S.

Ambrogio Manlio Simonetti

De fuga saeculi
il problema del cristiano nella città
a cura di' Maria Grazia Mara cristianesimo antico
Le Beatitudini
a cura di Pietro Meloni
e cultura greca
Ilario di Poitiers
Trattato sui misteri
Per una lettura cristiana dell'AT
a cura di Luigi Longobardo

STUDI:

Gabriel Peters
I Padri della Chiesa (2 voll.)
Bertrand De Margerie
Introduzione alla storia dell'esegesi
l/Padri greci e orientali
P/Padri latini
3/Sant1Agostino orla
Vincenzo Loi
Le origini del cristianesimo
Manlio Simonetti
Cristianesimo antico e cultura greca

Vittorino Grossi
Lineamenti di .antropologia patristica AN.
Carmelo Curti
Il problema di Dio nella Chiesa antica
,
(: BIBLIOTECA j II
Vittorino Grossi - Angelo Di Berardino
La Chiesa antica: ecclesiologia e istituzioni
 -
@ Edizioni Borla [S.I.L. s.r.1.) Introduzione
-
Via delle Fornaci, 50 00165 Roma

l.Cristianesimo e cultura
Per introdurre questa trattazione è necessario innanzitut-
to sgombrare il terreno dagli equivoci che possono sorge-
re a causa della pluralità di significati che oggi siamo
soliti attribuire al termine « cultura D. Se infatti assu-
miamo il termine nel senso socio-antropologico oggi tanto
di moda, e perciò con definizione e implicazione molto
comprensive, ad indicare, p. es., l'accumulazione di espe-
rienze proprie di un gruppo sociale (Tylor) o addirittura
la somma di tutte le attività usanze e credenze di un
gruppo (Dixon), è chiaro che il confronto fra cristianesi-
mo e cultura greca si pone come confronto globalefra la
società cristiana e il mondo greco. Perciò ai fini del di-
scorso ben più limitato che qui intendiamo svolgere, as-
sumiamo per lo più cultura nel senso più ristretto, e
tradizionale in campo umanistico, di complesso della
produzione intellettuale di un gruppo, una comunità, un
popolo.
Assumendo cultura D in questo più ristretto significato,
preliminarmente ci dobbiamo chiedere se e in quali limiti
i cristiani abbiano avuto intenzione e coscienza di pro-
durre una cultura alternativa rispetto a quella ellenisti-
co-romana con la quale quotidianamente si dovevano
confrontare, intendendo quest'ultima, alla maniera di Ci-
cerone (Tusc. I1 5,131, come « cultura animi », esercizio
della coltivazione dello spirito che 1'Arpinate demandava
 l
Y I
alla « philosophia » e che, prima ancora di lui, rimontava
alla paideia ellenistica (Bolgiani). Se esaminiamo questo
l
problema portandoci a livello individuale, è fuor di dub-
bio che i cristiani non intesero fare cultura alternativa:
l la conversione al cristianesimo del pagano colto, cioè
I
formato all'ideale della paideia tradizionale, è conversione
dalla cultura alla religione, da un modo di vita, esem~lato
!
su quell'ideale, a un altro del tutto nuovo; e di norma il
l trapasso si puntualizzava concretamente nell'abbandono
t della professione fino allora coltivata: è il caso, p. es., di
, i Tertulliano e Cipriano, che diventati cristiani smettono di
, praticare I'avvocatura e la retorica. Ma nonostante la sin-
cerità con cui avveniva la conversione e veniva abbraccia-
I
l
to il nuovo stato di vita, l'influsso della precedente for-
mazione culturale continuava a farsi sentire per diversi
l
tramiti, creando una sorta di tensione fra continuità e
rottura, tensione alimentata oltretutto, come vedremo
meglio in seguito, dalle esigenze della propaganda missio-
naria: Giustino, diventato cristiano, continua a fare il
filosofo, insegnando ora però filosofia cristiana, in luogo
l
di quella pagana nella quale era stato educato.
I1 passaggio dal piano individuale a quello comunitario ci
presenta puntualmente la somma dei casi individuali, nel
senso che sia le lettere sia l'arte cristiana vivono e si
alimentano proprio alla tensione fra vecchio e nuovo.
Proprio l'apprezzamento di quanto sia stato forte, a parti-
re all'incirca dal 130 d.C., l'influsso delle lettere greche
sulle opere cristiane ha spinto, p. es., Overbeck a rawisa-
re in questo tempo una netta frattura e perciò a negare
la continuità fra gli scritti di età apostolica e subaposto-
lica da una parte e la successiva produzione letteraria
dell'altra, che sarebbe stata soprattutto d'imitazione clas-
sica. Legato a una concezione tradizionale che attribuiva
dignità letteraria soltanto a opere di alto livello formale,
Overbeck giungeva a negare tale dignità ai più antichi
I scritti cristiani, mentre altri, fra cui Wilamowitz, rivil le-
I contaminarsi a contatto con la cultura greca: in effetti il
giando la forma rispetto al contenuto, sostenevano non
potersi parlare di specifica letteratura cristiana, bensì so-
l gorie semitiche perché è stato inizialmente formulato in
lo di opere cristiane comprese nel più vasto ambito delle
1
l
l
lettere greche e latine.
Ai nostri giorni prevale una ben più comprensiva conce-
l zione di letteratura, molto più attenta ai contenuti che
I
non ai pregiudizi di carattere formale, sì che ormai nes-
1l
suno più mette in dubbio l'esistenza di una letteratura e,
parallelamente, di un'arte cristiana antica, cui appunto la
novità dei contenuti assicura autonomia rispetto alla let-
teratura e all'arte di contenuto pagano. Ma ci si continua
a chiedere se e fino a che punto l'influsso esercitato dai
vari aspetti della cultura pagana su quella cristiana abbia
contribuito ad alterare i contenuti dell'originario messag-
gio cristiano di salvezza. Si insiste soprattutto sulla fon-
damentale dimensione escatologica di tale messaggio, sia
nel senso che i cristiani della prima ora avrebbero atteso
a breve scadenza il ritorno di Cristo e I'instaurazione del
regno messidnico sia nel senso più-profondo per cui, pur
vivendo nel mondo, essi sentivano di appartenere ad
un'altra patria e vivevano in quella mondana come stranie-
ri e pellegrini; e si fa notare come questa fondamentale
impostazione ideologica, che escludeva nel modo più ra-
dicale che i cristiani potessero pensare a fare cultura
alternativa rispetto a quella del mondo, abbia perso gra-
dualmente vigore col passare del tempo, a mano a mano
che il ritorno di Cristo si proiettava in un futuro sempre
più lontano ed evanescente e parallelamente la comunità
cristiana s'inseriva sempre più profondamente nella tra-
ma del mondo circostante. In tale processo di adattamen-
to i cristiani tesero comunque a conservare e potenziare
la loro identità rispetto al mondo pagano, e in tal senso
acquistarono gradualmente coscienza di sé e della loro
originalità anche sul piano culturale, contrapponendo la
loro cultura a quella pagana. Sotto questo punto di vista
si può porre per il cristianesimo dei primi secoli l'alter-
nativa: escatologia o cultura, in quanto di cultura cri-
stiana si potrebbe parlare soltanto come conseguenza e in
funzione del declino della sensibilità escatologica.
Vari punti di questa problematica saranno ripresi nel
corso di questa nostra trattazione. Qui mi limito a rileva-
re quanto sia astratta la concezione di un primitivo mes-
saggio cristiano formulato allo stato puro, destinato poi a
messaggio cristiano ha preso forma inizialmente in cate-
area semitica, sì che poi necessariamente, aspirando a
una propagazione universale e diffondendosi perciò in a-
ree di cultura greca, ha dovuto essere nuovamente formu-
lato secondo le categorie di pensiero tipiche dell'elleni-
smo. Ritengo perciò che sia più nel giusto chi vede nell'el-
lenizzazione del messaggio cristiano non la sua deforma-
zione dovuta all'influsso della cultura.greca, bensì il risul-
tato di un processo di adattamento, processo inevitabile e
naturale, ancorché molto laborioso e sofferto, in quanto
svoltosi dialetticamente fra tensioni fortissime, al fine di
cercare da una parte gl'indispensabili agganci col mondo
circostante e di rilevare dall'altra la novità dei contenuti
e perciò l'identità stessa della nuova comunità.
Quanto al dilemma escatologia o cultura, mi sembra
indubbio che col passare del tempo e la dilatazione della
comunità, questa si sia sempre più inserita nel mondo atte-
nuando di molto la primitiva sensibilità escatologica, e
anche su questo avremo modo di ritornare. Qui mi limito
ad osservare che però non mi sembra del tutto esatto far
carico, come alcuni fanno, alla cultura greca di aver deci-
samente contribuito col suo influsso allo svilupparsi di
tale processo. Precisato che oggi ben pochi credono che il
ritardo della parousia, cioè del ritorno di Cristo, abbia
prodotto nella comunità primitiva quel radicale capovol-
gimento d'impostazione esistenziale di vita e pensiero che
troppo aprioristicamente certi studiosi hanno ipotizzato '
alcuni decenni fa, e intendendo per escatologia soprattut-
to la coscienza di vivere in questo mondo già proiettati in
una dimensione ultramondana, basterà un esempio a farci
capire quanto sia azzardato mettere in relazione come
causa ed effetto l'influsso della cultura greca e l'attenua-
zione della sensibilità escatologica: Origene fu partico-
larmente sensibile a quell'influsso e fu l'esponente più
rappresentativo della cultura cristiana, largamente elle-
nizzata, del suo tempo; eppure la tensione escatologica fu
sempre in lui vivissima, ed egli idealmente fu sempre
proiettato verso la vera patria, la Gerusalemme celeste. E
possiamo ravvisare la conferma di quanto andiamo di-
cendo nella constatazione che proprio nel corso del I V e
V secolo, cioè quando la mondanizzazione della chièsa
relega definitivamente in secondo piano la sensibilità e-
scatologica, a seguito soprattutto delle controversie trini-
tarie e cristologiche assistiamo a una più vigorosa presa
di coscienza della irriducibilità dei contenuti teologici del
messaggio cristiano ai parametri offerti dalla filosofia
greca.
O
2. Caratteri della cultura cristiana
Come abbiamo sopra rilevato, la novità della letteratura e
dell'arte cristiana rispetto a quelle pagane fu soprattutto
novità di contenuti, in forza dell'articolazione che il mes-
saggio cristiano di salvezza assunse nei più svariati generi
letterari e forme artistiche in relazione alle svariate esi-
genze della vita della comunità. Su tale novità di conte-
nuto noi qui non ci possiamo soffermare. Ci interessa
- invece anche soltanto accennare che tale novità di conte-
nuto ebbe profonde ripercussioni anche a livello formale,
cioè proprio là dove è più facile additare l'influsso della
cultura pagana su quella cristiana, nel senso che non
soltanto essa determinò la creazione di nuovi generi let-
terari (p. es., I'agiografia), ma soprattutto nel senso che
anche preesistenti generi letterari vennero profondamente
modificati e potenziati in funzione dei nuovi contenuti
che essi erano chiamati a esprimere e delle nuove esigen-
ze cui erano chiamati a far fronte. Solo per fare qualche
esempio, i Greci e i Latini praticavano un'attività esegeti-
ca, dedicata all'illustrazione sia dei classici letterari sia di
fondamentali testi filosofici delle varie scuole. A questi
modelli, oltre che ad altri di provenienza giudaica, guar-
darono gli esegeti cristiani che si dedicarono all'interpre-
tazione della Sacra Scrittura; ma dato che importanza e
significato di tale testo erano per la comunità cristiana ben
più rilevanti che non quelli dei testi letterari e filosofici
per i pagani, tale tipo di letteratura in ambiente cristiano
raggiunse sviluppo e significazione del tutto nuovi, anche
assumendo nuovi caratteri rispetto a quelli dei modelli
(maggiore ampiezza e puntualità rispetto ai commenti
pagani di carattere letterario, maggiore aderenza al testo
commentato rispetto ai commentari pagani di carattere
filosofico).\Si può fare lo stesso discorso anche per la
letteratura teologica, che ravvisava i suoi modelli nei
trattati pagani di argomento filosofico ma assunse ben
presto caratteri e dimensioni nuove rispetto a tali model-
li, in forza del particolare significato che le polemiche
teologiche assunsero nella vita della comunità cristiana,
Quanto alI1oratoria cristiana, essa mutuò da quella paga-
, na modelli e forme espressive, a volte in modo pedisse-
quo; ma l'esigenza di illustrare nelle omelie soprattutto il
testo scritturistico impresse a questa oratoria una dimen-
sione esegetica del tutto nuova rispetto ai parametri
offerti dai modelli pagani. Lo stesso dicasi per l'apologe-
tica cristiana, che alla lontana s'ispira alla letteratura
forense pagana; ma volta com'è non soltanto alla difesa
della religione cristiana dalle accuse che le venivano mos-
se, ma anche alla predicazione del messaggio, assume
caratteri che l'allontanano molto da quei modelli pagani
e, se mai, l'avvicinano alla letteratura protrettica. Per
fare un esempio in campo artistico, la basilica cristiana si
esempla sulla basilica pagana; ma utilizzata per fini reli-
giosi, che esulavano dalle funzioni del modello, si caratte-
rizza subito rispetto ad esso anche sul piano della strut-
tura e dell'ornamentazione. * I n generale possiamo affer-
mare che in quasi ogni campo sia della letteratura sia
dell'arte l'esigenza di aderire sempre, in un modo o nel-
l'altro, al dato scritturistico e alle concrete finalità della
vita comunitaria fece sì che sotto l'aspetto formale le
espressioni della cultura cristiana, pur risentendo l'influs-
so di quelle pagane, ne risultassero vincolate solo in limi-
ti molto ristretti, che non pregiudicarono la fondamentale
originalità della nuova cultura anche sotto questo aspetto.
Da quanto abbiamo così rilevato emerge uno dei caratteri
più distintivi della letteratura e dell'arte cristiana: la sua
funzionalità. Era stato questo un carattere distintivo delle
lettere e delle arti pagane in epoca antica: basti pensare
al significato civile e sociale dei poemi omerici e della
tragedia greca; ma in età romana in ambito sia greco sia
latino lettere ed arti avevano largamente assunto caratte-
re di disimpegno e di evasione, espressioni molto spesso
non di esigenze comunitarie bensì di tendenze, ambizioni,
gusti di singoli individui, sia autori in proprio sia commit-
tenti a terze persone: è questo, solo per fare un esempio,
il preminente carattere di tanta poesia ellenistica e ro-
mana. Invece nella comunità cristiana dei primi secoli le
espressioni letterarie e artistiche recuperano in pieno
significazione e finalità comunitarie: radicandosi diretta-
mente o indirettamente sul fondamento della Scrittura,
esse hanno ragion d'essere in finalità diverse, didascalica
parenetica liturgica, ma sempre orientate in senso comu-
nitario. È impensabile in questo contesto lo scrittore che
svolga la sua attività al fine di acquistare lustro e decoro
presso i contemporanei e i posteri. A partire dall'avanzato
I V secolo, allorché molti si fanno cristiani solo per segui-
re la moda o il tornaconto, anche la cultura cristiana
comincia a produrre qualche opera che possiamo definire
di disimpegno, se non ancora di evasione; alcuni scrittori,
soprattutto alcuni oratori (Gregorio Nazianzeno, Giovanni
Crisostomo), nella raffinatezza formale e nella ricercatezza
dello stile tradiscono anche la ricerca del successo e del-
l'applauso: ma il tono complessivo resta ancora, e a lun-
go, caratterizzato nel senso funzionale e comunitario che
abbiamo detto.
Dalla funzionalità delle espressioni della cultura cristiana
discende la loro, direttamente o indirettamente, larga ac-
cessibilità e perciò, in definitiva, il loro carattere popola-
re. A prima vista questa affermazione può apparire sor-
prendente. Infatti se le raffigurazioni pittoriche da sem-
pre ebbero, nella società cristiana, la funzione essenziale,
anche se non esclusiva, di istruire visivamente gli indotti,
proprio perché questi costituivano la maggioranza della
comunità, le opere scritte si presentavano invece di ben
scarsa accessibilità. Si aggiunga che i cristiani non senti-
rono nei primi secoli l'esigenza di avere scuole proprie
per l'istruzione dei giovani e dei neofiti in genere, che
avrebbero assicurato il mezzo più idoneo per la diffusione
dei loro scritti.
Ma per intendere il senso della mia affermazione, si deve
tener conto della facilità di comunicazione e circolazione
delle idee che veniva assicurata dall'intensa vita comuni-
taria che caratterizzò la cristianità nel I1 e I11 secolo, e,
pur in misura minore, nel tempo successivo. Per fare un
esempio, buona parte della letteratura esegetica (cioè,
d'interpretazione della Sacra Scrittura), catechetica (d'i-
struzione sui dati di fede), parenetica (di esortazione alla
fede e alla vita morale) derivava direttamente dalle ome-
lie che venivano tenute ai fedeli. Proprio la predicazione,
intensamente praticata, sempre e dovunque, teneva il po-
polo in continuo contatto con tutti i problemi che ri-
guardavano la vita della comunità. Non molte persone a
suo tempo avranno letto i 15 libri di Agostino de trinita-
te; ma gli argomenti approfonditi in quest'opera sono gli
stessi che l'autore affronta in un gran numero di prediche
in forma più semplice e accessibile.
D'altra parte, anche se soltanto pochi erano in grado di
accostarsi direttamente ai libri, il loro contenuto era
spesso oggetto di discussioni e anche di contrasti in seno
alla comunità, e così, sia pur per vie traverse, essi rag- e soprattutto come e perché il rapporto fra loro si sia
giungevano un pubblico molto più ampio di quello costi- sviluppato attraverso momenti di tensione anche molto
tuito dagli alfabeti. Era questo il caso di opere di argo- forte, in modo assai dialettica e selettivo, sì che anche in
mento dottrinale: straordinariamente sensibili a tutto ciò forza di tale influsso la cultura cristiana ha potuto sem-
che riguardasse l'integrità della fede, i cristiani di allora pre più e meglio maturare la coscienza della sua fonda-
erano sempre disposti a discuterne con appassionato in- mentale originalità, in quanto fondata essenzialmente sul-
teresse, anche se non sempre con adeguata competenza. lo studio e la continua elaborazione dei dati scritturistici.
In tale stato di tensione gli argomenti anche sottili e E se lo studio della Sacra Scrittura fu approfondito
difficili trattati nei libri diventavano in breve tempo fin proprio grazie alle tecniche esegetiche in uso fra i Greci
troppo noti. Già Tertulliano lamentava l'ingerenza degli (allegorismo), il continuo richiamo ad esse fu sentito co-
ignoranti in questioni teologiche non alla-portata di tutti, me norma essenziale per garantire l'autenticità del mes-
e nella Costantinopoli del IV secolo, al tempo della crisi saggio cristiano di fronte a spinte deformanti provenienti
ariana, Gregorio di Nissa lamentava: « Se domandi infor- sia dall'esterno (influsso della cultura prima giudaica e
mazioni sulle monete, uno ti fa una dissertazione sul poi greca) sia dall'interno (pericolo rappresentato dall'e-
generato e l'ingenerato; se chiedi il prezzo del pane, ti resia),
rispondono che il Padre è più grande e che il Figlio gli è
sottomesso. Chiedi se il bagno è pronto, e uno si mette a
dissertare che il Figlio è stato creato dal nulla » (PG
46,557). Ancor più popolari erano le composizioni, come
gl'inni ambrosiani, destinate all'uso liturgico, che veniva-
no imparate a memoria dal popolo, e le opere di caratte-
re ascetico e monastico, diffusissime negli ambienti più
rigoristi, e qui anch'esse spesso mandate a memoria.
In sostanza, se l'ignoranza impediva ai più di conoscere
direttamente sui testi e di approfondire le opere della lette-
ratura cristiana, il fervore della vita comunitaria ne por-
tava le idee e i principi a contatto di un pubblico molto
più vasto. Né si dimentichi, quando si pensa alla comuni-
cazione della cultura nel mondo antico, che essa sempre
in buona parte awenne per tramite di apprendimento
orale. In questo senso si può parlare di popolarità anche
riguardo ad opere espressamente destinate a circolare,
nella loro integrità di scrittura, solo in cerchie ristrette di
competenti.
Esula dalla finalità delle pagine che seguono presentare,
nel contesto della problematica relativa alla cultura cri-
stiana nel mondo antico, anche la storia della letteratura
e dell'arte cristiana, perché ai fini del nostro discorso
sono sufficienti a orientare i pochi cenni di carattere ge-
nerale qui proposti. Avendo perciò fissato in modo som-
mario i concetti distintivi della cultura cristiana, nelle
pagine che seguono ci proponiamo di mettere in rilievo
l'influsso esercitato dalla cultura greca su quella cristiana
 2apitolo primo
influsso
della cultura giudaica
sul cristianesimo
1. Ellenismo e giudaismo
L'ambiente in cui i primi cristiani cominciarono a svolge-
re la loro azione missionaria era unificato politicamente
dall'impero romano e culturalmente dall'ellenismo. A se-
guito delle conquiste di Alessandro e dell'impiantarsi del-
la stabile dominazione macedone, e favorite anche da
numerose deduzioni di coloni, la lingua e la cultura greca
si erano largamente diffuse nel bacino del Mediterraneo
orientale. Non dobbiamo comunque pensare a questa fa-
cies culturale diffusa dai Greci in Oriente come ad un
blocco del tutto omogeneo e monolitico; infatti se nelle
varie regioni la cultura greca, alimentata da una tradizio-
ne letteraria filosofica e artistica di altissimo livello, ave-
va dato molto, aveva però anche assorbito qualcosa dalle
culture locali, soprattutto ma non esclusivamente in sen-
so religioso, e non si era diffusa allo stesso modo nelle
varie classi sociali. Era infatti soprattutto cultura cittadi-
na, sì che nelle campagne, anche a breve distanza dalle
città, si continuavano a parlare le lingue indigene; ed
anche nelle città, soprattutto quando non erano di nuova
fondazione, i ceti più umili ne erano stati toccati appena
o per nulla affatto. Non si deve comunque pensare sol-
tanto ad una cultura d'dite: greci o profondamente gre-
cizzati erano non soltanto i ceti superiori, ma anche tutto
il mondo del commercio, dell'artigianato, della burocrazia
minore, insomma tutta la borghesia, dall'alta alla piccola,
e anche qualcosa di più verso il basso della società.
Questo quadro sommario sembra adattarsi soltanto alla
parte orientale del bacino del Mediterraneo, perché la
parte occidentale, nel tempo che ci interessa, era ormai
romanizzata o in via di diventarlo rapidamente. Ma la
differenza fra cultura greca e romana, vista nel confronto
con le culture locali, appare pi,Ù formale che sostanziale.
Infatti, nonostante la differenza di lingua e una reciproca,
mai del tutto sopita, animosità e diffidenza fra Greci e
Romani, llellenismo aveva esercitato un'influenza così
profonda sulla società romana, sulle lettere, le arti, lo
stesso modo di vivere e di pensare, che la differenza di
lingua non aveva impedito lo stabilirsi di una koinè cul- ,
turale ,greco-romana di fondamentale impronta elleni-
ca (l). E il processo di ellenizzazione del mondo romano
-
si sarebbe ancora accentuato nel corso del I1 secolo d.C.
Perciò, nonostante i limiti che abbiamo messo in rilievo,
ai fini del nostro discorso possiamo considerare I'ecurne-
ne greco-romana come un mondo culturalmente omoge-
neo nel nome di Atene, cioè di una cultura di alta caratu-
ra e di grande tradizione, complessivamente ben radicata
e ramificata, anche se a diversi livelli, nelle varie classi
sociali; che esaltava la razionalità del cosmo e, in esso,
l'autonomia morale dell'uomo; che era sostenuta da una
buona organizzazione scolastica; e nel nome di Omero e
di Platone aveva perfetta consapevolezza del suo valore,
per cui ogni greco si sentiva superiore a chiunque non
parlasse la sua lingua e non condividesse le sue tradizio-
- ni.
Ma una crepa turbava la compattezza di questo armonioso
mondo culturale, certo non rilevante ma neppure tale da
sfuggire anche a un occhio non esercitato: il giudaismo.
Infatti i Giudei (2), adusi a tradizioni e a un modo di
pensare e vivere lontanissimi da quelli dei Greci, avevano
opposto forte resistenza ai tentativi di ellenizzazione
compiuti da Macedoni e Romani, e ad alto prezzo di
sangue e sciagure di ogni genere erano riusciti a conser-
vare religione, lingua, tradizioni, usi e costumi, che li
i
(1) Tanto pih che il greco era molto conosciuto in Occidente: era
la lingua del commercio, oltre che delle lettere e delle arti, e molti
romani di media cultura erano bilingui.
(2) Ai fini del nostro discorso è indifferente parlare di Giudei o
Ebrei.
diversificavano a fondo rispetto non solo ai Greci, ma
anche alle popolazioni della loro stessa area geografica.
Va qui precisato che ormai non si guarda più, come fino
a non molto tempo fa, al giudaismo palestinese come a
un blocco culturale monolitico, impermeabile all'influsso
greco. In effetti il lungo dominio di Macedoni, Romani e
sovrani comunque ellenizzati aveva favorito la penetra-
zione dell'ellenismo, che soprattutto a livelli colti si era
notevolmente diffuso, nonostante la resistenza opposta
dai più tradizionalisti. La lingua greca tendeva a imporsi
nelle classi elevate, e perfino la religione giudaica, cioè il
patrimonio più gelosamente conservato dal popolo, subiva
alcune infiltrazioni da parte ellenistica, come già prima
era stata influenzata marginalmente dalla religione irani-
1 za delle tante pratiche, alimentari e di comportamento,
ca: idea della rivelazione naturale di Dio, della provvi-
denza, della retribuzione individuale soprattutto dopo la
morte, dell'esistenza di angeli e demoni. Perfino un tradi-
zionalista come Ben Sira, che polemizza contro il diffon-
dersi di questo influsso, non riesce a sottrarvisi nella
concezione di un universo ordinato e permeato da un
potere razionale e divino. Ma nonostante l'importanza di
tale influsso, vista nel suo complesso la cultura giudaica
del .tempo di Cristo aveva conservato i suoi fondamentali
caratteri distintivi rispetto all'ellenismo e alle culture au-
toctone delle regioni circostanti.
Infatti dopo l'esilio babilonese, usando della relativa li-
bertà concessa dai Persiani, la società giudaica si era
organizzata in senso teocratico: la Legge mosaica, ormai
giunta alla redazione definitiva e integrata dalle altre par-
ti di quello che sarebbe stato poi definito come Antico
Testamento (= AT), aveva assunto assoluto valore non
solo religioso ma anche politico sociale morale economi-
co, sì che la sua osservanza, la sua interpretaziohe e
applicazione ai mille casi della vita d'ogni giorno condi-
zionavano in modo radicale ogni aspetto della vita del
giudeo, orientandone non solo gli atti ma anche i pensie-
ri. I1 dominio straniero, di Macedoni prima e Romani poi,
aveva modificato profondamente l'assetto politico della
Palestina, ma aveva scalfito poco più che marginalmente il
modo di vivere e di pensare dei Giudei (3). Al tempo di Cri-
(3) Anche se nel nord della Palestina, in Galilea, erano state dedot-
te vane colonie greche, e il greco vi era abbastanza conosciuto.
sfo la Sacra Scrittura continuava a rappresentare l'orienta-
mento fondamentale della vita di ogni giudeo osservante,
cioè della gran maggioranza e di quelli fra cui quasi
esclusivamente si reclutarono i primi adepti del nascente
cristianesimo: dalla Scrittura il giudeo derivava da una
parte il senso di totale dipendenza dalla legge di Dio ma
dall'altra anche un senso di superiorità nei confronti del
pagano che da essa rimaneva escluso. Proprio l'osservan-
della Legge imponeva al g i x e o la separazione dallo stra-
niero, fonte di impurità; e le vicende politiche avevano
trasformato questo senso di distacco in odio per l'op-
pressore.
Anche tutta l'attività culturale dei Giudei s'incentrava sul-
la Sacra Scrittura, sul suo studio, la sua interpretazione,
la sua comunicazione da parte dei maestri (gli scribi) ad
un più vasto pubblico. Sulle sue forme letterarie si mo-
dellavano gli scritti di più recenti composizioni, come le
Odi scoperte a Qumran, con predilezione per le f o r p e
della letteratura apocalittica (4). Anche l'organizzazione
scolastica era in funzione dell'insegnamento della Sacra
Scrittura: il maestro insegnava ai suoi discepoli a leggere
e scrivere proprio per introdurli allo studio della parola
di Dio.
I1 quadro che abbiamo qui abbozzato si riferisce al giu-
daismo palestinese. Ma i Giudei da secoli prima del tem-
po di Cristo avevano cominciato a diffondersi in altre
regioni soprattutto del bacino del Mediterraneo orientale,
in cerca di migliori condizioni di vita (= diaspora). Anche
nella diaspora i Giudei cercavano di conservare le loro
osservanze, soprattutto il culto della Legge; ma necessa-
riamente, nonostante il contatto con la madre patria, non
potevano evitare che l'influsso della cultura greca si eser-
citasse su di loro in modo più rilevante rispetto a quello
che si esercitava in Palestina. Dopo quanto abbiamo so-
pra accennato sull'efficacia di tale influsso anche nella
madre patria, va ridimensionata la tradizionale opposi-
(4) Con questo termine s'indicano opere in cui importanti perso-
naggi veterotestamentari sono introdotti a fare previsioni e a rac-
contare visioni relative alla fine del mondo e alle vicende dramma-
tiche che l'avrebbero accompagnata. I1 modello veterotestamentario
è il libro di Daniele.
zione che si rawisava fra il giudaismo palestinese, refrat-
tario a quell'influsso, e quello della diaspora, disponibile
e aperto ad esso. Ma è fuori di dubbio che qui
I'ellenizzazione del giudaismo fu più accentuata, e a noi
qui interessa rilevarne soprattutto un elemento caratte-
ristico. Soprattutto in ambiente alessandrino, dove il giu-
daismo era anche culturalmente sensibile e agguerrito, la
polemica con l'ellenismo suggerì tentativi di conciliazio-
ne: basterà ricordare il nome di Filone come rappresen-
tante di un complesso movimento tendente a interpreta-
re, mediante il metodo allegorico, la Sacra Scrittura alla
luce di concetti fondamentali della filosofia greca, soprat-
tutto platonica e stoica, in modo da ammorbidire, per il
greco interessato, l'impatto con un gruppo di opere, quel-
le delllAT, lontane mille miglia dalla sua sensibilità.
2. 11 giudeocristianesimo
La chiesa cristiana nacque e si sviluppò inizialmente in
Palestina, cioè nel più autentico ambiente giudaico, ad
opera di giudei convertiti, e ovviamente fu condizionata a
fondo da questa sua origine giudaica sul piano non solo
religioso ma anche culturale in senso lato. Anche quando
per tempo la nuova religione cominciò a diffondersi in
aree pagane, di lingua greca, lo fece ad opera di missio-
nari di origine giudaica, che cercavano i primi contatti
nelle comunità giudaiche, che incontravano durante i loro
viaggi in terra straniera: anche se si esprimevano in gre-
co, essi predicavano il messaggio secondo modi influenza-
ti a fondo dalla loro cultura nativa, che compaginati con
i nuovi contenuti religiosi, venivano assimilati da quanti
tali contenuti accoglievano. Ecco perché anche quando
nella società cristiana gli adepti di origine giudaica furo-
no soverchiati da quelli di origine pagana, influssi cultu-
rali giudaici, in senso lato, di vario genere conservarono
la loro vitalità come parte integrante della dottrina e del
culto della nuova religione. Possiamo definire questi ca-
ratteri come giudeocristiani, ma questo termine impone
u n breve chiarimento.
Da tempo infatti si discute su che cosa si debba esatta-
mente intendere per giudeocristianesimo, con grande va-
rietà di valutazione, dovuta soprattutto al diverso valore
che si può attribuire a « giudeo »: etnico religioso cultu-
rale. Qualcuno intende il termine in senso molto ristretto,
riferendolo soltanto a una setta cristiana, già nel I1 seco-
lo considerata eretica, quella degli Ebioniti, la cui stretta
osservanza giudaica aveva comportato importanti risvolti
di carattere dottrinale (negazione della origine divina di
Cristo). Altri considerano giudeocristiani tutti quei cri-
stiani che attribuivano valore permanente alla Legge mo-
saica, ma incontrano difficoltà a definire con esattezza il li-
mite dell'osservanza delle prescrizioni rituali giudaiche che
permetterebbe di considerare giudeocristiano un qualsiasi
cristiano, indipendentemente dalla propria origine etnica.
Altri infine dà del giudeocristianesimo un'accezione lata-
mente culturale e considera tale « una forma di pensiero
cristiana che non implica legami con la comunità giudai-
ca, ma che si esprime in un quadro modellato sul giu-
daismo (Daniélou). Rientra in tale definizione ogni aspet-
to della vita e del pensiero dei cristiani che abbia risen-
tito forte influsso della cultura giudaica, anche nel caso
di cultori della nuova fede che erano fortemente critici
nei confronti della Legge e della sua osservanza, quali, p.
es., Paolo; un influsso che continuò ad operare anche
quando per tempo i Giudei si diedero ad avversare !i
cristiani. Noi qui non abbiamo interesse ad approfondire
la questione (5) e ci limitiamo a puntualizzare che, dato il
carattere culturale del discorso che stiamo svolgendo, del-
le varie definizioni di giudeocristianesimo sopra proposte
ci atteniamo all'ultima, anche se non ci sfuggono le per-
plessità che essa può suscitare sotto diversi punti di vi-
sta.
Passando a presentare gli aspetti più vistosi dell'eredità
giudaica nel cristianesimo, rileviamo innanzitutto che il.
principale strumento per cui tramite questa eredità con-
tinuò ad operare anche in una chiesa ormai aperta so-
prattutto all'apporto di pagani, fu 1'AT. La lotta fra chi lo
voleva eliminare dalla chiesa, chi lo vole.va conservare
inalterato nello spirito e nella lettera e chi lo voleva
adattare alle nuove esigenze della comunità e alla novità
del messaggio cristiano rappresentò un momento fonda-
( 5 ) Per informazione più dettagliata cfr. J . Daniélou, La teologia
del giudeo-cristianesimo, Bologna 1964; Simon-Benoit, Giudaismo
e cristianesimo, Bari 1978, p. 236 ss.
mentale nella vita della chiesa primitiva, nella presa di
coscienza della sua originalità rispetto alla religione giu-
daica, dal cui ceppo nasceva ma con cui non poteva né
voleva identificarsi. Una volta impostasi la terza di queste
posizioni e confermato, pur con limitazioni, alllAT il valo-
re normativo che esso aveva per i Giudei, la sua influenza
si fece sentire forte sia per azione diretta sia in modo
mediato, attraverso l'influsso esercitato sia sugli scritti
che avrebbero costituito il Nuovo Testamento (= NT) sia
più in generale sul modo di vivere e pensare dei cristiani
di origine giudaica.
In ambito linguistico, anche se certi semitismi del NT
non ebbero seguito per la loro troppa evidenza (come, p.
es., fare la verità » di Gv 3,21) e fu ben rilevato da
Dionigi d'Alessandria il carattere barbarico del greco se-
mitizzante delllApocalissi, il greco dei cristiani risentì di
un certo apporto semitico. Si fece qui sentire anche l'in-
flusso della traduzione dell'AT in lingua greca, detta dei
LXX, che i cristiani assunsero come testo ufficiale della
Sacra Scrittura. Poche furono le parole riprese sic et
simpliciter dall'ebraico (gehenna, amen, Satan, ecc.), ma
buona parte della terminologia tecnica cristiana fu costi-
tuita da parole del greco comune, però assunte in acce-
zione specificamente cristiana per l'influsso di corrispon-
dente terminologia ebraica. Basti accennare a termini
fondamentali come apostolos, baptizein, eucharistia, ek-
klesia. Lo stesso nome Ckristos, = « unto D, si spiega in
quanto traduzione greca dell'ebraico « Messia », che indi-
cava l'Unto del Signore. E basterà appena accennare a
costrutti -come « secoli dei secoli, vanità delle vanità »
(genit. elativo), « uomini di iniquità, terra di promessa »
(genit. di qualità), a figure etimologiche del tipo « veden-
do vediamo, godendo godrò », la cui frequenza nel greco e
nel latino dei cristiani va considerata come dovuta a in-
flusso semitico; e così dicasi per vari costrutti preposi-
zionali, ecc. In ambito letterario ricorderemo la frequenza
con cui nei Vangeli è adoperata la parabola, una forma
narrativa ebraica; e la fortuna, nella letteratura cosiddet-
ta apocrifa, di una forma letteraria tipicamente ebraica,
come l'apocalittica, nonché di scritti esemplati diretta-
mente su libri delllAT o da questi fortemente influenzati,
come, p. es., I11 e IV Maccabei, I11 e IV Esdra, il Testa-
mento dei X I I patriarchi. La simbolica cristiana (il sole
simbolo di Cristo, la luna, la nave simboli della chiesa, il
mare simbolo del mondo, ecc.), pur sviluppati con l'ap-
porto della letteratura greca profana, hanno il punto di
partenza in immagini veterotestamentarie ( 6 ) .
In ambito dottrinale, è di chiara impronta giudaica una
primitiva riflessione trinitaria che cerca di spiegare il ca-
rattere trascendente di Cristo, Figlio di Dio, e dello Spiri-
to santo presentandoli in forma di angeli; e così dicasi di
alcuni importanti appellativi di Cristo: Nome, in quanto
Cristo è rivelazione di Dio; Legge, in quanto comando,
prescrizione di Dio. Alcuni passi delllAT si aggiungeranno
ad altri del NT per fornire la base scritturistica indispen-
sabile di importantissimi sviluppi dottrinari: ricordiamo
qui l'importanza, nello sviluppo della teologia trinitaria,
di passi come Prov 8,22-25 e Sal 109,3; e soprattutto il
racconto della creazione del mondo e dell'uomo e quello
del peccato di Adamo (Gen 1-3) che costituì il fondamento
della cosmologia e dell'antropologia patristica. La compo-
nente giudaica si avverte decisiva anche su varie sette
eretiche: prescindendo da quelle, come gli Ebioniti, la cui
eterodossia fu avvertita proprio in una troppo rigorosa
adesione alla tradizione giudaica, ricordiamo la compo-
nente giudaica del complesso fenomeno gnostico, sempre
più rilevata dagli studiosi moderni, mentre gli antichi
sentirono come specificamente giudaica l'eresia adozioni-
sta, in quanto riduttiva della divinità di Cristo a livello
meramente umano.
La liturgia è tendenzialmente più conservativa della teo-
logia; in questo ambito perciò l'eredità giudaica fu parti-
colarmente vistosa: basterà ricordare che le due azioni -
liturgiche fondamentali nella vita della chiesa, il battesi-
mo e l'eucaristia, derivano recta via, anche se con si-
gnificazione radicalmente modificata, da istituzioni giu-
daiche. Anche l'omelia, fondamento della liturgia della
parola, fu ripresa dalla liturgia sinagogale. I Salmi vete-
rotestamentari, oltre che influenzare per forma e sostanza
tutta la più antica poesia cristiana (si pensi alle cosiddet-
te Odi di Salomone), vennero largamente utilizzati, come
nella liturgia sinagogale giudaica, così nella liturgia cri-
stiana, e col tempo si avviarono a diventare anche il testo
(6) Su questo punto si veda J. Daniélou, Les symboles chrétiens
primitifs, Paris 1961.
fondamentale della devozione privata del credente. Anche
quando le preghiere cristiane non sono riprese come
blocco unitario da un solo contesto delllAT, ne riecheg-
giano spunti diversi con la massima frequenza: il Gloria,
un antico inno del mattino, èdin parte un centone di-,
espressioni tratte, oltre che dai Salmi, anche da Isaia, un'
libro profetico letto con particolare cura dai cristiani per
i numerosi passi messianici che presentava. Anche a livel-
lo di comportamento personale del cristiano la precetti-
stica veterotestamentaria si faceva sentire: il 1. 111 dei
Testimonia di Cipriano, un florilegio di passi scritturistici
scelti per costituire un breviario di natura morale e di-
sciplinare, affianca ordinariamente e senza fare distinzio-
ne passi delllAT e del NT. In tal modo I'AT ha contribui-
to in maniera notevole alla formazione di un legalismo
cristiano, certo molto meno oppressivo di quello giudaico
ma lontano anche dalla libertà di spirito predicata da
Paolo.
Nell'escatologia l'influsso giudaico si esercitò sulla dot-
trina della resurrezione dei morti e più specificamente su
quella millenarista, secondo cui, prima della catastrofe fi-
nale e del giudizio, ci sarebbe stato per mille anni il re-
gno di Cristo in terra, descritto in Apoc 20-21, un regno
caratterizzato da ricchezza e godimenti materiali, di cui
avrebbero goduto soltanto i giusti, essi soli risorti.
Abbiamo sopra rilevato come il cristianesimo, nato e svi-
luppatosi inizialmente in ambiente giudaico e per opera
di giudei, ne abbia assorbito l'influsso anche culturale nel
modo più naturale, vorrei dire geneticamente. Non av-
venne lo stesso quando esso entrò in contatto con la
cultura greca.
capitolo secondo I
1 . Influssi ellenistici sugli scritti
d'età apostolica e subapostolica
L'influsso della cultura e della filosofia greca si era fatto
sentire, e non solo marginalmente, perfino sull'imper-
meabile giudaismo palestinese, e in modo molto più con-
sistente e produttivo su quello della diaspora, dalla Sa-
pienza di Salomone a Filone. A maggior ragione si fece
sentire sul cristianesimo già appena nato, in cui fin dal-
l'inizio fu forte l'apporto dei giudei ellenizzati (Stefano
Paolo) e subito dopo quello di neofiti provenienti dalle
file del paganesimo, ai quali dopo iniziali riserve la Chie-
sa, consapevole dell'universalità del suo messaggio di sal-
vezza, si aprì con ben altra fiducia e decisione rispetto
alla diffidenza della Sinagoga. Il fatto stesso che il greco
divenne ben presto la lingua della chiesa favoriva I'appor-
to della sua cultura: se abbiamo rilevato i barbarismi del
greco dell'Apocalissi, dobbiamo ora aggiungere che altri
scrittori neotestamentari si sanno esprimere in greco ,
molto più corretto, p. es., Luca autore del terzo Vangelo e
degli Atti degli apostoli. E il prologo da lui preposto al
primo dei due scritti, concepiti l'uno come continuazione
dell'altro, nonostante la sua brevità, richiama in qualche
modo la tradizione storiografica greca, soprattutto nel-
l'accenno alla documentazione raccolta sull'argomento.
Del resto, le esigenze missionarie imponevano di presen-
tare il messaggio cristiano, per più aspetti tanto lontano
dalla mentalità del greco colto, in termini che gli riuscis-
sero il più possibile familiari o almento non del tutto
estranei. Recentemente si è detto che Marco ha cercato di
presentare Gesù anche con i caratteri del taumaturgo, del
theios anér tanto familiare ai Greci, proprio per renderlo
loro più facilmente accetto. E se non sopravvaluteremo
un'isolata citazione di un passo gnomico di Menandro in
Paolo (1 Cor 15,33), forse niente più di una lontana re-
miniscenza di studi giovanili, la citazione di Arato (At
17,28) contenuta nel discorso che Luca fa pronunciare da
Paolo sull'Areopago di Atene ha ben altro significato, in
quanto inserita in un contesto tutto orientato a presenta-
re i1 kerygma cristiano secondo parametri familiari a un
greco anche di modesta cultura. Infatti il discorso, che si
può considerare come uno specimen di quella ch'era la
predicazione dei missionari cristiani rivolta a un uditorio
di pagani, contrappone al loro politeismo tradizionale il
concetto di un Dio sconosciuto in sé ma conoscibile at-
traverso la sua opera di creatore e reggitore provviden-
ziale del mondo e degli uomini, concetto questo allora
largamente volgarizzato dalla predicazione, a livello popo-
lare, dei filosofi itineranti. Passando dal contenuto alla
forma, nel NT, accanto ad una Apocalissi così legata alla
tradizione giudaica, le lettere di Paolo e altri richiamano
invece un genere letterario largamente in uso nel mondo
classico, ripreso dai cristiani forse anche per il tramite
del giudaismo ellenizzato. Paolo poi nell'uso di immagini
e procedimenti argomentativi e nello stile risente in mo-
do notevole l'influsso della diatriba cinico-stoica (7).
I1 tramite giudeoellenistico è stato proposto, in alterna-
tiva con la derivazione diretta dal!a filosofia greca del
tempo, anche per la definizione di Cristo come Logos
all'inizio del quarto Vangelo: quale che sia la sua precisa
derivazione, quest'appellativo avrebbe avuto importanza
incalcolabile nel promuovere e favorire il processo di ac-
climatazione del messaggio cristiano nel mondo culturale
greco. Ma il quarto Vangelo qui ci interessa anche perché
molti punti dell'opera presentano una scrittura di carat-
tere simbolico: si pensi al pozzo di Giacobbe (4,5.12),
(7) Anche l'incipiente tendenza di Paolo ad interpretare allegorica-
mente figure e fatti dell'AT (Gal 4,22 ss.; 1 Cor 10,l ss.) è influenzata
dalla tecnica esegetica in uso nel mondo pagano.
24
all'ora settima in cui guarisce il figlio del basilikds (4,52),
soprattutto ai sette miracoli, che sono presentati come
segni (seméia) di realtà superiori. Una tale scrittura, che
esigeva un pubblico di una certa levatura culturale, è
comprensibile alla luce di una concezione dell'universo a
due livelli, uno terrestre e uno celeste, di cui il terrestre
è pallida immagine, cioè una struttura cosmologica che era
o comunque facilmente appariva di chiara derivazione
platonica. Una struttura del genere sembra presupposta
anche da Ebr 8,5, dov'è detto che il culto della Legge
giudaica è immagine e ombra delle realtà celesti, e forse
anche dalla Gerusalemme di lassù di Gal 4,26 e dalla
Gerusalemme celeste di Ebr 12,22, prototipo celeste della
Gerusalemme terrena.
Anche 1'Apocalissi (C. 21) ci presenta una nuova Gerusa-
lemme, ma è una Gerusalemme che scende dal cielo sulla
terra alla fine del mondo, una Gerusalemme materiale,
anche se di materia preziosa. Questa contrapposizione
puntualizza bene una più vasta opposizione. Paolo è aper-
to nei confronti del paganesimo e dell'impero romano, e
il suo apprezzamento irenico, fatto non soltanto di oppor-
tunismo, favoriva anche l'apertura alla cultura greca, no-
nostante gli attacchi contro la sapienza di questo mondo
(1 Cor 1, 17-21, ecc.). Invece l'atteggiamento dell'Apocalis-
si, così legato alle tradizioni giudaiche e nutrito di spiriti
antiromani, fa presentire la chiusura anche sul piano cul-
turale.
Resta comunque da aggiungere che, anche dove c'è influs-
so della cultura, in particolare della filosofia, greca, que-
sto influsso mai è recepito passivamente ma è filtrato
attraverso un'esperienza e una problematica già tipica-
mente cristiane: Paolo parla spessissimo di libertà (eleu-
theria), un termine raro nelllAT greco e invece di casa
nella tradizione filosofica greca; ma la libertà greca è
una proprietà della natura dell'uomo N (Lyonnet), men-
tre quella di Paolo è l'elezione gratuita per cui ogni cri-
stiano è libero per grazia di Dio dalla schiavitù del pecca-
to, che è trasposizione cristiana di un concetto centrale
della religiosità giudaica. E il Logos di Giovanni ha, si,
funzione cosmologica, come il Logos di Filone e della
filosofia stoica; ma non si contenta, come questo, di reg-
gere prowidenzialmente il mondo restando estraneo alla
sua vicenda nella sua atemporale immobilità, bensì entra
in modo diretto nella vita degli uomini, si fa carne (Gv
1,14), si storicizza in Cristo. Proprio questo Logos, in
Cristo incarnatosi e morio in croce, che per i Giudei era
scandalo e per i Greci pazzia (1 Cor 1,23), costituirà il
fondamento dell'esperienza cristiana, irriducibile all'in-
flusso sia degli uni sia degli altri (8).
Nel periodo subapostolico, a cavallo fra la fine del I e
gl'inizi del I1 secolo, quando la chiesa si apre! sempre più
ai pagani e alla lingua greca ma la componente giudaica è
ancora molto forte, le poche opere scritte allora risento-
no molto l'influsso di quest'ultima. È il caso della Dida-
chè, largamente influenzata da un legalismo di tipo giu-
daizzante, anche se trasferito in un ambito nuovo; del
Pastore di Erma, così legato alle forme dell'apocalittica
giudaica; della lettera dello Ps. Barnaba, anche se anima-
ta, come le lettere dlIgnazio, da spiriti antigiudaici; degli
Apocrifi del NT (9), che riproducono forme e temi di tra-
dizione giudaica. Ma anche sulla letteratura di questo
periodo non è assente l'influsso della cultura greca: per
rimanere nell'ambito degli Apocrifi, se le Apocalissi risen-
tono l'influsso giudaico, gli Atti di Giovanni, Tommaso,
ecc. risentono molto l'influsso della letteratura greca
d'argomento taumaturgico e soprattutto del romanzo el-
lenistico.
Ma l'opera di questo periodo che più ora c'interessa è la
lettera scritta da Clemente di Roma ai cristiani di Corin-
to per esortarli a por fine alle discordie e a ritrovare
unità e pace: infatti questo testo presenta un buon e-
sempio di fusione, o almeno di pacifica coesistenza, di
elementi d'origine rispettivamente greca e giudaica, che
sembrerebbe preludere a una graduale ellenizzazione del
messaggio cristiano senza grandi scosse. I1 fatto stesso
che gli studiosi sono oscillanti nel valorizzare chi soprat-
tutto la componente giudaica dell'opera, chi invece quella
ellenistica è riprova di quanto andiamo affermando. Cle-
mente conosce e utilizza parecchi libri delllAT e anche
altra letteratura giudaica tarda: la grande preghiera finale
(8) Su questo cfr. S. Lyonnet, Ellenismo e giudaismo nel Nuovo
Testamento, in AA.VV., Il /cristianesimo e le filosofie, Milano 1971,
p. 8 ss.
(9) Questo tipo di letteratura comincia a prender piede a partire
dal I1 secolo e si sviluppa soprattutto nel 111.
(CC.59-61) è gremita di reminiscenze dei Salmi, di Isaia e
di altri passi delllAT; l'ordine che deve regnare nella co-
munità cristiana è esemplato su quello che regola le ce-
rimonie del Terripio (cc. 40-41). Ma la bella descrizione
dell'armonia che regna nell'universo (C. 20) è di chiara
matrice stoica, e dalla tradizione diatribica cinico-stoica
derivano certi procedimenti tipici, come le metafore di
carattere sportivo (5,l; 7,1, ecc.) e i cataloghi di vizi e
virtù (30,l; 35,5; 62,2; 64). La forma della lettera risente
di una buona conoscenza delle norme del bello scrivere, e
tutta la prima parte è impostata sui concetti di concordia .
e pace, ricorrenti nella oratoria politica greca. I1 termine
paideia, forse il più qualificante della tradizione culturale
greca, ricorre più volte nel nostro testo, in varia accezio-
ne (21,6.8; 56'2.16, ecc.). La similitudine militare di C.
37,2-3 sembra risentire insieme influsso greco e giudaico;
e in questo senso è importante il procedimento composi-
tivo messo in opera da Clemente all'inizio, dove le sue
considerazioni sui danni che produce la gelosia e il bene
che deriva dalla fede sono illustrati con esempi: infatti
l'uso di exempla è tipico della tradizione retorica greca,
ma gli esempi addotti (Caino, Esaù, Noè, Abramo, ecc.)
sono tratti dalllAT, quasi a indicare emblematicamente la
sintesi delle due culture (10).
2. La crisi gnostica
La crisi gnostica sconvolse profondamente la cristianità
del I1 secolo, soprattutto in Egitto e in Siria ma anche a
Roma e altrove, e provocò una serie di reazioni d'impor-
tanza a volte decisiva nella storia della chiesa a livello
dottrinale e organizzativo, che si ripercossero in modo
notevole anche a livello culturale, il solo che qui ci inte-
ressi. In linea generale basterà ricordare che le dottrine
gnostiche, di carattere accentuatamente dualista nella
contrapposizione fra il mondo materiale e quello divino
spirituale, e insistenti su miti a volte molto complicati,
L
.
(10) Molti di questi influssi greci sono già riscontrabili negli scritti
giudeoeiienistici e in qualche caso hanno influenzato gli scritti
del NT per questo tramite. Ma a noi interessa qui rilevarne co-
munque la matrice greca.
presentano una facies tipicamente sincretista con apporti
di diverse culture e religioni, per cui solo alcune sette
gnostiche si possono a rigor di termini considerare cri-
stiane, anche se di un cristianesimo per tempo considera-
to eretico. Data questa complessità di forma, riesce
difficile allo studioso moderno individuare la lontana
matrice del pensiero gnostico: c'è chi ha valorizzato in
modo particolare l'apporto greco, chi quello iranico, chi
quello cristiano. Oggi s'insiste soprattutto sulla compo-
nente giudaica della gnosi per ravvisarvi il punto d'origi-
ne della grande efflorescenza dottrinale, e nessuno più
condivide la definizione che dello gnosticismo dette Har-
nack quale ellenizzazione acuta del cristianesimo. Ma
questa definizione è per noi di grande significato, perché
effettivamente dai cristiani del I1 e 111 secolo lo gnosti-
cismo fu considerato come una deformazione della reli-
gione cristiana dovuta proprio all'influsso depravatore
della filosofia greca, e la stessa origine fu assegnata a
ogni altra eresia, anche all'infuori della gnosi. Vediamo
così Tertulliano affermare che le eresie sono provocate
dalla filosofia e considerare Valentino un platonico e
Marcione uno stoico (Praescr. 7,3). Ippolito di Roma ha
sviluppato questo spunto e in modo sistematico ha fatto
corrispondere a un'eresia cristiana una filosofia greca:
Valentino deriva da Pitagora e Platone, Basilide da Ari-
stotele, Marcione da Empedocle, Noeto da Eraclito (Re-
fut. VI 21; VI1 14.29; IX 7). I1 procedimento è arbitrario e
per lo più forzato; ma resta il fatto che effettivamente
l'apporto della filosofia e anche della letteratura greca si
avverte molto evidente nei testi gnostici.
Per forza di cose ci dobbiamo limitare a qualche esempio
di particolare evidenza, e cominciamo col ricordare in
generale con quanta frequenza ricorrano nei testi gnostici
personaggi come il Nous e il Logos, quali principi divini
subordinati al Dio sommo, il primo tratto dalla filosofia
platonica, il secondo da quella stoica (11). Al di là delle
complicazioni mitologiche con le quali gli Gnostici amano
ammantare le loro dottrine, la struttura di fondo si ridu-
ce a due o tre schemi fondamentali che variano poco
( I l ) Ma nella tendenza sincretistica che caratterizza le .varie filo-
sofie greche a partire dalla fine del I secolo a.C. questi termini
erano diffusi molto al di là dell'area di origine.
l'uno dall'altro nella presentazione dei principi costitutivi
(archdi) dell'universo: p. es., il Salmo naasseno di Hipp.
Refut. V 10,2 presenta uno schema a tre, nous-ani-
ma-chaos; Valentino invece uno schema a quattro, Dio
-
sommo (Abisso) - Pleroma (= Logos) Anima del mondo
(= Demiurgo) - materia. Orbene, i vari schemi trovano tutti
riscontro preciso nella filosofia platonica dell'epoca (12).
La concezione, solo di alcune gnosi, di uno spirito inter-
medio fra la luce e le tenebre (Hipp. Refut. V 19, Sethia-
ni) e di non autentica sostanza divina (Hipp. Refut. VI1
22,12, Basilidiani) deriva da concezioni filosofiche e medi-
cinali greche, attestate nel I1 e I11 secolo d.C.,,che su-
bordinavano lo spirito, inteso materialmente alla maniera
stoica, all'anima spirituale (13).
Per allontanarci dal campo strettamente filosofico, il co-
siddetto Trattato senza fitolo del cod. I1 di Nag-Hammadi
fa largo spazio (p. 109 ss) a un mito di Eros di origine
popolare, rielaborato anche con apporti biblici in modo
da presentare il dio in posizione intermedia fra il cielo e
la terra, signore del cosmo, principio esplicativo degli
elementi e degli esseri. La cosiddetta Grande rivelazione
dei Simoniani (Hipp. Refut. VI 9,3 ss.) presenta uno
schema cosmologico bipolare e bisessuale, Cielo in alto e
Terra in basso, con una larga esemplificazione tratta dalla
Genesi e integrata da apporti omerici. I1 carattere sincre-
tistico della gnosi è messo bene in rilievo dalla cosiddetta
Predica dei Naasseni (Hipp. Refut. V 7,2 ss), in cui il
concetto fondamentale di una scintilla divina immersa
nella materialità del mondo è presentato con larga e-
semplificazione tendente a dimostrare che esso è presen-
te, anche se in forma obnubilata e inconscia, nei miti, e
nelle religioni dei popoli più diversi. I numerosi esempi
giustappongono miti greci e orientali, passi di testi lette-
rari greci, soprattutto di Omero, spunti tratti dalllAT e
dal NT (14). L
Lo gnosticismo, oltre la presentazione dottrinale in veste
mitologica, difficilmente accettabile dai cristiani, presen-
(12) Cfr. H. J. Kramer, Der Ursprung der Geistrnetaphysik, Amster-
dam, 1964, p. 234 ss.
(13) Cfr. G . Werbeke, L'évolution de Za doctrine du Pneurna du
Stoicisrne à S. Augustin, Louvain 1955, p. 166 ss., 264 ss.
(14) Gli spunti tratti dal NT non sono affatto interpolazioni serio-
'
ri, come qualcuno ha supposto.
tava almeno due dottrine che questi riconobbero come
incompatibili in modo assoluto col loro credo: distinzione
fra il Dio sommo del NT e il Dio inferiore delllAT; di-
stinzione degli uomini in tre (o due) classi distinte fra
loro per natura e destinate a sorti diverse. Dopo quanto
abbiamo sopra esemplificato, anche se lo gnosticismo -
come vogliono gli studiosi d'oggi - non ha tratto origine
dalla filosofia e dalla religione greca, ci spieghiamo per-
ché i cristiani del I1 e I11 secolo lo abbiano interpretato
come un cattivo prodotto di quella filosofia.
3. Rifiuto della cultura greca e suoi limiti
La lettera di Clemente ci ha messo di fronte a un isolato
(per noi) tentativo di utilizzare spunti derivati dalla reto-
rica e dalla filosofia greca al fine di presentare in modo
più efficace un discorso specificamente cristiano. Il pro-
cedimento ha tutta l'aria di essere spontaneo, non fonda-
to sulla considerazione della compatibilità o meno fra
messaggio cristiano e cultura greca. Ma nel confronto
quotidiano col mondo pagano, spesso ostile, e con la sua
religione politeista, nemica irriconciliabile di quella cri-
stiana, che spingevano gli adepti della nuova fede ad
approfondire il significato e anche il limite della loro
identità, anche quella questione non poteva tardare a im-
porsi a una riflessione critica. La crisi gnostica contribuì
senza dubbio a metterla a fuoco e anche ad orientarla
verso una soluzione non certo favorevole alla compatibili-
tà delle due forze, in quanto di essa fu considerata re-
sponsabile, come abbiamo visto or ora, proprio la filosofia
greca.
È perciò spiegabile una reazione negativa nei confronti
della cultura greca in generale, che s'indovina agevolmen-
te a livello popolare ma che è bene attestata anche fra
cristiani di più alto livello culturale, accostatisi alla nuo-
va religione dopo avere ricevuto una formazione retorica,
a volte anche filosofica, di tipo tradizionale. Ma in questo
più selezionato ambito la risposta è varia e sempre un
po' ambigua. La conosciamo grazie agli scritti degli Apo-
logisti, che fra la metà del I1 secolo e gl'inizi del I11 in
Oriente e un po' più tardi in Occidente, nel contesto della
difesa della nuova religione dalle accuse di vario genere
che le venivano mosse, esaminarono in modo globale il
rapporto fra il cristianesimo e la cultura greca.
La novità del messaggio cristiano, la sua semplicità e
schiettezza contrapposte alla sofisticata cultura pagana, il
suo elevato impegno sul piano religioso e morale facil-
mente ispiravano anche a persone formate agl'ideali della
paideia greca un moto di reazione, che poteva arrivare
anche al completo rifiuto della vecchia cultura insieme
con i vecchi dei: la vita nuova di chi è rinato per mezzo
del battesimo in Cristo deve rifiutare ogni contatto col
mondo vecchio in tutti i suoi aspetti, un mondo nel quale
il cristiano è pellegrino, straniero, in attesa di raggiunge-
re la sua vera patria nei cieli. Perciò Taziano, valorizzan-
do un certo apprezzamento per la sapienza di Egiziani,
Indiani, ecc. attestato nel platonismo della sua età, arriva
addirittura a capovolgere e ritorcere contro gli stessi
Greci quel sentimento di disprezzo che essi nutrivano per
i barbari, cioè per tutti quelli che non parlavano greco:
sulla base di dati non solo storici ma anche mitici egli fa
vedere che non sono stati i barbari ad aver dedotto le
loro conoscenze dai Greci ma che è avvenuto proprio
l'opposto: i Greci hanno derivato l'astronopia dai Babi-
lonesi, la geometria dagli Egiziani, l'alfabeto dai Fenici,
ecc. In questo contesto egli deride sia la retorica greca
sia la poesia: la prima serve a calunniare e a prevaricare
nei tribunali, l'altra a descrivere battaglie e amori di dei
e a corrompere gli animi (adv. Graec. 1).
Ma è soprattutto contro la filosofia che Taziano e altri
indirizzano i loro strali, come quella che, aspirando ad
additare all'uomo la via della verità, s'opponeva nel modo
più diretto alla rivelazione cristiana. In questo senso essi
riprendono anche il motivo giudeoellenistico dell'anterio-
rità della Legge di Mosè rispetto a Platone, della cultura
giudaica rispetto a quella greca, La finalità di tale spunto
polemico era di dimostrare che tutto quanto c'è di buono
nella filosofia greca derivava dal giudaismo, ed esso pote-
va essere addotto anche a scopo conciliativo, come ve-
dremo fra breve; ma Taziano (C. 31), Teofilo (ad Autol.
I11 17 ss.), lo Ps. Giustino (Cohort. 9 e passim) se ne
servono solo in funzione polemica per deprimere il valore
della filosofia e in generale di tutta la cultura greca: nel
racconto del diluvio gli autori greci non soltanto sono
posteriori a Mosè ma sono anche pieni di inesattezze
(Teoph. ad Autol. I11 18 S.); Platone ha derivato la sua
dottrina delle idee da un fraintendimento del racconto di
Mosè relativo alla creazione del mondo e dell'uomo (Ps.
Iust. Cohort. 29 s).
Molti altri erano i modi per deprimere il valore della
filosofia: Taziano rimprovera ai filosofi l'uso di farsi re-
tribuire (C. 19) e ricorda aneddoti poco edificanti che
circolavano su di loro (C. 2). Ma il modo più impegnativo
e più adoperato consiste nel mettere in rilievo le con-
traddizioni che si riscontravano fra un filosofo e l'altro,
cioè un metodo già messo in opera all'interno della s-tessa
filosofia, soprattutto dagli scettici. Vi insistono variamen-
te, con citazione di esempi, Taziano (C. 3.25), lo Ps. Giu-
stino (Cohort. 6-7), Teofilo che, alle contraddizioni dei
filosofi sul mondo e la provvidenza, unisce anche quelle
dei poeti (I1 4-8). Un tal Ermia, non meglio conosciuto,
ha dedicato all'argomento un intero breve trattato,
Scherno dei filosofi pagani: egli mette in rilievo, p. es., le
diverse concezioni che i filosofi avevano proposto sull'a-
nima: alcuni la definiscono mortale, altri immortale, altri
dicono che essa sussiste per un certo tempo; alcuni dico-
no che dopo la morte trasmigra in corpi animali, altri
che si dissolve in atomi, altri sostengono che si reincarna
tre volte, altri fissano a questa reincarnazione un tempo
di 3000 anni (C. 2). Analogo il dissenso sull'argomento
basilare dei principi costitutivi dell'essere: Anassagora
l'identifica col nous, Parmenide con l'uno, Anassimene
con l'aria, Empedocle con l'odio e l'amore, Platone con
Dio, la materia e l'idea, Aristotele con l'agire e il patire ,
(C. 3-5).
In un secondo momento la polemica contro la filosofia, .
prima limitata al contesto apologetico nei confronti dei
pagani, viene estesa a un ambito interno alla chiesa stes-
sa, in quanto - come sopra abbiamo già rilevato - si fa
della filosofia la matrice dell'eresia gnostica e di tutte le
altre eresie. Tertulliano, che abbiamo visto molto esplici-
to su questo punto, è particolarmente insistente nel colpire
e deprezzare la filosofia: egli ama contrapporre la curiosi-
tas dei filosofi, cioè la ricerca cavillosa e sottile che non
conduce alla verità, alla semplicità della ricerca dei cri-
stiani illuminati dalla rivelazione di Cristo (Praescr.
7,10.12; Apol. 23,7; Test. an. 5, l), e afferma che noi non
abbiamo più bisogno della curiosità dopo Gesù Cristo né
della ricerca dopo il Vangelo (Praescr. 7,2). È questo
atteggiamento antiintellettualista che lo porta a volte ad
esaltare l'irrazionalità della fede: credo quia absur-
dum (1.5)) e gli fa accomunare nella stessa condanna filo-
sofia dialettica e retorica, che nel suo pensiero « vanno di
pari passo perché la costante di tutte è la ricerca di
elementi formali più che sostanziali, privilegiando una
metodologia artificiosa che si affida alla congettura e ha
di mira la gloria classificatrice dell~uomopiù che la ricer-
ca della verità » (16). Alla sua penna dobbiamo le affer-
mazioni più efficaci e incisive dell'incompatibilità fra cri-
stianesimo e cultura antica, ch'è di prammatica citare in
un discorso come il nostro:
Cos'ha da spartire Atene con Gerusalemme? Che cosa
1'Academia con la chiesa? ... La nostra formazione è dal
portico di Salomone (Praescr. 7,9-10) (17). Che somiglian-
za ci può essere tra il filosofo e il cristiano, tra il disce-
polo della Grecia e quello del cielo, tra chi cerca la fama
e chi cerca la salvezza, chi vende parole e chi realizza
opere, chi costruisce e chi distrugge, chi altera e chi
tutela la verità, chi è ladro e chi è custode del vero? »
(Apol. 46, 18).
Nulla di più esplicito di queste espressioni di rifiuto e di
altre che abbiamo sopra ricordato: eppure in questi stes-
si scrittori il comportamento pratico non appare coerente
con la posizione teorica. Teofilo, dopo aver rilevato le
inesattezze e le contraddizioni dei poeti pagani, adduce
una serie di loro passi a confortare le parole dei profeti
(I1 38). Lo Ps. Giustino della Cohortatio prima presenta
Omero come divulgatore di genealogie e storie degli dei
(C. 2), ma poi lo cita a sostegno della concezione mono-
teistica di Dio o come avverso al politeismo e addirittura
come assertore della dottrina della resurrezione dei corpi
(C. 17.24.28). Taziano stesso, questo eloquente derisore dei
filosofi, allorché deve passare ad esporre la sua dottrina
su Dio, il mondo e I'uomo, proprio a quei filosofi fa
(15) Questa famosa espressione propriamente non si riscontra in
questa forma in Tertulliano ma sintetizza bene il senso di vari
suoi spunti, fra cui Carn. Chr. 5,4.
(16) L. Pizzolato, Tertulliano e fa dialettica, in Paradoxos politeia.
Studi patristici in onore di G . Lazzati, Milano 1979, p. 170.
(17) L'Academia è la scuola platonica, il portico ricorda la Stoa
ateniese da cui trassero nome gli Stoici.

ricorso. La sua definizione di Dio come spirito (C. 4) certo
deriva da Giovanni (4,24) ma è inserita in una tematica
di carattere stoico; e la sua dottrina dei due spiriti op-
posti, uno spirituale e uno materiale, tra i quali si trova
l'anima in posizione intermedia, risente fortemente I'ap-
porto della filosofia greca e, senza escludere apporti di
altra fonte, sembra fondere insieme motivi platonici e
stoici (C. 12 S.) Quando poi descrive (C.20) l'anima che per-
de a causa del peccato le ali costituite dallo spirito perfetto,
egli riecheggia da vicino il passo platonico delle ali del-
l'anima (Phaedr. 246 ss.), un passo che ebbe molta fortu-
na negli scrittori cristiani a partire dal I1 secolo.
Dato il carattere di Tertulliano, pieno di punte e con-
traddizioni, questo atteggiamento non coerente nei con-
fronti della cultura greca, e soprattutto della filosofia, è
abbondantemente testimoniato nei suoi scritti. Senza dar
s~verchiopeso al fatto che egli, che respinge anche la
retorica, scrive in forma accentuatamente ricercata, anche
se un po' fuori dalle norme della scuola, e ama infiorare
il suo dire con citazioni poetiche, soprattutto di Virgilio,
così come facevano Seneca e gli altri prosatori latini,
rileviamo qui il ricordo laudativo di Seneca e Socrate
(Anim. 20,l; Nat. I 4,6) e l'impegnativa dichiarazione che
talvolta i filosofi concordano con i nostri (Anim. 2,l).
Del resto, come lo abbiamo visto a volte esaltare l'irra-
zionalità della fede, altre volte lo sorprendiamo a propor-
re la natura come maestra, prima della Sacra Scrittura
(Res. 12,8), i1 consenso fra religione cristiana e natura
(Cor. 5, l), la possibilità che ogni uomo ha, grazie ai
communes sensus - una sorta di conoscenza innata - di
conoscere naturaliter Dio e l'immortalità dell'anima (Res.
3, l (18).
Alla pari di Taziano, neppure Tertulliano ha remore a
ricorrere all'aiuto dei filosofi, allorché deve presentare la
propria dottrina . In Apol. 21, nel proporre ai pagani una
catechesi completa su Cristo, dalla nascita da Dio fino
alla resurrezione dalla morte, riprende il theologoumenon
di Cristo Logos da Giovanni e per renderlo più familiare
ai lettori ricorda come anche la filosofia stoica conoscesse
il Logos creatore del mondo e cita proprio all'inizio del-
(18) In questo ordine d'idee Tertulliano afferma (Test. an. 4,111
che l'uomo ha anche coscienza della resurrezione dei morti.
34
l'esposizione Zenone e Cleante, in modo da presentare -la
dottrina del Logos cristiano, nella sua originalità rispetto
a quella stoica, come un perfezionamento, un completa-
mento di quella. I1 De anima, la più antica trattazione
cristiana dedicata a questo argomento, è tutta fondata su
materiale dedotto dalla tradizione filosofica greca che su
questo punto presentava grande ricchezza di dottrina con
esiti diversi da scuola a scuola. Nell'Adversus Praxean,
riprendendo la dottrina-del Logos, Tertulliano l'incentra
su una concezione materialistica di Dio ch'è di chiara
impronta stoica: « Chi negherà che Dio è corpo, anche se
Dio spirito? Infatti lo spirito è un corpo di tipo speciale
nel suo aspetto ... Anche le cose invisibili, quali che siano,
hanno presso Dio il loro corpo e la loro forma, per cui
sono visibili solo a Dio » (7,8-9).
Terminiamo questa breve rassegna con Ireneo, un autore
fino a qualche anno fa considerato fra i meno permeabili
all'influsso della cultura greca e la cui opera più impor-
tante, Adversus haereses, ha intenti antignostici e non
apologetici e perciò era destinata ad esser letta soprattutto
all'interno della comunità cristiana. Orbene, anche Ireneo,
che all'inizio affetta topicamente di non aver appreso I'ar-
te dello scrivere (I praef., 3) e non manca di inserire
altrettanto topici attacchi alla filosofia greca, matrice del-
la gnosi (I1 14.2; I1 33.2). oltre a far qua e là sfoggio di
quella retorica che ostenta di ignorare (p. es., a V 13,2) e
a servirsi di metodi di argomentazione tipicamente sco-
lastici (dilemma, enthymema, paradeigma, ecc.) (19).
sfrutta per la polemica antignostica materiale dosso-
grafico (I1 28,2), all'occasione sa utilizzare il Timeo pla-
tonico nella presentazione della bontà del Dio creatore
del mondo (111 25,s; IV 38,3), e la sua difesa del libero
arbitrio deli'uomo contro il determinksmo gnostico risente
temi ed espressioni di origine aristotelica e platonica (20).
Queste discrepanze fra teoria e prassi che abbiamo messo
in rilievo presso Taziano. Tertulliano e altri circa il rap-
porto fra cristianesimo e cultura pagana, dimostrano
quanto fosse difficile, per non dire impossibile, a un cri-
(19) Cfr. W.R. Schodel, Philosophy and rhetorik in the Adversus
haereses of Zrenaeus: Vigiliae Christianae 1959, p. 22 ss.
(20) Cfr. E. P. Meijering, God Being History. Studies in Patristic
Philosophy, Amsterdam 1975, p. 19 ss.
stiano impegnato nel campo delle lettere evitare il contat-
to e l'influsso della cultura greca, anche se programmati-
camente rifiutati. Anche prescindendo dalla difficoltà di
deporre da un giorno all'altro un habitus mentale deri-
vante da formazione retorica e filosofica acquisita in lun-
ghi anni di studio, vari argomenti concorrevano a ridi-
mensionare di molto quel rifiuto programmatico. In pri-
mo luogo sì avvertivano le esigenze della polemica contro
il politeismo pagano, per la quale erano di massimo aiuto
gli argomenti in senso monoteistico ricavati proprio dalla
filosofia e dalla poesia greca. Vi si aggiungeva l'esigenza
di presentare il messaggio cristiano, almeno a livello di
media cultura, in forma che riuscisse in parte familiare
all'ascoltatore pagano, sì che, quando un concetto cristia-
no trovava riscontro nella filosofia soprattutto platonica e
anche stoica (trascendenza e bontà di Dio, funzione co-
smologica del Logos, libertà dell'uomo, ecc.), era buona
politica stabilire il collegamento. Per di più, il messaggio
cristiano, al fine di essere presentato a un pubblico colto,
necessitava non soltanto di presentazione ma addirittura
di elaborazione adeguata. Esso infatti, in quanto messag-
gio di salvezza, toccava solo sporadicamente e marginal-
mente certi argomenti di natura metafisica cosmologica e
antropologica, che da secoli affaticavano la riflessione
filosofica greca ed erano diventati familiari a ogni perso-
na anche di modesta cultura. Se il cristianesimo voleva
conquistare simpatie e adesioni in tali ambienti, esso do-
veva allargarsi adeguatamente su quei temi e doveva farlo
secondo la problematica e la terminologia ormai usuali in
tali contesti: né d'altra parte era possibile farlo in altro
modo, stante la carenza degli scritti vetero- e neotesta-
mentari in argomento: quando Tertulliano ha voluto ap-
profondire l'argomento dell'anima, solo la filosofia greca
gli ha fornito il materiale adatto alla bisogna, e così
dicasi per la riflessione sul Logos, su Dio, ecc. Fu avverti-
to subito il pericolo che tale rielaborazione del kerygma
primitivo potesse facilmente comprometterne la purezza,
e difatti l'eresia che tale purezza comprometteva fu senti-
ta come conseguenza dell'intrusione della filosofia greca
nel deposito di fede. Ma l'esigenza del confronto col
mondo della cultura pagana imponeva di correre questo
rischio.
4. Apertura (con riserva) alla cultura greca
A questi scrittori che almeno programmaticamente rifiu-
tano il dialogo con la cultura greca se ne contrappongono
nello stesso periodo, cioè fra la I1 metà del I1 secolo e
gl'inizi del 111, altri i quali, chi solo implicitamente chi
anche in modo esplicito, si aprono al confronto con quel-
la cultura. Fra i primi basterà ricordare il latino Minucio
Felice che valorizza molto, in polemica con i pagani, ,le
affermazioni di poeti e filosofi greci a favore del mono-
teismo e awerse al politeismo (Oct. 19-21) e conforta la
dottrina cristiana, d'origine giudaica, relativa alla fine del
mondo con similari teorie di derivazione stoica e platoni-
ca (C. 34). Anche Atenagora, fra i greci, è largo di testi-
monianze tratte da poeti e filosofi circa l'unicità di Dio
(Legat. 5-6) e conclude (C. 7) che poeti e filosofi, spinti da
una qualche ispirazione divina, hanno cercato e consegui-
to una certa conoscenza di Dio e del mondo, in cui il
vero si mescola con l'errore. Tali conoscenze, invece, i
cristiani posseggono in modo più completo e integro gra-
zie alla diretta rivelazione di Dio attraverso la Scrittura.
Quanto agli autori in genere più sfruttati per queste fina-
lità apologetiche, essi sono Omero e Platone. Del primo
alcuni versi sembrano essere stati considerati di partico-
lare significato, p. es., Il. I1 204 « Non è buona cosa la
molteplicità dei capi: il capo sia uno solo D, molto utiliz-
zato a confortare l'idea monoteista. Meno significativi ap-
paiono Il. XVI 856 e XXIII 71, citati da Teofilo (I1 38)
come prova della sopravvivenza dell'anima alla morte: vi
si parla infatti solo di anime di morti che vanno alllAde.
Ma l'interpretazione in quel senso era già stata proposta
dai platonici. Quanto a Platone, il dialogo più adoperato,
come nella filosofia pagana dell'epoca, è il Timeo: certi
passi come 28 C, difficoltà di conoscere Dio, e nello stesso
contesto particolarmente la definizione di Dio come padre
di tutte le cose, sono di uso generalizzato. Abbiamo già
ricordato la fortuna della immagine delle ali dell'anima di
Phaedr. 246 e. Ricorderemo ancora Thaet. 176 ab, in cui la
somiglianza con Dio è fatta consistere nella fuga dal
mondo, un passo che nella tradizione cristiana di Ales-
sandria avrà gran peso per porre i fondamenti della mi-
stica cristiana, che sarà tutta d'ispirazione platonica.
Tornando, dopo questo breve excursus, agli scrittori cri-
stiani più aperti alla cultura greca, il famoso passo di
Melitone di Sardi relativo alla felice coincidenza della
nascita di Cristo con la pace di Augusto qui ci interessa
perché l'autore vi definisce la religione cristiana come « la
nostra filosofia n: egli infatti lo fa non per ingraziarsi
Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, ma perché questa
definizione puntualizzava bene il confronto fra il cristia-
nesimo e la cultura pagana: in quanto si poneva come
principio e norma di verità, il cristianesimo guardava,
come termine di confronto, alla filosofia greca che della
ricerca della verità aveva sempre fatto il suo fine e il cui
ideale di sapienza cinico-stoica i predicatori itineranti a-
vevano diffuso anche a livello popolare, mentre escludeva
ogni possibilità di dialogo con la religione politeista. La
perdita delllApologia di Melitone, da cui Eusebio (HE IV
26,7-8) ha tratto quel passo, c'impedisce di conoscere
come l'autore avesse ulteriormente sviluppato il suo
spunto. Conosciamo bene invece la posizione programma-
tica e il comportamento pratico di Giustino, che pur evi-
tando implicazioni di carattere politico sono singolarmen-
te aperti verso la cultura, e in particolare verso la filo-
sofia greca. Lo attesta, sul piano pratico, anche il fatto
che a Roma Giustino tenne una scuola di filosofia cristia-
na, ad imitazione delle scuole filosofiche pagane dell'epo-
ca .
I1 prologo del Dialogo col giudeo Trifone vuole essere
una presentazione del confronto in chiave di esperienza
personale: l'autore ha peregrinato in cerca di verità fra
varie scuole filosofiche, e solo nel platonismo ha creduto
di aver trovato soddisfazione, perché quella filosofia, col
suo spiritualismo, gli prometteva la visione di Dio; ma il
successivo contatto col cristianesimo gli ha fatto conosce-
re i limiti della filosofia platonica (dottrine della visione
diretta di Dio, dell'anima naturaliter immortale, della me-
tensomatosi, ecc.). Comunque il platonismo si presenta a
Giustino come il più riuscito tentativo della filosofia greca
di conoscenza della verità, conoscenza necessariamente
parziale, ma che basta a stabilire un collegamento con la
religione cristiana, collegamento che invece Giustino rifiu-
ta con la religione pagana, spiegando certe superficiali
somiglianze fra miti pagani e fatti di Cristo come dovute
a opera di contraffazione demoniaca (I Apol. 22.23.54.66,
ecc.).
Per spiegare come mai la filosofia greca abbia conseguito
conoscenza parziale della verità, Giustino propone due
argomenti: uno è quello, già richiamato sopra, dei cosid-
detti furta Graecorum, cioè della derivazione dei filosofi
greci dalla Scrittura (I Apol. 44): esso è proposto non già
in senso polemico, come da Taziano e altri, ma proprio
per favorire il dialogo fra le due parti. Molto più impor-
tante è, comunque, l'altro argomento: esso si fonda sulla
definizione di Cristo come Logos, cioè ragione, principio
di razionalità universale, e lo sviluppo sulla base della
tendenza, tipica di tutta la tradizione filosofica greca, a
identificare razionalità e divinith. Ogni uomo, in quanto
razionale, partecipa in qualche misura del Logos divino,
alberga in sé qualche sperma, cioè seme, germe, scintilla,
del Logos (che viene perciò definito spermatikds, semina-
le) e grazie a questa partecipazione può conseguire co-
noscenza parziale della verità; ma di fronte a questa limi-
tata conoscenza:
a La nostra religione appare più sublime di ogni insegna-
mento umano, in quanto Cristo, apparso per noi, rappresen-
ta il principio di ragione nella sua totalità, cioè corpo,
Logos e anima. Infatti tutto ciò che di buono in ogni tempo
hanno affermato e trovato filosofi e legislatori, è stato
realizzato dalle loro ricerche e intuizioni grazie a una
porzione di Logos. E poiché non conobbero nella sua
interezza il Logos, che è Cristo, hanno anche fatto affer-
mazioni fra loro contraddittorie ... Infatti ciascuno di lo-
ro, secondo la porzione di Logos divino seminale, parlb
bene vedendo ciò che aveva affinità con quello D (I1 Apol
10.13, anche 8). Perciò - continua Giustino -, in forza di
questa partecipazione dei filosofi, come di ogni altro uo-
mo, al Logos divino, cioè Cristo, a tutto ciò che essi han-
no detto di vero appartiene a noi cristiani n, che grazie
all'incarnazione del Logos abbiamo avuto rivelazione non
più parziale ma completa (I1 Apol. 13) (21).
A maggior ragione che non Taziano e Tertulliano, Giusti-
no e Atenagora si ispirano spesso a dottrine e modelli
offerti dalla filosofia greca per elaborare teologicamente i
dati della rivelazione e della tradizione cristiana. Così,
per l'interazione di queste due componenti, grazie all'a-
(21) E la stessa conclusione che abbiamo già rilevato in Atena,gora
e che questi in effetti dedusse proprio da Giustino.
zione in complesso concorde degli Apologisti (22), si co-
mincia a delineare, fra gli ultimi decenni del I1 e i primi
del I11 secolo, un complesso di dottrine cristiane relative
a Dio mondo uomo, concepito al fine di contrastare con
una teologia cattolica le spericolate speculazioni degli
Gnostici e di dare una risposta non inadeguata alle criti-
che e alle richieste che certi pagani colti rivolgevano ai
cristiani. Nell'impossibilità di esporre qui in modo detta-
gliato tali dottrine, ci limitiamo a presentare in modo
sommario l'incidenza che sulla loro elaborazione esercitò
l'influsso della filosofia greca e i limiti che a tale influsso
furono segnati (23).
Nell'affermazione di un Dio unico e trascendente, giu-
daismo e cristianesimo s'incontravano col platonismo e
con molte affermazioni di filosofi e poeti greci, si che
soprattutto su questo punto, in polemica col politeismo
tradizionale, l'incontro fu fruttuoso e privo di gravi con-
trasti, una volta prese le distanze dal panteismo stoico.
Di contro si presentava molto più complessa e difficile la
problematica cristologica, vale a dire proprio quella che
fondava la specificità del cristianesimo nel duplice con-
fronto col giudaismo e col paganesimo, e che per tal
motivo non poteva essere elusa a lungo. Si trattava, in
sostanza, di conciliare l'istanza monoteistica con l'esigen-
za di salvaguardare la piena divinità di Cristo. La specu-
lazione di Giustino e altri apologisti su questo punto fu
influenzata da una concezione largamente diffusa in quel-
l'epoca e di derivazione medioplatonica, che colmava lo
iato fra il sommo Dio trascendente e il mondo per mezzo
di una o più entità divine minori intermedie. Questo fu il
posto assegnato a Cristo, in quanto Logos divino preesi-
stente all'incarnazione, visto anche come anima mundi
platonica (Athen. Legat. lo), e la sua generazione dal Pa-
dre celeste fu presentata secondo la distinzione stoica di
Zogos endidthetos (= parola interna, immanente) e Iogos
prophorik6s (= parola profferita) (Teoph. Autol. I1 10.22).
Nonostante la preoccupazione di Giustino e altri, di chia-
(22) Fra loro Taziano svolse una tematica più personale. Ireneo
programmaticamente evita speculazioni teologiche troppo azzardate.
(23) Tale influsso comunque è rilevabile, oltre che in temi di fon-
do, anche in una quantità di spunti particolari, sui quali dobbiamo
qui trascorrere: cfr. in proposito J. Daniélou, Message évangélique
et culture hellénistique, Tournai 1961, p. 73 ss.
rire che il Logos è distinto dal Padre ma non separato da
lui, questa concezione sembrava ridurre Cristo. al rango
di un dio minore, estraneo alla autentica realtà del Pa-
dre: perciò i loro sostenitori furono tacciati di diteismo e
il sospetto nei loro confronti alimentò le riserve che tanti
cristiani nutrivano, come sappiamo, verso la filosofia
greca. Proprio da questo stato d'animo sorse la dottrina
monarchiana, che in diversi modi cercava di salvaguarda-
re più rigidamente di quanto non facessero i teologi del
Logos il monoteismo di tradizione giudaica.
L'altro fondamentale assunto cristologico, quello della in-
carnazione, era talmente estraneo alla mentalità filosofica
dei Greci che restò sostanzialmente immune da rielabora-
zioni del dato scritturistico, che qui risultava molto espli-
cito. Ma il deprezzamento di tutto ciò ch'è materia, tipico
della tradizione platonica, incise in certo modo sul doce-
tismo, diffuso anche al di là dell'area gnostica, che negava
larealtà materiale del corpo assunto .da Cristo. Di contro
il dato rivelato diceva ben poco in fatto di cosmologia, sl
che, per quanto se ne sono interessati, gli Apologisti han-
no ripreso a man salva dalla filosofia platonica e stoica,
soprattutto dal Timeo. L'unica preoccupazione è negare,
d'accordo con i Giudei, la preesistenza a& eterno della
materia (24)) ma su questo punto la posizione cristiana
emergerà con chiarezza soltanto gradatamente: Atenago-
ra, p. es., è ancora influenzato dalla dottrina della pree-
sistenza della materia (Legat. 10).
Anche in ambito antropologico i dati scritturistici erano
esigui, riducendosi in sostanza al racconto della creazione
di Gen 1,26-27 e 2,7, ma qui la questione era più com-
plessa perché la filosofia greca aveva dato diverse defini-
zioni dell'uomo e la scelta dei cristiani era condizionata
dal dogma, ereditato dai Giudei, della resurrezione dei
corpi alla fine del mondo, del tutto estraneo alla mentali-
tà greca. Proprio perché si poteva armonizzare meglio
con questa convinzione, fu inizialmente preferita la con-
cezione aristotelica dell'uomo sintesi di anima e corpo a
quella platonica che distingueva nettamente le due com-
ponenti. Fu comunque respinta la dottrina platonica della
(24) Fu questa una convinzione pressocché concorde di tutte le
scuole filosofiche greche. Invece Giudei e cristiani sostenevano, su
Gen 1,1, la creazione del mondo ex nihilo da parte di Dio.
metensomatosi, appunto perché inconciliabile col dogma
della resurrezione dei corpi (25).
Se mettiamo a riscontro qualcuno dei passi degli Apolo-
gisti sopra citati col dettato evangelico, la differenza di
tono e di sensibilità balza evidente: eppure, a ben vedere,
in questa dilatazione e sistemazione iniziale del primitivo
dato di fede risultano ben tutelati i punti distintivi della
religione cristiana: soprattutto la storicizzazione del Lo-
gos in quanto fattosi carne, e poi la creazione del mondo
ex nihilo, la resurrezione finale dei corpi, la dipendenza
assoluta dalla grazia divina al fine della salvezza. La novi-
tà più consistente apportata dalla riflessione teologica
degli Apologisti è la dilatazione della componente cosmo-
logica, originariamente secondaria nel dato neotestamen-
tario e che invece ora tende addirittura a soverchiarne la
fondamentale dimensione soteriologica e perciò storica,
incentrata sul fatto dell'incarnazione. Lo spostamento del
centro di gravità del messaggio è il tributo che la teologia
del tardo I1 secolo ha dovuto pagare all'esigenza di uscire
dall'isolamento e stabilire il dialogo col mondo della cul-
tura, cioè della filosofia, greca.
' chiana a livello sia ortodosso (Ireneo) sia eretico (Noeto,
5. Cultura asiatica: concetto e limite
La cultura cristiana di cui ci stiamo occupando ha il suo
centro di gravità nella provincia di Asia (Efeso Smirne
Sardi): di qui sono originari Ireneo e Melitone, qui si
forma alla nuova fede Giustino; l'influsso di questi scrit-
tori e di questo ambiente raggiunge Teofilo ad Antiochia
e Tertulliano a Cartagine. Questa fioritura letteraria è il
corrispettivo, in ambiente cristiano, del grande essor cul-
turale delllAsia romana nel I1 secolo, caratterizzato dal
movimento detto della Seconda Sofistica e certo favorito,
se non occasionato, dalla floridezza economica e sociale
della regione. In ambito cristiano terremo anche conto
della sovrapposizione dell'influsso dell'apostolo Giovanni,
a tinta fortemente giudaizzante, sulla primitiva stratifica-
zione paolina, decisamente antigiudaizzante, e tale so-
(25) So10 graduaImente invece i teoIogi cristiani giunsero a libe-
rarsi della dottrina, comune a quasi tutte le filosofie greche, se-
condo cui il nous, parte razionale dell'anima, è di natura divina.
vrapposizione don riuscì certo indolore; ma la tensione
da essa provocata deve aver molto contribuito all'appro-
fondimento del keryg'ma primitivo (26). Possiamo perciò
caratterizzare con la definizione di « asiatica » la facies
culturale tipica del cristianesimo delllAsia romana, ma
ramificata - come abbiamo visto - anche altrove, fra il
I1 e il I11 secolo.
Questa definizione ha innanzitutto la funzione di caratte-
rizzare un tipo di cultura cristiana diversa da quella ales-
sandrina, che sarebbe fiorita poco dopo, e ad essa per più
aspetti in opposizione. Ma va subito rilevato che la cultu-
ra asiatica non presenta la compattezza e l'omogeneità tipi-
che della cultura alessandrina: p. es., l'esegesi alessandri-
na della Scrittura è caratterizzata dalla sovrapposizione
sistematica dell'interpretazione allegorica su quella lette-
rale, mentre gli Asiatici sono a volte allegoristi a volte
letteralisti, a seconda dei passi che interpretano. La dot-
trina trinitaria degli Alessandrini è la teologia del Logos,
che accentua la personalità del Figlio rispetto a quella-del
Padre, mentre fra gli Asiatici, accanto a questa dottrha
(Gustino Teofilo), è largamente presente quella monar-
i due Teodoti). Gli Alessandrini identificano rigidamente
la Sapienza veterotestamentaria col Figlio, mentre gli A-
siatici attestano anche l'identificazione della Sapienza con
lo Spirito santo (Teofilo, Ireneo). Sul piano della metodo-
logia e dell'attrezzatura tecnica, la cultura asiatica si pre-
senta meno rigorosa nell'approfondimento della ricerca e
meno unitaria negli indirizzi di base.
Ma nonostante questa minore omogeneità della cultura
asiatica rispetto all'alessandrina, è possibile rawisare in
essa alcuni caratteri largamente diffusi che le danno una
certa fisionomia unitaria proprio in contrapposizione ad
Alessandria. Fra gli Asiatici è largamente attestato un
accentuato materialismo, in cui si mescolano, a diversi
livelli, influssi popolari d'origine anche giudaica e influssi
colti di carattere filosofico (stoicismo). Anche un dichiara-
to platonista come Giustino professa un'escatologia mil-
lenarista, ch'è dire materialista. I riflessi di questa impo-
(26) Fra gli scrittori asiatici sembra ravvisabile una tendenza di
riserbo nei confronti di Paolo (Papia, Giustino), contrapposta a
una di piena adesione (Policarpo, Ireneo).
 1
stazione materialista sono evidenti in ambiti diversi, in
opposizione al più rigido spiritualismo alessandrino. Così,
mentre gli Alessandrini sottovalutano la componente u-
mana di Cristo rispetto a quella divina, gli Asiatici la
valorizzano in modo molto più pregnante: in quanto uo-
mo Cristo è immagine di Dio (Col 1,15) e mediatore fra
Dio e gli uomini (1 Tim 2, 5)' mentre gli Alessandrini as-
segnano queste funzioni al Logos divino preesistente al-
l'incarnazione. Sal 109,3 « Ti ho generato dal mio seno
prima della stella del mattino D, passo importante nelle
speculazioni trinitarie, dagli Alessandrini è riferito sem-
pre alla generazione del Logos divino dal Padre, mentre
gli Asiatici lo riferiscono anche alla nascita umana di
Cristo.
Mentre fra gli Alessandrini è prevalente la concezione
dell'uomo d'impostazione platonica, che giustappone ani-
ma e corpo, gli Asiatici preferiscono attenersi alla defini-
zione aristotelica, secondo cui l'uomo è sintesi di anima e
di corpo. Di conseguenza, mentre gli Alessandrini distin-
guono fra l'uomo a immagine di Dio di Gen 1,26 (= ani-
ma) e l'uomo di fango di Gen 2,7 (= corpo), gli Asiatici
identificano l'uomo a immagine di Dio con l'uomo pla-
smato dal fango della terra, col risultato che alcuni di
loro (Melitone) immaginano Dio in fattezze umane (an-
tropomorfismo). Tutta l'antropologia di Ireneo valorizza il
plasma, cioè il corpo, dell'uomo rispetto all'anima. L'esca-
tologia asiatica è prevalentemente millenarista, cioè ma-
terialista, mentre gli Alessandrini sono antimillenaristi. In
diverso contesto va ricordata l'osservanza quartodecimana
della Pasqua tipica degli Asiatici, come influsso di una
componente giudaica molto più rilevante che non nel
cristianesimo alessandrino.
capitolo terzo
verso maggiore apertura
e consapevolezza critica
1 . I cristiani nel giudizio
dell'intellettuale pagano: Celso 7
Solo al tempo di Marco Aurelio i cristiani cominciano a
interessare seriamente il mondo intellettuale pagano. In-
fatti le cursorie annotazioni di scrittori anteriori a que-
st'età, quali Tacito (Ann. XV 44) e Suetonio (Vit Ner. 16)'
ambedue relative alla persecuzione di Nerone, riecheggia-
no soltanto gli sfavorevoli giudizi e le accuse di carattere
popolare: i cristiani praticano una'superstizione nova exi-
tiabilis malefica, odiano il genere umano, compiono azioni
abominevoli. Epitteto (IV 7,6) definisce il loro eroismo
dinanzi ai supplizi frutto di abitudine, cioè di fanatismo
indurito.
Col tempo di Marco Aurelio (161-180) le testimonianze si
fanno non solo più numerose ma soprattutto più si-
gnificative, in quanto fondate su conoscenza più appro-
fondita della religione cristiana. Non è questo il caso di
Marco Aurelio in persona, il cui breve giudizio (XI 3)
ripete in sostanza quello di Epitteto: i cristiani affronta-
no la morte solo per ostinazione, spirito d'opposizione e
non per razionale valutazione. Ma Galeno (27)' che pure
rileva l'irrazionalità della loro fede, ammette che essi nel-
la vita pratica si comportino a volte da veri filos~fisia
(27) I1 passo ci è stato tramandato dallo scrittore arabo Abulfeda
(sec. XIV), ed. Fleischer, p. 109.
 per la moralità sia per-il disprezzo della morte. Anche
Luciano dimostra nel 'De morte Peregrini una certa co-
noscenza dei cristiani e del loro modo di vita: ce li
presenta che si fanno ingannare ingenuamente dalle im-
posturc di Peregrino, lo considerano uno di loro e lo
colmano di riguardi e onori di ogni genere, salvo a rima-
nerne amaramente delusi. Anche Luciano sottolinea il
modo acritico con cui i cristiani vivono la loro fede, ma
non calca la mano su di loro, ne rileva il disinteresse e la
sollecitudine nell'aiutare i fratelli in difficoltà: in definiti-
va li considera dei sempliciotti, pieni di entusiasmo per
la loro religione e facile preda di ogni impostore.
Ma molto di più di queste testimonianze di un interessa-
mento che in definitiva resta marginale, ci interessa il
Discorso veritiero che il filosofo platonico Celso indirizzò
ai cristiani verso il 180 (28). L'esortazione finale ad ab-
bandonare l'atteggiamento di disinteresse per la cosa
pubblica e a venire in aiuto dell'impero, che necessita
anche della loro collaborazione, non basta a riscattare il
tono di un'opera aspramente critica nei riguardi della
nuova religione, condotta con tono di sufficienza e di
superiorità, sempre atteggiato fra l'irritato e il sarcastico.
Celso si è interessato parecchio a conoscere i cristiani:
ha letto per lo meno il Vangelo di Matte0 (non però gli
Atti e le lettere di Paolo), alcuni libri delllAT e qualche
altro scritto di mano cristiana; è al corrente delle divi-
sioni che le eresie hanno provocato nella chiesa; non fa
carico ai cristiani delle accuse solite di carattere popolare
(incesti infanticidi, ecc.). Ma questa sua maggiore cono-
scenza non lo ha certo reso meglio disposto nei loro
confronti.
Rovesciando l'argomento dei furta Graecorum proposto
da Giustino (contro cui forse polemizza in forma diret-
ta) e altri, Celso fa carico ai cristiani di credere in un
patrimonio di dottrine assurde derivate da fraintendi-
menti del politeismo pagano e assommantisi nella fede
nel Dio dellJAT, capriccioso e crudele, e in un Dio incar-
nato, una vera assurdità incompatibile con l'armonia del-
l'universo. Gesù è stato una specie d'impostore e i suoi
seguaci, anche se non vi mancano persone capaci d'in-
(28) L'opera di Celso si ricostruisce in buona parte dalla confuta-
zione (Contro Celso) che ne fece Origene nel 248 ca.
terpretare all\egoricamente le storie delllAT attenuandone
l'irrazionalità, sono in massimalparte sciocchi e ignoranti,
illusi di ritenersi al centro della creazione e oggetto privi-
legiato della provvidenza divina. La loro fede irrazionale è
ostile a tutta la tradizione culturale e religiosa bei Greci,
fondata proprio sulla razionalità. Celso vede di malocchio,
insieme con i cristiani, anche i Giudei, ma questi almeno
hanno il merito di radicare la loro religione in un'antica
tradizione nazionale, mentre i cristiani non hanno tradi-
zione e fanno proseliti senza riguardo all'origine e alla
nazionalità: sono un popolo senza logos e senza nomos,
cioè estraneo alla ragione e privo di tradizioni.
2. La risposta alessandrina
La risposta da parte cristiana venne a Celso solo circa 70
anni dopo, quando nel 248ca. Origene ne confutò l'opera
nel Contro Celso. Egli non soltanto confuta i singoli ar-
gomenti dell'awersario ma ne rifiuta anche il tono di
superiorità, di chi si rivolge a dei minus habentes, e gli
dimostra l'impossibilità di contrapporre paganesimo gre-
co e cristianesimo come espressioni rispettivamente di
razionalità e irrazionalità. Intanto egli lo può fare in
quanto nei molti anni intercorsi fra le due opere il cri-
stianesimo si era molto evoluto sul piano culturale grazie
soprattutto all'apporto della cristianità alessandrina, di
cui proprio Origene fu il più significativo rappresentante.
Essa intese porre riparo proprio alle deficienze che Celso
aveva crudamente rilevato, e in tal senso maturò un'espe-
rienza decisiva per l'ulteriore vita della chiesa.
Per comprendere il carattere della cultura cristiana di
Alessandria, dobbiamo tener presente la centralità di
questa città nel mondo della cultura greca: se Atene ne
rappresentava la tradizione, Alessandria ne impersonava
la vitalità più feconda nell'incontro delle più disparate
correnti, che lì confluivano fin dal lontano Oriente, e nella
poliedricità degli interessi, non limitati alla filosofia ma
allargati alle lettere nel senso più.lato, alla filologia, alle
scienze. Qui il giudaismo ellenistico aveva tentato la sua
grande avventura nel tentativo di mettere d'accordo 1'AT
e Platone, e se il suo influsso si era già esercitato sugli
Apologisti, esso fu molto più profondo sugli esponenti
della cultura cristiana d'Alessandria stessa.
Gl'inizi di questa cultura sono avvolti nell'oscurità che
circonda le origini cristiane nella metropoli d'oriente:
Apollo (At 18,24), il rivale/collaboratore di Paolo, è per
noi poco piiz che un nome e l'origine alessandrina della
Lettera agli Ebrei e dello Ps. Barnaba sono ipotesi prive
di solido fondamento. Ma quanto ricaviamo da Clemente,
Origene e altre fonti fa capire che nel I1 sec. fra i cri-
stiani di Alessandria gli Gnostici la facevano da padroni,
almeno sul piano culturale; qui fiorirono le gnosi più
raffinate e insieme più cristianizzate (Basilide, Valentino e
seguaci), che si ponevano come rivelazioni di livello supe-
riore rispetto a1 deposito di fede ch'era patrimonio dei
semplici della chiesa cattolica, e perciò facevano presa
sui cristiani di maggior livello e ambizione culturale, che
erano di norma anche quelli di rango socialmente più eleva-
to (29), relegando la massa dei fedeli nel ghetto dell'igno-
ranza e della rusticitas. Furono gli Gnostici i primi che
approfondirono i temi centrali della dottrina cristiana
(Trinità, cristologia) e lo studio sistematico della Sacra
Scrittura. Solo lentamente, in ambito cattolico, si affila-
rono le armi per il contrattacco, un contrattacco teso al
recupero delle persone colte, sottraendole al monopolio
gnostico, e che perciò doveva necessariamente venire in-
contro alle loro esigenze culturali. Ne derivò una cultura
d'&e aperta soprattutto alla filosofia platonica e varia-
mente influenzata proprio dallo gnosticismo che intende-
va combattere: essa grazie al suo elevato livello non sol-
tanto contrastò le ambizioni intellettuali degli Gnostici
ma cominciò a far presa in modo consistente anche fra i
pagani d'elevata condizione, restati fino allora poco per-
meabili alla nuova fede, in quanto da essi considerata,
come abbiamo già rilevato, poco sensibile ai valori e alle
esigenze della cultura greca.
Lo strumento fondamentale di questo essor della cultura
cristiana di Alessandria fu la cosiddetta Scuola di Ales-
sandria, comunemente considerata come un centro di
studi superiori di esegesi scritturistica e di teologia, pa-
trocinato e controllato dal vescovo locale. Gode di poco
(29) Da Origene (presso Eus. HE VI 2,14) sappiamo che, al tempo
della sua giovinezza, un eretico di nome Paolo era il centro d'at-
trazione del salotto di una influente matrona della comunità cat-
tolica di Alessandria.
credito la Gotizia di Filippo di Side (PG 39,329) che fa di
Atenagora il primo scolarca, a vantaggio della successione
Panteno, Clemente, Origene, ricavata da dati di Eusebio
(HE V 10,1.4; VI 6 ) . Ma è preferibile considerare quelli di
Panteno e Clemente come insegnamenti di tipo privato
(come quello di Giustino a Roma), e far nascere il vero e
proprio Didaskaleion solo nel momento in cui Origene,
incaricato di dirigere la scuola catechetica della j i e s a di
Alessandria, divise l'insegnamento in due gradi e riservb
per sé quello di grado superiore, cui potevano accedere
anche i non cristiani. Poiché di Panteno, ammirato da
Clemente e Origene, sappiamo poco o niente, ci soffer-
miamo solo su questi due personaggi.
Clemente
Per avere subito idea dell'ambiente nel quale, fra il I1 e
il I11 secolo, Clemente opera e al quale si indirizza, basta
accostarci al suo Quis dives salvetur, in cui i precetti
evangelici che condannano la ricchezza sono interpretati
in senso accomodato: non è condannata la ricchezza in sé
ma l'uso della ricchezza non rivolto al bene, sì che il
cristiano ricco può continuare a dormire sonni tranquilli
perché non gli si pone il dilemma: o ricco o cristiano.
Anche il Pedagogo, un trattato di morale che scende fino
a questioni spicciole, ci fa intravedere la sua destinazione
allorché tratta di vesti, calzature, gioielli, acconciature di
lusso, e, se condanna il circo, non vi accomuna la pale-
stra, come invece aveva fatto il più rigoroso Tertulliano.
Ma non si pensi a un ideale elitario fondato sul censo o
sulla nascita: anche Clemente contrappone lo gnostico,
cioè il perfetto, al cristiano comune, ma il suo gnostico
non è, come per Valentino e compagni, un privilegia-
to di natura bensì uno che, con l'ascesi e lo studio, sa
adeguatamente approfondire il significato del deposito di
fede e perciò della sua adesione ad esso, senza acconten-
tarsi della catechesi elementare che si accompagna col
battesimo; e di tutti costoro Clemente vuole essere guida
e maestro. Orientato in questo senso, egli rifiuta la scelta
fra la raffinata deformazione del dato di fede, propria
degli Gnostici, e il semplicistico, gretto oscurantismo di
tanti loro avversari, nella convinzione che un'oculata a-
pertura alla cultura greca possa fornire gli strumenti per
to, creava nel discente una disposizione d'animo favorevo-
le all'accoglimento di quelle Scritture. Come tale, era de-
stinata a larga fortuna.
Origene
Nel replicare a Celso Origene difende i cristiani rozzi e
illetterati che quello aveva spietatamente messo alla ber-
lina, e in forza delle loro doti morali li prepone anche ai
filosofi pagani (Ctr. Cels. I 9, ; VI1 44.51); soprattutto non
ha remore ad opporre la sapienza di Dio alla sapienza del
mondo, ch'è stoltezza presso Dio (VI 13): questa è opera
di uomini, mentre quella deriva da forza divina (VI 2).
Quando però egli scrive non per replicare ai pagani, ma
per i cristiani - cioè, quasi sempre -, il suo atteggia-
mento verso la massa dei cristiani semplici e ignoranti è
molto meno benevolo, e continuamente egli biasima la
loro pigrizia che li fa contenti dell'infarinatura di cristia-
nesimo appresa nella istruzione prebattesimale: anch'egli,
come Clemente, contrappone a questa maggioranza di
semplici l'élite dei perfetti (30), cioè di coloro che senza
posa approfondiscono con lo studio e 1:ascesi la cono-
scenza di Dio e perciò il significato della loro fede. Lo
strumento essenziale di questo studio è la Sacra Scrittu-
ra, ma anche Origene, come Filone e Clemente, è convinto
che lo studio della filosofia pagana possa costituire un
buon avviamento per una migliore comprensione della
parola divina. Tale convinzione fu maturata anche dal-
l'esperienza personale: quando divise la scuola catecheti-
ca in due livelli e riservò a sé quello superiore, frequen-
tato anche da pagani (31), Origene avvertì la carenza di
(30) Ongene preferisce non chiamarli gnostici, come invece aveva
fatto Clemente, per evitare equivoci con i veri e propri Gnostici
eretici. Eusebio ( H E V I 6) presenta Origene come discepolo di Cle-
mente, nel contesto della sua presentazione delle diadochki dei
capi della scuola di Alessandria (cfr. sopra): ma c'è motivo di
dubitare di questo discepolato, anche se è fuori di dubbio che
Ongene conosca molto bene le opere di Clemente e ne sia in-
fluenzato.
(31) Cioè, da pagani che non avevano precisa intenzione di farsi
cristiani, come invece quelli che frequentavano la scuola di cate-
chesi prebattesimale, e che si rivolgevano a Origene come a un
maestro di filosofia cristiana.
specifica preparazione filosofica e frequentò la scuola del
filosofo platonico Ammonio Sacca.
L'atteggiamento teorico di Origene riguardo alla filosofia
greca è drcospetto, forse ancor più che quello di Clemen-
te: in Co. Cant. 75-76 Bae. riprende la dottrina dei furta
Graecorum, facendo derivare le parti della filosofia, etica
fisica enoptica, dai libri delllAT attribuiti a Salomone,
Proverbi Ecclesiaste Cantico dei Cantici; e soprattutto
riporta la capacità che ogni uomo ha di conoscere, alme-
no in parte, la verità alla partecipazione di ognuno, in
quanto dotato di ragione, a Cristo Logos, principio uni-
versale di razionalità (Princ. I 3,8). Ma la filosofia in "
parte è d'accordo e in parte in disaccordo con la rivela-
zione di Dio (Ho. Gen. 14,3), sì che se ne usiamo in modo
non prudente corriamo il rischio di cadere nell'eresia (ep.
ad Greg. 3). Ma proprio in questo testo (C. 2) Origene
giustifica l'utilizzazione della filosofia greca da parte dei
cristiani con l'allegoria dell'episodio dell'Esodo che rac-
conta come gli Israeliti, abbandonando l'Egitto, avessero
portato con sé l'oro e l'argento che avevano sottratto agli
Egiziani (12'35 S.): come quelli si servirono del materiale
sottratto agli Egiziani per preparare gli oggetti per il
servizio divino, così i cristiani si servono della sapienza
pagana per approfondire la loro conoscenza di Dio, in
quanto le scienze dei Greci possono introdurre allo studio
delle Sacre Sritture:
« Io mi augurerei che tu prendessi dalla filosofia dei Gre-
ci quelle che possono diventare - per così dire - disci-
pline generali e propedeutiche per il cristianesimo, e an-
che dalla geometria, come dall'astronomia, le nozioni che
potranno essere utili all'interpretazione delle Sacre Scrit-
ture (ep. ad Greg. 1).
Coerente con questo programma, sappiamo che Origene
nella scuola di Cesarea di Palestina iniziava i suoi allievi
allo studio della Scrittura mediante l'insegnamento pre-
liminare delle varie filosofie greche, ad eccezione di quelle
che negavano l'azione della prowidenza divina nel mon-
do, cioè I'epicureismo e, a livello minore, l'aristotelismo.
Rispetto a Clemente Origene si caratterizza soprattutto
per aver dato a questi principi teorici, nonostante il ri-
schio ch'essi comportavano, un'applicazione molto più or-
ganica e di vasto respiro. La speculazione origeniana, ap-
parentemente dispersiva, come trova concettualmente u-
nità nella dottrina di Cristo Logos, così la trova struttu-
ralmente nell'articolazione platonica dell'universo a due
livelli: mondo intelligibile e mondo sensibile, che di quel-
lo è immagine e pallido riflesso. A Ser. Mt. 27 Origene
sviluppa questa opposizione sotto tre aspetti: principianti
- umanità di Cristo - interpretazione letterale della
Scritturalperfetti - divinità di Cristo - interpretazione
spirituale (= allegorica) della Scrittura, nel senso che i cri-
stiani semplici e alle prime armi si contentano della co-
noscenza di Cristo qua homo e del senso letterale dei
sacri testi, cioè aderiscono alla realtà visibile, mate-
rialmente percepibile, mentre i perfetti progrediscono alla
conoscenza di Cristo qua deus, Logos Figlio di Dio, e del
significato spirituale della Scrittura, cioè passano dalla
conoscenza sensibile a quella intelligibile, di cui la prima
è soltanto il momento iniziale, propedeutico. Possiamo
aggiungere che l'applicazione del modulo platonico non si
ferma qui ma investe tutti gli aspetti della speculazione
origeniana, ch'è sempre tesa a passare dall'immagine al-
l'archetipo, dalla realtà sensibile a quella spirituale: Ori-
gene ha fondato, col Commento al Cantico, l'Omelia 27 su
Numeri e altri testi, la mistica cristiana; ed è mistica di
chiara impronta platonica nel proporre il progressivo di-
stacco dalle realtà terrene per poter gradualmente aderire
a Dio.
Per dare idea più concreta delle realizzazioni di Origene
in campo culturale, accenniamo brevemente ai Commen-
tari scritturistici e ai Principi. Dei caratteri dell'esegesi
origeniana non ci occupiamo in questa sede: qui richia-
miamo le sue opere più impegnative in questo campo
solo, per così dire, dall'esterno, in quanto già prima di lui
si erano scritte opere dedicate in modo specifico all'in-
terpretazione di ampi contesti e di intere opere della
Sacra Scrittura (Eracleone, Ippolito), ma Origene superò
di gran lunga tutto quanto si era fatto prima di lui. Già
le dimensioni enormemente dilatate (33 libri per com-
mentare tutto il Vangelo di Giovanni, 12 libri per com-
mentare solo i primi cc. della Genesi) ci mettono di fron-
te a un fatto nuovo nell'ambito delle lettere cristiane, a
un impegno che nell'approfondimento del testo sacro non
solo sa mettere a fnitto le conoscenze derivate dalla fa-
miliarità con la scienza e la filosofia greca ma soprattutto
sa inserire i testi biblici nella problematica su Dio, il
mondo, l'uomo, caratteristica della discussione filosofica
d'allora. All'impegno filosofico si unisce quello filologico:
le divergenze fra il testo ebraico delllAT e la traduzione
greca dei LXX, adoperata dai cristiani, provocavano di-
scussioni fra Giudei e cristiani d j cui il Dialogo con Tri-
fone di Giustino ci dà vari esempi. Origene affronta il
problema in maniera sistematica col ricorso ad altre tra-
duzioni greche (e, per il NT, al confronto fra le varianti
di più codici) con senso critico che ricorda la migliore tra-
dizione grammaticale e filologica alessandrina: siamo lon-
tani mille miglia dai balbettamenti di Giustino.
I quattro libri sui Principi già col titolo vogliono inserire
la u filosofia » cristiana nel dibattito che da secoli si svol-
geva fra le varie scuole filosofiche sulle archdi, cioè sui
principi primi dell'universo, e sappiamo di opere con lo
stesso titolo scritte da filosofi pagani (Longino, Dama-
scio). Nella prefazione Origene, presentando in breve il
contenuto della regola di fede cristiana, osserva che su
alcuni punti gli apostoli « espressero in forma chiarissima
il loro insegnamento a tutti i credenti, anche i meno
portati alla ricerca della scienza divina, ma lasciarono da
indagare la dimostrazione razionale dei loro enunciati » ai
più dotati; su altri punti invece hanno fatto solo qualche
accenno e ne hanno lasciato l'approfondimento alla ricer-
ca dei più diligenti (I, praef., 3). Sulla base della solita
distinzione semplici/perfetti, gli enunciati del deposito di
fede, alcuni più, altri meno definiti, sono ad uso dei
semplici che si accontentano del minimo indispensabile;
ma la spiegazione razionale, l'approfondimento di tali dati
è lasciato all'iniziativa di chi sente l'esigenza di vivere in
modo più impegnato la sua fede. I Principi vogliono per-
ciò essere non un manuale di catechesi elementare ma
una serie di studi volti ad approfondire questioni non
ancora definite e lasciate perciò alla ricerca dei più vo-
lenterosi. Sottolineiamo il termine ricerca: Origene sa di
addentrarsi in argomenti difficili e per i quali non è facile
proporre una soluzione soddisfacente sotto ogni aspetto;
si contenta perciò di proporre più che di definire e a
volte egli stesso propone più soluzioni alternative di una
stessa questione. Le archdi cristiane, Dio, il Logos, la
Trinità, il mondo, l'uomo, la fine (Origene vi ha aggiunto
una trattazione sulla Sacra Scrittura, in quanto fonte di
quelle conoscenze), vi sono trattate in continuo confronto
/
con i paralleli esiti della filosofia greca: discussioni su
conoscibilità/inconoscibilità, corporeità/incorporeità di
Dio, natura del Logos, origine e natura dell'anima, libero
arbitrio, destino dell'uomo, con confutazione del millena-
rismo materialistico asiatico. Sia per gli argomenti sia
per il modo così libero di trattarli nessuno scritto di
autore cristiano fu mai così aderente al più autentico
spirito della tradizione filosofica ellenica.
Origene aveva prospettato il pericolo che l'imprudente
uso della filosofia greca potesse essere fonte di eresia, e
proprio lui vi incorse con i Principi, che sollevarono cri-
tiche già quando furono scritti e poi via via a mano a
mano che si precisavano sempre meglio le linee del dogma
cattolico, nonostante il loro saldo fondamento scritturi-
stico. Torneremo su questo punto. Qui ci interessa rileva-
re l'eccezionale significato che tale opera ebbe in quel
delicato momento della storia della chiesa da un punto di
vista non solo dottrinale ma anche culturale: da una
parte rintuzzava ogni pretesa gnostica di superiorità intel-
lettuale rispetto alla chiesa cattolica, dall'altra veniva in-
contro alle esigenze di ogni colto lettore pagano, e si
presentava come il coronamento della grande iniziativa
volta ad elevare in modo sensibile il livello della cultura
cristiana. È perciò con piena consapevolezza che in alcu-
ni punti del Commento a Giovanni, discutendo l'interpre-
tazione dello gnostico Eracleone, Origene le rimprovera di
essere troppo semplicista (XIII 41.53) e cosi rovescia l'ac-
cusa che proprio gli Gnostici usavano rivolgere ai cattoli-
ci: il fatto che il grande amico di Origene sia stato Am-
brogio, un ricco gnostico da lui stesso convertito al catto-
licesimo, assume qui valore emblematico. Daremo lo stes-
so significato, nel confronto fra cristianesimo e cultura
greca, ai contatti che ricercarono con Origene pagani di
altissimo livello come il governatore d1Arabia e l'impera-
trice Giulia Mamea (Eus. HE VI 19, 15; VI 21,3-4).
3. Diffusione della cultura alessandrina
Abbiamo accennato alle critiche che incontrò in ambito
cristiano l'iniziativa culturale di Origene, accusata di
troppo concedere a Platone: esse ebbero il loro peso,
anche se non determinante, nella decisione del vescovo
alessandrino Demetrio di condannare Origene, costrin-
gendolo (230 ca.) a cercar riparo a Cesarea di Palesti-
na (32). Eppure la condanna e l'allontanamento di Orige-
ne non modificarono sensibilmente l'orientamento cultu-
rale esegetico e dottrinale che egli aveva dato alla Scuola
e di cui furono lasciati cadere solo alcuni punti che
sembrarono troppo aperti al platonismo (preesistenza
delle anime rispetto ai corpi, concezione troppo spiritua-
lizzante della resurrezione, apocatastasi): segno che, al di
là di certi aspetti del tutto originali e personali, l'iniziati-
va origeniana interpretava proprio le esigenze dell'élite
cristiana di Alessandria, quella che aveva il suo centro
nella Scuola e riusciva a controllare anche l'episcopato,
cui adirono, dopo Demetrio, vari capi della scuola, Era-
cla, Dionigi, Achilla, Pietro. D'altra parte, il trasferimento
. a Cesarea, dove Origene aprì una scuola, impiantava un
attivo centro di cultura alessandrina in area siropalesti-
nese, fino allora retaggio della cultura che <abbiamo
definito asiatica.
Nella seconda metà del I11 secolo questo organico com-
plesso di orientamenti filosofici teologici esegetici, che per
comodità definiamo globalmente come cultura alessan-
drina, tende a diffondersi, oltre i limiti della Scuola e dei
ceti colti di Alessandria, in Egitto e fuori d'Egitto a spese
della cultura asiatica e comunque di strutture di pensiero
molto più semplici e primitive, tipiche di un cristianesi-
,
mo di livello popolare (33). Le poche notizie che ci sono
giunte sulla storia del cristianesimo in Oriente in questo
periodo concordano nel rilevare l'asprezza dello scontro
sia in Egitto sia fuori d'Egitto. I duri contrasti che Dio-
nigi incontrò in Egitto con i Millenaristi di Arsinoe e con
i Monarchiani della Libia, gli episodi di Paolo di Samosa-
ta e di Luciano ad Antiochia, anche se ci sfuggono nei
(32) I1 motivo reale dell'allontanamento di Origene fu che il pre-
stigio di cui godeva e la libertà che usava nei confronti delle ge-
rarchie della chiesa non risultavano gradite al vescovo Demetrio,
fortemente accentratore.
I (33) Letteralismo nell'interpretazione dei testi sacri, escatologia mil-
lenarista, materialismo in campo antropologico, tendenze monar-
chiane: sono questi alcuni caratteri del cristianesimo di livello po-
polare con cui Origene spesso polemizza nei suoi scritti. Abbiamo
rilevato alcune di queste tendenze come caratteristiche della cul-
tura asiatica, anche se sono troppo generiche per poterne inferire
un influsso diretto delllAsia sulllEgitto.
dettagli (34)) vanno interpretati tutti insieme in modo u-
nitario, come episodi della resistenza delle culture locali
all'invadenza della cultura alessandrina, una resistenza
che, a seconda delle condizioni ambientali diverse da zo-
na a zona, si polarizzò di volta in volta su punti diversi.
Ma alla base di tutti ci fu il contrasto fra lo spiritualismo
platonico della Scuola e il materialismo di livello più o
meno popolare diffuso sia in Egitto sia altrove: di qui
discendeva in modo diretto la polemica antimillenarista;
e ad esso si riconnettevano sia in parte il contrasto in
materia trinitaria, fra la dottrina delle ipostasi (35) della
Scuola e il monarchianismo degli awersari, sia soprattut-
to quello di carattere esegetico, fra l'allegorismo della
Scuola e il letteralismo degli awersari: Nepote, il capo
dei Millenaristi di Arsinoe aveva scritto un trattato Con-
tro gli allegoristi (Eus. HE. VI1 24,2).
Tra la fine del I11 secolo e gl'inizi del IV la cultura della
Scuola, che possiamo definire indifferentemente alessan-
drina o origeniana, domina in Egitto (Pierio, Teognosto)
ove è decisivo l'appoggio del vescovo di Alessandria, ed è
vastamente diffusa in altre regioni d'Oriente, dalla Pale-
stina alllAsia Minore, dove però la cultura asiatica è tut-
t'altro che morta, e anzi, a sua volta, è in espansione
verso l'occidente, tanto più ricettivo in quanto il cristia-
nesimo lì era in condizioni di arretratezza rispetto a11'0-
riente. Non bisogna comunque pensare in Oriente a due
schieramenti rigidamente omogenei e contrapposti fra lo-
ro: ineluttabilmente si sono esercitati influssi reciproci, e
accanto a posizioni ben definite, come quella di Eusebio
in senso alessandrino e di Marcello in senso asiatico,
siamo in condizione di cogliere, nonostante la scarsa do-
cumentazione, anche posizioni contaminate: Metodio d'O-
limpo è asiatico per il millenarismo e l'antiorigenismo di
certe posizioni, ma risente l'influsso deli'esegesi allegoriz-
zante e dello spiritualismo platonico degli Alessandrini.
Una pagina dell'origeniano di Palestina Panfilo (PG
(34) Su questo punto cfr. il mio art. Il millenarismo in Oriente d a
Origene a Metodio, in Corona gratiarum (Festschrift E . Dekkers),
Bmgge 1975, p. 333 ss.
(35) Questa dottrina, formulata da Ongene, considerava Padre Fi-
glio Spirito santo come tre ipostasi, cioè tre individualità sussi-
stenti nell'ambito della Trinità divina. Gli avversarsi le rimpro-
veravano di essere triteista.
17,543 ss.), nonostante la voluta genericità, ci dà chiara
impressione non soltanto dell'asprezza della lotta in area
siropalestinese agl'inizi del IV secolo, ma anche degli esiti
confusi in quanto a posizione di singoli personaggi, tanto
più che la lotta tendeva ormai a polarizzarsi intorno alla
personalità e l'opera di Origene.
4. Altra attività culturale
e nuove critiche dei pagani: Porfirio
L'attività culturale della Scuola di Alessandria fu la sola
iniziativa organica, in questo ambito della vita cristiana,
di cui siamo a conoscenza. Ma cib non esclude che a
livello individuale si sia operato da più parti sia al fine
specifico di cercare un accordo fra fede cristiana e filo-
sofia greca sia al fine più generico di promuovere esigen-
ze culturali nella società cristiana. Ancora una volta ri-
cordiamo la scarsa documentazione superstite sulla storia
del cristianesimo della seconda metà del I11 secolo per
spiegare la carenza di dati concreti; comunque, ai fini del
nostro discorso, è opportuno tener presente la grande
espansione che il cristianesimo ebbe nel I11 secolo, anche
in conseguenza della crisi dell'impero che metteva in for-
se le radicate certezze su cui da secoli era fondata la
società pagana e spingeva a cercare altrove un ubi consi-
stam, di fronte al disgregarsi delle strutture economiche
sociali amministrative dello stato. Proprio in forza della
loro moltiplicazione, i cristiani non costituivano più un
corpo separato e appartato nella vita della società, ma
ormai vi si erano in gran parte integrati con una disin-
voltura che scandalizzava i rigoristi, come Tertulliano. Ci
si aggiunga la politica di sincretismo religioso promossa
da Alessandro Severo, con esplicita apertura anche verso
il cristianesimo, e si capirà agevolmente come tutto que-
sto intrecciarsi di rapporti abbia favorito anche il collo-
quio fra le due culture e abbia contribuito a innalzare il
livello culturale della società cristiana fra reciproche ,in-
terferenze: se ancora agl'inizi del secolo Tertulliano e
Ippolito di Roma non ammettono che un cristiano possa
fare il maestro di scuola perché questa attività lo co-
stringerebbe al quotidiano contatto con gli dei di Omero
e di Virgilio, alcuni decenni dopo il prete Malchione in-
segna retorica nelle scuole pubbliche di Antiochia (Eus.
HE VI1 29,2) e Anatolio, futuro vescovo di Laodicea,
viene incaricato di insegnare filosofia aristotelica ad Ales-
sandria (VI1 32,6). Di contro, la Vita di Apollonio di Tiana
(una sorta di santone, spesso contrapposto a Cristo dai
pagani) scritta dal retore Filostrato agl'inizi del 111 se-
colo risente in modo diretto l'influsso dei Vangeli.
Non si deve comunque pensare che sistematicamente un
buon livello di cultura abbia implicato atteggiamento li-
berale nei confronti della filosofia greca; infatti, se questa
era la norma, non mancarono eccezioni, come ci dimostra
il caso di Ippolito, che abbiamo or ora ricordato. Da una
parte egli è rigorista su tutta la linea, non vuole perciò
contatti contaminanti col mondo pagano, e nella Confuta-
zione di tutte le eresie - lo abbiamo già ricordato -
mette in sistematica relazione filosofia greca ed eresia
critiana e fa derivare le varie eresie dalle diverse scuole
filosofiche. D'altra parte egli è uomo di cultura, in rap-
porto con la famiglia dell'imperatore Alessandro Severo, e
questa sua cultura « scientifica D e filosofica volentieri
mette in evidenza sia nei computi cronologici della Cro-
naca sia negli spunti platonici presenti nei pochi fram-
menti superstiti del trattato Sull'universo (36). Con i Se-
veri fu in contatto anche Giulio Africano, palestinese no-
nostante il nome, che fu incaricato di organizzare una
biblioteca pubblica a Roma e i cui Kestdi (= Ricami,
opera di carattere miscellaneo) trattavano degli argomen-
ti più vari, dall'arte militare all'agricoltura: caso pressoc-
ché unico, nell'epoca, di un cristiano che scrive non in
diretta connessione con le esigenze della vita della sua -
comunità religiosa.
La grande fioritura che ha in questa epoca la filosofia
platonica in ambito sia cristiano sia pagano - siamo al
tempo di Origene e Plotino, ambedue discepoli di Ammo-
nio Sacca, che sembra esser passato dal cristianesimo al
paganesimo - indubbiamente avrà facilitato i contatti
culturali fra cristiani e pagani, e certi filosofi platonici,
come Numenio e Amelio, ebbero una certa simpatia per il
cristianesimo, della cui letteratura veniva ammirato so-
(36) Pur risiedendo a Roma, Ippolito scrive in greco, che del re-
sto al suo tempo era la lingua ufficiale della comunità cristiana del-
la capitale.
prattutto il prologo del Vangelo di Giovanni. Di contro,
se Plotino si limitò a polemizzare contro il dualismo de-
gli Gnostici, in quanto sprezzatore del mondo sensibile, e
si mantenne riservato nei confronti dei cristiani, il suo
discepolo Porfirio attaccò a fondo questi ultimi in uno
scritto che fu di gran lunga il più importante di quanti
furono composti contro di loro nell'antichità. Egli, che in
gioventù probabilmente ricevette una certa iniziazione
cristiana, già nella Filosofia degli oracoli si era occupato
di Gesù e dei suoi discepoli, ammirando quello come un
théios anér, cioè uomo divinamente ispirato, e biasiman-
do questi per averlo indebitamente onorato come Dio; ma
più tardi, intorno al 270, affrontò l'argomento in modo
ben più esaustivo, scrivendo il Contro i cristiani in 15
libri. L'opera è andata perduta, salvo alcuni frammenti e
testimonianze, che ci permettono comunque di ricostruir-
ne i caratteri essenziali.
Porfirio fonda la sua critica sulla conoscenza diretta delle
Sacre Scritture, di cui aveva pratica ben superiore a quel-
la di Celso e che sottopone a una confutazione serrata.
Fra gli scritti delllAT si occupa a fondo del libro di
Daniele, dimostrando che non era stato composto al tem-
po di Nabuchodonosor, come l'autore voleva far credere,
ma al tempo della dominazione macedone. Egli è convin-
to che gli evangelisti siano stati non gli storici ma i
falsari della vita di Gesù e sottopone le loro opere a un
esame comparativo al fine di farne scaturire le contrad-
dizioni e le inverosimiglianze. I1 suo atteggiamento verso
Gesù non è più così favorevole come nella precedente
opera ma, per quanto si ricava dai frammenti, sembra
essere abbastanza moderato pur nella negazione di ogni
attributo divino. È invece particolarmente violento nei
confronti di Pietro, ai cui danni adduce i passi neotesta-
mentari che lo presentano in luce sfavorevole (negazione
di Cristo, incidente con Paolo ad Antiochia, ecc.) per
rilevarne l'indegnità come capo, e di Paolo, che considera
un ciarlatano pieno di vana gloria. Si occupa anche dei
riti cristiani, e aborre soprattutto l'eucaristia, che gli ap-
pare una specie di atto di cannibalismo. Non disdegna di
gettare l'occhio anche sulla società cristiana del suo tem.
po, criticando il modo con cui venivano eletti i vescovi e
l'ingerenza delle donne nobili che disponevano a loro pia-
cere delle dignità ecclesiastiche. E se ammira Origene,
riporta il meglio del suo insegnamento1all'influsso della
cultura greca. In complesso Porfirio sfrutta contro il cri-
stianesimo proprio il suo rovesciamento dei correnti va-
lori mondani, la contrapposizione della sapienza di Dio
alla sapienza del mondo, l'absurdum della fede che tanto
esaltava Tertulliano: in una parola, egli, come Celso, vede
nel cristianesimo un'accozzaglia di miti irrazionali, che
costituiscono la negazione del razionalismo ellenico.
L'opera di Porfirio, per l'ampiezza e la documentazione
della sua critica, deve aver fatto profonda impressione
allorché fu conosciuta, e tale impressione fu durevole,
come indicano le ben tre dettagliate confutazioni (tutte
andate perdute) che da parte cristiana furono composte
fra la fine del I11 e la metà del IV secolo (Metodio,
Eusebio, Apollinare). La sua osservazione che i cristiani si
servivano dell'interpretazione allegorica dell'AT per elimi-
narne certi tratti che, letteralmente intesi, risulterebbero
indegni di Dio, ha avuto il suo peso nella storia dell'ese-
gesi scritturistica. In ambiente pagano la sua iniziativa fu
seguita, qualche decennio dopo, da altre similari, allorché
Diocleziano e Galerio scatenarono l'ultima grande perse-
cuzione, facendola appunto fiancheggiare da un'offensiva
anche sul piano culturale. Lattanzio ci parla di due opere-
del genere, senza nominare gli autori (Div. Inst. V 2): la
più importante, di cui da altra fonte sappiamo che fu
scritta da Ierocle, governatore della Bitinia, si ispirava in
modo evidente all'opera porfiriana.
5. Apologia e storia
Attivi nei primi anni del IV secolo, testimoni della svolta
costantiniana e da essa fortemente influenzati, Lattanzio
ed Eusebio, per quanto ben caratterizzati l'uno rispetto
all'altro in modo inconfondibile, presentano però un lato
in comune: in loro l'apologia si fa più matura, più rifles-
sa e tocca la storia; e questo è un momento importante
nello sviluppo dell'attività letteraria e culturale in senso
lato dei cristiani. Infatti mentre fino allora questa attività
era stata rivolta, nelle sue diverse espressioni (apologia,
esegesi, catechesi, polemica antieretica, ecc.), alle necessi-
tà presenti della comunità e in proiezione sull'awenire, la
riflessione storica implica il rivolgersi all'indietro a rime-
ditare sul passato, anche se sempre in vista del presente
e dell'avvenire; e questo ripiegarsi all'indietro è insieme
effetto e causa di sempre maggiore autoconsapevolezza;
coscienza critica del proprio esserci e operare nel mondo,
in concorrenza con altre forze.
Lattanzio
In Occidente, stante la maggiore distanza rispetto alla
zona d'origine, il cristianesimo si diffonde con ritardo e
con maggiore lentezza che in Oriente, e questo ritardo si
riflette anche in campo culturale. Finora infatti ci siamo
occupati quasi esclusivamente di personaggi e fatti del
ci-istianesimo orientale, ad eccezione dell'Africa e di Ro-
ma, cioè delle due aree occidentali in cui la penetrazione
del cristianesimo fu più rapida. Perciò, prima di venire a
Lattanzio basterà ricordare, alla metà del I11 secolo, Ci-
priano, il vescovo di Cartagine, in quanto perfetto esem-
plare (o quasi) del cristiano colto così come lo voleva
Tertulliano: Cipriano infatti, nonostante l'accuratissima
formazione classica e il suo classico modo di esprimersi,
diventato cristiano ha messo da parte gli autori della sua
giovinezza e si è tutto dedicato alla Sacra Scrittura e alla
vita della comunità. Non solo mancano in lui le citazioni
di Virgilio e altri, che spesseggiano in Tertulliano, e an-
che i semplici riecheggiamenti sono rarissimi, ma è pro-
prio il suo modo di pensare che ormai sembra prescinde-
re da quella formazione classica ed è totalmente penetra-
to di Sacra Scrittura e sensibile soltanto a problemi e
tematiche cristiane: egli non polemizza - come invece fa
Tertulliano - con la cultura pagana, perché per lui è
come se essa ormai non esistesse più.
Non è questo il caso del retore Lattanzio, il cui atteggia-
mento verso la cultura pagana assomiglia invece a quello
di Tertulliano: rifiuto in teoria, ma larghe concessioni
nella pratica. Ma rispetto a quella di Tertulliano l'evolu-
- zione politica di Lattanzio è stata perfettamente inversa:
mentre quello era passato dal tiepido e già incrinato lea-
lismo di Apolog. 30-33 a un più radicale rifiuto dei valori
della romanità (cfr. p. es., Idol. 18,8; 19,2), invece Lat-
tanzio, dalla posizione critica delle Divinae Institutiones,
in cui considera l'impero romano frutto di violenza e di
ingiustizia (VI 4,22; VI1 15, 15-17, ecc.), a seguito della
svolta costantiniana passa a un apprezzamento positivo
dei valori della romanità (37): nel De mortibus persecuto-
rum egli presenta gl'imperatori persecutori dei cristiani
come barbari estranei e nemici degli autentici valori della
tradizione romana (9,2; 17,2; 23,5, ecc.). Di tale tradizio-
ne, del resto, per influsso stoico filtrato attraverso Cice-
rone e Seneca, nei 11. V e VI delle Institutiones egli aveva
apprezzato soprattutto i principi di carattere morale e
sociale, giustizia, equità, humanitas, cui l'apporto cristia-
no conferiva nuovo e più valido significato al fine del
perfezionamento dell'uomo e della realizzazione delle sue
autentiche capacità e aspirazioni. Ma per tornare al De
mortibus persecutorum, in questa opera, scritta nello spi-
rito del nuovo rapporto fra impero e chiesa inaugurato
da Costantino, Lattanzio rimedita sulle persecuzioni subi-
te dai cristiani, da Nerone fino a Diocleziano e Galerio e
le descrive in modo da dimostrare una duplice tesi: 1)
gl'imperatori persecutori sono stati cattivi imperatori; 2)
la provvidenza divina ha proweduto a punirli in modo
esemplare. L'opera ha evidente finalità apologetica ma il
suo taglio è di carattere storico, sì che, nonostante le
inesattezze e le grossolane forzature di cui è gremita e la
stessa superficialità della tesi di fondo, va apprezzata co-
me inaugurante un momento nuovo, più riflesso, di va-
lutare, da parte cristiana, il rapporto con l'impero, in
una visione globale che implica appunto una, sia pur
embrionale, riflessione storica.
La stessa capacità di rimeditare, ma non più che super-
ficialmente, sul passato, riscontriamo in un contesto del
tutto diverso, questa volta di carattere letterario, a Div.
Znst. V 1: per caratterizzare bene la sua grande opera
apologetica, Lattanzio la mette a confronto con altri
scrittori cristiani anteriori a lui. Minucio ha fatto bene
ma si è limitato solo all'Octavius, Tertulliano pecca nella
forma e perciò risulta molto oscuro, Cipriano ha scritto
molto e bene, ma solo ad uso dei cristiani, sì che i pagani
non lo possono capire ed apprezzare. È ovvio che questi
giudizi Lattanzio li ha dati al solo scopo di valorizzare, al
confronto, la sua opera, completa (rispetto a Minucio),
(37) Nella Epitome delle Divinae Institutiones, che Lattanzio scris-
se in tempo successivo, gli spunti antiromani dell'opera sono at-
tenuati o soppressi.
ben scritta (rispetto a Teitulliano), coinprensibile anche
dai pagani (rispetto a Cipriano): ma ancora una volta va
rilevata la capacità di creare una certa prospettiva stori-
ca, tanto più significativa in quanto è di storia letteraria.
Basta questo passo a mettere in chiaro l'ambizione di
Lattanzio di scrivere un'opera tale da offuscare quanto
prima di lui si era scritto da parte cristiana in lingua
latina: in effetti i 7 libri delle Divinae Institutiones si
presentano come una sumuna della religione cristiana, con
un'iniziale pars destruens (l 1.1-111) polemica nei con-
fronti della religione e della filosofia pagane, seguita da
una pars construens (11. IV-VII), che tratta di dottrina
morale escatologia. Ma nonostante l'evidente ambizione
l'opera è molto ineguale: meglio riuscita quando polemiz-
za con la religione pagana e tratta di morale, rivela sotto
l'aspetto dottrinale gravi carenze, confermate da altri
scritti lattanziani (De opificio dei). I1 fatto è che Lattan-
zio ignora quasi del tutto I'AT (38) e conosce ben poco di
letteratura cristiana, forse solo i tre autori su ricordati e
di Tertulliano non certo i trattati più tecnici, sì che
quando, come nel 1. IV, tocca argomenti teologici (il Lo-
gos, ecc.), li illustra facendo ricorso proprio alla sapienza
profana le cui insufficienze aveva tanto eloquentemente
illustrato nel 1. 111, soprattutto a Platone Corpus Herme-
ticum Oracoli sibillini. Apprezza lo spiritualismo platoni-
co ma, influenzato dalla cultura asiatica, è millenarista e
addirittura presenta talvolta Dio con tratti antropo-
morfi (39).
Ci siamo soffermati a rilevare le carenze della formazione
specificamente cristiana di Lattanzio, perché essa rappre-
sentò tutt'altro che un fatto isolato nell'ambito della cri-
stianità di lingua e formazione latina del suo tempo:
Arnobio rivela più o meno analoghe carenze, alcuni de-
cenni dopo Mario Vittorino presenterà forti ' scompensi
fra una completa preparazione platonica e una difettosa
(38) Le sue uniche conoscenze in argomento sembrano per lo più
ristrette ai passi selezionati da Cipriano nei suoi Testimonia ad
Quirinum, che furono appunto un ampio florilegio biblico.
(39) Cfr. V. Loi, Lattanzio, Zurich 1970, p. 136 ss. e anche indica-
tivo delle scarse conoscenze di Lattanzio in materia di letteratura
cristiana il fatto che egli descrive il beato regno millenario con i
colori dell'età dell'oro già usati dai poeti pagani e con citazioni
virgiliane.
preparazione scritturistica. Su questa base possiamo fa-
cilmente ipotizzare situazioni più o meno analoghe in
molti cristiani colti dell'epoca. I1 fatto è che il cristiane-
simo s'imponeva come fatto di religione e di morale, si
che i pagani, che ad esso si convertivano, spesso non
awertivano l'esigenza di approfondirlo culturalmente, sul-
la base, cioè, dello studio della Sacra Scrittura e, al tem-
po di Lattanzio, anche della specifica letteratura cristiana,
ormai diventata ragguardevole per quantità e qualità.
Eusebio
Non è certo questo il caso di Eusebio di Cesarea, che inve-
ce ci dà la figura del cristiano dotto nello spirito ales-
sandrino: buona cultura pagana, ottima conoscenza della
Scrittura e delle lettere cristiane, da cui gli derivò la
capacità di operare sintesi più valide, ancorché non
sempre molto profonde.
Eusebio
-- avvertì molto le critiche rivolte da Porfirio (40) e
altri al cristianesimo: religione senza tradizione e senza
razionalità, da professare solo per fede da parte di minus
habentes, e intese confutarle con un'intrapresa apologeti-
ca di inusitato impegno, articolata in due momenti
(314-320 ca.): Preparazione evangelica, in 15 libri, contro i
pagani, per dimostrare l'irrazionalità della religione poli-
teista e le lontane autentiche origini del cristianesimo;
Dimostrazione evangelica, in 20 libri, contro i Giudei, per
dimostrare la realizzazione delle profezie delllAT in Cristo
e nella chiesa. Ambedue i temi erano tradizionali nell'apo-
logetica cristiana, ma nuova è la ricchezza di documenta-
zione, in PE dedotta soprattutto da fonti pagane, e so-
prattutto nuovo è il taglio storico della tesi svolta in
quest'opera, che qui più direttamente c'interessa. Eusebio
sfrutta il duplice nome Ebrei e Giudei, ormai usati dai
cristiani come equivalenti con sfumatura peggiorativa in
Giudei, e opera fra loro una netta distinzione: col nome
di Ebrei egli designa dieci antichi patriarchi, da Enos a
Mosè, i quali nell'imbarbarimento dell'uomo seguito al
peccato di Adamo, hanno conservato integro il rapporto
con Dio e praticato una religione libera e senza costrizio-
(40) Si ricordi che Eusebio scrisse una confutazione del Contro i
cristiani di Porfirio, andata perduta come l'opera del pagano.
ni (VI1 6,4); Giudei invece sono i loro discendenti, che in
Egitto a contatto con gli Egiziani hanno smarrito le virtù
dei padri e ai quali Dio ha inviato Mosè per liberarli
dalla servitù degli Egiziani e assoggettarli alla servitù
della Legge, necessaria per correggere i loro corrotti co-
stumi (VI1 8,37-39). Per altra via derivano da Mosè e
dalla scienza dei patriarchi anche i filosofi greci che di lì,
e dalla forza della ragione, hanno attinto le loro cono-
scenze, ma solo in modo parziale e infetto dall'errore (X
1,4; X 4,28-29).
Mentre Giudei e Greci discendono dagli antichi Ebrei
attraverso un processo di degenerazione, i cristiani per
mezzo dell'esatta interpretazione delle profezie delllAT si
sono ricongiunti nel modo più puro e completo a quegli
antichi progenitori, rinnovandone l'integrità religiosa: es-
si sono la terza razza (triton génos ) (41), intermedia fra
Greci e Giudei, più antica di tutte, che di recente il
Salvatore ha fatto conoscere a tutte le genti (DE I 2,8).
Non è perciò inesatto definire cristiani anche quegli anti-
chi Ebrei (HE I 4,s-6). Forte di questa convinzione, Eu-
sebio non ha difficoltà a respingere l'altra accusa, quella
di irrazionalità, che veniva mossa ai cristiani: il cristia-
nesimo si può dimostrare razionalmente (PE I 3,2), o-
bietta Eusebio ed enumera: successo della predicazione )
evangelica, realizzazione delle profezie, benefici apportati
all'umanità, purezza di costumi (I 3,7-I 4,13); può perciò
conchidere che credono per fede solo i semplici e gli
ignoranti, mentre ognuno che sappia seguire una dimo-
strazione logica deve accogliere la razionalità del suo ar-
gomentare (I 5,2-3). In effetti, è talmente razionale la
presentazione della religione cristiana che dà Eusebio,
che da essa è del tutto rimosso lo scandalo della croce, in
armonia con la visione ottimistica della simbiosi chie-
sa-impero ispirata al nostro autore dalla politica di Co-
stantino.
Tale convergenza, che prospettava ad Eusebio la realizza-
zione terrena del regno messianico, s'innestava in lui su
una escatologia antimillenarista, che lo portò a scrivere la
Cronaca, serie di cronologie parallelè, ebrea, greca, egi-
(41) Questa definizione dei cristiani rimontava al I1 secolo: cfr.
Arist. Apol. 2, Clem. Stram. V I 5,41, che cita la Predicazione di
Pietro.
ziana, ecc., corredata da alcuni dati storici, per controbat-
tere le analoghe opere, di tendenza millenarista, di Ippo-
lito di Roma e di Giulio Africano. A noi qui interessa
rilevarvi l'abbandono dei calcoli cronologici relativi alla
fine del mondo, tipici dei millenaristi, e l'esigenza di una
documentazione attendibile, per cui l'opera inizia non da
Adamo, ma da Abramo.
Ma Eusebio è soprattutto l'autore della Storia ecclesiasti-
ca (= HE), abbozzata già prima del 311 ma completata in
modo definitivo parecchi anni dopo, che idealmente si
collega con PE e DE per tracciare una storia teologica
dell'umanità, culminante appunto nella storia del cristia-
nesimo: nella prospettiva della svolta costantiniana essa
diventava la storia della vittoria del cristianesimo e del-
I'instaurazione, grazie a Costantino, del regno messianico
(X 9,8-9). Eusebio fu ben consapevole di scrivere un'opera
del tutto nuova (I 1 , 3 ) , che solo alla lontana si poteva
rifare alle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio, e all'i-
nizio delinea accuratamente i limiti della materia: suc-
cessioni episcopali, persecuzioni, eresie, contrasti con i
Giudei, personaggi che si sono illustrati con l'azione e con
gli scritti ( I 1, 1-2). L'opera, che si fonda su una vastissi-
ma documentazione relativa alla precedente letteratura
cristiana (42), addotta spesso in forma diretta, e mette a
frutto una sensibilità, oltre che storica, anche filologica,
derivata dal contatto con le opere di Origene, può appari-
re ineguale e anche superficiale all'esigente lettore mo-
derno; ma essa, col suo ripiegarsi a tracciare la tormen-
tata storia della terza razza e l'inserire tale storia nella
trama della storia di tutta l'umanità (Cronaca PE DE), di
cui veniva a costituire il coronamento, apriva la via a una
concezione totalizzante e tipicamente cristiana della sto-
ria del mondo, vista appunto come storia della salvezza
dell'uomo peccatore per volere e opera di Cristo, destina-
ta a larga fortuna. Ecco perché questa opera rappresenta
un momento importante nella storia della cultura e del
pensiero cristiani.
(42) Eusebio ricavava in gran parte questa documentazione dalla
biblioteca che Origene aveva costituito a Cesarea.
68
capitolo quarto
la cultura cristiana
nell'impero cristiano
1. La svolta costantiniana e i suoi riflessi
sullo sviluppo della cultura cristiana
Abbiamo già rilevato quanto la politica di collaborazione
instaurata da Costantino nel rapporto fra impero e chiesa
abbia influenzato l'impostazione ideologica di Lattanzio e
di Eusebio: essa infatti fece sentire i suoi effetti in cam-
po culturale, così come in ogni altro ambito della vita
cristiana. Ma per poterli valutare in modo adeguato, è
opportuno qui rammentare di passaggio quello che fu il
carattere distintivo della cultura tardo-antica, così come
si venne delineando durante la grande crisi del 111 seco-
lo e si definì durante la ripresa del IV: è cultura essen-
zialmente scolastica e manualistica, nel senso che, pur
riecheggiando modelli e motivi classici, non li sa rivivere
a livello più impegnativo che non sia quello della scuola.
Le discussioni fra i dotti (Macrobio e altri) sono quelle
tipiche della scuola, gli autori studiati si limitano in mas-
sima parte a quelli in uso nella scuola, mentre si diffonde
sempre p i ì ~l'uso di manuali e florilegi. La cultura si
restringe a circoli ristretti, aristocratici, e si fossilizza in
compiacimenti esclusivamente formali. La scuola è molto
curata dall'autorità pubblica, ma è ristretta a pochi e
soprattutto finalizzata alle esigenze della burocrazia im-
periale, sì che l'entusiasmo con cui gl'ideali della classici-
tà vengono rivissuti da pochi non riesce a penetrare in
profondità. Questi sono i caratteri tipici della cultura

pagana dell'epoca; ma i cristiani, anche se i loro interessi
culturali erano di ben altra vitalità, ne furono variamente
influenzati.
Chiusa questa breve indispensabile parentesi, rawisiamo
subito la conseguenza culturalmente più vistosa della
svolta costantiniana in una permeabilità della società
cristiana all'influsso della cultura pagana molto maggiore
di quanto non fosse stato prima. A prima vista questa
constatazione può sorprendere, in quanto, almeno in linea
astratta, si potrebbe pensare che il trionfo del cristiane-
simo dovrebbe averne esaltato i più profondi motivi ispi-
ratori, che in campo culturale non spingevano certo all'a-
pertura verso il mondo pagano. Ma in realtà il senso
della politica di Costantino fu tutt'altro che quello di
consegnare l'impero in mano ai cristiani; anzi, se mai, fu
proprio l'inverso: tramite l'accordata libertà di culto, il
cristianesimo viene inserito nella struttura dell'impero, vi
diventa subito un elemento portante, vi esercita influenza
anche notevole, ma non riesce a modificarne l'impianto, e
a sua volta ne subisce forte l'influsso. I1 fatto è che, se,
considerati in astratto, i principi informatori della chiesa
nascente, con la loro tensione escatologica, coll'invitare a
vivere nel mondo come se non vi si appartenesse più,
poco concedevano alle lusinghe della cultura pagana, nel-
la realtà della vita d'ogni giorno - come abbiamo già
ampiamente rilevato - essi erano dovuti scendere subi-
to a patti con quella cultura: lo aveva imposto, se non
altro, la stessa esigenza di presentare il messaggio cri-
stiano in forma accessibile ai Greci, a greci, non solo
illetterati ma anche colti e perciò esigenti sul piano cul-
turale. Ci si aggiunga che la grande espansione che il
cristianesimo aveva avuto nel I11 secolo aveva ottenuto il
risultato di inserire più profondamente i cristiani nel tes-
suto della società pagana e aveva indebolito la forza di
quei principi ispiratori, soprattutto la tensione escatolo-
gica.
Con la svolta costantiniana la mondanizzazione della
chiesa aveva avuto sensibile accelerazione perché l'afflusso
di nuovi adepti diventava di giorno in giorno più massic-
cio; e se prima alla base della conversione al cristianesi-
mo c'era per lo più una impegnativa motivazione esisten-
ziale, adesso spesso si diventa cristiani per seguire la
moda o addirittura per interesse e opportunismo. Anche
quando l'adesione è sincera, difficilmente l'abbandono del-
la vecchia religione fa sentire il nuovo impegno in antite-
si inconciliabile con la vecchia cultura: si diventa cristia-
ni per religione, ma si resta romani o greci per cultura,
tanto più che la coincidenza fra impero e chiesa fa senti-
re anche al cristiano l'orgoglio di essere greco o romano
di fronte al barbaro. Si deve anche considerare che l'ade-
sione dei nuovi adepti al cristianesimo assumeva forme
diverse da caso a caso: c'era la conversione completa ma
c'era anche il compromesso fra antico e nuovo: pensiamo
ai cosiddetti demichrétiens. Accanto a casi ben conosciuti
- Sinesio e il ben più superficiale Ausonio (43) - chissà
quanti altri ne dobbiamo immaginare; e se talora il
compromesso era addirittura di natura religiosa, quanto
più facilmente sarà stato di natura culturale (44). Del
resto siamo ormai in un'età in cui molti non diventano
ma nascono cristiani, per i quali la fede è un fatto di
abitudine più che di scelta e perciò, in molti casi, di mi-
nore impegno; è difficile pensare a cristiani del genere
come ad avversari della cultura pagana.
In definitiva, soltanto dove c'è vera « conversione D, cioè
non soltanto e non tanto passaggio da paganesimo a cri-
stianesimo quanto passaggio da una vita mondanizzata a
un totale impegno cristiano, si può porre il vecchio pro-
blema della compatibilità di questo impegno totale con
l'attaccamento ai valori della cultura pagana. I1 dilemma
si pone ormai a livello personale: santità e/o cultura,
come puntualizza bene il rammarico del vecchio Agosti-
no: « Mi dispiace di aver dedicato molto tempo alle di-
scipline liberali: infatti molti santi le ignorano del tutto,
(43) Sinesio, ricco cristiano di Cirene agl'inizi del V secolo, accet-
tò di essere eletto vescovo della città a patto di poter continuare
a professare alcune dottrine platoniche: è esempio di convergenza
dello spiritualismo platonico con la religione cristiana. i1 poeta
gallo Ausonio, di poco anteriore, formalmente cristiano, continua
nella sua poesia le tematiche tipiche della poesia pagana con solo
marginali aperture in senso cristiano.
(44) L'arte cristiana di questo periodo e anche del I11 secolo ri-
vela analoghe, se non più evidenti, influenze pagane: basti pensare
all'orante, la tipica figurazione catacombale, che deriva dalla tra-
sposizione di un tema figurativo pagano, e a Cristo rappresentato
simbolicamente sotto l'aspetto di Orfeo. Nell'ipogeo di Via Latina
l'uso del simbolismo è così esteso che in certi casi gli studiosi
sono incerti se trovarsi di fronte a figurazioni pagane o cristiane.
e invece alcuni che le conoscono, non sono santi » (Retr.
I 3,4). Esamineremo più in là alcuni esempi tipici di
questa perdurante tensione. Ora ci limitiamo a rilevare
che in definitiva la via del compromesso finì sempre, o
quasi, per imporsi anche là dove l'impegno cristiano era
profondo, lungo la linea tracciata da Clemente e Origene:
le discipline della paideia greca costituivano per il gio-
vane cristiano un ottimo avviamento allo studio delle Sa-
cre Scritture e perciò all'acquisizione di una cultura spe-
cificamente cristiana.
Abbiamo già avuto occasione di rilevare come, nonostante
certe prese di posizioni in contrario (Tertulliano), gli
scrittori cristiani non avessero mai avuto remore ad e-
sprimersi secondo i canoni della retorica tradizionale,
soprattutto là dove l'occasione imponesse elevatezza di
tono. Ma ora il venir meno, in molti, anche delle residue
riserve nei confronti della cultura pagana e l'imporsi di
nuove esigenze in campo letterario potenziarono di molto
l'adeguamento dei nuovi contenuti cristiani alle forme
della retorica e della poesia tradizionali, e il gran fiorire
delle lettere cristiane greche e latine fra il IV e l'inizio
del V secolo evidenziò al massimo. questo adeguamento.
Lo illustriamo con due esempi significativi.
Nell'Oriente greco il gusto del bel parlare aveva da sem-
pre profonde radici, sì che l'oratoria cristiana, che s'in-
centrava nell'omelia di origine giudaica, coll'avvento dei
nova tempoua fu chiamata a nuovi e più vari impegni.
Fra questi ebbe particolare rilievo l'annuale celebrazione
dei martiri nella ricorrenza del loro dies natalis (45). I
cristiani erano da più di un secolo adusi a celebrarlo in
forma semplice, a volte ricordando i fatti del loro marti-
rio con documenti scritti, che avevano dato origine a un
genere letterario, quello degli Atti dei martiri, tipicamen-
te cristiano. Ma nel IV secolo il culto dei martiri vide
aumentare enormemente la sua popolarità, che giunse a
provocare punte di fanatismo, e la semplice celebrazione
tradizionale si adeguò alla nuova esigenza: nasce così il
panegirico del martire, che diventa un pezzo forte dell'o-
ratoria cristiana, e lo diventa proprio mercé il più sco-
perto ricorso a tutte le risorse offerte dalla retorica clas-
(45) Cioè, nel giorno anniversario della loro morte ( = inizio della
vita i,mmortale).
sica. Basilio, Gregorio di Nissa proclamano a chiare lette-
re I'incongruenza di celebrare il martire cristiano con i
lenocini dell'eloquenza pagana (PG 31,489; 46,896), ma
essi stessi non soltanto continuano a farne uso scoperto
ma addirittura nella struttura dei loro panegirici risento-
no, sia pur saltuariamente, l'influsso delle norme che re-
golavano la struttura dell'elogio pagano. Si avverte in
loro l'esigenza di rinnovare i vecchi schemi ma anche
l'incapacità di farlo. E se Giovanni Crisostomo è più libe-
ro rispetto allo schema dell'elogio pagano, la sua adegua-
zione ai moduli stilistici della retorica tradizionale è
completa (46). Ecco come un genere tipicamente cristiano
si modifica in modo radicale adeguandosi a nuove esigen-
ze espressive che impongono il ricorso alla eloquenza
classica: ennesima variazione di un tema di base, quello
che impone di adeguare la presentazione del messaggio
cristiano alle capacità e alle esigenze degli ascoltatori per
facilitarne l'assimilazione.
In Occidente l'oratoria cristiana non assurse a tali fastigi.
Qui ebbe invece fortuna la poesia, e ancora una volta
assistiamo alla combinazione di contenuto cristiano e
forma classica: Ambrogio, più sensibile e prudente, si
limita a contenuti elementari espressi nella forma altret-
tanto elementare del dimetro trocaico; ma altri, come
Ilario e Prudenzio, fanno ricorso ai metri più sofisticati
della tradizione lirica, in ossequio alle tendenze classiciste
dominanti nella poesia pagana dell'epoca: Ilario nonL
sembra abbia avvertito alcuna remora ad esprimere, nel-
l'inno Ante saecula qui manes, un contenuto di teologia
trinitaria tutt'altro che elementare in strofe tetrastiche di
gliconei e asclepiadei minori alternati, mentre Prudenzio
di lì a poco avrebbe celebrato le glorie dei martiri in
distici elegiaci e in strofe saffiche (Peristeph. carm. 4.8).
È evidente in questi tentativi l'intenzione di adeguare i
contenuti cristiani ai livelli formali più elevati della tra-
dizione classica anche, se pur non esclusivamente, al fine
di rimuovere il vecchio pregiudizio, che considerava il
cristianesimo religione di persone rozze e illetterate. Co-
me ben sappiamo, questo rilievo trovava fondamento
(46) Su ciò cfr. M. 6imonetti. Sulla struttura dei panegirici di
S. Giovanni Crisostomo, Atti dell'Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, 1953, p. 159 ss.
73

soprattutto nella Sacra Scrittura, in complesso così ion-
tana dalla sensibilità classica per forma e contenuto. E se
' ,
l'esegesi allegorica, p. es. di Ambrogio, rimuoveva al gio-
vane Agostino le difficoltà di contenuto, restavano però
quelle provocate dalla forma, soprattutto delle rozze tra-
duzioni dal greco in latino: si pensi ancora al disgusto
del giovane Agostino. Ad ovviare a questo inconveniente,
tutt'altro che trascurabile, se Damaso pensò saggiamente
ad una revisione di queste traduzioni, altri si proposero
addirittura di trasporre il contenuto scritturistico in versi
esametrici: ecco il senso delle parafrasi bibliche, p. es. di
Giovenco, che a noi sembrano oggi esercitazioni scipite e
inutili e che però al tempo loro cercavano di venire in-
contro ad una esigenza realmente sentita.
Ma, al di là del classicismo della forma, le parafrasi
evangeliche di Giovenco e le poesie di Prudenzio, come di
Paolino di Noia e altri, sono soprattutto documento di un
modo nuovo di sentire l'impegno cristiano nelle lettere.
Fino allora, salvo rarissime eccezioni, la produzione lette-
raria dei cristiani era stata finalizzata completamente alle
esigenze della comunità, dottrinali, liturgiche, -apologeti-
che, catechistiche, ecc., e a tali finalità era subordinato
anche l'evidente impegno stilistico di alcuni (Minucio,
Tertulliano, Clemente nel Protrettico, ecc.). Ora invece, se
gli inni di Ambrogio sono ancora destinati all'uso liturgi-
co, lo stesso non si può dire di tanta altra poesia, di
Prudenzio, Paolino, ecc. I1 contenuto è cristiano, ma la
finalità è, per così dire, privata, e a tale impegno eccle-
sialmente più mediato si accompagna volentieri un pizzi-
co per lo meno di esibizionismo e di terreno amore per il
plauso dell'ammirato lettore e ascoltatore: si pensi, in tal
senso, a tanta poesia autobiografica di Gregorio Nazian-
zeno. E proprio il Nazianzeno ci presenta l'esempio più
tipico di come spiriti pur profondamente cristiani potes-
sero non soltanto ricercare anche il plauso personale ma
addirittura coltivare, accanto a forme letterarie diretta-
mente impegnate in senso .ecclesiale, anche una letteratu-
ra d'evasione o comunque non al servizio diretto delle
esigenze della comunità:, è il caso di tante lettere di
Gregorio, che nell'ep. 51 ha scritto addirittura un memo-
randum su come si doveva comporre una lettera, secondo
le sofisticate norme di questo genere lettei-ario che allora
ebbe larga diffusione fra le persone colte proprio come
74
modello di letteratura di evasione. Accanto a epistolari
totalmente finalizzati all'impegno ecclesiale dei loro autori
(Basilio, Ambrogio, Agostino) (47), quello di Paolino di
Nola, nonostante il tono cristiano degli argomenti trattati,
si configura soprattutto come espressione del desiderio di
intrattenere amicali rapporti con un certo numero di cor-
rispondenti di larga notorietà (48).
Ma quando parliamo di sensibilità e tendenze nuove nelle
lettere cristiane non intendiamo affatto restringerci a
questi casi di relativo disimpegno. In un ambito fonda-
mentale per la cultura cristiana, quale quello della esege-
si scritturistica, mentre gli Alessandrini portano avanti la
loro esegesi improntata a spiritualismo e allegorismo, in
altre regioni d'Oriente si reagisce in nome di maggiore
aderenza alla realtà immediata, vorrei dire materiale, del
testo biblico. Tratteremo altrove l'aspetto tecnico di
questa reazione: qui basti rilevare come essa sia appunto
il risultato di un modo nuovo di vivere il rapporto col
testo sacro, nel quale le vaste aperture di carattere scien-
tifico che caratterizzano l1Esamerone di Basilio (p. es.,
hom. 7 e 8) si danno la mano con l'evidente interesse di
Teodoro di Mopsuestia per i fatti della storia d'Israele di
cui egli si occupa nel Commento ai profeti minori. Questi
fatti interessavano l'alessandrino soltanto in quanto anti-
cipazione o simboli dei fatti di Cristo e della chiesa; ora
invece l'esegeta antiocheno li apprezza di per sé, come
mero fatto storico, anche se di storia sacra. Proprio que-
sto modo più « moderno » di sentire la propria fede in
aderenza al dato scritturistico inteso nel senso più sem-
plice e diretto, senza tener conto di tradizioni anche con-
solidate, ch'è caratteristico dell'ambiente antiocheno tra
la fine del IV e l'inizio del V secolo, porterà in campo
dottrinale a prese di posizione gravide di conseguenze,
quali, p. es., l'avversione di Nestorio per il titolo di Ma-
dre di Dio tradizionalmente attribuito a Maria.
Per precisare meglio i caratteri della cultura cristiana in
questo momento di grande espansione del cristianesimo,
è -opportuno
--- - -fermare in modo- più puntuale la nostra
-
- - -- -- -
(47) In Basilio non mancano, soprattutto per il tempo anteriore
all'episcopato, lettere di carattere meno impegnato.
(48) Basilio e il Nazianzeno furono, fra l'altro, in rapporto episto-
lare con i famosi retori pagani Libanio e Temistio.
attenzione su due argomenti specifici, la scuola e il mo-
nachesimo.
La scuola
Abbiamo avuto già più volte occasione di rilevare la buo-
na organizzazione scolastica greco-romana, che reggeva in
complesso saldamente anche nel Basso Impero, nonostan-
te lo scadere della cultura pagana, che appunto in essa
trovava il suo baluardo e la restante linfa vitale. I cri-
stiani sentivano tale scuola come incompatibile con la
loro fede, in quanto imperniata su Omero (in Occidente
su Virgilio) e altri autori che erano veicoli dei tradiziona-
li miti politeisti; ma ben poco avevano potuto fare per
contrastarla, salvo ad affiancarle una parallela istruzione
privata cristiana fondata sullo studio della Scrittura: è il
caso di Origene, figlio di un maestro di scuola, che a
scuola riceve I'istruzione tradizionale e a casa viene ini-
ziato allo studio dei sacri testi. Del resto, se i rigoristi,
come Tertulliano e Ippolito, negavano che un cristiano
potesse fare il maestro di scuola, proprio il caso di Leo-
nida, i1 padre di Origene poi morto martire, e quelli già
ricordati di Malchione e Anatolio dimostrano come anche
in questo campo l'incompatibilità sul piano teorico cedes-
se il passo al compromesso nella pratica.
Anche quando, nel corso del IV secolo, la chiesa diventò
sempre più influente fino a diventare religione di stato e
perciò in teoria avrebbe potuto far qualcosa per mo-
dificare quella situazione, tutto restò immutato. Per
spiegare questo atteggiamento dobbiamo tener conto di
quanto sopra abbiamo notato circa l'integrazione della
chiesa nella struttura della società di allora; e la scuola
era componente essenziale di questa struttura, sì che la
sua sopravvivenza stava a cuore non soltanto all'autorità
politica ma anche a tanti cristiani che non intendevano
affatto rinunciare alla loro identità greca o romana. Or-
mai anche là dove l'impegno cristiano era più profondo,
l'esistenza della scuola pagana non era messa in discus-
sione: Basilio nel Ai giovani (49) considera lo studio delle
(49) L'opera, che Basilio indirizzò a due suoi giovani parenti che
si accingevano ad intraprendere gli studi, ebbe fortuna immensa,
e stabili in modo definitivo per l'oriente anche bizantino i modi
della utilizzazione cristiana degli autori classici.
Sacre Scritture troppo impegnativo, con i loro misteri,
per giovani in tenera età, che invece nella istruzione clas-
sica acquisteranno le attitudini necessarie per poter in
seguito affrontare quello studio, così come l'istruzione
ginnica deve precedere quella militare (C. 2):
« Dato che alla nostra vita dobbiamo giungere per mezzo
della virtù, per spingerci ad essa molte cose hanno detto
i poeti, molte gli storici, molte di più i filosofi, alla parola
dei quali bisogna soprattutto applicarsi. Infatti è non
poco utile che l'anima dei giovani acquisti familiarità e
abitudine con la virtù, poiché tali insegnamenti, se s'im-
primono in profondità grazie alla malleabilità delle ani-
me, diventano irremovibili » (C. 3). Dato però che negli
autori classici si trova il bene misto col male, bisogna
saper scegliere, prendere la rosa ed evitare la spina (i-
bid.).
In una situazione scolastica di tal genere diventava fon-
damentale, per la buona riuscita degli studi del giovane
cristiano, la scelta del maestro, cioè di un maestro cri-
stiano in grado di operare sugli autori classici la selezio-
ne auspicata da Basilio. Ecco perché gl'intellettuali cri-
stiani furono così profondamente sconvolti dal prowedi-
mento di Giuliano che inibiva ai cristiani l'insegnamento
degli autori pagani e di fatto confessionalizzava una scuo-
la che, nonostante gli autori che proponeva, nella pratica
era agnostica. Ma quello di Giuliano fu solo un breve
intermezzo, e l'innovazione di Apollinare padre e figlio, di
parafrasare in verso classico i Salmi per aggirare la proi-
bizione giulianea, non ebbe seguito, in quanto tutto tornò
come prima: la scuola classica fu adattata alle esigenze
di una scolaresca cristiana attraverso la cristianizzazione
dei maestri, fermi restando i tradizionali programmi di
studio.
Quanto all'istruzione specificamente religiosa, cioè fonda-
ta sullo studio della Sacra Scrittura, abbiamo notizia di
scuole private, come quelle di Diodoro e Apollinare ad
Antiochia, ma l'esempio del Didaskaleion alessandrino,
cioè di una scuola organizzata e gestita con l'intervento
diretto dell'episcopato, ebbe poche imitazioni: ricordiamo
la scuola di Nisibi, poi trasportata ad Edessa, nell'interno
della Siria; e la stessa scuola di Alessandria, nonostante
l'insegnamento di Didimo nella I1 metà del IV secolo, già
dagl'inizi di questo secolo era in decadenza. In complesso
abbiamo l'impressione che l'insegnamento della Sacra
Scrittura sia stato coltivato, anche se con interesse, non
però dovunque con l'impegno e il rigore che ci saremmo
aspettati, soprattutto in Occidente, nonostante qualche
lodevole eccezione.
I monaci e la cultura
Fra le varie cause che determinarono l'origine e il rapido
sviluppo del movimento monastico in Egitto a partire già
dalla fine del I11 secolo e subito dopo in Siria e in altre
regioni d'oriente, fu fondamentale l'esigenza di vivere
l'esperienza cristiana in modo più integrale e radicale, e
perciò mercé l'allontanamento dalla società, in cui la chiesa
si andava ormai inserendo in modo sempre più impegna-
tivo, mondanizzandosi sempre più. Tale stato d'animo già
di per sé non si' presentava favorevole all'apertura verso
la cultura greca, che costituiva uno dei massimi fattori di
quella integrazione; e di fatto i primi monaci egiziani e
siriani erano di umili, spesso umilissime origini, perciò
ignoranti del tutto, o quasi, a volte neppure capaci di
esprimersi in lingua greca. Sappiamo che Antonio, I'ini-
ziatore della vita eremitica, era totalmente illetterato (A-
than. Vita Ant. 72). È owio perciò che in questo ambien-
te non si guardasse di buon occhio alla scienza profana e
ai suoi cultori: anche un autore come Palladio, di simpa-
tie origeniane, a proposito di Melania, dice che « ella poté
liberarsi di quella che falsamente è detta scienza » (Hist.
Laus, 55,3); e poi soprattutto la controversia origeniana a-
cuì la diffidenza, anzi spesso l'odio per la filosofia greca, ma-
dre di vanità che si oppone alla vera religione (50). Vera
filosofia per il monaco è l'ideale di vita cristiana perse-
guito con globalità e coerenza, ideale di perfezione asceti-
ca intesa in senso pratico più che teorico, mentre all'atti-
vità intellettuale si rimprovera sia di «gonfiare » alla
maniera paolina, cioè di provocare sentimenti di orgoglio
e di autosufficienza, sia di occupare in modo troppo e-
sclusivo lo spirito del monaco, distogliendolo da un più
diretto contatto con Dio. In effetti la vita monastica fu
vista non solo dai pagani ma anche da molti cristiani
(50) Su questo cfr. A. J. Festugière, Les moines dlOrient I , Paris
1961, p. 75 ss. Sulla controversia origeniana vedi infra, C. 5 , l .
come la negazione stessa degli ideali dell'ellenismo: quel-
la vita di rinunce, di sacrifici volontari spinti spesso fino
all'eccesso, le stranezze di comportamento tipiche di mol-
ti monaci si proponevano come l'antitesi del razionalismo,
del senso della misura e della compostezza, e anche della
gioia di vivere, tipici dell'ideale della paideia greca.
Ma l'ideale di vita monastica per tempo si diffuse anche
fra i cristiani di condizione più elevata; e se in Egitto e
in Siria la base del reclutamento monastico rimase popo-
lare, pur se con molte eccezioni, in Palestina, dove i
pellegrinaggi in Terra Santa attiravano cristiani d'ogni
parte, spesso di elevata condizione, che poi lì si fermava-
no, la base monastica fu senz'altro di livello culturale più
elevato. Queste persone di più elevata condizione sociale
portavano anche nella vita monastica esigenze che impo-
nevano almeno una certa acculturazione. Non si trattava
di ambizione letteraria, esibizionismo e simili: il fatto è
che certe esigenze intellettuali e culturali sono ormai
connaturate in queste persone, che perciò non possono
vivere il loro ideale cristiano sulla falsariga della povera
gente. Sentono l'esigenza non solo dell'ascesi, ma anche
della riflessione sull'ascesi, perciò di una dottrina spiri-
tuale, che possa indirizzarli meglio verso l'unione con
Dio. Hanno bisogno di una guida non qualunque, ma
sapiente; e a quel tempo (siamo più o meno alla metà del
IV secolo) il solo autore cristiano che potesse venire
incontro a queste loro esigenze era Origene, la cui mistica
di tipo platonico, impostata sul- distacco dell'anima dai
beni terreni, s'incontrava proprio con l'istanza fondamen-
tale di ogni ideale monastico.
Origene diventa perciò l'autore di questi monaci, e Orige-
ne significa una precisa scelta culturale, che necessa-
riamente contemplava l'apporto della cultura profana.
Contribuì ad accrescerne la fortuna l'opera di Evagrio
Pontico, un allievo dei Cappodoci trapiantato a menar
vita monastica in Egitto, nel deserto della Nitria, verso la
fine del secolo. Fu un origeniano entusiasta, che accentuò
e radicalizzò le idee del maestro fino a professare l'annul-
lamento dell'individualità dell'anima del monaco nel Lo-
gos come risultato della deificazione dell'uomo. L'influsso
che Evagrio esercitò sugli ambienti monastici d'Egitto e
Palestina fu grandissimo, e con lui I'origenismo s'impian-
tò saldamente in certi monasteri, mentre da altri veniva
respinto. Anche qui Origene diventò segno di contraddizio-
ne, a puntualizzare due diverse scelte culturali, che a-
vrebbero provocato in un prossimo futuro polemiche e
contrasti a non finire.
2. Tecnicisrno teologico e platonismo cristiano
I1 IV secolo fu il secolo della lunghissima e tormentosa
crisi ariana: i suoi esiti furono decisivi in campo dottri-
nale, ma si fecero avvertire anche in ogni altro ambito
della vita cristiana, anche quello culturale, che qui ci
interessa.
Già da tempo, più o meno dagli ultimi decenni del, I1
secolo, le esigenze della polemica contro gli eretici di
varia estrazione avevano spinto i teologi cattolici, come
del resto i loro avversari, a precisare in modo inequivoco
i loro concetti per mezzo di un linguaggio di natura tec-
nica, dedotto owiamente dalla filosofia greca, platonica,
stoica, aristotelica. Termini come physis natura, ousia
essenza sostanza, hypostasis sostanza individuale, proso-
pon persona, hypokéimenon sostrato, sono solo alcuni
di molti che danno a certi contesti di Ippolito, Tertullia-
no (51), soprattutto di Origene, tono squisitamente tecni-
co pur nell'ambito di una discussione che si fonda so-
prattutto sulla interpretazione di certi passi-chiave della
Scrittura. Durante la controversia ariana, ben più com-
plessa e laboriosa di ogni altra precedente, e tale da
impegnare teologi delle più disparate provenienze, neces-
sariamente le discussioni tesero a diventare a mano a
mano sempre più tecniche, in quanto solo il ricorso a una
terminologia ben precisa era in grado di fissare bene i
concetti delle parti in lotta. I cattolici s'indignarono per i
procedimenti rigidamente sillogistici con i quali l'ariano
Aezio, intorno alla metà del secolo, articolava il suo di-
scorso, ma quando Basilio e Gregorio Nisseno replicarono
al suo discepolo Eunomio, non ebbero remore ad espri-
mersi in forma altrettanto, o quasi, tecnica, proprio per-
(51) Tertulliano trasportò questa terminologia in latino: p. es., rese
il greco prdsopon con persona; e fissò così la terminologia tnnita-
ria e cnstologica in lingua latina.
ché solo così potevano prevalere sull'avversario, e insieme
dimostrare al lettore che la padronanza della strumenta-
zione filosofica non era vanto dei soli Ariani. D'altra par-
te, in omelie predicate al popolo (Eusebio di Emesa, Ci-
rillo di Gerusalemme) gli stessi argomenti sono proposti
in forma più accessibile, con l'astensione, certo voluta, da
termini troppo tecnici. Si parla con linguaggi diversi in
relazione ai diversi destinatari del discorso, sì che la
stessa polemica si articola in due diversi livelli espressivi.
Non siamo ancora giunti ad una vera e propria frattura,
perché la discussione resta sempre ben ancorata al fon-
damento scritturistico, ma certo ci troviamo di fronte a
una sfasatura, destinata a potenziarsi progressivamente,
durante le discussioni cristologiche del V secolo e oltre,
fino a sfociare, nel V I secolo, nelle astrazioni sillogistiche
di Leonzio e altri polemisti antimonofisiti, del tutto e-
straneee alla comprensione di un lettore non pienamente
specializzato e perciò avulse da ogni risonanza in ambien-
ti più popolari.
I1 ricorso da parte sia ariana sia cattolica agli strumenti
offerti dalla tradizione filosofica greca ai fini dell'appro-
fondimento delle rispettive dottrine è solo un segno del
progressivo affermarsi della filosofia negli ambienti colti
della società cristiana. Già dicemmo come la diffusione
della cultura alessandrina in Oriente comportasse la
diffusione del platonismo, che a quella cultura forniva la
base filosofica; il complesso andamento della controversia
ariana favorì l'ulteriore espansione di questa filosofia e di
questa cultura a spese della cultura asiatica, i cui due
ultimi validi rappresentanti, Eustazio di Antiochia e Mar-
ce110 di Ancira, violentemente antiorigeniani, furono tra-
volti dalla reazione antinicena fra il 328 e il 336 (52). Alla
fine della controversia, negli ultimi decenni del IV secolo,
predomina largamente nell'ecumene cristiana, da Oriente
ad Occidente, una koinè culturale di forte impronta ales-
sandrina (spiritualismo, allegorismo, ecc.), che però aveva
dovuto attenuare le sue punte radicali nella dottrina tri-
nitaria e trovava comunque forte opposizione in ambiente
(52) Su questi due personaggi cfr. anche infra C. 5 , l . Per il contra-
sto fra cultura asiatica e cultura alessandnna cfr. sopra C. 2 , s
e 3.3.
antiocheno sia per la prassi esegetica sia per la dottrina
cristologica (53).
Comunque, la diffusione del platonismo cristiano fu conse-
guenza non solo della diffusione della cultura alessandri-
na ma anche della grande fioritura del neoplatonismo
pagano, di Plotino, Porfirio e altri, che influenzò larga-
mente i teologi cristiani, mentre anche Filone incontrava
buona fortuna. È ovvio che non mancarono neppure a-
desso gli oppositori della filosofia; anzi, proprio lo spetta-
colo offerto dalla controversia ariana, con i suoi intermi-
nabili dibattiti largamente tributari di termini e concetti
di origine filosofica, alimentava le diffidenze di chi conti-
nuava a considerare l'eresia un prodotto della filosofia
greca. Epifanio di Salamina, nello scritto antieretico Pa-
narion, presenta addirittura le varie filosofie greche come
vere e proprie eresie cristiane, in quanto assume l'orto-
dossia cristiana come parametro atemporale di verità.
Ma nonostante queste resistenze, il platonismo dilaga nel
IV secolo: Origene diventa l'autore delle persone colte, e
accanto a lui, in ambienti più filosoficamente selezionati,
Plotino e perfino Porfirio, nonostante il suo attacco al
cristianesimo: la comune matrice spiritualista favoriva
l'utilizzazione anche dei filosofi pagani da parte di chi
sapeva distinguere e perciò selezionare ciò che in quelli
vi era di accettabile o no da parte di un cristiano. Anche
l'occidente viene coinvolto da questa voga platonica, e
qui l'interferenza fra platonismo pagano e cristiano trova
puntualizzazione emblematica nella conversione al cri-
stianesimo di Mario Vittorino, retore famoso e traduttore
in latino di opere di Plotino e Porfirio. Ma più di lui,
rimasto troppo estraneo alla più antica tradizione teòlo-
gica cristiana, contribuirono a diffondere il platonismo in
Occidente Ilario, volgarizzatore di Origene nel Commento
ai Salmi, e soprattutto Ambrogio, che fondò la sua prepa-
razione culturale cristiana sulla lettura di Origene, Filone,
Plotino. Nella stessa Milano di Ambrogio un altro centro
di diffusione del platonismo fu costituito da Manlio Teo-
doro, che influì non poco sull'evoluzione culturale e spiri-
tuale di Agostino, ma del quale troppo poco sappiamo.
Già in precedenza (C. 2,4) abbiamo cercato di precisare
(53) Si ricordi quanto abbiamo accènnato poco fa sul carattere
u moderno D della teologia antiochena.
82
in breve come e quanto l'apporto della filosofia greca
avesse contribuito allo sviluppo della dottrina cristiana.
Ora aggiorniamo altrettanto in breve quel consuntivo.
Fra il I11 e il IV secolo la riflessione teologica trinitaria
si sviluppa sulla base di una terminologia e una tematica
impostate sui concetti di natura, sostanza, persona, cioè
concetti essenzialmente statici, tipici della riflessione filo-
sofica greca su Dio, là dove il messaggio neotestamentario
presenta Dio in modo essenzialmente dinamico. Non so
quanto sia valida la decisa contrapposizione che certi
studiosi affermano fra il dinamismo delle categorie di
pensiero semite e la staticità di quelle greche: la defini-
zione di Trinità che Origene dà a Princ. I 4,3: « forza
divina, capacità di creare e beneficare » è quanto mai
dinamica; e d'altra parte era naturale che il messaggio,
giungendo fra Greci, fosse interpretato secondo le catego-
rie di pensiero in essi connaturate. Ciò che invece qui
interessa rilevare è che gli esiti della controversia ariana
modificarono in modo decisivo due punti della precedente
riflessione. trinitaria che erano stati influenzati in modo
evidente dalla filosofia greca del tempo: 1) allo schema
che subordinava il Figlio al Padre quale mediatore unico
fra Dio e il mondo si sostituisce uno schema orizzontale,
egalitario, in cui si affiancano le tre persone divine, Padre
Figlio Spirito santo, partecipi della stessa natura, azione,
dignità (54); 2) in quello schema il Figlio, Logos divino,
era visto insieme creatore reggitore redentore del mondo,
con accentuazione della componente cosmologica della
sua attività; invece ora l'attività creatrice è riportata al-
l'intera Trinità, cioè a Dio nel suo complesso, e l'azione
specifica di Cristo è limitata alla redenzione, con maggio-
re aderenza al dato neotestamentario. Insomma, su am-
bedue questi punti la teologia cristiana giunge, alla fine
del IV secolo, a risultati che ridimensionano l'iniziale in-
flusso della filosofia greca.
Se passiamo alla cristologia, che fu al centro dell'interes-
se a partire dalla fine del IV secolo, più che certe discus-
(54) e qui sintomatico che Basilio riprese la f o ~ m u l a trinitana:
una ousia divina in tre ipostasi, da Porfirio, per cui le tre ipostasi
erano l'Uno, il Nous e l'anima del mondo, e la poté applicare a
significare la Trinità cristiana solo a prezzo di un radicale acco-
modamento teso ad eliminare il subordinazionismo insito nello
schema platonico.
sioni sul rapporto physis/hypostasis/prosopon in chiave
aristotelica anziché platonica, c'interessa il movimento ge-
nerale del pensiero. Nella tendenza alessandrina a depri-
mere significato e valore dell'umanità di Cristo a confron-
to della sua divinità è facile ravvisare una tendenza di
fondo della cristianità greca influenzata da secoli di
riflessione platonica tesa a deprimere la materia di fronte
allo spirito. Rawiseremo perciò nella tenace resistenza
che fu opposta a questa tendenza (variamente ricorrente
con diverse etichette: apollinarismo, monofisismo, mono-
telismo), e che culminò nel concilio di Calcedonia (451),
la fondamentale aderenza al dato neotestamentario.
Tale aderenza in opposizione a tendenze tipiche del pen-
siero e della mentalità greca è rawisabile anche in altri
contesti. Ci limitiamo a due punti. Nella famosa polemica
fra Simmaco e Ambrogio in merito all'ara della Vittoria,
il pagano fonda il suo argomentare relativo alla validità
degli antichi riti su una concezione statica del mondo,
tutta ripiegata sul passato; invece Ambrogio le oppone la
concezione di un mondo proiettato in avanti, in continuo
progresso, ch'è la trasposizione, in campo cosmologico,
della concezione del tempo tipica di Giudei e cristiani,
che l'intendono come svolgimento lineare da un punto di
partenza a un tempo di arrivo, concezione del tutto e-
stranea rispetto a quella del tempo ciclico prevalente nel
mondo pagano (55).
Nel I1 e I11 secolo, in polemica col determinismo
gnostico i teologi cattolici avevano sostenuto il libero
arbitrio dell'uomo con largo ricorso a temi e termini
della tradizione filosofica greca; avevano comunque sem-
pre ben rilevato la parte fondamentale che ha l'aiuto della
grazia divina per la salvezza dell'uomo, mentre il plato-
nismo ammetteva nella natura umana la capacità di pu-
rificarsi gradualmente da sola fino a ricongiungersi al
mondo divino. Nella polemica con Pelagio, che si fa in-
terprete della tesi, di lontana origine greca, della fonda-
mentale bontà della natura umana, Agostino fa prevalere
in modo definitivo il concetto della natura umana irrime-
diabilmente viziata dal peccato di Adamo, e perciò del-
l'indispensabilità e della gratuità dell'aiuto della grazia
(55) Cfr. ep. 18,22-26.
divina ai fini della salvezza. Ancora una volta siamo lon-
tani mille miglia dal razionalismo e dall'ottimismo di
marca ellenica.
In complesso possiamo dire che proprio l'apporto della
'
filosofia greca, con i problemi che propose e gli stimoli
che suscitò, contribuì a che i cristiani prendessero sem-
pre più coscienza delllirriducibilità del loro messaggio alle
categorie del pensiero greco. Anche a prescindere da certi
aspetti, pur vistosi, della vita cristiana, quale il mona-
chesimo, del tutto aberranti da quelle categorie, la cultu-
ra cristiana nel suo complesso si presenta, alla fine del
IV secolo, largamente ellenizzata ma sempre in saldo
possesso delle sue caratteristiche specifiche, fondate dal
messaggio neotestamentario, e sempre pienamente co-
sciente della sua essenziale originalità.
3. Giuliano e le ultime resistenze
della cultura pagana
Quando Costantino inaugurò la nuova politica verso la
chiesa, il paganesimo era ancora molto forte, anche a
livello culturale; ma la sua resistenza al nuovo corso si
estrinsecò più attraverso il revival di sentimento religioso
a beneficio sia di vecchi sia di nuovi culti (Mitra), che
non ostacolando in modo diretto l'ormai dilagante diffu-
sione del cristianesimo. A tal proposito teniamo presente
che la grande crisi del I11 secolo aveva profondamente
modificato lo status delle classi alte: la tradizionale ari-
stocrazia di rango senatori0 continuava ad avere il suo
centro a Roma e a contare molto in Occidente, ma le si
era affiancata una aristocrazia di nuovi ricchi, provenienti
soprattutto dall'alta burocrazia e perciò ossequiente al-
l'imperatore e alla sua politica; soprattutto in Oriente,
dove ormai era spostato il centro di gravità dell'impero,
le classi socialmente più elevate erano molto composite,
largamente permeate di cristianesimo e, soprattutto dopo
la fondazione di Costantinopoli, che fu città cristiana,
legate in modo strettissimo alla politica dell'imperatore.
In complesso l'aristocrazia del IV secolo, ancora in buona
parte pagana in Occidente, era classe troppo poco omo-
genea per organizzare una concorde politica anticristiana:
molti aristocratici passarono al cristianesimo; molti altri
si attennero a un atteggiamento di neutralità, ben docu-
mentato, a livello letterario, dall'opera storica di Ammia-
no Marcellino, pagano, ammiratore di Giuliano, ma di-
staccato osservatore dei fatti della chiesa (56); pochi, con-
centrati soprattutto a Roma, cercarono di contrastare, ma
solo indirettamente, come s'è detto, la diffusione del cri-
stianesimo.
Solo con Giuliano il paganesimo organizzò una reazione
efficace e coerente contro il cristianesimo, che la prema-
tura morte dell'imperatore troncò sul nascere. A livello
letterario, il solo che qui ci interessa, essa si concretò
soprattutto in uno scritto contro i Galilei (così Giuliano
chiamava con disprezzo i cristiani) cui l'imperatore attese
fra il 362 e il 363. Dal poco che ne conosciamo (57)) l'ope-
ra doveva essere largamente tributaria di Celso e soprat-
tutto di Porfirio, ma si giovava inoltre della larga cono-
scenza che l'autore aveva di ogni aspetto della religione
cristiana, nella quale era stato educato. Egli la considera
come un'invenzione di uomini dappoco, una malattia del-
l'intelligenza, una fede irrazionale buona per persone di
basso livello estranee agli ideali della paideia greca. Essa
condivide le infondate pretese della religione giudaica di
costituire una religione privilegiata, ma si è staccata pure
da questa radice che le assicurava almeno un retroterra
di grande antichità, col risultato di costituire un quid
novum estraneo sia al giudaismo sia all'ellenismo. Giulia-
no considera Gesù un pover'uomo, un illuso, predicatore
di una dottrina priva di applicazione pratica e anche
pericolosa dal punto di vista sociale; e nega che in lui si
fossero realizzate le profezie messianiche. Dei discepoli di
Cristo attacca soprattutto Paolo, in quanto primo artefice
dell'estensione del cristianesimo ai pagani e il solo che
avesse proclamato apertamente il carattere divino di Ge-
sù. Quanto al cristianesimo dei suoi'tempi, Giuliano da
una parte cerca di imitarne l'organizzazione a beneficio di
(56) Analogo atteggiamento pare riscontrarsi anche in alcuni punti
della Historia Augusta: ma qui la valutazione è resa difficoltosa
dalla incertezza tuttora perdurante sulla cronologia e il modo di
composizione di quest'opera.
(57) Conosciamo questo poco dalla confutazione che ne scrisse Ci-
rillo di Alessandria vari decenni dopo (Contro Giuliano) giuntaci
incompleta. Essa testimonia la vitalità dell'opera giulianea in am-
biente pagano.
una completa ristrutturazione del sacerdozio pagano, ma
dall'altra non manca di criticarne gli aspetti che più sfa-
vorevolmente impressionavano l'osservatore pagano: la
diffusione del monachesimo, il culto esagerato dei marti-
ri, l'influenza delle donne, l'intolleranza che provocava
all'interno della comunità beghe a non finire.
Dopo Giuliano e in proporzioni più modeste ricordiamo,
negli ultimi decenni del IV secolo, l'attività svolta a Ro-
ma da ambienti di aristocratici pagani facenti capo a
Simmaco, Pretestato e Nicomaco Flaviano a difesa della
religione e della cultura pagana. Quest'attività, che a livel-
lo politico ebbe i momenti fondamentali nella polemica
per l'ara della Vittoria e nell'appoggio dato all'usurpatore
Eugenio contro Teodosio, si concretò a livello culturale in
un'iniziativa di ampio respiro tendente a fornire edizioni
rivedute dei testi classici delld letteratura latina, conside-
rati fondamento dalla cultura pagana (Virgilio, Livio, Ci-
cerone, Terenzio, Quintiliano, ecc.). Nicomaco Flaviano
tradusse in latino la Vita di Apollonio di Tiana scritta da
Filostrato (cfr. C. 3,4), per assicurare maggiore diffusione
in Occidente a questo testo ormai tradizionalmente op-
posto, da parte pagana, ai Vangeli cristiani. La reazione
cristiana a queste iniziative pagane si concretò, fra l'altro,
in due poesie di ignoti autori, il Carmen contra paganos,
che attacca in modo speciale un capo del partito pagano
sulla cui identità i critici moderni non sono concordi
(Nicomaco Flaviano?), e il Carmen ad quendam senato-
rem, contro un senatore che da pagano era diventato
cristiano e poi era di nuovo passato al paganesimo.
Più o meno nello stesso tempo in Oriente Eunapio di
Sardi in una Storia generale, a noi non pervenuta, esaltava
Giuliano e criticava i successivi imperatori cristiani. I
suoi sentimenti anticristiani traspaiono più volte anche
nelle Vite di filosofi e sofisti: attacchi ai monaci, al culto
dei martiri, e altro. Un altro storico greco, Zosimo, di
poco posteriore ad Eunapio, nella Nuova storia in cui
non perde occasione per manifestare la sua avversione al
cristianesimo, codifica l'accusa fondamentale che i pagani
degli inizi del V secolo rivolgevano ai cristiani e che
conosciamo da Agostino e altre fonti: finché l'impero è
stato pagano, ha goduto di prosperità e potenza; da quando
è diventato cristiano, è decaduto ed è afflitto da ogni
male.
I1 paganesimo, resistentissimo a livello religioso soprat-
tutto nella campagna, a livello culturale oppose l'ultima
resistenza al cristianesimo nelle scuole filosofiche di Ales-
sandria e soprattutto di Atene. Quest'ultima, che nella
seconda metà del V secolo fu illustrata dall'insegnamento
del neoplatonico Proclo, fu chiusa nel 529 da Giustiniano,
e questa data può essere assunta a significare la fine della
cultura pagana.
4. Alcuni protagonisti
Nel presentare i caratteri della cultura cristiana nel I V
secolo, solo occasionalmente abbiamo fatto il nome di
qualche personaggio. Li potremmo agevolmente moltipli-
care, tale fu la fioritura delle lettere cristiane in quest'e-
poca, sì da puntualizzare una gamma di diversi atteggia-
menti nei confronti della cultura greca: da Atanasio, che
rivela nei suoi scritti, soprattutto apologetici, una buona
formazione scolastica, ma in complesso si disinteressa del
rapporto fra cristianesimo e cultura greca, a Epifanio, di
cui abbiamo ricordato la chiusura nei confronti della filo-
sofia greca, a Giovanni Crisostomo, nel quale la più
raffinata.conoscenza e messa in opera di tutta la tradizio-
nale strumentazione retorica si accompagna al deprezza-
mento più radicale dei filosofi greci, « gente che non ha
né chiarezza né consistenza di pensiero D, le cui dottrine
« sono piene di asserzioni ripugnanti ». Giovanni « barba-
--- . -- . -- - -
ro pescatoreTco1 suo Vangelo si è impossessato di tutto il
mondo D, mentre C le dottrine dei Greci sono morte e
sepolte » (PG 59,31).
Per forza di cose, dobbiamo limitare a pochi un cenno
più disteso, ai Cappadoci per l'Oriente, a Girolamo e A- - kerygma cristiano e cultura greca era avvenuto in circo-
gostino per l'Occidente.
I Cappadoci
Con Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa
la fusione tra profondo sentire cristiano e paideia greca è
completa e si realizza al livello più alto sia di spiritualità
cristiana sia di formazione classica. Di alta estrazione
sociale, educati nel modo più tradizionalmente raffinato e
completo (58)) e nel contempo cresciuti in ambienti pro-
fondamente cristiani, essi realizzarono l'ideale di un cri-
stianesimo colto, che sapesse accettare tutto ciò che c'era
di valido nell'ellenismo, senza sfigurare le linee portanti
del messaggio cristiano, in una sintesi che sarebbe rima-
sta paradigmatica per la cristianità orientale.
Temperamenti diversi, il Nazianzeno rappresenta, fra i
tre, la tendenza letteraria; e la sua apertura alla tradizio-
ne classica è completa, senza quelle remore, seppure teo-
riche, nei confronti della retorica tradizionale che abbia-
mo colto in Basilio e nel Nisseno: il suo stile è del più
puro e sfrenato asianismo, la sua adesione ai modelli
classici, sia in oratoria sia in poesia, è totale, la grande
conoscenza degli autori pagani traspare ogni momento
nel suo dettato sia per reminiscenze sia per citazioni pre-
cise. I1 Nisseno non è altrettanto dotato sul piano lettera-
rio, ma è molto più approfondito su quello filosofico:
Filone Plotino, soprattutto Origene sono i suoi autori, e
in tempi già tempestosi per il Fortleben di quest'ultimo
non teme di riecheggiarne temi già soggetti a critica e
discussione. Basilio contempera le doti letterarie dell'uno
,
con la preparazione filosofica dell'altro in una sintesi di
superiore livello, all'insegna di un senso della misura ch'è
la quintessenza del classicismo e fa di lui l'insuperato
esemplare di cristiano ellenizzato. Tutti e tre insieme,
nella varietà di atteggiamenti e nella omogeneità dei mo-
tivi ispiratori di fondo, stanno a significare la fecondità
del felice incontro di cristianesimo ed ellenismo.
L'ideale che essi propugnano, l'iniziativa che portano a-
vanti sono sostanzialmente quelli di Origene, autore che
fu carissimo anche a Basilio e al Nazianzeno, ma aggior-
nati ad esigenze nuove, che Origene non aveva neppure
potuto immaginare. Con Origene infatti l'incontro fra
stanze difficili, fra ostilità da una parte e dall'altra, e si
era proposto l'adeguamento di quel messaggio alle esigen-
ze del greco colto quasi esclusivamente a livello specula-
tivo, al fine di fornirgli un adeguato fondamento dottrina-
le in linea con la riflessione filosofica dell'epoca. Al tempo
dei Cappadoci la situazione è radicalmente mutata, il
(58) Ciò vale soprattutto per Basilio e il Nazianzeno, che comple-
tarono i loro studi ad Atene. I1 Nisseno non ebbe questo privilegio.
cristianesimo è diventato addirittura religione di stato, e
il problema è di carattere ben diverso: si tratta di vivere
il cristianesimo non solo superficialmente ma con assolu-
ta sincerità, e insieme non rinunciare a quanto di bello
nobile, anche raffinato aveva prodotto la civiltà greca; si
tratta, insomma, di sfatare con la realizzazione pratica la
convinzione di chi ravvisava radicale inconciliabilità fra
la fede irrazionale dei cristiani, nemica di ogni valore del
mondo, e il razionalismo greco con la sua visione sostan-
zialmente ottimista del mondo. L'ambiente elevato da cui
provenivano e col quale erano sempre in contatto per
mille tramiti rendeva i Cappadoci particolarmente sensi-
bili a questa esigenza; ed essi con la raffinatezza lettera-
ria, con l'ardua speculazione filosofica, con politesse »
((
tipicamente ellenistica, spinta fino all'affettazione (si leg-
gano certe lettere di Basilio e soprattutto del Nazianze-
no), nell'intrattenere rapporti sia con letterati pagani sia
con le più alte autorità sia con ogni altro ordine di cor-
rispondenti, dimostrarono la compatibilità dell'impegno
cristiano con gli aspetti più raffinati della civiltà greca.
L'intransigenza della fede ispirò in loro, soprattutto in
Basilio, l'intransigenza più rigida ed eloquente nei con-
fronti delle mille ingiustizie che funestavano il mondo di
allora, ma non li rese sordi al richiamo dei valori essen-
ziali della civiltà classica, così come il saldo fondamento
scritturistico della loro formazione li rese aperti all'ap-
porto della ricca tradizione filosofica greca.
Questa sintesi operata dai Cappadoki fra cristianesimo ed
ellenismo è tanto più significativa in quanto la loro ade-
sione al cristianesimo si realizzò nella forma più spetta-
colarmente estranea allo spirito greco, quella del mona-
chesimo. Soprattutto Basilio e il Nazianzeno sentirono a
fondo il sottile fascino della ricerca della perfezione nel-
l'allontanamento dal mondo, e Basilio fu anche grande
organizzatore di vita monastica. Ma essi compresero che
l'ideale monastico non s'identificava con gli eccessi asce-
tici e le costumanze pittorescamente contestatrici di certo
monachesimo egiziano e siriaco; lo sfrondarono da queste
sovrastrutture appariscenti, in cui l'ascesi si sposava
spesso ad un esibizionismo di poco significato cristiano;
dimostrarono che il rifiuto della sapienza del mondo non
deve significare totale ignoranza. Ridotto così alla sua
vera essenza, che è ricerca di perfezione cristiana nell'al-
90
lontanamento dal mondo per un più diretto e continuo
contatto con Dio, l'ideale monastico non solo non è in-
compatibile con certi valori essenziali della tradizione
greca, ma sa addirittura trar frutto dall'amor Dei intel-
Zectualis, che di quella costituisce una delle conquiste più
alte.
Come vedremo, la durezza dei tempi mise ben presto a
dura prova l'ideale di cristianesimo ellenizzato proposto
dai Cappadoci, ma non ne avrebbe scalfito il significato
esemplare.
Girolamo
Più volte abbiamo rilevato il ritardo culturale dell1Occi-
dente cristiano rispetto alllOriente, conseguenza della più
tarda e meno estesa evangelizzazione. Tra la fine del I11
secolo e i primi decenni del IV la facies culturale del
cristianesimo qui evidenzia tratti che, in confronto con
l'oriente, si presentano come arcaizzanti, per lo più tipici
della cultura asiatica che qui si era ampiamente diffusa
nel corso del I11 secolo: millenarismo (Vittorino di Pet-
tau, Lattanzio), antropomorfismo (Lattanzio, Potamio di
Lisbona), materialismo antropologico (Ilario prima dell'e-
silio di Asia). La controversia ariana, che dopo il 350
coinvolse anche l'Occidente, impose un rapido processo di
aggiornamento, che non fu soltanto dottrinale: Ilario, esi-
liato in Oriente, non soltanto maturò qui la propria dot-
trina trinitaria ma fu anche conquistato, attraverso Ori-
gene, allo spiritualismo platonico; e la grande diffusione
del platonismo, già ricordato (Mario Vittorino, Ambrogio,
Manlio Teodoro), contribuì efficacemente ad affiancare la
cultura cristiana d'Occidente a quella d'oriente. Gli ulti-
mi decenni del IV secolo vedono qui una grande fioritura
delle lettere cristiane, con una quantità di rappresentanti
anche di peso, come Ambrogio, Prudenzio, ecc. Anche il
monachesimo, a Marsiglia e soprattutto a Lerino, si e-
spresse a livelli culturalmente molto elevati, ben lontani
da certo rozzo monachesimo orientale, stante l'estrazione
aristocratica di molti suoi rappresentanti. Le figure com-
plesse e così ben caratterizzate l'una rispetto all'altra di
Girolamo e di Agostino assommano bene in sé la ricchez-
za di questa fioritura letteraria. Ne esaminiamo qui solo
quegli aspetti che più direttamente interessano il nostro
discorso.
Girolamo, appassionato cultore di lettere classiche alla
scuola del grammatico Donato e poi convertito a vita
cristiana più asceticamente impegnata, data l'usuale tea-
tralità dei suoi atteggiamenti, espresse con particolare
enfasi il contrasto fra queste due componenti della sua
formazione nella visione avuta nel deserto di Calcide:
presentazione al tribunale di Cristo, la celebre accusa:
Ciceronianus es, non Christianus », la promessa di non
toccare più le opere degli scrittori pagani (ep. 22,30). Ma,
come gli rimprovererà Rufino al tempo della controversia
origeniana (Apol. I1 6-11), la solenne promessa non fu
mantenuta: non soltanto Girolamo ad ogni piè sospinto
fa sfoggio, nei suoi scritti, di citazioni di classici, ma
sappiamo che li insegnava pure nella scuola annessa al
monastero di Betlemme e ne faceva trascrivere le opere
dai suoi monaci. Se nell'entusiasmo dell'ancor non lonta-
na conversione Girolamo aveva sentito incompatibili fra
loro impegno cristiano e attrazione per le lettere pagane,
col passare del tempo aveva attenuato quel contrasto fino
a rimuoverlo del tutto. Ma è significativo che egli non
abbia mai sentito l'esigenza di giustificare chiaramente in
linea teorica l'evoluzione del suo atteggiamento: è una
persistenza del comportamento ambiguo che abbiamo visto
tipico di vari letterati cristiani nel confronto con la cul-
tura pagana.
Certamente Girolamo modificò l'iniziale atteggiamento di
intransigenza verso questa cultura allorché entrò in con-
tatto, in Oriente, con l'opera di Origene, di cui divenne,
insieme con Rufino, appassionato propagandista e sulla
quale affinò la sensibilità filologica acquisita alla scuola di
Donato. Per far conoscere Origene ai Latini Girolamo e
Rufino ne tradussero dal greco parecchi scritti, e anche
altri di autori più o meno con Origene apparentati. In un
tempo in cui la conoscenza del greco era in Occidente in
grande regresso anche presso le persone colte, l'iniziativa
dei due amici (poi nemici) ebbe molto significato nel
processo di rapida acculturazione che portò, come ab-
biamo già detto, il cristianesimo d'Occidente ai livelli cul-
turali di quello orientale.
Da altra esigenza, questa volta di carattere specificamente
filologico, Girolamo f u spinto alla sua massima fatica di
traduttore, quella delllAT direttamente in latino dall'ori-
ginale ebraico; ma su di essa non ci possiamo soffermare
in questa sede. Qui invece ricorderemo come Girolamo
abbia avuto familiarità - nell'ambito delle lettere greche
cristiane - oltre che con Origene anche con Eusebio,
anche lui fervente origeniano; e proprio la lettura di
tante notizie di carattere letterario inserite da Eusebio
nella sua Storia ecclesiastica lo spinse a concepire la sua
opera più originale e, ai fini del nostro discorso, più
significativa: il De viris illustribus, una serie di 135 brevi
biografie di scrittori cristiani greci e latini, a partire dal-
l'apostolo Pietro fino a Girolamo stesso. Se il materiale
utilizzato per le biografie è in buona parte eusebiano, il
titolo ripete quello dell'opera di Suetonio, cui Girolamo
guardò come al modello più diretto per la sua storia
letteraria. Nel prologo, pur confessando i limiti d'infor-
mazione del suo libro, lo inserisce consapevolmente nella
tradizione biografica greca e latina, di cui ricorda alcuni
nomi importanti, Satiro, Varrone, Cornelio, Suetonio, e
conclude:
Imparino dunque Celso, Porfirio, Giuliano, cani rabbiosi
contro Cristo, imparino i loro seguaci, che credono che la
chiesa non abbia avuto filosofi, oratori, dottori, quanti e
quali uomini l'abbiano fondata, edificata, adornata; smet-
tano di tacciare la nostra fede di rozza semplicità; e
piuttosto riconoscano la loro ignoranza ».
I limiti che abbiamo visto Girolamo riconoscere alla sua
opera sono reali: rispetto alle ampie biografie del De
poetis di Suetonio quelle del nostro autore sono poca
cosa, e la Sua informazione resta molto al di sotto di
quella di Eusebio, sua dichiarata fonte primaria. Ciò no-
nostante l'opera ha grande significato nella storia del
rapporto sempre così dialettico fra cultura cristiana e
cultura pagana: con essa infatti Girolamo da una parte
esprime orgogliosamente la consapevolezza che anche nel
campo delle lettere ormai i cristiani si sono portati al
livello dei pagani e ad essi li contrappone; dall'altra inse-
risce scientemente la sua opera nel solco della tradizione
letteraria pagana, significando così insieme continuità e
originalità del nuovo rispetto all'antico,

Agostino
Di Agostino fin la vicenda personale, che lo vide prima
allontanarsi dal cristianesimo e poi riaccostarsene, ha per
noi significato esemplare. I1 giovanile disgusto per la roz-
zezza delle traduzioni latine della Sacra Scrittura; l'ambi-
zione intellettuale che lo porta ad aderire al manichei-
smo (59); l'ascolto dell'esegesi allegorica di Ambrogio, che
gli risolve tante difficoltà propostegli dal senso letterale
delllAT; la lettura dei libri Platonicortim (traduzioni lati-
ne di Plotino e Porfirio), che gli fa conoscere che Dio è
spirito: in questa vicenda Agostino visse a livello esisten-
ziale momenti che ci sono apparsi tutti importanti nella
storia del difficile rapporto fra cristianesimo e cultura
antica. Aver vissuto tale esperienza rendeva Agostino par-
ticolarmente sensibile al problema posto da quel rappor-
to; il suo atteggiamento fortemente critico verso l'impero
romano, da lui considerato suprema espressione della cit-
tà terrena, gliene rilevava in modo particolare la difficoltà;
l'innata disposizione a filosofare 10 spinse ad affrontarlo
anche a livello teoretico, come nessuno prima di lui aveva
fatto. In effetti gli otia intellettuali di Cassiciaco, frutto
di una conversione cui l'apporto della cultura greca era
stato importante e che contemperavano l'ideale monastico
e quello filosofico, furono un felice ma breve momento
della vita di Agostino, e l'impegno ecclesiale gl'impose in
tutta la sua urgenza il problema del significato e dei limiti
di una cultura autenticamente cristiana.
L'ufficio della predicazione al popolo lo fece riflettere sul
come comunicare un messaggio non sempre d'immediata
evidenza ad ascoltatori di più che modesto livello cultura-
le. Nel De catechizandis rudibus Agostino prospetta l'op-
portunità di una catechesi diversificata in ragione del
diverso livello intellettuale degli ascoltatori, e propone
egli stesso un modello di catechesi elementare, impostata
sul tema della storia della salvezza dell'uomo grazie all'o-
pera di Cristo (60). Di fatto egli mise a punto un modo di
(59) 11 manicheismo, per molti aspetti collegato allo gnosticisimo,
ne ereditò, nel IV secolo, la pretesa di superiorità intellettuale nei
confronti del cristianesimo.
(60) I1 tema, già tradizionale, è articolato in vari momenti: pec-
cato di Adamo, punizione, preparazione delllAT, opera redentrice
di Cristo, fine del mondo e relativo giudizio.
predicazione fondato suli'ampio uso di figure retoriche
elementari: ripetizioni, assonanze, costrutti simmetrici o
contrapposti con regolarità, ecc., sì che lo studiato modo
di parlare non solo non sconcertasse l'uditorio ma gli
facilitasse l'apprendimento dei contenuti.
A livello più elevato Agostino propone un modello di
cultura cristiana, che col passare del tempo si radicalizza
sempre più nei confronti della cultura pagana: l'accusa è
la solita, quella di favorire il politeismo e l'immoralità, sì
che la poesia classica gli si presenta corrotta e corruttri-
ce (cfr., p. es., Conf. I 16,25-26). I1 passo di Retr. I 3,4,
che abbiamo citato all'inizio di questo capitolo, sconfes-
sava il giovanile elogio che egli aveva fatto delle arti
liberali nel De ordine, conseguenza di un progressivo irri-
gidimento verso posizioni di un cristianesimo sempre più
intransigente nei confronti di un mondo che appare
sempre più dominio del peccato e del male. Assimilando,
come già Origene, le scienze profane all'oro e argento che
gli Israeliti avevano sottratto agli Egiziani, Agostino le
considera ben poca cosa rispetto alle ricchezze accumula-
te da Salomone (= scienza sacra). Qui si trova, multo
abundantius, tutto ciò che di buono c'è in quelle, mentre
vi si condanna il male che quelle arrecano (Doctr. Chr. I1
42,63).
È chiaro che Agostino non guarda alla paideia classica
con l'ottimismo e l'amore dei Cappadoci: per lui la fede e
l'azione del cristiano si debbono fondare soltanto sulla
Sacra Scrittura (Trin. XV 27,49). Ma egli è d'accordo con
Basilio che lo studio della Sacra Scrittura non è semplice
e deve essere affrontato soltanto con adeguata prepara-
zione. I1 De doctrina Christiana, che tratta appunto del-
l'ideale della sapienza cristiana e dei modi della sua ac-
quisizione, propone il programma di studio che Agostino
ritiene idoneo per conseguire quella preparazione (1. 11):
grammatica, storia, scienze naturali, retorica, dialettica,
matematica. È vero che Agostino aggiunge allo studio del
greco quello dell'ebraico e non contempla lo studio dei
classici pagani; ma in sostanza il programma di studio
agostiniano corrisponde a quello dell'insegnamento sco-
lastico del tempo; del resto, proprio in omaggio alle ten-
denze culturali di allora, Agostino stesso aveva intrapreso
a comporre un'enciclopedia delle arti liberali, lasciata in-
compiuta dopo il De musica. Proprio prima del passo di
Doctr. Chr. I1 42,63 citato qui sopra, Agostino consiglia
di prendere dalla scienza pagana tutto ciò che vi può
essere di utile, e conforta il suo consiglio con l'esempio
di altri scrittori cristiani che avevano fatto così: oltre in-
numerabiles Graeci, cipriano, Lattanzio, Vittorino, Ila- '
rio.
In sostanza vediamo che Agostino ricalca il programma di
studio che Basilio aveva prescritto ai suoi due giovani
parenti. Ma rispetto ai Cappadoci e a ~irolàmo,l'impegno
di Agostino è più severo, in quanto per lui il cristiano
deve veramente prendere dalle scienze profane solo quel
tanto che può giovare allo studio della Sacra Scrittura, sì
che con lui si può parlare veramente di cristianizzazione
della cultura antica. In tal senso è fondamentale il 1. IV
del De doctrina Christiana, nel quale Agostino fa una
trattazione di retorica ad uso del maestro di Sacra Scrit-
tura il quale, oltre che comprendere, deve saper esporre.
Qui Agostino contesta l'opinio communis anche dei cri-
stiani, che le lettere pagane fossero più idonee di quelle
cristiane allo studio della retorica (C. 6 ) ) e riportando di
questa alcune norme fondamentali le illustra proprio con
esempi tratti prima. da Paolo e poi da Cipriano e Ambro-
gio (cc. 20-21), al fine di dimostrare che quelle norme
tradizionali potevano essere spiegate ed apprese anche
sulla scorta di testi cristiani. L'innovazione era rivoluzio-
naria, e avrebbe avuto seguito con Isidoro e Beda, por-
tando alla cristianizzazione della grammatica.
capitolo quinto
decadenza culturale
del cristianesimo anticg
I1 termine « decadenza » non risulta gradito al lettore
moderno, ormai aduso, allorché si parla della storia di
popoli e civiltà, a vederlo sostituito da K trasformazione D
« sviluppo » e simili. Ciò sembra tanto più naturale a
proposito del periodo storico di cui stiamo per occuparci
(V-VI secolo), in quanto esso sta proprio a cavallo fra
tardo antico e alto medioevo, cioè nel cuore di un'età
(111-VI11 secolo) il cui carattere unitario gli studi più
recenti tendono significativamente a rilevare. Eppure mi
spinge ad adoperare quel termine la constatazione che i
guasti prodotti in Occidente .dalle invasioni barbariche
provocarono quasi dovunque un netto abbassamento nel
livello culturale (61)) e che di tale stato di inferiorità
rispetto all'età passata i letterati di quest'epoca furono
dolorosamente consapevoli. Risulta meno agevole parlare
di decadenza per l'oriente: il VI secolo è l'epoca di Giu-
stiniano e della chiesa della Santa Sofia, la realizzazione
artistica più splendida di tutta l'antichità cristiana; e solo
alcuni anni prima lo Ps. Dionigi aveva fatto conoscere le
sue opere mistico-teologiche; alla cui elaborazione tanto
aveva contribuito l'apporto della filosofia platonica. Ma
se è vero che la decadenza letteraria e artistica si awerte
soprattutto dopo la morte di Eraclio (641), già nell'epoca
(61) Anche qui il termine va inteso, secondo il significato ristretto
adottato in queste pagine, come indicativo della produzione intel-
lettuale e più specificamente letteraria.
97

che ci interessa si avvertono segni non dubbi di inaridi-
mento rispetto alla fioritura del IV secolo: il ricorrere,
durante le controversie cristologiche, all'autorità dei teolo-
gi delle età precedenti con la compilazione di grandi flori-
legi dottrinali non è solo espediente polemico ma rileva,
nei teologi del nostro tempo, coscienza della propria infe-
riorità rispetto ai grandi del passato (62); e l'emergere
delle culture autoctone (siriaca, copta) determinò il re-
gresso dell'ellenismo, che fino allora aveva costituito una
struttura portante della cultura cristiana.
: elaborazioni dottrinali e all'apertura alla filosofia greca.
1. La controversia origeniana
e il trionfo dell'intolleranza
Uno dei caratteri più distintivi della civiltà ellenisti-
co-romana era stata la tolleranza nel campo delle idee,
non soltanto in ambito religioso ma anche filosofico: le
varie scuole polemizzavano fra loro, ma si trattava di
ambiti ristretti, dove non si eccedeva: a un cultore di
filosofia era offerta possibilità di scelta e anche di combi-
nare insieme dottrine di diversa estrazione (eclettismo).
I1 cristianesimo invece non era propenso alla tolleran-
za: la coscienza di fondare la propria fede sulla rivela-
zione divina non permetteva al cristiano scelte, possibili
solo fra dottrine proposte da uomini; e l'integrità della
fede fu subito sentita come articulus stantis aut cadentis
ecclesiae: chi fosse riconosciuto attentare a questa inte-
grità e, richiamato, persistesse nel suo atteggiamento, era
espulso dalla chiesa cattolica in quanto eretico.
Verso la fine del IV secolo vediamo questo senso di intol-
leranza intensificarsi in modo ancor più preoccupante.
Spieghiamo, almeno in parte, questa accentuata sensibili-
tà come conseguenza della controversia ariana, che per
lunghi decenni aveva familiarizzato molti cristiani con la
polemica dottrinale e aveva fatto percepire in modo pres-
sante il pericolo che, a causa di tale polemica, aveva
corso l'integrità del deposito di fede, sì da sensibilizzare
(62) Lo dimostra il fatto che nel VI secolo anche in ambito ese-
getico comincia la voga delle compilazioni e dei florilegi (= Ca-
tene); senza alcuna esigenza di carattere polemico, nell'interpre-
tare la Scrittura, si rinuncia quasi completamente a fare opera ori-
ginale e si preferisce ricorrere agli esegeti del passato.
in modo esasperato la coscienza di molti di fronte al
pericolo, vero o immaginario, dell'eresia. Dobbiamo ag-
giungere la crescente attività e influenza dei monaci: il
fanatismo con cui vivevano l'esperienza religiosa soprattut-
to in Oriente dava loro coscienza di costituire l'élite della
chiesa e quindi li faceva sentire investiti anche del dovere
di preservarne l'ortodossia; e rozzi e ignoranti quali per
lo più erano, facilmente erano spinti all'intolleranza più
faziosa. Avevano grande influenza sul popolo, e questo ac-
cresceva il loro peso nelle controversie dottrinali. Tenia-
mo anche conto del sospetto con cui da sempre i cristiani
di basso livello culturale avevano guardato alle complesse
.
Potenziati da tutti questi fattori, fanatismo e intolleranza
si dispiegarono in pieno nella controversia origeniana.
Già abbiamo accennato (C. 3,3) come nella seconda metà
del I11 secolo e oltre i contrasti suscitati dal diffondersi
della cultura alessandrina in area siropalestinese si fossero
polarizzati intorno alla figura di Origene. All'inizio del IV
secolo Eustazio e Martello, gli ultimi rappresentanti della
cultura asiatica, lo accusano, uno di aver allegorizzato
tutta la Scrittura (PG 18,656)) l'altro di aver concesso
troppo a Platone (fr. 88 Klostermann). Ma in area d'in-
fluenza alessandrina il giudizio era ovviamente ben diver-
so, e l'abbandono di certe dottrine azzardate non aveva
nuociuto all'apprezzamento complessivo. Durante la con-
troversia ariana, pur se gli eretici cercavano di farsi forti
anche di certi concetti di Origene, Atanasio gli conserva tut-
ta la sua stima e coglie acutamente il carattere di ricerca
e proposta di gran parte della sua riflessione teologica
(Decr. 27). Abbiamo già detto dell'origenismo dei Cappa-
doci. Basilio e il Nazianzeno, proprio per facilitare I'ac-
cesso all'opera, tanto complessa, del grande alessandrino,
ne fecero un'antologia (Philokalia), che ebbe grande diffu-
sione. A nessuno di questi personaggi sfuggiva che c'era-
no aspetti discutibili negli scritti di Origene, rilevati so-
prattutto dal grande progresso che la controversia ariana
aveva determinato in ambito di teologia trinitaria; ma
avevano saputo giudicare con discrezione e intelligenza,
apprezzando il grande valore dell'opera di Origene presa
nel suo complesso.
Ma adesso, cioè verso la fine del IV secolo, l'apprezza-
mento cambia. Epifanio, uomo non sprovveduto di letture
e non del tutto privo d'ingegno ma tipico rappresentante
di quell'intolleranza di cui ci stiamo occupando, ingigan-
tisce il pericolo rappresentato dagli a errori D di Origene
per l'ambiente dei monaci, e parte, lancia in resta, per la
crociata antiorigeniana: qualcuno lo segue, fra cui Giro-
lamo, fino allora fervente origeniano, altri lo respingono,
fra cui Rufino; i monaci si dividono; Teofilo di Alessan-
dria sfrutta l'occasione: continua in privato a leggere
Origene (Socr. HE VI 17), ma partecipa alla campagna
contro di lui per poter rafforzare il suo potere sui mona-
ci. Si susseguono varie condanne all'indirizzo di chi ormai
non poteva più difendersi; e fra alti e bassi la controver-
sia si trascina fino al tempo di Giustiniano, che farà
emanare la condanna definitiva (543) (63).
A noi più che i dettagli di questa poco edificante vicenda
interessa il suo spirito: Origene col suo libero discutere
lasciando spesso aperti i risultati e con l'ampiezza della
sua apertura alla cultura greca incarnava un certo modo
di sentire la religione cristiana: stretta adesione ai dati
fondamentali del deposito di fede e all'autorità della ge-
rarchia, ma anche ampiezza d'idee, fiducia nella discus-
sione condotta ad alto livello. convinzione che il cristia-
nesimo non dovesse temere il.dialogo con la filosofia gre-
ca, pur di approfondire i suoi contenuti; in una parola,
nella sua professione di fede Origene si sente libero, alla
maniera di Paolo. Ma proprio questo modo di vivere l'e-
sperienza cristiana è diventato incomprensibile ad Epifa-
nio e a quanti, come lui, respirano quel clima di crescen-
te intolleranza: per loro il cristianesimo è soprattutto
autorità, rifiuto della discussione, miopia intellettuale, in-
capacità di ricercare con libertà di spirito. È fuor di
dubbio che il diffondersi di tale modo di vivere il cristia-
nesimo determinava la chiusura più radicale nei confronti
di quella formazione ispirata ai principi della paideia
greca, che i Cappadoci, eredi spirituali di Origene nel IV
secolo, avevano vagheggiato; e più in generale inaridiva
ogni possibilità di operare in modo intellettualmente, e
perciò culturalmente valido. I1 trionfo dell'intolleranza
significò trionfo dell'oscurantismo.
(63) L'origenismo fatto condannare da Giustiniano in buona parte
non era tanto quello di Origene quanto quello dei suoi seguaci,
che ne avevano accentuato in modo radicale certi aspetti del
pensiero.
2. Le controversie cristologiche e la reazione
delle culture autoctone contro I'ellenismo
In questo clima d'intolleranza e di fanatismo si svolsero
le grandi controversie cristologiche che iniziarono con gli
anni 30 del V secolo: ne furono influenzate, non certo in
senso distensivo, e contribuirono ad accentuarlo ancora
di più. Se guardiamo indietro all'arianesimo, esso ci si
presenta nettamente caratterizzato rispetto alla dottrina
trinitaria cattolica: il testo che Eunomio sottopose a
Teodosio nel 393 non lascia alcun dubbio in proposito ed
Eunomio non aveva difficoltà a riconoscersi nelle accuse
che gli venivano mosse. Ma Nestorio, che soprawisse
lungamente alla condanna del 431, rifiutò sempre la pa-
ternità delle accuse che gli furono mosse; le incertezze
della sua cristologia sono evidenti, ma altrettanto eviden-
te fu il suo spirito di conciliazione allorché iniziò la di-
sputa con Cirillo: eppure fu condannato e la condanna fu
ripetutamente confermata, senza che gli venisse mai
offerta una reale possibilità di discutere le accuse di cui
gli fu fatto carico. Nella sua disgrazia una componente di
altra natura fu determinante, in ragione della politica
di potenza perseguita dal patriarcato di Alessandria; ma
Cirillo poté perseguire con successo tale politica proprio
perché strumentalizzò a suo vantaggio l'intolleranza e il
fanatismo dei monaci e delle folle. In questo senso non è
arbitrario parlare di a tragedia D di Nestorio.
La controversia monofisita è in argomento ancor più i-
struttiva. Com'è noto, il monofisismo non fu movimento
dottrinalmente unitario e certe presentazioni della dottri-
na contrastavano in modo evidente con la cristologia cat-
tolica sanzionata a Calcedonia (451). Ma il monofisismo
più importante, quello di Severo dlAntiochia, diversificava
dalla dottrina calcedonese più nell'apparenza che nella
sostanza: l'umanità di Cristo era per lui integra e com-
pleta, e le sue proprietà restavano distinte da quelle della
divinità, sì che Cristo era consustanziale al Padre secondo
la divinità e consustanziale agli uomini secondo I'umanità,
proprio come voleva la dottrina di Calcedonia. Da questa
Severo differiva solo perché non voleva definire come
natura l'umanità di Cristo, e quindi continuava a parlare
di una natura, e non di due. Ma pur senza minimizzare
l'importanza dei presupposti filosofici che sono alla base
dell'atteggiamento di Severo, gli studiosi moderni rico-
noscono l'ortodossia della sua dottrina e parlano di mo-
nofisismo solo verbale, una constatazione alla quale giun-
sero anche alcuni cattolici di quel tempo. Sarebbe bastato
solo un po' di reciproco rispetto e di sincero amore per
l'unità della chiesa, e una franca discussione avrebbe po-
tuto risolvere gli equivoci e ridurre le distanze. In effetti
discussioni ce ne furono, a Costantinopoli nel 533, a Cal-
linico nel 567, così come l'indomani del concilio di Efeso
del 431 partigiani di Cirillo e di Nestorio si erano riuniti
a Calcedonia: ma tutte queste riunioni si svolsero in un
clima di esasperazione, d'intolleranza, di odio teologico
che impedì un approccio efficace alla materia in discus-
sione. Facondo di Ermiane, uno scrittore latino del tempo
di Giustiniano, rilevò acutamente (I 4,38) che presso i
Greci le contentiones aggravavano i contrasti teologici.
Un fatto nuovo e importante che valse ad accentuare, da
parte monofisita, il fanatismo e l'intolleranza fu la rea-
zione delle culture indigene contro il fino allora dominan-
te ellenismo. Più volte nella storia della chiesa antica
avvertiamo come le culture indigene dell'impero, represse
a livello politico, sociale, economico, intellettuale, dalle
culture egemoni greca e romana, abbiano trovato proprio
ne1,cristianesimo l'elemento catalizzante, intorno al quale
si coagularono le frustrazioni degli oppressi, presero co-
scienza di sé e sentirono lo stimolo della rivalsa. Esem-
plare in questo senso fu, nel IV secolo, la reazione dona-
tista al cristianesimo d'Africa, lealista e conformista.
Nel nostro caso solo tardi, in pieno VI1 secolo, i Mo-
nofisiti di Siria e soprattutto d'Egitto esasperarono la loro
awersione a Costantinopoli al punto da preferire la domi-
nazione araba a quella greca. Ma già molto prima, nel
tardo V secolo, in Egitto e in Siria le culture autoctone,
copta e siriaca, trovarono nella dottrina monofisita lo
stimolo per reagire contro la dominante cultura ellenisti-
ca. I1 nome di Melkiti (= imperiali) con cui i Monofisiti
definirono i Calcedonesi difisiti è quanto mai emblematico
su questo punto. Da tempo la missione cristiana nelle
zone contadine di quelle regioni aveva fatto uso delle
lingue locali nell'evangelizzazione, e soprattutto in Siria
speranogià avuti esiti letterari in lingua indigena. Ma di
fronte al greco le lingue locali erano state fino allora
tenute in condizione di assoluta minorità. Se a Gerusa-
lemme, durante le funzioni liturgiche, un traduttore tra-
duceva in lingua locale il greco dell'officiante, anche dell'o-
melia, invece ad Antiochia il Crisostomo, pur così solleci-
to verso i poveri e gli umili, riservava la sua predicazione
ai greci, senza preoccuparsi che una parte degli ascoltato-
ri non riuscisse a capirlo (64). Adesso invece il copto, il
siriaco, l'armeno sviluppano una loro letteratura vigorosa
e fiorente, la cui matrice è ben riconoscibile dai contenu-
ti, che sono solo di natura religiosa. Solo adesso, alla fine
del V secolo, si può dare l'esempio di un personaggio
come Filosseno di Mabbug, che esercita una notevole in-
fluenza in campo religioso pur ignorando, o affettando
d'ignorare, il greco. Non è certo un caso che questa fiori-
tura di culture locali si abbia soltanto in regioni, come
l'Egitto e la Siria interna, dove il monofisismo è domi-
nante.
Nonostante il continuo crescere dell'intolleranza e del fa-
natismo religioso e il risveglio delle culture locali, la politi-
ca culturale determinata dalla svolta costantiniana e co-
dificata dai Cappadoci non subì apparenti mutamenti. La
scuola non modificò il normale indirizzo classico. Anzi,
nel 425 Teodosio I1 fondò a Costantinopoli una vera e
propria università, destinata a plurisecolare durata, orga-
nizzata secondo il tradizionale curriculum di studi, dalle
arti liberali fino a retorica, filosofia, diritto, dove non si
fece posto a un'istruzione di contenuto cristiano. Dato il
tradizionale collegamento filosofia-eresia l'atteggiamento
nei confronti della filosofia è spesso chiuso in teoria: non
solo Cirillo ripete i soliti motivi circa i danni che arrecano
la filosofia e le sue contraddizioni (PG76,543 ss., 773 ss.); ma
anche Teodoreto, che pure fu, rispetto a quello, intellet-
tualmente più aperto (PG 83, 560,828 ss., 947 ss.), nell'in-
traduzione al Commento al Cantico, dipendente dal com-
mento di Origene, omette il significativo accostamento
che la sua fonte aveva istituito fra le partizioni della
filosofia greca e i tre libri di Salomone. Ma nonostante
(64) Non comta che il Crisostomo conoscesse il siriaco; ma il fatto
che non abbia pensato ad utilizzare un traduttore è indizio della
scarsa considerazione in cui ad Antiochia era tenuta la lingua in-
digena. Cfr. su questo E. Dekkers, Limites sociales et linguistiques
de la pastorale liturgique de saint Jean Chrysostome, Augustinia-
num 1980, p. 119ss.
queste riserve, proprio le esigenze della controversia cri-
stologica, che si svolgeva a livelli sempre più tecnici,
imponevano una larga utilizzazione di termini e concetti
tipici della filosofia greca: è soprattutto la filosofia aristo-
telica ad essere utilizzata per la dialettica e la logica,
anche da parte monofisita. E qui va precisato che il mo-
nofisismo, se fece larga presa sulle popolazioni indigene,
fu largamente rappresentato anche fra i Greci, e tutt'altro
che a livello esclusivamente popolare. Anche se Severo
dlAntiochia dichiara ripetutamente la sua intenzione di
non tener conto dei filosofi e di attenersi solo alla Scrit-
tura, egli si rivela ben ferrato anche in ambito filosofico;
e non poteva essere altrimenti, dato che il fondamento
teoretico della dottrina monofisita, cioè la corrispondenza
ipostasi - natura, derivava recta via dalla filosofia aristo-
telica; ed è superfluo insistere sull~aristotelismodi Gio-
vanni Filopono.
Ma nonostante queste manifestazioni di perdurante vitali-
tà, la cultura greca cristiana, presa nel suo complesso,
tende ormai ad isterilirsi: quella alessandrina, che teneva
il campo dall'inizio del I11 secolo, già alla fine del IV
comincia a dar segni di senescenza; quella antiochena,
che in opposizione all'altra aveva preso a svilupparsi flo-
ridamente verso la fine del IV secolo, risente il durissimo
contraccolpo della controversia cristologica, in cui la sua
parte fu normalmente quella dell'accusato. L'intolleranza,
i1 fanatismo, il rifiorire delle culture locali spingevano
tutti in senso opposto agl'ideali della paideia greca che i
Cappadoci avevano voluto integrare nella cultura cristia-
na per elevarne il tono. L'isterilirsi della produzione let-
teraria dopo Cirillo e Teodoreto, ben significata dalla vo-
ga di florilegi e compilazioni e dal continuo rifarsi all'au-
torità e alla testimonianza dei dottori del passato, fu
il segno evidente del più generale scadimento culturale. I1
persistere delle istituzioni scolastiche e delle tradizioni
letterarie impedì un tracollo completo, assicurando la
continuità col passato, in attesa che, col passare del tem.
po e il mutarsi delle condizioni politiche e sociali, si
ricreasse un ambiente più favorevole a un rifiorire della
cultura e delle lettere.
3. Le invasioni dei barbari
e la decadenza culturale dell'occidente
Le invasioni dei barbari, che provocarono la caduta del-
l'impero in Occidente, ebbero gravi conseguenze anche in
ambito culturale: determinarono infatti la frattura di
quella koinè culturale di alto livello che dicemmo essersi
formata nelle regioni dell'impero verso la fine del I V
secolo; e per frattura intendiamo non soltanto il distac-
carsi dellrOccidente rispetto all'oriente ma anche il fra-
zionarsi della facies culturale dell'occidente in ragione
del frazionarsi dell'unità politica nei vari regni romano-
barbarici. Infatti in questi si determinano situazioni di-
verse non soltanto politiche ma anche in ambito religioso
e culturale, e il generale abbassamento di tono culturale
si concreta con intensità e modi diversi da regione a
regione. Di fronte a tale stato di cose la chiesa, unico
organismo restato valido della vecchia organizzazione del-
l'impero, per forza di cose viene ad assumere la difesa
della romanità e dei suoi valori anche culturali, di fronte
al pericolo di un imbarbarimento generale; e lo fa con
tanto maggiori spontaneità e naturalezza in quanto più
che mai ora cristianità e romanità sono sentiti come va-
lori coincidenti (65)) e di fronte alle nuove paurose esi-
genze cadono anche le ultime remore e diffidenze dei
cristiani nei confronti della cultura classica.
Infatti una delle conseguenze più dannose delle invasioni
fu il crollo della organizzazione scolastica tradizionale in
Occidente (66)) e la chiesa fu chiamata a sopperirvi con la
fondazione di scuole monastiche e vescovili. In effetti il
cristianesimo è religione del libro, cioè fondato sul valore
normativo delle Sacre Scritture, che perciò debbono esse-
re lette e studiate, se non si vuole che la religione decada
al livello di superstizione e rito esteriore. Ecco perché fu
allora, dal VI secolo in poi, awertita l'esigenza di queste
scuole, che con programmi ben più modesti di quelli
(65) La posizione critica assunta da Agostino nel De civitate Dei
nei confronti dell'impero romano, e che comunque in modo espli-
cito prendeva di mira solo l'impero pagano, non ha praticamente
seguito in quest'epoca.
(66) Va comunque rilevato che in Africa e almeno in alcune grandi
città italiane l'organizzazione scolastica riuscì a conservare una
certa efficienza fino al VI secolo inoltrato.
della scuola antica assicurassero almeno un minimo di
acculturazione per il clero in formazione. E se il testo di
base diventa ora la Sacra Scrittura, alcuni autori classici
continuano ad essere adoperati in ragione della loro tra-
dizionalmente riconosciuta utilità didattica.
Per focalizzare meglio il senso di questa politica cultura-
le, è opportuno accennare brevemente alle condizioni cul-
turali dei vari regni romanobarbarici. In Africa, nono-
stante la durezza della dominazione dei Vandali, l'orga-
nizzazione scolastica non venne del tutto meno, come di-
mostrano la produzione poetica di tipo tradizionale conflui-
ta nell'Anthologia Salmasiana e il fatto che Fulgenzio
poté ricevere, in una città dell'interno, nella seconda me-
tà del V secolo, un'educazione che comprendeva anche la
conoscenza del greco. Qui il contrasto violento fra Vanda-
li ariani e Africani cattolici alimentò una notevole pole-
mica dottrinale che dette vita ad una produzione lettera-
ria di notevole livello. In pieno V I secolo il livello cultu-
rale delllAfrica riconquistata dai Bizantini è, mediamente
considerato, superiore a quello di ogni altra regione d'Oc-
cidente (67).
L'Italia vide l'instaurarsi dei regni barbarici più tardi che
altrove e la politica perseguita da Teodorico fu illuminata
anche sotto l'aspetto culturale, sì che almeno in alcuni
centri, quali Milano e Ravenna, si ebbe una certa attività
intellettuale: a Ravenna Venanzio Fortunato ricevette
l'istruzione poetica che tanto ammiravano i barbari Fran-
chi fra i quali egli si trasferì. Un posto a parte ebbe
Roma, dove i contatti religiosi con l'Oriente e la presen-
za di un'ancora influente aristocrazia senatoria garantiva-
no un livello culturale altrove ormai scomparso. Solo
Roma poteva ispirare l'isolata iniziativa culturale di Boe-
zio, un cristiano platonico molto più platonico che cri-
stiano, iniziativa tesa ad assicurare la conoscenza della
filosofia greca in ambiente latino non mediante gli ormai
consueti manuali e florilegi ma grazie alla traduzione e
all'adattamento dei classici del pensiero filosofico greco,
Platone Aristotele Porfirio. La tragica morte interruppe
questa iniziativa, che comunque trascendeva di troppo il
(67) La decadenza comunque si avverte in Africa già sotto la do-
minazione bizantina, dopo la metà del VI secolo, prima dell'inva-
sione araba, che cancellerà romanità e cristianesimo dalla regione.
modesto standard culturale anche della haute intellettuale
romana per potersi imporre. In effetti neppure il progetto
di Cassiodoro e papa Agapito (535-536) di fondare a Roma
una schola di studi cristiani sul modello di quella di
Alessandria poté realizzarsi; e anni dopo nel monastero di
Vivarium Cassiodoro, scrivendo le Institutiones a uso dei
suoi monaci, si accontentava di un programma di studi
molto elementare, per assicurarne il minimo indispensa-
bile di acculturazione: pur fatte le debite proporzioni, il
programma ricalca quello di Origene e dei Cappadoci,
con lo studio della Sacra Scrittura, integrato da quello di
importanti autori cristiani e reso possibile da un minimo
di cognizioni relative alle arti liberali. L'importanza an-
nessa da Cassiodoro all'ortografia testimonia il modestis-
simo livello dei destinatari del programma.
I1 tracollo, comunque, si ebbe in Italia solo con la guerra
gotica e l'invasione dei Longobardi. Eppure il richiamo
dei valori della tradizione era a Roma ancora tale da ali-
mentare in Gregorio Magno (68), alla fine del VI secolo,
pur in un clima veramente apocalittico, il vecchio fan-
tasma della cultura classica nemica della religione cri-
stiana: di qui il rimprovero a Desiderio di Vienne di aver
insegnato la grammatica (ep. 11,34), la convinzione ch'è
indegno restringere verba caelestis oraculi sub regulis
Donati e l'ingenuo vanto, da parte di chi sa maneggiare la
lingua come pochi, di non aver evitato nel suo dire bar-
barismi e metacismi (CCh 143'7).
I timori di Gregorio appaiono del tutto anacronistici se
rapportati alla condizione culturale della Gallia, travolta
dalle invasioni, afflitta dalle lotte tra Visigoti Franchi e
Burgundi e caduta in massima parte in potere dei Fran-
chi, che erano privi anche di quel minimo di- accultura-
zione che possedevano Visigoti e Burgundi. La conversio-
ne dei Franchi dal paganesimo al cattolicesimo e non
all'arianesimo, come invece era stato per le altri genti
germaniche, coinvolse subito la chiesa, diventata compo-
nente essenziale del nuovo stato, nelle complicate e caoti-
che vicende politiche che caratterizzarono la vita del re-
gno dei Franchi; ed essa, troppo politicizzata, risentì for-
(68) Su questo grande personaggio ci liimitiamo a questo marginale
cenno, perché non rientra nei limiti cronologici della nostra trat-
tazione.
1O7
te il contraccolpo della dilagante barbarie, smarrendo in della Spagna gotica e cattolica. La grande rinascenza let-
gran parte la coscienza di dover in qualche modo operare teraria che si ebbe a partire dalla fine del VI secolo
culturalmente per porre qualche riparo alla decadenza s'impersonificò in Isidoro di Siviglia: in lui la grammati-
dilagante. Già agl'inizi del VI secolo, se Avito di Xienne, ca, odiata da Gregorio ma dimostratasi saldo baluardo
di alta origine nobiliare, continua a vagheggiare un ideale contro la barbarie, assurge a criterio interpretativo ed
aristocratico di raffinata cultura ormai accessibile a po- espositivo di tutto lo scibile negli Etymologiarum libri, in
chissimi, Cesario di Arles sente tutta la gravità della si- cui gli elementi pagani integrano quelli cristiani in una
tuazione e cerca di ovviarvi mediante l'assiduo ufficio del- visione armonica della realtà che ormai è diventata tutta
la predicazione, sia sua, sia di altri colleghi da lui ripetu- d'impronta cristiana. Sono evidenti i limiti dell'iniziativa
tamente incitati e anche aiutati coll'invio di cicli di ser- di Isidoro, sia qualitativi (carattere manualistico e anto-
mones. I1 livello letterario di questi è tenuto volutamente logico delle conoscenze) sia quantitativi (accessibilità al-
basso per facilitare la comunicazione con gli ascoltatori. l'opera solo da parte di una sparuta minoranza quasi
L'aggravarsi progressivo dello status culturale è testimo- soltanto di chierici); ma ciò nonostante essa caratterizza
niato, negli ultimi decenni del secolo, da Gregorio di bene, alla fine del VI secolo e per tutto il VII, la posizio-
ne d'eccellenza della Spagna visigotica rispetto alle altre
Tours, di origine romana e dotato di non comuni doti
native di narratore e di storico, che però sente dolorosa- regioni delllOccidente(70).
mente i limiti della propria formazione culturale, ben
ravvisabili anche nei continui volgarismi che costellano le
sue pagine. E dopo di lui la situazione andrà vieppiù
peggiorando: la rinascenza carolingia è ancora molto lon-
tana.
In Spagna una diversa situazione politica e sociale de-
termina un diverso andamento anche in campo culturale.
Durante il corso del V secolo il continuo accavallarsi
delle diverse ondate di invasori (Goti Vandali Svevi) (69)
provocò i1 caos completo e determinò praticamente la
fine di ogni attività culturale anche di modesto livello. Ma
gradualmente la situazione politica si stabilizzò grazie al
consolidarsi della monarchia visigota, che nella seconda
metà del VI secolo fu grandemente amplificata e poten-
ziata da ~ e o v i ~ i l d omentre
, la chiesa, tenuta a distanza
ma in sostanza non molestata dai Goti ariani, non risentì
- come invece in Gallia - la dannosa ingerenza del
potere politico e seppe a n c h organizzare le scuole epi- '
scopali meglio che in Gallia. La conversione dei Goti al
cattolicesimo con Reccaredo (589), se da una parte dette
inizio anche qui al processo di politicizzazione della chie-
sa, sul momento ebbe ripercussioni favorevoli, determi-
nando la cooperazione dello stato e della chiesa nel nome
(70) Trascuriamo, in questo breve sguardo panoramico, l'Irlanda e
(69) Cui si aggiunsero, a partire dalla metà del VI secolo, le guerre la Bntannia, perché la fioritura letteraria in lingua latina si ha
provocate dalla invasione della Spagna meridionale da parte dei in questi paesi in epoca che .la nostra trattazione tocca solo molto
Bizantini. di sfuggita.
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 Indice dei nomi

Achilla, 57 Atenagora, 37, 39, 41, 49, 50

Aezio. 80 Atene (scuola), 88
~ g a & o -papa, 107 Atti degli apostoli, 3
Agostino, 71, 74, 75, 82, 84, 87, 91, Atti apocrifi, 26, 27, 46
94-96, 105 Atti dei martiri, 72
Alessandrina (cultura, scuola), Augusto, 38
43, 44,47-59,67, 75, 77, 81, 84, 88 Ausonio, 71
Alessandro Severo, 59, 60 Avito, 108
Ambrogio, 73, 74, 75, 82, 84, 91,
94 Ps. Barnaba, 26, 48
Ambrogio (amico di Ongene), 56 Basilide,-iani, 28, 29, 48
Amelio, 60 Basilio, 73, 75, 76, 77, 80, 83, 88-
Ammiano Martellino, 86 91, 95, 96, 99
Ammonio Sacca, 60 Beda, 96
Anassagora, 32 Ben Sira, 16
Anassimene, 32 Boezio, 106, 107
Anatolio di Laodicea, 60, 76 Burgundi, l07
Anthologia Saimasiana, 106
Antiocheni, 75, 77 Cappadoci, 79, 8&91, 95, 99, 100,
Antonio eremita, 78 103, 104, 107
Apocaiissi, 24, 25 Carmen ad quendam senatorem,
Apollo, 47 87
Apollinare, 62, 77 Carmen contra paganos, 87
Apollinare il Vecchio, 77 Cassiodoro, 107
Apologisti, 30-42, 47, 50 Celso, 46-47,52, 61, 86, 93
Arato, 24 Cesarea (scuola), 53, 57
Ariani,-nesimo, 80, 81 Cesano di Arles, 108
Aristide, 67 Cicerone, 5, 50, 64, 87
Aristotele,-lismo, 28, 32, 35, 50, Cirillo di Alessandria, 86, 101,
53, 84, 104, 106 102, 103, 104
Arnobio, 65 Cirillo di Gerusalemme, 81
Asiatica (cultura), 4244, 47, 59 Cipnano, 6, 22, 63, 64, 65, 96
Atanasio, 88, 99 Cleante, 35
Clemente Alessandrino, 48, 49-52, Giovanni evangelista, 25, Marco evangelista, 24 Quintiliano, 87
53, 67, 72, 74
Clemente Romano, 26, 30
54. 61. 88 ,
~io;an;i Crisostomo, 11, 73, 88,
Mario Vittorino, 65, 82, 91, 96
Matteo, 46
Qumran, 17 /I
Cornelio Nepote, 93 1O3 Melania, 78 Reccaredo, 108 1
Costantino, 67, 68, 69, 70, 85 Giovanni Filopono, 104 Melitone, 38, 42, 44 Rufino, 92, 100 l
Crisostomo vedi Giovanni Giovenco, 74 Melkiti, 102
Giuliano, 77, 86-87, 93 Menandro retore, 24 Salmi, 21, 22, 27, 77
Damaso, 74 Giulio Africano, 60 Metodio, 58, 62 Satiro, 93
Demetrio, 57 Giuseppe Flavio, 68 Millenaristi,-ismo, 44, 57, 58, 65 Seconda Sofistica,
,, 42
Desiderio di Vienne, 107 Giustiniano, 88, 97, 100, 102 91 Seneca, 34, W
Didachè, 26 Giustino, 38, 39, 40, 42, 43, 50, Minucio Felice, 37, 64, 74 Sethiani, 29
Didimo, 77 51, 55 Monarchiani,-ismo, 57, 58 Severo di Antiochia,.-101, 102,
Diocleziano, 62, 64 Ps. Giustino. 31. 32, 33 Monofisiti, 101, 102 Sibillini (Oracolt),
, m- 65
Diodoro, 77 Girolamo, 91-93,' 96 '
Simmaco, 84, 61
Dionigi di Alessandria, 20, 57 Gloria, 22 Naasseni, 29 Simoniani, 29
Ps. Dionigi, 97 Gnostici, 21, 27, 30, 40, 48, 49, 51, Nepote millenarista, 58 Sinesio, 71
Donatisti, 102 52, 61 Nerone, 45, 64 Socrate, 34
Donato grammatico, 92, 107 Goti, 108 Nestorio, 75, 101, 102 - .
Stefano, 23
II
Gregorio Magno, 107, 109 Nicomaco Flaviano, 87 Stoici,-ismo, 18, 28, 33, 43
Gregono Nazianzeno, 11, 74, 88- Nisibi (scuola), 77 Suetonio, 45, 93
Ebioniti, 19, 21 91, 99 Noeto, 28, 43
Ebrei, lettera agli, 48 Numenio. 60 Svevi, 108
Gregorio Nisseno, 12, 73, 80, 88-
Edessa (scuola), 77 91
.-
Empedocle, 28 Gregorio di Tours, 108 Odi di Salomone, 21 Tacito, 45
Epicuro,-reismo, 50, 53 Taziano, 31, 32,- 35,
- - 34,
- . .- .
35, 39,
Epifanio, 82, 88, 99, 100 Omero, 15, 29, 37, 50, 59, 76
Hermeticum (Corpus), 65 Ongene, 47, 48, 49, 52-58, 60, 61, Temistio, 75
Epitteto, 45 Historia Augusta, 86 68, 72, 76, 79, 80, 81, 82, 83, 89, Teodoreto, 103, 104
Eracla, 57 Teodonco, 106
Eracleone, 54, 56 92, 93, 95, 99-100, 103, 107
Ierocle, 62 Teodoro di Mopsuestia, 75
Eraclio, 97 Ignazio, 26 Teodosio I, 87, 101
Eraclito, 28 Palladio, 78 . ..

Erma, 26 Ilario, 73, 82, 91, 96 Panfilo, 58 Teodosio

-
Teodoti, 43
11, 103 Il
Ippolito, 28, 54, 59, 60, 68, 76, 80 Panteno, 49
Ermia, 32 Ireneo, 35, 40, 42, 43, 44 Teofilo di Antiochia, 31, 32,
Eugenio, 87 Paolino di Nola, 74, 75 -
Isaia, 22,27 Paolo, 19, 22, 23, 24, 25, 42, 46, 47, 37, 40, 43
Eunapio, 87 Teofilo di Alessandria, 100
Eunomio, 80, l01
Isidoro di Siviglia, 96, 109 61, 86, 96, 100, 106 -
Teognosto, 5b
II
Eusebio di Cesarea, 38, 58, 62, Paolo di Samosata, 57
Lattanzio, 62, 63-66, 69, 91, 96 Parmenide, 32 Terenzio, 87
66-68, 69, 93 ,
Leonzio di Bisanzio, 81 Tertulliano, 6, 12, 28, 32, 33,
Eusebio di Emesa, 81 Pelagio, 84
Leovigildo, 108 Pierio, 58 35. 36. 39, 49, 59, 61, 63, 61,
Eustazio di Antiochia, 81, 99 Libanio, 75 72, 74, 76, 80
Evagno, 79 Pietro apostolo, 61, 93
Livio, 87 Pietro (Predicazione di), 67
Longobardi, 107 Pietro di Alessandria, 57 Valentino, 28, 29, 48, 49
Facondo di Ermiane, 102 Luca, 23, 24 Pitagora, 28 Vandali, 106,..108. .
Filippo di Side, 49 Luciano di Antiochia, 57 Platone,-ismo, 15, 18, 28, 31, 32, Vangeli, 23, 24, 46, 54, 61, 87, 88
.-
~

Filone, 23, 25, 51, 52, 82, 89 Luciano di Samosata, 46 35, 37, 38, 40, 41, 43, 47, 50. 54, Varrone, 93
Filosseno di Mabbug, 103 56, 57, 65, 81, 82, 84, 94, 99 Venanzio Fortunato, 106
Filostrato, M), 87 Macrobio, 69 Plotino, 60, 61, 82, 89, 94 Virgilio, 34, 59, 63, 76, 87
Franchi, 106, 107 Malchione, 59, 76 Porfirio, 61-62, 68, 82, 83, 86, 93, Visigoti, 107
Fulgenzio, 106 Manichei,-ismo, 94 94, 106 Vittorino di Petovio, 91
Manlio Teodoro, 82, 91 Pretestato, 87
Galeno, 45 Marce110 di Ancira, 58, 81, 99 Proclo, 88 Zenone stoico, 35
Galeno, 62, 64 Marcione, 28 Prudenzio, 73, 74, 91 Zosimo. 87
Genesi, 21, 41, 54 Marco Aurelio, 38, 54
 indice

Introduzione
1. Cristianesimo e cultura
2. Caratteri della cultura cristiana

capitolo primo
Influsso della cultura gludaica sul cristianesimo
1. Ellenismo e giudaismo
2. I1 giudeocristianesimo

capitolo secondo
L'impatto del cristianeslmo con la cultura greca
1. Influssi ellenistici sugli scritti d'età apostolica e suba-
postolica
2. La crisi gnostica
3. Rifiuto della cultura greca e suoi limiti
4. Apertura (con riserva) alla cultura greca
5. Cultura asiatica: concetto e limite

capitolo terzo
Verso maggiore apertura e consapevolezza critica
1. I cristiani nel igiudizio dell'intellettuale pagano: Celso B 45
2. La risposta alessandrina
Clemente, 49 - Origene, 52
3. Diffusione della cultura alessandrina
4. Altra attività culturale e nuove critiche dei pagani:
Pofirio
 5. Apologia e storia
Lattanzio, 63 - Eusebio, 66

capitolo quarto
La cultura cristiana nell'impero cristiano
1. La svolta costantiniana e i suoi riflessi sullo sviluppo
della cultura cristiana D 69
La scuola, 76 - I monaci e la cultura. 78
\ 2. Tecnicismo teologico e platonismo cristiano 80
3. Giuliano e le ultime resistenze della cultura pagana » 85
4. Alcuni protagonisti D 88
I Cappadoci, 88 - Girolamo, 91 - Agostino, 94

capitolo quinto
Decadenza culturale del cristianesimo antico D 97
1. La controversia origeniana e il trionfo dell'intolleranza x 98
2. Le controversie cristologiche e la reazione delle culture
autoctone contro l'ellenismo D 101
3. Le inlvasioni dei barbari e la decadenza culturale del-
l'Occidente . » 105

Bibliografia 110

Indice dei nomi » 113