Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
CELIBIDACHE E BOLOGNA
A cura di Luigi Girati e Luigi Verdi
Prefazione di Silvia Gajani
A r n a l d o F o r n i E d it o r e
Sergiu Celibidache è il direttore
d'orchestra che più di ogni altro ha
legato il suo nome all'attività sinfoni
ca del Teatro Comunale. Attorno alla
sua presenza a Bologna è fiorita una
ricca aneddotica alimentata dalla
genialità delle sue esecuzioni e dal-
l'imprevedibilità del suo carattere.
Unanimemente considerato uno dei
maggiori interpreti del Novecento, fu
molto legato alla città, nella quale
esordì nel 1953, contribuendo in
modo determinante a creare il presti
gio dell'Orchestra del Comunale che
sempre entusiasticamente lo corri
spose, ma non senza clamori, scontri
e tensioni, fino al burrascoso e defi
nitivo abbandono del 1973. A cin
quantanni da quell'esordio fortuna
to, pare opportuna e felice questa
testimonianza storica sulla presen
za e le vicende di quegli anni, anco
ra oggi avvolte da un alone di
ammirata leggenda.
CELIBIDACHE E BOLOGNA
A cura di Luigi Girati e Luigi Verdi
Prefazione di Silvia Gajani
3
Prefazione
Ma ancora non si spiega quel che prim a dicevo sul Pifferaio di Hamelin.
Proviamo ad “andare indietro”, interrogandoci sulle origini mitiche
dell’arte nel nostro pensiero: i miti, come gli oracoli, non vanno inter
pretati m a lasciati nella loro ferina e sibillina integrità.
Apollo trasformò le Ninfe in Muse: fanciulle selvagge che possiedono
l’uomo per esserne a loro volta possedute. Queste Muse divennero le Arti.
L’impresa amorosa p iù importante di Zeus f u il suo accoppiamento
con la Necessità; da questo accoppiamento nacque Elena, la Bellezza.
E, anche se nel duello fra Pan e Apollo, vinse Apollo, è Pan che ancora
ci scuote nel cuore della danza.
5
(2) (3)
Foto 2, 3 - Berlino 1950: Sergiu Celibidache dirige VOrchestra Filarm onica di Berlino sulle rovine del teatro
distrutto dalla guerra. Fotogram m i dal Film “Das Klingende H erz”.
IL TEATRO
Piero Rattalino
Un divorzio annunziato
7
(4)
Foto 4 - Berlino 1950: Sergiu Celibidache dirige la Filarmonica di Berlino.
Fotogram m a da l film “Das Klingende H ertz”.
Piero Rattalino: un divorzio annunziato
9
Il Teatro
io
Piero Rattalino: un divorzio annunziato
meglio, che era un puro folle. Sbagliavo, almeno in parte. Quel che non
riuscì a fare a Bologna, Celibidache riuscì a farlo più tardi a Monaco, per
lo meno come direttore. Non mi chiedo se fosse giusto o sbagliato farlo.
Dico che lui ci riuscì. Quindici o sedici anni dopo averlo salutato per l’ul
tima volta a Bologna andai a Linz per sentire la Settima Sinfonia di
Bruckner da lui diretta con i Filarmonici di Monaco. Non avevo mai ascol
tato, e credo che non ascolterò mai più un’esecuzione così. Parlo tecni
camente. Il tremolo in pianissimo dei violini sembrava veramente venire
da sotto terra, l’unisono del corno con i violoncelli era come un arcoba
leno con due soli colori che trascolorava quando i violoncelli venivano
raddoppiati dalle viole, e poi quando a viole e violoncelli s’univa il clari
netto. Qualsiasi direttore ottiene in quell’inizio l’impasto, la fusione dei
colori, ma creare dei colori appaiati e distinti richiede una concertazione
maniacale, e una pazienza e un’abnegazione da parte dell’orchestra che
sanno di miracolo. All’opposto, all’inizio del secondo tempo la fusione di
suono delle tube con viole, violoncelli e contrabbassi era prodigiosa; e
anche per questo c’era voluta una pazienza più che certosina. A Bologna
parecchi professori amavano Celibidache e con lui si sentivano missionari
dell’arte, disposti ad ogni sacrificio. Non tutti, però. E non tutti condivi
devano l’eros pedagogico che lo portava, durante il corso, a far ripetere
l’attacco della Quinta Sinfonia di Beethoven per l’intera durata di una
prova, due ore e mezza con un intervallo, fino a che gli allievi non avevano
bene assimilato il gesto, l’unico gesto giusto per dare il via a quel capola
voro. Tanto più che a volte la musica partiva benissimo anche con un
gesto apparentemente sbagliato. Ricordo una lezione sulla ouverture
della Forza del destino. Dopo gli accordi iniziali, spiegò Celibidache, il
“levare” richiedeva un gesto specialissimo e un finissimo senso del
timing. Spiegazione minuziosa, lunghe esercitazioni senza orchestra, altre
spiegazioni, ecc. ecc. Il primo allievo che salì sul podio, terrorizzato,
dimenticò tutto il lavoro preliminare e diede il “levare” con una stranis
sima torsione dell’avambraccio destro (detto per inciso, Celibidache
voleva di norma che le due braccia lavorassero insieme). L’orchestra partì
però perfettamente. Celibidache rimase di sasso. Fece ripetere l’attacco, e
l’esito fu identico. L’allievo era uno dei meno talentosi del corso, ma un
qualche santo protettore gli aveva fatto trovare una gesticolazione alla
Furtwängler che operava il miracolo. Invece di complimentarsi con l’al
lievo o di farsi una risata, Celibidache si rabbuiò e cambiò il pezzo. Quel
giorno l’ouverture non venne più provata, ed io credo che il Maestro pas
sasse una notte travagliata.
Ho raccontato questo piccolo e in fondo insignificante episodio per
dire come nella enorme dovizia di analisi fulminanti, di profondissime
riflessioni, di idee geniali, di incredibili raffinatezze tecniche, si facesse tal
volta strada un certo fondo di ostinazione infantile del carattere di
Celibidache. E questo lo si vide molto bene durante il secondo corso,
quello del 1973, che segnò la rottura. Sette anni prima Celibidache aveva
rimproverato seccamente un professore d’orchestra uso a far scherzi ai
colleghi, ma per una volta tanto l’incriminato era innocente come un
agnellino. C’era stato uno scambio di battute al vetriolo - “Lei non sa stare
il
Foto 5, 6, 7 , 8 - Bologna 1966, Teatro Comunale. A l cam erino del Maestro (cestone
della grancassa): Celibidache con Carlo M aria B a d in i Soprintendente e Luigi Girati
(5) p o i con il fla u tista Severino G azzelloni (6). Bologna 1966, Teatro Comunale.
Celibidache con (da sinistra): il Maestro Franco Ferrara, il violinista Riccardo
Brengola e il violoncellista Benedetto M azzacurati (7). Il Maestro con Benedetto
M azzacurati (8).
Piero Rattalino: un divorzio annunziato
in orchestra”, “Io stavo in orchestra quando Lei stava ancora nel carroz
zone degli zingari” -, il professore si era preso una settimana di sospen
sione (senza assegni), Celibidache aveva detto al Sovrintendente “non
voglio più vederlo in orchestra, promettimi che non lo vedrò più”, e il
Sovrintedente, mettendosi una mano sul petto, gli aveva assicurato:
“Sergiu, non lo vedrai mai più”. Dopo di allora, quando Celibidache arri
vava per dirigere un concerto - in genere almeno due volte all’anno - il
professore presentava un certificato medico e spariva dalla circolazione.
Lo presentò anche quando iniziò il corso, che durava quattro settimane.
Per quattro settimane l’altra prima parte avrebbe dovuto suonare sempre?
10 ci sentivo puzza di bruciato. Ma ebbi il torto di non consultarmi con il
Sovrintendente, che forse avrebbe trovato il bandolo della matassa. E del
resto mi sembrava sensato ritenere che dopo sei anqi.... Perciò dissi all’ar
chivista che bisognava predisporre la visita fiscale al finto malato, ben
immaginando quale sarebbe stato il seguito. Il giorno stesso il professore
venne in teatro, stracciò il certificato e andò in orchestra. Con grande sor
presa dell’archivista e di tutti non successe nulla.
Successe l’anno dopo. Celibidache venne da me dopo la prima lezione
a dirmi: “In orchestra c’è il professore che mi ha insultato. Forse Lei non
sa che...” In quel momento ero nervoso per faccende tutte mie e perciò
tagliai corto: “So tutto. C’è adesso e c ’era anche l’anno scorso”. “Non è
vero”. “È vero. Se vuole Le faccio vedere i fogli- firma”. “Se c’è quello io
non dirigo”. E se ne andò. Un quarto d’ora dopo il maestro Nordio, mem
bro del consiglio d’amministrazione, venne a dirmi di aver visto
Celibidache nell’agenzia di viaggi vicino all’hotel S. Donato: stava cer
cando di cambiare la prenotazione del viaggio di ritorno a Parigi perché
voleva partire immediatamente. Mi precipitai nell’agenzia, trovai
Celibidache e lo assalii senza alcun riguardo. Il colloquio fu breve ma
molto concitato, perché io avevo ormai perso del tutto le staffe e non mi
accorgevo nemmeno di star concionando in un luogo pubblico.
Celibidache, per quanto furente, troncò il battibecco assicurando che per
11 momento non sarebbe partito e chiedendomi di fissargli un appunta
mento con il Sovrintendente per il mattino dopo, me presente. Il mattino
dopo cominciò dicendo che io mi ero comportato malissimo, sia perché
non avevo voluto dargli retta a proposito della solenne promessa che il
Sovrintendente gli aveva fatto anni prima, sia perché ero stato peggio di
un cafone nell’agenzia, arrivando fino al punto di dargli del razzista. Aveva
ragione, ma non ero disposto a riconoscerlo. Mi limitai ad asserire che
avevo qualificato di razzistico il suo comportamento, non che gli avevo
dato del razzista, e che comunque il professore incriminato aveva suonato
l’anno prima senza problemi. Lui accettò la mia gesuitica precisazione ma
continuò a sostenere che se la vecchia promessa non fosse stata mante
nuta lui non avrebbe diretto. Il Sovrintendente capì che non era il
momento per fare discorsi diplomatici che tagliassero la testa al toro con
il consenso del medesimo: decise dunque di guadagnare tempo e
Celibidache accettò di restare a Bologna, sospendendo il corso finché non
si fosse trovata una soluzione che salvasse capra e cavoli. Andammo
avanti in posizione di stallo per tre giorni. Ci furono diversi incontri, ci fu
13
(9)
CIO)
Foto 9 - Bologna 1966, Teatro Comunale: concerto del 28/05/66.
Foto 10 - Bologna 1966, Teatro Comunale: il p rim o incontro tra il Maestro Sergiu
Celibidache e il p ia n ista Arturo Benedetti M ichelangeli (concerto del 21/10).
Piero Rattalino: un divorzio annunziato
una cena con il Sindaco, una lunga cena in cui Celibidache dispensò tutte
le grazie di un delizioso conversatore e corteggiò le signore, ma che non
lo smosse di un dito dalle sue posizioni. Intanto un professore dell’orche
stra stava lavorando sottocoperta e il Sovrintendente cercava di ammor
bidire, con abboccamenti privatissimi, i professori più accalorati.Al quarto
giorno il professore che funzionava da eminenza grigia - era una persona
di prim’ordine, e come strumentista e come uomo: morì tragicamente,
poveretto! - mi comunicò che nel pomeriggio si poteva fare un’assem
blea per avanzare ufficialmente la proposta che sarebbe stata quasi sicu
ramente accettata (e che Celibidache aveva già accettato per parte sua).
Mi presentai all'orchestra, che veniva due volte al giorno a timbrare il car
tellino e che se ne andava dopo aver constatato l’assenza del direttore.
L’esito era scontato, in linea di principio. Ma un’assemblea sia pur pilotata
è anche una rappresentazione. Ci fu un lungo dibattito o, meglio, ci fu una
serie di sfoghi passionali - “posso io sedermi e suonare con concentra
zione, sapendo che il mio vecchio compagno di tante battaglie artistiche
viene bandito da questa orchestra?”, sbraitava uno incline alla retorica da
pretura -, di sfoghi, dicevo, che servirono a scaricare la tensione e a far
apparire chiaramente tutta l’assurdità della situazione.Alla fine si votò per
alzata di mano quel che era già stato convenuto silenziosamente: che
Celibidache avrebbe tenuto il corso come previsto, ma che la sedia del
primo fagotto sarebbe rimasta vuota quando fosse capitato il turno di
lavoro dell'inimico. Così si fece. E con la sedia vuota Celibidache fischiava
- a memoria, naturalmente - la parte del fagotto. Imperturbabile, calmis
simo. Disposto persino a prendersi in santa pace gli sfottò, come quando
l’altro primo fagotto, regolarmente seduto al suo posto, non suonò.
“Perché non suona?”. “Oggi io sono qui perché si prova la Quarta di
Brahms. Io sono di raddoppio e perciò suono solo nei forte”. Celibidache
non trovò nulla da eccepire: secondo la logica in cui ci era messi il pro
fessore che suonava solo nei forte aveva ragioni da vendere.
Dopo il colloquio in sovrintendenza in cui, ripagandomi della stessa
moneta, era stato molto aggressivo, Celibidache mi trattò di nuovo con
estrema e non solo formale cortesia. Sulla materia del contendere non tor
nammo più, ma riprendemmo a discorrere di tante cose come se nulla
fòsse successo: mi parlò molto del suo amico Allende, che proprio in quel
tempo era stato assassinato. Un giorno mi comunicò che dopo averci ben
pensato aveva deciso di non dirigere il concerto previsto al termine del
corso e mi propose di affidarlo ad uno dei suoi assistenti. “Non credo di
poter insistere”, gli dissi, “ma non vorrei che l’annullamento provocasse
polemiche”. “Io non farò mai niente contro Bologna”, mi rispose. “Molti
ricordi mi legano a questa città, che amo, e quindi me ne andrò in silen
zio e se del caso saprò come spegnere i pettegolezzi. Ma non ci tornerò
più”. E così si concluse la lunga collaborazione di Celibidache con il
Comunale.
Ripassai molte volte mentalmente il film di quelle quattro settimane e
un poco alla volta arrivai alla conclusione che mi sembra logica anche
oggi. Secondo me, Celibidache aveva cercato l’incidente, o aveva forse
inconsciamente colto l’occasione che gli si presentava per andarsene.
15
Il Teatro
16
Piero Rattalino: un divorzio annunziato
17
( 11)
Foto 11 - Bologna 1970, Teatro Comunale: u n concerto.
Carlo Maria Badini
II Maestro perduto
19
03)
Foto 12, 13 - Bologna, Teatro Comunale.
(14)
Foto 14 - Bologna 1966 (23 giugno), Teatro Comunale: il Trofeo Felsineo conferito
dai gio va n i dell’Orchestra Sinfonica di Bologna al Maestro Sergiu Celibidache.
Il Teatro
22
Carlo Maria Budini: II Maestro perduto
23
(15)
Foto 15 - Bologna Teatro Comunale, Sala Bibiena.
Leone Magiera
1 nostri anni ruggenti
Avevo allora circa ventisei anni, forse qualcosa in meno. Da pochi mesi
ero stato nominato Maestro del Coro del Teatro Comunale di Bologna:
incarico prestigioso per un giovane musicista come fne e che il mio caris
simo amico ed ex compagno di studi Romano Gandolfi m'invidiava molto
(Gandolfi - destinato a diventare uno dei più grandi Maestri del Coro nella
storia della lirica - era ancora costretto a vorticosi e umilianti praticantati
all'estero).
Il coro del Comunale non partecipava soltanto alla stagione d'opera, ma
anche a quella concertistica. Fra i direttori d'orchestra di quell'anno figu
rava Sergiu Celibidache, ospite abituale e prestigiosissimo del Teatro bolo
gnese.
Ricordo che Gandolfi, prima d'imbarcarsi per il Sud America, disse con
ammirazione: “Come sei fortunato a lavorare con Celibidache! Vorrei pro
prio essere nei tuoi panni!”
Lo consolai. “Vedrai che presto verrà il tuo turno e le tue grandi qualità
verranno riconosciute. Ma poi non credere che l'impegno sia facile! Ho
visto spesso Celibidache lavorare con l'orchestra: è esigentissimo: i pro
fessori d'orchestra lo temono molto e devono impegnarsi allo spasimo
per accontentarlo. Non sarà certo una passeggiata neppure per il nostro
valoroso coro”.
Infatti non si trattò di una passeggiata, anche se l'impegno corale si limi
tava a pochi minuti.
Fin dall'inizio delle prove il coro restò schierato nel silenzio più asso
luto. Li avevo indottrinati a dovere: dicevano che Celibidache non tolle
rava il minimo rumore e perfino vedere qualcuno che si soffiava il naso,
sia pur furtivamente, lo faceva uscire dai gangheri.
Seguivo ammirato il suo lavoro da grande orafo nel cesellare la musica
di Debussy, estraendone tutto l'incantesimo sonoro fino all'ultima goccia.
Per fare ciò, il Maestro era implacabile e metteva tutti alla frusta. Non v'era
una volta che un “pianissimo” lo accontentasse: faceva ripetere fino allo
sfinimento i passi che non lo soddisfacevano e gli strumenti solisti erano
i più tartassati. In particolare i fiati venivano messi a durissima prova e
costretti a sonorità implacabili e al limite stremo del“pianissimo”,fin dove
questo colore può sconfinare pericolosamente nella stecca.
Ricordo che ad un certo punto della prova avvertii la netta sensazione
che quella tensione così esasperata non potesse durare a lungo, così come
succede prima di un violento temporale.
Infatti, da lì a poco, avvenne il clamoroso incidente. Si stava avvicinando
25
07)
Foto 16 - Bologna 1972, Teatro Comunale: lezione al Corso Internazionale di
Perfezionam ento in direzione d ’orchestra.
Foto 17 - Bologna 1973, Teatro Comunale: il Maestro con l ’allievo Michi Inoue.
Leone Magiern: i nostri anni ruggenti
27
■ M '-r
( 18)
Foto 18 - Bologna il Teatro C om unale (m odello in legno).
LA MUSICA COME VERITÀ
Tito Gotti
Con sospesa ed incantata gratitudine...
29
La M usica com e Verità
30
Tito Gotti: Con sospesa ed incantata gratitudine..
tivo musicologo; egli pure si gettò dal letto e corse a casa mia per parte
cipare alla lezione. Va da sé che costui, ancor più di me che avevo attinto
a soluzioni inedite di problemi comunque ben presenti nel mio quoti
diano orizzonte, seguita a trent'anni di distanza a delibare ghiotti interro
gativi su quella che alla sua allenata fantasia seguita a presentarsi come
un'epifania magica, l'apertura inattesa su un settore altrimenti segreto e
riservato ai “sudati cartoni” di una confraternita professionale. E' inevita
bile ricordare che, nel caso specifico, la confraternita si apriva liberal
mente all'occhio estraneo per i cosmici agganci che il Maestro escogitava
ad ogni dettaglio della materia manipolata. L’amico li scoprì e godette,
estasiato.
Lo stupefatto benessere suscitato da un evento del genere si moltiplica
nel ripensarne i dati costitutivi. Già l’elargizione di se stesso e del suo
tempo spinta così avanti da un personaggio di quella statura va valutata
con indici esorbitanti la genetica media dei comportamenti umani. Va da
sé che non aveva nessuna ragione, puranche illibatissima, di fare favori a
me, e poi sono convinto che, con eguale grazia, così avrebbe fatto con
chiunque avesse incontrato in condizioni analoghe. Nel caso, fu forse la
beata tracimazione di una dovizia comunicativa, il fluire di un verbo irre
sistibilmente espansivo senza valutarne probabilità e risultati. Magari, il
maestro Celibidache non era d'accordo sullo sconsigliato “mittere marga-
ritas vestras ante porcos”, in cui vedeva piuttosto una signorile attività che
valeva sempre la pena di praticare.
Ma, anche riapprodando agli indici di usuale magnanimità, un aspetto
della vicenda stimola ad altri pensieri. Per quanto assoluti e indiscutibili
(lui li vedeva così, e si faceva credere), quei sontuosi guiderdoni
appaiono, nel caso raccontato, totalmente decontestualizzati dalla summa
di un operare-sapere, che si caratterizzava, senza paragoni possibili con
qualsivoglia altro “sistema”, per la sua ferrea circolarità, per la impensabi-
lità di sparpagliarne singoli elementi isolati dal tutto come meri aforismi
o vagabondi portati del buon senso e dell'esperienza.
Si tenta qualche risposta. Per cominciare, la ferrea compattezza della
concezione analitico-operativa da tutti apprezzata doveva sgorgare più da
un virtuoso, intrecciato automatismo di intelletto e mestiere che non da
un progetto disegnato a freddo, da un’idea fondante all’origine di ogni
pensare e agire (per qualsiasi artista, sarebbe comunque un itinerario
impensabile). Quel miracolo strutturale traspare semmai attendibilmente
in una lettura a posteriori, nell’organizzazione che il ricettore finisce per
ordire con quei filtrati materiali, geneticamente destinati alla convergenza
e all’integrazione. Dicasi il ricettore esterno, e verosimilmente lo stesso
Celibidache come ricettore e specchio di se stesso.
Sempre arzigogolando, in tutto ciò si rinviene una contraddizione evi
dente a molti osservatori : Celibidache ribadiva di essere portatore sol
tanto di un metodo, di insegnare esclusivamente, o soprattutto, una tec
nica accessibile a chiunque egli avesse accettato nei suoi corsi (dunque
sufficientemente dotato e provvisto di congruo bagaglio propedeutico).
Così attrezzato, il neodirettore senza qualità - mai apparirà così sbiadita la
traduzione dell '“ohne Eigenschaften” per l’uomo che intitola il capola-
31
(19) (20)
ft
L
(21) (22)
Foto 19, 20, 21, 22 - San Pietro in Casale (Bologna) 1972, Teatro Italia: Celibidache
in concerto.
Tito Gotti: Con sospesa ed incantata gratitudine..
33
(23)
(24)
(25)
Foto 23, 24, 25 - San Pietro in Casale (Bologna) 1972, concerto al Teatro Italia.
Tito Gotti: Con sospesa ed incantata gratitudine..
35
La Musica com e Verità
36
Tito Gotti: Con sospesa ed incantata gratitudine..
37
h
y
W . s
(26)
\ u
(27)
A | >
1 ‘
1 M- •
(28) 1111 fj
Foto 26, 27, 2 8 - San Pietro in Casale (Bologna) 1972, concerto al Teatro Italia.
Tito Gotti: Con sospesa ed incantata gratitudine..
39
(29)
Foto 29 - Bologna 1987, Teatro Comunale: concerto con l’Orcbestra Filarmonica di
Monaco di Baviera.
Mario Baroni
Direttore o compositore?
41
La Musica com e Verità
42
Mario Baroni: Direttore o compositore?
45
(32)
Foto 31, 32 - Bologna 1966 (18/5), Teatro Comunale: applausi dopo il concerto.
Duilio Courir: un Wanderer in sosta a Bologna
nelle birrerie e nelle case della città, e che terminavano alle prime luci del
l'alba.
Dirigeva tutto, opere del classicismo viennese o tratte dalla lette
ratura romantica austrotedesca, ma non celava la sua predilezione per l'u
niverso musicale francese, per gli amatissimi Debussy e Ravel, e per quello
russo di C ajkovskij e di Modest Musorgskij. La continuità dei suoi lunghi
soggiorni bolognesi gli aveva consentito di stabilire un contatto vero con
l'orchestra del Comunale, un rapporto che in molti casi andava oltre il
consueto rapporto professionale. Non pochi giovani musicisti si erano
avvicinati a Celibidache come a un maestro, con il proponimento di ela
borare per sé quelle lezioni illuminanti che si intrecciavano ai concerti. Si
trattava di un terreno vitale nel quali numerosi giovani aspiranti direttori
cominciavano a muovere i primi passi. Per restare nella cerchia bolo
gnese, con l'insegnamento pratico e teorico del maestro si cimentarono
Carlo Bagnoli, Bruno Galletti, Giuseppe Montanari,Alberto Martelli e molti
altri, attratti da quella personalità d'eccezione che con il suo carisma era
riuscita a imprimere un sigillo di grandezza alle stagioni musicali bolo
gnesi.
Sulla scorta di questi allievi che a lui affidavano la propria sorte di
aspiranti direttori, anche io ad un certo punto strinsi un legame emotiva
mente e culturalmente fertile con il grande musicista; rapporto che in due
circostanze, a Napoli e a Monaco di Baviera, mi diede la possibilità di avere
lunghi colloqui e di realizzare interviste che apparvero sulle colonne del
“Corriere della sera”.
47
(33)
Foto 33 - Bologna 1961, Teatro C om unale:prove d ’orchestra.
INTERVISTE
Grazia Livi
Candido e furibondo*
49
Interviste
50
Grazia Livi: Candido e furibondo
con uno spirito brillante e vivo, ma poi, quando li metti tutti insieme, ecco
che il risultato generale è molto inferiore a quello individuale. Perché non
hanno disciplina, né costanza, né senso della concentrazione. Mentre in
altri Paesi dove la gente ha poco talento, come in Germania per esempio,
li metti tutti insieme e si fondono perfettamente dando risultati ad altis
simo livello!”.
La faccia di Celibidache, a vederselo comparire improvvisamente
davanti (non più di spalle, dall'altezza autorevole del podio) non è una fac
cia da leader: la carnagione è cerea sulla struttura classica del viso, e tra
disce i suoi quarantanove anni d'età; due rughe profonde si incidono ai
lati della bocca; la fronte è alta e marmorea; le labbra e gli occhi sono
vivaci, ma il sorriso pare sempre trattenuto dalla serietà profonda (e forse
anche dall'amarezza) di chi cerca di dare costantemente il meglio di sé
nella propria professione.
Se c'è un uomo, infatti, che è riuscito a conciliare perfettamente in sé il
senso austero e puntiglioso del dovere (formato attraverso l'educazione
musicale compiuta in Germania), il temperamento appassionato, un po'
nomade e apertissimo ai problemi di cultura (dovuto alla sua origine
rumena) e la coscienza travagliata della volontà di raggiungere livelli
sempre più alti (dovuta alla natura vera d'artista), questo è proprio Sergiu
Celibidache.
Su di lui circolano ormai, negli ambienti musicali europei, tutte quelle
indiscrezioni e notizie curiose che tendono a imprigionarlo nella formula
di un grande personaggio bizzarro e temibile, come è accaduto, per esem
pio, ad Arturo Benedetti Michelangeli.
La sua mania della puntualità, si sussurra, è così radicata da condurlo
perfino a raffinati sadismi: durante il suo corso estivo all'Accademia
Chigiana di Siena, se un allievo ha l'ardire di arrivare in ritardo (alle otto
e due minuti egli fa chiudere la porta della classe) c'è caso che sia
respinto anche dalla lezione del pomeriggio. La sua insofferenza nei con
fronti della cattiva organizzazione dei teatri, della insufficienza delle prove
concesse (egli non accetta mai di farne meno di otto per ogni concerto)
e della negligenza di certi orchestrali, è così aggressiva e scoperta, che egli
ha già litigato con i maggiori dirigenti dei teatri e si è reso impopolare di
fronte a moltissime orchestre.
51
evo (35)
Foto 34, 35 - Bologna 1961, Teatro Comunale:prove d’orchestra.
Grazia Livi: Candido e furibondo
53
Interviste
giamento mi costa solo dei sacrifici. Infatti non vado in America, non vado
neanche a Parigi, che del resto è la peggiore città del mondo, dal punto di
vista musicale (e dopo viene Roma!). Ma la verità è che io non ho mai pen
sato di fare musica per l'eternità; io faccio della musica solo perché ho
scelto questo mestiere per vivere, e allora cerco di portarlo al livello più
perfetto, secondo le mie possibilità. Ma a dire il vero, io ho superato il
fatto musica da un pezzo!” E' molto vivace, e nello stesso tempo un po'
nomade e bizzarro, il ritratto che Celibidache dà di sé agli estranei, ma
dopo un po' di tempo si scopre, al di là di questo “umore da battaglia”, una
persuasione pacata e serena di essere nel giusto.
“Per quali vie” gli chiedo incuriosita “lei è riuscito a raggiungere, nel
pieno della sua fama, questo sereno distacco dalla carriera e dall'arte?”
L'occhio di Celibidache adesso mi evita, ironicamente luccicante, come se
avesse coscienza di essere sul punto di “sbalordire”, e fosse quasi tentato
di ritrarsi: “Oh, le mie vie sono state lunghe e terribilmente dolorose, A
furia di urtarsi con la vita, a furia di mettere le mani sulle cose che scot
tano, a furia di soffrire, si arriva a un risultato di distacco. Ma le mie vie più
importanti sono state due: la disciplina durissima, durante i miei anni di
studio in Germania, dal 1938 in poi, che ha filtrato il mio temperamento
estremo e appassionato come un tritacarne implacabile. E poi, anzi soprat
tutto, la religione buddista, di cui ebbi rivelazione a ventott'anni attraverso
la conoscenza di un monaco che da un giorno all'altro mi rivelò “l'altra
faccia delle cose”, e mi liberò da tutti i miei schemi razionali, i miei volon
tarismi, e nello spazio di venti minuti mi rese nudo e libero come un bam
bino appena nato”.
C'è un momento di silenzio fra noi, e poi,“Oh sì, attraverso il buddismo”
egli ripete, e con la voce più sfumata e grave (come se invisibili persone
venute dall'Oriente fossero sedute accanto a noi) recita con lentezza:
“Budda ha detto: «La felicità non è qui, né laggiù. La felicità è a destra, è in
alto, è in basso, è a sinistra.» La felicità, dunque, non è da nessuna parte ma
nello stesso tempo è dappertutto. E la grande saggezza dell'individuo, sa
qual è? E' quella di sdrammatizzare il proprio io, viaggiando attraverso la
vita spoglio di schemi, di idee prefabbricate, di volontà troppo intense,
che gli impediscono di prendere un contatto pieno col presente. Com'è
possibile, infatti, percepire profondamente una realtà se il proprio ego è
troppo intenso e parlante? Come può, lei stessa, capire questo strano feno
meno che si chiama Celibidache, se si porta dietro, nel momento in cui
parla con me, tutti i suoi bravi schemini razionali nei quali cerca di farmi
rientrare! Oh no, cerchi anche lei di sradicarsi dalla sua razionalità con
venzionale! Cerchi, come me, di essere un bicchiere vuoto, un bicchiere
così vuoto e libero che può riempirsi fino all'orlo di tutte le sensazioni del
presente, e poi svuotarsi ancora per percepire pienamente altre realtà! Se
lei si sottoporrà giorno per giorno a questa iniziazione (che è dolorosa,
badi bene) potrà riuscire a dire, in futuro, come i monaci buddisti: “la
respirazione ha luogo”, e non come dicono tutti “io sto respirando”, per
ché l ’io non esiste”.
Celibidache, adesso, ha gonfiato il torace in un respiro fondo, per dimo
strarmi che la sua respirazione non è più legata a se stesso, ma è un fatto
54
Grazia Livi: Candido e f uribondo
55
(36)
Foto 36 - Bologna 1987, Teatro Comunale: il concerto con l’Orchestra Filarmonica
di Monaco di Baviera.
Umberto Padroni
Vivere la musica *
57
Interviste
Solo quello. Non ci sono teorie: il fenomeno deve essere vissuto, profon
damente, vissuto. L’intelletto è impotente.
58
Umberto Padroni: Vivere la musica
59
(37) (38)
Foto 37, 38 - Monaco di Baviera 1980:prove d’orchestra.
Umberto Padroni: Vivere la musica
Maestro Celibidache, come elitra lo Zen nel suo essere musicista, nella
sua concezione di u n ’arte che si realizza in un linguaggio occidentale?
Ma la nostra arte non ha, e non è, un linguaggio! Se cerchiamo di definire
i termini di un linguaggio, caschiamo un’altra volta nella convenzionalità,
nel simbolo.Anche qui occorre fare delle distinzioni; musica pop: perché
si chiama musica? Cosa intende lei per musica? E’ impossibile una defini
zione, se non a costo di ricadere ancora in una dimensione intellettuale.
Occorre invece uscire -come ha sostenuto Goethe, ma anche Leopardi-
dalia materia, che serve solo a indicare la presenza di una certa sostanza
da cui è regolata, dominata: la realtà. Quando l’allievo Zen chiede al mae
stro che cosa ci sia dietro al pensiero, ottiene, come risposta,“la realtà”.
Questo è il senso dello Zen. Il pensiero, la logica, tutta questa costruzione
che tanto ci serve, da queste parti, nella vita quotidiana, non porta alla tra
scendenza. Ad essa ci porta solo la realtà, che non è definibile in alcun
modo, anche se tutto ciò che facciamo sembra avere una propria realtà.
Ma non si tratta di questo. Anche Goethe, quando definisce
ì’Urphänomen, il fenomeno originario, primordiale, utilizza una parola,
ancora una parola. Ma nello Zen non c’è parola che possa toccare il suo
senso profondo. Bene, la musica non è altro che una meditazione Zen, a
condizione che si rinunci al pensiero. Se lei pensa alle quattro misure dei
corni, ecco, ora entrano i secondi, tre misure al flauto che è troppo alto,
non accederà mai alla meditazione; ma se le cose scorrono con fluidità lei
esce dal contesto fisico che la lega al suono: suono che è il veicolo che la
porterà a quella sostanza indefinibile - che sarebbe la realtà. Il suono, badi
bene, e non la musica: la musica non ha nulla a che vedere con il suono;
senza il suono la musica non può manifestarsi, ma la musica non è il
suono Vede? (sorride) Non abbiamo alcuna chance per entrare realmente
nel mondo nel quale viviamo: siamo costantemente fuori...
61
Interviste
Per lei, maestro, lo Zen è stato una svolta o una evoluzione graduale
della sua esistenza?
Si è trattato di una evoluzione graduale. Da giovane ho avuto la fortuna di
incontrare a Berlino un maestro buddista che aveva trascorso quattordici
anni in un monastero Zen. Io non capivo come, attraverso il Buddismo
-che presentava una serie di regole comportamentali e d’arma- si arri
vasse praticamente a non pensare; bene, quell’uomo sviluppò in me un
interesse particolare per queste cose, ma io non avevo ancora compiuto
un’esperienza Zen, e anche se mi era occorso, non ne avevo preso
coscienza. Quell’uomo ha influenzato enormemente la mia vita; egli era
aperto a tutti gli eccessi nelle cose del mondo: non conosceva modera
zione; egli faceva tre volte quello che normalmente si potesse fare, anche
nello studio, cui si dedicava con una intensità difficile a credere.Tutto ciò
10 conduceva a una fine prevedibile, come una candela accesa alle due
estremità; noi si discuteva fittamente sulle cose e i loro aspetti, sugli
aspetti e la sostanza.Accadde poi che mi imbattei in un vero monaco Zen.
11 mio primo impulso fu di conquistarlo, di mostrargli quanto io fossi
addentro a tutti gli aspetti della disciplina Zen; egli ascoltava, ascoltava,
sembrava trasparente, nulla rimaneva di quanto io gli andavo dicendo, poi
ché egli non si soffermava su nessuna mia affermazione. Si limitava a chie
dere:1^ dopo?”Allora io ricominciavo pazientemente, e con fiducia a par
largli, ma, giunto ad un certo punto, ho avvertito una sensazione di vuoto,
come una macchina che, pur col motore in funzione, non riuscisse a muo
versi.
Mi resi finalmente conto che a quel livello non c’erano vie d’uscita e gli
chiesi:“maestro, com’è?”“Così, come quell’albero” rispose. Mi è sembrato
62
Umberto Padroni: Vivere la musica
63
Interviste
nimo, ed egli non sa uscirne, egli non è libero.Anzi, sarà sempre più preso
da numerosi successivi stati d’animo, suggeriti da altri episodi, ed egli non
potrà viverne la realtà se non sarà libero.
Sono certo che lei, nel corso dell’esecuzione di Tod und Verklärung ha
vissuto una condizione di trascendenza, pur non avendone preso
coscienza.Vede? La generosità e la simpatia con cui lei si è aperto, quando
me ne parlò, non erano provocate da quella che di solito si definisce
“interpretazione”, o suggerite dalla sua cultura o dalla sua storia perso
nale: erano invece l’emanazione di un processo trascendentale. Soltanto
attraverso questo processo lei ha potuto identificarsi in me, trovare in me
quello che ha trovato in se stesso. Lei infatti non disse “è bello”, che è un
giudizio, che quindi va trasceso.
Il più alto, il più profondo complimento che mi si possa fare è dirmi: “E’
così, maestro”,“è la realtà”,“essere’’.Troppo spesso invece ci si smarrisce
in definizioni, in giudizi...
Tornando un poco alla sua attività, quali sono i criteri di scelta del suo
repertorio?
Non sono sempre personali: devo prendere in considerazione ad esempio
le esigenze della città, le attese del pubblico. Io intendo programmare la
Sinfonia n°12 di Sostakovic, ma il pubblico non ha ancora sentito alcune
cose di Brahms, di Weber, per fare due nomi. Come vede si tratta di pro
blemi di natura piuttosto pratica. Noi intendiamo fare il più possibile,
indagare uno spettro il più vasto possibile.
Anche per questo lei rinuncia a Beethoven, un autore non molto fre
quente nei suoi programmi?
Non è assente. C’è da dire che molte sue sinfonie si offrono a un’orche
stra di dimensioni ridotte. Noi siamo un’orchestra romantica, enorme:
centotrenta esecutori; non c’è orchestra al mondo che suoni Bruckner
come avviene con i Münchner...
Lei ha ottenuto con altre orchestre -dal 1963 al 1971 ha lavorato assi
duamente con l’orchestra della Radio svedese- risultati rapportabili a
quelli realizzati con la Filarmonica di Monaco?
Certamente no. L’orchestra della Radio svedese era un organico rispetta
bile che però non aveva la profondità di suono dei Münchner, inoltre io
non ho mai avuto la possibilità -non c ’erano limitazioni di motivo fisico
di lavorare come avrei desiderato: non sono mai stato direttore stabile del
64
Umberto Padroni: Vivere la musica
Lei ha un rapporto molto concreto con i suoi allievi: lei si dedica inten
samente -lo ha sempre fatto- all’attività pedagogica e formativa. Che
bilancio trae da questa attività?
Piuttosto negativo, purtroppo. Contro di noi congiurano le ristrettezze
economiche in cui tutti, io compreso, ci muoviamo.
Seguire un corso -lei capisce- significa spostarsi, finanziarsi, provvedendo
a tutto ciò che occorre lontano da casa. Insomma è difficile per tutti noi.
Inoltre c’è la tragedia del giovane direttore il quale è l’unico musicista che
studia non su uno strumento, ma davanti a un’orchestra che è già formata,
con le proprie caratteristiche psicologiche. Egli è assolutamente disar
mato, diversamente da chi siede davanti a un pianoforte e, nota dopo
nota, con pazienza e con illimitate possibilità di tempo, conquista stadi
sempre più avanzati. Ma il direttore come può? Questo giovane, dal
momento in cui sale per la prima volta sul podio, deve affermarsi contro
lo scetticismo dell’orchestra, scettica per definizione davanti a un gio
vane. Chi filtra dalla severa selezione? Colui che ha una volontà di ferro,
colui che ha un temperamento estremamente duro; ma non ci sono garan
zie che costoro conoscano anche la musica. La caratteristica delle nuove
generazioni dei direttori è l’ignoranza! Non la mancanza di talento. Vede?
Tutti coloro che oggi hanno un ruolo nella conduzione del mondo hanno
talento - ma conoscenza: zero!
Cos’è la conoscenza? L’apporto di una ricca analisi noetica. Analisi asso
lutamente necessaria, poiché prima di lasciare che il suono abbia tutta la
sua influenza su di me, io devo imparare a lavorare sul suono.
65
(39)
Foto 39 - Monaco di Baviera 1980:prove d ’orchestra.
Umberto Padroni: Vìvere la musica
C’è qualcosa che lei osserva criticamente nel mondo della musica, e
che la rattrista?
Per i giovani che si affacciano alla musica non m ’è riuscito di fare nulla di
quanto avrei dovuto fare.Avrei voluto portare con me cinquanta allievi di
talento; disporre di un’orchestra con cui fare esperienza, nutrirli, inse
gnare loro senza limitazioni organizzative. Invece abbiamo solo potuto
improvvisare.. .Tra i miei allievi ce ne sono diversi italiani che mi seguono
in modo irregolare soprattutto perché non possono permetterselo. Vede?
Essi faranno le loro esperienze per quanto sarà loro possibile, con i mezzi
e con gli strumenti che troveranno disorganicamente a disposizione, per-
67
Interviste
dendo -come è accaduto a me- dodici, quindici anni. Anni di vita. Questo
è molto triste e mi amareggia.
E poi, sempre in questo quadro, non si può non soffrire per l’andazzo cosi
superficiale preso dalla musica: fare e sentire musica con l’orologio in
mano: dov’è finita la coscienza del fatto musicale? Per non parlare dell’a
spetto materiale: oggi si assiste ad un ribaltamento dell’ordine dei valori
nel senso che è il cachet a decidere il valore dell’artista: quello che è caro
deve essere anche buono, no? Questi sono vizi che generano pericolosi
equivoci, ma una delle responsabilità maggiori, nel deterioramento dello
scenario musicale, grava sulle istituzioni: esse dispongono di orchestre, di
grandi possibilità economiche ma, nella maggior parte dei casi, sono gui
date da gente inadeguata, al di sotto del più basso livello immaginabile.
Pensi cosa avrebbe potuto fare la RAI per la vita musicale in Italia, il paese
più musicalmente dotato di tutto il pianeta. Cosa ha realizzato? Niente! Ha
reso permanente un deleterio clima di improvvisazione. Ricordo molto
bene che chi aveva il compito di decidere, anche ai massimi livelli, era
nominato da un partito, senza avere alcuna competenza.
Non si può dire che in Italia manchino uomini all’altezza di questi ruoli,
ma chissà dove sono! Certamente non al posto giusto!
...e tutto ciò crea ed alim enta attorno a lei u n ’aura mitica...
...mah, è un’aura che io proprio non cerco, sa. Io sono un uomo norma
lissimo, e le doti eccezionali che mi si attribuiscono, sono in realtà doti
che ha ciascuno. C’è una differenza, però, che in me si sono liberate, in
troppi altri uomini non ancora.
Legge molto?
Studio, leggo moltissimo. E soprattutto quelle voci europee che, a partire
dal Medioevo, tendono allo Zen. E’ una meta perseguita da innumerevoli
creatori: pensi a Meister Eckhart, pensi a Goethe. Interessatissimo alla
scienza e alla natura, uomo di indiscutibile universalità, egli era chiara
mente proiettato verso lo Zen, soprattutto quando affermava: “Prima il
sentimento, dopo il pensiero.” Questo ricorda curiosamente quell’altro
motivo di riflessione: “Prima la musica, poi le parole” (sorride) che si rife
risce all’impossibilità che la parola ha di accordarsi alla musica.
68
Umberto Padroni: Vivere la musica
69
(40)
Foto 40 - Monaco di Baviera 1982:prove d’orchestra.
Umberto Padroni: Vivere la musica
Io direi, me lo conceda, che si tratta di uno dei tanti semi da lei sparsi
negli anni, ognuno dei quali ha avuto una propria fortuna, ha dato
un proprio frutto. Nessuno s ’è perso, nessuno è caduto invano.
Arrivederci a Saluzzo, maestro.
Arrivederci! Non manchi!
71
(41)
Foto 41 - Bologna 1987, Teatro Comunale. Il Sindaco Renzo Imbeni conferisce il pre
mio “Nettuno d’oro"a Sergiu Celibidache.
VOCI D’ORCHESTRA
73
Voci d orchestra
74
Voci d ’orchestra
75
Voci d ’orchestra
76
Voci d ’orchestra
grande costruzione, anche perché la contro che aveva avuto con un pesca
sua particolare abilità era quella di tra tore di Lipari e fra le altre cose disse:
durre la fisica, l’acustica, in colori stu “Senz’altro quest’uomo era un filosofo
pendi; la sua sensibilità era meravi e i suoi progenitori erano greci: mi
gliosa, e cosi incisiva era la sua gestua diceva tante cose molto interes
lità che ci faceva capire come funzio santi. ..” nel frattempo davanti a noi
navano anche le più intricate parti avevamo il risotto con l’anguilla che
ture. Ogni volta che veniva però c’era fumava e avevamo tutti una gran fame.
la possibilità che fosse l’ultima, perché Ad un certo punto V., un funzionario
aveva sempre da dire qualcosa con della SIP che era suo ammiratore,
qualcuno che si era comportato male provò a dire qualcosa.“Maestro...” Ma il
o che non era allineato con la sua Maestro lo fulminò: “Se quello che
linea di pensiero, con la sua filosofia di deve dire Lei è più importante di
vita veramente straordinaria. A distanza quello che sto dicendo io parli pure
di anni io l’ho paragonato a Socrate, che io sto zitto.”11 funzionario tacque,
come lui ha bevuto la cicuta, e anche come paralizzato, e la storia andò
più di una volta, ma non si è mai avanti parecchio, tanto che man
arreso: di fronte agli ostacoli che rite giammo il risotto freddo, perché nes
neva superabili non scendeva mai a suno si azzardava a mangiare prima
compromessi. Al di là del fatto che era che avesse finito il racconto. Era
cosi esigente come direttore d’orche comunque un piacere ascoltarlo, e noi
stra, sceso dal podio riusciva ad essere avevamo uno straordinario affetto per
un uomo straordinario, era di grande quest’uomo che ci faceva anche pro
cultura, amava molto parlare ed era vare delle forti emozioni. Aveva un
anche molto conviviale: alle sei e grande rispetto per i solisti, e se sfer
mezza-sette, la sera, dopo aver finito la zava qualcuno, era quasi sempre uno
prova, s’andava spesso a cena e si dell’orchestra. Solo una volta in cui si
intratteneva fino alle due e mezza-tre lavorava con un famoso Trio accadde
del mattino, e per tutto il tempo par una cosa abbastanza curiosa. Mentre
lava di filosofia, di musica, di direttori; due del trio erano ottimi strumentisti,
ricordo proprio che in molte occa il terzo, cioè il violinista, era piuttosto
sioni, anche davanti all’orchestra, ha scarso di suono. Ad un certo punto il
attaccato Toscanini definendolo un brano che stavamo eseguendo richie
“direttore da corsa”. Il fagottista di deva suono, ina Celibidache esclamò
allora (A.C.), era di Parma e non voleva rivolto all’orchestra: “Con un violino
sentire una frase del genere su così cosa pretendete, il suono? Non ce
Toscanini, che per lui era un dio; così l’ha, il suono!” Un giorno l’abbiamo
ha covato dentro di sé un forte ran fatto conoscere ad Arturo Benedetti
core che è sbottato nella famosa frase: Michelangeli, siamo stati noi qui a
“Quando io facevo la musica, lei era Bologna a presentarglielo, prima non
ancora nel carrozzone degli zingari”. l’aveva mai incontrato. Diceva: “Io ho
Celibidache piantò tutto, ma poi il una grande ammirazione per questo
concerto si fece lo stesso. Anche in pianista italiano, è il più grande del
provincia facemmo molti concerti. Nei secolo ma non l’ho mai incontrato”. La
pressi di Bologna Celibidache aveva Direzione del Teatro Comunale ci ha
degli amici in particolare Fontana dato una mano, così siamo riusciti a
Liutaio di S. Pietro in Casale, con cui farli incontrare, Celibidache ha avuto
aveva un rapporto strettissimo. una speciale paralisi: è rimasto paraliz
Fontana lo aveva invitato più volte a zato di fronte a Michelangeli tanto era
dirigere un concerto in provincia fin il rispetto che aveva per lui.Tuttavia fu
ché il Maestro disse: “Vabbè, andiamo a anche critico nei suoi confronti,
fare un concerto a S. Pietro in Casale”. quando pochi giorni dopo, dialogando
Ricordo un episodio, Celibidache rac con lui, gli disse: “So che fai dei dischi,
contava, alla presenza di amici, dell’in è vero?” - “Sì, ho un contratto” - “Ma
77
Voci d ’orchestra
come si fa a fare i dischi? È come fare tenne a Bologna nel 1972-73 fu mia;
l’amore con una fotografia di Brigitte parlai con alcuni amici e insieme
Bardot. Non si può fare l’amore con andammo dal sovrintendente Badini e
una fotografia, bisogna fare l’amore dal Direttore Artistico Rattalino pre
con una donna vera, e il disco è come gandoli di convincere Celibidache a
una fotografia, la musica vera cambia tornare a Bologna per questi corsi e il
continuamente, non può essere quella Maestro, con la “scusa” dei corsi,
incisa, cambia a secondo dell’ambiente ritornò. Fu un successo strepitoso. Noi
dove si suona e dove si ascolta». Chi ha pensavamo di notte quello che si
lavorato con il maestro cinque ore al doveva fare di giorno; con queU’uomo
giorno per anni ha un’opinione c’era sempre qualcosa di imprevedi
diversa da quella che può avere un cri bile, dovevamo sempre stare all’erta,
tico che è solo un fruitore del con pronti a parare i colpi. Io presi parte a
certo in platea: noi strumentisti era tutti i corsi, fra gli allievi ricordo: Eliau
vamo in prima linea! Qualche piccolo Inbai, Ceccato, Kraft, Asensio, Inue,
errore lo avrà commesso anche lui tutti grandi direttori, ma c’erano anche
(era un essere umano) ma era tal allievi alle prime armi; venne anche il
mente vasto il suo impegno nella M° Carubissa, che era direttore del
gestione della partitura che difficil conservatorio di Bolzano. Con gli stu
mente gli sfuggiva un’entrata e denti era molto severo, li obbligava ad
riusciva a tenere saldamente in mano essere presenti la mattina alle 8,30 a
l’orchestra come se fosse una specie di fare ginnastica di braccia; urlava, non
magnete che attraeva a sé l’attenzione era compi'ensivo e li metteva in com
e la mente di tutti i Professori; il nostro petizione così che c’era sempre una
sguardo correva continuamente da lui tensione allucinante, però noi, come
alla partitura, dalla partitura a lui. Non strumentisti, abbiamo imparato tanto.
potevamo abbandonarlo neppure per La sua gestualità aiutava lo strumenti
un attimo perché era la sua gestualità sta a partire al momento giusto, con la
che creava la musica, la stia espres sonorità giusta, con l’intonazione giu
sione e la sua gestualità erano piene di sta. I suoi “levare” sono rimasti prover
musica, e ogni elemento dell’orchestra biali, il “levare” è in funzione dell’am
veniva trascinato da questo suo piezza del gesto e della velocità del
fascino. movimento e lui riusciva... Ricordo di
Quando se ne è andato io mi sono ver aver fatto un concerto con l’orchestra
gognato di far parte dell’orchestra che sinfonica siciliana al teatro greco di
lo aveva fatto andare via; in me, per un Taormina, concerto per il quale ero
certo periodo, c’è stato come un stato personalmente convocato dal
blocco mentale. Qualche anno dopo maestro: fu un successo perché con lui
andai con due amici a Monaco con anche le orchestre discrete rendevano
una lettera del Sindaco di Bologna il duecento per cento, aveva questa
Zangheri, ma i nostri sforzi riuniti non grande capacità.
bastarono a risolvere il problema: non Con lui abbiamo fatto esecuzioni
accettò di ritornare. memorabili, come “I quadri di una
Bologna perse quella volta una grande esposizione ”, “Shéhérazade ”, “Le danze
occasione, perché quello che lui fece a di Galanta”.
Heidelberg, cioè l’istituzione di un Dopo una esecuzione del Bolero di
corso seguito da centinaia di ragazzi Ravel, alla fine del concerto ci fu chie
che venivano da tutto il mondo, sto il bis; noi strumentisti eravamo
poteva essere fatto a Bologna, che “cotti” ma il Maestro si rivolse a noi,
avrebbe potuto diventare un centro soprattutto agli ottoni, e ci chiese se
universale per la direzione d’orchestra. ce la sentivamo: noi accettammo è
Purtroppo la sensibilità dei politici tutto andò benissimo. 11 trombonista,
spesso non collima con quella dei Piero Uccelli, sempre molto bravo, in
grandi artisti. L’idea dei corsi che quell’occasione fece un assolo stu
78
n
Voci d ’orchestra
79
Voci d'orchestra
P
terno del Teatro. Una scuola, e osservando che erano ricchi
volta la Direzione di bei voti, come incoraggiamento e
ritenne che il camerino premio gli fece una bella dedica. Si
riservato ai direttori comportò allo stesso modo anche
d’orchestra fosse inade con Willy, figlio di Eugenio Amadori,
guato e perciò ne scelse pittore.
uno al piano superiore,
un locale molto più PS. La sua permanenza a Bologna ha
ampio di quello prece fatto maturare all’orchestra una
dente, dotato anche di coscienza critica tanto che vi fu una
letto e doccia, per grande protesta contro la direzione
migliorare il soggiorno che ci propinò un cartellone sinfonico
in Teatro dei "direttori di basso livello e l’orchestra si rifiutò
(47) ospiti. Celibidache di entrare in teatro per cinque giorni
Giuliano Giuliani, corno inglese. arrivò, vide che lo di seguito. Credo che questo sia stato
accompagnavano al il primo sciopero fatto da una compa
piano superiore e subito disse: “Io non gine sinfonica, fatto non per rivendi
voglio andare lassù!!” e chiese:“Chi ha care un salario più alto, ma per conte
occupato il mio camerino?” Gli fu stare una cattiva programmazione arti
risposto: “Il segretario generale” e lui stica.
urlò “Io voglio il camerino di Verdi”. Da
allora, per protesta, si svestiva e met
teva vestiti, bacchetta e il suo portafo GIULIANO GIULIANI
glio sul cestone che conteneva la gran- corno inglese
cassa, lasciava tutto lì e non volle mai Quel baciamano
entrare nel suo nuovo camerino, che f u l’evento dell’estate
era più bello e confortevole.
Voglio ricordare un aneddoto piace La venuta a Bologna del Maestro pola
vole. Il Maestro non era sempre rizzava tutto il teatro, eravamo tutti in
severo ed autoritario, con i bambini fibrillazione perché fin dalle prime
era fantastico: un giorno stavamo pro prove Celibidache richiedeva all’orche
vando Shéhérazade e mia moglie stra la massima precisione esecutiva e
venne ad assistere alla prova con l’assoluto rispetto della sua interpreta
nostro figlio Luca di 6 anni. zione dello spartito. Le esecuzioni del
Raggiunsero senza far rumore un maestro sono tuttora indimenticabili e
palco di prim’ordine, ma ad un tratto irripetibili. Anche il corso di direzione
al piccolo sfuggì un colpo di tosse. Il d’orchestra per giovani direttori che
Maestro si girò nella loro direzione, ha presieduto per alcuni anni presso il
subito chiamò il signor V. (amico nostro teatro fu per noi un’esperienza
fedele). Mia moglie prese per mano il musicale fortemente coinvolgente: il
piccolo e tentò di uscire ma nello maestro riusciva, infatti, a polarizzare
stesso istante si trovò di fronte il l’attenzione di tutta l’orchestra con le .
signore sopracitato verso il quale sue sapienti spiegazioni sulla tecnica
esternò le sue scuse, ma questo la direttoriale e sulla ricostruzione filolo
bloccò dicendo: “Non c ’è nulla da gica dei brani.
scusarsi Signora, il Maestro vuole che Durante il lavoro i momenti di ten
accompagni il suo bimbo in palcosce sione non mancavano mai poiché nes
nico”. Il Maestro prese il bimbo, lo suna incertezza esecutiva passava inos
sollevò sul podio, gli mise la bac servata e anche l’errore più banale era
chetta in mano e disse: “Professori oggetto di rimproveri plateali. Allo
proseguiamo’’.Alla fine invitò i colle stesso tempo però il maestro sapeva
ghi ad applaudire battendo l’arco sul valorizzare con enfasi le singole pro-
80
Voci d ’orchestra
81
Voci d ’orchestra
Nonostante siano ormai trascorsi tanti del Teatro Comunale), episodio che si
anni mi piace ricordare questo episo realizzò verso la metà degli anni
dio. Arrivai alla prova del primo con Sessanta. Gli amministratori del
certo con un quarto d’ora di ritardo (il comune di Bologna, al termine di una
disguido si verificò poiché non mi era nostra prova pomeridiana ricevettero
stato comunicato l’orario): natural in Comune il Maestro ed alcuni rap
mente e giustamente venni rimprove presentanti dell’orchestra: il professor
rato dal Maestro di fronte a tutta l’or Giovannini (primo violoncello), il pro
chestra. Egli non volle sentire ragioni e fessor Pesci (altra prima viola) e il pro
spiegazioni ma dalla mia avevo un pri fessor Federici (basso tuba fantastico
vilegio: il Maestro già mi conosceva ed anche ottimo chitarrista e liutista).
poiché avevo collaborato con lui a Il Sindaco aveva preparato per il
Catania, dove aveva diretto l’anno pre Maestro un piccolo rinfresco, consueto
cedente alcuni concerti. Già da allora, e normale in queste occasioni, ma ciò
ed in seguito poi a Bologna, ébbe ini che non fu normale e consueto fu che
zio il mio rapporto con il grande diret a servire tale rinfresco, non fu il clas
tore, rapporto che si protrasse per sico cameriere in livrea ma, sorpresa, il
oltre quarant’anni; il nostro fu un soda Ragionier P., economo capo del
lizio professionale e una amicizia che Comune di Bologna per oltre quaran
durò fino alla sua morte. t’anni e contemporaneamente eco
Il maestro fin dai primi tempi si era nomo e tesoriere del Teatro Comunale.
inserito molto bene a Bologna: gli piac Il ragionier P. era un uomo di rara virtù
que subito la città e la sua cultura, e di una onestà cristallina: lo vedo
entrò in rapporto stretto con gli ammi ancora davanti agli occhi, in piedi con
nistratori degli anni Cinquanta; con il vassoi vari, che indossava la consueta
sindaco Dozza, il vice sindaco giacca bianca propria dei camerieri.
Borghese e con gli assessori Cenerini e Nel 1973 la grande definitiva rottura,
Zangheri. Grande è stato il contributo rottura che avvenne in circostanza del
artistico musicale che il Maestro ha corso internazionale per direttori d’or
dato alla città, nel corso della sua ven chestra. L’episodio scatenante che, per
tennale collaborazione, contributo che chi ne è a conoscenza potrebbe appa
raggiunse l’apice in un particolare rire banale, si rivelò invece molto serio
concerto, in collaborazione con e si poteva probabilmente evitare.
l’Accademia Filarmonica e l’eccezio Il mattino seguente l’incidente,
nale apporto solistico di Arturo assieme all’amico e collega Tito Gotti
Benedetti Michelangeli, con musiche accompagnammo il Maestro all’aero
di Accademici del passato: Verdi porto; il Maestro più che di cattivo
(Sinfonia dalla Forza del Destino), umore era molto triste e deluso e pro
Debussy (Notturni), Mozart (concerto nunciò una frase piena di dolore:
per pianoforte e orchestra), Martucci “dopo vent’anni di dedizione assoluta
(Notturno), Ravel (Daphnis e Chloé). e di amore per questa città che amavo,
L’esecuzione fu da antologia e chi mi si è buttato come si fa con le
ebbe la fortuna di ascoltarla non la scarpe rotte”.
potrà dimenticare.Questa fu per me la E’ un beffardo destino per Bologna,
più significativa interpretazione musi perché ciò che è accaduto al maestro
cale a cui abbia partecipato nel corso Celibidache già accadde a Rossini nel
della mia lunga carriera. 1848, a Toscanini nel 1931 ( per il
Ed ora vorrei parlare un po’ non delle noto episodio dell’aggressione), e alla
sue doti musicali e direttoriali, univer fine degli anni Sessanta ad Arturo
salmente riconosciute, ma delle sue Benedetti Michelangeli.
grandi doti morali ed umane. Mi piace Per quanto mi riguarda ho continuato
ricordare a proposito un episodio del a collaborare con il maestro che mi
quale sono stato testimone assieme chiamò nel 1981 a sostituire la prima
all’amico e collega Girati (primo corno tromba alla Filarmonica di Monaco in
82
Voci d ’orchestra
83
Voci d ’orchestra
84
Voci d ’orchestra
85
Voci d ’orchestra
86
Voci d ’orchestra
87
Voci d ’orchestra
88
Voci d ’orchestra
89
Voci d'orchestra
90
Voci d ’orchestra
in questi casi, che un paio d’ore prima un po’ divaricate, come fa la maggior
del concerto si effettui la cosiddetta parte dei direttori, che sembrano più
prova di acustica, della durata di circa dei vigili urbani che direttori d’orche
mezz’ora, che serve, appunto, ad stra (ma molti praticano la direzione
ambientare l’orchestra in un ambiente d’orchestra come una direzione del traf
sonoro diverso, e prendere qualche fico), no, Celibidache stava, come posi
precauzione in merito. In quella prova zione base, su una gamba sola, come
di acustica il nostro collega in que nella posizione di riposo dei soldati,
stione non era venuto. Non appena con la gamba libera leggermente avanti
Celibidache sale sul podio nota quella a quella di appoggio. Questa posizione
terribile assenza “Non c’è quel cava dà al direttore un aspetto disinvolto ed
liere?” dice rivolto a me. Io natural elegante e, soprattutto, gli permette di
mente non so rispondergli perché non muoversi con estrema disinvoltura pas
sono informato. Quindi il maestro dà sando da una gamba all’altra per rivol
libero sfogo a ciò che lo rodeva da una gersi ai vari settoi'i dell’orchestra onde
settimana, dicendo che era una cosa sollecitarne l’attenzione e la partecipa
impossibile, che dovevo (io) dirgli zione. Niente di più naturale dunque
come si doveva suonare, eccetera che, in una musica ispirata alla danza, ci
eccetera. Ovviamente io non feci altro si possa muovere quasi danzando. Ma
che stringermi nelle spalle, per dire Celibidache, quando accemiava alla
che, ammesso che ci fosse qualcosa da danza, non lo faceva con le gambe ma
dire, non toccava certo a me dirlo. col corpo, anzi col bacino, insomma
Perché dunque un tipo come dimenava il sedere, ma in modo molto
Celibidache non ha detto quello che divertitente e ironico. Bé, era elegante
sentiva al diretto interessato? Rispetto anche in questi casi. E c’è da dire che
per l’anziano? Non credo: se si rispetta erano gli unici momenti in cui dirigeva
una persona non la si svergogna di con gioia, e la manifestava. Perché di
fronte ai colleghi in sua assenza. solito il suo modo di affrontare la
Allora? Chissà! Ma qui si tratta di musica era sempre apprensivo, sempre
nuovo dell’uomo Celibidache, mentre eccessivamente attento che tutto fosse
si vuol parlare del Maestro. esattamente come voleva lui, e estrema-
Dopo l’impressionismo le musiche in mente reattivo ad ogni minima scorret
cui più eccelleva erano quelle descrit tezza. In pratica dirigeva sempre acci
tive o a programma e quelle ispirate alla gliato o con espressione irata verso
danza. Insomnia i vari tipi di poemi sin qualcuno. Non si abbandonava mai alla
fonici, massimamente quelli di musicisti musica perché la teneva sempre sotto
russi o slavi. Shéhérazade, Danze polo- controllo. Per questo con lui erano più
vesìane, Danze di Galanta, belle le prove del concerto, infatti nelle
Petrouchka, Una notte sul monte prove era rilassato e si divertiva, ed era
Calvo erano i suoi cavalli di battaglia. lì che si concedeva alla musica. Ma il
Per noi, tutti questi brani erano diven culmine della sua interpretazione era
tati, dopo di lui,“musica proibita”per nei Quadri da u n ’esposizione. Questo
ogni altro direttore. Nessuno riusciva ad brano può senz’altro essere preso come
emozionarci come Celibidache. Infatti rappresentativo della figura di
dopo la sua grande sensibilità per le più Celibidache come musicista. Lo amava
sofisticate sfumature sonore, il senso moltissimo, considerando la frequenza
della danza era il dato più notevole con cui lo inseriva nei suoi programmi,
della sua musicalità. Ballava proprio sul e lo eseguiva in modo straordinario per
podio, ovviamente senza perdere mini ché in quella musica ci sono tutti gli
mamente la sua perfetta figura diretto elementi che toccavano le sue corde: la
riale. Ciò che gli permetteva questo dis dinamica, il contrasto ritmico, la bella
involto movimento era il suo modo di frase musicale, la danza, l’effetto colori
stare sulle gambe durante la direzione. stico, il virtuosismo, la grandiosità,
Non piantato sulle due gambe rigide e insomma, tutti quegli elementi che, pur
91
Voci d ’orchestra
92
Voci d ’orchestra
93
Voci d ’orchestra
che emerse sempre nei Quadri. collettività, non per cattiveria o autori
Nel sesto tempo dei Quadri, “Samuel”, tarismo, ma perché tutti i colleghi,
la prima tromba, ha un passo di rara assieme a te debbono correggere l’er
bellezza, non facile tecnicamente e rore.
insidioso, una figura ritmica di terzi Rigore, intransigenza, umanità, sono
nati veloci inframmezati da acciacca valori che l’uomo può utilizzare bene
ture e mordenti che il nostro collega e male, e Celibidache sapeva utiliz
fece bene per tutte le prove, ma la zarli; da lui ho visto l’impiego dell’o
sera del concerto in quel punto capitò biettività, ma chi lo denigrava lo
un incidente. Vedemmo il disappunto poteva accusare di dare eccessivo spa
del collega e tutti fummo dispiaciuti zio alla meritocrazia.
per la situazione personale e la ten Lo sentii aggredire dei colleglli e tra
sione collettiva che si determinò. questi anche un giovane per aver
Peccato, dicemmo, ma l’attimo era commesso degli errori, ma a distanza
passato e in musica non lo st può cor di un anno fermò l’orchestra e fece
reggere! applaudire quello stesso collega che
Venne richiesto il bis, da un pubblico aveva realizzato una sonorità di ottimo
entusiasta che apprezzò molto l’esecu livello.
zione e il bis... naturalmente, fu per
scelta di Celibidache “Samuel”. Dissi a
Z., un mio collega percussionista, che LUCIANO TAMBURINI
quando questo avveniva a scuola era contrabbasso di fila
perché un insegnante voleva metterti Una vicinanza nuova.
in difficoltà.“No!” disse Z.“quel nostro
collega ha fatto bene fino alla recita, il Ricordo il mio primo concerto con il
pubblico è entusiasta di questa esecu M“ Celibidache avvenuto al Teatro
zione e vuoi che Celibidache lo lasci Comunale di Bologna.
fuori da questo entusiasmo? Gli sta Io, giovane vincitore di concorso,
dando la possibilità di rifarsi di fronte ultimo arrivato, di fronte a tale pre
al pubblico”. senza ero quasi intimidito. Subito,
Ecco un altro aspetto dell’umanità di però, ne apprezzai la presenza sul
Celibidache e di come intendesse il podio, il carisma e la conseguente
rigore nel nostro lavoro. disciplina in orchestra, che non era, a
Per la cronaca, con il quell’epoca, il punto forte del com
bis anche il nostro col plesso.
lega fece parte dell’en Con Celibidache imparai a capire “chi
tusiasmo del pubblico. guida”, cioè, chi ha il tema principale
Il nostro lavoro è un che, solo, doveva emergere, strumento
lavoro di quotidiane o sezione che fosse.Tutto il resto
verifiche svolte di doveva realizzare una sonorità infe
fronte a tutti: ognuno di riore. Il risultato era sempre e comun
noi si confronta con que tanta musica. Ricordo il grande
l’orchestra tutti i giorni distacco fra lui e l’orchestra quando
e i problemi sono socia era sul podio e, al contrario, la grande
lizzati. Tutti sanno che vicinanza umana di quando, dopo il
tu hai sbagliato e ci concerto, si andava a cena insieme.
siamo fermati perché Ricordo anche di quando voleva quei
dobbiamo mettere a pianissimi, quasi impossibili:
punto quel problema. piano...più piano, e di come il sorriso
E’ come dire che in un gli illuminava il volto, quando otte
ufficio il capufficio si neva quello che voleva. In una di que
(5 2 ) accorge che l’impiegato ste occasioni, tanta era la mia tensione
Luciano Tamburini, ha commesso un errore che, guardando il mio arco per con
contrabbasso di fila. e lo comunica a tutta la trollare meglio la pressione, vidi che
94
Voci d ’orchestra
era distante due dita dalla corda e non 1995: quasi vent’anni sono trascorsi
la sfiorava nemmeno. dall’ultimo concerto. Vieni a dirigere
Come non ricordare, poi, il grande un Concerto con l’Orchestra Svedese
concerto tenuto con Benedetti al Conservatorio di Milano.
Michelangeli, o la magnifica esecu Vengo in sala Verdi per poterti salu
zione dei Quadri di una esposizione? tare, ma un cerbero ispettore mi
Grande concertatore, Celibidache era ferma davanti al camerino.“Il Maestro
uno di quelli che dall’esecuzione otte è molto stanco e non riceve nessuno!”
neva e realizzava ciò che aveva chie Bene, io le faccio una proposta: apra la
sto in prova. Il suo ricordo è grande, porta, se il Maestro non mi vuole par
come grande è stata la crescita dell’or lare io le pago una cena al “Savini”! Mi
chestra in quegli anni sotto la sua guarda preoccupato,
direzione. apre la porta e tu
seduto sul divanetto mi
guardi e con un*grande
PAOLO VARETTI sorriso dici:“Varetti
primo flauto cosa fai qui!?”
Lacrime di felicità. Lascio immaginare la
mia commozione, t’ab
23 gennaio 1953: in orchestra viene braccio piangendo:
mostrato un depliant con le foto del Grazie, grazie Maestro,
Maestro che dirige! di tutto.
Capelli nerissimi, una grinta da far Ti ricordi quella volta
paura!! Ma anche sorridente ed accat che parlavi con i violon
tivante: “Mamma mia!” (Quante volte celli ed io guardavo il
abbiamo sentito questa esclama flauto senza ascoltarti?
zione!!!) Mi urlasti: “Ecco il solito
...E venne il grande giorno: ci guarda distratto, non ascolti
tutti in volto, mi devo essere fatto pic quello che dico, vale
colissimo! anche per te!”
Ho pagato a carissimo prezzo la mia Sei scoppiato in una (53)
presunzione di “bravo flautista”. grande risata:“E’ vero Paolo Varetti, p rim o flauto.
Musicista io? Di fronte a questo mi ricordo.”Ti abbrac
Grande mi sono reso conto della mia cio, mi faccio serio:“Hai
pochezza, dei miei pressappochismi in prova di acustica, vero? Questa sera
cui fino ad allora mi ero adagiato! hai il concerto! Vero?”
Caro Maestro quanto ti debbo! Ma Mi guardi perplesso, proseguo: “Io non
quanto ti deve l’umanità intera! Come ci sarò, morirei di dolore a sentire un
dimenticare il “solo” dell’ultimo tempo flautista sotto la tua direzione che non
della Quarta sinfonia di Brahms (otto sono io. Mai e poi mai, Maestro!”
o dieci volte me lo facesti ripetere: Ti abbraccio stretto e scappo via
“No! Troppo femminile! No! Troppo dicendo:“Arrivederci a presto!”
maschio! No! No! No! Ma andiamo Agosto 1996: l’annunciatrice della
avanti!”Al mattino seguente, prova televisione comunica: “È morto il
generale, mi ci butto dentro con tutto Maestro Sergiu Celibidache.”
me stesso con tanto amore!!! Il silenzio nella mia piccola casa è
Il Tuo urlo “Sì! Questo è Brahms!” rotto solamente dei miei singhiozzi.
Facesti alzare tutta l’Orchestra ad Quando ti penso (e succede molto
applaudirmi! spesso) ti penso come il mio papà
Tornato a casa dopo la prova vedevo della musica, e, quando sarà il mio
la gente che mi osservava! Perché? momento, ti prego accoglimi nella tua
Forse avevo qualcosa nel vestito o grande orchestra di lassù... Però sem
nella faccia? Mi tocco il viso: pian pre come primo flauto!!!
gevo: lacrime di felicità! Ti abbraccio
95
Voci d ’orchestra
96
Voci d ’orchestra
97
Voci d ’orchestra
98
(55)
Foto 55 - Bologna 1957 (aprile):Sergiu Celibidache e i cornisti dell’Orchestra
Sinfonica del Teatro Comunale.
(56)
Foto 56 - L’orchestra del Teatro Comunale diretta dal Maestro Celibidache in un
dipinto del violinista Eugenio Amadori.
GLI ALLIEVI
101
Gli Allievi
102
Gli Allievi
mise la mano in tasca e tirò fuori tre era riposta la vera grandezza di que
mila marchi, senza che io avessi chie sto musicista e uomo straordinario.
sto nulla, e me li diede: “Prendili e fai Era nel darsi e nel dare ai suoi allievi
riparare la tua auto” mi disse. il suo sapere, il più grande in campo
Ricordo che mio padre me li conse musicale, che mai io abbia visto. Un
gnò da restituire. Quando lo vidi la giorno, a Saluzzo, durante uno dei
volta seguente alPUniversità di pochissimi Seminari che fece in
Mainz, dove seguivamo i suoi semi Italia, aveva la febbre ed era a letto.
nari di Fenomenologia della Musica, Mi chiese se potevo andare a com
non voleva assolutamente prenderli prargli un giornale. Al ritorno, col
e faticai tantissimo per convincerlo: giornale, nella camera da letto mi
“Il danaro non ha molta importanza - disse: “Mettiti di fronte a me e bat
mi disse - se non per aiutare chi è timi l’inizio dell’Eroica”. Bruckner
nel bisogno”. era l’autore che sicuramente amava
Ora a Monaco, dove più ha lasciato di più dirigere. Me lo disse una volta
l’impronta del suo grande lavoro, ne a Monaco facendomi capire che solo
fanno un mito. Recentemente ho questo straordinario sinfonista era
diretto al Gasteig, luogo mitico di stato capace di padroneggiare tre
quegli anni di studio e, ho potuto temi nella Forma Sonata e che nes
constatare che ogni vetrina, ogni suno dopo di lui aveva più potuto
biglietteria, ogni spazio è riempito di scrivere Sinfonie.Triangolazione era
cose che parlano di lui. Libri, dischi, la parola che usava per descrivere la
saggi, e gadget. Ma per chi l’ha cono forma bruckneriana.
sciuto da vicino come me sa dove
103
(57)
Foto 57 - Bologna 1970, Teatro Comunale: Celibidache con la figlia e la nipote di
Guglielmo Marconi.
GLI AMICI
105
Gli Amici
106
(60 )
Foto 59 - Imola 1970: il Maestro al ristorante San Domenico con Luca Visani.
Foto 60 - Imola 1970: il Maestro al ristorante San Domenico con lo chef Romano Visani,
Gli Amici
108
Gli Amici
sedere, aveva sempre con sé una nibili contro gli Italiani. “Mi ero fer
enorme poltrona bianca che portava mato per aiutarlo - mi raccontò
ovunque. Ci raccontò della Romania, Celibidache - ma ho sentito le cose
del suo proposito umanitario, delle che diceva e l’ho preso a pugni”.
difficoltà che incontrava ad organiz
zare i camion degli aiuti anche a Dell’Italia il Maestro amava però
causa degli eccessivi costi d’assicu molto anche la cucina. Quando lo
razione contro i rischi determinati andammo a trovare a Monaco, gli
dalla situazione politica rumena. portammo praticamente un pranzo
Probabilmente avrebbe dovuto completo: tortellini, bollito ed altri
rinunciare a gran parte della spedi cibi italiani che consumammo nel
zione medesima. “Come faccio a diri ristorante accanto l’auditorio dopo
gere Prokof’ev con lo stato d ’animo che il Maestro ebbe avvertito la
che ho” disse. Poi finì il concerto. Fu
cucina del ristorante di questa “ecce
splendido, come sempre. Ci rive zionalità”.
demmo l’indomani a Monaco e Anche l’ultima volta che sono stato
subito c chiese “avete i biglietti?”; ad un suo concerto ho portato del
per lui era automatico fare questa cibo. Eravamo in quattro e andammo
domanda tutte le volte in cui vedeva a sentire il Requiem di Verdi. Fu
qualcuno che veniva da fuori. Come ancora una volta u n ’esperienza
da lui previsto non ci avevamo pen memorabile, prima la musica e poi
sato. Celibidache, allora, chiamò una quella pausa che sembra lunghissima
delle maschere: “quando chiudono le tra la fine dell’esecuzione e l’inizio
porte - si raccomandò -, loro entrano degli applausi del pubblico. Quando
e vanno ad occupare i posti vuoti e sono tornato a casa gli ho telefo
se non ce ne fossero, si siederanno nato. Di solito faceva fare “filtro” alla
per terra”. moglie. Questa volta invece la
moglie mi disse: “telefoni domani
Celibidache amava molto l’Italia, mattina alle dieci in punto che glielo
forse anche perché era una terra che passo”. Io così feci e lui venne al
rappresentava molto per la musica. telefono. “Maestro, abbiamo ascoltato
Una volta mi raccontò di avere il Requiem e siamo rimasti impres
anche fatto a pugni per l’onore sionati dall’esecuzione...” dissi.
dell’Italia e degli Italiani. Prese a “Lascia stare - troncò lui - dimmi
pugni un automobilista incontrato piuttosto dove lo prendi quel for
mentre andava alla Chigiana per dei maggio che mi hai fatto arrivare in
corsi. camerino”.“L’ho preso al caseificio -
Dopo essere rimasto vittima di un risposi - quando ne vuole glielo
banale incidente stradale l’automobi mandiamo”. Fu l’ultima volta che gli
lista tedesco gridava cose impropo ho parlato.
109
(62)
Foto 61, 62 - Bologna, 1970: Sergiu Celibidache con amici.
(64)
Foto 63 - Fusignano (Ravenna), 1972: rinfresco con gli amici dopo il concerto con i
Filarmonici del Teatro Comunale di Bologna.
Foto 64 - Bologna 1970: il Maestro con un gruppo di amici.
(65)
Foto 65 - Bologna 1962, Teatro Comunale: il Maestro con gli amici. Da destra:
Valentino Cuccoli, Celibidache, Sig.ra Dagnini...
APPARATI
113
(66) (67)
Foto 66, 67 - Monaco di Baviera 1983, Gasteig:prove d’orchestra.
Il “legato”sonoro eli Celibidache al teatro comunale di Bologna.
Celibidache per i mezzi di riproduzione sonora e la sua fiera battaglia contro il mer
cimonio della musica da parte delle case discografiche e di certi suoi grandi colleghi
che invece, proprio in quegli anni, alla pratica della registrazione sonora su disco si
dedicarono anima e corpo. Ed è altrettanto noto l’inevitabile fenomeno provocato da
questa radicale scelta di vita: l’incredibile proliferazione cioè di dischi e compact disc
“pirata”negli anni ‘70,‘80 e ‘90, contenenti registrazioni non autorizzate, spesso di cat
tiva qualità sonora, che in quel periodo costituivano l’unico mezzo per venire in con
tatto con l’arte direttoriale di Celibidache anche da parte di chi non poteva permet
tersi di seguire il Maestro nelle sue sempre più rare apparizioni concertistiche. Una
discografia non ufficiale vastissima e non completamente documentabile che i nume
rosi fan di Celibidache si sono scambiati negli anni alla stregua di merce proibita e con
un atteggiamento di stramba complicità Carbonara. Una sorte toccata, ma in misura
minore, anche ad altri due artisti poco simpatizzanti del disco: Arturo Benedetti
Michelangeli e Carlos Kleiber. Ben diversamente si è evoluta la questione all'indomani
della morte di Celibidache avvenuta il 14 agosto 1996: allorché il figlio Serge loan ha
immediatamente intrapreso una capillare schedatura di tutte le registrazioni dal vivo
di Celibidache esistenti al mondo e ha successivamente autorizzato la Emi di Londra
e la Deutsche Grammophon di Amburgo a pubblicare in compact disc il materiale più
pregiato. Una cinquantina di compact disc ormai, quasi cento ore di musica registrata
con i più alti livelli di qualità sonora sono ora disponibili nei cataloghi ufficiali di que
ste due multinazionali del disco.
Questa improvvisa ed eccezionale disponibilità di testimonianze registrate di
Sergiu Celibidache non toglie assolutamente fascino all’ascolto degli otto mirabili
nastri di proprietà del Teatro Comunale di Bologna, ad onta della mediocre qualità
della registrazione che certamente impoverisce il bellissimo suono che Celibidache
sapeva trarre da un’orchestra come ciucila bolognese; e per di più non rende per nulla
giustizia dell’altrettanto celebrata acustica della sala del Bibiena.
Una delle testimonianze più commoventi di questi otto gioielli strappati alla memo
ria del tempo è quella registrata martedì 6 ottobre 1970, serata monografica dedicata
a Beethoven:Egmont Ouverture op. 84, Sinfonie n. 2 e 5. Straordinaria la compattezza
degli archi nei primi accordi dell 'Egmont, ancor più inquietante il loro colore livido.
La tensione ottenuta da Celibidache in tutto il pezzo è ovvia, ma addirittura impres
sionante è la stretta finale dell’ouverture: come se improvvisamente tutta l’orchestra,
tutto il teatro, tutte le sue colonne, i suoi palchi, le sue retrovie, i suoi macchinari,
tutto, anche il pubblico e noi che dopo trent’anni ascoltiamo con lui, fossimo travolti
da una inusitata forza naturale, da una energia lunga, saggia, che viene da lontano ma
sentiamo essere inesorabile: un’onda anomala che tutto travolge e trascina con sé. Si
avverte chiaramente che il pubblico è in apnea: il silenzio in sala è da studio-recording.
All’ultimo accordo l’urlo liberatorio di uno spettatore sincero (“Braavi!!”) aiuta quasi
ad uscire da questa ubriacatura di suono, tanto che sembra persino terapeutico l’at
tacco dell’Adagio molto della Sinfonia n. 2 in re maggiore (Celibidache era un maestro
nell’impaginazione dei programmi). La concertazione è come al solito mirabile e gli
strumentisti del Comunale fanno a gara per piegare il suono emesso dal proprio stru
mento ai voleri insindacabili del grande rumeno: riescono a fare sfoggio di sonorità al
limite dell’udibile, di una pasta sonora sempre piena e viva, di un legato meraviglioso.
Qualche piccola macchia qua e là, qualche suono strisciato degli archi (la registrazione
priva di smalto e di profondità non aiuta) non scalfisce di una virgola l’eccezionale
rilettura di questa sinfonia giovanile, tanto che certi scatti di suono, certi strappi bee-
thoveniani magnificamente realizzati nel finale (Allegro molto), accompagnati come
sempre dal tipico mugugnare di Celibidache (addirittura si avverte chiaramente sul
l'orchestra la consonante t del suo celebre “ttiaa!!”) sono più convincenti qui che non
in altre prove con orchestre più blasonate (vedi registrazioni Rai e Radio Stoccarda).
Con ancor maggiore evidenza si può avvertire tutto ciò nella successiva Quinta
Sinfonia, opex-a certamente più in repertorio per l’orchestra e quindi meglio eseguita.
L’urgenza ritmica e la tensione impressa a questa musica incendiaria, pur con le
115
(69)
Foto 68, 69 - Monaco di Baviera 1983, Gasteig:prove d’orchestra.
Il “legato”sonoro di Celibidache al teatro comunale di Bologna.
dovute e quasi ovvie differenze sulla condotta dei tempi e delle dinamiche, ricorda
molto l'intensità della lettura di Arturo Toscanini, ed è fisicamente avvertibile lo stato
di estasi in cui si trova l’orchestra: un corpo unico, un unico organismo vivente che
respira, sbuffa, si contorce, sospira, rattrappisce, si esalta col direttore. Un’esperienza
galvanizzante: basterebbe ascoltare con quale dolcezza e fil di voce il clarinetto con
duce la sua lunga e famosa frase nel secondo movimento (Andante con moto), oppure
ricordare la bellezza, la compattezza, la varietà del suono delle trombe nelle loro altret
tanto celebri perorazioni nel medesimo movimento, per rendersi conto della gran
dezza di Celibidache. La registrazione del Comunale è purtroppo insufficiente a con
tenere l’ampiezza del volume sonoro di certi stupefacenti fortissimi, ai quali spesso si
aggiunge la voce spiritata e come posseduta da un demone del maestro: un’abitudine
che in anni successivi e con diverse orchestre Celibidache avrebbe poi mitigato, ma
che qui rende questi documenti ancor più commoventi e caratteristici. Quasi che egli
dovesse aiutarsi oltre che con il corpo anche con la voce a cavar fuori da un’orche
stra un po’riottosa quella forza furibonda che si sprigiona da‘quella gran partitura. Il
cui finale (Allegro) è letteralmente un manuale di tecnica direttoriale, di sapienza
musicale, di fantasia, di originalità, di sensibilità: tanto da suggerire di dover essere stu
diato e adottato come libro di testo in ogni conservatorio, accademia o scuola musi
cale.
Replicato il medesimo “tutto Beethoven”il 7 e l’8 ottobre, neanche cinque giorni di
stacco ed ecco Sergiu Celibidache dirigere il martedì 13 ottobre 1970 un programma
a lui assai caro: Sinfonia del Guglielmo Teli di Rossini, Prélude à l’après midi d’un
faune di Debussy, En Saga di Sibelius e Shéhérazade di Rimskij-Korsakov. La registra
zione chissà perché è molto più bella, il suono più presente ma, ahimè, una brutta
interferenza elettromagnetica (un radiogiornale dell’epoca) disturba tutta la prima
parte della Sinfonia rossiniana. Peccato, perché ad una conduzione assolutamente poe
tica dell’Andante iniziale, come impregnata di una sotterranea tensione che vuole
sbocciare in tutta la sua potenza, segue una realizzazione addirittura incontenibile
dell’Allegro, con il raggiungimento di un acme sonoro che getta una luce assai
moderna a tutto il brano. Il successivo dialogo flauto-corno inglese è un’altra perla di
coinvolgimento e di capacità narrativa. L’esplosione ritmico-sonora dell’ultima più
celeberrima sezione in Allegro vivace ha qualcosa di diabolico: la leggerezza e la fra
granza degli archi, lo stacco vertiginoso del tempo nel fortissimo, la straordinaria ela
sticità ritmica, l’ironia pungente, insomma tutto contribuisce a delineare una delle più
irresistibili e rivelatrici esecuzioni mai ascoltate di questa pagina. L’attacco del Prélude
ù l’après midi d’un faune è l’ennesimo miracolo sonoro: come avrà mai fatto ad otte
nere dal bravissimo strumentista del Comunale quel suono arcano, come proveniente
da molto lontano, che pian piano si insinua nell’orchestra? Una meraviglia. E meravi
glia nella meraviglia è l’attacco in pianissimo degli archi e tutto il successivo dialogo
flauto, arpa, clarinetto, oboe, archi. Come lo è tutta la straordinaria conduzione delle
ampie frasi orchestrali, le aperture, le chiusure, gli abbandoni, le riprese, i rubati.
Stregonerie. Dopo Una Saga di Sibelius (“novità per Bologna”recita la locandina) con
qualche caduta di tensione e di precisione esecutiva da parte di strumentisti eviden
temente provati dalle intensità faunesche, ecco la fantasmagorica Shéhérazade di
Rimskij-Korsakov, in cui al Nostro riesce di riportare l’orchestra del Comunale a
momenti di concentrazione e di prestanza fisica assolutamente di prim’ordine. E con
la forza delle sue idee e della sua coerenza musicale l’opera si smarca completamente
dalla sua lussureggiante e un po’superficiale ricchezza orchestrale per trasformarsi in
una pagina di inaudita violenza espressiva.
E il 21 aprile 1971 e Celibidache torna al Comunale per il suo amato Musorgskij
(Notte sul Monte Calvo e Quadri di un’esposizione') e per il suo amatissimo Idillio
di Sigfrido di Wagner: la registrazione documenta un’esecuzione non impeccabile
delle tre opere, qualche incidente capita qua e là, e ci viene da pensare che poco bene
devono aver dormito quella notte i malcapitati strumentisti.Anche Celibidache a tratti
non sembra dominare completamente l’assieme, ma alcune trovate timbriche e di fra-
117
A**
4 F
(70)
Foto 70 - Monaco eli Baviera 1980:prove d’orchestra.
II “legato"sonoro di Celibidache al teatro comunale di Bologna.
seggio dei Quadri fanno letteralmente saltax-e sulla poltrona. Dettagli isolati che pur
nelle loro imperfezioni esecutive, riescono addirittura più illuminanti che nella suc
cessiva esecuzione del 1987 con i Münchner Philharmoniker o nei compact disc uffi
ciali postumi. Il Balletto dei pulcini nel loro guscio, ad esempio, così poco caricatu
rale e non troppo veloce, è uno stupefacente mix di tenerezza e di ironia graffiarne;
sinistre sonorità in Samuel Goldenberg et Schmuyle sembrano scaturire chissà da
quale film horror, Baba Yaga risulta giustamente un po’ sgangherata, nella Grande
Porta di Kiev infine, ogni magniloquenza è sostituita da un andamento ieratico,
solenne, fiero.
È il 16 settembre 1971 e stavolta Celibidache inaugura il suo appuntamento col
pubblico bolognese con la Sinfonia Anacreonte di Luigi Cherubini: la registra
zione è purtroppo un po’lontana e il suono ha poca presenza. Con uno sforzo imma
ginativo riusciamo comunque ad apprezzare la purezza dei comi, l’eleganza nell’e
sposizione del tema principale, il fitto dipanarsi degli eventi musicali. È un ennesimo
capolavoro di chiarezza, di capacità analitica, di perfetta costruzione degli eventi
sonori, e in quest’occasione l’orchestra è in gran spolvero: ne abbiamo conferma nella
successiva, estenuata lettura di Morte e Trasfigurazione di Richard Strauss, nello
straordinario affresco sonoro costruito attorno alla debussyana La mer e nella rave-
liana Suite n. 2 di Daphnis et Chloe.
Con un Rossini giovanile, chiaro omaggio alla città e all’orchestra che lo ospita, apre
il concerto di sabato 20 maggio 1972: è la cosiddetta Sinfonia “di Bologna”, ma la sua
registrazione custodita negli archivi del Comunale ce la documenta in tutta la sua fra
gilità. Neppure il magistero di Celibidache riesce a farcela amare più del necessario e,
per di più, non tutto è ancora perfettamente a piombo in orchestra. Ma quando verso
la metà del pezzo la musica si ingrossa e il piglio è più deciso, la zampata di
Celibidache si fa immediatamente riconoscere. Seguono applausi timidi, rumori di
scena, scalpiccii, accordature di strumenti. Rientra il Maestro ed ecco l’orchestra rituf
farsi nelle magie sonore dei due Nocturnes di Debussy. La voce del corno inglese è
come trasfigurata, l’impasto dei corni sembra giungere dal nulla, e così via: continue
meraviglie timbriche escono dall’Orchestra del Comunale di nuovo trasformata in una
tavolozza di colori. All’opposto suonano come tirati un po' via nella loro rivoluziona
ria concretezza i Tre Movimenti da Petroushka di Stravinskij: efficace risulta così il
senso di smarrimento e di stupore pur nella frenetica pulsione ritmica dell’attacco
nella prima “Danza Russa”. Segue un’esecuzione da manuale della Sinfonia n. 5 di
Sibelius, che l’orchestra bolognese mostra di avere assimilato perfettamente in ogni
sua parte. Una serata particolare quella del 20 maggio: alle insistenti richieste del pub
blico in delirio, Celibidache risponde straordinariamente con un bis, uno dei pochis
simi mai concessi in terra bolognese. E attacca di nuovo la Danse russe da
Petroushka.
10 ottobre 1972: il rapporto di Celibidache con la compagine bolognese è al suo
apice. Lo testimoniano la galvanizzante esecuzione della Sinfonia dalla Linda di
Chamounix di Donizetti (nel cui finale l’orchestra sembra inserire il turbo), della
Petite Suite op. 19 di Albert Roussel e delle Danze polovesiane dal Principe Igor di
Borodin. Ma lo rivela soprattutto una commovente rilettura della Sinfonia n. 6 Patetica
di Cajkovskij in cui Celibidache supera se stesso nel calibrare perfettamente retorica
romantica e rigore.
Un gradevole salto di qualità contraddistingue la successiva registrazione del 10
maggio 1973: il teatro si è evidentemente dotato di nuovi microfoni e di un nuovo
registratore. Il suono è più spaziato, più ricco. Peccato che l’operatore dopo il primo
brano si sia distratto: è andato perduto per sempre l’attacco del Concerto per piano
forte, violino e violoncello op. 56 di Alfredo Casella, protagonista d’eccezione il Trio di
Trieste, mentre integrale risulta la registrazione della Sinfonia n. 9 di Sostakovic e delle
Danze di Galanta di Zoltan Kodaly. È questa l’ultima apparizione di Celibidache a
Bologna con l’Orchestra del Teatro Comunale.
Dovranno passare quasi quindici anni per rivederlo a Bologna: è il 16 febbraio 1987
119
Apparati
e la direzione del Teatro riesce a far ritornare il grande maestro davanti al suo affezio
nato pubblico. Chi scrive ricorda ancora l’emozione provata, la quasi incredulità nel-
l’apprendere di questo storico ritorno e la difficoltà nel reperire i biglietti: una lunga
fila davanti al botteghino bruciò in poche ore i quasi mille biglietti messi in vendita.
Questa sarà davvero la sua ultima visita a Bologna, ma in palcoscenico ci saranno i
Münchner Philharmoniker, sontuosi, perfetti, impeccabili. Si eseguono Saudades do
Brasil di Darius Milhaud, il Prélude à l’après midi d’un faune di Debussy, i Quadri
di un’esposizione di Musorgskij-Ravel. Il confronto con le precedenti registrazioni
con i professori del Comunale è chiaramente schiacciante (anche per via di una regi
strazione decisamente migliore e di una microfonatura più ricca). La bellezza del
suono degli archi, la compattezza e l’efficienza di ogni sezionerà più che perfetta rea
lizzazione del men che minimo dettaglio della leggendaria interpretazione di Sergiu
Celibidache, tutto, anche quel senso di profonda malinconia, di amaro disincanto che
permea l’intera lettura, inchioda all’ascolto, quasi ammutolisce. Chi era presente, tut
tavia, non avrà potuto farsi sfuggire un dettaglio cronachistico non da poco: quella
sera in teatro erano presenti due orchestre intere. Quella straordinaria dei Filarmonici
monacensi sul palco e quella al gran completo del Teatro Comunale alle sue spalle
mescolata in platea, nei palchi e in loggione. Il segno inequivocabile di un amore pro
fondo, sincero, mai sopito fra i musicisti del Teatro e il suo più grande direttore.
120
a i)
Foto 71 - Monaco di Baviera 1980:prove d’orchestra.
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DEL CORSO INTERNAZIONALE DI DIREZIONE D’ORCHESTRA
TENUTO DA SERGIU CELIBIDACHE
ALTEATRO COMUNALE DI BOLOGNA (20 FEBBRAIO 1972)
a cura di Alberto Spano
CARLO MARIA BADINI - Desidero ringraziarvi per aver raccolto l’invito a interve
nire a questa conferenza stampa che il consiglio di amministrazione dell’Ente
Autonomo Teatro Comunale di Bologna ha promosso a scopo di illustrare una propria
iniziativa che è appaltata dal 1972. Noi desideriamo riproporre con cadenze annuali
al mondo della musica di ogni parte del mondo - scusate il bisticcio di parole - attra
verso una proposta che si articola nell’organizzazione di un corso di direzione d’or
chestra a livello internazionale, alla direzione del quale abbiamo desiderato chiamare
il Maestro Sergiu Celibidache per molteplici ragioni. Per la sua statura artistica prima
di tutto, poi per la continuità dei legami che lui ha con la nostra città, con il nostro tea
tro e la nostra orchestra. Una continuità di legami che ha avuto anche recentemente
una conferma con la nomina elettiva del Maestro Celibidache a Presidente
dell’Accademia Filarmonica di Bologna: un’Accademia assai prestigiosa, se si considera
che fra i propri accademici del passato possiamo annoverare tra gli altri anche
Wolfgang Amadeus Mozart. A 17 anni venne a Bologna e si sottopose all’esame per
ottenere il titolo di accademico. Inoltre la presenza del Maestro Celibidache alla dire
zione del corso per direzione d’orchestra vuole essere un momento ulteriore di quella
testimonianza di simpatia e di affetto che la città e il nostro teatro hanno sempre avuto
per questo maestro, nella certezza che così come lui ha saputo far crescere la nostra
orchestra, ha saputo conquistare a livello internazionale un prestigio indiscusso che
tutti gli riconoscono, possa oggi egli trasfondere la propria esperienza a favore di
quanti giovani musicisti intendono avviarsi o - già avviati - intendono perfezionarsi nel
l’arte della direzione d’orchestra. Io non ho altre cose da aggiungere: illustrare la per
sonalità del Maestro Celibidache è del tutto superfluo e se poi ne volessimo proprio
parlare forse domani saremmo ancora qui, tanto ricca e intensa di momenti importanti
è la sua vita. Vorrei subito dare la parola al Maestro Celibidache perché voglia illu
strarci i criteri di impostazione di questo corso.
123
Apparati
124
Conferenza stampa eli presentazione del corso internazionale di direzione d’orchestra
125
Apparati
VOCE FEMMINILE - Io le chiedo informazioni per chi arriva dal Brasile dove c’è un
grande interesse per il perfezionamento: conosco alcuni direttori di orchestra che
hanno avuto qualche esperienza nel loro paese e che magari sono andati in Svizzera,
hanno studiato ma non hanno ricavato un granché. Per questo gruppo di direttori che
desiderano perfezionarsi c’è qualche programma in particolare?
SERGIU CELIBIDACHE - Nella musica non c’è da capo, signora. C’è sempre una fine.
PIERO RATTALINO - Comunque tendo a ribadire che non si tratta di un corso ele
mentare, è un corso di perfezionamento. Però anche nei corsi di perfezionamento si
possono imparare le cose elementari, diciamo. Cioè anche a battere due quarti a un
certo punto, se necessario.
SERGIU CELIBIDACHE - Questo battere, questo famoso battere ha i suoi criteri che
non si conoscono. Dica al suo amico di venire a vedere il corso. Che problemi ha avuto
finora?
VOCE FEMMINILE - No, Ronaldo Bologna. Non sono previste borse di studio, aiuti?
SERGIU CELIBIDACHE - Sì, sì ci sono: una volta ammessi c’è la possibilità di avere
una borsa di studio: ma sarà molto difficile ottenerla. Ogni anno con tutti i corsi che
abbiamo fatto fino adesso abbiamo constatato che almeno un centinaio di aspiranti
non riescono ad essere ammessi la prima volta, per cui fanno l’esame per la seconda
o la terza volta e arrivano che conoscono tutti gli elementi meglio di chi si presenta
per la prima volta. Discutevamo oggi quale melodia corale dovranno analizzare e con
quali criteri stilistici. Chi non l’ha mai fatto resterà sorpreso e verrà certamente supe
rato da chi lo ha già fatto la volta precedente.
VOCE MASCHILE - È molto giovane, non avrà neanche trent’anni e non è che l’età....
PIERO RATTALINO - Non ci sono limiti di nessun genere. L’unica richiesta è quella
di un diploma superiore di Conservatorio o Accademia di Stato in qualsiasi disciplina.
126
Conferenza stampa di presentazione del corso internazionale di direzione d’orchestra
VOCE FEMMINILE - Ci ha detto che ci sono duemila orchestre: se è vero che i diret
tori d’orchestra non nascono da soli, ci sono molte richieste di adesione ai suoi corsi
negli Stati Uniti?
VOCE FEMMINILE - Lei capisce che venire qua da un altro paese... le ventimila lire
pesano.
PIERO RATTALINO - No, ma il rimborso delle ventimila lire può garantire altri tre o
quattro giorni di sopravvivenza.
PIERO RATTALINO - D’altra parte, anche se non mi compete dirlo, l’Ente Lirico fa
uno sforzo considerevole perché per un mese l’orchestra è a disposizione di un corso
e quindi non svolge attività pubblica.
SERGIU CELIBIDACHE - Si, io le ho detto signora che non si può insegnare come
fare, ma si potrà insegnare come non fare: questo lei lo fa male, perché? Per questa
ragione. Vede come sono adesso e come sono adesso [gesticola]. Lo stesso Victor de
Sabata diceva: io studio ancoi'a oggi. Personalmente io ho studiato ventisei anni di
musica prima di dirigere un concerto.
127
Apparati
SERGIU CELIBIDACHE - Mi sem bra che ci sia la Sinfonici eli Bologna di Rossini.
SERGIU CELIBIDACHE - Sì. Se lei prende una corda, la tira e la pizzica, la corda
comincia a vibrare. Se lei tira di più la corda, la nota prodotta è più alta perché la corda
si muove più velocemente. Quindi tra altezza del suono e velocità c’è una relazione
interpretabile e oggettiva. Qualsiasi intervallo che scende ha una tendenza a risolvere
verso il basso se non ci fosse la disuguaglianza degli intervalli che conoscono ordine
di priorità secondo gli armonici dai quali vengono. Quindi non posso dire che ho la
melodia crescente con la tii-aa [canta] : no, può essere tii-à [canta], mi chiedo? Esiste
un criterio che mi può dire quale siano i modi di espressione e di speculazione delle
forze del suono del compositore? Esso sta proprio nel contraddire la tendenza natu
rale del fenomeno; questa quinta vuole risolvere verso il basso [canta]: óra il compo
sitore può fare come è naturale tii-aa [canta] oppure può fare tii-à [canta con la nota
più alta]. Cosa succede quando lei contraddice una tendenza naturale, una tendenza
risolutiva per esempio? Invece di risolvere lei mette ancora tensione. Cosa succede?
La forza, la tensione interiore cresce. Nella corda che io avevo prima dove si trovava
la forza? Dal fatto che io pizzicavo con molta o poca forza la corda? No, la nota risul
tava dalla velocità intrinseca del fenomeno stesso. Questa si chiama tensione. Questo
io non lo posso interpretare. Io lo posso ignorare, sì. Se lei fa dirigere la Seconda
Sinfonia di Beethoven a dieci grandi direttori e ascolta come fanno VAnelante,
parampa-parampa-piri [canta], quale fraseggio è giusto? Non c’è uno che lo trova.
Provi a confrontare 35 Quinte Sinfonie di Beethoven, sentirà che ogni interprete spo
sta il punto del fraseggio altrove. Se io le chiedo “vuole venire questa sera a mangiare
con me?”. Oppure“Vuool venire...”,“vuol veniire questa sera” [sposta gli accenti su una
parola o sull’altra], “vuole venire queesta sera”,“vuole venire stasera a mangiaare”...
Ogni volta c’è un senso diverso: così nella musica ogni fraseggio è determinato dalla
tensione interiore, dalla forza degli intervalli, non dalla natura dell'interprete. Lei deve
conoscere, prima di attaccare un pezzo, la topografia perfetta non morfologica del
l’armonia e del contrappunto. È una topografia: qui c’è una montagna, lì si deve scen
dere per poter salire la montagna, poi si deve salire: così io non posso scendere dove
la musica sale. Questo è oggettivo o è interpretativo? È oggettivo. Anche se conosco
però la montagna e le valli a menadito come un altro, ognuno di noi due ha un suo
modo di salire, di mettere un piede, di riposarsi durante il tragitto. Ecco la compo
nente interpretativa. In qualsiasi modo ci si può arrivare, e ognuno col proprio stile.
Ma nessuno potrà scendere dalla montagna quando si trova in basso o salire quando
è in alto. Bisogna identificare le valli e le montagne. Ecco spiegata in due parole sem
plici la fenomenologia.
SERGIU CELIBIDACHE - Certo, ma lei sta parlando di un altro fenomeno. Io sto par
lando del fenomeno della vibrazione numerica: quante sono? Duecento; più alto fa
quattrocento quindi, da 200 a 400 la stessa massa si è mossa più velocemente. La velo
cità e la massa danno la stessa proporzione quindi c’è più tensione nella corda alta che
in quella bassa. Quindi un intervallo che scende ha la tendenza a risolvere. Cosa vuol
dire risolvere fenomenologicamente? Rientrare nell’equilibrio iniziale da dove è salito.
Questa è la definizione fenomenologica della risoluzione. Questo è il fenomeno più
semplice. Pensi lei che complessità di fenomeni abbiamo noi nella musica. Colori dove
pizzico: tutto ha una parte oggettiva e una interpretativa. Conoscendo la stessa strada,
ognuno cammina a suo modo fra le valli e le montagne. È li la differenza. Ma come
spiegate voi 150 anni di cultura? Si prenda VIdillio di Sigfrido di Wagner: sotto la bac
chetta di Wagner stesso durava trenta minuti - c’è una lettera che lo testimonia - e sotto
la bacchetta del signor Haitink dura 12 minuti. Da 30 a 12: e stiamo parlando della
stessa musica. No, signori, qui c’è un errore. Uno con un pezzo di carta in mano dice:
bene, facciamo l’Idillio di Sigfrido. Non è così semplice, ci sono da tenere in consi
derazione tanti di quegli elementi storici... Bisogna chiedersi: qual era l’idea di Idillio
che aveva in testa Wagner? Come mai lo faceva durare trenta minuti? Trenta minuti,
quindi molto più lento, con un tempo meditativo. Senz’altro aveva qualche cosa
davanti agli occhi che oggi non esiste più. Come si può pensare di farlo diventare di
12 minuti come fa Haitink? C’è stato poi un tedesco, Wilhelm von Hauseg che lo
faceva in tredici minuti,Wilhelm Furtwängler in 24 minuti,Toscanini 20 minuti. Dove
sta la verità in tutto ciò? Eppure parliamo della stessa opera: da 30 a 12, da una donna
abbiamo fatto un cavallo. Senz’altro, tutti loro hanno avuto successo, ma chi ha
ragione? Hanno ragione quelli che fanno successo, certo... In tutto il mondo della
stampa specializzata non esiste, non esiste una competenza critica: che sia
Stuppenschmidt o sia Mozart, fa lo stesso. I critici: uno vale l’altro, sono dei dilettanti
con un’enorme capacità di scrittura, sanno scrivere benissimo ma in fatti musicali
sono totalmente analfabeti. L’analfabeta musicale è un altro: uno che sa scrivere e leg
gere, questa è la differenza. E oggi noi siamo guidati da questi personaggi. Oggi la
Deutsche Grammophon vende in America l’83% della sua produzione, quindi deve
scegliere un direttore “di velocità”americano, tecnico chiaro che fa tutto brillante, per
iato. Che c’entra Furtwängler con tutto ciò? Infatti Furtwängler non si vende. Sono
questi gli interessi che ci regolano oggi. Un’idea musicale sensata oggigiorno non la si
trova. Prendiamo la Nona Sinfonia di Beethoven, il suo Scherzo: ha una forma sem
plice, passa da un Allegro vivace in tre a un Presto in uno [canta]. Adesso non si sa
per quale ragione cento anni fa qualcuno che non ha capito niente ha deciso che si
doveva fare un Andante [canta il tema più lentamente]. Però Beethoven scrive lo
stesso tempo, 116 [canta più veloce]: così ha scritto Beethoven. Nessuno lo ha mai
fatto, un solo giornalista in tutta la storia notturna della musica, ha scoperto un docu
mento e 40 anni fa ha scritto “Come mai non si fa come ha scritto Beethoven?”. Ecco
una casa [mima la figura di una casa che va all’insù] invece di andare così, va in giù.
La Nona di Beethoven, pezzo consacrato, pezzo che tutti pensiamo di conoscere, la
trattiamo così: come se uno entra in macchina, mette la prima, accelera, poi metta la
seconda, accelera di nuovo, poi la terza, accelera e invece di mettere la quarta, mette
improvvisamente la prima. Perché hai fatto VAccelerando dall’Allegro vivace al Presto
per cui il Presto sarà meno veloce Allegro vivace? Dov’è la logica, l’intelligenza?
No, si fa perché è tradizione... Provate ad eseguire oggi come ha scritto Beethoven:
oggi non c’è nessuno che lo fa. Sono fatti semplici ma pensate come diventano com
plicati per esempio in un’opera contrappuntistica di Bach... Su quale parte si deve
appoggiare perché la fluidità rimanga garantita, su quali parti? Ha capito qualcosa di
questa fenomenologia?
129
Apparati
PIERO RATTALINO - Ne faccio una io. Mi interessa il suo rapporto con De Sabata.
Cosa ha imparato lei da De Sabata? Dice che era un gran tecnico, il miglior tecnico. In
che senso? Che realizzava veramente quello che voleva o che scopriva veramente
quello che doveva fare della partitura?
130
Conferenza stampa di presentazione del corso internazionale di direzione d ’orchestra
VOCE FEMMINILE - Scusi, volevo la sua impressione su Villa-Lobos, crede che per
lui valga la stessa cosa?.
SERGIU CELIBIDACHE - Un grande uomo! Peccato che sia così rimasto legato alla
sua terra in questo modo: non ha voluto proprio evolversi. Era come se dicesse: sono
nato qui, muoio qui.
DUILIO COURIR - Chiedo scusa, chi avvicinerebbe oggi nella direzione dell’orche
stra alla lettura di von Karajan?
SERGIU CELIBIDACHE - Sì, molto bene lo conosco. È il direttore più sincero di tutti
i tempi. Lui non pensa di essere un grande direttore ed è molto più grande di quello
che ammette, non fa scena per fare impressione. Lui parla modestamente: “io questo
non lo so fare”. Ma lo sa. Per quello che io ho potuto imparare in questa vita, lui ha
superato gli impulsi dell’eco, lui lascia fare. Lui soffre per la prima tromba c non fa
niente. Lui mi dice: “la metà delle mie prove io le passo chiedendo alla mia prima
tromba di non attaccare così forte”. Ma perché non la cambia, dico io? Io lo cambie-
rei. Lui invece no: io ho sentito un’ottima Quinta Sinfonia di Sostakovic e una volta
un ’Ouverture di Mendelssohn che mi è piaciuta molto. Ma io lo posso giudicare poco
come musicista, come uomo è una gran brava persona.
VOCE MASCHILE - Io volevo tornare un po’ al corso che sta per iniziare: vorrei
sapere quale potrebbe essere il futuro di questi quattordici allievi. E cosa possono spe
rare in termini pratici.
131
Apparati
che c’è tutta una generazione di allievi che mi segue ancora dappertutto, tranne
quelli che sono diventati alcuni dei migliori direttori del mondo, hanno successo e
non si fanno più vedere. Ma moltissimi si rendono conto che hanno ancora tanto da
imparare e mi seguono: se oggi non li vede con me è perché sono venuto a Bologna
per un giorno solo. Ma già a Parigi due giorni fa ne avevo tre, due spagnoli e un tede
sco che sono venuti a casa mia. Quindi non abbandono mai nessuno, io non insegno
“per dinero”, per i soldi: loro vengono quando possono, assistono alle prove, poi se
c’è tempo, discutiamo di musica. L’ultima volta l’hanno fatto anche qui uno spagnolo,
due o tre tedeschi, uno svedese. Un contatto con me continuano ad averlo e intanto
studiano una partitura. Mi dicono: “Guardi maestro cosa ho potuto identificare io. A
me sembra che il punto culminante di tensione in cui si arriva in questo passaggio”,
oppure di intensità, che non è la stessa cosa. La tensione è la forza intrinseca, l’in
tensità è quella di fuori che metto io dentro.“Mi sembra che sia qui, no, no non è così,
è sbagliato, un’altra volta. Qual’è il pezzo che dovrei studiare adesso? Facciamo lo
Scherzo della Terza Sinfonia di*Beethoven, vediamo come si fa”. Mi seguono ovunque
durante le prove e poi si discute:“Perché il maestro ha detto così?”“Perché il maestro
ha fatto così?”. Capisco che non è molto, però così non si sentono abbandonati.
SERGIU CELIBIDACHE - Sì, maestro, ma sotto che aspetto? Di nuovo si parla di mor
fologia della musica, questo non mi interessa. Lei mi dice “questa funzione do mag
giore va al sol maggiore: come si connettono? Così e così”, a me questo non interessa.
A me interessa cosa succede con la mappa del suono, passando da questo momento
a questo: è di più, è di meno, è orientata avanti, è orientata indietro, torna, apre,
chiude una nuova prospettiva. Questo non ce l’ha insegnato nessuno. E la fenome
nologia non ha che 70 anni. C’è stato un ebreo, che si chiamava Schenker, che per la
prima volta ha avuto l’idea: questa che noi sentiamo, le parole che si muovono
davanti, non fanno il senso della musica. È vero che le parole non fanno il senso delle
idee, le parole sono dei veicoli, le note sono dei veicoli nei quali noi mettiamo un
messaggio speciale. La musica non sono le rtote, la musica non sono i forti, i piani,
lento, veloce, no! Io mi servo di quello per esprimere qualche cosa che non potrei
definire in maniera razionale, come qualsiasi altro fenomeno estetico, rimane un
mistero per la ragione. Proviamo a fare così, anch’io sento che adesso è più lungo,
anch’io adesso sento che avrei bisogno dell’appoggio, vede lì non ha tirato fuori
quella parte.
SERGIU CELIBIDACHE - No. Non tutto quello che ha detto Schenker è vero,
Schenker era una natura speculativa. Una prima affermazione è molto importante: die
tro le masse sonore c’è un centro che rappresenta ogni massa, tutti questi centri sono
su una linea. D’accordo, bene. L’evoluzione del centro tonale. Ma lui dice che dietro
questa linea c’è un’altra linea, e dietro quella linea c’è un’altra linea e dietro questa
linea ce n’è un’altra, e poi ancora e poi in fondo c’è Dio... Era una natura speculativa,
lui ha scritto oltre quaranta volumi, di tutti questi ne rimangono due con certi prin
cipi che oggigiorno trovano la prima volta nella storia della musica la loro applica
zione. E non nel mondo commerciale nel quale viviamo, non è il mondo del concerto.
I grandi iniziati sono stati: prima Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande musici
sta vivente oggi; poi secondo Eduard Erdmann, lei lo conosce?
132
Conferenza stampa di presentazione del corso intemazionale di direzione d'orchestra
SERGIU CELIBIDACHE - Iaroslav Iatchik, non lo può conoscere. Non ha mai diretto
in vita sua poveretto, chissà poi se dirigerà mai.
VOCE MASCHILE - Il suo giudizio di prima sulla scuola di Hans Swarowsky è basato
sull’esperienza o sull’intuizione?
133
Apparati
lo sforzo? Come è più difficile tirarlo: così o così [mima dei gesti]? Certo che se tiro
così è naturale che la distensione deve essere fuori, ecco come nasce il triangolo uno
due tre. Cos’è la croce? Primo tempo forte, seconda relazione, può essere qui o qui,
qui uno-due o uno-due: perché va dentro? Perché il terzo è un po’accentuato e così
10 chiamiamo tempo semi-forte, uno due tre. Perché succede questo? Per la legge di
Planck sulle masse: una massa di qualsiasi forma, di qualsiasi natura, messa in movi
mento non vibra nella sua integrità, se no si rompe la massa inferiore alla massa stessa:
ecco spiegati gli armonici nel suono. Quindi la massa di uno duro, forte, due relazioni,
tre relazioni, quattro relazioni questa non può sopravvivere, si articolerà lei stessa,
quindi uno-due-tre-quattro, per questo il 3 è un po’forte. Uno-due, tre-quattro, quindi
sono tre famiglie “alla breve”,“triangolo”,“croce”, da queste vengono tutte le musiche
del mondo, per esempio Bartók: tiri-mpara, [canta] il triangolo e qualche cosa batto,
Swarowsky tirampara [canta] dove è un tempo forte? Dov’è questo? (canta) [tiram-
para...]. Lui è uno che non ha capito che ci deve essere una relazione fra gesto e
musica. Secondo: la teoria sui tempi di Mozart: un Allegro è il doppio di un Andante.
Dio mio quando Haydn stesso dice:“Io ho composto sette tempi di minuetti e uno non
definito allegro vivace minuetto e uno senza definizione”. Quindi come facciamo con
11 doppio, la regola del doppio dell’andante? Un ignorante, ma totale. Ma Beethoven
nella mano di Abbado che non ha nessun peso... Dovrei spiegare perché il braccio
deve avere il peso: lo spiegherò un’altra volta. Se lei verrà alla prima lezione, lei capirà
che la prima questione in programma è quella del peso del braccio. Ma non è questo
che può far la musica: se tiro l’arco c’è una proporzione tra l’inflessione e la tirata. Se
sono musicale (canticchia...) se non sono musicale (canticchia) [tirampara...] la pro
porzione da uno a due si chiama, la inflessione uno, due, tre; uno, due, tre l’altra (can
ticchia): morta. Quindi questa inflessione deve essere qui come posso realizzarla? Se
ti dico tiriditdiri [canta] tiro l’arco. Un altro potrebbe fare tidìridara [canta], E così via.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma io penso che si debba fare così, altrimenti si
scade in un primitivismo metronomico che non può servire che a tenere insieme
meccanicamente l’orchestra.
134
(72) (73)
Foto 72 - Bologna, Museo dell’Accademia Filarmonica: organo di C. Traeri.
Foto 73 - Bologna, Museo dell’Accademia Filarmonica:pianoforte di S. Golinelli.
SERGIU CELIBIDACHE PRESIDENTE DELL’ACCADEMIA
FILARMONICA DI BOLOGNA (1972-73)
a cura di Luigi Verdi
137
(75)
Foto 74 - Bologna, Accademia Filarmonica: Sala Mozart.
Foto 75 - Bologna, Museo dell’Accademia Filarmonica: il pianoforte di O. Respighi.
Sergiu Celibidache presidente dell’Accademia Filarmonica di Bologna
attività artistica: organizzare dai dodici ai sedici concerti l’anno, ed impiantarli su nomi
di assoluta rinomanza. Cita i nomi di Michelangeli, Oistrah, Horowitz e di altri. A
costoro egli potrà chiedere sì la prestazione personale gratuita, ma non di sopportare
le spese.
Dopo alcuni scambi di pareri circa la celebrazione del Centenario della nascita di
Lorenzo Perosi, sulla quale riferisce il Prof. Vecchi, il Segretario comunica di avere
informato al riguardo il M° Celibidache, il quale ha aderito firmando la richiesta di con
tributo al Ministero della Pubblica Istruzione.
II 20 maggio Celibidache inviò una lettera di saluto al Presidente della Giunta Ente
Regione Emilia Romagna, Guido Fanti, nella quale delegò il segretario Mario Mancini
a rappresentarlo nei rapporti con la giunta regionale.
Mancini si rivolse al barone Riccardo Arone di Bertolino, residente a Marzabotto,
località dove il Mancini era in villeggiatura nel palazzo dell’istituzione Rossini della
quale Mancini era Presidente, offrendogli la carica di Rappresentante del Fondatore.
Arone di Bertolino accettò.
Nell’adunanza generale del 23 settembre 1972, Celibidache venne precisando
quella che doveva essere la sua strategia:
“Il Presidente esordisce, dichiarando che intende portare l’Accademia al livello dei
tempi passati”. L’estratto di verbale seguente è tratto da alcuni appunti manoscritti con
servati nelTArchivio dell’Accademia Filarmonica:
Celibidache:
“Analizzando i vari problemi, ritenevo la cosa assai più facile, però di mano in mano
che ne vengo a conoscenza, le questioni sono assai complesse. Occorre pensare al
rilancio dell’Accademia e mi rendo conto che tutte le istituzioni sono deficitarie. I pro
blemi da affrontare sono tre.
L’Accademia dovrebbe svolgere una attività di carattere nazionale e internazionale
organizzando concerti. Dobbiamo liberare degli appartamenti per avere locali per
ricevere personalità. Per avere una autonomia perfetta bisogna tenere tutti i locali a
disposizione della Accademia. Dobbiamo tentare di arrivare ad una autonomia in tutti
i sensi. Cominciare con l’avere contatto col Teatro Comunale concedendo dei locali.
Il problema dei Concerti si sposta per varie ragioni. Vi è mancanza di dinamismo e non
possiamo andare così adagio. Io vorrei farlo, ma non mi posso occupare molto, per cui
ho bisogno di una prontezza in tutti.
Vogliamo una Accademia funzionale con posti di lettura, di studio e di ricevimenti.
Siamo troppo fermi, è la mentalità dell’Accademia che deve cambiare. Bisogna trovare
un nuovo impulso. E’una questione di struttura. Bisogna eliminare quello che non fun
ziona. Non credo che i soldi possano mancare. Siamo a terra e dobbiamo risalire.
Dobbiamo contare sullo slancio dei bolognesi”.
139
Apparati
140
(
MOZAR I
: ’t f 4 , a t ' I v r v s ‘ -f A
Ui XOT ibBF-M nc
!()• Ci I
AU AtCADfMIA-ftLAP * k.a
;* r • r ic h iè d e n d o
N 0 .M IÌ-O I »A I.1
(76)
Foto 76 - Bologna 1970, il Maestro Sergiu Celibidache alla Sala Mozart
dell’Accademia Filarmonica.
I CONCERTI DI SERGIU CELIBIDACHE A BOLOGNA.
RASSEGNA STAMPA
1953, gennaio 23
Schubert, Rosamunda, Ouverture;
Beethoven, Prima Sinfonia op. 21;
Sibelius, En Saga op. 9;
Stravinskij, L'Oiseau de feu, suite
143
Apparati
Quel suo cognome bislacco, quel po' o quel troppo che si sapeva di lui, quelle
curiose note sul programma che ce lo mostravano in dimestichezza con la meccanica
ondulatoria, con l'antroposofia di Steiner e col monaco buddista Tau-Chun parevan
fatte apposta per creare un mistero. Ora il mistero è diradato, almeno per quel tanto
che ci interessa direttamente. Sergiu Celibidache è un autentico artista: l'ormai rag
giunta perfezione nel concertare unita alla dinamica e al giusto intendimento dell'a
nimazione fanno già di lui un magnifico direttore, domani ci daranno un nuovo
colosso del podio.
Osservando, viene spontaneo di paragonarlo a Franco Ferrara. Anche Sergiu
Celibidache è tutto musica, nato per il comando eppure umile e sorridente, dotato di
memoria prodigiosa, padrone assoluto della tecnica dei singoli strumenti e profondo
anche nel particolare del testet. La sua dinamica non è mai nervosismo, il suo senso di
riposo non è mai rilassamento, il suo rigore non è mai arida esercitazione, la sua ani
mazione non si traduce mai in isterismo.
Ieri sera, nell'eccezionale concerto che ha inaugurato la stagione sinfonica del
Comunale, questo giovane direttore rumeno, ha portato agli estremi limiti le possibi
lità espressive della nostra orchestra. Quasi pienamente risolto il problema dell'into
nazione, ottimamente impostato quello della quadratura ritmica, felicemente affron
tato quello del suono. In una trasparenza di giochi strumentali le idee sono apparse
chiarissime, mentre la timbrica giungeva a soluzioni spesso rare e preziose.
La prima parte del programma (Ouverture “Rosamunda” di Schubert e Prima
Sinfonia di Beethoven) forse per eccessivo controllo, ha denunciato un sopravvento
del tecnicismo sull'emozione.
Specie Beethoven, se si toglie lo stupendo stacco del Finale, è stato reso troppo
apollineo, e come privato di quel presentimento romantico che già indica la persona
lità dell'autore. Dove Sergiu Celibidache si è pienamente rivelato, è stato ancor più che
nella Saga op. 9 di Sibelius, nella Sidte de L'oiseau de feu di Strawinskij. Qui il suo
temperamento e la sua statura di direttore hanno creato un'animazione che rimarrà
memorabile.
La nostra ammirazione non ci vieta però, ora, di muovere un appunto sulla scelta
del programma, circa l'inclusione di musiche di scarso interesse (vedi il brano di
Sibelius) e l'esclusione di qualsiasi autore italiano, antico o moderno.
Il successo del concerto è stato calorosissimo. II pubblico che gremiva il teatro a
furia di applausi ha ottenuto il bis dell'ultima parte de L'oiseau de feu.
M.M.
144
Rassegna stampa
anche negli arbitrii Celibidache è musicista nel senso più puro ed eletto della parola
e il suo prodigioso dominio sull'orchestra poi, è sempre un miracolo che si rinnova
tutte le volte che egli sale il podio.
Ieri sera il successo è stato vivissimo dopo la prima parte e si è poi trasformato in
un vero trionfo dopo l'esecuzione della Sinfonia in Do minore. Il pubbico ha spesso
un senso infallibile: Celibidache infatti ha toccato nella Sinfonia il vertice interprtativo
più alto.
Ha dovuto bissarne un tempo.
La nostra orchestra si è piegata duttile all'eccezionale comando e ha creato atmo
sfere di alta poesia e ha avuto pienezza e rotondità in microsolco.
VICE
1959, aprile 28
Teatro Comunale
Dvorak,Tre Danze slave;
Cajkovskij, Romeo e Giulietta;
Brahms, Prima Sinfonia op. 68.
Dei sette concerti sinfonici allineati nel cartellone della Stagione di primavera al
Comunale, quattro sono affidati ad un’unica bacchetta. Un fatto piuttosto inconsueto
negli annali di Bologna musicale (bisogna risalire fino ai non dimenticati concerti di
Antonio Guarnieri per trovare analogo riscontro) ove si preferisce, secondando more
italico la volubilità del pubblico ed il suo desiderio di novità, variare direttore di sera
in sera, di ciclo in ciclo.
In conseguenza, l'invito rivolto a Sergiu Celibidache per un periodo sì prolungato,
può avere suscitato negli ambienti musicali qualche commento e perplessità. Il nostro
pensiero? Siamo stavolta con la Sovraintendenza e ne approviamo le decisioni per due
motivi. Innanzi tutto perchè il maestro rumeno piace e ci piace. È un artista vivo e
generoso che sa offrire in ogni caso esecuzioni vibranti e acutamente scandagliate. Se
egli appare talora troppo indipendente e personale, i suoi atteggiamenti interpretativi
sono comunque quelli di un artista intelligente e coscienzioso, dotato di squisita sen
sibilità, di una profonda cultura e ferrato d'una non comune tecnica di concertatore.
Secondo: la nostra orchestra - in fase di deciso recupero ed innalzamento anche per il
provvido rafforzamento nel settore degli archi - ha bisogno d'un disciplinatore per
spicuo quanto energico che si faccia stimare ed amare. Qualità possedute in sommo
grado da Celibidache che esercita un forte ascendente su tutti gli strumentisti. I quali
gli obbediscono con entusiasmo, facendo proprio il calore loro comunicato da una
personalità singolarmente fascinatrice, il cui interpretare è spesso eccellente, sempre
interessante, mai spento o volgare.
E c'è altra ragione, infine, per salutare compiaciuti questi quattro concerti; una
ragione che esula da ogni considerazione valutativa e critica per passare alla cronaca
e all'inoppugnabile dato di fatto che il musicista rumeno è ormai salito, per consenso
di folle innumerevoli, a fama internazionale, disputato ovunque dai maggiori Enti con
certistici d'Europa.
Ma è tempo di spendere alcune parole sul concerto di ieri sera che ha festosamente
aperto il ciclo primaverile. L'impressione ridestata dal maestro è stata favorevole in
particolare misura nella prima parte del programma, comprendente le Danze slave di
Dvorak ed il poema Romeo e Giulietta di Cajkovskij. Un excursus nel mondo slavo
145
Apparati
L.L.
1959, maggio 6
Verdi, La Forza del destino, Sinfonia;
Bizet, Sinfonia in do;
Musorgskij-Ravel, Quadri di una esposizione
Uno dei problemi principali della moderna cultura musicale italiana riguarda i pro
grammi dei nostri concerti che quasi sempre rispecchiano una malinconica strettezza
d'idee.
L'attività anche di un grande teatro o di una società concertistica importante con
siste molte volte nel riproporre anno per anno quel limitatissimo numero di opere
divenute patrimonio comune e perfino logorate dalle cattive esecuzioni che pur
troppo ritroviamo ad ogni stagione, e clic al contrario dovrebbero essere conservate
gelosamente per le grandi e davvero memorabili occasioni. Fino a pochi anni fa
Brahms era un nome quasi sconosciuto ai nostri pubblici da concerto ma sembra che
la fatica necessaria per la sua assimilazione abbia stremato le capacità ricettive del
grande pubblico tanto difficilmente ci si avventura al di là della sua opera.
Un esempio del resto di come si compilano i programmi si può vedere leggendo il
cartellone dell'attuale ciclo concertistico al teatro comunale. Quest'anno in cui ricorre
146
Rassegna stampa
il bicentenario della morte di Giorgio Federico Haendel era venuta finalmente l'occa
sione di far conoscere e presentare adeguatamente almeno una parte dell'opera del
compositore tedesco, che da noi è assolutamente sconosciuto, e al quale si è riservato
invece un posticino in un solo concerto dove sarà eseguito un suo concerto grosso.
Anche il programma del concerto di ieri sera, il secondo diretto da Sergiu
Celibidache, non era certo molto felice, nella prima parte. Di Verdi sarebbe meglio non
eseguire le sinfonie delle sue opere così avulse dal quadro generale dell'opera in fun
zione della quale sono nate e invece in apertura abbiamo ascoltato la sinfonia della
“Forza del destino”. E la sinfonia in do maggiore di Bizet da lui scritta giovinetto è
opera estremamente gracile che si giustifica come curiosità musicale, ma che in un
cartellone che ha tante assenze era meglio non riprendere.
Sergiu Celibidache, era anche ieri sera alla direzione della nostra orchestra e anche
a noi è sembrata molto felice l’idea di impegnarlo in un gruppo di quattro concerti dei
quali quello di ieri è stato il secondo. Celibidache è certamente uno dei più interes
santi direttori d'orchestra contemporanei e la sua concertazione e direzione serve
meravigliosamente a restituirci il senso vero delle opere interpretate. Il suo gesto rac
coglie tutto il suono che vuole, la sua sensibilità morbosa e accanitamente volta a lavo
rare sulla pagina con incredibile forza analitica, ci permettono di ascoltare, in inter
pretazioni splendide di bellezza stilistica e di precisione e pulizia fonica, le composi
zioni che dirige, come, ieri sera, è accaduto soprattutto nei Quadri di una esposizione
di Musorgskij-Ravel in cui egli è stato semplicemente straordinario.
Un successo vivissimo, entusiastico, ha chiuso il concerto.
VICE
1961, aprile 29
Schubert, Rosamunda, Ouverture;
Haydn, Sinfonia n. 102;
Cajkovskij, Sesta Sinfonia op. 74;
Sul podio del Teatro Comunale per il ciclo sinfonico primaverile è tornato nel con
certo di ieri sera Sergiu Celibidache. Il direttore rumeno si è conquistato presso di noi
una fama solida, legata alle sue performances eccezionali, alla sua personalità musicale
della nostra città, alla sua innegabile capacità di trasformare l'orchestra del Comunale
in un complesso efficiente, miracolosamente pronto, attento, espressivo.
Naturalmente le sue qualità non si limitano ad una illimitata e prodigiosa abiltà tec
nica, alla cura studiata della preparazione, ma investono la stessa sostanza musicale
dell'opera. Si deve riconoscere a Celibidache il merito di darci esecuzioni nell'intimo
profondamente vibranti, di illuminare ogni più riposto angolo della partitura con un
impegno inesauribile ed esaltante.
La sua natura è sensitiva ed analitica ed egli si tuffa su ogni episodio e particolare
dell'opera che interpreta con una minuzia accanita e con il rischio qualche volta di
frantumarne l'unità estetica essenziale.
Per la verità questo non è accaduto nel concerto di ieri sera dove egli ha diretto la
Rosamunda di Schubert, la Sinfonia in mi Bemolle maggiore di Haydn e la sesta sinfo
nia Patetica di Cajkovskij. Certo è in quest'ultima opera che Celibidache ha rivelato la
sua vera misura di direttore e la sua personale inclinazione musicale.
La Patetica è una di quelle opere che servono a darci esattamente il clima musicale
dell'Europa verso la fine dell'Ottocento ed il gusto dominante del tempo. E' questo
livello che appaiono spuntati gli strumenti della critica crociana e che riacquistano
147
Apparati
VICE
1963, maggio 17
De Falla, 11 Cappello a tre punte, Suite;
Prokof'ev, Concerto per violino e orchestra n. 1;
Beethoven, Settima Sinfonia, op. 92.
Il primo dei concerti di Sergiu Celibidache ha avuto luogo ieri sera, al Teatro
Comunale, con un programma che comprendeva musiche di De Falla, Prokof’ev e
Beethoven. Questo direttore riscuote grande entusiasmo a Bologna e non ingiustifica
tamente; nessuno d'altronde contesta le qualità esecutive di Celibidache, la sua capa
cità di penetrare tutte le pieghe della partitura, di restituire il colore ed il clima di certe
musiche, le opere della decadenza romantica e le musiche moderne che affidano la
propria espressione al puro ritmo, al puro suono, di esibire nelle sue interpretazioni
fino ad un grado estremo di provocazione, una tensione esterna. In questo senso
Celibidache è un grande direttore moderno: il suo lirismo è infuocato, il suo patetismo
conosce ogni vizio possibile e ci sono opere che sono connaturate alla sua persona
lità d'eccezione. De Falla è innegabilmente uno dei suoi autori e in questa musica si
esalta la sua natura istrionesca, la componente folcloristica della sua educazione musi
cale. In Beethoven il discorso è diverso, a nostro parere e ad una violenza di gesto e
alla tensione esterna non corrisponde la interiorità di suono beethoveniana; è assente
qui l'ideale della nobile forma del musicista romantico.
Riccardo Brengola è stato il solista del concerto in re maggiore per violino e orche
stra di Prokof’ev, un Prokof’ev non ancora insidiato dall'arte “verniciata”, come la
chiama Moravia, del realismo socialista. Brengola è il migliore violinista italiano e in
quest'opera ha trovato una misura stilistica ammirevole, senza enfasi e mirabolanti
ricerche d'effetto da quel musicista serio che è sempre stato e che abbiamo ritrovato
interamente nel concerto di ieri sera. L'orchestra si è impegnata fino al limite delle
proprie possibilità che non sono molte; ha fatto un concerto onesto trasformandosi in
un complesso pronto attento efficace ed abbandonando quel tono di negligenza che
molto volte purtroppo, gli si deve riconoscere. Il pubblico è apparso entusiasta ed ha
richiesto un bis con ostinazione discutibile e malauguratamente, tradizionale.
VICE
148
Rassegna stampa
Gli Amici
Debbo senz'altro dare ragione ai suoi amici, aderenti al “Club Amici di Celibidache”
(sì, perché a Bologna esiste un club di cui fanno parte anche due frati dell'Osservanza,
nato con l'intento di riunire persone legate da vincoli di amicizia col Maestro, che lo
seguono affettuosamente quando va in tournée e che egli ritrova ogni volta che torna
nella nostra città), che lo dipingono come una persona affabile, modesta, piuttosto
restia a parlare di sé. Infatti mi accorgo subito che risponde molto volentieri e in modo
piuttosto polemico a domande che riguardano il campo musicale (“Mi domandi pure
tutto ciò che vuole, che si riferisca alla musica”) mentre sorvola o risponde concisa
mente a domande più personali mostrando chiaramente di non gradirle. Affronto
subito un argomento oggi piuttosto discusso.
D. Cosa pensa dello stato attuale della musica e dei compositori contemporanei?
R. La musica attuale è in crisi. La dodecafonia ha aperto nuove possibilità di espres
sione, ha arricchito il linguaggio musicale, ma ha creato il caos, per cui i giovani com
positori credono di potersi permettere tutto. Lo sviluppo della musica concepito
solamente dal punto di vista dodecafonico, senza tenere conto della fenomenologia
musicale, non può portare che al caos.
D. Pensa che siano molti i giovani che oggi frequentano le sale da concerto?
R. No. In generale il pubblico diserta le sale da concerto per il livello scadente di
ciò che gli viene offerto.
D. Se una persona, completamente sprovvista di ogni preparazione, volesse apprez
zare la musica, come le consiglierebbe di procedere?
R. La sua domanda contiene qualcosa di confuso. Apprezzare la musica non può
essere un atto di volontà. Deriva da un imponderabile che c'è nell'animo umano e che
sfuggirà sempre all'analisi diretta. L'educazione musicale può raffinare i gusti, non li
può far nascere.
D. Allora lei non crede nella utilità di una educazione musicale del pubblico?
R. Non credo nella educazione musicale come qualcosa di imposto, di deliberato,
organizzato secondo criteri ragionevoli. Penso che sia necessario corrispondere al
bisogno del pubblico di sentire la musica. Certo se la qualità dei concerti migliora,
migliora anche il livello del pubblico.
D. A un giovane musicista che sta per intraprendere la carriera di concertista, quali
suggerimenti darebbe?
R. Innanzitutto dovrebbe studiare fenomenologia musicale, cioè la scienza che si
occupa dei movimenti della massa sonora in funzione della coscienza umana. Dopo di
che dovrebbe vedere come potere applicare questi principi. Esiste un testo fonda-
mentale in materia\ Les fundaments de la musique, dans la coscience humaine di
149
Apparati
Ernest Ansermet. Molti dovrebbero studiarlo, perché oggi c'è una quasi totale assenza
di veri competenti nel campo musicale; musicisti e critici sono spesso dilettanti senza
nessuna preparazione.
D. Debbo dedurre quindi che lei non legge le critiche che la riguardano?
R. No, infatti. In Italia, poi, in nessun modo quello che si scrive si può chiamare cri
tica musicale.
D. Lei non ha mai inciso dischi, almeno credo, vuole spiegare perché?
R. Ritengo che lo spazio musicale sia irriducibile. Un disco è una fotografia statica
dimensionale di una realtà dinamica tridimensionale. Un elemento fondamentale della
musica, è l'acustica che influisce sugli altri elementi alterandoli essenzialmente.
L'elemento acustico sul disco praticamente non esiste. Lei può ascoltare un disco in
una stanza, o all'aperto senza che questo porti qualche differenza sensibile, perché il
disco non può affatto ridare una realtà viva come lo spazio sonoro. Invece lo spazio
sonoro vivo, vero, incide su tutti gli elementi della musica.
Il Pubblico
D. Esiste un autore che più degli altri sia congeniale al suo temperamento?
R. Non esiste.
D. Lei non ha mai diretto l'opera lirica. Perché?
R. Ho diretto qualche opera, ma non ne dirigerò più, perché le esigenze del palco-
scenico sono incompatibili con quelle dell'orchestra. Solo un orecchio mediocre può
tollerare certi ritardi determinati dalla distanza e dalla limitata velocità del suono. Il
melodramma oggi sta scomparendo. Però può essere un genere artistico se fatto bene.
D. Lei ha diretto concerti in molti Paesi. Quale è il pubblico che ha sentito più inti
mamente partecipe alla musica eseguita?
R. Il pubblico tedesco, in Germania ed in Austria. Anche dal punto di vista critico, i
tedeschi sono senz'altro i più preparati. Il pubblico italiano è così maltrattato che non
si può sapere se sia o no un pubblico musicale. E' messo di fronte ad esibizioni arti
stiche di nessun valore, disorientato da critici dilettanti e quindi profondamente
deluso in quello che cerca nella musica.
D. Se le chiedessero di diventare direttore di una orchestra stabile, accetterebbe?
R. Me lo chiedono sempre, ma ho sempre rifiutato perché detesto i compromessi
inerenti alla attività di direttore stabile. Quando una orchestra non va bene, si lascia,
se invece si diventa direttore stabile, questo non è più possibile.
D. Si parla di lei come di un direttore molto severo. E' d'accordo?
R. Non sono severo. Le partiture lo sono. Voglio quello che è scritto sulla partitura
e lo esigo.
D. Prima di un concerto, è nervoso?
R. Sono nervoso sempre, prima del concerto sono calmissimo.
Le Orchestre
D. Quali sono in Italia le orchestre migliori che ha diretto?
R. Quella della Scala e quella di Torino.
D. Ha diretto molti concerti per la Rai-Tv?
R. Non lavorerò più in futuro con la Rai perché sono sorti gravi motivi di conflitto.
Anzi i concerti che ora si vedono furono eseguiti un anno fa e ora sono ripetuti.
D.Vive in Italia?
R. Passo in Italia tre mesi all'anno. L'Italia è un paese ideale per vivere, per lavorare
non troppo.
D. Quali sono i Paesi ideali per lavorare, allora?
R. La Svezia, la Danimarca, la Finlandia, che sono i Paesi più civili dal punto di vista
musicale.
D. Crede che siano utili i cosiddetti concerti popolari?
R. Credo nell'utilità dei concerti popolari, però eseguiti con seri criteri artistici,
altrimenti il pubblico è ingannato. L'idea di fare concerti per il grosso pubblico è
150
Rassegna stampa
ottima, è invece inconcepibile l'idea di fare concerti molti e mediocri per il grosso
pubblico, perché il grosso pubblico non li capisce.
Ringrazio Celibidache, mi alzo per anelarmene: “Come, ha già finito?” Questa frase
dissipa del tutto i miei residui timori di avere importunato il Maestro; dopo aver rispo
sto a tutto ciò che gli ho chiesto, sarebbe pronto a continuare la conversazione, pur
ché naturalmente, si parlasse di musica: lezione di modestia e riservatezza di un arti
sta per tanti cosiddetti divi del momento che pongono la loro persona al centro del
mondo, escogitando ogni espediente per richiamare l'attenzione degli altri su di sé e
riempiendo le colonne dei giornali delle loro prodezze.
Anna Pedrini
1963, maggio 22
Frescobaldi, Partita su passacaglia;
Mozart, Sinfonia K. 425;
Cajkovskij, Quarta Sinfonia op.36.
151
Apparati
L.L.
1966, maggio 13
De Falla, Il
cappello a tre punte, II suite;
Mozart, Concerto in sol maggiore per flauto e orchestra n. 1 K 313;
Beethoven, Sinfonia in mi bemolle maggiore n. 3 op. 55 (Eroica').
Due divi del concertismo internazionale sono stati gli interpreti dell'ese
cuzione in programma ieri sera al teatro Comunale: Sergiu Celibidache e
Severino Gazzelloni. Gazzelloni è celebre soprattutto nel mondo dell'avan
guardia della quale è insostituibile protagonista. La letteratura per flauto,
grazie alle performances di Gazzelloni, ha conosciuto un inatteso, rinnovato
splendore ed a Severino pressoché tutti gli autori contemporanei dedicano
qualche cosa della loro fantasia. Ieri sera, in ogni modo abbiamo ritrovato
Gazzelloni, sul podio del Comunale, interprete di un concerto mozartiano,
ma certo la miracolosa purezza del suo strumento ha disegnato il luminoso
discorso mozartiano con una fertilità stilistica suprema di precisione for
male e di tenerezza espressiva. Nessuno di noi ha rimpianto, per una volta, il
protagonista di accese serate di musica contemporanea.
Direttore d'orchestra era Sergiu Celibidache che è, senza dubbio, uno degli amori
musicali di Bologna e che ha eseguito, ieri sera, la suite del Cappello a tre punte di De
Falla e la Terza sinfonia di Beethoven. Su Celibidache, i pareri possono essere molti,
ma difficilmente questo direttore lascia indifferenti. Intanto Celibidache è un prepa
ratore d'orchestra eccezionale ed egli sa filtrare i colori, i timbri del complesso del
Comunale come nessun altro direttore: tutte le volte che torna nella nostra città egli
riesce a realizzare il piccolo miracolo di una qualità strumentale trasparente, sorve
gliata, ripulita di ogni ombra. Ma tanta accuratezza, tanto studio dell'effetto non ci con
vince sempre: la magia fluttuante della fantasia di De Falla esce esaltata da
Celibidache, ma quel fervore tragico della marcia funebre della terza, questa sorta di
manifesto estetico della civiltà dei sepolcri, ci sembra più ricostruito in un ordine di
proporzioni esatte che governato dall'interno, che plasmato dal di dentro con quella
forza misteriosa che provoca un rapporto insondabile con l'opera e che tutto som
mato resta fuori della sensibilità di Celibidache almeno in pagine come questa.
Successo entusiastico.
D.C.
Rassegna stampa
1966, giugno 23
Concerto sinfonico straordinario per il primo decennale dell'istituzione dell'Orchestra
stabile del Teatro Comunale
Beethoven, Sinfonia in do minore n. 5 op. 67;
Rossini, Sinfonia da La gazza ladra;
Debussy, Due Nocturnes (Nuages, Fétes);
Wagner, Ouverture da Tannhäuser.
Nella storia bisecolare del Teatro Comunale non va dimenticato che il contributo,
dato dall'elemento orchestrale al consolidarsi della fama e della gloria che, nel corso
della sua attività, lo storico Teatro ha raggiunto, fu sempre di grandissima importanza
e in molte occasioni addirittura determinante, non meno di quello apportato dalla
celebrità dei cantanti e dalla valentia dei direttori.
Fino dall'inizio di tale gloriosa attività quando nella sera del 14 maggio 1763 il
Teatro fu inaugurato con grande pompa con la esecuzione dell'opera di Gluck II
trionfo di Clelia, l'orchestra fu portata ad un complesso di oltre sessanta esecutori,
venuti da ogni parte d'Italia a renderla eccellente.
Da allora, e ancora per molti anni, la compagine orchestrale assecondò bravamente
le esecuzioni di tante opere - e balli - dei più celebri musicisti e “inventori” con la
valentia dei propri componenti, che, ad un cenno del primo violino,fornivano ad ogni
spettacolo il prezioso indispensabile complemento della propria fedele e sempre
entusiastica partecipazione.
Molti anni dovevano ancora passare - da allora - prima che dal seno dell'orchestra
stessa si producesse e sbocciasse, affermandosi prodigiosamente un nuovo prestigioso
personaggio: il Direttore che, salendo sul podio, eretto al centro della armoniosa
falange, seppe di colpo manifestare la propria personalità, imprimendo ad ogni ese
cuzione teatrale il segno dell'arte con il valore della propria personalità. E furono pre
sto tutti i migliori, da Angelo Mariani, ai due Mancinelli, al Faccio, al Tango a Mugnone
a dominare e illustrare, alla guida di orchestre, sempre meglio assortite e più ricca
mente composte, esecuzioni di tutti i melodrammi che da musicisti italiani, e stranieri
vennero a fare parte dello splendente “repertorio” del Comunale, sempre in testa o al
fianco dei maggiori teatri di Italia e di Europa.
E tutta la gloriosa storia del Comunale da Rossini a Bellini a Verdi, al Lohengrin al
Parsifal a tutto Wagner, e via via alle maggiori e più significative affermazioni dell'arte
melodrammatica è dovuta anche a quei valorosi “orchestrali”che, al cenno di massimi
direttori, diedero vita a mirabili manifestazioni.
Poi venne Giuseppe Martucci, e con questo impareggiabile, appassionato anima
tore, ebbero inizio le grandi esecuzioni sinfoniche, e si raccolse in organismo che ebbe
fama vastissima in tutto il mondo musicale: la Società Orchestrale Bolognese. Così l’or
chestra bolognese raggiunse alte vette, guidata e animata da eccelsi condottieri. Da
Toscanini a Guarnieri, da Rodolfo Ferrari a Vitale, a Marinuzzi, Gui e Serafini e Failoni,
Bavagnoli e tutti i maggiori, sino agli attuali Molinari-Pradelli, Capuana, Votto,
Gavazzeni, Sanzogno e ai grandi direttori sinfonici nostri e stranieri.
Ultimamente, quando con la ripresa di tutte le energie nazionali anche nel campo
dell'arte, ogni attività parve rinascere protesa a sempre nuove conquiste, quanto alla
organizzazione dell'Ente autonomo del Comunale, i professori d’orchestra sentirono
la imperiosa opportunità di organizzarsi e dare vita ad un complesso che potesse
garantire in ogni senso la loro attività, e così si costituirono - con regolare atto, redatto
dal notaio dottor Corrado Cicognari il 4 febbraio 1956 - in associazione giuridica
mente regolata, denominata Orchestra Stabile di Bologna.
Dieci anni di intensa attività coronata da sempre più vivo successo, nel glorioso
153
Apparati
154
Rassegna stampa
L.L.
Concerto straordinario ieri sera al Teatro Comunale, per l'occasione che l'ha moti
vato, la celebrazione del primo decennale della istituzione della orchestra stabile e per
la presenza sul podio di un'artista d'eccezione, il maestro Sergiu Celibidache, sotto la
cui guida l'orchestra è sempre riuscita a dare il meglio delle proprie possibilità. La
manifestazione di ieri sera, cui era presente un pubblico folto ed entusiasta, segna un
punto fermo in un cammino che è stato di costante progresso: oggi l'orchestra del
Teatro Comunale, che in questi anni ha svolto una intensa attività, ha raggiunto un
livello artistico senz'altro soddisfacente.
155
Apparati
Lo ha dimostrato anche ieri sera, con una prestazione che ai pregi di fusione e qua
lità di suono univa l'entusiasmo delle grandi occasioni: e se l'orchestra, quando è gui
data da un grande artista, è in grado di suonare e così bisogna senza dubbio ricono
scere il merito dei notevoli progressi fatti e del livello artistico raggiunto. Sergiu
Celibidache, poi, sembra infondere al complesso una carica particolare riuscendo a far
emergere inaspettate possibilità in ogni singolo componente e ad ottenere sempre il
meglio dall'orchestra. Questo, è naturale, non miracolisticamente, ma a prezzo di
pazienti prove durante le quali Celibidache, con quel rigore e quella precisione che lo
caratterizzano, non si risparmia curando ogni settore del complesso orchestrale.
E i risultati sono sempre ottimi: ce ne hanno fornito una ennesima prova le esecu
zioni dei brani in programma ieri sera. Celibidache, per quanto lo si possa discutere, è
un grande artista e le sue interpretazioni restano sempre memorabili: se il suo tempe
ramento raffinatissimo ha trovato modo di esprimersi nella maniera più compiuta nel
l'impressionismo dei notturni debussiani, la sua Quinta di Beethoven, l'Ouverture del
Tannhäuser, e quello della Gazza Ladra sono stati senz'altro trascinanti nella perso
nalissima interpretazione di Celibidache.
Prima dell'inizio della seconda parte della manifestazione ha avuto luogo la cerimo
nia di premiazione dei professori che si sono, dieci anni or sono, resi promotori della isti
tuzione dell'Orchestra Stabile: Raffaele Ramponi e Orfeo Giovannini e - alla memoria -
Gino Pesci. Si è proceduto inoltre alla premiazione dei professori d'orchestra che hanno
nell'ultimo decennio lasciato la loro attività per raggiunti limiti di età: prof. Volturno
Bonacorsi, Gino Batistoni, Martino Loré, Evasio Galli, Angelo Preda, Vincenzo Scuderi,
Landò Rossi. Hanno pronunciato brevi parole di saluto il sovrintendente Carlo Maria
Badini, l'on. Giangiudo Borghese, il dr. Alfonso De Nicola in rappresentanza del ministro
Corona. Erano presenti il vice-prefetto Di Caprio, l'assessore Antonioni, il comm. Carlo
Alberto Cappelli e altre personalità amministrative, politiche e culturali della città.
Hanno telegrafato la loro adesione i Ministri Corona, Colombo e Preti, nonché i sottose
gretari Salizzoni, Sarti, Elkan ed altre autorità politiche e del mondo musicale italiano.
VICE
Era giusto sottolineare con una manifestazione ufficiale il decimo anniversario della
stabilizzazione dell'orchestra dell'Ente autonomo Teatro Comunale, ed era anche giu
sto sottolineare come in gran parte il merito di quest'opera vada attribuito all'impe
gno e alla tenacia degli stessi membri del complesso, alcuni dei quali premiati appunto
giovedì sera nel corso della manifestazione.
In una città di illustri tradizioni com'è Bologna, la costituzione d'un efficiente com
plesso sinfonico ha colmato, appunto dieci anni fa, una lacuna certamente vergognosa
per la cultura cittadina; e gli effetti di quest'opera non hanno tardato a farsi sentire:
diremmo che il pubblico che dell'Ente in questi anni è riuscito a radunare intorno a
sé, non solo è ora più numeroso, ma è anche certamente più qualificato, smaliziato ed
esigente di quello di alcuni anni fa. Naturalmente quest'opera di lenta educazione e di
penetrazione capillare è ben lungi dall'essere compiuta: molti problemi rimangono
aperti; se la funzione dlel'Ente vuol essere, come deve, una funzione pubblica, non solo
ha il compito di radunare e qualificare il proprio pubblico, ma anche quello di instau
rare con esso un dialogo il più possibile vivo e aperto e stimolante. Naturalmente, per
ché questo avvenga, occorre creare anzitutto un clima di stima e di fiducia reciproca,
solo dal quale questo dialogo può nascere.
156
Rassegna stampa
E' indubbio che in questo senso l'orchestra gioca il ruolo essenziale; tutto dipende
dal prestigio che essa ha saputo e che saprà in seguito acquistarsi: tante cose si pos
sono accettare da chi si stima. Se dovessimo in questo senso fare un bilancio dei dieci
anni, diremmo che per riconoscimento unanime, l'orchestra sa ora farsi apprezzare
come complesso di ottimo livello, quando è ottimamente diretta: in questa situazione
però il rischio che essa corre è abbasatnza grave: ed è quello di far dipendere il suo
prestigio da quello dei singoli direttori, e quindi, praticamente, di consegnarlo in loro
mani. E' ancora il divo, la “bacchetta” che determina il successo. Ci sembra che
appunto questo sia ancora il maggior problema da risolvere.
La manifestazione di giovedì sera si è conclusa con un concerto diretto dal maestro
Sergiu Celibidache, il quale ha voluto sottolineare, con questa adesione assolutamente
disinteressata, la propria personale stima e il proprio affetto per i professori del com
plesso. Durante l'intervallo, alla presenza delle autorità cittadine e di rappresentanti
del governo, sono state consegnate medaglie d'oro ai professori Orfeo Giovannini,
Raffaele Ramponi, e, alla memoria di Gino Pesci, nonché diplomi di benemerenze ad
alcuni membri dell'orchestra da poco pensionati. Da parte loro i membri del com
plesso hanno espresso con una coppa e una medaglia la loro stima e riconoscenza per
il maestro Celibidache.
M.B.
1966, ottobre 21
Concerto sinfonico straordinario in occasione del Terzo centenario della fondazione
dell'Accademia Filarmonica di Bologna
Mozart, Concerto in re minore op.66, per pianoforte e orchestra;
Verdi, La forza del destino, sinfonia;
Wagner, Preludio e morte di Isotta;
Martucci, Notturno;
Ravel, Daphni e Cloe, Seconda suite
157
Apparati
minore di Mozart, uno dei maestri più amati, coltivati e penetrati sia da Michelangeli
che da Celibidache.
Il loro accordo è stato invero perfetto, i loro raggiungimenti sono sembrati esem
plari e degni in tutto della più pura e più vera tradizione mozartiana. Michelangeli si
è ancora imposto con le perle del suo tocco inimitabile, con l’aristocrazia di una musi
calità fatta di istinto e di meditazioni. Nell’Adagio egli ha cantato con una intensità
lirica, bensì misurata e vigilata, ma al tempo stesso profonda di espressione e illumi
nata di tutti i suoi incanti. Da parte sua il direttore rumeno ha guidato con altrettanto
rispetto di ogni stilistica esigenza, compiendo lavoro mirabile di coesione fra le
sezioni strumentali e di compenetrazione fra strumentalità orchestrale e sonorità pia
nistiche. Un modello, insomma, di superiore criterio riproduttivo anche perché nei
due concertisti l’esercizio dell’esecuzione musicale mai si tramuta in abitudine, mai si
cristallizza in modulo accademico, ma rimane opera di vita rinovellantesi.
In tutto il resto del programma Celibidache ha avuto agio di manifestare la sua
natura decisamente originale che fa di lui una personalità senza riscontro. Come già
detto ripetutamente, egli si tiene lontano dal melodramma per rivolgere tutte le sue
energie alle composizioni sinfoniche, delle quali è medium spesso affascinante, talora
discutibile, sempre interessante. Negli ultimi tempi ci è sembrato di notare in lui una
più vigile accuratezza nella concertazione capillare, rivolta a un'indagine sempre più
precisa e minuziosa. La quale non esclude peraltro abbandoni e slanci affocati, e lus
suose coloriture. E non insisteremo, perché da tutti risaputo, sul suo straordinario
segreto di farsi seguire e amare dai professori d’orchestra con dedizione assoluta.
Che i momenti più luminosi delle sue interpretazioni sarebbero state le pagine di
Mozart, di Martucci (Notturno) e di Ravel (Seconda Suite del balletto Daphni e Cloe)
era facilmente preveduto. Infatti in questi brani tutta si è mostrata la tempra del con
dottiero forte, del rievocatore commosso e brillante, del conoscitore astuto di preziose
ricercatezze esecutive. Del Notturno martucciano - probabilmente la gemma di tutta
la produzione sinfonica del compositore Capuano - è stata riplasmata l'atmosfera sot
tilmente e altamente poetica nel suo respirante flusso melodico, mentre per Ravel
erano proposte e attuate soluzioni di timbrica e di dinamica con stupende alonature
multicolori in una prospettiva misteriosa e fascinatrice di paganesimo e di fiaba.
Un'esecuzione colma di aria e di luce.
Qualche lieve riserva, invece, per Verdi (Sinfonia laforza del destino) e per Wagner
(Preludio e morte d'Isotta) che, pur nell'esattezza della delineazione architettonica,
non hanno ricevuto compitamente, a nostro parere, il loro accento drammatico e il
loro romantico anelito pieno d'ansia e di mistero. Ha preferito Celibidache all'escavo
introspettivo l’investigazione analitica e la ricerca estetizzante, abbandonandosi, con
edonistico compiacimento, al puro suono musicale nella sua fisica bellezza.
Concerto, quale tutti prevedevano ed effettivamente è stato, di rilievo notevolis
simo e tale da soddisfare appieno e portare alle vette del godimento e dell'entuisiasmo
la moltitudine convenuta nella splendente sala del Bibiena, esaurita in ogni ordine di
posti e animatissima. Lungamente acclamati Celidibache e Benedetti Michelangeli,
invitato a bissare. Festeggiato pure e meritatamente il corpo orchestrale, disimpegna
tosi con grande onore.
Lionello Levi
L'abituale ciclo di concerti che, ogni anno precede, in questo breve periodo autun
nale, la lunga stagione lirica invernale si è iniziata ieri sera all'insegna di un successo,
le cui previsioni erano da tempo scontate. Una rassegna musicale, del resto, che è
riuscita ad assicurarsi, fin dalla prima tappa del suo viaggio, due artisti del calibro di
Benedetti Michelangeli e di Sergiu Celibidache per concludersi con un “recital” del
famoso pianista russo Sviatoslav Richter, contiene già due sufficienti elementi di suc
cesso. Senza contare che verranno anche ospitati due famosi complessi stranieri, quali
l'Orchestra Filarmonica di Leningrado e quella della Radio cecoslovacca, che, con l'in
tera compagine corale, eseguirà il “Requiem Tedesco” di Brahms. All'Orchestra stabile
delTeatro Comunale è stato poi affidato il compito di tre serate impegnative: la prima
con la direzione del m.o Gorzanelli ed il noto Duo pianistico Gorini-Lorenzi nell'ese
cuzione assai rara del Concerto in mi magg. per due pianoforti ed orchestra di
Mendelsshon; la seconda con il m.o Herbert Albert, che eseguirà, forse per la prima
volta nella nostra città la Settima Sinfonia di Bruckner, il robusto musicista tardo
romantico da pochi anni riabilitato all'ammirazione del pubblico italiano; la terza con
il m.o Ennio Gerelli che dedicherà alla memoria di Ottorino Respighi, nel trentesimo
anniversario della morte, le sue composizioni più belle, per le quali l'indimenticabile
Maestro bolognese potè elevarsi ad universale prestigio.
Programma, dunque, eclettico e stimolante che, in meno di un mese, sarà in grado
di accontentare anche i più esigenti cultori dell'arte dei suoni non meno di quella
parte di pubblico giovanile che, rinnovandosi sempre più numerosa, sarà in grado di
apprezzare, con la partecipazione diretta a buone esecuzioni, quel palpito emotivo
che non sempre può trasmettere la musica incisa nei dischi.
Il concerto di ieri sera aveva, peraltro, un significato ed un orientamento precisi:
celebrare il terzo centenario dell'Accademia Filarmonica con le musiche di cinque
insigni compositori, opportunamente scelti fra i tanti che hanno aderito agli inviti cul
turali dell'antica istituzione petroniana. Di tale prestigio che, purtroppo, appartiene ad
un glorioso passato scarsamente avvertito ai giorni nostri ha messo in evidenza l'in
cancellabile valore lo scrittore Riccardo Bacchelli in una breve introduzione al con
certo, mentre, nella saletta ovale delTeatro, una preziosa raccolta di autografi e cimeli
illustri, ne fornisce ampia testimonianza. Dalla ribalta fiorita, l'orchestra stabile del
Comunale ha poi dato un encomiabile saggio di disciplina associativa, al comando del
m.o Celibidache che sa valorizzarne le giuste proporzioni di suono, di colore e l'ade
guata animazione ritmica. Certamente il maestro rumeno, musicista estremamente
sensibile alle rarefazioni sonore, ha la tendenza ad eccedere negli effetti incorporei, in
capillari sfumature che, inevitabilmente snaturano l'accensione romantica di alcuni
brani di dominio popolare, come la Sinfonia della Forza del Destino e la wagneriana
Morte d'Isotta. Il Notturno di Martucci e Daphni e Cloe di Ravel hanno invece trovato
quel palpito poetico e quella struggente dimensione cromatica minuziosamente evo
cate da un direttore che dimostra di rivolgere assai poco l'attenzione alle tensioni liri
che del teatro musicale. Ci sembra codesta una limitazione non insuperabile per un
concertatore dotato di così alte qualità espressive.
La stilizzazione dei suoni orchestrali si è comunque fusa a meraviglia con il tocco
lunare e perlaceo di Arturo Benedetti Michelangeli, inimitabile interprete di quel
“Concerto in re min.”per pianoforte ed orchestra di Mozart la cui intonazione roman
tica piaceva tanto a Beethoven che vi dedicò due “cadenze”, una delle quali (la meno
eseguita), ebbe in Michelangeli l'artefice ideale, di classe veramente superiore.
Un clamoroso successo, che la natura riservata dell'insigne pianista ha dimostrato
di gradire con il dono di quei Rèflets dans l'eau di Debussy che sono una delle tante
gemme del suo repertoiro. Pubblico foltissimo che ha calorosamente festeggiato
anche il m.o Celibidache con l'intera orchestra.
G.M.M.
159
Apparati
E' ormai quasi una consuetudine che all'arrivo della primavera cali al teatro
Comunale di Bologna anche Sergiu Celibidache, così com'è diventata una consuetu
dine che in queste occasioni il teatro si riempia e le discussioni, sempre quelle ormai
da tanti anni, si riaccendano sui meriti, sui limiti e su tutto quanto è connesso con la
mitologia del personaggio. Tutto questo potrebbe suscitare qualche impazienza: per
ché avere sempre Celibidache e non altri la cui fama possa competere con la sua?
In realtà una ragione forse c'è: si dà il caso infatti che sia consuetudine dell'orche
stra Stabile di suonare molto spesso con l'aria di chi è costretto a tirare la carretta, di
chi sia lì perché passino le due ore dopo le quali ci sarà il meritato riposo; e i risultati
di quest'aria da sbadigli qualche volta si fanno sentire. Quando cala Celibidache invece
le cose cambiano: Celibidache esige e l'orchestra s'impegna; Celibidache alza un brac
cio e l'orchestra scatta: le prove sono massacranti ma nessuno fiata; pare solo lui sap
pia instaurare questo clima di tensione e questa corrente di reciproca simpatia. Ben
venga, dunque, Celibidache se è vero che l'orchestra impara più cose da lui in questi
quindici giorni che dagli altri in tutto il corso dell'anno.
Tuttavia i vantaggi di un apprendistato tecnico di questa specie hanno la loro con
troparte nei rischi che sono connessi al particolare tipo di sensibilità direttoriale del
personaggio in questione. L'altra sera, ad esempio, si è sentito uno Schumann di
grande ricchezza, un Debussy coloratissimo, ma un Beethoven che ha lasciato molto
perplessi, gravato com'era da inflessioni tardo romantiche che ne offuscavano la tipica
limpidezza neoclassica. Anche Sergio Perticaroli, che del quinto concerto beethove-
niano è stato l'applauditissimo interprete, ha ceduto a certe suggestioni dello stesso
tipo, soprattutto nell'adagio; ha interpretato invece il primo e il terzo tempo con mag
giore proprietà di stile.
M.B.
Il secondo concerto Celibidache, l'altra sera ài Comunale, con ripetizione nelle due
serate successive, contraddice, opportunamente, la pratica deleteria delle tournées
precipitose. Esse impediscono quasi sempre un pur piccolo rapporto con il pubblico,
una consistenza di legami e la cristallizzazione, fin che si vuole frammentaria, di un
gusto. Si tratta di una realtà quotidiana e del mezzo più comune dell'attività musicale,
ma essa tradisce nel contempo, infinite volte, un metodo inadeguato e falsificante di
far musica. I direttori arrivano frettolosamente, molte volte manca perfino il numero
di prove indispensabile, le intenzioni interpretative finiscono per assumere l'aspetto
di un oggetto d'uso immediatamente negato da un altro oggetto che gli viene sovrap
posto. Il carattere costitutivo di un'esperienza musicale appare così inesistente o
impoverito dalle circostanze.
Ricordiamo al contrario il significato che i concerti di Klemperer durante un intero
mese ebbero qualche anno fa a Firenze, la forza intellettualmente produttiva della
160
Rassegna stampa
D.C.
161
Apparati
Da quando è apparso sui podii italiani, cioè da una ventina d'anni il fascino innega
bile delle sue interpretazioni è stato insidiato da un certo fastidio che la sua frenesia
istrionica non mancava di infliggere. Le sue esecuzioni erano alimentate da una tensione
verso l'innarrivabile che sfiorava l'annichilimento musicale. Da quel perfetto allievo di
discipline magiche che egli è, Celidibachc persegue il suo ideale di ebbrezza timbrica a
prezzo della struttura vitale, cioè della forma della musica, con accanimento mistico. La
sua enfasi emotiva, del tutto sincera, si abbandona ad un infrenabile edonismo sonoro
che sfugge alla sfera della dimensione estetica per trovare giustificazione in quella miste
rica ed egli, sicuramente, crede più alle idee preziose che a quelle giuste.
Nei suoi caratteri fondamentali le interpretazioni di Celibidache non sono cambiate
anche se essenze alchemiche della sua prodigiosa tavolozza timbrica ci sembrano offu
scate e se più invadente si è fatta l'inclinazione a un discutibile esibizionismo.
Nel concerto dell'altra sera ha diretto Una notte sul monte Calvo, Quadri di una
esposizione di Musorgskij e VIdillio di Sigfrido di Wagner. Della pagina wagneriana
abbiamo avuto una versione oppiata, affatto estranea a quel clima di fresca intimità e di
felicità espressiva che sono i connotati di questa partitura. Anche Una notte sul monte
Calvo ha perduto del suo slancio poematico che anima la palese bruttezza di quest'o
pera. Le meraviglie invece da Mille e una notte, Celibidache ha saputo estrarre dai
Quadri di Musorgskij-Ravel che sembrano scritti per esaltare la personalità di questo sin
golare direttore.
D.C.
Dopo molti anni il pubblico del festival riminese ha avuto modo di riascoltare l'orche
stra sinfonica del Comunale di Bologna sotto la guida di un direttore del prestigio di
Sergiu Celibidache. Celibidache ha diretto l'ouverture delVAnacreonte di Cherubini,
opera scoperta nella sua interezza poche settimane fa a Siena,Morte e Trasfigurazione,
di Richard Strauss, La mer di Debussy e alla fine Daphnis et Chloé di Ravel.
Non era difficile prevedere il successo di questo concerto e la resa dell'orchestra
bolognese, una resa inarrivabile con altri direttori e per la verità raramente raggiunta
anche con lo stesso Celibidache.
Dell'/I nacreonte il direttore romeno ha messo in mostra più i nessi con il settecenti-
smo della partitura che il presagio di futuro e le affinità beethoveniane di quest'opera,
capolavoro del compositore fiorentino. Morie e Trasfigurazione ha costituito, a nostro
avviso, il top interpretativo del concerto, un'interpretazione colma di slancio intemerato
e di raffinatissimi rivolti cameristici, non tutti, peraltro, ineccepibilmente eseguiti.
La mer e la Daphnis raveliana si possono ascrivere fra i fatti interpretativi meno dis
cutibili del repertorio di Celibidache ed i risultati anche questa volta sono stati all'altezza
di una congenialità stilistica vissuta come una seconda natura dal musicista romeno.
Duilio Courir
162
Rassegna stampa
Agosto 1972
Celibidache insegnerà a dirigere
Terrà in settembre a Bologna un corso internazionale di perfezionamento per direttori
Nel prossimo settembre, dal 3 al 30, il maestro Sergiu Celibidache dirigerà un corso
di perfezionamento per direttori d'orchestra che è stato promosso e organizzato dal
Teatro Comunale.
L'iniziativa si prospetta di grande interesse perché questo corso può considerarsi il
primo a carattere internazionale essendo aperto a cittadini italiani e stranieri. Vi
saranno ammessi, dopo una prova scritta ed una teorica, quattordici allievi.Tali prove
saranno sostenute il 3 e il 4 settembre.
Nella conferenza stampa, tenuta domenica 20 febbraio negli uffici della
Sovrintendenza dell'Ente Autonomo Teatro Comunale dallo stesso maestro
Celibidache, giunto appositamente da Parigi, l'illustre artista ha spiegato come l'ini
ziativa oltre che lodevole, corrisponda ad una effettiva necessità, perché - ha concluso
il maestro - “siamo circondati da dilettanti”,
L'orchestra stabile del Teatro sarà messa a disposizione di Celibidache per tutta la
durata del corso.
All'attesa presentazione hanno partecipato giornalisti italiani e stranieri e Ita questi
Maria Miller Broftova de “La voce d'America”, Nikolai Progiokin della “Pravda”,
Mercedes LaValle di “A Gazeta”di San Paulo,Talia Spiliakou del “Vradini”un quotidiano
di Atene, Gorm Kornerup di “Information” di Kopenaghen, Veit Ulbricht Molter di
“Aben Zeltun”, Paloma Gomez Borrero di “Alcazar”di Madrid e molti altri.
163
Apparati
D.C.
164
Rassegna stampa
M.B.
Domenica 8 ottobre, alle ore 17, al Teatro Italia in Fusignano, Sergiu Celibidache
onorerà Arcangelo Corelli e la sua città natale, dirigendo un concerto sinfonico per
strumenti solisti e orchestra di archi.
Sergiu Celibidache è nato in Romania nel 1912, è stato allievo della “Hochschule fur
Musik” di Berlino, di Thomas, Gmeindl, Thiessen e Stein, ha studiato musicologia con
Schering e Schynemann laureandosi con una tesi su Josquin Després. Direttore dal 1945
dell'orchestra filarmonica di Berlino, nel 1949 ha diretto a Londra, nel 1950 in Messico,
ed è stato chiamato poi a capo di molte orchestre anche in Italia. Ha composto sinfonie,
suites e concerti. La sua celebrità mondiale è legata al suo prestigio di direttore.
Con Celibidache sarà presente a Fusignano il giovane flautista bolognese Giorgio
Zagnoni, nato nel 1947, allievo dei Conservatori “Martini” di Bologna e “Cherubini”di
Firenze, vincitore a diciotto anni del concorso nazionale per primo flauto presso l'or
chestra sinfonica della Rai di Milano dove ancora ricopre questo ruolo; concertista in
Italia e all'estero, solista in numerose tournées con i Solisti Veneti. Con il complesso
strumentale italiano, “I Virtuosi di Roma” ha partecipato al Festival di Osaka. Insegna
flauto ai Conservatorio di Bologna.
Celibidache, affrontando Corelli, uscirà dai confini del subnormale repertorio e sarà
interessante sentir rivivere una pagina musicale di tre secoli fa nella interpretazione
di questo artista contemporaneo.
Di Corelli sarà eseguito il XII Concerto grosso, uno dei cosiddetti concerti da
165
Apparati
camera con la presenza di preludio, sarabanda e giga, l'ultima pagina corelliana nel
l'ordine ufficiale delle sue opere.
Giorgio Zagnoni metterà la sua preparazione tecnica, la sua intelligenza musicale e
di virtuosa bellezza del suo suono al servizio della Ouverture in si minore di Giovanni
Sebastiano Bach per flauto, archi e continuo, scritto nel 1721. Il concerto Celibidache
sarà completato dalla Sinfonia n. 29 in la maggiore K. 201 di Mozart, composta nel
1744 per due oboi, due corni e archi.
L'orchestra d'archi che eseguirà il concerto sarà quella dei Filarmonici del Teatro
Comunale di Bologna (Adamo, Bernardini, Bignami, Chierici, Colò, Zampieri, Zanella
violini; Alessandri, Borgatti viola; Bruni, Emiliani violoncello; Rizzoli contrabbasso;
Nicoli clavicembalo) arricchita nell'occasione da Giuliano Giuliani e Gino Siviera
(oboi) e da Glauco Boni e Luigi Girati (corni).
Il concerto, offerto dall’Amministrazione comunale di Fusignano, sarà gratuito.
Fusignano, piccola città della Romagna, non vuol essere soltanto la patria passeggera
di Arcangelo Corelli e perciò da qualche anno ha imboccato la strada consapevolmente
in grado di suggerire un'immagine meno sbiadita del musicista ed ha assicurato un'at
tenzione non puramente simbolica e facile all'opera di questo compositore. Forse non
c'è da questo punto di vista esempio migliore del convegno di studi corelliani che si è
tenuto in questa città qualche anno fa e del quale recentemente sono stati pubblicati
gli atti. I modi per rendere onore ad un concittadino illustre sono molteplici ma il rap
porto più serio è quello che si rivolge a decifrare e rendere contemporanei i suoi con
notati. Ricordiamo il convegno corelliano perché spiega il tipo di atteggiamento che
Fusignano ha saputo tenere intelligentemente e che merita rilevare. D'altronde i
responsabili di questa città, a cominciaree dal sindaco Argelli, hanno saputo non appa
garsi del successo e soprattutto non perdere di vista il significato di una costanza. La
buona attitudine di Fusignano per la memoria di Arcangelo Corelli si spende in una atti
vità di concerti che si rinnova da qualche anno con successo e che nella manifestazione
dell'altro giorno al teatro Italia ha avuto un momento d'eccezione.
Ha suonato il complesso dei Filarmonici delTeatro Comunale di Bologna con la par
tecipazione di Giorgio Zagnoni e la direzione di Sergiu Celibidache. L'ensemble musi
cale dei Filarmonici è la testimonianza più consistente, negli anni recenti, della cultura
musicale bolognese, una voce rarissima in un panorama che deve essere giudicato con
perplessità. C'è in questo gruppo una generosità immaginativa e la capacità di scuo
tersi dalla routine azzardando una misura civilissima del far musica.
Le circostanze nelle quali ha eseguito il concerto ieri pomeriggio erano singolaris
sime e si può immaginare come la presenza di Celibidache sul podio abbia compor
tato un clima interpretativo esemplare, ma certo non può essere giudicato episodico
il livello di unità, di animazione concertante, la sigla di perfezione esibita nell'esecu
zione fusignanese. Celibidache per dovere di cronaca, dirigere a Fusignano (senza
compenso alcuno) ha accostato la propria personalità specifica a questo complesso e
il lavoro, l'accento del grande direttore non ha prevaricato ma esaltato fino ad un cul
mine virtuosistico insorpassabile, le qualità del gruppo. Mozart soprattutto, il Mozart
della sinfonia in la maggiore K. 201, è stato sottolineato, in tutta la straordinaria ric
chezza del suo discorso con preziosissima esattezza espressiva.
Prima della sinfonia mozartiana è stato eseguito il Concerto grosso in fa maggiore
166
Rassegna stampa
Duilio Courir
167
Apparati
D.C.
Trio di Trieste
168
Rassegna stampa
a tenere a galla questo inconsistente relitto; lo stesso pubblico ha avuto una significa
tiva reazione: completamente soporizzato dal pulito vaniloquio non si rendeva conto
che il pezzo era finito. Siccome non c'era in sala un maresciallo con il petto sferra-
gliante di medaglie a dare il via agli applausi, il maestro ha dovuto scendere dal podio
per far capire che l'opera era finita!
Ben diversa consistenza e validità abbiamo riscontrato nel Concerto per Trio e
orchestra di Alfredo Casella. Questa grande figura della musica italiana del '900 sta sof
frendo da tempo di grande sfortuna critica. Etichettato superficialmente di neoclassi
cismo in senso negativo, si dimentica troppo facilmente che nel panorama della
musica italiana degli anni 30 (dove possiamo indagare ormai con un certo distacco)
alcune sue opere si stagliano con caratteri di creazioni autentiche e cito ad esempio
la Serenata e - perché no - questo Concerto di suggestivo e pregante slancio musi
cale. Il Trio di Trieste (Dario de Rosa, Renato Zanettovich e Amedeo Baldovino) in un
autentico stato di grazia hanno interpretato la densa parte solistica raggiungendo
livelli di concentrazione musicale impressionante. Il maestro Celibidache ha equili
brato con grande misura e precisione i complessi rapporti tra i solisti e l'orchestra.
Rimane da lamentare un passo nella presentazione al programma di sala. Casella
mascherò il proprio disegno di restaurazione e di conservazione di certe posizioni
personali che egli vedeva corrose dal “microbo atonale” della scuola di Vienna.
Dispiace di non disporre di spazio sufficiente per confutare tali approssimativi giu
dizi. A nostro avviso chi crede in ciò poco sa di storia e meno di musica.
Concludevano il concerto le briose e appassionate Danze di Galanta di Kodaly.
L'orchestra e il direttore, qui chiamati in campo in una partitura di notevole diffi
coltà, hanno realizzato un'esecuzione di approfondita e brillante scioltezza.
Celibidache ha confermato il suo versatile ingegno e le sue eccezionali doti diret
toriali conseguendo risultati degni della massima stima. Orchestra, direttore e solisti
sono stati applauditi a lungo dal non numeroso pubblico.
Adriano Cavicchi
1973, settembre 14
Parco comunale di via Stalingrado (in occasione della Festa deH’Unità).
Musorgskij-Ravel, Quadri di una esposizione
Stasera alle ore 18 prende il via il Festival provinciale dell'’’Unità” allestito col
lavoro, l'impegno, la passione politica di migliaia di compagni nel nuovo Parco di via
Stalingrado, all'uscita della tangenziale. Il sindaco, compagno Zangheri, taglierà il
nastro posto all'ingresso, nel corso del tradizionale semplice incontro di compagni e
amici che ogni anno inaugura la festa. Inizia così la prima delle dieci giornate in cui si
snoderà il Festival, con le sue “cento” iniziative e manifestazioni. La prima, di preciso
significato in questo momento politico, è quella che avrà luogo stasera stessa con la
grande manifestazione antifascista.
Subito dopo il comizio si terrà l'annunciato concerto dell'orchestra sinfonica del
Teatro Comunale, diretta dal maestro Sergiu Celibidache.
L'iniziativa non rientra nelle abitudini e nella tradizione dei Festival. Non si tratta
però di una innovazione soltanto bolognese, ma di una linea seguita anche nei Festival
nazionali di Venezia e di Milano.
In entrambe queste occasioni si è scelta una via nuova.
Quella di rifiutare l'accettazione passiva e irragionevole della tradizione culturale
borghese che ha sempre teso a scavare un solco profondo tra gli uomini di cultura e
le classi lavoratrici: da una parte la musica “colta” con i suoi riti e i suoi luoghi speci
169
Apparati
fici (i teatri, le sale da concerto), dall'altra la musica “popolare” anch'essa chiusa nel
suo ghetto.
Il programma musicale di questa sera è uno dei tanti modi possibili di rompere quei
ghetti. L'orchestra del Teatro Comunale eseguirà i Quadri di una esposizione di
Modest Petrov Musorgskij. Si tratta di una delle opere più famose del musicista russo.
L'opera fu composta da Musorgskij nel 1874 per solo pianoforte. La trascrizione orche
strale è opera del musicista francese Maurice Ravel.
Abbiamo già parlato più volte delle diverse e qualificate manifestazioni culturali,
politiche, artistiche previste nel programma del Festival. Ne riferiremo nel dettaglio
giorno per giorno.
Sergiu Celibidache è ritornato nel nostro paese, dopo dodici anni di assenza. A
Napoli, al Teatro San Carlo, il pubblico gli ha decretato un trionfo dopo l’esecuzione
della Quarta Sinfonia di Anton Bruckner. Il camerino, durante le prove e dopo i con
certi, era pieno di vecchi amici della “Scarlatti”, che volevano festeggiare il maestro,
con il quale avevano vissuto per anni tante esperienze ed emozioni.
Celibidache era contento di tutte queste manifestazioni di affetto, che soltanto i
napoletani sanno esprimere con elegante espansività e con una comunicativa che non
ha confronti al mondo. Ma neppure il clima felice del glorioso teatro partenopeo è
riuscito ad addolcire il carattere tempestoso del vecchio leone. Sergiu Celibidache,
musicista romeno educato e cresciuto negli anni di ferro di una Berlino in guerra, non
ha perduto niente della sua leggendaria intransigenza ed aggressività polemica, contro
tutto quello che contraddice i suoi ideali. Lo incontriamo nel camerino del San Carlo
dopo il concerto.
Come un guru.
E’ disteso ed elegante, con i capelli rawiatissimi e con l’aria ispirata che lo fa asso
migliare ad un guru.A settantuno anni è uno che ha fatto molte battaglie per la musica,
ma certo non dà l’impressione di volersi arrendere. Da qualche tempo è alla guida
della Filarmonica di Monaco che ha portato ad un ottimo livello ed insegna presso
l’Università di Magonza dove molti dei suoi allievi sono italiani. Parliamo con Sergiu
Celibidache della sua vita di musicista, delle sue idee e delle molte cose che hanno
attraversato la sua esistenza di direttore.
Lei si è formato negli anni di guerra a Berlino: come ricorda quella stagione e che
cosa rappresentava Wilhelm Furtwängler?
“Sono stati anni di intenso studio. E’stato il periodo più felice della mia vita, perché
mentre gli altri facevano la guerra, io scoprivo e mi appassionavo alla musica, e poi
avevo a mia disposizione dei professori che avevano bisogno di allievi per poter rima
nere a Berlino e non essere mandati al fronte. Quindi è stato un periodo molto bello
per me e molto brutto per gli altri. Io sono sempre stato e lo ero anche allora, un agi
tato, uno che voleva sapere, che voleva arrivare in fondo alle cose e quindi, se c’era un
170
Rassegna stampa
maestro che mi poteva insegnare qualche cosa, correvo ad ascoltarlo. Per il resto
grande passione e grande tensione in tutto”.
E come guardava in quegli anni Furtwängler?
“Io sono forse l’unico direttore che ha scoperto quale era il valore di Furtwängler,
che non è stato un grandissimo direttore come probabilmente pensano tutti. Ma un
musicista che ha capito una cosa di essenziale importanza: qualsiasi tempo è plausi
bile se c’è l’espressione giusta. Lui non sapeva molto di struttura musicale ma aveva
un istinto incredibile e poi c’era in lui una volontà irresistibile di portare il fatto musi
cale ad una certa evidenza obiettiva. Per me è stato il primo ed anche l’ultimo di quelli
che hanno capito l’importanza del tempo in relazione al suono. Il tempo non è una
cosa in sé ma un catalizzatore, quello che rende possibile da una molteplicità di
impressioni di arrivare all’unità”.
Una questione che vorrei porle è quella dell’opera. Come mai lei non ha mai affron
tato questo problema e quali sono le ragioni di questa riluttanza?
“Sì, qualcosa ho fatto in concerto ma è un genere così imperfetto che non si riesce
proprio a dominare: l’orchestra, i cantanti, le distanze. Più uno è lontano, più calante è
il suono; anche quando uno possiede un buon orecchio può accadere questo. Per l’o
pera bisogna possedere una generosità che io veramente non ho. Perché anche
quando un cantante stona, l’opera continua e va avanti. Il cantante procede nel suo
ruolo ed io, direttore, devo ingoiare tutto quello che a me pare assolutamente impos
sibile da mandare giù”.
Ma ha avuto qualche prova, ha fatto qualche esperimento?
“Sì. Io faccio delle opere in forma di concerto, per esempio Così fan tutte. Adesso
una delle mie ambizioni è quella di dirigere in forma di concerto il Wozzeck di Alban
Berg a Monaco. Mi piacerebbe metterlo in programma per l’inaugurazione della nuova
sala della Filarmonica di Monaco, nel 1985”.
Improvvisazione.
Lei ha seguito la vita musicale italiana in tutti questi anni, dalla fine della guerra ad
oggi. Come giudica la nostra situazione sotto questo profilo?
“Scadente, assolutamente scadente. Dopo che è morto De Sabata che è stato uno
dei più grandi uomini di musica del nostro tempo, è scesa sempre più in basso.
Quando vedo come voi stabilite i valori resto sgomento. Ho avuto degli allievi italiani
con dei padri molto importanti, negati per la musica, che hanno fatto carriera. Come
mai non vi rendete conto di tutto questo? La vostra vita musicale è dominata da un
commercio di influenze dove i valori non contano niente. Ma ripeto quello che ho
sempre detto: il popolo di maggior talento per la musica è certamente l’italiano ma
anche il popolo più ignorante in materia musicale”.
E come spiega questa contraddizione?
“Questo dovreste dirlo voi. Guardi l’economia: è la più sballata e la più improvvi
sata del mondo eppure va avanti, in virtù di questa forza individuale e di questo genio
italiano. Mi dispiace enormemente vedere che questo paese, che poteva essere davanti
a tutti, sia tanto mal guidato. Poi non esistono più maestri che insegnino. Una volta si
veniva in Italia per imparare il canto, non più di quarant’anni fa, io me lo ricordo.
Wunderlich diceva:“Devo passare in Italia per imparare certe cose”. E adesso chi viene
più in Italia?”.
Oggi forse le scuole migliori sono quelle americane.
“Sì, gli americani che hanno una tendenza naturale alla virtuosità e poi sono un
popolo aperto, molto ritmico, orecchio fantastico, possono pagarsi i migliori profes
sori, hanno oggi le migliori scuole”.
Lei ha speso molte energie, oltre che nella direzione, anche nell’insegnamento:
come giudica guardando al lungo lavoro fatto?
“Io sento questo come un dovere verso i giovani. Ho avuto molti inviti per inse
gnare anche in America ma nella vita mi sono battuto per la cultura europea e per que
sto sono rimasto qui, devo dire anche con un po’ di successo. Perché in Germania le
171
Apparati
Gli allievi
Non mi sembra giusto generalizzare.
“No, certo. Ma che cosa si può fare? Una goccia di limone per un litro di latte fa
andare a male tutto il latte. Sono bastate quattro o cinque di queste “gocce”, di questi
“cani” disgraziati per mandare all’aria il lavoro che avevamo fatto insieme”.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che volesse intraprendere la carriera del
direttore?
“E’un po’strano il mio consiglio: di venire dietro di me. Io passo la mia vita Ira Parigi
e Monaco dove insegno. Gli allievi stanno con me, mangiano alla mia tavola e conti
nuiamo a parlare di musica ed a risolvere i problemi che si presentano”.
Oggi riprenderebbe la guida di una orchestra italiana?
“Mai, per nessuna ragione farei più un lavoro diretto con un’orchestra italiana, ma
sono pronto a tenere volentieri dei corsi di direzione d’orchestra. Gli italiani sono ter
ribilmente ignoranti musicalmente anche quando sono dotati di diplomi, ma hanno un
certo dono della comunicatività che è unico. Quindi orchestra italiana niente, ma corsi
sì. Io sono contro uno stato di cose attuale per mancanza di competenza generale che
esiste nel vostro paese, ma davanti al talento italiano, alla intelligenza di tanti giovani
che sono senza maestri, io farei qualsiasi sforzo e sacrificio”.
Lei ha avuto dei rapporti con molte istituzioni, ma sono finiti tutti tempestosa
mente. Per quale ragione?
“Per la mia intransigenza. Io credo in quello che faccio, senza dubitare mai. Questo
provoca inevitabilmente dei conflitti e delle rotture”.
Crede anche lei, come Karajan, che i nostri progetti e le nostre idee non finiscono
con noi, ma si reincarnano dopo la nostra fine, da qualche altra parte?
“Io non credo, io so che c’è continuità. Noi abbiamo vissuto, e questo complesso
che fa la personalità dell'uomo cerca un altro corpo per servirsene. C’è una perfetta
continuità nella storia dell’uomo. Io sono un allievo di Saj Babà, che è un filosofo
indiano e da lui mi reco due volte all’anno. E’lui che ci sa dire da dove veniamo e dove
abbiamo vissuto”.
Lei ha parlato del tempo musicale, ma che cosa è il suono per un direttore?
“Se il suono è qualche cosa, il direttore è un cretino. Il suono è uno strumento, è un
veicolo per portare una certa sostanza della quale non possiamo dire niente perché
non è di natura intellettuale. La musica non è suono, il suono può diventare musica”.
Quale è stato il direttore che ha contato di più per lei?
“De Sabata, sicuramente. Egli non è stato soltanto un musicista fenomenale ma
anche un grande direttore. Cos’era il suono di De Sabata. Qualche volta gli dicevo:
“Perché maestro toglie lì la viola, e qui un altro strumento”. “Lei non sente come
suona?” mi rispondeva. E’ stato molto combattuto e poco capito in Italia, ma era un
vero fenomeno. Con lui si poteva parlare di tutto. Mi ricordo quando venni per la
prima volta alla Scala: alla prova c’era un silenzio perfetto, pensai fra me: “Dio mio,
sono così giovane e sono già così conosciuto e temuto in Italia!”, invece non era per
me, in un palco ad ascoltare c’era De Sabata.
Quando parlai con lui non disse una sola cosa sbagliata. Io gli raccontai dell’emo
zione che avevo provato quando era venuto a Berlino a dirigere il Tristano. Dio mio!
Ci nascondevamo nel gabinetto e restavamo tutta la notte, per poter sentire la prova
la mattina dopo: senza luce, guardando la partitura con il fuoco dei fiammiferi. Che
enorme impressione, ancora adesso se ci penso mi vengono i brividi! Appena apriva
172
Rassegna stampa
la bocca, l’orchestra era come elettrizzata, diceva delle cose che nessun tedesco aveva
mai analizzato e realizzato”.
E dei molti solisti con i quali ha diretto, chi ricorda di più?
“Benedetti Michelangeli. Come avete fatto a lasciarlo andar via dall’Italia? Fra noi c’è
una amicizia e una armonia incredibili. Mi dispiace che non si trovi più in Italia per
ché è un musicista che non nascerà una seconda volta. Mi ricordo che il mio profes
sore dopo averlo ascoltato nel Carnaval di Schumann mi disse:“Guardi, io non credo
che mai un tedesco sia arrivato a questa profondità”.Io sono stato pianista, ma quando
sento Michelangeli ringrazio Dio che non ho continuato questa carriera perché non è
possibile suonare dopo averlo ascoltato.Veramente unico! Lui in un certo modo lo sa.
Adesso abbiamo suonato il concerto di Ravel a Londra. Alla fine una signora è venuta
in camerino:“Ah! Maestro, cosa avrebbe detto Ravel se l’avesse sentito!”e Michelangeli
le ha replicato: “Che importanza può avere questo. Le è piaciuto signora?” timido,
aggressivo. Che peccato per l’Italia averlo perduto”.
Duilio Courir
173
Apparati
Angelo Foletto
174
Rassegna stampa
sia di Mallarmé, al suo Aprés-midi d'un faune che ha ispirato la pagina e al suo sogno
interrotto, alle sue ninfe, alle sue impressioni indefinibili, tutto sembra pian piano
seguire un suo percorso e acquistare un senso. Infine Musorgskij-Ravel, owvero la
pagina in cui rifulge il virtuosismo o la modestia di chiunque vi si accosti. Ed è qui che
ci si accorge, ad esempio, che l'orchestra dei Münchner non è quella che si definirebbe
una grandissima orchestra, ma che, nonostante ciò, la sua è una grande prestazione, in
perfetta sintonia col pensiero del suo direttore. E qui che si tocca il culmine della
capacità di sfumare i fraseggi, di graduare dinamiche incredibilmente flessibili, di con
durre, con un calcolo quasi drammaturgico, un lentissimo, impercettibile crescendo
fino al possente clima finale, in cui l'orchestra sfodera - per la prima volta nella serata
- tutta la sua straripante potenza.
Difficile essere “obiettivi”verso un artista che ha fatto dell'introspezione individuale
il suo credo.Tuttavia è certo che molto della sua meditazione musicale perviene all'a
scoltatore: sotto le sue mani quelle pagine celebri, consegnateci attraverso il mercato
dei dischi (che egli non a caso ha rifiutato) e dei concerti, appaiono mutate; qualcosa
si è perso, qualcosa sicuramente si è acquistato, ma credo che la bilancia volga all'at
tivo.
Giordano Montecchi
Il ritorno di Sergiu Celibidache in Italia, a Bologna e Roma, ovvero proprio nelle due
città che lo videro scontrarsi con l'immoralità della vita culturale nostrana, è un'occa
sione per ammirare ancora una volta la rigorosissima civiltà di questo maestro e lo
splendore dei risultati che raggiunge.
Con la Filarmonica di Monaco, la “sua”orchestra, nei concerti bolognesi e in quello
romano (oggi al Comunale, domani all'Auditorium di via della Conciliazione) egli pro
pone ancora musiche scelte nell'area delle sue predilezioni, tra il sinfonismo tedesco
dell'Ottocento e le musiche dei francesi del Novecento, di Stravinskij e Bartók. Il pro
gramma annunciato prevede la Sinfonia n. 4 di Schumann, opera dalle forme stravolte
e affatto squilibrate, sinfonia romantica alla quintessenza e sconvolgente, e i Quadri
di un'esposizione di Musorgskij, orchestrati da Ravel, è il pezzo di vivaci colorature,
errabondo, ma tenuto insieme dal ripetersi della Promenade. Nel concerto bolognese,
Celibidache, lunedì anziché la sinfonia di Schumann aveva voluto dirigere il Milhaud
di Saudades do Brasil e il Debussy del Prelude a l'àprès midi d'un faune.
E' un vero peccato che questi due pezzi siano poi saltati perché, soprattutto
Saudades che possiede nella lettura di Celibidache una mescolanza di vivacità ritmica
e di melanconie espressive che ne fanno un piccolo capolavoro nella rappresenta
zione del ballo quale strumento di resistenza contro depressione e disperazione.
Nessun abbandono agli effetti coloristici che il pezzo offrirebbe, e, dunque, nessun
abbandono alla superficiale visione turistica ma la disperata tensione della frase,
spesso soltanto ritmica, come un riff o il bacio ripetuto di una figura di ballo; a strin
gere il nodo attorno all'ostinata ricerca della forza e dell'energia.
In altre mani, questo potrebbe risultare facilmente un pezzo di colore. Con un'or
chestra come quella che Celibidache ha preparato esiti effervescenti sarebbero garan
titi: ma al direttore interessa di più penetrare nella struttura che appoggiarsi alla super
ficie, cosicché ne esce proprio questa natura doppia di testarda resistenza contro il
malessere, sotto l'immagine del samba, del carnevale, dell'allegrezza.
Celibidache è direttore affatto radicale; per lui il saper musicare è prima di tutto.
Non il gesto, non il colore, non gli effetti ma la scienza. Sembrerebbe ovvio esser così,
ma non è, come innumerevoli esempi testimoniano.
175
Apparati
Giampiero Cane
E’ partita dal Teatro Comunale la breve tournée (solo Bologna e Roma le città for
tunate) di Sergiu Celibidache alla testa dei Münchner Philharmoniker.
Oltre al richiamo del nome illustre, legato anche alla vita musicale torinese per
tante occasioni di lavoro con l'Orchestra Sinfonica della Rai, mi solleticava in campo
al programma un invito personale a curiosare nel catasto della memoria: Saudades do
Brasil di Milhaud, la prima musica del Novecento che mi sia capitata di sentire, pro
prio con Celibidache trentenne intorno al 1950, quando i concerti della Rai si tene
vano ancora al Conservatorio. Per cui, raggiunto per tempo il Comunale, ero al mio
posto, con l'acquolina in bocca, un quarto d'ora prima dell'inizio: cosa che non mi suc
cede mai.
Avevo vivissima l'immagine di Celibidache che sul podio danzava, più che non diri
gesse, la suite di Milhaud.
Oggi non danza più, danzano le sue mani, le sue dita; accennano figure, simulano
interrogazioni, corteggiamenti a questo o a quello strumento; gesti che parlano, diversi
da ogni altro direttore, così come diversi sono i suoni che ne derivano; di Celibidache
si può dire che ha un “tocco”, come lo diciamo dei pianisti. Ma non sopraffò di inten
zioni e di effetti la partitura; una matura saggézza tempera il virtuosismo e colloca gli
oggetti musicali nella loro luce naturale; e i quadretti brasiliani restano quello che
sono: acquerelli, guazzi, cartoline illustrate, vibranti di ritmi e di acidule dissonanze.
Ma la cosa più sorprendente di tutta la serata, firma Celibidache fino all'ultima semi
croma, è stato il Prelude à l'après-midi d'un faune di Debussy, personale fin dall'e
sordio del flauto solo per il rilievo dato, con una punta di civetteria alla seconda nota,
ben separata dalla terzina che segue.
Tempo molto più lento del consueto, ma il concatenamento di quella fittizia immo
bilità è serrato e avvincente, dramma di gemmazioni é sporulazioni, avventura del
suono: l'ascoltatore è invitato (costretto) a un assaporamento sottile della propria sog
gettività, del proprio “io ascolto”.Anche qui, come in Milhaud, ma su un piano più pro
fondo, la dimensione analitica non resta esercizio, ma sprigiona una sensazione di
pace e di pienezza, un respiro di natura, nel cui ritmo si dissolve la resistenza passiva
dell'ascoltatore.
Il programma, sulla carta, offriva a questo punto la Quarta Sinfonia di Schumann,
altra partitura carissima al Celibidache di un tempo, altra acquolina; ma una trombetta
squilla impaziente di dire tante cose cioè di raccontare i Quadri di una esposizione
di Musorgskij-RaveI, chiamati in causa con repentino cambiamento di rotta. Quanta
materia per Celibidache da sviscerare, ordinare, mettere in mostra; la Filarmonica di
Monaco si conferma compagine eccellente, solida in ogni reparto, ma non straordina
ria per vertici singoli o tecnica di insieme; il miracolo, l'aderenza, la risposta immediata
ad ogni cenno, sguardo o sospiro del direttore.
Dopo Saudades, il pubblico non sapeva se poteva applaudire; viziato dalle fiere sin
176
Rassegna stampa
Giorgio Pestelli
Sono qui riproposti articoli di Piero Buscaroli (Il Giornale), Angelo Foletto (La
Repubblica), Paolo Isotta (Corriere della Sera) e Leonardo Pinzauti Gl Resto del
Carlino). L’articolo di Piero Buscaroli, apparso su II Giornale di sabato 17 agosto 1996,
era una sintesi di uno scritto più lungo, qui riprodotto integralmente.
Con l’indifferenza e l’ignoranza delle nazioni piombate nel pozzo nero dove non ci
sono più né storia, né cultura, né umana pietà, le televisioni italiane, di Stato e private,
in bella concordia, hanno trovato inutile far sapere ai milioni dei loro rincretiniti
clienti che ieri è mancato ai vivi Sergiu Celibidache: il più estroso, il più generoso, il
più permaloso, il più imprevedibile, il più assolutamente disinteressato dei musicisti,
il direttore d’orchestra ormai unico per la magia della sintesi che reggeva il suo spi
rito, di istintiva potenza e maturata sapienza, l’interprete ispirato che sapeva ancora
strappare alle stelle fredde e remote dei grandi creatori, qualche bagliore della scin
tilla divina.
Celibidache: un’ipotesi perduta dell’arte germanica. Un’ipotesi che rimase per
decenni in bilico, latente, sempre sul punto di dissolversi. Un’ipotesi che rimase a
lungo annebbiata dalla giusta ira di una ingiustizia subita, e più a lungo ancora fu sacri
ficata dalla ritorsione degl’ingiusti che, come sempre accade, non perdonavano alla
vittima l’ingiustizia subita. Restaurata, infine, per un ultimo tratto grandioso e malin
conico, grazie a un’accorta, delicata opera di umanissima volontà, da cui scaturì, se non
una guarigione ormai impossibile, almeno una delicata sutura e ricucitura psicologica
e artistica.
Or sono tre anni, il Bundespresident von Weizsäcker riuscì, dopo un lungo lavorio
di preparazione, a riportare Sergiu Celibidache, per un concerto di beneficenza a
favore della Romania, libera dalla tirannide comunista, sul podio dei Filarmonici di
Berlino, dopo quasi mezzo secolo di sdegnato rancore. In una profonda e amara ana
lisi retrospettiva, Wolfgang Sandner si chiese “che cosa sarebbe stato di quell’orche
stra, se, al posto dell’astuto Karajan, i suoi musicisti avessero eletto, a successore di
Furtwängler”, chi più d’ogni altro ne aveva il diritto, “lo spigoloso, l’aspro, l’asociale
Celibidache”.
E’storia che pochi conoscono, e quando possono narrano e rinarrano, come Alberto
Mantovani, la splendida tromba solista dell’orchestra bolognese che al maestro sempre
rimase fedele dopo l’ennesima delusione coi bolognesi. Dopo la catastrofe del maggio
1945, esule in Svìzzera l’epurato Furtwängler, morto tragicamente e forse suicida il suc
cessore Leo Borchard, riuscì provvidenziale agl’impauriti Filarmonici che si erano
riuniti in un cinema di Stegliz, il romeno trentatreenne sconosciuto esordiente che con
stoica determinazione e durissimo lavoro in circostanze impossibili, li salvò alla palude
che attende le orchestre in declino: dall’assedio di tante forze negative congiunte nella
penuria economica: la mancanza di case, di progetti, di programmi, l’indifferenza ostile
177
Apparati
178
Rassegna stampa
nella vacua Vienna, la vera tradizione bruckneriana che i direttori, stabili e ospiti, suc
cedutisi nel dopoguerra salvarono, da Hans Rosbaud a Eugen Jochum Joseph Keilberth,
Fritz Rieger, che tenne il podio dal 1949 al 1966, e Rudolf Kempe (1967-1976), alla cui
morte l’orchestra lavorò per tre anni con soli Gastdirigenten, fino a che, nel 1979, elesse
a suo capo Celibidache.
Con Celibidache, l’orchestra dei Filarmonici di Monaco raggiunse e, per certi versi,
superò le due considerate fino allora maggiori della cultura germanica, Vienna e
Berlino. Il suono, il timbro portarono all’estrema finezza quella tinta bruna e serale che
così bene esprime la Stimmung del tardo Ottocento. I cori dei suoi ottoni, ormai ini
mitabili, sfolgoravano davvero di quello che Oswald Spengler, per definire il colore di
Bruckner, chiamò “oro antico”. Un oro bruno e rosso d’incendio, che a me ricordava
sempre i barbagli incandescenti di che sfolgoravano i mosaici di San Marco quando i
raggi del sole d’autunno li colpiscano. Ecco, l’anima di un’orchestra è espressione
astratta, impossibile a definire in un giro di parole. Ma senti che Monaco la possiede
ancora, e Vienna e Berlino, guaste dai saltimbanchi della direzione discaiola e commer
ciale, l’hanno perduta.
Celibidache ci portava da Monaco quel suono; dove gli piacesse portarlo; dove non
avesse conti sospesi, dispetti, punizioni pendenti col pubblico del luogo. Magari scar
tava la Scala, Firenze, Santa Cecilia, dove lo invitavano invano. E sceglieva, invece,
Salerno dov’era rimasto affascinato dalle forme normanne del Duomo, da un’atmosfera
che gli parve magica: quasi un nuovo Wagner a Ravello. Per merito di un gruppo di
audaci, è il caso di chiamarli, come quelli che nell’Ottocento si riunivano nell’oratorio
di via Belsiana attorno alle Passioni di Bach, Salerno aveva visto crescere un suo festival
che, sommando audiacia ad audacia, elesse a suo centro l’arte sinfonica di Bruckner.
Direttori quali Sawallisch,Tennstedt, Janowski, vi avevano instaurato una breve e ancor
fragile tradizione esecutiva che, in quell’anno 1993, raggiungeva il suo culmine con l’ar
ruolamento, imprevedibile e quasi incredibile, di Celibidache coi suoi Filarmonici.
Ricevendo gli annunci dall’Ente salernitano, provai un’ammirazione temperata da
dubbi e interrogativi perché, scorrendo il programma del Brucknerfest di Linz, subito
mi accorsi che per la prima volta mancava la gemma centrale, il concerto dei
Filarmonici di Monaco che Celibidache dirigeva ogni anno nell’Abbazia di Sankt
Florian. Chissà che cosa gli hanno fatto a Linz, non potei fare a meno di domandarmi,
per indurlo a questo esilio. Che tuttavia non potè compiersi perché, sette giorni prima
delle date previste per i due concerti, il vescovo di Salerno, monsignor Pierro, rifiutò di
rinnovare la concessione della Cattedrale, dedicata a San Matteo. Fu proprio il Santo,
così caro al cuore degli amici della musica, l’involontario colpevole del disastro.
All’improvviso il nuovo vescovo si accorse che le date dei concerti coincidevano con
la festa del santo patrono, e decise che il duomo e il suo cortile dovessero restare liberi
per accogliere i pellegrinaggi, che per lui sono molto più importanti dei signori
Bruckner e Schubert, di Beethoven e di Celibidache. Si accomodassero a cercare un
altro posto. E’ un gran brutta storia, della quale bisognerà indagare meglio le ragioni,
che ci sono. Lo farò un’altra volta.
Due anni dopo, il vecchio campione cadde e si fratturò il femore.“Celibidache cade
e si rompe”, tale titolo beffardo e impietoso si lesse su un nostro quotidiano, “Metha
prende il suo posto”. E il mondo va avanti, dopo un caso di ordinaria sostituzione.
Proprio no, gridai la mia indignazione in uno scritto furibondo. Proprio no, scrissi. Nella
sostituzione del Maggio fiorentino, mi parve disegnarsi la metafora di una fine. Si sca
vava il tratto conclusivo di una parabola disegnata da tempo: l’estinzione della dire
zione d’orchestra in quanto rivelazione demiurgica: incarnata, nella direzione d’orche
stra in quanto rivelazione demiurgica: incarnata, nella memoria di una cultura, dallo stu
dio di Nikisch, Strauss, Weingartner, Mengelberg, Kabasta, Böhm, Furwängler,
Klemperer. La dinastia che nacque quando i creatori, Mendelssohn e Schumann e poi
Wagner, tolsero la rivelazione dalle mani dei Kapellmeister e ne fecero un magistero,
educando e allevando, da Bùlow in poi, due generazioni di capi idonei a penetrare e
attraverso la foresta cresciuta sul suolo sinfonico da Beethoven in poi.
179
Apparati
Piero Buscaroli
180
Rassegna stampa
181
Apparati
Angelo Foletto
In altre occasioni ho parlato di un principio regale che, espulso ormai dal mondo
politico, si incarna in alcune figure dell’arte e dello spettacolo. Rispondendo a un
bisogno delle masse ma insieme colpito da interdizione da parte del sistema di valori
diffuso, tale principio può attuarsi solo in modo da negare se stesso: donde idoli per
le masse dotati di un intrinseco carattere caricaturale, i “Re di Carnevale”, secondo un
concetto familiare alla mitologia e all’antropologia.
Non così è stato sempre. Il bruciarsi dell’epoca classico-romantica, che pose la
musica al sommo dell’edificio dell’estetica, incoronò il direttore d’orchestra.A mano a
mano che l’impulso creativo della civiltà europea scemava e il ruolo dell’interpreta
zione, della riflessione, divenne centrale sino a confondersi con la creazionene stes-
saa, al direttore d’orchestra si attribuirono gli aspetti della regalità sacrale che ai
monarchi, finché ce ne furono, si rifiutavano. La direzione d’orchestra è stata per poco
più di un secolo un’arte cui proiezioni dell’inconnscio collettivo diedero sensi sim
bolici ben oltrepassanti l’arte. E l’Europa, non la sola Germania, ha saputo creare
decine di figure della direzione d’orchestra che davvero erano Re, non si limitavano a
sembrarlo in una parodia dell’esteriore solennità.
Non ho cercato a mia volta un esordio solenne per un necrologio “importante”.
Occorre riconoscere al concetto un peso capitale in relazione al nostro argomento.
Occorre avere chiara coscienza del fatto che Sergiu Celibidache era il più grande,
senza confronti, direttore d’orchestra vivente: e quest’affermazione non assume effi
cacia solo a far tempo dalla morte di Herber von Karajan, ma è vera anche per i lun
ghi anni in cui il sommo Herbert era attivo. Karajan e Celibidache si fronteggiavano,
diversi, nemici, eppur simili, e accomunati innanzitutto dalla pari grandezza. Occorre
avere chiara coscienza, ancora, che con la morte di quest’uomo si chiude, almeno per
ora, il ciclo della regalità artistica. Bravissimi e pur grandi direttori d’orchestra ci sono
e ci saranno; nessuno più che incarni in modo così esclusivo con una concentrazione
così strenua, quell’idea.
Anche per questo, la sua morte provocherà sollievo in gran parte del mondo musi
cale: proprio come fu quella di Karajan, a cominciare dai Filarmonici stessi di Berlino,
che se ne intesero liberati. Se tutto il mondo contemporaneo ha espulso quel princi
pio, dovevano restare proprio loro l’ultima sacca in cui esso si manifestava?
I concerti di Sergiu Celibidache, e specialmente quelli degli ultimi dieci e più anni,
gli anni di Monaco, in cui egli ha regnato sui Filarmonici trasformandoli finché non
corrispondessero al suo ideale, avevano appunto acquisito sempre più il carattere
della cerimonia religiosa, officiata da un re-sacerdote. Lo avevano acquisito per forza
propria e quasi insensibilmente, senza un cosciente progetto di esteriore rappresen
tazione e sceneggiatura dell’idea, che sarebbe stato una falsificazione all’americana.
La concentrazione, l’atmosfera solenne e sospesa che lo circondava ogni qualvolta
182
Rassegna stampa
alzava la bacchetta parevano rendere quello non un comune concerto, sia pur di
eccelsa qualità, ma un evento unico. Tanto più perché negli anni di Monaco
Celibidache si era dedicato a reinterpretare i monumenti del repertorio, quasi volesse
consegnare al mondo la sua ultima meditazione su di essi, il suo ultimo messaggio. Lo
stile della sua interpretazione si era sempre più precisato nel senso del rito: egli espo
neva il materiale di cui è fatta la composizione musicale con una lentezza e una minu
ziosità analitica che dalla semplice fedeltà dell’artista trapassano nell’adorazione del
credente officiante. Ciascun tema, ciascun legamento interno della composizione, fino
al minimo frammento, venivano esposti come il Santissimo nell’ostensorio; senza però
pompa superficiale, e circonfusi di bellezza.
'lutto ciò produceva un fenomeno contraddittorio, sul quale ci si è interrogati. I con
certi di Celibidache, insieme con quelli di Karajan, rappresentano il culmine di un pro
cesso di mitizzazione del concerto sinfonico e della figura del direttore. Questo pro
cede da una sorta di culto della personalità dotato di caratteri arbitrari e ambigui in pari
misura che da una “volontà di potenza”che si manifesta nell’attività, appunto, mitizzata
del direttore d’orchestra. Ma poi questa volontà di potenza si ritorce contro se stessa.
Tutto l’apparato mitico, veniva tanto dall’ultimo Karajan che dal vecchio Celibidache,
rivolto verso l’opera d’arte. 11loro stile di interpreti pareva approdato, come ultimo sta
dio, a una sorta di oggettività e necessità impersonali che, identificandosi con l’ogget-
tività e la necessità dell’opera d’arte stessa, attribuisce a quest’ultima i caratteri di un
grandioso fenomeno della natura. Ivi l’interprete scompariva, come assorbito. Il mas
simo della volontà di potenza dell’individuo contrapposto all’opera d’arte diveniva
ogni volta una specie di morte di Empedocle. Processo del tutto moderno, che la natu
ralezza e la semplicità anche solo del secolo scorso non avrebbe concepito.
Da giovane e uomo maturo, Celibidache era sul podio nervosissimo, questo poteva
anche avvertirsi all’esecuzione. Da vecchio, l’olimpicità di cui parlo non era stata per
lui un ripiego al venire meno delle forze, ma un’autentica conquista. Il suo gesto, che
generazioni di giovani direttori hanno tentato invano di imitare, s’era ridotto all’es
senziale, quasi confinandosi allo scolastico “battere”, ma in realtà conservando la pre
cisione, la capacità di suggerire, suggestionare, anticipare, che rivelava suprema com
binazione di istinto e sapienza tecnica. Ed egli, da fomentatore di tensione che era
stato, pareva trarre gli esecutori verso una superiore serenità. Le sue interpretazioni
consistevano in una impareggiabile analisi strutturale della composizione, e qùindi in
primo luogo dei grandi capolavori sinfònici classico-romantici, quelli che più sul piano
strutturale hanno da dire. Le si accompagnava, come ho detto, una rifinitura analitica
del particolare di una delicatezza e minuzia forse uniche: Celibidache la perseguiva a
prezzo di fatiche e insistenze massacranti, per sé e l’orchestra, ogni volta ricomin
ciando da capo: quasi che da quel minimo particolare dovesse dipendere la salvezza
del mondo. Le si accompagnava, ancora, una trasparenza dell’edificio della partitura,
della sua ricchezza di polifonia interna, che realizzava quanto i grandi compositori non
avrebbero mai immaginato fosse della loro musica per essere portato alla luce. E
ancora, una varietà e raffinatezza di sfumature dinamiche e ritmiche difficili da trovare
presso qualsiasi altro: una luminosità del suono orchestrale, un’arte della velatura e
della smorzatura attorno al suono e all’accordo e tra suono e suono, accordo e
accordo, che forse nessuno eguaglierà mai più.
Nonostante il culto, per altro crescente di cui egli era fatto oggetto dalla parte
migliore del mondo musicale, la fama di Celibidache non è stata e non è paragonabile,
presso la massa, non dico a quella Karajan, ma nemmeno a quella di tanti altri direttori
non degni di essere accostati nè a lui nè al suo nemico. La radice è nella posizione di
ostinata e radicale antitesi assunta da Celibidache nei confronti della riproduzione
meccanica dell’opera dell’artista, in una parola del mondo del disco; e, conseguente
mente, dei mezzi di comunicazione di massa.
Celibidache non ha inciso dischi considerandoli il congelamento, la morta imita
zione di una realtà vivente qual è quella dell’esecuzione musicale, che scaturisce, a sua
volta, dal concorso di esecutori e pubblico, come atto comunitario di vita, ed è valido
183
Apparati
solo nel qui e ora. Per la coerenza con cui questa scelta è stata attuata possiamo pro
vare solo ammirazione. Sul piano pratico, dobbiamo dolerci che l’aristocratico isola
mento di Celibidache ci abbia privato delle sole testimonianze durevoli della sua arte
che sia possibile avere. Certo, così come già circolano numerose registrazioni (fuori
diritti) dei suoi concerti, se ne diffonderanno sempre di più: e speriamo che la loro
qualità tecnica renda almeno giustizia alle esecuzioni.
Per chi avesse potuto e molte volte, essere nella sala in cui il Maestro dirigeva, chissà
se le registrazioni saranno consolazione o fonte di rimpianto.
Sia permesso concludere con una riflessione personale. La violenta contrapposi
zione tra Karajan e Celibidache attiene, ripeto, a carattere e visione musicale (sotto il
rispetto della quale i due rappresentano l’estremo e supremo frutto della tradizione
europea), tecnica, statura. Guardando le cose dall’alto e con l’aiuto del tempo si sco
prirà che, fatte salve le differenze riposanti sull’irrepetibile di individui di tal fatta, gli
aspetti che uniscono fanno di gran lunga premio su quelli che dividono. Nel luogo
delle mie immaginazioni mitiche sono giunto a fondere Karajan e Celibidache a
Giovanni di Pannonia e a Aureliano i teologi di uno degli indimenticabili racconti
éeWAleph di Borges. Il secondo odia segretamente il primo; osteggiandolo nella dot
trina, riesce, già vecchio, a mandarlo, vecchio, al rogo; perisce della stessa morte in
un’incendio. “La fine della storia è riferibile solo in metafore, giacche si compie nel
regno dei cieli, dove non esiste tempo. Si potrebbe forse dire che Aureliano conversò
con Dio e che questi si interessa così poco di divergenze religiose che lo prese per
Giovanni di Pannonia. Ma ciò indurrebbe a sospettare una confusione della mente
divina. E’più esatto dire che nel paradiso Aureliano seppe che per l’insondabile divi
nità egli e Giovanni di Pannonia (ortodosso ed eretico, aborritore e aborrito, accusa
tore e vittima) erano una sola persona”.
Paolo Isotta
PARIGI - Il direttore d’orchestra Sergiu Celibidache è morto nella notte tra merco
ledì e giovedì a Parigi. Aveva 84 anni. I funerali si sono svolti ieri in forma molto pri
vata a Meuville-sur-Essonne. Dopo una cerimonia religiosa alla quale hanno parteci
pato solo i parenti e gli amici più stretti, la salma è stata inumata nel piccolo cimitero
di campagna della località dove Celibidache aveva una proprietà.
184
Rassegna stampa
Del resto, anche quando era nel pieno della sua maturità di interprete, si pensava a
lui come ad un “grande vecchio”della musica, e ad una sorte di sacerdote, e magari di
mago, più che ad un prodigio vivente nell’arte di dirigere le orchestre, con le quali
ebbe talvolta rapporti perfino conflittuali, salvo quando fu chiamato a prendere il
posto di Rudolf Kempe alla Filarmonica di Monaco di Baviera, che dal 1979 ai nostri
giorni è stata con lui uno dei complessi più efficienti e aristocratici di Europa, e forse
l’unica, in terra tedesca, capace di contrapporsi alla fama della Filarmonica di Berlino.
Dei “Berliner”, tuttavia, proprio il giovane Celibidache (lui che non era stato un “enfant
prodige”, e aveva debuttato soltanto nel 1942, dopo aver studiato filosofia e matema
tica) era stato il direttore stabile deal 1945 al 1952, quando gli succedette il già mito
Karajan. Ma in quei sette anni che lo avevano visto, perfino con una certa sorpresa
negli ambienti musicali, succedere a Furtwängler, sul quale aveva pesato l’accusa (dis
cutibile) della collaborazione con il nazismo, di fatto Celibidache aveva maturato pro
prio il senso di un continuità della lezione del grande maestro tedesco, la cui traccia
ideale è restata presente in lui - almeno come scelta morale e come adesione ad una
civiltà - fino agli ultimi anni della sua scontrosa vecchiaia.
Dopo aver lasciato la filarmonica di Berlino, e dopo essere stato attivo, mai per lun
ghi tempi, a Stoccarda e a Stoccolma, a Parigi e a Londra, la presenza di Celibidache in
Italia, soprattutto con le orchestre sinfoniche della Rai, ma anche in centri non di rado
“minori” (purché in grado di garantirgli lo scrupolo leggendario delle sue prove, che
erano vere e proprie lezioni, spesso al di fuori di qualsiasi opportunità pratica)
divenne negli anni Sessanta uno dei punti di riferimento più vitali della vita musicale
italiana, dove pur si ricordavano drammatici scontri fra Celibidache e i suoi collabo
ratori, non sempre disposti a subire il suo fascino. Di fatto, però, l’incidenza di quegli
anni attraverso il lavoro tenace con le orchestre della Rai e quelle di Bologna, di
Venezia e di Firenze, ha creato anche in Italia schiere di ammiratori fanatici, che ancora
ricordano non soltanto il poderoso e commosso respiro delle sue esecuzioni di Ein
deutsches Requiem di Brahms o di Preludio e morte di Isotta dal Tristano di Wagner,
e in genere le sorprese e l’incanto che suscitavano le sue interpretazioni dei grandi
“classici” del sinfonismo ottocentesco come degli impressionisti francesi, ma anche
l’ineguagliabile lindore e la poesia che caratterizzavano le sue esecuzioni di musiche
contemporanee, da lui scelte con estremo scrupolo e realizzate con esemplare devo
zione (come fu nel caso, ad esempio, della Tartiniana II di Dallapiccola, in collabora
zione con il violinista Sandro Materassi).
Coltissimo, quanto originale nelle sue convinzioni di interprete, potremmo dire
insomma che Celibidache è stato l’ultima testimonianza di una concezione dell’artista
più vicina alla misteriosa bravura dei maghi e alla passione dei grandi profeti, che non
al distacco dei filologi e degli storici. Ma il suo enorme fascino stava proprio qui: nel
ricordare, si può dire in ogni particolare, che la musica tutta (di ieri e di oggi) è degna
di essere vissuta soltanto se coincide con la capacità di suscitare emozioni e stupore.
Leonardo Pinzatiti
185
(77)
Foto 77 - Monaco di Baviera 1980:prove d’orchestra.
INDICE DELLE COMPOSIZIONI
ESEGUITE DA CELIBIDACHEA BOLOGNA
BEETHOVEN,
Prima Sinfonia op.21 (23-24/1/1953);
Seconda Sinfonia op.36 (6-8/10/1970);
Terza Sinfonia op. 55 (Eroica) (13/5/1966)
Quinta Sinfonia op. 67 (3/5/1957); (23/6/1966); (6-8/10/1970);
Sesta Sinfonia op. 68 (3/5/1957); (21/5/1959);
Settima Sinfonia op. 92 /20/5/1955); (16,21/5/1959); (17/5/1963);
Nona Sinfonia op. 125- (11/5/1957);
Egmont, Ouverture op.84 (16,21/5/1959); (6-8/10/1970);
Concerto per violino e orchestra op. 61, Riccardo Brengola, violino (16/5/1959);
Concerto n.3 per pianoforte e orchestra op.37, Alexis Weissenberg, pianoforte
(4/5/1961);
Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra n. 5 op. 73, Sergio
Perticaroli, pianoforte (17,18/5/1968);
BERLIOZ,
Carnaval romain (20/5/1955);
BIZET,
Sinfonia in do (6/5/1959);
BORODIN,
Danze polovesiane da II principe Igor (10-15/10/1972);
BRAHMS,
Variazioni su un tema di Haydn op.56 (28,30/5/1958);
Prima Sinfonia op. 68 (28/5/1958), (28-30/4/1959);
Ouverture tragica op.81 (28/5/1958);
Terza Sinfonia op.90 (18/5/1966);
Quarta Sinfonia op.98 (15-16/1/1954);
CAJKOVSKIJ,
Quarta Sinfonia op.36 (22/5/1963);
Quinta Sinfonia, op. 64 (2-3/2/1956); (21,30/5/1958);
Romeo e Giulietta op. (28-30/4/1959);
Sesta Sinfonia “Patetica” op. 74 (29/4/1961); (10-15/10/1972);
CASELLA,
Concerto per pianoforte violino violoncello e orchestra op. 56, Trio di Trieste (10-
14/5/1973);
CHERUBINI,
Sinfonia daAnacreonte (16-19/9/1971);
CORELLI,
XII Concerto grosso (8/10/1972);
DALLAPICCOLA,
Tartiniana II per violino e orchestra, Sandro Materassi, violino (15/5/1964);
187
Apparati
DEBUSSY,
Due Nocturnes (Nuages, Fètes) (23/6/1966); (20-26/5/1972);
La mer, poema sinfonico (17,18/5/1968); (16-19/9/1971);
Prélude à Faprès midi d’un faune (13-15/10/1970); (16,18/2/1987);
DE FALLA,
Il Cappello a tre punte, Suite (17/5/1963);
II cappello a tre punte, II suite (13/5/1966);
DONIZETTI,
Sinfonia da Linda di Chamounix (10-15/10/1972);
DVORAK,
3 Danze slave (28-30/4/1959);
Sinfonia in re minore n. 7 op. 70 (18/5/1966);
FRESCOBALDI,
Partita su passacaglia (22/5/1963);
HAYDN,
Sinfonia n. 102 (11/5/1959); (29/4/1961);
HINDEMITH,
Mathis der Maler (24,25/5/1968);
KODALY,
Danze di Galanta (10-18/5/1973);
LIPATTI,
Concertino in stile classico per pianoforte e piccola orchestra, Helmut Roloff, piano
forte (15-16/1/1954);
MARTUCCI,
Notturno, (21/10/1966);
MENDELSSOHN,
Sogno di una notte di mezza estate, Ouverture (23/10/1958);
MILHAUD,
Saudades do Brasil (16,18/2/1987);
MOZART,
Sinfonia in la maggiore n. 29, K. 201 (24,25/5/1968); (8/10/1972);
Sinfonia n.36, K. 425 (22/5/1963);
Sinfonia in mi bemolle maggiore n.39, K. 543 (18/5/1973);
Sinfonia n.40, K. 550 (9/5/1964);
Concerto in sol maggiore per flauto e orchestra n. 1,K 313; Severino Gazzelloni, flauto
(13/5/1966);
Concerto in re minore n.20, K. 466, per pianoforte e orchestra, Arturo Benedetti
Michelangeli, pianoforte
(21/ 10/ 1966);
Ouverture in si minore, per flauto, archi e continuo, Giorgio Zagnoni, flauto
(8/10/1972);
188
Indice delle composizioni eseguite da Celibidache a Bologna
MUSORGSKIJ-RAVEL,
Una notte sul monte Calvo (22,24/4/1971);
Quadri di una esposizione (6/5/1959); (22,24/4/1971); (14/9/1973); (16,18/2/1987);
PROKOF’EV
Prima Sinfonia op. 25 (21,30/5/1958);
Quinta Sinfonia op. 100 (11/5/1959);
Concerto per violino e orchestra n. 1, Riccardo Brengola, violino (17/5/1963);
Romeo e Giulietta, suite (9/5/1964);
RAVEL,
Rapsodia spagnola (15-16/1/1954);
Daphnis e Cloe, Seconda suite (23/10/1958); (21/10/1966); (16-19/9/1971);
Alborada del gracioso (9/5/1964);
Ma mère l’Oye (24,25/5/1968); (18/5/1973);
RESPIGHI,
Antiche danze e arie per liuto (20/5/1955);
RIMSKIJ-KORSAKOV,
Shéhérazade suite sinfonica op. 35 (13-15/10/1970);
REVUELTAS,
Sensemaya (15/5/1964);
ROSSINI,
Sinfonia da L’assedio di Corinto (18/5/1966);
Sinfonia da La gazza ladra (23/6/1966);
Sinfonia da Guglielmo Teli (13-15/10/1970);
Sinfonia detta “di Bologna” (20-26/5/1972);
Sinfonia da Semiramide (18/5/1973);
ROUSSEL,
Petite suite op. 39 (10-15/10/1972);
SCHUBERT,
Rosamunda, Ouverture (23-24/1/1953); (29/4/1961);
Seconda Sinfonia op.6l (23/10/1958); (4/5/1961);
SCHUMANN,
Quarta Sinfonia op. 120 (15/5/1964);
Sinfonia in si bemolle maggiore n. 1 op. 38 (17,18/5/1968);
SIBELIUS,
En Saga, poema sinfonico op. 9 (23-24/1/1953); (13-15/10/1970);
Sinfonia in mi bemolle maggiore n. 5 op.82 /20-26/5/1972);
SOSTAKOVIC,
Ouverture festiva (15/5/1964);
Sinfonia in mi bemolle maggiore n. 9 op. 70 (10-14/5/1973);
STRAUSS,
Till Eulenspiegel (2-3/2/1956);
Don Giovanni (23/10/1958);
Tod und Verklärung, poema sinfonico op. 24 (16-19/9/1971);
189
Apparati
STRAVINSKIJ,
L’Oiseau de feu, suite dal balletto (23-24/1/1953);
Seconda Suite per piccola orchestra (21/5/1958);
Tre danze da Pétrouchka (20-26/5/1972);
VERDI,
La Forza del destino, Sinfonia (6/5/1959); (21/10/1966);
WAGNER,
Idillio di Sigfrido (20/5/1955); (22,24/4/1971);
I Maestri cantori di Norimberga, Preludio (2-3/2/1956); (11/5/1959);
Ouverture da Tannhäuser (23/6/1966)
Preludio e morte di Isotta (21/10/1966);
190
ORCHESTRA DEL
TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
ORGANICO 1967
* Prime parti
191
P re f a c e
Some time after meeting Luigi Girati, I happened to think that the
protagonist o f this book would have been rather pleased with it: with
his natural hostility to big theoretical buildings and historical narrati
ves, he would have liked this fresco o f voices and testimonies fro m the
central years o f his life (in a chronological and absolute sense), those
he dedicated to Bologna.
In Munich, where I m et him once again when he had a few years
more upon his back, he still seemed to feel strongly about his p a st in
Bologna. He did not seem to say: “Ipassed by”, but rather “There are no
words to describe life”.
193
well: that is, I do not remember the author’s nam e or the titles o f the
pieces, but if I heard them again I would remember their features, as
i f they ivere long-lost relations. Above all, I do not forget the feelings that
this very first concert aroused in me: the same enraptured euphoria I
felt when the Christmas tree was lighted up, a feeling o f being in the
presence o f a “wishing well”; in short, something like the lost road to the
lost Eden o f infancy and all the rest.
One could object that m any have written about such things, a biblio
graphy the m ost recent items o f ivhich are as illustrious as those that
have preceded them: I remember a sentence o f Adorno's ivhich I will
not quote in order to stick to the point.
However, I will say that since I can not refer to musically pertinent
reasons (those that Baudelaire, however, ruould have termed purely
taxonomic), all that has remained with me is a magical childish fee
ling, keen because pure and ingenuous. A state o f grace which the con
ductor preferred - a trait o f his which was frequently misunderstood.
What, then, turns a conductor into the “Pied Piper o f H am elin”o f the
well-known fa iry tale, who after plunging the mice into the abyss does
the same with the children out o f revenge?
194
perfect “arm onia M undi”(esoterism as a symbolical practice applied to
the everyday); on the other hand that rarefaction was announced as a
“slight separation fro m the bottom ”, as a “slight opening that lets the
void circulate...”the announcem ent o f a new era.
His very rigorous studies, his unfailing (musical) memory were roo
ted in a punctilious technical know-how, which ivas the prim e mover
o f his, so to speak, spontaneous structuralism. My frien d Revault
D'Allonnes once wrote: “yo u can't reflect or philosophise on music if
first you have not understood the nature o f sound, w hat makes up its
specificity as compared with the other physical phenom ena which
affect our senses”. A nd:“... music is the mother tongue o f philosophy...
because it... instead o f using sounds to make us appreciate events, uses
events to make us appreciate sounds. That is all there is, but it is a lot”.
B ut I have not explained the one about the Pied Piper ofH am elin yet.
Let us try to “go back”, to think o f the mythical origins o f art: myths,
like oracles, m ust not be interpreted but left in their untam ed and
sibylline integrity.
Apollo turned the Nymphs into Muses: savage maids that possess
man to be in turn possessed by him. These Muses then became the Arts.
Zeus' most im portant amorous feat was when he lay with Necessity;
thence Elena, i.e. Beauty, was born.
A nd though Apollo won the duel against Pan, it is Pan that still sha
kes us in the heart o f the dance.
195
THE THEATRE
Piero Rattalino
A forseen divorce
196
weekly newspaper used to publish an article with two separates com
ments, “seen from the right” and “seen from the left”. I had the orchestra's
story. Now I knew the other half of the story and I found out that both
versions, although dissimilar, agreed with each other. The orchestra had
told me that, despite mutual anger, the concert had been successful. I had
told myself I would listen to Celibidache without interrupting him, but
when I realised he had ended his story without speaking about the con
cert I asked: “How was the concert?”. “It could not have been better” he
sighed. “But it's got nothing to do with that. It was very kind of you both
to visit m e”, and, addressing the Superintendent, he added,“it is always so
nice to see you. But I'm not going to change my mind; I won't come back
to Bologna”. But you could see he really wanted to bury the hatchet.The
Superintendent, had he not been an excellent superintendent, could have
been a prelate in Cardinal Lambertini's time. I would see him at work one
year later, when he saved the day after a clash between two musicians
who had almost hit each other (they had told him: “either he goes, or I
go”).At that time Celibidache was not as unmanageable as one could have
believed. So the Superintendent had a long and diplomatic heart to heart
speech with him, a speech that hinted at many things; Celibidache knew
what the Superintendent was hinting at, the Superintendent knew that
Celibidache knew, and Celibidache knew that the Superintendent knew
that Celibidache knew, and so on and so forth: they were playing and
enjoying the game.The result was that a press conference was agreed on
to announce that Celibidache would teach the course for conductors he
had previously deleted.We left a snow-capped Courchevel by car (this car
worked: the windscreen wiper had been repaired), and we reached
Bologna safe and sound.
The press conference was held; Celibidache explained to me in detail
what had to be taken care of and, when I took the liberty of giving him
some suggestions he considered well-advised, he praised me and made
me blush, I have to confess, by saying “You are clear-minded”. He also let
me have my own way about something he considered to be of the utter
most importance. He suggested that although the admission test was on
a Sunday, we had better book the University's Great Hall. “Why?”, I asked.
“Because I have not taught courses for the last few years and surely there
will be more than one hundred candidates; I will give them a chorale to
be harmonised and orchestrated, so we will need as many desks as those
of the Great Hall. I objected that booking the Hall on a Sunday would be
impossible and suggested that he postpone the test on the following
Monday. But he wanted the test on Sunday, since Monday was the orche
stra's day off, and he would have time enough to correct and comment
the assignments together with the candidates, so that on Tuesday they
could pass the second test and on Wednesday the chosen ones would
start practical and theoretical lessons. In his mind, the course was as
important as the launch of a satellite and everything was calculated
according to the concerts he would conduct on the Saturday and on the
Sunday of the fifth week after the beginning of lessons. I was forced to
surrender, so I said I would talk to the Rector after seeing how many
197
applications we had received. Applicants were around twenty or twenty-
one, so I could easily arrange tables and chairs in the theatre foyer. When
Celibidache knew that so few people had applied, he became sad. He dic
tated the chorale and the orchestration (chorale to be harmonised in
three pieces in Byrd's style and orchestration for four wind instruments,
a thing that would drive the candidates mad), then he said he was taking
a coffee-break. Later I went out myself in search of a café. It was Sunday
and all cafés in the area around the theatre were closed; I walked down
several streets and all of a sudden I saw Celibidache leaning on a portico
column; he seemed to have slumped down. I drew closer to him and
asked “Is everything fine with you?”. He looked at me, with tears in his
eyes. He said:“There are too few pupils, I hoped more would apply”.
This left me almost astounded. I felt sorry for him but I did not under
stand why such a famous and worthy man should put such a great store
on a course for conductors. Now I think I understand. I have already men
tioned that the only Italian city where Celibidache conducted was
Bologna. At that time, he hardly ever conducted anywhere. Moreover, no
successful conductor could stay in Courchevel during the symphonic sea
son. Celibidache, a very demanding conductor with his orchestra, had gra
dually cut himself off; in 1971 he had resigned from conducting the
Stockholm Radio Orchestra, a position he had held for eight years. The
fact is that Celibidache not only orchestrated, but also educated and
explained music according to his theory of phenomenology. Thus, for
example, he did not say “sir, a little crescendo here, please”to an orchestra
musician, but “sir, you may recall that two years ago I told you that you
have to make a little crescendo here. So, please, do it”. This behaviour
drove musicians mad; they said of him that he was “good, yes, great, but
too perfect”. Isolated as he was, Celibidache hoped that in Bologna he
could give shape to an orchestra and to a set of musicians with his same
idea of music, an idea which, to all the great conductors of his time and
most conductors of the past, meant sheer madness. After getting to know
him, I said to myself that he was a madman. I was partially wrong. What
he did not manage to do in Bologna, he did later in Munich, as a conduc
tor. I do not say that it was right or wrong, I just say that he did it. Fifteen
years or so after he left Bologna, I went to Linz to listen to Bruckner’s
Seventh Symphony played by the Munich Philharmonic Orchestra, with
him as a conductor. I think I had never heard such a technical perfor
mance, and will never hear it again.The pianissimo tremolo of the violins
sounded as if it was coming from underground, the unison of horns and
violoncellos seemed a two-tone rainbow changing colour when the viola
or the clarinet started. Any conductor could have mixed and blended the
colours of the beginning, but he had been able to obtain separate and
combined colours at the same time: this demanded manic orchestration
and a patient abnegation verging on the miraculous on the part of the
orchestra. At the beginning of the second movement, the fusion of tubas
and violas, violoncellos and contrabasses was prodigious; and this also
required painstaking attention and patience. In Bologna, many professors
loved Celibidache and saw themselves as apostles of the art of music,
198
ready to sacrifice themselves as he did. Not everybody, though.And some
did not share the pedagogic eros which made him repeat the beginning
of Beethoven's Fifth Symphony for the two hours and a half of a rehear
sal, until the pupils learned the gesture, the only possible gesture to begin
that masterpiece. Also because the performance could often begin well
even with a wrong beginning. I recall a lesson on the overture of The
Force of Destiny. After the initial chords, Celibidache explained, the
“upbeat” required a special gesture and a very subtle sense of timing.
Meticulous explanations, long practice without the orchestra, more expla
nations, and so on and so forth. The first pupil to climb the podium was
frightened to death: he forgot all the preliminary exercise and gave the
upbeat with a very queer torsion of the right forearm (by the way,
Celibidache usually wanted the two arms to work together). The orche
stra, nonetheless, started perfectly. Celibidache was struck dumb. He
asked the pupil to start from the beginning, with the same result. He was
one of the least talented pupils in the course, but some patron saint had
miraculously gifted him with Furtwängler-like gestures which had done
the trick. Instead of complimenting the pupil or laughing, Celibidache
became gloomy and asked them to play another piece. On that particular
occasion, the overture was not rehearsed, and I believed he had an uneasy
night.
... In actual fact, Celibidache did not teach conducting but the truth of
music through conducting. His truth, which did not coincide with any
body else's on earth. I have been persuaded of the truth of an episode
which has something of a visionary character, and which did not happen
in Bologna but in Siena - if true, an episode which is typical of
Celibidache's temperament. He summoned a young conductor (set for a
wonderful career) in his dressing-room, and told him: “I have'been wat
ching you closely all these days.You have talent. But you have to be care
ful: if you go on like this, you will at best conduct like Karajan”. “Karajan
is like coke”, we had often heard him say,“everybody drinks it but it’s rub
bish”. But Karajan conducted the Berlin Philharmonic Orchestra, and
Böhm, his other bète noire, conducted the Vienna Philharmonic
Orchestra, and Bernstein, who did not know how to conduct and would
have done better to stick to composing, had all the Orchestras of the
States at his feet. Celibidache did not conduct in Berlin or in Vienna any
longer, nor in Dresden, Paris, London, Rome, or the States: what chances
would a pupil of his have in any of the important places? This was pro
bably the reason why no gifted young man enrolled in Celibidache's
Bologna course: because Celibidache had progressively isolated himself,
and his teachings were no longer the high road to an international career.
As has been said, I am convinced that Celibidache intentionally brought
about the incident. It would be doing him a great wrong to believe that
he had not noticed the presence of his sworn enemy in the orchestra.
Even if he did not see him at first, it is not to be supposed that he did not
hear him, because the sound of the two principal bassoons was different,
and his ear was very selective and almost unerring.The real reason for the
breaking-off, therefore, was not the awkward presence of a player who
199
had had an argument with him seven years before, and who had already
been punished for his unrespectful answer: the real reason was the end
of an artistic project that was proving to be impossible. When Celibidache
left Bologna, I thought that though he was only sixty-one, he was already
a done man. I was completely wrong, as has been said. Fallen in Bologna,
Celibidache rose from the dead in Munich. And he conducted the Berlin
Philharmonic Orchestra (only once) and was venerated and became a
legend. He came to Turin with his orchestra when I was art director of the
Teatro Regio. I knocked at the door of his dressing-room to welcome him
and I realised that he had not recognised me. I was upset at first, and did
not talk of Bologna because I was afraid that he had not wanted to reco
gnise me. Our talk was very brief and formal. When I thought about it
later, I persuaded myself that, it was true: he had not recognised me. Nor
did he recognise me when I went to congratulate him after his second
performance - I had heard both - of Bruckner's Seventh Symphony. I
think that Celibidache had completely erased those four weeks in the
summer of 1973, and I had been erased along with those weeks. I am not,
nor could I ever be, Celibidache's biographer. But I believe that
September '73 in Bologna was for him a critical moment, and, let me
hazard this, a formative experience. In Linz I dined with a violinist of the
Munich orchestra, the father of a pupil of mine. He told me a lot of things
about Celibidache. Some of the things he told me I was familiar with,
others were completely new and surprising.Therefore I say, though per
haps I deceive myself, that his last stay in Bologna had changed the way
he worked. For me it was a unique experience, which left me unhappy
with myself and resolute not to be swayed by animosity when there was
the danger of losing a great artist: if there had been the slightest chance
to keep him, I had let that chance go. I had not been able to face the cri
sis, and this gave me a sense of failure. But I still would like to know if that
slightest chance existed or not.
200
music was distributed in the score, and transmitted all this with great
interpretive fidelity to the players.
When he came to Bologna, we sometimes dined out with him and
other members of the orchestra, and it was pleasant to be at table with
him, because conversation became simpler, more humane, and he openly
showed his personality to us. He was also a bon vivant, he liked to eat
well. He was always in the spotlight, he had such a vast culture, and such
a simple way of exposing it, that he made everything accessible to ever
yone. He must have had his flaws like everybody else; but I did not notice.
The only anecdote I can relate as a witness is about the time when it
was decided, for reasons of internal organisation, to turn what was belie
ved to have been Toscanini's dressing-room into an office. He never con
sented to enter into the new and better dressing-ropm: he preferred to
dress and undress in one of those big theatre baskets before making his
appearance on stage. This is a typical example of his uprightness and of
the way he stuck to his principles.Today we can smile at these gestures,
but they meant a lot to him. Usually he was a source of joy for everybody,
for the players in the orchestra, for the Theatre, for the audience.
... [after a row with the orchestra] The year before I had gone to Savoy
with Rattalino, on a stormy, snowy night: it was a Superintendent and an
Art Director's desperate attempt to mend matters with conductor
Celibidache and to have him once again on the podium at the Teatro
Comunale; with this hope, we faced this long trip in stormy weather to
the mountains of Savoy. When we got there he was very warm, very
friendly, as we were sure he would be. We almost begged him to come
back to Bologna, and our hearty request was granted; he liked the cour
teous way we asked him to come back. As always, we had breakfast with
him; it was a meeting of men whose esteem for one another was great.
The Courses for orchestra conductors were perhaps one of the reasons
that led him to come back. It had been an idea of the management,
because we knew that he had great interest in this sort of thing; he came
back a year before his final departure.
... Among his concerts, the one I remember best is the one with
Benedetti Michelangeli: it was an extraordinary concert.
... I met him once again many years later in Milan, when I was
Superintendent at the Scala, and he had a concert with his Munich orche
stra in the hall of the Conservatorio Verdi. When I went into his dressing-
room at the end of his concert we exchanged a long and hearty embrace,
the sign that the respect and the friendship of the years in Bologna were
still there.
Leone Magiera
Our roaring years
At the time I was perhaps twenty-six, perhaps less. I had been nomina
ted Choirmaster at the Teatro Comunale of Bologna only a few months
earlier: it was a prestigious post for a young musician like me.
201
.. .The Comunale choir sang not only in the opera season, but also in the
concert season. That year Sergiu Celibidache, a regular and very presti
gious guest of our Teatro, was not among the conductors.
...It was not an easy task to work with him. I once saw Celibidache
work with the orchestra: he was a very demanding conductor, and the pla
yers were in awe of him, because they had to work very hard to satisfy
him. It was not an easy task - not even for our worthy choir.
...It was no easy task, not even when we only had to sing for a handful
of minutes.
From the very beginning of the rehearsal the choir stood arrayed and
held their mouths tightly shut. I had instructed them upon this:
Celibidache was reported to have become furious at the faintest of noi
ses, and they said that even, seeing somebody, furtively blow their nose
drove him mad.
I gazed at him, admiredly, as he chiselled Debussy's music as the great
goldsmith that he was...
MUSIC AS TRUTH
Tito Gotti
With suspended and enchanted gratitude
202
Among many such dear remembrances, there is one that brings me back
to the boulevards in Mainz, where I stopped between one train and ano
ther to find certain materials at the local Faculty of Musicology. I was
about to leave when I met him (I had no idea he was in town): he was
there because he had to give a theoretical lecture.There was no time for
surprise or ceremony, nor (and no wonder) to explain unimportant things
- the situation I was in: by way of fate, which transcends individual desti
nies, I was there to attend that lecture and the ones which were to follow,
as I in effect did for a couple of days, with acrobatics (re-planned trips,
cancelled meetings, miraculously found lodgings) which I judged super
fluous to tell him. It must be clear that there was no brutality, no bullying,
no indiscretion: the man, in his lovable as well as in his aggressive moods,
never renounced his natural, cosmopolitan, aristocratic urbanity; if I had
voiced any objections, he would have courteously retired.What was invin
cible in him was the strength of his convictions: all of them seemed to
him a matter of absolute and obvious ineluctability, whether in matters of
ethics or aesthetics. On that particular occasion my plight (but I am sure
that it also happened to others) was also due to my awareness of the pre
ciousness of his offer, with the feeling I had that it was impossible to
refuse, with the attraction I felt, stronger even than reason, for an unfore
seen adventure of the intellect.Therefore, many European places are ador
ned, for me, with formative memories; the substance was always the
same, though on this occasion there was a rocambolesque element which
was unique and which gave and still gives me food for thought.
There was no less abundance of marvels in other face-to-face meetings.
It is not everybody who would accept an unforeseeable interruption of
the flow of conversation like the following: “Can I find you at home
tomorrow at half past seven?”, followed, after my bemused assent, by:
“Fine, I will come to make you practise gestures”.This inevitably happe
ned, and lasted a couple of hours, and then it happened again (he chose
when, of course), until a common friend was invited too: he was not used
to the conductor's methods, though he was a competent and inventive
musicologist; he also rose very early and ran to my place to take part in
the lesson. It goes without saying that this friend, even more than myself
(for those lessons contained new solutions to problems which I already
knew), continues, thirty years later, to frame tasty questions to himself
about what his well-trained imagination continues to picture as a magical
epiphany, an unexpected opening into a niche which would have remai
ned a secret for him, the jealous reserve of a professional sect. It is inevi
table to remember that, on that particular occasion, the sect offered itself
liberally to an external gaze, thanks to the cosmic links that the
Conductor contrived for any detail of the subject he was treating. My
friend discovered a new world and went into raptures at the discovery.
However it may be, the reveries I have just recollected help me relate
other cases in which he incredibly and generously expended himself for
me - an astonished beneficiary: once he asked me, without the usual dif
fidence, about the programmes I was studying, and he informally urged
me to scan certain scores with him. I devotedly hastened to do so, and the
203
volume of my amazement grew by some more chapters. Readings and
advice (I was not a pupil of his...) were not so much isolated as free from
the systematic contextualisation which was a trademark of his teaching.
His pieces of advice were.precious, brilliant, and uninhibitedly pragmatic,
always dictated by the circumstances, of the kind one gathers out of the
generosity of an excellent brother-in-art, the more unique the more occa
sional and throwaway they were (how? was the abhorred serpent of inci
dent around?...).After my first, usually disconcerted, reaction, there came
the awareness that Celibidache, as already said, knew me for a relisher of
his Word, even when that Word was uttered outside the domain of
Method. In all this there was also a sort of mischievous game of hide-and-
seek which often crept in our conversations. Mischievous, half-hidden,
but always ready to burst out if the Conductor decided to reserve for me,
rather than for vaster audiences, and without involving me if not as a vic
tim, some thrust against Hans Swarowsky, who had been my teacher in
Vienna for three years, and had then remained a close and admired friend
of mine until his last day.
...Another solemn lesson I had from him (yet another anecdote...) was
when I embarked on a pilgrimage for a concert of his in Lugano (“true
gentlemen”, he defined the orchestra): the trepidating, annihilated fee
lings I felt as I listened to Haydn's Symphony no. 92 will always be with
me: the surprising richness of those thematic shadowings, of those splen
did architectonic adventures, are unforgettable. They inspired me (a
coarse lover of the visual arts) with a rococo jest: “Tiepolo is sent away,
Canaletto fetched...”. It was received with a conciliatory smile. Because it
suggested a problem? I suspected it.
We have already discussed at length a field in which Celibidache's
generosity exerted itself without limits, the field of face-to-face dialogue;
no subjects were excluded (his aristocratic nature made every subject
dignified for him). Nothing was held to be futile, we talked of the ordinary
details of everyday life or dissected minute thematic forms in their secret
values, we sifted through facts and thoughts of any kind, because every
thing could bring unheard-of illuminations. Not excepted were his mer
ciless interrogations, as well as the self-accusations (as a musician, a con
ductor, a human being) which I uttered to make a possible banishment
from his company less painful.
I could very well go on, were it not for my conviction that Celibidache
must become the subject not only of personal recollections, but also of
scholarly essays. It is indeed to be supposed, or to be hoped, that some
body has already begun to write what must be written.
But if I am to close on the same note on which I began, I have to say
that the uppermost feeling I have is perhaps one of suspended, enchan
ted gratitude; though I could not say which moves me most, the great
things I heard from him or the little things he let me say.
204
Mario Baroni
Conductor or composer?
205
Duilio Courir
A Wanderer staying in Bologna
Twenty years in Celibidache's life and work have had the city of
Bologna as their centre: in the early fifties, Sergiu Celibidache was a very
handsome young conductor, who still bore on his face the splendour and
the reflections of the glory of Berlin, the city where he had studied and
had received his education in times of brand and fire, without sacrificing
any of his passions and enthusiasm, but also without eliminating the
impurities of a musical thinking born of a thankless epoch.
Celibidache was the custodian of music as something to be lived abso
lutely, as a destiny and a mission.This musician, gifted with great commu
nicative abilities, was a unique sum of qualities and peculiarities: a zealous
fanaticism in rehearsals, the virtuoso's intolerance of imprecision, the abi
lity to exalt the capricious element in music.
...Bologna’s theatre-goers (Bologna, it must not be forgotten, was the
city of Angelo Mariani, Giuseppe Martucci, of Italy's first nights of
Wagner's operas) had seen in Sergiu Celibidache, season after season, the
right man to bring them back to music: the continuity of his long stays in
Bologna had allowed him to establish a stable relationship with the orche
stra of the Comunale, a relationship which was often more than merely
professional. Many young musicians had accosted Celibidache as a master,
in an attempt to absorb those precious and illuminating lessons that were
often intermingled with concerts. It was a fertile ground in which several
young aspiring conductors began to come into their own. If we were to
name a few names, only in Bologna, there were Carlo Bagnoli, Bruno
Galletti, Giuseppe Montanari, Alberto Martelli, and many others: all of
these learned his practical and theoretical principles, attracted as they
were by the exceptional magnetism of a great man who had put his seal
on the musical seasons of Bologna.
ORCHESTRA MUSICIANS
GIOVANNI ADAMO
leader first violin
Ninety nine times out o f one hundred he was right
I got to know Conductor Celibidache, lucky me and good of him, around the
end of the 50's. 1 joined the Orchestra of the Teatro Comunale for a short period
around 1957, then I signed a contract with the Chamber Orchestra in Florence
and I worked a lot in Florence. I went on a long tour with the May Orchestra; for
some of the musicians it was exhausting, for me - I was twenty - it was like being
on holiday. In 1946 I had moved with my family from Sicily to Bologna where
there was a famous string school; I was a little boy and at that time you could
hardly ever watch television or listen to records, so I did not know much about
music, just what I studied at the conservatory where they already taught chamber
206
music and orchestra music - our teachers were very strict at that time. I had been
studying one year at the Conservatorio San Pietro in Majella (Naples) with Luigi
Schirinà, a great man and a great musician, and after that in Bologna with Umberto
Supino, who had previously played in the Bologna Quartet. Celibidache was a
great name, the old ones used to say: “Conductor Celibidache is coming, you will
see!’’.The first impression I had was that he was a very important person, with a
very strong personality and an inflexible character, and he seemed to have an
extraordinary technique. Now I understand that as far as conducting is concer
ned, he was the only one who was able to speak about certain things; some other
conductors just orchestrated and explained, but he was “very scientific”. 1 joined
the orchestra as a violinist, then I became principal violin on the 2nd January
1964.Thus I had to play solos and with conductor Celibidache there has always
been mutual esteem and friendship.
Celibidache was sometimes touchy; he was good at understanding players;
when a young and inexperienced musician did not sit properly, as manners dic
tated, the Conductor rebuked and taught him.
I liked him a lot; I liked the way he interpreted authors such as Prokof’ev,
Debussy, Ravel. He and Arturo Benedetti Michelangeli made an unforgettable pair;
they looked like lovers, they trusted each other: whereas it is normal for great
musicians to disagree on a phrasing, a colour, a piano or a pianissimo. Celibidache
was very pedantic on such things. It was enough not to play those three p, but
just two and a half... sometimes it happened that, during the concert, a soloist, in
order not to play a sound either too low or too shrill, played it a bit “muffled”; to
the Conductor it was a mortal offence, he was furious and bewildered for the rest
of the concert and after. Once in the dressing-room he was still intractable
because the piano with three p had been played just with two and a half. I used
to say:“You know, it is a live concert, we are not machines...” and he used to reply:
“But I told you, we rehearsed it so long, you could have done it because you are
such a good musician, you could easily have done it. I told you that the audience
should have asked themselves: are they playing live or not?”and I tried to cool him
down.To us, strings, bows meant a lot. Ninety nine times out of one hundred he
was right. He made everything difficult and complicated, but he always produced
high quality music. In particular, he had his own ideas on the position of the bow
- heel, middle, point. People like Celibidache are so sensitive, they are used to per
fect accuracy, but their music has great phrasings, great sweeping openings.
EUGENIO AMADORI
violin
I asked him to pose fo r me
One day I asked Celibidache to pose for a portrait. “I have no time, no time, I
must practise”, answered the Conductor. “Ten minutes will be enough”, I said. At
that time I made portraits of all conductors that came to Bologna. From my music
stand, while I played the violin, I tried to catch some peculiarities of their cha-
racter.“How is it possible to do it in ten minutes?”, replied Celibidache.“Come to
the hotel San Donato tonight. I will not give you more than ten minutes”.
That night I went to his place and painted a portrait that made him breathless:
“It's impossible, it's impossible...what are you doing here? You should go to
Paris, to Paris...” and he wrote at the bottom of the portrait:
To my dear friend and colleague, with admiration and some envy
Yours sincerely Sergiu Celibidache
Bologna, May 1968
Later on, Celibidache came to my studio on the top floor of the sky-scraper in
207
via San Vitale. The studio walls were not plastered as yet and Celibidache wrote
on a wall: “To my brother Eugenio Amadori with great affection and admiration,
Sergiu Celibidache, September 1971’’.When the painters came in to decorate my
studio, they wanted to erase Celibidache's writing:“We have been told to paint the
whole room”. I insisted “You cannot erase Celibidache's writing”. The painters
answered:“Call the architect and ask him what we are supposed to do”.
So I called the architect: he came and said that the writings must not be erased,
but framed.
WILLIAM BIGNAMI
principal first violin
He used to say: “We Italians..."
PIERLUIGI GHETTI
cello
Magic began...
208
My heart beat fast when the Conductor turned to conduct us cellos, his gestures
were accurate, clear, proportioned; he demanded of us thousands of different sha
dings, thousands of colours included in each score, and the results were wonderful.
I remember playing a piece by Debussy and being asked for a “pianissimo” that
I believed, young and conceited as I was, it was impossible to obtain, whereas... I
had just to lay my fingers and my bow on the instrument, and something unreal
and sublime was heard.
...Every single rehearsal, every single lesson on conducting that Celibidache
held in our Orchestra in Bologna will always remain among my dearest and most
precious memories.
LUIGI GIRATI
principal horn
Each time could have been the last one...
GIULIANO GIULIANI
cor anglais
That hand-kissing... was the event o f the sum m er
The Conductor's arrival in Bologna monopolised the attention of all the thea
tre; we were in a state of great agitation because Celibidache required great accu
racy of the orchestra from the very first rehearsals...
209
...I would like to relate an episode in which my family was involved. Since he
had to conduct a concert of ours for the "Sagra Malatestiana" in Rimini,
Celibidache decided to exploit the situation and visit a toy factory near Fano, in
order to buy an electric car for his very young son directly from the provider.
Since he knew that my family was from Fano, he asked me to give him my parents'
address; he wanted my father to accompany him after contacting the factory
owner. My father was a bicycle-mender, and in order to enter his house you had
to pass his shop with all the bicycles on display, waiting to be repaired, and my
father's working implements. Therefore, when the conductor arrived at my
parents' place, he had to pass through there, and in that place, without as much
as a glance at his surroundings, he bowed before my mother - who had come out
of the kitchen on the back - and courteously kissed her hand.That hand-kissing
in the bicycle-mender's shop caused such a sensation that in Fano, nobody spoke
of anything else for the rest of that summer.
ALBERTO MANTOVANI
principal trumpet
A four-decade long friendship
I met Celibidache for the first time in January 1953; at that time I was attending
my last year at the Conservatorio G.B. Martini in Bologna.
...At last we come to May 1957, when I was suddenly called to replace musician
Arisi.The two concerts included Beethoven's Fifth, Sixth, and Ninth Symphonies.
Although many years have passed, I like to remember this episode. I was fifteen
minutes late for the first rehearsal conducted by him; the hitch was due to the fact
that nobody had told me at what time we were supposed to meet. Obviously I was
reproached in front of the whole orchestra and although he did not want to listen
to my explanations I had an advantage: the conductor already knew me because
I had collaborated with him in Catania, where he had conducted some concerts
the previous year. It was at that time that my relationship with the great conduc
tor began: a relationship which would be continued in Bologna and which lasted
until his death.
...I continued working with the conductor, who called me in 1981 to substitute
the principal trumpet of the Munich Philharmonic Orchestra to play Bruckner's
Seventh Symphony andTe Deum, and in 1983 to play Mozart's Jupiter Symphony
and Brahms' Concert no. 1 for piano and orchestra, soloist piano Daniel
Beremboin.
My long friendship with the conductor was only interrupted by his death in
August 1996.
210
ENRICO QUARENGHI
clarinet
Despite m y nervousness, I was very happy
DARIO RAVETTI
double bass
“Who's driving?”
Celibidache was Maestro par excellence. His was not musical interpretation,
but the way music had to be interpreted.Time, dynamics, agogics were not pro
blems one has to solve each time one has to perform a piece as best as one can,
but were, to him, part of an absolute musical phenomenology, the secrets of
which he alone knew. That particular musical piece had to display that particu
lar time, those dynamics, that agogics: these were its only possible characteri
stics, because they were its true ones; any other kind of performance was a sign
of amateurism, ignorance, lack of musical taste. Celibidache was firmly convin
ced of this, and this was why his natural attitude was in accord with what he con
sidered to be his role, his mission in this world: teaching musical interpretation
(as regards conducting), because he, and he alone, knew its secrets: he was
Maestro. And he was always the master, both on and off the podium. So much so
that during the intervals the master was typically surrounded by his disciples.
211
During his rehearsals there were always a substantial number of people (young
musicians or admirers), who, at the intervals, surrounded him to hear the Word
spoken: and he always dispensed that Word generously and sententiously. During
the years many of those people had managed to come in close contact with the
conductor, and he called them by first name. Those who were called by first
name went into raptures, even though they were often called only in order to be
ridiculed or rebuked; because this was a typical trait of the conductor's charac
ter: he needed to be surrounded by disciples, he did not reject flatterers, but he
criticised everybody, with no exceptions; anyway, he treated everybody as his
inferiors.
...His concerts were perfect then, one would have to say. No, not in the usual
way, but his rehearsals were extraordinary. It sounds like nonsense, but he was
not a performer, he was a master, Maestro. He was at his best in rehearsals, where
he could teach, explain, repeat in order to get what he wanted and, last but not
least, demonstrate that his idea was the truth. This could not happen during the
concert because, although he had settled everything perfectly, that was a live
event and some little flaws were possible. That good man was not blessed with
a sense of reality: faced with those flaws he overreacted: very common were his
gestures and verbal manifestations of disapproval against those who “had made
a mistake”. He was overcome by nervousness and this almost made us lose our
concentration (and the audience was disturbed, because they too saw his reac
tions). The resentment he bore to those who had made a mistake lasted throu
ghout the concert and, at the end, the “spoiler” was punished by being excluded
from the acclamation; because during the final acclamation, Celibidache used to
clearly point at each single soloist with his baton, the soloist having to stand up
in order to get the audience's loud applause. However, the “spoiler”was excluded
from that, and if he misunderstood the conductor's gesture and left his chair,
Celibidache started to make gestures of disapproval, so that the poor wretch was
forced to sit down again.
.. .He never conducted with scores, not even during rehearsals. He had a remar
kable quality: many conductors learn the score by heart (though only for con
certs), but only a few really know it. He had practised his gestures a lot. Apart
from their refined elegance, his gestures were not simple movements, but invol
ved the rhythm and the dynamics of conducting. A simple example can illustrate
this: the preparation (here and in what follow, I write Celibidache's terms in ita
lics) of the attack. It is the gesture through which the conductor gets the orche
stra started.This gesture must comprehend three basic elements (that have to be
perfectly understood by the orchestra), two of which have to do with time, one
with dynamics. The gesture must have the same tempo as the piece which is
about to begin: it must be the vector. This might seem obvious, but most con
ductors are not able to do it, and have to beat a whole empty bar to keep the
time; therefore, the orchestra starts after two or three unnecessary gestures by
the conductor - a stigma of amateurism (this was Celibidache's opinion, and he
was perfectly right). But besides being the vector, that gesture should have pro
portion. This means that while doing it, the arm should be slightly inflected, as if
it were dividing the movement into two sections. These inflections define the
rhythm of the first musical figuration, anticipating its impulse - a very effective
device. The breadth of the gesture, instead, indicates the dynamics, that is the
sound.There were also gestures related to the internal organisation of the piece,
and here the gesture meant two fundamental elements: expressiveness and dri
ving section. For this gesture he used his left arm, whereas to indicate the rhythm
he used his right arm, together with his baton. It must be said that his expressi
veness naturally sprang from his idea of conducting. - Who's driving? - he used
to say.The most typical trait of Celibidache's performance was his determination
212
to make the main musical line stand out at each stage of the piece. And this
demonstrated his perfect knowledge of the score, whether his was the “right”
interpretation or not. At each stage, his left arm was pointed at the section of the
orchestra he “was driving”.The quality of his gesture described the way the piece
had to be played. His not-quite-outstretched arm and his palm facing upwards
meant naturalness; if his palm faced downwards it meant discretion; if his arm
and hand were outstretched he was exhorting the players to take good care of
the quality of the sound. In order to bring a musical phrase to the biggest tension
he outstretched his arm and held only his thumb and forefinger open, then a
slight but very tense oscillation of the arm kept a tension alive which seemed to
be never ending. All this while his right arm held the baton and attended to its
“mechanical” duties. He was nowise a cold conductor, but he was extremely
rational and a great perfectionist. In the moments of thematic and dynamic ope
ning, his right arm was outstretched too, to mark the grandness of the moment.
His tall and slim figure, his straight, long, greying hair th’at got ruffled in the
attempt to follow his ardent gestures where supremely elegant. Nevertheless, his
ardour never became passion, also because his interpretation never touched the
intensity of pathos, but was always turned into an overwhelming aesthetic emo
tion. Nobody was like him in those moments: extraordinary, exhilarating, perfect,
marvellous, but never moving. Not because he was not able to draw pathos out
of a piece, bur simply because pathos was not a string to his bow. It is not by
chance that he excelled in conducting the music of the French impressionists.
When a conductor came to conduct our orchestra, and there was impressionistic
music in the programme, that conductor was destined to be compared with
Celibidache, and that meant disgrace. Nobody could win that contest.
GIAMPAOLO SALBEGO
percussions
When the bass drum started, he stopped...
LUCIANO TAMBURINI
double bass
Human closeness
213
I was young, I had just obtained my post, and I was a newcomer, and his pre
sence almost made me shy. But I soon came to appreciate the way he held the
podium, the magnetism thanks to which he held the orchestra in his grasp; disci
pline was not our forte at that time.
With him, I learned how to understand who “is driving”, that is, who it is that
is developing the main theme: it was this instrument, or this section, that had to
emerge - no other. All the rest had to be kept in the background.The result, in any
case, was a lot of music. I remember the great distance between him and the
orchestra when he was on the podium, and, on the contrary, the great human clo
seness of dinners after the concert.
PAOLO VARETTI
principal flute
Tears of happiness
1953 January the 23rd: a leaflet with photos of the conductor on the podium
are passed through the benches of the orchestra.
Jet-black eyes, a fearful glower!! But he also has a captivating smile:“Mamma
mia!” (How often have we heard that exclamation!!!!)
...And the great day comes: he looks us all in the eye, I must have shrunken to
a moth! I was cured of presuming that I was a “good flautist”. Me, a musician? In
front of this great man, I realized how small I was, I understood the imperfections
which had been enough for me until then!
Dear Master, I owe you so much! All human beings owe you so much! ! How can
I forget the solo of the last movement of Brahms' Fourth Symphony? You made me
repeat it eight or ten times. “No! Too feminine! No! Too masculine! No! No! No!
But let's go on!” The morning after, dress-rehearsal, I throw myself into it with all
my heart, with so much love!!!
Your shout - “Yes!! This is Brahms!’’You made the orchestra stand up and clap
me!
Before going, after the rehearsal, I saw that everybody was looking at me! Why?
Perhaps there was a spot on my dress or on my face? I touched my face: my tears
were tears of happiness!
DANIELE DA DEPPO
He was Celibidache
... I met him at the beginning of my career as a musical archivist at the Teatro
Comunale of Bologna. I was not the only one who felt the power of his charm,
both as a man and as a professional. 1 still remember the fears and the embarras
sment a glance of his was enough to cause me, when something was wrong or
when I had to say (at the time of labour disputes about closing-time for rehear
sals): “Conductor, it's time to stop now...” And he got angry because that was
exactly the moment when he was looking for the fullness Of sound or the perfect
interpretation of a musical phrase. His magnetism, his great musical gift was fully
rewarded by the audience in Bologna: every concert he gave sold out the tickets
within a couple of days.
In my years at the Teatro Comunale I collaborated with many Conductors but
nobody can be compared to him as far as style, precision and memory (his
memory was extraordinary: he never used scores!) are concerned. I remember his
musical perfection, the way he managed to involve the whole orchestra, but also
his changing moods and his unwillingness to betray his principles of interpreta-
214
tion. He was also a person of great feeling, but not a tactful man: he had no hesi
tations when he felt he had to say true things which were not appreciated by the
managers; he was like that.
I also remember that he was great company when we ate together, though, like
all geniuses, he was an irregular eater; for days on end, he would only eat biscuits
and drink water, then he went to the restaurant and ate what I can assure you was
an incredible amount of gourmet food. But he was in Bologna, therefore gourmet
food was there for the choosing! I also remember, since I have had the privilege
to have lunch with him, the variety of subjects he could talk about and the gent
leman-like way he had of teaching you something even when he was not tea
ching...
... In that period Carlo Maria Badini, the Superintendent of the Teatro Comunale
of Bologna, and the Art Director, decided to set up, with Celibidache's collabora
tion, a Course for Young Conductors. It was an immediate success. Those who
were accepted in the Course came from 16 different naticJns. Celibidache asked
me to look for 48 complete scores, obviously by a lot of different composers, from
Haydn to Beethoven, from Stravinskij to Respighi, and as obviously he knew them
all by heart.
I will not talk about the effort of preparing all those scores: I would like to
remind you that no photocopying machines were available at that time. But the
extraordinary part of the business was that when Celibidache opened the course
he started speaking all the languages of the nations the pupils came from. He
spoke as many as eight languages, among them Japanese and Arabic! I can assure
you that those who were there at that moment still remember it. We had never
heard of a Conductor who was possessed of such erudition, and not only in the
musical field. The course was a great success; he was loved and admired by his
pupils, who imitated his subtlest gestures. I remember one of them in particular,
Aldo Ceccato, who even tried to imitate his walk!
I got to know Celibidache's professionality and musical culture very well, and
this gave me the possibility to become “a friend of Celibidache as a man”: he
honoured me with his friendship.Today, when I remember him, it still moves me
that I was given this chance in the world of theatre. With the passing of time, he
never disappointed me. On the contrary, he always gave me new demonstrations
of his friendship, and I on my part have always felt great admiration and esteem.
... He was Celibidache.
PUPILS
GIORGIO CAMBISSA
The first element: the sound
The conductor used to exert himself tirelessly all day long, even before and
after rehearsals with the orchestra. Lessons started early in the morning: first of
all, we had to practise the basic arm movements (impulse and relaxation), which
would later be applied to all kinds of rhythms and dynamics. Exercises in the
analysis of extempore piano rhythms would follow - the conductor himself would
play - in order to sharpen the players' sensibility to the subtlest and most complex
combinations. In the orchestra rehearsals the pupil had to play a score ha had first
seen a few hours before, and he had to play it from memory; the score was pic
ked from a repertoire which had been agreed upon previously. From the very first
bars, the players were asked to voice their opinion on tempo or on the appro-
215
priateness of the gestures for that particular piece. We were also called upon to
promptly comment on whether the phrasing was right, or whether some of the
players had got the wrong intonation.
...The first element to be taken into consideration is sound, a phenomenon
which is determined by the vibrations of an object shaken out of inertia by an
external agent: as soon as we hear it, our consciousness is transported to a diffe
rent state of mind.
From this starting point there develops a series of new and important reflec
tions that do not remain mere theory, but can be related with practical problems
about musical interpretation and conducting technique.
ALBERTO MARTELLI
An extraordinary man
I have been Sergiu Celibidache's pupil from 1978 to 1986.Those have been the
most intense years of my life, as far as music is concerned. A lot has been said
about the conductor; a lot will be said and written: he was a history-maker.
...those who got to know him closely as I did know what his greatness as a
musician consisted in. His most extraordinary aspect was the generosity with
which he conceded himself to his pupils - he was the greatest under this respect.
Once, in Saluzzo, during one of the very few seminars he held in Italy, he had a
temperature and was forced to lie in bed. Ha asked me if I could buy him a new
spaper. When I came back with the newspaper he told me: “Stand in front of me
and beat the start of the Eroica for me”.
FRIENDS
ALFREDO FONTANA
In Altedo and environs
216
DARIO LODI
It took you twenty years!
217
Stam pato dalla
Litografia LI.PE snc S.Giov. Persiceto (BO)
Per conto dell’Arnaldo Forni Editore srl
di Sala Bolognese (BO)
Ottobre 2004
LUIGI GIRATI
E' stato per cin
que anni 1° Corno
H
dell'Orchestra
Sinfonica di Istan
bul, co n tem p o ra
neam ente insegnan
te presso il Conser
vatorio di m usica
della stessa città; dal
1962 al 1993 ha
ricoperto il ruolo di
1° C orno titolare
dell'Orchestra
Sinfonica del Teatro Comu
contem poraneam ente ha svolto il ruolo di inse
gnante presso l'istituto musicale "A. Peri" di
Reggio Emilia, dove ha organizzato seminari
internazionali sul corno, trom ba e trom bone.
Ha fondato il Q uintetto di fiati "O ttorino
Respighi" con il quale ha svolto un'attività
decennale; c o n i Filarmonici del Teatro
Comunale di Bologna ha svolto attività cam eri
stica e discografica. Nel 1988 ha fornito i mate
riali e ha collaborato alla pubblicazione Gli
Andreoli di Mirandola di Marco Balzani. Sue
sono state le idee di pubblicare: L'Orchestra
Sinfonica di Bologna 1987 di Marco Maria
Tosolini e nel 1998 Vita d'orchestra di Roberto
Vcrti, in occasione del quarantennale della for
mazione sinfonica di Bologna. Ha fondato un
com plesso di corni da caccia "I corni del Reno"
con il quale ha realizzato num erosi concerti,
diffondendo la conoscenza dell'antica storia
del corno. E’Accademico Filarmonico dal 1973
e dal 1994 è com ponente del Consiglio della
stessa Accademia di Bologna. Collabora com e
insegnante di musica con l'Università p e r la
terza età “Prim o Levi" ed è presidente
dell’Associazione “Jupiter” di xVlirandola.
LUIGI VERDI
Ha com piuto gli
studi m usicali a
Pesaro, Milano e
Bologna, diplom an
dosi in Musica cora
le e D irezione di
coro, Composizione
e D irezione d ’or
chestra. E’ inoltre
laureato in Filosofìa
all’Università di Bo
logna. Svolge inten
sa attività com e
com positore, musicologo e direttore d ’orche
stra. Ha dedicato svariati studi e allestito m ostre
sulla storia musicale di Bologna e dei suoi prin
cipali protagonisti: fra esse in particolare La
M adama Butterfly nei manoscritti puccinia-
n i dell’A ccademia Filarmonica di Bologna ;
M ozart a Bologna, i luoghi, ipersonaggi e l'e
sam e alVAccademia Filarmonica ; Il Farinelli
a Bologna, Rossini a Bologna. Note documen
tarie ; Wagner a Bologna (4-5 dicem bre 1876).
Testimonianze ; Le opere di Giuseppe Verdi a
Bologna (1843-1901 y, Stefano Gobatti. Un pro
tagonista dell’Otto-cento musicale bolognese
(2002). Ha pubblicato num erosi volumi e saggi,
fra cui Alèksandr Skrjabin tra musica e filo
sofia (Firenze 1990), Kandinskij e Skrjabin.
Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluziona-
ria (Lucca 1996), interessandosi in particolare
dei rapporti fra musica e pittura. Il suo trattato
di teoria musicale O rganizzazione delle altez
ze nello spazio temperato (Treviso 1998)
affronta secondo un m etodo algebrico lo stu
dio delle varie possibilità com binatorie dei
suoni. E’ docente di Armonia, C ontrappunto,
Fuga e C om posizione presso il Conservatorio
Statale di Musica di Adria.