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Il territorio dello Stato è costituito: dalla superfice terrestre compresa nei suoi confini
politico-geografici, dal mare costiero, dallo spazio aereo e dal sottosuolo, fin dove è
possibile arrivarci.
Le navi e gli aeromobili italiani, ovunque si trovino, sono considerati parte del territorio
dello Stato, salvo che, come dice l’art. 4 c.p., siano soggetti, secondo il diritto
internazionale, ad una legge territoriale di un altro Stato.
Questo è quello che viene chiamato principio della bandiera: la cui applicazione è
incondizionata per le navi e gli aeromobili dello Stato, mentre per le navi e gli aeromobili
privati (sia civili che mercantili), l’applicazione del principio della bandiera si ha soltanto
nelle ipotesi in cui essi si trovino in alto mare, o comunque in una zona non soggetta a
sovranità straniera.
Locus commissi delicti: quando il reato si considera commesso nel territorio dello Stato?
Nel secondo comma dell’art. 6 c.p., il legislatore ha accolto il c.d. principio della ubiquità,
per cui: un reato si considera commesso nel territorio italiano quando l’azione od omissione
che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la
conseguenza dell’azione od omissione.
Quindi, la legge italiana è applicabile sia nel caso in cui nel territorio dello Stato si è
esteriorizzata la volontà criminosa, sia nel caso in cui si è verificato l’evento offensivo.
L’applicabilità del principio della ubiquità in materia di concorso di persone, fa si che il reato
si consideri commesso nel territorio dello Stato, sia nel caso in cui l’azione venga iniziata
all’estero e perseguita in Italia (o viceversa), sia nel caso in cui, pur essendo il reato eseguito
interamente all’estero, vi è stato un qualsiasi atto di partecipazione compiuto in Italia (o
viceversa).
Riguardo al principio della ubiquità nel reato continuato, in dottrina si è sostenuto, anche se
con qualche forzatura, l’applicabilità dell’art.6 alle ipotesi di reato continuato, tutte le volte
in cui ne derivi un vantaggio per l’imputato.
Art. 9 c.p. → disciplina il caso della punibilità del cittadino per delitti comuni commessi
all’estero, diversi da quelli previsti dall’art. 7 del c.p.
In questo caso, la punibilità del cittadino non è incondizionata (come nei reati previsti
appunto dall’art.7), ma subordinata alla presenza di due condizioni.
E cioè necessario:
- che si tratti di un delitto per il quale la legge italiana prevede l’ergastolo o la reclusione
non inferiore nel minimo a tre anni;
- e che il cittadino sia presente nel territorio dello Stato;
Qualora si tratti di delitti punibili con una pena inferiore nel minimo a tre anni, oltre alla
presenza del reo nel territorio dello Stato, si richiede anche la richiesta del Ministro della
Giustizia, oppure l’istanza o la querela della persona offesa.
Qualora, invece, si tratti di un delitto comune commesso all’estero a danno di uno Stato
estero o di uno straniero, per la punibilità si richiede la richiesta del Ministro della Giustizia
e la mancata concessione o accettazione dell’estradizione.
Art. 10 c.p. → disciplina l’ipotesi dello straniero che commette all’estero delitti comuni,
diversi da quelli indicati dall’art.7, a danno di uno Stato o di un cittadino italiano, ovvero a
danno di uno Stato estero o di un cittadino straniero.
Principio di obbligatorietà:
Art. 3, primo comma, c.p. → la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o
stranieri, si trovano sul territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico
interno o dal diritto internazionale.
Art. 3, secondo comma → la legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro, che cittadini o
stranieri si trovano all’estero, nei casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto
internazionale.
Le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale, di cui parla
l’art. 3, primo comma, c.p. sono le c.d. immunità penali.
Le immunità penali sono particolari prerogative che vengono riconosciute a determinati
soggetti che adempiono funzioni o ricoprono uffici di particolare importanza.
Le immunità, abbiamo detto, che possono derivare dal diritto pubblico interno o dal diritto
internazionale.
Le immunità derivanti dal diritto pubblico interno si fondano essenzialmente sull’esigenza di
proteggere e garantire quei soggetti, che esercitano funzioni o assumono uffici che sono di
rilevante importanza ai fini del corretto funzionamento del nostro sistema politico.
Queste immunità sono previste in favore:
- del Capo dello Stato: e al tal proposito, ricordiamo, l’art. 90 della costituzione, che esclude
ogni responsabilità del Capo dello Stato, per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue
funzioni, salvo che si tratti di alto tradimento o di attentato alla Costituzione;
- dei membri del Parlamento, e al tal proposito ricordiamo l’art. 68 della costituzione, che
riconosce loro la non perseguibilità per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni.
I parlamentari, inoltre, godono anche di un’altra prerogativa, che è quella della preventiva
autorizzazione della Camera di appartenenza, senza la quale non è possibile procedere nei
loro confronti all’arresto, alla limitazione della libertà personale, o ad eventuali
perquisizioni personali o domiciliari;
- e previste anche in favore dei membri dei Consigli regionali, dei membri del Consiglio
Superiore della magistratura ed infine dei giudici della Corte costituzionale.
Capitolo I: la tipicità
Nozioni di teoria generale del reato (CAPITOLO V)
Dal punto di vista formale, si definisce reato << ogni fatto umano cui la legge ricollega come
conseguenza una sanzione penale>> e cioè una pena inflitta dall’autorità giudiziaria a
seguito di un procedimento giurisprudenziale.
Dal punto di vista sostanziale, si definisce reato<< ogni fatto umano che aggredisce un bene
giuridico ritento meritevole di tutela da un legislatore che opera nel quadro dei valori
costituzionali, a patto però che la misura dell’aggressione sia tale da giustificare il ricorso
alla sanzione penale e sempre che le sanzioni di tipo non penale risultino non sufficienti a
garantire un’efficacie tutele al bene giuridico>>.
In relazione al soggetto che pone in essere il reato, si è soliti distinguere tra reati comuni e
reati propri:
Il soggetto passivo del reato → è colui che è titolare del bene giuridico tutelato dalla singola
fattispecie incriminatrice di parte speciale.
Soggetto passivo può essere sia una persona fisica, che una persona giuridica, che
addirittura lo Stato, come, ad esempio, nei casi di reati contro l’amministrazione della
giustizia, o di reati contro la personalità dello Stato.
Il soggetto passivo va distinto dall’oggetto materiale del reato, e cioè dalla persona o cosa
sui cui cade la condotta del reo, e tenuto distinto anche dal danneggiato civile, che è invece
il soggetto che ha subito dal reato un danno risarcibile, pur non essendo titolare del bene
giuridicamente protetto.
Perché questo? Perché non sempre, nel nostro ordinamento, vi è coincidenza tra soggetto
passivo ed oggetto materiale e tra soggetto passivo e soggetto danneggiato.
Ad esempio, nell’ipotesi di sottrazione di un minorenne (art.573 c.p.) abbiamo che l’oggetto
materiale su cui ricade la condotta del reo è il minore, mentre il soggetto passivo titolare
del bene giuridicamente protetto è il genitore.
Nell’ipotesi di omicidio (art.575 c.p.) abbiamo che il soggetto passivo è la persona uccisa dal
reo, mentre danneggiati dal reato che è stato commesso, sono probabilmente i familiari
della vittima.