altre
regole, perché non dobbiamo tarpare la sua fantasia e capacità immaginativa. Le forme lievi di ADHD
possono socialmente essere vantaggiose: sono molto rapidi nel pensare, scannerizzano rapidamente
l’ambiente e hanno tante idee. Un ADHD lieve e ben gestito può diventare un leader, un genio.

Studio di metanalisi sugli interventi non farmacologici per l’ADHD sulla base di criteri di inclusione come
l’età (dai 3 ai 18 anni), la diagnosi formale di ADHD, la valutazione della gravità dei sintomi (iperattività,
inattenzione e impulsività) attraverso strumenti validati con tutta una serie di analisi statistiche. I dati
inoltre sono stati raccolti dalla persona più vicina al bambino, come uno dei genitori (most proximal
assessment), e probabilmente in cieco, ad esempio la maestra (probably blinding assessment). Vengono
analizzati diversi interventi non farmacologici, tra cui:
- dieta restrittiva;

- supplementazione di acidi grassi liberi come omega 3 e omega 6;

- neurofeedback, che è il controllo del proprio EEG attraverso la valutazione di un segnale specifico. È
possibile per un individuo controllare il proprio ritmo dell’elettroencefalogramma, l’esempio
classico è la meditazione trascendentale: se vediamo con l’EEG una persona che fa meditazione,
questa è in grado di controllare il suo ritmo. La stessa cosa la possiamo fare con un bambino, per
cui se lui cambia il ritmo all’EEG si sposta la pallina sullo schermo, quindi è possibile insegnare a un
bambino a controllare il ritmo del suo EEG: questo si chiama neurofeedback (deriva da
biofeedback, una tecnica che viene utilizzata per imparare a rilassare alcuni gruppi muscolari, ad
esempio nella cefalea, la contrazione del muscolo viene associata a un segnale sonoro, è possibile
quindi controllare il tono muscolare sentendo la variazione del rumore). C’è un assetto di
frequenze, tra onde beta e onde gamma, che è diverso nei bambini con ADHD rispetto agli altri
bambini.

- Training cognitivo;

- interventi comportamentali.
Dalla metanalisi risulta che per gli interventi comportamentali l’effect size è di 0,40 se la fonte sono papà e
mamma, che magari si sono impegnati moltissimo per dare i premi e le gratificazioni al figlio; se lo chiedete
alla maestra (probably blinding assessment) l’effect size è solo 0,02.

Una parte dei colleghi di questa metanalisi hanno fatto un’altra metanalisi 2 anni dopo, comprendendo altri
studi usciti nel frattempo, e inserendo come dimensioni anche i disturbi di condotta, le abilità sociali e il
rendimento scolastico, oltre ai sintomi dell’ADHD. Aumentando il numero degli studi, l’effect size riferito
dai genitori da 0,40 passa a 0,35, mentre quello riferito dalla maestra rimane 0,02. Cioè sui sintomi di
inattenzione, iperattività e impulsività, il training cognitivo-comportamentale non fa nulla o quasi niente.
Se andiamo a vedere l’effect size sui disturbi di condotta invece, non osserviamo un grande effetto ma gli
insegnanti lo vedono molto più dei genitori. Se andiamo a vedere la percezione dei genitori sulla propria
capacità genitoriale o la percezione degli insegnanti sulla capacità genitoriale dei genitori del bambino,
l’effect size è di circa 0,6: questo serve per i genitori per capire che la patologia del figlio non è colpa loro,
ma al massimo un loro problema, e se sanno come fare riescono a migliorare i sintomi di comportamento.
Quindi l’intervento può essere efficace ma dipende sulla base di cosa lo misuriamo, perché può essere
efficace su un disturbo ma non efficace su un altro. Quando gli psichiatri ci dicono che bisogna gestire gli
esordi o i prodromi della malattia a 16 anni, è sbagliato, perché i prodromi sono a 4-5 anni (vale per tutta la
psicopatologia).

Come funziona la malattia? I circuiti compromessi sono 3: la parte dorsolaterale della corteccia con striato e
talamo, dall’altra parte anche il cervelletto e la corteccia motoria che provocano un’alterazione nella
percezione del tempo, e per terza la corteccia orbitofrontale quindi l’amigdala (contesto)e striato ventrale
con l’accumbens. Se mettiamo insieme queste alterazioni cioè che ne risulta saranno deficit esecutivi,
quindi problemi nelle risposte inibitorie in cui è chiamata in causa più che altro la corteccia dorsolaterale;
c’è anche una parte di alterata percezione del tempo e difficoltà nelle risposte motorie (cervelletto e
corteccia motoria); poi c’è una parte che è come la risultante delle ultime due: l’avversione nei confronti
dell’attesa. Si possono fare dei test per studiare quest’ultima, ad esempio si può chiedere al bambino se
vuole 10 centesimi subito o 2 euro dopo 1 ora. Lui risponderà che vuole i 10 centesimi subito, ma non
perché non sa aspettare, ma perché pensa più rapidamente della popolazione normale, lui sa che se
ripetendo il gioco più volte avrà 2 euro in ogni caso, è questo che intendiamo con alterata percezione del
tempo, pensa più rapidamente. Il tempo lo possiamo definire come intervallo tra più stimoli; a lezione ad
esempio chi segue il professore tagliando gli altri stimoli avrà una percezione corretta del tempo, chi invece
sta attento a tutto il resto (finestra, telefono, scritte nella lavagna) si sentirà come di aver vissuto 10 minuti
all’interno di un minuto effettivo. I bambini con ADHD allo stesso modo hanno difficoltà a tagliare gli altri
stimoli e il tempo per loro passerà più rapidamente, non hanno neanche la capacità di attendere.
La complicazione è che queste cose non sono presenti in tutti. Fa l’esempio con uno studio in cui sono stati
presi 7 ragazzi, testati per disturbi di percezione del tempo, gestione dell’attesa e capacità di inibizione.
Solo 4 hanno tutti e 3 i problemi, alcuni neanche uno e altri solo uno.

Un altro studio fu fatto da uno scozzese, con 83 ragazzini dai 6 ai 16 anni su cui misura l’effect size (che
sarebbe la misura della differenza tra i gruppi, in cui 1 è una grande differenza, meno di 1 la differenza
cala). Su questi studia la memoria, la capacità di inibizione,il tempo medio di reazione, la gestione
dell’attesa, capacità di prendere decisioni. Con variabilità del tempo di rezione intendiamo ad esempio il
tempo impiegato a fare un test in cui all’inizio si è lenti, poi si impara e si è più rapidi, fino a rallentare di
nuovo perché ci si stanca. Nei bambini con ADHD queste dinamiche si avranno sempre perché per loro ogni
volta è una volta nuova. Nello studio si vide che si ha grossa variabilità di sintomi, magari in alcuni è resente
un problema e anche molto grosso, mentre in altri è totalmente assente.

Farmaci per l’ADHD.

In Italia sono in commercio solo il metilfenidato (Ritalin) e derivati e l’atomoxetina (Strattera), che è un
bloccante della ricattura di noradrenalina.

Gli stimolanti come cocaina, amfetamina e metilfenidato, bloccano la ricattura delle monoamine. Per la
dopamina non è sempre vero, dipende dal farmaco: ad esempio l’amfetamina blocca a basse dosi la
noradrenalina, a dosi intermedie la dopamina e ad alte dosi la serotonina. Se blocchiamo la ricattura delle
monoamine, otteniamo un aumento del rilascio; se però l’aumento del rilascio è molto elevato, può
attivare l’autorecettore, con un effetto netto inibitorio. E questa è la differenza tra gli agonisti diretti e
quelli indiretti che invece bloccano il sito di ricattura.
Tra gli stimolanti, l’amfetamina blocca la ricattura sia di dopamina che di noradrenalina, ma blocca anche la
ricattura vescicolare attraverso un blocco del VMAT-2, che è il sito di trasporto delle vescicole. Se blocca
l’imagazzinamento nelle vescicole sinaptiche, ne aumenta i livelli citoplasmatici e ne aumenta il rilascio; se
usiamo dosi molte alte possiamo arrivare a depauperare le riserve di noradrenalina. L’amfetamina inoltre
blocca le MAO, responsabili della degradazione delle monoamine.
Il metilfenidato invece blocca solamente il trasportatore sinaptico e non quello vescicolare. Dal punto di
vista clinico il metilfenidato ha una potenza doppia rispetto all’amfetamina, per cui otteniamo lo stesso
effetto somministrando 5 mg di metilfenidato, che corrispondono a spanne a 10 mg di amfetamina.
L’atomoxetina è un NRI, blocca solo la ricattura della noradrenalina, che ha i suoi siti di trasporto distribuiti
in modo particolare, per cui è un po’ diverso. Il meccanismo d’azione (ma non l’effetto clinico!) è quello
degli antidepressivi, e quindi questo funziona dopo 2-6 settimane (mentre il metilfenidato funziona al picco,
40 minuti dopo la somministrazione).

Per sapere cosa succede in vivo con la somministrazione del metilfenidato è stato fatto uno studio con la
PET su giovani adulti sani (gli stimolanti funzionano anche sui soggetti sani) durante lo svolgimento di un
test cognitivo. Osserviamo prima il consumo di ossigeno basale, poi somministriamo il metilfenidato e il
consumo di ossigeno si riduce nettamente. In realtà il consumo di ossigeno non si è spento del tutto,
perché alcune aree, come la corteccia prefrontale dorso-laterale, il giro del cingolo anteriore, il cervelletto,
presentano attività. Quindi il metilfenidato regola una funzione esattamente come fa una radio con la
manopola: appena accendiamo la radio captiamo un sacco di stazioni e non si capisce niente; poi giriamo la
manopola e regoliamo il rapporto segnale/rumore finchè non troviamo la nostra stazione e le altre son
scomparse. Il metilfenidato modula essenzialmente i recettori D1 (non i D2), e soprattutto nella corteccia
cerebrale. Questo è vero soprattutto per gli stimolanti; l’atomoxetina fa più o meno lo stesso, ma ci impiega
più tempo.
La dottoressa Volkow, direttrice del NIDA (National Institute Drug Abuse) che studia negli Stati Uniti le
sostanze d’abuso, ha condotto numerosi studi su questi farmaci insieme a Swanson, uno psicologo.
Questo che vediamo è uno studio vecchio ma ci aiuta a capire come funziona il metilfenidato. Si tratta di un
giovane adulto sano a cui viene dato il tracciante radioattivo raclopride, che si va a legare ai recettori
dopaminergici, per cui si andrà a legare soprattutto nei nuclei della base. La raclopride ha un’elevata
costante di dissociazione, cioè se viene liberata dopamina dalle sinapsi, questa va a spiazzare il tracciante,
che rientra in circolo e ci fa perdere il segnale. Lo stato basale del test lo otteniamo facendo vedere una
fotografia di un personaggio noioso; se somministriamo il metilfenidato assieme alla foto del personaggio
noioso non osserviamo nessuna variazione. Osserviamo poi cosa succede se diamo il placebo al soggetto e
gli facciamo fare un compito di matematica. Se al compito di matematica associamo il metilfenidato,
osserviamo una variazione (il puntino rosso non c’è più): è uscita dopamina dalle sinapsi che ha spiazzato il
raclopride. A questo punto possiamo misurare quanta dopamina esce. Poi gli chiediamo: “Quando facevi il
compito di matematica, come ti sembrava?” il probando risponderà che l’ha trovato interessante, eccitante
e motivante, e questo effetto è proporzionale alla quantità di dopamina liberata. In pratica il metilfenidato
rende interessanti le cose noiose.

Qualche anno fa su Science hanno pubblicato un sondaggio a cui non tutti hanno risposto. Il campione era
formato da scienziati, non ADHD. La domanda era: “Qualcuno di voi utilizza stimolanti per tenersi
concentrato?”. Il 60% di quelli che hanno risposto hanno risposto “Sì”. Vuol dire che lo stimolante migliora
le performance cognitive anche dei sani. Negli Stati Uniti lo usano gli studenti per studiare meglio e, negli
anni ‘60 si usava anche in Italia per sostenere gli esami.
Il problema è che questo effetto dipende dal livello iniziale di funzioni esecutive. Le funzioni esecutive
hanno un andamento a U rovesciata: man mano che aumenta la liberazione di dopamina migliorano le
funzioni esecutive ma fino a un certo punto, dopodichè se aumentiamo ancora la dopamina, le funzioni
esecutive tendono a peggiorare. Se il metilfenidato lo prende una persona che ha già elevate funzioni
esecutive, non migliora le proprie funzioni esecutive, o addirittura le peggiora! Migliorano solo in quelli in
cui le funzioni esecutive hanno un livello più basso.
Per cui Panizzon non ha sentito alcun effetto perché era già al top delle sue funzioni esecutive, mentre la
moglie che giocava a tennis o a bridge, l’effetto l’ha visto.

L’effetto non dipende soltanto dalla quantità di farmaco somministrata o da quanti recettori vengono
bloccati, ma dipende anche dalla velocità con cui questo avviene.
Osserviamo le concentrazioni del farmaco dato per os: viene assorbito lentamente, in parte viene
degradato dal fegato e per avere livelli elevati nello striato ci vuole tempo; il picco nello striato lo otteniamo
più o meno a 60 minuti dalla somministrazione.
Se somministriamo una dose più piccola ma in vena, il farmaco non passerà attraverso il fegato, e il picco
verrà raggiunto molto più velocemente. La liberazione di dopamina è quantitativamente la stessa, però
avviene con velocità diverse. Se poi chiediamo al paziente se si sente euforico, se si sente “high”,
osserveremo un effetto di “high” in quelli che hanno preso il farmaco endovena, e l’euforia risulta
direttamente proporzionale a quanta dopamina viene liberata; quelli che l’hanno preso per os non
sperimentano nessuna euforia. Quindi l’effetto dipende dalla velocità con cui il farmaco passa nel SNC.
Immaginiamo il 5-6% dei ragazzini delle elementari che all’ora di ricreazione dovevano fare la fila dal bidello
per prendere la medicina (il metilfenidato ha una durata di 3-4 ore). Il problema era che i bidelli se lo
rivendevano o lo polverizzavano e lo sniffavano e lo usavano come sostanza da abuso.

Negli anni ’80 esisteva la ALZA Corporation, una piccola ditta che faceva micropompe osmotiche utilizzate
in laboratorio.
Quando i topi dovevano fare un trattamento cronico, ad esempio 2 dosi al giorno per 15 giorni, si facevano
2 punture intraperitoneali ogni giorno per 15 giorni consecutivi (povero topo e povero ricercatore!). Per
ovviare al problema, avevano inventato delle specie di grosse capsule che venivano cucite sulla spalla del
topo, che da una parte erano porosa per l’acqua ma non per i soluti, e che si espandevano con l’ingresso di
acqua. L’aumento di volume spingeva il farmaco verso un buchino e quindi si riusciva a controllare la dose
di farmaco, che veniva rilasciata di continuo e per giorni con questa micropompa. Swanson ha così avuto
un’idea, ha inventato un sistema osmotico di rilascio prolungato da poter utilizzare per os, come sostituto
delle 3 dosi giornaliere: costruisce delle capsule di circa 1,5 cm con un po’ di farmaco all’esterno, con un
compartimento espansibile che, attraverso il suo aumento di volume, permetteva il rilascio del farmaco da
un primo compartimento (prima dose) e da un secondo compartimento (seconda dose) in un secondo
momento.
Questo farmaco dà tachifilassi: nel giro di ore tende a diminuire l’effetto, per cui bisogna aumentare le dosi
per avere lo stesso effetto, e questo è lo scopo del secondo compartimento di farmaco. Il paziente rimane
sprovvisto di farmaco nelle ore notturne per cui l’indomani mattina si annulla l’effetto della tachifilassi.
Dopo quest’invenzione la ALZA, che era una ditta farmaceutica molto piccola, ha provato ad entrare nel
mercato ma è stata acquistata da una ditta farmaceutica molto più grossa, che ha così cominciato a
vendere questo farmaco col nome commerciale Concerta (che non è mai entrato in Italia per motivi
economici, non c’è mercato). Dopodichè queste pompe osmotiche sono state usate anche per altri farmaci.
Il risperidone per esempio, è un farmaco vecchio per cui è scaduto il brevetto, la ditta che l’ha prodotto ha
pensato di brevettare il principio attivo del risperidone per avere un farmaco nuovo con altri 15 anni di
brevetto. Il problema del metabolita attivo, il paliperidone, è che non dura più le 18 ore del risperidone con
un’unica somministrazione al giorno, ma ha una durata d’azione di sole 4 ore. Il paliperidone viene quindi
utilizzato attraverso micropompa osmotica.
Dobbiamo imparare a smaliziarci con l’industria farmaceutica, dobbiamo farci noi i calcoletti con l’effect
size, confrontare i diversi studi ed eventualmente smontare ciò che ci dicono i rappresentanti.

Esistono in commercio delle formulazioni costituite per il 30% da microsfere fatte da un core inerte, uno
strato intermedio con dentro il farmaco, e un rivestimento esterno; le restanti microsfere hanno un triplo
rivestimento, che fa rilasciare il farmaco più lentamente. In questo farmaco la farmacodinamica, cioè
l’effetto, dipende dalla farmacocinetica, non dipende dalle dosi ma dalla velocità con cui entra in circolo: in
una formulazione con lento assorbimento avremo bisogno di più picchi per avere un aumento delle
concentrazioni abbastanza rapido da dare un effetto.

Studio degli anni ’90 finanziato dal governo degli Stati Uniti e affidato a 5 Università, di cui quattro
americane e una canadese. Tra i coordinatori c’era Benedetto Vitiello, professore ordinario di
neuropsichiatria infantile a Torino da un anno. I probandi erano stati divisi in 4 gruppi:
- un gruppo ha usato solo farmaco, il Ritalin (quindi metilfenidato a rilascio immediato). Per il primo
mese questo gruppo era in doppio cieco, ogni giorno era una dose diversa e qualche giorno era
anche placebo, per trovare la dose migliore per quel determinato bambino. E se rispondeva al
placebo non entrava nello studio. Veniva visto una volta al mese e circa 20 minuti della visita di
un’ora e mezza veniva dedicata alla parte psicoeducativa, però non era un training formale.

- Un secondo gruppo invece non usava farmaco (almeno in teoria!), ma faceva un training
psicoeducativo intensivo, che vuol dire 35 sedute per i genitori, dopo la 35esima diminuiva la
frequenza, prima 3 al mese, poi 2 al mese fino poi a smettere. Era previsto poi un insegnante in
classe che valutava l’andamento dei primi mesi e che insegnava ai maestri come gestire il ragazzino.
Il trattamento durava in tutto 14 mesi e durante l’estate i ragazzini andavano in una colonia nel
parco della loro città dalle 8 alle 17, tutto organizzato: gioco libero, un gioco organizzato, un po’ di
scuola, un po’ di test, tutto in compartimenti di mezzora.

- Un altro gruppo faceva sia farmaco che training psicoeducativo;

- Il quarto gruppo, poiché non era eticamente corretto dare il placebo, era libero di andare nel
laboratorio sotto casa e: “Prendi quello che trovi!”. Alla fine della storia il 60% di questo gruppo
aveva preso il farmaco.
In questo studio sono stati utilizzati una ventina di parametri di misurazione e, dopo 14 mesi, tutti e 4 i
gruppi erano migliorati, con la differenza che i ragazzini che prendevano il farmaco da solo o il farmaco col
trattamento psicoeducativo miglioravano di più di quelli che facevano solo il training psicoeducativo. E il
quarto gruppo, che andava sotto casa, migliorava meno del primo gruppo che aveva preso il farmaco, ma
migliorava molto di più che col solo intervento psicoeducativo.

Come lo spieghiamo? Con l’importanza dell’ambiente. I ragazzini che andavano sotto casa venivano visitati
ogni 6 mesi, mentre gli altri venivano visti ogni mese, e gestiti sia a casa che a scuola. Il farmaco associato al
trattamento psicoeducativo non cambiava l’efficacia: in realtà, poiché la dose era libera e veniva tarata per
ogni singolo ragazzino, quelli che facevano in trattamento psicoeducativo intensivo avevano bisogno del
30% di farmaco in meno. La dose dipendeva quindi dalle caratteristiche del singolo ragazzino e da eventuali
altri trattamenti.

Quanti ragazzini sono guariti e si mostrano indistinguibili dai ragazzini normali? Dei ragazzini trattati sotto
casa il 25% erano indistinguibili dagli altri ragazzini, e guariti (poi smettevano l’intervento e tornavano come
prima, ma questo è un altro discorso). Di quelli che facevano solo intervento psicoeducativo 1/3 erano
guariti. Di quelli che prendevano il farmaco guarivano circa la metà; se al farmaco aggiungete l’intervento
psicoeducativo si arrivava al 70%, però con un training psicoeducativo intensivo, che è la “cadillac” degli
interventi. Guardando la cosa da un altro punto di vista, i risultati ci dicono anche che, nonostante gli
interventi, rimane un 30% che sarà migliorato ma che ha ancora problemi.

Una volta fatto questo studio questi ragazzini venivano mandati a casa, seguiti dal loro dottore e rivisti in
maniera approfondita una volta all’anno. Dopo 3 anni dall’inizio dello studio, tra i ragazzini di questi gruppi
non c’era più nessuna differenza, sia per i sintomi ma anche per la diagnosi. Se andiamo a vedere quanti in
ogni gruppo prendevano il farmaco prima di iniziare lo studio, circa il 20% prendeva metilfenidato.
Durante lo studio invece:
- del primo gruppo dovevano prendere il farmaco il 100%, e invece lo prendevano solo il 90% (di
quelli trattati solo col farmaco);

- tra quelli che dovevano fare solo il training psicoeducativo il 15% di fatto prendeva il farmaco;

- nel quarto gruppo che veniva trattato sotto casa il 60% prendeva metilfenidato.
Finito lo studio, dopo 3 anni:
- del primo gruppo ha continuato a prendere il farmaco il 61%;

- quelli trattati in teoria col solo training psicoeducativo arrivavano al 43%;

- del quarto gruppo ha continuato a prendere il farmaco sempre il 60%.


Ognuno si è scelto ciò di cui aveva bisogno, non c’è più differenza tra i diversi gruppi.
Quindi quando andiamo a vedere uno studio dobbiamo conoscere le condizioni con cui un effetto viene
valutato. Un conto è lo studio formale e rigoroso, un conto è l’esempio che abbiamo appena visto, cioè che
dopo 14 mesi vengono lasciati liberi di fare quello che vogliono. Per cui non è il farmaco a fare la differenza
ma è come i farmaco viene utilizzato e prescritto.

Col metilfenidato non c’è un rischio significativo di effetti collaterali gravi, ma ci possono essere degli effetti
collaterali lievi che hanno fatto scatenare un dibattito sugli studi sul metilfenidato per l’ADHD pubblicati dal
BMJ (British Medical Journal), che ha la fama di avere una politica anti-farmaco per principio. Quello su cui
si dibatte è questo: siccome ci sono degli effetti indesiderati lievi, ad esempio la nausea, non è più uno
studio in cieco, perché i genitori o l’insegnante scoprono in questo modo che il bambino ha preso il
farmaco. Si è scoperto poi che c’erano dei ricercatori anche negli studi finanziati del governo degli Stati
Uniti che avevano collaborato con le industrie, e questo è un altro bias che degrada il livello di evidenza.
Questa polemica è andata avanti, stiamo finendo di fare una metanalisi per finire di confrontare tutti i
farmaci tra loro.

C’è una convinzione generale che la psichiatria sia “l’ancella” della medicina, non abbiamo test, farmaci,
ecc. L’effect size è una misura che ci permette di vedere i cambiamenti rispetto a due popolazioni. Se
andiamo a vedere l’effect size di farmaci comunemente utilizzati in medicina generale, e quelli usati in
psichiatria vediamo che:
- l’aspirina per la prevenzione delle malattie cardiovascolari ha un effect size di solo 0,06;

- gli antipertensivi per prevenire la mortalità ed allungare la vita hanno effect size pari a 0,11;

- gli antiasmatici per l’asma 0,54, l’effetto c’è ma non è così evidente come vorremmo;

- l’interferone per l’epatite C ha un effect size alto, arriviamo a 2;

- se andiamo a vedere gli antipsicotici di seconda generazione per la terapia dell’adulto l’effect size è
di 0,5

- gli antidepressivi hanno un effect size di 0,3. Gli antidepressivi funzionano molto più come
ansiolitici che non come antidepressivi, e infatti per l’ansia gli antidepressivi hanno un effect size di
0,4.

- L’effect size dei farmaci per l’ADHD è di 0,7 per l’atomoxetina che non è uno stimolante; la
lisdesamfetamina, profarmaco dell’amfetamina, ha un effect size di 1,3-1,4.
Quindi i farmaci usati in psichiatria sono tra i farmaci più efficaci in medicina.

Ma dare uno stimolante a un bambino con il SNC in via di sviluppo può fare dei danni? Per rispondere a
questa domanda l’insegnante di neuropsichiatria infantile al King’s College Katya Rubia ha condotto una
metanalisi, per vedere morfologicamente quali sono le aree del SNC che sono più diverse tra ADHD e
controlli. L’area studiata comprende i nuclei della base: gli ADHD hanno i nuclei della base più piccoli
rispetto ai controlli, ma la differenza dipende dalle diverse variabili. Una variabile è l’età, se si tratta di
bambini piccoli la differenza volumetrica è maggiore; ma questa differenza tende a diminuire sempre più
fino a scomparire intorno ai 20 anni. Un’altra variabile è quanti prendevano stimolanti nel campione
studiato, indipendentemente dall’età: se nessuno prendeva lo stimolante, la differenza volumetrica era
significativa; se nel campione invece il 100% prendevano farmaci, non si osservava nessuna differenza tra
ADHD e controlli. Ciò vuol dire che i farmaci non solo cambiano il comportamento, ma cambiano anche la
morfologia.
Ci sono poi 2 studi scandinavi che basati sui registri: in
Scandinavia registrano tutto, per cui hanno il registro
delle nascite, il registro delle patologie, quello delle
prescrizioni, dei ricoveri, delle multe, dei problemi con la
legge, ecc. Larsson, il leader dello studio, assieme ad altri
colleghi ha preso i registri di diagnosi di ADHD, i registri di
terapia e i registri di problemi con la legge, e ha seguito
ciò che è successo al suo campione dal momento della
diagnosi per i 4-5 anni successivi. Per quanto riguarda i
problemi con la legge:
- il 50% dei maschi trattati non ha avuto problemi
con la legge;

- tra i maschi che non hanno preso il farmaco


meno del 40% non ha avuto problemi con la
legge.
La stessa osservazione la possiamo fare per le femmine.

Un'altra cosa che si può andare a vedere sono gli incidenti stradali negli adulti: avere una diagnosi di ADHD
aumenta il rischio di 2,5 volte (comunque almeno di 1,5 volte a seconda di come viene calcolato il rischio),
sia nei maschi che nelle femmine. Prendendo il farmaco il rischio si riduce del 30% nei maschi, un po’ di
meno nelle femmine.

Studio condotto nei quartieri poveri di Boston sull’uso di sostanze. La popolazione di controllo sono i
ragazzini al di sotto dei 18 anni, adolescenti:
- il 22% della popolazione di controllo è dedita al binge drinking;

- il 16% fuma sigarette;

- il 31% fuma marjuana;

- il 3% prende cocaina;

- in totale il 65% prende una qualche sostanza (alcool, nicotina ecc).


Se andiamo a vedere i soggetti con ADHD che iniziato il trattamento farmacologico dopo i 15 anni e che lo
fanno per 2 anni:
- il binge drinking interessa il 41%;

- le sigarette il 36%;

- la marjuana il 60%;

- la cocaina il 10%;

- l’85% prende una qualche sostanza.


Se invece analizziamo i ragazzini che iniziano a prendere il farmaco in un’età inferiore ai 9 anni, e che lo
prendono per 6 anni, i risultati sono sovrapponibili a quelli della popolazione di controllo.
Prendere il farmaco prima dei 9 anni e per un tempo sufficiente previene l’uso di sostanze. In realtà non è
che l’ADHD porta come conseguenza l’uso di sostanze, ma l’ADHD può evolvere nel disturbo oppositivo-
provocatorio ed è questo che predispone all’uso di sostanze. Per cui se noi trattatiamo i ragazzini prima che
diventino oppositivi-provocatori stiamo prevenendo anche l’uso di sostanze.

Effetti avversi comuni del trattamento con metilfenidato:


- diminuzione di appetito, e ci può essere una diminuzione di crescita. In genere in età prepubere un
anno di terapia ininterrotta in età prepubere comporta 2 cm di altezza in meno. Bisogna valutare
ogni singolo ragazzino e quanto potrà diventere alto, però in genere si fanno le vacanze
terapeutiche: si sospende il farmaco per un mese in estate, e nel giro di questo mese di vacanza si
recupera la crescita.

- Insonnia se il farmaco viene preso troppo tardi e in genere non si da dopo le 14: avendo un effetto
di 4 ore, alle 18 l’effetto è svanito. In alcuni bambini però, come il farmaco viene eliminato, ci può
essere un effetto rebound, quindi questi bambini non dormono perché sono iperattivati
dall’assenza di farmaco: in questi casi si può dare una piccola dose di metilfenidato così da
tranquillizzarli e permettere l’addormentamento.

- Tic. La terapia può scatenare i tic o, se uno ha già i tic, possono peggiorare. I tic, se presenti prima
del trattamento, possono anche migliorare, la variabilità interindividuale è abbastanza elevata (si
valuta caso per caso).

- L’effetto zombie è un effetto avverso non frequente, 1/150-200: il farmaco aiuta a focalizzare ma in
alcuni soggetti l’iperfocalizzazione fa perdere riflessività cognitive e creatività. L’effetto zombie non
è dovuto a una dose molto alta ma all’ipersensibilità del singolo bambino, e su questi non si usa.

Il metilfenidato, che agisce già dopo mezzora, va veramente cucito addosso nel singolo ragazzino.
È un farmaco efficace e sicuro ma in Italia per mille motivi è utilizzato pochissimo; in Sardegna abbiamo un
maggiore uso di farmaco, sia perché funziona, sia perché abbiamo un’alta frequenza di ADHD.

In conclusione: l’ADHD è un disturbo eterogeneo e invalidante che si manifesta con quadri diversi nel corso
della vita. I farmaci sono efficaci in tutte le età della vita, mentre ci sono poche evidenze sull’efficacia
dell’intervento psicoeducativo, (o meglio: ci sono delle evidenze ma vanno interpretate in maniera
corretta). Inoltre i farmaci possono prevenire parte della psicopatologia associata all’ADHD.

Ci sono anche interventi non farmacologici. Normalmente quando si educano i bambini ci si basa
sull’applicazione di un piano di rinforzi, cioè dando un premio magari se fanno ciò che gli si dice. Per i
bambini può essere una punizione non essere più badati dai genitori, perché si innesca un meccanismo in
cui si rendono conto di aver oltrepassato il limite, e magari nel bambino con ADHD questo tempo in cui non
vengono controllati dai genitori può sembrare più lungo per via dell’alterata percezione temporale. In
seguito a ciò si riavvicineranno e a quel punto può essere utile poi gratificarli con un premio o un
complimento se fanno da bravi. Questi sono in generale dei principi; dal punto di vista pratico possono
essere fatte varie cose come ad esempio dare un premio, darlo anche se usa una strategia diversa per fare
un compito ecc ecc, in particolare non è importante l’entità del premio ma la latenza con cui questoviene
dato. I genitori devono essere chiari e semplici perché i bambini si distraggono subito. (il professore sorvola
su questa parte)
URGENZE NEUROPSICHIATRICHE
Prima di parlare delle vere e proprie urgenze, bisogna avere chiare le condizioni di ricovero.

In età evolutiva ci sono alcuni particolari criteri di ricovero. A seconda del livello di gravità il paziente va
infatti indirizzato ad un’assistenza ambulatoriale, oppure del tipo day hospital o, ancora, il vero e proprio
ricovero.

Il ricovero è l’opzione più complessa e costosa, tenendo conto anche del fatto che i DRG non coprono il
vero costo dei ricoveri psichiatrici urgenti. La parte pediatrica della psichiatria vede pochissimi reparti
specifici a livello ospedaliero: la maggior parte dei soggetti finisce infatti o in pediatria o in un reparto di
psichiatria dell’adulto.

Esempi di condizioni meritevoli di ricovero sono sicuramente il suicidio e le psicosi. Ricordiamo che le
psicosi sono delle alterazioni formali del contenuto del pensiero.

Un esempio sono le allucinazioni, che però non sono sempre in età evolutiva sono segno di psicosi; anzi,
nella maggior parte dei casi, alle allucinazioni non corrisponde una psicosi. Le allucinazioni in età evolutiva
ci sono anche in quelli che un tempo venivano definiti disturbi d’ansia.

In particolare, nell’ossessivo-compulsivo abbiamo allucinazioni: il bambino (picco di età per il DOC è 8 anni),
percepisce dei pensieri intrusivi riferiti come una voce che gli dice cosa deve fare.

Ancora, uno dei sintomi del disturbo da stress post traumatico (dovuto ad abusi, maltrattamenti, etc…) è
proprio la presenza di flashback: esperienza di immagini intrusive che non è controllabile ed è resistente al
trattamento con antipsicotici.
[In America, i reparti psichiatrici (sia infantili che non) devono per legge avere la stanza imbottita, a cui il paziente ha
accesso solo per alcune ore e con delle regole codificate, e delle camicie di forza. In Europa non esistono cose del
genere, mentre in America, pur essendo poco utilizzati, sono ancora presenti. Uno dei pochi casi in cui, dicono,
potrebbe essere utile è proprio nel momento in cui un affetto da disturbo da stress post traumatico sta rivivendo dei
terrorizzanti flashback.]

Per schematizzare i casi in cui è giusto ricoverare:

- I tentativi di suicidio sono intuitivamente un’emergenza (e dunque motivo di ricovero), per il


semplice fatto che la riuscita del tentativo implica la morte del soggetto;

- I pazienti psicotici e con disturbo post-traumatico necessitano invece di un trattamento urgente


perché, a causa della perdita del contatto con la realtà o dell’estrema aggressività o del loro stato di
agitazione possono essere pericolosi per sé e per gli altri.

- Altre condizioni di ricovero sono quelle in cui la psicopatologia è causa di alterazioni internistiche
tali da mettere a rischio la vita del paziente: pensiamo ad un’anoressia nervosa in scompenso
(amenorrea, bradicardia, BMI estremamente basso)

- Infine, abbiamo i casi dove la psicopatologia non è particolarmente grave, ma il paziente


dev’essere sottoposto a procedure mediche o interventi chirurgici e non è possibile lasciarli in un
qualsiasi altro reparto;

Di fronte a un’urgenza, dobbiamo quindi farci delle domande seguendo, ad esempio, la regola delle 4 P:

- Fattori PREDISPONENTI

- Fattori PRECIPITANTI

- Fattori PROTETTIVI
- Fattori PROVOCANTI

Questo piccolo schema (o suoi analoghi) serve per far acquisire al medico degli automatismi che
permettano di prendere delle decisioni rapide ed adeguate.

La situazione va analizzata rapidamente, non solo dal punto di vista psichiatrico, ma più in generale medico:
non dimentichiamo i segni vitali, lo stato di idratazione e le funzioni primarie dell’organismo che vanno
comunque incluse nel quadro generale.

SUICIDIO
Se parliamo della suicidalità bisogna tenere presente che, secondo statistiche americane, il suicidio è la
seconda causa di morte nella fascia di età compresa fra 15 e 34 anni, appena dopo i traumi (incidenti
stradali principalmente). È invece al terzo posto nella fascia di età compresa tra i 10 e i 14 anni, dopo i
tumori.

Di fronte a qualsiasi comportamento o pensiero volto a togliersi la vita, fino a che non abbiamo
determinate informazioni, ci dobbiamo comportare considerando come potenzialmente letale, nonostante
nella maggior parte dei casi non lo sia. Il 15% dei ragazzini ha ideazioni suicidarie, e chiaramente noi non
possiamo certo ricoverare il 15% di tutti i ragazzini; i punti chiave/fattori che ci permettono di discriminare
le vere intenzioni suicidarie (e quindi le vere urgenze), e di scegliere chi ricoverare sono:

1) Severità - Informarsi bene su questo ci fa capire se ci troviamo di fronte a una semplice idea di
morte (il paziente pensa che sarebbe meglio essere morti) oppure a un più complesso piano per
portare a termine il suicidio (i piani possono poi essere fatti apposta per essere scoperti, oppure
no).

2) Frequenza - il fatto di pensarci o tentarci spesso è un fattore di rischio;

3) Progetto - ci sono i suicidi totalmente impulsivi, e quelli ben pianificati e/o su cui il paziente ci ha
rimuginato più volte.

4) Metodo - esistono metodi letali e metodi non letali (prendere una dose importante di
benzodiazepine non ha la stessa letalità che ingerire una bottiglia di candeggina!)

L’importanza del conoscere i fattori di rischio serve per sapere cosa fare nella pratica clinica e chi scegliere
fra due casi a parità di gravità (ovviamente quello con rischio più alto). Facciamo due esempi in proposito.
Se ho due ragazzini con ideazione suicidaria, di cui: uno abita da solo con la nonna al 12° piano; l’altro abita
con fratelli padre e nonna al piano terra; senza ombra di dubbio, dovendo scegliere, ricovererò il primo,
perché il rischio è estremamente più alto. Oppure: se so che il padre del ragazzino fa il poliziotto, è bene
avvisarlo di non portarsi assolutamente l’arma a casa, altrimenti il rischio diventa elevatissimo.

Le idee di morte possono essere suddivise in PASSIVE e ATTIVE: nelle prime posso anche pensare alla morte
come una liberazione, ma non organizzo nulla in proposito, non faccio piani. In quelle attive posso avere
delle ideazioni preparatorie ad esempio iniziando a mettere da parte i farmaci, la corda, o l’arma con cui
intendo fare il gesto. Nella catena che porta al compimento del piano, possono esserci diversi momenti in
cui si può fermare (autonomamente o per intervento esterno): quando predispone i mezzi, quando sta
andando a fare il tentativo, quando sta già tentando.

Fattori ambientali e personali predisponenti:


- Suicidio di un conoscente o familiare

- Violenza domestica

- Abuso fisico
- Trascuratezza

- Bullismo e Cyberbullismo

- Isolamento sociale

- Isolamento familiare

- Disponibilità dei mezzi

- Sesso maschile

- L’essere impulsivi piuttosto che riflessivi

- Uso di sostanze stupefacenti

- Difficoltà di comunicazione e problem solving

- Omosessualità e transessualità (per bullismo, traumi, derisione)

- Malattie psichiatriche

Il disturbo bipolare è il disturbo psichiatrico a cui si associa il maggior rischio, anche più della
depressone. Anche il disturbo post traumatico da stress è una condizione predisponente; psicosi;
ADHD (componente di impulsività).

- Inatteso insuccesso scolastico

- Perdita di una persona cara

- Lasciarsi col partner

- Media (che possono favorire le “epidemie” di suicidi)

Fattori ambientali e personali protettivi:


- Appartenenza ad un solido gruppo di amici

- Famiglia unita che fornisce supporto e affetto

- Partecipazione a sport di squadra

- Appartenenza a una comunità religiosa

- Fare il boyscout

- Essere impegnati in una relazione amorosa stabile e soddisfacente

- Avere una fede religiosa

GESTIONE DEL PAZIENTE

In quanto medici bisogna essere capaci di fornire supporto a chi ha un’ideazione suicidaria; bisogna
innanzitutto liberarsi dal pregiudizio che il fatto stesso di chiedere aumenti il rischio: non è vero, anche
perché la richiesta del perché la persona voglia fare quel gesto dimostra volontà di capirla; e se il ragazzino
inizia a raccontare e gli si fornisce supporto, gli si sta salvando con molte più probabilità la vita rispetto allo
stare zitti per paura di chiedere.

Però, dato che ben il 15% dei ragazzini fa pensieri legati al suicidio, come si può discriminare che cosa deve
mettere in allarme?
o Cambi improvvisi di personalità

o cambiamenti improvvisi del pattern alimentare

o calo del rendimento scolastico

o mancanza di energie

o disturbi del sonno

o uso di droghe o alcool

o bassa autostima

o senso di sfiducia nel futuro

o disinteresse nei confronti di attività di gruppo

L’intervento dev’essere attuato molto rapidamente, spiegando bene al ragazzino perché lo stiamo
ricoverando e, attraverso il suo racconto, mettendo per iscritto che cosa è successo e cosa lo ha portato a
tal punto. È bene non dare farmaci sin dall’inizio: i primi giorni servono per fare una diagnosi psichiatrica
approfondita, poi si potrà iniziare la terapia.

Altro punto da ricordare è che dobbiamo occuparci anche della famiglia: nella maggior parte dei casi,
l’ambiente familiare predispone allo sviluppo di determinati disturbi, ed è dovere del medico indagare se è
questo il caso; i genitori vanno informati sulla patologia da cui è affetto il ragazzino, e devono ricevere
anch’essi il giusto supporto; il medico ed i genitori devono attivare i servizi sanitari inerenti il trattamento
del piccolo paziente.

EPIDEMIOLOGIA:

Abbiamo detto che il 15% dei ragazzini ha ideazioni suicidarie, tuttavia è una percentuale decisamente
inferiore a fare vere e proprie pianificazioni: solo un terzo arriva a pianificare, e solo il 20-30% ci prova
effettivamente. Però solo il 50% di quelli che pianificano poi ci provano. Tra quelli che ci provano, anche se
distinguiamo chi lo vuole fare davvero da chi sta chiedendo aiuto, non dimentichiamoci che anche chi lo fa
come richiesta d’aiuto potrebbe fare qualche errore e arrivare lo stesso alla morte (dose letale del veleno
prescelto, ad esempio).

L’ideazione tende a cominciare a 10-11 anni (1%), per poi aumentare fino ai 15-16 anni (15%).

STRATEGIE DI PREVENZIONE

Alcune strategie riguardano la salute pubblica, altre sono prettamente di ambito sanitario, e sono:

- restrizione nell’utilizzo delle armi

- identificazione di ragazzi problematici a livello scolastico, per stimolare la richiesta di aiuto

- corsi di psicopatologia per insegnanti

- formazione adeguata dei medici di famiglia

- presenza di una “catena di cura” nel territorio una volta usciti dalla situazione di urgenza (che
chiaramente si gestisce in ospedale)

- creazione di strutture (reti/muri/grate) di sicurezza presso ponti, torri, ed altri posti sopraelevati,
per impedire che le persone possano sceglierli come luogo di suicidio (è stato fatto così presso il
Golden Gate ed alcune scogliere in Irlanda)
- disponibilità di adeguate farmacoterapie (antidepressivi, antipsicotici)

- disponibilità di adeguate psicoterapie (per la gestione degli eventi stressanti, per la lotta
all’alcolismo, per interrompere quella catena di pensieri che porta a sentirsi abbandonati e privi di
scopo)

- limitare le storie di suicidi riportate dai media

DEPRESSIONE
È importante ricordare che nel depresso c’è la cosiddetta anedonìa, per cui va distinta dalla semplice ( e
fisiologica) tristezza. Il paziente è irritabile, disforico e con un basso tono dell’umore per la maggior parte
del giorno. Raramente nei ragazzini osserviamo aspetti melanconici o atipici, e fino ai 15-16 anni non c’è
una così marcata differenza tra maschi e femmine.

Nei ragazzini è molto più comune un esordio con depressione nel disturbo bipolare di tipo I; inoltre, il 30%
degli episodi depressivi in età evolutiva sono correlati al disturbo bipolare.

C’è una tendenza all’aumento di peso, ricorrenti idee di morte, insonnia o ipersonnìa, agitazione, senso di
noia e svogliatezza, bassa autostima. Un segno particolare a cui dobbiamo far caso è un’improvvisa
tendenza a dar via oggetti a cui teneva molto ma che ora, a causa dell’anedonìa, non rivestono più alcuna
importanza.

GESTIONE DEL PAZIENTE

Per le forme lievi-moderate si tende a preferire la psicoterapia, piuttosto che l’immediato trattamento
farmacologico. In realtà si potrebbe anche adottare un atteggiamento di vigile attesa, sempre in casi lievi.
Le linee guida dicono che se dopo 2-3 mesi non ottengo risultati, posso utilizzare i farmaci.

Osservando i tassi di risposta, ciò che risulta evidente è che il placebo ha un’ottima risposta (40% dei
ragazzini). L’unico antidepressivo prescrivibile e rimborsabile in età evolutiva è la Fluoxetina, perché ha
dimostrato grande efficacia in diversi studi.

Un recente studio è stato portato avanti mettendo a confronto il placebo, la Fluoxetina e la Duloxetina, e
l’efficacia sembra essere paragonabile: questo ha sollevato molte discussioni nella comunità scientifica.

Scoperta che ha fatto crollare le prescrizioni di antidepressivi, è stato il fatto che sembrerebbero
aumentare il rischio di ideazione suicidaria, in particolare Sertralina, Paroxetina e Venlafaxina. Il fatto è che
un conto è l’ideazione suicidaria, e un conto è il suicidio vero e proprio. Perché volendo essere davvero
precisi, in età evolutiva qualunque farmaco che passa la barriera ematoencefalica (anche gli antibiotici o gli
antiepilettici!) aumenta il rischio di ideazione suicidaria fintanto che si trova in circolo. Ciò non deve portare
a non prescrivere in assoluto questi farmaci, ma semplicemente a tenere sott’occhio il paziente.
[USO DI SOSTANZE E MALATTIE PSICHIATRICHE

C’è una stretta relazione fra malattie psichiatriche e uso di sostanze.

Sia nel per la sintomatologia indotta direttamente dalla sostanza, sia perché alcune sostanze possono rendere
manifesta una psicopatologia prima latente, e sia perché un ragazzo profondamente insoddisfatto della propria vita,
può cercare un’immediata gratificazione nell’uso di droghe.]
AGGRESSIVITÀ
Chiunque si può agitare e diventare aggressivo per un qualche motivo: se però questa è una situazione
cronica, se si è sempre aggressivi, allora è un problema. Quali sono i fattori predisponenti che in questi casi
dobbiamo tenere in considerazione?

- Quoziente Intellettivo, che è indice della capacità di gestire gli stimoli, vivere nel mondo,
comunicare. Un QI basso è frustrante, perché i risultati a scuola non sono buoni, si tende a fare
sempre la figura dello “scemo del villaggio”, non si è pronti a capire battute e ragionamenti… tutte
situazioni che alla lunga possono stimolare reazioni anche violente

- Patologie internistiche sottostanti (encefalopatia epatica ad esempio)

- Patologia psichiatriche (psicosi; episodi maniacali; Disturbo di condotta, entità introdotta dal DSM V
che consiste nel violare, in maniera ripetitiva e persistente, le regole imposte dalla società e i diritti
degli altri.)

- Uso di sostanze

Fattori scatenanti sono invece:

- Dolore fisico

- Ansia

- Depressione

- Stanchezza e affaticamento

GESTIONE DEL PAZIENTE

Come ci si comporta di fronte al caso di un ragazzo agitato, aggressivo e che vorrebbe “spaccare tutto”?
Dobbiamo innanzitutto essere calmi e tranquilli, ponendoci in un luogo possibilmente privo di oggetti
pericolosi, magari con cibi e bevande da offrire (per ridurre la tensione) e, per prudenza, con una via di
fuga facilmente raggiungibile (non è detto che si riesca a calmarlo, e a quel punto bisogna salvaguardare la
propria incolumità).

È molto importante l’anamnesi, da fare possibilmente in 2: una persona si occupa di farla col ragazzino,
l’altra con l’accompagnatore. Va valutato lo stato mentale: orientamento nello spazio e nel tempo,
presenza di confusione… . È importante gestire anche l’accompagnatore, che sarà preoccupato, arrabbiato,
e ansioso.

ESCALATION e DE-ESCALATION - L’escalation è quel qualcosa per cui uno stimolo fa da TRIGGER per la
persona, la quale comincia ad agitarsi e ha una fase di ACCELERAZIONE in cui diventa sempre più aggressiva
fino a raggiungere un picco. Segue la DE-ESCALATION, in cui l’aggressività scema e si torna al livello basale.
Il nostro obiettivo è indurre la DE-ESCALATION il più precocemente possibile, diminuendo la tensione. Si fa
perché non è notoriamente possibile ragionare con una persona arrabbiata.

Una cosa che non dobbiamo assolutamente fare, anche se il paziente ci dice parolacce e ci urla contro, è
rispondere a tono, perché non si ottiene nulla. Può essere difficile, perché quel tipo di risposta difensiva è la
più spontanea, mentre le tecniche per la diminuzione della tensione non sono affatto spontanee.
Non ci si può far prendere dalla paura fuggendo o bloccandosi, occorre apparire calmi anche se si ha paura.

Punti fondamentali delle tecniche:

1) Garantire il giusto spazio fisico (4-5 volte lo spazio normale, per non invadere il suo campo)
2) Rimuovere collane, altri gioielli e simboli religiosi (prima dell’arrivo del ragazzino);

3) Tutto lo staff deve collaborare;

4) Essere premurosi, curiosi ed empatici. Quindi anche se dovessimo dare delle indicazioni sul
comportamento, è importante la modalità con cui le forniamo: il ragazzino deve sentirsi sicuro e
compreso perché nel momento in cui è arrabbiato non capisce più nulla, infatti dopo l’episodio nel
90% delle volte si scusa dicendo che era fuori di sé. Dunque:

a. Esplorare le sensazioni del ragazzo, domandando cosa non va;

b. Riconoscere i suoi bisogni, domandando di che cosa ha bisogno;

c. Ripetere a voce alta quello che ci dice, per dargli conferma del fatto che con noi si può
sentire ascoltato;

5) Nel momento in cui si calma, bisogna riconoscerglielo come un merito, anche se ha fatto dei danni;

6) Poi va rassicurato sul fatto che le sue richieste di aiuto verranno gestite, senza dire bugie (ad
esempio, promettendogli una rapida dimissione quando invece non sappiamo effettivamente se
sarà possibile);

7) Gestire con l’aiuto dei farmaci l’ansia e la salienza (cioè l’importanza che lui attribuisce a
determinate cose, che sarà ovviamente sproporzionata nel momento in cui è arrabbiato) con gli
antipsicotici;

8) Usare poche parole, senza urlare;

9) Mantenersi sempre rispettosi e distaccati;

10) Definire i limiti in maniera non minacciosa e non sfidante (spiegare cosa possiamo fare, cosa non
siamo autorizzati a fare, che bisogna trovare una soluzione che vada bene a tutti e due, le
conseguenze delle sue azioni…);

11) Essere pronti a fare delle concessioni durante la trattativa;

12) Dare, nell’ambito delle regole, delle possibilità di scelta (stare in piedi o seduto; volere o meno
dell’acqua…);

13) Non dare le spalle al paziente per nessun motivo;

14) Mantenere gli occhi allo stesso livello, invitandolo a sedersi o alzandoci in piedi, senza però fissarlo
continuamente per non invadere il suo campo;

15) Mostrarsi sereni senza però sorridere/ridere, in quanto viene interpretata come una derisione;

16) Non toccare il ragazzino, contando come unica eccezione la necessità di immobilizzarlo per sedarlo
(anche se si spera di non dover ricorrere alla sedazione);

17) Non tenere le mani in tasca, perché:

a. Il ragazzino non sa cosa potremmo avere in tasca, e si potrebbe insospettire

b. non è la posizione ideale per iniziare la fuga

18) Non mostrarsi difensivi o giudicanti;

19) Non cercare di fare il genitore, ma cercare l’alleanza;


20) Rispondere selettivamente alle domande, ignorando eventuali insulti e rispondendo unicamente
alla richiesta;

Quando la situazione si è risolta dobbiamo informarci sul suo livello di sviluppo, chiedendo a che età ha
detto le prime parole/ha iniziato a parlare, come sono andate le scuole elementari/medie, se ha amici, se fa
sport. Dobbiamo inoltre fare l’anamnesi familiare, farmacologica e patologica remota.

NEUROLOGIA INFANTILE
Come concetto di ripasso, ricordiamo che una mini-colonna è il nucleo fondamentale della corteccia, con i
neuroni piramidali e tutti gli interneuroni modulatori intercalati. Ricordiamo inoltre che esistono particolari
varianti dell’esame neurologico per le varie età evolutive, che valutano la locomozione, il tono muscolare,
etc... .

Un neonato completamente atonico (floppy baby), che ha avuto un’estesa lesione corticale, col tempo
mostrerà una paralisi spastica. Questo aumento progressivo del tono si verifica per la mancanza di
meccanismi inibitori centrali. I bambini che vanno incontro ad un parziale recupero diventano invece
distonici.

Un neonato fa in maniera automatica l’azione di prensione sia con la mano che con il piede, se noi
avviciniamo un dito. Ancora, ponendo il neonato supino e provando a flettere ed estendere il suo capo
abbiamo il riflesso tonico simmetrico del collo per cui: Con la flessione del collo gli arti superiori si flettono
e gli arti inferiori si estendono; con l’estensione del collo gli arti superiori si estendono e gli arti inferiori si
flettono. Questo riflesso dovrebbe passare col tempo, perché la sua persistenza ostacola l’assunzione
dell’andatura quadrupede e, poi, bipede.
Altro riflesso neonatale è il riflesso di Moro, che si manifesta con una improvvisa apertura delle braccia al
verificarsi di stimoli come un rumore improvviso o quando si appoggia il neonato supino in modo un po'
brusco o rapido.
Infine il riflesso del paracadute: le estremità inferiori vengono estese ed abdotte quando il bambino è
abbassato rapidamente al suolo. Se invece è spinto verso l’avanti gli arti superiori e le dita vengono abdotti
ed estesi.

DISTURBI DEL MOVIMENTO


[salta completamente la parte su epilessia, còree e distonie]

PARALISI CEREBRALI INFANTILI

Encefalopatie persistenti non progressive, con manifestazioni cliniche che cambiano nel tempo. In realtà
non è coinvolto solo il movimento, in quanto: tanto più ampia è la lesione, tanto più esteso sarà il
coinvolgimento delle funzioni cognitive, mnesiche, percettive.

La prevalenza della patologia è, nel mondo occidentale dove il sistema sanitario è più efficiente, del 2 per
1000.

Le lesioni possono essere classificate in:

- Spastiche (aumento del tono muscolare), dove distinguiamo la diplegia, l’emiplegia, la tetraplegia,
e la doppia diplegia spastica (in cui i livelli di lesione sono diversi tra arti superiori e inferiori*)

- Discinetico-distoniche (alterazione del tono e della regolazione del movimento), le più rare,
caratterizzate da movimenti parassiti;
- Atassiche (lesioni cerebellari)

- Miste.

Abbiamo anche degli associati deficit sensitivo-sensoriali, della percezione e della coordinazione; disturbi
gnosici e relazionali; ritardo nell’apprendimento;

La prognosi sarà diversa a seconda della gravità della lesione. Considerando ad esempio il coinvolgimento
degli arti inferiori nelle lesioni spastiche, abbiamo che: Se la lesione è severa il paziente non camminerà
mai; se è moderata potrà, con l’aiuto di supporti, strisciare gli arti sul terreno; se è lieve, la deambulazione
potrà essere alterata (falciante), ma quantomeno autonoma.

Fattori predisponenti sono la prematurità, il basso peso alla nascita, traumi cerebrali, infezioni fetali, parto
podalico.

Condizioni che possono imitare queste paralisi sono:

 sindrome di Lesch-Nyhan, malattia ereditaria X-linked recessiva causata da un


difetto dell'enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HGPRT);

 fenilchetonuria, che non causa solo iperfenilalaninemia, ma anche un'anomalia


nella neurotrasmissione delle monoamine;

L’intervento, che non mira necessariamente alla cura, ma sicuramente al fornire la maggior autonomia e
qualità di vita possibile, si basa su tre aspetti:

1) Rieducazione, cioè riabilitazione motoria

2) Educazione, non solo del disabile (alla socialità, alla vita di relazione), ma anche dei genitori, degli
insegnanti, etc.

3) Assistenza, che mira al benessere del bambino, in forma di: carrozzine, supporti economici alla
famiglia, etc.

*A livello della corteccia, della via piramidale prima della decussazione, della via piramidale dopo la
decussazione.
Esame Neuropsichiatria Infantile
Docente Alessandro Zuddas
Lezione 4
Sbobinatore Alberto Soro
EPILESSIE

Alla base si hanno:

IPERCCITABILITA’: tendenza di un neurone a generare scariche ripetute in risposta a una


stimolazione che, in condizioni normali, dovrebbe indurre un solo potenziale d’azione.

IPERSINCRONIA: capacità di un gruppo di neuroni a generare in maniera sincrona una


serie di potenziali d’azione.

I neuroni scaricano troppo o perché sono ipereccitati o perché i neuroni inibitori non sono
abbastanza efficaci a farli spegnere.
Tutto questo può essere dovuto da alterazione:
- dei canali ionici voltaggio dipendenti di Na, K, Ca;
- del meccanismo energetico per far si che il canale funzioni nella maniera corretta
(ATPasi di membrana responsabili del trasporto ionico);
- della neurotrasmissione inibitoria GABAergica;
- della neurotrasmissione eccitatori asportato o glutammato mediata.

Come si studia?
Andiamo ad utilizzare l’EEG e gli elementi fondamentali sono:

- La punta : corrisponde alla somma di depolarizzazioni parossistiche neuronali che


generano potenziali d’azione (bursts), ovvero corrisponde ad un gruppo di neuroni che
stanno scaricando insieme;

- L’onda lenta: corrisponde ad un fenomeno di protezione, in genere di natura talamica,


per limitare la diffusione delle scariche eccitatorie (somma di depolarizzazioni da uscita
di K e di entrata di Cl, legati all’attivazione dei recettori GABA).

Nelle assenze, per esempio, vedremo punte ed onde che si manifestano una dopo l’altra.

All’EEG possiamo riconoscere vari tipi di ritmi, ovvero quante oscillazioni al minuto ci
sono.
I ritmi classici sono l’alfa e il beta, dove l’alfa è abbastanza lento (8-13 Hz, quindi 8-13
variazioni di potenziale misurato) ed è quello che si ha quando siamo a riposo, mentre
quando vengono svolte delle attività abbiamo il ritmo beta (16-18 Hz) e sono due ritmi
fisiologici.
Man mano che il ritmo rallenta, andiamo verso i theta o addirittura i delta, vuol dire che c’è
un fenomeno di sofferenza centrale e quindi il neurone non riesce a scaricare
normalmente e per questo motivo abbiamo dei ritmi patologici.
Durante il sonno la parte inibitoria è meno efficace e quindi è possibile vedere dei
fenomeni che durante la veglia non si notano, come per esempio crisi durante il sonno o
attività elettriche suggestive di sofferenza encefalica.
In questa immagine possiamo notare che alla
scarica generalizzata ravvicinata
corrispondono le crisi toniche, dopodiché
inizia un meccanismo inibitorio dell’eccitabilità
a cui corrisponde la fase clonica a cui segue
la fase di recupero.

Se noi facciamo l’EEG mentre il bambino ha


la crisi epilettica, possiamo farci un’idea del
disturbo sottostante, ma solitamente il
soggetto arriva alla nostra osservazione
quando non ha la crisi e quindi nel tracciato
EEG inter-ictale potremmo non trovare niente. Nel caso delle assenze, per esempio, dove
di base non troviamo niente, potremmo trovare delle alterazioni EEG quando il soggetto si
sta addomentando, quando iperventila ( a causa del cambiamento del pH nel sistema
nervoso centrale ) o è esposto a stimolazione luminosa.
Un altro esempio è quello del tracciato EEG inter-ictale delle crisi parziali, che in quelle
semplici o in quelle complesse, può essere assolutamente normale.

In genere un epilettologo esperto grazie a come viene descritta la crisi, intuisce se si tratta
di una crisi vera o no, ma comunque può anche utilizzare, per arrivare alla diagnosi, un
holter EEG, oppure dovrà approfondire in altra maniera.

POSSIBILI CAUSE:

• Alterazioni tissutali (traumi, attività elettrica prolungata, supersensibilità da


denervazione). Nel trauma per esempio si avrà un danno delle fibre inibitorie;

• Cromosomopatie;
• Effetti degenerativi del kindling (perdita di funzione neuronale, sprouting assonale). A
seguito di crisi ripetute il sistema si setta e diventa molto più sensibile, questo
meccanismo, chiamato di kindling, Consiste nell’applicazione quotidiana di stimolazioni
elettriche ripetute di debole intensità nelle aree limbiche del cervello (ippocampo,
amigdala) tali da causare una convulsione. Il kindling viene utilizzato come modello
sperimentale per lo studio dei farmaci, infatti tutti i farmaci o la maggior parte sono stati
studiati su modelli di crisi per cui sono farmaci che bloccano la crisi, ma adesso si sta
cercando di creare un farmaco che prevenga la crisi.

• Sono state considerate anche delle alterazioni di geni dei canali del K, Na, Cl ecc. Si è
notato che esiste il pleiotropismo, quindi ci può essere lo stesso tipo di crisi dovuta a
diverse alterazioni geniche, e la stessa alterazione genica può dare diversi tipi di crisi.
Questo potrà essere utile probabilmente in futuro, perché sulla base dell’assetto genico
potremo scegliere quale sarà il farmaco migliore da utilizzare per trattare un determinato
paziente. Altre volte le mutazioni possono interessare non i canali, ma i recettori oppure
anche il DNA mitocondriale (deputato a regolare i livelli di energia del neurone).

Circa il 40% delle epilessie farmacoresistenti dell’infanzia siano dovute a malformazioni


corticali, alcune delle quali sono operalbili, altre no. Un esempio sono le malformazioni
date alterazioni della reelina, che è una proteina che da il segnale per la formazione degli
strati della corteccia.
Classificazione ILAE (2001)

Questa è la nuova classificazione, che è divisa in cinque parti, o assi, organizzata in modo
da facilitare l’approccio medico logico alla formulazione delle procedure diagnostiche e
delle strategie terapeutiche per ogni singolo paziente, cioè io cerco di definire delle
sindromi cliniche, e in base alla sindrome clinica utilizzo una determinata strategia
terapeutica.
(Questa nuova classificazione però non ha portato grandi vantaggi dal punto di vista
clinico per cui è ancora molto utilizzata la vecchia classificazione).

• ASSE 1: si parte dal definire ogni aspetto di una convulsione (ricordiamo che una
convulsione non corrisponde necessariamente ad una crisi epilettica);

• ASSE 2 : si ha l’elenco del tipo di crisi epilettiche;

• ASSE 3 : si ha l’elenco delle sindromi epilettiche, cioè come queste diverse crisi tendono
ad aggregarsi;

• ASSE 4 : abbiamo la classificazione delle malattie frequentemente associate a crisi


epilettiche o a sindromi epilettiche;

• ASSE 5 : abbiamo i danni causati dalla condizione epilettica dove utilizziamo il WHO
ICIDH che è un sistema di codifica della disabilità.

Classificazione internazionale delle crisi epilettiche (1981)

Definiva le crisi in tre tipi :

• Crisi generalizzate;
• Crisi parziali;
• Crisi non classificate.

Le crisi generalizzate vengono suddivise in :

- Assenze (tipiche o atipiche, la differenza si nota sia nella clinica che all’EEG);
- Crisi miocloniche;
- Crisi toniche;
- Crisi tonico-cloniche;
- Crisi atoniche.

Per quel che riguarda le assenze, queste sono delle crisi di breve durata la cui
manifestazione principale è l’alterazione della coscienza (attenuazione - sospensione), ma
possiamo avere anche altri segni neurologici minimi come delle componenti atoniche,
degli automatismi, delle componenti toniche ecc.

Le crisi parziali (focali) vengono suddivise in:

• Semplici:
- con segni motori;
- con segni somato-sensistivi;
- con segni vegetativi;
- con segni psichici.

• Complesse (si ha un interessamento delle aree limbiche del lobo temporale), possono
dare per esempio delle allucinazioni uditive, olfattive (sentire odore di bruciato per
qualche minuto);

• Secondariamente generalizzate (molte delle crisi analizzate partono come parziali).

Classificazione delle EPILESSIE e delle SINDROMI EPILETTICHE (1999):

1. Epilessie e sindromi parziali (suddivise in idiopatiche, sintomatiche e criptogenetiche);


2. Epilessie e sindromi generalizzate (suddivise in idiopatiche, sintomatiche e
criptogenetiche);
3. Epilessie e sindromi non definite;
4. Sindromi speciali.

Il termine criptogenetico veniva utilizzato per


quelle situazioni in cui si era sicuri della
presenza di un’alterazione ma non si era in
grado di vederla, ma con le tecniche attuali
(EEG, analisi genetiche ecc.) solitamente si
arriva ad almeno una delle cause.

Tra le sindromi criptogenetiche abbiamo:

- Sindrome di West:

Inizia nei primi mesi di vita (4-7 mesi), colpisce


1/5000 nati ed è caratterizzata da un tracciato
EEG totalmente disorganizzato (ipsaritmia), e a livello clinico si hanno degli spasmi in
flessione, ritardo neuropsicomotorio (disturbo pervasivo dello sviluppo).
La terapia si basa sull’utilizzo di ACTH o cortisonici.

- Sindrome di Lennox-Gastaut:

Spesso è l’evoluzione della sindrome di West, rappresenta circa il 10% delle epilessie nei
bambini, insorge tra i 2 e gli 8 anni di età.
A livello clinico possiamo avere assenze, crisi toniche e atoniche, crisi miocloniche, crisi
tonico-cloniche generalizzate, ritardo mentale, disturbo della personalità ecc.

Sindromi idiopatiche più frequenti in età evolutiva :

• Epilessia benigna a parossismi rolandici :

è una forma che inizia intorno ai 5-6 anni e scompare intorno ai 12-13 anni, rappresenta
l’11-25% delle epilessie in età scolare. In genere c’è una familiarità.
La frequenza delle crisi è molto variabile può essere di 3 volte al giorno o una ogni tre
mesi, ovviamente la gestione terapeutica è diversa, per quest’ultima non utilizziamo la
terapia, perché essendo benigna si risolverà, mentre quella che si manifesta 3 volte al
giorno la trattiamo per migliorare la qualità di vita del soggetto.
Si manifesta con crisi parziali oro-brachio-facciali e abbiamo una normalità neuropsichica.
In genere, risponde benissimo all’acido valproico.

• “Piccolo male” assenza :

Si manifesta tra i 4 e i 10 anni e rappresenta il 10% di tutte le forme di epilessia.

A livello clinico si hanno:

- assenze brevi (<10 sec.);


- compromissione della coscienza;
- non abbiamo aura;
- inizia e finisce in maniera netta;
- si ha normalità neuropsichica.

A livello terapeutico possiamo utilizzare l’acido valproico però, nelle assenze la gran parte
dei farmaci non funziona. Si può usare come alternativa l’etosuccimide.

• Epilessia parziale completa:

E’ dovuta ad alterazioni delle parti più mediali del lobo temporale, presenta crisi più lunghe
(>1 min.), in genere precedute da un aura, quindi il soggetto si accorge che sta per
giungere una crisi. A livello clinico possiamo avere:
- automatismi;
- sintomi affettivi e/o psichici;
- sintomi somatosensoriali;
- compromissione postcritica;
- lesioni strutturali del SNC ecc.

Meccanismi d’azione dei farmaci antiepilettici:


Il meccanismo più classico è comune a carbamazepina, fenitoina, lamotrigina e in parte al
valproato.
I canali sono costituiti da 5 subunità che formano un canale. I canali del sodio, presentano
un prolungamento di una subunità che ha la funzione di tappo, e tutta l’attività è regolata
da come questo tappo si sposta e fa entrare il sodio.

Il primo farmaco studiato è il fenobarbital ( barbiturico ) che agisce ai livelli dei canali del
Na, regolati dal GABA, e una volta che si lega al canale, lo apre e lo mantiene aperto, “
capite bene che è come prendere a martellate un recettore”.
Il passo successivo furono le benzodiazepine che si legano allo stesso canale ma in un
altro sito e non lo tengono aperto ma ne modulano la frequenza, cioè lo fanno aprire più
frequentemente. Le benzodiazepine hanno varie azioni, sedativa, ansiolotica,
miorilassante e un azione antiepilettica. L’inghippo è che siccome la proteina del canale,
non è eterna ma dura circa 15 giorni e ciò
significa che quando cambia la proteina, avrà
una diversa sensibilità per la benzodiazepina,
dunque, se la utilizziamo in maniera cronica
dopo qualche mese avremo tolleranza.

Fenitoina e carbamazepina invece si legano e


inibiscono il canale solo quando c’è il tappo,
cioè, quando sta funzionando tanto si legano e
agiscono. Se il canale è silente non trovano
posto per legarsi e quindi non agiscono.
Hanno attività su quei neuroni che funzionano
molto.
(La carbamazepina è un induttore enzimatico,
quindi se noi lo diamo insieme ad un altro
farmaco bisogna fare attenzione alle dosi di
quest’ultimo, poiché la carbamazepina fa si che l’eliminazione sia più rapida).

DISTURBI DEL MOVIMENTO:

Se dobbiamo fare un movimento, attiviamo la


corteccia premotoria, che ha lo schema e il
neurone piramidale manda l’impulso al
secondo motoneurone e, per fare questo, c’è
bisogno delle informazioni che dalla periferia
tornano all’encefalo, in particolare al talamo,
che è il filtro che decide quanti segnali devono
passare. Noi rispondiamo agli stimoli che
arrivano al talamo, vengono integrati e inviati
alla corteccia. Visto che le informazioni sono
tante, serve qualcosa che ne regoli il flusso in
modo che gli impulsi inviati dal talamo alla
corteccia non siano né troppi né troppo
pochi.Normalmente il tono dal talamo alla
corteccia viene regolato da un input inibitorio
che proviene dal pallido interno e dalla nera reticolata che sono GABAergici inibitori, utili,
per far si che non ci siano movimenti involontari.
Quando devo fare un movimento, insieme alla via piramidale, si attiva una via parallela
che va a stimolare lo striato (caudato e putamen) che è formato da neuroni di medie
dimensioni spinosi (medium spiny neuron), gabaergici, che rappresentano l’unica uscita
dallo striato, che vanno ad inibire il pallido interno e in parte la nera reticolata, quindi se
questi ultimi vengono inibiti, essi, non inibiranno più il talamo e l’informazione raggiungerà
la corteccia.
Abbiamo tutta una serie di sistemi di controllo come il nucleo subtalamico, in cui vi sono
dei neuroni glutammatergici che in condizioni normali attivano i neuroni inibitori del talamo
(sostanza nera e pallido interno).
Se io quindi avessi una lesione al nucleo subtalamico la sostanza nera e pallido interno
non sarebbero attivati, quindi non potrebbero inibire il talamo, dunque arriverebbero più
informazioni alla corteccia e come effetto clinico avrò l’emiballismo (movimento ampio,
come se stessi scagliando una pietra).
Questo sistema non controlla solo la
componente motoria, ma anche la componente
cognitiva ed affettiva.
Lo striato è composto da due compartimenti
distinti, denominati matrice e striosomi. Questi
compartimenti hanno caratteristiche istologiche
diverse e possiedono recettori differenti. La
matrice (striato dorsale), si occupa dei circuiti
motori, mentre gli striosomi (striato ventrale) si
occupano dei circuiti limbici.

Il compartimento degli striosomi riceve
afferenze principalmente dall’ippocampo (anche
se non direttamente), dal cingolato anteriore
che è la parte che ci fa fare le scelte, dalla
corteccia orbito frontale (premi e punizioni,
regolata dal nucleo accumbens) e dall’amigdala
(percezione dei sentimenti degli altri). Tutte le
aree della corteccia cerebrale inviano proiezioni eccitatorie glutammatergiche a specifiche
zone dello striato, dove abbiamo poi l’integrazione di queste informazioni. Lo striato riceve
anche segnali eccitatori dai nuclei intralaminari del talamo, proiezioni dopaminergiche dal
mesencefalo e serotoninergiche dai nuclei del rafe. La parte più caudale dei nuclei della
base controlla il movimento, la parte intermedia connessa con la corteccia premotoria
controlla gli schemi di movimento, ma anche la funzione cognitiva, ovvero la corteccia
dorso laterale. La parte più anteriore, rappresentata dal nucleo accumbens, controlla la
corteccia orbito frontale, ovvero la parte affettiva, cioè il movimento dipende anche per
esempio da quali stimoli abbiamo, se siamo tesi, se siamo contenti ecc.
SINDROME DI TOURETTE:

E’ un disturbo neuropsichiatrico dello sviluppo, quindi non è acquisito, si nasce con la


sindrome di Tourette. Si manifesta intorno ai 7 anni, è caratterizzato dalla presenza di
movimenti o vocalizzi brevi, strereotipati, ma non ritmici (tics) che possono essere
semplici, complessi e in genere iniziano prima i motori (7-8 anni) e successivamente quelli
vocali (9 anni).
Tra i tics motori possono avere smorfie, movimenti della spalla, del collo, degli arti,
grugnire, annusare (questi ultimi due da alcuni sono considerati tics vocali, perché
vengono emessi dei suoni).
La cosa particolare è che vi sono delle componenti sensitive premonitorie in una parte del
corpo o generalizzate, semplici (prurito, formicolio) o complesse quindi, il ragazzino si
accorge che sta per insorgere il tic e cerca di non farlo per esempio mordendosi le labbra.
Questo aiuta le strategie terapeutiche, si può infatti insegnare al ragazzino a prevenire il tic
facendo un altro movimento, più socialmente accettabile, oppure mettendo in atto una
serie di strategie cognitive che coprono il tic, ovviamente solitamente tutto ciò è combinato
alla terapia farmacologica.
Quindi è possibile un controllo, però l’aspetto importante è che solitamente dopo che il
soggetto esegue il tic sta meglio, quindi tende a rifarlo.
Per esempio un ragazzino che a scuola riesce controllarsi, quando arriva a casa, dove,
non ha nessuno motivo per controllarsi, partono i tics che ha trattenuto per tutto il giorno,
oppure i tics si manifesteranno solo quando è contento o solo quando è preoccupato,
perché la regolazione di quel sistema non dipende solo dalla matrice ma anche dallo
striosoma dello striato.
Oltre alla componente puramente verbale (grugnire ecc.) ci sono altri comportamenti come
dire delle frasi antipatiche agli altri.
Essenzialmente si ha un’alterazione morfologica dei nuclei della base, si può notare infatti
che normalmente si hanno una serie di neuroni GABAergici all’interno del caudato, la cui
gran parte sono nel pallido esterno e pochi nel pallido interno mentre nei Tourette si ha il
contrario. E’ un’alterazione che non è stabile, possiamo insegnare al ragazzino a
controllare il tic e questo corrisponde ad una variazione di volume dei nuclei della base,
c’è un rapporto fra volume dei nuclei della base e scomparsa dei tics, tanto più il volume
aumenta tanto più i tics scompaiono.

PARALISI CEREBRALI INFANTILI (PCI):

Encefalopatia fissa e persistente ma non immutabile (ciò significa che la lesione rimane
dov’é, ma la manifestazione clinica cambia col tempo) che determina paralisi della postura
e del movimento dovuta ad alterazioni della funzione cerebrale, per cause pre, peri, post
natali, nei primi tre anni di vita .

La paralisi determina una incapacità del sistema nervoso piuttosto che il deficit di uno o
più dei singoli apparati che lo compongono (encefalo, cervelletto, tronco, ecc.) questo
perché quando parliamo di cervello parliamo di circuiti, non di aree, e i circuiti tra loro si
influenzano.

Sono caratterizzate da:

- Aberrante controllo della postura o del movimento;


- Comparsa precoce;
- Secondarie a lesione, danno, disfunzione del SNC;
- Non è il risultato di una malattia cerebrale progressiva o degenerativa.

Epidemiologia:

Nei Paesi industrializzati, incluso il nostro, l’incidenza della PCI è da tempo attorno al
1/500 nati e nonostante i miglioramenti dell’assistenza alla gravidanza ed al parto, questo
valore non accenna a diminuire e risulta inversamente proporzionale alla diminuzione della
mortalità neonatale.

Classificazione:

1) SPASTICA:

Lesione essenzialmente a livello della corteccia motoria e di altre aree corticali, può
essere più o meno estesa, a andando a colpire non solo la corteccia ma anche le vie
piramidali.

Inizialmente avremo l’ipotonia, poi inizia a comprare l’ipertonia che si manifesta come:

- diplegia spastica : estremità distali più compromesse delle prossimali;


- emiplegia spastica : un lato del corpo compromesso con l’estremità prossimale più
compromessa della distale;
- quadriplegia spastica : tutte e 4 le estremità sono compromesse e le estremità distali
possono essere leggermente più compromesse delle prossimali;
- doppia emiplegia spastica : estremità prossimali più compromesse delle distali, ma tutte
e 4 le estremità sono anormali.

2) DISCINETICA:

- ipercinetica o coreoatetosica;
- distonica.

3) ATASSICA;

4) MISTA.

Nella gran parte dei casi, nella forma discinetica vengono colpiti solo i nuclei della base e
non la corteccia, quindi avremo solo alterazioni del movimento senza compromissione
cognitiva.
Spesso nelle altre si hanno dei sintomi non motori, di sensibilità, cognitivi, di
apprendimento ecc. perché va colpire non solo la corteccia motoria ma anche altre aree
della corteccia.

Nelle PCI, soprattutto nelle forme spastiche quindi, si hanno non solo dei fenomeni motori,
ma anche:

- deficit sensitivi e sensoriali;


- alterazioni della percezione;
- distorsioni della rappresentazione mentale;
- problemi prassici (il bambino potrebbe, per esempio, non essere in grado di deglutire,
quindi dobbiamo insegnargli a farlo) e gnosici;
- difficoltà di apprendimento e di acquisizione;
- disturbi cognitivi e relazionali.

L’alterato controllo motorio costituisce sempre una componente sempre presente, esplicita
ed indagabile fin da subito, ma può non rappresentare in molti casi l’elemento più
importante del problema.

La gravità si valuta in base ai criteri indicati


nella slide a lato.

La prognosi sarà diversa a seconda della


gravità della lesione. Considerando ad
esempio il coinvolgimento degli arti inferiori
nelle lesioni spastiche, abbiamo che:
- se la lesione è severa il paziente non
camminerà mai;
- se è moderata potrà, con l’aiuto di supporti,
strisciare gli arti sul terreno;
- se è lieve, la deambulazione potrà essere
alterata (falciante), ma quantomeno
autonoma.

I fattori predisponenti sono la prematurità, il basso peso alla nascita, traumi cerebrali,
infezioni fetali, parto podalico.

Condizioni che possono imitare queste paralisi sono: 

- sindrome di Lesch-Nyhan, malattia ereditaria X-linked recessiva causata da un difetto
dell'enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HGPRT); 

- fenilchetonuria, che non causa solo iperfenilalaninemia, ma anche un'anomalia nella
neurotrasmissione delle monoamine.

Trattamento:

Non mira necessariamente alla cura, ma sicuramente al fornire la maggior autonomia e


qualità di vita possibile, si basa su tre aspetti:

1) Rieducazione, cioè riabilitazione motoria

2) Educazione, non solo del disabile (alla socialità, alla vita di relazione), ma anche dei
genitori, degli insegnanti, etc.

3) Assistenza, che mira al benessere del bambino, in forma di: carrozzine, supporti
economici alla famiglia, etc. 


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