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• APPUNTI

DI DIRITTO PUBBLICO

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INDICE

CAPITOLO I:
GLI ORDINAMENTI GIURIDICI
1. Diritto e pluralità degli ordinamenti giuridici
2. Ordinamenti politici
3. Diritto pubblico e privato
4. Fatti e atti giuridici
5. Fattispecie e procedimento
6. Tempo e luogo

CAPITOLO II:
FONTI DEL DIRITTO
1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma giuridica
2. Gerarchia e competenza. Riserve normative
3. Fonti scritte e non scritte
4. Legge
5. Consuetudine

CAPITOLO III:
SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
1. Soggetti di diritto
2. Autonomia
3. Rapporto giuridico
4. Organo: a) Rapporto organico
5. b) Organi interni ed esterni
6. c) Organi individuali e collegiali
7. d) Rapporti tra organi
8. Rappresentanza
9. Cose e beni
10. Interessi e situazioni giuridiche soggettive
11. Diritti soggettivi e interessi legittimi
12. Potere giuridico
13. Potestà
14. Facoltà
15. Situazioni giuridiche passive: a) Dovere, obbligo, obbligazione
16. b) Onere

CAPITOLO IV:
LO STATO E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
1. Stato come ente originario e ternario
2. Popolo e cittadinanza
3. Territorio
4. Sovranità
5. Teoria dei presupposti o degli elementi costitutivi dello Stato
6. Stato e normativismo
7. La Chiesa cattolica

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8. La Comunità intemazionale
9. a) L'organizzazione delle Nazioni Unite
10. b) Altre organizzazioni internazionali
11. L'unione Europea

CAPITOLO V:
FORME DI STATO
1. Forme di Stato: a) Stati nazionali e plurinazionali
2. b) Stati centralisti e ad autonomie territoriali; regionali e federali
3. c) Monarchia e repubblica
4. d) Stati laici e confessionali
5. e) Stati democratici
6. f) Stato liberale-rappresentativo e Stato di partiti
7. g) I partiti nello Stato di partiti
8. h) Rappresentanza politica e Stato di partiti

CAPITOLO VI:
LA DIVISIONE DEI POTERI
1. Evoluzione della teoria della divisione di poteri
2. Potere di esecuzione costituzionale
4. b) Potere giurisdizionale
3. a) Potere legislativo
5. c) Potere esecutivo

CAPITOLO VII:
FORME DI GOVERNO
1. Forme di governo assoluto e democratico
2. Forme di governo democratico: a) Governo parlamentare
3. b) Governo assembleare
4. c) Governo presidenziale
5. d) Il ed. Governo semipresidenziale
6. e) Governo direttoriale

CAPITOLO VIII:
COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE
1. Il concetto di Costituzione
2. Il potere costituente
3. La Costituzione vivente
4. Tipologia delle Costituzioni

CAPITOL IX:
LO STATO ITALIANO E LE SUE FONTI
1. La Costituzione nel sistema delle fonti
2.Leggi costituzionali e di revisione costituzionale
3. Fonti primarie e secondarie
4. Potestà legislativa statale e regionale
5. Atti aventi forza di legge: a) Decreti legislativi
6. b) Decreti legge
7. Statuti regionali
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8. Referendum abrogativo
9. Regolamenti: a) Regolamenti statali regionali; degli Enti locali e di altre autorità
10. b) Tipologia dei regolamenti
11. Testi unici
12. Consuetudine: a) Gli artt. 1, 8,12 e 15 delle disposizioni preliminari al codice civile
13. Consuetudini interpretative. E gli usi negoziale
14. c) Discipline settoriali della consuetudine
15. d) Consuetudine e diritto costituzionale. Consuetudini integrative della Costituzione
16. e) Modificazioni tacite della Costituzione
17. f) Rotture della Costituzione
18. g) Consuetudine e giudizio di legittimità costituzionale
19. Accordi: convenzioni galateo costituzionale
20. Prassi costituzionale
21. Rinvio al diritto straniero
22. Contratti collettivi
23. Riserve di normazione
24. Fonti del diritto internazionale
25. Fonti comunitarie
26. a) Regolamenti comunitari
27 . b) Direttive comunitarie
28. Altri atti comunitari: Decisioni, Sentenze, Raccomandazioni, Pareri
29. Interpretazione giuridica
30. Antinomie e loro risoluzione

CAPITOLO X:
PRINCIPI FONDAMENTALI E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL
CITTADINO
1.1 diritti e i principi fondamentali negli ordinamenti costituzionali
2. La tutela dell'eguaglianza nella Costituzione italiana:
a) il concetto di eguaglianza e l'eguaglianza giuridica
3. b) l'eguaglianza davanti alla legge. La ragionevolezza della disciplina legislativa
4. c) H principio dell' eguaglianza davanti alla legge nella Costituzione italiana
5. d) l'eguaglianza sostanziale
6. e) Le fattispecie tipiche dell'eguaglianza
e.a) Sesso
e.b) Razza
ex) Lingua
e.d) Religione
e.e) Opinioni politiche
e.d Condizioni personali
e.g) Condizioni sociali
7. Le libertà costituzionali
8. Libertà personale
9. Libertà di domicilio
10. Libertà e segretezza delle comunicazioni.
11. Libertà di circolazione e soggiorno.
12. Libertà di riunione
13. Libertà di associazione

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14. Libertà di fede religiosa
15. Libertà di manifestazione del pensiero
16. Diritti politici dei cittadini
17. Stranieri e cittadini europei
18. Partiti politici nella Costituzione italiana
19. Doveri costituzionali
20. Diritti sociali e formazioni sociali
21. Confessioni religiose
22. Famiglia
23. Salute
24. Ambiente ed ecosistema
25. Cultura e istruzione
26. Lavoro.
27. Sindacati
28.1 rapporti economici
29. Sciopero
30. Iniziativa economica privata
31. Tutela del credito e del risparmio
32. Autorità indipendenti e di garanzia
33. Proprietà e i suoi limiti
34. Espropriazione per pubblica utilità
35. Proprietà agraria
36. Beni pubblici
37. a) Tributi
38. Nazionalizzazioni

CAPITOLO XI:
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI
1. Il ruolo dei partiti politici
2. Attività di governo e indirizzo politico
3. Il Governo tra Parlamento e Presidente della Repubblica

II - Il Parlamento
1. Composizione del Parlamento italiano
2. Elettorato attivo e passivo
3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle assemblee rappresentative
4. Elezione delle Camere:
a) Indizione delle elezioni
5. b) Elezione dei deputati
6. c) Elezione dei senatori
7. Sistema elettorale e garanzia dell' opposizione
8. Durata delle Camere
9. a) Scioglimento anticipato delle Camere
10.1 parlamentari
11. Organizzazione delle Camere: a) Prerogative
12. b) Organi delle Camere
13. Gruppi parlamentari
14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle Camere e programmazione dei lavori
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15. b) Deliberazioni
16. Funzioni delle Camere: A) L'attività legislativa
17. a) Iniziativa legislativa
18. b) Esame dei progetti di legge
b.a) Procedimento ordinario
b.b) Procedimento in sede deliberante
b.c) Procedimento in sede redigente
19. c) Promulgazione
20. d) Pubblicazione
21. B) L'Attività esecutiva
22. a) Fiducia
23. b) Mozione
24. c) Interrogazione
25. d) Interpellanza
26. e) Risoluzione
27. f) Ordine del giorno
28. g) Inchieste parlamentari
29. h) Udienze conoscitive
30. i) Messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica
31.1) Dichiarazione dello stato di guerra
32. m) Approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo. La legge finanziaria

III - Il Governo
1. Composizione del Governo
2. Formazione del Governo
3. Revoca del Presidente del Consiglio
4. Revoca dei Ministri
5. Presidente del Consiglio dei ministri
6. a) Responsabilità del Presidente del Consiglio
7.1 Ministri
8. Consiglio dei ministri
9. Consiglio di Gabinetto
10. Sottosegretari di Stato
12. Commissari del Governo
11. Comitati

IV - Gli organi ausiliari


1. Consiglio nazionale dell' economia e del lavoro (CNEL)
2. Consiglio di Stato
3. Corte dei Conti

V - Il Presidente della Repubblica


1. Elezione e durata della carica del Presidente della Repubblica
2. Cessazione dalla carica
3. La supplenza
4. Assegno e dotazione del Presidente. Ufficio della Presidenza della Repubblica
5. Irresponsabilità del Presidente della Repubblica
6. Responsabilità per alto tradimento e attentato alla Costituzione
7. La controfirma degli atti del Presidente della Repubblica
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8. Le funzioni del Presidente della repubblica come Capo dello Stato e garante della Costituzione
9. Emanazione dei decreti aventi valore di legge
10. Emanazione dei regolamenti
11. Autorizzazione alla presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo
12. Nomina dei funzionari dello Stato
13. Messaggi
14. Comando delle Forze armate
15. Ratifica dei trattati internazionali
16. Accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici
17. Conferimento di onorificenze della Repubblica
18. Concessione di grazia e commutazione di pene
19. Indizione dei referendum popolari
20. Nomina dei giudici costituzionali
21. Scioglimento dei Consigli regionali
22. Esternazioni del Presidente della Repubblica
23. Amnistia e indulto
24. Partecipazione ad altri organi
25. Funzioni arnministrative
26. Ricorsi per conflitti di attribuzione
27. La posizione costituzionale e il ruolo del Presidente della Repubblica

VI - La Corte Costituzionale
1. La giustizia costituzionale
2. Composizione della Corte costituzionale
3. H sindacato di legittimità sulle leggi e gli atti aventi forza di legge
4. a) Giudizio in via incidentale
5. b) Il giudizio in via dirètta
6.1 conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
7.1 conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni
8. H giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica
9. Il giudizio sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo

CAPITOLO XII :
LO STATO E LE AUTONOMIE COSTITUZIONALI
1. L' avvento delle Regioni in Italia pag 143
2. Le modifiche del titolo V della Costituzione
3. La funzione legislativa tra Stato e Regioni
4.1 controlli sull'attività legislativa regionale
5. La funzione regolamentare
6. La funzione amministrativa
7. La sussidiarietà orizzontale
8. Le intese tra lo Stato e gli Enti territoriali
9. L'autonomia finanziaria
10.1 controlli sulle Regioni e sugli Enti locali
11. Il potere sostitutivo del Governo
11. Le Regioni e la forma di governo regionale
2. Statuti regionali
3. H Consiglio regionale

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4. H Presidente della Giunta regionale
5. La Giunta regionale

III - Le autonomìe locali


1. l'autonomia normativa degli Enti locali e i suoi limiti
2. Statuti e regolamenti
3. Comuni e Province
4. Gli organi di governo (Consiglio, Sindaco e Presidente, Giunte)
5. Elezione degli organi comunali e provinciali
6. Gli organi amministrativi
7. Le Città metropolitane
8. Le circoscrizioni comunali i municipi e le comunità montane
9. Esercizio di funzioni in modo associato
10.1 servizi pubblici locali

CAPITOLO XIII:
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

I - Amministrazione - Atti - Invalidità


I. La Pubblica amministrazione e gli Enti pubblici
2.L'attività della Pubblica Amministrazione. E gli atti amministrativi
3. Atti vincolati e discrezionali. La discrezionalità tecnica
4.1 provvedimenti ammimstrativi
5.1 meri atti
6. Categorie di atti e comportamenti
7. Elementi essenziali ed accidentali dell'amministrativo
8. Caratteri dell' atto amministrativo
9. Procedimento amministrativo
10. Invalidità dell'atto ammimstrativo: a) Vizi di merito
I I . b) Vizi di legittimità
12. Sanatoria dell'atto invalido
13. Contratti della Pubblica Amministrazione
14 II pubblico impiego

II -1 ricorsi amministrativi
1. La tutela amniinistrativa dei diritti e degli interessi: a) Il Ricorso gerarchico e in opposizione
2. Il Ricorso al Presidente della Repubblica

CAPITOLO XTV: GIURISDIZIONE


1.Caratteri del potere giurisdizionale nella Costituzione italiana
2. La giurisdizione ordinaria e speciale
3. Le garanzie costituzionali:
a) Il diritto di difesa
4. b) Il giudice naturale
5. c) Reati e pene
6. d) Le misure di sicurezza
7. e) Estradizione

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8. f) La responsabilità penale
9. g) Le garanzie processuali
10. h) La competenza del giudice
11. La giurisdizione ordinaria:
a) La magistratura
b) Indipendenza e carriera dei giudici
c) Magistratura civile e penale
12. La giustizia amministrativa
13. Il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amniinistrativo: a) Evoluzione storica
14. b) La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi
15. c) l'interesse soggettivo di fronte alla Pubblica Amministrazione
16. d) La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
17. La giurisdizione del giudice ordinario:
a) Azioni ammissibili
b) La giurisdizione esclusiva del giudice ordinario
18. Il riparto della giurisdizione e l'interesse soggettivo
19. Il giudizio davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali
20. L'appello al Consiglio di Stato
21. L'esecuzione del giudicato
22. La giurisdizione elettorale
23. Le giurisdizioni speciali ammMstrative: a) La Corte dei Conti
24. b) Il contenzioso tributario
25. c) Le altre giurisdizioni speciali

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CAPITOLO PRIMO
GLI ORDINAMENTI GIURIDICI

1. Diritto èpluralità degli ordinamenti giuridici


H termine diritto, che etimologicamente deriva da directum ed indica il procedere in una direzione
regolare, esprime l'idea del dirigere e, quindi, dell'ordinare, concetto che è anche espresso coi
termini ordo, ordine, iussum, comando, da cui ius, giuridico. Per cui nel linguaggio comune i
termini diritto, ordinamento, giuridico vengono adoperati per indicare la presenza nelle diverse
comunità sociali di un complesso di prescrizioni che ne disciplinano la vita e in particolare
regolano i rapporti tra i membri che la compongono.
Il termine "ius " ha via via assunto significati specifici in relazione ai vari fenomeni cui dà luogo la
vita organizzata delle comunità nel corso della storia, indicando varie tipologie di ordinamenti
sociali: naturale, religioso, politico, e, attraverso ulteriori specificazioni, statale, intemazionale,
positivo, e così via.
Di fronte alla molteplicità degli ordinamenti, che secondo questa accezione generale possono
definirsi giuridici, si è poi fatto ricorso convenzionalmente ad un uso più ristretto e più "tecnico"
del termine "giuridico" o "di diritto" per indicare in particolare fenomeni del mondo politico,
relativi a comunità, unitariamente e globalmente intese, con strutture ed istituzioni perseguenti
finalità di ordine generale valide per tutti i componenti della comunità.

2. Ordinamenti polìtici
Gli ordinamenti politici hanno assunto configurazioni molteplici nel corso della storia dell'umanità,
dando luogo a sistemi giuridici diversi nei quali sono prevalsi di volta in volta la considerazione
dell'elemento personale, l'unità di un popolo, o quella di un territorio, la polis, la civitas, o di
entrambi, fino alle moderne strutture di tipo statualistico o di derivazione statualistica.

3. Diritto pubblico e privato


Nell'ambito degli ordinamenti giuridici statali è stata operata la distinzione tra diritto pubblico e
diritto privato (o comune).
In età moderna, specialmente con lo svilupparsi del giusnaturalismo, si è poi andata affermando
l'esigenza di tutelare di fronte all'apparato statale e all'Autorità pubblica l'Arnministrazione
pubblica e l'apparato di governo. Nei Paesi a tradizione romana il diritto avente ad oggetto tali
rapporti si è innestato in quella parte del diritto che secondo la tradizione veniva classificato come
pubblico.
In età contemporanea si è poi avuta una lenta evoluzione che ha portato via via all'elaborazione
nelle scuole di diritto, specialmente nei secoli XIX e XX, di principi ritenuti propri del diritto
pubblico, avendo peraltro come modello originario i principi propri del diritto civile inteso come
diritto comune. La distinzione tra materie rientranti nel diritto pubblico o in quello privato è stata
solitamente fondata sull'interesse preso in considerazione dalla disciplina giuridica, interesse dei
privati o della comunità, oppure sulle finalità avute di mira.
Così, materie come il diritto costituzionale, amministrativo, tributario, penale, processuale,
internazionale rientrano nel diritto pubblico, mentre quelle come il diritto civile, societario,

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lavoristico (per la parte attinente ai rapporti privati) al diritto privato. È una ripartizione però
relativa, in quanto numerosi istituti dell'uno o dell' altro settore potrebbero essere ricompresi per
certi aspetti nel diritto privato e per altri in quello pubblico.

4. Fatti e atti giuridici


Una nozione ampia e generale di fatto giuridico comprende qualsiasi fenomeno che in un dato
ordinamento giuridico produce effetti giuridici. Si distingue peraltro tra fatti e atti.
I fatti giuridici in senso stretto sono fenomeni del mondo naturale nei quali non entra in gioco la
volontà umana per la produzione dell'evento (es.: terremoto, inondazione).
Gli atti giuridici sono i fatti nei quali invece entra in gioco la volontà umana in quanto diretta alla
produzione dell'effetto giuridico. Ma la volontà umana può essere anche presa in considerazione
dal diritto come mero fatto dal quale vien fatta discendere la produzione dì effetti giuridici. In tal
caso l'atto è del tutto assimilabile al fatto giuridico in senso stretto.

5.- Fattispecie e procedimento


Col termine fattispecie giuridica si indica il fatto (o i fatti) che l'ordinamento giuridico (la norma)
prevede come causativo di un evento giuridico.
Al concetto di inesistenza si accompagna di solito quello di nullità assoluta. A quello di invalidità
il concetto di annullabilità.
Ma l'atto deve essere anche valido ed efficace sul piano giuridico.
Esso è valido se è conforme alla disciplina specifica del potere di cui è espressione. È efficace
quando è in condizione di produrre immediatamente gli effetti previsti.

6. Tempo e luogo
Poiché i fatti e gli atti giuridici si realizzano in un dato momento temporale e in un determinato
luogo, rordinamento giuridico dà rilevanza a tali modi di concretizzarsi del fatto o dell' atto
prendendo in specifica considerazione tempo e luogo.
II tempo rileva ad esempio ai fini del computo della prescrizione e, dell'usucapione, della
decadenza, per delimitare il potere conferito ad un soggetto o ad un organo oppure per disciplinare
l'adempimento di un'obbligazione.

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CAPITOLO SECONDO
FONTI DEL DIRITTO

1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma giuridica


Il concetto più specifico di fonte che di solito viene accolto è quello di fonte produttiva di diritto
oggettivo mediante prescrizioni normative che stabiliscono regole di comportamento o di
organizzazione non nell'interesse esclusivo dell'agente ma con carattere di eteronomia, dando così
luogo a disciplina di situazioni, rapporti intersoggettivi, istituzioni, organi e cosi via.

Viene quindi in considerazione un potere, riconosciuto previamente o posteriormente ad alcuni


soggetti o organi o a comunità di consociati, di porre in essere siffatte prescrizioni o con singoli atti
di volontà oppure attraverso comportamenti di fatto tenuti.
Resta però da stabilire cosa si intende per prescrizioni normative e per diritto oggettivo.
La norma giuridica, diversamente dalle regole descrittive dei fenomeni naturali è una regola
giuridica che stabilisce un modello di comportamento o di organizzazione. Come tale essa è
prescrittiva.
Dal concetto di norma giuridica peraltro vanno esclusi atti a carattere generale, come i bandi di
concorso, le gare di appalto, in quanto non costituiscono prescrizioni in senso proprio.

Per quanto concerne la pretesa novità della norma giuridica, tale requisito in effetti è comune ad
ogni manifestazione (fatto o atto) che produce effetti giuridici precedentemente non sussistenti.
Alla norma giuridica è stato inoltre riconosciuto il requisito della imperatività nel senso che ad essa
si accompagna una sanzione per assicurarne la osservanza.
In effetti la sanzione non rientra nel concetto di norma giuridica, formando piuttosto il contenuto di
una distinta norma giuridica la quale viene collegata ad altra o ad altre norme.

L'imperatività della norma non è altro che il riflesso dell'imperatività del complessivo sistema dell'
ordinamento giuridico nel quale essa è inserita. Né è possibile concepire una norma giudica avulsa
da un sistema normativo dal quale le viene assicurata l'imperatività.
Se poi si considera che gli ordinamenti giuridici costituiscono sistemi complessi in continua
evoluzione, rispetto ad essi, oltre alle ed. fonti ordinate, cioè disciplinate alloro interno con atti
normativi che costituiscono fonti sulle fonti, possono formarsi anche fonti extra ordinem, le quali,
pur non essendo predeterminate, si impongono tuttavia negli ordinamenti stessi determinando
egualmente effetti giuridici rilevanti.
Il concetto di fonte di diritto oggettivo è peraltro unitario e comprensivo anche del suo aspetto
cognitivo, individuato dalla dottrina tradizionale col termine fonti di cognizione.

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2. Gerarchia e competenza. Riserve normative
Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore in ogni singolo ordinamento, ma sono ordinate
secondo vari criteri che assicurano prevalenza o esclusività di disciplina alle une rispetto alle altre.
Tali criteri vengono usualmente indicati con termini come gerarchia e competenza.
Con il criterio gerarchico le fonti sono ordinate secondo un sistema gradualistico per cui vi sono
fonti superiori e inferiori o primarie e subprimarie (ad esempio la Costituzione rispetto ad ogni altra
fonte, la legge rispetto ai regolamenti). In base a tale criterio la fonte di grado superiore prevale su
quella di grado inferiore, la quale però non è esclusa dalla disciplina in caso di mancanza della
fonte superiore.

3. Fonti scritte e non scritte


Le fonti del diritto si distinguono in fonti scritte o non scritte.
Sono fonti scritte (dette anche fonti-atto) quelle che per venire ad esistenza necessitano di una
particolare forma ad substantiam (es.: la legge formale), riconducibile all'espressione di volontà
proveniente da un determinato soggetto.
Le norme prodotte da fonti del diritto non scritto implicano quindi una indagine più penetrante per
il loro rinvenimento rispetto a quelle prodotte da fonti del diritto scritto che hanno il pregio di es-
sere agevolmente individuabili. Ciò spiega perché specialmente in epoche di razionalizzazione del
sistema giuridico i soggetti cui è attribuito il potere di dettare disposizioni che si impongono alla
collettività, siano essi singoli individui, siano collegi o corpi rappresentativi o meno di ceti, classi o
del popolo unitariamente considerato, ricorrono preferibilmente al diritto scritto, ritenendo tra
l'altro che questo assicura anche maggiore certezza per l'individuazione della disciplina esistente
ed applicabile.

4. Legge
Fonte scritta del diritto per eccellenza è la legge. Tale termine è peraltro polivalente, in quanto può
indicare tanto la disciplina normativa quanto la fonte in cui questa è contenuta.
Solitamente la legge, come del resto le altre fonti scritte, è redatta in articoli. Gli articoli si
suddividono poi in commi. Il c o m m a, che indica la parte dell'articolo compresa tra due a capo,
può comprendere una o più proposizioni, una o più prescrizioni normative. Di solito i commi
vengono numerati progressivamente.

5. Consuetudine
Tra le fonti non scritte (o fonti fatto) va annoverata la consuetudine.
Col termine consuetudine o uso si indicano quei fenomeni che si concretano nella formazione, nell'
ambito dei vari gruppi sociali, di tipi di comportamento generalizzati, ovverosia di regole sociali, in
considerazione della abitualità e della costanza (od anche della periodicità) con cui sono protratti
nel tempo i singoli comportamenti tenuti dai consociati, cosicché appare fondato prevedere che essi
si ripeteranno, quando si presenteranno le medesime circostanze di fatto. E questo il modo, ad
esempio, di formazione delle regole di cortesia, di galateo, di etichetta, di decenza, e così via. A
questo fenomeno ci si riferisce anche quando si parla di tradizioni di un dato gruppo sociale.

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Quando si verìfica tale passaggio di stadio non è più l'uniformità numericamente e singolarmente
considerata ciò che conta e che spinge ad ulteriori comportamenti uniformi. Assume invece valore
la regola di comportamento dedotta per astrazione dal fatto stesso del radicarsi di tale uniformità
nell' ambito sociale. Si verifica quindi un mutamento dell' atteggiamento spirituale dei singoli
consociati rispetto al loro singolo comportamento. Quando ciò si è verificato compiutamente, deve
riconoscersi che nell' ambito sociale si è formata, ed è implicitamente ammessa come esistente dai
consociati, una regola sociale consuetudinaria in senso proprio, alla quale va rapportato e
raffrontato il loro comportamento.
Quindi ad una prima fase, in cui si ha una mera «regolarità» di comportamenti dovuta alla
ripetizione dei comportamenti, segue quella in cui si forma la regola consuetudinaria con il
progressivo obicttivarsi, generalizzarsi e spersonalizzarsi della ragione che giustifica i singoli
comportamenti ripetuti nel tempo e tra di loro coriformi. L'esistenza della serie continua di
comportamenti, la prevedibilità che il comportamento sarà ripetuto quando ricorrono le medesime
circostanze, determina un generale convincimento nella collettività che quello è il comportamento
da seguire.

L'idoneità a produrre regole giuridiche in un dato ordinamento positivo comporta che la


consuetudine è al tempo stesso fonte in senso proprio delle norme prodotte e norma
consuetudinaria. L'esserci della norma giuridica consuetudinaria non è quindi un dato che già esiste
nel mondo giuridico, che possa essere soltanto rivelato dai comportamenti uniformi, ma un
alcunché che trae la sua origine da uno specifico fatto di produzione normativa, che è riconosciuto
come tale dal diritto.

Tale assunto si fonda sul rilievo che non può ammettersi in un ordinamento l'esistenza di
disposizioni con propria forza creativa, come tale autonoma, e non derivata. La forza creativa del
diritto non può mai essere un attributo originario di singole disposizioni a sé e in sé considerate, ma
alcunché che esse ripetono dall' ordinamento, complessivamente considerato, nel quale sono
inserite. Quindi anche la norma giuridica consuetudinaria nel momento in cui la si considera come
norma vigente in un dato ordinamento esprime la forza creativa propria dell'ordinamento giuridico.
La consuetudine giuridica difatti, al pari delle altre fonti del diritto, non è alcunché di avulso, di
estraneo dall'ordinamento, nel cui ambito si manifesta. È consuetudine di quell'ordinamento, con la
specifica forza creativa che essa ripete dall' ordinamento o non è consuetudine giuridica, cioè non
esiste come tale.

Va però osservato che diversamente dalle fonti scritte alla consuetudine come tale non può essere
attribuito un particolare "grado" nella "gerarchia" delle fonti. Essa invero, per sua essenza, è
suscettibile di operare in tutti i livelli di produzione normativa dell' ordinamento accanto alle altre
fonti scritte, quale che sia il loro specifico "grado" e a prescindere dalla loro particolare forza
formale. Ciò appare chiaro quando essa è ammessa illimitatamente. Ma anche quando viene
ammessa in via subordinata rispetto alle fonti scritte, entro determinati limiti, ad esempio quando si
richiede, per la sua openitività, uno specifico richiamo da parte di altre fonti, essa si inserisce nei

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diversi settori in cui operano le altre fonti del diritto, senza assumere un proprio autonomo "grado"
di fonte del diritto. Pertanto, ponendosi la consuetudine allo stesso livello della ulteriore disciplina
giuridica cui è collegata, il ed. "grado" della fonte in ipotesi non potrebbe che risolversi nel "grado"
della disciplina di diritto scritto rispetto alla quale essa interviene.

Non necessariamente l'efficacia normativa delle consuetudini può farsi dipendere da disposizioni
scritte sulle fonti. Ove ciò si ammettesse, non troverebbero spiegazione quei fenomeni di creazione
del diritto, che sono indipendenti dalla previa esistenza di disposizioni sulla produzione del diritto e
che la dottrina è orientata ad indicare come fatti extra juris ordinem.
Sono questi tanto fatti instaurativi di nuovi assetti costituzionali, come rivoluzioni e colpi di Stato,
quanto fatti modificativi dell' ordine costituzionale secondo modalità e forme, che sarebbero
"illegali" dal punto di vista del sistema legale delle fonti, così come disciplinato dall' ordinamento
in vigore in un dato momento storico, ma che si legittimano ex post, in quanto ne venga
effettivamente riconosciuta l'idoneità a produrre diritto.
In tali evenienze deve riconoscersi che è avvenuto un mutamento delle stratture giuridiche in senso
conforme alla regola prodottasi in via consuetudinaria, con conseguente giuridicizzazione della
stessa, la quale viene così a manifestare la volontà normativa propria dell'ordinamento nel quale si
è inserita.

Tuttavia va anche precisato che, se esistono disposizioni scritte sulle fonti, queste indubbiamente
assumono rilievo. Esse, in quanto facenti parte della struttura dell' ordinamento, possono
disciplinare e quindi anche limitare l'efficacia dei singoli mezzi di produzione del diritto, tanto di
quelli scritti, quanto di quelli non scritti. Tuttavia non deve riconoscersi alle stesse un' assoluta
rilevanza, in quanto vanno pur sempre viste in relazione ai principi fondamentali e di struttura dell'
ordinamento.
Orbene, proprio su questo nucleo fondamentale di principi viene a fondarsi il riconoscimento delle
varie fonti del diritto, siano quelle scritte, siano quelle non scritte. Essi quindi prevalgono anche su
specifiche disposizioni scritte, a parte ovviamente il caso in cui siano proprio queste ultime a
contenerli, costituendo il mezzo formale della loro estrinsecazione.
L'ambito di operatività della consuetudine va quindi affrontato e risolto in relazione a ciascun
ordinamento.

Discipline specifiche sulla consuetudine, normalmente contenute in disposizioni scritte sulle fonti
del diritto, possono prevedere la sua maggiore o minore rilevanza. In particolare può essere
stabilito il divieto di consuetudini contro legem, vale a dire il divieto di consuetudini che si
pongano in contrasto con disposizioni legislative (o, più in generale, con prescrizioni normative
scritte), oppure l'ammissibilità di consuetudini soltanto in caso di richiamo da parte della legge (o
di altra fonte scritta) o per settori privi di una specifica disciplina legislativa (consuetudini praeter
legem). Ed i limiti possono essere stabiliti tanto in via generale, per l'intero ordinamento giuridico,
quanto per suoi singoli settori.

Di modo che l'espressione consuetudine interpretativa o secundum legem, a meno di non

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adoperarla in tutt'altro significato, per indicare casi particolari di consuetudini rientranti nella
figura ampia della consuetudine praeter legem, può avere valore soltanto genetico, per indicare il
campo di attività configurante si come quello relativo alle operazioni intellettuali di interpretazione,
svolte dai poteri a ciò abilitati dall' ordinamento nel quale viene a svilupparsi come fonte di diritto,
senza che per questo possa concretare una figura autonoma rispetto a quella contra legem opraeter
legem.

E d'uopo altresì sottolineare che dalle figure suindicate va distinta quella della desuetudine in senso
stretto.
A meno che con tale termine non si intenda far riferimento a consuetudini con tra legem) vale a dire
a consuetudini che si formino in seguito a serie di comportamenti tenuti in contrasto con precedenti
disposizioni legislative (o in generale con disposizioni scritte), perché ciò porterebbe ad escludere
autonomia concettuale alla figura, il fenomeno della desuetudine, in senso proprio, oltre ad indicare
il venir meno di una norma consuetudinaria non più seguita, concerne quei casi in cui può
constatarsi che è venuta a cessare la vigenza di disposizioni scritte per effetto della continua,
duratura mancanza di loro applicazione. Questo ultimo, invero, potrebbe anche non dar luogo ad
una nuova norma, di tipo consuetudinario, mentre l'effetto che consegue al fatto della inosservanza
della prescrizione legislativa resta solo la sua desuetudine.

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CAPITOLO TERZO
SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE

Con riferimento agli organi appartenenti ad istituzioni dell'ordinamento essa indica la costanza
della ripetizione dei loro comportamenti nell' esercizio dei poteri conferiti. Come tale, la prassi non
assume il valore di una regola di comportamento, né costituisce una fonte normativa, dando luogo
piuttosto ad una mera regolarità di comportamenti. Essa può pertanto assumere rilievo per
interpretare l'attività esplicata dal o dai soggetti, dal o dagli organi interessati.
Ciò non esclude tuttavia che dalla prassi possa anche passarsi alla produzione di una norma
giuridica consuetudinaria. Il che può avvenire specialmente quando agli organi istituzionali
interessati sia conferito un margine, più o meno ampio, di discrezionalità nella scelta delle modalità
da seguire per l'esercizio di attività rientranti nell' ambito delle rispettive competenze.

1* Soggetti di diritto
Soggetto per il diritto è una entità cui viene riconosciuta la capacità di essere punto di riferimento
(centro di imputazione) di situazioni giuridiche, in particolare di diritti e doveri. La capacità
giuridica a sua volta indica rattitudine dei soggetti ad essere centro di imputazione di situazioni
giuridiche, attive o passive.
Sotto tale profilo possono essere considerati soggetti non solo le persone fisiche, ma anche altre
entità prive della personalità fisica.

Le persone giuridiche sono entità in cui si combinano elementi personali e materiali considerati
dall' ordinamento in modo unitario e costituenti pertanto una particolare unità soggettiva ricono-
sciuta come tale dal diritto. Esse possono distinguersi in associazioni o fondazioni seconda della
prevalenza della volontà degli associati o della destinazione particolare dei mezzi materiali.
11 riconoscimento, che nel caso delle persone giuridiche private, come dispone in via generale l'art,
12 cod. civ., è accordato con Decreto del Capo dello Stato o del Prefetto previa valutazione dello
scopo dell' ente da parte dell' autorità amministrativa (art. 2 disp. art. cod. civ.), ha quindi una
funzione costitutiva della persona giuridica. Per tali soggetti esiste una disciplina particolare
relativa alla loro amnùnistrazione e alloro patrimonio connessa con la loro idoneità a costituire un
centro di imputazione di determinate situazioni giuridiche.
I comitati, a differenza delle associazioni, si costituiscono in vista della realizzazione di uno
specifico risultato (art. 39 cod. civ.).
I soggetti possono essere di diritto comune nella tradizione giuridica romanistica vengono
normalmente definiti di diritto privato e pubblici.
La soggettività può essere quindi distinta dalla personalità giuridica, termine col quale si indica la
speciale capacità giuridica delle persone giuridiche.

La capacità giuridica a sua volta può assumere diverse intensità, con riferimento ai soggetti e alle
situazioni giuridiche.
Alle persone fisiche essa è riconosciuta nella massima intensità ed è generale. In altre epoche
storiche peraltro non sempre era riconosciuta a tutte le persone fisiche. Per l'ordinamento italiano

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spetta ad ogni essere umano, salve limitazioni particolari collegate a determinati status, che danno
luogo a specifiche capacità.
Ad esempio la posizione dello straniero è diversa da quella del cittadino, che gode di un particolare
status, quello di cittadinanza.
Dalla capacità giuridica va distinta la capacità di agire, la quale consiste nella idoneità del soggetto
ad agire nel mondo del diritto, a svolgere, con più atti di volontà, le situazioni giuridiche, favo-
revoli o sfavorevoli, che gli vengono imputate.
Il minore di età, ad esempio, pur dotato di capacità giuridica, non ha la capacità di agire che gli è
riconosciuta col raggiungimento della maggiore età.

2. Autonomia
Quando si intende indicare la possibilità di un soggetto di autodeterminarsi attraverso atti di
volontà si ricorre al termine autonomia.
Quando l'ordinamento giuridico riconosce ai soggetti una sfera di autonomia, ciò sta a significare
che i soggetti possono regolarsi da sé, perseguendo i loro scopi mediante atti di volontà con effetti
giuridici.
Nel diritto privato, ad esempio, l'autonomia di cui godono i soggetti è un potere generale che
consente di porre in essere atti (di autonomia privata) i cui effetti sono riconducibili alla volontà.
Assumono così rilevanza i ed. negozi giuridici nei quali la volontà è diretta alla produzione di un
effetto riconosciuto e garantito dall'ordinamento.

3. Rapporto giuridico
La vita di relazione sociale tra i vari soggetti dà luogo a molteplici rapporti. Nell'ordinamento
giuridico i rapporti in senso giuridico sono costituiti da qualsiasi relazione che si realizza tra
soggetti ed è disciplinata dal diritto. *
Neil' ambito della generale categoria dei rapporti giuridici possono distinguersi i rapporti di diritto
privato da quelli di diritto pubblico. Per la distinzione solitamente si fa riferimento allo specifico
interesse sotteso al rapporto, a seconda che sia indicato come pubblico o come privato.
Ma l'interesse, il quale esprime semplicemente la rilevanza che può avere un bene per un
determinato soggetto, per essere distinto in pubblico o privato, a sua volta presuppone che sia
delimitato l'ambito dei rapporti in cui entra in gioco. Ciò finisce per dar luogo ad un circolo vizioso,
dal momento che l'interesse in tanto può essere considerato come pubblico o privato, in quanto
formi il contenuto di un rapporto di diritto pubblico o privato, il quale viene individuato proprio in
ragione dell'interesse sotteso.
Quando la posizione in cui si trova uno dei soggetti è ancorata al diritto pubblico e i poteri in gioco
sono di diritto pubblico, il rapporto può essere definito di diritto pubblico. Altrimenti è di diritto
privato (o anche di diritto comune).

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4. Organo: a) Rapporto organico
I soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche, privati o pubblici che siano, non sono entità reali,
ma finzioni create dal diritto. La stessa attribuzione ad essi di una volontà è una finzione, perché in
realtà non sono in grado di pensare e di agire. Chi pensa ed agisce per loro conto sono le persone
fisiche, singole o associate, preposte alle loro articolazioni (uffici).
Tra il soggetto e l'organo vi è un rapporto organico, che è di immedesimazione, nel senso che
l'organo è parte del soggetto, per cui la volontà da lui manifestata è volontà del soggetto e l'attività
svolta dalla persona fisica, in quanto titolare dell' organo, è imputata all' organo e di conseguenza al
soggetto.
Gli organi non hanno una personalità giuridica distinta da quella del soggetto di cui sono parte, per
cui a stretto rigore non può parlarsi di rapporti intersoggettivi tra l'organo e il soggetto.
Può a volte anche parlarsi di una personalità interna dell'organo rispetto agli altri organi del
medesimo soggetto, la quale viene tutelata dall' ordinamento e può essere fatta valere anche in via
amministrativa e giudiziaria. Si pensi, ad esempio, ai conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
(art. 134, II comma Cost).
Come pure non può escludersi che un soggetto di diritto possa essere considerato a sua volta
organo di altro soggetto con riguardo a determinate materie e situazioni giuridiche (ad esempio un
soggetto privato può essere considerato organo indiretto di un soggetto pubblico, quando è
chiamato ad esercitare pubbliche funzioni o pubblici servizi).
II potere dell' organo può essere generale o limitato secondo specifiche competenze e tale
delimitazione vale a qualificare l'organo e la sua azione nell' ambito del soggetto.
Gli organi possono avere una struttura semplice, unitaria (individuale o collegi ale che sia) o
complessa. In tal caso danno vita ad una pluralità di articolazioni (ad es. Ministeri), alcune anche
con rilevanza esterna, come, ad esempio, i Dirigenti di uffici dirigenziali generali (art. 45 D.Lgs.
31.3.1998, n. 80).

5. b) Organi interni ed esterni


Gli organi interni svolgono un' attività preordinata all' adozione dell' atto finale e costituiscono
articolazioni interne della stmttura del soggetto di cui fanno parte od anche dell' organo
complesso.Gli organi esterni pongono in essere l'attività che assume rilevanza all' estemo.

6. c) Organi individuali e collegiali


la base alla struttura personale gli organi possono essere individuali e collegiali.
I primi hanno come titolare una singola persona fisica. I secondi una pluralità di persone fisiche, la
cui volontà si fonde e dà luogo ad una volontà unitaria. I membri dell' organo collegiale sono
peraltro tutti titolari dell' organo (e sotto questo aspetto si distinguono dagli organi interni di un
organo).

7. d) Rapporti tra organi


Rapporti paritari sussistono, ad esempio, tra gli organi costituzionali. Le regole che riguardano i
reciproci rapporti tra di essi hanno prevalentemente una funzione di coordinamento e/o di
direzione.

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Rapporti di sovra o sottordinazione sussistono quando tra gli organi si determina la dipendenza
degli uni rispetto agli altri.
Rapporti di direzione sussistono tra organi dei quali l'uno può influenzare l'attività dell' altro
impartendogli direttive per il suo agire. Le direttive, in particolare, possono essere più o meno
incisive, ma devono comunque lasciare una libertà di scelta all' organo che ne è destinatario.

8. Rappresentanza
Con la rappresentanza si ha la sostituzione di un soggetto ad un altro nell' attività giuridica.
Si può avere una rappresentanza legale o volontaria a seconda che la sostituzione di un soggetto ad
un altro trovi titolo nella norma giuridica o nella volontà dell'interessato. Si ha così il conferimento
di un potere di agire nei confronti di terzi.
La rappresentanza differisce dal rapporto organico, perché questo, come si è visto, non dà luogo ad
un rapporto intersoggettivo, ma ad un rapporto di immedesimazione dell'organo col soggetto in cui
esso è inserito organicamente. Con la conseguenza che l'attività dell'organo è imputata
direttamente al soggetto di cui esso fa parte. Mediante il rapporto organico il soggetto svolge infatti
una sua propria attività in quanto l'organo è parte di esso.
La rappresentanza, in senso ampio, si distingue dalla figura del m e s so, il quale è un mero nuncius,
abilitato soltanto a trasmettere la dichiarazione di volontà dell'interessato.

9. Cose e beni
Dai soggetti si distinguono le cose. Tale termine indica parti del mondo materiale tra cui possono
essere comprese anche le energie.Le cose che sono suscettibili di essere oggetto di diritti sono de-
finite b e n i (art. 810 c e ) , mentre non possono essere considerati in senso stretto e giuridico beni
cose che, non essendo suscettibili di appropriazione, non possono formare oggetto di diritti, come
l'aria, il mare, lo spazio, fin tanto che restano nel loro ambiente naturale.

10. Interessi e situazioni giuridiche soggettive


Le situazioni giuridiche soggettive possono essere attive e passive.
Nella situazione giuridica attiva viene in evidenza l'interesse di un soggetto ad un bene della vita.
L'interesse non è altro che un rapporto tra un soggetto e un bene della vita, il quale esprime il valore
che per il soggetto assume il bene da cui egli ricava una qualche utilità, di ordine materiale o im-
materiale.
Anche quando si ha riguardo alla posizione del soggetto di fronte alla Pubblica Amministrazione
nei casi in bui l'ordinamento prende in considerazione prevalentemente l'interesse pubblico, non si
tratta per l'interesSiSoggettivo di una tutela mdiretta. Se invero si ammette una tutela per l'interesse
singolo, colmunque correlato con quello pubblico, non può che trattarsi di una tutela che concerne
direttamente l'interesse singolo.
L'ordinamento giuridico non a tutti gli interessi accorda una tutela giuridica, come ad esempio
avviene con gli interessi di mero fatto e non l'accorda a tutti in modo eguale, dipendendo essa
dall'esistenza di altri interessi, ritenuti anch' essi meritevoli di tutela giuridica. Ciò spiega perché,
quando l'oijdinamento tutela una situazione soggettiva, definisce anche il modo, nonché l'intensità
della protezione dell'interesse.

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11. Diritti soggettivi e interessi legittimi
In effetti, la nozione corrente di diritto soggettivo intende evidenziare proprio la protezione ampia e
piena che rordinamento ha inteso assicurare all'interesse soggettivo.
Secondo la distinzione tradizionale tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, elaborata dalla
giurisprudenza e dalla dottrina, col diritto soggettivo il soggetto può far valere la sua potestà di
volere in relazione al suo interesse ad un bene della vita nei confronti di qualsiasi soggetto, ivi
compresa la Pubblica Amministrazione, sia quando essa agisce iure privatorum sia quando agisce
anche autoritativamente, ma in modo strettamente vincolato ad una fattispecie normativa, senza
margini di discrezionahtà. In tal caso l'interesse soggettivo incontra soltanto i vincoli e i limiti
direttamente previsti dalla legge e non soggiace ad un potere di scelta, ovvero sia discrezionale
della Pubblica AnmiinistraMone.

La tutela che l'interesse riceve dall'ordinamento non è quindi condizionata dall'uso che
l'Amministrazione faccia di siffatto potere, ma dipende direttamente dalla norma. Il soggetto può
invero pretendere nei confronti di chicchessia di non essere turbato nel godimento del suo diritto.
Se l'interesse è già presente e realizzato in capo al soggetto (es. titolarità di un diritto di proprietà),
esso potrà essere sacrificato (ad es. mediante un atto espropriativo, una confisca, un trasferimento
coattivo) oppure subire limitazioni (ad es. servitù coattiva).
Se l'interesse in tanto può realizzarsi in quanto intervenga la Pubblica Amministrazione con la
rimozione di limiti alla situazione soggettiva, all'esercizio di determinate facoltà, esso è
ovviamente condizionato e si realizzerà in concreto soltanto con l'esito positivo dell'esercizio del
potere.
Ma l'interesse può anche essere soddisfatto e realizzato a seguito dell' esercizio del potere
discrezionale della Pubblica Amministrazione che consente l'attribuzione al soggetto del bene o
dell'utilità cui egli aspira e si ripromette di ottenere ed è oggetto dell'interesse stesso, anche
attraverso la realizzazione progressiva di utilità strumentali a quella finale.
L'interesse legittimo pertanto, secondo tale impostazione, si risolverebbe in una posizione di
vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento
amministrativo, e consìstente nell' attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul
corretto esercizio del potere in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene.

In realtà, se si ragiona sul piano del solo interesse soggettivo, non vi è e non può esserci alcuna
distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Entrambi sono invero interessi tutelati
dall'ordinamento giuridico e tutelati direttamente.
Esso è protetto mediante la messa a disposizione del soggetto di vari strumenti giuridici (anche
procedimentali), come la possibilità di rivolgere istanze, di attivare il procedimento amministrativo,
di partecipare allo stesso, di presentare ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali, impugnando la
attività (o l'inazione) della Pubblica Amministrazione, quando non sia conforme al diritto, in modo
da ottenere di volta in volta un provvedimento favorevole, il riesame di uno sfavorevole, la sua
revoca, il suo annullamento, il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
Pertanto è la situazione sostanziale dell'interesse del soggetto ad essere protetta (e quindi è protetta
direttamente), mentre gli strumenti offerti dall' ordinamento, pur essendo necessari per la tutela,

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sono appunto strumenti di protezione dell'interesse e non possono confondersi con esso, né
possono identificarsi con la figura dell'interesse legittimo.
Un diritto o un interesse alla legittimità o alla correttezza dell'azione della Pubblica
Amministrazione come tale sarebbe invero del tutto generico e il suo oggetto privo di
determinatezza. Esso non può quindi costituire quell'interesse soggettivo sostanziale che fa valere
il soggetto nei confronti di essa, perché la legittimità riguarda piuttosto i limiti al potere, mentre dal
punto di vista del soggetto costituisce l'ambito di protezione assicurato al proprio interesse al bene
della vita.
L'interesse alla legittimità come tale, a ben guardare, non si differenzia dall'interesse che possa
avere qualsiasi soggetto alla legittimità dell' azione dei pubblici poteri che, come tale, potrebbe
dare luogo ad un controllo popolare della legalità dell'azione amniinistrativa, una sorta di azione
popolare.

Quel che invece assume rilievo nella tutela assicurata dall'ordinamento, è proprio l'interesse
specifico al bene della vita, alle utilità che il soggetto possa trame o a cui aspira. È esso e solo esso
che sostanzia il ed. interesse legittimo come figura soggettiva che convenzionalmente viene
distinta, quanto alla tutela, dagli altri interessi, anch' essi protetti dall' ordinamento, ma non
condizionati da un potere discrezionale pubblico autoritativo.
Quello che viene definito come interesse strumentale non è altro quindi che la particolare
protezione accordata direttamente all'interesse sostanziale del soggetto. E difatti il meccanismo
della protezione, quando l'azione non corretta ha determinato una lesione della situazione
sostanziale, si concretizza accordando al soggetto leso la possibilità di far valere il suo interesse al
bene della vita contestando il modo in cui è stato esercitato il potere, per ottenere, a seconda dei
casi, l'annullamento, la revoca o la modifica dell' atto oppure il risarcimento del danno in forma
specifica o per equivalente.

È sicuramente vero che a fronte del dovere di correttezza cui è tenuto il soggetto che svolge un'
attività discrezionale che si riflette sugli interessi di altro soggetto sussiste l'interesse di
quest'ultimo all' esercizio corretto di queir attività. Ma non è e non può essere tale interesse, che è
soltanto strumentale alla protezione dell'interesse al bene della vita, l'oggetto specifico della tutela
apprestata dall' ordinamento al soggetto, né può essere considerato l'oggetto di una tutela diretta
poi collegata a quella (indiretta) del bene della vita (secondo la tesi del Casetta).
Ma ciò equivale a dire che egli ha interesse alla legittimità del comportamento o del procedimento
della Pubblica Amministrazione adottato nell' esercizio del suo potere. Né d'altra parte può porsi
una similitudine tra l'interesse legittimo e il diritto di credito.
La pretesa di un soggetto ad ottenere una prestazione patrimoniale da un altro soggetto non può
essere assimilata alla posizione che ha il soggetto di fronte ad un potere discrezionale della
Pubblica Amministrazione che è destinato ad incidere sui suoi specifici interessi. Ciò del resto
avviene anche se si ha riguardo alla posizione che ha il soggetto di fronte a un qualsiasi altro
soggetto dalla cui scelta discrezionale dipende la soddisfazione del proprio interesse.
Il comportamento o il provvedimento è lo strumento che consente di realizzare il soddisfacimento
dell'interesse al bene della vita del soggetto, quando tale interesse emerge nell' assetto degli

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interessi, ma non può essere configurato come il bene oggetto dell'interesse soggettivo. Ove si
scontrino soggetti interessati e contro-interessati rispetto a provvedimenti sfavorevoli per gli uni e
favorevoli per gli altri, ciascuno fa valere un suo personale interesse sostanziale al bene della vita,
il quale non può confondersi col provvedimento in quanto tale.

La dottrina e la giurisprudenza hanno anche individuato due tipi di interessi legittimi, quelli
oppositivi e quelli pretensivi.
L'interesse del soggetto nel primo caso è alla conservazione della posizione di vantaggio in ordine
al bene o alla utilità e lo strumento di tutela apprestato dall' ordinamento è l'azione diretta contro il
prowedimento o il comportamento lesivo dell'interesse. La situazione tipica è quella del diritto
soggettivo che viene sacrificato dall' attività della Pubblica Amministrazione, ma può anche
consistere in un interesse oppositivo di un soggetto ad una attività che è di vantaggio per altro
soggetto, la quale porti per riflesso al sacrificio di un suo bene della vita.
Nel secondo caso il soggetto per veder soddisfatto il suo interesse a un bene della vita necessita di
una' attività della Pubblica Amministrazione che incida in modo favorevole sulla sua situazione
soggettiva. L'ordinamento in questo caso offre una serie di strumenti nel corso del procedimento
finalizzati alla emanazione del provvedimento favorevole e, in caso di diniego, a contestarlo, ove
illegittimo.
Soltanto ove sussista un diritto del soggetto ad un bene della vita con corrispondente obbligo della
Pubblica Amniinistrazione a effettuare una data prestazione (attraverso o a seguito dell' adozione di
un atto anmiinistrativo), il soggetto nel pretendere la prestazione può pretendere l'adozione del
relativo necessario e strumentale provvedimento.

La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo riguarda invece i mezzi apprestati dall'
ordinamento per la loro protezione e gli strumenti messi a disposizione dei soggetti a tutela della
propria situazione soggettiva.
Il diritto soggettivo sussiste quando non entra in gioco l'esercizio di un potere autoritativo
discrezionale dell'Esecutivo o della Pubblica Amministrazione.
H soggetto fa valere allora il proprio interesse soggettivo dinanzi agli organi della giurisdizione
ordinaria; solo eccezionalmente e per determinate materie può farlo valere anche dinanzi agli
organi della giurisdizione amministrativa (art. 103,1 comma Cost).
È quindi da un lato la presenza di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione e dall'
altro l'affidamento dell'interesse soggettivo, sul quale incide l'esercizio del potere, alla tutela
giurisdizionale del giudice amministrativo ciò che determina l'essenza della fattispecie
dell'interesse legittimo.

12. Potere giuridico


L'autonomia di un soggetto e la titolarità di specifiche situazioni giuridiche attive si manifestano
attraverso il riconoscimento di vari poteri. Con il loro esercizio il soggetto può agire per perseguire
i vari interessi protetti dall' ordinamento giuridico.

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13. Potestà
Col termine potestà si indica una situazione giuridica attiva che si sostanzia nell'attribuzione ad un
soggetto di una serie di poteri in vista della realizzazione di uno specifico interesse che non è esclu-
sivo del titolare della potestà, vincolandolo in vario modo nel suo agire.
In ragione della realizzazione di interessi altrui alla potestà si accompagna di solito anche il dovere
di agire.

14. Facoltà
Le facoltà costituiscono i diversi modi attraverso i quali possono essere esercitate le situazioni
giuridiche soggettive attive. Il loro insieme rappresenta il contenuto della situazione soggettiva.

15. Situazioni giurìdiche passive: a) Dovere, obbligo, obbligazione


Nelle situazioni giuridiche passive si evidenzia la posizione di soggezione di un soggetto.
Il dovere consiste nella situazione giuridica in cui viene a trovarsi il soggetto tenuto ad astenersi da
determinati comportamenti o a tenere determinati comportamenti.
Quando un dovere consiste nel tenere un determinato comportamento esso concreta un obbligo del
soggetto.

16. b) Onere
Quando la doverosità di un comportamento è correlata ad un potere, condizionandolo nel suo
esercizio, essa dà luogo alla figura dell'onere.

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CAPITOLO QUARTO
LO STATO E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

1. Stato come ente originario e ternario


Col termine stato, che in senso estremamente lato indica una situazione in cui si colloca una entità,
si indicano peraltro diversi fenomeni nel mondo del diritto.
Sul piano politico con esso si indicano quei fenomeni di aggregazione politica di un popolo su di un
determinato territorio, che danno appunto luogo agli Stati veri e propri dell'Era moderna e
contemporanea. Sotto tale profilo lo Stato si pone come ente primario e originario, autonomo e
indipendente da ogni altra entità politica, che si costituisce con un proprio ordinamento giuridico e
pretende di produrre diritto con potere di supremazia nel proprio ambito operativo e funzionale.
Solitamente lo Stato è visto come la combinazione di tre entità: un popolo organizzato che
costituisce una unità politica; un territorio stabilmente governato; un potere supremo di dominio
che viene indicato, secondo la tradizione Hobbesiana, col termine di sovraordinata, nel senso
appunto di un, potere superiorem non recognoscensà-

2. Popolo e cittadinanza
Il popolo è una unità ideale di uomini organizzata politicamente che nella vita sociale si presenta
unitariamente.
Ove venga a formare uno Stato esso rappresenta l'ambito soggettivo dell' esercizio della sovranità.
Se poi la titolarità della sovranità appartiene al popolo e non ad altre entità lo Stato può dirsi
legittimato democraticamente.
Dal popolo va altresì distinto (anche se a volte è confuso con esso) il concetto di nazione in senso
stretto, col quale si indica il complesso di individui legati tra di loro da comuni tradizioni, cultura,
lingua, razza, etnia, senza che entri in gioco una organizzazione di tipo politico e giuridico.
La nazione può però anche avere rilevanza politica e giuridica ove la si rapporti per alcuni aspetti
oppure in stretta connessione al popolo. Può esserci un popolo-nazione, un popolo composto da più
nazionalità, una nazione divisa in due o più popoli.
Essa può essere attribuita ai singoli a titolo originario, iure sanguinis, per discendenza naturale da
chi è già cittadino, o iure soli per nascita nel territorio dello Stato. Può anche acquistarsi a titolo
derivato, per effetto di matrimonio, di acquisto di status di figlio, oppure per concessione da parte
dello Stato. Può anche perdersi per volontà o per il verificarsi di vari eventi, come, ad esempio,
l'acquisto di altra cittadinanza.
La legge italiana sulla ciltadinanza, n. 91 del 5.2.1992, prevede i casi di acquisto, di perdita e di
riacquisto della cittadinanza, privilegiando l'acquisto per discendenza da padre o madre italiana.
A seguito dell' approvazione del Trattato dell'Unione Europea, l'art. 17 assicura ai cittadini italiani,
come a quelli di tutti gli Stati membri dell'Unione, la cittadinanza europea, la quale viene a
costituire il compendio di tutti i diritti (e doveri) politici ad essi riconosciuti in ambito comunitario.

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3. Territorio
H territorio è quella parte della superficie terrestre dove si esercitano il dominio e la sovranità dello
Stato.
Esso comprende non solo la terraferma, ma anche una parte del mare contiguo alla terraferma e
dello spazio aereo ad essi sovrastante. Vengono altresì ritenuti territorio dello Stato le navi e gli
aeromobili, che, rispettivamente, navigano e sorvolano spazi marittimi o aerei non soggetti a
sovranità di altri Stati, ed alcuni edifici che godono della ed. extraterritorialità.
Il mare è costituito dal ed. mare territoriale, il quale si estende solitamente da un minimo di tre a un
massimo di dodici miglia marine, oltre le quali il mare è Ubero. Il codice della navigazione in Italia
(art. 2) ha prescritto che l'estensione del mare territoriale è di 12 miglia marine.
Oltre il mare territoriale è peraltro consentito agli Stati costieri di esercitare la propria sovranità
anche su quella parte del sottosuolo marino (ed. piattaforma continentale) che costituisce la
naturale prosecuzione della terraferma e si estende sotto il mare libero.
Lo spazio aereo al di sopra della terraferma e del mare territoriale comprende la ed. zona
atmosferica, mentre quella superiore è soggetta ad accordi internazionali.
Le sedi delle rappresentanze diplomatiche di uno Stato all' estero costituiscono territorio dello
Stato di riferimento.

4. Sovranità
La sovranità in senso ampio e generale può essere intesa come requisito di ogni ordinamento
politico originario, autonomo e indipendente.
Essa, per essere realmente tale, non deve ammettere la presenza di alcun' altra entità che possa
interferire nel proprio ambito di azione, nessuna altra entità al di sopra di sé.
Il sovrano è perché è originariamente al di sopra di ogni potere. Egli manifesta se stesso
producendo politica e diritto e ciò che proviene da lui non è altro che il suo tradursi in atto. In
quanto vero sovrano egli deve disconoscere altra fonte di potere politico che possa esistere
indipendentemente dalla sua volontà. Ciò che esiste politicamente è quanto egli ha voluto come
esistente politicamente, essendo egli l'unica autorità che esiste indipendentemente da ogni altra
autorità.
La sovranità assicura così allo Stato la propria legittimazione (da se stesso e in se stesso) ed
esprime la somma potestà ed autorità su ogni istituzione ed entità esistente nel proprio ambito
funzionale.

La titolarità e l'esercizio della sovranità possono spettare a varie entità esistenti nello Stato, ad un
apparato che a lui fa riferimento, ad una classe, ad una formazione politica o, come avviene negli
Stati democratici, al popolo unitariamente inteso.
La Costituzione Italiana, difatti, all' art. 1, II comma, stabilisce che la sovranità appartiene al
popolo e che esso la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Mentre quindi la titolarità
spetta al popolo, il suo esercizio è disciplinato giuridicamente in coerenza con i principi dello Stato
di diritto.
La Costituzione italiana, ad esempio, all' art. 10 stabilisce che l'ordinamento giuridico italiano si

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conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, mentre all' art. II prevede
la possibilità di limitazioni alla sovranità quando esse siano necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.

Orbene proprio in considerazione dei limiti cui va incontro la sovranità la sua sussistenza è stata
posta in discussione. Se invece le limitazioni e i condizionamenti, giuridici o di fatto, nascondono
una ormai avvenuta perdita effettiva e definitiva della sovranità, la conseguenza è che si è in
presenza di una comunità (statuale) che, sia pure organizzata politicamente, dà luogo ad una
parvenza di Stato.

5. Teoria dei presupposti o degli elementi costitutivi dello Stato


È nota l'annosa questione se popolo, territorio e sovranità costituiscono elementi essenziali o meri
presupposti dello Stato. In quest'ultimo caso lo Stato viene inteso come entità soggettiva diversa e
distinta da popolo, territorio e sovranità, che pure ne costituirebbero il presupposto.
La contrapposizionetra teoria degli elementi e dei presupposti sembra però più apparente che reale.
È certamente vero che se non si ipotizza un popolo unitariamente inteso, che abbia una propria
identità politica, o un territorio sul quale esso si insedia, oppure un potere politico e giuridico che si
esercita nell' ambito territoriale e rispetto al popolo stesso, uno Stato in senso proprio non può
venire ad esistenza. Ma anche se occorre presupporre siffatti elementi perché possa sorgere uno
Stato, nel momento in cui si ammette l'esistenza dello Stato, essi ne diventano al tempo stesso
specifici elementi essenziali. Essi sono quel determinato popolo, quel determinato territorio, quella
determinata sovranità di quel determinato Stato. Che lo Stato assuma una stmttura propria, uno
specifico ordinamento, una specifica identità soggettiva non significa che nella sua costituzione
non vi sia la presenza effettiva di tali elementi; mentre questi, pur concorrendo alla sua costituzione,
non restano assorbiti nella sintesi statuale in modo da perdere la loro identità. Difatti dal loro
variare varia anche lo Stato nella sua concreta detenninazione. Ne consegue invero che uno Stato
che estende il suo dominio su altri territori e nei confronti di altri popoli o che, per converso perde
parte del territorio e del popolo, non può che dar luogo ad uno Stato sostanzialmente (se non
formalmente sul piano del diritto internazionale) diverso da quello precedente, proprio per la sua
diversa, più ampia o ridotta composizione territoriale e personale.

6. Stato e normativismo
H fenomeno Stato viene peraltro ricondotto nell' ambito della norma giuridica da quelle teorie che
intendono risolverlo in termini di puro normativismo. E ciò in particolare da quelle teorie secondo
le quali lo Stato viene spiegato ricorrendo all' idea di una norma giuridica fondamentale
(Grundnorm) da cui esso trarrebbe la proprio legittimazione. Si ritiene così di superare lo stesso
problema della combinazione di popolo, territorio e del potere supremo, mentre viene svalutata la
teoria della sovranità.

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7. La Chiesa cattolica
Non soltanto gli Stati possono essere considerati soggetti sovrani. Vi sono ordinamenti non statuali
per i quali il diritto è considerato un attributo originario. Tra di essi per lunga tradizione va annove-
rata la Chiesa cattolica.

8. La Comunità internazionale
Per poter dare una disciplina giuridica alle loro relazioni gli Stati ed altre istituzioni politiche e
sovrane esistenti hanno portato alla costituzione di una Comunità ad essi esterna, che è individuata
come Comunità internazionale, considerata anch'essa con carattere di giuridicità.
La sua giuridicità non deriva però da quella statuale. Essa va collegata con il carattere di
«originarietà» che va riconosciuto alla Comunità, a sé considerata, per il diverso piano sul quale
essa opera, che è distinto da quello proprio dei singoli Stati. La Comunità internazionale, invero,
come tale, può vantare una vera e propria autonomia da ogni altra istituzione, ivi comprese le stesse
istituzioni statali, rispetto all' attività delle quali può dirsi che sorga.
Difficoltà possono presentarsi per determinare l'esatto contenuto di consuetodini. I mezzi di prova
sono i più diversi e vanno dall' accertamento della generalità e costanza dell'osservanza dell'uso
(beninteso in considerazione dell'ambito in cui esso si manifesta) all'indagine sulle attività interne
dei soggetti internazionali, le quali siano indicative di un comportamento conforme ad usi
internazionali.
I trattati vincolano soltanto i soggetti che li hanno posti in essere. La parità tra i soggetti
internazionali comporta che l'osservanza del diritto internazionale è in linea di principio affidata
all'autotutela.

9. a) L'organizzazione delle Nazioni Unite


Tra le varie organizzazioni internazionali la più rilevante è l'Organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU), istituita nel 1945 (l'Italia ne fa parte dal 1955), la quale ha impegnato gli Stati membri a
risolvere in modo pacifico le controversie internazionali. Essa è costituita da numerosi organi.
I principali sono l'Assemblea Generale, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri; il Consiglio
di Sicurezza, composto da 15 membri, di cui cinque permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia
e Gran Bretagna) e 10 eletti dall' Assemblea per un biennio. I cinque membri permanenti
dispongono ciascuno del diritto di voto, che consente di bloccare qualsiasi decisione del Consiglio;
la Corte internazionale di Giustizia, con sede all'Aja, che è l'organo giurisdizionale dell'ONU col
compito di risolvere le controversie sottopostele dagli Stati membri. Essa è composta da 15 giudici
eletti dall' Assemblea per nove anni; il Segretariato presieduto dal Segretario generale nominato
per cinque anni dall' Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza.

10. b) Altre organizzazioni intemazionali


Tra le altre numerose organizzazioni internazionali a carattere universale o regionale rilevante
importanza per gli Stati europei ha assunto la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico),
istituita nel 1949 con compiti di difesa da attacchi armati nei confronti di una o più delle parti
contraenti in Europa e in Nord America.

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11. L'unione Europea
In Europa sono state istituite Comunità europee sopranazionali a partire dalla CECA (Comunità
economica del carbone e dell'acciaio) nel 1951, alla CEE (Comunità economica europea) e
all'Euratom (Comunità europea dell' energia atomica) del 1957, fino all'Unione europea del 1992
in virtù del Trattato sull'Unione europea, stipulato a Maastricht. Tale trattato, mentre ricomprende
le Comunità europee esistenti (ed. primo pilastro), estende i compiti dell'Unione Europea alla
politica estera e di sicurezza comune (PESC), cosiddetto secondo pilastro, e alla cooperazione
giudiziaria e di polizia in materia penale, ed. terzo pilastro.
I principali organi comunitari sono i seguenti. Il Consiglio dell'Unione europea, composto dai
rappresentanti dei governi degli stati membri, è l'organo normativo e di decisione.
La Commissione è l'organo esecutivo che ha funzione di rappresentanza della Comunità all'interno,
nei confronti dei singoli Stati, e all' esterno; di proposta ed iniziativa normativa; di vigilanza sull'
esecuzione dei trattati.
II Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei popoli dei singoli Stati, eletti a suffragio
universale e diretto in ogni Stato membro per cinque anni.
Esercita poteri di controllo nei confronti della Commissione e delle altre istituzioni comunitarie.
Partecipa alla formazione degli atti comunitari attraverso il rilascio di pareri obbligatori non
vincolanti e pareri obbligatori e vincolanti.
La Corte dì giustizia, che ha sede a Lussemburgo, formata da 15 giudici (uno per ogni Stato
membro) e da otto Avvocati generali, ha il compito di assicurare l'uniforme interpretazione del
diritto comunitario e di giudicare sulla validità degli atti delle istituzioni.
Il Tribunale di primo grado, anch' esso con sede in Lussemburgo, istituito nel 1988, ha una
competenza limitata ad alcune materie determinate dal Consiglio, previa indicazione della Corte di
giustizia. Le sue decisioni sono impugnabili dinanzi alla Corte di Giustizia.

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CAPITOLO QUINTO:
FORME DI STATO

1. Forme di Stato: a) Stati nazionali e plurinazionali


Gli Stati possono essere distinti sulla base di vari criteri, in particolare se si tiene conto del modo in
cui si presentano i suoi elementi.
Possono esservi stati nazionali e plurinazionali a seconda della composizione etnica e nazionale del
popolo.

2. b) Stati centralisti e ad autonomie territoriali; regionali e federali


Riguardo al modo di organizzazione del potere sovrano nel territorio possono esservi Stati
centralisti, federali o Stati con rilevanti autonomie locali.
Centralisti possono dirsi quegli Stati nei quali il potere politico è quasi tutto o in modo prevalente
attribuito all'apparato centrale e con un non rilevante o significativo liconoscimento di autonomie
locali, le quali comunque soggiacciono al penetrante controllo o a interventi incisivi dell' apparato
centrale.
Federali possono considerarsi quegli Stati che, pur risultando unitari e sovrani, sono composti di
una pluralità di Stati ciascuno dei quali conserva rilevanti poteri garantiti anche di fronte ad esso; di
guisa che le variazioni della composizione federale e dei poteri dei singoli Stati vanno approvate
con il loro intervento. La previsione di siffatto potere riconosciuto agli Stati che compongono la
Federazione, il quale può essere inteso anche come un residuo di sovranità degli stessi, costituisce
in effetti l'elemento differenziatore tra gli Stati propriamente federali e gli altri Stati composti,
anch' essi basati sul riconoscimento di autonomie locali, come quelli regionali.

3. c) Monarchia e repubblica
Una distinzione che nel passato ha avuto notevole rilevanza tra le forme di Stato è stata quella tra
monarchia e repubblica, la quale è venuta meno a mano a mano che si è andata affermando la de-
mocrazia nella vita politica. È questa una distinzione che ha un valore sul piano storico e negli Stati
democratici contemporanei deve ritenersi superata dalla evoluzione delle forme di governo.
Per Monarchia si intendeva storicamente quella forma di organizzazione del potere politico in cui il
potere era attribuito (ed esercitato) vita naturai durante ad un sovrano, vale a dire ad una personalità
che derivava la carica e ne era legittimato da una discendenza ereditaria, per l'appartenenza ad un
casato, oppure in virtù di una elezione.
In effetti la distinzione oggi tra Stato monarchico e repubblicano riguarda soltanto l'attribuzione
della Carica di Capo dello Stato, nel primo a vita (prevalentemente in via ereditaria), nel secondo
per un tempo predeterminato.

4. d) Stati laici e confessionali


Altre distinzioni che possono essere prese in considerazione sono quelle tra Stati laici (come
prevalentemente sono gli Stati occidentali) e Stati religiosi (come gli Stati a religione islamica),
oppure tra Stati non caratterizzati da una specifica ideologia e Stati caratterizzati da una prevalente
e/o totalitaria ideologia (come gli Stati socialisti ispirati all'ideologia marxista).

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5. e) Stali democratici
La partecipazione del popolo alla gestione del potere caratterizza gli Stati democratici. Tale
partecipazione deve essere reale e non apparente e fondarsi sulla libertà degli individui. Con la
conseguenza che l'individuazione dei valori di riferimento deve a sua volta derivare dalla loro
libera scelta che in un sistema rappresentativo comporta l'elezione diretta o indiretta delle
istituzioni politiche.
L'esercizio del potere sovrano da parte delle istituzioni dell'ordinamento statale complessivamente
considerato deve invero essere ricondotto al popolo, poiché è nel popolo che negli Stati
democratici risiede il potere sovrano e da esso promana, manifestandosi nelle diverse articolazioni
della struttura statale che esso si è data.

6. f) Stato liberale-rappresentativo e Stato di partiti


Riguardo poi alla partecipazione del popolo alla gestione del potere si è distinto tra Stati
rappresentativi di tipo liberale e Stati di partiti e tra questi, in particolare, tra Stati monopartitici e
pluripartitici.

7. g) /partiti nello Stato di partiti


I partiti politici sono, come ogni altro gruppo sociale, associazioni di individui che mirano a
realizzare uno scopo comune connesso con l'interesse collettivo che è la loro ragion d' essere.
Rispetto agli altri gruppi sociali mirano ad assumere la responsabilità della gestione politica
attraverso un' opera costante di coordinamento e di contemperamento delle diverse domande in cui
si articolano i molteplici interessi sociali. In quanto organizzazioni stabili essi si distinguono da
altre associazioni politiche, come i ed. gruppi politici elettorali, la cui funzione appare limitata alla
partecipazione alle competizioni elettorali, o da quelle che mirano al conseguimento soltanto di
alcuni occasionali, particolari e delimitati risultati politici, come i comitati promotori di
referendum.
Mentre nello Stato liberale-rappresentativo del XIX secolo i partiti politici riflettevano le divisioni
politiche esistenti nel Parlamento e mantenevano saltuari collegamenti con i comitati elettorali, con
l'estensione progressiva del diritto di elettorato, sino alla introduzione del suffragio universale, i
partiti sono diventati partiti di massa e si sono affermati come forze mediatrici tra popolo e
istituzioni politiche.

Per far fronte ai compiti via via crescenti si sono dotati di strutture organizzative permanenti e
diffuse sul territorio assicurando in questo modo il collegamento con gli elettori. Si è superata così
la configurazione di partito di notabili che essi avevano nella precedente fase storica.
Contemporaneamente si è cambiato il rapporto con le loro componenti parlamentari la cui attività è
stata da essi sempre più condizionata. In questa fase e entrato in crisi il sistema politico fondato sul
parlamentarismo tipico dello Stato liberale-rappresentativo e si è andata trasformando la stessa
struttura dello Stato contemporaneo.
Le elezioni sono di fatto un loro monopolio. Se è vero che astrattamente chiunque potrebbe da solo
avanzare la propria candidatura alle elezioni, sempre che non vi siano limitazioni legali in tal senso,
risulta che di fatto sono i partiti che scelgono i candidati da inserire nelle loro liste o da presentare

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nei singoli collegi. E sono questi che possono avere effettive possibilità di essere eletti, in quanto
dai partiti ricevono il necessario appoggio. Ciò si verifica anche quando la scelta dei candidati dei
partiti è fatta dipendere dalle ed. primarie, perché è pur sempre la decisione ed il sostegno del
partito che è decisivo.
La stessa propaganda elettorale è affidata principalmente ai partiti sulla base del loro programma
politico.

D'altra parte l'intervento dei partiti serve anche da garanzia nei confronti dell' elettorato, in quanto
da essi è assicurata la qualificazione politica delle varie candidature e da essi è così reso edotto
l'elettore in ordine al programma politico che i candidati si impegnano ad attuare. Ed in tal modo si
evita anche che i singoli candidati siano condizionati esclusivamente dall'appoggio ricevuto dai
vari gruppi di interesse o da notabili locali.
In molti ordinamenti peraltro le elezioni assumono un carattere plebiscitario per il governo, nel
senso che il consenso popolare che viene manifestato nei confronti di un partito o di una coalizione
di partiti che ottiene la maggioranza dei voti (o eventualmente un risultato elettorale maggioritario)
serve anche -ad assicurare per un determinato periodo di tempo, che normalmente coincide con la
durata della legislatura, una stabile conduzione della vita politica di governo.
Ma i partiti politici condizionano gli eletti al Parlamento anche dopo le elezioni. Nei Paesi a partito
unico o anche a sistema non competitivo tale dipendenza è intrinseca al sistema e appare
istituzionalmente riconosciuta, essendo prevista ad esempio la revoca del mandato.
Negli altri Paesi a sistema pluralistico e competitivo la soggezione nei confronti dei partiti può
variare di intensità, ma è sempre presente e comporta che i membri del Parlamento, se pure
formalmente sono liberi e indipendenti nella scelta delle soluzioni e delle decisioni che prendono
nell' espletamento della loro attività politica parlamentare, in realtà sono sottoposti alla direzione e
alle indicazioni del gruppo parlamentare (a sua volta collegato al corrispondente partito) cui
appartengono. Ove essi non intendessero sottoporvisi sarebbero esposti alle sue sanzioni, la più
grave delle quali, in caso di disaccordo ovviamente insanabile, è rappresentata dall' espulsione dal
gruppo. Il che può comportare la fine della carriera politica del parlamentare, a meno che egli non
trovi appoggio in un altro gruppo (e corrispondente partito).
Anche l'Esecutivo risente dell'intervento determinante dei partiti politici. Nei sistemi di governo
presidenziale sono essi che convogliano il consenso degli elettori (popolo o collegio elettorale) sui
candidati alla Presidenza. Nei sistemi di governo parlamentare sono essi che determinano tanto
l'elezione del Capo dello Stato (se si tratta di carica elettiva) quanto la designazione dei membri del
Governo (Capo del Governo e membri del Gabinetto) e condizionano la stessa vita politica
governativa.
La forza o la debolezza del Premier e la presenza o assenza di omogeneità tra i membri del
Gabinetto sono direttamente collegate alle designazioni provenienti dai partiti e al
condizionamento continuo che il Governo deve subire, a volte, come in Italia, anche dalle correnti
dei partiti della maggioranza.
Siffatto molo può variare di intensità e di funzionalità nei diversi Paesi, in dipendenza sia della
sttuttura dei singoli partiti, sia della geografia politica, ma va comunque rapportato al variare delle
maggioranze politiche che si costituiscono in sede centrale e locale.

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8. h) Rappresentanza politica e Stato dipartiti
La rilevanza che hanno assunto i partiti nel processo di formazione della volontà del popolo ha poi
indotto alcuni a configura re lo Stato di partiti come fondato non più sul principio di rappresentanza
(tipico dello Stato liberale rappresentativo) bensì su quello di identità, in quanto i partiti si
identificherebbero col popolo politicamente attivo, e i parlamentari non sarebbero da considerare
più come rappresentanti del popolo, ma suoi strumenti in quanto dipendenti di fatto dalle gerarchie
dei partiti ed alla loro volontà vincolati per una sorta di mandato imperativo.

Può tuttavia obiettarsi che la complessiva attività posta in essere dai parlamentari, la quale traduce
sul piano istituzionale statale la politica di partito (o meglio della maggioranza dei partiti), può
essere comunque ritenuta rappresentativa, in quanto riferita, imputata al popolo nella sua unità, che
ne riconosce e sopporta gli effetti, assumendosene la responsabilità e le conseguenze. Il valore
tendenzialmente plebiscitario e direttamente partecipativo del popolo tramite le sue stabili
organizzazioni politiche, i partiti politici, nei confronti delle istituzioni statali non esclude quindi la
rappresentatività politica.

Nel momento in cui si assume che le decisioni assunte dai Parlamentari sono quelle assunte da altri
organismi come i partiti politici, e che come tali valgono immediatamente come decisioni proprie
del popolo, in realtà si viene a riconoscere che si è costituita altra forma di rappresentanza politica,
del popolo da parte dei partiti; né più né meno di come si assume che avvenga nel Parlamento, ove
le decisioni prese dalla maggioranza dei parlamentari di diverse tendenze politiche valgono come
se fossero decisioni prese dal popolo direttamente.
In realtà lo stesso concetto di rappresentanza politica di per sé non esclude la presenza di vincoli nei
confronti dei rappresentanti. E anche quando si esclude espressamente il mandato imperativo, la li-
bertà da vincoli non può mai essere intesa in senso assoluto, dato che le decisioni non possono non
essere condizionate dai bisogni e dalle esigenze di un determinato ambiente sociale e di una
determinata epoca storica.
Di conseguenza sembra innegabile la validità della rappresentanza politica anche nello Stato di
partiti. Essa costituisce fattore essenziale di organizzazione dello Stato. Poiché il popolo non può
realmente comparire in tutte le decisioni politiche da prendere, si impone la necessità di ricorrere
ad altre entità, appunto i rappresentanti, che lo rendono realmente presente ed agente.

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CAPITOLO SESTO
LA DIVISIONE DEI POTERI

1. Evoluzione della teoria della divisione di poteri


È con la formazione dello Stato moderno e contemporaneo che si è posto il problema della gestione
del potere statale e della sua ripartizione tra diversi soggetti e organi.
L'esigenza di dividere il potere statale in potere legislativo, esecutivo e giurisdizionale fu dal
Montesquieu collegata con l'esigenza di tutelare la libertà politica dei cittadini nei confronti del
potere statale. Egli, partendo dal modo in cui veniva ripartito il potere statale in Inghilterra tra
Monarca e Parlamento, ritenne che per evitare l'oppressione dei singoli e gli arbitri derivanti
dall'esercizio del potere, occorresse frazionare il potere statale tra soggetti o organi diversi e distinti,
in modo che il potere degli uni fosse in grado di arrestare il potere degli altri.

Tale concezione in definitiva intendeva creare nello Stato organi o gruppi di organi ciascuno
titolare di urla porzione del potere politico e ciascuno in posizione di autonomia rispetto agli altri:
da una parte il potere politico del Monarca e della burocrazia che da lui strettamente dipendeva, che
aveva finito per identificarsi in certo senso con lo Stato, e dall' altra e in contrapposizione a quello
il potere politico delle assemblee parlamentari nelle quali trovava il suo sblocco naturale il popolo,
0 almeno la parte di esso politicamente attiva. La contrapposizione tra le due forze politiche in
ordine sia alla attribuzione sia all' esercizio del potere politico trovava la sua espressione giuridica
nella costruzione del potere legislativo e di quello esecutivo come due poteri politici a sé stanti,
cioè contrapposti.

Traspare quindi dalla costruzione del Montesquieu non tanto l'aspirazione a dare una precisa
determinazione riguardo al contenuto dei poteri, con una definizione astratta, quanto piuttosto
l'idea della necessità di dividere i poteri per la tutela della libertà politica. La costruzione della
divisione dei poteri veniva quindi a dar luogo da un lato a due poteri statali intensione fra loro, i
quali istituzionalmente corrispondevano a due effettivi centri di potere politico, popolo uni-
tariamente considerato nella sua astrazione e monarca, e dall' altro un potere destinato ad assumere
sempre maggiore indipendenza rispetto agli altri due, che non corrispondeva però ad un centro
autonomo di interessi e quindi di potere politico, anche se assolveva un compito ritenuto essenziale
per la conservazione dell' ordine giuridico e quindi per la conservazione della comunità sociale
organizzata politicamente.
Tuttavia, nello Stato di diritto, in cui al popolo nella sua unità è stato riconosciuto il'potere politico
sovrano, originario, irrinunciabile e indivisibile, il principio della divisione dei poteri, anche se
svuotato del suo significato originario, è stato sempre affermato in modo' solenne e riportato nelle
carte e nei documenti costituzionali per il valore tradizionale e politico che ad esso è stato sempre
riconosciuto, quasi segno tangibile di democrazia. Ma in realtà si è ridotto a mero slogan politico,
mentre sul piano giuridico ha assunto valore eminentemente sul piano organizzativo.

1 concetti giuridici di potere e di divisione di potere hanno assunto quindi tutf altro significato. Essi
non indicano più campi materiali di azione di soggetti detentori di una parte del potere politico, ma

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piuttosto definiscono una serie di attribuzioni di organi dello Stato o di soggetti distinti dalla
persona statale, che sono esercitate da questi, soli o in collaborazione fra loro, e che sono
individuate prevalentemente in base a criteri formali; sicché si sono risolti nel principio della
ripartizione funzionale di competenze. Il potere è stato quindi razionalizzato in relazione all'
organizzazione istituzionale. Si sono create competenze diverse, ciascuna coerente con compiti
specifici da adempiere, ciascuna parte dell'unitario e originario potere dello Stato.

2. Potere di esecuzione costituzionale


Il concetto di esecuzione così precisato non deve essere inteso nel senso di acreatività giuridica,
ricorrendo ad una distinzione schematica tra legis latio e legis executio in base alla quale la legis
execulio offrendo contenuti già previsti nelle formulazioni astratte della legis latio non avrebbe
carattere creativo di diritto. L'esecuzione come tale va in proposito individuata concettualmente
solo per la sua relazione rispetto ad altro elemento, che per ciò, rispetto ad essa, è primario. In
proposito può pertanto parlarsi, sia pure in senso lato e nei limiti di un inquadramento generale, di
potere esecutivo costituzionale. L'individuazione in concreto di tale potere però, data la sua
genericità, non può essere percepita indipendentemente dall'analisi delle singole forme e modi in
cui esso è specificato e conformato, vale a dire attraverso i vari poteri in cui si suddivide, a loro
volta individuabili in considerazione di elementi tipici e costanti. L'indagine è di diritto positivo,
non potendosi prescindere dalle particolarità dei singoli ordinamenti politici.
Tuttavia per tradizione, dall' antico principio della divisione dei poteri si fa ancora derivare la
ripartizione del potere nei tre poteri fondamentali legislativo, esecutivo e giurisdizionale.
Ripartizione che ha però valore soltanto sul piano di una distinzione giuridico-formale delle
funzioni statali da un punto di vista estremamente generale, beninteso senza che ad essa
corrisponda una vera e propria distinzione di ordine politico.

3. a) Potere legislativo
Pertanto, per individuare il potere legislativo si prescinde dal concetto di legislazione materiale
(che comprende qualsiasi atto normativo) e si ha riguardo al solo potere legislativo in senso
formale. Gli elementi tipici che lo caratterizzano sono individuabili nella particolare forza ed
efficacia dei singoli atti posti in essere da un soggetto, di solito il Parlamento, ma potrebbe essere
qualsiasi assemblea legislativa in uno Stato federale o ad autonomia regionale, in relazione ad altri
atti posti in essere dallo stesso o da altri soggetti giuridici. All'interno del potere legislativo formale
possono distinguersi vari sottotipi, come, ad esempio, quello di legislazione costituzionale e
ordinaria o di legislazione statale e regionale.

4. b) Potere giurisdizionale
H potere giurisdizionale considerando gli effetti cui i suoi atti, inseriti in un particolare
procedimento, danno luogo, consiste nella intrinseca idoneità di questi a giungere ad una decisione
dotata di una particolare forza ed efficacia, come tale suscettibile di essere definitiva rispetto ad
altre manifestazioni di volontà, la quale fa stato in ordine ad una specifica questione insorta tra

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privati, tra privati ed amministrazione, tra arrmiinistrazioni fra loro, tra fonti diverse dello
ordinamento e in genere tra qualunque soggetto.
Non si ritiene invece a stretto rigore determinante da un punto di vista generale la posizione, di
indipendenza e di imparzialità, che assume l'organo giudicante, malgrado il rilievo che essa riceve
nei ,singoli ordinanjenti positivi, tanto che a volte viene anche ritenuta essenziale per la valida
costituzione del giudice. E questo un carattere eventuale della funzione ma non necessario per la
sua esistenza sul piano di una teoria generale allo stesso modo delle varie forme procedimentali e
delle specifiche garanzie, come quella del contraddittorio tra le parti del processo.

5. c) Potere esecutivo
Il potere esecutivo al contrario, unitariamente inteso, non può di per sé essere individuato in modo
positivo per gli effetti tipici e costanti cui danno luogo le varie attività. Esso va invece individuato
in via negativa, per l'assenza di elementi tipici come quelli con i quali è possibile caratterizzare i
poteri legislativo e giurisdizionale.
Nell'ordinamento costituzionale italiano, pur mancando un espresso riferimento alla funzione
esecutiva, sono previsti da un lato, in. via generale, all'art. 95 l'attività e l'indirizzo
politico-amministrativo, che restano affidati al Governo e alla Pubblica Amministrazione, dall'
altro le garanzie specifiche delle attività medesime, non solo di quella politica, per la quale vale il
principio cardine della forma di governo parlamentare della responsabilità governativa di fronte al
Parlamento, ma anche di quella amniinistrativa, per la quale vale il principio di legalità azionabile
davanti alla giurisdizione (art. 113).
Deve peraltro escludersi, oltre casi specifici, il riconoscimento di un principio generale di riserva di
esecuzione e di amministrazione da far valere nei confronti del legislatore.
Indipendentemente dal modo in cui avviene la ripartizione del potere, in senso verticale o
orizzontale, tra diversi organi o complessi organici, va tuttavia considerato che essa non è stata mai
attuata in modo rigorosamente rigido e schematico, nel senso di attribuire l'uno o l'altro potere ad
organi del tutto distinti fra di loro senza reciproche interferenze. Sono state previste invero nei vari
ordinamenti forme di collaborazione reciproca tra gli organi esercitanti funzioni diverse, anche
indipendentemente dalla titolarità, in linea di principio, del relativo potere, in vista del risultato
finale che deve essere raggiunto.

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CAPITOLO SETTIMO
FORME DI GOVERNO

1. Forme di governo assoluto e democratico


Accanto alle forme di Stato, e a volte confuse con queste, sussistono le forme di governo. Anche
esse possono essere distinte da vari angoli visuali.
Possono contrapporsi forme di governo assolute o autoritarie a forme democratiche, le quali si
distinguono a loro volta a seconda del modo in cui è distribuito il potere sovrano tra le varie
istituzioni ed organi.

2. Forme di governo democratico; a) Governo parlamentare


Storicamente la forma di governo parlamentare si è formata con il passaggio da una forma di
governo costituzionali (governo del re) ad un governo responsabile non solo di fronte al re, ma
anche di fronte al parlamento e poi soltanto di fronte al parlamento, di cui deve godere la fiducia.
Non è quindi la forma di Stato, monarchica o repubblicana, ciò che contraddistingue la forma di
governo parlamentare, ma il rapporto fiduciario che deve sussistere tra governo e parlamento in
base al quale il governo è espressione della maggioranza parlamentare e in quanto tale riceve dal
parlamento l'approvazione del suo programma politico, per cui, in caso di mancanza di sostegno,
venendo meno la fiducia, deve dimettersi.
Quando l'omogeneità sociale e politica dà luogo ad un sistema politico bipartitico o bipolare, con
coalizioni di partiti contrapposte, è agevole individuare una maggioranza parlamentare, la quale
costituisce anche maggioranza governante, per cui l'esecutivo può contare su di una maggioranza
stabile e il suo ruolo ne esce rafforzato.
Il bipartitismo o bipolarismo può dipendere indubbiamente (o quanto meno essere facilitato)
dall'adozione di un sistema elettorale maggioritario per l'elezione dei parlamentari, ma non ne-
cessariamente, in quanto anche con sistemi elettorali proporzionali può raggiungersi lo stesso
risultato.
Di conseguenza anche la posizione del Leader o Primo ministro sarà preminente, come avviene ad
esempio nei governi a Premierato (Regno Unito) o a Cancellierato (Repubblica federale tedesca).
Essa peraltro sarà condizionata dalla compattezza del partito politico o dalla tenuta della coalizione,
specialmente se costituita da partiti tra loro litigiosi.
Il ruolo del Premier può riuscire rafforzato anche se esso viene eletto direttamente o
congiuntamente all'elezione dei parlamentari in quanto leader del partito o della coalizione.
Ove peraltro siffatta elezione diretta avvenga indipendentemente da quella dei parlamentari può
essere a scapito del rapporto fiduciario tra governo e parlamento. In tal senso il sistema di governo
parlamentare assume caratteristiche simili a quello presidenziale o semi presidenziale.

3. b) Governo assembleare
La forma di governo parlamentare, ove il governo sia in balia di improvvise maggioranze formatesi

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in seno al parlamento con cambi repentini di posizione e di coalizione dei partiti politici e dei corri-
spondenti gruppi parlamentari, può risolversi in una forma di governo assembleare.
Di solito si ritiene che tale forma di governo sia istituzionalizzata quando manchino regole che
condizionino la votazione della fiducia o della sfiducia parlamentare al govèrno.

4. c) Governo presidenziale
La forma di governo presidenziale a differenza di quella parlamentare si fonda sul dualismo tra
parlamento e governo e sulla mancanza di un rapporto fiduciario tra i due organi.
Il Capo del governo, che è anche Capo dello Stato, è di solito eletto, come il parlamento, dal popolo
direttamente o indirettamente (con una elezione di secondo grado), ma può anche essere eletto
dallo stesso parlamento. Dopo l'elezione resta in carica per tutto il tempo previsto di durata del
mandato presidenziale.

5. d) i/ ed. Governo semipresidenziale


Dalla forma di governo presidenziale si distingue quella del ed. gove rn o semipresidenziale. Si
tratta di ima forma di governo che presenta caratteristiche intermedie tra quella parlamentare e
quella presidenziale.
Il Capo dello Stato, che può essere eletto dal popolo o da apposita assemblea e che non risponde di
fronte al parlamento, è dotato di ampi poteri politici e di intervento nei confronti del parlamento e
del governo, che egli provvede a nominare. Il governo tuttavia deve godere della fiducia del
parlamento.

6. e) Governo direttoriale
La forma di governo direttoriale è caratterizzata dalla presenza di un esecutivo collegiale, eletto dal
parlamento per tutta la durata della legislatura, che assomma le funzioni di governo e di Capo dello
Stato, nonché dalla mancanza di un rapporto fiduciario tra tale organo ed il Parlamento.

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CAPITOLO OTTAVO
COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE

1. // concetto di Costituzione
Nel periodo illuministico si è andata sviluppando l'idea, propria delle dottrine del ed.
costituzionalismo, secondo cui lo Stato per essere tale deve avere una Costituzione che ne
determini l'organizzazione basilare e stabilisca i principi e i diritti fondamentali a garanzia dei
cittadini.
La Costituzione ha assunto così il significato di Legge fondamentale dello Stato, la quale secondo
il criterio gradualistico, è posta al vertice delle fonti dell' ordinamento giuridico statale.
Questa può essere costituita anche da pochi principi, può essere scritta o non scritta, ma senza di
essa, ove manchi un nucleo basilare di disciplina organizzativa, non è immaginabile la stessa
esistenza dell' organizzazione, né può essere configurabile una unità politica operante.

A volte sulla spinta di dottrine giusnaturalistiche la Costituzione è stata concepita come un testo
che assume carattere sacro per il riconoscimento di diritti e di principi esistenti in natura che ad essa
si impongono o la condizionano.

La Costituzione, se la si intende come decisione fondamentale sulla forma di esistenza politica


dello Stato, può concretizzarsi in un atto o in una serie di atti formali e/o manifestarsi per via
consuetudinaria o convenzionale. Essa denota in ogni caso l'esistenza di un potere creativo che,
come tale, è originario e necessariamente antecedente alla Costituzione e allo stesso diritto
prodotto dall' ordinamento che sulla Costituzione si fonda.

2. Il potere costituente
Il potere costituzionale è stato giustificato in vario modo, ad esempio col riferimento alla
trascendenza divina (per grazia di Dio), oppure, in epoca democratica, alla volontà (espressa o
tacita) del popolo o della classe dominante o comunque alla forza, al dominio espresso dalle forze
politiche o dai soggetti politici che in un dato momento storico lo hanno di fatto esercitato.

La legittimazione di tale potere è stata anche fatta derivare da una precedente esperienza
costituzionale, contraddicendo peraltro il carattere originario del potere stesso.
In realtà non ha senso tentare di definire a priori, giuridicamente, il potere costituente. Esso è
invero ontologicamente pregiuridico e solo col suo manifestarsi per effetto di una decisione
politica riconducibile ad un potere in sé originario fa venire ad esistenza la Costituzione e con essa
il Diritto costituzionale.

Il potere costituente quindi va visto nel fatto, storicamente idoneo ad istituire l'ordinamento
costituzionale. Fatto che una volta istituito l'ordinamento viene riconosciuto per ciò solo
normativo.
Esso è di volta in volta rinvenibile nell' atto di volontà che può essere espresso ora da un singolo

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dotato di potere sovrano (il Monarca nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale),
ora da un gruppo di potere o da esponenti di una oligarchia di una classe sociale prevalente, ora dal
Popolo inteso come unità politica capace di agire per il tramite di suoi rappresentanti oppure
direttamente, ma anche in modo tacito e per via consuetudinaria, ora da entità politiche e giuridiche
esterne, come può essere il caso di decisioni provenienti da altro o altri Stati a seguito di accordi sul
piano dei rapporti internazionali, ad esempio per effetto di decisioni assunte da potenze vincitrici di
un conflitto bellico, oppure per effetto della decisione di entità politiche territoriali esistenti di
aggregarsi per istituire altro assetto istituzionale, come avviene, ad esempio, a seguito del processo
di formazione degli Stati federali.

Ciò esclude che possa parlarsi «a priori» di legittimità o legalità, nel senso di presupporre un
parametro oggettivo ed assoluto cui raffrontare il singolo ordinamento, perché siffatto parametro
non esiste, né può considerarsi giuridica qualsiasi Costituzione o progetto astratto di ordinamento
giuridico fondamentale prima del suo inveramento nella prassi. Come non può ancorarsi la
legittimità ad una precedente Costituzione. Il che comporterebbe logicamente il ricorso di volta in
volta ad una precedente Costituzione che legittimi quella seguente. E ciò all'infinito.
Ciò non esclude che il potere costituente possa disciplinare le modalità del suo stesso esercizio. Ma,
essendo un potere originario, esso può anche svolgersi indipendentemente da siffatte discipline od
anche contro di esse. Ciò perché una Costituzione può venire ad esistenza indipendentemente da
previe discipline giuridiche. Anche quando si esercita il potere costituente in modo conforme a
precedenti discipline giuridiche che l'abbiano a loro oggetto è sempre un potere in sé originario che
si manifesta per il solo fatto del suo venire ad esistenza.

Se quindi una Costituzione esistente viene modificata o integrata, non può non ammettersi
l'esercizio di un potere costituente, sia esso un potere costituito, perché riconosciuto e disciplinato
per le modalità del suo svolgimento dalla stessa Costituzione, sia esso un potere che si svolge
autonomamente da essa. Ciò in quanto il potere costituente non si esaurisce in una Costituzione
storicamente datata, ma permane nel soggetto (sia esso un monarca assoluto, sia il popolo nella
unità politica) cui di volta in volta, nel modificarsi del sistema politico, è riconosciuta la titolarità.

3. La Costituzione vivente
Le Costituzioni quindi vanno viste nel concreto operare delle istituzioni, degli organi e delle forze
politiche. In tal senso può parlarsi di Costituzione reale e vivente. Concetto che a volte si esprime
con l'espressione Costituzione materiale, anche se con questa si intende piuttosto indicare il
particolare regime politico e giuridico che si realizza, anche in contrapposizione o in dissonanza
con la Costituzione formale.
Anche se una Costituzione afferma la sua immodifìcabilità, ciò non esclude affatto che nel corso
del tempo subisca mutamenti, a volte anche radicali. Ciò si è, ad esempio, verificato con lo Statuto
Albertino, il quale, pur autoproclamandosi Legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della
Monarchia, fu poi modificata e travolta dalle successive leggi ordinarie e dalla consuetudine.

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4. Tipologia delle Costituzioni
Le Costituzioni possono essere brevi o lunghe scritte o non scritte.
Quelle brevi (ad esempio lo Statuto Albertino) contengono poche disposizioni che riguardano
principi fondamentali, garantiscono alcuni diritti fondamentali e stabiliscono le regole
fondamentali della strattura dello Stato e dell' assetto degli organi costituzionali.
Quelle lunghe dettano regole generali ed anche particolari (e a volte minuziose) che riguardano
oltre i diritti fondamentali vari aspetti della società civile, tra cui i ed. diritti sociali, i rapporti tra i
vari organi e soggetti costituzionali o a rilevanza costituzionale.
Le costituzioni scritte o non scritte sono quelle che si formano sulla base di accordi e convenzioni
intervenuti tra le forze politiche prevalenti e a seguito di comportamenti degli organi istituzionali
protrattisi nel corso del tempo, i quali danno luogo a consuetudini costituzionali.

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CAPITOLO NONO
LO STATO ITALIANO E LE SUE FONTI

1. La Costituzione nel sistema delle fonti


Il vìgente ordinamento italiano, caratterizzato dal principio fondamentale della legalità, conosce
una molteplicità di fonti che trovano disciplina nella Costituzione della Repubblica Italiana, intesa
come legge fondamentale, e nella legislazione ordinaria.
Prima dell' entrata in vigore della Costituzione italiana (1948), nel vigore dello Statuto Albertino
che prevedeva solo alcune scarne disposizioni sul potere legislativo, la disciplina generale sulle
fonti del diritto era contenuta nelle Disposizioni preliminari al codice civile del 1942.
Con l'approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana (pubbl. sulla G.U. del 22
Dicembre 1947, n. 298 ed entrata in vigore il 10 Gennaio 1948), questa è divenuta la legge
fondamentale della Repubblica come stabilisce l'mtimo comma della XVIII Disposizione
transitoria e finale.

LLeggi costituzionali e di revisione costituzionale


Accanto alla Costituzione si pongono con pari grado le leggi costituzionali e le leggi di revisione
costituzionale, anch'esse assistite da una forza di rango costituzionale che trova garanzia nella
Corte costituzionale. Esse vengono adottate col particolare procedimento aggravato previsto
dall'art. 138 Cosi, nel quale si combinano due successive delibere del Parlamento con l'eventuale
ricorso al referendum popolare.
Se è approvata con la maggioranza dei due terzi la legge costituzionale si intende definitivamente
approvata e va quindi promulgata e pubblicata. Se non si raggiunge tale maggioranza, essa viene
soltanto pubblicata e occorre attendere il decorso di tre mesi, termine entro il quale è possibile che
venga richiesto il referendum popolare da parte di un quinto dei membri di una Camera,
cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Se non viene presentata richiesta di
referendum la legge viene promulgata. Altrimenti si procede alla consultazione popolare e la legge
si intende approvata Ove si raggiunga la maggioranza dei voti validi. Non è richiesto un quorum di
partecipazione al voto perché il referendum sia valido, come è invece nel caso previsto dall'art. 75
Cost. per il referendum abrogativo.
L'art. 139 Cost. tuttavia limita espressamente il potere di revisione, stabilendo che la forma
repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Parte della dottrina, confortata da alcuni obiter dieta della Corte Costituzionale, sostiene che non
possono essere sottoposte a revisione costituzionale anche quelle disposizioni della Costituzione
che garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo e i principi fondamentali che caratterizzano la
Repubblica democratica, come, ad esempio, il principio dell' eguaglianza davanti alla legge.

3. Fonti primarie e secondarie


La Costituzione italiana contempla altre fonti del diritto oltre quelle costituzionali, tra cui alcune
non previste precedentemente, pur non contenendo una organica disciplina delle stesse.
Ulteriori discipline sono state poi introdotte dalla legislazione ordinaria e costituzionale, come
dalla L. 400 del 1988 sulla Presidenza del Consiglio, e dalle L. Cost. 22.11.1999, n. 1,18.10.2001,

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n. 3, per cui si ha un quadro d'assieme abbastanza complesso, che può essere ordinato secondo il
criterio gradualistico e quello della competenza.
Nelle Disposizioni preUminari al codice civile del 1942 sono indicate come fonti del diritto le leggi
e gli atti aventi forza di legge, i regolamenti, le norme corporative e gli usi, ovverosia le
consuetudini.
Le norme corporative, costituite dai contratti collettivi di lavoro, dagli accordi economici collettivi
(stipulati dalle associazioni sindacali di diritto pubblico e dotati di efficacia obbligatoria per tutti
gli appartenenti alle categorie economico produttive e professionali), dalle ordinanze corporative e
dalle sentenze normative della magistratura del lavoro, sono peraltro venute meno con la
soppressione degli organi corporativi e con l'abrogazione dell'ordinamento corporativo, mentre
furono lasciati in vigore i contratti e gli accordi stipulati precedentemente.

4. Potestà legislativa statale e regionale i


La legge formale può essere la legge dello Stato, approvata dal Parlamento, ai sensi de gli artt. 70 e
segg. della Costituzione e secondo la disciplina particolare dettata dai regolamenti parlamentari,
oppure la legge regionale o delle Province autonome di Trento e Bolzano, prevista dall' art. 117
Cost.
In base al n comma dell' art. 117 la potestà dello Stato è esclusiva nelle seguenti materie: a) politica
estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione Europea; diritto di
asilo e condizione giurìdica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b)
immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Fcrze annate;
sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati
finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato;
perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum
statali, elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione ammini stativa dello
Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia
amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali;
ordinamento civile e penale; giustizia arrmiinistrativa; m) deterrninazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazions elettorale,
organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane: q) dogane,
protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del
tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell' amministrazione statale,
regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell' ambiente, dell' ecosistema e dei beni culturali.
Per tali materie la potestà legislativa dello Stato è limitata alla deterrninazione dei principi
fondamentali.
Le Regioni invece, oltre la competenza concorrente di cui al III comma dell' art. 117, hanno una
competenza legislativa generale con riferimento ad ogni altra materia che non sia espressamente
riservata alla legislazione dello Stato (art. 117, TV comma Cost.).

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5. Atti aventi forza di legge: a) Decreti legislativi
Con 1' espressione atti aventi forza di legge si intendono gli atti normativi equiparati alla legge
quanto alloro rapporto con le altre fonti dell' ordinamento. Atti quindi idonei ad abrogare altri atti
legislativi, ivi comprese le leggi, e di essere abrogati soltanto da altri atti legislativi.
Dalla Costituzione italiana si evince che in tale categoria possono essere senz'altro annoverati il
decreto legislativo e il Decreto legge, adottati dal Governo ed emanati dal Presidente della
Repubblica. Neil' ordinamento regionale non sono invece previsti atti legislativi diversi dalle leggi
regionali ed equiparati ad esse.
In quanto titolare della funzione, il Parlamento, fin quando la delega non è esercitata, può revocarla
e/o modificarla, non soltanto in modo esplicito ma anche in modo implicito, come avviene
attraverso. una successiva modifica della disciplina che era stata oggetto di delegazione.
La delega viene conferita al Governo unitariamente inteso (non è ammissibile la delega ad uno
degli organi che compongono il Governo) e con legge. Questa, ai sensi dell'art. 72, IV comma Cost.,
deve essere adottata col procedimento normale di esame e di approvazione stabilito dallo stesso art.
72.
I limiti stabiliti dalla Costituzione non escludono che il Parlamento possa fissarne di ulteriori,
anche procedimentali. Come avviene, ad esempio, quando si richiede che il Governo sottoponga il
progetto di Decreto legislativo alla previa valutazione di Commissioni parlamentari.
La legge 400/1988 peraltro all'art. 14, IV comma ha previsto che, ove la delega ecceda i due anni, il
Governo deve chiedere il parere delle Commissioni parlamentari sullo schema di decreto delegato.
Una volta che il Decreto delegato è stato emanato, normalmente la delega si esaurisce, anche se
non è trascorso il termine finale stabilito nella legge delega, per cui non è più possibile per il
Governo adottare altro decreto. Tuttavia il Parlamento con la delega può consentire al Governo di
adottare uno o più decreti delegati, che possono essere integrativi o correttivi rispetto a quello
precedentemente approvato (art. 14, III comma L. 400/1988).

6. b) Decreti legge
I decreti legge sono atti provvisori con forza di legge adottati di propria iniziativa dal Governo,
sotto la sua responsabilità, in casi straordinari di necessità e di urgenza (art. 77 Cost., Il comma
Cost.).
H decreto legge entra in vigore immediatamente (il giorno stesso della sua pubblicazione sulla G.U.
o il giorno successivo), deve essere presentito alle Camere il giorno stesso della sua emanazione e,
ove le Camere non siano riunite o siano sciolte, esse vanno appositamente convocate e si
riuniscono entro cinque giorni. Ciò in qua ito il decreto legge deve essere convertito in legge dal
Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, pena la perdita di efficacia sin dall'inizio
(ex fune). Ove manchi la conversione in legge, i rapporti giuridici sortì sulla base dei decreti non
convertiti restano quindi privi di tutela giuridica. La Costituzione tuttavia ha previsto, la possibilità
che le Camere provvedano a regolare gli stsssi con legge.
Ma anche la Corte Costituzionale in sede di controllo della legittimità costituzionale del decreto o
della legge di conversione potrebbe rilevare la loro mancanza come si evince dalla sentenza
29/1995. Dovrebbe però trattarsi di un caso di evidente mancanza dei presupposti di necessità e di
urgenza non sostenuti da una apposita specifica motivazione nella relazione che accompagna il

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disegno di .legge di conversione.
Non può inoltre escludersi un intervento del Presidente della Repubblica, cui compete
l'emanazione del Decreto, ove si evidenzi una palese ^legittimità costituzionale del contenuto
normativo del decreto.
In sede di conversione il Parlamento può anche modificare ed integrare il decreto. Le eventuali
modifiche ed integrazioni produrranno però i loro effetti dopo la pubblicazione della legge di
conversione, mentre le partì non oggetto di conversione decadranno ex tunc.
A partire dalla sentenza 360/1996 della Corte costituzionale non è più ammessa la reiterazione da
parte del Governo di un decreto legge non convertito per infruttuoso decorso del termine dei
sessanta giorni.

7. Statuti regionali
Gli statuti regionali hanno diverso valore e forza a seconda che si tratti di Regioni ad autonomia
speciale o di Regioni ordinarie.
Gli statuti delle Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto
Adige-Sudtirol, Valle d'Aosta) sono adottati con legge costituzionale. Essi in vero assicurano una
autonomia particolare a tali Regioni in deroga alle disposizioni costituzionali valide per tutte le
altre Regioni. Essi quindi prevalgono su ogni altra legge statale e regionale. Devono tuttavia
osservare anch'essi i principi fondamentali e inderogabili della Costituzione, come stabilito dalla
Corte costituzionale.
La legge di approvazione dello statuto regionale è quindi una legge particolarmente rinforzata, la
quale per le materie ad essa riservate prevale sulle leggi ordinarie regionali e da esse non può essere
modificata.
I decreti legislativi di attuazione degli statuti d elle regioni ad autonomia speciale sono adottati dal
Governo, su proposta di una Commissione paritetica formata da membri designati dal Governo e
dall' assemblea regionale, senza previa delega del Parlamento. Si tratta di atti legislativi previsti
dalle leggi costituzionali che approvano gli statuti regionali.

8. Referendum abrogativo
L'art. 75 Cost. prevede che il referendum per l'abrogazione totale o parziale di una legge (ordinaria)
o atto avente valore di legge è indetto quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Con-
sigli regionali. L'indizione avviene con Decreto del Presidente della Repubblica (art. 87 Cost).
II referendum è peraltro escluso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
La Corte costituzionale, cui l'art. 2 della L. Cost. 11.3.1953, n. 1 ha attribuito il potere di giudicare
sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo ai sensi dell' art. 75 Cost, ha peraltro
esteso ed ampliato i casi di inammissibilità. Ha escluso l'ammissibilità di referendum su leggi che
possono incidere direttamente su quelle che sono espressamente contemplate dall'art. 75, come, ad
esempio, le leggi finanziarie (rispetto alla legge di bilancio), di esecuzione di trattati internazionali
e di obblighi comunitari (rispetto a quelle di autorizzazione alla ratifica); su leggi a contenuto
costituzionalmente vincolato, quando incidono su principi costituzionali o impediscono il

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funzionamento di organi costituzionali o a rilevanza costituzionale; su leggi di forza passiva
peculiare (leggi rinforzate passivamente come quelle previste dagli artt. 7 e 8 Cost.).
La Corte ha inoltre ritenuto inammissibili referendum con. quesiti non omogenei (vale a dire con
pluralità di richieste su norme non collegate tra di loro) e non chiari o con effetti non percettibili dal
votante.

Nel caso di esito favorevole il Presidente della Repubblica con decreto dichiara l'avvenuta
abrogazione della legge, la quale ha effetto dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale. Può tuttavia ritardarsi l'entrata in vigore della abrogazione fino a 60 giorni su
delibera del Consiglio dei Ministri.
Se il risultato è negativo se ne dà notizia nella Gazzetta Ufficiale ed il referendum non può essere
riproposto se non dopo cinque anni.
Se la legge sottoposta a referendum è abrogata o modificata in modo che corrisponda all' obiettivo
che si propongono i promotori non si fa luogo a referendum. Se le modifiche riproducono
sostanzialmente l'oggetto della richiesta il referendum si svolge sulla nuova disciplina.

9. Regolamenti: a) Regolamenti statali regionali; degli Enti locali e di altre autorità


Col termine r e g o l a m e n t o s i indica una ampia tipologia di atti normativi, la cui potestà è
attribuita dalla Costituzione o dalla legge a determinati soggetti ed organi.
Vi sono regolamenti di organi costituzionali per i quali è stabilita apposita riserva, come per i
regolamenti delle Camere (previsti dall' art. 64 Cost.).
Si è altresì riconosciuta la autonomia organizzativa regolamentare degli organi costituzionali,
come quella della Corte Costituzionale, ai sensi degli artt. 22 e 24 L. 87/1953, e del Presidente della
Repubblica, ai sensi della L. 1077/1948.
La Costituzione all'art. 117 ha previsto che lo Stato ha potere regolamentare esclusivamente nelle
materie oggetto di propria legislazione esclusiva, salva la possibilità di una delega del potere
regolamentare alle Regioni.
Una particolare categoria di atto normativo, con efficacia non esterna, ma interna alle
amministrazioni, è costituita dalle circolari, con le quali le Pubbliche Amministrazioni indicano le
modalità con cui si devono comportare nella loro attività gli uffici gerarchicamente inferiori o altre
amministrazioni su cui si esercita la loro vigilanza. Esse non vincolano i soggetti terzi e i giudici. A
volte però sotto il nome di circolari si adottano dei veri e propri regolamenti.
Non costituiscono fonti del diritto in senso stretto, almeno nella fase attuale di concretizzazione del
sistema delle fonti, i codici di condotta o di autoregolamentazione e le norme deontologiche di
alcune categorie professionali, pur avendo le norme da essi prodotte rilevanza per l'ordinamento
giuridico statale. Norme che potrebbero convertirsi col decorso del tempo in consuetudini
richiamate dalla fonte legislativa.
Il fenomeno è simile a quello delle norme sociali che riempiono di contenuto le clausole generali in
virtù del rinvio ad esse operato dalle fonti giuridiche dell' ordinamento statale.

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10. b) Tipologia dei regolamenti
La disciplina generale dei regolamenti è prevalentemente contenuta nelle disp. prel. al codice civile
e nella L. 400/1988.
L'art. 4 delle disp. prel. stabilisce la prevalenza gerarchica della legge sui regolamenti, i quali non
possono contenere norme contrarie alle sue disposizioni, e quella dei regolamenti del governo sui
regolamenti di altre autorità.
La dottrina ammette che regolamenti esecutivi possono intervenire anche in materie coperte da
riserva assoluta di legge, purché siano di stretta esecuzione, limitandosi a predisporre gli strumenti
amministrativi e le procedure occorrenti per l'applicazione della legge. In effetti in tal caso più che
di regolamenti esecutivi si tratterebbe di regolamenti organizzativi del potere esecutivo.
I regolamenti di attuazione riguardano l'attuazione e l'integrazione di fonti primarie e comportano
l'adozione di discipline più specifiche nell' ambito dei principi e delle norme stabilite dalle leggi e
dai decreti legislativi.
I regolamenti di delegificazione (regolamenti delegati o autorizzati) consentono al Governo su
legge di autorizzazione di intervenire in materie disciplinate dalla legge, purché non si tratti di
materie coperte da riserva di legge assoluta, sostituendo la disciplina legislativa con una nuova
disciplina regolamentare.
L'effetto abrogativo della legge è peraltro riconducibile alla legge autorizzativa, la quale lo fa
decorrere dal momento dell' adozione della disciplina regolamentare.
Sono altresì previsti regolamenti governativi attuativi di direttive comunitarie autorizzati dalla
legge comunitaria annuale.

11. Testi unici


I testi unici (come anche i codici) sono raccolte di prescrizioni normative relative a determinate
materie o a settori di materie, che vengono coordinate e a volte anche modificate al fine di
facilitarne la ricerca, la conoscenza e l'applicazione. Essi possono .contenere norme legislative o
regolamentari oppure norme legislative unitamente a quelle regolamentari.
Accanto ai testi unici intesi come fonti normative sussistono testi unici contenenti disposizioni
legislative ma privi di valore normativo, in quanto adottati dal Governo, da singoli Ministri o da
altra Autorità amministrativa, come ad esempio dal Presidente della Giunta regionale,
spontaneamente oppure in virtù di una ed. autorizzazione proveniente, rispettivamente, dal
Parlamento o dal Consiglio regionale.
La Corte costituzionale, investita a volte di questioni di costituzionalità relative a siffatti testi unici,
le ha dichiarate inammissibili, in quanto, pur riconoscendo la possibilità di adottare testi unici da
parte dell' Autorità di governo ed arrmiinistrativa, ha escluso che essi avessero natura legislativa.
In realtà il Governo e in genere l'Autorità amministrativa possono adottare a loro discrezione atti
generali contenenti raccolte di norme in vista di successive attività esecutive, senza che occorra
alcuna «autorizzazione» in senso proprio.
Con riferimento peraltro ai testi unici adottati in sede regionale con atto del Presidente della Giunta
regionale l'illegittimità deriverebbe comunque dalla mancanza di un potere di delega legislativa in
ambito regionale.

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In particolare si è sostenuto (Esposito) che ogni qualvolta si interviene con i ed. testi unici
autorizzati su disposizioni di legge, anche limitatamente alloro coordinamento formale senza
apportare innovazioni sostanziali, il testo che ne scaturisce avrebbe comunque valore legislativo e
pertanto, in mancanza di una delega conforme al dettato dell'art. 76 Cost., sarebbe illegittimo.
Andrebbe quindi esclusa in radice la distinzione presente nella giurisprudenza della Corte
costituzionale tra TU. delegati (oggetto di vera e propria delega legislativa) e TU. non delegati, ma
appunto soltanto autorizzati.
Il TU. sarà allora un testo unico da ricondurre, per il valore del Decreto che lo contiene, all'attività
esecutiva del Governo.

Il valore che può essere riconosciuto a siffatti TU. è invero quella di atto amministrativo a carattere
generale con il quale l'Amministrazione, nell' ambito della insopprimibile attività interpretativa che
le compete per l'esercizio della funzione amministrativa e di esecuzione della Costituzione e delle
leggi; individua in via generale e una tantum le norme che dovranno essere eseguite, invece di farlo
di volta in volta con riferimento a singole fattispecie concrete. È questo uno specifico interesse
pubblico perseguito: rendere certa ed uniforme (e non solo facilitare) una successiva
interpretazione delle leggi esistenti attraverso il loro coordinamento e l'individuazione di quelle
ancora vigenti o abrogate.

12. Consuetudine: a) Gli artt. 1, 8,12 e 15 delle disposizioni preliminari al codice civile
L'ordinamento giuridico italiano in vigore ammette in via generalmente la consuetudine come
fonte del diritto. Nelle disposizioni preliminari al cod. civ. essa trova uno specifico riconoscimento
all' art. 1, ove la consuetudine o, secondo la terminologia ad perata, gli usi sono espressamente
ricompresi tra le fonti del diritto.
Ciò non esclude tuttavia che deroghe a questo principio possano essere stabilite dalla stessa fonte
legislativa per singoli casi o per determinate materie.
Va peraltro ricordato che per la consuetudine che si forma nel diritto pubblico sussiste un richiamo
espresso nell' art. Il cod. civ. dove è statuito: Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici
riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come
diritto pubblico.
In linea di principio resta però comunque assicurata la preferenza della fonte scritta sulla
consuetudine. Ne discende, conseguentemente, anche il divieto di consuetudini contrarie alla legge
o ai regolamenti. Divieto che, rispetto alla legge, è confermato anche dall'art. 15 disp. prel.
La fonte consuetudinaria opera invece liberamente, quindi anche in assenza di uno specifico
richiamo, nelle materie che non siano «regolate» da leggi o da regolamenti, come si evince dallo
stesso art. 8,1 comma. Difficoltà si presentano quando si tratta di stabilire se una materia è o meno
regolata da leggi o da regolamenti e ciò soprattutto ove si, tenga conto dell'altra disposizione,
contenuta nell'art. 12, II comma disp. prel., secondo la quale: Se una controversia non possa essere
decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'

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ordinamento giuridico dello Stato.
Se non che il presupposto al quale è condizionata l'operatività di siffatto meccanismo di auto
integrazione dell' ordinamento è costituito soltanto dalla assenza di una precisa disposizione, cioè
di una precisa regolamentazione giuridica che possa risolvere una determinata controversia.
Regolamentazione che nulla induce a ritenere che non possa essere anche consuetudinaria.
Cosicché il ricorso all'analogia legis o iuris deve escludersi quando sussista una precisa
disposizione consuetudinaria (beninteso nelle materie in cui è ammessa la consuetudine) che
risolva la controversia in questione.

Va tuttavia anche ricordato che la tesi secondo cui occorre far ricorso all' analogia ed ai principi
fondamentali prima di poter far ricorso alla consuetudine, si fonda tra l'altro proprio sul rilievo che
il termine disposizione va riferito alle sole fonti scritte e non anche alla fonte consuetudinaria. Essa
però non tiene conto del fatto che il termine disposizione non è adoperato dalla legge in modo
univoco, con esclusivo riferimento alle fonti scritte, e ciò proprio nel contesto normativo delle
stesse disposizioni preliniinari al codice civile. È sufficiente invero confrontare l'art. 12 con gli art.
13 e 14 per accertare con chiarezza che sono indifferentemente adoperate le espressioni
disposizioni, norma, legge, regola (e a prescindere d riferimento alle leggi in senso formale, ai
regolamenti e alle norme corporative) ogni qualvolta si è trattato di stabilire discipline per
l'interpretazione del diritto esistente e per la sua integrazione nei casi di mancanza di «norme» per
i singoli casi contemplati (come a iene ad esempio nell'art. 13 con riferimento alle norme
corporative).
Orbene, tenendo conto del quadro normativo costituito dal sistema delle fonti possono conciliarsi i
principi ricavabili dagli artt. 12, II comma e 8,1 comma disp. prel. cod. civ..

Poiché nell' art. 8,1 comma è riconosciuto spazio alla consuemdine nelle materie non regolate dalle
fonti tritte, deve ritenersi che in tali materie la consuetudine possa operare, indipendentemente dall'
esistenza del meccanismo di autointegrazione dell' ordinamento di cui all'art. 12, II comma disp.
prel., il quale, invero, opera soltanto in assenza di precise disposizioni.
Il problema si pone quindi soltanto per le materie regolate. In tal caso, poiché l'art. 8,1 comma disp.
prel. esclude il ricorso alla consuetudine in caso di assenza di un suo richiamo, non vi è spazio per
tale fonte del diritto e quindi, ove manchi una precisa disposizione per risolvere una determinata
controversia, dovrà farsi ricorso al rimedio previsto dall' art. 12, II comma disp. prel.
Per stabilire peraltro quando una materia possa dirsi regolata, ai sensi dell'art. 8,1 comma disp. prel.,
non sembra che sia sufficiente l'esistenza di una qualsiasi disciplina (legislativa o regolamentare
che sia) che la riguardi. Ove si accogliesse tale soluzione sarebbe ovviamente sufficiente anche una
disciplina totalmente generica, perché la materia possa dirsi regolata.
Se si tiene conto della ratio della norma, è il criterio di compiutezza e di coerenza della disciplina di
diritto scritto che consente di escludere il ricorso alla consuetudine in mancanza di un suo
richiamo.
L'espressione materie regolate dalle leggi o dai regolamenti va quindi intesa nel senso di materie
per le quali sussistono discipline di diritto scritto che siano oggettivamente ed effettivamente
organiche e compiute. Soltanto in tal modo alla norma può riconoscersi un significato razionale e

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coerente nel sistema delle fonti, nel quale si è ammesso in via generale la fonte consuetudinaria
come valida ed operante.

Sono evidenti le difficoltà per l'interprete di stabilire caso per caso, cioè in relazione a singole
materie, se queste possano dirsi organicamente e compiutamente regolate dalle fonti scritte, oppure
se presentino settori forniti soltanto di una disciplina generica o affatto parziale, a parte ovviamente
il caso di materie per le quali non 'si rinvenga in realtà alcuna effettiva disciplina di diritto scritto.
Ma tali difficoltà non costituiscono tuttavia motivo sufficiente per respingere tale soluzione, che è
l'unica che consente di assicurare una funzione normativa utile alla consuetudine, al di fuori di un
richiamo espresso, coerente con il contenuto normativo dell'art. 1, che riconosce in senso ampio la
operatività della consuetudine come fonte del diritto e dell'art. 12, II comma, che non esclude per
l'interprete la possibilità di trovare discipline specifiche per singole controversie, anche di tipo
consuetudinario.

13. Consuetudini interpretative. E gli usi negoziale


Alla consuetudine è attribuito anche un valore diverso da quello in senso proprio normativo. Tale è
il caso dei ed. usi negoziali, con i quali può interpretarsi o integrarsi la volontà negoziale delle parti.
Essi, conformemente a quanto disposto dall'art. 1368 cod. civ., possono esplicare una funzione
specificamente interpretativa della volontà contrattuale, nel caso che vi siano clausole ambigue,
oppure, come ad esempio per le clausole d'uso richiamate dall' art. 1340 cod. civ., possono
integrare il contenuto del contratto quando non sussista una volontà contraria.
La distinzione tra usi negoziali e normativi (i quali danno luogo a vere e proprie norme giuridiche
eteronome e costituiscono quindi una fonte normativa generale) non attiene peraltro all'uso come
tale, ma agli effetti che l'ordinamento ad esso riconosce in relazione al campo in cui è chiamato ad
operare.
Non sembra peraltro che, quanto meno nell'ordinamento italiano, il precedente giudiziario possa
rientrare nel fenomeno della consuetudine normativa e costituire una fonte in senso proprio di di-
ritto.
Anche se in alcuni ordinamenti è prevista la vincolatività del precedente formatosi nell'attività
giurisdizionale, inteso come principio di diritto cui il giudice si è uniformato per decidere uno o più
casi, si è al di fuori del fenomeno di formazione della consuetudine in senso proprio, ma nell'
ambito della disciplina specifica della funzione giurisdizionale e del valore assicurato alle decisioni
in quanto tali.

14. c) Discipline settoriali della consuetudine


Neil' ordinamento italiano sussistono anche discipline particolari della consuetudine in alcuni suoi
settori.
Nella materia penale, dominata dal principio della riserva di legge (art 25, II comma Cost.), è
esclusa anche la consuetudine praeter legem.
La consuetudine peraltro può essere presa in considerazione per aspetti particolari che non

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concernono direttamente la fattispecie criminosa nella sua essenza, ma soltanto il tipo di condotta,
in concreto da valutarsi dal giudice, per dare esecuzione al dettato della legge conformemente ad
usi o comportamenti sociali.
Dispone infatti l'art. 1, II comma cod. nav. che soltanto in caso di mancanza di disposizioni del
diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia si applica il diritto civile.
Anche per quanto concerne il settore del diritto internazionale sussiste una normativa particolare.
Difatti, ai sensi dell'art. 10, I comma, Cost., secondo cui L'ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale generalmente conosciute, le consuetudini
internazionali vengono immesse immediatamente nell'ordinamento italiano, senza che accorrano
appositi richiami normativi per le singole materie oggetto di disciplina, così come previsto in via
generale dall' art. 8 disp. prel. cod. civ. ed anche se in contrasto con la normativa statale.

15. d) Consuetudine e diritto costituzionale. Consuetudini integrative della Costituzione


NeU'ordinamento costituzionale italiano, dato il carattere rigido della Costituzione italiana che
prevede un particolare procedimento per la sua modifica ed integrazione (art. 138) e data la
mancanza in essa di specifici richiami alla consuetudine, va esclusa in linea di principio
l'ammissibilità della consuetudine come fonte modificatrice della Costituzione formale e delle
leggi costituzionali o integratrice delle stesse con norme del loro stesso valore e forza.
Ciò tuttavia non esclude di per sé rammissibilità di integrazioni della Costituzione e delle leggi
costituzionali mediante consuetudini, che non si pongono alloro stesso livello.

La consuetudine può invero manifestarsi nella materia costituzionale, intesa in senso ampio, vale a
dire nei settori che trovano nella Costituzione o in leggi costituzionali discipline di principio e che
non siano riservati alla legge o ad altre fonti scritte, come del resto potrebbe manifestarsi in settori
privi affatto di tale disciplina, ma che potessero essere considerati oggettivamente costituzionali.
Essa invero può assicurare discipline più specifiche ad un livello normativo che si pone come
esecutivo della Costituzione formale e fa parte del diritto costituzionale.
Pertanto, anche se l'operatività della consuetudine è ridotta dalla presenza di numerose riserve di
legge (come ad esempio per l'organizzazione dei pubblici uffici), nulla esclude che si formino
consuetudini praeter legem nei settori in cui ciò sia possibile e sempre che le forze politiche non
intendano evitare di disciplinare giuridicamente la materia, magari ricorrendo a sole convenzioni
costituzionali che restino tali nel tempo. Sotto tale aspetto e solo sotto tale aspetto può sostenersi
che la consuetudine, pur non avendo come fonte del diritto un specifico grado, integra la disciplina
costituzionale esistente, in quanto viene ad assumere un valore esecutivo della Costituzione.

16. e) Modificazioni tacite della Costituzione


Tuttavia malgrado la rigidità della Costituzione italiana il divieto di consuetudini costituzionali non
può assumere un valore assoluto.
Esse sono il risultato di un processo di evoluzione del sistema costituzionale per fatti concludenti.
Anche se a volte esse possono dar luogo a vere e proprie consuetudini giuridiche costituzionali,
non sempre si identificano con queste.

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Nella realtà costituzionale tuttavia quando si ammette che si è avuta una modifica tacita della
Costituzione deve necessariamente convenirsi che si è formato il consenso delle forze
costituzionali che sono interessate alla specifica disciplina costituzionale sulla modifica stessa.
L'esempio che di solito si porta di una modificazione tacita dell'assetto costituzionale
fondamentale dell' ordinamento, vigente lo Statuto Albertino, è quello della trasformazione del
sistema di governo da regime costituzionale puro a regime parlamentare.
Trasformazione tuttavia che se all'inizio avvenne in via di fatto, per un tacito accordo tra le forze
costituzionali, successivamente concretò una vera e propria consuetudine costituzionale, assistita
dall' assenso di tutti gli organi costituzionali.
Ipotesi che allo stato attuale sembra al di fuori della realtà del diritto positivo italiano, anche se non
è escluso che possa parlarsi di modificazioni tacite del diritto costituzionale con riguardo alla
complessiva normazione in via di evoluzione, per l'intervento di convenzioni o di consuetudini
attuative ed esecutive della Costituzione formale e non in contrasto con essa. Ma allora il problema
si sposta su quello della Costituzione vivente.

17. f) Rotture della Costituzione


Non possono invece affatto rientrare per loro essenza nel fenomeno consuetudinario quelle
deroghe all' ordine costituzionale che vengono assunte, in via del tutto eccezionale, in alcune
circostanze particolari e che sono indicate con termine di rotture della Costituzione.
Ad esse manca pertanto non solo il requisito della ripetizione di comportamenti uniformi, ma anche
il collegamento tra questi in una serie da cui possa scaturire la norma.

18. g) Consuetudine e giudizio di legittimità costituzionale


Dalle considerazioni che precedono risulta non proponibile nell'attuale ordinamento costituzionale
italiano il tema di un sindacato di legittimità costituzionale delle leggi per contrasto con
consuetudini costituzionali.
Analogamente deve escludersi l'ipotesi di conflitti costituzionali di attribuzione tra poteri dello
Stato per violazione di norme consuetudinarie che fissino specifiche competenze costituzionali,
non essendo contemplato che un conflitto del genere possa essere risolto dalla Corte costituzionale,
ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 e 38 L. 11.3.1953 n. 87.

19. Accordi: convenzioni galateo costituzionale


Anche nel diritto costituzionale sussistono fenomeni simili a quello della consuetudine normativa,
che non vengono inclusi nel novero delle fonti giuridiche riconosciute generalmente come tali o
comunque ammesse nell' ordinamento giuridico in vigore.
I fenomeni che si presentano in concreto danno luogo a varie figure, definite ora come accordi ora
come convenzioni ora come regole di correttezza o del galateo e consimili. Ma ovviamente nulla
esclude che nella vita delle istituzioni la tipologia possa sempre più arricchirsi.
Se si passa all' analisi di alcuni di tali fenomeni vengono in evidenza ad esempio gli accordi che
sono adottati dalle forze politiche.
Quando si presenti la necessità di fissare una disciplina dei reciproci rapporti di ordine politico, tali
forze si accordano pattiziamente sui comportamenti che dovranno essere seguiti, sulle attività che

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dovranno aver luogo e sui tempi e modi in cui determinate finalità dovranno essere raggiunte.
Quando tali accordi avvengono a livello delle istituzioni politiche di solito vengono indicati anche
col termine di convenzioni costituzionali.
Su tale base genetica quindi può essere risolto il problema della distinzione tra tali figure e le
consuetudini.

Mentre infatti le consuemdini presuppongono una serie di comportamenti ripetuti nel tempo,
uniformi, dai quali viene a prodursi, per effetto di un procedimento indistinto e involontario, la
regola che manifesta la volontà obicttivata di una data collettività o di una data istituzione,
riconosciuta dall'ordinamento giuridico e quindi assunta come propria, gli accordi e le convenzioni
costituzionali si costituiscono invece sulla base di puntuali decisioni intersoggettive di organi o
soggetti politici o istituzionali, che, pur proiettandosi verso il futuro, sono riconducibili alla
specifica volontà degli organi o soggetti che li hanno costituiti. L'eventuale ripetizione nel tempo di
comportamenti conformi all'accordo o alla convenzione, pur rafforzandolo e confermandolo, non
rientra nel meccanismo della sua formazione, pur potendo peraltro, come si è detto, costituire la
base per la trasformazione in una consuetudine, come si è verificato in numerosi casi.

A volte le regole di correttezza costituzionale vengono identificate con le convenzioni


costituzionali, mentre vanno da queste distinte in quanto rientrano nel fenomeno consuetudinario
in senso proprio. Ciò non toglie che spesso trovano la loro origine storica in particolari regole
convenzionali. A differenza di queste, però, le quali presuppongono una decisione di ordine
politico che concerne l'esercizio di funzioni politico-costituzionali, le mere regole di correttezza,
invece, concernono più semplicemente le modalità di comportamento in uso presso gli organi posti
al vertice della struttura statale allo scopo di assicurare un' armonica convivenza e collaborazione.

Da un punto di vista contenutistico esse consistono in una sorta di deontologia professionale degli
operatori politici costituzionali: un complesso di regole di buona educazione, discrezione,
deferenza, oltre che di cerimoniale e di etichetta, generalmente osservate nelle loro relazioni
reciproche, riassuntivamente indiciate come galateo costituzionale.
La presenza di mere regole di correttezza costituzionale, prive di giuridicità in senso specifico, può
avere quindi come conseguenza che un comportamento di organi o soggetti costituzionali,
ancorché appaia costituzionalmente ammissibile, debba tuttavia essere considerato scorretto
costituzionalmente in quanto si pone appunto in contrasto con siffatte regole. E tale scorrettezza
implicherà effetti diversi a seconda della valutazione che vien fatta in sede politica del compor-
tamento.
Nella diversa ipotesi che alle regole di correttezza venga riconosciuta efficacia normativa in senso
giuridico, tale efficacia andrebbe comunque ricollegata alle previsioni.dell' ordinamento giuridico
in cui esse si formano e in particolare a quelle che determinano la rilevanza delle fonti di diritto.

Nell'ordinamento costituzionale italiano manca un richiamo specifico alle regole della correttezza
costituzionale come tali, né sussistono prescrizioni sul tipo di quelle contenute nel codice civile,
nelle quali si opera, ad esempio, il richiamo al buon costume, alle regole della correttezza nell'

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adempimento delle obbligazioni (art. 1175 cod.civ.), alla buona fede, all'equità e così via.
Non sembra però che dall' art. 54 Cost. possa farsi discendere la rilevanza giuridica di siffatte
regole, in quanto, se tali norme effettivamente operano nell' ambito dei rapporti che si instaurano
tra gli organi ed i soggetti costituzionali in settori privi di una disciplina organica e compiuta, esse
concretano in realtà vere e proprie consuetudini, le quali, a prescindere dall' oggetto della disciplina,
devono ritenersi giuridiche in applicazione della previsione dell' art. 8 Disp. Prel.cod. civ.

In particolare è noto che appartiene alla tradizione dell'istituto parlamentare il complesso di norme
che costituiscono il ed. Galateo parlamentare, il quale concreta un vero e proprio ordinamento
particolare nell'ambito parlamentare con valore giuridico. Non vi è quindi nessuna ragione per
escludere che anche nelle altre istituzioni costituzionali si producano ed abbiano rilevanza
giuridica (come fonti consuetudinarie) norme il cui ambito di applicazione riguardi i com-
portamenti di deferenza, cortesia, ecc., come pure del cerimoniale, dell' etichetta, che devono
essere tenuti nei reciproci rapporti tra i vari organi (ed i relativi titolari), in considerazione del
particolare decoro e prestigio che circondano le istituzioni medesime.

20. Prassi costituzionale


Per quanto concerne la prassi, la quale consiste nella costanza di ripetizione di un comportamento
nell' esplicazione di una determinata attività, senza che da essa derivi alcuna vincolatività oggettiva
di tipo prescrittivo, anche nel diritto costituzionale italiano, così come avviene negli altri rami del
diritto, essa assume rilevanza per interpretare il modo di agire degli organi nell' esplicazione delle
rispettive funzioni. Ed essa può trasformarsi in consuetudine, quando dalla serie di comportamenti
tenuti dai titolari degli organi e dai soggetti costituzionali scaturirà una vera e propria regola che
dia disciplina ad una determinata situazione o ad un determinato rapporto, manifestando in tal
modo la volontà normativa dell' ordinamento costituzionale.

21. Rinvio al diritto straniero


L'ordinamento italiano attraverso le norme del diritto internazionale privato (artt. 13 e segg., L.
31.5.1995, n. 218 e succo modifiche) recepisce nella propria normativa anche le norme prodotte da
ordinamenti stranieri.
La recezione avviene mediante un rinvio alla fonte che opera in quell'ordinamento. Il rinvio in
questo caso è mobile, in quanto vengono recepite le norme prodotte dalle fonti, a differenza del
rinvio recettizio (o fisso), col quale si recepisce una specifica disposizione senza tener conto della
successiva produzione normativa da parte della fonte che la contiene.

22. Contratti collettivi


Non costituiscono fonti del diritto in senso proprio i Contratti collettivi di lavoro stipulati al di fuori
della previsione dell' art. 39 Cost. dalle associazioni sindacali.
Essi hanno valore giuridicamente solo per i contraenti ed i lavoratori iscritti ai sindacati, anche se
poi di fatto la loro efficacia si estende anche ai lavoratori non iscritti alle associazioni sindacali che
li hanno stipulati.

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23. Riserve di normazione
L'ordinamento italiano prevede varie riserve di competenza normativa.
Vi sono riserve di legge costituzionale, come per l'approvazione degli Statuti delle Regioni ad
autonomia speciale, ai sensi dell'art. 116 Cost., relativamente ai giudizi di legittimità costituzionale
e alle garanzie di indipendenza dei giudici della Corte Costituzionale, ai sensi dell' art. 137 Cost.
Sono previste riserve di regolamenti, come quella dei regolamenti parlamentari (art. 64,1 comma);
riserve di regolamenti regionali o di regolamenti degli enti territoriali (art. 117, VI comma Cost.).
Le riserve possono essere assolute, come quelle in materia di libertà personale (artt. 13, II, III e IV
comma Cost), di proprietà (art. 42, UT e IV comma e art. 43 Cost.), oppure relative, come in
materia di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97,1 comma, Cost.), in materia di imposizione di
prestazioni personali o patrimoniali (art. 23 Cost.), di imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, II
comma Cost.).
Riserve di leggi rinforzate quanto al procedimento sono, ad esempio, quelle in materia di rapporti
tra Stato e Chiesa cattolica (art. 7 Cost.) e tra Stato e altre confessioni religiose (art. 8, III comma).
Vi sono riserve di leggi regionali rinforzate quanto al procedimento e al contenuto come per gli
statuti regionali (art. 123 Cost); per leggi statali che modificano l'assetto territoriale di Province e
Comuni fra le Regioni (art. 132, II comma) o per leggi regionali che modificano l'assetto
territoriale di Province e Comuni all'interno delle Regioni (art. 133).

Tra le Leggi costituzionali è rinforzata, quanto al procedimento, quella in tema di mutamento di


circoscrizioni regionali, ai sensi dell'art. 132, I comma Cost. di diritti inviolabili, i quali non
possono essere violati nemmeno con modifica costituzionale (V. sentenza C. Cost. 30 e 31 del
1971 e con riferimento al concordato con la Chiesa Cattolica n. 16 e 18 del 1982).

24. Fonti del diritto internazionale


Accanto alle fonti prodotte all'interno dell' ordinamento italiano si pongono le fonti del diritto
internazionale, il cui diritto ha applicazione diretta e immediata nell'ordinamento intemo per
effetto degli artt. 10 e 11 Cost. Ai sensi dell'art. 10,1 comma Cost: L'ordinamento giuridico italiano
si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Tale disposizione, che concreta un rinvio formale (o mobile), consente l'immissione diretta e
automatica dei principi generali dell'ordinamento internazionale e delle consuetudini formatesi in
tale ordinamento in quello italiano.

25. Fonti comunitarie


Ai sensi dell' art. 11 Cost, che stabilisce che l'Italia consente in condizioni di parità con gli altri
Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni, si è ritenuta legittima costituzionalmente l'adesione dell'Italia alla Comunità europea
con ogni effetto sulle limitazioni di sovranità che tale adesione comporta. Di conseguenza, in virtù
della normativa dei trattati stipulati dall'Italia, il diritto comunitario, pur essendo prodotto da fonti
estranee all'ordinamento italiano, entra direttamente a far parte dell' ordinamento giuridico italiano
senza ulteriori atti di ricezione, prevalendo su quello prodotto dalle fonti interne, anche se
successivamente entrate in vigore.

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La normativa comunitaria può derogare anche alle norme costituzionali non però ai principi
fondamentali della Costituzione, che non possono quindi essere derogati, come affermato dalla
Corte Costituzionale. Si tratta dei ed. contro limiti all'ordinamento comunitario, che costituiscono
anche un modo per affermare la permanenza della sovranità dello Stato.
Gli atti posti in essere nell' ordinamento comunitario che hanno efficacia negli Stati membri sono i
regolamenti, le direttive, le decisioni, le raccomandazioni e i pareri.

26. a) Regolamenti comunitari


In Italia, dopo un periodo in cui la Corte costituzionale riteneva che leggi contrastanti con i
regolamenti comunitari fossero incostituzionali per violazione dell' art. II Cost e pertanto
dovessero essere sottoposte al suo vaglio, la Corte uniformandosi ulteriormente alla giurisprudenza
della Corte di giustizia della Comunità europea, ha invece ritenuto che si tratta di un problema non
di gerarchia ma di competenza tra due ordinamenti autonomi, per cui il conflitto tra le rispettive
norme è risolvibile dai giudici di merito sulla base dell' ordinamento competente. Con la
conseguenza che leggi contrasta,nti con i regolamenti comunitari, anche se adottate in tempo
posteriore, devono essere disapplicate dai giudici per quanto concerne l'ambito di riferimento del
regolamento.

27 . b) Direttive comunitarie
Le direttive sono atti di indirizzo che vincolano gli Stati membri cui sono rivolti per quanto
concerne il risultato da raggiungere, salva restando la loro competenza in ordine alla forma e ai
mezzi da adottare a tal fine.

28. Altri atti comunitari: Decisioni, Sentenze, Raccomandazioni, Pareri


Le sentenze sono atti giurisdizionali adottati dalla Corte di Giustizia e dal Tribunale di primo grado
che hanno efficacia nei confronti dei rispettivi destinatari (Stato membro o altro soggetto).
Le raccomandazioni sono esortazioni rivolte dalle istituzioni comunitarie (in particolare dalla
Commissione) ai singoli Stati perché si conformino ad un deterrninato comportamento in vista del
raggiungimento di certi risultati. Non hanno carattere vincolante.
I pareri, anch' essi non vincolanti, sono delucidazioni fornite dalle istituzioni e dagli organi
comunitari in ordine alloro punto di vista, su determinate questioni, per orientare il comportamento
dei soggetti cui si rivolgono.
Anche se non vincolanti le raccomandazioni ed i pareri possono tuttavia orientare i giudici
nazionali ai fini dell'interpretazione e dell'applicazione della normativa interna e comunitaria.

29. Interpretazione giuridica


L'interpretazione è un procedimento logico diretto a deterrninare il significato di fatti e atti. Riferita
al diritto consta di un procedimento logico destinato ad individuare la norma e il suo significato
traendoli da una fonte di diritto.
Riguardo agli effetti l'interpretazione può essere estensiva se l'ambito di applicazione è maggiore
rispetto alla fattispecie originariamente prevista, restrittiva se è minore.

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Diversa è la ed. Interpretazione autentica, la quale proviene dallo stesso legislatore e forma il
contenuto prescrittivo di una norma di legge, con la quale si stabilisce in via autoritativa e formale
il significato da attribuire ad una disposizione. La norma interpretativa va a sua volta interpretata e,
ove determini una illegittimità costituzionale, può essere annullata dalla Corte costituzionale.
A volte negli ordinamenti giuridici alcune norme stabiliscono i criteri interpretativi del diritto
vigente. Si è posto quindi il problema della possibilità che criteri generali validi in genere per le
fonti del diritto vengano posti, con efficacia vincolante, da una singola o da singole fonti, anche per
fonti di grado superiore.
Sotto tale profilo la maggior forza di una norma di grado superiore rispetto ad una di grado
inferiore non esclude che il contenuto normativo delle singole disposizioni, quale che sia il grado
della fonte in cui sono contenute, abbia efficacia in via generale fin tanto che queste restano in
vigore. Cosicché se una legge, quale che sia il suo grado, condiziona in via generale
l'interpretazione delle leggi, il suo specifico contenuto normativo, al pari di quello di altre leggi, ha
efficacia per tutto il tempo in cui essa resta in vigore, cioè fino a quando non la si abroghi, e per tutti
i casi per i quali non siano previste specifiche deroghe o eccezioni alle sue previsioni. Deroghe o
eccezioni che potranno essere previste in leggi di grado superiore, ma anche in leggi di pari grado
(od anche, nei casi in cui sia consentito, in leggi di grado inferiore). Ma fin quando ciò non avvenga
è ben possibile che una legge possa contenere criteri per l'interpretazione delle leggi in via generale,
i quali si applichino cioè oltre alle leggi di pari grado anche a leggi di grado superiore.
L'esclusione avrebbe senso soltanto se potesse dimostrarsi che l'applicazione del contenuto
normativo di siffatte leggi a leggi digrado superiore porti per ciò solo a fare assumere a tali leggi un
contenuto diverso da quello che queste si sono date.

L'art. 12, II comma, prevede altresì rinterpretazione analogica la quale soccorre quando manchi
una precisa disposizione che consenta di risolvere il caso. In tal caso può farsi ricorso alla di-
sciplina, omogenea, esistente per casi simili o, in mancanza di essa, ai principi generali
dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Il ricorso all'interpretazione analogica consente di ritenere completo l'ordinamento giuridico in sé


considerato, essendo possibile reperire la disciplina giuridica per le varie fattispecie, sia pure in
senso negativo col ricorso a quella che viene definita norma di chiusura.
Non appare quindi produttivo parlare di lacune dell'ordinamento, ove si intenda tale termine
riferito ad un modello ideale di disciplina giuridica rispetto al quale comparare il singolo
ordinamento, perché un siffatto modello nella realtà non esiste.
Molto spesso, quando occorre applicare norme giuridiche consuetudinarie, si ricorre alle raccolte
ufficiali di consuetudini, che sono disposte dalle pubbliche autorità. Non sono però queste che
danno efficacia giuridica alle consuetudini. Malgrado il valore probatorio ad esse riconosciuto, le
raccolte presuppongono a loro volta l'avvenuta formazione di consuetudini e sono tra l'altro
compilate successivamente alloro venire ad esistenza.

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30. Antinomie e loro risoluzione
Con il termine antinomie si indica il contrasto tra norme provenienti da fonti diverse o dalla stessa
fonte ma in momenti diversi. E compito dell'interprete risolvere le antinomie.
Dalla disciplina sulle fonti si ricavano diversi criteri, quello cronologico, quello gerarchico e quello
della competenza.
La cessazione di efficacia della norma antecedente opera ex nane, cioè a decorrere dall'entrata in
vigore della norma successiva o dall' evento cui questa abbia subordinato la cessazione di efficacia
di quella.
Ciò comporta, normalmente, l'irretroattività della abrogazione, con la conseguenza che la norma
abrogata continuerà ad applicarsi ai rapporti sorti anteriormente all' entrata in vigore della nuova
disciplina. Tuttavia la legge abrogatrice può disporre che la abrogazione retroagisca.
Si discute se l'abrogazione di una norma abrogatrice comporta la reviviscenza della norma a suo
tempo abrogata. Tale effetto solitamente non si verifica, a meno che non sia espressamente previsto
0 non risulti chiara la volontà del legislatore in tal senso, se, ad esempio, la nuova norma abroghi
una precedente norma il cui contenuto dispositivo era quello specificamente abrogante.
A volte è in una stessa disposizione prevista, accanto alla regola generale, una eccezione.
Come poi dispone l'art. 14 disp. preliminari al cod. civ., le norme eccezionali non si applicano oltre
1 casi e i tempi in esse considerati. Quindi per esse non valgono i criteri di una interpretazione
estensiva, né ad esse può farsi ricorso per una interpretazione analogica.

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CAPITOLO DECIMO
PRINCIPI FONDAMENTALI E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL
CITTADINO

1. / diritti e i principi fondamentali negli ordinamenti costituzionali


Il riconoscimento giuridico di diritti e principi fondamentali è fenomeno prettamente recente nella
storia dell'umanità. Anticamente l'autorità degli Stati e in genere degli enti politici nei confronti dei
sudditi era pressoché illimitata. In epoca feudale si costituivano patti di vassallaggio tra Sovrano e
feudatari per dare una regolamentazione ai reciproci rapporti, ma si era ben lontani da vere e
proprie dichiarazioni di diritti.
Nel Nord America si approvò la prima dichiarazione dei diritti in Filadelfia il 16.10.1774, seguita
dalle dichiarazioni dei diritti dei singoli Stati, fino ai primi dieci emendamenti alla Costituzione
federale del 1787, entrati in vigore nel 1791. In Francia venne approvata nel 1789 la Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino. Dichiarazioni di diritti furono poi contenute nelle arie
Costituzioni europee a partire dal secolo XIX.
Le Costituzioni dei vari Paesi hanno peraltro affermato e riconosciuto principi e diritti
;

fondamentali che riflettono le concezioni dominanti nella società civile nelle varie epoche storiche.
Anche nella Costituzione italiana si rinvengono principi e diritti affermati come inviolabili oppure
ritenuti come fondamentali. Essi sono riconosciuti e garantiti in via generale a tutti gli uomini, altre
volte ai soli cittadini. L'art. 2 in particolare stabilisce che la Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, ma richiede anche agli stessi soggetti l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale.

2. La tutela dell'eguaglianza nella Costituzione italiana: a) il concetto di eguaglianza e


l'eguaglianza giuridica
Uno dei principi fondamentali riconosciuti nelle Dichiarazioni dei diritti e nelle Costituzioni, come
quella italiana, è quello della eguaglianza tra gli uomini o i cittadini. Esso viene conclamato in via
generale o per determinati aspetti.
L'identità o meno del termine di comparazione tra le diverse entità consente di stabilire
l'eguaglianza o la diseguaglianza tra di esse. Se l'elemento è comune 'le entità, per altri elementi o
profili diverse tra loro, sono eguali. Se non è comune, sono diverse. Ciò comporta anche che le
entità poste a raffronto possono essere sotto molteplici elementi di comparazione eguali o diverse.
I due concetti (eguaglianza e diversità) sono pertanto strettamente connessi nella comparazione, in
quanto l'uno implica necessariamente l'altro. Quello di eguaglianza presuppone la diversità e quello
di diversità l'eguaglianza.
II tertium comparationis deve essere un tutto unitario, comune alle entità poste a raffronto,
altrimenti, ove esso non sia lo stesso, unico e comune in toto, potrà porsi una relazione di
similitudine (comunanza di parti dell'elemento di comparazione), ma non di eguaglianza.
Rapporti di eguaglianza o diseguaglianza sono insiti in ogni disciplina giuridica, in quanto per
ciascuna fattispecie normativa si realizza una eguaglianza di trattamento e di applicazione del

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proprio contenuto dispositivo tanto all'oggetto stesso della disciplina quanto ai suoi destinatari, e al
tempo stesso una diseguaglianza di disciplina rispetto ad oggetti e destinatari da essa non
contemplati.

Nel diritto positivo la scelta del termine di raffronto è contenuta in prescrizioni normative e quindi
assume carattere oggettivo. La disciplina giuridica può anche prescindere dalla realtà fenomenica,
in quanto rispetto al termine di comparazione può non tenere conto o andare contro situazioni di
eguaglianza e di diversità esistenti oggettivamente in natura. Essa opera allora una astrazione dalla
realtà fenomenica e stabilisce che le fattispecie, allorché differenti o eguali per certi aspetti, devono
ricevere un trattamento rispettivamente eguale o diseguale.

Anche nella Costituzione italiana si rinvengono rapporti di eguaglianza con riguardo ora al
riconoscimento e all' attribuzione di diritti e all'imposizione di doveri ai singoli, ora nella disciplina
delle varie formazioni sociali, ora nella decisione e organizzazione del potere tra le varie Istituzioni
statali ed i vari Enti.
Per sua essenza peraltro l'eguaglianza giuridica non dà luogo ad una situazione giuridica che possa
essere definita in senso tecnico diritto soggettivo il cui contenuto dovrebbe quindi essere, a seconda
dei casi, quello di diritto all' eguale o al diverso trattamento, anche se in alcuni ordinamenti (come,
ad esempio, nella Costituzione della Repubblica federale tedesca o in quella spagnola) essa vien
fatta rientrare nel catalogo dei diritti fondamentali. Ma un contenuto siffatto èdel tutto
indeterminato ed astratto ed in quanto tale non può costituire quel bene della vita, determinato e
concreto, che può formare il contenuto del diritto soggettivo in senso tecnico-giuridico. L'egua-
glianza concreta invece un principio generale o una disciplina particolare, a seconda delle singole
fattispecie giuridiche, la quale determina la sfera soggettiva di coloro ai quali determinate
situazioni, attive o passive, vanno riferite.

3. b) l'eguaglianza davanti alla legge. La ragionevolezza della disciplina legislativa


Uno dei principi tradizionali dell' eguaglianza giuridica, riconosciuto ormai in tutti gli ordinamenti
costituzionali vigenti per il valore di rottura con un passato di privilegi accordati ad alcune
categorie di persone, è quello dell'eguaglianza degli uomini (o dei cittadini) davanti alla legge.

Sotto tale profilo l'eguaglianza davanti alla legge è essenziale per la stessa configurazione dello
Stato di diritto, essendo strettamente connessa col principio di legalità, il quale determina un
vincolo dei pubblici poteri amministrativi e di quelli giurisdizionali al diritto. Esso invero vieta che
1
essi, si comportino in modo parziale nell applicazione del diritto, nonché pongano in essere
differenziazioni o parificazioni che non siano previste dal diritto stesso.

Tuttavia il principio dell' eguaglianza davanti alla legge così inteso non impedisce al legislatore di
introdurre, senza con questo incidere sulla eguale efficacia della legge come fonte, diversità di
trattamento tra gli uomini sotto molteplici aspetti, in corrispondenza o meno con le diversità
esistenti in natura e nella vita sociale. Ciò anche perché non è ovviamente possibile adottare

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sempre e comunque discipline generali e universali, vale a dire per tutti. Diversità di discipline che
potrebbero peraltro anche comportare trattamenti discriminatori e ingiustificati da determinati
punti di vista, che il solo principio dell'eguaglianza davanti alla'legge come tale non sarebbe in con-
dizione di evitare.

Per limitare il legislatore, ma anche allo scopo di orientare la legislazione a criteri di giustizia
sociale, da un lato si è ritenuto di introdurre nelle Costituzioni specifiche fattispecie di eguaglianza,
in considerazione di specifiche esigenze ritenute fondamentalmente rilevanti, soprattutto per
reagire a (e rimuovere) situazioni di distinzioni e discriminazioni avvenute nel passato, dall' altro
Sono state previste norme sull' eguaglianza che esprimono esigenze di differenziazione connesse
con il principio di solidarietà ed in vista del perseguimento di finalità di giustizia sociale. Si
assicura così per tutti il soddisfacimento di bisogni essenziali, si assicurano prestazioni
previdenziali e assistenziali, livelli di istruzione ed educazione di base per tutti e via via più elevati
per i meritevoli, si prevedono misure idonee ad assicurare occupazione e lavoro. Si considerino ad
esempio nella Costituzione italiana le prescrizioni contenute negli artt. 3,1 comma; 4,1 comma; 30,
I comma; 31, 32,1 comma; 34, II comma; 35, II comma; 3*7, II comma; 38,117,1 comma, lett. m).

Altre volte ancora, la dottrina e la giurisprudenza, intervenendo sullo stesso principio


dell'eguaglianza davanti alla legge, hanno ritenuto di poterlo interpretare nel senso di divieto,
rivolto in via generale al legislatore, di trattare in modo diverso fattispecie eguali e in modo eguale
fattispecie diverse.
II principio inoltre non si applicherebbe ai soli cittadini, così come testualmente previsto, ma a tutti.

Date tuttavia la genericità e indeterminatezza dell'enunciazione a fattispecie eguali deve


corrispondere eguale trattamento si è fatto ricorso a vari criteri per stabilire quando sussiste una
situazione di eguaglianza o diseguaglianza, da quello di giustizia (ancorandola peraltro a un ordine
superiore di valori), a quello di arbitrarietà, di logicità, della natura delle cose, ma soprattutto della
cosiddetta ragionevolezza della disciplina adottata dal legislatore.

Con siffatto orientamento interpretativo il mancato, necessario riferimento a specifici parametri


stabiliti tassativamente dall'ordinamento costituzionale, perché possa stabilirsi se le varie
discipline legislative siano o meno con essi in contrasto, può consentire al Giudice dalle leggi di
decidere secondo la sua Ubera deterrninazione e sulla base di valutazioni discrezionali se le
fattispecie di volta in volta esaminate meritano o meno un trattamento eguale o diverso. La Corte
costituzionale ha cercato di ovviare a tale conseguenza, nel tentativo di mantenere la propria
valutazione nell' ambito di un giudizio di legittimità e non di merito delle scelte del legislatore
(peraltro escluso dalla Legge, 11.3.1953, n. 87 all'art. 28), facendo ricorso a ulteriori più specifici
criteri, ed anche operando ulteriori raffronti con altre discipline adottate dal legislatore rispetto a
quelle oggetto di comparazione.

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4. c) 1/principio dell' eguaglianza davanti alla legge nella Costituzione italiana
L'art. 3,1 comma Cost., rettamente interpretato, contiene due previsioni che stabiliscono l'una che
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e l'altra che Tutti i cittadini sono eguali davanti alla
legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione) di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
La seconda prescrizione non è grammaticalmente e logicamente scindibile in due distinte
proposizioni, una riferita alla sola eguaglianza davanti alla legge, l'altra al divieto di distinzioni di
sesso, etc.
Ciò non significa però che il principio della eguaglianza davanti alla legge non sia sancito dalla
Costituzione italiana. Esso si ricava invero dagli art. 97, I comma e III, Il comma, ove sono
affermati la legalità e 1' imparzialità dell' amministrazione nell' applicazione del diritto e la
soggezione del giudice soltanto alla legge. Nei confronti del legislatore esso deriva dal carattere
rigido della Costituzione che assicura alla fonte legislativa il valore di fonte per eccellenza non
condizionata nella sua efficacia a fattori estranei alla Costituzione stessa.

Dal punto di vista soggettivo il principio, così individuato, a differenza della previsione dell' art. 3,
I comma, si riferisce a tutti e non ai soli cittadini.
La ratio dei divieti è quella di evitare distinzioni tra i cittadini che portino ad una loro
«discriminazione» in base agli elementi indicati, mentre logicamente non sono vietate discipline,
variabili da situazione a situazione, le quali tengano conto delle diversità esistenti nella loro realtà
oggettiva e delle esigenze di discipline diverse, che siano necessitate dalla natura delle cose. Poiché
le situazioni esistenti nella realtà fenomenica che comportano la necessità di discipline ad hoc
variano a seconda delle materie, per stabilire quali di queste discipline siano ammissibili e per
restare ancorati a criteri oggettivi possono allora soccorrere i vari, specifici criteri elaborati dalla
giurisprudenza, che consentono di stabilire la giustificatezza o meno dei trattamenti eguali o dif-
ferenziati adottati dal legislatore, vale a dire in sintesi la ragionevolezza della disciplina. In questo
modo lo specifico parametro costituzionale di riferimento consente al giudizio di costituzionalità di
mantenersi nell' alveo di un giudizio di legittimità costituzionale.
Cosicché il tertium comparationis occorrente per la valutazione di legittimità dell' eguaglianza o
della diseguaglianza tra le discipline adottate dal legislatore è dato dalla prescrizione che risulta
alla conclusione di un procedimento ermeneutico complessivo condotto sulle varie norme
costituzionali di riferimento.

5. d) Yeguaglianza sostanziale
Per quanto riguarda il II comma dell'art. 3, esso esprime un principio che riassume le norme della
Costituzione che prevedono interventi positivi del legislatore diretti a promuovere l'eguaglianza di
fatto e che nel loro insieme caratterizzano lo Stato sociale: È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini; impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Tale prescrizione non può
ritenersi in contrasto con i divieti di differenziazione espressi dal I comma dell'art. 3 (ed.

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eguaglianza formale) e tanto meno con le libertà garantite dalla stessa Costituzione, anche perché li
presuppone, dato che si prefigge di attuarli, mentre le misure che vengono adottate devono essere
congrue, adeguate, proporzionate, quindi oggettivamente giustificate dallo scopo cui il principio
mira, assicurare ai soggetti eguali opportunità per metterli in condizione di godere effettivamente
dei diritti astrattamente garantiti e di realizzare la propria personalità secondo le rispettive
possibilità individuali.

H principio dell'eguaglianza sostanziale che garantisce la possibilità di una piena affermazione


della personalità umana nel contesto sociale per tutti gli aspetti della vita sociale ed economica ed
in ordine al soddisfacimento di tutti i bisogni che progressivamente possano manifestarsi, secondo
la regola che nessuno deve ricevere di più o di meno degli altri.
Siffatta eguaglianza, la quale mirerebbe in effetti a realizzare una sorta di giustizia pareggiatrice, si
risolverebbe peraltro nella negazione delle stesse libertà dei singoli e in particolare di quella diretta
a disporre dei mezzi economici occorrenti per soddisfare i vari bisogni, la quale dovrebbe essere
via via limitata sino, eventualmente, ad essere soppressa del tutto. La realizzazione di una
eguaglianza siffatta comporterebbe necessariamente l'instaurazione di un sistema che tratterebbe
meritevoli e non meritevoli, capaci e non capaci allo stesso modo per tutti gli aspetti della vita
sociale, individuerebbe autonomamente i bisogni da soddisfare tra quelli esistenti e via via
emergenti, indipendentemente dalle scelte dei singoli, e dall' altro monopolizzerebbe le risorse
disponibili perché solo così potrebbe via via distribuirle autoritativamente a tutti, in modo paritario,
in relazione ai vari bisogni ritenuti meritevoli di tutela.
Si tenderebbe a produrre in questo modo una società di eguali, nella quale sarebbe annullata ogni
sorta di differenze tra i singoli, con un livellamento di tutti verso il basso, una volta misconosciuti
capacità e meriti e ridotte se non addMttura soppresse le libere iniziative.

6. e) Le fattispecie tipiche dell'eguaglianza


Per quanto concerne i diritti di libertà e i doveri costituzionali l'eguaglianza tra i destinatari delle
singole fattispecie è insita nella stessa attribuzione soggettiva dei diritti e dei doveri. E la norma
dell'art. 3,1 comma rafforza siffatta eguaglianza.

e.a) Sesso
La norma del I comma dell' art. 3 intende vietare differenziazioni che non siano obiettivamente
riconducibili ai fenomeni rigorosamente univoci ed a carattere esclusivo che derivano dalla stessa
diversità di sesso degli individui, scientificamente accertabili, come quelle che possano essere
collegate ad una presunta coscienza sociale del momento o a regole sociali tradizionali.
Entrano poi in gioco: a) l'art. 29, secondo comma, che mentre ribadisce l'eguaglianza dei coniugi
nel matrimonio consente limiti a garanzia dell'unità familiare. Limitazioni che possono essere
giustificate soltanto quando venga in gioco l'unità della famiglia; b) l'art. 30, I comma, che
attribuisce ai genitori eguali diritti e doveri quanto al mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei
figli; c) l'art. 30, secondo comma che riguarda la paternità; d) l'art. 31, II comma sulla protezione
della maternità; e) l'art. 37,1 comma che assicura alla dorma lavoratrice gli stessi diritti e la stessa
retribuzione, a parità di lavoro, dell'uomo lavoratore. Il che comporta una valutazione della qualità

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e quantità di lavoro svolto 'ai fini della retribuzione; f) lo stesso art. 37,1 comma, seconda parte, che
assicura una particolare protezione alla donna lavoratrice essendo riconosciuta e sancita la sua
essenziale funzione familiare. Norma questa che costituisce anche un'applicazione della deroga
all'eguaglianza dei coniugi consentita dall' art 29 in funzione dell'unità della famiglia.

È quindi previsto il compito del legislatore di mtervenire con misure idonee per assicurare in
concreto siffatta protezione; g) l'art. 48,1 comma che ribadisce l'eguaglianza tra uomini e donne
nell'attribuzione del diritto di elettorato attivo; l'art. 51,1 comma, che conferma l'eguaglianza dei
sessi nell' accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive. In tale comma a rafforzare la possibilità
di accesso in condizioni di eguaglianza è stato poi aggiunto con legge costituzionale n. 1 del
30.5 .2003, sulla scorta del comma 4 dell' art. 141 del trattato istitutivo della Comunità Economica
Europea (L. 14.10.1957, n. 1203), come modificato dall'art. 2 del trattato di Amsterdam
(L.16.6.1998, n. 209) l'inciso A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini.

A livello regionale l'art. 117 Cost. al VII comma prevede: Le leggi regionali rimuovono ogni
ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed
economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Norme
queste che vanno poste in relazione con la previsione dell' art. 3, II comma in ordine alla rimozione
degli ostacoli che impediscono di fatto l'eguaglianza tra i cittadini (e quindi tra gli uomini e le
donne), richiedendo peraltro più specificamente una attività promozionale perché vengano
assicurate eguali chances agli uomini e alle donne.

Invece l'art. 3 della L. 90/2004 ha previsto che per le elezioni al parlamento europeo nessuno dei
due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi dei candidati. La Corte
Costituzionale dopo l'orientamento restrittivo manifestato con la sentenza n. 422 del 12.9.95 (che
aveva ritenuto illegittima la previsione di una riserva alle donne di quote nelle liste elettorali dei
Comuni fino a 15.000 abitanti ed altre analoghe prescrizioni), a partire dalla sentenza n. 49 del
13.2.2003 (mav. anche l'ordinanza n. 39 del 27 .1.2005) ha ritenuto legittime previsioni, stabilite in
via generale, di determinate quote obbligatorie di uomini e donne all'interno di Commissioni di
esami o nelle liste dei candidati presentate alle elezioni da partiti o gruppi politici.
Per quanto riguarda queste ultime va anche considerato che vincoli del genere si pongono in
contrasto al tempo stesso con la libertà e con l'eguaglianza dei partiti politici, assicurata dall' art. 49
Cost al fine di consentire ai cittadini (indipendentemente dal sesso) di concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale.

e.b) Razza
Per quanto concerne la razza la possibilità di discipline differenziate dipendenti dall'appartenenza
di individui a questa o quella razza appare estremamente limitata, se non praticamente impossibile
a giustificarsi.
Se si tiene conto della natura delle cose appare quindi difficile ipotizzare la legittimità di discipline
sulla razza che non si limitino, ad esempio, allo studio della stessa, agli aspetti biologici ed

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eventualmente sanitari di particolari razze (ove scientificamente accertati) oppure che si
prefiggano misure riparatrici di precedenti discipline discriminative. Discipline che ovviamente
dovranno essere giustificabili razionalmente come oggettivamente necessitate.

e.c) Lingua
Per la lingua la possibilità di discipline giuridiche differenziate dipenderà dal dato oggettivo della
esistenza di molteplici lingue e dalla necessità di ima comunicazione tra i vari gruppi linguistici.
La presenza di una lingua maggioritaria comporta la necessità di una disciplina ad hoc, senza
peraltro che da essa possa farsi derivare una discriminazione tra i cittadini che parlano lingue
diverse. Anzi la presenza di minoranze linguistiche comporta, ai sensi dell' art. 6, una particolare
tutela in ordine alla consistenza del gruppo linguistico e del territorio di riferimento.
Va poi considerata l'incidenza dell'art. 21 Cost. che, nell'assicurare la libertà di manifestazione del
pensiero (peraltro di tutti) con la parola, lo scritto e qualsiasi mezzo di diffusione, garantisce a tal
riguardo la libertà di uso della lingua come mezzo necessario per la sua manifestazione.

e.d) Religione
Il divieto di distinzione tra i cittadini per ragioni di religione costituisce una garanzia personale,
sulla quale incidono poi in modo vario le altre norme che trattano alcuni aspetti particolari, come
l'art. 7 relativo ai rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, l'art. 8 relativo alla parità tra le
confessioni religiose ed ai loro rapporti con lo Stato, l'art. 20 relativo alla parità tra le associazioni e
le istituzioni di culto, l'art. 19 (da considerare anche in relazioni dall' art. 21) sulla eguale libertà di
tutti di professare la propria fede religiosa (col solo limite del buon costume).

e.e) Opinioni politiche


Il divieto di distinzione in base alle opinioni politiche, rafforzato ed esteso ai non cittadini dall' art.
22 per quanto concerne la capacità giuridica, la cittadinanza e il nome (con le deroghe peraltro
contemplate dalle disp. trans, e finali XII e XIII), non significa certamente che non possa darsi
rilevanza alla diversità di opinioni politiche per perseguire questa o quella finalità di ordine politico,
ma che possano adottarsi discipline diverse nei confronti di cittadini che abbiano e professino una
loro opinione politica rispetto agli altri.
La parità di trattamento in un sistema pluralistico in cui i partiti e i movimenti politici sono posti su
di un piano di eguaglianza non tollera privilegi di sorta. A parte, in ogni caso, anche la violazione
del II comma dell* art. 3, il quale, a sua volta, esclude che possono porsi ostacoli (sotto l'aspetto
dell' aggravamento della posizioni di alcuni rispetto ad altri) alla libertà e all'eguaglianza nella
partecipazione dei cittadini (e quindi per essi delle associazioni di cui fanno parte e che li
sostengono) alla vita politica.

e.d Condizioni personali


Il divieto di distinzione in base alle condizioni personali non può risolversi nel generale divieto di
leggi personali e del caso concreto o nel concetto stesso dell' eguaglianza davanti alla legge, quanto
piuttosto nel divieto di distinzione dei cittadini in base al complesso dei caratteri che riguardano la
persona nell' aspetto fisico e psichico.

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Ciò non significa che non possano adottarsi discipline che prendano in considerazione elementi
fisici o psichici (da cui dipendano le qualità e le attitudini degli individui) per i fenomeni di ordine
naturale che da essi derivano e che consentono ad esempio di tener conto delle attitudini fisiche o
psichiche, oggettivamente comprovate, per l'esercizio di determinate attività, per la richiesta di
determinate prestazioni, per l'assolvimento di determinati compiti.

e.g) Condizioni sociali


Analoghe considerazioni vanno fatte per il divieto di distinzione in base alle condizioni sociali. In
questa fattispecie viene in considerazione l'uomo come socius, in quanto proiettato nella società, da
cui dipende il suo status sociale.
Le condizioni sociali degli individui sono determinate dall'attività svolta, dal grado di istruzione
raggiunto, dalla famiglia di appartenenza, dai beni posseduti, da tutti i fattori che portano nella
società a distinzioni tra gli esseri umani. Ma tali distinzioni, ancorché esistenti, non devono essere
assunte dal legislatore a motivo di differenziazione e mscriminazione dei cittadini, essendo
consentito soltanto adottare discipline oggettivamente ed essenzialmente giustificabili in quanto
inerenti alle stesse categorie sociali.
Alle condizioni sociali vanno collegate le ulteriori discipline costituzionali in materia di rapporti
sociali ed economici, come quelle in materia di famiglia (Art. 31,1 comma), di salute (art. 32,1
comma), di istruzione superiore (art. 34, II e IV comma, sotto il profilo del sostegno agli indigenti),
di lavoro (art. 35 e segg.), di prestazioni tributarie e lo stesso sistema tributario informato a criteri
di progressività (art. 53).
Vi è quindi una stretta connessione tra la fattispecie dell' art. 3,1 comma, che vieta distinzioni in
base alle condizioni sociali, e quelle che mirano a realizzare l'eguaglianza cosiddetta sostanziale ed
in particolare quella dell' art. 3, n comma. I principi dello Stato sociale, ispirato ad esigenze di
solidarietà, mentre da un lato impediscono discriminazioni dei cittadini sulla base di distinzioni
sociali esistenti, dall'altro richiedono interventi sulle condizioni sociali perché non costituiscano
ostacolo alla realizzazione della piena personalità dei cittadini.

7. Le libertà costituzionali
La libertà in senso ampio può essere intesa come pretesa del singolo di autodeterminarsi,
escludendo gli altri dalla propria sfera personale.
Essa non va però intesa in senso assoluto, in quanto nella vita sociale non viene in considerazione
l'uomo come singolo individuo ma come socius, per cui la libertà di ognuno incontra il limite nella
libertà degli altri. Concetto questo espresso ad esempio dall'art. 4 della Dichiarazione dei diritti del
1789: La libertà consiste nel fare tutto cièche non nuoce agli altri così l'esercizio dei diritti
naturali di ogni uomo non ha come limite che quelli che assicurano agli altri membri della società
il godimento di quegli stessi diritti.

8. Libertà personale
La libertà personale, intesa in senso generale, consiste nel diritto di ogni individuo di auto
determinarsi in ogni forma possibile. Non soltanto con riferimento alla sua sfera fisica, ma anche a
quella psichic a e morale in quanto persona umana. Come tale essa consente all'individuo di

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escludere ogni costrizione fisica, psichica e morale nei suoi confronti, di poter circolare,
soggiornare, stabilire il proprio domicilio, comunicare e diffondere il proprio pensiero e così via.
Tuttavia la Costituzione italiana accanto alla disciplina generale della libertà contenuta nell' art. 13
tutela e garantisce in modo parzialmente diverso specifiche manifestazioni della libertà della
persona umana, come quella di domicilio, di circolazione e soggiorno, di comunicazione, di
manifestazione del pensiero. Con la conseguenza che a tali specifiche discipline occorre fare
riferimento quando entrano in gioco queste specifiche libertà.

Per quanto riguarda l'autorità giudiziaria occorre far riferimento alle norme contenute negli artt.
111 e segg., nonché nell'art. 25 Cost.
Quando il soggetto incorre nei rigori della legge penale l'ordinamento fa valere l'interesse punitivo
dello Stato che si manifesta nelle restrizioni tipiche che sono quelle della detenzione, ispezione e
perquisizione personale, o in quelle altre eventualmente previste dalla legge. Esse possono essere
disposte solo a seguito dell' esercizio del potere giurisdizionale, ed il soggetto può far valere il
proprio interesse alla libertà contrapponendolo al potere punitivo dello Stato dinanzi al giudice, il
quale deciderà nei limiti rigorosamente previsti dalla legge.

Le misure restrittive disposte dal giudice sono di vario tipo, come la custodia in carcere, gli arresti
domiciliari o in luogo di cura, o interdittive con riguardo all'esercizio di diverse facoltà (come la so-
spensione da un pubblico ufficio, dalla patria potestà, oppure l'imposizione di obblighi di fare). Tra
di esse rientrano anche le misure di sicurezza che si ritengono necessarie in considerazione della
pericolosità dell'individuo.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono dare notizia dell' arresto o del fermo
immediatamente al pubblico ministero e porre l'arrestato o il fermato a disposizione di questo entro
le ventiquattro ore. Il pubblico ministero entro le quarantotto ore dall'arresto o dal fermo (termine
che coincide con quello previsto dall'art. 13, III comma) chiede la convalida al giudice delle
indagini preliminari il quale fissa la relativa udienza entro le quarantotto ore successive.

Il quinto comma dell'art. 13 prescrive che la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione
preventiva. La norma si riferisce alla carcerazione disposta nei confronti degli imputati di reati
prima della condanna definitiva, soltanto a seguito della quale essi possono essere considerati
colpevoli (art. 27, VI comma Cost.). La legge (art. 303 e segg. c.p.p.) ha previsto una durata della
custodia cautelare cha varia in relazione alla entità della pena prevista dalla legge per il delitto.
La garanzia della libertà personale è peraltro rafforzata dal quarto comma dell' art. 13 che prescrive
la punizione per ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà.

9. Libertà di domicilio
L'art. 14 garantisce l'inviolabilità del domicilio come proiezione spaziale della libertà personale.
Il domicilio è inteso in senso ampio e generale, in un significato che va oltre quello del codice civile
e del codice penale. La tutela costituzionale si estende non solo al luogo dove il soggetto ha
stabilito la sede dei propri affari ed interessi o al luogo in cui egli ha la dimora abituale (art. 43 c e ) ,

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ma anche ai luoghi accessori a questi ed ai luoghi di privata dimora, e in genere ovunque si svolge
qualsiasi attivitàda cui il soggetto escluda ingerenze altrui. Quindi anche un natante o una
autovettura può costituire domicilio.
In tali casi non si richiede l'atto motivato dell' autorità giudiziaria, che è invece necessario nei casi
di perquisizione personale e nei sequestri. È ad esempio consentita agli ispettori del lavoro la visita
dei locali aziendali, nonché dei locali annessi; agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che
abbiano notizia dell' esistenza di armi, munizioni o materie esplodenti non denunciate o comunque
abusivamente detenute di procedere a perquisizione e sequestro in qualsiasi locale o abitazione;
agli ufficiali ed agenti di P.S. di accedere in qualunque ora nei locali destinati all'esercizio di
attività soggette ad autorizzazione di polizia.

10. Libertà e segretezza delle comunicazioni.


L'art. 15 Cost. sancisce l'inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni
altra forma di comunicazione, come manifestazione della libertà della persona.
Come le altre libertà anche quella garantita dall' art 15 Cost. non va intesa in senso assoluto,
potendo incontrare limitazioni, come previsto dal II comma.
Esse potranno però avvenire soltanto con atto della autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite
dalla legge, essendovi anche in tal caso una duplice riserva di legge e di giurisdizione.
Particolari garanzie sono assicurate dal codice di procedura penale (artt. 266 e segg.) per consentire
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e per la loro utilizzazione. L'ordinamento tutela la
segretezza delle comunicazioni anche nel processo penale, vietando la diffusione di notizie coperte
dal segreto in procedimenti penali (art. 684 c.p. e 114 c.p.p.).

11. Libertà di circolazione e soggiorno.


L'art. 16 Cost. garantisce ad ogni cittadino la libertà di circolare e soggiornare in qualsiasi parte del
territorio nazionale, nonché di uscire e rientrare dallo stesso, salvo gli obblighi di legge.
A differenza della libertà personale garantita dall' art. 13 tale libertà attiene specificatamente al
rapporto tra l'individuo e il territorio nazionale, cosicché non può ritenersi compresa nella garanzia
offerta da quella. Tanto vero che essa è assicurata soltanto ai cittadini.
Ciò non toglie che restrizioni della libertà personale, come le misure detentive, hanno comunque
anche effetti sulla libertà di circolazione e soggiorno, come del resto sulle altre libertà.
Per gli altri stranieri non comunitari la circolazione e il soggiorno in Italia sono attualmente
disciplinati dal D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 e succo modifiche.
L'art. 16 prevede che tale libertà può essere limitata con legge e solo in via generale, per motivi di
sicurezza e di sanità. Viene invece tassativamente esclusa ogni restrizione determinata da ragioni
politiche.
La stessa Costituzione peraltro con la disp. trans, e finale XIII, II comma, ha vietato (fino
all'esaurimento dei suoi effetti ad opera della L. Cost. 23.10.2002, n. 1) l'ingresso e il soggiorno sul
territorio nazionale agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi.
La legge può quindi prevedere misure restrittive della libertà di circolazione e soggiorno per
ragioni di sanità, quando vi sia pericolo per la salute pubblica in determinate zone in caso di
pubbliche calamità oppure in caso di epidemie; per ragioni di sicurezza, quando vi sia pericolo per

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la pubblica incolumità o per l'ordine pubblico (da intendersi peraltro in senso ampio comprensivo
anche degli aspetti relativi alla pubblica moralità).

12. Libertà di riunione


L'art. 17 Cost. garantisce ai cittadini la libertà di riunione per qualsiasi motivo. Deve però trattarsi
di riunioni pacifiche e senz' armi, ovunque esse avvengano.
Per i non cittadini non sussiste la tutela costituzionale, ma ciò non esclude che le loro riunioni
possano egualmente avvenire a meno che la legge non disponga una disciplina particolare.
La riunione può però essere vietata, ma soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità
pubblica e non per la eventuale mancanza del preavviso. Questa può invece dar luogo a responsabi-
lità penale dei promotori, ove individuabili.
L'eventuale divieto di riunioni deve essere motivato, indicandone le specifiche ragioni. La riunione
(anche quella in luogo privato o aperto al pubblico) può comunque essere sciolta per motivi di sicu-
rezza e incolumità.
Il concetto di riunione cui fa riferimento l'art. 17, stando alla rafia della disciplina costituzionale
che fa specifico riferimento alle modalità della riunione (pacificamente e senz'armi), non riguarda
meri incontri privati interpersonali e occasionali, che si possono svolgere anche in luogo pubblico,
ma postula il concorso di un gruppo organizzato di più persone che stabilisce di riunirsi
temporaneamente in un determinato luogo, anche in via itinerante dando così luogo ad un corteo,
per effettuare una qualsiasi manifestazione in pubblico, sempre che non sia suscettibile di costituire
pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza.

13. Libertà di associazione


Tra le formazioni sociali ove ha modo di svolgersi la personalità dell'uomo, secondo quanto
riconosce l'art. 2 Cost., vi sono quelle che la Costituzione garantisce specificamente attribuendo il
diritto di associarsi liberamente.
Oltre queste associazioni la Costituzione vieta le associazioni segrete e quelle che perseguono,
anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Come
associazioni segrete la L. 25.1.1982, n. 17 indica quelle che anche all'interno, di associazioni
palesi, occultando la loro esistenza, ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività so-
ciali ovvero rendendo sconosciuti in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soa; svolgono
attività diretta ad interferire sull 'esercizio di funzioni costituzionali, di amministrazioni pubbliche,
di enti pubblici anche economia; nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale.
Il D.Lgs. 14.2.1948, n. 43 ha individuato come associazioni di questo tipo quelle costituite
mediante l'inquadramento degli associati in corpi; reparti o nuclei, con discipline ed ordinamento
gerarchico interno analoghi a quelli militare con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi e con
l'organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia.
E fatto altresì divieto ad associazioni collegate a partiti politici di dotare di divise o uniformi i
propri aderenti, tranne che si tratti di associazioni sportive o a carattere culturale o educativo.
La libertà di associazione comporta da mi lato il pluralismo delle associazioni e dall' altro la libertà
di non associarsi.

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14. Libertà di fede religiosa
L'art. 19 Cost. riconosce a tutti il diritto di manifestare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, sia individuale che associata, di fame propaganda e di esercitarne in privato o in
pubblico il culto.

15. Libertà di manifestazione del pensiero


L'art. 21 Cost. garantisce a torti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
L'art. 21 fa riferimento non solo ai tradizionali modi di comunicazione e diffusione del pensiero,
costituiti dalla parola e dallo scritto, ma a qualsiasi altro mezzo possibile, anche se esisterà in fu-
turo.

Tale diritto non comporta però l'ulteriore diritto di utilizzare mezzi di diffusione di cui non si abbia
la disponibilità per varie ragioni, tra cui la loro appartenenza a terzi o la loro soggezione ad un
regime pubblicistico in dipendenza di situazioni di monopolio o oligopolio.
La ridotta disponibilità di bande di frequenza e la necessità di notevoli risorse finanziarie per
disporre di tale mezzo avevano indotto il legislatore, nel dettare nuove norme in materia di
diffusione radiofonica e televisiva, dopo la decisione della Corte costituzionale n. 225/1974, che
liberalizzava gli impianti ripetitori di programmi esteri e la n. 226/1974, che liberalizzava gli im-
pianti televisivi via cavo, a mantenere un regime di monopolio pubblico ai sensi dell'art. 43, per
evitare un monopolio o oligopolio privato.

La Corte costituzionale dichiarò però illegittimo il monopolio su scala locale, data la disponibilità
di sufficienti bande di frequenza in sede locale e le modeste risorse economiche occorrenti per
l'impianto di trasmittenti, con sentenza n. 202 del 9.7.1976, cui sono seguite poi la n. 1148/1981,
che ipotizzava l'abbandono della riserva statale per le trasmissioni su scala nazionale, purché
venisse garantito il pluralismo, la n. 237/1984, la n. 231/1985 e la n. 153/1987.
Si sono quindi avuti ulteriori interventi legislativi, peraltro con parziale intervento demolitorio
della Corte costituzionale, fino alla L. 3.5.2004, n. 112, che ha ulteriormente disciplinato la materia,
da un lato consentendo la prosecuzione delle trasmissioni da parte dei soggetti che attualmente ne
hanno la disponibilità, in vista di una conversione del sistema ed. analogico nel sistema ed. digitale
che dovrebbe consentire maggiore disponibilità di frequenze, dall' altro ponendo per ciascun
titolare di autorizzazione all'esercizio dell'attività il limite del 20% del totale dei programmi
irradiabili su frequenze terrestri per le proprie trasmissioni, nonché il limite del 20% per la raccolta
delle risorse finanziarie, calcolato sulla base di un particolare, complesso sistema integrato delle
comunicazioni.

Và altresì sottolineato che a garanzia delle comunicazioni è stato istituito con L. 31.7.1997, n. 249
apposito organismo indipendente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale ha
sostituito il precedente organismo, il Garante per la radiodiffusione e l'editoria previsto dalla L.
223/1990.
La Costituzione non fa differenza in ordine alla tipologia di pensiero manifestato. Qualsiasi

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pensiero può essere manifestato, con i limiti peraltro derivanti dalla tutela costituzionale di altri
valori e situazioni giuridiche. .
L'art. 21 prevede come limite il buon costume. Dispone infatti il VI comma che sono vietate le
pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.
È questa una nozione collegata con la morale comune e variabile nel corso del tempo col variare
della stessa. Comprende i principi etici validi nell'ambiente sociale ed individuabili dal giudice.

La libertà di manifestazione del pensiero non può quindi svolgersi in modo da ledere il prestigio,
l'onore, la reputazione ed anche la riservatezza della sfera privata (privacy), il prestigio delle
istituzioni e di coloro che svolgono pubbliche funzioni. Tali valori trovano tutela nel diritto penale
ed in quello privato sotto il profilo dei danni causati dal comportamento illecito.
Sono, ad esempio, previsti e puniti i reati di diffamazione, ingiuria, oltraggio e vilipendio. Sono
stati previsti come reati le offese al sentimento religioso (come la bestemmia).
Ulteriori limiti derivano dalla tutela del segreto, quando la diffusione di notizie può compromettere
la reputazione di persone o ostacolare lo svolgimento di pubbliche funzioni (segreto giudiziario e
segreto di Stato); oppure dalla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, per cui sono vietate la
diffusione di notizie false e tendenziose, l'apologia di reati, l'istigazione a commettere reati.
Il VI comma prevede inoltre una riserva di legge in ordine alle misure adeguate a prevenire e a
reprimere le violazioni del buon costume. Mentre per la stampa non è possibile una censura,
espressamente esclusa dal II comma, essa è possibile per gli spettacoli e le altre manifestazioni. E
difatti la censura preventiva tramite apposite commissioni è stata prevista per le opere
cinematografiche (L. 161/1962 e succo modifiche).

16. Diritti politici dei cittadini


La Costituzione non prevede i modi di acquisto o perdita della cittadinanza italiana, ma stabilisce
che nessuno può essere privato della stessa, nonché del nome e della capacità giuridica, per motivi
politici (art. 22). Lo status di cittadino, che è il presupposto per godere anche della cittadinanza
europea (art. 17 Trattato CE), consente di essere titolare di vari diritti di libertà, civili e politici,
nonché di vari doveri.
Il diritto di elettorato può essere limitato soltanto per incapacità civile, per effetto di sentenza
penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (IV comma).
Poiché si tratta di uri diritto collegato con lo status di cittadinanza non può essere attribuito agli
stranieri o agli apolidi. Ciò tanto per le elezioni al Parlamento italiano quanto per tutte le altre
elezioni politiche e amministrative. Tuttavia l'art. 51 prevede che la legge possa parificare ai
cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Una deroga all'art. 48 è stata operata nei confronti dei cittadini europei dalla normativa comunitaria
(art. 19 Trattato CE), la quale consente ad essi, indipendentemente dalla cittadinanza statale, il di-
ritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nonché al Parlamento europeo negli Stati in cui
risiedono.

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17. Stranieri e cittadini europei
La condizione giuridica degli stranieri, termine comprensivo dei non cittadini italiani, abbiano o
non abbiano (caso questo degli apolidi) altra cittadinanza, è regolata secondo quanto dispone l'art.
10, II comma della Costituzione dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Il III comma dell' art. 10 prevede inoltre che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di
asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. In ogni caso, come
dispone il IV comma, non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici, salvo che si
tratti di delitti di genocidio.

18. Partiti politici nella Costituzione italiana


La Costituzione Italiana non dà una definizione del partito politico per distinguerlo dagli altri
gruppi sociali, ma lo prende in considerazione come tipica associazione di persone. L'art, 49 Cost.
prevede invero che Tutti i cittadini hanno diritto dì associarsi lìberamente in partiti per concorrere
con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Ne consegue che anche la disciplina generale delle associazioni si applica ai partiti politici. Sono
così vietati partiti segreti, partiti che abbiano finalità vietate ai singoli dalla legge penale, o che si
dotino di un' organizzazione di tipo militare.
Se l'accento posto dall' art. 49 al diritto dei cittadini di associarsi in partiti fa propendere per una
natura giuridica prettamente privatistica, tuttavia la finalità di consentire ai cittadini di concorrere a
determinare la politica nazionale pone in risalto la loro funzione pubblicistica.

Titolari della fattispecie prevista dall' art. 49 Cost. sono i cittadini. La norma però non esclude che
anche gli stranieri e gli apolidi possano far parte di partiti. Tuttavia, non essendovi una copertura
costituzionale ad un loro diritto di associazione, essi potrebbero incontrare eventuali limiti posti
dalle leggi, che però attualmente mancano nell' ordinamento vigente. Ciò non toglie peraltro che gli
stranieri che facciano parte di partiti italiani vanno comunque incontro ai limiti anche impliciti del
sistema costituzionale in relazione alle attività per le quali si richieda come specifico requisito il
possesso della cittadinanza italiana.

Contrariamente a quanto sostiene una parte della dottrina non sembra che sussistano ostacoli alla
eventuale partecipazione alla vita dei partiti e alla loro stessa formazione anche di associazioni o
gruppi sociali come tali. Vero è che tali formazioni non possono vantare la garanzia costituzionale
prevista dall' art. 49 Cost. per i cittadini, ma la possibilità di una loro associazione in partiti non
contraddice il concetto di partito al quale si riferisce la nostra Costituzione, ove si tenga conto dei
riflessi che sullo stesso art. 49 può avere l'art. 2 Cost.. Né sembra che la iscrizione di una
associazione come tale in un partito venga di per sé a violare la libertà (intesa in senso negativo) di
iscrizione dei singoli partiti. Mentre l'adesione che il singolo presta al gruppo iscritto ad un partito
non comporta di per sé l'iscrizione obbligatoria al partito stesso, il singolo resta pur sempre libero
di lasciare l'associazione, ove non ne condivida le scelte politiche.
L'art. 49 Cost. non tutela peraltro soltanto la libertà positiva di associarsi in partiti, ma anche quella
negativa di non associarsi ad alcun partito.

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La partecipazione alla vita del partito avviene in varie forme secondo le regole statutarie. Esse
prevedono varie categorie di soggetti, come gli iscritti, i soci fonda tori, quelli ordinari, quelli
sostenitori, i militanti e così via. Sono previsti organi di garanzia che assicurano l'osservanza delle
regole, di solito indicati come probiviri, ed eventualmente Commissioni ulteriori a livello
decentrato o centrale. Ciò in linea con le articolazioni interne che danno luogo, a loro volta, ad
associazioni; per cui il partito può presentarsi come associazione di associazioni.
L'art. 49 Cost. col riconoscere a tutti i cittadini la libertà di associarsi in partiti politici attribuisce
loro al tempo stesso un eguale diritto. Ne consegue da un lato il carattere pluripartitico del sistema
politico e dall' altro l'eguaglianza tra i partiti, ognuno dei quali ha parità di chances nel concorso
alla determinazione della politica nazionale.
Non possono quindi farsi discriminazioni tra i partiti come non possono farsi distinzioni tra i
cittadini per la loro appartenenza a questo o quel partito perché, tra l'altro, ciò contraddirebbe con
l'art. 3,1 comma Cost.

La legislazione ordinaria, attuativa di tale disposizione, ha-invece fatto applicazione più ampia
della norma, pervenendo a perseguire, oltre la riorganizzazione del disciolto partito fascista, anche
attività idealmente collegate con i principi ispiratori del Partito Nazionale Fascista, come
l'esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche
proprie del partito fascista, ovvero idee o metodi razziali (art. 4, II comma) oppure le mani-
festazioni esteriori usuali al disciolto partito fascista ovvero alle organizzazioni naziste (art. 5).
L'art. 98, ult. comma Cost. prevede la possibilità che la legge limiti la libertà di associazione in
partiti per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i
rappresentanti diplomatici e consolari all' estero.
Lo stesso art. 49 Cost. impone ai cittadini e quindi ai partiti di osservare il metodo democratico. Si
tratta di un obbligo che costituisce un limite all' azione dei partiti. Ciò comporta che i partiti nel
concorrere alla determinazione della politica nazionale non devono perseguire finalità e porre in
essere attività che siano in contrasto con i principi di democraticità cui è ispirata la Costituzione.

Il e d . metodo democratico costituisce indubbiamente un limite all'azione esterna dei partiti e può
comportare la repressione della attività condotta con metodi non democratici. Ma è anche un limite
rispetto all' attività interna, e si riflette sull'organizzazione stessa dei partiti, in quanto
funzionalmente collegata con l'attività esterna. Esso intende evitare che sia per i mezzi adoperati,
sia per le finalità perseguite, l'attività possa essere indirizzata in modo da compromettere o
attentare ai valori fondamentali di. democrazia garantiti dalla Costituzione.

Anche la disciplina della propaganda elettorale prende in considerazione i partiti politici come
soggetti politici, stabilendo per essi l'accesso a idonei spazi di propaganda nell'ambito del servizio
pubblico radiotelevisivo, facendo obbligo a tutte le emittenti radiotelevisive di assicurare a tutti i
soggetti politici, con imparzialità ed equità, l'accesso all'informazione e alla comunicazione
politica, intendendo per tali la diffusione di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche:
prescrivendo regole per i messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici.

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Proprio in considerazione della complessità delle loro attività e delle spese sempre più consistenti
per mantenere un efficiente apparato organizzativo, per affrontare le varie campagne elettorali,
politiche ed amministrative, in sede regionale e locale, si è posto il problema di provvedere a
reperire fonti di finanziamento, ulteriori rispetto a contribuzioni volontarie.

19. Doveri costituzionali


Il II comma dell' art. 2 Cost. richiede a tutti l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale. Tale principio assume particolare significato e valore nello stato
sociale configurato dalla Costituzione italiana.

20. Diritti sociali e formazioni sociali


Accanto ai diritti di libertà la Costituzione riconosce e garantisce ai singoli i ed. diritti sociali e al
tempo stesso prende in considerazione e tutela le formazioni sociali la cui attività è essenziale
perché possa compiutamente realizzarsi lo Stato sociale di diritto fondato sulle libertà,
sull'eguaglianza e sulla solidarietà, le quali trovano la loro tutela unitaria negli artt. 2 e 3 Cost.

21. Confessioni religiose


I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose possono essere fondamentalmente di tipo
confessionale, 'condizione in cui lo Stato assume una religione come propria e si adegua alla sua
dottrina e al volte pretende di intromettersi nella sua organizzazione (giurisdizionalismo), oppure
di tipo laico, condizione in cui lo Stato si pone in posizione neutrale rispetto alle varie confessioni
religiose.
La Costituzione italiana all'art. 7, dopo aver affermato che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono
ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani (I comma), ha confermato la validità dei Patti
Lateranensi (Il comma), i quali trovano così una specifica tutela costituzionale.
Pur essendo essi stati costituzionalizzati, il II comma dell' art. 7 ha tuttavia anche stabilito che le
loro modifiche, accettate da entrambe le parti, non richiedono un procedimento di revisione
costituzionale. Si è così stabilito che anche con legge ordinaria è possibile da parte italiana
procedere ad una modifica dei patti purché ci sia il consenso della Chiesa cattolica.
Ed infatti il 18.2.1984 è stato sottoscritto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica un accordo, cui è
seguito un protocollo del 15.11.1984, che ha integralmente modificato la disciplina del Concordato,
lasciando peraltro integra la sua veste formale per non alterare la garanzia procedimentale prevista
dall'art. 7 nei confronti dei Patti Lateranensi e quindi del Concordato stesso.
È stato quindi previsto nei loro confronti soltanto il limite negativo dei principi e delle norme dell'
ordinamento giuridico italiano, che non comporta comunque una ingerenza dello Stato nell'
organizzazione delle confessioni religiose. Ciò sta a significare la piena autonomia delle
confessioni dallo Stato.
L'art. 20 Cost. esclude poi che nei confronti di associazioni o istituzioni religiose possano porsi
delle limitazioni legislative o possano prevedersi speciali gravami fiscali per la loro costituzione, la
loro capacità giuridica e ogni forma di attività.

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22. Famiglia
Tra le formazioni sociali la Costituzione italiana prende in particolare considerazione la famiglia,
alla quale dedica gli articoli 29, 30 e 31.
La famiglia è espressamente riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio. Essa è
costituita dall'unione tra uomo e donna col vincolo matrimoniale e dà luogo alla famiglia coniugale.
Non sono quindi riconosciute e garantite dalla Costituzione le mere unioni di fatto.
L'istituto del divorzio è stato introdotto con la L. 1.12.1979, n. 898, la quale ha anche previsto la
cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario.
La L. 19.5.1975, n. 151, innovando alla disciplina del codice civile del 1942, ha regolato i rapporti
tra i coniugi sulla base del principio costituzionale (art. 29, II comma) che sancisce la loro
eguaglianza giuridica e morale nei limiti stabiliti a garanzia dell'unità familiare. Ad esempio, ad
entrambi i coniugi è affidata la determinazione dell'indirizzo della vita familiare e a ciascuno di essi
è dato di stabilire la propria residenza in ragione delle rispettive esigenze e compatibilmente con
quelle della famiglia. Ad entrambi spetta inoltre la potestà sui figli, il cui esercizio avviene di
comune accordo. Entrambi hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Viceversa è
la moglie che aggiunge al proprio cognome quello del marito, che è altresì attribuito ai figli
legittimi, ed il figlio naturale assume preferibilmente il cognome del padre.
L'art. 31, Il comma stabilisce altresì che è compito della Repubblica di proteggere la maternità,
l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

23. Salute
La salute è tutelata come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32
Cost.).
A tenore dell' art. 118 Cost., l'attività amministrativa, concernente la sanità, va distribuita tra i vari
enti territoriali secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
L'art. 32, II comma garantisce poi la libertà e la dignità dell'individuo) stabilendo che nessuno può
essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la
legge in ogni caso non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Trattamenti
sanitari obbligatori possono essere disposti dalle Autorità sanitarie per esigenze pubbliche (ad
esempio vaccinazioni, cure obbligatorie in caso di epidemia, trattamenti sanitari per malati mentali,
ecc.). Sono invece vietate imposizioni di cure per la salute dei singoli individui in quanto contrarie
alla libertà di scelta individuale.

24. Ambiente ed ecosistema


Collegato con la tutela della salute è stato considerato il diritto all'integrità e alla protezione dell'
ambiente e dell' ecosistema, la cui tutela rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai
sensi dell'art. 117, II comma, lett. s) Cost., nonché in quella concorrente per quanto concerne il
governo del territorio e la valorizzazione dei beni ambientali. A livello statale l'attività
amministrativa rientra nelle competenze del Ministero dell' ambiente e della tutela del territorio
(introdotto con L. 349/1986).
Sono state adottate varie discipline legislative sin dagli anni sessanta del secolo scorso
sull'inquinamento atmosferico sulla tutela delle acque, sulla biodegradabilità di alcuni prodotti,

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sull'utilizzo di fertilizzanti in agricoltura.
L'ambiente e l'ecosistema vengono identificati con l'aria, l'acqua, la flora, la fauna ed i connessi
equilibri biologici. A loro tutela si è previsto il risarcimento del danno ambientale e si è altresì
ammessa la responsabilità dei funzionari e degli amministratori pubblici.
A tutela del paesaggio, che corrisponde ad un interesse dell'intera comunità nazionale, il legislatore
può anche porre vincoli di ordine generale a determinati beni, limitando le facoltà di godimento dei
proprietari, senza che a tali limiti possa attribuirsi carattere espropriativo. È invero la qualità
intrinseca e naturale del bene che li consente. Conseguentemente, essendo la materia non a
carattere espropriativo, non è previsto un indennizzo in ragione dei vincoli di tal genere.

25. Cultura e istruzione


Tra i principi fondamentali della Costituzione vi è quello che impone la tutela della cultura e della
ricerca scientifica e tecnica.
All' art. 9 è invero sancito il compito dalla Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura e
della ricerca scientifica e tecnica (I comma), nonché di tutelare il patrimonio storico e artistico
della Nazione (II comma).
La Costituzione peraltro ha inteso riconoscere anche il pluralismo scolastico, stabilendo (art. 33, III
comma) che Enti privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
10 Stato.
Ciò non esclude peraltro un intervento del legislatore che da un lato disciplini in via generale
l'istruzione (art. 33, II comma) e dall'altro regoli l'esercizio del diritto in vista della tutela di
interessi pubblici che potrebbero essere compromessi, come la sicurezza, la sanità, la moralità, la
fede pubblica, affidando alla pubblica autorità poteri di controllo.
La previsione della mancanza di oneri per lo Stato sta a significare che non può imporsi un obbligo
allo Stato di assumersi gli oneri per finanziare le scuole istituite da enti e privati, ma non esclude
che lo Stato possa avvalersi di scuole di tal genere provvedendo al relativo
finanziamento per realizzare specifiche finalità pubbliche. In tali ipotesi le scuole assumono un
carattere pubblico ed i gestori una funzione che li rende assimilabili alle figure dell' organo
indiretto dello Stato.
11 comma 6 dell' art. 33 assicura infine alle istituzioni di alta cultura, università ed accademie, il
diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
L'autonomia di cui godono le istituzioni di alta cultura può peraltro variare nella sua ampiezza a
seconda delle previsioni legislative, ma non può essere illimitata. L'autonomia deU'ordinamento
delle singole istituzioni riguarda non solo gli aspetti normativi ed amministrativi ma anche quelli
didattici e della ricerca scientifica, costituendo quest'ultimo profilo una applicazione del I comma
dell'art. 33 sulla libertà della scienza e dell'insegnamento.
Con la previsione dell* art. 34,1 comma La scuola è aperta a tutti si intende assicurare a tutti (non
solo ai cittadini) il diritto all'istruzione.
Per i più alti gradi di studio è sancito il diritto di accedervi per gli individui capaci e meritevoli,
anche se privi di mezzi. Per rendere effettivo tale diritto è poi previsto l'obbligo per le istituzioni
della Repubblica di istituire borse di studi ed assegni alle famiglie ed altre
provvidenze. La loro assegnazione deve peraltro essere attribuita per concorso.

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26. Lavoro.
L'art. 1 della Costituzione pone il lavoro a fondamento della Repubblica. Per lavoro deve intendersi
qualsiasi forma di attività lavorativa che, come dispone il n comma dell'art. 4, concorra al
progresso materiale o spirituale della società, quindi un'attività socialmente utile.
La Costituzione concepisce il lavoro anche come un dovere per il cittadino, imponendogli di
concorrere al progresso materiale e spirituale della società, ferma restando la libertà di scegliere
autonomamente attività o funzioni congeniali alle sue capacità e possibilità.
L'art. 35 Cost. al I comma impone poi alle istituzioni della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le
sue forme e manifestazioni,

Non si tratta di una tutela che deve essere apprestata al lavoro dei soli cittadini, come avviene col
riconoscimento del diritto-dovere, ma di qualsiasi lavoratore. La tutela ovviamente potrà essere
differenziata in ragione delle singole e svariate attività lavorative, nel rispetto peraltro degli altri
principi costituzionali, come quello dell'eguaglianza.
L'art, 36 Cost. stabilisce al I comma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia
un'esistenza libera e dignitosa.

Si tratta di un principio immediatamente precettivo che consente di azionare il diritto nei confronti
del datore di lavoro indipendentemente dalla determinazione del trattamento retributivo in via
negoziale, e pure in presenza di contratti collettivi. Il principio, che assicura il minimo
costituzionale retributivo, non si estende però ad ogni compenso che sia il corrispettivo di qualsiasi
prestazione, in quanto suo scopo è quello di evitare lo sfruttamento del lavoratore ed assicurare a
lui e alla sua famiglia, in considerazione del complesso dell'attività lavorativa svolta, un' esistenza
Ubera e dignitosa, mentre il criterio di proporzionaUtà trova applicazione anche con riferimento a
lavori di breve durata o accessori, ricollegandosi al rapporto di scambio tra prestatore d'opera e
dato re di lavoro.

Alla donna sono riconosciuti gli stessi diritti del lavoratore di sesso maschile e la stessa
retribuzione a parità di lavoro. La diversità di retribuzione può essere quindi giustificata soltanto da
una oggettiva diversità di prestazione lavorativa.
Alla donna lavoratrice è invece assicurata una tutela particolare per quanto concerne le condizioni
di lavoro, che è connessa con la funzione familiare che per la Costituzione ad essa è essenzialmente
affidata. Le condizioni di lavoro devono pertanto consentirle l'adempimento di tale funzione ed
inoltre assicurarle, se madre, oltre che al bambino, una speciale, adeguata protezione.

I principi affermati dall' art. 37,1 comma sono stati attuati con le leggi 9.12.1977, n. 903, sulla
parità di trattamento tra uomini e donne in materie di lavoro, e dalla L. 10.4.1991, n. 125 e succo
modifiche, sulle azioni positive per la realizzazione deUa parità uomo donna nel lavoro.
Pur essendo l'assistenza privata libera (IV comma dell'art. 38) lo Stato deve comunque predisporre
ed integrare organi ed istituti col compito di attuare i principi stabiliti nell'art. 38.

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La potestà legislativa esclusiva in materia di previdenza sociale, come quella relativa alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di lavoro da garantire su tutto il
territorio nazionale spetta allo Stato, ai sensi dell' art. 117, n comma Cost, mentre appartiene a
quella concorrente la potestà legislativa in materie di tutela e sicurezza del lavoro, di previdenza
complementare e integrativa, restando affidata alle Regioni ogni altra competenza.

27. Sindacati
L'unico obbligo che può essere imposto ad essi, e in base a disposizioni di legge, è quello della
registrazione presso uffici locali o centrali. La registrazione peraltro può avvenire soltanto se gli
statuti dei sindacati sanciscono un ordinamento interno a base democratica. Ove registrati, i
sindacati acquistano automaticamente la personalità giuridica.
Tuttavia la legge che avrebbe dovuto imporre l'obbligo della registrazione e disciplinare la stessa
non è intervenuta, per cui l'art. 39, a parte l'enunciazione della libertà organizzativa dei sindacati, è
rimasto inattuato.

L'impossibilità della registrazioni per i sindacati ha comportato anche l'impossibilità di costituire


loro rappresentanze unitarie per la stipula dei contratti collettivi di lavoro validi erga omnes
secondo la previsione del IV comma dell'art. 39. Cosicché i sindacati attualmente, sul piano
giuridico, sono associazioni non riconosciute, come i partiti politici, come tali sottratti ad un
controllo sulla loro organizzazione interna. Essi stipulano mediante loro rappresentanze contratti
collettivi di lavoro che non hanno efficacia erga omnes, ma vincolano le parti che li hanno sotto-
scritti e i lavoratori che ad essi sono iscritti sul piano del diritto privato. Il tentativo di estendere con
legge l'applicazione dei contratti collettivi a tutti gli appartenenti alle categorie interessate al di
fuori della previsione dell' art. 39 Cost. è stato ritenuto incostituzionale.

28. / rapporti economici


La Costituzione contiene una articolata disciplina di principi per la regolazione dei rapporti
economici. Essi nel loro complesso costituiscono un ordine economico costituzionale, la cui
attuazione è lasciata alla discrezionalità del legislatore.

29. Sciopero
La tutela dei lavoratori è assicurata tra l'altro, sotto forma di autotutela, con la garanzia del diritto di
sciopero, che è una forma di lotta sindacale consistente nell' astensione dal lavoro stabilita in base
ad una decisione collettiva.
L'art 40 Cost. nello stabilire il diritto di sciopero prevede che esso si esercita nell' ambito delle
leggi che lo regolano. A tal fine, pur mancando una regolamentazione organica del diritto di
sciopero, il legislatore ha adottato la L. 12.6.1990 n. 146 (successivamente modificata con L.
11.4.2000, n. 83) per contemperare il diritto di sciopero con la salvaguardia dei diritti della persona
e la garanzia dei servizi pubblici essenziali, istituendo al tempo stesso una Commissione di
garanzia dell' attuazione della legge stessa.

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30. Iniziativa economica privata
L'art. 41 Cost. garantisce la libertà di iniziativa economica privata (I comma).
Tale libertà non è però illimitata, in quanto la Costituzione vieta che possa svolgersi in contrasto
con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (II
comma).
Anche se il n comma dell' art. 41 non prescrive con quale mezzo possono porsi limiti all'iniziativa
economica privata, sembra implicito che in proposito sussiste una riserva di legge (peraltro
relativa), in quanto si tratta di condizionare l'esercizio di un diritto di libertà, tra l'altro
caratterizzante il sistema economico voluto dal costituente.

L'introduzione di limiti può essere ammessa soltanto in caso di acclarato contrasto dell'iniziativa
economica con i parametri stabiliti dalla Costituzione. Sono quindi vietati limiti non
oggettivamente e razionalmente giustificabili da specifiche esigenze pubbliche.
Essi potranno, ad esempio, prevedere forme di autorizzazione per determinate attività che possano
costituire pericolo per la pubblica incolumità o per la salute pubblica o individuale, o attentare alla
libertà o alla dignità dell'uomo.
I tentativi effettuati in Italia per attuare una programmazione economica nazionale sono falliti. Vi è
stata un'unica legge, la n. 685 del 27.7.1967, che approvò il programma quinquennale 1966-1970,
rimasto poi di fatto maturato.

II legislatore è invece intervenuto per attuare politiche di interventi settoriali nell'economia in


ragione di specifiche esigenze: per l'agricoltura, per l'edilizia scolastica, per le case economiche e
popolari, per i trasporti pubblici, per gli acquedotti, per le riconversioni industriali e così via.

Dopo un primo periodo della vita costituzionale in cui lo Stato è intervenuto attivamente nel mondo
economico non solo per disciplinare la relativa attività, ma divenendo esso stesso imprenditore, a
seguito dell'affermarsi in sede di Comunità europea dei principi della libera concorrenza e del
libero mercato, ha successivamente provveduto ad adeguare ad essi l'ordinamento italiano. Tra i
vari interventi vi è stato anche quello introduttivo di una disciplina antitrust. Agli stessi principi è
ispirata la disciplina dell'editoria e della radiotelevisione, mirante a garantire il pluralismo
dell'informazione.

Lo Stato quindi da Stato imprenditore si è trasformato in Stato regolato re dell' economia.


La Costituzione peraltro riconosce la funzione sociale della Cooperazione a carattere di mutualità e
senza finalità speculativa e stabilisce che essa va favorita e incrementata. Prescrive altresì che
l'Artigianato va tutelato e incrementato (art. 45).
Rilevante è poi anche il riconoscimento del diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle
aziende, la quale deve avvenire secondo le modalità e nei limiti stabiliti dalla legge (art. 46).

79
31. Tutela del credito e del risparmio
L'art. 47 Cost. stabilisce che la Repubblica tutela e incoraggia il risparmio e disciplina, coordina e
controlla l'esercizio del credito.
La disciplina è contenuta in particolare nel T.U. della legge bancaria, approvato con D.Lgs. 1.9.93,
n. 385. Le istituzioni adibite al controllo e alla vigilanza sono il Ministero dell'Economia e delle Fi-
nanze, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), la Banca d'Italia e il suo
Governatore.

32. Autorità indipendenti e di garanzia


Per regolare e controllare i vari settori economici sono state istituite varie Autorità di garanzia,
assicurando ad esse una posizione di indipendenza dal potere politico, nei confronti del quale sono
sottratte alla responsabilità politica.
Esse sono dotate di poteri decisori non giurisdizionali, a volte definiti paragiurisdizionali o quasi
giurisdizionali, e alcune di esse di poteri regolatori.
La CONSOB (Commissione nazionale per le società e la borsa), l'ISVAP (Istituto di vigilanza sulle
assicurazioni private), la Commissione di garanzia dell' attuazione della legge sull' esercizio del
diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,
l'Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità per l'energia elettrica e il gas, il Garante per
la protezione dei dati personali, l'AGCM (Autorità Garante della concorrenza e del Mercato), la
Commissione di garanzia per il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, l'Autorità per
l'informatica nella pubblica anmiinistrazione, l'Autorità per la vigilanza su lavori pubblici.
Diverse dalle Autorità amministratore indipendenti sono le Agenzie.

33. Proprietà e i suoi limiti


La proprietà trovò riconoscimento nell' art. 17 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino del 1789 come diritto inviolabile e sacro. Anche lo Statuto albertino considerava la
proprietà, anzi Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, inviolabili, pur ammettendo la possibilità
di cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità quando lo avesse richiesto l'interesse
pubblico legalmente accertato.
Deve quindi ritenersi che la proprietà privata è disciplinata dalla Costituzione alla stregua dei diritti
fondamentali, che come tali vengono riconosciuti dalla legge. E, come per gli altri diritti
fondamentali, è infatti la legge che la disciplina, conformandola nei modi di acquisto e di
godimento nonché nei limiti, stabilendo che tale conformazione deve avere come scopo quello di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Il HI comma dell' art. 42 Cost. riconosce anche la trasmissione ereditaria della proprietà
disponendo che la legge disciplina la successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato
sulle eredità.
L'art. 47 Cost. stabilisce inoltre che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue
forme ed in particolare favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, a

80
quella diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi
produttivi del Paese. Si tratta dell' azionariato popolare alla cui garanzia e tutela è stata preposta la
CONSOB.
I limiti all'acquisto della proprietà possono essere introdotti dal legislatore per determinate
categorie di cose; può essere imposto di disfarsene, ove dannose; possono essere imposti limiti in
via generale o particolare alle facoltà di godimento; può prevedersi la possibilità di trasferimenti
coattivi.
II trasferimento coattivo di beni immobili può avvenire attraverso il meccanismo
dell'espropriazione per pubblica utilità.
È previsto inoltre il diritto del proprietario del bene da espropriare di stipulare col soggetto
beneficiario dell' espropriazione l'atto di cessione del bene o della quota di sua proprietà dopo la
dichiarazione di p.u. e fino allo data in cui è eseguito il decreto di esproprio (art. 45 TU.).

34. Espropriazione per pubblica utilità


L'istituto dell'espropriazione fu regolato dalla legge n. 2359 del 25.6.1865, cui seguirono varie
discipline particolari e frammentarie.
Attualmente l'espropriazione è disciplinata dal TU. delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di espropriazione per pubblica utilità, appr. con D.Lgs. 8.6.2001, n. 327 e successive modi-
ficazioni.
L'espropriazione deve avvenire entro il termine fissato nel provvedimento che comporta la
pubblica utilità dell' opera. In mancanza di sua determinazione esso è di cinque anni (art. 13 T.U).
È prevista la possibilità di occupare in via di urgenza i beni da espropriare quando l'avvio dei lavori
rivesta particolare urgenza con con testuale determinazione dell'indennità da offrire in via
provvisoria. Il decreto che dispone l'occupazione perde peraltro efficacia se non viene emanato il
decreto di esproprio nei termini fissati (art. 22 bis TU).

35. Proprietà agraria


L'art. 44 Cost. detta una serie di disposizioni miranti ad ottenere il razionale sfruttamento del suolo
e a stabilire equi rapporti sociali. Sono previsti limiti e obblighi alla proprietà terriera privata e, al
fine di evitare il formarsi di latifondo, limiti alla sua estensione.

36. Beni pubblici


I beni pubblici si distinguono in beni demaniali, patrimoniali disponibili e patrimoniali
indisponibili. H demanio (art. 822, ce.) può essere necessario, come il lido del mare, le spiagge, i
porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le opere di difesa militare, oppure eventuale, come le strade, gli
acquedotti, i beni di interesse storico, le raccolte dei musei, gli archivi, le biblioteche. Esso può
appartenere allo Stato o agli altri enti territoriali.

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37. a) Tributi
Le imposte sono prestazioni pecuniarie dovute all' amministrazione pubblica per far fronte alle
spese pubbliche, ove si manifesti capacità contributiva, e ciò indipendentemente da un
collegamento con controprestazioni specifiche.
Esse si distinguono in imposte dirette, quando colpiscono il reddito o il patrimonio del soggetto,
indirette quanto colpiscono rapporti economici, come trasferimenti di beni. Le tasse sono
prestazioni pecuniarie dovute per usufruire di alcuni beni e servizi pubblici. Poiché l'art. 23 Cost. a
sua volta prescrive che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in
base ad una legge, anche le prestazioni tributarie sono soggette a riserva di legge.

38. Nazionalizzazioni
L'Art. 43 Cost. consente la nazionalizzazione delle imprese. Essa può essere disposta con legge
(riserva assoluta di legge) per fini di utilità generale nei confronti di imprese o categorie di imprese
che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e che
abbiano carattere di preminente interesse generale. La legge che dispone la nazionalizzazione può
riservare originariamente o trasferire mediante espropriazione.e salvo indennizzo tali imprese allo
Stato, ed enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti.

82
CAPITOLO UNDICESIMO
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI

1.77 ruolo dei partiti polìtici


Lo Stato Italiano, stando ai principi fondamentali della propria Costituzione, è uno Stato
democratico, repubblicano e di diritto, in quanto la sovranità appartiene al popolo e viene esercitata
nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1 Cost.). Le forme con cui il popolo partecipa alla
vita politica del Paese sono quelle dell' esercizio diretto della sovranità e quelle che risultano dall'
attività dei propri rappresentanti. Fondamentale per tale partecipazione appare il ruolo svolto dai
partiti politici, che vale altresì a qualificare lo Stato italiano anche come Stato di partiti.
Essa si ripartisce tra i diversi soggetti ed organi secondo le forme ed i limiti previsti dalla
Costituzione (art. 1, II comma) e può manifestarsi attraverso atti politici forniti di veste formale o
in modo informale, a seconda delle discipline afferenti i vari poteri attraverso i quali si esercita la
sovranità.
In linea generale atti politici sono gli atti espressione del potere legislativo e di quello esecutivo e
giurisdizionale costituzionale.

2. Attività di governo e indirizzo politico


L'mdirizzo politico, che è espressione del potere sovrano, si manifesta attraverso la funzione di
governo. Esso risulta sia dalle linee programmatiche che il Governo sottopone all' approvazione
del Parlamento quando ottiene la fiducia, sia dagli atti politici che esso di volta in volta adotta per
far fronte alla situazione politica del momento.
La Costituzione riguardo alla forma di governo detta peraltro soltanto alcune disposizioni generali.
L'art. 92 affida al Presidente della Repubblica la nomina del Governo (Presidente del Consiglio e
Ministri). L'art 94 Cost. prevede poi che entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si
presenta alle Camere per ottenere la fiducia e che ciascuna Camera l'accorda con mozione votata
per appello nominale. Prevede inoltre che la fiducia può essere anche revocata dal Parlamento. Ma
non in conseguenza di un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del
Governo, bensì con l'approvazione di una specifica mozione di sfiducia da parte di una Camera. La
mozione deve essere presentata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può
essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Essa deve essere votata per
appello nominale.
La questione di fiducia, non prevista dalla Costituzione, tuttavia ritenuta compatibile col sistema di
governo parlamentare, è stata disciplinata dai Regolamenti delle Camere (art. 116 Reg. Cam. dep.;
art. 161 Reg. Sen.), che hanno entrambi escluso che essa possa essere posta sui propri regolamenti
e sulla propria organizzazione e funzionamento. Il Regolamento della Camera dei deputati-ha
anche escluso che venga posta su proposte di inchieste parlamentari e sugli argomenti per i quali il
regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto.

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3. // Governo tra Parlamento e Presidente della Repubblica
Il sistema di governo parlamentare italiano si basa quindi suU'attività di tre organi costituzionali
fondamentali, il Parlamento, il Governo e il Presidente della Repubblica. Per comprendere il suo
funzionamento non può ovviamente prescindersi dall'esame dei rispettivi ruoli di tali organi in
relazione alla posizione istituzionale ed ai poteri ad essi attribuiti dalla Costituzione.
Nel sistema di governo parlamentare infatti l'indirizzo politico governativo si fonda sul consenso
del Parlamento. All'interno del Governo viene poi ripartito tra gli organi che concorrono a formare
la compagine governativa: il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale mantiene l'unità di
indirizzo politico e dirige la politica generale del Governo, il Consiglio dei ministri, il quale
delibera sulla politica generale del Governo, ed i singoli Ministri, i quali pongono in essere l'attività
politica inerente ai rispettivi ministeri, coerentemente con la politica governativa ed uniformandosi
all' attività di promozione e di coordinamento disposta dal Presidente del Consiglio.
Da tali funzioni invece è escluso il Presidente della Repubblica in coerenza col sistema che vede il
Parlamento al centro del sistema politico, il Governo responsabile politicamente dinanzi al Parla-
mento, del quale deve godere la fiducia per attuare il suo programma politico, ed il Presidente della
Repubblica in una posizione di garante del funzionamento dello stesso sistema, estraneo alla
conflittualità tra le parti politiche.

II - Il Parlamento

1. Composizione del Parlamento italiano


Esso è posto al centro del sistema costituzionale. Dal Parlamento trae invero la fiducia il Governo;
è il Parlamento che elegge il Presidente della Repubblica e lo mette in stato di accusa; è il
Parlamento, che elegge un terzo dei membri della Corte costituzionale ed un terzo dei membri del
Consiglio Superiore della Magistratura, oltre ad altre designazioni in Commissioni e organismi
amministrativi.
Il Parlamento è un organo complesso, in quanto è costituito da due Camere (Camera dei deputati e
Senato della Repubblica) poste su di un piano paritario, con parità di funzioni (bicameralismo
perfetto). Alcune differenze riguardano l'elettorato attivo e passivo, il numero dei componenti, la
presenza di senatori non elettivi al Senato (ex Presidenti della Repubblica e quelli di nomina pre-
sidenziale), la supplenza del Presidente della Repubblica attribuita al Presidente del Senato, la
Presidenza del Parlamento in seduta comune attribuita al Presidente della Camera dei deputati.
Il Parlamento è altresì un organo collegiale che si compone di più organi collegiali, parlamento in
seduta Comune, le due Camere e, al loro interno, diversi organi collegiali.
In Italia, come avviene in ogni sistema democratico, i membri del Parlamento sono eletti dal
popolo. La Costituzione prevede infatti che le due Camere sono entrambe elette a suffragio
universale e diretto.

Il numero dei deputati è di 630'e dei senatori (elettivi) 315. Tuttavia del Senato fanno altresì parte
di diritto ed a vita gli ex Presidenti della Repubblica, nonché cinque senatori a vita nominati dal
Presidente della Repubblica.

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Il limite numerico di cinque deve intendersi riferito all'ufficio del Presidente della Repubblica e
non al titolare della carica come tale, con la conseguenza che non possono essere presenti
contemporaneamente in Senato più di cinque senatori di nomina presidenziale. Milita a favore di
tale interpretazione non tanto la lettera dell' art. 59, II comma Cost., che non è chiara, mancando
ogni specificazione al riguardo, quanto la ratio della norma in relazione al principio rappre-
sentativo democratico relativo alla composizione del Senato. Rispetto alla regola fondamentale
secondo cui i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto, i casi di senatori a vita (ex
Presidenti della Repubblica e di nomina presidenziale) costituiscono una eccezione, che, come tale,
va interpretata in modo restrittivo. Ciò anche in considerazione dell'equilibrio politico tra le due
Camere, dotate degli stessi poteri, che, ove si consentisse di procedere alla nomina di numerosi
senatori a vita (cinque per ogni Presidente), potrebbe essere compromesso.

2. Elettorato attivo e passivo


Il diritto di elettorato attivo (art. 48 Cost.) è attribuito ai cittadini, uomini e donne, che abbiano
raggiunto la maggiore età (vale a dire 18 anni) nel giorno in cui si svolgono le elezioni. Ciò vale per
l'elezione dei Deputati, mentre per l'elezione dei Senatori la Costituzione prevede peraltro il
raggiungimento di venticinque anni di età(art. 58).
Essa deriva da indegnità morale. Tali sono i falliti, finché dura lo stato di fallimento e comunque
non oltre cinque anni dalla sentenza dichiarativa del fallimento; i sottoposti a misure di preven-
zione di cui all'art. 3 L. 1423/1956 e successive modifiche o a misure di sicurezza detentive o alla
libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni ai sensi dell'art. 215 c.p.; i condannati
a pena che comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici o i sottoposti a interdizione
temporanea dai pubblici uffici.

Gli artt. 7-10 del D.P.R. 30.3.1957, n. 361 (richiamato, per il Senato, dall'art. 5 del D.Lgs.
533/1993) prevedono numerose cause di ineleggibilità, tra cui: la carica di Presidente di Giunta
provinciale, di Sindaco di comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, di Capo e Vice
capo della Polizia, di Ispettore generale di pubblica sicurezza, di Capo di Gabinetto dei Ministri, di
Commissario del Governo, di Prefetto, Vice-prefetto e Funzionario di ps.. Ulteriori limitazioni
sono previste per gli Ufficiali superiore delle Forze armate, i magistrati, i diplomatici, consoli e
vice-consoli, e gli impiegati presso governi esteri. Sono inoltre ineleggibili coloro che siano
vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazione, per concessioni di notevole
entità economica e altre categorie in ragione della riscossione, di sovvenzioni statali.
La L. 13.2.1953, n. 60 ha previsto ulteriori cause di incompatibilità.
La decadenza della carica di parlamentare può conseguire anche dal superamento del tetto di spesa
consentito per la campagna elettorale (art. 15, K comma, L. 515/1993).
Diversa dall'incompatibilità è la non candidabilità .

3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle assemblee rappresentative


Nel sistema elettorale maggioritario i seggi vengono attribuiti ai candidati che ottengono la
maggioranza dei voti. La maggioranza richiesta può essere assoluta (maggioranza dei voti espressi)
o relativa (maggioranza dei voti conseguiti rispetto agli altri candidati).

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Nel sistema elettorale proporzionale i seggi vengono attribuiti in proporzione ai voti ottenuti da
gruppi di candidati riuniti in apposite liste. Possono essere previste clausole di sbarramento,
consentendo la distribuzione dei seggi soltanto alle liste che abbiano conseguito una determinata
percentuale dei voti espressi.
Il sistema elettorale in vigore in Italia per l'elezione dei deputati e dei senatori, che fino al 1993 era
proporzionale, a seguito del risultato in senso maggioritario del referendum del 18.4.1993 per
l'abrogazione di alcune disposizioni della legge elettorale del Senato, è attualmente un sistema
misto, essendo stato cambiato dal legislatore in senso prevalentemente maggioritario.

4. Elezione delle Camere: a) Indizione delle elezioni


E al Presidente della Repubblica che spetta di indire le elezioni delle Camere e di fissarne la prima
riunione (art. 61,1 comma Cost.).

5. b) Elezione dei deputati


L'elettore dispone di due voti, uno per la scheda relativa all'elezione nell'ambito del singolo
collegio, l'altra per la scheda relativa all'elezione nell' ambito della circoscrizione. La scheda per
l'elezione nel collegio contiene i nominativi di tutti i candidati ammessi alla votazione col relativo
contrassegno della lista o delle liste cui ciascuno di essi è collegato. La scheda per l'elezione nella
circoscrizione contiene la lista di gruppi di candidati in numero non superiore ad un terzo dei seggi
assegnati alla circoscrizione col relativo contrassegno.
La ripartizione dei seggi avviene nel modo seguente.
L'ufficio centrale circoscrizionale (costituito presso la Corte di Appello o il Tribunale nella cui
giurisdizione si trova il Comune capoluogo della circoscrizione) proclama eletto il candidato che in
ciascun collegio all'interno della circoscrizione ha ottenuto il maggior numero di voti.
Per la ripartizione dei seggi col metodo proporzionale esso determina la cifra elettorale di ogni lista
costituita dalla somma dei voti riportati nella circoscrizione, sottraendo da questa i voti più uno
riportati in ciascun collegio dal candidato collegato alla lista stessa. Tale cifra elettorale, sommata
alle cifre elettorali ottenute dalla medesima lista nelle altre circoscrizioni, costituisce la cifra
elettorale nazionale di ciascuna lista, così determinata dall'ufficio centrale nazionale costituito
presso la Corte di Cassazione.
La cifra elettorale nazionale di ciascuna lista viene quindi divisa per il quoziente nazionale ed ha
come risultato il numero dei seggi da ottenere. Gli eventuali ulteriori seggi non attribuiti sono
ripartiti a seconda dei più alti resti.

6. c) Elezione dei senatori


Per l'elezione al Senato della Repubblica, che avviene su base regionale, fatto salvo il numero di sei
seggi assegnati alla circoscrizione estero, il territorio di ciascuna Regione è suddiviso in collegi
uninominali pari ai tre quarti dei seggi che sono ad essa assegnati in proporzione del numero dei
residenti e comunque in numero non inferiore a sette (il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno).
Ciascun candidato che intenda partecipare al riparto dei seggi in ragione proporzionale deve essere
collegato con candidati presentatisi negli altri collegi in numero non inferiore a tre e non superiore
al numero dei collegi della Regione.

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L'assegnazione dei seggi col metodo proporzionale avviene nel modo seguente.
L'Ufficio elettorale regionale costituito presso la Corte di Appello determina la cifra elettorale di
ciascun gruppo di candidati, sommando i voti ottenuti nei singoli collegi da ciascun candidato
collegato e sottraendo i voti ottenuti dai candidati che risultano già eletti. Tale cifra viene divisa per
uno, due, tre e così via sino al numero dei senatori da eleggere (metodo di Bondt).

7. Sistema elettorale e garanzia dell' opposizione


In un sistema di governo parlamentare come quello italiano, in cui si delineano coalizioni partitiche
contrapposte, l'adozione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario ha posto il pro-
blema del ruolo dell'opposizione e la necessità di organi di garanzia indipendenti dal Governo.

8. Durata delle Camere


Entrambe le Camere sono elette per cinque anni (prima della riforma introdotta con la L. Cost. n.
3/1963 la durata della legislatura del Senato era di sei anni) e la loro durata può essere prorogata
soltanto in caso di guerra e con legge.

9. a) Scioglimento anticipato delle Camere


La Costituzione prevede che prima della loro scadenza naturale le Camere o anche una sola di esse
possa essere sciolta anticipata mente (art. 88). Il potere di scioglimento è attribuito al Presidente
della Repubblica e non è sottoposto a nessuna altra condizione che non sia quella di acquisire i
pareri dei Presidenti delle rispettive Camere, peraltro non vincolanti.
HII comma dell' art. 88 stabilisce poi che lo scioglimento anticipato non può essere disposto negli
ultimi sei mesi del mandato presidenziale, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi
sei mesi della legislatura (inciso, quest'ultimo, introdotto dalla L. Cost. 4 novembre 1991, n. 1).
È questo un potere tipicamente presidenziale, che non è condizionato ad alcuna proposta o richiesta
formale proveniente da altri organi costituzionali o dalle forze politiche, anche se non può
escludersi che il Presidente venga indotto a procedere allo scioglimento su richiesta delle forze
politiche presenti in Parlamento o del Governo per risolvere in tal modo crisi politiche, come il più
delle volte si è verificato.

La contiofirma assume invece il ruolo di controllo esterno sulla provenienza dell' atto e sulla sua
legittimità costituzionale, per accertare che non sia violato il procedimento o il II comma dell' art.
88, e non costituisca un attentato alla Costituzione. In siffatta ipotesi essa può, anzi dovrà essere
rifiutata con ogni conseguenza sulla crisi istituzionale che verrà a determinarsi. Deve invece
escludersi un controllo sul merito della scelta presidenziale.
In caso di contrasto in ordine alla spettanza del potere ed ai limiti del controllo governativo sarà poi
la Corte Costituzionale ad intervemre su eventuale conflitto di attribuzione .
Anche se il potere di scioglimento delle Camere spetta in via esclusiva e definitiva al Presidente,
sul suo esercizio influiscono in maniera incisiva l'assetto politico e i rapporti tra le forze (di
maggioranza e di opposizione) presenti in Parlamento.

Di solito si ricorre allo scioglimento nei casi di crisi governativa irrisolvibile, quando non si riesce

87
a formare un Governo che ottenga la fiducia dal Parlamento, quando le Camere non siano in
condizione di lavorare per contrasto tra di esse, quando sussista un chiaro contrasto tra la loro
composizione politica e l'orientamento politico emerso nel Paese in base ad univoci sintomi, come
a seguito di elezioni politiche o anrnnnistrative di altri organi o istituzioni che abbiano indubbia
risonanza nazionale o da votazioni e approvazioni di referendum che incidono negativamente
(sfiduciandola) sulla politica perseguita dalla maggioranza parlamentare.

In tali evenienze il Presidente ha poteri sostanziali di scelta non solo sul se sciogliere entrambe le
Camere o una sola di esse, sul periodo di tempo in cui tale scioglimento deve avvenire, ma anche
con quale Governo in carica dovranno tenersi le nuove elezioni, ove il Governo gli si presenti
dimissionario. Egli potrà decidere se mantenerlo in carica oppure nominare altro Governo che,
anche se non ottiene la fiducia parlamentare, gli assicuri la controfirma del decreto di scioglimento
delle Camere.
L'evoluzione in senso maggioritario del sistema elettorale delle due Camere e la formazione di
coalizioni contrapposte con i propri leader candidati alla Presidenza del Consiglio ha posto il
problema, se in caso di sfaldamento della coalizione che vincendo le elezioni aveva ottenuto il
consenso dell' elettorato, occorresse sciogliere le Camere, anziché cercare nuove coalizioni e
maggioranze all'interno del Parlamento per fare ottenere la fiducia a governi eventualmente anche
tecnici.

10.1 parlamentari
La norma ribadisce il divieto del mandato imperativo che trae origine storica dai principi della
rappresentanza nazionale affermati dall'Assemblea nazionale in Francia all'epoca della Rivolu-
zione del 1789. Tale divieta intende assicurare l'indipendenza dei rappresentanti del popolo
sottraendoli ad ogni vincolo da parte di chicchessia (elettori, partiti, gruppi di interesse).
E questo un principio affermatosi nello Stato liberale-rappresentativo, il quale si è scontrato
peraltro con i principi dello Stato di partiti formatosi con l'apparire sulla scena politica dei partiti
politici e, all'interno del Parlamento, dei gruppi politici parlamentari.
I parlamentari godono di alcune prerogative che mirano ad assicurare il corretto funzionamento
delle Camere.
Dispone l'art. 68, II comma Cost. nella modifica introdotta dalla L. Cost. 29.10.1993, n. 3: Senza
autorizzazione della Camera alla quale appartiene) nessun membro del Parlamento può essere
sottoposto a perquisizione personale o domiciliare) né può essere arrestato o altrimenti privato
della libertà personale) o mantenuto in detenzione) salvo che in esecuzione di una sentenza
irrevocabile di condanna) ovvero se sia colto nell' atto di commettere un delitto per il quale è
previsto l'arresto obbligatoria in flagranza.
La disciplina introdotta dalla E. 20.6.2003 n. 140, secondo la quale non potevano essere sottoposte
a processi penali le cinque alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidenti delle
Camere, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Corte Costituzionale) finché
ricoprivano quelle cariche, è stata dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte
costituzionale n. 24 del 20.1.2004.
L'art. 68,1 comma Cost. stabilisce l'insindacabilità dei parlamentari per le opinioni espresse e per i

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voti dati nell' esercizio delle loro funzioni.
Tale insindacabilità non è collegata al luogo in cui le opinioni vengono manifestate, ma
specificamente alla funzione svolta dal parlamentare.

11. Organizzazione delle Camere: a) Prerogative


La Costituzione detta alcune norme relative all'organizzazione e al funzionamento delle Camere,
che trovano poi più particolare e dettagliata disciplina nei rispettivi regolamenti, oltre che nelle
consuetudini parlamentari.
I regolamenti sono adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art.
64,1 comma Cost.) e non sono sindacabili da nessun organo giurisdizionale, nemmeno dalla Corte
Costituzionale.
E escluso qualsiasi controllo esterno, anche della Corte dei Conti.
Le Camere godono altresì della ed. autodichia, vale a dire di una potestà giurisdizionale domestica
nei confronti dei propri dipendenti che esclude l'intervento dei normali organi giurisdizionali
(ordinari ed amministrativi). Siffatta esclusione si estende anche all'attività amministrativa da esse
espletata.
Tanto la giurisdizione domestica, quanto l'insindacabilità giurisdizionale sono state giustificate con
la particolare posizione di autonomia costituzionale del Parlamento derivante da una lunga tradi-
zione.
L'attività di polizia intema è assicurata dagli organi interni di ciascuna Camera.

12. b) Organi delle Camere


Alcuni organi essenziali dell' organizzazione interna delle Camere sono previsti dalla Costituzione,
come il Presidente e V Ufficio di Presidenza (art. 68), le Commissioni legislative, quelle di
inchiesta, la Commissione per le questioni regionali, nonché associazioni di deputati e senatori,
come i Gruppi parlamentari.
H Presidente dell' Assemblea parlamentare presiede la rispettiva Camera di appartenenza, tutela la
sua autonomia e nell' esercizio delle sue funzioni è organo imparziale, super partes. Egli
sovraintende all'organizzazione interna, dirige le sedute e le discussioni, ha poteri disciplinari e di
polizia, programma i lavori parlamentari, definendo il relativo calendario.
I Presidenti devono essere consultati dal Presidente della Repubblica nel caso di scioglimento
anticipato delle Camere.
Ai Presidenti si affiancano i Vicepresidenti che li coadiuvano nello svolgimento dei lavori e li
sostituiscono in caso di assenza o di impedimento.
I Segretari sovrintendono alla compilazione e alla lettura dei processi verbali delle sedute, alle
operazioni di voto e in genere alla regolarità delle attività parlamentari.
I Questori i sovraintendono al cerimoniale e ai servizi interni, nonché al mantenimento dell'ordine
pubblico ed ai compiti di polizia.
Le Giunte sono organi collegiali composti da parlamentari in proporzione alla consistenza dei
gruppi parlamentari.
Le Commissioni sono organi collegiali composti in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi
parlamentari. Possono essere permanenti o speciali.

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Le Corrirnissioni permanenti (14 per ciascuna Camera), le cui competenze sono ripartite tra diverse
materie che corrispondono grosso modo alla ripartizione delle funzioni tra i rninisteri, si occupano
deirattività di formazione della legge e di funzioni consultive, di controllo e di indirizzo.
Le Commissioni speciali temporanee vengono istituite di volta in volta in relazione a specifiche
questioni.

La Costituzione (art. 82) prevede specificamente le Commissioni di inchiesta, attribuendo a


ciascuna Camera la facoltà di istituirle su materie di pubblico interesse. Esse svolgono la loro
attività con gli stessi poteri e con gli stessi limiti dell' autorità giudiziaria.
Anche se la Costituzione prevede soltanto Commissioni di inchiesta monocamerali le Camere
possono stabilire -di procedere congiuntamente, costituendo un'unica Commissione bicamerale,
composta di un egual numero di deputati e senatori. La decisione può essere assunta con analoghe
delibere monocamerali oppure con apposita legge.
La Costituzione prevede all' art. 126, comma 1, la Commissione bicamerale per le questioni
regionali.

13. Gruppi parlamentari


I Gruppi parlamentari sono associazioni di parlamentari che si costituiscono all'interno di ciascuna
Camera per consentire alle forze politiche di svolgere le attività parlamentari.
La Costituzione si limita a prevedere agli artt. 72 e 82 la presenza di gruppi parlamentari. La loro
disciplina è contenuta nei Regolamenti delle Camere, che hanno dato esplicito riconoscimento al
collegamento tra gruppi parlamentari e partiti politici. Essi prevedono che ciascun deputato o
senatore deve dichiarare, rispettivamente entro due o tre giorni dalla prima seduta successiva alla
sua elezione a quale gruppo politico intende iscriversi. In mancanza di indicazione viene iscritto di
ufficio al Gruppo misto.

La natura giuridica dei gruppi parlamentari è stata definita in vario modo.


Tenuto conto del loro innegabile carattere associazionistico, sono stati considerati, alla stessa
stregua dei partiti politici, associazioni non riconosciute, composte di parlamentari operanti
all'interno del Parlamento.
In considerazione poi del rapporto con i partiti politici, di cui costituiscono normalmente delle
filiazioni, sono stati considerati organi dei partiti, mentre in considerazione dello stretto rapporto
con l'istituzione parlamentare e la decisiva influenza sulla attività delle Camere sono stati
considerati ora come organi delle stesse, ora come enti pubblici di diritto costituzionale.
Se non che è da escludere che possano essere organi dei partiti, da un lato perché la loro
organizzazione e le loro attività sono svolte su di un piano diverso ed indipendente da quello dei
partiti, ancorché siano con essi collegati e dall' altro perché non si spiegherebbe comunque la
natura giuridica del gruppo misto. Come è anche da escludere la natura di Ente pubblico, mancando
un riconoscimento giuridico della loro personalità giuridica di diritto pubblico.
La posizione dei gruppi formata da parlamentari, i quali si organizzano nel Parlamento per svolgere
assieme l'attività politica e perseguire finalità comuni, di per sé mal si concilia con una visione
organica, secondo la quale occorre che l'attività e il fine dell'organo si identifichino con l'attività e

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con il fine dell'istituzione di cui esso fa parte.
La loro posizione è diversa da quello dei singoli parlamentari, che, in quanto membri del collegio,
hanno natura organica, poiché essi vengono in rilievo non come organi diversi e distinti dai parla-
mentari, ma in quanto associazioni degli stessi. Situazione analoga a quella che si verìfica quando,
per l'esercizio di determinate attività, è richiesta la sottoscrizione di un certo numero di
parlamentari. Anche se per alcune funzioni è necessaria la manifestazione di volontà dei gruppi
come tali, ciò può stare a significare che essi assumono in tali casi la veste di organi indiretti delle
Camere (come avviene per soggetti privati che esercitano pubbliche funzioni) ma non come organi
in senso specifico.
Il mancato riconoscimento di personalità giuridica non esclude peraltro che essi abbiano una
soggettività giuridica, con rilevanza costituzionale, per le funzioni pubbliche esercitate. Difatti la
soggettività come figura giudica generale, comprensiva tanto dei soggetti privi di personalità
giuridica, quanto di quelli cui la personalità giuridica è riconosciuta dall'ordinamento, può essere
ammessa anche rispetto a quei soggetti che hanno rilevanza politica costituzionale.

14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle Camere e programmazione dei lavori
La Costituzione prevede che le Camere si riuniscono entro venti giorni dalla elezione nel giorno
stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica che fissa la data di convocazione dei comizi
elettorali (art. 61 e 87, III comma Cost.) e di diritto il primo giorno non fe8tivo dei mesi di febbraio
e di ottobre (art. 62 Cost).
La programmazione dei lavori delle Camere (per sessioni bimestrali o trimestrali) avviene in base
alla Conferenza dei Capigruppo, sotto la direzione del Presidente di assemblea. Viene stabilito il
calendario dei lavori per le singole sedute e l'ordine del giorno di ciascuna seduta.
Il programma e il calendario vengono approvati alla Camera dei deputati dai Presidenti dei gruppi
che rappresentino i tre quarti dei componenti della Camera e al Senato dall'unanimità dei Presidenti
dei gruppi. In mancanza essi sono predisposti alla Camera dei deputati dal suo Presidente per un
periodo corrispondente ad una settimana e al Senato dal suo Presidente. Diventano operativi dopo
la comunicazione all'Assemblea e alle Commissioni permanenti. Il regolamento del Senato
prevede la possibilità di modifiche col voto dell' Assemblea.

15. b) Deliberazioni
La Costituzione (art. 64) prevede che le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in
seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti dell'assemblea e
se non sono adottate a maggioranza dei presenti a meno che la Costituzione non preveda una
maggioranza speciale.
Il voto espresso dai parlamentari può essere palese o segreto. La regola è il voto palese. Si fa
ricorso al voto segreto per le delibere che riguardino persone e può essere richiesto per le delibere
relative a principi e diritti sulle libertà (art. 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 Cost), sui diritti della famiglia
(art. da 29 a 31 Cost.), sui diritti della persona umana (art. 32 Cost), sulle modifiche ai regolamenti
parlamentari. Per la Camera dei deputati può altresì essere richiesto per le leggi relative agli organi
costituzionali dello Stato e agli organi delle Regioni, per le leggi elettorali, per l'istituzione delle
commissioni di inchiesta.

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16. Funzioni delle Camere: A) L'attività legislativa
Come dispone l'art. 70 Cost. la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.
La legge quindi, per venire ad esistenza, deve essere approvata da entrambe le Camere nello stesso,
identico testo. Il procedimento di formazione della legge va distinto peraltro in diverse fasi, non
tutte esercizio di funzione legislativa.

17. a) Iniziativa legislativa


La fase dell'iniziativa legislativa prevista dall' art. 71 è una fase di impulso, diretta a promuovere il
procedimento legislativo in senso stretto. Essa si esercita mediante la presentazione ad una delle
Camere di un progetto di legge, redatto in articoli.
Sono titolari del potere di iniziativa il Governo ciascun Parlamentare, il Consiglio nazionale
dell'economia e del lavoro, il Popolo, i Consigli regionali e i Comuni.
Il Popolo esercita l'iniziativa attraverso la presentazione di un progetto sottoscritto da almeno
cinquantamila elettori. La legge 352/1970 all'art. 48 ha stabilito che le sottoscrizioni vanno au-
tenticate e devono essere accompagnate dai certificati elettorali di iscritti nelle liste per l'elezione
alla Camera dei deputati.
I Consigli regionali possono presentare progetti di legge, ai sensi dell'art. 121, II comma Cost,
senza limiti di materie, anche se alcuni Statuti regionali limitano tale potere alle materie di in-
teresse regionale che non rientrano nella competenza legislativa regionale.
I Consigli comunali hanno un potere di iniziativa legislativa limitata alle proposte per il mutamento
delle circoscrizioni provinciali e per l'istituzioni di nuove Province, ai sensi dell'art. 133 Cost.
I progetti vanno presentati alla Presidenza di ciascuna Camera che provvede alla loro diffusione ai
membri della Camera stessa.

18. b) Esame dei progetti di legge


Con l'assegnazione alle Commissioni legislative permanenti inizia la fase legislativa in senso
stretto.

b.a) Procedimento ordinario


Nel procedimento ordinario il progetto viene assegnato alla Commissione competente per materia
perché proceda al suo esame (il quale sarà operato anche da parte di altre Commissioni ove esso
verta su più materie).
La Commissione procede all'esame del testo, articolo per articolo, e degli eventuali emendamenti.
Può svolgere anche attività di indagine, attraverso audizioni di pubblici funzionari, esperti, rap-
presentanti di gruppi di interessi oppure richiedendo informazioni. Al termine dell'esame prepara
una relazione di maggioranza e una o più relazioni di minoranza, con le quali si invita l'Assemblea
ad approvare o respingere il progetto.

b.b) Procedimento in sede deliberante


II procedimento in sede deliberante consiste nella attribuzione alla Commissione del potere non
solo di esaminare il progetto in via preventiva, ma anche di approvarlo in via definitiva senza
l'intervento dell' Assemblea.

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b.c) Procedimento in sede redigente
Il procedimento ed. redigente consiste nella attribuzione alla Commissione del potere di approvare
il progetto artìcolo per articolo, mentre all' Assemblea è riservata la votazione finale, oppure nel
riservare all' Assemblea la fissazione dei criteri generali e alla Commissione l'approvazione degli
articoli e quella finale.
Nei casi di urgenza si può ricorrere al procedimento abbreviato, che consiste nella riduzione alla
metà di tutti i termini ordinari previsti dai regolamenti parlamentari.
Il progetto approvato da una Camera viene trasmesso airaltra dove ricomincia l'iter legislativo.
Se la seconda Camera apporta delle modifiche al testo il progetto ritorna all'altra perché si esprima
sulle modifiche. Se vi sono ulteriori modifiche il progetto ritorna all'altra Camera e così via (ed.
navetta) fino a quando non si raggiunga l'approvazione sul medesimo testo.
In tal caso il progetto è divenuto legge e, esaurita la fase del procedimento legislativo in senso
stretto, si passa alla fase dell'integrazione dell' efficacia.

19. c) Promulgazione
La legge viene trasmessa al Presidente della Repubblica per la promulgazione (art. 73 Gost), la
quale deve avvenire entro un mese dall'approvazione. Nel caso che le Camere abbiano dichiarato
l'urgenza della legge essa va promulgata nel più breve termine indicato dalla stessa.
Il messaggio motivato ha lo scopo di rendere il Parlamento edotto delle specifiche ragioni che
hanno indotto il Presidente al rinvio della legge. Ove le Camere riapprovino la legge il Presidente
deve promulgarla (art. 74, II comma Cost).
La promulgazlOne è quindi obbligatoria, essendo tassativa la previsione costituzionale, anche se il
Presidente ritenga la legge manifestamente incostituzionale. Non è invero il Presidente che può
giudicare in via definitiva della legittimità costituzionale, bensì la Corte costituzionale, la quale
peraltro non può nemmeno essere adita dal Presidente. Essa potrebbe esserlo con conflitto di
attribuzione solo nel caso che la legge violasse sue competenze costituzionalmente stabilite.

20. d) Pubblicazione
Dopo la promulgazione la legge viene trasmessa al Ministro della Giustizia (il Guardasigilli), il
quale vi appone il proprio visto e ne cura l'inserimento nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi
della Repubblica e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La pubblicazione
deve avvenire subito dopo la promulgazione e comunque non oltre trenta giorni da essa.

21. B) L'Attività esecutiva


Diversamente dall' attività legislativa la funzione esecutiva è attribuita a ciascuna Camera che può
svolgerla indipendentemente dall' altra.

22. a) Fiducia
La forma di governo parlamentare dello Stato italiano come tutte le forme di governo parlamentare
si caratterizza per il rapporto di fiducia che vincola il Governo al Parlamento. Tale rapporto deve
rimanere costante e il suo venir meno mette in crisi il Governo. Gli strumenti che sono offerti al
Parlamento per controllare l'attività del Governo in ragione delle sue linee programmatiche ed

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assicurare la sua conformità agli orientamenti della maggioranza parlamentare sono vari e danno
luogo ad una a attività ispettiva e conoscitiva che si estrinseca in alcuni atti tipici.
La consuetudine ha poi introdotto anche la questione di fiducia, ad iniziativa del Governo, che ha
trovato disciplina nei regolamenti parlamentari e nella legge 400/1988, la quale comporta una
votazione su un atto delle Camere cui è condizionata l'espressione della fiducia.

23. b) Mozione
Oltre le specifiche mozioni di fiducia e di sfiducia i regolamenti parlamentari prevedono in genere
come atto ispettivo la mozione.
La mozione mira ad ottenere una deliberazione da parte della Camera di appartenenza e consiste
nella richiesta di discutere e di votare su un determinato argomento. Essa può essere presentata da
un Presidente di Gruppo o da dieci deputati alla Camera dei deputati (art. 110 Reg.) e da almeno
otto senatori al Senato (art. 157 Reg.).

24. c) Interrogazione
L'interrogazione consiste in una semplice domanda rivolta per iscritto da un Parlamentare al
Governo o a un Ministro per avere informazioni o spiegazioni su un determinato argomento e per
sapere quali provvedimenti il Governo o il Ministro abbia adottato o intenda adottare (art 128 Reg.
Cam. dep., art 145 Reg. Sen.).

25. d) Interpellanza
L'interpellanza consiste nella domanda rivolta per iscritto al Governo circa i motivi o gli
intendimenti della sua condotta su questioni di particolare rilievo o di carattere generale o che
riguardino determinati aspetti della sua politica (Art. 136 Reg. Camera dep., art. 156 Reg. Sen.).

26. e) Risoluzione
La risoluzione consiste in una proposta da parte di un Parlamentare diretta a manifestare
orientamenti o a definire indirizzi su specifici argomenti, la quale vien? votata o da una
Commissione o dall' Assemblea.

27. f) Ordine del giorno


L'ordine del giorno consiste in istruzioni approvate nel corso dell'esame di un progetto di legge
recanti istruzioni al Governo in ordine alla legge in esame. Si intende cioè impegnare il Governo ad
orientare la sua attività o ad adottare provvedimenti secondo una determinata interpretazione delle
norme.

28. g) Inchieste parlamentari


L'art. 82 Cost. stabilisce che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico
interesse.
Le inchieste sono dirette ad acquisire attraverso indagini ed esami elementi di conoscenza da
riferire all'Assemblea per consentire alle Camere gli interventi necessari.

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29. h) Udienze conoscitive
Diversamente dalle inchieste, le udienze conoscitive (ed. hearings) sono disposte dalle
Commissioni permanenti nel corso dell'esame di progetti di legge o indipendentemente da esso per
acquisire elementi ed informazioni da parte della pubblica amministrazione, di privati e di esperti
per l'espletamento della loro attività. Sono state introdotte in via di fatto e successivamente sono
state disciplinate dai regolamenti delle Camere.

30. i) Messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica


La messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica è deliberata dal Parlamento in seduta
comune su relazione di un Comitato formato dai componenti della Giunta delle elezioni e delle
immunità parlamentari del Senato della Repubblica e dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere
della Camera dei deputati.
La delibera è adottata a scrutinio segreto e deve contenere l'indicazione degli addebiti e delle prove
su cui l'accusa si fonda.
Il Parlamento nel porre in stato d'accusa il Presidente della Repubblica elegge, anche tra i suoi
componenti, uno o più Commissari per sostenere l'accusa, i quali esercitano le funzioni di pubblico
ministero davanti alla Corte Costituzionale (art. 13 L. Cost. 1/1953, integrato dalle disposizioni dei
Regolamenti parlamentari per i procedimenti d'accusa).

31.1) Dichiarazione dello stato di guerra


Ai sensi dell'art. 78 Costle Camere dichiarano lo stato di guerra. Non è prevista una legge formale,
per cui lo stato di guerra può essere deliberato con due distinti atti delle Camere.
Esso viene poi dichiarato con atto del Presidente della Repubblica (art. 87, LX comma). Si tratta di
un potere-dovere col quale viene esternata la volontà dello Stato rendendo efficace sia all'interno
che all'esterno la deliberazione dello stato di guerra assunta dalle Camere ai sensi dell'art. 78 Cost.
Quando viene deliberato lo stato di guerra le Camere conferiscono altresì al Governo i poteri
necessari. Anche con riguardo a tale delibera non è previsto un atto legislativo, per cui è sufficiente
l'adozione di un atto con due distinte delibere delle Camere.

32. m) Approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo. La legge finanziaria


L'art. 81 Cost. dispone che le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo
presentati dal Governo. L'approvazione avviene con legge (v. art. 72,1V comma), la cui iniziativa
spetta al Governo, che presenta il relativo disegno di legge entro il 30 settembre (L. 25.6.1999, n.
208).
La legge 468/1978 ha peraltro previsto accanto al bilancio annuale un bilancio pluriennale.
Il bilancio preveivo è articolato in termini di competenza e di cassa. Competenza vuol dire che sono
indicate le entrate e le spese preventivate, indipendentemente dalla circostanza che siano riscosse le
une ed erogate le altre.
Ai sensi della L. 340/1997 n. 94, il bilancio è articolato per le entrate in titoli, unità previsionali di
base, categorie, capitoli, per le spese in funzioni-obiettivo, unità previsionali di base (a loro volta
distinte in base 'alla spesa corrente ed alla spesa in conto capitale) e in capitoli.
H bilancio pluriennale, che copre un periodo non inferiore a tre anni, è articolato in termini di

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competenza e prevede l'andamento delle entrate e delle spese in base alla legislazione in vigore,
tenendo conto degli interventi programmati nel documento di programmazione
economico-finanziaria.
Il rendiconto consuntivo è il documento contabile che riassume i risultati della gestione finanziaria
in relazione al bilancio annuale, vale a dire le entrate effettivamente riscosse e le spese effet-
tivamente sostenute, nonché il conto generale del patrimonio, il quale registra le variazioni
avvenute e la situazione patrimoniale finale.

Ili - // Governo

1. Composizione del Governo


Il Governo è un organo costituzionale che dà diretta ed immediata esecuzione alla Costituzione ed
esercita il potere di governo e funzioni amministrative, le quali, secondo la tradizionale divisione
dei poteri, rientrano nel potere esecutivo.
Tra tali attività vanno annoverate quelle specificamente legislative, che si sostanziano
nell'adozione dei Decreti legislativi (art. 76 Cost.) e dei Decreti legge (art. 77 Cost.) e quelle
normative, attraverso l'adozione dei regolamenti. Le funzioni amministrative rispondono al
principio di legalità e trovano la loro fonte in atti legislativi della Repubblica.
Dal punto di vista stmtturale il Governo è un organo complesso, ih quanto costituito
fondamentalmente da tre organi, il Consiglio dei rninistri, il Presidente del Consiglio dei ministri e
i Ministri. Altri organi non previsti dalla Costituzione, ma introdotti da leggi e da consuetudini
costituzionali fanno anche essi parte della strattura governativa, come i Sottosegretari di Stato, i
Comitati interministeriali, i Commissari del Governo, il Consiglio di Gabinetto. Ad alcuni Ministri
possono essere affidate funzioni particolari come quella di Vicepresidente del Consiglio.

2. Formazione del Governo


La forma di governo parlamentare accolta dalla Costituzione e la disciplina sulla fiducia
impongono al Presidente della Repubblica di orientare la sua scelta su di una personalità del mondo
politico che possa ottenere la fiducia all' atto della presentazione del Governo alle Camere.
A tal fine il Presidente della Repubblica, dopo l'apertura di una crisi di governo, procede alle
consultazioni, una serie di incontri con forze politiche e rappresentanti delle istituzioni, come i
Presidenti dei gruppi parlamentari, i Segretari dei partiti rappresentati in Parlamento, i Presidenti
delle due Camere, gli ex Presidenti, e ogni altra personalità politica che egli ritenga utile per aver
un quadro completo delle posizioni delle varie forze politiche presenti in Parlamento e degli
accordi tra le stesse in vista della formazione di una maggioranza che possa votare la fiducia al
Governo.

A volte, in situazioni di instabilità politica, il Presidente ha conferito mandato esplorativo a una


personalità presente in Parlamento (come, ad esempio, uno dei Presidenti delle Camere) per otte-

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nere maggiori elementi di valutazione, ovvero, un pre-incarico alla persona cui ha ritenuto di
conferire l'incarico di Presidente del Consiglio.
Per consuemdine il Presidente della Repubblica non normna immediatamente il Presidente del
Consiglio, ma alla persona che intende nominare conferisce l'incarico di Presidente delegato per la
formazione del Governo, in modo da assicurargli l'opportunità di assumere intese e accordi con le
forze che lo sosterranno e di individuare i Ministri che con lui collaboreranno nella compagine
governativa.
Si è discusso se il Presidente abbia o meno e, in caso affermativo, fino a che punto la possibilità di
influire sulla nomina dei Ministri. L'opinione prevalente è nel senso che egli possa intervenire sulle
scelte del Presidente del Consiglio sicuramente quando manchino i requisiti soggettivi per accedere
a cariche pubbliche, ma anche quando esse siano in aperto contrasto col quadro politico che emerge
dalle consultazioni, compromettendo il buon esito del successivo voto di fiducia che dovrà
esprimere il Parlamento.

Il Presidente della Repubblica, anche se non deve assumere un ruolo di parte rispetto alle forze
parlamentari nella risoluzione della crisi, in quanto garante dell' assetto istituzionale in coerenza
con la finalità del suo agire diretto alla realizzazione dell'interesse superiore della Nazione, deve
invero adoperarsi nelle vari fasi del procedimento di formazione del Governo affinché la crisi possa
essere risolta con il voto di fiducia del Parlamento. Entro tali limiti può quindi ritenersi ammissibile
un suo intervento nella formazione della compagine governativa.
Dopo la nomina il Presidente del Consiglio ed i Ministri prestano giuramento nelle mani del
Presidente della Repubblica (art. 93 Cost.) ed entrano così nell' esercizio delle loro funzioni.

Il ruolo del Presidente della Repubblica nella formazione del Governo tende ovviamente a ridursi
quando vi sia una maggioranza parlamentare sicura e in corrispondenza con una certa designazione
proveniente dalle forze politiche presenti in Parlamento (situazione questa che costituisce la regola
nel sistema parlamentare esistente nel Regno Unito), mentre tende ad ampliarsi quando non vi
siano maggioranze parlamentari sicure e quando non sia individuabile una precisa designazione
proveniente dalle forze politiche presenti in Parlamento. In tal caso il Presidente potrebbe anche
avere un ampio potere di scelta avulso da specifiche indicazioni provenienti dal Parlamento. In
proposito va altresì sottolineato che nessuna norma della Costituzione impone al Presidente di
nominare il leader del partito di maggioranza relativa o un leader nell' ambito di tale partito, né
esiste una convenzione o consuetudine in tal senso, come avviene nel Regno Unito.

Va però altresì considerato che la posizione del Presidente della Repubblica è rafforzata dal fatto
che nell' ordinamento italiano il Governo, una volta nominato, viene subito immesso nell' esercizio
delle sue funzioni e resta ancora in carica, nonostante un eventuale voto di sfiducia, fino
all'insediamento del nuovo Governo, non essendo stato previsto che la nomina presidenziale segua
al voto parlamentare, secondo quanto avviene in alcuni Paesi, come, ad esempio, nella Repubblica
Federale di Germania, in Spagna e in Svezia.
Tuttavia occorre in ogni caso tenere presente che sono pur sempre i partiti politici che poi decidono
in via definitiva, per cui il Presidente, anche se assume la veste di organo motore, deve essere ca-

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pace e sensibile nell'individuale, tra le eventuali diverse indicazioni che provengano dalle forze
politiche, quelle che effettivamente possono esprimere una maggioranza in seno al Parlamento e
quindi una maggioranza di governo.

3. Revoca del Presidente del Consiglio


I principi su cui poggia il sistema parlamentare italiano non inducono invece ad escludere
l'esistenza di alcune ipotesi specifiche di revoca del Governo in carica o di singoli Ministri. Ed
invero, se, come stabilisce l'art 94, IV comma, Cost, il voto contrario di una o di entrambe le
Camere su di una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni, ne consegue che
quando il Governo sia stato oggetto di un voto di sfiducia ai sensi del II comma dell' art. 94, oppure
quando non abbia ricevuto la fiducia dopo la sua formazione, non ha scelta, è obbligato a
dimettersi.

Esso, infatti, come sancisce il I comma dell'art. 94 Cost., deve avere la fiducia delle due Camere,
mancando la quale non può permanere in carica. Contemporaneamente sorge il potere-dovere del
Presidente della Repubblica di risolvere la crisi formando un nuovo Governo, ai sensi dell'art. 92, II
comma Cost. Orbene, nel caso di rifiuto del Governo colpito da sfiducia di rassegnare le sue
dimissioni, non può non riconoscersi al Presidente della Repubblica il potere di revocarlo, che anzi
viene a costituire un obbligo correlato con il potere-dovere di procedere alla formazione di un
nuovo Governo, in quanto, occorrendo la controfirma del Presidente del Consiglio, essa non può
che essere apposta dal nuovo Presidente.

4. Revoca dei Ministri


Secondo la tesi prevalente in dottrina il Presidente del Consiglio non può di sua iniziativa revocare
un Ministro e neanche proporne la revoca al Presidente della Repubblica.
In realtà da un punto di vista giuridico non vi dovrebbero essere ostacoli ad ammettere il potere di
revoca esercitato dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, in
quanto non incompatibile con il regime parlamentare vigente in Italia. Essa è coerente col carattere
fiduciario che deve sussistere: nella compagine governativa tra Presidente e Ministri.

Indipendentemente dalla circostanza che nel sistema parlamentare italiano la sfiducia parlamentare
è espressa nei confronti della intera compagine governativa, il Presidente del Consiglio da un even-
tuale voto del Parlamento contro un singolo Ministro può tuttavia trarre argomento per proporre al
Presidente della Repubblica la sua revoca e sostituzione, ovviamente quando il Ministro su suo
invito non intenda rassegnare le proprie dimissioni. Successivamente peraltro, trattandosi di una
alterazione della omogeneità politica della compagine governativa, che non può certamente
presumersi più esistente (come invece di solito avviene quando si operino rimpasti a seguito di
morte o dimissioni spontanee di un Ministro non implicanti contrasti politici in ordine alla
compagine stessa) il Governo dovrebbe presentarsi alle Camere per ottenere una nuova fiducia in
ordine alla sua nuova composizione.
Nel caso che manchi un voto di sfiducia nei confronti del singolo Ministro la vera difficoltà per
l'esercizio del potere di revoca è di natura politica, in quanto la nomina dei ministri è frutto dell'

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accordo di coalizione. Con la conseguenza che il contrasto insanabile tra il Presidente del Consiglio
ed il Ministro, che sia sostenuto dal partito di appartenenza, si traduce in un venir meno dell'
accordo iniziale con compromissione del rapporto fiduciario. La soluzione politica del contrasto,
ove non possa essere risolta con le dimissioni del Ministro e con un «rimpasto», può trovare il suo
sbocco nelle dimissioni del Presidente del Consiglio, le quali comportano il venir meno dell'intero
Governo.

5. Presidente del Consiglio dei ministri


La figura del Presidente del Consiglio appare delineata dall'art.95 Cost. Egli dirige la politica
generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo,
promovendo e coordinando l'attività dei Ministri, in modo che il Governo possa esprimere un
indirizzo politico unitario, controfirma gli atti del Presidente della Repubblica previsti dalla
Costituzione e dalle leggi.
I poteri del Presidente del Consiglio restano però condizionati dalle pretese fatte valere dai partiti
politici tramite i Ministri che compongono la coalizione.
In un Governo di coalizione il «peso» del Presidente del Consiglio può pertanto aumentare o
diminuire in ragione della maggiore o minore omogeneità delle forze politiche della coalizione e
della presenza o meno di un partito di grande rappresentatività in Parlamento.
Si è cercato di rafforzare la posizione del Presidente del Consiglio e di potenziare le funzioni di
indirizzo e coordinamento attribuendogli una serie di compiti oltre che con la legge 400/1988 con il
D.Lgs. 303/1999. Ad esempio egli può sospendere l'adozione di atti riguardanti questioni
politico-amministrative sottoponendoli al Consiglio dei ministri (art. 5, II comma, letto a, b e c, L.
400/1988). Ai sensi dell'art. 3 del D.Lgs. 303/99 a lui spettano le funzioni che la legge attribuisce ai
Ministri senza portafoglio. Funzioni che egli può delegare appunto ad appositi Ministri senza
portafoglio.

Va poi considerato che per lo svolgimento dei suoi compiti il Presidente del Consiglio si avvale di
una complessa struttura specifica, il Segretario generale del Presidente del Consiglio dei ministri,
disciplinato dalla legge 400/1988 con le modifiche apportate dal D.Lgs. 303/1999.
Al Segretariato generale è proposto un Segretario generale . (i cui compiti specifici sono elencati
nell' art. 19 L. 400/1988), il quale è nominato con Decreto del Presidente del Consiglio tra i
magistrati delle giurisdizioni superiori, ordinarie e amministrative, gli avvocati dello Stato, i
dirigenti generali dello Stato ed equiparati, i professori universitari di ruolo ovvero tra estranei alla
pubblica amministrazione (art. 18, comma 2, L. 400/1998).

6. a) Responsabilità del Presidente del Consiglio


Nel caso di procedimento penale è previsto che venga concessa l'autorizzazione a procedere da
parte della Camera di appartenenza, mentre ove il Presidente non sia un parlamentare
l'autorizzazione è data dal Senato.
Per i reati comuni non vi è distinzione e si applicano le disposizioni che valgono per ogni altro
soggetto.

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7 . 1 Ministri
I Ministri sono organi costituzionali che svolgono anche funzioni pubbliche amnùnistrative. Non
sono avvinti allo Stato da un rapporto di pubblico impiego, ma sono funzionari onorari. Essi
esercitano le funzioni previste dalla Costituzione e dalle leggi. Controfirmano gli atti del Presidente
della Repubblica e ne assumono la responsabilità (art. 89 Cost). Sono componenti del Consiglio dei
ministri.
Quella anmiinistrativa, per il caso di danni cagionati all'erario, vien fatta valere dinanzi alla Corte
dei Conti.
La responsabilità penale differisce a seconda che si tratti di reati ministeriali o comuni. Per i reati
ministeriali, vale a dire per i reati commessi nell' esercizio delle loro funzioni, i Ministri sono
sottoposti alla giurisdizione penale ordinaria. Ma per procedere contro di essi occorre
l'autorizzazione della Camera di appartenenza (nel caso non siano parlamentari occorre
l'autorizzazione del Senato).
Per i reati comuni la responsabilità è comune a quella di ogni altra persona. Nel caso che il Ministro
sia un parlamentare valgono peraltro le prerogative previste per i parlamentari.
Tra i Ministri vi sono quelli ed. Senza portafoglio. Si tratta di Ministri che non hanno la direzione di
un Dicastero e si avvalgono delle stratture proprie della Presidenza del Consiglio.
Essi svolgono le specifiche funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio
dei ministri (art. 9, L. 400/1988). Possono anche essere nominati Vicepresidenti del Consiglio.
Attualmente i Ministeri sono quelli degli Affari Esteri, dell'Interno, della Giustizia, della Difesa,
dell'Economia e delle Finanze, delle Attività produttive, delle Comunicazioni, per le Politiche agri-
cole e forestali, dell' Ambiente e della tutela del territorio, delle mfiastrutture e dei Trasporti, del
Lavoro e delle Politiche sociali, della Salute, dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, per i
Beni e le Attività culturali.

8. Consiglio dei ministri


È l'organo collegiale del Governo formato dal Presidente del Consiglio e dai Ministri. Alle sue
sedute partecipa il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha la funzione di Segretario
del Consiglio senza voto deliberativo.
In particolare il Consiglio delibera i disegni di legge di iniziativa governativa da presentare alle
Camere. Approva i decreti aventi valore e forza di legge e i regolamenti del Governo. Propone al
Presidente 'della Repubblica lo scioglimento dei Consigli Regionali (art. 126 Cost.). Delibera il
promovimento della questione di legittimità di leggi regionali dinanzi alla Corte costituzionale (art.
127 Cost).

9. Consiglio di Gabinetto
II Consiglio di Gabinetto è un organo consultivo del Presidente del Consiglio che trae origine da
una prassi instaurata nel 1983.
L'art. 6 L. 400/1988 ha disciplinato, definendolo però Comitato, stabilendo che può essere istituito
in seno al Governo per coadiuvare il Presidente del Consiglio nello svolgimento delle sue funzioni.

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10. Sottosegretari dì Stato
La figura dei Sottosegretari di Stato è sorta in Gran Bretagna per consentire ai Ministri di essere
rappresentati nelle Camere cui non potevano accedere, in quanto non ne facevano parte.
In Italia essi originariamente sono stati istituiti in via convenzionale e se ne è ammessa l'esistenza
in via consuetodinaria. Attualmente sono previsti dall'art. 10 della L. 400/1988.
La loro funzione è quella di coadiuvare i Ministri e di svolgere le funzioni loro delegate dal
Ministro.
I Sottosegretari di Stato possono intervenire in rappresentanza del Governo alle sedute delle
Camere e delle Commissioni parlamentari, partecipare alle discussioni, rispondere alle
interrogazioni ed alle interpellanze.
H Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri è il Segretario del Consiglio dei
ministri e partecipa alle sedute di tale organo, svolgendo le funzioni di segretario del collegio.
Alla Presidenza del Consiglio possono tuttavia essere nominati altri Sottosegretari per svolgere
determinati compiti e servizi.

11. Comitati
I Comitati sono organi collegiali formati da più Ministri e.a volte anche da organi esterni al
Governo. Essi svolgono funzioni comuni a più dicasteri e possono avere rilevanza esterna o solo
rilevanza interna.
Esso ha competenza in materia di politica economica secondo le specifiche e dettagliate previsioni
delDXgs. 5.12.1997, n. 430 (art. 1).
II Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C I C R) è composto dal Ministro
dell'Economia e delle Finanze (che lo convoca e lo presiede) e da quelli delle" Infrastrutture e dei
Trasporti, delle Attività produttive, delle Politiche agricole e forestali, delle Politiche comunitarie,
nonché dal Governatore della Banca d'Italia.
Al CICR è attribuita l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio.
Il Comitato interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza (C I S ), istituto presso la
Presidenza del Consiglio, è composto dai Ministri degli Affari Esteri, dell'Interno, della Giustizia,
della Difesa, delle Attività produttive e dell'Economia e delle Finanze. Svolge funzioni consultive e
di proposta per il Presidente del Consiglio in ordine alla politica informativa e di sicurezza.

12. Commissari del Governo


Sono organi destinati ad assolvere funzioni particolari a volte permanenti e durature, a volte
temporanee.
In Italia la Costituzione prevedeva all' art. 124 un Commissario del Governo presso ogni Regione
col compito di sovrintendere alle funzioni amministrative dello Stato e di coordinamento dell'
attività amministrativa statale e regionale, e all' art. 127 funzioni di controllo sull' attività
legislativa regionale. Dopo le modifiche introdotte dalla L. Cost. 3/2001 tale figura è stata abolita.

101
IV - Gli organi ausiliari

1. Consiglio nazionale dell' economia e del lavoro (CNEL)


L'attribuzione al CNEL del potere di iniziativa legislativa in via generale consente di inquadrare
tale organo tra quelli costituzionali, in quanto attraverso l'esercizio dell'iniziativa legislativa esso
dà immediata e diretta esecuzione alla Costituzione, rendendo possibile l'espletamento della
funzione legislativa.
Non così per le altre funzioni che sono di consulenza e di collaborazione all' attività del Parlamento
e del Governo, per le quali il Consiglio può comunque rientrare, tra gli organi di rilevanza costitu-
zionale. Esse invero non danno immediata esecuzione alla Costituzione, in quanto è la legge che
stabilisce le materie oggetto dei suoi interventi, nonché i principi e i limiti della sua attività.

La Costituzione prevede che il C.N.E.L. sia composto da esperti e rappresentanti delle categorie
produttive tenendo conto di criteri sia numerici che qualitativi.
Esso si compone di 12 esperti qualificati esponenti della cultura economica sociale e giuridica, di
cui otto nominati dal Presidente della Repubblica e quattro proposti dal Presidente del Consiglio
previa delibera del Consiglio dei ministri e nominati con decreto del Presidente della Repubblica;
novantanove rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblici e privati,
di cui quarantaquattro rappresentanti dei lavoratori dipendenti e diciotto rappresentanti dei
lavoratori autonomi, trentasette rappresentanti delle imprese, designati dalle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative e nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del
Presidente del Consiglio previa delibera del Consiglio dei ministri; dieci rappresentanti delle
associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato designati
dall'Osservatorio nazionale dell' associazionismo e dall'Osservatorio nazionale per il volontariato.
H Presidente è a sua volta nominato al di fuori degli altri componenti dal Presidente della
Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri.
I componenti durano in carica cinque anni e possono essere confermati.
Singolare è il modo con cui si perviene alle pronunce del CNEL. L'art. 14 prevede che se vengono
espresse posizioni discordanti su un'intera materia o su singoli punti non si procede al voto, ma si
dà atto delle posizioni assunte dai singoli gruppi e categorie con l'indicazione dei voti espressi.

2. Consiglio distato
II Consiglio di Stato è un organo ausiliario di rilievo costituzionale che ha funzioni di consulenza
giuridico - amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione (art. 100,1 comma Cost.)
ed è indipendente di fronte la Governo (art. 100, III comma). Esso si articola in sette sezioni,
quattro consultive (la L. 15.5.1997 n. 1270 accanto alle tre sezioni tiadizionali ha istituito una
quarta sezione consultiva per l'esame degli schemi di atti normativi dello Stato e di quelli
dell'Unione Europea su richiesta del Presidente del Consiglio) e. tre giurisdizionali.
Nell'ambito delle sezioni consultive è poi prevista l'Adunanza Generale del Consiglio di Stato,
composta da tutti i magistrati in servizio presso il Consiglio, mentre nell'ambito di quelle giu-
risdizionali l'Adunanza plenaria, composta dal Presidente del Consiglio di Stato e da dodici
magistrati scelti dal Consiglio di presidenza in ragione di quattro per ciascuna delle sezioni giuri-

102
sdizionali (art. 5, L. 27.4.1982, n. 186).
È dubbio se sia rimasta la competenza del Consiglio di Stato nell'ipotesi, contemplata dall'art. 33, II
comma T.U. 1054/1924, di richiesta da parte del Governo di provocare preventivamente la
decisione del Consiglio in sede giurisdizionale su di un provvedimento amnrinistrativo,
scontrandosi tale previsione con la sua posizione, nell' ambito della giurisdizione amministrativa,
di organo di secondo grado.

3. Corte dei Conti


La Corte dei Conti è un organo ausiliario a rilevanza costituzionale, indipendente dal Governo, che
esercita funzioni di controllo e giurisdizionali.
Il controllo viene anche esercitato sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in
via ordinaria. A volte il controllo avviene con la presenza di magistrati della Corte dei Conti negli
organi di amministrazione e revisione degli Enti.
Una sezione delle autonomie esercita il controllo sulla finanza e sulla gestione
deU'amministrazione degli enti locali.
Sussistono inoltre sezioni di controllo nelle Regioni a statuto ordinario, ed una sezione di controllo
per gli affari comunitari e internazionali.

V - // Presidente della Repubblica

1. Elezione e durata della carica del Presidente della Repubblica


Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei membri delle due
Camere, integrato nella sua composizione da tre delegati per ciascuna Regione, i quali devono
essere eletti in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Val d'Aosta peraltro
ha un solo delegato (art. 83 Cost.).
Allo scopo di rendere il Presidente il più possibile indipendente dalle maggioranze parlamentari
ordinarie si è richiesto un quorum speciale per l'elezione, in modo da ottenere la confluenza di
molteplici forze politiche: vale a dire la maggioranza dei due terzi dell' assemblea per le prime tre
votazioni e successivamente la maggioranza assoluta. Fu invece esclusa in sede di Assemblea
costituente ogni soluzione di ballottaggio tra coloro che avessero riportato il maggior numero di
voti, probabilmente perché non si ritenne facilmente concretabile l'ipotesi di un prolungarsi delle
votazioni nel tempo per effetto di difficoltà di accordi tra le forze politiche esistenti in Parlamento.

Per essere eletti alla carica di Presidente della Repubblica occorre la cittadinanza italiana, l'età di
50 anni ed il godimento dei diritti civili e politici (art. 84,1 comma Cost.). La disp. trans. Xln Cost.,
fino alla cessazione della sua efficacia (L. Cost. 23 ottobre 2002, n. 1), ha peraltro escluso che alla
carica potessero aspirare i membri e i discendenti di Casa Savoia.
Ove invece il settennio si facesse decorrere dal giorno dell' elezione si potrebbe produrre un effetto
singolare nel caso che l'elezione del nuovo Presidente (dalla quale dovrebbe cominciare owia-

103
mente a decorrere anche il nuovo settennio) avvenisse prima della scadenza del precedente
settennio e così via via per il futuro. Il settennio in realtà non corrisponderebbe mai all' effettivo
esercizio delle funzioni.
Se le Camere sono sciolte oppure manca meno di tre mesi alla loro cessazione, occorre aspettare il
rinnovo delle Camere e l'elezione del Presidente dovrà avvenire entro quindici giorni dalla
riunione delle nuove Camere (art. 85, In comma Cost.). Il principio vale anche nella ipotesi che sia
sciolta soltanto una Camera o manchi meno di tre mesi alla sua elezione.
In tali ipotesi la Costituzione prevede espressamente la prorogatio dei poteri del Presidente in
carica. Norma che sembra per vero applicazione di un principio generale, in base al quale la
prorogatio del Presidente in carica, dopo la scadenza del settennio, è ammessa fino all'assunzione
delle funzioni da parte del neoeletto.
Col giuramento il Presidente della Repubblica, oltre a giurare di essere fedele alla Repubblica e di
osservarne la Costituzione, manifesta al tempo stesso la volontà di accettare la nomina.
Poiché l'immissione nelle funzioni non è automatica, ma consegue al giuramento (a differenza di
quanto avveniva nel periodo statutario, in cui il Re saliva al trono non appena la Corona si rendeva
vacante, senza bisogno del previo giuramento e dell'accettazione), l'eletto ben potrebbe non
accettare la nomina o rifiutarsi di giurare. Il solo rifiuto del giuramento sortisce peraltro gli stessi
effetti della mancata accettazione.

2. Cessazione dalla carica


Alla scadenza del mandato il Presidente della Repubblica diviene, salvo rinunzia, senatore a vita
(art. 59 Cost).
Non appare invece compatibile con siffatto status, che non deriva da una elezione e da una nomina
nell'esercizio di poteri discrezionali, ma è di diritto, l'istituto delle dimissioni a fronte della pre-
visione costituzionale che invece.fa riferimento preciso alla rinunzia.

3. La supplenza
In ogni caso in cui il Presidente della Repubblica non possa adempiere le sue funzioni si ricorre alla
supplenza (art. 86 Cost.).
Il Presidente del Senato assume le funzioni di Presidente della Repubblica non appena si siano
verificate le varie ipotesi di impedimento del titolare. Non è tenuto a prestare giuramento dinanzi al
Parlamento in seduta comune o ad altro organo. Ciò non vuol dire però che egli non debba essere
fedele alla Repubblica o che non sia tenuto all'osservanza della Costituzione, discendendo tali
obblighi direttamente dall'art. 54 Cost., indipendentemente dalla prestazione del giuramento.

Mentre l'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, il
Presidente del Senato nel periodo in cui esercita le funzioni presidenziali non incorre nella stessa
incompatibilità. Egli invero si limita ad esercitare soltanto temporalmente le funzioni del
Presidente della Repubblica, senza subentrare nel suo ufficio. La sua posizione è comunque legata
alla posizione istituzionale di Presidente del Senato della quale segue le sortì. Se per qualsiasi
motivo viene meno la carica di Presidente del Senato egli cessa anche da quella di supplente.

104
Al di fuori comunque di casi oggettivi di assoluta necessità, che richiedono l'esercizio di poteri
presidenziali, non sembra che il supplente possa sostituirsi al titolare in attività che comportino
scelte ampiamente discrezionali, come, ad esempio, la nomina di Senatori a vita o dei Giudici
costituzionali.Un problema che ha sollevato varie controversie in dottrina è quello della
competenza ad accertare l'impedimento del Presidente, dal momento che le norme costituzionali
non enunciano alcuna disposizione specifica, a parte il caso in cui intervenga la Corte
Costituzionale, ai sensi dell'art. 12, IV comma, L.Cost. 11.3.1953, n. 1 (come sostituito dall'art. 3,
L. Cost. 16.1.1989, n. 1), disponendo la sospensione dalla carica del Presidente.

Difficoltà invece si presentano quando occorra accertare la sussistenza dell'impedimento in


mancanza di una dichiarazione in tal senso del Presidente, ad esempio quando egli non fosse in
grado di dichiarare il proprio impedimento.
La prassi intervenuta in un caso (quello della malattia del Presidente Segni), risoltasi poi con la
presentazione delle dimissioni dalla carica, è stata nel senso che spetterebbe al Governo
l'accertamento dell'impedimento sulla base della comunicazione del Segretario generale del
Presidente della Repubblica, dandone comunicazione al Presidente del Senato, il quale, previo
accordo con il Presidente della Camera e il Presidente del Consiglio dei ministri, assumerebbe le
funzioni di Presidente della Repubblica.
Nel caso poi che l'impedimento sia permanente, va riconosciuta anche una specifica e concorrente
competenza del Presidente della Camera dei deputati, essendo tale organo abilitato ad indire le ele-
zioni del nuovo Presidente della Repubblica nei quindici giorni successivi all'accertamento di detto
evento. È poi evidente che sul procedimento la parola definitiva spetterà al Parlamento in seduta
comune, quando procederà ad eleggere il nuovo Presidente, confermando di tale guisa l'esistenza
dell'impedimento accertato dal proprio Presidente e dagli altri organi costituzionali.
Ove sussistessero controversie in ordine all'accertamento dell'impedimento potrebbe peraltro
essere chiamata in gioco la Corte costituzionale su conflitto di attribuzione sollevato da uno degli
organi in questione, ivi compreso lo stesso Presidente in carica.

4. Assegno e dotazione del Presidente. Ufficio della Presidenza della Repubblica


L'assegno ha natura corrispettiva e consiste in una somma di danaro che viene versata al Presidente,
mentre la seconda consiste nell'insieme dei beni immobili e mobili appartenenti al patrimonio
indisponibile dello Stato, che sono messi a disposizione del Presidente.
L'autonomia del Presidente della Repubblica è stata peraltro garantita attraverso l'istituzione
dell'Ufficio della Presidenza della Repubblica, il quale ha infatti autonomia organizzativa, tra cui,
va sottolineato, quella contabile.

5. Irresponsabilità del Presidente della Repubblica


L'art. 90 Cost. prescrive che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. L'irre-
sponsabilità del Presidente vale tanto nel campo politico quanto in quello penale, civile e
amministrativo.

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L'irresponsabilità politica del Presidente non impedisce peraltro di esprimere delle opinioni o degli
apprezzamenti sul modo in cui egli ha esercitato o esercita le sue funzioni.
Potere di crìtica che secondo alcuni andrebbe, ricondotto alla cosiddetta responsabilità politica
diffusa cui incorrerebbe il Presidente (malgrado la sua irresponsabilità). Ma siffatta responsabilità,
che peraltro viene distinta dalla responsabilità politica istituzionale, è un concetto in realtà
^determinato ed evanescente, né appare utile per poter individuare limiti costituzionali all' agire
dei soggetti politici e tanto meno all'agire del Presidente della Repubblica che, secondo il dettato
della Costituzione, è irresponsabile.

Di conseguenza non sembra che possa giustificarsi costituzionalmente la norma dell'art. 279 c.p.
che punisce chiunque pubblicamente fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la
responsabilità degli atti di Governo, a meno di non interpretarla in senso del tutto restrittivo, come
divieto di biasimare o di considerare responsabile il Presidente per atti, a lui non imputabili, perché
posti in essere dal Governo, escludendo da tale divieto gli atti da lui invece effettivamente
compiuti.
Nel campo penale l'irresponsabilità del Presidente comporta l'impossibilità che egli sia chiamato a
rispondere di reati diversi da quelli di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi
nell'esercizio delle sue funzioni. L'irresponsabilità non va quindi intesa come «improcedibilità»,
nel senso che egli potrebbe essere chiamato a rispondere dopo la scadenza del mandato, salvi i
limiti della prescrizione, bensì come vera e propria non imputabilità.

6. Responsabilità per alto tradimento e attentato alla Costituzione


Quanto invece alla responsabilità per alto tradimento e per attentato alla Costituzione, è il
Parlamento in seduta comune che ha la competenza a mettere in stato di accusa il Presidente. La
maggioranza richiesta è quella assoluta.
Si tratta di responsabilità penale non politica per fattispecie non riconducibili al diritto penale
comune e costituenti uno speciale giudizio, che è stato definito di giustizia politica.
L'indeterminatezza della fattispecie, connessa con l'imprevedibilità dei fatti incriminabili, induce a
vedere nell' art. 90 una deroga all'art. 25 Cost., in base al quale nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
In effetti le figure dei reati sono state lasciate volutamente ^determinate dal Costituente
(contraddicendo il principio della tassatività della norma penale), per la difficoltà di prevedere
quali fatti ed atti del Presidente potessero concretare un alto tradimento o un attentato alla
Costituzione.
Si ritiene invece che sia demandato al Parlamento attraverso la messa in stato di accusa e poi in via
definitiva alla Corte Costituzionale stabilire quali atti e comportamenti del Presidente, tenuti con la
consapevolezza di arrecare danno, integrino o meno l'attentato alla Costituzione.

Possono quindi concretare la fattispecie criminosa tanto abusi, quanto omissioni dei propri doveri.
Non quindi ogni violazione della Costituzione può costituire un attentato alla stessa, ma violazioni
gravi della stessa, come pure gravi violazioni di legge che comportino una alterazione del sistema
costituzionale ed un pericolo per le istituzioni.

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Ma la deroga all' art. 25 Cost. riguarderebbe anche la mancata previsione di una pena da
comminare. A tale omissione ha tentato di ovviare la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 con
la previsione, all'art. 15, I comma, che la Corte costituzionale, nel pronunciare sentenza di
condanna, determina le sanzioni nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al
momento del fatto) nonché le sanzioni costituzionali} amministrative e civili adeguate olfatto.
Se nonché non sembra che da tale disposizione possano individuarsi le pene previste per le ipotesi
di alto tradimento o attentato alla Costituzione, non essendo possibile ricavare dall'art. 90 Cost. né
le fattispecie penali di diritto comune, né, conseguentemente, le relative pene.

7. La controfirma degli atti del Presidente della Repubblica


L'irresponsabilità del Presidente della Repubblica non comporta peraltro l'impossibilità di
ascrivere ad altri la responsabilità dei suoi atti.
Come invero stabilisce l'art. 89 Cost., nessun atto del Presidente della Repubblica è valido, se non è
controfirmato dai Ministri proponenti (e, nel caso di atti legislativi o quando sia previsto dalla
legge, anche dal Presidente del Consiglio dei ministri) che ne assumono la responsabilità.
Con la controfirma il Ministro assume la piena responsabilità dell' atto sia dal punto di vista penale
(la responsabilità è infatti personale), civile ed anmiinistrativo (responsabilità che vanno fatte
valere secondo le regole di diritto comune), che da quello politico.
La responsabilità politica del Ministro è quella istituzionale, e come tale comporta l'obbligo di
rispondere dinanzi al Parlamento, secondo le regole del rapporto fiduciario.
Si è però ritenuto che la controfirma apposta all' atto formalmente presidenziale e sostanzialmente
ministeriale valesse a fare assumere la responsabilità piena dell' atto da parte del controfirmante,
mentre la controfirma apposta all' atto formalmente e sostanzialmente presidenziale costituisse un
controllo sulla provenienza dell' atto, assumendosi il Ministro controfirmante la responsabilità del
controllo stesso.
Il Presidente potrà essere ritenuto responsabile giuridicamente soltanto quando l'atto concreti la
fattispecie penale dell' attentato alla Costituzione o dell' alto tradimento. E proprio in
considerazione di siffatte responsabilità possono spiegarsi l'estensione e i limiti dei reciproci
controlli tra Presidente e Governo (nella persona del controfirmante).

Sul piano politico peraltro la controfirma assume valore diverso a seconda che gli atti del
Presidente della Repubblica siano o meno preceduti da una proposta governativa e siano o meno
necessitati.
Quando si tratta di atti che il Presidente adotta senza margini di discrezionalità, come sono di solito
quelli che rendono possibile l'estrinsecazione dell'attività di altri organi (Parlamento o Governo) o
soggetti (popolo), la controfirma, anche se apposta all'atto del Presidente, che pur sempre viene
controllato, vale a fare assumere la responsabilità di un atto il cui contenuto non è stato determinato
dal Presidente, ma da altro organo o soggetto. Cosicché la responsabilità politica del
controfirmante per l'atto del Presidente, pur essendo sostanziale, è ridotta rispetto alla
responsabilità politica che comunque assume l'organo o il soggetto che ha posto in essere l'atto su
cui interviene il Presidente.

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Sul piano costituzionale la previsione dell'art. 89 Cost., che prescrive la responsabilità del
controfirmante per gli atti del Presidente della Repubblica, sia che si tratti di atti in. cui si esprime
la discrezionalità del Presidente, sia che si tratti di atti propriamente governativi, si ricollega a
quella dell'art. 95 Cost., che ha configurato in via generale Presidente del Consiglio e Ministri
come organi responsabili politicamente. E la responsabilità politica è comunque piena per gli atti
che esprimono la volontà politica e amrninistrativa del Governo.

La conttofirma dà quindi luogo ad una fattispecie giuridica complessa nella quale confluiscono e si
compongono in un unico atto a seconda dei casi due o più atti che sono espressione di più volontà e
di poteri diversi: un atto ad iniziativa di un determinato organo o soggetto (che può essere anche lo
stesso Presidente), oppure, nel caso di atto governativo, ima proposta del Governo, l'atto del
Presidente e la controfirma del Ministro competente (o proponente),' alla quale si aggiunge, nei casi
previsti, quella del Presidente del Consiglio.
Il giuramento infatti non costituisce in senso proprio atto che sia espressione della funzione del
Presidente della Repubblica, tanto è vero che va prestato dopo l'elezione, ma prima che il
Presidente neoeletto assuma le funzioni.

Le manifestazioni di opinione, le quali peraltro devono essere mantenute nei limiti stabiliti dalle
norme di correttezza costituzionale, sono espressione della libertà di manifestazione del proprio
pensiero e di per sé non concretano un atto tipico del Presidente, adottato nello svolgimento di una
determinata funzione presidenziale.
Anche per le dimissioni si è esclusa la conttofirma sulla base della considerazione che non sono di
per sé espressione di alcuna delle funzioni proprie del Presidente della Repubblica, ma costitui-
scono un atto personale del titolare della carica.

8. Le funzioni del Presidente della repubblica come Capo dello Stato e garante della
Costituzione
Il Presidente della Repubblica, come dispone l'art. 87, I comma Cost., è il Capo dello Stato e
rappresenta l'unità nazionale. Egli è inoltre il garante e il custode dell' assetto costituzionale, come
si evince dall'art. 91 Cost.
Come Capo dello Stato egli impersona l'unità dello Stato, la sua stabilità e continuità, è l'organo che
ne manifesta la volontà unitaria sia all'interno che all'esterno; come rappresentante dell'unità nazio-
nale egli personifica e rende presente la Comunità nazionale nella sua interezza ed unitarietà e ne
tutela gli interessi.
Discrezionali e a volte anche obbligatori sono quelli tipicamente presidenziali, vale a dire ad
iniziativa del Presidente; vincolati quelli che realizzano tipiche fattispecie legali senza margini di
discrezionalità.

Discrezionale e al tempo stesso obbligatoria è, ad esempio, l'attività che pone in essere il Presidente
in caso di risoluzione delle crisi di Governo attraverso la nomina del Governo, oppure l'attività
diretta alla nomina dei cinque giudici costituzionali di sua spettanza.

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Discrezionale e al tempo stesso facoltativo è, ad esempio, lo scioglimento anticipato delle Camere,
oppure la nomina dei cinque senatori a vita, l'invio di messaggi alle Camere, la convocazione
straordinaria delle stesse ai sensi dell'art. 62, II comma Cost., oppure il rinvio della legge alle
Camere (art. 74 Cost.) prima della promulgazione. Mentre è obbligatoria la promulgazione.

Sotto altro profilo vi sono atti che necessitano di una richiesta governativa, come per la
autorizzazione alla presentazione di disegni di legge alle Camere, o di una proposta, come per la
nomina dei Ministri e degli altri componenti il Governo, o per la nomina di funzionari di Stato; atti
per i quali non è prevista una formale proposta governativa, ma ad iniziativa diretta del Presidente,
come, ad esempio, la nomina del Presidente del Consiglio, lo scioglimento delle Camere, il rinvio
della legge alle stesse, l'invio di messaggi alle Camere, la convocazione straordinaria delle stesse,
la nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali.

9. Emanazione dei decreti aventi valore di legge


L'emanazione, al pari della promulgazione, consiste in un atto che dà forma solenne all' atto
legislativo consentendone l'efficacia giuridica.
Non può pertanto essere condivisa la tesi secondo cui l'emanazione (così come del resto gli altri atti
adottati con Decreto del Presidente della Repubblica), a differenza della promulgazione della legge
che si fonderebbe con la legge nell'atto terminale, avrebbe valore costitutivo dell'unico atto
esistente, in quanto in sua mancanza non vi sarebbe alcun atto giuridico ascrivibile al Governo.
Tesi questa, che coerentemente dovrebbe comportare l'attribuzione al Presidente della stessa
funzione legislativa esercitata dal Governo (come analogamente dovrebbe avvenire per ogni altra
funzione esercitata sugli atti poi emanati con Decreto presidenziale).
La norma secondo cui il Presidente della Repubblica Promulga le leggi ed emana i decreti aventi
valore di legge e i regolamenti invece, correttamente interpretata, presuppone che tali atti siano
stati previamente adottati, per poter poi essere, a seconda dei casi, promulgati o emanati dal
Presidente. Se si ammette peraltro che il Presidente nel caso degli atti aventi valore di legge può
richiedere un loro riesame al Governo o rifiutarne l'emanazione, tali decisioni non possono che ri-
ferirsi ad un atto proveniente dal Governo, ancorché privo di rilevanza esterna e non ancora
efficace giuridicamente.
Ove il Presidente, costretto ad emanare un decreto, ritenga di dover manifestare ufficialmente il suo
dissenso rispetto all' operato del Governo, la Costituzione gli offre la possibilità di inviare
messaggi alle Camere.
Nel caso inoltre che vengano in questione profili di competenza governativa egli può sollevare
conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ove, ad esempio, contesti la competenza
del Governo ad adottare decreti delegati aventi valore di legge in mancanza di una delega o
decreti-legge, reiterati dopo la loro reiezione da parte dal Parlamento per mancanza dei presupposti
di necessità ed urgenza.
Egli può rifiutare l'emanazione soltanto quando l'atto adottato dal Governo configuri un attentato
alla Costituzione, compromettendo l'assetto istituzionale e l'equilibrio dei poteri, o eventualmente
un alto tradimento.

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10. Emanazione dei regolamenti
Le considerazioni precedenti possono valere anche per l'emanazione delle fonti normative
secondarie, pur dovendosi riconoscere che i regolamenti incontrano una serie di controlli
preventivi per cui difficilmente può configurarsi una effettiva posizione conflittuale tra Presidente
e Governo.

11. Autorizzazione alla presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo
Il Presidente, in considerazione del suo ruolo istituzionale, può certamente intervenire nei confronti
del Governo, ma deve limitarsi ad una eventuale richiesta di riesame del disegno di legge,
motivando tale richiesta con specifiche ragioni di legittimità o di merito; di fronte
però alla insistenza del Governo nella richiesta di autorizzazione non può bloccarne l'iniziativa.
Soltanto nel caso che nel disegno di legge si ravvisi una delle fattispecie penali previste dall' art. 90
Cost. egli può rifiutare l'autorizzazione, investendo ovviamente il Parlamento nei confronti del
quale, il Governo è responsabile.
12. Nomina dei funzionari dello Stato
È la legge che stabilisce in quali casi la nomina dei funzionari dello Stato va adottata con Decreto
presidenziale. La nornina costituisce un potere-dovere, in quanto il Presidente ha l'obbligo di nomi-
nare i funzionari una volta che abbia accertato l'esistenza dei presupposti fissati dalla legge.

13. Messaggi
Il Presidente ha il potere di inviare messaggi alle Camere. Si tratta di una forma di collegamento
istituzionale tra i due organi che si spiega con la posizione del Presidente di garante dell' ordine
costituzionale e di rappresentante dell'unità nazionale, che col messaggio si rivolge all'altro organo,
direttamente rappresentativo della Nazione, ai sensi dell' art. 67 Cost.

14. Comando delle Forze armate


La Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica il comando delle forze armate in
considerazione della sua posizione istituzionale di Capo dello Stato, in analogia con quanto
stabilito dallo Statuto Albertino che lo attribuiva al Re.
In tal modo si è inteso sottrarre le forze armate al comando del potere militare, ponendole al
servizio della Nazione e rendendole indipendenti dalla parti politiche.

15. Ratifica dei trattati internazionali


Anche nell' esercizio di tale potere il Presidente con la ratifica manifesta la volontà dello Stato
all'esterno, nei confronti dell'ordinamento internazionale, data la sua posizione di rappresentante
della Repubblica italiana nella sfera delle relazioni internazionali.
Il Presidente esercita peraltro un controllo estemo sul procedimento anche in relazione alla
previsione dell'art. 80 Cost. (ad es. può rifiutare la ratifica a quei trattati che non siano stati
autorizzati dal Parlamento, come può rivendicare a sé la ratifica di quegli accordi stipulati di-
rettamente dal Governo che egli ritenga rientrare nella sua competenza).
Ove non sussistano ragioni di legittimità non può rifiutare la ratifica, a meno che non ravvisi nel
trattato un possibile attentato alla Costituzione o un alto tradimento.

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16. Accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici
Anche questo è un potere-dovere del Presidente in quanto Capo dello Stato, che si sostanza nell'
atto formale e solenne conclusivo del procedimento posto in essere del Governo per esternare e
rendere efficace la volontà dello Stato.

17. Conferimento di onorificenze della Repubblica


È un potere che presuppone la previa disciplina legislativa delle onorificenze, sia per stabilire quali
esse sono, sia per prefissare i criteri per il loro conferimento e il procedimento da seguire. Il potere
di scelta è dalla legge sostanzialmente attribuito al Governo ed il Presidente emette poi il decreto di
conferimento effettuando un controllo di legittimità.

18. Concessione di grazia e commutazione di pene


La Concessione di grazia e la commutazione di pene presuppongono una disciplina conformatrice
del potere sia per la delineazione dell'istituto stesso e per la determinazione dei casi in cui tali atti
possono essere adottati, sia relativamente al procedimento da seguire.
Ciò in ossequio al principio di legalità.

19. Indizione dei referendum popolari


Ai sensi degli artt 75 e 138 Cost. non sembra che possa riconoscersi al Presidente un margine di
discrezionalità nell'indizione dei referendum, ove siano osservati i requisiti previsti dalla legge.
Anzi il Presidente ha l'obbligo di indirli dovendo egli garantire che essi abbiano luogo.

20. Nomina dei giudici costituzionali


Al Presidente spetta la nomina di cinque giudici della Corte Costituzionale (art. 135 Cost).
È un atto tipicamente presidenziale, sottoposto ad un mero controllo esterno sulla provenienza dell'
atto e sulla esistenza dei presupposti da parte del Presidente del Consiglio all'atto della controfirma,
mentre spetta alla Corte Costituzionale di accertare resistenza dei requisiti soggettivi di
ammissione.

21. Scioglimento dei Consigli regionali


La Costituzione all' art. 126 prevede che lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del
Presidente della Giunta regionale, che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi
violazioni di legge, o nel caso che sussistano ragioni di sicurezza nazionale, è disposto con decreto
motivato del Presidente della Repubblica, sentita la Commissione parlamentare per le questioni
regionali nei modi stabiliti dalla legge.

22. Esternazioni del Presidente della Repubblica


A differenza dei messaggi formali alle Camere, non costituiscono atti tipici, formali del Presidente,
le dichiarazioni e i discorsi da lui tenuti in varie occasioni, come interviste alla stampa,
commemorazioni, messaggi liberi diretti alla pubblica opinione o a personalità istituzionali, orali o
scritti, il più delle volte resi pubblici attraverso i media.
Si tratta di esternazioni del Presidente non corrispondenti ad una specifica funzione, con le quali

111
egli intende esprimere il proprio pensiero, prendendo posizione su determinate situazioni o solleci-
tando interventi politici.
Siffatte esternazioni trovano peraltro il loro limite proprio nella posizione istituzionale del
Presidente, che non partecipa alla determinazione dell'indirizzo politico governativo ed è un
organo super partes rispetto alle partì politiche. Pur non incontrando esse limiti in discipline
giuridiche scritte e pur essendo il Presidente sottratto a responsabilità politica, anche nei confronti
del popolo, esse devono conformarsi alle regole della correttezza costituzionale, dal momento che
possono avere effetti anche rilevanti sulla vita politica delle istituzioni.

23. Amnistia e indulto


Al Presidente della Repubblica con L. Cost. 6 marzo 1992, n. 1, che ha modificato l'art. 79 Cost., è
stato sottratto il potere di concedere ramnistia e rindulto su legge di delegazione delle Camere. Si
trattava di un potere parzialmente discrezionale, avendo la norma fatto esplicito riferimento alla
«delegazione» delle Camere.

24. Partecipazione ad altri organi


Presiede inoltre il Consiglio supremo di difesa (art. 87 Cost), che è stato disciplinato con L. 28
luglio 1950, n. 624 e col regolamento approvato con D.P.R. 4 agosto 1990, n. 251 (con Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 4.5.1992 n. 389 è stato adottato il Regolamento
dell'Ufficio di segreteria).
La presidenza di tale organo è peraltro coerente con la posizione che ha il Presidente di
Comandante delle Forze armate.
Il Consiglio Supremo di difesa, ancorché previsto dalla Costituzione, non è un organo
costituzionale, ma di rilievo costituzionale, in quanto le sue funzioni non sono diretta esecuzione
della Costituzione, ma vengono definite dalla legge. È un organo consultivo e di coordinamento.
Esso esamina i problemi generali, politici e tecnici, attinenti alla difesa nazionale e determina i
criteri e fissa le direttive per l'organizzazione e il coordinamento delle attività della difesa. Si
riunisce due volte l'anno ed è composto oltre che dal Presidente della Repubblica, dal Presidente
del Consiglio dei niinistri con funzioni di Vice-presidente, e dai Ministri degli Affari esteri,
dell'Interno, della Difesa, dell'Economia e delle Finanze, delle Attività produttive e dal Capo di
Stato Maggiore della difesa.

25. Funzioni amministrative


Oltre le funzioni espressamente attribuite dalla Costituzione, il Presidente della Repubblica ne
esercita altre, conferite dalla legislazione ordinaria.
Esse corrispondono grosso modo a quelle che erano attribuite dalla legislazione anteriore alla
Costituzione al.Re e che si ritenevano trasferite al Presidente della Repubblica (in quanto
compatibili con l'assetto repubblicano e con la Costituzione), alle quali ne furono aggiunte altre
dalla legislazione ordinaria successivamente alla Costituzione. Il problema sembra piuttosto
consistere nella compatibilità dei poteri attribuiti da disposizioni di legge con la posizione
costituzionale assicurata al Presidente della Repubblica.
Potrebbe invero individuarsi un cattivo andamento della Pubblica Amministrazione, ad esempio

112
sotto il profilo della inefficienza, in una legislazione che, senza conferire adeguati strumenti di
conoscenza, di informazione e di effettivo controllo, conferisse tuttavia in una congerie di norme
attribuzioni specifiche al Presidente della Repubblica consentendogli poteri di intervento e di
sostanziale decisione sugli atti da adottare. Mentre, d'altra parte, l'intervento del Presidente della
Repubblica, potrebbe ritenersi giustificato, in alcuni casi, con l'intento di assicurare maggiore
imparzialità all'azione della Pubblica Amministrazione, o, in altri, con l'intento di assicurare mag-
gior prestigio all' atto posto in essere, in quanto proveniente dal rappresentante dell'unità nazionale.
In linea con questi principi la legge 12 gennaio 1991 n. 13 ha ridotto l'ambito degli atti da adottarsi
«nella forma del decreto del Presidente della Repubblica», su proposta del Presidente del Consiglio
o dei Ministri competenti stabilendo che quelli precedentemente adottati con decreto presidenziale
e non compresi nell'elencazione contenuta nell'art. 1, sono emanati con Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri o con Decreto ministeriale.
In tali casi il Presidente non partecipa alla determinazione del contenuto dell' arto, in quanto è
vincolato alla proposta e la sua competenza è circoscritta alla emanazione dell' atto stesso. Ciò non
esclude però che egli eserciti un controllo, che può concretarsi in una richiesta di riesame e, in casi
estremi, ove nell' atto ravvisi un attentato alla Costituzione, in un rifiuto dell' emanazione.

26. Ricorsi per conflitti di attribuzione


Per la tutela delle sue competenze non vi è dubbio che il Presidente della Repubblica possa
sollevare dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione contro altri poteri dello Stato,
come . pure possa essere destinatario di conflitti sollevati da altri organi.

27. La posizione costituzionale e il ruolo del Presidente delia Repubblica


La posizione del Presidente della Repubblica nell'ordinamento costituzionale italiano si spiega con
la forma di governo parlamentare accolta dalla Costituzione.
Al Presidente non sono stati attribuiti quei poteri di direzione politica governativa, né altri poteri di
indirizzo politico governativo, che caratterizzano altre forme di Governo. Né gli sono stati conferiti
poteri tali da configurarlo come supremo reggitore dello Stato nei momenti di crisi. Ciò non tanto
perché è stato configurato come organo irresponsabile politicamente, quanto perché la politica
generale è attribuzione del Governo ed è diretta dal Presidente del Consiglio, cui in particolare
spetta mantenere specificamente l'unità di indirizzo politico ed amministrativo (art. 95 Cost.).

Egli è invece dotato di poteri significativi non solo per la stessa vita di istituzioni fondamentali
dello Stato, come, ad esempio, il Governo, che egli è chiamato a costituire, il Parlamento, di cui
può sciogliere le Camere, ma anche per l'esternazione dell' attività di tali organi ed il controllo sugli
stessi, come avviene per l'attività legislativa, con riguardo al compito di promulgare le leggi e di
emanare gli altri atti aventi forza di legge, oppure per Fattività normativa e amministrativa, con
riguardo, ad esempio, al compito di emanare regolamenti o di nominare funzionari dello Stato,
nonché per l'esternazione della volontà dello Stato nei confronti degli altri Stati, come avviene nel
caso della ratifica dei trattati internazionali, della dichiarazione dello stato di guerra, dell'
accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici.

113
Nella formazione di atti giuridici può invero accadere che su di un atto posto in essere da un organo,
che ne determina il contenuto effettivo, il quale è espressione di uno specifico potere, intervengano
altri organi, con una propria autonoma attività, nell' esercizio di poteri diversi (ad esempio di
controllo), oppure che ad un atto, che sia espressione di un dato potere, si accompagni altro o altri
atti, espressione a sua volta di diverso potere (ad esempio di esternazione o di integrazione di
efficacia).
Ma alla loro volontà, che si concreta nella determinazione dell'atto, segue poi la volontà del
Presidente della Repubblica, che si manifesta con l'atto di esternazione, denominato a seconda dei
casi promulgazione o emanazione.

Il potere di esternazione è peraltro diverso da quello di controllo che ad esso solitamente si


accompagna ed è esercitato dallo stesso Presidente quando, ad esempio, rinvia la legge alle Camere
oppure richiede al Governo il riesame dell' atto. La volontà del Presidente presuppone già formati
gli atti da promulgare o da emanare e accede ad essi nell' esercizio di un proprio autonomo potere.

È peraltro ovvio che nulla avrebbe vietato che gli atti legislativi fossero estemati dallo stesso
organo competente alla loro approvazione, come nulla avrebbe vietato che all' atto di esternazione
venisse connesso un potere anche di intervento attivo o comunque di partecipazione sostanziale
alla funzione legislativa. Ma nell' ordinamento costituzionale italiano siffatti poteri non sono stati
riconosciuti al Presidente della Repubblica, in coerenza del resto con la sua posizione di organo
non attivo sul piano della determinazione dell'indirizzo politico.
Si è invece voluta riconoscere al Presidente una posizione prevalentemente di controllo oltre che di
stimolo, in una visione garantistica che si traduce in un bilanciamento tra i poteri in un reciproco
condizionamento.

Quando invece il Presidente pone in essere atti tipicamente presidenziali, vale a dire quelli adottati
su sua iniziativa e con determinazione in modo prevalentemente discrezionale o pressoché
esclusivo del contenuto, il Presidente della Repubblica esercita poteri suoi propri che sono diversi
da quelli svolti da altri organi o soggetti.

Il Presidente della Repubblica, ad esempio, esercita sicuramente una attività politica quando
procede alla risoluzione delle crisi di governo o allo scioglimento delle Camere, oppure quando
rinvia la legge alle Camere o invia alle stesse messaggi, mentre svolge un'attività di tipo meramente
amministrativo, ancorché di esecuzione della Costituzione o della legge, quando emana
regolamenti o nomina funzionari dello Stato.
Si tratta di funzioni che si collocano nell' ambito del potere esecutivo costituzionale, il quale non si
risolve soltanto in quello esercitato dal Governo, vale a dire nell'indirizzo politico governativo e
amministrativo che si manifesta con attività a volte politiche a volta meramente esecutive della
Costituzione e delle leggi.

La sottrazione del Presidente alla responsabilità politica e l'obbligo della controfirma per i suoi atti

114
sono stabiliti in funzione del molo super parte:; e di garante dell' assetto costituzionale che gli
compete, ma non per escludere la politicità della azione diretta alla realizzazione dell'interesse
superiore del popolo, unitariamente inteso.
È vero che l'azione del Presidente della Repubblica deve sempre ispirarsi ed essere conforme alla
Costituzione ed in tale prospettiva si colloca anche il solenne giuramento di fedeltà alla Repubblica
e di osservanza della Costituzione che egli deve tenere dinanzi al Parlamento in seduta comune (art.
91 Cost.). Ed è anche vero che la specifica previsione (art. 90 Cost.) di una sua responsabilità per
attentato alla Costituzione (oltre che per alto tradimento) non va vista solo in
negativo. Per cui, se essa da un lato ne condiziona e limita i poteri, rappresenta al tempo stesso un
limite ai poteri degli stessi organi t:: soggetti sui quali viene ad incidere la sua attività di Presidente.
Con la conseguenza che il Presidente non solo non dovrà «attentare» alla Costituzione, ma dovrà
impedire che altri vi «attentino».

Il concetto di neutralità può servire per esprimere soltanto l'indipendenza dell'organo in rapporto
alla conflittualità tra le forze politiche e alla dialettica maggioranza opposizione, ma non per negare
una sua attività politica. Col solo fatto di agire con atti di propria iniziativa e con proprie scelte
discrezionali che incidono in maniera determinante o significativa sulla vita delle istituzioni e sulla
loro attività politica il Presidente partecipa all' attività politica del Paese.

VI - La Corte Costituzionale

1. La giustizia costituzionale
L'osservanza della Costituzione è garantita da una serie di reciproci controlli tra gli organi
costituzionali sulle rispettive attività, ma in via giurisdizionale è garantita dal sistema della
giustizia costituzionale che vede al suo centro un apposito organo giurisdizionale, la Corte
costituzionale.
In altri ordinamenti il sindacato di costituzionalità sulle leggi è stato invece affidato ad un apposito
organo di giustizia costituzionale, il quale può agire in via preventiva (prima della entrata in vigore
delle leggi) e/o in via successiva e in via diretta, consentendo l'accesso diretto al giudice
costituzionale, oppure in via indiretta, predisponendo un filtro, come avviene in via prevalente nell'
ordinamento italiano col giudizio in via incidentale. L'art. 134 della Costituzione prevede la
competenza della Corte costituzionale a giudicare:
1) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di
legge, dello Stato e delle Regioni;
2) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le
Regioni;
3) sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica.

115
2. Composizione della Corte costituzionale
La Corte costituzionale è un organo costituzionale in quanto dà diretta ed immediata esecuzione
alla Costituzione, ed è un organo giurisdizionale, in quanto le sue funzioni sono dirette a risolvere
controversie in via definitiva. Le sue decisioni non sono suscettibili di impugnazione ed acquistano
efficacia di giudicato.
I giudici durano in carica 9 anni e non sono rieleggibili. Nel loro interno i giudici eleggono il
Presidente che dura in carica tre anni, ma può essere rieletto e dura in carica fino alla scadenza del
mandato di giudice.
Nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica la Corte è integrata da 16 giudici ed.
aggregati che vengono tratti a sorte da un elenco di 45 cittadini (eleggibili a senatore) eletti dal
Parlamento in seduta comune ogni nove anni con le stesse modalità con cui vengono eletti i giudici
costituzionali ordinari.
La scelta della composizione allargata deriva dalla esigenza di assicurare la rappresentatività nella
Corte delle forze politiche (di maggioranza e di opposizione) presenti in Parlamento, in
considerazione della incidenza del giudizio sul titolare della più alta carica politica della
Repubblica.
La loro rimozione o sospensione può avvenire solo a seguito di deliberazioni della Corte presa a
maggioranza dei due terzi dei componenti che partecipano all' adunanza (art. 7, L. Cost. 11 marzo
1953, n. 1 e art. 3, Il comma, L. Cost. 9 Febbraio 1948, n. 1).

Peraltro decadono ove non esercitino le loro funzioni per sei mesi (art. 8, L. Cost. 1/1953).

3 . / / sindacato di legittimità sulle leggi e gli atti aventi forza di legge


La Costituzione ha attribuito alla Corte costituzionale il potere di sindacare la legittimità
costituzionale degli atti legislativi dello Stato e delle Regioni.
Si tratta di un sindacato accentrato, che può essere attuato in via incidentale e in via principale. Le
due forme di giudizio sono state previste dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 agli artt. 1
e 2, mentre la disciplina specifica è contenuta nella legge 11 marzo 1953, n. 87 agli artt. 23 e segg.,
oltre che nelle norme integrative adottate dalla Corte costituzionale e pubbL sulle G.U. 24.3.1956,
n. 71, e 6.10.1987, n. 233.
H parametro è rappresentato dalle norme costituzionali, anche quando rillegittimità si verifica per
contrasto con norme di curia Costituzione impone l'osservanza, come nel caso di contrasto tra
Decreto legislativo e Legge delega. In proposito parte della dottrina qualifica le norme della legge
delega come norme interposte. Qualifica peraltro meramente descrittiva della sottoposizione del
Decreto delegato alla delega legislativa, ai sensi dell' art. 76 Cost, non costituendo la legge delega
una categoria particolare nell' ambito degli atti legislativi.
4. a) Giudizio in via incidentale
La questione di legittimità costituzionale deve essere sollevata nel corso di un giudizio che si
svolga dinanzi ad un giudice, sia esso ordinario che speciale.
Occorre quindi il requisito oggettivo, vale a dire la pendenza di un giudizio davanti ad un'autorità
giudiziaria, e quello soggettivo, vale a dire la qualità di giudicante dell'organo investito della
controversia.

116
Il giudizio sulla non manifesta infondatezza comporta che il giudice deve escludere la possibilità di
sollevare la questione quando essa sia manifestamente infondata e sollevarla non solo quando gli
appaia manifestamente fondata, ma anche quando vi siano dei dubbi sulla sua fondatezza.
Il giudice può quindi respingere la questione, ove proposta, dichiarandola irrilevante o
manifestamente infondata, oppure accogliere l'eccezione di incostituzionalità. In tal caso egli con
ordinanza deve sospendere il giudizio in corso e disporre la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
L'ordinanza va motivata sia in ordine alla rilevanza della questione, sia in ordine alla non manifesta
infondatezza, indicando le norme legislative statali o regionali tacciate di incostituzionalità e quelle
costituzionali di riferimento.
All'udienza di discussione (ma la Corte si riunisce in Camera di Consiglio ove nessuna delle parti
del processo principale si sia costituita oppure se la questione appare manifestamente infondata)
viene svolta la relazione da un giudice designato dal Presidente e poi le parti espongono le loro
difese. Successivamente la Corte si riunisce in camera di consiglio per decidere.

Le decisioni sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica e, nell'ipotesi di leggi
regionali, anche sul Bollettino Ufficiale della Regione interessata.
Le decisioni possono assumere la forma di ordinanza o di sentenza.
Le ordinanze vengono assunte quando la Corte decide in via interlocutoria; quando rimette gli atti
al giudice a qua; quando dichiara l'inammissibilità della questione e, di solito, la manifesta
infondatezza.
La perdita di efficacia non significa che l'illegittimità della norma non sia retroattiva, ma che essa
non possa più essere applicata. Con la conseguenza che tutte le controversie suscettibili ancora di
applicazione da parte della norma annullata vanno decise indipendentemente da questa.
Restano invece escluse le controversie oramai esaurite per effetto di decisioni passate in giudicato,
oppure non più suscettibili di essere portate davanti ad un giudice per effetto di prescrizioni di di-
ritti, di usucapioni, di decadenza dalla azione, di transazioni. In campo penale, peraltro,
l'annullamento della norma prescrittiva di un reato comporta la cessazione degli effetti derivanti
dal giudicato penale.

A volte peraltro la Corte ha procrastinato la produzione di effetti della decisione, a tutela di valori
costituzionali ritenuti rilevanti.
Con le sentenze di rigetto la Corte dichiara l'infondatezza della questione così come proposta. Tale
sentenza ha efficacia preclusiva nel giudizio a qua, ma non può escludersi la riproposizione
per .motivi diversi nel corso dello stesso giudizio o per gli stessi motivi in altri giudizi.
Con riguardo al modo in cui la Corte perviene alla dichiarazione di illegittimità o di infondatezza si
è avuta una varia tipologia di sentenze ed. interpretative.
Vi sono poi sentenze con le quali la Corte, pur dichiarando l'infondatezza della questione, invita il
legislatore alla riforma della normativa, ammonendolo che, in caso di omissione, la norma potrà
essere dichiarata in costituzionale ove la relativa questione venga riproposta.

117
5. b) Il giudizio in via dirètta
Il Governo può proporre la questione di legittimità costituzionale nei confronti degli statuti
regionali che non vengono ritenuti in armonia con la Costituzione entro trenta giorni dalla loro
pubblicazione (art. 123 Cost).
Quella nei confronti di leggi regionali può essere proposta entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione (art. 127 Cost.) quando il Governo ritenga che esse violino qualsiasi norma
costituzionale. La Corte costituzionale nella sua giurisprudenza ha inteso l'illegittimità prevista
dall' art. 127 in senso estensivo e non con riferimento ai soli casi in cui la legge regionale ecceda la
competenza della Regione (art. 31 L. 87/1953, come modificato dall'art. 9, L. 5 giugno 2003, n.
131). Il controllo non è più preventivo come nella precedente versione dell'art. 127 Cost, ma
successivo.

6. I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato


La genericità della disposizione contenuta nell' art. 134 Cost ha reso difficile l'individuazione dei
conflitti suscettibili di essere sottoposti alla giurisdizione della Corte costituzionale.
L'uso dell'espressione «poteri dello Stato» avrebbe indotto a ritenere come conflitti quelli sorgenti
tra i tradizionali tre poteri dello Stato, quello legislativo, quello esecutivo e quello giurisdizionale.
La legge 87/1953 peraltro all'art. 37 ha specificato che: 77 conflitto tra poteri dello Stato è risolto
dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà
dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari
poteri da norme costituzionali.
Sono stati quindi riconosciuti come possibili soggetti di conflitti il Parlamento, le Camere, le
Commissioni parlamentari di inchiesta, il Presidente della Repubblica, il Governo, il Consiglio dei
ministri e i Ministri con riferimento alle rispettive responsabilità (ex art. 95, II comma Cost.), il
Ministro della Giustizia (art. 110 Cost.), la Corte costituzionale, il Consiglio Superiore della
magistratura, la Corte dei conti, i singoli giudici, i Comitati promotori dei referendum.
Il conflitto sorge quando due organi rivendicano la competenza, oppure quando un organo non
esercita la competenza attribuitagli ritenendo che appartenga ad altri, oppure quando non
esercitandola paralizza l'attività di altro organo.
Non è previsto un termine di decadenza per sollevare il conflitto.

1.1 conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni


Il conflitto è proposto con ricorso entro sessanta giorni dalla notificazione o pubblicazione o
dall'avvenuta conoscenza, dell' atto impugnato.
Competenti a sollevare i conflitti sono il Presidente del Consiglio dei Ministri (o un Ministro da lui
delegato) e il Presidente della Giunta regionale su delibera della stessa. Il ricorso deve indicare
come sorge il conflitto e specificare l'atto dal quale si assume invasa la sfera di competenza nonché
le disposizioni costituzionali che si assumono violate.
La proposizione di un conflitto di attribuzione non esclude peraltro la possibilità di impugnare
l'atto dinanzi agli organi giurisdizionali per vizi di legittimità derivanti dalla violazione di norme
attuative di norme costituzionali.

118
8. Il giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica
La Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 90 e 134 Cosi, ha il potere di giudicare il Presidente
della Repubblica qualora venga messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune per i
reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. In tale ipotesi la Corte è integrata dai sedici
giudici aggregati.
Chiusa la fase istruttoria si procede al dibattimento. Il Collegio giudicante deve essere composto da
almeno ventuno giudici dei quali devono essere in maggioranza quelli aggregati. Chiuso il
dibattimento la Corte si riunisce in Camera di Consiglio senza interruzione e procede alla
discussione e alla votazione per ogni capo di imputazione sulle questioni di fatto e di diritto ed
eventualmente sulla applicazione della pena. La sentenza è pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

9. Il giudizio sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo


Se la Corte decide per l'ammissibilità del referendum, il Presidente della Repubblica, su delibera
del Consiglio dei ministri, indice il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in
una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. Come dispone l'art. 2 L. Cost. 1/1953 la
Corte deve giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentato a norma dell'art. 75 Cost.
siano ammissibili ai sensi del comma secondo del!' articolo stesso.
Orbene l'art. 75 al II comma prevede testualmente: Non è ammesso il referendum per le leggi
tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali.

119
CAPITOLO DODICESIMO
LO STATO E LE AUTONOMIE COSTITUZIONALI

1. L ' avvento delle Regioni in Italia


La Costituzione italiana ha configurato lo Stato italiano come Stato unitario ad autonomia
regionale e locale e con strutture decentrate, abbandonando la configurazione di Stato centralista
propria del preesistente assetto costituzionale stabilizzato si dopo la costituzione dello Stato
italiano nel vigore dello Statuto Albertino, che dava scarso rilievo alle autonomie e al
decentramento.
La Costituzione all' art. 131 elenca 20 Regioni: 15 a Statuto ordinario - Piemonte, Lombardia,
Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzi, Molise (costituita
peraltro con L. Cost. 27.12.1963, n. 3), Campania, Calabria, Basilicata- oltre le cinque a statuto
speciale, alle quali la Costituzione all' art. 116 assicura forme e condizioni particolari di autonomia
secondo i rispettivi statuti approvati con legge costituzionale. ,
Le Regioni previste nell' art. 131 Cost. peraltro non corrispondono a realtà politiche costituite da
entità territoriali preesistenti, né tanto meno agli Stati preunitari, ma a mere ripartizioni geografiche
del territorio statale utilizzate ai fini del censimento del 1871.

Per poter disporre la fusione di Regioni o la creazione di nuove Regioni (sempre che abbiano come
minimo un milione di abitanti) occorre anzitutto la richiesta di tanti Comuni che rappresentino al-
meno un terzo delle popolazioni interessate. La proposta deve essere approvata con referendum
dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Ove ciò avvenga, sentiti i Consigli regionali delle
Regioni interessate, si può procedere con legge costituzionale. '
In via transitoria, tuttavia, la Disp. trans. XI Cost. prevedeva che entro cinque anni dall'entrata in
vigore della Costituzione (termine poi prorogato al 31.12.1963 dalla Legge cost. 18.3.1958, n. 1)
fosse possibile istituire nuove Regioni senza il consenso delle condizioni richieste dal primo
comma dell' art. 132, tranne l'obbligo di sentire le popolazioni interessate. Norma utilizzata per
l'istituzione della Regione Molise.

I Consigli regionali videro quindi la luce con le elezioni del 78.6.1970. Nel 1972 furono poi
approvati undici decreti delegati di trasferimento delle funzioni statali alle Regioni nelle materie
rientranti nella loro potestà legislativa ed amministrativa. Ulteriori trasferimenti di funzioni e di
personale statale furono attuati con la legge 22.7.1975 n. 382, e con il D.Lgs. 24.7.1977 n. 616.
Con la L. 15.3.1997, n. 59 fu poi stabilito di attribuire alle Regioni ed agli enti locali in base al
principio di sussidiari età tutte le funzioni amministrative che non fossero espressamente riservate
allo Stato. In base alla delega contenuta in tale legge fu adottato il D.Lgs. 31.3.1998, n. 112, che ha
ridistribuito le funzioni statali in senso autonomistico, realizzando quello che è stato anche definito
federalismo municipalizzato (data la centralità del Comune nello svolgimento delle funzioni
amministrative) o federalismo amministrativo.

120
2. Le modifiche del titolo V della Costituzione
L'art. 114 Cost., che nella precedente formulazione prevedeva che la Repubblica si ripartiva in
Regioni, Province e Comuni, nella nuova formulazione data dalla L. Cost. 3/2001 ha ridisegnato
l'assetto composito della Repubblica, stabilendo che essa è costituita da Comuni, Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato. Ha inoltre previsto che Roma è la capitale della Repubblica, il cui
ordinamento è disciplinato con legge statale.
In questo contestò trova spiegazione anche la ripartizione della potestà legislativa tra Stato e
Regioni (e le Province Autonome di Trento e Bolzano) con l'attribuzione non più allo Stato, ma alle
Regioni della funzione legislativa generale per tutte le materie non oggetto di specifica attribuzione
allo Stato, nonché la costituzionalizzazione dell'attribuzione anche alle Regioni della potestà
regolamentare generale, tranne quelle di competenza dello Stato, dei Comuni, delle Province e
delle Città metropolitane (art. 117, VI comma Cost.).

3. La funzione legislativa tra Stato e Regioni


La L. Cost. 3/2001 ha modificato radicalmente la ripartizione della funzione legislativa tra Stato e
Regioni.
Cosicché lo Stato aveva una potestà legislativa generale per ogni altra materia.
Per le Regioni a statuto speciale l'autonomia ad esse assicurata dall'art. 116 Cost. si è concretizzata
nel riconoscimento, in aggiunta a quanto previsto per le Regioni ordinarie, di una potestà
legislativa a carattere esclusivo, vale a dire con esclusione della potestà legislativa concorrente
dello Stato, per alcune materie indicate nei rispettivi Statuti. Tuttavia tale potestà deve pur sempre
osservare, oltre la Costituzione, i principi fondamentali dell' ordinamento giuridico e quelli delle
leggi di riforme economico-sociali, ferma restando la limitazione territoriale.
La ripartizione della funzione legislativa tuttavia, a stretto rigore, malgrado la lettera dell' art. 117,
non riguarda sempre specifiche materie, in quanto nelle elencazioni dell'art. 117 a volte si fa
piuttosto riferimento a competenze, le quali possono riguardare vari settori materiali. Si pensi ad
esempio alla competenza dello Stato in ordine alla tutela della concorrenza, la quale può incidere
su diverse materie (ad esempio per quanto riguarda appalti di opere pubbliche) di competenza
regionale; alla tutela dell' ambiente, dell' ecosistema e dei beni culturali, che interferisce con la
competenza regionale relativa alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali ed alla
promozione e organizzazione di attività culturali.
In altri casi allo Stato è attribuita una competenza legislativa di ordine generale, come avviene con
l'istruzione, ma che è al tempo stesso fondamentale rispetto alla competenza concorrente delle
Regioni, sempre in materia di istruzione.
Allo Stato peraltro non è stato assicurato il potere di far valere con interventi positivi l'interesse
nazionale, ove confliggente con quello regionale.
L'interesse nazionale, il cui riferimento è stato abolito negli artt. 117 e 127, può soltanto costituire
un limite negativo nei confronti della legislazione regionale in relazione alla previsione dell' art. 5
Cost. che sancisce il principio dell'unità e indivisibilità della Repubblica.
Ed esso può essere fatto valere, entro tali limiti, in sede di impugnativa della legislazione regionale
dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell' art. 127 Cost.

121
I limiti alla legislazione regionale possono quindi essere così riassunti:
1) Rispetto della Costituzione e delle Leggi costituzionali;
2) Osservanza dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Tale limite riguarda
peraltro anche la legislazione dello Stato;
3) Efficacia territoriale della disciplina;
4) Osservanza dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato (limite questo della legislazione
concorrente);
5) Rispetto del principio dell'unità e deirindivisibilità della Repubblica e dell'interesse nazionale da
esso desumibile.

4.1controlli sull'attività legislativa regionale


Non occorre quindi più il visto del Commissario di governo e la legge regionale viene promulgata
e pubblicata dopo la sua approvazione da parte del Consiglio regionale.
H Governo può però esercitare un controllo successivo, ove ritenga che la legge regionale sia in
costituzionale, sollevando la questione di legittimità costituzionale in via diretta dinanzi alla Corte
Costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

5. La funzione regolamentare
Ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane è stata attribuita la potestà regolamentare per
quanto attiene alla disciplina della loro organizzazione e dello svolgimento delle loro funzioni.
Lo Stato conserva potestà regolamentare soltanto per le materie rientranti nella sua potestà
legislativa esclusiva, salva eventuale delega alle Regioni. Cosicché allo Stato rimane ben poco
della competenza regolamentare, anche se occorre considerare che nella sua potestà legislativa (e
conseguentemente in quella regolamentare) rientrano ambiti di competenze che si intrecciano
trasversalmente con competenze regionali.
L'attribuzione della competenza regolamentare alle Regioni comporta che esse possono
provvedere anche a definire la tipologia dei regolamenti, sia negli statuti che in apposite leggi
organizzative ed in modo conforme o difforme dalle previsioni dell'art. 17 della legge statale n.
400/1.988.

6. La funzione amministrativa
Quanto alla attività amministrativa la riforma del titolo V della Costituzione ha abbandonato il
criterio del parallelismo delle funzioni aniministrative e legislative, precedentemente seguito dall'
art. 118, ed ha «costimzionalizzato» il ed. federalismo amministrativo di tipo municipale, verso il
quale si era già orientato il legislatore ordinario con la Legge n. 59 del 1997.
Secondo il I comma dell' art. 118 Costle funzioni amministrative sono, in via generale, attribuite ai
Comuni.
Il conferimento di funzioni, come dispone il II comma dell' art. 118, deve awenire con legge dello

122
Stato o della Regione a seconda delle rispettive competenze. Occorrerà quindi una legge dello
Stato per quanto concerne le funzioni rientranti in uno degli ambiti oggetto della propria
legislazione esclusiva, e una legge regionale negli altri casi.
Peraltro l'art. 118 al II comma prevede, con formulazione poco felice, che Comuni, Province e Città
Metropolitane (lo Stato e la Regione non compaiono) sono titolari di funzioni anmiinistrative
proprie, oltre che di quelle conferite con legge statale o regionale. Ciò significa che oltre il Comune,
che ai sensi del primo comma ha una competenza amministrativa generale, lo stesso Comune e gli
altri Enti territoriali sono titolari di funzioni proprie.

Nel definire le funzioni amministrative fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città
metropolitane lo Stato deve tener conto degli stessi criteri stabiliti dall' art. 1181 comma, vale a dire
quelli della sussidiarietà, della differenziazione e della adeguatezza, i quali sono criteri di ordine
generale per la distribuzione delle competenze amministrative ai vari livelli. Ciò comporta che si
tenga conto delle reali capacità amministrative organizzative e di ordine tecnico dei vari Enti. Il che
potrebbe anche comportare differenziazioni nell'attribuzione delle funzioni fondamentali.
L'attribuzione di funzioni ai vari Enti deve peraltro avvenire contemporaneamente alla provvista
delle necessarie risorse finanziarie, in quanto l'art. 119 Cost. al quinto comma prevede
specificamente, che l'attribuzione di funzioni agli Enti territoriali deve comportare anche il loro
integrale finanziamento.

7. La sussidiarietà orizzontale
L'art 118 della Costituzione con le modifiche apportate dalla L. Cost. 3/2001 ha introdotto al IV
comma il principio della ed. sussidiarietà orizzontale, stabilendo che tutti gli Enti territoriali, dallo
Stato ai Comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associa ti per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Tale normativa va collegata ai principi fondamentali sanciti dagli art. 2 e 3, n comma Cost, ove si
garantiscono i diritti dell'uomo sia come singoli sia nelle formazioni sociali e la ed. eguaglianza
sostanziale.

8. Le intese tra lo Stato egli Enti territoriali


Forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) ed h) dell' art. 117, n
comma, vale a dire in materia di immigrazione, ordine pubblico e sicurezza e per la tutela dei beni
culturali, rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell' art. 118, II comma,
saranno disciplinati con legge dello Stato.
In realtà si è trattato di una soluzione di rimedio rispetto a quella, consona con la tendenza verso un
compiuto federalismo, rappresentata dalla differenziazione delle Camere del Parlamento per co-
stituire una rappresentanza degli interessi delle Entità territoriali, regionali o federali che siano.

123
9. L'autonomìa finanziaria
L'art. 119 Cost. ha attribuito autonomia finanziaria di entrata e di spesa a tutti gli Enti territoriali,
vale a dire ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni e non solo a quest'ul-
time, com' era previsto nella precedente formulazione dell' articolo.
In particolare è previsto che tali Enti hanno risorse autonome e stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario. Essi inoltre dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile alloro territorio.
Soltanto la possibilità di stabilire autonomamente tributi ed entrate propri e non soltanto le spese
consente invero agli Enti di avere una reale autonomia finanziaria.
Per poter attuare siffatta autonomia occorre quindi che lo Stato intervenga, da un lato stabilendo i
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in modo da
rendere possibile l'esplicazione dell' attività legislativa regionale, e dall'altro definendo le linee
della finanza statale, tenendo conto delle esigenze di compartecipazione degli Enti territoriali al
gettito dei tributi erariali. Gettito peraltro riferibile al territorio degli stessi Enti.
Per correggere eventuali squilibri finanziari tra gli Enti in dipendenza della minore capacità fiscale
nel territorio per abitante è previsto al III comma dell'art; 119 l'intervento dello Stato con apposita
legge istitutiva di un fondo perequativo.

10. I controlli sulle Regioni e sugli Enti locali


La riforma del Titolo V della Costituzione ha fatto venir meno i controlli amministrativi previsti
dagli abrogati artt. 125,1 comma e 130 Cost.
Dall' altro occorre considerare che la previsione all' art. 118 Cost. della generale potestà
amministrativa in capo ai Comuni con la contestuale possibilità di uno spostamento delle funzioni
con loro conferimento ad altri soggetti, quando ricorrono le condizioni previste dallo stesso art. 118,
non esclude affatto che l'attività, sia dei Comuni, che degli altri Enti, possa essere controllata. Anzi
proprio la circostanza che le funzioni possano essere conferite e ripartite tra altri Enti per ragioni di
adeguatezza presuppone che vi sia un controllo.
La Corte Costituzionale ha più volte dichiarato la legittimità di interventi anche sostitutivi delle
Regioni nei confronti degli Enti locali, con riguardo all'esercizio di funzioni amministrative ad essi
conferite con legge regionale. Ha tuttavia anche previsto i limiti di tali interventi, a tutela della
autonomia costituzionalmente garantita. Gli interventi vanno disciplinati con legge, devono
riguardare atti e attività privi di discrezionalità nell' an, devono essere affidati ad un organo di
governo della regione o comunque sulla base di una decisione di questo, devono seguire procedure
in conformità del principio della leale collaborazione.
In base a tali principi è stato ritenuto illegittimo il conferimento di interventi sostimtivi nei
confronti di enti locali direttamente al difensore civico, in quanto trattasi non di organo di governo
della regione, bensì di organo titolare di funzioni connesse alla tutela della legalità e della
regolarità dell'ainministrazione, vale a dire di controllo, come definiti dall'art. 136 del D.Lgs.
267/2000.

124
11.11 potere sostitutivo del Governo
L'art. 120, II comma Cost, a sua volta, prevede che: // Governo può sostituirsi a organi delle
Regioni delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di
norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per
l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o
dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
Va escluso, malgrado qualche orientamento favorevole alla sua ammissione, un potere sostitutivo
sul piano legislativo in base alla previsione dell'art. 120, II comma Cost. Sostituzione che peraltro
dovrebbe essere esercitata dal Governo.
La norma costituzionale infatti da un lato prevede specificamente una sostituzione tra organi in
quanto tali, dall'altro non menziona affatto la potestà legislativa. Né può assolutamente riferirsi ad
essa, dal momento che il Governo non è titolare della funzione legislativa statale, che potrebbe
esercitare soltanto a seguito di delega legislativa o in via temporanea con Decreto legge, salvo la
sua conversione ad opere del Parlamento, né potrebbe esercitare, a nessun titolo, quella riservata
alla Regione.

11. Le Regioni e la forma di governo regionale


Le Regioni sono Enti territoriali costituzionali che danno diretta e immediata esecuzione alla
Costituzione, in quanto sono titolari di funzione legislativa, di poteri di intervento nei confronti
della legislazione dello Stato, essendo dotate del potere di iniziativa rispetto alle leggi dello Stato,
della possibilità di richiedere il referendum abrogativo di tali leggi e quello relativo alle leggi
costituzionali, di quella di impugnare le leggi statali dinanzi alla Corte costituzionale, e di tutelare
le proprie funzioni attraverso la proposizione di conflitti di attribuzione.
Tuttavia, ai sensi dell'art. 126, II comma Cost., il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei
confronti del Presidente con mozione motivata. La mozione va presentata da almeno un quinto dei
componenti del Consiglio, non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla
presentazione e va votata per appello nominale. Per essere approvata occorre la maggioranza
assoluta dei componenti il Consiglio.

2. Statuti regionali
L'autonomia organizzativa regionale è riconosciuta alle Regioni ordinarie dall'art. 123 Cost., il
quale attribuisce loro il potere statutario. Per le Regioni a Statuto speciale gli Statuti sono invece
approvati con legge costituzionale.
La Costituzione ha invero stabilito quali sono gli organi fondamentali della Regione, vale a dire il
Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente (art. 121). Ha previsto che il Consiglio regionale
ha un proprio Presidente e un ufficio di Presidenza (art. 122). Ha stabilito che il Consiglio può
esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta (art. 126, II comma). Possibilità che
non appare collegata esclusivamente col modello (peraltro derogabile dagli Statuti), secondo cui,
quando l'elezione del Presidente avviene a suffragio universale e diretto (art. 122, V comma), il

125
venir meno del Presidente comporta automaticamente come effetto la decadenza della Giunta e
dello stesso Consiglio (art. 126, III comma). Ha attribuito alla legge regionale e non allo statuto
nell' ambito peraltro dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (la quale
stabilisce anche la durata degli organi elettivi)la competenza a disciplinare la materia elettorale
(tanto il sistema elettorale, quanto i casi di ineleggibilità e incompatibilità). Ha stabilito peraltro
essa stessa alcune incompatibilità, come quelle tra le cariche di componente del Consiglio, della
Giunta (della propria o di altre Regioni) e quella di parlamentare nazionale o europeo.

3. Il Consiglio regionale
Il Consiglio regionale è un organo elettivo (art. 122 Cost), rappresentativo del popolo residente
nella Regione.
La Costituzione peraltro non prevede l'elezione universale e diretta dei Consiglieri, mentre è
prevista, salvo diversa disciplina regionale, l'elezione universale e diretta del Presidente della
Giunta regionale. L'art. 5 della L. Cost. 22.11.1999, n. 1 ha tra l'altro previsto, in via transitoria, le
modalità di elezione del Presidente della Giunta regionale.
L'elezione universale e diretta dei Consiglieri è invece prevista da leggi statali che attualmente
regolano le elezioni regionali.
A parte i casi di decadenza connessi con la decadenza del Presidente della Giunta regionale e con le
dimissioni con testuali della maggioranza dei componenti il Consiglio, l'art. 126 Cost. prevede che
il Consiglio regionale può essere sciolto con decreto motivato del Presidente della Repubblica,
sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali, quando abbia compiuto atti
contrari alla Costituzione o gravi violazione di legge, oppure per ragioni di sicurezza nazionale. La
legge 10.2.1953, n. 62 ha poi previsto che la proposta di scioglimento viene presentata al
Presidente della Repubblica dal Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri.
I Consiglieri regionali sono rappresentativi della intera comunità popolare regionale. La legge
165/2004 ha invero introdotto il divieto del mandato imperativo (art. 4, letto c).
Essi godono inoltre della insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle
loro funzioni (art. 122, IV comma Cost.).
II Consiglio regionale oltre ad essere titolare della funzione legislativa esercita altre funzioni,
esecutive e amministrative, conformemente alle previsioni della Costituzione e dei rispettivi Statuti
regionali.

4.77 Presidente della Giunta regionale


Come dispone l'art. 121, IV comma Cost, il Presidente della Giunta regionale rappresenta la
Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i
regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione,
conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.
Può essere rimosso a seguito di una mozione di sfiducia approvata dal Consiglio regionale a
maggioranza assoluta dei propri componenti. La rimozione del Presidente eletto a suffragio

126
universale e diretto comporta la decadenza anche della Giunta e lo scioglimento
del Consiglio (simul stabunt simul cadunt).
L'art. 126, I comma Cost. prevede la sua rimozione, con decreto motivato del Presidente della
Repubblica, per le stesse ipotesi e con il medesimo procedimento previsto per lo scioglimento del
Consiglio regionale.

5. La Giunta regionale
La Giunta è l'organo esecutivo della Regione che sovrintende all'Amministrazione regionale. Essa
si compone di Assessori che, stando alla disciplina transitoria stabilita dall'art. 122, V comma, sono
nominati e revocati dal Presidente che sia stato eletto dai cittadini residenti nella Regione.
Il numero degli assessori è determinato dagli statoti regionali. Essi svolgono le funzioni delegate
dal Presidente per determinati settori di competenza, conformemente alle disposizioni dello Statuto
regionale.

Ili - Le autonomie locali

1. l'autonomia normativa degli Enti locali e i suoi limiti


L'autonomia normativa, statutaria e regolamentare, dei Comuni, delle Province e delle Città
metropolitane trova riconoscimento costituzionale rispettivamente negli artt. 114 e 117 Cost.
Siffatte riserve di competenze, che riguardano l'organizzazione di tali Enti e le modalità di
svolgimento delle loro attività, non valgono però a far assurgere statuti e regolamenti nel sistema
delle fonti del diritto al rango di fonti primarie. In tale materia, nell' ordinamento italiano
improntato al principio di legalità, è pur sempre la fonte legislativa che, in quanto fonte primaria e
di grado superiore, prevale su tali fonti.
Siffatti principi informano quindi l'organizzazione e le funzioni di tutte le Pubbliche
Amministrazioni, ivi comprese quelle degli enti locali.
Pertanto il potere normativo di tali enti, che si esprime con l'adozione di statuti e regolamenti,
malgrado la loro costituzionalizzazione e la conseguente riserva di competenza, è subordinato
gerarchicamente alla legge, statale o regionale.
A tali competenze occorre anche aggiungere quella che deriva dall'esercizio da parte dello Stato o
delle Regioni del potere di trasferimento di funzioni amministrative dai Comuni agli altri Enti
territoriali, ai sensi dell'art. 118 Cost., per esigenze di unitarietà di esercizio secondo i principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Anche l'organizzazione finanziaria è sottoposta tanto alla legge statale, quanto a quella regionale,
ai sensi dell' art. 117, n comma, letto e) e del II comma.
Discorso parzialmente diverso merita l'ordinamento degli 'enti locali nelle Regioni a Statuto
speciale, che rientra nella potestà legislativa regionale.

127
In ciascun ambito locale si pone poi il problema del rapporto tra statuto e regolamenti.
L'integrazione che viene a realizzarsi tra le fonti dei diversi enti componenti la Repubblica
sottintende peraltro un rapporto di collaborazione tra di essi, che deve essere improntato a lealtà ed
avvenire sulla base di intese, come affermato dalla Corte costituzionale.
Siffatti principi trovano peraltro esplicito riconoscimento costituzionale nell' art. 120 Cost. con
riguardo al controllo sostitutivo esercitato dal Governo e nell'art. 123, ultimo comma, ove è stata
prevista l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali come organo di raccordo tra Regioni ed
enti locali.
La legge 131/2003 all' art. 9 ha inoltre demandato a tale organo il compito di proporre alla Regione
la promozione di questioni di legittimità costituzionale di leggi statali, analogamente alla proposta,
diretta invece al Governo da parte della conferenza Stato-Città ed autonomie locali, per
promuovere questioni di legittimità costituzionale avverso leggi regionali.

2. Statuti e regolamenti
A differenza di quanto è previsto nell' art. 123 Cost. con riguardo agli statuti regionali, per i quali la
Costituzione ha stabilito anche il loro contenuto necessario, nell' art. 114 Cost. nulla è specificato
in ordine agli statuti degli enti locali e al rapporto con i regolamenti, a parte il riferimento ai
principi costituzionali.
L'art 4, II comma L. 131/2003 ha peraltro stabilito la prevalenza gerarchica dello Statuto rispetto ai
regolamenti.
Si realizza così una integrazione della loro normativa non solo al loro interno tra regolamenti e
statuti, ma anche con la normativa statale e regionale, la quale non va però vista come un
superamento dei principi di gerarchia e di competenza tra le fonti, come si è anche sostenuto, ma
piuttosto come una potestà normativa che si esercita nel quadro della gerarchia e della competenza.
La fonte inferiore, ancorché assistita da una riserva di competenza, dà pur sempre attuazione ai
principi stabiliti dalle altre fonti.

3. Comuni e Province
H Comune è l'ente territoriale a fini generali più vicino alla comunità popolare, che trae origine
dalle più antiche comunità territoriali esistenti e preesistenti allo Stato moderno.
La Provincia è un ente territoriale intermedio tra Comune e Regione con funzione prevalentemente
programmatrice.

4. Gli organi di governo (Consiglio, Sindaco e Presidente, Giunte)


Organi fondamentali e di governo del Comune e della Provincia sono rispettivamente il Consiglio
comunale e quello provinciale , la Giunta comunale e quella provinciale, il Sindaco e il Presidente
della Provincia (art. 36, T.u. 267/2000).
II Sindaco e il Presidente della Provincia sono gli organi responsabili dell' amministrazione,
rispettivamente comunale e provinciale, rappresentano il Comune e la Provincia, convocano e

128
presiedono la Giunta ed il Consiglio nel caso manchi il loro Presidente.
Essi sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti; esercitano
le funzioni attribuite da leggi, statuti e regolamenti e sovrintendono alle funzioni statali o regionali
attribuite o delegate al Comune e alla Provincia.
Il Sindaco inoltre adotta le ordinanze contingibili ed urgenti nei casi di emergenza sanitaria e di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, mentre negli altri casi adotta le misure necessarie
fino a quando non sia intervenuto lo Stato o la Regione.
Nei servizi di competenza statale agisce quale ufficiale di governo. Sovrintende alla tenuta dei
registri di Stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia
elettorale, di leva militare e di statistica. Ha funzioni in materia di ordine e sicurezza pubblica e
adotta in tali materie ordinanze contingibili e urgenti.

5. Elezione degli organi comunali e provinciali


L'elezione del Sindaco e del Presidente della Provincia avviene con testualmente all' elezione
rispettivamente dei Consigli comunali e provinciali.
La legge (TU. 267/2000) prevede modalità diverse a seconda che si tratti di Comuni con
popolazione inferiore o superiore a 15.000 abitanti o delle Province.
Per il Consiglio comunale le liste collegate al candidato vincitore ottengono un premio di
maggioranza pari al 60% dei seggi, ove abbiano ottenuto almeno il 40% dei voti validi al primo
rumo e nessun altra lista o gruppo di liste abbia superato il50% dei voti validi. Ove si proceda al
secondo turno il premio di maggioranza è attribuito, ove le liste o gruppi di liste collegate non
abbiano già conseguito il 60% dei seggi e altre liste collegate non abbiano ottenuto più del 50% dei
voti validi (art. 73).
E prevista la possibilità di sfiduciare il Sindaco e il Presidente della Provincia con una mozione di
sfiducia votata per appello nominale ed approvata a maggioranza assoluta dei componenti il
Consiglio. In tal caso si procede allo scioglimento del Consiglio e alla nomina di un Commissario
che si occuperà della provvisoria amministrazione dell'Ente.

6. Gli organi amministrativi


La separazione tra politica ed amministrazione ha portato all'attribuzione delle attività di gestione
al personale arnministrativo dirigenziale. Spetta quindi ai Dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo le norme previste dagli statuti e da regolamenti.
I Comuni e le Province hanno un Segretario (comunale o provinciale) che svolge compiti di
collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-ammiiiistrativa (art. 97 T.u.). Egli sovrintende
allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo che si sia provveduto alla
nomina di un Direttore generale dell'Ente.

129
7. Le Città metropolitane
Le Città metropolitane, già previste dalla legislazione orciinaria (v. artt. 22 e 23 TU. 267/2000),
hanno trovato riconoscimento costituzionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
Attualmente sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri Comuni i cui insediamenti sono
con essi integrati territorialmente ed economicamente. Per le Regioni a Statuto speciale tali aree
sono da esse definite.

8. Le circoscrizioni comunali i municipi e le comunità montane


Neil' ambito comunale sono previste Circoscrizioni, organi di decentramento comunale ed
organismi di partecipazione, consultazione e di gestione dei servizi di base, nonché di esercizio di
funzioni delegate dal comune (art. 16 TU.).

9. Esercizio di funzioni in modo associato


Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati gli Enti locali possono
stipulare tra di loro apposite Convenzioni (art. 30 T.U).Per la gestione associata di uno o più servizi
e l'esercizio associato di funzioni possono costituire un Consorzio secondo le norme previste per le
Aziende speciali (art. 31).

1 0 . 1 servizi pubblici locali


Il T.U. 267/2000 (con le modifiche e integrazioni apportate dal D.L. 30.9.2003 n. 269, dalla L.
24.12.2003, n. 350 e dalla L. 15.12.2004, n. 308) ha disciplinato agli artt. 112 e segg. i servizi p u b
b 1 i c i degli enti locali aventi ad oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini
sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. A seconda dei casi
sono previste Società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, Società a
capitale misto o società a capitale individuate con procedure ad evidenza pubblica (art. 113).

130
CAPITOLO TREDICESIMO
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L' ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

I - Amministrazione - Atti - Invalidità

1. La Pubblica amministrazione e gli Enti pubblici


L'attività ammMstrativa che in senso lato, con riguardo a un singolo soggetto, consiste nell' attività
con la quale egli cura i propri interessi, riferita ai pubblici poteri è quella parte del potere esecutivo
che accanto alla attività di indirizzo politico dà esecuzione alla Costituzione e alle Leggi.
L'individuazione degli Enti pubblici a volte presenta difficoltà, quando manca una disposizione di
legge che ad essi conferisca la personalità pubblica. Si ricorre allora a vari criteri, costituiti ora dal
fine pubblico perseguito, ora dall'interesse pubblico che si intende realizzare, ora dal particolare
regime che li riguarda, e in particolare dall' esistenza di rapporti di controllo, vigilanza e indirizzo
da parte di altri soggetti pubblici.
In realtà è il particolare regime giuridico cui l'ente è sottoposto, unitamente ai poteri autoritativi
che gli sono attribuiti, ciò che distingue un ente pubblico da uno privato, in quanto anche un
soggetto privato può avere di mira la realizzazione di finalità pubbliche o perseguire interessi
pubblici..

2.L'attività della Pubblica Amministrazione. Egli atti amministrativi


Gli altri atti amministrativi si distinguono di solito in atti ed. negoziali o prowedimenti, in cui la
volontà rileva in quanto diretta alla produzione dell' effetto tipico dell' atto, che consiste nell'
ampliamento o nella diminuzione della situazione giuridica del o dei soggetti destinatari, e meri atti,
in cui la volontà rileva solo in quanto relativa alla adozione dell'atto come tale e consiste, ad
esempio, in manifestazione di giudizi, di conoscenza, di apprezzamento.

3. Atti vincolati e discrezionali. La discrezionalità tecnica


Gli atti amministrativi possono essere vincolati o discrezionali. Vincolati sono quelli per i quali
l'Amministrazione è tenuta ad osservare rigorosamente le regole imposte alla sua attività.
Discrezionali sono quelli per i quali all' Amministrazione è attribuita una facoltà di scelta in ordine
alla valutazione degli interessi rispetto ai quali va esercitato il potere conferitole. La discrezionalità,
che non significa arbitrio, in quanto la Pubblica Amministrazione è pur sempre vincolata alla
realizzazione dell'interesse pubblico e in particolare a perseguire lo specifico interesse sotteso al
provvedimento da adottare, consente alla Amministrazione di scegliere se adottare il
provvedimento, quando adottarlo, in che modo agire, in quale misura, tra diverse soluzioni quale
prescegliere e così via.

131
4.1provvedimenti amministrativi
I prowedimenti possono essere classificati in vario modo.
a) prowedimenti che incidono sulle qualità di persone o cose, come il conferimento o la
modificazione e di status, la ammissione ad una gara o ad un concorso, la classificazione di una
area di un edificio per fini edificatori e così via;

b) provvedimenti che conferiscono nuove posizioni giuridiche, come le con cessioni, che possono
essere costitutive, quando fanno sorgere diritti e facoltà ex novo in capo al destinatario, oppure
traslative, quando trasferiscono poteri e facoltà di cui l'Amministrazione è titolare, inerenti a diritti
su beni pubblici e servizi pubblici, come, ad esempio, le concessioni di suolo pubblico, di ferrovie,
oppure come le sovvenzioni, con cui si eroga una somma di denaro per fini di pubblico interesse;

c) prowedimenti che consentono ai destinatari l'esplicazione di attività inerenti a diritti già


sussistenti, come le autorizzazioni, che rimuovono limiti all' esercizio di diritti o potestà, le
abilitazioni, come, ad esempio, l'abilitazione all' esercizio professionale o alla conduzione di
veicoli, le licenze, che consentono l'esplicazione di una facoltà inerente ad un diritto, come le li-
cenze di esercizio di un' attività commerciale o la concessione edilizia;

d) prowedimenti che diminuiscono o limitano diritti e facoltà, come l'espropriazione di beni


immobili per pubblica utilità, con cui si trasferisce coattivamente un bene dal proprietario ad altro
soggetto, previo indennizzo, per ragioni di pubblico interesse, la confìsca, che è un trasferimento
coattivo, senza indennizzo, di cose con le quali si è commesso un illecito penale o amministrativo,
la requisizione, che può essere in proprietà o in uso, e salvo indennizzo, gli ordini, che impongono
obblighi di fare, oppure i di vieti;
e) prowedimenti che intervengono su altri prowedimenti, come la revoca, la sospensione ,
l'annullamento di un precedente prowedimento, la modifica, la conferma o la proroga di un
prowedimento, la sanatoria di prowedimenti affetti da invalidità.

5 . 1 meri atti
I meri atti possono essere classificati come: a) atti di scienza , come le certificazioni, le
documentazioni, le autenticazioni, le pubblicazioni di atti o documenti; b) atti di valutazione, come
i collaudi o gli esami; c) atti di apprezzamento, come gli accertamenti sanitari e in genere gli atti di
controllo, i quali possono essere preventivi o successivi o anche sostitutivi e possono concretarsi in
un visto, un'approvazione, nell'omologazione; d) atti di opinione, come i pareri, che possono essere
facoltativi o obbligatori, vincolanti o non vincolanti, oppure le designazioni di persone a
determinate cariche; e) atti di impulso, come le richieste, le proposte con cui si sollecita l'attività di
una autorità, le direttive, le diffide, le contestazioni, con cui si disconosce l'esistenza di determinati
fatti o situazioni o si addebita alcunché.

132
6. Categorie di atti e comportamenti
Con riguardo alla loro efficacia possono essere interni od esterni. Quelli interni hanno efficacia
soltanto all'interno dell'apparato della Pubblica Amministrazione, pur potendo condizionare la
validità di atti a rilevanza esterna. Quelli a rilevanza esterna producono effetti nei confronti di altri
soggetti.
Con riguardo ai destinatari gli atti e i prowedimenti possono essere individuali, se hanno un solo
destinatario; generali; se riguardano una pluralità di soggetti e i destinatari non sono determinabili
a priori, come i bandi di concorso. Essi differiscono dai regolamenti, in quanto non hanno un
contenuto normativo; collettivi, se riguardano una pluralità di destinatari inscindibilmente (ad
esempio lo scioglimento del Consiglio Comunale); plurimi se riguardano la pluralità di destinatari,
ma sono scindibili in tanti singoli atti (ad es. nomina di più vincitori ad un concorso).

7. Elementi essenziali ed accidentali dell'amministrativo


Gli elementi essenziali di un atto amministrativo sono il soggetto (organo della Pubblica
Amministrazione che pone in essere l'atto), l'oggetto su cui opera l'atto (che può essere tanto un
bene materiale (es. un terreno da espropriare), quanto un soggetto (es. un'impresa aspirante
all'ammissione ad una gara pubblica), il contenuto, costituito da ciò che viene disposto con l'atto, la
finalità o funzione istituzionale che l'atto intende assolvere, che corrisponde ad uno dei vari tipi di
atto amministrativo, la forma in cui si esterna l'atto, quando è richiesta ad substantiam, la quale può
essere scritta, ma anche verbale (come i segnali acustici o gli ordini emessi da militari) o
comportamentali (come i movimenti del corpo effettuati per la direzione del traffico stradale).
Le riserve sono clausole apposte al prowedimento, con le quali l'amniinistrazione si assicura la
possibilità di intervenire in futuro sul prowedimento, ad esempio per risolvere il rapporto come
con la previsione del riscatto di una concessione.
Altre clausole accidentali possono essere apposte ai prowedimenti, purché non ne alterino il
contenuto tipico.
La mancanza degli elementi essenziali dell' atto ne deterrnina la nullità assoluta.

8. Caratteri dell' atto amministrativo


Caratteristiche dell' atto arnministrativo sono la autorietà, la quale consente all'atto di produrre
unilateralmente effetti nelle sfere giuridiche dei destinatari; l'esecutorietà, la quale consente
air Amministrazione di portare ad esecuzione l'atto direttamente, senza necessità di ottenere
previamente una pronuncia giurisdizionale. Tuttavia l'esecutorietà può essere sospesa o fatta venir
meno ad opera di altra autorità amministrativa a ciò competente o dall' autorità giurisdizionale;
l'inoppugnabilità, la quale preclude ai soggetti interessati alla rimozione dell' atto o ad ottenere
l'atto di poterlo impugnare dopo che siano trascorsi i termini per l'impugnabilità. L'inoppugnabilità
non preclude peraltro all'Arrmiinistrazione di intervenire sull' atto in via di autotutela.

133
9. Procedimento amministrativo
Il procedimento di formazione degli atti amministrativi è stato disciplinato dalla L. 7.8.1990, n. 241,
la quale si è ispirata ai principi della trasparenza, della partecipazione, della semplificazione (per
non aggravare il procedimento con attività non strettamente necessarie), della celerità (in relazione
alla quale, dopo il decorso inutile di un determinato tempo stabilito previamente per le diverse
tipologie di atti e che, se non previsto dalle singole Anmxinisirazioni, è di novanta giorni, è data
all'interessato la possibilità di ricorrere direttamente al giudice amministrativo contro il silenzio
rifiuto così formatosi).
Ad un fase preparatoria, con la quale si avvia il procedimento, si effettua l'istruttoria, si
acquisiscono documenti e pareri, segue la fase costitutiva vera e propria nella quale, dopo
valutazione degli elementi acquisiti e ponderazione degli interessi in gioco, sia pubblici che privati,
si adotta l'atto.
A tale fase segue quella della integrazione dell' efficacia, che si sostanzia nell' espletamento di
eventuali controlli preventivi e di forme di pubblicità. A conclusione di tale fase l'atto è efficace.
Nell'ambito del procedimento, quando si renda opportuno esaminare contestualmente vari interessi
pubblici, l'Amministrazione indice di regola una conferenza di servizi (art. 14 e segg.). Essa deve
essere sempre indetta quando occorre acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi di altre
Amministrazioni pubbliche e non li si sia ottenuti, ancorché richiesti formalmente. Anche i privati
possono chiedere la sua indizione.
Per accelerare i tempi di conclusione del procedimento le Anmiimstrazioni stabiliscono il termine
entro il quale deve essere adottata la decisione.
Nell'ambito della Conferenza di servizi l'Amniinistrazione procedente tiene conto della prevalenza
delle posizioni espresse. Se il dissenso è espresso dall' Amministrazione preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e
della pubblica incolumità, la decisione è rimessa al Consiglio dei' Ministri o alla Conferenza
Stato-Regioni o a quella unificata, a seconda che si tratti di dissenso tra Amministrazioni statali
oppure tra amministrazioni statali e regionali e tra amministrazioni statali, regionali e di enti locali.

10. Invalidità dell'atto amministrativo: a) Vizi di merito


L'atto amministrativo, che non sia nullo per mancanza di uno degli elementi essenziali, si presume
legittimo. Esso può tuttavia essere invalido se incorre in uno dei vizi di legittimità o di merito, ma
fintanto che non viene rimosso a seguito di un intervento dell'Autorità arnministrativa o di quella
giurisdizionale continua a produrre effetti.
L'annullamento per vizio di merito peraltro differisce dalla revoca per ragioni sopravvenute di
opportunità. A volte si adotta un atto, definito di revoca, per annullarne un altro. In tal caso non si
tratta di vera revoca ma di revoca per annullamento.

11. b) Vìzi di legittimità


Il vizio di legittimità consiste nella mancanza di conformità dell'atto ai requisiti previsti dall'
ordinamento in ordine ai suoi vari elementi e si verifica quando esso è affetto da incompetenza,

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eccesso di potere o violazione di legge (art. 26 R.D. 26.6.1924, n. 1054).
Non qualunque uso del potere può dare luogo all'eccesso di potere, ma solo quello che in maniera
rilevante e considerevole «eccede»dal principio fondamentale della buona amministrazione.
Tale vizio non consiste quindi in un vizio di merito, vale a dire non riguarda l'opportunità, la
convenienza o l'adeguatezza in sé dell'atto, anche se per accertarne la sussistenza l'esame viene
comunque portato sulla scelta discrezionale operata.
Le difficoltà che indubbiamente sussistono per individuare tale vizio e distinguerlo da quello di
merito ha indotto la giurisprudenza amministrativa ad elaborare alcune figure particolari di eccesso
di potere (le ed. figure sin tom a tic he), che consistono in sintomi o indizi, dalla ricorrenza dei quali
nei casi concreti può dedursi l'esistenza del vizio.
La violazione di legge, ove legge va intesa in senso materiale, consiste nella violazione delle norme
che attengono alla disciplina dell' atto con riguardo al soggetto, all'oggetto, al contenuto o alla
forma.
Si tratta di un vizio residuale rispetto alle altre due categorie, anche se, ad esempio, una
incompetenza concreta necessariamente la violazione delle norme che la regolano e le figure
sintomatiche possono coincidere con la violazione di principi che regolano l'esercizio del potere.

12. Sanatoria dell'atto invalido


L'invalidità di un atto amministrativo può essere sanata in alcuni casi dalla Pubblica
Anmainistrazione in via di autotutela, eliminando i suoi vizi.
La convalida consiste in un nuovo atto che elimina i vizi formali e procedimentali dell' atto. Deve
trattarsi di un atto adottato dalla stessa Amministrazione.
Diversa dall'intervento su un atto invalido è la conferma, con la quale l'Anmiinistrazione si
pronuncia nuovamente su un atto già adottato, ribadendone il contenuto.

13. Contratti della Pubblica Amministrazione


La Pubblica Amministrazione nel perseguire i suoi scopi può anche non servirsi di strumenti
pubblici, ma, quando è possibile, ricorrere agli strumenti offerti dal diritto privato. Può quindi
stipulare contratti ponendosi sullo stesso piano dei soggetti privati.
Tuttavia anche per tale attività essa deve osservare determinate regole e va incontro a dei limiti in
dipendenza della sua natura pubblica.
I sistemi usuali sono costituiti: a) dall'asta pubblica con la possibilità offerta a tutti coloro che
hanno i requisiti predeterminati di partecipare alla gara. La scelta del contraente avviene in
considerazione della migliore offerta; b) dalla licitazione privata, che è una gara aperta soltanto a
coloro che sono stati invitati a parteciparvi in base ad una selezione che tiene conto di elementi di
valutazione predeterrninati. La scelta del contraente avviene in ragione della offerta che più si
avvicina a determinati parametri; c) dall' appalto concorso, che è una gara anch' essa ristretta, come
la licitazione privata, alla quale si ricorre per lavori di particolare complessità che comportano la
presentazione di un progetto che viene valutato sul piano tecnico; d) dalla trattativa privata, che è
una procedura negoziata, che può essere disposta soltanto in determinati casi, la quale comporta
che la scelta del contraente avviene senza una gara ufficiale, ma direttamente dalla
amministrazione, eventualmente previa consultazione di vari potenziali contraenti.

135
14 II pubblico impiego
Il rapporto di lavoro che si instaura tra una pubblica amrnimstrazione e una persona fisica dà luogo
ad un rapporto di pubblico impiego. Esso può essere regolato da norme di diritto pubblico e/odi
diritto privato (i contratti collettivi).
Alcune categorie di dipendenti pubblici ne sono escluse, tra cui i magistrati, gli avvocati dello Stato,
il personale militare e quello delle forze di pubblica sicurezza, altri particolari dipendenti, in via
transitoria, come i professori e ricercatori universitari (art. 3). A tali categorie si applica la
precedente normativa.
A parte le categorie non privatizzate, per le altre è previsto che l'assunzione del personale avviene
con contratto individuale di lavoro tramite procedure selettive o avviamento degli iscritti nelle liste
di collocamento (per qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'
obbligo).
I pubblici impiegati hanno una serie di diritti, come il diritto allo stipendio, che è la retribuzione in
danaro quale corrispettivo della prestazione lavorativa (art. 45); quello alla funzione, che è la
prestazione lavorativa corrispondente alla propria qualifica (art. 52); quello all'ufficio che consiste
nella conservazione del posto di lavoro e nella rimozione soltanto nei casi previsti dalla legge e
dalla contrattazione collettiva.

II -1 ricorsi amministrativi

1. La tutela amministrativa dei diritti e degli interessi:, a) Il Ricorso gerarchico e in opposizione


A tutela degli interessi soggettivi nei confronti della Pubblica Ammirùstrazione l'ordinamento
appresta dei rimedi amministrativi, oltre quelli giurisdizionali.
Tali sono i Ricorsi in opposizione, quelli gerarchici (proprio e improprio) e il Ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica,
È legittimato a ricorrere il soggetto titolare dell'interesse sostanziale, il quale deve essere leso in
modo diretto, immediato e attuale. Il termine (decadenziale) per proporlo è di trenta giorni dalla
data di notificazione o comunicazione dell' atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto
conoscenza.
A differenza di tale ricorso (gerarchico proprio) il Ricorso gerarchico improprio è ammesso solo
nei casi previsti dalla legge e va proposto all'autorità vigilante su quella che ha adottato l'atto im-
pugnato secondo la sua specifica disciplina.
Contro la decisione sul ricorso è proponibile ricorso al Tribunale Arnministrativo Regionale entro
sessanta giorni, o, alternativamente, al Presidente della Repubblica nel termine di centoventi
giorni.
La L. 6.12.1971 n. 1034 ha peraltro stabilito (art. 20) che non è necessario il previo esperimento del
ricorso gerarchico per proporre il ricorso al Tribunale amministrativo regionale, con la
conseguenza che il ricorso giurisprudenziale può essere proposto, peraltro solo per motivi di

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legittimità, indipendentemente da quello gerarchico. Ed una volta proposto rende inammissibile un
eventuale ricorso gerarchico. Tuttavia il previo esperimento del ricorso gerarchico è richiesto in
materia di sanzioni disciplinari militari di corpo (art. 16, L. 11.6.1978, n. 382) e di revisione di
prezzi nei pubblici appalti (art. 17, L. 10.12.1981, n. 741).

2. // Ricorso al Presidente della Repubblica


Il Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio generale consentito solo per
motivi di legittimità e per la tutela di diritti soggettivi e interessi legittimi.
E ammesso soltanto nei confronti di prowedimenti definitivi (a differenza di quello giurisdizionale)
e va proposto nel termine di centoventi giorni dalla notificazione o comunicazione dell' atto da
impugnare o da quando l'interessato ne abbia avuto conoscenza.
Il ricorso viene deciso, dopo la sua istruzione disposta dal Ministero competente, con decreto del
Presidente della Repubblica su parere e proposta del Ministro competente.
Ove il Ministro intenda discostarsi dal parere, deve sottoporre la questione al Consiglio dei ministri,
la cui decisione, nel caso che non segua il parere, dovrà essere motivata. Il decreto con cui è deciso
il ricorso straordinario può essere impugnato soltanto per vizi di forma e del procedimento.
Nella Regione Sicilia contro gli atti regionali è previsto dallo Statuto Siciliano il ricorso al
Presidente della Regione, il quale viene deciso su proposta dell' Assessore competente su parere
del Consiglio di Giustizia amministrativa.

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO
GIURISDIZIONE

1. Caratteri del potere giurisdizionale nella Costituzione italiana


Una delle manifestazioni tipiche della sovranità dello Stato è costituita dalla funzione
giurisdizionale, il cui precipuo compito è la garanzia dell'ordinamento giuridico.
Tale funzione si svolge mediante l'esercizio di uno dei poteri fondamentali dello Stato, il potere
giurisdizionale, il cui elemento tipico è la idoneità degli atti che ne sono espressione di acquisire
l'efficacia del giudicato. E tale carattere vale a distinguere il potere giurisdizionale dagli altri poteri
in cui si estrinsecano le varie funzioni dello Stato.
A differenza dello Statuto Albertino che prevedeva all' art, 68 che La giustizia emana dal Re ed è
amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce, ha stabilito all' art. 101 che a giustizia è
amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Si è inteso così,
in coerenza col principio fondamentale sancito dall' art. 1, secondo cui il potere sovrano appartiene
al popolo, affermare la derivazione del potere giurisdizionale direttamente dal popolo (e non da
altro soggetto), nonché il primato della legge e l'indipendenza (da altri soggetti o organi) di coloro
che sono chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale.

2. La giurisdizione ordinaria e speciale


L'ordinamento italiano non realizza un sistema di giurisdizione unica, come tale caratterizzato
dalla attribuzione della funzione giurisdizionale ad organi che costituiscano nel loro insieme un
complesso organizzativo unitario, bensì un sistema caratterizzato da una pluralità di giurisdizioni,
ciascuna dotata di competenze specifiche, il quale si è andato sviluppando a seguito di un processo
storico che ha visto prevalere l'esigenza di. una specializzazione dell' attività giurisdizionale in
relazione alla particolarità e specificità di certe situazioni giuridiche o di determinate materie.
Il terzo comma dell' art. 102 prevede inoltre in via generale la possibilità che la legge ammetta la
partecipazione diretta del popolo all' amministrazione della giustizia. È questo il caso delle Corti di
assise di primo grado e di appello che funzionano con giurie popolari composte di cittadini
sorteggiati, in relazione al grado di istruzione posseduto, da elenchi comunali formati a cura di una
Commissione composta dal Sindaco e da due Consiglieri comunali (L. 287/1951 e D.L. 31/1978,
conv. in L. 74/1978).
La Costituzione prevede peraltro, alla VI Disp. transitoria, la reo visione degli organi speciali di
giurisdizione attualmente esistente; salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei
Conti e dei Tribunali militari, allo scopo di adeguarli alla Costituzione. Revisione che doveva
avvenire entro il termine di cinque anni (cioè entro il 1952), peraltro inutilmente decorsi. Tale
termine è stato peraltro ritenuto meramente ordinatorio. La Corte costituzionale invero (sentenza n.
41 del 1957) ha affermato che il decorso del tempo non ha fatto venire meno le giurisdizioni
speciali esistenti, a parte la loro eventuale illegittimità costituzionale per contrasto con altre norme
costituzionali.
La disposizione transitoria e finale VI Cost. al II comma prevede inoltre che entro un anno si
sarebbe dovuto provvedere al riordino del Tribunale Supremo Militare in relazione all'art.111 Cost..

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Tale Tribunale è stato invece soppresso con L. 7 Maggio 1981 n. 180, prevedendosi invece il
ricorso in Cassazione. La Corte costituzionale ha escluso che la mancata previsione di una sezione
specializzata per i reati militari presso la Cassazione fosse incostituzionale.
La L. 180/1981 ha altresì introdotto la Corte militare di appello come giudice di secondo grado.
Accanto al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti e ai Tribunali Militari la Costituzione ha poi
previsto anche organi di giustìzia amministrativa di primo grado da istituire in ciascuna Regione
(art. 125, II comma). Istituzione (dei Tribunale Anmiinistratìvi Regionali) avvenuta con la L.
6.12.1971, n. 1034.

3. Le garanzie costituzionali: a) lì diritto di difesa


Un principio fondamentale che garantisce razionabilità dinanzi agli organi giurisdizionali delle
situazioni giuridiche soggettive è contenuto nell'art. 2 4 , 1 comma Cost: Tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
Trattasi di un diritto di azione garantito a tutti, cittadini o stranieri, soggetti fisici, persone
giuridiche o altri soggetti di diritto. È un diritto che non sopporta se non quelle limitazioni che
possano essere giustificate, e sempre ragionevolmente, con esigenze proprie della giustizia, per
assicurare il corretto esercizio della funzione giurisdizionale da e nei confronti di qualsiasi soggetto
e la tutela di interessi pubblici preminenti.
In applicazione dell' art. 3 e dell' art. 24 Cost. la Corte costituzionale ha, ad esempio, dichiarato
l'iUegittirnità costituzionale delle norme che prevedevano il ed. solve et repete in materia tributaria,
in base al quale per potere impugnare l'imposizione tributaria occorreva aver prima pagato il
tributo; con sentenza n. 67 del 1960 ha dichiarato incostituzionale l'obbligo della ed. cautio prò
expensis (art. 98 c.p.c.); con sentenza n. 80 del 1966 ha dichiarato incostituzionale l'obbligo di
depositare la registrazione della sentenza appellata ai fini della proposizione dell'appello (art. 108
c.p.c).
La Costituzione garantisce altresì il diritto di difesa dinanzi agli organi giurisdizionali. Come
dispone l'art. 24 al II comma La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Alla parte non può quindi essere negata la difesa e ciò non solo personalmente, ma anche
tecnicamente attraverso l'intervento di un apposito difensore .

In varie sentenze la Corte ha poi garantito la pienezza e reffettività del diritto di difesa (oltre che
del diritto di azione).
Con sentenza n. 248 del 1974 ha annullato l'art. 247 c.p.c. che vietava l'ammissione della
testimonianza del coniuge, dei parenti o affini in linea retta e di coloro che fossero legati con la
parte da vincoli di affiliazione. Con sentenza n. 141 del 1970 ha annullato l'art. 15 della legge
fallimentare nella parte in cui non prevedeva l'obbligo della comparizione dell'imprenditore in
camera di consiglio e con sentenza n. 142 del 1970 l'art. 147 della legge fallimentare nella parte in
cui non assicurava ai pretesi soci del fallito il diritto di difesa avverso l'estensione a loro carico del
fallimento.
Principio peraltro già presente in Costituzione. Invero il diritto di difesa, in quanto assicurato a tutti,
non ammette discriminazioni di sorta e la eguaglianza che è intrinseca al diritto (al quale peraltro
va estesa anche la garanzia di cui all' art. 3, I comma) comporta altresì il riconoscimento del

139
principio del contraddittorio, in base al quale tutte le parti devono essere poste, su di un piano di
eguaglianza, in condizione di difendersi nel processo. Diritto questo che va reso effettivo nel suo
concreto svolgimento in applicazione dell' art. 3, II comma Cost.. .
In linea con tali principi, in considerazione dell' onerosità del processo, che potrebbe vanificare il
diritto di azione e quello di difesa, è l'altro previsto dal III comma dell'art. 24, secondo cui Sono
assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione.

4. b) // giudice naturale
Altro principio fondamentale deirordinamento repubblicano (peraltro già riconosciuto dallo
Statuto Albertino all' art. 71) è quello previsto dall'art. 25,1 comma, secondo cui Nessuno può
essere di stolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Il significato giuridico di Giudice naturale è quello di giudice competente per la risoluzione di
determinate controversie, che sia stato previamente determinato e non sia costituito dopo
l'insorgere della controversia e in vista della sua risoluzione.
Ha invece escluso spostamenti di competenza in base a scelte discrezionali del giudice stesso o di
altri organi (anche legislativi), non legate a criteri oggettivi o non controllabili dal Giudice, in via di
eccezione alle regole generali.
In applicazione di tali principi, nel vigore del precedente sistema processuale penale, con sentenza
n. 88 del 1962 la Corte costituzionale annullò le norme del c.p.p. che prevedevano la possibilità
dell'avocazione al Tribunale di processi di competenza del Pretore; con sentenze n. 110 del 1963 e
n. 32 del 19.64 annullò altresì le norme che prevedevano l'avocazione alla Sezione istruttoria
presso la Corte di appello di istruttorie di competenza del Tribunale; annullò anche la norma (di cui
all'art. 393, III comma c.p.p.) che non prevedeva la possibilità di impugnare la decisione del
pubblico ministero in ordine alla scelta del rito sommario o formale nell'istruzione penale. Mentre
ritenne legittima la remissione dei procedimenti per legittima suspicione, per motivi di ordine
pubblico o perché riguardanti magistrati.

5. c) Reati e pene
Il II comma dell' art. 25 stabilisce una riserva di legge in materia penale. Si tratta di una riserva di
legge statale, essendo esclusa la competenza legislativa.delle Regioni in materia penale, come
riconosciuto dalla Corte costituzionale sulla base dei principi generali in materia penale ritenuti
validi per l'intera comunità statale.

6. d) Le misure di sicurezza
Il terzo comma dell' art 25 introduce una riserva di legge anche con riguardo alle misure di
sicurezza. Tali misure devono essere tassativamente previste dalla legge, per cui sono
incostituzionali misure indeterminate e per casi di pericolosità sociale insufficientemente de-
terminati.

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7. e) Estradizione
L'art. 26 vieta l'estradizione del cittadino (vale a dire la consegna all' autorità giudiziaria straniera)
per reati politici. Tali si intendono i reati previsti con finalità di persecuzione politica.
L'estradizione è invece ammessa, per gli altri reati, soltanto ove sia espressamente prevista da
convenzioni internazionali.

8. f) La responsabilità penale
L'art. 27 Cost. enuncia al I comma il principio del carattere personale della responsabilità penale,
escludendo quindi ogni forma di responsabilità oggettiva, per cui ciascuno risponde personalmente
per fatto proprio e non per fatto altrui.
L'art. 27 al III comma dispone che Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso
di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. D principio, secondo la Corte
costituzionale, sta a significare che il carattere afflittivo e intimidatorio delle pene, che è essenziale
per la tutela dei cittadini e dell'ordine pubblico contro la delinquenza, va tuttavia contemperato con
finalità rieducative del condannato.
La finalità rieducativa non comporta peraltro rillegittimità costituzionale dell' ergastolo in
considerazione dell'intrinseco valore di dissuasione, prevenzione e difesa sociale di tale pena, la
quale peraltro non esclude che anche il condannato all'ergastolo possa usufruire di riduzioni di
pena.
La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di procedere ad estradizione per reati per i quali sia
prevista la pena di morte nell' ordinamento giuridico dello Stato richiedente.

9. g) Le garanzie processuali
L'art. I l i , VI comma Cost. stabilisce che Tutti iprowedimenti giurisdizionali devono essere
motivati.
H precetto costituzionale tuttavia non viene sempre rispettato, quando, ad esempio, le decisioni
cautelari dei giudici (per lo più arnnrinistrativi) ricorrono a formule stereotipate su moduli
prestampati, come sussistono oppure non sussistono le ragioni per accogliere l'istanza cautelare.
La norma costituzionale consentirebbe anche l'introduzione nella motivazione delle ed. opinioni
dissenzienti che si siano formate negli organi collegiali. Istituto questo presente in alcuni
ordinamenti e in particolare comune a quelli di common law, ma non previsto in quello italiano.

Nei vari procedimenti giudiziari l'organo giudicante può essere composto da un unico giudice
oppure può essere collegiale. Il numero di membri può variare da un minimo di tre a cinque, sette e
oltre (la Corte costituzionale è, ad esempio, composta di 15 giudici e, nel caso del giudizio sulla
messa in accusa del Presidente della Repubblica, da 31 giudici).
L'art. I l i cost, con le modifiche apportate dalla 1. Cost. 2/1999, ha stabilito non solo che il
processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, ma che le parti sono poste in condizione di parità
davanti al Giudice. Un rafforzamento di tale parità è previsto nel processo penale (comma III e TV)
con particolare riferimento alla formazione della prova.

141
Per l'instaurazione del rapporto processuale le parti devono essere legittimate. Tale legittimazione
(adprocessum) esprime la capacità dei soggetti di essere parti e di stare in giudizio ed è condizione
per l'instaurazione di un valido rapporto processuale.
Diversa è invece la legittimazione ad agire (o contraddire) in giudizio, che è una condizione dell'
azione e concerne la pretesa a promuovere o a dover subire il giudizio per ottenere una pronuncia
giurisdizionale (favorevole o contraria) in ordine al rapporto sostanziale dedotto, indipen-
dentemente dall'effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto controverso, la quale
attiene al merito della decisione.

10. h) La competenza del giudice


La ripartizione della competenza tra i vari organi giudicanti avviene in base ai seguenti criteri:
territoriale, materiale, di valore, funzionale; criteri che a volte sono tra di loro combinati.
La competenza territoriale è collegata alla ripartizione degli uffici nelle varie parti del territorio
dello Stato ed è fissata in base a vari elementi (ad esempio in base alla residenza o sede del
convenuto, al luogo in cui si trovano le cose, dove si espleta un lavoro, dove è efficace un atto).
La competenza per valore è collegata al valore patrimoniale della controversia ed è stabilita su
determinati parametri di valore economico.
I conflitti di competenza vengono risolti nell' ambito di ciascuna giurisdizione. Per la giustizia
ordinaria è competente la Corte di Cassazione. Il Consiglio di Stato è giudice dei conflitti di
competenza tra i diversi Tribunali Arnministrativi Regionali (art 31, L. 1034/1971).
L'art. 108,1 comma Cost. prevede con formula ampia Le norme sull' ordinamento giudiziario e su
ogni magistratura sono deliberate con legge. Si tratta di una riserva di legge per quanto concerne la
disciplina di tutti gli organi giudiziari, siano essi ordinari che speciali.

11. La giurisdizione ordinaria: a) La magistratura


L'art. 102 Cost stabilisce che la giurisdizione ordinaria è esercitata da magistrati ordinari istituiti e
regolati dalle norme sull' ordinamento giudiziario.
Ai sensi dell' art. VII Disp. trans, e finali Cost, in attesa della mrova legge sull'ordinamento
giudiziario in conformità della Costituzione continuano ad osservarsi le norme sull' ordinamento
giudiziario vigente, il quale è costituito dal R D . 30.1.1941, n. 12, che peraltro ha subito successive
modifiche e integrazioni.
All'uso del termine ordine anziché potere non può ascriversi significato rilevante ai fini di una
differenziazione del «potere giurisdizionale» dagli altri poteri dello Stato. Difatti la norma,
stabilendo l'autonomia e l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere, afferma al tempo
stesso che la magistratura è pur sempre un potere. Piuttosto col termine ordine si intende ribadire
che l'ordinamento giudiziario (art. 102,1 comma) è un ordinamento particolare col quale vengono
garantite proprio l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.
Per gli altri organi giurisdizionali la garanzia di indipendenza è lasciata alla determinazione del
legislatore.

142
b) Indipendenza e carriera dei giudici
L'indipendenza dei singoli magistrati nell'esercizio delle rispettive funzioni giurisdizionali e il
principio secondo cui essi si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni (art. 107, III
comma Cost.) non si pone affatto in contrasto con un sistema di progressione di carriera dei
magistrati mediante selezione che valorizzi il loro merito; anzi proprio l'accento posto dalla
Costituzione sulla diversità di funzioni, il richiamo alle promozioni nell'art. 105, ai meriti insigni
per l'assunzione a consigliere di cassazione di estranei alla magistratura e la posizione di rilievo
assicurata ai magistrati della Corte di Cassazione (anche per la nomina dei giudici costituzionali)
stanno a significare che la Costituzione ha implicitamente accolto un sistema selettivo di
promozioni dei magistrati in base al merito (in sintonia del resto con il principio cui si ispira l'art.
34 Cost., secondo cui devono essere valorizzate dalla Repubblica le capacità e i meriti dei singoli
nel raggiungimento dei più alti gradi degli studi).
In proposito occorre ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 10 Maggio 1982 che,
sia pure nell'ambito ristretto della questione di legittimità cosi come rimessa dal giudice a qua, ha
dichiarato l'illegittimità dell'art. 7 della L. 831/1973 nella parte in cui prevedeva che la nomina a
magistrato di Cassazione non derivasse dal conferimento delle relative funzioni, ma dalla sola
valutazione favorevole effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Per rafforzare la posizione di indipendenza dei singoli magistrati l'art. 98II comma Cost. stabilisce
che si possono con legge stabilire limitazioni al diritto dei magistrati di iscriversi ai partiti politici.
Accanto al giudice sono previsti alcuni organi giudiziari (come il cancellerie o l'ufficiale
giudiziario) che fanno parte dell' organizzazione della giustizia ed ausiliari del giudice (consulenti
tecnici, custodi, polizia giudiziaria).

c) Magistratura civile e penale


Il giudice ordinario esercita la giurisdizione secondo la tradizionale ripartizione civile e penale. Per
la giurisdizione civile gli organi giudiziari sono: il giudice di pace (avverso le decisioni del quale
può proporsi a seconda dei casi appello al Tribunale o ricorso in Cassazione), il Tribunale, la Corte
di Appello, la Corte di Cassazione.
Il processo penale italiano, che nella sua secolare tradizione aveva connotati di tipo inquisitorio, è
stato sottoposto in base al nuovo codice di procedura penale, approvato, su legge di delegazione n.
81 del 16.2.1987, con D.P.R. n. 271 del 28.7.1989, entrato in vigore il 25.10.1989, a profonde
modifiche, assumendo connotati di tipo prevalentemente accusatorio. Ad una fase iniziale in cui
vengono svolte indagini preliminari può seguire la fase processuale vera e propria, che inizia con
una udienza preliminare e può proseguire con il Sbattimento alla cui conclusione viene
pronunciata la decisione. Sono anche previsti alcuni procedimenti speciali.

12. La giustizia amministrativa


Per quanto concerne l'attività giurisdizionale nei confronti della Pubblica Anmiinistrazione la
Costituzione Italiana ha recepito la distinzione, tradizionale per l'ordinamento giuridico italiano,
tra diritti soggettivi e interessi legittimi, su cui si fonda il riparto di giurisdizione tra giudice

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ordinario e amministrativo, ed ha previsto aU' art. 103,1 comma, che II Consiglio di Stato e gli altri
organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e in particolari materie indicate della legge anche dei
diritti soggettivi. Ha inoltre previsto ulteriori organi di giurisdizione amministrativa di primo grado
all'art. 125, II comma Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo
grado secondo l ' ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con
sede diversa dal capoluogo della Regione.

13. Il riparto detta giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo: a) Evoluzione storica
Nei confronti della Pubblica Arnministrazione può essere quindi delineato il seguente ordinamento
giurisdizionale. La giurisdizione ordinaria ha in via generale competenza per le situazioni
giuridiche che possono definirsi come diritto soggettivo. La giurisdizione speciale amministrativa,
costituita dal complesso Consiglio di Stato e T.A.R., ha in via generale competenza per le
situazioni giuridiche definite di interesse legittimo e in via particolare, per determinate materie
individuate di volta in volta dal legislatore, anche per i diritti soggettivi. Questo assetto della
giurisdizione amministrativa trova spiegazione sul piano storico, a seguito dell' abolizione dei
Tribunali Amniinistrativi Speciali investiti del contenzioso anmiimstrativo, operata con la L.
20.3.86 n. 2248, ali. E, all'art. 1.
Cosicché gli altri affari non compresi nell' articolo 2, così come si esprimeva il successivo art. 3,
venivano devoluti alla cognizione della stessa Autorità amministrativa, offrendosi agli interessati
(quindi ai portatori di un interesse) la possibilità di ricorrere alla medesima Pubblica
Arnniinislxazione in via amministrativa con i rimedi dell'opposizione e del ricorso gerarchico.

Tuttavia nell' ordinamento giuridico del tempo non si ebbe la consapevolezza di una distinzione,
sostanziale tra diritto soggettivo in senso proprio e quello che sarà poi chiamato interesse legittimo,
mentre si avvertiva la mancanza di una effettiva tutela per tutti gli interessi che erano sottoposti al
potere autoritativo della Pubblica Amministrazione, i quali non potevano essere fatti valere dinanzi
all'autorità giudiziaria ordinaria, anche per i limiti che alla sua attività erano posti dall'art. 4
dell'alio E della L. 2248/1865. Questo infatti ha posto un preciso limite di ordine generale al
giudice ordinario (limite che peraltro potrebbe essere rimosso ai sensi dell'art 113, III comma Cost.)
nei confronti degli atti anmùmstrativi, stabilendo che Quando la contestazione cade sopra un
diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa i tribunali si limiteranno a
conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all' oggetto dedotto in giudizio. L atto ammi-
nistrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità
amministrative le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso
deciso. Tale compito è stato poi affidato, con ristituzione della giurisdizione arnmMstrativa, ai
suoi organi, li successivo art. 5 ha peraltro previsto che In questo come in ogni altro caso le
autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in
quanto siano conformi alle leggi», offrendo quindi la possibilità ai giudici ordinari di disapplicare
tali atti quando non fossero conformi alle leggi.
Quando poi si rese impellente l'esigenza di assicurare una tutela giurisdizionale anche agli interessi

144
degli individui o degli enti morali che non venivano fatti rientrare nella giurisdizione del giudice
ordinario, si introdusse la giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato (1889) con
l'istituzione della IV Sezione accanto alle tre consultive, la quale era competente a giudicare e
annullare gli atti amministrativi per vizi di legittimità (incompetenza,eccesso di potere e violazione
di legge).

14. b) La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi


Il legislatore peraltro non dette una definizione dell' interesse che poteva essere leso da un atto
della Pubblica Amministrazione, né chiarì la differenza tra tale interesse e il diritto soggettivo
(civile o politico) cui si riferiva la legge abolitrice del contenzioso amministrativo, per cui furono la
dottrina e la giurisprudenza che a seguito di una lenta e continua elaborazione delinearono la figura
giuridica dell'interesse legittimo, contrapposta a quella di diritto soggettivo, sulla quale poter
stabilire le reciproche competenze giurisdizionali del giudice ordinario e di quello amministrativo.

Criteri questi che però, a ben guardare, nella realtà facevano poi riferimento agli effetti che
producevano i p r o w e d i m e n t i amministrativi, in quanto espressione o meno di un potere
discrezionale autoritativo. Con la conseguenza che era in effetti la disciplina specifica del potere
pubblico (potere autoritativo discrezionale o vincolato) che, determinando il tipo di tutela
giurisdizionale (ordinaria o amministrativa), portava alla qualificazione della situazione giuridica
soggettiva come diritto o interesse e non il contrario.
L'interesse legittimo si risolverebbe quindi nell'interesse al corretto esercizio del potere
amministrativo da parte di un soggetto (interesse alla legittimità dell'atto oprovvedimento) in vista
della realizzazione da parte del soggetto stesso dell'interesse al bene della vita oggetto del
provvedimento.

Ad avvalorare tale tesi si è considerato altresì che il giudice amministrativo adito, che è quello in
via generale competente in relazione al riparto di giurisdizione, non si pronuncia con giudizi di
accertamento, come il giudice ordinario, ma sull' operato della Pubblica Amministrazione (atto o
comportamento che sia) in relazione ai profili di invalidità dedotti e si limita ad annullare l'atto
amministrativo.
La Costituzione italiana, ove ha poi trovato ingresso l'espressione interesse legittimo, non ha però
dato a tale figura una definizione concettuale, ma si è limitata a prevedere che la tutela di tutti gli
interessi soggettivi, comunque li si configurino, come diritti soggettivi o interessi legittimi, è
sempre ammessa e che tale tutela può essere assicurata o dalla giurisdizione ordinaria o da quella
amministrativa.

Quanto al giudice ordinario questi ha una giurisdizione generale per i diritti soggettivi, mentre non
è escluso che possa esercitare giurisdizione anche con riguardo a quegli interessi soggettivi
considerati come interessi legittimi. Tanto vero che il III comma dell' art. 113 Cost. prevede (a
differenza di quanto a suo tempo previsto dall'art. 4, ali. E L. 2248/1865) che agli organi della
giurisdizione ordinaria possa essere conferito il potere di annullare gli atti amministrativi. Potere

145
questo che consente al giudice orclinario di mtervenire non solo nei confronti di atti vincolati, ma
anche di atti discrezionali della Pubblica Amministrazione, per i quali soltanto, secondo la
giurisprudenza, si porrebbe il problema dell'interesse legittimo.

15. c) l'interesse soggettivo di fronte alla Pubblica Amministrazione


Ih realtà, se si ragiona sul piano del solo interesse soggettivo, non vi è e non può esserci alcuna
distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Entrambi sono invero interessi tutelati
dall'ordinamento giuridico.

Orbene il legislatore di fronte al potere della Pubblica Arnministrazione e all'interesse del soggetto
che con essa viene in contatto ha inteso evitare, in via generale, che il giudice ordinario possa
interferire con le scelte dello Stato (ma in genere con la Pubblica Amministrazione), quando tali
scelte siano espressione di un potere discrezionale, attribuito in vista della realizzazione di specifici
interessi pubblici, che possa condizionare la vita stessa dell'interesse soggettivo, assicurandone la
nascita, la modificazione o l'estinzione.

Ha inteso viceversa assicurare al giudice ordinario, in via generale, la possibilità di sindacare


l'operato della Pubblica Amministrazione quando l'interesse soggettivo non sia lasciato nella sua
disponibilità o valutabilità discrezionale, ancorché sia esercitato un potere autoritativo nel pubblico
interesse, ma vincolato rigorosamente a fattispecie normative.
L'interesse tutelato in questo modo dall'ordinamento è stato quindi considerato un vero diritto
soggettivo o diritto soggettivo pubblico. Anche se accanto a tale situazione soggettiva si affiancano
quelle in cui l'interesse si sostanzia in una aspettativa.

E stata quindi l'introduzione della duplicità della giurisdizione, ordinaria e amministrativa, ciò che
ha comportato modalità di tutela diverse dell'interesse che si assume leso dalla Pubblica
Amministrazione: non solo in relazione alla natura del potere esercitato da questa, ma anche e
soprattutto in considerazione dei poteri di sindacato riconosciuti all'una o all'altra giurisdizione.
Le diversità di sindacato da parte delle due giurisdizioni è andata però variando nel corso del
tempo.

16. d) La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo


Al giudice amministrativo si sono andate via via attribuendo ulteriori materie, nell' ambito della sua
giurisdizione esclusiva introdotta con l'art. 8 del R.D. 2860/192 con riferimento all'impiego
pubblico, la quale si è così notevolmente ampliata (v. ad esempio l'art. 5 L. 1034/1971 per le
concessioni di beni e servizi, l'art. 33 D.Lgs. 80/1988 per i pubblici servizi e l'art. 34 in materia
urbanistica ed edilizia).

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17. La giurisdizione del giudice ordinario: a) Azioni ammissibili
Per quanto riguarda il giudice ordinario la giurisprudenza, pur avendo escluso dal novero delle
azioni giudiziarie ammissibili nei confronti della PA. quelle costitutive che comportassero
l'adozione di un prowedimento amministrativo, oppure quelle di condanna ad una forma specifica
o di reintegra, quando si incidesse su un potere pubblicistico, come pure le azioni possessorie, ha
ritenuto ammissibili azioni del genere, come pure le azioni di accertamento o di condanna al
pagamento di una somma di danaro, quando la PA. abbia agito iure privatorum oppure sìne titulo.
Tuttavia si sono anche ammessi casi in cui al giudice ordinario sia consentito intervenire sull'atto
amministrativo modificandolo o annullandolo, come quelli relativi alla rettifica degli atti di stato
civile (art. 454 cod. dv.), alle decisioni in tema di sanzioni amministrative, all'annullamento
dell'iscrizione nelle liste elettorali.

b) La giurisdizione esclusiva del giudice ordinario


Si è inoltre verificato che, come awenuto con la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
anche al giudice ordinario è stata attribuita la cognizione di una intera materia o parte di essa, as-
sicurandogli la tutela giurisdizionale di tutti gli interessi soggettivi coinvolti, ancorché vengano
fatti valere nei confronti di un soggetto pubblico.

In tali fattispecie il giudice ordinario può conoscere dell' attività amministrativa oltre i limiti posti
dall'art. 4, allo E- L. 2248/1865, potendo rilevare tutti i vizi di legittimità degli atti con pienezza di
tutela dell'interesse soggettivo, operando sul rapporto ed anche con riferimento ad atti
anmainistrativi presupposti, che egli può disapplicare, senza doverne attendere il previo
annullamento da parte del giudice amministrativo. Egli può utilizzare gli strumenti istruttori
ammessi dal codice di procedura, civile, mentre non ha più rilevanza la distinzione, che vien fatta
valere davanti al giudice amniinistrativo, tra decadenza dell' azione e prescrizione del diritto,
connessa appunto alla distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo.
Va altresì rilevato che anche per quanto concerne il rapporto tra la giurisdizione amministrativa del
Tribunale superiore delle Acque Pubbliche e quella delle Sezioni Unite della Cassazione si assiste
ad un fenomeno analogo.

La tutela davanti al Tribunale superiore per motivi di legittimità e in particolari casi anche di merito
è apprestata direttamente agli interessi di individui o enti giuridici sia se sono contemplati
direttamente, sia se sono comunque offesi dall' atto o prowedimento adottato dalla Pubblica
Amministrazione.
È peraltro evidente che ove nel passaggio da una competenza giurisdizionale all'altra
l'Amministrazione venga posta effettivamente su di un piano di parità con i soggetti destinatari
della sua attività, senza che nei suoi poteri possa riconoscersi effettivamente una posizione di
supremazia, il rapporto, sottoposto alla disciplina di diritto comune, esclude in radice che possono
individuarsi posizioni di interesse legittimo e in ogni caso non opera più la preclusione prevista per
il giudice ordinario dall' art. 4 dell' allegato E alla L. 2248/1865.
Come appare altresì evidente che se fosse improvvisamente introdotta nell' ordinamento italiano

147
l'unicità della giurisdizione verrebbe meno la stessa ragione d'essere della distinzione tra diritti sog-
gettivi e interessi legittimi, eli il problema si sposterebbe sui poteri e sui limiti di intervento
riconosciuti al giudice in relazione alla posizione ed ai poteri esercitati dall'Amministrazione, iure
imperii oppure iure privatorum.

18.17 riparto della giurisdizione e l'interesse soggettivo


Dalla diversa protezione assicurata dall'ordinamento all'interesse soggettivo, che si concreta nelle
specifiche azioni consentite al soggetto per contrastare dinanzi all' organo della giurisdizione
amministrativa o al giudice ordinario il modo di esercizio del potere pubblico discrezionale
amministrativo, si può quindi differenziare l'interesse legittimo dal diritto soggettivo.

19. Il giudizio davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali


Il giudizio davanti al giudice mxministrativo si propone con ricorso al Tribunale amministrativo
regionale competente per territorio (la competenza territoriale è stabilita in via generale dall' art. 3
L. 1034/1971, in via particolaie per determinate materie da altre norme di legge).
Il ricorrente deve avere interesse a ricorrere, vale a dire ad ottenere un risultato favorevole che
consenta il soddisfacimento del suo interesse al bene della vita cui aspira o che vede compromesso
dall' azione della Pubblica Amministrazione.
Il ricorso va depositato presso la segreteria del TA.R. competente entro trenta giorni dall'ultima
notifica.
L'amministrazione resistente è i contro-interessati possono costituirsi in giudizio nei successivi
venti giorni, proponendo anche un eventuale ricorso incidentale, col quale contestano a loro volta
sotto diverso profilo la legittirpità dell' atto o comportamento al fine di contrastare le richieste del
ricorrente principale.
Col ricorso o successivamente possono essere richieste misure cautelari, ove nelle more della
decisione del ricorso possa verificarsi un pregiudizio grave ed irreparabile. Le pronunce cautelati
sono peraltro appellabili al Consiglio di Stato.
Dopo un'eventuale istruttoria il giudizio si conclude con una sentenza di accoglimento o di rigetto o
di inammissibilità (o anche di improcedibilità del ricorso).

20. L'appello al Consiglio di Stato


Avverso la decisione del giudice •di primo grado può essere proposto appello al Consiglio di Stato
da parte del soccombente entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza o, in mancanza, entro
un anno dalla sua pubblicazione.
L'appello ha effetto devolutilo. Ciò significa che il giudice ha pienezza di giudizio sull'intera
questione.
Le sentenze del Consiglio di Stato possono essere impugnate in Cassazione soltanto per motivi
inerenti alla giurisdizione nel termine di sessanta giorni dalla loro notifica o entro un anno dalla
loro pubblicazione.

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Ove non sia proposto appello avverso la sentenza del TAR o ricorso in Cassazione avverso quella
del Consiglio di Stato, la decisione passa in giudicato.

21. L'esecuzione del giudicato


Per ottenere l'esecuzione del giudizio ovvero l'esecuzione della sentenza del TAR soggetta ad
appello, ma non sospesa dal Consiglio di Stato, è previsto il rimedio del ed. giudizio di
ottemperanza.
In questo caso il giudice ha competenza anche sul merito della controversia e, ove la
Amministrazione persista nell'inadempimento, può nominare un Commissario ad acta perché
provveda in sua sostituzione.

22. La giurisdizione elettorale


La materia elettorale anmiinistrativa è attualmente sottoposta alla cognizione o del giudice
ordinario o di quello amministrativo (TAR e Consiglio di Stato) in base alla distinzione tra
controversie che abbiano ad oggetto l'ineleggibilità o l'incompatibilità del candidato eletto (in
quanto relative a posizioni ritenute di diritto soggettivo in senso pieno) e controversie che abbiano
ad oggetto le operazioni elettorali (in quanto relative a posizioni ritenute di interesse legittimo).

23. Le giurisdizioni speciali amministrative: a) La Corte dei Conti


Le altre giurisdizioni speciali amministrative hanno competenze particolari relative a determinate
materie.
La Corte dei Conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla
legge (art. 103 Cost.).
La materia della contabilità pubblica va intesa in senso ampio, sì da ricomprendere ogni
contestazione che abbia ad oggetto la gestione di denaro o di beni pubblici. Rientrano in tale
materia i giudizi di conto, quelli di responsabilità amministrativa e di responsabilità contabile e
quelli relativi al rapporto di esattoria e tesoreria in cui si faccia questione di rimborso di quote
inesigibili o di compenso dell'esattore o del tesoriere.
Secondo la giurisprudenza oramai consolidata della Corte dei Conti, perché possa affermarsi una
responsabilità contabile occorre che vi sia un danno patrimoniale per l'Ente pubblico determinato
dal comportamento antigiuridico del soggetto agente.
La Corte dei Conti ha inoltre giurisdizione esclusiva in materia di pensioni civili, a carico totale o
parziale dello Stato, e in materia di pensioni di guerra.

24. b) Il contenzioso tributario


La disciplina del contenzioso tributario è attualmente contenuta nei DD.Lgs. 545 e 546 del
31.12.1992, che hanno riformato la precedente disciplina contenuta nel D.P.R 26.10.1972 n. 636.
La Corte costituzionale ha stabilito che l'istituzione delle Commissioni tributarie non ha violato
l'art. 102 Cost., in quanto si è trattato di una revisione di giurisdizioni speciali preesistenti, la quale

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poteva avvenire anche senza l'istituzione di sezioni specializzate dagli organi giudiziari ordinari.
Le Commissioni tributarie si distinguono in Commissioni provinciali, di primo grado, e
Commissioni regionali, di appello.

25. c) Le altre giurisdizioni speciali


Tra le altre giurisdizioni si ricordano:
sì) I Consigli nazionali professionali (su cui C. Cost. 7.12.1964, n. 103 e 23.12.1986, n. 284);

b) 77 Consiglio Superiore della Magistratura


Tale organo esercita funzione giurisdizionale mediante una apposita Sezione disciplinare la cui
operatività è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale (sentenza 29.1.1971, n. 12). Avverso
le decisioni di tale Sezione è ammesso ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, ai sensi dell' art.
I l i Cost;

c) / Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici


Tali organi (L. n. 1966/1927) hanno competenza sulle controversie conseguenti all' accertamento
dei diritti di uso civico. Le loro decisioni possono essere impugnate dinanzi ad una sezione
specializzata della- Corte di appello di Roma;

d) La Commissione dei ricorsi contro iprovvedimenti dell'ufficio italiano brevetti e marchi


Tale organo decide sui prowedimenti che non accolgono (o non integralmente) la domanda (artt.
35,1 comma RD. 29.6.1939, n. 1127 e 33 RD. 21.6.1942, n. 929). Sulla sua giurisdizione v. Corte
cost. 29.7.2005, n. 345;

e) Il Tribunale superiore delle acque pubbliche


Non costituiscono giurisdizioni speciali, ma sezioni specializzate delle Corti di Appello i Tribunali
regionale delle acque pubbliche.
Essi decidono, in materia di acque pubbliche, su controversie intorno alla demanialità delle acque,
ai diritti di derivazione e utilizzazione di acqua pubblica e di carattere patrimoniale (occupazioni di
fonti e indennità). Avverso le loro decisioni è ammesso ricorso al Tribunale superiore delle acque
pubbliche. E contro le decisioni di tale organo è ammesso ricorso alle Sezioni Unite della
Cassazione, non solo per motivi di giurisdizione, ma anche per violazione di legge ;

f) I Tribunali militari
L'art. 103 Cost. prevede la giurisdizione dei Tribunali militari in tempo di pace.

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