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ANNA RITA DEIANA

PSICOLOGIA
DELL’INVECCHIAMENTO
TRA PROCESSI,
CAMBIAMENTI E INTERVENTI
Il presente libro è accreditato come Autoapprendimento FAD con riconoscimento ECM
per tutte le professioni, solo attraverso apposita registrazione al sito www.ebookecm.it

COLLANA EBOOKECM
EBOOK PER L’EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA © 2021
ISBN: 9788831253345
INDICE

PREFAZIONE 5

Capitolo 1
TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO 7
1. Introduzione 7
2. La teoria del disimpegno 10
3. La teoria dell’attività 12
4. La teoria della continuità 13
5. Un invecchiamento di successo: il contributo moderno 14
6. Il modello SOC: Selezione, Ottimizzazione e Compensazione 18
7. La teoria della selettività socio-emozionale 19
8. Quando dalla teoria si giunge alla pratica: un esempio 20

Capitolo 2
UN CORPO E UNA VITA CHE CAMBIA 22
1. Introduzione 22
2. I cambiamenti fisici e organici 23
3. L’idea di un corpo che cambia: l’immagine corporea nell’anzianità 26
4. La vita sessuale degli anziani 29
5. Vita da pensionato: il nuovo ruolo sociale 33

Capitolo 3
LE MODIFICAZIONI COGNITIVE NELL’INVECCHIAMENTO 37
1. Introduzione 37
2. Percezione e sensi umani 38
3. Attenzione e inibizione 43
4. Memoria di lavoro 47
5. Memoria 49
6. Memoria esplicita o dichiarativa 51
7. Memoria non dichiarativa o implicita 53
8. Memoria prospettica 55
9. Riflessioni sul funzionamento cognitivo 57

Capitolo 4
DALL’INVECCHIAMENTO SANO A QUELLO PATOLOGICO: LE DEMENZE 59
1. Falsi allarmi? 59
2. Classificazione delle demenze 63
3. Deterioramento cognitivo lieve 65
4. La malattia di Alzheimer 67
5. Demenza fronto-temporale 75
6. Demenza vascolare e ictus 79
7. La depressione 81
8. L’anziano fragile e il suo ruolo nel percorso di cura 83

Capitolo 5
INTERVENIRE NELL’INVECCHIAMENTO E NELLA DEMENZA:
TERAPIE NON FARMACOLOGICHE E COMUNICATIVE 86
1. Introduzione alle terapie non farmacologiche 86
2. La Validation Therapy 89
3. La ROT: Reality Orientation Therapy 94
4. Riabilitazione cognitiva 97
5. Memory Training 100
6. La terapia della reminiscenza 101
7. La musicoterapia 103
8. Terapia delle bambole 105
9. La terapia occupazionale 107
10. Riflessioni e caso clinico 109

BIBLIOGRAFIA 114
indice

PREFAZIONE

Quando ci si avventura nel mondo dell’invecchiamento, indipenden-


temente dalla prospettiva, subito ci si imbatte nei trend e nelle previsioni
sull’aumento della popolazione anziana nei prossimi anni e sul numero
delle persone che nel 2050 andrà incontro a demenza. Inizialmente avevo
pensato di dedicare una parte di questo ebook ai numeri, per analizzare la
demografia attuale e futura, ma poi ho deciso di utilizzare le cifre solo per
indicare incidenza o età rispetto a casi specifici. Questa scelta è maturata
in seguito a una riflessione sull’anno appena passato, nel quale le nostre
giornate sono state scandite dai bollettini sui numeri dei nuovi contagi o
dei morti da o per COVID-19. Ma dietro quei numeri c’erano e ci sono
persone e molte di queste erano anziani, che hanno affrontato l’evento
virulento in condizione di disorientamento, vulnerabilità, incapaci di ca-
pire cosa stesse succedendo. A volte me li immagino persi nella paura. Fra
questi c’erano anche anziani che hanno saputo rinunciare alla propria
salvezza a favore di persone più giovani. Ma tutti questi numeri erano e
sono persone ed è questo che non dobbiamo mai perdere di vista.
Per questo ho deciso di trattare la psicologia dell’invecchiamento foca-
lizzandomi su aspetti che possano mettere in evidenza la persona nella sua
singolarità e per le sue risorse.
Nel primo capitolo si passano in rassegna le principali teorie sullo stu-
dio dell’invecchiamento e si offre un breve caso pratico di come la teoria
diventi qualcosa di potente quando si crea un legame con la pratica.
Nel secondo capitolo si affrontano i cambiamenti, senza però parlare
delle patologie. Conoscere le dinamiche di alcune dimensioni di vita per-

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
PREFAZIONE

mette di comprendere meglio anche alcuni aspetti laterali del loro vissuto
emotivo.
Il terzo capitolo tratta il tema delle perdite cognitive legate all’età delle
principali funzioni e di come queste possano condizionare la vita di tutti
i giorni, nonostante non si viva in condizioni di demenza.
Il quarto capitolo affronta la tematica della condizione di invecchia-
mento patologico indicando le principali caratteristiche di alcune manife-
stazioni invalidanti di questa età.
L’ultimo capitolo offre una descrizione delle terapie non farmacologi-
che, che rappresentano allo stato attuale lo strumento di maggiore poten-
za nell’intervento con le persone con demenza (ma a volte con l’anziano
in generale) utilizzato dagli operatori dell’assistenza sanitaria e di profon-
da utilità per i familiari.
In alcuni paragrafi ho inserito delle riflessioni generali sul tema tratta-
to o esempi derivati dalla pratica clinica con i mei pazienti.
Questo lavoro non ha l’obiettivo di trattare in maniera esaustiva la
tematica della psicologia dell’invecchiamento, ma di fornire un quadro
generale della complessa realtà del mondo dell’anzianità e rafforzare la
visione del potenziale di ogni persona e del ruolo attivo che il soggetto
può avere nell’intervento a sostegno del benessere della persona in diverse
dimensioni della sua vita.

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CAPITOLO 1
TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

1. INTRODUZIONE

Quando si affronta la tematica dell’invecchiamento, subito ci si rap-


porta con le definizioni che vengono fornite dagli autori dei manuali e
che chiariscono che cosa sia la vecchiaia, o chi sia l’anziano, e i motivi
che hanno portato diversi studiosi dell’ambito psicosociale a investigare
su questo periodo di vita. Ad esempio, De Beni e Borella, entrambe rino-
mate professoresse di Psicologia dell’Invecchiamento presso l’Università
di Padova, lo definiscono come un “processo o insieme di processi che
hanno luogo in un organismo vivente e che, con il passare del tempo, ne
diminuisce la probabilità di sopravvivenza”. Le autrici offrono quindi una
visione dinamica, in evoluzione, dell’anzianità. Anche la Baroni (2010)
evoca il processo di cambiamento di un organismo in funzione del tempo
inesorabile che scorre e che porta da una parte ad accrescimento e matu-
razione, ma alla conclusione dell’esistenza dall’altra. Già nel 1987 anche
uno dei maggiori esponenti italiani della psicologia, Cesa-Bianchi, defini-
sce la vecchiaia mettendo in evidenza il fenomeno delle modificazioni, in
termini di struttura e funzionamento, in relazione all’avanzare dell’età.
Bisogna sottolineare che l’interesse da parte delle scienze sociali verso
questa fascia di età ha preso avvio nel secolo scorso e i contributi sono au-
mentati nel tempo. Se si effettua una ricerca in qualsiasi database online
di articoli scientifici in ambito psicologico e si utilizzano le parole invec-

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1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

chiamento e psicologia, ad esempio, si noterà una curva progressivamente


maggiore nella fascia degli anni Ottanta e Novanta (Chattat, 2004).
Tornando indietro negli anni, tra i primi teorici che possono essere
inseriti tra quelli che hanno fornito dei contributi allo studio della psi-
cologia dell’invecchiamento si può citare Erikson. La teoria di Erikson
(1950), psicanalista figlio diretto della scuola di Freud e poi di Hartmann,
non nasce con l’intento di descrivere l’anzianità; ciononostante, può esse-
re considerata come anticipazione dell’interessamento dello studio dello
sviluppo esteso all’intero arco di vita, spostando il focus delle teorizzazioni
e degli studi dell’epoca dall’età infantile all’intera esistenza della persona;
con la teoria dello sviluppo psicosociale eriksoniana vengono inglobati
tutti periodi di vita di un individuo, dalla nascita alla morte. Infatti, una
parte della sua teoria, seppur con una trattazione meno dettagliata rispet-
to all’infanzia, è dedicata all’età adulta e all’invecchiamento. Egli postula
otto stadi per la formazione della personalità dell’Io; per ognuno di questi
stadi la persona si trova a dover risolvere un conflitto che è generato dalle
richieste sociali da una parte e le proprie capacità cognitive e biologiche
dall’altra. Il conflitto che la persona vive pone agli estremi due posizioni
opposte. Ad esempio, nella prima fase di vita, tra 0 e 1 anno la dicotomia
prevista è fiducia vs sfiducia. La risoluzione ottimale del conflitto porta il
bambino a sviluppare un senso di fiducia verso la madre e verso il mondo
che lo circonda. Il conseguimento della crisi è visto come occasione di
crescita dell’Io e quindi evoluzione dell’individuo. Gli stadi previsti per
l’età adulta sono quelli compresi tra i 40 e 65 anni, con il conflitto tra ge-
neratività vs stagnazione, e dopo i 65 anni, con integrità dell’Io vs disperazione.
Nella fase adulta il successo della risoluzione del conflitto con la genera-
tività porta la persona a sentirsi realizzata, per essere stata capace di aver
costruito non solo per sé stessa ma anche per gli altri, di aver contributo
personalmente per l’avvenire sociale. Una buona risoluzione di questo
stadio è un’ottima premessa per la buona risoluzione anche dell’ultimo
conflitto previsto da Erikson nella vecchiaia. Secondo Erikson, in realtà,
le risoluzioni produttive di tutte le fasi della vita della persona, quelle che
avranno portato a una evoluzione e a una crescita della persona, sono pro-
pedeutiche a una buona risoluzione della crisi della vecchiaia. Quest’ulti-
ma è la fase in cui la persona si trova faccia a faccia con il fatto che il giro
di boa della propria vita è sempre più lontano; se la persona sarà capace di

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

riconciliarsi con il passato, di saper dialogare con quello che è stato, con le
sue scelte e quanto sta lasciando al mondo, sarà più facile che proceda per
l’integrazione dell’Io, piuttosto che vivere la vecchiaia come una continua
minaccia e disperazione verso la morte. Per Erikson, quindi, la probabilità
di affrontare in maniera produttiva l’ultima fase della vita è conseguenza
diretta della capacità di aver saputo affrontare tutti gli stadi della vita con
successo, in quanto la persona potrà avvertire il proprio senso di efficacia
e di aver vissuto una vita con utilità.
Dagli anni Sessanta a oggi, i contributi sulla psicologia dell’invecchia-
mento constano di diverse fasi: l’esordio, con le teorie classiche, che na-
scono sulla scia di un cambiamento demografico importante come quello
del dopoguerra, sostenute da studi mirati (ad esempio il Kansas City Study
of Adult Life) che vennero avviati con l’intento di fornire un quadro sul
funzionamento degli individui nella vita adulta e oltre. A questo periodo
possono essere ricondotte le famose teorie del disimpegno, dell’attività e
della continuità.
Una seconda fase, quella più attuale, nella quale è rappresentativo il
lavoro di Baltes e Baltes (1990) sull’invecchiamento di successo e il con-
tributo sulla selettività socio-emotiva della Carstensen (1992 e ulteriori
sviluppi).
Vi è però da considerare che la maggior parte delle teorie formulate ri-
esce a spiegare solo alcuni aspetti di quello che accade nell’invecchiamen-
to. In primo luogo, perché, rispetto alle fasi dello sviluppo di una creatura
appena nata, le variabili che entrano in gioco sono differenti da un punto
di vista quantitativo ma soprattutto qualitativo; come creature sensibi-
li all’apprendimento, gran parte dello sviluppo è guidato dal repertorio
genetico mentre nella fase adulta gioca un ruolo importante il riassunto
di una vita in interazione con l’ambiente. Inoltre, la plasticità cerebrale è
nettamente differente. I bambini vengono spesso descritti come delle spu-
gne che assorbono tutto; nell’anziano gli schemi appresi nella vita filtrano
i nuovi apprendimenti e le modificazioni cognitive richiedono un lavoro
complesso di esercizio costante e continuo.
Si è deciso di esporre in questa prima parte dell’ebook le teorie prin-
cipali presenti nelle scienze psicosociali sull’invecchiamento, in quanto
offrono una lente per comprendere meglio il mondo degli anziani e il
loro modo di funzionare, nonostante i limiti ad esse attribuite. Si crede

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

infatti che avere come proprio bagaglio conoscitivo i principali contributi


presenti in letteratura fornisca a qualsiasi operatore che ha a che fare con
gli anziani uno strumento valido sia per aumentare la comprensione del
loro vissuto emotivo e fisico, sia un quadro di riferimento comprovato per
poter progettare degli interventi d’effetto. Per questo si è deciso in fase
finale di riportare un esempio di come le teorie proposte siano una risorsa
importante nell’interazione con gli over 65, e non solo, nel miglioramen-
to della qualità di vita.

2. LA TEORIA DEL DISIMPEGNO

Una delle prime teorie che viene formulata con l’obiettivo di spiegare
la vecchiaia e che può anche essere annoverata tra le più conosciute è
quella del disimpegno, formulata nel 1961 da Cumming e Henry, nel
libro Growing Old. In quel periodo inizia a essere impellente il bisogno di
fornire una spiegazione di tipo psicosociale sull’invecchiamento, in con-
siderazione dell’aumento dell’aspettativa di vita delle persone e di una
chiave di lettura che si distacchi dalle enunciazioni biologiche e mediche.
L’esposizione della teoria del disimpegno è stata suddivisa in nove postu-
lati che descrivono le dinamiche della persona che si avvicina all’anzianità
gradualmente, tendendo a investire meno su attività e ruoli sociali per
impiegare le proprie risorse su sé stessa. Tale disimpegno è agevolato dalla
controparte comunitaria con cui vive la persona che la allontana o investe
sempre meno nelle persone anziane verso le quali diminuiscono le richie-
ste o le aspettative sociali. Secondo gli autori, gli anziani procederebbero
a utilizzare le risorse di cui sono in possesso per sé stessi e il proprio Sé,
piuttosto che sfruttarle a vantaggio della società o di soggetti altri rispetto
alla propria persona. Tale ritiro avviene sul piano fisico, psicologico e so-
ciale. Ad esempio, la persona anziana eviterà le situazioni che richiedono
sforzi eccessivi o stress e mettono quindi alla prova il proprio fisico; dal
punto di vista psicologico mostrerà un disinteresse per attività che risulta-
vano importanti fino a poco tempo prima; anche la cerchia degli amici e
delle persone considerate non strettamente necessarie si ridurrà, con una
selezione di pochi componenti come familiari emotivamente significativi.

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

La condizione dell’anziano, così come postula il primo punto della


teoria, è vissuta nell’attesa della perdita delle proprie abilità e della morte;
in ragione di questo tenderà a limitare le proprie attività a protezione
della propria esistenza. Di riflesso, anche la società che prevede questo
futuro per la persona nell’invecchiamento tenderà a formulare sempre
meno pretese nei confronti dell’anziano.
La teoria del disimpegno è stata formulata come una condizione che
si presenta al genere umano in maniera graduale, irreversibile e continua.
Non vi è possibilità di inversione e si realizzerà in tutti, indipendente-
mente dalla cultura di appartenenza; quest’ultima però interverrebbe dal
punto di vista della forma che tale ritiro assumerà. Secondo gli autori vi
sarebbero anche delle differenze dal punto di vista del genere sessuale,
in quanto i ruoli sociali dell’uomo e della donna sarebbero nettamente
differenti.
Le critiche mosse a questa teoria non sono poche e di sicuro una delle
principali è generata dal periodo storico in cui tale formulazione nasce,
ovvero la divisione dei ruoli sociali tra uomo e donna che negli anni Ses-
santa in America prevedeva che l’uomo facesse carriera e che la donna fa-
cesse la casalinga. Di conseguenza il ritiro sociale è previsto maggiormente
nell’uomo. Oggi invece, con la politica delle pari opportunità, questa dif-
ferenza di ruoli diminuisce nettamente, seppur non manchino strascichi
di differenziazione di genere ancora rilevanti.
Un altro aspetto critico può essere attribuito alla teoria del disimpegno
e riguarda l’accrescimento dello stereotipo dell’inutilità dell’anziano come
peso per la società, incapace di fare la sua parte comunitaria e relazionale
e lo dipinge come concentrato sul proprio destino infausto. Nella realtà
attuale, invece, gli anziani rappresentano una grande risorsa su diversi
livelli sociali e familiari; ad esempio, essi continuano a essere un’àncora
di salvezza per i figli nel badare ai propri nipoti, nello svolgimento di com-
missioni o nel tener memoria della famiglia. Nella comunità sono sempre
più impiegati in attività come quelle del volontariato o in università loro
dedicate, vedi l’UTE (Università della Terza Età).

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

3. LA TEORIA DELL’ATTIVITÀ

La teoria dell’attività nasce alla fine degli anni Quaranta (Havighurst,


1948) come proposta per un buon invecchiamento e si sviluppa come tale
solo successivamente, e in contrapposizione, alla teoria del disimpegno.
Secondo l’autore, e nei successivi sviluppi (Havighurst e Alberecht, 1953;
Havighurst et al., 1961; Havighurst, 1968), invecchiare bene significa man-
tenere uno stile di vita così come accade nell’età adulta; ciò che non può
essere più eseguito deve essere sostituito con un’altra attività. L’anziano
è visto come qualcuno che riesce ancora a mettersi in gioco, che assume
nuovi ruoli sociali e viene considerato produttivo. L’abbandono delle at-
tività deve avvenire per sopraggiunta impossibilità a perseguire le vecchie
abitudini.
Se da una parte con la teoria del disimpegno l’anziano procede con il
ritiro sociale e l’investimento delle proprie capacità residue verso sé stesso,
per la teoria dell’attività un tenore di vita ideale nella vecchiaia si ha im-
piegando le proprie capacità su attività simili a quelle eseguite o su ruoli
compensativi. Se ad esempio non si potrà più ricoprire un determinato
ruolo in ambito lavorativo, esso potrà essere sostituito con uno simile
in un altro ambito, ad esempio quello del volontariato. La possibilità e
l’attuazione di uno stile di vita attiva sarebbero alla base di una vita sod-
disfacente.
Entrambe queste teorie, però, soffrono del limite di fornire solo una
chiave di lettura nel descrivere delle modalità con cui può essere affronta-
ta la vecchiaia. Gli studi che hanno indagato le teorie non hanno infatti
trovato riscontro empirico (Lemon, Bengston e Peterson, 1972), quindi
possono essere utilizzate per identificare uno stile di vita associabile all’an-
zianità o vecchiaia. Anche l’acquisizione di uno di questi stili è vincolata a
diversi fattori, tra cui il principale è indubbiamente lo stato di salute con
cui la persona si trova ad affrontare il post pensionamento. Un anziano
che è capace di guidare può ancora essere utile ai figli nell’andar a pren-
dere il nipote a scuola o a non delegare a nessuno la spesa per casa. Un
anziano che si trova in condizione di salute precaria, invece, sarà limitato
in attività che riguardano la propria persona e la creazione di stati di be-
nessere.

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

Inoltre, uno studio successivo (Havighurst et. al, 1968) ha messo in evi-
denza che essere impegnati in molte attività non è predittore del livello di
soddisfazione della persona. Le teorie del disimpegno e dell’attività, che
si basano sullo studio longitudinale Kansas City Study of Adult Life, per
il quale furono coinvolte centinaia di persone di un’età compresa tra i 40
e gli 80 anni, spiegano come possa essere affrontata la vecchiaia, ma sono
le caratteristiche di personalità a fornire maggiori spiegazioni sul livello
di soddisfazione percepito. Ci possono quindi essere persone che sono
socialmente attive nella comunità ma che dichiarano un livello di soddi-
sfazione basso; allo stesso modo ci sono persone che hanno pochi contatti
sociali, ruoli familiari limitati e che non risentono di questo. Quindi un
limite della teoria dell’attività è che contribuisce all’idea che una buona
vecchiaia sia tale solo se la persona è impegnata in diverse attività, quando
invece vi possono essere persone che possono condurre una vita “meno
piena” comunque soddisfacente.

4. LA TEORIA DELLA CONTINUITÀ

La teoria della continuità (Atchley, 1989), rispetto alle precedenti,


mette in evidenza come l’invecchiamento ideale debba tener presente il
passato subito antecedente alla vecchiaia per il proseguimento del futuro.
Mentre nel disimpegno e nell’attività sembra che l’anziano strutturi un
nuovo modo di agire, o disinteressato o iperattivo, per la teoria della con-
tinuità è auspicabile tener conto di chi la persona era, per esempio, prima
del pensionamento e il suo livello di attività, perché possa essere confer-
mata anche nell’anzianità: una continuità del proprio modo di vivere e di
essere, sia da un punto di vista psicologico, e quindi il richiamo al proprio
essere, che da un punto di vista relazionale e comportamentale. In altre
parole, le due fasi di vita, quella antecedente all’inizio dell’invecchiamen-
to e quest’ultima, non devono essere vissute come periodi disgiunti, ma
in considerazione e in continuità con l’Io dell’individuo, con i propri
interessi e aspettative.

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

5. UN INVECCHIAMENTO DI SUCCESSO: IL CONTRIBUTO MODERNO

Un contributo fondamentale dell’epoca più recente alla psicologia


dell’invecchiamento è quello proposto da Baltes e Baltes nel 1990 con
Psychological perspectives on successful aging: The model of selective optimization
with compensation, ovvero un articolo caratterizzato dal duplice obbiettivo
di fornire una descrizione sull’organizzazione psicologica dell’anziano e le
indicazioni per un invecchiamento di successo (altrimenti traducibile con
l’espressione sintetica “invecchiare bene”; Baroni, 2010); segue quindi un
modello strategico, sulla modalità dell’anziano di agire nella vecchiaia per
essere ancora efficiente e capace, riassumibile nell’acronimo SOC: Sele-
zione, Ottimizzazione e Compensazione.
Dopo aver citato l’opera di Cicerone, filosofo romano (106-43 a.C.)
che scrisse sull’anzianità in termini positivi, gli autori spiegano la loro vi-
sione di “invecchiamento di successo”. Sottolineano che una definizione
come questa potrebbe risultare contradditoria, quasi ossimorica. Infatti,
quando si parla di invecchiamento è facile pensare o accostare a questo
termine parole come perdita, morte o disabilità, mentre la parola successo
è più vicina al raggiungimento di obiettivi, come può essere ad esempio
una gara. Pensare al successo, in questa fase di vita, vuol dire pensarlo in
un’altra forma, legato al periodo di vita in cui sta vivendo la persona, e
non da contrapporre al successo o alle conquiste dell’età infantile. Un in-
vecchiamento di successo tiene conto del potenziale raggiungibile e il con-
seguimento di questo definirebbe la qualità di vita della persona. In altre
parole, invecchiare bene vuol dire sfruttare al meglio le capacità residue.
Per gli autori i concetti da tener in considerazione per comprendere
l’invecchiamento di successo sono due: la variabilità interindividuale e la
plasticità intraindividuale. Il primo indica l’andamento differente della
vecchiaia tra gli individui, sottintendendo che il percorso è diverso per
tutti; il secondo si riferisce alla possibilità di intervenire sugli obiettivi
della persona, in considerazione delle capacità residue e delle richieste
ambientali.
Nell’articolo vengono elencati sette punti sulla natura dell’invecchia-
mento da un punto di vista psicologico:

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

1. Le grandi differenze tra invecchiamento normale, ottimale e pato-


logico
2. Le differenze interindividuali nell’invecchiamento
3. La riserva latente
4. I limiti della riserva
5. La tecnologia e le strategie basate sulla conoscenza a contrasto del
declino cognitivo
6. Il bilanciamento tra guadagni e perdite
7. Vecchiaia e resilienza del sé

Il primo punto mette in evidenza come l’invecchiamento sia fortemen-


te influenzato dalla presenza o meno di malattie, siano esse di origine
mentale o fisica. L’assenza di queste definisce un invecchiamento nor-
male, mentre la presenza, ad esempio di una patologia come l’Alzheimer
o un incidente cerebrale come un ictus, caratterizza un invecchiamento
patologico. La variabile ottimale, definita come condizione utopica dagli
autori, tiene conto dell’ambiente che gioca un ruolo nel contrasto e nel
rinvio del decadimento, dettato sia dal tempo che dalle patologie.
La variabilità interindividuale nell’invecchiamento sostiene che le per-
sone vivano il proprio processo in maniera totalmente differente dalle
altre, come un risultato dettato dall’aspetto genetico, ambientale e perso-
nale. La genetica è difficilmente soggetta a modifiche, a differenza dell’in-
fluenza proveniente dalla stimolazione ambientale e dalla storia personale.
Una persona, ad esempio, può fare ingresso nella vecchiaia con delle con-
dizioni di salute precarie dovute alla vita lavorativa che ha condotto fino
all’età del pensionamento. Si pensi ai minatori che sviluppano un’insuf-
ficienza respiratoria da silicosi. La loro vecchiaia sarà diversa da quella di
una persona che ha vissuto tutta la sua vita dietro a una scrivania, che po-
trà soffrire, ad esempio, di problemi alla schiena generati dall’assunzione
reiterata nel tempo di una postura scorretta. L’interazione con l’ambiente
e la storia personale con lo stile di vita adottato durante gli anni può, au-
spicabilmente, essere modificato in tempi utili ai fini della prevenzione e
della promozione di un invecchiamento quanto più sano possibile. Si può
ricordare a riguardo anche come l’OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità, Malta 2012) abbia predisposto un piano d’azione per l’invecchia-
mento sano della popolazione europea chiamato Salute 2020, nel quale si

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

individuano delle strategie atte a favorire l’assunzione di uno stile di vita


sano in età precoce, in favore di un invecchiamento sano.
Nel terzo punto viene ripreso il concetto di riserva delle capacità
nell’età anziana, e si osserva come queste non siano immodificabili pur-
ché vengano stimolate dall’ambiente, con programmi strutturati o con
attività da parte dell’anziano. L’intervento sulle latenze riguarda le abilità
fisiche e mentali. I percorsi di stimolazione cognitiva possono intervenire
non solo sul contrasto delle future perdite delle abilità possedute dalla
persona, ma possono agire nel potenziamento delle strutture cerebrali esi-
stenti o nella produzione di nuove connessioni. Si pensi ad uno studio
svolto dalla Bergamaschi e altri (2009) in cui è stato messo in evidenza
che in seguito a un programma di stimolazione cognitiva in persone con
Alzheimer, le prestazioni sui compiti che erano stati insegnati durante
il periodo di training erano maggiori, con ad esempio minor tempo di
reazione e più accuratezza nelle risposte. Inoltre, l’intenso allenamento
aveva portato ad una forma di apprendimento con riorganizzazione delle
reti neuronali, sottintendendo la plasticità cerebrale. Gli studi sui benefici
della stimolazione cognitiva, ovvero l’utilizzo di programmi non farma-
cologici, sulle prestazioni cognitive delle persone anziane con demenza
sono innumerevoli. Se si tiene conto di quanto si trova in letteratura a
riguardo, allora si può immaginare che se l’apprendimento è presente
nelle persone con Alzheimer, che vivono in una condizione patologica
di decadimento cognitivo grave, allora anche le persone con una buona
riserva latente delle proprie capacità possono godere di un miglioramento
delle proprie capacità nonostante l’età.
Se da una parte gli studi hanno messo in evidenza la capacità dell’an-
ziano non solo di mantenere una serie di abilità anche nella vecchiaia e
fortificarle, dall’altra un numero sempre più considerevole di studi, come
riportano Baltes e Baltes, ha messo in evidenza una correlazione tra i
limiti di queste capacità in relazione all’età. Il quarto punto sottolinea l’e-
videnza empirica sulle prestazioni cognitive di un individuo che risultano
essere più limitate rispetto a quelle di un giovane. La plasticità cerebrale
di un anziano è ridotta rispetto a quella di un adolescente.
In soccorso al precedente punto, però, viene la risorsa “conoscenza”,
indubbiamente maggiore nelle persone anziane rispetto a quella dei più
giovani. In questa parte viene ripreso il concetto di intelligenza fluida e

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

cristallizzata (Horn e Cattel, 1966). La prima sarebbe una qualità geneti-


camente prestabilita e non dipendente dalle conoscenze, concernente il
ragionamento, la logica, l’elaborazione delle informazioni. L’intelligenza
cristallizzata invece è generata dall’accumulo delle informazioni acquisi-
te durante l’arco di vita. Secondo gli studi, nella fase della terza età la
prima andrebbe incontro a declino cognitivo; ciononostante gli anziani
sfrutterebbero le proprie conoscenze per risolvere le eventuali difficoltà in
cui si imbattono nella vita quotidiana. Le evidenze riportate dagli autori
Baltes e Baltes sostengono il fatto secondo cui gli anziani sarebbero più
capaci dei giovani in alcuni compiti, in quanto sfrutterebbero le proprie
conoscenze acquisite nella propria esistenza, per procedere nelle attività
quotidiane o in nuove condizioni ambientali. Le prestazioni, di fronte a
nuovi compiti, sarebbero addirittura migliori di quelle dei giovani tanto
più la persona nella sua vita ha avuto la possibilità di sviluppare esperien-
za. Si veda l’esempio dei cacciatori di oltre 65 anni che misero in mostra
maggiori capacità di orientamento spaziale sia in contesti conosciuti che
nuovi rispetto ai giovani (Hill, 1992). Se da una parte la capacità di attuare
ragionamenti logici risulta via via più compromessa negli anziani, l’abilità
di sfruttare le esperienze passate e le proprie conoscenze risulta in grado
di compensare le perdite.
Nel sesto punto si parla di sviluppo, inteso come “modificazione”, e
viene riferito all’intero arco di vita. Anche nella vecchiaia ci sono delle
modificazioni che portano a dei guadagni e a delle perdite. Per argomen-
tare questo punto si fa riferimento allo sviluppo umano in termini di
adattamento cerebrale. Ci si riferisce alla specializzazione neuronale, che
porta da una parte all’acquisizione di una capacità e dall’altra alla perdita
di quanto non utilizzato per questo adattamento. Viene quindi sottoline-
ato il fatto che i processi di sviluppo prevedano un progresso nella capa-
cità di adattamento, ma implichino allo stesso tempo un certo grado di
perdita. Nel processo di invecchiamento, però, tale specializzazione porta
ad uno sbilanciamento tra guadagni e perdite a favore di queste ultime.
Inoltre, tale diseguaglianza è maggiore laddove le richieste dell’ambiente
sociale gravano sulle capacità dell’anziano. Per poter ridurre questo gap,
è auspicabile che il contesto in cui vive la persona nella terza e quarta età
sopperisca con una serie di risorse compensative alle perdite, agevolando
la qualità di vita della persona con deficit di riserva.

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

L’ultimo punto esposto dagli autori fa riferimento alla percezione che


le persone anziane hanno rispetto a loro stesse. Se si pensa seguendo un’i-
dea stereotipata, si può pensare che gli anziani vivano questo periodo di
vita con meno soddisfazione di sé stessi rispetto ai giovani. Invece gli stu-
di, secondo quanto riportato nell’articolo, hanno dimostrato che il livello
di gradimento rispetto alla propria persona non differisce dalla conce-
zione che hanno le persone in età evolutive precedenti. Questo vuol dire
che anche le persone anziane vivono sentimenti di fiducia, di autostima e
senso di autoefficacia in maniera simile a quelli dei più giovani. Questo è
possibile nel momento in cui gli obbiettivi sono in linea con le capacità in
possesso dagli anziani, e non sintonizzati su quelli di persone più giovani.

6. IL MODELLO SOC: SELEZIONE, OTTIMIZZAZIONE E COMPENSAZIONE

Sulla base della descrizione in sette punti delle caratteristiche dell’in-


vecchiamento, gli autori offrono un modello che supporta un’anzianità
all’insegna del successo, ovvero il modello SOC che prevede le 3 indicazio-
ni strategiche della selezione, dell’ottimizzazione e della compensazione.
Anche se gli autori e successivi (Baltes e Graf, 1996) prevedono che questo
modello si adatti a tutte le fasi della vita, è nella vecchiaia che se ne fa lar-
go utilizzo, a supporto e a garanzia di una miglior qualità di vita in seguito
alle perdite fisiche, mentali e sociali derivanti dall’avanzare dell’età.
Il primo punto del modello si riferisce alla quantità delle cose che una
persona può fare, che con l’invecchiamento diminuisce gradualmente. Vi
è una selezione, allora, delle attività che possono essere svolte, che tiene
conto delle priorità sia di tipo personale che ambientale. La selezione in
parte è guidata dalla persona (per esempio investire il tempo per fare una
cosa piuttosto che un’altra perché si ottiene più soddisfazione), in parte è
vincolata alle forze disponibili.
A fronte di una selezione limitata, utilizzare le capacità di cui ancora si
dispone per svolgere quel compito nel miglior modo possibile riassume il
secondo concetto del modello sull’ottimizzazione. Eseguire una certa attivi-
tà può, ad esempio, richiedere un certo tipo di concentrazione; se risulta
deficitaria l’attenzione divisa, allora è probabile che svolgere l’attività sen-
za distrazioni porti ad un miglior risultato dell’obiettivo prefissato.

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

La compensazione fa riferimento all’utilizzo di modalità differenti di


agire o ricorso a strumenti o mezzi per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Il modello proposto da Baltes e Baltes, e i successivi sviluppi (Baltes e
Carstensen, 1996; Carstensens, Hansens e Freund, 1995; Freund e Baltes,
2000) ha l’obiettivo di spiegare come per un invecchiamento di successo,
produttivo e di qualità sia necessario massimizzare i guadagni e ridurre al
minimo le perdite. Attraverso la selezione dei compiti da eseguire, l’im-
piego fruttuoso delle proprie risorse sulle attività selezionate e l’utilizzo di
metodi o strumenti compensativi, l’anziano può condurre una vita che
per qualità non si discosta dalle fasi precedenti, sostenendo l’autonomia,
il senso di autoefficacia e contribuendo alla stima di sé stesso.

7. LA TEORIA DELLA SELETTIVITÀ SOCIO-EMOZIONALE

Anche questa teoria nasce negli anni Novanta, a cura della psicolo-
ga Laura L. Cartensen (1992; Cartenensen, Isaacowitz e Charles, 1999).
L’autrice fa ricorso al fattore tempo come elemento che può influenzare
le scelte degli obiettivi da conseguire. La percezione del tempo non è sog-
getta al processamento continuo e consapevole da parte delle persone, è
automatica e spesso è organizzata in base agli accadimenti della vita, che
diventano poi punti di riferimento per la nostra memoria episodica. Ab-
biamo quindi una percezione del tempo passato e lo ricostruiamo in base
ad avvenimenti, come ad esempio un matrimonio o una fatalità che ha
cambiato la nostra vita, e ci riferiamo alle varie fasi della vita identifican-
dole rispetto alla loro collocazione rispetto a questi eventi (“prima del”,
“dopo che”). Ma nella prospettiva futura, il tempo può essere percepito
come qualcosa che si apre o si chiude. Si pensi a quando si fanno progetti
sulla propria carriera, le scelte universitarie o il matrimonio; in questi
casi, si pensa al tempo come una risorsa di cui si dispone in maniera pres-
sappoco illimitata. Al contrario, quando incombe una scadenza vengono
tralasciate alcune cose per concludere ciò che per noi è prioritario. In en-
trambi casi, le nostre scelte, anche se non consapevolmente, subiscono un
filtraggio rispetto alla questione tempo aperto o chiuso (limitato). Questo
è il primo punto su cui si fonda la teoria; si inseriscono però degli assun-
ti che riguardano l’aspetto fondamentale dell’interazione tra individui a

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

sostegno della sopravvivenza, rispetto al fatto che l’uomo debba essere


considerato come l’agente dei propri comportamenti al fine di perseguire
i propri obiettivi e che la scelta degli obiettivi debba essere da stimolo per
l’emissione dei comportamenti.
L’uomo è visto come agente e come tale può eseguire le proprie azioni
in base a motivazioni conoscitive o emotive. Le prime sostengono l’ac-
quisizione di nuove conoscenze o abilità; le seconde invece supportano
la regolazione emotiva, come il proprio vissuto emotivo, i rapporti intimi
e la condivisione sociale. Secondo l’autrice è la percezione del tempo di
vita rimasto che influenzerebbe l’elezione degli obiettivi da raggiungere e
che porterebbe quindi la persona ad agire in un modo piuttosto che in
un altro. Una persona anziana tenderà a percepire un tempo di vita mol-
to meno espanso rispetto ad un giovane; tale vissuto porterà a investire
meno sul nuovo e a sfruttare quanto gli rimane in termini di qualità emo-
tiva, nelle relazioni conosciute e positive. Se si prende in considerazione
la teoria proposta dalla Cartensen allora si potrà procedere per una nuova
lettura delle scelte degli anziani che tenderanno a disimpegnarsi da atti-
vità che ritengono inutili per poter vivere con poche persone ma in una
buona relazione affettiva. In questo caso l’anziano sarà agente attivo delle
proprie scelte e dei comportamenti da mettere in atto per massimizzare
una condizione emotiva di qualità a discapito di condizioni nuove che
potrebbero esporlo a emozioni negative.

8. QUANDO DALLA TEORIA SI GIUNGE ALLA PRATICA: UN ESEMPIO

Anche se il modello SOC nasce ormai trent’anni fa circa, nella clinica


con gli anziani è molto utile e sempre attuale. A riguardo voglio racconta-
re il caso di una signora della mia zona, l’Ogliastra, che si lamentava del
fatto di non essere più in grado di preparare dolci e culurgiones (ravioli di
patate e menta, cuciti a mano) come una volta. Essendo la capostipite di
una famiglia numerosa, contava circa 15 nipoti, era rimasta dell’idea che
qualsiasi cosa decidesse di cucinare dovesse essere preparata per tutti e
in grosse quantità. Per le feste comandate, poi, nella varietà dei prodotti
che doveva produrre si potevano contare almeno quattro tipi di dolci. Si
era però resa conto, negli ultimi anni, che la mole di lavoro richiesta per

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PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
1. TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO

produrre quanto era sempre stata abituata a fare era diventata eccessiva
rispetto alle proprie capacità. Inoltre, sentiva addosso l’aspettativa dei fi-
gli, che faticavano ad accettare che qualcosa nella propria madre non fosse
più come prima.
In questo caso si è lavorato in due direzioni: con la signora e con la fa-
miglia. A quest’ultima si è chiesto non solo di diminuire le richieste verso
la propria madre, ma di iniziare a proporsi come strumento compensativo
per alcuni degli obiettivi che lei stessa si prefiggeva. Con la signora si è
invece lavorato sulla ristrutturazione delle proprie aspettative, aiutandola
a decidere quale potesse essere il prodotto alimentare più rappresentativo
o che meglio riusciva a fare per potersi focalizzare su quello. Dopo aver
optato per i culurgiones (selezione), per poterne produrre una quantità
capace di soddisfare il suo desiderio, si decise di dividere il compito in
tre giornate, un chilo di patate per volta e, invece di fare tutto il lavoro in
un’unica giornata, avrebbe composto il ripieno e l’impasto della sfoglia
il giorno precedente la cucitura (ottimizzazione). Le sarebbero andati in
soccorso, per l’esecuzione, i figli che, a turno, avrebbero eseguito il com-
pito di tirare la sfoglia (azione compensativa), ma sempre sotto le direttive
della madre.
Nonostante la resistenza iniziale da parte della signora a produrre
“così poco” per volta, la stessa confessò in seguito di essersi sentita alleg-
gerita dall’idea di dover essere sempre così efficiente. Successivamente
alla preparazione dei culurgiones, la signora fece diventare abitudine la
preparazione di un alimento il lunedì, giorno in cui, di volta in volta, dava
avvio alla preparazione di un solo dolce, in quantità ridotte e con l’aiuto
a turno di un familiare o di una vicina di casa.

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CAPITOLO 2
UN CORPO E UNA VITA CHE CAMBIA

1. INTRODUZIONE

L’invecchiamento è un processo fisiologico in evoluzione e irreversi-


bile che si verifica nello sviluppo di qualsiasi organismo vivente lungo il
corso della sua vita. È quindi un fenomeno che non risparmia l’uomo,
che prende avvio dal concepimento, ma che inizia a manifestarsi dai qua-
rant’anni e fino alla morte, considerata il termine della vita da un punto
di vista biologico (Dziechciaż e Filip, 2014). L’invecchiamento biologico
è caratterizzato dai progressivi cambiamenti nel metabolismo e nelle pro-
prietà fisico-chimiche delle cellule, che inducono a una ridotta autoregola-
zione, rigenerazione e cambiamenti delle strutture dei tessuti degli organi
e delle loro funzionalità. I risvolti del cambiamento biologico con gli anni
possono influenzare la sfera emotiva, il modo di vivere l’ambiente, la con-
dizione fisica, l’attività sociale e il ruolo familiare.
Quando si parla di invecchiamento bisogna tenere in considerazione,
quindi, non solo i cambiamenti che si verificano, più o meno tardi, in
tutti gli individui, ma anche il modo in cui questi sono percepiti dalle
persone, come condizionano la loro vita e la loro qualità della vita e anche
quali sono le conseguenze da un punto di vista psicologico e sociale.

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