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DI DIRITTO PUBBLICO
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INDICE
CAPITOLO I:
GLI ORDINAMENTI GIURIDICI
1. Diritto e pluralità degli ordinamenti giuridici
2. Ordinamenti politici
3. Diritto pubblico e privato
4. Fatti e atti giuridici
5. Fattispecie e procedimento
6. Tempo e luogo
CAPITOLO II:
FONTI DEL DIRITTO
1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma giuridica
2. Gerarchia e competenza. Riserve normative
3. Fonti scritte e non scritte
4. Legge
5. Consuetudine
CAPITOLO III:
SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
1. Soggetti di diritto
2. Autonomia
3. Rapporto giuridico
4. Organo: a) Rapporto organico
5. b) Organi interni ed esterni
6. c) Organi individuali e collegiali
7. d) Rapporti tra organi
8. Rappresentanza
9. Cose e beni
10. Interessi e situazioni giuridiche soggettive
11. Diritti soggettivi e interessi legittimi
12. Potere giuridico
13. Potestà
14. Facoltà
15. Situazioni giuridiche passive: a) Dovere, obbligo, obbligazione
16. b) Onere
CAPITOLO IV:
LO STATO E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
1. Stato come ente originario e ternario
2. Popolo e cittadinanza
3. Territorio
4. Sovranità
5. Teoria dei presupposti o degli elementi costitutivi dello Stato
6. Stato e normativismo
7. La Chiesa cattolica
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8. La Comunità intemazionale
9. a) L'organizzazione delle Nazioni Unite
10. b) Altre organizzazioni internazionali
11. L'unione Europea
CAPITOLO V:
FORME DI STATO
1. Forme di Stato: a) Stati nazionali e plurinazionali
2. b) Stati centralisti e ad autonomie territoriali; regionali e federali
3. c) Monarchia e repubblica
4. d) Stati laici e confessionali
5. e) Stati democratici
6. f) Stato liberale-rappresentativo e Stato di partiti
7. g) I partiti nello Stato di partiti
8. h) Rappresentanza politica e Stato di partiti
CAPITOLO VI:
LA DIVISIONE DEI POTERI
1. Evoluzione della teoria della divisione di poteri
2. Potere di esecuzione costituzionale
4. b) Potere giurisdizionale
3. a) Potere legislativo
5. c) Potere esecutivo
CAPITOLO VII:
FORME DI GOVERNO
1. Forme di governo assoluto e democratico
2. Forme di governo democratico: a) Governo parlamentare
3. b) Governo assembleare
4. c) Governo presidenziale
5. d) Il ed. Governo semipresidenziale
6. e) Governo direttoriale
CAPITOLO VIII:
COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE
1. Il concetto di Costituzione
2. Il potere costituente
3. La Costituzione vivente
4. Tipologia delle Costituzioni
CAPITOL IX:
LO STATO ITALIANO E LE SUE FONTI
1. La Costituzione nel sistema delle fonti
2.Leggi costituzionali e di revisione costituzionale
3. Fonti primarie e secondarie
4. Potestà legislativa statale e regionale
5. Atti aventi forza di legge: a) Decreti legislativi
6. b) Decreti legge
7. Statuti regionali
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8. Referendum abrogativo
9. Regolamenti: a) Regolamenti statali regionali; degli Enti locali e di altre autorità
10. b) Tipologia dei regolamenti
11. Testi unici
12. Consuetudine: a) Gli artt. 1, 8,12 e 15 delle disposizioni preliminari al codice civile
13. Consuetudini interpretative. E gli usi negoziale
14. c) Discipline settoriali della consuetudine
15. d) Consuetudine e diritto costituzionale. Consuetudini integrative della Costituzione
16. e) Modificazioni tacite della Costituzione
17. f) Rotture della Costituzione
18. g) Consuetudine e giudizio di legittimità costituzionale
19. Accordi: convenzioni galateo costituzionale
20. Prassi costituzionale
21. Rinvio al diritto straniero
22. Contratti collettivi
23. Riserve di normazione
24. Fonti del diritto internazionale
25. Fonti comunitarie
26. a) Regolamenti comunitari
27 . b) Direttive comunitarie
28. Altri atti comunitari: Decisioni, Sentenze, Raccomandazioni, Pareri
29. Interpretazione giuridica
30. Antinomie e loro risoluzione
CAPITOLO X:
PRINCIPI FONDAMENTALI E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL
CITTADINO
1.1 diritti e i principi fondamentali negli ordinamenti costituzionali
2. La tutela dell'eguaglianza nella Costituzione italiana:
a) il concetto di eguaglianza e l'eguaglianza giuridica
3. b) l'eguaglianza davanti alla legge. La ragionevolezza della disciplina legislativa
4. c) H principio dell' eguaglianza davanti alla legge nella Costituzione italiana
5. d) l'eguaglianza sostanziale
6. e) Le fattispecie tipiche dell'eguaglianza
e.a) Sesso
e.b) Razza
ex) Lingua
e.d) Religione
e.e) Opinioni politiche
e.d Condizioni personali
e.g) Condizioni sociali
7. Le libertà costituzionali
8. Libertà personale
9. Libertà di domicilio
10. Libertà e segretezza delle comunicazioni.
11. Libertà di circolazione e soggiorno.
12. Libertà di riunione
13. Libertà di associazione
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14. Libertà di fede religiosa
15. Libertà di manifestazione del pensiero
16. Diritti politici dei cittadini
17. Stranieri e cittadini europei
18. Partiti politici nella Costituzione italiana
19. Doveri costituzionali
20. Diritti sociali e formazioni sociali
21. Confessioni religiose
22. Famiglia
23. Salute
24. Ambiente ed ecosistema
25. Cultura e istruzione
26. Lavoro.
27. Sindacati
28.1 rapporti economici
29. Sciopero
30. Iniziativa economica privata
31. Tutela del credito e del risparmio
32. Autorità indipendenti e di garanzia
33. Proprietà e i suoi limiti
34. Espropriazione per pubblica utilità
35. Proprietà agraria
36. Beni pubblici
37. a) Tributi
38. Nazionalizzazioni
CAPITOLO XI:
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI
1. Il ruolo dei partiti politici
2. Attività di governo e indirizzo politico
3. Il Governo tra Parlamento e Presidente della Repubblica
II - Il Parlamento
1. Composizione del Parlamento italiano
2. Elettorato attivo e passivo
3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle assemblee rappresentative
4. Elezione delle Camere:
a) Indizione delle elezioni
5. b) Elezione dei deputati
6. c) Elezione dei senatori
7. Sistema elettorale e garanzia dell' opposizione
8. Durata delle Camere
9. a) Scioglimento anticipato delle Camere
10.1 parlamentari
11. Organizzazione delle Camere: a) Prerogative
12. b) Organi delle Camere
13. Gruppi parlamentari
14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle Camere e programmazione dei lavori
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15. b) Deliberazioni
16. Funzioni delle Camere: A) L'attività legislativa
17. a) Iniziativa legislativa
18. b) Esame dei progetti di legge
b.a) Procedimento ordinario
b.b) Procedimento in sede deliberante
b.c) Procedimento in sede redigente
19. c) Promulgazione
20. d) Pubblicazione
21. B) L'Attività esecutiva
22. a) Fiducia
23. b) Mozione
24. c) Interrogazione
25. d) Interpellanza
26. e) Risoluzione
27. f) Ordine del giorno
28. g) Inchieste parlamentari
29. h) Udienze conoscitive
30. i) Messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica
31.1) Dichiarazione dello stato di guerra
32. m) Approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo. La legge finanziaria
III - Il Governo
1. Composizione del Governo
2. Formazione del Governo
3. Revoca del Presidente del Consiglio
4. Revoca dei Ministri
5. Presidente del Consiglio dei ministri
6. a) Responsabilità del Presidente del Consiglio
7.1 Ministri
8. Consiglio dei ministri
9. Consiglio di Gabinetto
10. Sottosegretari di Stato
12. Commissari del Governo
11. Comitati
VI - La Corte Costituzionale
1. La giustizia costituzionale
2. Composizione della Corte costituzionale
3. H sindacato di legittimità sulle leggi e gli atti aventi forza di legge
4. a) Giudizio in via incidentale
5. b) Il giudizio in via dirètta
6.1 conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
7.1 conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni
8. H giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica
9. Il giudizio sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo
CAPITOLO XII :
LO STATO E LE AUTONOMIE COSTITUZIONALI
1. L' avvento delle Regioni in Italia pag 143
2. Le modifiche del titolo V della Costituzione
3. La funzione legislativa tra Stato e Regioni
4.1 controlli sull'attività legislativa regionale
5. La funzione regolamentare
6. La funzione amministrativa
7. La sussidiarietà orizzontale
8. Le intese tra lo Stato e gli Enti territoriali
9. L'autonomia finanziaria
10.1 controlli sulle Regioni e sugli Enti locali
11. Il potere sostitutivo del Governo
11. Le Regioni e la forma di governo regionale
2. Statuti regionali
3. H Consiglio regionale
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4. H Presidente della Giunta regionale
5. La Giunta regionale
CAPITOLO XIII:
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
II -1 ricorsi amministrativi
1. La tutela amniinistrativa dei diritti e degli interessi: a) Il Ricorso gerarchico e in opposizione
2. Il Ricorso al Presidente della Repubblica
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8. f) La responsabilità penale
9. g) Le garanzie processuali
10. h) La competenza del giudice
11. La giurisdizione ordinaria:
a) La magistratura
b) Indipendenza e carriera dei giudici
c) Magistratura civile e penale
12. La giustizia amministrativa
13. Il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amniinistrativo: a) Evoluzione storica
14. b) La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi
15. c) l'interesse soggettivo di fronte alla Pubblica Amministrazione
16. d) La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
17. La giurisdizione del giudice ordinario:
a) Azioni ammissibili
b) La giurisdizione esclusiva del giudice ordinario
18. Il riparto della giurisdizione e l'interesse soggettivo
19. Il giudizio davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali
20. L'appello al Consiglio di Stato
21. L'esecuzione del giudicato
22. La giurisdizione elettorale
23. Le giurisdizioni speciali ammMstrative: a) La Corte dei Conti
24. b) Il contenzioso tributario
25. c) Le altre giurisdizioni speciali
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CAPITOLO PRIMO
GLI ORDINAMENTI GIURIDICI
2. Ordinamenti polìtici
Gli ordinamenti politici hanno assunto configurazioni molteplici nel corso della storia dell'umanità,
dando luogo a sistemi giuridici diversi nei quali sono prevalsi di volta in volta la considerazione
dell'elemento personale, l'unità di un popolo, o quella di un territorio, la polis, la civitas, o di
entrambi, fino alle moderne strutture di tipo statualistico o di derivazione statualistica.
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lavoristico (per la parte attinente ai rapporti privati) al diritto privato. È una ripartizione però
relativa, in quanto numerosi istituti dell'uno o dell' altro settore potrebbero essere ricompresi per
certi aspetti nel diritto privato e per altri in quello pubblico.
6. Tempo e luogo
Poiché i fatti e gli atti giuridici si realizzano in un dato momento temporale e in un determinato
luogo, rordinamento giuridico dà rilevanza a tali modi di concretizzarsi del fatto o dell' atto
prendendo in specifica considerazione tempo e luogo.
II tempo rileva ad esempio ai fini del computo della prescrizione e, dell'usucapione, della
decadenza, per delimitare il potere conferito ad un soggetto o ad un organo oppure per disciplinare
l'adempimento di un'obbligazione.
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CAPITOLO SECONDO
FONTI DEL DIRITTO
Per quanto concerne la pretesa novità della norma giuridica, tale requisito in effetti è comune ad
ogni manifestazione (fatto o atto) che produce effetti giuridici precedentemente non sussistenti.
Alla norma giuridica è stato inoltre riconosciuto il requisito della imperatività nel senso che ad essa
si accompagna una sanzione per assicurarne la osservanza.
In effetti la sanzione non rientra nel concetto di norma giuridica, formando piuttosto il contenuto di
una distinta norma giuridica la quale viene collegata ad altra o ad altre norme.
L'imperatività della norma non è altro che il riflesso dell'imperatività del complessivo sistema dell'
ordinamento giuridico nel quale essa è inserita. Né è possibile concepire una norma giudica avulsa
da un sistema normativo dal quale le viene assicurata l'imperatività.
Se poi si considera che gli ordinamenti giuridici costituiscono sistemi complessi in continua
evoluzione, rispetto ad essi, oltre alle ed. fonti ordinate, cioè disciplinate alloro interno con atti
normativi che costituiscono fonti sulle fonti, possono formarsi anche fonti extra ordinem, le quali,
pur non essendo predeterminate, si impongono tuttavia negli ordinamenti stessi determinando
egualmente effetti giuridici rilevanti.
Il concetto di fonte di diritto oggettivo è peraltro unitario e comprensivo anche del suo aspetto
cognitivo, individuato dalla dottrina tradizionale col termine fonti di cognizione.
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2. Gerarchia e competenza. Riserve normative
Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore in ogni singolo ordinamento, ma sono ordinate
secondo vari criteri che assicurano prevalenza o esclusività di disciplina alle une rispetto alle altre.
Tali criteri vengono usualmente indicati con termini come gerarchia e competenza.
Con il criterio gerarchico le fonti sono ordinate secondo un sistema gradualistico per cui vi sono
fonti superiori e inferiori o primarie e subprimarie (ad esempio la Costituzione rispetto ad ogni altra
fonte, la legge rispetto ai regolamenti). In base a tale criterio la fonte di grado superiore prevale su
quella di grado inferiore, la quale però non è esclusa dalla disciplina in caso di mancanza della
fonte superiore.
4. Legge
Fonte scritta del diritto per eccellenza è la legge. Tale termine è peraltro polivalente, in quanto può
indicare tanto la disciplina normativa quanto la fonte in cui questa è contenuta.
Solitamente la legge, come del resto le altre fonti scritte, è redatta in articoli. Gli articoli si
suddividono poi in commi. Il c o m m a, che indica la parte dell'articolo compresa tra due a capo,
può comprendere una o più proposizioni, una o più prescrizioni normative. Di solito i commi
vengono numerati progressivamente.
5. Consuetudine
Tra le fonti non scritte (o fonti fatto) va annoverata la consuetudine.
Col termine consuetudine o uso si indicano quei fenomeni che si concretano nella formazione, nell'
ambito dei vari gruppi sociali, di tipi di comportamento generalizzati, ovverosia di regole sociali, in
considerazione della abitualità e della costanza (od anche della periodicità) con cui sono protratti
nel tempo i singoli comportamenti tenuti dai consociati, cosicché appare fondato prevedere che essi
si ripeteranno, quando si presenteranno le medesime circostanze di fatto. E questo il modo, ad
esempio, di formazione delle regole di cortesia, di galateo, di etichetta, di decenza, e così via. A
questo fenomeno ci si riferisce anche quando si parla di tradizioni di un dato gruppo sociale.
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Quando si verìfica tale passaggio di stadio non è più l'uniformità numericamente e singolarmente
considerata ciò che conta e che spinge ad ulteriori comportamenti uniformi. Assume invece valore
la regola di comportamento dedotta per astrazione dal fatto stesso del radicarsi di tale uniformità
nell' ambito sociale. Si verifica quindi un mutamento dell' atteggiamento spirituale dei singoli
consociati rispetto al loro singolo comportamento. Quando ciò si è verificato compiutamente, deve
riconoscersi che nell' ambito sociale si è formata, ed è implicitamente ammessa come esistente dai
consociati, una regola sociale consuetudinaria in senso proprio, alla quale va rapportato e
raffrontato il loro comportamento.
Quindi ad una prima fase, in cui si ha una mera «regolarità» di comportamenti dovuta alla
ripetizione dei comportamenti, segue quella in cui si forma la regola consuetudinaria con il
progressivo obicttivarsi, generalizzarsi e spersonalizzarsi della ragione che giustifica i singoli
comportamenti ripetuti nel tempo e tra di loro coriformi. L'esistenza della serie continua di
comportamenti, la prevedibilità che il comportamento sarà ripetuto quando ricorrono le medesime
circostanze, determina un generale convincimento nella collettività che quello è il comportamento
da seguire.
Tale assunto si fonda sul rilievo che non può ammettersi in un ordinamento l'esistenza di
disposizioni con propria forza creativa, come tale autonoma, e non derivata. La forza creativa del
diritto non può mai essere un attributo originario di singole disposizioni a sé e in sé considerate, ma
alcunché che esse ripetono dall' ordinamento, complessivamente considerato, nel quale sono
inserite. Quindi anche la norma giuridica consuetudinaria nel momento in cui la si considera come
norma vigente in un dato ordinamento esprime la forza creativa propria dell'ordinamento giuridico.
La consuetudine giuridica difatti, al pari delle altre fonti del diritto, non è alcunché di avulso, di
estraneo dall'ordinamento, nel cui ambito si manifesta. È consuetudine di quell'ordinamento, con la
specifica forza creativa che essa ripete dall' ordinamento o non è consuetudine giuridica, cioè non
esiste come tale.
Va però osservato che diversamente dalle fonti scritte alla consuetudine come tale non può essere
attribuito un particolare "grado" nella "gerarchia" delle fonti. Essa invero, per sua essenza, è
suscettibile di operare in tutti i livelli di produzione normativa dell' ordinamento accanto alle altre
fonti scritte, quale che sia il loro specifico "grado" e a prescindere dalla loro particolare forza
formale. Ciò appare chiaro quando essa è ammessa illimitatamente. Ma anche quando viene
ammessa in via subordinata rispetto alle fonti scritte, entro determinati limiti, ad esempio quando si
richiede, per la sua openitività, uno specifico richiamo da parte di altre fonti, essa si inserisce nei
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diversi settori in cui operano le altre fonti del diritto, senza assumere un proprio autonomo "grado"
di fonte del diritto. Pertanto, ponendosi la consuetudine allo stesso livello della ulteriore disciplina
giuridica cui è collegata, il ed. "grado" della fonte in ipotesi non potrebbe che risolversi nel "grado"
della disciplina di diritto scritto rispetto alla quale essa interviene.
Non necessariamente l'efficacia normativa delle consuetudini può farsi dipendere da disposizioni
scritte sulle fonti. Ove ciò si ammettesse, non troverebbero spiegazione quei fenomeni di creazione
del diritto, che sono indipendenti dalla previa esistenza di disposizioni sulla produzione del diritto e
che la dottrina è orientata ad indicare come fatti extra juris ordinem.
Sono questi tanto fatti instaurativi di nuovi assetti costituzionali, come rivoluzioni e colpi di Stato,
quanto fatti modificativi dell' ordine costituzionale secondo modalità e forme, che sarebbero
"illegali" dal punto di vista del sistema legale delle fonti, così come disciplinato dall' ordinamento
in vigore in un dato momento storico, ma che si legittimano ex post, in quanto ne venga
effettivamente riconosciuta l'idoneità a produrre diritto.
In tali evenienze deve riconoscersi che è avvenuto un mutamento delle stratture giuridiche in senso
conforme alla regola prodottasi in via consuetudinaria, con conseguente giuridicizzazione della
stessa, la quale viene così a manifestare la volontà normativa propria dell'ordinamento nel quale si
è inserita.
Tuttavia va anche precisato che, se esistono disposizioni scritte sulle fonti, queste indubbiamente
assumono rilievo. Esse, in quanto facenti parte della struttura dell' ordinamento, possono
disciplinare e quindi anche limitare l'efficacia dei singoli mezzi di produzione del diritto, tanto di
quelli scritti, quanto di quelli non scritti. Tuttavia non deve riconoscersi alle stesse un' assoluta
rilevanza, in quanto vanno pur sempre viste in relazione ai principi fondamentali e di struttura dell'
ordinamento.
Orbene, proprio su questo nucleo fondamentale di principi viene a fondarsi il riconoscimento delle
varie fonti del diritto, siano quelle scritte, siano quelle non scritte. Essi quindi prevalgono anche su
specifiche disposizioni scritte, a parte ovviamente il caso in cui siano proprio queste ultime a
contenerli, costituendo il mezzo formale della loro estrinsecazione.
L'ambito di operatività della consuetudine va quindi affrontato e risolto in relazione a ciascun
ordinamento.
Discipline specifiche sulla consuetudine, normalmente contenute in disposizioni scritte sulle fonti
del diritto, possono prevedere la sua maggiore o minore rilevanza. In particolare può essere
stabilito il divieto di consuetudini contro legem, vale a dire il divieto di consuetudini che si
pongano in contrasto con disposizioni legislative (o, più in generale, con prescrizioni normative
scritte), oppure l'ammissibilità di consuetudini soltanto in caso di richiamo da parte della legge (o
di altra fonte scritta) o per settori privi di una specifica disciplina legislativa (consuetudini praeter
legem). Ed i limiti possono essere stabiliti tanto in via generale, per l'intero ordinamento giuridico,
quanto per suoi singoli settori.
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adoperarla in tutt'altro significato, per indicare casi particolari di consuetudini rientranti nella
figura ampia della consuetudine praeter legem, può avere valore soltanto genetico, per indicare il
campo di attività configurante si come quello relativo alle operazioni intellettuali di interpretazione,
svolte dai poteri a ciò abilitati dall' ordinamento nel quale viene a svilupparsi come fonte di diritto,
senza che per questo possa concretare una figura autonoma rispetto a quella contra legem opraeter
legem.
E d'uopo altresì sottolineare che dalle figure suindicate va distinta quella della desuetudine in senso
stretto.
A meno che con tale termine non si intenda far riferimento a consuetudini con tra legem) vale a dire
a consuetudini che si formino in seguito a serie di comportamenti tenuti in contrasto con precedenti
disposizioni legislative (o in generale con disposizioni scritte), perché ciò porterebbe ad escludere
autonomia concettuale alla figura, il fenomeno della desuetudine, in senso proprio, oltre ad indicare
il venir meno di una norma consuetudinaria non più seguita, concerne quei casi in cui può
constatarsi che è venuta a cessare la vigenza di disposizioni scritte per effetto della continua,
duratura mancanza di loro applicazione. Questo ultimo, invero, potrebbe anche non dar luogo ad
una nuova norma, di tipo consuetudinario, mentre l'effetto che consegue al fatto della inosservanza
della prescrizione legislativa resta solo la sua desuetudine.
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CAPITOLO TERZO
SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Con riferimento agli organi appartenenti ad istituzioni dell'ordinamento essa indica la costanza
della ripetizione dei loro comportamenti nell' esercizio dei poteri conferiti. Come tale, la prassi non
assume il valore di una regola di comportamento, né costituisce una fonte normativa, dando luogo
piuttosto ad una mera regolarità di comportamenti. Essa può pertanto assumere rilievo per
interpretare l'attività esplicata dal o dai soggetti, dal o dagli organi interessati.
Ciò non esclude tuttavia che dalla prassi possa anche passarsi alla produzione di una norma
giuridica consuetudinaria. Il che può avvenire specialmente quando agli organi istituzionali
interessati sia conferito un margine, più o meno ampio, di discrezionalità nella scelta delle modalità
da seguire per l'esercizio di attività rientranti nell' ambito delle rispettive competenze.
1* Soggetti di diritto
Soggetto per il diritto è una entità cui viene riconosciuta la capacità di essere punto di riferimento
(centro di imputazione) di situazioni giuridiche, in particolare di diritti e doveri. La capacità
giuridica a sua volta indica rattitudine dei soggetti ad essere centro di imputazione di situazioni
giuridiche, attive o passive.
Sotto tale profilo possono essere considerati soggetti non solo le persone fisiche, ma anche altre
entità prive della personalità fisica.
Le persone giuridiche sono entità in cui si combinano elementi personali e materiali considerati
dall' ordinamento in modo unitario e costituenti pertanto una particolare unità soggettiva ricono-
sciuta come tale dal diritto. Esse possono distinguersi in associazioni o fondazioni seconda della
prevalenza della volontà degli associati o della destinazione particolare dei mezzi materiali.
11 riconoscimento, che nel caso delle persone giuridiche private, come dispone in via generale l'art,
12 cod. civ., è accordato con Decreto del Capo dello Stato o del Prefetto previa valutazione dello
scopo dell' ente da parte dell' autorità amministrativa (art. 2 disp. art. cod. civ.), ha quindi una
funzione costitutiva della persona giuridica. Per tali soggetti esiste una disciplina particolare
relativa alla loro amnùnistrazione e alloro patrimonio connessa con la loro idoneità a costituire un
centro di imputazione di determinate situazioni giuridiche.
I comitati, a differenza delle associazioni, si costituiscono in vista della realizzazione di uno
specifico risultato (art. 39 cod. civ.).
I soggetti possono essere di diritto comune nella tradizione giuridica romanistica vengono
normalmente definiti di diritto privato e pubblici.
La soggettività può essere quindi distinta dalla personalità giuridica, termine col quale si indica la
speciale capacità giuridica delle persone giuridiche.
La capacità giuridica a sua volta può assumere diverse intensità, con riferimento ai soggetti e alle
situazioni giuridiche.
Alle persone fisiche essa è riconosciuta nella massima intensità ed è generale. In altre epoche
storiche peraltro non sempre era riconosciuta a tutte le persone fisiche. Per l'ordinamento italiano
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spetta ad ogni essere umano, salve limitazioni particolari collegate a determinati status, che danno
luogo a specifiche capacità.
Ad esempio la posizione dello straniero è diversa da quella del cittadino, che gode di un particolare
status, quello di cittadinanza.
Dalla capacità giuridica va distinta la capacità di agire, la quale consiste nella idoneità del soggetto
ad agire nel mondo del diritto, a svolgere, con più atti di volontà, le situazioni giuridiche, favo-
revoli o sfavorevoli, che gli vengono imputate.
Il minore di età, ad esempio, pur dotato di capacità giuridica, non ha la capacità di agire che gli è
riconosciuta col raggiungimento della maggiore età.
2. Autonomia
Quando si intende indicare la possibilità di un soggetto di autodeterminarsi attraverso atti di
volontà si ricorre al termine autonomia.
Quando l'ordinamento giuridico riconosce ai soggetti una sfera di autonomia, ciò sta a significare
che i soggetti possono regolarsi da sé, perseguendo i loro scopi mediante atti di volontà con effetti
giuridici.
Nel diritto privato, ad esempio, l'autonomia di cui godono i soggetti è un potere generale che
consente di porre in essere atti (di autonomia privata) i cui effetti sono riconducibili alla volontà.
Assumono così rilevanza i ed. negozi giuridici nei quali la volontà è diretta alla produzione di un
effetto riconosciuto e garantito dall'ordinamento.
3. Rapporto giuridico
La vita di relazione sociale tra i vari soggetti dà luogo a molteplici rapporti. Nell'ordinamento
giuridico i rapporti in senso giuridico sono costituiti da qualsiasi relazione che si realizza tra
soggetti ed è disciplinata dal diritto. *
Neil' ambito della generale categoria dei rapporti giuridici possono distinguersi i rapporti di diritto
privato da quelli di diritto pubblico. Per la distinzione solitamente si fa riferimento allo specifico
interesse sotteso al rapporto, a seconda che sia indicato come pubblico o come privato.
Ma l'interesse, il quale esprime semplicemente la rilevanza che può avere un bene per un
determinato soggetto, per essere distinto in pubblico o privato, a sua volta presuppone che sia
delimitato l'ambito dei rapporti in cui entra in gioco. Ciò finisce per dar luogo ad un circolo vizioso,
dal momento che l'interesse in tanto può essere considerato come pubblico o privato, in quanto
formi il contenuto di un rapporto di diritto pubblico o privato, il quale viene individuato proprio in
ragione dell'interesse sotteso.
Quando la posizione in cui si trova uno dei soggetti è ancorata al diritto pubblico e i poteri in gioco
sono di diritto pubblico, il rapporto può essere definito di diritto pubblico. Altrimenti è di diritto
privato (o anche di diritto comune).
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4. Organo: a) Rapporto organico
I soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche, privati o pubblici che siano, non sono entità reali,
ma finzioni create dal diritto. La stessa attribuzione ad essi di una volontà è una finzione, perché in
realtà non sono in grado di pensare e di agire. Chi pensa ed agisce per loro conto sono le persone
fisiche, singole o associate, preposte alle loro articolazioni (uffici).
Tra il soggetto e l'organo vi è un rapporto organico, che è di immedesimazione, nel senso che
l'organo è parte del soggetto, per cui la volontà da lui manifestata è volontà del soggetto e l'attività
svolta dalla persona fisica, in quanto titolare dell' organo, è imputata all' organo e di conseguenza al
soggetto.
Gli organi non hanno una personalità giuridica distinta da quella del soggetto di cui sono parte, per
cui a stretto rigore non può parlarsi di rapporti intersoggettivi tra l'organo e il soggetto.
Può a volte anche parlarsi di una personalità interna dell'organo rispetto agli altri organi del
medesimo soggetto, la quale viene tutelata dall' ordinamento e può essere fatta valere anche in via
amministrativa e giudiziaria. Si pensi, ad esempio, ai conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
(art. 134, II comma Cost).
Come pure non può escludersi che un soggetto di diritto possa essere considerato a sua volta
organo di altro soggetto con riguardo a determinate materie e situazioni giuridiche (ad esempio un
soggetto privato può essere considerato organo indiretto di un soggetto pubblico, quando è
chiamato ad esercitare pubbliche funzioni o pubblici servizi).
II potere dell' organo può essere generale o limitato secondo specifiche competenze e tale
delimitazione vale a qualificare l'organo e la sua azione nell' ambito del soggetto.
Gli organi possono avere una struttura semplice, unitaria (individuale o collegi ale che sia) o
complessa. In tal caso danno vita ad una pluralità di articolazioni (ad es. Ministeri), alcune anche
con rilevanza esterna, come, ad esempio, i Dirigenti di uffici dirigenziali generali (art. 45 D.Lgs.
31.3.1998, n. 80).
19
Rapporti di sovra o sottordinazione sussistono quando tra gli organi si determina la dipendenza
degli uni rispetto agli altri.
Rapporti di direzione sussistono tra organi dei quali l'uno può influenzare l'attività dell' altro
impartendogli direttive per il suo agire. Le direttive, in particolare, possono essere più o meno
incisive, ma devono comunque lasciare una libertà di scelta all' organo che ne è destinatario.
8. Rappresentanza
Con la rappresentanza si ha la sostituzione di un soggetto ad un altro nell' attività giuridica.
Si può avere una rappresentanza legale o volontaria a seconda che la sostituzione di un soggetto ad
un altro trovi titolo nella norma giuridica o nella volontà dell'interessato. Si ha così il conferimento
di un potere di agire nei confronti di terzi.
La rappresentanza differisce dal rapporto organico, perché questo, come si è visto, non dà luogo ad
un rapporto intersoggettivo, ma ad un rapporto di immedesimazione dell'organo col soggetto in cui
esso è inserito organicamente. Con la conseguenza che l'attività dell'organo è imputata
direttamente al soggetto di cui esso fa parte. Mediante il rapporto organico il soggetto svolge infatti
una sua propria attività in quanto l'organo è parte di esso.
La rappresentanza, in senso ampio, si distingue dalla figura del m e s so, il quale è un mero nuncius,
abilitato soltanto a trasmettere la dichiarazione di volontà dell'interessato.
9. Cose e beni
Dai soggetti si distinguono le cose. Tale termine indica parti del mondo materiale tra cui possono
essere comprese anche le energie.Le cose che sono suscettibili di essere oggetto di diritti sono de-
finite b e n i (art. 810 c e ) , mentre non possono essere considerati in senso stretto e giuridico beni
cose che, non essendo suscettibili di appropriazione, non possono formare oggetto di diritti, come
l'aria, il mare, lo spazio, fin tanto che restano nel loro ambiente naturale.
20
11. Diritti soggettivi e interessi legittimi
In effetti, la nozione corrente di diritto soggettivo intende evidenziare proprio la protezione ampia e
piena che rordinamento ha inteso assicurare all'interesse soggettivo.
Secondo la distinzione tradizionale tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, elaborata dalla
giurisprudenza e dalla dottrina, col diritto soggettivo il soggetto può far valere la sua potestà di
volere in relazione al suo interesse ad un bene della vita nei confronti di qualsiasi soggetto, ivi
compresa la Pubblica Amministrazione, sia quando essa agisce iure privatorum sia quando agisce
anche autoritativamente, ma in modo strettamente vincolato ad una fattispecie normativa, senza
margini di discrezionahtà. In tal caso l'interesse soggettivo incontra soltanto i vincoli e i limiti
direttamente previsti dalla legge e non soggiace ad un potere di scelta, ovvero sia discrezionale
della Pubblica AnmiinistraMone.
La tutela che l'interesse riceve dall'ordinamento non è quindi condizionata dall'uso che
l'Amministrazione faccia di siffatto potere, ma dipende direttamente dalla norma. Il soggetto può
invero pretendere nei confronti di chicchessia di non essere turbato nel godimento del suo diritto.
Se l'interesse è già presente e realizzato in capo al soggetto (es. titolarità di un diritto di proprietà),
esso potrà essere sacrificato (ad es. mediante un atto espropriativo, una confisca, un trasferimento
coattivo) oppure subire limitazioni (ad es. servitù coattiva).
Se l'interesse in tanto può realizzarsi in quanto intervenga la Pubblica Amministrazione con la
rimozione di limiti alla situazione soggettiva, all'esercizio di determinate facoltà, esso è
ovviamente condizionato e si realizzerà in concreto soltanto con l'esito positivo dell'esercizio del
potere.
Ma l'interesse può anche essere soddisfatto e realizzato a seguito dell' esercizio del potere
discrezionale della Pubblica Amministrazione che consente l'attribuzione al soggetto del bene o
dell'utilità cui egli aspira e si ripromette di ottenere ed è oggetto dell'interesse stesso, anche
attraverso la realizzazione progressiva di utilità strumentali a quella finale.
L'interesse legittimo pertanto, secondo tale impostazione, si risolverebbe in una posizione di
vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento
amministrativo, e consìstente nell' attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul
corretto esercizio del potere in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene.
In realtà, se si ragiona sul piano del solo interesse soggettivo, non vi è e non può esserci alcuna
distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Entrambi sono invero interessi tutelati
dall'ordinamento giuridico e tutelati direttamente.
Esso è protetto mediante la messa a disposizione del soggetto di vari strumenti giuridici (anche
procedimentali), come la possibilità di rivolgere istanze, di attivare il procedimento amministrativo,
di partecipare allo stesso, di presentare ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali, impugnando la
attività (o l'inazione) della Pubblica Amministrazione, quando non sia conforme al diritto, in modo
da ottenere di volta in volta un provvedimento favorevole, il riesame di uno sfavorevole, la sua
revoca, il suo annullamento, il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
Pertanto è la situazione sostanziale dell'interesse del soggetto ad essere protetta (e quindi è protetta
direttamente), mentre gli strumenti offerti dall' ordinamento, pur essendo necessari per la tutela,
21
sono appunto strumenti di protezione dell'interesse e non possono confondersi con esso, né
possono identificarsi con la figura dell'interesse legittimo.
Un diritto o un interesse alla legittimità o alla correttezza dell'azione della Pubblica
Amministrazione come tale sarebbe invero del tutto generico e il suo oggetto privo di
determinatezza. Esso non può quindi costituire quell'interesse soggettivo sostanziale che fa valere
il soggetto nei confronti di essa, perché la legittimità riguarda piuttosto i limiti al potere, mentre dal
punto di vista del soggetto costituisce l'ambito di protezione assicurato al proprio interesse al bene
della vita.
L'interesse alla legittimità come tale, a ben guardare, non si differenzia dall'interesse che possa
avere qualsiasi soggetto alla legittimità dell' azione dei pubblici poteri che, come tale, potrebbe
dare luogo ad un controllo popolare della legalità dell'azione amniinistrativa, una sorta di azione
popolare.
Quel che invece assume rilievo nella tutela assicurata dall'ordinamento, è proprio l'interesse
specifico al bene della vita, alle utilità che il soggetto possa trame o a cui aspira. È esso e solo esso
che sostanzia il ed. interesse legittimo come figura soggettiva che convenzionalmente viene
distinta, quanto alla tutela, dagli altri interessi, anch' essi protetti dall' ordinamento, ma non
condizionati da un potere discrezionale pubblico autoritativo.
Quello che viene definito come interesse strumentale non è altro quindi che la particolare
protezione accordata direttamente all'interesse sostanziale del soggetto. E difatti il meccanismo
della protezione, quando l'azione non corretta ha determinato una lesione della situazione
sostanziale, si concretizza accordando al soggetto leso la possibilità di far valere il suo interesse al
bene della vita contestando il modo in cui è stato esercitato il potere, per ottenere, a seconda dei
casi, l'annullamento, la revoca o la modifica dell' atto oppure il risarcimento del danno in forma
specifica o per equivalente.
È sicuramente vero che a fronte del dovere di correttezza cui è tenuto il soggetto che svolge un'
attività discrezionale che si riflette sugli interessi di altro soggetto sussiste l'interesse di
quest'ultimo all' esercizio corretto di queir attività. Ma non è e non può essere tale interesse, che è
soltanto strumentale alla protezione dell'interesse al bene della vita, l'oggetto specifico della tutela
apprestata dall' ordinamento al soggetto, né può essere considerato l'oggetto di una tutela diretta
poi collegata a quella (indiretta) del bene della vita (secondo la tesi del Casetta).
Ma ciò equivale a dire che egli ha interesse alla legittimità del comportamento o del procedimento
della Pubblica Amministrazione adottato nell' esercizio del suo potere. Né d'altra parte può porsi
una similitudine tra l'interesse legittimo e il diritto di credito.
La pretesa di un soggetto ad ottenere una prestazione patrimoniale da un altro soggetto non può
essere assimilata alla posizione che ha il soggetto di fronte ad un potere discrezionale della
Pubblica Amministrazione che è destinato ad incidere sui suoi specifici interessi. Ciò del resto
avviene anche se si ha riguardo alla posizione che ha il soggetto di fronte a un qualsiasi altro
soggetto dalla cui scelta discrezionale dipende la soddisfazione del proprio interesse.
Il comportamento o il provvedimento è lo strumento che consente di realizzare il soddisfacimento
dell'interesse al bene della vita del soggetto, quando tale interesse emerge nell' assetto degli
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interessi, ma non può essere configurato come il bene oggetto dell'interesse soggettivo. Ove si
scontrino soggetti interessati e contro-interessati rispetto a provvedimenti sfavorevoli per gli uni e
favorevoli per gli altri, ciascuno fa valere un suo personale interesse sostanziale al bene della vita,
il quale non può confondersi col provvedimento in quanto tale.
La dottrina e la giurisprudenza hanno anche individuato due tipi di interessi legittimi, quelli
oppositivi e quelli pretensivi.
L'interesse del soggetto nel primo caso è alla conservazione della posizione di vantaggio in ordine
al bene o alla utilità e lo strumento di tutela apprestato dall' ordinamento è l'azione diretta contro il
prowedimento o il comportamento lesivo dell'interesse. La situazione tipica è quella del diritto
soggettivo che viene sacrificato dall' attività della Pubblica Amministrazione, ma può anche
consistere in un interesse oppositivo di un soggetto ad una attività che è di vantaggio per altro
soggetto, la quale porti per riflesso al sacrificio di un suo bene della vita.
Nel secondo caso il soggetto per veder soddisfatto il suo interesse a un bene della vita necessita di
una' attività della Pubblica Amministrazione che incida in modo favorevole sulla sua situazione
soggettiva. L'ordinamento in questo caso offre una serie di strumenti nel corso del procedimento
finalizzati alla emanazione del provvedimento favorevole e, in caso di diniego, a contestarlo, ove
illegittimo.
Soltanto ove sussista un diritto del soggetto ad un bene della vita con corrispondente obbligo della
Pubblica Amniinistrazione a effettuare una data prestazione (attraverso o a seguito dell' adozione di
un atto anmiinistrativo), il soggetto nel pretendere la prestazione può pretendere l'adozione del
relativo necessario e strumentale provvedimento.
La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo riguarda invece i mezzi apprestati dall'
ordinamento per la loro protezione e gli strumenti messi a disposizione dei soggetti a tutela della
propria situazione soggettiva.
Il diritto soggettivo sussiste quando non entra in gioco l'esercizio di un potere autoritativo
discrezionale dell'Esecutivo o della Pubblica Amministrazione.
H soggetto fa valere allora il proprio interesse soggettivo dinanzi agli organi della giurisdizione
ordinaria; solo eccezionalmente e per determinate materie può farlo valere anche dinanzi agli
organi della giurisdizione amministrativa (art. 103,1 comma Cost).
È quindi da un lato la presenza di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione e dall'
altro l'affidamento dell'interesse soggettivo, sul quale incide l'esercizio del potere, alla tutela
giurisdizionale del giudice amministrativo ciò che determina l'essenza della fattispecie
dell'interesse legittimo.
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13. Potestà
Col termine potestà si indica una situazione giuridica attiva che si sostanzia nell'attribuzione ad un
soggetto di una serie di poteri in vista della realizzazione di uno specifico interesse che non è esclu-
sivo del titolare della potestà, vincolandolo in vario modo nel suo agire.
In ragione della realizzazione di interessi altrui alla potestà si accompagna di solito anche il dovere
di agire.
14. Facoltà
Le facoltà costituiscono i diversi modi attraverso i quali possono essere esercitate le situazioni
giuridiche soggettive attive. Il loro insieme rappresenta il contenuto della situazione soggettiva.
16. b) Onere
Quando la doverosità di un comportamento è correlata ad un potere, condizionandolo nel suo
esercizio, essa dà luogo alla figura dell'onere.
24
CAPITOLO QUARTO
LO STATO E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
2. Popolo e cittadinanza
Il popolo è una unità ideale di uomini organizzata politicamente che nella vita sociale si presenta
unitariamente.
Ove venga a formare uno Stato esso rappresenta l'ambito soggettivo dell' esercizio della sovranità.
Se poi la titolarità della sovranità appartiene al popolo e non ad altre entità lo Stato può dirsi
legittimato democraticamente.
Dal popolo va altresì distinto (anche se a volte è confuso con esso) il concetto di nazione in senso
stretto, col quale si indica il complesso di individui legati tra di loro da comuni tradizioni, cultura,
lingua, razza, etnia, senza che entri in gioco una organizzazione di tipo politico e giuridico.
La nazione può però anche avere rilevanza politica e giuridica ove la si rapporti per alcuni aspetti
oppure in stretta connessione al popolo. Può esserci un popolo-nazione, un popolo composto da più
nazionalità, una nazione divisa in due o più popoli.
Essa può essere attribuita ai singoli a titolo originario, iure sanguinis, per discendenza naturale da
chi è già cittadino, o iure soli per nascita nel territorio dello Stato. Può anche acquistarsi a titolo
derivato, per effetto di matrimonio, di acquisto di status di figlio, oppure per concessione da parte
dello Stato. Può anche perdersi per volontà o per il verificarsi di vari eventi, come, ad esempio,
l'acquisto di altra cittadinanza.
La legge italiana sulla ciltadinanza, n. 91 del 5.2.1992, prevede i casi di acquisto, di perdita e di
riacquisto della cittadinanza, privilegiando l'acquisto per discendenza da padre o madre italiana.
A seguito dell' approvazione del Trattato dell'Unione Europea, l'art. 17 assicura ai cittadini italiani,
come a quelli di tutti gli Stati membri dell'Unione, la cittadinanza europea, la quale viene a
costituire il compendio di tutti i diritti (e doveri) politici ad essi riconosciuti in ambito comunitario.
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3. Territorio
H territorio è quella parte della superficie terrestre dove si esercitano il dominio e la sovranità dello
Stato.
Esso comprende non solo la terraferma, ma anche una parte del mare contiguo alla terraferma e
dello spazio aereo ad essi sovrastante. Vengono altresì ritenuti territorio dello Stato le navi e gli
aeromobili, che, rispettivamente, navigano e sorvolano spazi marittimi o aerei non soggetti a
sovranità di altri Stati, ed alcuni edifici che godono della ed. extraterritorialità.
Il mare è costituito dal ed. mare territoriale, il quale si estende solitamente da un minimo di tre a un
massimo di dodici miglia marine, oltre le quali il mare è Ubero. Il codice della navigazione in Italia
(art. 2) ha prescritto che l'estensione del mare territoriale è di 12 miglia marine.
Oltre il mare territoriale è peraltro consentito agli Stati costieri di esercitare la propria sovranità
anche su quella parte del sottosuolo marino (ed. piattaforma continentale) che costituisce la
naturale prosecuzione della terraferma e si estende sotto il mare libero.
Lo spazio aereo al di sopra della terraferma e del mare territoriale comprende la ed. zona
atmosferica, mentre quella superiore è soggetta ad accordi internazionali.
Le sedi delle rappresentanze diplomatiche di uno Stato all' estero costituiscono territorio dello
Stato di riferimento.
4. Sovranità
La sovranità in senso ampio e generale può essere intesa come requisito di ogni ordinamento
politico originario, autonomo e indipendente.
Essa, per essere realmente tale, non deve ammettere la presenza di alcun' altra entità che possa
interferire nel proprio ambito di azione, nessuna altra entità al di sopra di sé.
Il sovrano è perché è originariamente al di sopra di ogni potere. Egli manifesta se stesso
producendo politica e diritto e ciò che proviene da lui non è altro che il suo tradursi in atto. In
quanto vero sovrano egli deve disconoscere altra fonte di potere politico che possa esistere
indipendentemente dalla sua volontà. Ciò che esiste politicamente è quanto egli ha voluto come
esistente politicamente, essendo egli l'unica autorità che esiste indipendentemente da ogni altra
autorità.
La sovranità assicura così allo Stato la propria legittimazione (da se stesso e in se stesso) ed
esprime la somma potestà ed autorità su ogni istituzione ed entità esistente nel proprio ambito
funzionale.
La titolarità e l'esercizio della sovranità possono spettare a varie entità esistenti nello Stato, ad un
apparato che a lui fa riferimento, ad una classe, ad una formazione politica o, come avviene negli
Stati democratici, al popolo unitariamente inteso.
La Costituzione Italiana, difatti, all' art. 1, II comma, stabilisce che la sovranità appartiene al
popolo e che esso la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Mentre quindi la titolarità
spetta al popolo, il suo esercizio è disciplinato giuridicamente in coerenza con i principi dello Stato
di diritto.
La Costituzione italiana, ad esempio, all' art. 10 stabilisce che l'ordinamento giuridico italiano si
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conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, mentre all' art. II prevede
la possibilità di limitazioni alla sovranità quando esse siano necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Orbene proprio in considerazione dei limiti cui va incontro la sovranità la sua sussistenza è stata
posta in discussione. Se invece le limitazioni e i condizionamenti, giuridici o di fatto, nascondono
una ormai avvenuta perdita effettiva e definitiva della sovranità, la conseguenza è che si è in
presenza di una comunità (statuale) che, sia pure organizzata politicamente, dà luogo ad una
parvenza di Stato.
6. Stato e normativismo
H fenomeno Stato viene peraltro ricondotto nell' ambito della norma giuridica da quelle teorie che
intendono risolverlo in termini di puro normativismo. E ciò in particolare da quelle teorie secondo
le quali lo Stato viene spiegato ricorrendo all' idea di una norma giuridica fondamentale
(Grundnorm) da cui esso trarrebbe la proprio legittimazione. Si ritiene così di superare lo stesso
problema della combinazione di popolo, territorio e del potere supremo, mentre viene svalutata la
teoria della sovranità.
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7. La Chiesa cattolica
Non soltanto gli Stati possono essere considerati soggetti sovrani. Vi sono ordinamenti non statuali
per i quali il diritto è considerato un attributo originario. Tra di essi per lunga tradizione va annove-
rata la Chiesa cattolica.
8. La Comunità internazionale
Per poter dare una disciplina giuridica alle loro relazioni gli Stati ed altre istituzioni politiche e
sovrane esistenti hanno portato alla costituzione di una Comunità ad essi esterna, che è individuata
come Comunità internazionale, considerata anch'essa con carattere di giuridicità.
La sua giuridicità non deriva però da quella statuale. Essa va collegata con il carattere di
«originarietà» che va riconosciuto alla Comunità, a sé considerata, per il diverso piano sul quale
essa opera, che è distinto da quello proprio dei singoli Stati. La Comunità internazionale, invero,
come tale, può vantare una vera e propria autonomia da ogni altra istituzione, ivi comprese le stesse
istituzioni statali, rispetto all' attività delle quali può dirsi che sorga.
Difficoltà possono presentarsi per determinare l'esatto contenuto di consuetodini. I mezzi di prova
sono i più diversi e vanno dall' accertamento della generalità e costanza dell'osservanza dell'uso
(beninteso in considerazione dell'ambito in cui esso si manifesta) all'indagine sulle attività interne
dei soggetti internazionali, le quali siano indicative di un comportamento conforme ad usi
internazionali.
I trattati vincolano soltanto i soggetti che li hanno posti in essere. La parità tra i soggetti
internazionali comporta che l'osservanza del diritto internazionale è in linea di principio affidata
all'autotutela.
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11. L'unione Europea
In Europa sono state istituite Comunità europee sopranazionali a partire dalla CECA (Comunità
economica del carbone e dell'acciaio) nel 1951, alla CEE (Comunità economica europea) e
all'Euratom (Comunità europea dell' energia atomica) del 1957, fino all'Unione europea del 1992
in virtù del Trattato sull'Unione europea, stipulato a Maastricht. Tale trattato, mentre ricomprende
le Comunità europee esistenti (ed. primo pilastro), estende i compiti dell'Unione Europea alla
politica estera e di sicurezza comune (PESC), cosiddetto secondo pilastro, e alla cooperazione
giudiziaria e di polizia in materia penale, ed. terzo pilastro.
I principali organi comunitari sono i seguenti. Il Consiglio dell'Unione europea, composto dai
rappresentanti dei governi degli stati membri, è l'organo normativo e di decisione.
La Commissione è l'organo esecutivo che ha funzione di rappresentanza della Comunità all'interno,
nei confronti dei singoli Stati, e all' esterno; di proposta ed iniziativa normativa; di vigilanza sull'
esecuzione dei trattati.
II Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei popoli dei singoli Stati, eletti a suffragio
universale e diretto in ogni Stato membro per cinque anni.
Esercita poteri di controllo nei confronti della Commissione e delle altre istituzioni comunitarie.
Partecipa alla formazione degli atti comunitari attraverso il rilascio di pareri obbligatori non
vincolanti e pareri obbligatori e vincolanti.
La Corte dì giustizia, che ha sede a Lussemburgo, formata da 15 giudici (uno per ogni Stato
membro) e da otto Avvocati generali, ha il compito di assicurare l'uniforme interpretazione del
diritto comunitario e di giudicare sulla validità degli atti delle istituzioni.
Il Tribunale di primo grado, anch' esso con sede in Lussemburgo, istituito nel 1988, ha una
competenza limitata ad alcune materie determinate dal Consiglio, previa indicazione della Corte di
giustizia. Le sue decisioni sono impugnabili dinanzi alla Corte di Giustizia.
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CAPITOLO QUINTO:
FORME DI STATO
3. c) Monarchia e repubblica
Una distinzione che nel passato ha avuto notevole rilevanza tra le forme di Stato è stata quella tra
monarchia e repubblica, la quale è venuta meno a mano a mano che si è andata affermando la de-
mocrazia nella vita politica. È questa una distinzione che ha un valore sul piano storico e negli Stati
democratici contemporanei deve ritenersi superata dalla evoluzione delle forme di governo.
Per Monarchia si intendeva storicamente quella forma di organizzazione del potere politico in cui il
potere era attribuito (ed esercitato) vita naturai durante ad un sovrano, vale a dire ad una personalità
che derivava la carica e ne era legittimato da una discendenza ereditaria, per l'appartenenza ad un
casato, oppure in virtù di una elezione.
In effetti la distinzione oggi tra Stato monarchico e repubblicano riguarda soltanto l'attribuzione
della Carica di Capo dello Stato, nel primo a vita (prevalentemente in via ereditaria), nel secondo
per un tempo predeterminato.
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5. e) Stali democratici
La partecipazione del popolo alla gestione del potere caratterizza gli Stati democratici. Tale
partecipazione deve essere reale e non apparente e fondarsi sulla libertà degli individui. Con la
conseguenza che l'individuazione dei valori di riferimento deve a sua volta derivare dalla loro
libera scelta che in un sistema rappresentativo comporta l'elezione diretta o indiretta delle
istituzioni politiche.
L'esercizio del potere sovrano da parte delle istituzioni dell'ordinamento statale complessivamente
considerato deve invero essere ricondotto al popolo, poiché è nel popolo che negli Stati
democratici risiede il potere sovrano e da esso promana, manifestandosi nelle diverse articolazioni
della struttura statale che esso si è data.
Per far fronte ai compiti via via crescenti si sono dotati di strutture organizzative permanenti e
diffuse sul territorio assicurando in questo modo il collegamento con gli elettori. Si è superata così
la configurazione di partito di notabili che essi avevano nella precedente fase storica.
Contemporaneamente si è cambiato il rapporto con le loro componenti parlamentari la cui attività è
stata da essi sempre più condizionata. In questa fase e entrato in crisi il sistema politico fondato sul
parlamentarismo tipico dello Stato liberale-rappresentativo e si è andata trasformando la stessa
struttura dello Stato contemporaneo.
Le elezioni sono di fatto un loro monopolio. Se è vero che astrattamente chiunque potrebbe da solo
avanzare la propria candidatura alle elezioni, sempre che non vi siano limitazioni legali in tal senso,
risulta che di fatto sono i partiti che scelgono i candidati da inserire nelle loro liste o da presentare
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nei singoli collegi. E sono questi che possono avere effettive possibilità di essere eletti, in quanto
dai partiti ricevono il necessario appoggio. Ciò si verifica anche quando la scelta dei candidati dei
partiti è fatta dipendere dalle ed. primarie, perché è pur sempre la decisione ed il sostegno del
partito che è decisivo.
La stessa propaganda elettorale è affidata principalmente ai partiti sulla base del loro programma
politico.
D'altra parte l'intervento dei partiti serve anche da garanzia nei confronti dell' elettorato, in quanto
da essi è assicurata la qualificazione politica delle varie candidature e da essi è così reso edotto
l'elettore in ordine al programma politico che i candidati si impegnano ad attuare. Ed in tal modo si
evita anche che i singoli candidati siano condizionati esclusivamente dall'appoggio ricevuto dai
vari gruppi di interesse o da notabili locali.
In molti ordinamenti peraltro le elezioni assumono un carattere plebiscitario per il governo, nel
senso che il consenso popolare che viene manifestato nei confronti di un partito o di una coalizione
di partiti che ottiene la maggioranza dei voti (o eventualmente un risultato elettorale maggioritario)
serve anche -ad assicurare per un determinato periodo di tempo, che normalmente coincide con la
durata della legislatura, una stabile conduzione della vita politica di governo.
Ma i partiti politici condizionano gli eletti al Parlamento anche dopo le elezioni. Nei Paesi a partito
unico o anche a sistema non competitivo tale dipendenza è intrinseca al sistema e appare
istituzionalmente riconosciuta, essendo prevista ad esempio la revoca del mandato.
Negli altri Paesi a sistema pluralistico e competitivo la soggezione nei confronti dei partiti può
variare di intensità, ma è sempre presente e comporta che i membri del Parlamento, se pure
formalmente sono liberi e indipendenti nella scelta delle soluzioni e delle decisioni che prendono
nell' espletamento della loro attività politica parlamentare, in realtà sono sottoposti alla direzione e
alle indicazioni del gruppo parlamentare (a sua volta collegato al corrispondente partito) cui
appartengono. Ove essi non intendessero sottoporvisi sarebbero esposti alle sue sanzioni, la più
grave delle quali, in caso di disaccordo ovviamente insanabile, è rappresentata dall' espulsione dal
gruppo. Il che può comportare la fine della carriera politica del parlamentare, a meno che egli non
trovi appoggio in un altro gruppo (e corrispondente partito).
Anche l'Esecutivo risente dell'intervento determinante dei partiti politici. Nei sistemi di governo
presidenziale sono essi che convogliano il consenso degli elettori (popolo o collegio elettorale) sui
candidati alla Presidenza. Nei sistemi di governo parlamentare sono essi che determinano tanto
l'elezione del Capo dello Stato (se si tratta di carica elettiva) quanto la designazione dei membri del
Governo (Capo del Governo e membri del Gabinetto) e condizionano la stessa vita politica
governativa.
La forza o la debolezza del Premier e la presenza o assenza di omogeneità tra i membri del
Gabinetto sono direttamente collegate alle designazioni provenienti dai partiti e al
condizionamento continuo che il Governo deve subire, a volte, come in Italia, anche dalle correnti
dei partiti della maggioranza.
Siffatto molo può variare di intensità e di funzionalità nei diversi Paesi, in dipendenza sia della
sttuttura dei singoli partiti, sia della geografia politica, ma va comunque rapportato al variare delle
maggioranze politiche che si costituiscono in sede centrale e locale.
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8. h) Rappresentanza politica e Stato dipartiti
La rilevanza che hanno assunto i partiti nel processo di formazione della volontà del popolo ha poi
indotto alcuni a configura re lo Stato di partiti come fondato non più sul principio di rappresentanza
(tipico dello Stato liberale rappresentativo) bensì su quello di identità, in quanto i partiti si
identificherebbero col popolo politicamente attivo, e i parlamentari non sarebbero da considerare
più come rappresentanti del popolo, ma suoi strumenti in quanto dipendenti di fatto dalle gerarchie
dei partiti ed alla loro volontà vincolati per una sorta di mandato imperativo.
Può tuttavia obiettarsi che la complessiva attività posta in essere dai parlamentari, la quale traduce
sul piano istituzionale statale la politica di partito (o meglio della maggioranza dei partiti), può
essere comunque ritenuta rappresentativa, in quanto riferita, imputata al popolo nella sua unità, che
ne riconosce e sopporta gli effetti, assumendosene la responsabilità e le conseguenze. Il valore
tendenzialmente plebiscitario e direttamente partecipativo del popolo tramite le sue stabili
organizzazioni politiche, i partiti politici, nei confronti delle istituzioni statali non esclude quindi la
rappresentatività politica.
Nel momento in cui si assume che le decisioni assunte dai Parlamentari sono quelle assunte da altri
organismi come i partiti politici, e che come tali valgono immediatamente come decisioni proprie
del popolo, in realtà si viene a riconoscere che si è costituita altra forma di rappresentanza politica,
del popolo da parte dei partiti; né più né meno di come si assume che avvenga nel Parlamento, ove
le decisioni prese dalla maggioranza dei parlamentari di diverse tendenze politiche valgono come
se fossero decisioni prese dal popolo direttamente.
In realtà lo stesso concetto di rappresentanza politica di per sé non esclude la presenza di vincoli nei
confronti dei rappresentanti. E anche quando si esclude espressamente il mandato imperativo, la li-
bertà da vincoli non può mai essere intesa in senso assoluto, dato che le decisioni non possono non
essere condizionate dai bisogni e dalle esigenze di un determinato ambiente sociale e di una
determinata epoca storica.
Di conseguenza sembra innegabile la validità della rappresentanza politica anche nello Stato di
partiti. Essa costituisce fattore essenziale di organizzazione dello Stato. Poiché il popolo non può
realmente comparire in tutte le decisioni politiche da prendere, si impone la necessità di ricorrere
ad altre entità, appunto i rappresentanti, che lo rendono realmente presente ed agente.
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CAPITOLO SESTO
LA DIVISIONE DEI POTERI
Tale concezione in definitiva intendeva creare nello Stato organi o gruppi di organi ciascuno
titolare di urla porzione del potere politico e ciascuno in posizione di autonomia rispetto agli altri:
da una parte il potere politico del Monarca e della burocrazia che da lui strettamente dipendeva, che
aveva finito per identificarsi in certo senso con lo Stato, e dall' altra e in contrapposizione a quello
il potere politico delle assemblee parlamentari nelle quali trovava il suo sblocco naturale il popolo,
0 almeno la parte di esso politicamente attiva. La contrapposizione tra le due forze politiche in
ordine sia alla attribuzione sia all' esercizio del potere politico trovava la sua espressione giuridica
nella costruzione del potere legislativo e di quello esecutivo come due poteri politici a sé stanti,
cioè contrapposti.
Traspare quindi dalla costruzione del Montesquieu non tanto l'aspirazione a dare una precisa
determinazione riguardo al contenuto dei poteri, con una definizione astratta, quanto piuttosto
l'idea della necessità di dividere i poteri per la tutela della libertà politica. La costruzione della
divisione dei poteri veniva quindi a dar luogo da un lato a due poteri statali intensione fra loro, i
quali istituzionalmente corrispondevano a due effettivi centri di potere politico, popolo uni-
tariamente considerato nella sua astrazione e monarca, e dall' altro un potere destinato ad assumere
sempre maggiore indipendenza rispetto agli altri due, che non corrispondeva però ad un centro
autonomo di interessi e quindi di potere politico, anche se assolveva un compito ritenuto essenziale
per la conservazione dell' ordine giuridico e quindi per la conservazione della comunità sociale
organizzata politicamente.
Tuttavia, nello Stato di diritto, in cui al popolo nella sua unità è stato riconosciuto il'potere politico
sovrano, originario, irrinunciabile e indivisibile, il principio della divisione dei poteri, anche se
svuotato del suo significato originario, è stato sempre affermato in modo' solenne e riportato nelle
carte e nei documenti costituzionali per il valore tradizionale e politico che ad esso è stato sempre
riconosciuto, quasi segno tangibile di democrazia. Ma in realtà si è ridotto a mero slogan politico,
mentre sul piano giuridico ha assunto valore eminentemente sul piano organizzativo.
1 concetti giuridici di potere e di divisione di potere hanno assunto quindi tutf altro significato. Essi
non indicano più campi materiali di azione di soggetti detentori di una parte del potere politico, ma
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piuttosto definiscono una serie di attribuzioni di organi dello Stato o di soggetti distinti dalla
persona statale, che sono esercitate da questi, soli o in collaborazione fra loro, e che sono
individuate prevalentemente in base a criteri formali; sicché si sono risolti nel principio della
ripartizione funzionale di competenze. Il potere è stato quindi razionalizzato in relazione all'
organizzazione istituzionale. Si sono create competenze diverse, ciascuna coerente con compiti
specifici da adempiere, ciascuna parte dell'unitario e originario potere dello Stato.
3. a) Potere legislativo
Pertanto, per individuare il potere legislativo si prescinde dal concetto di legislazione materiale
(che comprende qualsiasi atto normativo) e si ha riguardo al solo potere legislativo in senso
formale. Gli elementi tipici che lo caratterizzano sono individuabili nella particolare forza ed
efficacia dei singoli atti posti in essere da un soggetto, di solito il Parlamento, ma potrebbe essere
qualsiasi assemblea legislativa in uno Stato federale o ad autonomia regionale, in relazione ad altri
atti posti in essere dallo stesso o da altri soggetti giuridici. All'interno del potere legislativo formale
possono distinguersi vari sottotipi, come, ad esempio, quello di legislazione costituzionale e
ordinaria o di legislazione statale e regionale.
4. b) Potere giurisdizionale
H potere giurisdizionale considerando gli effetti cui i suoi atti, inseriti in un particolare
procedimento, danno luogo, consiste nella intrinseca idoneità di questi a giungere ad una decisione
dotata di una particolare forza ed efficacia, come tale suscettibile di essere definitiva rispetto ad
altre manifestazioni di volontà, la quale fa stato in ordine ad una specifica questione insorta tra
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privati, tra privati ed amministrazione, tra arrmiinistrazioni fra loro, tra fonti diverse dello
ordinamento e in genere tra qualunque soggetto.
Non si ritiene invece a stretto rigore determinante da un punto di vista generale la posizione, di
indipendenza e di imparzialità, che assume l'organo giudicante, malgrado il rilievo che essa riceve
nei ,singoli ordinanjenti positivi, tanto che a volte viene anche ritenuta essenziale per la valida
costituzione del giudice. E questo un carattere eventuale della funzione ma non necessario per la
sua esistenza sul piano di una teoria generale allo stesso modo delle varie forme procedimentali e
delle specifiche garanzie, come quella del contraddittorio tra le parti del processo.
5. c) Potere esecutivo
Il potere esecutivo al contrario, unitariamente inteso, non può di per sé essere individuato in modo
positivo per gli effetti tipici e costanti cui danno luogo le varie attività. Esso va invece individuato
in via negativa, per l'assenza di elementi tipici come quelli con i quali è possibile caratterizzare i
poteri legislativo e giurisdizionale.
Nell'ordinamento costituzionale italiano, pur mancando un espresso riferimento alla funzione
esecutiva, sono previsti da un lato, in. via generale, all'art. 95 l'attività e l'indirizzo
politico-amministrativo, che restano affidati al Governo e alla Pubblica Amministrazione, dall'
altro le garanzie specifiche delle attività medesime, non solo di quella politica, per la quale vale il
principio cardine della forma di governo parlamentare della responsabilità governativa di fronte al
Parlamento, ma anche di quella amniinistrativa, per la quale vale il principio di legalità azionabile
davanti alla giurisdizione (art. 113).
Deve peraltro escludersi, oltre casi specifici, il riconoscimento di un principio generale di riserva di
esecuzione e di amministrazione da far valere nei confronti del legislatore.
Indipendentemente dal modo in cui avviene la ripartizione del potere, in senso verticale o
orizzontale, tra diversi organi o complessi organici, va tuttavia considerato che essa non è stata mai
attuata in modo rigorosamente rigido e schematico, nel senso di attribuire l'uno o l'altro potere ad
organi del tutto distinti fra di loro senza reciproche interferenze. Sono state previste invero nei vari
ordinamenti forme di collaborazione reciproca tra gli organi esercitanti funzioni diverse, anche
indipendentemente dalla titolarità, in linea di principio, del relativo potere, in vista del risultato
finale che deve essere raggiunto.
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CAPITOLO SETTIMO
FORME DI GOVERNO
3. b) Governo assembleare
La forma di governo parlamentare, ove il governo sia in balia di improvvise maggioranze formatesi
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in seno al parlamento con cambi repentini di posizione e di coalizione dei partiti politici e dei corri-
spondenti gruppi parlamentari, può risolversi in una forma di governo assembleare.
Di solito si ritiene che tale forma di governo sia istituzionalizzata quando manchino regole che
condizionino la votazione della fiducia o della sfiducia parlamentare al govèrno.
4. c) Governo presidenziale
La forma di governo presidenziale a differenza di quella parlamentare si fonda sul dualismo tra
parlamento e governo e sulla mancanza di un rapporto fiduciario tra i due organi.
Il Capo del governo, che è anche Capo dello Stato, è di solito eletto, come il parlamento, dal popolo
direttamente o indirettamente (con una elezione di secondo grado), ma può anche essere eletto
dallo stesso parlamento. Dopo l'elezione resta in carica per tutto il tempo previsto di durata del
mandato presidenziale.
6. e) Governo direttoriale
La forma di governo direttoriale è caratterizzata dalla presenza di un esecutivo collegiale, eletto dal
parlamento per tutta la durata della legislatura, che assomma le funzioni di governo e di Capo dello
Stato, nonché dalla mancanza di un rapporto fiduciario tra tale organo ed il Parlamento.
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CAPITOLO OTTAVO
COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE
1. // concetto di Costituzione
Nel periodo illuministico si è andata sviluppando l'idea, propria delle dottrine del ed.
costituzionalismo, secondo cui lo Stato per essere tale deve avere una Costituzione che ne
determini l'organizzazione basilare e stabilisca i principi e i diritti fondamentali a garanzia dei
cittadini.
La Costituzione ha assunto così il significato di Legge fondamentale dello Stato, la quale secondo
il criterio gradualistico, è posta al vertice delle fonti dell' ordinamento giuridico statale.
Questa può essere costituita anche da pochi principi, può essere scritta o non scritta, ma senza di
essa, ove manchi un nucleo basilare di disciplina organizzativa, non è immaginabile la stessa
esistenza dell' organizzazione, né può essere configurabile una unità politica operante.
A volte sulla spinta di dottrine giusnaturalistiche la Costituzione è stata concepita come un testo
che assume carattere sacro per il riconoscimento di diritti e di principi esistenti in natura che ad essa
si impongono o la condizionano.
2. Il potere costituente
Il potere costituzionale è stato giustificato in vario modo, ad esempio col riferimento alla
trascendenza divina (per grazia di Dio), oppure, in epoca democratica, alla volontà (espressa o
tacita) del popolo o della classe dominante o comunque alla forza, al dominio espresso dalle forze
politiche o dai soggetti politici che in un dato momento storico lo hanno di fatto esercitato.
La legittimazione di tale potere è stata anche fatta derivare da una precedente esperienza
costituzionale, contraddicendo peraltro il carattere originario del potere stesso.
In realtà non ha senso tentare di definire a priori, giuridicamente, il potere costituente. Esso è
invero ontologicamente pregiuridico e solo col suo manifestarsi per effetto di una decisione
politica riconducibile ad un potere in sé originario fa venire ad esistenza la Costituzione e con essa
il Diritto costituzionale.
Il potere costituente quindi va visto nel fatto, storicamente idoneo ad istituire l'ordinamento
costituzionale. Fatto che una volta istituito l'ordinamento viene riconosciuto per ciò solo
normativo.
Esso è di volta in volta rinvenibile nell' atto di volontà che può essere espresso ora da un singolo
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dotato di potere sovrano (il Monarca nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale),
ora da un gruppo di potere o da esponenti di una oligarchia di una classe sociale prevalente, ora dal
Popolo inteso come unità politica capace di agire per il tramite di suoi rappresentanti oppure
direttamente, ma anche in modo tacito e per via consuetudinaria, ora da entità politiche e giuridiche
esterne, come può essere il caso di decisioni provenienti da altro o altri Stati a seguito di accordi sul
piano dei rapporti internazionali, ad esempio per effetto di decisioni assunte da potenze vincitrici di
un conflitto bellico, oppure per effetto della decisione di entità politiche territoriali esistenti di
aggregarsi per istituire altro assetto istituzionale, come avviene, ad esempio, a seguito del processo
di formazione degli Stati federali.
Ciò esclude che possa parlarsi «a priori» di legittimità o legalità, nel senso di presupporre un
parametro oggettivo ed assoluto cui raffrontare il singolo ordinamento, perché siffatto parametro
non esiste, né può considerarsi giuridica qualsiasi Costituzione o progetto astratto di ordinamento
giuridico fondamentale prima del suo inveramento nella prassi. Come non può ancorarsi la
legittimità ad una precedente Costituzione. Il che comporterebbe logicamente il ricorso di volta in
volta ad una precedente Costituzione che legittimi quella seguente. E ciò all'infinito.
Ciò non esclude che il potere costituente possa disciplinare le modalità del suo stesso esercizio. Ma,
essendo un potere originario, esso può anche svolgersi indipendentemente da siffatte discipline od
anche contro di esse. Ciò perché una Costituzione può venire ad esistenza indipendentemente da
previe discipline giuridiche. Anche quando si esercita il potere costituente in modo conforme a
precedenti discipline giuridiche che l'abbiano a loro oggetto è sempre un potere in sé originario che
si manifesta per il solo fatto del suo venire ad esistenza.
Se quindi una Costituzione esistente viene modificata o integrata, non può non ammettersi
l'esercizio di un potere costituente, sia esso un potere costituito, perché riconosciuto e disciplinato
per le modalità del suo svolgimento dalla stessa Costituzione, sia esso un potere che si svolge
autonomamente da essa. Ciò in quanto il potere costituente non si esaurisce in una Costituzione
storicamente datata, ma permane nel soggetto (sia esso un monarca assoluto, sia il popolo nella
unità politica) cui di volta in volta, nel modificarsi del sistema politico, è riconosciuta la titolarità.
3. La Costituzione vivente
Le Costituzioni quindi vanno viste nel concreto operare delle istituzioni, degli organi e delle forze
politiche. In tal senso può parlarsi di Costituzione reale e vivente. Concetto che a volte si esprime
con l'espressione Costituzione materiale, anche se con questa si intende piuttosto indicare il
particolare regime politico e giuridico che si realizza, anche in contrapposizione o in dissonanza
con la Costituzione formale.
Anche se una Costituzione afferma la sua immodifìcabilità, ciò non esclude affatto che nel corso
del tempo subisca mutamenti, a volte anche radicali. Ciò si è, ad esempio, verificato con lo Statuto
Albertino, il quale, pur autoproclamandosi Legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della
Monarchia, fu poi modificata e travolta dalle successive leggi ordinarie e dalla consuetudine.
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4. Tipologia delle Costituzioni
Le Costituzioni possono essere brevi o lunghe scritte o non scritte.
Quelle brevi (ad esempio lo Statuto Albertino) contengono poche disposizioni che riguardano
principi fondamentali, garantiscono alcuni diritti fondamentali e stabiliscono le regole
fondamentali della strattura dello Stato e dell' assetto degli organi costituzionali.
Quelle lunghe dettano regole generali ed anche particolari (e a volte minuziose) che riguardano
oltre i diritti fondamentali vari aspetti della società civile, tra cui i ed. diritti sociali, i rapporti tra i
vari organi e soggetti costituzionali o a rilevanza costituzionale.
Le costituzioni scritte o non scritte sono quelle che si formano sulla base di accordi e convenzioni
intervenuti tra le forze politiche prevalenti e a seguito di comportamenti degli organi istituzionali
protrattisi nel corso del tempo, i quali danno luogo a consuetudini costituzionali.
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CAPITOLO NONO
LO STATO ITALIANO E LE SUE FONTI
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n. 3, per cui si ha un quadro d'assieme abbastanza complesso, che può essere ordinato secondo il
criterio gradualistico e quello della competenza.
Nelle Disposizioni preUminari al codice civile del 1942 sono indicate come fonti del diritto le leggi
e gli atti aventi forza di legge, i regolamenti, le norme corporative e gli usi, ovverosia le
consuetudini.
Le norme corporative, costituite dai contratti collettivi di lavoro, dagli accordi economici collettivi
(stipulati dalle associazioni sindacali di diritto pubblico e dotati di efficacia obbligatoria per tutti
gli appartenenti alle categorie economico produttive e professionali), dalle ordinanze corporative e
dalle sentenze normative della magistratura del lavoro, sono peraltro venute meno con la
soppressione degli organi corporativi e con l'abrogazione dell'ordinamento corporativo, mentre
furono lasciati in vigore i contratti e gli accordi stipulati precedentemente.
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5. Atti aventi forza di legge: a) Decreti legislativi
Con 1' espressione atti aventi forza di legge si intendono gli atti normativi equiparati alla legge
quanto alloro rapporto con le altre fonti dell' ordinamento. Atti quindi idonei ad abrogare altri atti
legislativi, ivi comprese le leggi, e di essere abrogati soltanto da altri atti legislativi.
Dalla Costituzione italiana si evince che in tale categoria possono essere senz'altro annoverati il
decreto legislativo e il Decreto legge, adottati dal Governo ed emanati dal Presidente della
Repubblica. Neil' ordinamento regionale non sono invece previsti atti legislativi diversi dalle leggi
regionali ed equiparati ad esse.
In quanto titolare della funzione, il Parlamento, fin quando la delega non è esercitata, può revocarla
e/o modificarla, non soltanto in modo esplicito ma anche in modo implicito, come avviene
attraverso. una successiva modifica della disciplina che era stata oggetto di delegazione.
La delega viene conferita al Governo unitariamente inteso (non è ammissibile la delega ad uno
degli organi che compongono il Governo) e con legge. Questa, ai sensi dell'art. 72, IV comma Cost.,
deve essere adottata col procedimento normale di esame e di approvazione stabilito dallo stesso art.
72.
I limiti stabiliti dalla Costituzione non escludono che il Parlamento possa fissarne di ulteriori,
anche procedimentali. Come avviene, ad esempio, quando si richiede che il Governo sottoponga il
progetto di Decreto legislativo alla previa valutazione di Commissioni parlamentari.
La legge 400/1988 peraltro all'art. 14, IV comma ha previsto che, ove la delega ecceda i due anni, il
Governo deve chiedere il parere delle Commissioni parlamentari sullo schema di decreto delegato.
Una volta che il Decreto delegato è stato emanato, normalmente la delega si esaurisce, anche se
non è trascorso il termine finale stabilito nella legge delega, per cui non è più possibile per il
Governo adottare altro decreto. Tuttavia il Parlamento con la delega può consentire al Governo di
adottare uno o più decreti delegati, che possono essere integrativi o correttivi rispetto a quello
precedentemente approvato (art. 14, III comma L. 400/1988).
6. b) Decreti legge
I decreti legge sono atti provvisori con forza di legge adottati di propria iniziativa dal Governo,
sotto la sua responsabilità, in casi straordinari di necessità e di urgenza (art. 77 Cost., Il comma
Cost.).
H decreto legge entra in vigore immediatamente (il giorno stesso della sua pubblicazione sulla G.U.
o il giorno successivo), deve essere presentito alle Camere il giorno stesso della sua emanazione e,
ove le Camere non siano riunite o siano sciolte, esse vanno appositamente convocate e si
riuniscono entro cinque giorni. Ciò in qua ito il decreto legge deve essere convertito in legge dal
Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, pena la perdita di efficacia sin dall'inizio
(ex fune). Ove manchi la conversione in legge, i rapporti giuridici sortì sulla base dei decreti non
convertiti restano quindi privi di tutela giuridica. La Costituzione tuttavia ha previsto, la possibilità
che le Camere provvedano a regolare gli stsssi con legge.
Ma anche la Corte Costituzionale in sede di controllo della legittimità costituzionale del decreto o
della legge di conversione potrebbe rilevare la loro mancanza come si evince dalla sentenza
29/1995. Dovrebbe però trattarsi di un caso di evidente mancanza dei presupposti di necessità e di
urgenza non sostenuti da una apposita specifica motivazione nella relazione che accompagna il
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disegno di .legge di conversione.
Non può inoltre escludersi un intervento del Presidente della Repubblica, cui compete
l'emanazione del Decreto, ove si evidenzi una palese ^legittimità costituzionale del contenuto
normativo del decreto.
In sede di conversione il Parlamento può anche modificare ed integrare il decreto. Le eventuali
modifiche ed integrazioni produrranno però i loro effetti dopo la pubblicazione della legge di
conversione, mentre le partì non oggetto di conversione decadranno ex tunc.
A partire dalla sentenza 360/1996 della Corte costituzionale non è più ammessa la reiterazione da
parte del Governo di un decreto legge non convertito per infruttuoso decorso del termine dei
sessanta giorni.
7. Statuti regionali
Gli statuti regionali hanno diverso valore e forza a seconda che si tratti di Regioni ad autonomia
speciale o di Regioni ordinarie.
Gli statuti delle Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto
Adige-Sudtirol, Valle d'Aosta) sono adottati con legge costituzionale. Essi in vero assicurano una
autonomia particolare a tali Regioni in deroga alle disposizioni costituzionali valide per tutte le
altre Regioni. Essi quindi prevalgono su ogni altra legge statale e regionale. Devono tuttavia
osservare anch'essi i principi fondamentali e inderogabili della Costituzione, come stabilito dalla
Corte costituzionale.
La legge di approvazione dello statuto regionale è quindi una legge particolarmente rinforzata, la
quale per le materie ad essa riservate prevale sulle leggi ordinarie regionali e da esse non può essere
modificata.
I decreti legislativi di attuazione degli statuti d elle regioni ad autonomia speciale sono adottati dal
Governo, su proposta di una Commissione paritetica formata da membri designati dal Governo e
dall' assemblea regionale, senza previa delega del Parlamento. Si tratta di atti legislativi previsti
dalle leggi costituzionali che approvano gli statuti regionali.
8. Referendum abrogativo
L'art. 75 Cost. prevede che il referendum per l'abrogazione totale o parziale di una legge (ordinaria)
o atto avente valore di legge è indetto quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Con-
sigli regionali. L'indizione avviene con Decreto del Presidente della Repubblica (art. 87 Cost).
II referendum è peraltro escluso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
La Corte costituzionale, cui l'art. 2 della L. Cost. 11.3.1953, n. 1 ha attribuito il potere di giudicare
sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo ai sensi dell' art. 75 Cost, ha peraltro
esteso ed ampliato i casi di inammissibilità. Ha escluso l'ammissibilità di referendum su leggi che
possono incidere direttamente su quelle che sono espressamente contemplate dall'art. 75, come, ad
esempio, le leggi finanziarie (rispetto alla legge di bilancio), di esecuzione di trattati internazionali
e di obblighi comunitari (rispetto a quelle di autorizzazione alla ratifica); su leggi a contenuto
costituzionalmente vincolato, quando incidono su principi costituzionali o impediscono il
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funzionamento di organi costituzionali o a rilevanza costituzionale; su leggi di forza passiva
peculiare (leggi rinforzate passivamente come quelle previste dagli artt. 7 e 8 Cost.).
La Corte ha inoltre ritenuto inammissibili referendum con. quesiti non omogenei (vale a dire con
pluralità di richieste su norme non collegate tra di loro) e non chiari o con effetti non percettibili dal
votante.
Nel caso di esito favorevole il Presidente della Repubblica con decreto dichiara l'avvenuta
abrogazione della legge, la quale ha effetto dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale. Può tuttavia ritardarsi l'entrata in vigore della abrogazione fino a 60 giorni su
delibera del Consiglio dei Ministri.
Se il risultato è negativo se ne dà notizia nella Gazzetta Ufficiale ed il referendum non può essere
riproposto se non dopo cinque anni.
Se la legge sottoposta a referendum è abrogata o modificata in modo che corrisponda all' obiettivo
che si propongono i promotori non si fa luogo a referendum. Se le modifiche riproducono
sostanzialmente l'oggetto della richiesta il referendum si svolge sulla nuova disciplina.
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10. b) Tipologia dei regolamenti
La disciplina generale dei regolamenti è prevalentemente contenuta nelle disp. prel. al codice civile
e nella L. 400/1988.
L'art. 4 delle disp. prel. stabilisce la prevalenza gerarchica della legge sui regolamenti, i quali non
possono contenere norme contrarie alle sue disposizioni, e quella dei regolamenti del governo sui
regolamenti di altre autorità.
La dottrina ammette che regolamenti esecutivi possono intervenire anche in materie coperte da
riserva assoluta di legge, purché siano di stretta esecuzione, limitandosi a predisporre gli strumenti
amministrativi e le procedure occorrenti per l'applicazione della legge. In effetti in tal caso più che
di regolamenti esecutivi si tratterebbe di regolamenti organizzativi del potere esecutivo.
I regolamenti di attuazione riguardano l'attuazione e l'integrazione di fonti primarie e comportano
l'adozione di discipline più specifiche nell' ambito dei principi e delle norme stabilite dalle leggi e
dai decreti legislativi.
I regolamenti di delegificazione (regolamenti delegati o autorizzati) consentono al Governo su
legge di autorizzazione di intervenire in materie disciplinate dalla legge, purché non si tratti di
materie coperte da riserva di legge assoluta, sostituendo la disciplina legislativa con una nuova
disciplina regolamentare.
L'effetto abrogativo della legge è peraltro riconducibile alla legge autorizzativa, la quale lo fa
decorrere dal momento dell' adozione della disciplina regolamentare.
Sono altresì previsti regolamenti governativi attuativi di direttive comunitarie autorizzati dalla
legge comunitaria annuale.
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In particolare si è sostenuto (Esposito) che ogni qualvolta si interviene con i ed. testi unici
autorizzati su disposizioni di legge, anche limitatamente alloro coordinamento formale senza
apportare innovazioni sostanziali, il testo che ne scaturisce avrebbe comunque valore legislativo e
pertanto, in mancanza di una delega conforme al dettato dell'art. 76 Cost., sarebbe illegittimo.
Andrebbe quindi esclusa in radice la distinzione presente nella giurisprudenza della Corte
costituzionale tra TU. delegati (oggetto di vera e propria delega legislativa) e TU. non delegati, ma
appunto soltanto autorizzati.
Il TU. sarà allora un testo unico da ricondurre, per il valore del Decreto che lo contiene, all'attività
esecutiva del Governo.
Il valore che può essere riconosciuto a siffatti TU. è invero quella di atto amministrativo a carattere
generale con il quale l'Amministrazione, nell' ambito della insopprimibile attività interpretativa che
le compete per l'esercizio della funzione amministrativa e di esecuzione della Costituzione e delle
leggi; individua in via generale e una tantum le norme che dovranno essere eseguite, invece di farlo
di volta in volta con riferimento a singole fattispecie concrete. È questo uno specifico interesse
pubblico perseguito: rendere certa ed uniforme (e non solo facilitare) una successiva
interpretazione delle leggi esistenti attraverso il loro coordinamento e l'individuazione di quelle
ancora vigenti o abrogate.
12. Consuetudine: a) Gli artt. 1, 8,12 e 15 delle disposizioni preliminari al codice civile
L'ordinamento giuridico italiano in vigore ammette in via generalmente la consuetudine come
fonte del diritto. Nelle disposizioni preliminari al cod. civ. essa trova uno specifico riconoscimento
all' art. 1, ove la consuetudine o, secondo la terminologia ad perata, gli usi sono espressamente
ricompresi tra le fonti del diritto.
Ciò non esclude tuttavia che deroghe a questo principio possano essere stabilite dalla stessa fonte
legislativa per singoli casi o per determinate materie.
Va peraltro ricordato che per la consuetudine che si forma nel diritto pubblico sussiste un richiamo
espresso nell' art. Il cod. civ. dove è statuito: Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici
riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come
diritto pubblico.
In linea di principio resta però comunque assicurata la preferenza della fonte scritta sulla
consuetudine. Ne discende, conseguentemente, anche il divieto di consuetudini contrarie alla legge
o ai regolamenti. Divieto che, rispetto alla legge, è confermato anche dall'art. 15 disp. prel.
La fonte consuetudinaria opera invece liberamente, quindi anche in assenza di uno specifico
richiamo, nelle materie che non siano «regolate» da leggi o da regolamenti, come si evince dallo
stesso art. 8,1 comma. Difficoltà si presentano quando si tratta di stabilire se una materia è o meno
regolata da leggi o da regolamenti e ciò soprattutto ove si, tenga conto dell'altra disposizione,
contenuta nell'art. 12, II comma disp. prel., secondo la quale: Se una controversia non possa essere
decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'
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ordinamento giuridico dello Stato.
Se non che il presupposto al quale è condizionata l'operatività di siffatto meccanismo di auto
integrazione dell' ordinamento è costituito soltanto dalla assenza di una precisa disposizione, cioè
di una precisa regolamentazione giuridica che possa risolvere una determinata controversia.
Regolamentazione che nulla induce a ritenere che non possa essere anche consuetudinaria.
Cosicché il ricorso all'analogia legis o iuris deve escludersi quando sussista una precisa
disposizione consuetudinaria (beninteso nelle materie in cui è ammessa la consuetudine) che
risolva la controversia in questione.
Va tuttavia anche ricordato che la tesi secondo cui occorre far ricorso all' analogia ed ai principi
fondamentali prima di poter far ricorso alla consuetudine, si fonda tra l'altro proprio sul rilievo che
il termine disposizione va riferito alle sole fonti scritte e non anche alla fonte consuetudinaria. Essa
però non tiene conto del fatto che il termine disposizione non è adoperato dalla legge in modo
univoco, con esclusivo riferimento alle fonti scritte, e ciò proprio nel contesto normativo delle
stesse disposizioni preliniinari al codice civile. È sufficiente invero confrontare l'art. 12 con gli art.
13 e 14 per accertare con chiarezza che sono indifferentemente adoperate le espressioni
disposizioni, norma, legge, regola (e a prescindere d riferimento alle leggi in senso formale, ai
regolamenti e alle norme corporative) ogni qualvolta si è trattato di stabilire discipline per
l'interpretazione del diritto esistente e per la sua integrazione nei casi di mancanza di «norme» per
i singoli casi contemplati (come a iene ad esempio nell'art. 13 con riferimento alle norme
corporative).
Orbene, tenendo conto del quadro normativo costituito dal sistema delle fonti possono conciliarsi i
principi ricavabili dagli artt. 12, II comma e 8,1 comma disp. prel. cod. civ..
Poiché nell' art. 8,1 comma è riconosciuto spazio alla consuemdine nelle materie non regolate dalle
fonti tritte, deve ritenersi che in tali materie la consuetudine possa operare, indipendentemente dall'
esistenza del meccanismo di autointegrazione dell' ordinamento di cui all'art. 12, II comma disp.
prel., il quale, invero, opera soltanto in assenza di precise disposizioni.
Il problema si pone quindi soltanto per le materie regolate. In tal caso, poiché l'art. 8,1 comma disp.
prel. esclude il ricorso alla consuetudine in caso di assenza di un suo richiamo, non vi è spazio per
tale fonte del diritto e quindi, ove manchi una precisa disposizione per risolvere una determinata
controversia, dovrà farsi ricorso al rimedio previsto dall' art. 12, II comma disp. prel.
Per stabilire peraltro quando una materia possa dirsi regolata, ai sensi dell'art. 8,1 comma disp. prel.,
non sembra che sia sufficiente l'esistenza di una qualsiasi disciplina (legislativa o regolamentare
che sia) che la riguardi. Ove si accogliesse tale soluzione sarebbe ovviamente sufficiente anche una
disciplina totalmente generica, perché la materia possa dirsi regolata.
Se si tiene conto della ratio della norma, è il criterio di compiutezza e di coerenza della disciplina di
diritto scritto che consente di escludere il ricorso alla consuetudine in mancanza di un suo
richiamo.
L'espressione materie regolate dalle leggi o dai regolamenti va quindi intesa nel senso di materie
per le quali sussistono discipline di diritto scritto che siano oggettivamente ed effettivamente
organiche e compiute. Soltanto in tal modo alla norma può riconoscersi un significato razionale e
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coerente nel sistema delle fonti, nel quale si è ammesso in via generale la fonte consuetudinaria
come valida ed operante.
Sono evidenti le difficoltà per l'interprete di stabilire caso per caso, cioè in relazione a singole
materie, se queste possano dirsi organicamente e compiutamente regolate dalle fonti scritte, oppure
se presentino settori forniti soltanto di una disciplina generica o affatto parziale, a parte ovviamente
il caso di materie per le quali non 'si rinvenga in realtà alcuna effettiva disciplina di diritto scritto.
Ma tali difficoltà non costituiscono tuttavia motivo sufficiente per respingere tale soluzione, che è
l'unica che consente di assicurare una funzione normativa utile alla consuetudine, al di fuori di un
richiamo espresso, coerente con il contenuto normativo dell'art. 1, che riconosce in senso ampio la
operatività della consuetudine come fonte del diritto e dell'art. 12, II comma, che non esclude per
l'interprete la possibilità di trovare discipline specifiche per singole controversie, anche di tipo
consuetudinario.
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concernono direttamente la fattispecie criminosa nella sua essenza, ma soltanto il tipo di condotta,
in concreto da valutarsi dal giudice, per dare esecuzione al dettato della legge conformemente ad
usi o comportamenti sociali.
Dispone infatti l'art. 1, II comma cod. nav. che soltanto in caso di mancanza di disposizioni del
diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia si applica il diritto civile.
Anche per quanto concerne il settore del diritto internazionale sussiste una normativa particolare.
Difatti, ai sensi dell'art. 10, I comma, Cost., secondo cui L'ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale generalmente conosciute, le consuetudini
internazionali vengono immesse immediatamente nell'ordinamento italiano, senza che accorrano
appositi richiami normativi per le singole materie oggetto di disciplina, così come previsto in via
generale dall' art. 8 disp. prel. cod. civ. ed anche se in contrasto con la normativa statale.
La consuetudine può invero manifestarsi nella materia costituzionale, intesa in senso ampio, vale a
dire nei settori che trovano nella Costituzione o in leggi costituzionali discipline di principio e che
non siano riservati alla legge o ad altre fonti scritte, come del resto potrebbe manifestarsi in settori
privi affatto di tale disciplina, ma che potessero essere considerati oggettivamente costituzionali.
Essa invero può assicurare discipline più specifiche ad un livello normativo che si pone come
esecutivo della Costituzione formale e fa parte del diritto costituzionale.
Pertanto, anche se l'operatività della consuetudine è ridotta dalla presenza di numerose riserve di
legge (come ad esempio per l'organizzazione dei pubblici uffici), nulla esclude che si formino
consuetudini praeter legem nei settori in cui ciò sia possibile e sempre che le forze politiche non
intendano evitare di disciplinare giuridicamente la materia, magari ricorrendo a sole convenzioni
costituzionali che restino tali nel tempo. Sotto tale aspetto e solo sotto tale aspetto può sostenersi
che la consuetudine, pur non avendo come fonte del diritto un specifico grado, integra la disciplina
costituzionale esistente, in quanto viene ad assumere un valore esecutivo della Costituzione.
51
Nella realtà costituzionale tuttavia quando si ammette che si è avuta una modifica tacita della
Costituzione deve necessariamente convenirsi che si è formato il consenso delle forze
costituzionali che sono interessate alla specifica disciplina costituzionale sulla modifica stessa.
L'esempio che di solito si porta di una modificazione tacita dell'assetto costituzionale
fondamentale dell' ordinamento, vigente lo Statuto Albertino, è quello della trasformazione del
sistema di governo da regime costituzionale puro a regime parlamentare.
Trasformazione tuttavia che se all'inizio avvenne in via di fatto, per un tacito accordo tra le forze
costituzionali, successivamente concretò una vera e propria consuetudine costituzionale, assistita
dall' assenso di tutti gli organi costituzionali.
Ipotesi che allo stato attuale sembra al di fuori della realtà del diritto positivo italiano, anche se non
è escluso che possa parlarsi di modificazioni tacite del diritto costituzionale con riguardo alla
complessiva normazione in via di evoluzione, per l'intervento di convenzioni o di consuetudini
attuative ed esecutive della Costituzione formale e non in contrasto con essa. Ma allora il problema
si sposta su quello della Costituzione vivente.
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dovranno aver luogo e sui tempi e modi in cui determinate finalità dovranno essere raggiunte.
Quando tali accordi avvengono a livello delle istituzioni politiche di solito vengono indicati anche
col termine di convenzioni costituzionali.
Su tale base genetica quindi può essere risolto il problema della distinzione tra tali figure e le
consuetudini.
Mentre infatti le consuemdini presuppongono una serie di comportamenti ripetuti nel tempo,
uniformi, dai quali viene a prodursi, per effetto di un procedimento indistinto e involontario, la
regola che manifesta la volontà obicttivata di una data collettività o di una data istituzione,
riconosciuta dall'ordinamento giuridico e quindi assunta come propria, gli accordi e le convenzioni
costituzionali si costituiscono invece sulla base di puntuali decisioni intersoggettive di organi o
soggetti politici o istituzionali, che, pur proiettandosi verso il futuro, sono riconducibili alla
specifica volontà degli organi o soggetti che li hanno costituiti. L'eventuale ripetizione nel tempo di
comportamenti conformi all'accordo o alla convenzione, pur rafforzandolo e confermandolo, non
rientra nel meccanismo della sua formazione, pur potendo peraltro, come si è detto, costituire la
base per la trasformazione in una consuetudine, come si è verificato in numerosi casi.
Da un punto di vista contenutistico esse consistono in una sorta di deontologia professionale degli
operatori politici costituzionali: un complesso di regole di buona educazione, discrezione,
deferenza, oltre che di cerimoniale e di etichetta, generalmente osservate nelle loro relazioni
reciproche, riassuntivamente indiciate come galateo costituzionale.
La presenza di mere regole di correttezza costituzionale, prive di giuridicità in senso specifico, può
avere quindi come conseguenza che un comportamento di organi o soggetti costituzionali,
ancorché appaia costituzionalmente ammissibile, debba tuttavia essere considerato scorretto
costituzionalmente in quanto si pone appunto in contrasto con siffatte regole. E tale scorrettezza
implicherà effetti diversi a seconda della valutazione che vien fatta in sede politica del compor-
tamento.
Nella diversa ipotesi che alle regole di correttezza venga riconosciuta efficacia normativa in senso
giuridico, tale efficacia andrebbe comunque ricollegata alle previsioni.dell' ordinamento giuridico
in cui esse si formano e in particolare a quelle che determinano la rilevanza delle fonti di diritto.
Nell'ordinamento costituzionale italiano manca un richiamo specifico alle regole della correttezza
costituzionale come tali, né sussistono prescrizioni sul tipo di quelle contenute nel codice civile,
nelle quali si opera, ad esempio, il richiamo al buon costume, alle regole della correttezza nell'
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adempimento delle obbligazioni (art. 1175 cod.civ.), alla buona fede, all'equità e così via.
Non sembra però che dall' art. 54 Cost. possa farsi discendere la rilevanza giuridica di siffatte
regole, in quanto, se tali norme effettivamente operano nell' ambito dei rapporti che si instaurano
tra gli organi ed i soggetti costituzionali in settori privi di una disciplina organica e compiuta, esse
concretano in realtà vere e proprie consuetudini, le quali, a prescindere dall' oggetto della disciplina,
devono ritenersi giuridiche in applicazione della previsione dell' art. 8 Disp. Prel.cod. civ.
In particolare è noto che appartiene alla tradizione dell'istituto parlamentare il complesso di norme
che costituiscono il ed. Galateo parlamentare, il quale concreta un vero e proprio ordinamento
particolare nell'ambito parlamentare con valore giuridico. Non vi è quindi nessuna ragione per
escludere che anche nelle altre istituzioni costituzionali si producano ed abbiano rilevanza
giuridica (come fonti consuetudinarie) norme il cui ambito di applicazione riguardi i com-
portamenti di deferenza, cortesia, ecc., come pure del cerimoniale, dell' etichetta, che devono
essere tenuti nei reciproci rapporti tra i vari organi (ed i relativi titolari), in considerazione del
particolare decoro e prestigio che circondano le istituzioni medesime.
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23. Riserve di normazione
L'ordinamento italiano prevede varie riserve di competenza normativa.
Vi sono riserve di legge costituzionale, come per l'approvazione degli Statuti delle Regioni ad
autonomia speciale, ai sensi dell'art. 116 Cost., relativamente ai giudizi di legittimità costituzionale
e alle garanzie di indipendenza dei giudici della Corte Costituzionale, ai sensi dell' art. 137 Cost.
Sono previste riserve di regolamenti, come quella dei regolamenti parlamentari (art. 64,1 comma);
riserve di regolamenti regionali o di regolamenti degli enti territoriali (art. 117, VI comma Cost.).
Le riserve possono essere assolute, come quelle in materia di libertà personale (artt. 13, II, III e IV
comma Cost), di proprietà (art. 42, UT e IV comma e art. 43 Cost.), oppure relative, come in
materia di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97,1 comma, Cost.), in materia di imposizione di
prestazioni personali o patrimoniali (art. 23 Cost.), di imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, II
comma Cost.).
Riserve di leggi rinforzate quanto al procedimento sono, ad esempio, quelle in materia di rapporti
tra Stato e Chiesa cattolica (art. 7 Cost.) e tra Stato e altre confessioni religiose (art. 8, III comma).
Vi sono riserve di leggi regionali rinforzate quanto al procedimento e al contenuto come per gli
statuti regionali (art. 123 Cost); per leggi statali che modificano l'assetto territoriale di Province e
Comuni fra le Regioni (art. 132, II comma) o per leggi regionali che modificano l'assetto
territoriale di Province e Comuni all'interno delle Regioni (art. 133).
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La normativa comunitaria può derogare anche alle norme costituzionali non però ai principi
fondamentali della Costituzione, che non possono quindi essere derogati, come affermato dalla
Corte Costituzionale. Si tratta dei ed. contro limiti all'ordinamento comunitario, che costituiscono
anche un modo per affermare la permanenza della sovranità dello Stato.
Gli atti posti in essere nell' ordinamento comunitario che hanno efficacia negli Stati membri sono i
regolamenti, le direttive, le decisioni, le raccomandazioni e i pareri.
27 . b) Direttive comunitarie
Le direttive sono atti di indirizzo che vincolano gli Stati membri cui sono rivolti per quanto
concerne il risultato da raggiungere, salva restando la loro competenza in ordine alla forma e ai
mezzi da adottare a tal fine.
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Diversa è la ed. Interpretazione autentica, la quale proviene dallo stesso legislatore e forma il
contenuto prescrittivo di una norma di legge, con la quale si stabilisce in via autoritativa e formale
il significato da attribuire ad una disposizione. La norma interpretativa va a sua volta interpretata e,
ove determini una illegittimità costituzionale, può essere annullata dalla Corte costituzionale.
A volte negli ordinamenti giuridici alcune norme stabiliscono i criteri interpretativi del diritto
vigente. Si è posto quindi il problema della possibilità che criteri generali validi in genere per le
fonti del diritto vengano posti, con efficacia vincolante, da una singola o da singole fonti, anche per
fonti di grado superiore.
Sotto tale profilo la maggior forza di una norma di grado superiore rispetto ad una di grado
inferiore non esclude che il contenuto normativo delle singole disposizioni, quale che sia il grado
della fonte in cui sono contenute, abbia efficacia in via generale fin tanto che queste restano in
vigore. Cosicché se una legge, quale che sia il suo grado, condiziona in via generale
l'interpretazione delle leggi, il suo specifico contenuto normativo, al pari di quello di altre leggi, ha
efficacia per tutto il tempo in cui essa resta in vigore, cioè fino a quando non la si abroghi, e per tutti
i casi per i quali non siano previste specifiche deroghe o eccezioni alle sue previsioni. Deroghe o
eccezioni che potranno essere previste in leggi di grado superiore, ma anche in leggi di pari grado
(od anche, nei casi in cui sia consentito, in leggi di grado inferiore). Ma fin quando ciò non avvenga
è ben possibile che una legge possa contenere criteri per l'interpretazione delle leggi in via generale,
i quali si applichino cioè oltre alle leggi di pari grado anche a leggi di grado superiore.
L'esclusione avrebbe senso soltanto se potesse dimostrarsi che l'applicazione del contenuto
normativo di siffatte leggi a leggi digrado superiore porti per ciò solo a fare assumere a tali leggi un
contenuto diverso da quello che queste si sono date.
L'art. 12, II comma, prevede altresì rinterpretazione analogica la quale soccorre quando manchi
una precisa disposizione che consenta di risolvere il caso. In tal caso può farsi ricorso alla di-
sciplina, omogenea, esistente per casi simili o, in mancanza di essa, ai principi generali
dell'ordinamento giuridico dello Stato.
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30. Antinomie e loro risoluzione
Con il termine antinomie si indica il contrasto tra norme provenienti da fonti diverse o dalla stessa
fonte ma in momenti diversi. E compito dell'interprete risolvere le antinomie.
Dalla disciplina sulle fonti si ricavano diversi criteri, quello cronologico, quello gerarchico e quello
della competenza.
La cessazione di efficacia della norma antecedente opera ex nane, cioè a decorrere dall'entrata in
vigore della norma successiva o dall' evento cui questa abbia subordinato la cessazione di efficacia
di quella.
Ciò comporta, normalmente, l'irretroattività della abrogazione, con la conseguenza che la norma
abrogata continuerà ad applicarsi ai rapporti sorti anteriormente all' entrata in vigore della nuova
disciplina. Tuttavia la legge abrogatrice può disporre che la abrogazione retroagisca.
Si discute se l'abrogazione di una norma abrogatrice comporta la reviviscenza della norma a suo
tempo abrogata. Tale effetto solitamente non si verifica, a meno che non sia espressamente previsto
0 non risulti chiara la volontà del legislatore in tal senso, se, ad esempio, la nuova norma abroghi
una precedente norma il cui contenuto dispositivo era quello specificamente abrogante.
A volte è in una stessa disposizione prevista, accanto alla regola generale, una eccezione.
Come poi dispone l'art. 14 disp. preliminari al cod. civ., le norme eccezionali non si applicano oltre
1 casi e i tempi in esse considerati. Quindi per esse non valgono i criteri di una interpretazione
estensiva, né ad esse può farsi ricorso per una interpretazione analogica.
58
CAPITOLO DECIMO
PRINCIPI FONDAMENTALI E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL
CITTADINO
fondamentali che riflettono le concezioni dominanti nella società civile nelle varie epoche storiche.
Anche nella Costituzione italiana si rinvengono principi e diritti affermati come inviolabili oppure
ritenuti come fondamentali. Essi sono riconosciuti e garantiti in via generale a tutti gli uomini, altre
volte ai soli cittadini. L'art. 2 in particolare stabilisce che la Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, ma richiede anche agli stessi soggetti l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale.
59
proprio contenuto dispositivo tanto all'oggetto stesso della disciplina quanto ai suoi destinatari, e al
tempo stesso una diseguaglianza di disciplina rispetto ad oggetti e destinatari da essa non
contemplati.
Nel diritto positivo la scelta del termine di raffronto è contenuta in prescrizioni normative e quindi
assume carattere oggettivo. La disciplina giuridica può anche prescindere dalla realtà fenomenica,
in quanto rispetto al termine di comparazione può non tenere conto o andare contro situazioni di
eguaglianza e di diversità esistenti oggettivamente in natura. Essa opera allora una astrazione dalla
realtà fenomenica e stabilisce che le fattispecie, allorché differenti o eguali per certi aspetti, devono
ricevere un trattamento rispettivamente eguale o diseguale.
Anche nella Costituzione italiana si rinvengono rapporti di eguaglianza con riguardo ora al
riconoscimento e all' attribuzione di diritti e all'imposizione di doveri ai singoli, ora nella disciplina
delle varie formazioni sociali, ora nella decisione e organizzazione del potere tra le varie Istituzioni
statali ed i vari Enti.
Per sua essenza peraltro l'eguaglianza giuridica non dà luogo ad una situazione giuridica che possa
essere definita in senso tecnico diritto soggettivo il cui contenuto dovrebbe quindi essere, a seconda
dei casi, quello di diritto all' eguale o al diverso trattamento, anche se in alcuni ordinamenti (come,
ad esempio, nella Costituzione della Repubblica federale tedesca o in quella spagnola) essa vien
fatta rientrare nel catalogo dei diritti fondamentali. Ma un contenuto siffatto èdel tutto
indeterminato ed astratto ed in quanto tale non può costituire quel bene della vita, determinato e
concreto, che può formare il contenuto del diritto soggettivo in senso tecnico-giuridico. L'egua-
glianza concreta invece un principio generale o una disciplina particolare, a seconda delle singole
fattispecie giuridiche, la quale determina la sfera soggettiva di coloro ai quali determinate
situazioni, attive o passive, vanno riferite.
Sotto tale profilo l'eguaglianza davanti alla legge è essenziale per la stessa configurazione dello
Stato di diritto, essendo strettamente connessa col principio di legalità, il quale determina un
vincolo dei pubblici poteri amministrativi e di quelli giurisdizionali al diritto. Esso invero vieta che
1
essi, si comportino in modo parziale nell applicazione del diritto, nonché pongano in essere
differenziazioni o parificazioni che non siano previste dal diritto stesso.
Tuttavia il principio dell' eguaglianza davanti alla legge così inteso non impedisce al legislatore di
introdurre, senza con questo incidere sulla eguale efficacia della legge come fonte, diversità di
trattamento tra gli uomini sotto molteplici aspetti, in corrispondenza o meno con le diversità
esistenti in natura e nella vita sociale. Ciò anche perché non è ovviamente possibile adottare
60
sempre e comunque discipline generali e universali, vale a dire per tutti. Diversità di discipline che
potrebbero peraltro anche comportare trattamenti discriminatori e ingiustificati da determinati
punti di vista, che il solo principio dell'eguaglianza davanti alla'legge come tale non sarebbe in con-
dizione di evitare.
Per limitare il legislatore, ma anche allo scopo di orientare la legislazione a criteri di giustizia
sociale, da un lato si è ritenuto di introdurre nelle Costituzioni specifiche fattispecie di eguaglianza,
in considerazione di specifiche esigenze ritenute fondamentalmente rilevanti, soprattutto per
reagire a (e rimuovere) situazioni di distinzioni e discriminazioni avvenute nel passato, dall' altro
Sono state previste norme sull' eguaglianza che esprimono esigenze di differenziazione connesse
con il principio di solidarietà ed in vista del perseguimento di finalità di giustizia sociale. Si
assicura così per tutti il soddisfacimento di bisogni essenziali, si assicurano prestazioni
previdenziali e assistenziali, livelli di istruzione ed educazione di base per tutti e via via più elevati
per i meritevoli, si prevedono misure idonee ad assicurare occupazione e lavoro. Si considerino ad
esempio nella Costituzione italiana le prescrizioni contenute negli artt. 3,1 comma; 4,1 comma; 30,
I comma; 31, 32,1 comma; 34, II comma; 35, II comma; 3*7, II comma; 38,117,1 comma, lett. m).
61
4. c) 1/principio dell' eguaglianza davanti alla legge nella Costituzione italiana
L'art. 3,1 comma Cost., rettamente interpretato, contiene due previsioni che stabiliscono l'una che
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e l'altra che Tutti i cittadini sono eguali davanti alla
legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione) di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
La seconda prescrizione non è grammaticalmente e logicamente scindibile in due distinte
proposizioni, una riferita alla sola eguaglianza davanti alla legge, l'altra al divieto di distinzioni di
sesso, etc.
Ciò non significa però che il principio della eguaglianza davanti alla legge non sia sancito dalla
Costituzione italiana. Esso si ricava invero dagli art. 97, I comma e III, Il comma, ove sono
affermati la legalità e 1' imparzialità dell' amministrazione nell' applicazione del diritto e la
soggezione del giudice soltanto alla legge. Nei confronti del legislatore esso deriva dal carattere
rigido della Costituzione che assicura alla fonte legislativa il valore di fonte per eccellenza non
condizionata nella sua efficacia a fattori estranei alla Costituzione stessa.
Dal punto di vista soggettivo il principio, così individuato, a differenza della previsione dell' art. 3,
I comma, si riferisce a tutti e non ai soli cittadini.
La ratio dei divieti è quella di evitare distinzioni tra i cittadini che portino ad una loro
«discriminazione» in base agli elementi indicati, mentre logicamente non sono vietate discipline,
variabili da situazione a situazione, le quali tengano conto delle diversità esistenti nella loro realtà
oggettiva e delle esigenze di discipline diverse, che siano necessitate dalla natura delle cose. Poiché
le situazioni esistenti nella realtà fenomenica che comportano la necessità di discipline ad hoc
variano a seconda delle materie, per stabilire quali di queste discipline siano ammissibili e per
restare ancorati a criteri oggettivi possono allora soccorrere i vari, specifici criteri elaborati dalla
giurisprudenza, che consentono di stabilire la giustificatezza o meno dei trattamenti eguali o dif-
ferenziati adottati dal legislatore, vale a dire in sintesi la ragionevolezza della disciplina. In questo
modo lo specifico parametro costituzionale di riferimento consente al giudizio di costituzionalità di
mantenersi nell' alveo di un giudizio di legittimità costituzionale.
Cosicché il tertium comparationis occorrente per la valutazione di legittimità dell' eguaglianza o
della diseguaglianza tra le discipline adottate dal legislatore è dato dalla prescrizione che risulta
alla conclusione di un procedimento ermeneutico complessivo condotto sulle varie norme
costituzionali di riferimento.
5. d) Yeguaglianza sostanziale
Per quanto riguarda il II comma dell'art. 3, esso esprime un principio che riassume le norme della
Costituzione che prevedono interventi positivi del legislatore diretti a promuovere l'eguaglianza di
fatto e che nel loro insieme caratterizzano lo Stato sociale: È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini; impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Tale prescrizione non può
ritenersi in contrasto con i divieti di differenziazione espressi dal I comma dell'art. 3 (ed.
62
eguaglianza formale) e tanto meno con le libertà garantite dalla stessa Costituzione, anche perché li
presuppone, dato che si prefigge di attuarli, mentre le misure che vengono adottate devono essere
congrue, adeguate, proporzionate, quindi oggettivamente giustificate dallo scopo cui il principio
mira, assicurare ai soggetti eguali opportunità per metterli in condizione di godere effettivamente
dei diritti astrattamente garantiti e di realizzare la propria personalità secondo le rispettive
possibilità individuali.
e.a) Sesso
La norma del I comma dell' art. 3 intende vietare differenziazioni che non siano obiettivamente
riconducibili ai fenomeni rigorosamente univoci ed a carattere esclusivo che derivano dalla stessa
diversità di sesso degli individui, scientificamente accertabili, come quelle che possano essere
collegate ad una presunta coscienza sociale del momento o a regole sociali tradizionali.
Entrano poi in gioco: a) l'art. 29, secondo comma, che mentre ribadisce l'eguaglianza dei coniugi
nel matrimonio consente limiti a garanzia dell'unità familiare. Limitazioni che possono essere
giustificate soltanto quando venga in gioco l'unità della famiglia; b) l'art. 30, I comma, che
attribuisce ai genitori eguali diritti e doveri quanto al mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei
figli; c) l'art. 30, secondo comma che riguarda la paternità; d) l'art. 31, II comma sulla protezione
della maternità; e) l'art. 37,1 comma che assicura alla dorma lavoratrice gli stessi diritti e la stessa
retribuzione, a parità di lavoro, dell'uomo lavoratore. Il che comporta una valutazione della qualità
63
e quantità di lavoro svolto 'ai fini della retribuzione; f) lo stesso art. 37,1 comma, seconda parte, che
assicura una particolare protezione alla donna lavoratrice essendo riconosciuta e sancita la sua
essenziale funzione familiare. Norma questa che costituisce anche un'applicazione della deroga
all'eguaglianza dei coniugi consentita dall' art 29 in funzione dell'unità della famiglia.
È quindi previsto il compito del legislatore di mtervenire con misure idonee per assicurare in
concreto siffatta protezione; g) l'art. 48,1 comma che ribadisce l'eguaglianza tra uomini e donne
nell'attribuzione del diritto di elettorato attivo; l'art. 51,1 comma, che conferma l'eguaglianza dei
sessi nell' accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive. In tale comma a rafforzare la possibilità
di accesso in condizioni di eguaglianza è stato poi aggiunto con legge costituzionale n. 1 del
30.5 .2003, sulla scorta del comma 4 dell' art. 141 del trattato istitutivo della Comunità Economica
Europea (L. 14.10.1957, n. 1203), come modificato dall'art. 2 del trattato di Amsterdam
(L.16.6.1998, n. 209) l'inciso A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini.
A livello regionale l'art. 117 Cost. al VII comma prevede: Le leggi regionali rimuovono ogni
ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed
economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Norme
queste che vanno poste in relazione con la previsione dell' art. 3, II comma in ordine alla rimozione
degli ostacoli che impediscono di fatto l'eguaglianza tra i cittadini (e quindi tra gli uomini e le
donne), richiedendo peraltro più specificamente una attività promozionale perché vengano
assicurate eguali chances agli uomini e alle donne.
Invece l'art. 3 della L. 90/2004 ha previsto che per le elezioni al parlamento europeo nessuno dei
due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi dei candidati. La Corte
Costituzionale dopo l'orientamento restrittivo manifestato con la sentenza n. 422 del 12.9.95 (che
aveva ritenuto illegittima la previsione di una riserva alle donne di quote nelle liste elettorali dei
Comuni fino a 15.000 abitanti ed altre analoghe prescrizioni), a partire dalla sentenza n. 49 del
13.2.2003 (mav. anche l'ordinanza n. 39 del 27 .1.2005) ha ritenuto legittime previsioni, stabilite in
via generale, di determinate quote obbligatorie di uomini e donne all'interno di Commissioni di
esami o nelle liste dei candidati presentate alle elezioni da partiti o gruppi politici.
Per quanto riguarda queste ultime va anche considerato che vincoli del genere si pongono in
contrasto al tempo stesso con la libertà e con l'eguaglianza dei partiti politici, assicurata dall' art. 49
Cost al fine di consentire ai cittadini (indipendentemente dal sesso) di concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale.
e.b) Razza
Per quanto concerne la razza la possibilità di discipline differenziate dipendenti dall'appartenenza
di individui a questa o quella razza appare estremamente limitata, se non praticamente impossibile
a giustificarsi.
Se si tiene conto della natura delle cose appare quindi difficile ipotizzare la legittimità di discipline
sulla razza che non si limitino, ad esempio, allo studio della stessa, agli aspetti biologici ed
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eventualmente sanitari di particolari razze (ove scientificamente accertati) oppure che si
prefiggano misure riparatrici di precedenti discipline discriminative. Discipline che ovviamente
dovranno essere giustificabili razionalmente come oggettivamente necessitate.
e.c) Lingua
Per la lingua la possibilità di discipline giuridiche differenziate dipenderà dal dato oggettivo della
esistenza di molteplici lingue e dalla necessità di ima comunicazione tra i vari gruppi linguistici.
La presenza di una lingua maggioritaria comporta la necessità di una disciplina ad hoc, senza
peraltro che da essa possa farsi derivare una discriminazione tra i cittadini che parlano lingue
diverse. Anzi la presenza di minoranze linguistiche comporta, ai sensi dell' art. 6, una particolare
tutela in ordine alla consistenza del gruppo linguistico e del territorio di riferimento.
Va poi considerata l'incidenza dell'art. 21 Cost. che, nell'assicurare la libertà di manifestazione del
pensiero (peraltro di tutti) con la parola, lo scritto e qualsiasi mezzo di diffusione, garantisce a tal
riguardo la libertà di uso della lingua come mezzo necessario per la sua manifestazione.
e.d) Religione
Il divieto di distinzione tra i cittadini per ragioni di religione costituisce una garanzia personale,
sulla quale incidono poi in modo vario le altre norme che trattano alcuni aspetti particolari, come
l'art. 7 relativo ai rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, l'art. 8 relativo alla parità tra le
confessioni religiose ed ai loro rapporti con lo Stato, l'art. 20 relativo alla parità tra le associazioni e
le istituzioni di culto, l'art. 19 (da considerare anche in relazioni dall' art. 21) sulla eguale libertà di
tutti di professare la propria fede religiosa (col solo limite del buon costume).
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Ciò non significa che non possano adottarsi discipline che prendano in considerazione elementi
fisici o psichici (da cui dipendano le qualità e le attitudini degli individui) per i fenomeni di ordine
naturale che da essi derivano e che consentono ad esempio di tener conto delle attitudini fisiche o
psichiche, oggettivamente comprovate, per l'esercizio di determinate attività, per la richiesta di
determinate prestazioni, per l'assolvimento di determinati compiti.
7. Le libertà costituzionali
La libertà in senso ampio può essere intesa come pretesa del singolo di autodeterminarsi,
escludendo gli altri dalla propria sfera personale.
Essa non va però intesa in senso assoluto, in quanto nella vita sociale non viene in considerazione
l'uomo come singolo individuo ma come socius, per cui la libertà di ognuno incontra il limite nella
libertà degli altri. Concetto questo espresso ad esempio dall'art. 4 della Dichiarazione dei diritti del
1789: La libertà consiste nel fare tutto cièche non nuoce agli altri così l'esercizio dei diritti
naturali di ogni uomo non ha come limite che quelli che assicurano agli altri membri della società
il godimento di quegli stessi diritti.
8. Libertà personale
La libertà personale, intesa in senso generale, consiste nel diritto di ogni individuo di auto
determinarsi in ogni forma possibile. Non soltanto con riferimento alla sua sfera fisica, ma anche a
quella psichic a e morale in quanto persona umana. Come tale essa consente all'individuo di
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escludere ogni costrizione fisica, psichica e morale nei suoi confronti, di poter circolare,
soggiornare, stabilire il proprio domicilio, comunicare e diffondere il proprio pensiero e così via.
Tuttavia la Costituzione italiana accanto alla disciplina generale della libertà contenuta nell' art. 13
tutela e garantisce in modo parzialmente diverso specifiche manifestazioni della libertà della
persona umana, come quella di domicilio, di circolazione e soggiorno, di comunicazione, di
manifestazione del pensiero. Con la conseguenza che a tali specifiche discipline occorre fare
riferimento quando entrano in gioco queste specifiche libertà.
Per quanto riguarda l'autorità giudiziaria occorre far riferimento alle norme contenute negli artt.
111 e segg., nonché nell'art. 25 Cost.
Quando il soggetto incorre nei rigori della legge penale l'ordinamento fa valere l'interesse punitivo
dello Stato che si manifesta nelle restrizioni tipiche che sono quelle della detenzione, ispezione e
perquisizione personale, o in quelle altre eventualmente previste dalla legge. Esse possono essere
disposte solo a seguito dell' esercizio del potere giurisdizionale, ed il soggetto può far valere il
proprio interesse alla libertà contrapponendolo al potere punitivo dello Stato dinanzi al giudice, il
quale deciderà nei limiti rigorosamente previsti dalla legge.
Le misure restrittive disposte dal giudice sono di vario tipo, come la custodia in carcere, gli arresti
domiciliari o in luogo di cura, o interdittive con riguardo all'esercizio di diverse facoltà (come la so-
spensione da un pubblico ufficio, dalla patria potestà, oppure l'imposizione di obblighi di fare). Tra
di esse rientrano anche le misure di sicurezza che si ritengono necessarie in considerazione della
pericolosità dell'individuo.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono dare notizia dell' arresto o del fermo
immediatamente al pubblico ministero e porre l'arrestato o il fermato a disposizione di questo entro
le ventiquattro ore. Il pubblico ministero entro le quarantotto ore dall'arresto o dal fermo (termine
che coincide con quello previsto dall'art. 13, III comma) chiede la convalida al giudice delle
indagini preliminari il quale fissa la relativa udienza entro le quarantotto ore successive.
Il quinto comma dell'art. 13 prescrive che la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione
preventiva. La norma si riferisce alla carcerazione disposta nei confronti degli imputati di reati
prima della condanna definitiva, soltanto a seguito della quale essi possono essere considerati
colpevoli (art. 27, VI comma Cost.). La legge (art. 303 e segg. c.p.p.) ha previsto una durata della
custodia cautelare cha varia in relazione alla entità della pena prevista dalla legge per il delitto.
La garanzia della libertà personale è peraltro rafforzata dal quarto comma dell' art. 13 che prescrive
la punizione per ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà.
9. Libertà di domicilio
L'art. 14 garantisce l'inviolabilità del domicilio come proiezione spaziale della libertà personale.
Il domicilio è inteso in senso ampio e generale, in un significato che va oltre quello del codice civile
e del codice penale. La tutela costituzionale si estende non solo al luogo dove il soggetto ha
stabilito la sede dei propri affari ed interessi o al luogo in cui egli ha la dimora abituale (art. 43 c e ) ,
67
ma anche ai luoghi accessori a questi ed ai luoghi di privata dimora, e in genere ovunque si svolge
qualsiasi attivitàda cui il soggetto escluda ingerenze altrui. Quindi anche un natante o una
autovettura può costituire domicilio.
In tali casi non si richiede l'atto motivato dell' autorità giudiziaria, che è invece necessario nei casi
di perquisizione personale e nei sequestri. È ad esempio consentita agli ispettori del lavoro la visita
dei locali aziendali, nonché dei locali annessi; agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che
abbiano notizia dell' esistenza di armi, munizioni o materie esplodenti non denunciate o comunque
abusivamente detenute di procedere a perquisizione e sequestro in qualsiasi locale o abitazione;
agli ufficiali ed agenti di P.S. di accedere in qualunque ora nei locali destinati all'esercizio di
attività soggette ad autorizzazione di polizia.
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la pubblica incolumità o per l'ordine pubblico (da intendersi peraltro in senso ampio comprensivo
anche degli aspetti relativi alla pubblica moralità).
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14. Libertà di fede religiosa
L'art. 19 Cost. riconosce a tutti il diritto di manifestare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, sia individuale che associata, di fame propaganda e di esercitarne in privato o in
pubblico il culto.
Tale diritto non comporta però l'ulteriore diritto di utilizzare mezzi di diffusione di cui non si abbia
la disponibilità per varie ragioni, tra cui la loro appartenenza a terzi o la loro soggezione ad un
regime pubblicistico in dipendenza di situazioni di monopolio o oligopolio.
La ridotta disponibilità di bande di frequenza e la necessità di notevoli risorse finanziarie per
disporre di tale mezzo avevano indotto il legislatore, nel dettare nuove norme in materia di
diffusione radiofonica e televisiva, dopo la decisione della Corte costituzionale n. 225/1974, che
liberalizzava gli impianti ripetitori di programmi esteri e la n. 226/1974, che liberalizzava gli im-
pianti televisivi via cavo, a mantenere un regime di monopolio pubblico ai sensi dell'art. 43, per
evitare un monopolio o oligopolio privato.
La Corte costituzionale dichiarò però illegittimo il monopolio su scala locale, data la disponibilità
di sufficienti bande di frequenza in sede locale e le modeste risorse economiche occorrenti per
l'impianto di trasmittenti, con sentenza n. 202 del 9.7.1976, cui sono seguite poi la n. 1148/1981,
che ipotizzava l'abbandono della riserva statale per le trasmissioni su scala nazionale, purché
venisse garantito il pluralismo, la n. 237/1984, la n. 231/1985 e la n. 153/1987.
Si sono quindi avuti ulteriori interventi legislativi, peraltro con parziale intervento demolitorio
della Corte costituzionale, fino alla L. 3.5.2004, n. 112, che ha ulteriormente disciplinato la materia,
da un lato consentendo la prosecuzione delle trasmissioni da parte dei soggetti che attualmente ne
hanno la disponibilità, in vista di una conversione del sistema ed. analogico nel sistema ed. digitale
che dovrebbe consentire maggiore disponibilità di frequenze, dall' altro ponendo per ciascun
titolare di autorizzazione all'esercizio dell'attività il limite del 20% del totale dei programmi
irradiabili su frequenze terrestri per le proprie trasmissioni, nonché il limite del 20% per la raccolta
delle risorse finanziarie, calcolato sulla base di un particolare, complesso sistema integrato delle
comunicazioni.
Và altresì sottolineato che a garanzia delle comunicazioni è stato istituito con L. 31.7.1997, n. 249
apposito organismo indipendente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale ha
sostituito il precedente organismo, il Garante per la radiodiffusione e l'editoria previsto dalla L.
223/1990.
La Costituzione non fa differenza in ordine alla tipologia di pensiero manifestato. Qualsiasi
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pensiero può essere manifestato, con i limiti peraltro derivanti dalla tutela costituzionale di altri
valori e situazioni giuridiche. .
L'art. 21 prevede come limite il buon costume. Dispone infatti il VI comma che sono vietate le
pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.
È questa una nozione collegata con la morale comune e variabile nel corso del tempo col variare
della stessa. Comprende i principi etici validi nell'ambiente sociale ed individuabili dal giudice.
La libertà di manifestazione del pensiero non può quindi svolgersi in modo da ledere il prestigio,
l'onore, la reputazione ed anche la riservatezza della sfera privata (privacy), il prestigio delle
istituzioni e di coloro che svolgono pubbliche funzioni. Tali valori trovano tutela nel diritto penale
ed in quello privato sotto il profilo dei danni causati dal comportamento illecito.
Sono, ad esempio, previsti e puniti i reati di diffamazione, ingiuria, oltraggio e vilipendio. Sono
stati previsti come reati le offese al sentimento religioso (come la bestemmia).
Ulteriori limiti derivano dalla tutela del segreto, quando la diffusione di notizie può compromettere
la reputazione di persone o ostacolare lo svolgimento di pubbliche funzioni (segreto giudiziario e
segreto di Stato); oppure dalla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, per cui sono vietate la
diffusione di notizie false e tendenziose, l'apologia di reati, l'istigazione a commettere reati.
Il VI comma prevede inoltre una riserva di legge in ordine alle misure adeguate a prevenire e a
reprimere le violazioni del buon costume. Mentre per la stampa non è possibile una censura,
espressamente esclusa dal II comma, essa è possibile per gli spettacoli e le altre manifestazioni. E
difatti la censura preventiva tramite apposite commissioni è stata prevista per le opere
cinematografiche (L. 161/1962 e succo modifiche).
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17. Stranieri e cittadini europei
La condizione giuridica degli stranieri, termine comprensivo dei non cittadini italiani, abbiano o
non abbiano (caso questo degli apolidi) altra cittadinanza, è regolata secondo quanto dispone l'art.
10, II comma della Costituzione dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Il III comma dell' art. 10 prevede inoltre che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di
asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. In ogni caso, come
dispone il IV comma, non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici, salvo che si
tratti di delitti di genocidio.
Titolari della fattispecie prevista dall' art. 49 Cost. sono i cittadini. La norma però non esclude che
anche gli stranieri e gli apolidi possano far parte di partiti. Tuttavia, non essendovi una copertura
costituzionale ad un loro diritto di associazione, essi potrebbero incontrare eventuali limiti posti
dalle leggi, che però attualmente mancano nell' ordinamento vigente. Ciò non toglie peraltro che gli
stranieri che facciano parte di partiti italiani vanno comunque incontro ai limiti anche impliciti del
sistema costituzionale in relazione alle attività per le quali si richieda come specifico requisito il
possesso della cittadinanza italiana.
Contrariamente a quanto sostiene una parte della dottrina non sembra che sussistano ostacoli alla
eventuale partecipazione alla vita dei partiti e alla loro stessa formazione anche di associazioni o
gruppi sociali come tali. Vero è che tali formazioni non possono vantare la garanzia costituzionale
prevista dall' art. 49 Cost. per i cittadini, ma la possibilità di una loro associazione in partiti non
contraddice il concetto di partito al quale si riferisce la nostra Costituzione, ove si tenga conto dei
riflessi che sullo stesso art. 49 può avere l'art. 2 Cost.. Né sembra che la iscrizione di una
associazione come tale in un partito venga di per sé a violare la libertà (intesa in senso negativo) di
iscrizione dei singoli partiti. Mentre l'adesione che il singolo presta al gruppo iscritto ad un partito
non comporta di per sé l'iscrizione obbligatoria al partito stesso, il singolo resta pur sempre libero
di lasciare l'associazione, ove non ne condivida le scelte politiche.
L'art. 49 Cost. non tutela peraltro soltanto la libertà positiva di associarsi in partiti, ma anche quella
negativa di non associarsi ad alcun partito.
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La partecipazione alla vita del partito avviene in varie forme secondo le regole statutarie. Esse
prevedono varie categorie di soggetti, come gli iscritti, i soci fonda tori, quelli ordinari, quelli
sostenitori, i militanti e così via. Sono previsti organi di garanzia che assicurano l'osservanza delle
regole, di solito indicati come probiviri, ed eventualmente Commissioni ulteriori a livello
decentrato o centrale. Ciò in linea con le articolazioni interne che danno luogo, a loro volta, ad
associazioni; per cui il partito può presentarsi come associazione di associazioni.
L'art. 49 Cost. col riconoscere a tutti i cittadini la libertà di associarsi in partiti politici attribuisce
loro al tempo stesso un eguale diritto. Ne consegue da un lato il carattere pluripartitico del sistema
politico e dall' altro l'eguaglianza tra i partiti, ognuno dei quali ha parità di chances nel concorso
alla determinazione della politica nazionale.
Non possono quindi farsi discriminazioni tra i partiti come non possono farsi distinzioni tra i
cittadini per la loro appartenenza a questo o quel partito perché, tra l'altro, ciò contraddirebbe con
l'art. 3,1 comma Cost.
La legislazione ordinaria, attuativa di tale disposizione, ha-invece fatto applicazione più ampia
della norma, pervenendo a perseguire, oltre la riorganizzazione del disciolto partito fascista, anche
attività idealmente collegate con i principi ispiratori del Partito Nazionale Fascista, come
l'esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche
proprie del partito fascista, ovvero idee o metodi razziali (art. 4, II comma) oppure le mani-
festazioni esteriori usuali al disciolto partito fascista ovvero alle organizzazioni naziste (art. 5).
L'art. 98, ult. comma Cost. prevede la possibilità che la legge limiti la libertà di associazione in
partiti per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i
rappresentanti diplomatici e consolari all' estero.
Lo stesso art. 49 Cost. impone ai cittadini e quindi ai partiti di osservare il metodo democratico. Si
tratta di un obbligo che costituisce un limite all' azione dei partiti. Ciò comporta che i partiti nel
concorrere alla determinazione della politica nazionale non devono perseguire finalità e porre in
essere attività che siano in contrasto con i principi di democraticità cui è ispirata la Costituzione.
Il e d . metodo democratico costituisce indubbiamente un limite all'azione esterna dei partiti e può
comportare la repressione della attività condotta con metodi non democratici. Ma è anche un limite
rispetto all' attività interna, e si riflette sull'organizzazione stessa dei partiti, in quanto
funzionalmente collegata con l'attività esterna. Esso intende evitare che sia per i mezzi adoperati,
sia per le finalità perseguite, l'attività possa essere indirizzata in modo da compromettere o
attentare ai valori fondamentali di. democrazia garantiti dalla Costituzione.
Anche la disciplina della propaganda elettorale prende in considerazione i partiti politici come
soggetti politici, stabilendo per essi l'accesso a idonei spazi di propaganda nell'ambito del servizio
pubblico radiotelevisivo, facendo obbligo a tutte le emittenti radiotelevisive di assicurare a tutti i
soggetti politici, con imparzialità ed equità, l'accesso all'informazione e alla comunicazione
politica, intendendo per tali la diffusione di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche:
prescrivendo regole per i messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici.
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Proprio in considerazione della complessità delle loro attività e delle spese sempre più consistenti
per mantenere un efficiente apparato organizzativo, per affrontare le varie campagne elettorali,
politiche ed amministrative, in sede regionale e locale, si è posto il problema di provvedere a
reperire fonti di finanziamento, ulteriori rispetto a contribuzioni volontarie.
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22. Famiglia
Tra le formazioni sociali la Costituzione italiana prende in particolare considerazione la famiglia,
alla quale dedica gli articoli 29, 30 e 31.
La famiglia è espressamente riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio. Essa è
costituita dall'unione tra uomo e donna col vincolo matrimoniale e dà luogo alla famiglia coniugale.
Non sono quindi riconosciute e garantite dalla Costituzione le mere unioni di fatto.
L'istituto del divorzio è stato introdotto con la L. 1.12.1979, n. 898, la quale ha anche previsto la
cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario.
La L. 19.5.1975, n. 151, innovando alla disciplina del codice civile del 1942, ha regolato i rapporti
tra i coniugi sulla base del principio costituzionale (art. 29, II comma) che sancisce la loro
eguaglianza giuridica e morale nei limiti stabiliti a garanzia dell'unità familiare. Ad esempio, ad
entrambi i coniugi è affidata la determinazione dell'indirizzo della vita familiare e a ciascuno di essi
è dato di stabilire la propria residenza in ragione delle rispettive esigenze e compatibilmente con
quelle della famiglia. Ad entrambi spetta inoltre la potestà sui figli, il cui esercizio avviene di
comune accordo. Entrambi hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Viceversa è
la moglie che aggiunge al proprio cognome quello del marito, che è altresì attribuito ai figli
legittimi, ed il figlio naturale assume preferibilmente il cognome del padre.
L'art. 31, Il comma stabilisce altresì che è compito della Repubblica di proteggere la maternità,
l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
23. Salute
La salute è tutelata come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32
Cost.).
A tenore dell' art. 118 Cost., l'attività amministrativa, concernente la sanità, va distribuita tra i vari
enti territoriali secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
L'art. 32, II comma garantisce poi la libertà e la dignità dell'individuo) stabilendo che nessuno può
essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la
legge in ogni caso non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Trattamenti
sanitari obbligatori possono essere disposti dalle Autorità sanitarie per esigenze pubbliche (ad
esempio vaccinazioni, cure obbligatorie in caso di epidemia, trattamenti sanitari per malati mentali,
ecc.). Sono invece vietate imposizioni di cure per la salute dei singoli individui in quanto contrarie
alla libertà di scelta individuale.
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sull'utilizzo di fertilizzanti in agricoltura.
L'ambiente e l'ecosistema vengono identificati con l'aria, l'acqua, la flora, la fauna ed i connessi
equilibri biologici. A loro tutela si è previsto il risarcimento del danno ambientale e si è altresì
ammessa la responsabilità dei funzionari e degli amministratori pubblici.
A tutela del paesaggio, che corrisponde ad un interesse dell'intera comunità nazionale, il legislatore
può anche porre vincoli di ordine generale a determinati beni, limitando le facoltà di godimento dei
proprietari, senza che a tali limiti possa attribuirsi carattere espropriativo. È invero la qualità
intrinseca e naturale del bene che li consente. Conseguentemente, essendo la materia non a
carattere espropriativo, non è previsto un indennizzo in ragione dei vincoli di tal genere.
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26. Lavoro.
L'art. 1 della Costituzione pone il lavoro a fondamento della Repubblica. Per lavoro deve intendersi
qualsiasi forma di attività lavorativa che, come dispone il n comma dell'art. 4, concorra al
progresso materiale o spirituale della società, quindi un'attività socialmente utile.
La Costituzione concepisce il lavoro anche come un dovere per il cittadino, imponendogli di
concorrere al progresso materiale e spirituale della società, ferma restando la libertà di scegliere
autonomamente attività o funzioni congeniali alle sue capacità e possibilità.
L'art. 35 Cost. al I comma impone poi alle istituzioni della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le
sue forme e manifestazioni,
Non si tratta di una tutela che deve essere apprestata al lavoro dei soli cittadini, come avviene col
riconoscimento del diritto-dovere, ma di qualsiasi lavoratore. La tutela ovviamente potrà essere
differenziata in ragione delle singole e svariate attività lavorative, nel rispetto peraltro degli altri
principi costituzionali, come quello dell'eguaglianza.
L'art, 36 Cost. stabilisce al I comma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia
un'esistenza libera e dignitosa.
Si tratta di un principio immediatamente precettivo che consente di azionare il diritto nei confronti
del datore di lavoro indipendentemente dalla determinazione del trattamento retributivo in via
negoziale, e pure in presenza di contratti collettivi. Il principio, che assicura il minimo
costituzionale retributivo, non si estende però ad ogni compenso che sia il corrispettivo di qualsiasi
prestazione, in quanto suo scopo è quello di evitare lo sfruttamento del lavoratore ed assicurare a
lui e alla sua famiglia, in considerazione del complesso dell'attività lavorativa svolta, un' esistenza
Ubera e dignitosa, mentre il criterio di proporzionaUtà trova applicazione anche con riferimento a
lavori di breve durata o accessori, ricollegandosi al rapporto di scambio tra prestatore d'opera e
dato re di lavoro.
Alla donna sono riconosciuti gli stessi diritti del lavoratore di sesso maschile e la stessa
retribuzione a parità di lavoro. La diversità di retribuzione può essere quindi giustificata soltanto da
una oggettiva diversità di prestazione lavorativa.
Alla donna lavoratrice è invece assicurata una tutela particolare per quanto concerne le condizioni
di lavoro, che è connessa con la funzione familiare che per la Costituzione ad essa è essenzialmente
affidata. Le condizioni di lavoro devono pertanto consentirle l'adempimento di tale funzione ed
inoltre assicurarle, se madre, oltre che al bambino, una speciale, adeguata protezione.
I principi affermati dall' art. 37,1 comma sono stati attuati con le leggi 9.12.1977, n. 903, sulla
parità di trattamento tra uomini e donne in materie di lavoro, e dalla L. 10.4.1991, n. 125 e succo
modifiche, sulle azioni positive per la realizzazione deUa parità uomo donna nel lavoro.
Pur essendo l'assistenza privata libera (IV comma dell'art. 38) lo Stato deve comunque predisporre
ed integrare organi ed istituti col compito di attuare i principi stabiliti nell'art. 38.
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La potestà legislativa esclusiva in materia di previdenza sociale, come quella relativa alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di lavoro da garantire su tutto il
territorio nazionale spetta allo Stato, ai sensi dell' art. 117, n comma Cost, mentre appartiene a
quella concorrente la potestà legislativa in materie di tutela e sicurezza del lavoro, di previdenza
complementare e integrativa, restando affidata alle Regioni ogni altra competenza.
27. Sindacati
L'unico obbligo che può essere imposto ad essi, e in base a disposizioni di legge, è quello della
registrazione presso uffici locali o centrali. La registrazione peraltro può avvenire soltanto se gli
statuti dei sindacati sanciscono un ordinamento interno a base democratica. Ove registrati, i
sindacati acquistano automaticamente la personalità giuridica.
Tuttavia la legge che avrebbe dovuto imporre l'obbligo della registrazione e disciplinare la stessa
non è intervenuta, per cui l'art. 39, a parte l'enunciazione della libertà organizzativa dei sindacati, è
rimasto inattuato.
29. Sciopero
La tutela dei lavoratori è assicurata tra l'altro, sotto forma di autotutela, con la garanzia del diritto di
sciopero, che è una forma di lotta sindacale consistente nell' astensione dal lavoro stabilita in base
ad una decisione collettiva.
L'art 40 Cost. nello stabilire il diritto di sciopero prevede che esso si esercita nell' ambito delle
leggi che lo regolano. A tal fine, pur mancando una regolamentazione organica del diritto di
sciopero, il legislatore ha adottato la L. 12.6.1990 n. 146 (successivamente modificata con L.
11.4.2000, n. 83) per contemperare il diritto di sciopero con la salvaguardia dei diritti della persona
e la garanzia dei servizi pubblici essenziali, istituendo al tempo stesso una Commissione di
garanzia dell' attuazione della legge stessa.
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30. Iniziativa economica privata
L'art. 41 Cost. garantisce la libertà di iniziativa economica privata (I comma).
Tale libertà non è però illimitata, in quanto la Costituzione vieta che possa svolgersi in contrasto
con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (II
comma).
Anche se il n comma dell' art. 41 non prescrive con quale mezzo possono porsi limiti all'iniziativa
economica privata, sembra implicito che in proposito sussiste una riserva di legge (peraltro
relativa), in quanto si tratta di condizionare l'esercizio di un diritto di libertà, tra l'altro
caratterizzante il sistema economico voluto dal costituente.
L'introduzione di limiti può essere ammessa soltanto in caso di acclarato contrasto dell'iniziativa
economica con i parametri stabiliti dalla Costituzione. Sono quindi vietati limiti non
oggettivamente e razionalmente giustificabili da specifiche esigenze pubbliche.
Essi potranno, ad esempio, prevedere forme di autorizzazione per determinate attività che possano
costituire pericolo per la pubblica incolumità o per la salute pubblica o individuale, o attentare alla
libertà o alla dignità dell'uomo.
I tentativi effettuati in Italia per attuare una programmazione economica nazionale sono falliti. Vi è
stata un'unica legge, la n. 685 del 27.7.1967, che approvò il programma quinquennale 1966-1970,
rimasto poi di fatto maturato.
Dopo un primo periodo della vita costituzionale in cui lo Stato è intervenuto attivamente nel mondo
economico non solo per disciplinare la relativa attività, ma divenendo esso stesso imprenditore, a
seguito dell'affermarsi in sede di Comunità europea dei principi della libera concorrenza e del
libero mercato, ha successivamente provveduto ad adeguare ad essi l'ordinamento italiano. Tra i
vari interventi vi è stato anche quello introduttivo di una disciplina antitrust. Agli stessi principi è
ispirata la disciplina dell'editoria e della radiotelevisione, mirante a garantire il pluralismo
dell'informazione.
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31. Tutela del credito e del risparmio
L'art. 47 Cost. stabilisce che la Repubblica tutela e incoraggia il risparmio e disciplina, coordina e
controlla l'esercizio del credito.
La disciplina è contenuta in particolare nel T.U. della legge bancaria, approvato con D.Lgs. 1.9.93,
n. 385. Le istituzioni adibite al controllo e alla vigilanza sono il Ministero dell'Economia e delle Fi-
nanze, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), la Banca d'Italia e il suo
Governatore.
Il HI comma dell' art. 42 Cost. riconosce anche la trasmissione ereditaria della proprietà
disponendo che la legge disciplina la successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato
sulle eredità.
L'art. 47 Cost. stabilisce inoltre che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue
forme ed in particolare favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, a
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quella diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi
produttivi del Paese. Si tratta dell' azionariato popolare alla cui garanzia e tutela è stata preposta la
CONSOB.
I limiti all'acquisto della proprietà possono essere introdotti dal legislatore per determinate
categorie di cose; può essere imposto di disfarsene, ove dannose; possono essere imposti limiti in
via generale o particolare alle facoltà di godimento; può prevedersi la possibilità di trasferimenti
coattivi.
II trasferimento coattivo di beni immobili può avvenire attraverso il meccanismo
dell'espropriazione per pubblica utilità.
È previsto inoltre il diritto del proprietario del bene da espropriare di stipulare col soggetto
beneficiario dell' espropriazione l'atto di cessione del bene o della quota di sua proprietà dopo la
dichiarazione di p.u. e fino allo data in cui è eseguito il decreto di esproprio (art. 45 TU.).
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37. a) Tributi
Le imposte sono prestazioni pecuniarie dovute all' amministrazione pubblica per far fronte alle
spese pubbliche, ove si manifesti capacità contributiva, e ciò indipendentemente da un
collegamento con controprestazioni specifiche.
Esse si distinguono in imposte dirette, quando colpiscono il reddito o il patrimonio del soggetto,
indirette quanto colpiscono rapporti economici, come trasferimenti di beni. Le tasse sono
prestazioni pecuniarie dovute per usufruire di alcuni beni e servizi pubblici. Poiché l'art. 23 Cost. a
sua volta prescrive che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in
base ad una legge, anche le prestazioni tributarie sono soggette a riserva di legge.
38. Nazionalizzazioni
L'Art. 43 Cost. consente la nazionalizzazione delle imprese. Essa può essere disposta con legge
(riserva assoluta di legge) per fini di utilità generale nei confronti di imprese o categorie di imprese
che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e che
abbiano carattere di preminente interesse generale. La legge che dispone la nazionalizzazione può
riservare originariamente o trasferire mediante espropriazione.e salvo indennizzo tali imprese allo
Stato, ed enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti.
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CAPITOLO UNDICESIMO
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI
83
3. // Governo tra Parlamento e Presidente della Repubblica
Il sistema di governo parlamentare italiano si basa quindi suU'attività di tre organi costituzionali
fondamentali, il Parlamento, il Governo e il Presidente della Repubblica. Per comprendere il suo
funzionamento non può ovviamente prescindersi dall'esame dei rispettivi ruoli di tali organi in
relazione alla posizione istituzionale ed ai poteri ad essi attribuiti dalla Costituzione.
Nel sistema di governo parlamentare infatti l'indirizzo politico governativo si fonda sul consenso
del Parlamento. All'interno del Governo viene poi ripartito tra gli organi che concorrono a formare
la compagine governativa: il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale mantiene l'unità di
indirizzo politico e dirige la politica generale del Governo, il Consiglio dei ministri, il quale
delibera sulla politica generale del Governo, ed i singoli Ministri, i quali pongono in essere l'attività
politica inerente ai rispettivi ministeri, coerentemente con la politica governativa ed uniformandosi
all' attività di promozione e di coordinamento disposta dal Presidente del Consiglio.
Da tali funzioni invece è escluso il Presidente della Repubblica in coerenza col sistema che vede il
Parlamento al centro del sistema politico, il Governo responsabile politicamente dinanzi al Parla-
mento, del quale deve godere la fiducia per attuare il suo programma politico, ed il Presidente della
Repubblica in una posizione di garante del funzionamento dello stesso sistema, estraneo alla
conflittualità tra le parti politiche.
II - Il Parlamento
Il numero dei deputati è di 630'e dei senatori (elettivi) 315. Tuttavia del Senato fanno altresì parte
di diritto ed a vita gli ex Presidenti della Repubblica, nonché cinque senatori a vita nominati dal
Presidente della Repubblica.
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Il limite numerico di cinque deve intendersi riferito all'ufficio del Presidente della Repubblica e
non al titolare della carica come tale, con la conseguenza che non possono essere presenti
contemporaneamente in Senato più di cinque senatori di nomina presidenziale. Milita a favore di
tale interpretazione non tanto la lettera dell' art. 59, II comma Cost., che non è chiara, mancando
ogni specificazione al riguardo, quanto la ratio della norma in relazione al principio rappre-
sentativo democratico relativo alla composizione del Senato. Rispetto alla regola fondamentale
secondo cui i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto, i casi di senatori a vita (ex
Presidenti della Repubblica e di nomina presidenziale) costituiscono una eccezione, che, come tale,
va interpretata in modo restrittivo. Ciò anche in considerazione dell'equilibrio politico tra le due
Camere, dotate degli stessi poteri, che, ove si consentisse di procedere alla nomina di numerosi
senatori a vita (cinque per ogni Presidente), potrebbe essere compromesso.
Gli artt. 7-10 del D.P.R. 30.3.1957, n. 361 (richiamato, per il Senato, dall'art. 5 del D.Lgs.
533/1993) prevedono numerose cause di ineleggibilità, tra cui: la carica di Presidente di Giunta
provinciale, di Sindaco di comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, di Capo e Vice
capo della Polizia, di Ispettore generale di pubblica sicurezza, di Capo di Gabinetto dei Ministri, di
Commissario del Governo, di Prefetto, Vice-prefetto e Funzionario di ps.. Ulteriori limitazioni
sono previste per gli Ufficiali superiore delle Forze armate, i magistrati, i diplomatici, consoli e
vice-consoli, e gli impiegati presso governi esteri. Sono inoltre ineleggibili coloro che siano
vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazione, per concessioni di notevole
entità economica e altre categorie in ragione della riscossione, di sovvenzioni statali.
La L. 13.2.1953, n. 60 ha previsto ulteriori cause di incompatibilità.
La decadenza della carica di parlamentare può conseguire anche dal superamento del tetto di spesa
consentito per la campagna elettorale (art. 15, K comma, L. 515/1993).
Diversa dall'incompatibilità è la non candidabilità .
85
Nel sistema elettorale proporzionale i seggi vengono attribuiti in proporzione ai voti ottenuti da
gruppi di candidati riuniti in apposite liste. Possono essere previste clausole di sbarramento,
consentendo la distribuzione dei seggi soltanto alle liste che abbiano conseguito una determinata
percentuale dei voti espressi.
Il sistema elettorale in vigore in Italia per l'elezione dei deputati e dei senatori, che fino al 1993 era
proporzionale, a seguito del risultato in senso maggioritario del referendum del 18.4.1993 per
l'abrogazione di alcune disposizioni della legge elettorale del Senato, è attualmente un sistema
misto, essendo stato cambiato dal legislatore in senso prevalentemente maggioritario.
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L'assegnazione dei seggi col metodo proporzionale avviene nel modo seguente.
L'Ufficio elettorale regionale costituito presso la Corte di Appello determina la cifra elettorale di
ciascun gruppo di candidati, sommando i voti ottenuti nei singoli collegi da ciascun candidato
collegato e sottraendo i voti ottenuti dai candidati che risultano già eletti. Tale cifra viene divisa per
uno, due, tre e così via sino al numero dei senatori da eleggere (metodo di Bondt).
La contiofirma assume invece il ruolo di controllo esterno sulla provenienza dell' atto e sulla sua
legittimità costituzionale, per accertare che non sia violato il procedimento o il II comma dell' art.
88, e non costituisca un attentato alla Costituzione. In siffatta ipotesi essa può, anzi dovrà essere
rifiutata con ogni conseguenza sulla crisi istituzionale che verrà a determinarsi. Deve invece
escludersi un controllo sul merito della scelta presidenziale.
In caso di contrasto in ordine alla spettanza del potere ed ai limiti del controllo governativo sarà poi
la Corte Costituzionale ad intervemre su eventuale conflitto di attribuzione .
Anche se il potere di scioglimento delle Camere spetta in via esclusiva e definitiva al Presidente,
sul suo esercizio influiscono in maniera incisiva l'assetto politico e i rapporti tra le forze (di
maggioranza e di opposizione) presenti in Parlamento.
Di solito si ricorre allo scioglimento nei casi di crisi governativa irrisolvibile, quando non si riesce
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a formare un Governo che ottenga la fiducia dal Parlamento, quando le Camere non siano in
condizione di lavorare per contrasto tra di esse, quando sussista un chiaro contrasto tra la loro
composizione politica e l'orientamento politico emerso nel Paese in base ad univoci sintomi, come
a seguito di elezioni politiche o anrnnnistrative di altri organi o istituzioni che abbiano indubbia
risonanza nazionale o da votazioni e approvazioni di referendum che incidono negativamente
(sfiduciandola) sulla politica perseguita dalla maggioranza parlamentare.
In tali evenienze il Presidente ha poteri sostanziali di scelta non solo sul se sciogliere entrambe le
Camere o una sola di esse, sul periodo di tempo in cui tale scioglimento deve avvenire, ma anche
con quale Governo in carica dovranno tenersi le nuove elezioni, ove il Governo gli si presenti
dimissionario. Egli potrà decidere se mantenerlo in carica oppure nominare altro Governo che,
anche se non ottiene la fiducia parlamentare, gli assicuri la controfirma del decreto di scioglimento
delle Camere.
L'evoluzione in senso maggioritario del sistema elettorale delle due Camere e la formazione di
coalizioni contrapposte con i propri leader candidati alla Presidenza del Consiglio ha posto il
problema, se in caso di sfaldamento della coalizione che vincendo le elezioni aveva ottenuto il
consenso dell' elettorato, occorresse sciogliere le Camere, anziché cercare nuove coalizioni e
maggioranze all'interno del Parlamento per fare ottenere la fiducia a governi eventualmente anche
tecnici.
10.1 parlamentari
La norma ribadisce il divieto del mandato imperativo che trae origine storica dai principi della
rappresentanza nazionale affermati dall'Assemblea nazionale in Francia all'epoca della Rivolu-
zione del 1789. Tale divieta intende assicurare l'indipendenza dei rappresentanti del popolo
sottraendoli ad ogni vincolo da parte di chicchessia (elettori, partiti, gruppi di interesse).
E questo un principio affermatosi nello Stato liberale-rappresentativo, il quale si è scontrato
peraltro con i principi dello Stato di partiti formatosi con l'apparire sulla scena politica dei partiti
politici e, all'interno del Parlamento, dei gruppi politici parlamentari.
I parlamentari godono di alcune prerogative che mirano ad assicurare il corretto funzionamento
delle Camere.
Dispone l'art. 68, II comma Cost. nella modifica introdotta dalla L. Cost. 29.10.1993, n. 3: Senza
autorizzazione della Camera alla quale appartiene) nessun membro del Parlamento può essere
sottoposto a perquisizione personale o domiciliare) né può essere arrestato o altrimenti privato
della libertà personale) o mantenuto in detenzione) salvo che in esecuzione di una sentenza
irrevocabile di condanna) ovvero se sia colto nell' atto di commettere un delitto per il quale è
previsto l'arresto obbligatoria in flagranza.
La disciplina introdotta dalla E. 20.6.2003 n. 140, secondo la quale non potevano essere sottoposte
a processi penali le cinque alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidenti delle
Camere, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Corte Costituzionale) finché
ricoprivano quelle cariche, è stata dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte
costituzionale n. 24 del 20.1.2004.
L'art. 68,1 comma Cost. stabilisce l'insindacabilità dei parlamentari per le opinioni espresse e per i
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voti dati nell' esercizio delle loro funzioni.
Tale insindacabilità non è collegata al luogo in cui le opinioni vengono manifestate, ma
specificamente alla funzione svolta dal parlamentare.
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Le Corrirnissioni permanenti (14 per ciascuna Camera), le cui competenze sono ripartite tra diverse
materie che corrispondono grosso modo alla ripartizione delle funzioni tra i rninisteri, si occupano
deirattività di formazione della legge e di funzioni consultive, di controllo e di indirizzo.
Le Commissioni speciali temporanee vengono istituite di volta in volta in relazione a specifiche
questioni.
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con il fine dell'istituzione di cui esso fa parte.
La loro posizione è diversa da quello dei singoli parlamentari, che, in quanto membri del collegio,
hanno natura organica, poiché essi vengono in rilievo non come organi diversi e distinti dai parla-
mentari, ma in quanto associazioni degli stessi. Situazione analoga a quella che si verìfica quando,
per l'esercizio di determinate attività, è richiesta la sottoscrizione di un certo numero di
parlamentari. Anche se per alcune funzioni è necessaria la manifestazione di volontà dei gruppi
come tali, ciò può stare a significare che essi assumono in tali casi la veste di organi indiretti delle
Camere (come avviene per soggetti privati che esercitano pubbliche funzioni) ma non come organi
in senso specifico.
Il mancato riconoscimento di personalità giuridica non esclude peraltro che essi abbiano una
soggettività giuridica, con rilevanza costituzionale, per le funzioni pubbliche esercitate. Difatti la
soggettività come figura giudica generale, comprensiva tanto dei soggetti privi di personalità
giuridica, quanto di quelli cui la personalità giuridica è riconosciuta dall'ordinamento, può essere
ammessa anche rispetto a quei soggetti che hanno rilevanza politica costituzionale.
14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle Camere e programmazione dei lavori
La Costituzione prevede che le Camere si riuniscono entro venti giorni dalla elezione nel giorno
stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica che fissa la data di convocazione dei comizi
elettorali (art. 61 e 87, III comma Cost.) e di diritto il primo giorno non fe8tivo dei mesi di febbraio
e di ottobre (art. 62 Cost).
La programmazione dei lavori delle Camere (per sessioni bimestrali o trimestrali) avviene in base
alla Conferenza dei Capigruppo, sotto la direzione del Presidente di assemblea. Viene stabilito il
calendario dei lavori per le singole sedute e l'ordine del giorno di ciascuna seduta.
Il programma e il calendario vengono approvati alla Camera dei deputati dai Presidenti dei gruppi
che rappresentino i tre quarti dei componenti della Camera e al Senato dall'unanimità dei Presidenti
dei gruppi. In mancanza essi sono predisposti alla Camera dei deputati dal suo Presidente per un
periodo corrispondente ad una settimana e al Senato dal suo Presidente. Diventano operativi dopo
la comunicazione all'Assemblea e alle Commissioni permanenti. Il regolamento del Senato
prevede la possibilità di modifiche col voto dell' Assemblea.
15. b) Deliberazioni
La Costituzione (art. 64) prevede che le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in
seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti dell'assemblea e
se non sono adottate a maggioranza dei presenti a meno che la Costituzione non preveda una
maggioranza speciale.
Il voto espresso dai parlamentari può essere palese o segreto. La regola è il voto palese. Si fa
ricorso al voto segreto per le delibere che riguardino persone e può essere richiesto per le delibere
relative a principi e diritti sulle libertà (art. 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 Cost), sui diritti della famiglia
(art. da 29 a 31 Cost.), sui diritti della persona umana (art. 32 Cost), sulle modifiche ai regolamenti
parlamentari. Per la Camera dei deputati può altresì essere richiesto per le leggi relative agli organi
costituzionali dello Stato e agli organi delle Regioni, per le leggi elettorali, per l'istituzione delle
commissioni di inchiesta.
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16. Funzioni delle Camere: A) L'attività legislativa
Come dispone l'art. 70 Cost. la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.
La legge quindi, per venire ad esistenza, deve essere approvata da entrambe le Camere nello stesso,
identico testo. Il procedimento di formazione della legge va distinto peraltro in diverse fasi, non
tutte esercizio di funzione legislativa.
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b.c) Procedimento in sede redigente
Il procedimento ed. redigente consiste nella attribuzione alla Commissione del potere di approvare
il progetto artìcolo per articolo, mentre all' Assemblea è riservata la votazione finale, oppure nel
riservare all' Assemblea la fissazione dei criteri generali e alla Commissione l'approvazione degli
articoli e quella finale.
Nei casi di urgenza si può ricorrere al procedimento abbreviato, che consiste nella riduzione alla
metà di tutti i termini ordinari previsti dai regolamenti parlamentari.
Il progetto approvato da una Camera viene trasmesso airaltra dove ricomincia l'iter legislativo.
Se la seconda Camera apporta delle modifiche al testo il progetto ritorna all'altra perché si esprima
sulle modifiche. Se vi sono ulteriori modifiche il progetto ritorna all'altra Camera e così via (ed.
navetta) fino a quando non si raggiunga l'approvazione sul medesimo testo.
In tal caso il progetto è divenuto legge e, esaurita la fase del procedimento legislativo in senso
stretto, si passa alla fase dell'integrazione dell' efficacia.
19. c) Promulgazione
La legge viene trasmessa al Presidente della Repubblica per la promulgazione (art. 73 Gost), la
quale deve avvenire entro un mese dall'approvazione. Nel caso che le Camere abbiano dichiarato
l'urgenza della legge essa va promulgata nel più breve termine indicato dalla stessa.
Il messaggio motivato ha lo scopo di rendere il Parlamento edotto delle specifiche ragioni che
hanno indotto il Presidente al rinvio della legge. Ove le Camere riapprovino la legge il Presidente
deve promulgarla (art. 74, II comma Cost).
La promulgazlOne è quindi obbligatoria, essendo tassativa la previsione costituzionale, anche se il
Presidente ritenga la legge manifestamente incostituzionale. Non è invero il Presidente che può
giudicare in via definitiva della legittimità costituzionale, bensì la Corte costituzionale, la quale
peraltro non può nemmeno essere adita dal Presidente. Essa potrebbe esserlo con conflitto di
attribuzione solo nel caso che la legge violasse sue competenze costituzionalmente stabilite.
20. d) Pubblicazione
Dopo la promulgazione la legge viene trasmessa al Ministro della Giustizia (il Guardasigilli), il
quale vi appone il proprio visto e ne cura l'inserimento nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi
della Repubblica e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La pubblicazione
deve avvenire subito dopo la promulgazione e comunque non oltre trenta giorni da essa.
22. a) Fiducia
La forma di governo parlamentare dello Stato italiano come tutte le forme di governo parlamentare
si caratterizza per il rapporto di fiducia che vincola il Governo al Parlamento. Tale rapporto deve
rimanere costante e il suo venir meno mette in crisi il Governo. Gli strumenti che sono offerti al
Parlamento per controllare l'attività del Governo in ragione delle sue linee programmatiche ed
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assicurare la sua conformità agli orientamenti della maggioranza parlamentare sono vari e danno
luogo ad una a attività ispettiva e conoscitiva che si estrinseca in alcuni atti tipici.
La consuetudine ha poi introdotto anche la questione di fiducia, ad iniziativa del Governo, che ha
trovato disciplina nei regolamenti parlamentari e nella legge 400/1988, la quale comporta una
votazione su un atto delle Camere cui è condizionata l'espressione della fiducia.
23. b) Mozione
Oltre le specifiche mozioni di fiducia e di sfiducia i regolamenti parlamentari prevedono in genere
come atto ispettivo la mozione.
La mozione mira ad ottenere una deliberazione da parte della Camera di appartenenza e consiste
nella richiesta di discutere e di votare su un determinato argomento. Essa può essere presentata da
un Presidente di Gruppo o da dieci deputati alla Camera dei deputati (art. 110 Reg.) e da almeno
otto senatori al Senato (art. 157 Reg.).
24. c) Interrogazione
L'interrogazione consiste in una semplice domanda rivolta per iscritto da un Parlamentare al
Governo o a un Ministro per avere informazioni o spiegazioni su un determinato argomento e per
sapere quali provvedimenti il Governo o il Ministro abbia adottato o intenda adottare (art 128 Reg.
Cam. dep., art 145 Reg. Sen.).
25. d) Interpellanza
L'interpellanza consiste nella domanda rivolta per iscritto al Governo circa i motivi o gli
intendimenti della sua condotta su questioni di particolare rilievo o di carattere generale o che
riguardino determinati aspetti della sua politica (Art. 136 Reg. Camera dep., art. 156 Reg. Sen.).
26. e) Risoluzione
La risoluzione consiste in una proposta da parte di un Parlamentare diretta a manifestare
orientamenti o a definire indirizzi su specifici argomenti, la quale vien? votata o da una
Commissione o dall' Assemblea.
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29. h) Udienze conoscitive
Diversamente dalle inchieste, le udienze conoscitive (ed. hearings) sono disposte dalle
Commissioni permanenti nel corso dell'esame di progetti di legge o indipendentemente da esso per
acquisire elementi ed informazioni da parte della pubblica amministrazione, di privati e di esperti
per l'espletamento della loro attività. Sono state introdotte in via di fatto e successivamente sono
state disciplinate dai regolamenti delle Camere.
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competenza e prevede l'andamento delle entrate e delle spese in base alla legislazione in vigore,
tenendo conto degli interventi programmati nel documento di programmazione
economico-finanziaria.
Il rendiconto consuntivo è il documento contabile che riassume i risultati della gestione finanziaria
in relazione al bilancio annuale, vale a dire le entrate effettivamente riscosse e le spese effet-
tivamente sostenute, nonché il conto generale del patrimonio, il quale registra le variazioni
avvenute e la situazione patrimoniale finale.
Ili - // Governo
96
nere maggiori elementi di valutazione, ovvero, un pre-incarico alla persona cui ha ritenuto di
conferire l'incarico di Presidente del Consiglio.
Per consuemdine il Presidente della Repubblica non normna immediatamente il Presidente del
Consiglio, ma alla persona che intende nominare conferisce l'incarico di Presidente delegato per la
formazione del Governo, in modo da assicurargli l'opportunità di assumere intese e accordi con le
forze che lo sosterranno e di individuare i Ministri che con lui collaboreranno nella compagine
governativa.
Si è discusso se il Presidente abbia o meno e, in caso affermativo, fino a che punto la possibilità di
influire sulla nomina dei Ministri. L'opinione prevalente è nel senso che egli possa intervenire sulle
scelte del Presidente del Consiglio sicuramente quando manchino i requisiti soggettivi per accedere
a cariche pubbliche, ma anche quando esse siano in aperto contrasto col quadro politico che emerge
dalle consultazioni, compromettendo il buon esito del successivo voto di fiducia che dovrà
esprimere il Parlamento.
Il Presidente della Repubblica, anche se non deve assumere un ruolo di parte rispetto alle forze
parlamentari nella risoluzione della crisi, in quanto garante dell' assetto istituzionale in coerenza
con la finalità del suo agire diretto alla realizzazione dell'interesse superiore della Nazione, deve
invero adoperarsi nelle vari fasi del procedimento di formazione del Governo affinché la crisi possa
essere risolta con il voto di fiducia del Parlamento. Entro tali limiti può quindi ritenersi ammissibile
un suo intervento nella formazione della compagine governativa.
Dopo la nomina il Presidente del Consiglio ed i Ministri prestano giuramento nelle mani del
Presidente della Repubblica (art. 93 Cost.) ed entrano così nell' esercizio delle loro funzioni.
Il ruolo del Presidente della Repubblica nella formazione del Governo tende ovviamente a ridursi
quando vi sia una maggioranza parlamentare sicura e in corrispondenza con una certa designazione
proveniente dalle forze politiche presenti in Parlamento (situazione questa che costituisce la regola
nel sistema parlamentare esistente nel Regno Unito), mentre tende ad ampliarsi quando non vi
siano maggioranze parlamentari sicure e quando non sia individuabile una precisa designazione
proveniente dalle forze politiche presenti in Parlamento. In tal caso il Presidente potrebbe anche
avere un ampio potere di scelta avulso da specifiche indicazioni provenienti dal Parlamento. In
proposito va altresì sottolineato che nessuna norma della Costituzione impone al Presidente di
nominare il leader del partito di maggioranza relativa o un leader nell' ambito di tale partito, né
esiste una convenzione o consuetudine in tal senso, come avviene nel Regno Unito.
Va però altresì considerato che la posizione del Presidente della Repubblica è rafforzata dal fatto
che nell' ordinamento italiano il Governo, una volta nominato, viene subito immesso nell' esercizio
delle sue funzioni e resta ancora in carica, nonostante un eventuale voto di sfiducia, fino
all'insediamento del nuovo Governo, non essendo stato previsto che la nomina presidenziale segua
al voto parlamentare, secondo quanto avviene in alcuni Paesi, come, ad esempio, nella Repubblica
Federale di Germania, in Spagna e in Svezia.
Tuttavia occorre in ogni caso tenere presente che sono pur sempre i partiti politici che poi decidono
in via definitiva, per cui il Presidente, anche se assume la veste di organo motore, deve essere ca-
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pace e sensibile nell'individuale, tra le eventuali diverse indicazioni che provengano dalle forze
politiche, quelle che effettivamente possono esprimere una maggioranza in seno al Parlamento e
quindi una maggioranza di governo.
Esso, infatti, come sancisce il I comma dell'art. 94 Cost., deve avere la fiducia delle due Camere,
mancando la quale non può permanere in carica. Contemporaneamente sorge il potere-dovere del
Presidente della Repubblica di risolvere la crisi formando un nuovo Governo, ai sensi dell'art. 92, II
comma Cost. Orbene, nel caso di rifiuto del Governo colpito da sfiducia di rassegnare le sue
dimissioni, non può non riconoscersi al Presidente della Repubblica il potere di revocarlo, che anzi
viene a costituire un obbligo correlato con il potere-dovere di procedere alla formazione di un
nuovo Governo, in quanto, occorrendo la controfirma del Presidente del Consiglio, essa non può
che essere apposta dal nuovo Presidente.
Indipendentemente dalla circostanza che nel sistema parlamentare italiano la sfiducia parlamentare
è espressa nei confronti della intera compagine governativa, il Presidente del Consiglio da un even-
tuale voto del Parlamento contro un singolo Ministro può tuttavia trarre argomento per proporre al
Presidente della Repubblica la sua revoca e sostituzione, ovviamente quando il Ministro su suo
invito non intenda rassegnare le proprie dimissioni. Successivamente peraltro, trattandosi di una
alterazione della omogeneità politica della compagine governativa, che non può certamente
presumersi più esistente (come invece di solito avviene quando si operino rimpasti a seguito di
morte o dimissioni spontanee di un Ministro non implicanti contrasti politici in ordine alla
compagine stessa) il Governo dovrebbe presentarsi alle Camere per ottenere una nuova fiducia in
ordine alla sua nuova composizione.
Nel caso che manchi un voto di sfiducia nei confronti del singolo Ministro la vera difficoltà per
l'esercizio del potere di revoca è di natura politica, in quanto la nomina dei ministri è frutto dell'
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accordo di coalizione. Con la conseguenza che il contrasto insanabile tra il Presidente del Consiglio
ed il Ministro, che sia sostenuto dal partito di appartenenza, si traduce in un venir meno dell'
accordo iniziale con compromissione del rapporto fiduciario. La soluzione politica del contrasto,
ove non possa essere risolta con le dimissioni del Ministro e con un «rimpasto», può trovare il suo
sbocco nelle dimissioni del Presidente del Consiglio, le quali comportano il venir meno dell'intero
Governo.
Va poi considerato che per lo svolgimento dei suoi compiti il Presidente del Consiglio si avvale di
una complessa struttura specifica, il Segretario generale del Presidente del Consiglio dei ministri,
disciplinato dalla legge 400/1988 con le modifiche apportate dal D.Lgs. 303/1999.
Al Segretariato generale è proposto un Segretario generale . (i cui compiti specifici sono elencati
nell' art. 19 L. 400/1988), il quale è nominato con Decreto del Presidente del Consiglio tra i
magistrati delle giurisdizioni superiori, ordinarie e amministrative, gli avvocati dello Stato, i
dirigenti generali dello Stato ed equiparati, i professori universitari di ruolo ovvero tra estranei alla
pubblica amministrazione (art. 18, comma 2, L. 400/1998).
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7 . 1 Ministri
I Ministri sono organi costituzionali che svolgono anche funzioni pubbliche amnùnistrative. Non
sono avvinti allo Stato da un rapporto di pubblico impiego, ma sono funzionari onorari. Essi
esercitano le funzioni previste dalla Costituzione e dalle leggi. Controfirmano gli atti del Presidente
della Repubblica e ne assumono la responsabilità (art. 89 Cost). Sono componenti del Consiglio dei
ministri.
Quella anmiinistrativa, per il caso di danni cagionati all'erario, vien fatta valere dinanzi alla Corte
dei Conti.
La responsabilità penale differisce a seconda che si tratti di reati ministeriali o comuni. Per i reati
ministeriali, vale a dire per i reati commessi nell' esercizio delle loro funzioni, i Ministri sono
sottoposti alla giurisdizione penale ordinaria. Ma per procedere contro di essi occorre
l'autorizzazione della Camera di appartenenza (nel caso non siano parlamentari occorre
l'autorizzazione del Senato).
Per i reati comuni la responsabilità è comune a quella di ogni altra persona. Nel caso che il Ministro
sia un parlamentare valgono peraltro le prerogative previste per i parlamentari.
Tra i Ministri vi sono quelli ed. Senza portafoglio. Si tratta di Ministri che non hanno la direzione di
un Dicastero e si avvalgono delle stratture proprie della Presidenza del Consiglio.
Essi svolgono le specifiche funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio
dei ministri (art. 9, L. 400/1988). Possono anche essere nominati Vicepresidenti del Consiglio.
Attualmente i Ministeri sono quelli degli Affari Esteri, dell'Interno, della Giustizia, della Difesa,
dell'Economia e delle Finanze, delle Attività produttive, delle Comunicazioni, per le Politiche agri-
cole e forestali, dell' Ambiente e della tutela del territorio, delle mfiastrutture e dei Trasporti, del
Lavoro e delle Politiche sociali, della Salute, dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, per i
Beni e le Attività culturali.
9. Consiglio di Gabinetto
II Consiglio di Gabinetto è un organo consultivo del Presidente del Consiglio che trae origine da
una prassi instaurata nel 1983.
L'art. 6 L. 400/1988 ha disciplinato, definendolo però Comitato, stabilendo che può essere istituito
in seno al Governo per coadiuvare il Presidente del Consiglio nello svolgimento delle sue funzioni.
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10. Sottosegretari dì Stato
La figura dei Sottosegretari di Stato è sorta in Gran Bretagna per consentire ai Ministri di essere
rappresentati nelle Camere cui non potevano accedere, in quanto non ne facevano parte.
In Italia essi originariamente sono stati istituiti in via convenzionale e se ne è ammessa l'esistenza
in via consuetodinaria. Attualmente sono previsti dall'art. 10 della L. 400/1988.
La loro funzione è quella di coadiuvare i Ministri e di svolgere le funzioni loro delegate dal
Ministro.
I Sottosegretari di Stato possono intervenire in rappresentanza del Governo alle sedute delle
Camere e delle Commissioni parlamentari, partecipare alle discussioni, rispondere alle
interrogazioni ed alle interpellanze.
H Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri è il Segretario del Consiglio dei
ministri e partecipa alle sedute di tale organo, svolgendo le funzioni di segretario del collegio.
Alla Presidenza del Consiglio possono tuttavia essere nominati altri Sottosegretari per svolgere
determinati compiti e servizi.
11. Comitati
I Comitati sono organi collegiali formati da più Ministri e.a volte anche da organi esterni al
Governo. Essi svolgono funzioni comuni a più dicasteri e possono avere rilevanza esterna o solo
rilevanza interna.
Esso ha competenza in materia di politica economica secondo le specifiche e dettagliate previsioni
delDXgs. 5.12.1997, n. 430 (art. 1).
II Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C I C R) è composto dal Ministro
dell'Economia e delle Finanze (che lo convoca e lo presiede) e da quelli delle" Infrastrutture e dei
Trasporti, delle Attività produttive, delle Politiche agricole e forestali, delle Politiche comunitarie,
nonché dal Governatore della Banca d'Italia.
Al CICR è attribuita l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio.
Il Comitato interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza (C I S ), istituto presso la
Presidenza del Consiglio, è composto dai Ministri degli Affari Esteri, dell'Interno, della Giustizia,
della Difesa, delle Attività produttive e dell'Economia e delle Finanze. Svolge funzioni consultive e
di proposta per il Presidente del Consiglio in ordine alla politica informativa e di sicurezza.
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IV - Gli organi ausiliari
La Costituzione prevede che il C.N.E.L. sia composto da esperti e rappresentanti delle categorie
produttive tenendo conto di criteri sia numerici che qualitativi.
Esso si compone di 12 esperti qualificati esponenti della cultura economica sociale e giuridica, di
cui otto nominati dal Presidente della Repubblica e quattro proposti dal Presidente del Consiglio
previa delibera del Consiglio dei ministri e nominati con decreto del Presidente della Repubblica;
novantanove rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblici e privati,
di cui quarantaquattro rappresentanti dei lavoratori dipendenti e diciotto rappresentanti dei
lavoratori autonomi, trentasette rappresentanti delle imprese, designati dalle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative e nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del
Presidente del Consiglio previa delibera del Consiglio dei ministri; dieci rappresentanti delle
associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato designati
dall'Osservatorio nazionale dell' associazionismo e dall'Osservatorio nazionale per il volontariato.
H Presidente è a sua volta nominato al di fuori degli altri componenti dal Presidente della
Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri.
I componenti durano in carica cinque anni e possono essere confermati.
Singolare è il modo con cui si perviene alle pronunce del CNEL. L'art. 14 prevede che se vengono
espresse posizioni discordanti su un'intera materia o su singoli punti non si procede al voto, ma si
dà atto delle posizioni assunte dai singoli gruppi e categorie con l'indicazione dei voti espressi.
2. Consiglio distato
II Consiglio di Stato è un organo ausiliario di rilievo costituzionale che ha funzioni di consulenza
giuridico - amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione (art. 100,1 comma Cost.)
ed è indipendente di fronte la Governo (art. 100, III comma). Esso si articola in sette sezioni,
quattro consultive (la L. 15.5.1997 n. 1270 accanto alle tre sezioni tiadizionali ha istituito una
quarta sezione consultiva per l'esame degli schemi di atti normativi dello Stato e di quelli
dell'Unione Europea su richiesta del Presidente del Consiglio) e. tre giurisdizionali.
Nell'ambito delle sezioni consultive è poi prevista l'Adunanza Generale del Consiglio di Stato,
composta da tutti i magistrati in servizio presso il Consiglio, mentre nell'ambito di quelle giu-
risdizionali l'Adunanza plenaria, composta dal Presidente del Consiglio di Stato e da dodici
magistrati scelti dal Consiglio di presidenza in ragione di quattro per ciascuna delle sezioni giuri-
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sdizionali (art. 5, L. 27.4.1982, n. 186).
È dubbio se sia rimasta la competenza del Consiglio di Stato nell'ipotesi, contemplata dall'art. 33, II
comma T.U. 1054/1924, di richiesta da parte del Governo di provocare preventivamente la
decisione del Consiglio in sede giurisdizionale su di un provvedimento amnrinistrativo,
scontrandosi tale previsione con la sua posizione, nell' ambito della giurisdizione amministrativa,
di organo di secondo grado.
Per essere eletti alla carica di Presidente della Repubblica occorre la cittadinanza italiana, l'età di
50 anni ed il godimento dei diritti civili e politici (art. 84,1 comma Cost.). La disp. trans. Xln Cost.,
fino alla cessazione della sua efficacia (L. Cost. 23 ottobre 2002, n. 1), ha peraltro escluso che alla
carica potessero aspirare i membri e i discendenti di Casa Savoia.
Ove invece il settennio si facesse decorrere dal giorno dell' elezione si potrebbe produrre un effetto
singolare nel caso che l'elezione del nuovo Presidente (dalla quale dovrebbe cominciare owia-
103
mente a decorrere anche il nuovo settennio) avvenisse prima della scadenza del precedente
settennio e così via via per il futuro. Il settennio in realtà non corrisponderebbe mai all' effettivo
esercizio delle funzioni.
Se le Camere sono sciolte oppure manca meno di tre mesi alla loro cessazione, occorre aspettare il
rinnovo delle Camere e l'elezione del Presidente dovrà avvenire entro quindici giorni dalla
riunione delle nuove Camere (art. 85, In comma Cost.). Il principio vale anche nella ipotesi che sia
sciolta soltanto una Camera o manchi meno di tre mesi alla sua elezione.
In tali ipotesi la Costituzione prevede espressamente la prorogatio dei poteri del Presidente in
carica. Norma che sembra per vero applicazione di un principio generale, in base al quale la
prorogatio del Presidente in carica, dopo la scadenza del settennio, è ammessa fino all'assunzione
delle funzioni da parte del neoeletto.
Col giuramento il Presidente della Repubblica, oltre a giurare di essere fedele alla Repubblica e di
osservarne la Costituzione, manifesta al tempo stesso la volontà di accettare la nomina.
Poiché l'immissione nelle funzioni non è automatica, ma consegue al giuramento (a differenza di
quanto avveniva nel periodo statutario, in cui il Re saliva al trono non appena la Corona si rendeva
vacante, senza bisogno del previo giuramento e dell'accettazione), l'eletto ben potrebbe non
accettare la nomina o rifiutarsi di giurare. Il solo rifiuto del giuramento sortisce peraltro gli stessi
effetti della mancata accettazione.
3. La supplenza
In ogni caso in cui il Presidente della Repubblica non possa adempiere le sue funzioni si ricorre alla
supplenza (art. 86 Cost.).
Il Presidente del Senato assume le funzioni di Presidente della Repubblica non appena si siano
verificate le varie ipotesi di impedimento del titolare. Non è tenuto a prestare giuramento dinanzi al
Parlamento in seduta comune o ad altro organo. Ciò non vuol dire però che egli non debba essere
fedele alla Repubblica o che non sia tenuto all'osservanza della Costituzione, discendendo tali
obblighi direttamente dall'art. 54 Cost., indipendentemente dalla prestazione del giuramento.
Mentre l'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, il
Presidente del Senato nel periodo in cui esercita le funzioni presidenziali non incorre nella stessa
incompatibilità. Egli invero si limita ad esercitare soltanto temporalmente le funzioni del
Presidente della Repubblica, senza subentrare nel suo ufficio. La sua posizione è comunque legata
alla posizione istituzionale di Presidente del Senato della quale segue le sortì. Se per qualsiasi
motivo viene meno la carica di Presidente del Senato egli cessa anche da quella di supplente.
104
Al di fuori comunque di casi oggettivi di assoluta necessità, che richiedono l'esercizio di poteri
presidenziali, non sembra che il supplente possa sostituirsi al titolare in attività che comportino
scelte ampiamente discrezionali, come, ad esempio, la nomina di Senatori a vita o dei Giudici
costituzionali.Un problema che ha sollevato varie controversie in dottrina è quello della
competenza ad accertare l'impedimento del Presidente, dal momento che le norme costituzionali
non enunciano alcuna disposizione specifica, a parte il caso in cui intervenga la Corte
Costituzionale, ai sensi dell'art. 12, IV comma, L.Cost. 11.3.1953, n. 1 (come sostituito dall'art. 3,
L. Cost. 16.1.1989, n. 1), disponendo la sospensione dalla carica del Presidente.
105
L'irresponsabilità politica del Presidente non impedisce peraltro di esprimere delle opinioni o degli
apprezzamenti sul modo in cui egli ha esercitato o esercita le sue funzioni.
Potere di crìtica che secondo alcuni andrebbe, ricondotto alla cosiddetta responsabilità politica
diffusa cui incorrerebbe il Presidente (malgrado la sua irresponsabilità). Ma siffatta responsabilità,
che peraltro viene distinta dalla responsabilità politica istituzionale, è un concetto in realtà
^determinato ed evanescente, né appare utile per poter individuare limiti costituzionali all' agire
dei soggetti politici e tanto meno all'agire del Presidente della Repubblica che, secondo il dettato
della Costituzione, è irresponsabile.
Di conseguenza non sembra che possa giustificarsi costituzionalmente la norma dell'art. 279 c.p.
che punisce chiunque pubblicamente fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la
responsabilità degli atti di Governo, a meno di non interpretarla in senso del tutto restrittivo, come
divieto di biasimare o di considerare responsabile il Presidente per atti, a lui non imputabili, perché
posti in essere dal Governo, escludendo da tale divieto gli atti da lui invece effettivamente
compiuti.
Nel campo penale l'irresponsabilità del Presidente comporta l'impossibilità che egli sia chiamato a
rispondere di reati diversi da quelli di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi
nell'esercizio delle sue funzioni. L'irresponsabilità non va quindi intesa come «improcedibilità»,
nel senso che egli potrebbe essere chiamato a rispondere dopo la scadenza del mandato, salvi i
limiti della prescrizione, bensì come vera e propria non imputabilità.
Possono quindi concretare la fattispecie criminosa tanto abusi, quanto omissioni dei propri doveri.
Non quindi ogni violazione della Costituzione può costituire un attentato alla stessa, ma violazioni
gravi della stessa, come pure gravi violazioni di legge che comportino una alterazione del sistema
costituzionale ed un pericolo per le istituzioni.
106
Ma la deroga all' art. 25 Cost. riguarderebbe anche la mancata previsione di una pena da
comminare. A tale omissione ha tentato di ovviare la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 con
la previsione, all'art. 15, I comma, che la Corte costituzionale, nel pronunciare sentenza di
condanna, determina le sanzioni nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al
momento del fatto) nonché le sanzioni costituzionali} amministrative e civili adeguate olfatto.
Se nonché non sembra che da tale disposizione possano individuarsi le pene previste per le ipotesi
di alto tradimento o attentato alla Costituzione, non essendo possibile ricavare dall'art. 90 Cost. né
le fattispecie penali di diritto comune, né, conseguentemente, le relative pene.
Sul piano politico peraltro la controfirma assume valore diverso a seconda che gli atti del
Presidente della Repubblica siano o meno preceduti da una proposta governativa e siano o meno
necessitati.
Quando si tratta di atti che il Presidente adotta senza margini di discrezionalità, come sono di solito
quelli che rendono possibile l'estrinsecazione dell'attività di altri organi (Parlamento o Governo) o
soggetti (popolo), la controfirma, anche se apposta all'atto del Presidente, che pur sempre viene
controllato, vale a fare assumere la responsabilità di un atto il cui contenuto non è stato determinato
dal Presidente, ma da altro organo o soggetto. Cosicché la responsabilità politica del
controfirmante per l'atto del Presidente, pur essendo sostanziale, è ridotta rispetto alla
responsabilità politica che comunque assume l'organo o il soggetto che ha posto in essere l'atto su
cui interviene il Presidente.
107
Sul piano costituzionale la previsione dell'art. 89 Cost., che prescrive la responsabilità del
controfirmante per gli atti del Presidente della Repubblica, sia che si tratti di atti in. cui si esprime
la discrezionalità del Presidente, sia che si tratti di atti propriamente governativi, si ricollega a
quella dell'art. 95 Cost., che ha configurato in via generale Presidente del Consiglio e Ministri
come organi responsabili politicamente. E la responsabilità politica è comunque piena per gli atti
che esprimono la volontà politica e amrninistrativa del Governo.
La conttofirma dà quindi luogo ad una fattispecie giuridica complessa nella quale confluiscono e si
compongono in un unico atto a seconda dei casi due o più atti che sono espressione di più volontà e
di poteri diversi: un atto ad iniziativa di un determinato organo o soggetto (che può essere anche lo
stesso Presidente), oppure, nel caso di atto governativo, ima proposta del Governo, l'atto del
Presidente e la controfirma del Ministro competente (o proponente),' alla quale si aggiunge, nei casi
previsti, quella del Presidente del Consiglio.
Il giuramento infatti non costituisce in senso proprio atto che sia espressione della funzione del
Presidente della Repubblica, tanto è vero che va prestato dopo l'elezione, ma prima che il
Presidente neoeletto assuma le funzioni.
Le manifestazioni di opinione, le quali peraltro devono essere mantenute nei limiti stabiliti dalle
norme di correttezza costituzionale, sono espressione della libertà di manifestazione del proprio
pensiero e di per sé non concretano un atto tipico del Presidente, adottato nello svolgimento di una
determinata funzione presidenziale.
Anche per le dimissioni si è esclusa la conttofirma sulla base della considerazione che non sono di
per sé espressione di alcuna delle funzioni proprie del Presidente della Repubblica, ma costitui-
scono un atto personale del titolare della carica.
8. Le funzioni del Presidente della repubblica come Capo dello Stato e garante della
Costituzione
Il Presidente della Repubblica, come dispone l'art. 87, I comma Cost., è il Capo dello Stato e
rappresenta l'unità nazionale. Egli è inoltre il garante e il custode dell' assetto costituzionale, come
si evince dall'art. 91 Cost.
Come Capo dello Stato egli impersona l'unità dello Stato, la sua stabilità e continuità, è l'organo che
ne manifesta la volontà unitaria sia all'interno che all'esterno; come rappresentante dell'unità nazio-
nale egli personifica e rende presente la Comunità nazionale nella sua interezza ed unitarietà e ne
tutela gli interessi.
Discrezionali e a volte anche obbligatori sono quelli tipicamente presidenziali, vale a dire ad
iniziativa del Presidente; vincolati quelli che realizzano tipiche fattispecie legali senza margini di
discrezionalità.
Discrezionale e al tempo stesso obbligatoria è, ad esempio, l'attività che pone in essere il Presidente
in caso di risoluzione delle crisi di Governo attraverso la nomina del Governo, oppure l'attività
diretta alla nomina dei cinque giudici costituzionali di sua spettanza.
108
Discrezionale e al tempo stesso facoltativo è, ad esempio, lo scioglimento anticipato delle Camere,
oppure la nomina dei cinque senatori a vita, l'invio di messaggi alle Camere, la convocazione
straordinaria delle stesse ai sensi dell'art. 62, II comma Cost., oppure il rinvio della legge alle
Camere (art. 74 Cost.) prima della promulgazione. Mentre è obbligatoria la promulgazione.
Sotto altro profilo vi sono atti che necessitano di una richiesta governativa, come per la
autorizzazione alla presentazione di disegni di legge alle Camere, o di una proposta, come per la
nomina dei Ministri e degli altri componenti il Governo, o per la nomina di funzionari di Stato; atti
per i quali non è prevista una formale proposta governativa, ma ad iniziativa diretta del Presidente,
come, ad esempio, la nomina del Presidente del Consiglio, lo scioglimento delle Camere, il rinvio
della legge alle stesse, l'invio di messaggi alle Camere, la convocazione straordinaria delle stesse,
la nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali.
109
10. Emanazione dei regolamenti
Le considerazioni precedenti possono valere anche per l'emanazione delle fonti normative
secondarie, pur dovendosi riconoscere che i regolamenti incontrano una serie di controlli
preventivi per cui difficilmente può configurarsi una effettiva posizione conflittuale tra Presidente
e Governo.
11. Autorizzazione alla presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo
Il Presidente, in considerazione del suo ruolo istituzionale, può certamente intervenire nei confronti
del Governo, ma deve limitarsi ad una eventuale richiesta di riesame del disegno di legge,
motivando tale richiesta con specifiche ragioni di legittimità o di merito; di fronte
però alla insistenza del Governo nella richiesta di autorizzazione non può bloccarne l'iniziativa.
Soltanto nel caso che nel disegno di legge si ravvisi una delle fattispecie penali previste dall' art. 90
Cost. egli può rifiutare l'autorizzazione, investendo ovviamente il Parlamento nei confronti del
quale, il Governo è responsabile.
12. Nomina dei funzionari dello Stato
È la legge che stabilisce in quali casi la nomina dei funzionari dello Stato va adottata con Decreto
presidenziale. La nornina costituisce un potere-dovere, in quanto il Presidente ha l'obbligo di nomi-
nare i funzionari una volta che abbia accertato l'esistenza dei presupposti fissati dalla legge.
13. Messaggi
Il Presidente ha il potere di inviare messaggi alle Camere. Si tratta di una forma di collegamento
istituzionale tra i due organi che si spiega con la posizione del Presidente di garante dell' ordine
costituzionale e di rappresentante dell'unità nazionale, che col messaggio si rivolge all'altro organo,
direttamente rappresentativo della Nazione, ai sensi dell' art. 67 Cost.
110
16. Accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici
Anche questo è un potere-dovere del Presidente in quanto Capo dello Stato, che si sostanza nell'
atto formale e solenne conclusivo del procedimento posto in essere del Governo per esternare e
rendere efficace la volontà dello Stato.
111
egli intende esprimere il proprio pensiero, prendendo posizione su determinate situazioni o solleci-
tando interventi politici.
Siffatte esternazioni trovano peraltro il loro limite proprio nella posizione istituzionale del
Presidente, che non partecipa alla determinazione dell'indirizzo politico governativo ed è un
organo super partes rispetto alle partì politiche. Pur non incontrando esse limiti in discipline
giuridiche scritte e pur essendo il Presidente sottratto a responsabilità politica, anche nei confronti
del popolo, esse devono conformarsi alle regole della correttezza costituzionale, dal momento che
possono avere effetti anche rilevanti sulla vita politica delle istituzioni.
112
sotto il profilo della inefficienza, in una legislazione che, senza conferire adeguati strumenti di
conoscenza, di informazione e di effettivo controllo, conferisse tuttavia in una congerie di norme
attribuzioni specifiche al Presidente della Repubblica consentendogli poteri di intervento e di
sostanziale decisione sugli atti da adottare. Mentre, d'altra parte, l'intervento del Presidente della
Repubblica, potrebbe ritenersi giustificato, in alcuni casi, con l'intento di assicurare maggiore
imparzialità all'azione della Pubblica Amministrazione, o, in altri, con l'intento di assicurare mag-
gior prestigio all' atto posto in essere, in quanto proveniente dal rappresentante dell'unità nazionale.
In linea con questi principi la legge 12 gennaio 1991 n. 13 ha ridotto l'ambito degli atti da adottarsi
«nella forma del decreto del Presidente della Repubblica», su proposta del Presidente del Consiglio
o dei Ministri competenti stabilendo che quelli precedentemente adottati con decreto presidenziale
e non compresi nell'elencazione contenuta nell'art. 1, sono emanati con Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri o con Decreto ministeriale.
In tali casi il Presidente non partecipa alla determinazione del contenuto dell' arto, in quanto è
vincolato alla proposta e la sua competenza è circoscritta alla emanazione dell' atto stesso. Ciò non
esclude però che egli eserciti un controllo, che può concretarsi in una richiesta di riesame e, in casi
estremi, ove nell' atto ravvisi un attentato alla Costituzione, in un rifiuto dell' emanazione.
Egli è invece dotato di poteri significativi non solo per la stessa vita di istituzioni fondamentali
dello Stato, come, ad esempio, il Governo, che egli è chiamato a costituire, il Parlamento, di cui
può sciogliere le Camere, ma anche per l'esternazione dell' attività di tali organi ed il controllo sugli
stessi, come avviene per l'attività legislativa, con riguardo al compito di promulgare le leggi e di
emanare gli altri atti aventi forza di legge, oppure per Fattività normativa e amministrativa, con
riguardo, ad esempio, al compito di emanare regolamenti o di nominare funzionari dello Stato,
nonché per l'esternazione della volontà dello Stato nei confronti degli altri Stati, come avviene nel
caso della ratifica dei trattati internazionali, della dichiarazione dello stato di guerra, dell'
accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici.
113
Nella formazione di atti giuridici può invero accadere che su di un atto posto in essere da un organo,
che ne determina il contenuto effettivo, il quale è espressione di uno specifico potere, intervengano
altri organi, con una propria autonoma attività, nell' esercizio di poteri diversi (ad esempio di
controllo), oppure che ad un atto, che sia espressione di un dato potere, si accompagni altro o altri
atti, espressione a sua volta di diverso potere (ad esempio di esternazione o di integrazione di
efficacia).
Ma alla loro volontà, che si concreta nella determinazione dell'atto, segue poi la volontà del
Presidente della Repubblica, che si manifesta con l'atto di esternazione, denominato a seconda dei
casi promulgazione o emanazione.
È peraltro ovvio che nulla avrebbe vietato che gli atti legislativi fossero estemati dallo stesso
organo competente alla loro approvazione, come nulla avrebbe vietato che all' atto di esternazione
venisse connesso un potere anche di intervento attivo o comunque di partecipazione sostanziale
alla funzione legislativa. Ma nell' ordinamento costituzionale italiano siffatti poteri non sono stati
riconosciuti al Presidente della Repubblica, in coerenza del resto con la sua posizione di organo
non attivo sul piano della determinazione dell'indirizzo politico.
Si è invece voluta riconoscere al Presidente una posizione prevalentemente di controllo oltre che di
stimolo, in una visione garantistica che si traduce in un bilanciamento tra i poteri in un reciproco
condizionamento.
Quando invece il Presidente pone in essere atti tipicamente presidenziali, vale a dire quelli adottati
su sua iniziativa e con determinazione in modo prevalentemente discrezionale o pressoché
esclusivo del contenuto, il Presidente della Repubblica esercita poteri suoi propri che sono diversi
da quelli svolti da altri organi o soggetti.
Il Presidente della Repubblica, ad esempio, esercita sicuramente una attività politica quando
procede alla risoluzione delle crisi di governo o allo scioglimento delle Camere, oppure quando
rinvia la legge alle Camere o invia alle stesse messaggi, mentre svolge un'attività di tipo meramente
amministrativo, ancorché di esecuzione della Costituzione o della legge, quando emana
regolamenti o nomina funzionari dello Stato.
Si tratta di funzioni che si collocano nell' ambito del potere esecutivo costituzionale, il quale non si
risolve soltanto in quello esercitato dal Governo, vale a dire nell'indirizzo politico governativo e
amministrativo che si manifesta con attività a volte politiche a volta meramente esecutive della
Costituzione e delle leggi.
La sottrazione del Presidente alla responsabilità politica e l'obbligo della controfirma per i suoi atti
114
sono stabiliti in funzione del molo super parte:; e di garante dell' assetto costituzionale che gli
compete, ma non per escludere la politicità della azione diretta alla realizzazione dell'interesse
superiore del popolo, unitariamente inteso.
È vero che l'azione del Presidente della Repubblica deve sempre ispirarsi ed essere conforme alla
Costituzione ed in tale prospettiva si colloca anche il solenne giuramento di fedeltà alla Repubblica
e di osservanza della Costituzione che egli deve tenere dinanzi al Parlamento in seduta comune (art.
91 Cost.). Ed è anche vero che la specifica previsione (art. 90 Cost.) di una sua responsabilità per
attentato alla Costituzione (oltre che per alto tradimento) non va vista solo in
negativo. Per cui, se essa da un lato ne condiziona e limita i poteri, rappresenta al tempo stesso un
limite ai poteri degli stessi organi t:: soggetti sui quali viene ad incidere la sua attività di Presidente.
Con la conseguenza che il Presidente non solo non dovrà «attentare» alla Costituzione, ma dovrà
impedire che altri vi «attentino».
Il concetto di neutralità può servire per esprimere soltanto l'indipendenza dell'organo in rapporto
alla conflittualità tra le forze politiche e alla dialettica maggioranza opposizione, ma non per negare
una sua attività politica. Col solo fatto di agire con atti di propria iniziativa e con proprie scelte
discrezionali che incidono in maniera determinante o significativa sulla vita delle istituzioni e sulla
loro attività politica il Presidente partecipa all' attività politica del Paese.
VI - La Corte Costituzionale
1. La giustizia costituzionale
L'osservanza della Costituzione è garantita da una serie di reciproci controlli tra gli organi
costituzionali sulle rispettive attività, ma in via giurisdizionale è garantita dal sistema della
giustizia costituzionale che vede al suo centro un apposito organo giurisdizionale, la Corte
costituzionale.
In altri ordinamenti il sindacato di costituzionalità sulle leggi è stato invece affidato ad un apposito
organo di giustizia costituzionale, il quale può agire in via preventiva (prima della entrata in vigore
delle leggi) e/o in via successiva e in via diretta, consentendo l'accesso diretto al giudice
costituzionale, oppure in via indiretta, predisponendo un filtro, come avviene in via prevalente nell'
ordinamento italiano col giudizio in via incidentale. L'art. 134 della Costituzione prevede la
competenza della Corte costituzionale a giudicare:
1) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di
legge, dello Stato e delle Regioni;
2) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le
Regioni;
3) sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica.
115
2. Composizione della Corte costituzionale
La Corte costituzionale è un organo costituzionale in quanto dà diretta ed immediata esecuzione
alla Costituzione, ed è un organo giurisdizionale, in quanto le sue funzioni sono dirette a risolvere
controversie in via definitiva. Le sue decisioni non sono suscettibili di impugnazione ed acquistano
efficacia di giudicato.
I giudici durano in carica 9 anni e non sono rieleggibili. Nel loro interno i giudici eleggono il
Presidente che dura in carica tre anni, ma può essere rieletto e dura in carica fino alla scadenza del
mandato di giudice.
Nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica la Corte è integrata da 16 giudici ed.
aggregati che vengono tratti a sorte da un elenco di 45 cittadini (eleggibili a senatore) eletti dal
Parlamento in seduta comune ogni nove anni con le stesse modalità con cui vengono eletti i giudici
costituzionali ordinari.
La scelta della composizione allargata deriva dalla esigenza di assicurare la rappresentatività nella
Corte delle forze politiche (di maggioranza e di opposizione) presenti in Parlamento, in
considerazione della incidenza del giudizio sul titolare della più alta carica politica della
Repubblica.
La loro rimozione o sospensione può avvenire solo a seguito di deliberazioni della Corte presa a
maggioranza dei due terzi dei componenti che partecipano all' adunanza (art. 7, L. Cost. 11 marzo
1953, n. 1 e art. 3, Il comma, L. Cost. 9 Febbraio 1948, n. 1).
Peraltro decadono ove non esercitino le loro funzioni per sei mesi (art. 8, L. Cost. 1/1953).
116
Il giudizio sulla non manifesta infondatezza comporta che il giudice deve escludere la possibilità di
sollevare la questione quando essa sia manifestamente infondata e sollevarla non solo quando gli
appaia manifestamente fondata, ma anche quando vi siano dei dubbi sulla sua fondatezza.
Il giudice può quindi respingere la questione, ove proposta, dichiarandola irrilevante o
manifestamente infondata, oppure accogliere l'eccezione di incostituzionalità. In tal caso egli con
ordinanza deve sospendere il giudizio in corso e disporre la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
L'ordinanza va motivata sia in ordine alla rilevanza della questione, sia in ordine alla non manifesta
infondatezza, indicando le norme legislative statali o regionali tacciate di incostituzionalità e quelle
costituzionali di riferimento.
All'udienza di discussione (ma la Corte si riunisce in Camera di Consiglio ove nessuna delle parti
del processo principale si sia costituita oppure se la questione appare manifestamente infondata)
viene svolta la relazione da un giudice designato dal Presidente e poi le parti espongono le loro
difese. Successivamente la Corte si riunisce in camera di consiglio per decidere.
Le decisioni sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica e, nell'ipotesi di leggi
regionali, anche sul Bollettino Ufficiale della Regione interessata.
Le decisioni possono assumere la forma di ordinanza o di sentenza.
Le ordinanze vengono assunte quando la Corte decide in via interlocutoria; quando rimette gli atti
al giudice a qua; quando dichiara l'inammissibilità della questione e, di solito, la manifesta
infondatezza.
La perdita di efficacia non significa che l'illegittimità della norma non sia retroattiva, ma che essa
non possa più essere applicata. Con la conseguenza che tutte le controversie suscettibili ancora di
applicazione da parte della norma annullata vanno decise indipendentemente da questa.
Restano invece escluse le controversie oramai esaurite per effetto di decisioni passate in giudicato,
oppure non più suscettibili di essere portate davanti ad un giudice per effetto di prescrizioni di di-
ritti, di usucapioni, di decadenza dalla azione, di transazioni. In campo penale, peraltro,
l'annullamento della norma prescrittiva di un reato comporta la cessazione degli effetti derivanti
dal giudicato penale.
A volte peraltro la Corte ha procrastinato la produzione di effetti della decisione, a tutela di valori
costituzionali ritenuti rilevanti.
Con le sentenze di rigetto la Corte dichiara l'infondatezza della questione così come proposta. Tale
sentenza ha efficacia preclusiva nel giudizio a qua, ma non può escludersi la riproposizione
per .motivi diversi nel corso dello stesso giudizio o per gli stessi motivi in altri giudizi.
Con riguardo al modo in cui la Corte perviene alla dichiarazione di illegittimità o di infondatezza si
è avuta una varia tipologia di sentenze ed. interpretative.
Vi sono poi sentenze con le quali la Corte, pur dichiarando l'infondatezza della questione, invita il
legislatore alla riforma della normativa, ammonendolo che, in caso di omissione, la norma potrà
essere dichiarata in costituzionale ove la relativa questione venga riproposta.
117
5. b) Il giudizio in via dirètta
Il Governo può proporre la questione di legittimità costituzionale nei confronti degli statuti
regionali che non vengono ritenuti in armonia con la Costituzione entro trenta giorni dalla loro
pubblicazione (art. 123 Cost).
Quella nei confronti di leggi regionali può essere proposta entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione (art. 127 Cost.) quando il Governo ritenga che esse violino qualsiasi norma
costituzionale. La Corte costituzionale nella sua giurisprudenza ha inteso l'illegittimità prevista
dall' art. 127 in senso estensivo e non con riferimento ai soli casi in cui la legge regionale ecceda la
competenza della Regione (art. 31 L. 87/1953, come modificato dall'art. 9, L. 5 giugno 2003, n.
131). Il controllo non è più preventivo come nella precedente versione dell'art. 127 Cost, ma
successivo.
118
8. Il giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica
La Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 90 e 134 Cosi, ha il potere di giudicare il Presidente
della Repubblica qualora venga messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune per i
reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. In tale ipotesi la Corte è integrata dai sedici
giudici aggregati.
Chiusa la fase istruttoria si procede al dibattimento. Il Collegio giudicante deve essere composto da
almeno ventuno giudici dei quali devono essere in maggioranza quelli aggregati. Chiuso il
dibattimento la Corte si riunisce in Camera di Consiglio senza interruzione e procede alla
discussione e alla votazione per ogni capo di imputazione sulle questioni di fatto e di diritto ed
eventualmente sulla applicazione della pena. La sentenza è pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
119
CAPITOLO DODICESIMO
LO STATO E LE AUTONOMIE COSTITUZIONALI
Per poter disporre la fusione di Regioni o la creazione di nuove Regioni (sempre che abbiano come
minimo un milione di abitanti) occorre anzitutto la richiesta di tanti Comuni che rappresentino al-
meno un terzo delle popolazioni interessate. La proposta deve essere approvata con referendum
dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Ove ciò avvenga, sentiti i Consigli regionali delle
Regioni interessate, si può procedere con legge costituzionale. '
In via transitoria, tuttavia, la Disp. trans. XI Cost. prevedeva che entro cinque anni dall'entrata in
vigore della Costituzione (termine poi prorogato al 31.12.1963 dalla Legge cost. 18.3.1958, n. 1)
fosse possibile istituire nuove Regioni senza il consenso delle condizioni richieste dal primo
comma dell' art. 132, tranne l'obbligo di sentire le popolazioni interessate. Norma utilizzata per
l'istituzione della Regione Molise.
I Consigli regionali videro quindi la luce con le elezioni del 78.6.1970. Nel 1972 furono poi
approvati undici decreti delegati di trasferimento delle funzioni statali alle Regioni nelle materie
rientranti nella loro potestà legislativa ed amministrativa. Ulteriori trasferimenti di funzioni e di
personale statale furono attuati con la legge 22.7.1975 n. 382, e con il D.Lgs. 24.7.1977 n. 616.
Con la L. 15.3.1997, n. 59 fu poi stabilito di attribuire alle Regioni ed agli enti locali in base al
principio di sussidiari età tutte le funzioni amministrative che non fossero espressamente riservate
allo Stato. In base alla delega contenuta in tale legge fu adottato il D.Lgs. 31.3.1998, n. 112, che ha
ridistribuito le funzioni statali in senso autonomistico, realizzando quello che è stato anche definito
federalismo municipalizzato (data la centralità del Comune nello svolgimento delle funzioni
amministrative) o federalismo amministrativo.
120
2. Le modifiche del titolo V della Costituzione
L'art. 114 Cost., che nella precedente formulazione prevedeva che la Repubblica si ripartiva in
Regioni, Province e Comuni, nella nuova formulazione data dalla L. Cost. 3/2001 ha ridisegnato
l'assetto composito della Repubblica, stabilendo che essa è costituita da Comuni, Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato. Ha inoltre previsto che Roma è la capitale della Repubblica, il cui
ordinamento è disciplinato con legge statale.
In questo contestò trova spiegazione anche la ripartizione della potestà legislativa tra Stato e
Regioni (e le Province Autonome di Trento e Bolzano) con l'attribuzione non più allo Stato, ma alle
Regioni della funzione legislativa generale per tutte le materie non oggetto di specifica attribuzione
allo Stato, nonché la costituzionalizzazione dell'attribuzione anche alle Regioni della potestà
regolamentare generale, tranne quelle di competenza dello Stato, dei Comuni, delle Province e
delle Città metropolitane (art. 117, VI comma Cost.).
121
I limiti alla legislazione regionale possono quindi essere così riassunti:
1) Rispetto della Costituzione e delle Leggi costituzionali;
2) Osservanza dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Tale limite riguarda
peraltro anche la legislazione dello Stato;
3) Efficacia territoriale della disciplina;
4) Osservanza dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato (limite questo della legislazione
concorrente);
5) Rispetto del principio dell'unità e deirindivisibilità della Repubblica e dell'interesse nazionale da
esso desumibile.
5. La funzione regolamentare
Ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane è stata attribuita la potestà regolamentare per
quanto attiene alla disciplina della loro organizzazione e dello svolgimento delle loro funzioni.
Lo Stato conserva potestà regolamentare soltanto per le materie rientranti nella sua potestà
legislativa esclusiva, salva eventuale delega alle Regioni. Cosicché allo Stato rimane ben poco
della competenza regolamentare, anche se occorre considerare che nella sua potestà legislativa (e
conseguentemente in quella regolamentare) rientrano ambiti di competenze che si intrecciano
trasversalmente con competenze regionali.
L'attribuzione della competenza regolamentare alle Regioni comporta che esse possono
provvedere anche a definire la tipologia dei regolamenti, sia negli statuti che in apposite leggi
organizzative ed in modo conforme o difforme dalle previsioni dell'art. 17 della legge statale n.
400/1.988.
6. La funzione amministrativa
Quanto alla attività amministrativa la riforma del titolo V della Costituzione ha abbandonato il
criterio del parallelismo delle funzioni aniministrative e legislative, precedentemente seguito dall'
art. 118, ed ha «costimzionalizzato» il ed. federalismo amministrativo di tipo municipale, verso il
quale si era già orientato il legislatore ordinario con la Legge n. 59 del 1997.
Secondo il I comma dell' art. 118 Costle funzioni amministrative sono, in via generale, attribuite ai
Comuni.
Il conferimento di funzioni, come dispone il II comma dell' art. 118, deve awenire con legge dello
122
Stato o della Regione a seconda delle rispettive competenze. Occorrerà quindi una legge dello
Stato per quanto concerne le funzioni rientranti in uno degli ambiti oggetto della propria
legislazione esclusiva, e una legge regionale negli altri casi.
Peraltro l'art. 118 al II comma prevede, con formulazione poco felice, che Comuni, Province e Città
Metropolitane (lo Stato e la Regione non compaiono) sono titolari di funzioni anmiinistrative
proprie, oltre che di quelle conferite con legge statale o regionale. Ciò significa che oltre il Comune,
che ai sensi del primo comma ha una competenza amministrativa generale, lo stesso Comune e gli
altri Enti territoriali sono titolari di funzioni proprie.
Nel definire le funzioni amministrative fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città
metropolitane lo Stato deve tener conto degli stessi criteri stabiliti dall' art. 1181 comma, vale a dire
quelli della sussidiarietà, della differenziazione e della adeguatezza, i quali sono criteri di ordine
generale per la distribuzione delle competenze amministrative ai vari livelli. Ciò comporta che si
tenga conto delle reali capacità amministrative organizzative e di ordine tecnico dei vari Enti. Il che
potrebbe anche comportare differenziazioni nell'attribuzione delle funzioni fondamentali.
L'attribuzione di funzioni ai vari Enti deve peraltro avvenire contemporaneamente alla provvista
delle necessarie risorse finanziarie, in quanto l'art. 119 Cost. al quinto comma prevede
specificamente, che l'attribuzione di funzioni agli Enti territoriali deve comportare anche il loro
integrale finanziamento.
7. La sussidiarietà orizzontale
L'art 118 della Costituzione con le modifiche apportate dalla L. Cost. 3/2001 ha introdotto al IV
comma il principio della ed. sussidiarietà orizzontale, stabilendo che tutti gli Enti territoriali, dallo
Stato ai Comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associa ti per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Tale normativa va collegata ai principi fondamentali sanciti dagli art. 2 e 3, n comma Cost, ove si
garantiscono i diritti dell'uomo sia come singoli sia nelle formazioni sociali e la ed. eguaglianza
sostanziale.
123
9. L'autonomìa finanziaria
L'art. 119 Cost. ha attribuito autonomia finanziaria di entrata e di spesa a tutti gli Enti territoriali,
vale a dire ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni e non solo a quest'ul-
time, com' era previsto nella precedente formulazione dell' articolo.
In particolare è previsto che tali Enti hanno risorse autonome e stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario. Essi inoltre dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile alloro territorio.
Soltanto la possibilità di stabilire autonomamente tributi ed entrate propri e non soltanto le spese
consente invero agli Enti di avere una reale autonomia finanziaria.
Per poter attuare siffatta autonomia occorre quindi che lo Stato intervenga, da un lato stabilendo i
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in modo da
rendere possibile l'esplicazione dell' attività legislativa regionale, e dall'altro definendo le linee
della finanza statale, tenendo conto delle esigenze di compartecipazione degli Enti territoriali al
gettito dei tributi erariali. Gettito peraltro riferibile al territorio degli stessi Enti.
Per correggere eventuali squilibri finanziari tra gli Enti in dipendenza della minore capacità fiscale
nel territorio per abitante è previsto al III comma dell'art; 119 l'intervento dello Stato con apposita
legge istitutiva di un fondo perequativo.
124
11.11 potere sostitutivo del Governo
L'art. 120, II comma Cost, a sua volta, prevede che: // Governo può sostituirsi a organi delle
Regioni delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di
norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per
l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o
dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
Va escluso, malgrado qualche orientamento favorevole alla sua ammissione, un potere sostitutivo
sul piano legislativo in base alla previsione dell'art. 120, II comma Cost. Sostituzione che peraltro
dovrebbe essere esercitata dal Governo.
La norma costituzionale infatti da un lato prevede specificamente una sostituzione tra organi in
quanto tali, dall'altro non menziona affatto la potestà legislativa. Né può assolutamente riferirsi ad
essa, dal momento che il Governo non è titolare della funzione legislativa statale, che potrebbe
esercitare soltanto a seguito di delega legislativa o in via temporanea con Decreto legge, salvo la
sua conversione ad opere del Parlamento, né potrebbe esercitare, a nessun titolo, quella riservata
alla Regione.
2. Statuti regionali
L'autonomia organizzativa regionale è riconosciuta alle Regioni ordinarie dall'art. 123 Cost., il
quale attribuisce loro il potere statutario. Per le Regioni a Statuto speciale gli Statuti sono invece
approvati con legge costituzionale.
La Costituzione ha invero stabilito quali sono gli organi fondamentali della Regione, vale a dire il
Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente (art. 121). Ha previsto che il Consiglio regionale
ha un proprio Presidente e un ufficio di Presidenza (art. 122). Ha stabilito che il Consiglio può
esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta (art. 126, II comma). Possibilità che
non appare collegata esclusivamente col modello (peraltro derogabile dagli Statuti), secondo cui,
quando l'elezione del Presidente avviene a suffragio universale e diretto (art. 122, V comma), il
125
venir meno del Presidente comporta automaticamente come effetto la decadenza della Giunta e
dello stesso Consiglio (art. 126, III comma). Ha attribuito alla legge regionale e non allo statuto
nell' ambito peraltro dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (la quale
stabilisce anche la durata degli organi elettivi)la competenza a disciplinare la materia elettorale
(tanto il sistema elettorale, quanto i casi di ineleggibilità e incompatibilità). Ha stabilito peraltro
essa stessa alcune incompatibilità, come quelle tra le cariche di componente del Consiglio, della
Giunta (della propria o di altre Regioni) e quella di parlamentare nazionale o europeo.
3. Il Consiglio regionale
Il Consiglio regionale è un organo elettivo (art. 122 Cost), rappresentativo del popolo residente
nella Regione.
La Costituzione peraltro non prevede l'elezione universale e diretta dei Consiglieri, mentre è
prevista, salvo diversa disciplina regionale, l'elezione universale e diretta del Presidente della
Giunta regionale. L'art. 5 della L. Cost. 22.11.1999, n. 1 ha tra l'altro previsto, in via transitoria, le
modalità di elezione del Presidente della Giunta regionale.
L'elezione universale e diretta dei Consiglieri è invece prevista da leggi statali che attualmente
regolano le elezioni regionali.
A parte i casi di decadenza connessi con la decadenza del Presidente della Giunta regionale e con le
dimissioni con testuali della maggioranza dei componenti il Consiglio, l'art. 126 Cost. prevede che
il Consiglio regionale può essere sciolto con decreto motivato del Presidente della Repubblica,
sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali, quando abbia compiuto atti
contrari alla Costituzione o gravi violazione di legge, oppure per ragioni di sicurezza nazionale. La
legge 10.2.1953, n. 62 ha poi previsto che la proposta di scioglimento viene presentata al
Presidente della Repubblica dal Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri.
I Consiglieri regionali sono rappresentativi della intera comunità popolare regionale. La legge
165/2004 ha invero introdotto il divieto del mandato imperativo (art. 4, letto c).
Essi godono inoltre della insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle
loro funzioni (art. 122, IV comma Cost.).
II Consiglio regionale oltre ad essere titolare della funzione legislativa esercita altre funzioni,
esecutive e amministrative, conformemente alle previsioni della Costituzione e dei rispettivi Statuti
regionali.
126
universale e diretto comporta la decadenza anche della Giunta e lo scioglimento
del Consiglio (simul stabunt simul cadunt).
L'art. 126, I comma Cost. prevede la sua rimozione, con decreto motivato del Presidente della
Repubblica, per le stesse ipotesi e con il medesimo procedimento previsto per lo scioglimento del
Consiglio regionale.
5. La Giunta regionale
La Giunta è l'organo esecutivo della Regione che sovrintende all'Amministrazione regionale. Essa
si compone di Assessori che, stando alla disciplina transitoria stabilita dall'art. 122, V comma, sono
nominati e revocati dal Presidente che sia stato eletto dai cittadini residenti nella Regione.
Il numero degli assessori è determinato dagli statoti regionali. Essi svolgono le funzioni delegate
dal Presidente per determinati settori di competenza, conformemente alle disposizioni dello Statuto
regionale.
127
In ciascun ambito locale si pone poi il problema del rapporto tra statuto e regolamenti.
L'integrazione che viene a realizzarsi tra le fonti dei diversi enti componenti la Repubblica
sottintende peraltro un rapporto di collaborazione tra di essi, che deve essere improntato a lealtà ed
avvenire sulla base di intese, come affermato dalla Corte costituzionale.
Siffatti principi trovano peraltro esplicito riconoscimento costituzionale nell' art. 120 Cost. con
riguardo al controllo sostitutivo esercitato dal Governo e nell'art. 123, ultimo comma, ove è stata
prevista l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali come organo di raccordo tra Regioni ed
enti locali.
La legge 131/2003 all' art. 9 ha inoltre demandato a tale organo il compito di proporre alla Regione
la promozione di questioni di legittimità costituzionale di leggi statali, analogamente alla proposta,
diretta invece al Governo da parte della conferenza Stato-Città ed autonomie locali, per
promuovere questioni di legittimità costituzionale avverso leggi regionali.
2. Statuti e regolamenti
A differenza di quanto è previsto nell' art. 123 Cost. con riguardo agli statuti regionali, per i quali la
Costituzione ha stabilito anche il loro contenuto necessario, nell' art. 114 Cost. nulla è specificato
in ordine agli statuti degli enti locali e al rapporto con i regolamenti, a parte il riferimento ai
principi costituzionali.
L'art 4, II comma L. 131/2003 ha peraltro stabilito la prevalenza gerarchica dello Statuto rispetto ai
regolamenti.
Si realizza così una integrazione della loro normativa non solo al loro interno tra regolamenti e
statuti, ma anche con la normativa statale e regionale, la quale non va però vista come un
superamento dei principi di gerarchia e di competenza tra le fonti, come si è anche sostenuto, ma
piuttosto come una potestà normativa che si esercita nel quadro della gerarchia e della competenza.
La fonte inferiore, ancorché assistita da una riserva di competenza, dà pur sempre attuazione ai
principi stabiliti dalle altre fonti.
3. Comuni e Province
H Comune è l'ente territoriale a fini generali più vicino alla comunità popolare, che trae origine
dalle più antiche comunità territoriali esistenti e preesistenti allo Stato moderno.
La Provincia è un ente territoriale intermedio tra Comune e Regione con funzione prevalentemente
programmatrice.
128
presiedono la Giunta ed il Consiglio nel caso manchi il loro Presidente.
Essi sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti; esercitano
le funzioni attribuite da leggi, statuti e regolamenti e sovrintendono alle funzioni statali o regionali
attribuite o delegate al Comune e alla Provincia.
Il Sindaco inoltre adotta le ordinanze contingibili ed urgenti nei casi di emergenza sanitaria e di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, mentre negli altri casi adotta le misure necessarie
fino a quando non sia intervenuto lo Stato o la Regione.
Nei servizi di competenza statale agisce quale ufficiale di governo. Sovrintende alla tenuta dei
registri di Stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia
elettorale, di leva militare e di statistica. Ha funzioni in materia di ordine e sicurezza pubblica e
adotta in tali materie ordinanze contingibili e urgenti.
129
7. Le Città metropolitane
Le Città metropolitane, già previste dalla legislazione orciinaria (v. artt. 22 e 23 TU. 267/2000),
hanno trovato riconoscimento costituzionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
Attualmente sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri Comuni i cui insediamenti sono
con essi integrati territorialmente ed economicamente. Per le Regioni a Statuto speciale tali aree
sono da esse definite.
130
CAPITOLO TREDICESIMO
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L' ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
131
4.1provvedimenti amministrativi
I prowedimenti possono essere classificati in vario modo.
a) prowedimenti che incidono sulle qualità di persone o cose, come il conferimento o la
modificazione e di status, la ammissione ad una gara o ad un concorso, la classificazione di una
area di un edificio per fini edificatori e così via;
b) provvedimenti che conferiscono nuove posizioni giuridiche, come le con cessioni, che possono
essere costitutive, quando fanno sorgere diritti e facoltà ex novo in capo al destinatario, oppure
traslative, quando trasferiscono poteri e facoltà di cui l'Amministrazione è titolare, inerenti a diritti
su beni pubblici e servizi pubblici, come, ad esempio, le concessioni di suolo pubblico, di ferrovie,
oppure come le sovvenzioni, con cui si eroga una somma di denaro per fini di pubblico interesse;
5 . 1 meri atti
I meri atti possono essere classificati come: a) atti di scienza , come le certificazioni, le
documentazioni, le autenticazioni, le pubblicazioni di atti o documenti; b) atti di valutazione, come
i collaudi o gli esami; c) atti di apprezzamento, come gli accertamenti sanitari e in genere gli atti di
controllo, i quali possono essere preventivi o successivi o anche sostitutivi e possono concretarsi in
un visto, un'approvazione, nell'omologazione; d) atti di opinione, come i pareri, che possono essere
facoltativi o obbligatori, vincolanti o non vincolanti, oppure le designazioni di persone a
determinate cariche; e) atti di impulso, come le richieste, le proposte con cui si sollecita l'attività di
una autorità, le direttive, le diffide, le contestazioni, con cui si disconosce l'esistenza di determinati
fatti o situazioni o si addebita alcunché.
132
6. Categorie di atti e comportamenti
Con riguardo alla loro efficacia possono essere interni od esterni. Quelli interni hanno efficacia
soltanto all'interno dell'apparato della Pubblica Amministrazione, pur potendo condizionare la
validità di atti a rilevanza esterna. Quelli a rilevanza esterna producono effetti nei confronti di altri
soggetti.
Con riguardo ai destinatari gli atti e i prowedimenti possono essere individuali, se hanno un solo
destinatario; generali; se riguardano una pluralità di soggetti e i destinatari non sono determinabili
a priori, come i bandi di concorso. Essi differiscono dai regolamenti, in quanto non hanno un
contenuto normativo; collettivi, se riguardano una pluralità di destinatari inscindibilmente (ad
esempio lo scioglimento del Consiglio Comunale); plurimi se riguardano la pluralità di destinatari,
ma sono scindibili in tanti singoli atti (ad es. nomina di più vincitori ad un concorso).
133
9. Procedimento amministrativo
Il procedimento di formazione degli atti amministrativi è stato disciplinato dalla L. 7.8.1990, n. 241,
la quale si è ispirata ai principi della trasparenza, della partecipazione, della semplificazione (per
non aggravare il procedimento con attività non strettamente necessarie), della celerità (in relazione
alla quale, dopo il decorso inutile di un determinato tempo stabilito previamente per le diverse
tipologie di atti e che, se non previsto dalle singole Anmxinisirazioni, è di novanta giorni, è data
all'interessato la possibilità di ricorrere direttamente al giudice amministrativo contro il silenzio
rifiuto così formatosi).
Ad un fase preparatoria, con la quale si avvia il procedimento, si effettua l'istruttoria, si
acquisiscono documenti e pareri, segue la fase costitutiva vera e propria nella quale, dopo
valutazione degli elementi acquisiti e ponderazione degli interessi in gioco, sia pubblici che privati,
si adotta l'atto.
A tale fase segue quella della integrazione dell' efficacia, che si sostanzia nell' espletamento di
eventuali controlli preventivi e di forme di pubblicità. A conclusione di tale fase l'atto è efficace.
Nell'ambito del procedimento, quando si renda opportuno esaminare contestualmente vari interessi
pubblici, l'Amministrazione indice di regola una conferenza di servizi (art. 14 e segg.). Essa deve
essere sempre indetta quando occorre acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi di altre
Amministrazioni pubbliche e non li si sia ottenuti, ancorché richiesti formalmente. Anche i privati
possono chiedere la sua indizione.
Per accelerare i tempi di conclusione del procedimento le Anmiimstrazioni stabiliscono il termine
entro il quale deve essere adottata la decisione.
Nell'ambito della Conferenza di servizi l'Amniinistrazione procedente tiene conto della prevalenza
delle posizioni espresse. Se il dissenso è espresso dall' Amministrazione preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e
della pubblica incolumità, la decisione è rimessa al Consiglio dei' Ministri o alla Conferenza
Stato-Regioni o a quella unificata, a seconda che si tratti di dissenso tra Amministrazioni statali
oppure tra amministrazioni statali e regionali e tra amministrazioni statali, regionali e di enti locali.
134
eccesso di potere o violazione di legge (art. 26 R.D. 26.6.1924, n. 1054).
Non qualunque uso del potere può dare luogo all'eccesso di potere, ma solo quello che in maniera
rilevante e considerevole «eccede»dal principio fondamentale della buona amministrazione.
Tale vizio non consiste quindi in un vizio di merito, vale a dire non riguarda l'opportunità, la
convenienza o l'adeguatezza in sé dell'atto, anche se per accertarne la sussistenza l'esame viene
comunque portato sulla scelta discrezionale operata.
Le difficoltà che indubbiamente sussistono per individuare tale vizio e distinguerlo da quello di
merito ha indotto la giurisprudenza amministrativa ad elaborare alcune figure particolari di eccesso
di potere (le ed. figure sin tom a tic he), che consistono in sintomi o indizi, dalla ricorrenza dei quali
nei casi concreti può dedursi l'esistenza del vizio.
La violazione di legge, ove legge va intesa in senso materiale, consiste nella violazione delle norme
che attengono alla disciplina dell' atto con riguardo al soggetto, all'oggetto, al contenuto o alla
forma.
Si tratta di un vizio residuale rispetto alle altre due categorie, anche se, ad esempio, una
incompetenza concreta necessariamente la violazione delle norme che la regolano e le figure
sintomatiche possono coincidere con la violazione di principi che regolano l'esercizio del potere.
135
14 II pubblico impiego
Il rapporto di lavoro che si instaura tra una pubblica amrnimstrazione e una persona fisica dà luogo
ad un rapporto di pubblico impiego. Esso può essere regolato da norme di diritto pubblico e/odi
diritto privato (i contratti collettivi).
Alcune categorie di dipendenti pubblici ne sono escluse, tra cui i magistrati, gli avvocati dello Stato,
il personale militare e quello delle forze di pubblica sicurezza, altri particolari dipendenti, in via
transitoria, come i professori e ricercatori universitari (art. 3). A tali categorie si applica la
precedente normativa.
A parte le categorie non privatizzate, per le altre è previsto che l'assunzione del personale avviene
con contratto individuale di lavoro tramite procedure selettive o avviamento degli iscritti nelle liste
di collocamento (per qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'
obbligo).
I pubblici impiegati hanno una serie di diritti, come il diritto allo stipendio, che è la retribuzione in
danaro quale corrispettivo della prestazione lavorativa (art. 45); quello alla funzione, che è la
prestazione lavorativa corrispondente alla propria qualifica (art. 52); quello all'ufficio che consiste
nella conservazione del posto di lavoro e nella rimozione soltanto nei casi previsti dalla legge e
dalla contrattazione collettiva.
II -1 ricorsi amministrativi
136
legittimità, indipendentemente da quello gerarchico. Ed una volta proposto rende inammissibile un
eventuale ricorso gerarchico. Tuttavia il previo esperimento del ricorso gerarchico è richiesto in
materia di sanzioni disciplinari militari di corpo (art. 16, L. 11.6.1978, n. 382) e di revisione di
prezzi nei pubblici appalti (art. 17, L. 10.12.1981, n. 741).
137
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
GIURISDIZIONE
138
Tale Tribunale è stato invece soppresso con L. 7 Maggio 1981 n. 180, prevedendosi invece il
ricorso in Cassazione. La Corte costituzionale ha escluso che la mancata previsione di una sezione
specializzata per i reati militari presso la Cassazione fosse incostituzionale.
La L. 180/1981 ha altresì introdotto la Corte militare di appello come giudice di secondo grado.
Accanto al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti e ai Tribunali Militari la Costituzione ha poi
previsto anche organi di giustìzia amministrativa di primo grado da istituire in ciascuna Regione
(art. 125, II comma). Istituzione (dei Tribunale Anmiinistratìvi Regionali) avvenuta con la L.
6.12.1971, n. 1034.
In varie sentenze la Corte ha poi garantito la pienezza e reffettività del diritto di difesa (oltre che
del diritto di azione).
Con sentenza n. 248 del 1974 ha annullato l'art. 247 c.p.c. che vietava l'ammissione della
testimonianza del coniuge, dei parenti o affini in linea retta e di coloro che fossero legati con la
parte da vincoli di affiliazione. Con sentenza n. 141 del 1970 ha annullato l'art. 15 della legge
fallimentare nella parte in cui non prevedeva l'obbligo della comparizione dell'imprenditore in
camera di consiglio e con sentenza n. 142 del 1970 l'art. 147 della legge fallimentare nella parte in
cui non assicurava ai pretesi soci del fallito il diritto di difesa avverso l'estensione a loro carico del
fallimento.
Principio peraltro già presente in Costituzione. Invero il diritto di difesa, in quanto assicurato a tutti,
non ammette discriminazioni di sorta e la eguaglianza che è intrinseca al diritto (al quale peraltro
va estesa anche la garanzia di cui all' art. 3, I comma) comporta altresì il riconoscimento del
139
principio del contraddittorio, in base al quale tutte le parti devono essere poste, su di un piano di
eguaglianza, in condizione di difendersi nel processo. Diritto questo che va reso effettivo nel suo
concreto svolgimento in applicazione dell' art. 3, II comma Cost.. .
In linea con tali principi, in considerazione dell' onerosità del processo, che potrebbe vanificare il
diritto di azione e quello di difesa, è l'altro previsto dal III comma dell'art. 24, secondo cui Sono
assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione.
4. b) // giudice naturale
Altro principio fondamentale deirordinamento repubblicano (peraltro già riconosciuto dallo
Statuto Albertino all' art. 71) è quello previsto dall'art. 25,1 comma, secondo cui Nessuno può
essere di stolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Il significato giuridico di Giudice naturale è quello di giudice competente per la risoluzione di
determinate controversie, che sia stato previamente determinato e non sia costituito dopo
l'insorgere della controversia e in vista della sua risoluzione.
Ha invece escluso spostamenti di competenza in base a scelte discrezionali del giudice stesso o di
altri organi (anche legislativi), non legate a criteri oggettivi o non controllabili dal Giudice, in via di
eccezione alle regole generali.
In applicazione di tali principi, nel vigore del precedente sistema processuale penale, con sentenza
n. 88 del 1962 la Corte costituzionale annullò le norme del c.p.p. che prevedevano la possibilità
dell'avocazione al Tribunale di processi di competenza del Pretore; con sentenze n. 110 del 1963 e
n. 32 del 19.64 annullò altresì le norme che prevedevano l'avocazione alla Sezione istruttoria
presso la Corte di appello di istruttorie di competenza del Tribunale; annullò anche la norma (di cui
all'art. 393, III comma c.p.p.) che non prevedeva la possibilità di impugnare la decisione del
pubblico ministero in ordine alla scelta del rito sommario o formale nell'istruzione penale. Mentre
ritenne legittima la remissione dei procedimenti per legittima suspicione, per motivi di ordine
pubblico o perché riguardanti magistrati.
5. c) Reati e pene
Il II comma dell' art. 25 stabilisce una riserva di legge in materia penale. Si tratta di una riserva di
legge statale, essendo esclusa la competenza legislativa.delle Regioni in materia penale, come
riconosciuto dalla Corte costituzionale sulla base dei principi generali in materia penale ritenuti
validi per l'intera comunità statale.
6. d) Le misure di sicurezza
Il terzo comma dell' art 25 introduce una riserva di legge anche con riguardo alle misure di
sicurezza. Tali misure devono essere tassativamente previste dalla legge, per cui sono
incostituzionali misure indeterminate e per casi di pericolosità sociale insufficientemente de-
terminati.
140
7. e) Estradizione
L'art. 26 vieta l'estradizione del cittadino (vale a dire la consegna all' autorità giudiziaria straniera)
per reati politici. Tali si intendono i reati previsti con finalità di persecuzione politica.
L'estradizione è invece ammessa, per gli altri reati, soltanto ove sia espressamente prevista da
convenzioni internazionali.
8. f) La responsabilità penale
L'art. 27 Cost. enuncia al I comma il principio del carattere personale della responsabilità penale,
escludendo quindi ogni forma di responsabilità oggettiva, per cui ciascuno risponde personalmente
per fatto proprio e non per fatto altrui.
L'art. 27 al III comma dispone che Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso
di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. D principio, secondo la Corte
costituzionale, sta a significare che il carattere afflittivo e intimidatorio delle pene, che è essenziale
per la tutela dei cittadini e dell'ordine pubblico contro la delinquenza, va tuttavia contemperato con
finalità rieducative del condannato.
La finalità rieducativa non comporta peraltro rillegittimità costituzionale dell' ergastolo in
considerazione dell'intrinseco valore di dissuasione, prevenzione e difesa sociale di tale pena, la
quale peraltro non esclude che anche il condannato all'ergastolo possa usufruire di riduzioni di
pena.
La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di procedere ad estradizione per reati per i quali sia
prevista la pena di morte nell' ordinamento giuridico dello Stato richiedente.
9. g) Le garanzie processuali
L'art. I l i , VI comma Cost. stabilisce che Tutti iprowedimenti giurisdizionali devono essere
motivati.
H precetto costituzionale tuttavia non viene sempre rispettato, quando, ad esempio, le decisioni
cautelari dei giudici (per lo più arnnrinistrativi) ricorrono a formule stereotipate su moduli
prestampati, come sussistono oppure non sussistono le ragioni per accogliere l'istanza cautelare.
La norma costituzionale consentirebbe anche l'introduzione nella motivazione delle ed. opinioni
dissenzienti che si siano formate negli organi collegiali. Istituto questo presente in alcuni
ordinamenti e in particolare comune a quelli di common law, ma non previsto in quello italiano.
Nei vari procedimenti giudiziari l'organo giudicante può essere composto da un unico giudice
oppure può essere collegiale. Il numero di membri può variare da un minimo di tre a cinque, sette e
oltre (la Corte costituzionale è, ad esempio, composta di 15 giudici e, nel caso del giudizio sulla
messa in accusa del Presidente della Repubblica, da 31 giudici).
L'art. I l i cost, con le modifiche apportate dalla 1. Cost. 2/1999, ha stabilito non solo che il
processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, ma che le parti sono poste in condizione di parità
davanti al Giudice. Un rafforzamento di tale parità è previsto nel processo penale (comma III e TV)
con particolare riferimento alla formazione della prova.
141
Per l'instaurazione del rapporto processuale le parti devono essere legittimate. Tale legittimazione
(adprocessum) esprime la capacità dei soggetti di essere parti e di stare in giudizio ed è condizione
per l'instaurazione di un valido rapporto processuale.
Diversa è invece la legittimazione ad agire (o contraddire) in giudizio, che è una condizione dell'
azione e concerne la pretesa a promuovere o a dover subire il giudizio per ottenere una pronuncia
giurisdizionale (favorevole o contraria) in ordine al rapporto sostanziale dedotto, indipen-
dentemente dall'effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto controverso, la quale
attiene al merito della decisione.
142
b) Indipendenza e carriera dei giudici
L'indipendenza dei singoli magistrati nell'esercizio delle rispettive funzioni giurisdizionali e il
principio secondo cui essi si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni (art. 107, III
comma Cost.) non si pone affatto in contrasto con un sistema di progressione di carriera dei
magistrati mediante selezione che valorizzi il loro merito; anzi proprio l'accento posto dalla
Costituzione sulla diversità di funzioni, il richiamo alle promozioni nell'art. 105, ai meriti insigni
per l'assunzione a consigliere di cassazione di estranei alla magistratura e la posizione di rilievo
assicurata ai magistrati della Corte di Cassazione (anche per la nomina dei giudici costituzionali)
stanno a significare che la Costituzione ha implicitamente accolto un sistema selettivo di
promozioni dei magistrati in base al merito (in sintonia del resto con il principio cui si ispira l'art.
34 Cost., secondo cui devono essere valorizzate dalla Repubblica le capacità e i meriti dei singoli
nel raggiungimento dei più alti gradi degli studi).
In proposito occorre ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 10 Maggio 1982 che,
sia pure nell'ambito ristretto della questione di legittimità cosi come rimessa dal giudice a qua, ha
dichiarato l'illegittimità dell'art. 7 della L. 831/1973 nella parte in cui prevedeva che la nomina a
magistrato di Cassazione non derivasse dal conferimento delle relative funzioni, ma dalla sola
valutazione favorevole effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Per rafforzare la posizione di indipendenza dei singoli magistrati l'art. 98II comma Cost. stabilisce
che si possono con legge stabilire limitazioni al diritto dei magistrati di iscriversi ai partiti politici.
Accanto al giudice sono previsti alcuni organi giudiziari (come il cancellerie o l'ufficiale
giudiziario) che fanno parte dell' organizzazione della giustizia ed ausiliari del giudice (consulenti
tecnici, custodi, polizia giudiziaria).
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ordinario e amministrativo, ed ha previsto aU' art. 103,1 comma, che II Consiglio di Stato e gli altri
organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e in particolari materie indicate della legge anche dei
diritti soggettivi. Ha inoltre previsto ulteriori organi di giurisdizione amministrativa di primo grado
all'art. 125, II comma Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo
grado secondo l ' ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con
sede diversa dal capoluogo della Regione.
13. Il riparto detta giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo: a) Evoluzione storica
Nei confronti della Pubblica Arnministrazione può essere quindi delineato il seguente ordinamento
giurisdizionale. La giurisdizione ordinaria ha in via generale competenza per le situazioni
giuridiche che possono definirsi come diritto soggettivo. La giurisdizione speciale amministrativa,
costituita dal complesso Consiglio di Stato e T.A.R., ha in via generale competenza per le
situazioni giuridiche definite di interesse legittimo e in via particolare, per determinate materie
individuate di volta in volta dal legislatore, anche per i diritti soggettivi. Questo assetto della
giurisdizione amministrativa trova spiegazione sul piano storico, a seguito dell' abolizione dei
Tribunali Amniinistrativi Speciali investiti del contenzioso anmiimstrativo, operata con la L.
20.3.86 n. 2248, ali. E, all'art. 1.
Cosicché gli altri affari non compresi nell' articolo 2, così come si esprimeva il successivo art. 3,
venivano devoluti alla cognizione della stessa Autorità amministrativa, offrendosi agli interessati
(quindi ai portatori di un interesse) la possibilità di ricorrere alla medesima Pubblica
Arnniinislxazione in via amministrativa con i rimedi dell'opposizione e del ricorso gerarchico.
Tuttavia nell' ordinamento giuridico del tempo non si ebbe la consapevolezza di una distinzione,
sostanziale tra diritto soggettivo in senso proprio e quello che sarà poi chiamato interesse legittimo,
mentre si avvertiva la mancanza di una effettiva tutela per tutti gli interessi che erano sottoposti al
potere autoritativo della Pubblica Amministrazione, i quali non potevano essere fatti valere dinanzi
all'autorità giudiziaria ordinaria, anche per i limiti che alla sua attività erano posti dall'art. 4
dell'alio E della L. 2248/1865. Questo infatti ha posto un preciso limite di ordine generale al
giudice ordinario (limite che peraltro potrebbe essere rimosso ai sensi dell'art 113, III comma Cost.)
nei confronti degli atti anmùmstrativi, stabilendo che Quando la contestazione cade sopra un
diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa i tribunali si limiteranno a
conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all' oggetto dedotto in giudizio. L atto ammi-
nistrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità
amministrative le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso
deciso. Tale compito è stato poi affidato, con ristituzione della giurisdizione arnmMstrativa, ai
suoi organi, li successivo art. 5 ha peraltro previsto che In questo come in ogni altro caso le
autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in
quanto siano conformi alle leggi», offrendo quindi la possibilità ai giudici ordinari di disapplicare
tali atti quando non fossero conformi alle leggi.
Quando poi si rese impellente l'esigenza di assicurare una tutela giurisdizionale anche agli interessi
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degli individui o degli enti morali che non venivano fatti rientrare nella giurisdizione del giudice
ordinario, si introdusse la giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato (1889) con
l'istituzione della IV Sezione accanto alle tre consultive, la quale era competente a giudicare e
annullare gli atti amministrativi per vizi di legittimità (incompetenza,eccesso di potere e violazione
di legge).
Criteri questi che però, a ben guardare, nella realtà facevano poi riferimento agli effetti che
producevano i p r o w e d i m e n t i amministrativi, in quanto espressione o meno di un potere
discrezionale autoritativo. Con la conseguenza che era in effetti la disciplina specifica del potere
pubblico (potere autoritativo discrezionale o vincolato) che, determinando il tipo di tutela
giurisdizionale (ordinaria o amministrativa), portava alla qualificazione della situazione giuridica
soggettiva come diritto o interesse e non il contrario.
L'interesse legittimo si risolverebbe quindi nell'interesse al corretto esercizio del potere
amministrativo da parte di un soggetto (interesse alla legittimità dell'atto oprovvedimento) in vista
della realizzazione da parte del soggetto stesso dell'interesse al bene della vita oggetto del
provvedimento.
Ad avvalorare tale tesi si è considerato altresì che il giudice amministrativo adito, che è quello in
via generale competente in relazione al riparto di giurisdizione, non si pronuncia con giudizi di
accertamento, come il giudice ordinario, ma sull' operato della Pubblica Amministrazione (atto o
comportamento che sia) in relazione ai profili di invalidità dedotti e si limita ad annullare l'atto
amministrativo.
La Costituzione italiana, ove ha poi trovato ingresso l'espressione interesse legittimo, non ha però
dato a tale figura una definizione concettuale, ma si è limitata a prevedere che la tutela di tutti gli
interessi soggettivi, comunque li si configurino, come diritti soggettivi o interessi legittimi, è
sempre ammessa e che tale tutela può essere assicurata o dalla giurisdizione ordinaria o da quella
amministrativa.
Quanto al giudice ordinario questi ha una giurisdizione generale per i diritti soggettivi, mentre non
è escluso che possa esercitare giurisdizione anche con riguardo a quegli interessi soggettivi
considerati come interessi legittimi. Tanto vero che il III comma dell' art. 113 Cost. prevede (a
differenza di quanto a suo tempo previsto dall'art. 4, ali. E L. 2248/1865) che agli organi della
giurisdizione ordinaria possa essere conferito il potere di annullare gli atti amministrativi. Potere
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questo che consente al giudice orclinario di mtervenire non solo nei confronti di atti vincolati, ma
anche di atti discrezionali della Pubblica Amministrazione, per i quali soltanto, secondo la
giurisprudenza, si porrebbe il problema dell'interesse legittimo.
Orbene il legislatore di fronte al potere della Pubblica Arnministrazione e all'interesse del soggetto
che con essa viene in contatto ha inteso evitare, in via generale, che il giudice ordinario possa
interferire con le scelte dello Stato (ma in genere con la Pubblica Amministrazione), quando tali
scelte siano espressione di un potere discrezionale, attribuito in vista della realizzazione di specifici
interessi pubblici, che possa condizionare la vita stessa dell'interesse soggettivo, assicurandone la
nascita, la modificazione o l'estinzione.
E stata quindi l'introduzione della duplicità della giurisdizione, ordinaria e amministrativa, ciò che
ha comportato modalità di tutela diverse dell'interesse che si assume leso dalla Pubblica
Amministrazione: non solo in relazione alla natura del potere esercitato da questa, ma anche e
soprattutto in considerazione dei poteri di sindacato riconosciuti all'una o all'altra giurisdizione.
Le diversità di sindacato da parte delle due giurisdizioni è andata però variando nel corso del
tempo.
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17. La giurisdizione del giudice ordinario: a) Azioni ammissibili
Per quanto riguarda il giudice ordinario la giurisprudenza, pur avendo escluso dal novero delle
azioni giudiziarie ammissibili nei confronti della PA. quelle costitutive che comportassero
l'adozione di un prowedimento amministrativo, oppure quelle di condanna ad una forma specifica
o di reintegra, quando si incidesse su un potere pubblicistico, come pure le azioni possessorie, ha
ritenuto ammissibili azioni del genere, come pure le azioni di accertamento o di condanna al
pagamento di una somma di danaro, quando la PA. abbia agito iure privatorum oppure sìne titulo.
Tuttavia si sono anche ammessi casi in cui al giudice ordinario sia consentito intervenire sull'atto
amministrativo modificandolo o annullandolo, come quelli relativi alla rettifica degli atti di stato
civile (art. 454 cod. dv.), alle decisioni in tema di sanzioni amministrative, all'annullamento
dell'iscrizione nelle liste elettorali.
In tali fattispecie il giudice ordinario può conoscere dell' attività amministrativa oltre i limiti posti
dall'art. 4, allo E- L. 2248/1865, potendo rilevare tutti i vizi di legittimità degli atti con pienezza di
tutela dell'interesse soggettivo, operando sul rapporto ed anche con riferimento ad atti
anmainistrativi presupposti, che egli può disapplicare, senza doverne attendere il previo
annullamento da parte del giudice amministrativo. Egli può utilizzare gli strumenti istruttori
ammessi dal codice di procedura, civile, mentre non ha più rilevanza la distinzione, che vien fatta
valere davanti al giudice amniinistrativo, tra decadenza dell' azione e prescrizione del diritto,
connessa appunto alla distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo.
Va altresì rilevato che anche per quanto concerne il rapporto tra la giurisdizione amministrativa del
Tribunale superiore delle Acque Pubbliche e quella delle Sezioni Unite della Cassazione si assiste
ad un fenomeno analogo.
La tutela davanti al Tribunale superiore per motivi di legittimità e in particolari casi anche di merito
è apprestata direttamente agli interessi di individui o enti giuridici sia se sono contemplati
direttamente, sia se sono comunque offesi dall' atto o prowedimento adottato dalla Pubblica
Amministrazione.
È peraltro evidente che ove nel passaggio da una competenza giurisdizionale all'altra
l'Amministrazione venga posta effettivamente su di un piano di parità con i soggetti destinatari
della sua attività, senza che nei suoi poteri possa riconoscersi effettivamente una posizione di
supremazia, il rapporto, sottoposto alla disciplina di diritto comune, esclude in radice che possono
individuarsi posizioni di interesse legittimo e in ogni caso non opera più la preclusione prevista per
il giudice ordinario dall' art. 4 dell' allegato E alla L. 2248/1865.
Come appare altresì evidente che se fosse improvvisamente introdotta nell' ordinamento italiano
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l'unicità della giurisdizione verrebbe meno la stessa ragione d'essere della distinzione tra diritti sog-
gettivi e interessi legittimi, eli il problema si sposterebbe sui poteri e sui limiti di intervento
riconosciuti al giudice in relazione alla posizione ed ai poteri esercitati dall'Amministrazione, iure
imperii oppure iure privatorum.
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Ove non sia proposto appello avverso la sentenza del TAR o ricorso in Cassazione avverso quella
del Consiglio di Stato, la decisione passa in giudicato.
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poteva avvenire anche senza l'istituzione di sezioni specializzate dagli organi giudiziari ordinari.
Le Commissioni tributarie si distinguono in Commissioni provinciali, di primo grado, e
Commissioni regionali, di appello.
f) I Tribunali militari
L'art. 103 Cost. prevede la giurisdizione dei Tribunali militari in tempo di pace.
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