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ALESSANDRO PORTELLI

2 7 O T TO B R E 2 0 0 6

Il 2 novembre alle 16:00,


presso la Casa della Memoria e della Storia
via San Francesco di Sales 5 Roma

il Circolo culturale Gianni Bosio,


con la promozione dell'Assessorato alla Cultura del Comune di
L I N K E C O N TAT T I
Roma,
Chi è Alessandro Portelli
presenta il disco Una proposta di lavoro culturale
Scrivi ad Alessandro Portelli
"Le ceneri di Gramsci"
di Pier Paolo Pasolini
musica di Giovanna Marini DOWNLOAD

Esecuzione musicale del Coro Arcanto diretto da Giovanna Lezioni di storia: i giorni di Roma - 24
Giovannini marzo 1944: Le Fosse Ardeatine
Produzione di Angelica Festival di Bologna di Musica Lezioni di storia: Sulla scena di Roma:
Contemporanea Il bombardamento di San Lorenzo
Produzione esecutiva Valter Colle di Udine.

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spiritual che Bruce Springsteen canta nel suo ultimo Link a una pr esentazione del mio
disco, We Shall Overcome. The Seeger Sessions. libro su Bruce S...
Comincia così: “If I could, I surely would \ stand on the
rock where Moses stood”: se potessi, vorrei salire anch’io
ARCHIVIO
sulla roccia dove salì Mosè. E’ un riferimento alla storia
maggio 2006
dell’Esodo, tradizionale metafora di liberazione per gli
schiavi afroamericani e poi per il movimento dei diritti luglio 2006

civili che ritroviamo in tutto il repertorio dello spiritual e settembre 2006

del gospel (il ritornello dice, “Maria non piangere, ottobre 2006
l’esercito del Faraone è annegato, non piangere Maria”). novembre 2006
dicembre 2006
Andiamo avanti, alla terza strofa. “One of these gennaio 2007
nights about twelve o’clock \ this old world is gonna
febbraio 2007
rock”: una sera di queste, verso mezzanotte, il vecchio
marzo 2007
mondo tremerà. E’ un’altra profezia di un cambiamento
aprile 2007
traumatico, rivoluzionario, che scuoterà il vecchio mondo
maggio 2007
e lo farà tremare fin dalle fondamenta.
settembre 2007
Però, in bocca a Bruce Springsteen, quella parola ottobre 2007
assume un altro significato ancora: rock\roccia, novembre 2007
rock\scuotersi, e, naturalmente e inaspettatamente, dicembre 2007
rock\and roll (in molte varianti di”O Mary don’t you gennaio 2008
weep”, infatti si canta “this world is gonna reel and rock”, febbraio 2008
oscillerà e tremerà): una di queste sere, insomma, il marzo 2008
vecchio mondo di scuoterà di dosso la vecchiaia e ballerà aprile 2008
il rock and roll e sarà libero. maggio 2008

Certo, i creatori afroamericani di questo canto settembre 2008

nell’800 non avevano ancora in mente il rock and roll, ma novembre 2008
anche loro si scuotevano e tremavano nella passione dicembre 2008
estatica e musicale del rito – e infatti il rock and roll viene gennaio 2009
direttamente dalla loro cultura e dalla loro storia, dalle febbraio 2009
chiese pentecostali ed evangeliche del profondo Sud. marzo 2009
Bruce Springsteen questo lo ha capito perfettamente, e aprile 2009
non è un caso che già nel disco e concerto newyorkese di maggio 2009
qualche anno fa si fosse rivolto al pubblico con lo stile giugno 2009
oratorio dei grandi predicatori evangelici, annunciando luglio 2009
un “battesimo rock and roll, un bar mitzvah rock and settembre 2009
roll”, appropriando al rock and roll non la teologia delle ottobre 2009
chiese popolari bianche e nere ma il fervore ed novembre 2009
entusiasmo di una ritualità liberatoria, partecipata, e dicembre 2009
cantata.
gennaio 2010

Noi siamo abituati a pensare al rock and roll come marzo 2010
a una rottura epocale, e c’è molta verità in questo(specie aprile 2010
nel nostro contesto culturale italiano). Ma questa rottura maggio 2010
si innesta anche su una continuità profonda. Dopo tutto, giugno 2010
all’inizio della discografia di Elvis Presley stanno una ottobre 2010
“cover” di un brano rhtyhm and blues (“That’s All Right novembre 2010
Mama” di Arthur Big Boy Crudup) e una dicembre 2010
reinterpretazione di un classico bluegrass (“Blue Moon of gennaio 2011
Kentucky” di Bill Monroe). E allora, se risaliamo la febbraio 2011
corrente della storia musicale d’America, dal rock and marzo 2011
roll, passando per ryhtm and blues e gospel, e per country aprile 2011
e bluegrass, risaliamo senza interruzioni fino all’Africa da maggio 2011
una parte e alla Scozia e all’Irlanda dall’altra. Nelle Seeger giugno 2011
Sessions di Springsteen, anche per questo, ritroviamo gli
agosto 2011
spiritual afroamericani, e una grande canzone
settembre 2011
antimilitarista irlandese, Mrs. McGrath. Anche per
marzo 2012
questo, senza elucubrazioni e fisiche puristiche, tuttavia le
aprile 2012
versioni di queste canzoni che ci offre Springsteen a me
luglio 2012
sembrano anche “filologicamente” giuste:non ha fatto
novembre 2012
altro che prendere coscienza delle fonti stesse della
dicembre 2012
propria voce. Rock come liberazione, insomma, e rock
come storia: una musica che scuote il mondo, e una febbraio 2013

musica che ha dentro la memoria implicita di migrazioni, aprile 2013

guerre, schiavitù, liberazioni. maggio 2013


giugno 2013
Certo, non è questa la versione che ce ne ha fornito luglio 2013
l’industria musicale, attentissima a disinnescare ogni agosto 2013
riferimento che non fosse puramente adolescenziale e
ottobre 2013
sentimentale. C’erano due grandi tabù nella prima
novembre 2013
generazione del rock and roll: il lavoro e la storia (“Don’t
dicembre 2013
know much about history”, cantava Chuck Berry, non so
gennaio 2014
molto di storia; e Eddie Cochran inveiva contro i lavoretti
febbraio 2014
estivi che gli servivano a comprarsi la benzina). Anche per
marzo 2014
questo, il rock and roll classico ha subito una specie di
aprile 2014
eclissi negli anni dei movimenti, prima a favore del folk
maggio 2014
revival impegnato, poi – dal Dylan elettrico e dai Beatles
in poi – a favore di una musica che ha lasciato cadere il giugno 2014

“roll” e ha continuato a chiamarsi aggressivamente rock e agosto 2014

basta. febbraio 2015


maggio 2015
Ma, anche per la composizione sociale dei luglio 2015
movimenti, questa eclissi ha facilitato un ritorno del rock novembre 2015
and roll al mondo blue-collar, del lavoro, delle periferie.
dicembre 2015
Bob Seger, per esempio, è direttamente legato al mondo
gennaio 2016
industriale di Detroit. E Bruce Springsteen irrompe sulla
maggio 2016
scena con la storia di un ragazzo che lavora in un garage,
luglio 2016
di un padre che si ammazza entrando e uscendo dalla ottobre 2016
fabbrica; e trionfa, in The River, con la storia di un aprile 2019
operaio edile disoccupato. Per di più, Bruce Springsteen si
accorge anche di un’altra cosa: gli adolescenti che hanno
FEED
imparato più cose da tre minuti di disco che da anni di
scuola adesso sono diventati adulti ma non hanno
dimenticato da dove vengono. A decenni di distanza,
anche il rock and roll ha una storia: la voce di Roy C O L L A B O R AT O R I

Orbison che canta Only the Lonely (uno dei primissimi A L ESA ND RO PO RTE L I

dischi che mi sono comprato, correva l’anno 1960) serve a IVANH AWK
SE RGIO PO L IME N E
collocare nel tempo un’altra visione di memoria, il
momento in un cui un’altra Mary esce sulla veranda per
salire in macchina col vestito che ondeggia nel vento.

Negli Stati Uniti, come esistono associazioni


accademiche di studi su Herman Melville o Henry James,
esiste una rispettabile associazione di studi su Bruce
Springsteen radicata anche nelle università. Questo non
significa affatto che per prendere sul serio Bruce
Springsteen dobbiamo assimilarlo al canone letterario
(anche se non mancano libri che lo rileggono alla luce di
Whitman ed Emerson; e anche a me è venuto in mente
Mark Twain sentendo The River). Bruce Springsteen sa
benissimo di essere un’altra cosa; come Elvis Presley,
come i Beatles o come Bob Dylan, va conosciuto e
ascoltato nei suoi stessi termini, non come un poeta ma
come un rocker. Perché nella storia della cultura
americana, molto prima e più vigorosamente che da noi, i
significati profondi, i problemi cruciali, i conflitti radicali
si sono espressi anche nella cultura che i colti
disprezzavano, nella cultura orale e nella popular culture.
Perciò, se anche noi cerchiamo di imparare qualcosa da
tre minuti di disco di Bruce Springsteen, non facciamo
altro che il nostro dovere.

Rock come liberazione, e rock fra storia e storie è il


tema di una giornata di studio e di musica dedicata a
Bruce Springsteen, organizzata dal Circolo Gianni Bosio e
dalla Presidenza del Consiglio Provinciale di Roma: “My
Hometown. L’America di Bruce Springsteen” (7 ottobre,
TeatroColosseo, via Capo d’Africa 7. Roma).

Si comincia la mattina alle 10 con una tavola


rotonda su “Bruce Springsteen: il rock come liberazione”,
con Adriano Labbucci, Gino Castaldo, Marco Conidi,
Antonella D’Amore, Samuele Pardini”; segue alle 16
“Bruce Springsteen fra storia e storie”, con Daniel
Cavicchi, Alberto Crespi, Marco Lodoli e Alessandro
Portelli. In serata, alle 21, concerto: “Cover Me”, con
Marco Conidi, The Backstreets, e le Sesson Voices, un
gruppo gospel che debutta per l'occasione.

Ma già da giovedì 4 ottobre si apre (al Circolo


Gianni Bosio, via di Sant’Ambrogio 4) la mostra “Bruce
Springsteen: il corpo, i luoghi, la memoria”, con fotografie
di Giovanni Canitano e Francesco Virlinzi. La mostra sarà
aperta (a ingresso libero) fino al 20 ottobre, dal martedì al
venerdì, dalle 17 alle 20.

A L E S A N D R O P O RTE L I | 1 0:4 6 P M 0 C OMME NTI

Ma perché se la prendono con la scuola? La violenza non è certo un


monopolio americano (nel giorno della strage di Lancaster County,
venticinque incappucciati hanno dato fuoco a Roma a un bar di
immigrati dopo averne feriti tre a fucilate), e i massacri scolastici sono
avvenuti anche in Germania e in Canada. Ma sono stati casi isolati,
almeno finora. Solo negli Stati Uniti le stragi nelle scuole costituiscono
una striscia di massacri (almeno nove casi negli ultimi dieci anni, con
51 vittime, senza contare gli assassini suicidi), tale che persino Bush si è
sentito in dovere di convocare un vertice per cercare di capirci, e di
fare, qualcosa.

Ognuno di questi episodi ha storie diverse. Cambiano le vittime (questa


volte solo bambine, altre volte anche maschi, e anche insegnanti);
cambia il rapporto fra le vittime e gli assassini (compagni di scuola a
Columbine, estranei a Lancaster County); cambiano le età, le storie
personali, le collocazioni sociali, le pulsioni degli assassini. Due cose
restano in comune, però: la scuola, e le armi.

La scuola incarna molti dei tratti del sogno americano: la proiezione


verso il futuro, la speranza, la mobilità sociale, la fiducia nel sapere; e
incarna anche i suoi fallimenti, l’esclusione, la gerarchia la sconfitta.
Soprattutto, specialmente in zone rurali come Lancaster County, la
scuola è praticamente l’unica istituzione pubblica, l’unico spazio
pubblico rimasto dopo decenni di privatizzazione frenetica (in molte
contee rurale la scuola è il maggior datore di lavoro, il comitato
scolastico il maggior centro di potere locale). E’ come se, colpendo la
scuola, si sparasse addosso a quel che resta di un’idea di socialità e di
parità, da cui l’assassino si sente escluso o tradito, su cui cerca di
vendicarsi.

Poi, le armi. Un ipocrita luogo comune afferma che portare le armi è


inalienabile e non regolabile diritto costituzionale di ciascun cittadino
americano. Ora, nella Costituzione uscita dalla guerra d’indipendenza,
esposta al rischio di una rivincita coloniale, questo diritto era motivato
in modo molto preciso: “Poiché una ben regolata milizia è essenziale
alla difesa di uno Stato libero, il diritto dei cittadini a portare le armi
non dovrà essere violato.” E allora, che c’entra i fucili d’assalto in mano
ai ragazzini e le armi sul retro dei pickup, con una ben regolata milizia,
peraltro istituzione pubblica e statuale? Soprattutto, il concetto di
regolazione contenuto nella norma costituzionale ci ricorda che anche i
diritti inviolabili si esercitano attraverso regole, procedure, limiti e
norme (anche il diritto di parola trova un limite nel divieto della
diffamazione e della calunnia). Proprio perché condivisi, i diritti non
possono non essere regolati.

Nel senso comune giuridico americano è diffusa l’idea che i diritti non
derivano dalle relazioni sociali ma sono pertinenza esclusiva e
illimitabile di ciascun singolo. Perciò il limite fra diritto violato diritto
regolato si confonde, e ogni regola è sentita come una violazione
(pensiamo alla retorica reaganiana della “de-regulation”). E allora, ogni
limite incontrato, ogni sconfitta privata, ogni ossessione personale si
trasforma nel senso di una frustrante ingiustizia subita, per mano della
società, dello stato, dei propri vicini. E la frustrazione esplode, e spara,
là dove l’odiata società amministra la propria riproduzione e il proprio
futuro.

A L E S A N D R O P O RTE L I | 1 0:4 5 P M 1 C OMME NTI

Prendiamo la voce di Francesco De Gregori, i tamburelli incalzanti


della pizzica salentina, e versi canonici della Divina Commedia: “nel
mezzo del cammin di nostra vita… fatti non foste a viver come bruti…”
Mischiamo tutto e facciamoglielo cantare sul palco della Notte della
Taranta 2005 e poi nella traccia di apertura del CD appena uscito che
raccoglie una selezione di quel concerto (Orchestra Popolare La Notte
della Taranta, diretta da Ambrogio Sparagna, La notte della Taranta
2005, registrato dal vivo a Melpignano). Banalmente, potremmo dire
che un esempio di quella che oggi si suole chiamare “contaminazione” o
addirittura “dissacrazione” (Dante cantato e ballato? Come si
permettono?). Ma io direi che è il contrario: è l’evocazione di un tempo
forse mai letteralmente esistito ma sempre postulato in cui la divisione
del lavoro, il mercato, la Chiesa non avevano ancora eretto barriere
rigide fra la cultura “colta”, la cultura “popolare” e quella che oggi
chiamiamo “popular culture”. Non un accocchio estemporaneo di cose
eterogenee, insomma, ma il richiamo a un profondo sostrato culturale
unitario, ben rappresentato dalla poetica condivisa dell’endecasillabo.
La Notte della Taranta è molte cose – un evento di massa, una grossa
macchina economica, un’idea di politica culturale, tutte cose su cui si
discute e si litiga pure accanitamente e fuori registro, tra divergenze
ideologiche da una parte e scontri di potere dall’altra. Ma alla fine è
essenzialmente musica e il CD di cui stiamo parlando ci permette di
ascoltarla, appunto, in questi termini. Da quando Ambrogio Sparagna
ha preso la direzione musicale dell’evento, sono successe alcune cose.
In primo luogo, non c’è più l’equivoco per cui la ricerca di rapporti fra
musica popolare e altri linguaggi musicali (la cosiddetta
“contaminazione”) debba consistere nel “modernizzare” o “elevare” la
cultura tradizionale adeguandola a qualcosa d’altro e misurandola su
criteri non suoi, ma piuttosto sono gli altri che si devono misurare con
la centralità e la piena dignità artistica di questa musica nei suoi stessi
termini. Ospiti famosi come Piero Pelù e lo stesso De Gregori imparano
con umiltà a cantare il maggio toscano, la pizzica salentina, il
repertorio “grico”, senza cercare di assimilarlo a sé; e non si
vergognano di stare in secondo piano rispetto a grandi voci popolari
come Enza Pagliara, Antonio Castrignanò, Alessia Tordo e altri, che
saranno meno famosi ma che qui restano i maestri e i padroni di casa.
E infatti gli unici momenti in cui le cose non funzionano sono quelli in
cui a qualche ospite viene meno la fiducia nella piena autosufficienza
della musica popolare, e pensano di doverla arricchire o abbellire
narcisisticamente con l’”interpretazione” e la drammatizzazione,
mandando in frantumi quel senso della forma che è il grande principio
estetico della musica di tradizione orale. Ma sono solo un paio di brani.
L’altra cosa, più complicata, è il progetto dell’Orchestra Popolare.
Ricordo uno scritto di Alan Lomax in cui lui parlava della rarità delle
esperienze orchestrali nella musica popolare, e segnalava fra i non
molti esempi quelli delle le orchestre tradizionali dei Balcani o delle
bluegrass bands americane. Aveva ragione, nella misura in cui la
musica popolare, nata in condizione di scarsità, ha imparato a fare il
più possibile con mezzi sempre limitati, inventandosi una poetica del
limite, della sottrazione, della essenzialità. L’orchestra della Notte della
Taranta è diverso dagli esempi di Lomax perché anche se parte dalla
tradizione orale si deve collocare in una modalità diversa, quella del
grande evento o del circuito dei festival e degli spettacoli con un
pubblico di massa, e di una poetica della contemporaneità
consumistica in cui invece che sottrarre si pensa che si debba sempre
aggiungere. Ora, non è facile fare in quaranta una musica che è nata
per essere fatta in tre o quattro, o magari da soli come nel caso delle
canzoni narrative. Sparagna aveva già alle spalle l’esperienza riuscita
della Bosio Big Band, con la trasformazione dell’organetto da
strumento solista in strumento orchestrale; ma qui le cose sono ancora
più difficili e ambiziose. Ci sono momenti collettivi travolgenti, pieni
d’orchestra di grande presa che danno davvero il senso di una crescita
degli strumenti espressivi tradizionali; e ci sono momenti inevitabili in
cui il suono è un po’ più omogeneizzato. In qualche intervento
orchestrale mi è parso di sentire i Pogues – che comunque è tutt’altro
che un insulto, visto che sono stati fra i più grandi interpreti della
contemporaneità della musica popolare, ma che rinvia un poco a una
koiné di world music generale. Comunque, il progetto di inventare
qualcosa di nuovo sviluppando le possibilità implicite nella musica
popolare, assumendone i rischi e le responsabilità, mi sembra degno di
attenzione e rispetto, magari critico se serve, ma in positivo.
Ho cominciato parlando di sostrato unitario. Nel CD, la musica
salentina (tutta, non solo la pizzica!) è una b ase dio partenza per un
viaggio verso il resto d’Italia. Sparagna, nelle note che accompagnano il
disco, rinvia direttamente a un tema antileghista di unità costituzionale
del nostro paese, che è stato drammaticamente centrale al referendum
dello scorso giugno. Allora, se il talentino Antonio Castrignanò e il
comasco Davide Van de Sfroos si alternano cantando La Cenerina e
Porta Romana, ci accorgiamo non solo che l’aria è la stessa e che il
carcere è un termento al Sud come al Nord, ma anche che la nostra
ricchezza sta nei modi diversissimi fra loro di coniugare questa
diversità. Quando alla fine i Sud Sound System entrano in campo
proclamando “se conosci le radici che hai puoi capire anche quelle degli
altri”, il loro rap sembra davvero una continuazione naturale, davvero
la stessa musica, della pizzica che lo precede e lo segue – musica
popolare, musica di tradizione orale, poesia parlata del nostro tempo
come la pizzica e la canzone epico lirica (e Danto) del loro..

A L E S A N D R O P O RTE L I | 2 :23 PM 1 C OMME NTI

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