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IL PORTICO.

BIBLIOTECA DI LETTERE E ARTI


172.

Sezione: MATERIALI LETTERARI


Volume pubblicato con il contributo
del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Roma Tre
La poesia in Italia
prima di Dante
Atti del Colloquio Internazionale di Italianistica
Università degli Studi di Roma Tre
10-12 giugno 2015
a cura di
FRANCO SUITNER

LONGO EDITORE RAVENNA


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ISBN 978-88-8063-958-9
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Printed in Italy
ARMANDO ANTONELLI

LA RIFLESSIONE SUL VOLGARE


A BOLOGNA NEL DUECENTO

1. Lo stato delle cose. Questo brevissimo paragrafo introduttivo non intende


proporre un bilancio esaustivo degli studi sulla poesia medievale petroniana, né
una rassegna completa delle ricerche intorno alla scripta e ai testi di carattere pra-
tico redatti in volgare felsineo, limitandosi a rilevare una linea di tendenza in atto
nella critica degli ultimi anni a proposito della cultura volgare bolognese dei secoli
XIII-XIV, che assegna alla Bologna medievale una posizione secondaria negli
odierni studi di storia letteraria e di storia della lingua italiana. La marginalità cui
Bologna pare essere relegata tra chi si occupa di storia della letteratura e della lin-
gua si è venuta consolidando in questi anni coerentemente al progressivo disinte-
resse mostrato, a partire almeno dagli anni Sessanta del Novecento, dall’ateneo
bolognese per la cultura volgare cittadina, antecedentemente all’Umanesimo. Gli
esiti infelici di tale processo si possono cogliere appieno qualora si stimi il ruolo che
la cultura volgare bolognese medievale occupa all’interno della produzione edito-
riale locale e in quella nazionale e internazionale1.
Si può individuare una cesura profonda a Bologna, nel settore degli studi sulla
cultura volgare medievale petroniana, intorno ai primi anni Sessanta del Nove-
cento, periodo che, grosso modo, demarca, certificando un processo in atto dal
Dopoguerra, un prima e un dopo2. Risale, infatti, al 1962 la pubblicazione della

1 Dedico considerazioni meno generiche a questi temi nei saggi A. ANTONELLI, Dante e Bolo-
gna. Un omaggio a Pasquini, «Bollettino dantesco», IV, 2015, pp. 8-24, in part. pp. 8-9. Una con-
ferma del quadro delineato si ricava dal profilo bibliografico dedicato alle fonti bolognesi medievali
stilato da G. MILANI, Bologna, Spoleto, CISAM, 2012. Il trend è certificato anche al di fuori dei
confini nazionali dal volume Bologna. Cultural Crossroads from the Medieval to the Baroque: Re-
cent Anglo-American Scholarship, a cura di G.M. Anselmi, A. De Benedictis, N. Terpstra, Bologna,
Bononia University Press, 2013. La giusta direzione da dare alla ricerca la mostrava C. BOLOGNA,
La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento, in Letteratura italiana, dir. da A. Asor Rosa,
Storia e geografia, I, L’età medievale, Torino, Einaudi, 1987, pp. 162-175.
2 Di tali temi di ricerca non potevano “farsi carico” studiosi di storia locale, né il Comune ha mo-

strato maggiore lungimiranza dell’ateneo bolognese, approfittando di ricorrenze, celebrazioni, an-


niversari per organizzare iniziative culturali su tali argomenti, tanto che è stato il Comune di
Monselice a promuovere in passato momenti di riflessione e di studio intorno alla figura di Guido
Guinizzelli, in due convegni: Per Guido Guinizzelli. Il Comune di Monselice (1276-1976), Padova,
172 Armando Antonelli

Vita di San Petronio di Maria Corti3, ospitata nella collana minore della Com-
missione per i Testi di Lingua, e al 1965 il convegno su Dante e Bologna orga-
nizzato da Raffaele Spongano: poi nulla, o quasi4. Altrove, invece, negli stessi
anni sono state inaugurate ricerche ed edizioni intorno ai testi più importanti delle
nostre Origini. Siamo debitori di quel fervore se alcuni studiosi si sono dedicati con
profitto anche a Bologna. Basti ricordare le ricerche su Onesto da Bologna, Mat-
teo dei Libri, Guido Guinizzelli o sulle rime dei Memoriali5. Mancano a oggi gli

Antenore, 1980, Da Guido Guinizzelli a Dante. Nuove prospettive sulla lirica del Duecento, a cura
di F. Brugnolo, G. Peron, Padova, il Poligrafo, 2004.
3 Vita di San Petronio, con un’Appendice di testi inediti dei secoli XIII e XIV, a cura di M. Corti,

Bologna, Commissione per i testi di Lingua, 1962. Il volume ha conosciuto a quarant’anni di distanza
una ristampa anastatica per merito di Emilio Pasquini (Bologna, Costa, 2002). La ristampa è stata
arricchita dall’introduzione dello stesso Pasquini (pp. VII-IX) e dal saggio di B. Terracini, Intorno
alla vita di S. Petronio, pp. XI-XLVI.
4 Dante e Bologna nei tempi di Dante, a cura della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università

di Bologna, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1967.


5 Gli studi più importanti su Onesto sono D. DE ROBERTIS, Cino e i poeti bolognesi, «Giornale

storico della letteratura italiana», CXXVIII, 1951, pp. 273-312, M. MARTI, Onesto da Bologna, lo
Stil novo e Dante, in Con Dante fra i poeti del suo tempo, Lecce, Milella, 1966, pp. 45-68, L.C.
ROSSI, Una ricomposta tenzone (autentica?) fra Cino da Pistoia e Bosone da Gubbio, «Italia me-
dioevale e umanistica», XXXI, 1988, pp. 45-79, F. BRUGNOLO, Cino (e Onesto) dentro e fuori la
Commedia, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Programma, 1993, pp. 369-386, C. GIUNTA,
Corrispondenze in canzoni (per il restauro di Onesto da Bologna, «Se co lo vostro val mio dir e
solo»), «Studi mediolatini e volgari», XLI, 1995, pp. 51-76, S. ORLANDO, Dall’ossequio nei confronti
di Guittone all’‘intenerimento’ stilnovista: i casi di Onesto da Bologna e di Guido Orlandi, in Guit-
tone d’Arezzo nel VII centenario della morte, a cura di M. Picone, Firenze, Cesati,1995, pp. 295-306,
R. REA, «Quel dall’arco del Diamasco»: Cavalcanti nella polemica fra Onesto e Cino, in Stilnovi-
smo cavalcantiano e tradizione cortese, Roma, Bagatto, 2007, pp. 83-97, Infra gli altri difetti del li-
bello, in Poeti del Dolce stil novo, a cura di D. Pirovano, Roma, Salerno, 2013. Per il testo critico
cfr. Le Rime di Onesto da Bologna, a cura di S. Orlando, Firenze, Sansoni, 1974; per la biografia cfr.
A. ANTONELLI, Nuove su Onesto a Bologna, in «I quaderni del m.ae.s», X, 2007, pp. 9-20 e Onesto
degli Onesti, a cura di M. MARROCCO, in Dizionario Biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI),
Roma, Ist. dell’Enciclopedia italiana, vol. 79, 2013; per la tradizione estravagante cfr. A. ANTONELLI,
Poesie italiane inedite di argomento religioso del Due e Trecento, «Bollettino dell’Opera del Voca-
bolario Italiano», XI, 2006, pp. 249-258, A. DECARIA, Un nuovo testimone primo-trecentesco di un
sonetto di Onesto bolognese, «Medioevo romanzo», XXXIX, 2015, pp. 171-184; MATTEO DEI LIBRI,
Arringhe, a cura di E. Vincenti, Milano, Ricciardi, 1974. Si vedano inoltre i saggi di C. FRATI, «Flore
de parlare» o «Somma d’arengare» attribuita a Ser Giovanni Fiorentino da Vignano in un codice
marciano, «Giornale storico della letteratura italiana», LXI, 1931, pp. 1-31 e 228-265, A. CASTEL-
LANI, Le formule volgari di Guido Faba, estratto da «Bullettino dell’Accademia della Crusca», Fi-
renze, Sansoni, 1955, La prosa del Duecento, a cura di C. Segre e M. Marti, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1959, P.O. KRISTELLER, Studies in renaissance thought and letters, I-III, Roma, Edizioni
di storia e di letteratura, 1956-1993, A. CASTELLANI, Parlamenti in volgare di Guido Fava, in Nuovi
saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1976-2004), a cura di V. Della Valle, G. Frosini,
P. Manni, L. Serianni, II, Roma, Salerno, 2010, pp. 886-895, BONO GIAMBONI, Fiore di rettorica, a
cura di G. Speroni, Pavia, Università degli studi, 1994, Tommaso Gozzadini, a cura di G. MILANI, in
DBI, cit., vol. 58, 2002, Guidotto da Bologna, a cura di S. GENTILI, ivi, vol. 61, 2004. Gli studi più
recenti sulla poetica di Guido Guinizzelli sono C. GIUNTA, La poesia italiana nell’età di Dante, Bo-
logna, il Mulino, 1998, Intorno a Guido Guinizzelli, a cura di L. Rossi, S. Alloatti Boller, Alessan-
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 173

studi di base sulla grafia volgare bolognese, sugli scriptoria felsinei specializzati
nell’allestimento di codici in volgare, manca persino un censimento di tali mano-
scritti, rari i sondaggi linguistici approfonditi su testi di carattere pratico dei secoli
XIII-XIV6, poche le edizioni critiche dei corpora lirici dei poeti bolognesi, per i
quali (a parte i casi Guido Guinizzelli, Onesto da Bologna, Re Enzo) siamo ancora
debitori delle meritorie edizioni di Tommaso Casini e di Guido Zaccagnini, man-
cano studi organici sulla lirica bolognese due-trecentesca e su quella tardo tre-
centesca7. La cosa sorprende perché i presupposti non mancavano: Bologna era

dria, Edizioni dell’Orso, 2002, P. BORSA, La nuova poesia di Guido Guinizelli, Fiesole, Cadmo,
2007. Per l’edizione critica cfr. GUIDO GUINIZZELLI, Rime, a cura di L. Rossi, Torino, Einaudi, 2002;
per la biografia A. ANTONELLI, Nuovi documenti sulla famiglia Guinizzelli, in Da Guido Guinizzelli
a Dante, cit., pp. 59-105, Guido Guinizzelli, a cura di G. INGLESE, in DBI, vol. 61, 2004; per la for-
tuna estravagante cfr. S. ORLANDO, Best sellers e notai: la tradizione estravagante delle rime fra Due
e Trecento in Italia, in Da Guido Guinizzelli a Dante, cit., pp. 257-270, A. ANTONELLI, Una nuova
attestazione del sonetto Omo ch’è saggio non corre leggero di Guido Guinizzelli e la sua veste gra-
fica, in Bologna nel Medioevo, Bologna, Pàtron, 2004, pp. 67-86 e S. ORLANDO, Ancora su Homo
che’è saggio. Punto della situazione, in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Piz-
zorusso, a cura di P.G. Beltrami, M.G. Capusso, F. Cigni, S. Vatteroni, II, Pisa, Pacini, 2006, pp.
1139-1154. Sulle rime dei memoriali gli studi più recenti sono S. DEBENEDETTI, Osservazioni sulle
poesie dei Memoriali bolognesi, «Giornale storico della letteratura italiana», CXXV, 1948, pp. 1-41,
G. MARCON, Cultura notarile e poesia volgare nei Memoriali bolognesi (secc. XIII-XIV), «L’Ar-
chiginnasio», LXXXIX, 1994, pp. 229-247, D. KULLMANN, Osservazioni sui Memoriali bolognesi
(con un frammento di lauda inedito), «Zeitschrift für romanische Philologie», CXIX, 2003, pp. 256-
281, M. GIANSANTE, Archivi e memoria poetica: le rime dei Memoriali bolognesi, in Storia, archivi,
amministrazione, a cura di C. Bianchi, T. Di Zio, Roma, Direzione Generale per gli Archivi, 2004,
pp. 295-309, Rime due e trecentesche tratte dall’Archivio di Stato di Bologna, a cura di S. Orlando,
consulenza archivistica di G. Marcon, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 2005, A. AN-
TONELLI, Dalle rime alle tracce, in Carducci e il medioevo bolognese fra letteratura e archivi, a cura
di M. Giansante, Bologna, Deputazione di Storia Patria, 2011, pp. 107-197.
6 M. CORTI, Emiliano e veneto nel «Fiore di virtù», «Studi di filologia italiana», XVIII, 1960,

pp. 29-68, A. ANTONELLI, Le scritture in volgare dell’ingegnere Giacomo Scaperzi (1312-1315),


«Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano», IX, 2004, pp. 355-373, e soprattutto l’analisi lin-
guistica di P. LARSON, Appunti linguistici sugli scritti di Giacomo Scaperzi, ivi, pp. 375-382, M.
VOLPI, «Per manifestare polida parladura». La lingua del Commento laneo alla Commedia nel ms.
Riccardiano-Braidense, Roma, Salerno, 2010, A. ANTONELLI, V. CASSÌ, La Regola delle Clarisse
del monastero dei Santi Ludovico e Alessio di Bologna, «Bollettino dell’Opera del Vocabolario Ita-
liano», XVII, 2012, pp. 161-220.
7 Le rime dei poeti bolognesi del secolo XIII, a cura di T. Casini, Bologna, Romagnoli, 1881, I

rimatori bolognesi del secolo XIII, a cura di G. Zaccagnini, Milano, Vita e pensiero, 1933. Per il Due-
cento si segnalano P. TROCCHI, Canzone e sonetti di Paolo Zoppo (revisione 2014 con parafrasi dei
testi), disponibile on-line sulla piattaforma academia.edu, J. MATASCI, Paolo Zoppo traduttore di
Perdigon, «Cultura neolatina», LXXII, 2012, pp. 227-250, A. FERRARI, Da strofe di canzone pro-
venzale a sonetto italiano: Polo Zoppo e Perdigon, ivi, pp. 251-263. Per il negletto tardo Trecento
bolognese si segnalano, dopo le pionieristiche edizioni di A. SORBELLI, Poesie di Matteo Griffoni cro-
nista bolognese tratte di su gli autografi, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per
le Provincie di Romagna», XIX, 1901, pp. 417-449 e di Rimatori bolognesi del Trecento, a cura di
L. Frati, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1915, i lavori di G. MARCON, G. TAMBA, Sonetti inediti
e rari tra notai e Camera degli atti, in «Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le pro-
vince di Romagna», LVI, 2005, pp. 189-231, G. MARCON, Per una nuova edizione delle rime di
174 Armando Antonelli

stato uno dei maggiori centri universitari d’Europa, aveva prodotto e ha conser-
vato documentazione duecentesca come nessun altro comune italiano, alla lingua
bolognese Dante aveva riservato un posto di rilievo, la tradizione classificatoria
settecentesca di matrice erudita, infine, era stata vivacizzata dal fermento positi-
vistico che aveva caratterizzato le ricerche sulla cultura medievale bolognese di
fine Ottocento. Basti ricordare che Tommaso Casini (1859-1917) aveva inaugu-
rato nel 1883 il primo fascicolo del «Giornale storico della letteratura italiana»
con un saggio dal titolo La coltura bolognese nei secoli XII e XIII e che Ernesto
Monaci (1844-1918), l’anno seguente, aveva pubblicato l’articolo Primordi della
scuola poetica italiana da Bologna a Palermo sulla rivista «Nuova Antologia»,
avanzando una tesi, cui arrise un non grande successo8.
Nonostante questo quadro non proprio esaltante possiamo contare su un cor-
pus di documenti d’uso pratico di qualche rilievo (che viene ampliandosi e che
potrà diventare uno dei maggiori d’Italia) e su alcune solide ricerche complessive
e voci enciclopediche, che hanno aggiornato con profitto gli studi sul bolognese
medievale di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento9.

Matteo Griffoni, «Medioevo letterario d’Italia», I, 2005, pp. 171-191, ID., Prolegomena all’edizione
critica delle rime di Matteo Griffoni, «Letteratura italiana antica», XVI, 2015, pp. 411-442, R. SI-
NISCALCHI, El non mi vale àgolla né màgolla di Niccolò Malpigli, «Letteratura italiana antica», XVII,
2016, di prossima pubblicazione. Su Re Enzo cfr. almeno L. FORMISANO, Aspetti della cultura lette-
raria a Bologna al tempo di Federico II, in Federico II e Bologna, Bologna, Deputazione di Storia
Patria per le Province di Romagna, 1996, A. ANTONELLI, Storia e poesia di Enzo re prigioniero, in Pa-
lazzo Re Enzo. Storia e restauri, a cura di P. Foschi, F. Giordano, Bologna, Costa, 2003, pp. 69-79,
S. RAPISARDA, Ipotesi di ricollocazione tematica di due testi della Scuola poetica siciliana: è sicuro
che «S’eo trovasse Pietanza» di Re Enzo e «Meglio val dire» di Rinaldo d’Aquino parlano d’amore?,
in La lirica romanza del Medioevo. Storia, tradizioni, interpretazioni, a cura di F. Brugnolo, F. Gam-
bino, Padova, Unipress, 2009, pp. 699-720, Re Enzo, a cura di C. Calenda, in I poeti della scuola si-
ciliana, ed. diretta da C. Di Girolamo, II, Milano, Mondadori, pp. 715-750.
8 Pellegrino Antonio Orlandi (1660-1727) pubblicò nel 1714 le Notizie degli scrittori bolognesi

e dell’opere loro stampate e manoscritte raccolte da fr. Pellegrino Antonio Orlandi da Bologna, Bo-
logna, per Costantino Pisarri all’insegna di S. Michele, sotto il portico dell’Archiginnasio, 1714, opera
continuata idealmente da Giovanni Fantuzzi (1718-1799), tra il 1781 e il 1794, in nove volumi, No-
tizie degli scrittori bolognesi raccolte da Giovanni Fantuzzi, Bologna, stamperia di San Tommaso
d’Aquino, 1781-1794. Opere tipiche dellʼerudizione settecentesca, nate dalla collaborazione, nel caso
soprattutto del Fantuzzi, con i più importanti letterati italiani e con i professori dellʼIstituto delle
Scienze di Bologna. Cfr. Giovanni Fantuzzi, a cura di A. GIACOMELLI, in DBI, cit., vol. 44, 1994, Pel-
legrino Antonio Orlandi, a cura di G. PERINI FOLESANI, ivi, vol. 79, 2013, Tommaso Casini, a cura di
F. DEL BECCARO, ivi, vol. 21, 1978, Ernesto Monaci, a cura di D. PROIETTI, ivi, vol. 75, 2011.
9 T. CASINI, Documenti dell’antico dialetto bolognese, «Il Propugnatore», XIII, 1880, pp. 28-99,

L. FRATI, Documenti per la storia del governo visconteo a Bologna nel sec. XIV, «Archivio Lom-
bardo», VI, 1889, pp. 525-580, A. GAUDENZI, I suoni, le forme e le parole dell’odierno dialetto della
città di Bologna, Torino, Loescher, 1899, A. TRAUZZI, Il volgare eloquio di Bologna ai tempi di
Dante, in Studi danteschi, Bologna, 1921, pp. 121-163, G. TOJA, La lingua della poesia bolognese
del secolo XIII. Saggio filologico-critico, Berlin, Akademie Verlag, 1954, L. HEILMANN, Il giudizio
di Dante sul dialetto bolognese, in Dante e Bologna, cit., pp. 151-160; oltre ai saggi già citati di
Maria Corti, si vedano i più recenti Bologna, a cura di P.V. MENGALDO, in Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, F. FORESTI, F. MARRI, G. PETROLINI, L’Emilia e la
Romagna, in L’italiano nelle regioni, Lingua nazionale e identità regionali, a cura di F. Bruni, To-
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 175

2. Il giudizio di Dante sul bolognese. Il De vulgari eloquentia è un’opera né ter-


minata, né compiuta. La sua composizione risale al biennio 1304-1305 ed è antici-
pata da quella del Convivio (15, 9-10). La prima parte del capitolo quindicesimo del
De vulgari eloquentia10 è riservata, in gran parte, alla celebrazione del volgare e dei
poeti bolognesi, ma l’intero primo libro del trattato linguistico è costellato di rimandi
più o meno diretti a Bologna11. Del bolognese Dante riconosce il primato sui re-
stanti volgari d’Italia basando il proprio giudizio su elementi di matrice linguistica
e, come è sembrato a molti commentatori, di natura ideologica. Esiste un bolognese
parlato dai mediastini, capace di mediare tra lombardo e romagnolo (I, 15, 6). Esi-
ste un bolognese parlato dagli abitanti che risiedono agli estremi dell’asse viario ro-
mano, appena fuori dalla cinta muraria, che evidentemente diverge da quello parlato
dai mediastini e da quello parlato dagli abitanti del contado (sia o meno identifica-
bile con quello parlato dagli abitanti di Petramala). Non si tratta di una lingua omo-
genea, divaricandosi tra quella parlata dai residenti nel Borgo di San Felice, più o
meno influenzata dal lombardo, parlata quanto mai inadatta ad un volgare sovra-
cittadino, e quella parlata dagli abitanti di Strada Maggiore, più o meno influenzata
dal romagnolo, di cui Dante non ha un’opinione totalmente negativa.
Esistono, poi, quattro poeti bolognesi (si tratta del gruppo più nutrito di doc-

rino, UTET, 1992, pp. 371-391 e Bologna e la Romagna. Testi e documenti, ivi, pp. 383-394, A.
STELLA, Emilia-Romagna, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni, P. Trifone, III, To-
rino, Einaudi, 1994, pp. 260-294, Storia della lingua italiana, diretta da F. Bruni, Il Medioevo, a
cura di R. Casapullo, Bologna, il Mulino, 1999, in part. pp. 101-109 e 283-290.
10 Per il testo critico DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di P.V. Mengaldo, Padova,

Antenore, 1968, DANTE ALIGHIERI, Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, I-III, Firenze, Le Let-
tere, 1995. Gli studi più recenti e importanti sulle due opere dantesche sono DANTE ALIGHIERI, De
vulgari eloquentia, a cura di G. Inglese, Milano, Bur, 2010; P. FALZONE, Desiderio della scienza e
desiderio di Dio nel Convivio di Dante, Bologna, il Mulino, 2010; DANTE ALIGHIERI, De vulgari elo-
quentia, a cura di M. Tavoni, Milano, Arnoldo Mondadori, 2011; DANTE ALIGHIERI, De l’éloquence
en vulgaire, par I. Rosier-Catach, traduction française par A. Grondeux, R. Imbach, I. Rosier-Catach,
Paris, Fayard, 2011; R. ZANNI, Il De vulgari eloquentia fra linguistica, filosofia e politica, in Dante
oggi / 1, «Critica del testo», XIV, 2011, pp. 279-343, G. INGLESE, Appunti sul De vulgari eloquen-
tia, «La cultura», L, 2012, pp. 509-530; DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di E. Fenzi,
Roma, Salerno, 2012, M. QUAGLINO, Recensione al cit. volume di Fenzi, «Lingua e stile», XLIX,
2014, pp. 151-169, G. FIORAVANTI, Il Convivio e il suo pubblico, in Lecturae Dantis, a cura di S. Cri-
staldi, S. Italia, «Le forme e la storia», VII, 2014, pp. 13-21, DANTE ALIGHIERI, Convivio, a cura di
G. Fioravanti, e Canzoni, a cura di C. Giunta, Milano, Mondadori, 2014, E. FENZI, Dal Convivio al
De vulgari eloquentia: appunti di lettura, in Il Convivio di Dante, a cura di J. Bartuschat, A.A. Ro-
biglio, Ravenna, Longo, 2015, pp. 83-104.
11 Un incerto primo riferimento (se si tratta del paese appenninico posto a ottocento metri di al-

tezza) è quello riservato all’opinione insensata che gli abitanti del borgo di Petramala nutrono nei
confronti del proprio volgare e che Dante condanna quale forma di localismo paradossale, ancor
più paradigmatico, dal momento che si ritrova in un centro periferico, equidistante una cinquantina
di chilometri da Firenze e da Bologna (I, 6, 2). L’iperbole è accresciuta dall’emersione di una sot-
tesa molteplice polarità tra urbanitas-rusticitas, armonia-dissonanza, centro-periferia, che troviamo
efficacemente condensata in Dve (I, 11, 6): «Cumque hiis montaninas omnes et rusticanas loquelas
eicimus, que semper mediastinis civibus accentus enormitate dissonare videntur, ut Casentinentes
et Fractenses».
176 Armando Antonelli

tores citati nel Dve, provenienti da un’unica città) che hanno fatto ricorso al vol-
gare illustre rinunciando alla loquela municipale: «Que quidem verba prorsus a
mediastinis Bononie sunt diversa» (I, 15, 6)12. Tra essi Guido Guinizzelli, i cui
versi Dante sceglie in uno dei capitoli iniziali del trattato per confermare la tesi di
una radice romanza comune delle lingue d’oc, d’oïl e di sì: «Trilingues ergo doc-
tores in multis conveniunt, et maxime in hoc vocabulo quod est “amor”» (I, 9, 3).
La citazione s’inquadra in un più ampio ragionamento teso a definire concreta-
mente il mutamento linguistico; analisi che si concludono con un’osservazione
granulare del fenomeno che coinvolge le parlate dei bolognesi che abitano presso
il Borgo di via San Felice e quelli che abitano nei pressi delle due torri, ai due poli
estremi e opposti della città, ma equidistanti dal centro cittadino:

Quare autem tripharie principalius variatum sit, investigemus; et quare quelibet ista-
rum variationum in se ipsa variatur, puta dextreYtalie locutio ab ea que est sinistre: nam
aliter Paduani et aliter Pisani locuntur; et quare vicinia habitantes adhuc discrepant in
loquendo, ut Mediolanenses et Veronenses, Romani et Florentini, nec non convenien-
tes in eodem genere gentis, ut Neapolitani et Caetani, Ravennates et Faventini, et, quod
mirabilius est, sub eadem civilitate morantes, ut Bononienses Burgi Sancti Felicis et
Bononienses Strate Maioris. Hee omnes differentie atque sermonum varietates quid ac-
cidant, una eademque ratione patebit (I, 9, 4-5).

Il discorso sul cambiamento delle lingue articolato da Dante disegna una pa-
rabola del volgare parlato a Bologna ai cui vertici si trovano l’italiano del nobile
Guido e le parlate mescidate dei burgenses bolognesi.
Un’ulteriore inarcatura del testo è quella che Dante apre al capitolo dodice-
simo, annunciando di volere cercare il volgare «honorabilius atque honorificen-
tius» (I, 12, 1) e che l’autore chiude al capitolo quindicesimo, definendo la
preminenza ontologica tanto del bolognese, che lo rende la parlata migliore d’Ita-
lia, quanto del volgare illustre, entrambe fortemente connotate in senso ideolo-
gico. Nel mezzo Dante scrive alcuni capitoli tesi a smontare le aspirazioni dei
restanti volgari e, al contempo, a nominare i poeti che si sono allontanati dalle
parlate municipali per fare ricorso all’italiano illustre, aulico e cardinale. Si tratta
dei poeti della curia fredericiana, apuli e siciliani – per Dante – citati per nome o
attraverso gli incipit delle canzoni. Si tratta dei fiorentini Guido Cavalcanti, Lapo
Gianni, Dante Alighieri e del pistoiese Cino da Pistoia (I, 13, 4), mentre l’espe-
rienza poetica di molti altri, più o meno celebri poeti toscani viene derubricata ne-
gativamente, di seguito al giudizio tranchant che Dante dà dell’opinione del
popolo minuto: «Et in hoc non solum plebeia dementat intentio, sed famosos
quamplures viros hoc tenuisse comperimus» (I, 13, 1).
Nel capitolo quindicesimo Dante fa propria quella che appare a tutti gli effetti
un’opinione comune, anche se forse non unanimemente condivisa, che individua
12 Sappiamo che Guinizzelli e Fabruzzo Lambertazzi abitavano le cappelle centrali della città e

che questi con Onesto da Bologna hanno vissuto l’esperienza del bando, i primi due, sicuramente,
per ragioni politiche.
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 177

nel volgare (e nel regime, nella civilitas) bolognese la parlata (e lo stato) più bella
(migliore):

Dicimus ergo quod forte non male opinantur qui Bononienses asserunt pulcriori locu-
tione loquentes, cum ab Ymolensibus, Ferrarensibus et Mutinensibus circunstantibus
aliquid proprio vulgari asciscunt, sicut facere quoslibet a finitimis suis conicimus (I,
15, 2).
Accipiunt enim prefati cives ab Ymolensibus lenitatem atque mollitiem, a Ferrarensibus
vero et Mutinensibus aliqualem garrulitatem que proprie Lombardorum est (I, 15, 3).
Si ergo Bononienses utrinque accipiunt, ut dictum est, rationabile videtur esse quod
eorum locutio per commixtionem oppositorum ut dictum est ad laudabilem suavitatem
remaneat temperata: quod procul dubio nostro iudicio sic esse censemus. Itaque si pre-
ponentes eos in vulgari sermone sola municipalia Latinorum vulgaria comparando
considerant, allubescentes concordamus cum illis; si vero simpliciter vulgare bono-
niense preferendum existimant, dissentientes discordamus ab eis. Non etenim est quod
aulicum et illustre vocamus: quoniam, si fuisset, maximus Guido Guinizelli, Guido
Ghisilerius, Fabrutius et Honestus et alii poetantes Bononie nunquam a proprio diver-
tissent; qui doctores fuerunt illustres et vulgarium discretione repleti (I, 15, 5-6).

Tra le fonti su cui Dante può contare all’altezza dell’elaborazione del trattato
compare una raccolta perduta di rime di bolognesi la cui fisionomia viene deline-
andosi tramite il passo di Dve appena citato (I, 15, 6). Si tratta d’indizi che raf-
forzano l’impressione che Dante avesse sottomano un canzoniere di matrice
municipale o regionale, che annoverava accanto a Guinizzelli, Onesto, Guido Ghi-
silieri (di cui nulla sappiamo con certezza senonché una Ghisilieri fu madre di
Guido Guinizzelli), Fabruzzo Lambertazzi (di cui si è salvato, per via eterodossa,
un unico sonetto, la cui trasmissione presenta notevoli analogie con la tradizione
del corpus estravagante bolognese del sonetto guinizzelliano Omo ch’è saggio)13,
romagnoli e toscani residenti a Bologna. In questa prospettiva ricostruttiva del
tutto ipotetica, Onesto e Fabruzzo si candidano tra i più probabili possessori di
quel manoscritto14, che avrebbe potuto essere concepito con liriche di Cino, dei

13 Fabruzzo Lambertazzi, a cura di A. ANTONELLI, in DBI, vol. 63, 2004.


14 Onesto fu bandito tra 1286 e 1290 e nei primi anni Novanta fece rientro in città, dove rise-
dette fino alla morte, avvenuta nel 1303. «Una traccia della sua appartenenza politica si legge in
una tenzone che lo coinvolse con Tommaso da Faenza e Cino da Pistoia, collocata da Sandro Or-
lando nel quadro dei drammatici eventi succeduti in Toscana nel 1300-1301: in questo caso, il bianco
Onesto “pare quasi avere il compito di avallare con la propria autorità la tesi del compagno di parte”
Tommaso, contro le posizioni del nero Cino»: cfr. M. MARROCCO, Onesto degli Onesti, cit., p. 331.
Fabruzzo a causa dell’allontanamento volontario dalla città nel 1274 fu condannato alla pena del
bando e per questo il suo nome è registrato negli Elenchi dei ghibellini banditi dalla cappella di San
Vito dei Lambertazzi del quartiere di Porta Ravegnana. Ancora nel Liber terminorum del 1294, con-
servato nel Registro grosso del Comune di Bologna, si fa riferimento agli edifici, circostanti piazza
Maggiore di Bologna, di proprietà dei Lambertazzi, ubicati tra il palazzo Vecchio del Comune e la
chiesa di Santa Maria dei Rustigani nel pieno centro cittadino. Nel 1287 il suo nome fu registrato
nel Liber Misericordie, dove vennero vergati i nomi dei ghibellini riaccolti in città, in seguito alla
decisione presa da una commissione di quaranta sapienti, disponibili ad accordare fiducia agli ex ne-
178 Armando Antonelli

due faentini comprese, forse, le tenzoni di costoro con Monte che, si rammenti, non
viene convocato negativamente in causa con altri poeti toscani incapaci di allon-
tanarsi dalla propria loquela municipale in Dve I, 13, 1 e che, a questo punto, po-
trebbe rientrare in quel gruppo seletto di altri poeti genericamente individuato a
Bologna da Dante in Dve I, 15, 615.
Una spia della circolazione di tale raccolta che permette di congetturarne l’esi-
stenza è la presenza di una lirica attribuita da Dante a Tommaso di Faenza, che con-
divide il destino dei testi perduti attribuiti a tre dei quattro poeti bolognesi che,
secondo Dante, fecero ricorso all’italiano. Fa eccezione Guido Guinizzelli, la cui
lirica anch’essa, come le altre (compresa quella del faentino), citata tramite inci-
pit, ci è giunta per altra via, grazie a fonti antiche. Più complicato e interessante

mici che venivano riconoscendosi negli ideali popolari del regime guelfo di pacificazione e unità di
contro alla scelta oltranzista della guerra civile in nome di una parte, cfr. A. ANTONELLI, Fabruzzo
Lambertazzi, cit. Una posizione, quella di Fabruzzo, non molto distante da quella che doveva avere
caratterizzato l’azione e il pensiero di Guido Guinizzelli.
15 Se la rauca favella parlata nei territori di Lombardia (come quelli governati dal marchese d’Este:

Ferrara, Modena e Reggio Emilia) ha impedito la nascita di una poesia illustre (l’eccezione è rappre-
sentata dall’esperienza del padovano Aldobrandino da Padova, I, 14, 7), la situazione romagnola è
meno compromessa, sia dal punto di vista politico (grazie all’emergere di Forlì e della signoria di Scar-
petta Ordelaffi, I, 14, 3, il cui ruolo, come è noto, è fortemente implicato con la biografia dantesca), sia
dal punto di vista linguistico e lirico, come dimostra l’esperienza poetica del giudice Tommaso e di Ugo-
lino Manfredi da Faenza. Un’esperienza evidentemente collegata, per entrambi, con quella dei poeti
bolognesi e con la città felsinea, I, 14, 2-3). Il giudice Tommaso di Faenza fu nel 1267 assessore del
podestà Giovanni Dandolo a Bologna dove, probabilmente, conobbe Guido Guinizzelli (e/o le sue
rime) e Monte Andrea, con il quale ebbe uno scambio poetico. Sua la tenzone poetica con Cino e One-
sto in cui il poeta bolognese si schiera contro la politica toscana di Bonifacio VIII e l’alleanza con Carlo
di Valois (DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di M. Tavoni, cit., p. 1299). Ora cfr. TOMASO
DA FAENZA, Rime, a cura di F. Sangiovanni, Ravenna, Longo, 2016. Ugolino Manfredi visse a lungo a
Bologna, prima e dopo l’esilio, partecipando in qualità di conestabile dell’esercito bolognese, tra 1298-
1299, alla guerra che opponeva il comune bolognese al marchese Azzo VIII d’Este. Di lui restano due
sonetti, uno dei quali scambiato, ancora una volta, con Onesto. Anche la presenza di Cino è stata messa
in correlazione, principalmente da Tavoni, con la sua esperienza poetica bolognese (op. cit., p. 1290)
Se così fosse allora l’assenza di un giudizio negativo su Monte potrebbe rientrare nelle maglie allar-
gate di questa “bolognesità”, se non altro per avere Monte (nonostante la sua fede politica) vissuto in
città molta parte della sua esistenza e avere, in quella città, poetato con trovatori locali, romagnoli e to-
scani, residenti o di passaggio a Bologna (rientrando forse tra gli alii poetantes Bononie di Dve, I, 15,
6 ). Non si dimentichi che uno dei rari canzonieri prodotti verosimilmente a Bologna, ancorché fram-
mentario, trasmette accanto a Guittone rime di Monte: Firenze, Biblioteca Nazionale, II. III. 492, su
cui P. LARSON, Appunti sulla lingua dei canzonieri, in I canzonieri della lirica italiana delle Origini,
IV, Studi critici, a cura di L. Leonardi, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001, p. 101, in part.
nota 271. Si veda inoltre F. PELLEGRINI, D’un canzoniere ignoto del secolo XIV, in Miscellanea per le
nozze Biadego-Bernardinelli, Verona, Franchini, 1896, pp. 3-11, T. NOCITA, Sillogi municipali di lirica
trecentesca. Il caso del codice Ghinassi, in Storia, geografia, tradizioni manoscritte, «Critica del testo»,
VII, 2004, pp. 463-472, G. MARRANI, Identità del Frammento Marciano dello «Stilnovo» (It. IX.529),
in Il canzoniere Escorialense e il frammento Marciano dello Stilnovo. Real Biblioteca de El Escorial,
e. III. 23 - Biblioteca Nazionale Marciana, it. IX. 529, a cura di S. Carrai, G. Marrani, Firenze, SI-
SMEL-Edizioni del Galluzzo, 2009, pp. 153-198, M. BERISSO, Centri di produzione, generi, autori: ri-
leggere le mappe della poesia italiana antica, in La letteratura degli italiani. Centri e periferie, a cura
di D. Cofano, S. Valerio, Foggia, Edizioni del Rosone, 2011, pp. 7-33.
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 179

sarebbe per noi sondare la reale fisionomia, la veste grafica, la patina linguistica
di quel collettore bolognese presente sullo scrittoio di Dante, anche se resta molto
arduo, lo si ribadisce con forza, persino essere certi che tale raccolta fosse mai esi-
stita. Al di là degli indizi raccolti è davvero difficile dimostrarlo, né è più agevole
dire quando poté essere a disposizione di Dante. Resta in campo un’ipotesi non del
tutto peregrina che, se corroborata da altri dati, potrebbe irrobustire la tesi della
“bolognesità” del trattato dantesco e soprattutto delle sue fonti e del suo pubblico.
Se Dante nomina i mediastini Guido e Fabruzzo, perché entrambi si allonta-
narono dalla loro parlata, di altri, invece, condanna costumi, parte politica e lin-
gua (ciò vale per Francesco d’Accursio e Taddeo Alderotti, fiorentini di origine o
di nascita, ma nei fatti bolognesi). Tra tutti spicca Venetico Caccianemici, con cui
identifica l’intera città, all’altezza del canto XVIII dell’Inferno. In quella zona
centrale della città nacque e visse Fabbro Lambertazzi, personalità di primo piano
della storia comunale bolognese, al vertice delle istituzioni cittadine, nel momento
di maggiore espansione politica, militare e territoriale di Bologna, figura che in-
carnò appieno gli ideali del regime podestarile bolognese, secondo la teoria poli-
tica comunale, anche mediante l’imposizione dei magistrati bolognesi ai comuni
di Romagna e di Lombardia (Modena e Reggio), seguendo uno schema che indi-
viduava nell’accordo interno della compagine aristocratica militare il principale
strumento di azione della politica estera del regime bolognese. Una strategia di
segno contrario e opposto all’ideale partigianesco propagandato dalle fazioni (che
per breve tempo individuarono nella propria azione la difesa del Comune) e che
fu all’origine dei conflitti civili dell’ultimo quarto del Duecento, secondo uno
schema che si risolveva nella prassi della ritorsione armata e fiscale contro la pars
nemica sconfitta e bandita16.
Vi sono diverse fonti che attribuiscono a Bologna, dopo Fossalta (1249), un
ruolo di assoluto prestigio nello scacchiere geo-politico emiliano-romagnolo degli
anni Cinquanta e Sessanta del Duecento, sino alla strisciante lotta di fazione, dei
primi anni Settanta, sfociata nella guerra civile del 1274, che venne a deflagrazione
a seguito di visioni contrapposte su questioni di politica estera: se, cioè, interve-
nire con l’esercito contro le ribelli Forlì o Modena. Tali fonti riconoscono alla città
una funzione mediatrice tra le forze che laceravano dall’interno la compagine ma-
gnatizia comunale, nel periodo in cui andava consolidandosi un coordinamento
guelfo-angioino sovracittadino. È proprio l’incapacità di mantenere unito quel
fronte interno a essere, come scriveva, post eventum, l’anonimo autore del tre-
centesco Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei, il principium destructionis
civitatis Bononie17. Secondo il prologo del Serventese venne a mancare alla classe

16 G. MILANI, L’esclusione dal Comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre citta ita-

liane tra XII e XIV secolo, Roma, ISIME, 2003.


17 Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli, Ricciardi,1995 (ed. or. 1960), tomo

I, pp. 846-847: «Altissimo Dio padre, [re] de gloria, / priegote che me di’ senno e memoria / che possa
contare una bella istoria / de recordança. / Del guasto de Bologna se comença, / como perdé la força
e la potença / e lo gram senno cum la provedença / ch’aver solea: / ché per lo mondo era chiamada
180 Armando Antonelli

dirigente comunale degli anni Settanta e Ottanta del Duecento il gram senno (la
commixtio oppositorum) che le consentì di essere fontana de le altre e medexina,
una funzione, invece, che secondo Dante era stata incarnata dalla generazione di
Fabbro Lambertazzi, come emerge da un’arringa di Matteo dei Libri, in cui dopo
una disamina ampia dei reggimenti di Toscana, di Lombardia e di Romagna, si tes-
sono le lodi del Comune bolognese18.
Non sorprende, pertanto, che Dante, all’altezza della composizione del canto
XIV del Purgatorio (forse recuperando l’eco di racconti ascoltati al tempo del Dve)
condensi in un verso la laudatio temporis acti della Bologna comunale pronunciata
da Guido del Duca: «Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?» (Purg. XIV, 100).
La domanda retorica serve a esaltare l’avo di Fabruzzo, morto nel 1259, una figura
che incarnava l’ideale dell’uomo politico virtuoso super partes19. Si tratta di fonti
di origine bolognese, di cui Dante pare disporre, in modo privilegiato. Alcuni di quei
racconti fruttificarono all’altezza della composizione dell’Inferno dove abbiamo
un giudizio della civilitas bolognese (della sua politica, dei suoi mores, della sua lin-
gua, dei suoi protagonisti) molto diverso da quello espresso nel quindicesimo ca-
pitolo del Dve. Le fonti restano sostanzialmente le stesse, rimane inalterato il punto
di vista di Dante, fortemente contrario, sul piano politico, all’alleanza dei Neri bo-
lognesi con il marchese Azzo VIII d’Este, una liaison che avvolge l’intera Bologna
di Venetico Caccianemici, che aveva ratificato, già nel 1294, la sua alleanza con il
marchese di Ferrara mediante la promessa di matrimonio tra il figlio Lambertino e
Costanza, figlia di Azzo VIII d’Este, celebrato nel 1305.
Come abbiamo visto, solo nel Purgatorio viene recuperata positivamente la
storia bolognese della prima metà del Duecento (si pensi a Fabbro e a Guido), nel-
l’Inferno invece, con Venetico, viene condannata la fase tardo duecentesca e primo
trecentesca della città. L’azione politica di Venetico (prima di quella di Romeo

rayna, / fontana de le altre e medexina, / ché tuti li soi amixi soccorea / in ogni lato. / Dappo’ che lo
re Enço fo piglato / e in preson fo recarçerato, / dentro loro si fo ordenato de camparlo. / Alora doe
parti se començò a fare, / Germie’ e Lambertaci se fe’ chiamare, / e queste començòno a ingrossare
| fortemente» (vv. 1-20).
18 MATTEO DEI LIBRI, Arringhe, cit., pp. 147-148: «Unde, per Deo, signori, fative denanti a qui-

sti furori, ké voi siti quilli ke li potiti amortare e tollerli via. Pensative de Florencia, de Sena, comme
son gite per la guerra dentru. Pensative de Milano, ke fo la maior terra de Lombardia, de molte altre
terra de quella contrata, k’ènno quasi a niente de quello k’erano. Pensative de Rimino, comm’è
conço per l’odio dentro, e de multe terre de quella contrata. Pensati del gran stato in lo qual è Bolo-
gna, per la gran constança e la gran fermeça in la qual ella è stata, per l’onorevole povolo de quella
citade, la quale è maior terra d’Italia, per quello ke, s’alcuno rumore nasce ’n quella terra, inconti-
nenti vivamente se li fa denati e fa quello ke viaçamente se tol via. Unde, per Deo, renovati e afor-
çati vostr’animi a toller via questo foco, sì ke questa terra remagna in bon stato et usata grandeça, e
lassati stare omne arengare. E non sia neguno in questa terra ke començi cosa ke rea sia, ke voi vi-
vamente non ce procedati contra lui, e tanto plù vivamente quanto maior serà; e potitelo fare».
19 Non si deve però pensare che non circolassero versioni diverse da quelle accolte da Dante,

come quella che, ad esempio, tendeva a retrodatare l’origine delle parti bolognesi al 1217, in un
tempo mitizzato, quello della crociata a Damietta. La rivisitazione del passato, in tal caso, tendeva
a individuare nei due comandanti dell’esercito crociato bolognese, Baruffaldino de’ Geremei e Fab-
bro Lambertazzi, i capi riconosciuti delle fazioni, guelfa e ghibellina.
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 181

Pepoli) fu, naturalmente, al centro di un fitto reticolo di narrazioni controverse. Se


di Fabbro si trasceglie la variante apologetica che disegna l’immagine di un grande
uomo politico della Bologna antica, unita e potente, a Dante Venetico pare un
uomo ambizioso oltre modo, disposto a ogni compromesso pur di raggiungere fini
personali a discapito dell’intera comunità: lettura che trova molti riscontri nei do-
cumenti dove Venetico compare tra i capi parte geremei, sin dal 1272, e poi della
pars marchexana. Pertanto lo scarto tra De vulgari e Inferno è netto e coinvolge
integralmente il giudizio sulla società e sulla parlata bolognesi, ed è conseguenza
diretta, nel caso di Bologna, della rivoluzione che portò, nel 1306, ai vertici del go-
verno cittadino i Neri: il che non è privo di conseguenze nel caso dell’esule fio-
rentino perché sembra, dopo tale evento, davvero difficile pensare che Dante
potesse pubblicare una versione del Dve qual è quella a noi giunta, in cui si cele-
brano con la lingua le istituzioni comunali petroniane.
Nella scrittura dell’Inferno questo capovolgimento di prospettiva (rispetto a
Dve) è svolto tramite la ritrattazione delle tesi del De vulgari e la palinodia di testi
danteschi di conio bolognese come il sonetto della Garisenda, il capitolo quindi-
cesimo del primo libro del trattato dantesco (in Inf. XVIII-XXXI) e il Fiore20, la
cui attribuzione all’Alighieri resta non unanimemente condivisa (in Inf. XXIII). La
trasformazione di Bononia da città accogliente e linguisticamente preminente (of-
ferta dal trattato nel 1304-1305) a città infernale dall’avaro seno avviene attra-
verso una forte caratterizzazione degli elementi municipali della lingua,
inversamente a quanto proposto nel Dve, dove un fatto notevole è «che il bolo-
gnese è il solo, fra i dialetti italiani presi in più attenta considerazione, del quale
[Dante] non offra uno specimen linguistico puntuale»21.
Nell’Inferno la svolta dantesca coinvolge la fonetica e la morfologia del bolo-
gnese. Una strategia comunicativa analoga a quella impiegata nel Dve per descri-
vere le parlate municipali che sono caratterizzate in modo fonetico-lessicale (con
l’eccezione del bolognese). L’alto rango del bolognese si misura, all’altezza della
Commedia, sulla sua nominazione, analoga a quella prescelta nel Dve per definire
il panromanzo, il provenzale, l’antico francese e l’italiano, ed è garantito dalla sua
definizione come lingua del sipa. Tale nominazione appare un’insensata pretesa
che ne certifica la praesumptio babelica. Quell’altezzoso sipa intenderebbe irrea-
listicamente competere con le particelle pronominali iò, oc, oïl e sì del trattato (I,
VIII, 3; 5-6; I, IX, 2; I, X, 1), risultando però un evidente localismo. Del resto si
tratta della lingua usata dal fazioso Venetico e da una parte, la maggioranza, dei
bolognesi (Inf. XVIII, 40-66).
L’episodio consente di ritrattare il lusinghiero giudizio offerto del bolognese
pochi anni prima e di stigmatizzare le peculiarità negative di una lingua munici-
pale personificata dal Caccianemici, che contribuì, fin che fu in vita, per ambi-
zione personale, all’indebolimento del governo cittadino moderato retto dal partito

20 Il Fiore e il Detto d’Amore, a cura di L. Formisano, Roma, Salerno, 2012.


21 DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di G. Inglese, cit., p. 113.
182 Armando Antonelli

guelfo dei Bianchi, contrario alle mire egemoniche ed espansioniste del marchese
di Ferrara. Venetico incarna quella faziosità municipale che si rifrange persino nel
nome in un processo di sonorizzazione che lo trasforma con patina fonetica bolo-
gnese in Venedico. Il suo parlare va evidentemente in senso contrario rispetto alla
chiara favella di Dante. Il tratteggiamento del fosco quadro morale (e politico) si
delinea sul piano linguistico attraverso il prelievo localistico del sintagma pun-
genti salse, la forma settentrionale e sonorizzata di scuriada, la molteplice poli-
fonia di voci di condannati bolognesi che tante lingue non son ora apprese, e viene
anticipato dal termine berze, germanismo diffuso in area settentrionale.
Un secondo brusco passaggio per Bologna avviene nel canto XXXI dell’In-
ferno dove tornano protagonisti, come nel Dve, Babele, città della confusione, e
Nembrotto suo fondatore. Nei canti XVIII, XXIII e XXXI assistiamo a un processo
di revisione integrale della realtà bolognese, persino il paesaggio urbano, il fa-
moso skyline, al centro di un sonetto giovanile (il sonetto No me poriano zamai far
emenda)22, diviene emblematico dell’Inferno babelico. Si compie così la trasfi-
gurazione estetica della città, da Bononia a Babilonia, da torre cortese a torre della
confusione, fondata dal gigante Nembrotto: un gioco favorito dalla sonorità che
facilita l’analogia e dalla similitudine tra la Garisenda e il gigante Anteo (Inf.
XXXI, 19-45; 67-81; 133-145)23.

3. La riflessione sul volgare a Bologna. Il De vulgari eloquentia pare riflettere


un vasto dibattito che si andava svolgendo all’interno del milieu laico bolognese,
nel Duecento, tra i professori nelle aule dello Studium e tra i teorici del regime
comunale nelle assemblee consiliari, impegnati a elaborare un linguaggio politico
nuovo, sotto il segno della retorica24. Nella Bologna del tempo di Dante andava
dipanandosi una profonda riflessione sullo statuto delle artes (oratoria, prosa
d’arte, notariato, grammatica, poetica, filosofia, diritto) e sul loro ruolo nella so-

22 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di D. De Robertis, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo,

2005, pp. 307-310. Sull’interpretazione del sonetto si veda la rassegna di A. COTTIGNOLI, Ancora sul
sonetto bolognese della Garisenda (No me poriano zamai far emenda), in Le Rime di Dante, a cura
di C. Berra, P. Borsa, Milano, Cisalpino, 2010, pp. 307-319 e S. NATALE, L’indovinello bolognese.
Il sonetto dantesco della Garisenda visto da Strada Maggiore, «Lettere Italiane», LXIII, 2011, pp.
416-447.
23 E. PASQUINI, Dante e Bologna, «Strenna storica bolognese», XXX, 1980, pp. 277-296, ID.,

Dante e lo Studio, 4/VI, Milano, Aiep, 1987, pp. 61-80.


24 A. STELLA, op. cit., p. 261: «Proprio a Bologna si sviluppa, nella prima metà del Duecento, in

tempestivo anticipo dunque sulla stessa Firenze di Bono Giamboni e di Brunetto Latini, una retorica
volgare». E. ARTIFONI, Retorica e organizzazione del linguaggio politico nel Duecento italiano, in Le
forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, Roma, École française de Rome, 1994, pp.
157-182, M. GIANSANTE, Retorica e politica nel Duecento. I notai bolognesi e l’ideologia comunale,
Roma, ISIME, 1998, E. ARTIFONI, Una forma declamatoria di eloquenza politica nelle città comu-
nali (sec. XIII): la concione, in Papers on rhetoric, VIII, Declamation, ed. by L. Calboli Montefusco,
Roma, Herder, 2007, pp. 1-28, P. CAMMAROSANO, L’éloquence laïque dans l’Italie communale (fin du
XIIe-XIVe siècle), «Bibliotheque de l’école des chartes», CLVIII, 2000, pp. 431-442.
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 183

cietà, promossa, dibattuta e divulgata da doctores prestigiosi e riconosciuti in un


ambiente altamente competitivo25.
Difficile non cogliere negli esordi del De vulgari e del Convivio riflessi anche
puntuali a testi, a docenti, a tematiche (come quella del tradurre la scienza in vol-
gare) in ebollizione nel milieu culturale cittadino. Dante, inaugurando il commento
filosofico in volgare dei propri testi poetici, richiama proprio la traduzione bolo-
gnese di Taddeo Alderotti26 dell’Etica Nicomachea di Aristotele, nella versione
alessandrina, che fu il primo tentativo bolognese di tradurre in volgare testi filo-
sofici (I, X, 10)27. Una cospicua documentazione d’archivio testimonia, inoltre,
l’ampia disponibilità di biblioteche di privati e di enti religiosi, l’abbondante cir-
colazione e copia di libri, cui Dante avrebbe, in qualche modo, potuto attingere28;
fonti che potrebbero assommarsi a quelle di prima mano sulla poesia e sulla prosa
in volgare bolognese, senza dimenticare che la città doveva apparire una vera e
propria babele di lingue che risuonavano nelle strade frequentate da magistri, stu-
denti di tutte le nationes, mercanti e prestatori, presenti in città. I titoli delle due
opere, i meriti vantati (teorici e metodologi) disseminati da Dante nel proemio o
in luoghi strategici delle due opere, la forte presenza autobiografica dell’autore, il
confronto intenso e antagonistico, sia esso esplicitato o implicito, con maestri ri-
conosciuti e con opere famose, la forte tensione competitiva con i contemporanei
sono tutti elementi che possono, anch’essi, essere ricondotti naturaliter a Bologna,
all’orizzonte d’attesa del pubblico cui paiono fare riferimento il Dve e il Convivio.
Sono noti i tentativi autopromozionali di famosi doctores e apologetici di una
scientia negli ambienti universitari bolognesi. Elementi che traducono una ten-
sione duplice e dialettica tra presente e passato nel tentativo di superamento e mi-
glioramento continuo gnoseologico. Per queste ragioni molti autori si presentano
come innovatori delle materie accademiche di cui detengono la sapienza, che
fanno assurgere a modello conoscitivo assoluto promuovendole a chiave inter-
pretativa del sapere universale, a “grimaldello” euristico per leggere l’intero

25 G. FIORAVANTI, Sermones in lode della filosofia e della logica a Bologna nella prima metà del

XIV secolo, in L’insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo, a cura di D. Buzzetti, M. Fer-
riani, A. Tabarroni, Bologna, Istituto per la storia dell’Università, 1992, pp. 165-185, ID., Philoso-
phi contro legisti: un momento dell’autoaffermazione della filosofia nel Medioevo, in Miscellanea
Mediaevalia, a cura di J. A. Aertsen, Berlin-New York, de Gruyter, 1998, pp. 421-427, Frontières
des savoirs en Italie à l’époque des premières universités (XIIIe-XVe siècles), par J. Chandelier et
A. Robert, Roma, École française de Rome, 2015.
26 Cfr. Par. XII, 82.
27 S. GENTILI, L’uomo aristotelico alle origini della letteratura italiana, Roma, Carocci, 2005,

I. ZAVATTERO, I volgarizzamenti duecenteschi della Summa Alexandrinorum, «Freiburger Zeitschrift


für Philosophie und Theologie», LIX, 2012, pp. 333-359, R. LIBRANDI, Dante e la lingua della
scienza, «Letture classensi», XLI, 2013, pp. 61-87, e i saggi pubblicati in «Aristotele fatto volgare».
Tradizione aristotelica e cultura volgare nel Rinascimento, a cura di D.A. Lines e E. Refini, Pisa,
ETS, 2014.
28 G. ORLANDELLI, Il libro a Bologna dal 1300 al 1330, Bologna, Zanichelli, 1959, L. GARGAN,

Dante, la sua biblioteca e lo studio di Bologna, Padova, Antenore, 2014, A. ANTONELLI, Dante e Bo-
logna. Un omaggio a Pasquini, cit.
184 Armando Antonelli

mondo scibile: una sorta di teologia laica. Ciò vale, in determinati momenti, per
le discipline dello Studium, in un ambiente, come quello delle artes, pregno di
studi grammaticali e filosofici, durante gli ultimi decenni del Duecento e i primi
del secolo seguente. Il trattato dantesco non fa eccezione. Mi sembra che le due
opere dedicate al volgare trovino i loro lettori privilegiati a Bologna negli am-
bienti colti dei maestri dello Studium, dei notai e dei teorici dell’oratoria pubblica.
Del resto la città era stata nel Duecento al centro del dibattito sulla poetica, che
aveva visto contrapporsi a Guittone d’Arezzo e a Bonagiunta Orbicciani da Lucca
l’innovatore Guido Guinizzelli. Un ruolo, quello del Guinizzelli, che era stato as-
sunto da Onesto da Bologna, che non aveva esitato a dibattere di “stilnovismo” con
Cino da Pistoia. Mi pare che il trattato riconosca pienamente questa posizione di
forza dei poeti bolognesi, e in particolar modo di Guido Guinizzelli, così come è
ribadita nel Purgatorio, nei canti dedicati a poesia e ai poeti e nei versi del lucchese
(Purg. XXIV, 49-50): «Ma dí s’i’ veggio qui colui che fore / trasse le nove rime,
cominciando».
La consapevole riflessione sull’ars del poetare in volgare partecipa in città del
più ampio dibattito degli artisti, tradizionale all’interno dello Studium. Il quadro
non si modificherà neppure negli anni immediatamente successivi allorché il di-
scorso sulla poesia, sul fondo di una nuova sensibilità di matrice pre-umanistica,
vedrà protagonisti ancora una volta un maestro bolognese e il fiorentino (Gio-
vanni del Virgilio e Dante). Pressappoco negli stessi mesi vengono realizzati il
Convivio e il commento filosofico a Donna me prega di Guido Cavalcanti da parte
di Dino del Garbo. Risalgono agli anni Venti la composizione dell’autocommento
di Cecco d’Ascoli, che non mancherà di entrare in aperta polemica con alcuni luo-
ghi della Commedia, nell’Acerba, scatenando l’immediata reazione da parte di al-
cuni poeti (Matteo Mezzovillani e Giovanni Quirini). Negli stessi anni andava
inaugurandosi la stagione bolognese dei commenti alla Commedia in latino e in
volgare (Graziolo Bambaglioli e Iacomo della Lana)29.
Lo Studium è pertanto essenziale per individuare il pubblico più immediato
cui Dante intendeva rivolgersi nello stendere un trattato latino sull’eloquenza in
volgare e un commento (un autocommento) sulla poesia filosofico. I generi (il
trattato e il commento), i temi (la filosofia, la poetica e l’eloquenza in volgare)
erano tradizionali e perfettamente congeniali alle aule delle artes30. Si aggiunga

29 C. CIOCIOLA, L’autoesegesi di Cecco d’Ascoli, in L’autocommento, a cura di G. Peron, Padova,

Esedra, 1994, pp. 31-41, E. FENZI, La canzone d’amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi com-
menti, Genova, il melangolo, 1999, S. BELLOMO, Dizionario dei commentatori danteschi, Firenze,
Olschki, 2004, E.M. DUSO, Un episodio della fortuna dell’Acerba nel Trecento, in Cecco d’Ascoli:
cultura, scienza e politica nell’Italia del Trecento, Roma, ISIME, 2007, pp. 27-52, R. MARTORELLI
VICO, L’idea della generazione naturale e straordinaria secondo Cecco d’Ascoli: indagine sulle
fonti medico-biologiche, ivi, pp. 167-182, A. ANTONELLI, Nuovi sondaggi archivistici su Cecco
d’Ascoli a Bologna, ivi, pp. 241-276, A. RAFFI, Dante e l’embriologia aristotelica, «Campi imma-
ginabili», I-II, 2012, pp. 5-38, DANTE ALIGHIERI, Egloge, a cura di G. Albanese, in DANTE ALIGHIERI,
Opere, Milano, Mondadori, 2014, pp. 1593-1783.
30 Per questa congerie di indizi, per le congetture che da essi ho tratto, per il quadro culturale e
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento 185

infine che accanto ai doctores anche altre componenti intellettuali della società
laica comunale (notai e responsabili della cancelleria comunale) sembrano inter-
rogarsi sul rapporto tra grammatica e volgare, sia in ambito teorico sia in ambito
pratico31, come si evince da alcune fonti bolognesi del sec. XIII: nel primo caso
si tratta di una norma statutaria, prevista a metà Duecento dal Comune di Bologna,
in cui si regolamenta l’esame pubblico di notariato, nel secondo caso si tratta del
commento alla Summa artis notarie di Rolandino de’ Passeggeri allestito da Pie-
tro de’ Boattieri32:

[…] et faciant singulos examinandos scribere in presentia vel dictare epistolam se-
cundum thema datam a se iudice et faciat singulos legere et reccitare scripturas quas
fecerint et instrumenta que dixerint vel vulgariter vel litteraliter.

Tamen accipe aliquas regulas circa vulgare reddendum: prima est quod quotiescunque
reperitur aliquod verbum, quod commode non recipiat vulgare, illud debet omitti in vul-
gari reddendo, ut «tradidit». Hoc non recipit commode vulgare quia rusticus diceret:
«tabellio vult me prodere, quando debet facere instrumentum meum» si tu diceres ‘à
tradito’. Secunda regula est, quod, quando reperitur aliquod verbum preteriti tempo-
ris, debet reduci ad presens, ut «dedit» et «vendidit» idest ‘dà’ et ‘vendè’’.Tamen debet
scribi in preterito, quia postea in significatione sua verbum illud permanet. Tertia re-
gula est, quod, si reperietur aliquod participium desinens in «-ans» vel in «-ens» pre-
sentis temporis, debet reduci in vulgarizando ad gerundium ut «stipulanti» idest
‘stipulando’ et cetera. Et istas regulas sempre habeatis in mentis.

intellettuale bolognese che pare fare da riferimento alle due opere dantesche, mi pare molto proba-
bile rintracciare il marchio di fabbrica del Dve (e probabilmente del Convivio) a Bologna, concordando
in ciò con Tavoni, nonostante le riserve ragionevoli avanzate da Fenzi, da Inglese e da molti altri. Su
cui cfr. DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di M. Tavoni, cit., e M. TAVONI, Qualche idea
su Dante, Bologna, il Mulino, 2015, DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di E. Fenzi, cit.,
G. INGLESE, Vita di Dante. Una biografia possibile, Roma, Carocci, 2015, pp. 81-88.
31 P. FIORELLI, La lingua del diritto e dell’amministrazione, in Storia della lingua italiana, cit.,

II, pp. 553-597, in particolare pp. 564-565.


32 Per i testi bolognesi cfr. Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di L. Frati,

II, Bologna, Deputazione di Storia patria, 1869, L. VIII, rub. I. e A. GAUDENZI, I suoni, le forme e le
parole dell’odierno dialetto della città di Bologna, Torino, Loescher, 1899, pp. XXI-XXII.
INDICE

Presentazione p. 7
ALDO MENICHETTI
Bonagiunta e dintorni » 9
PAOLA ALLEGRETTI GORNI
Poeti antichi italiani nelle carte del Palatino » 15
GAIA GUBBINI
Immaginazione e malinconia, occhi “pieni di spiriti” e cuori sanguinanti:
alcune tracce nella lirica italiana delle origini » 29
FABIAN ALFIE
La “Donna Taverna”: la ballata delle due cognate ubriache » 41
MARCO BERISSO
«Secondo il corso del mondo mess’ò ʼn rima!».
Le canzoni socio-economiche di Monte Andrea » 49
PASQUALE STOPPELLI
Per un nuovo profilo di Dante da Maiano » 65
NICOLA PANIZZA
Panuccio del Bagno nella Pisa di Ugolino (1284-1288) » 75
GIUSEPPE CRIMI
Immagini e metafore oscure in epigoni di Guittone » 85
GIORGIO INGLESE
Due canzoni “politiche” di Guittone » 101
PAOLO RIGO
«Io vo come colui ch’è fuor di vita». Un topos letterario del Duecento » 115
ANTONIO LANZA
Cavalcantismi dicotomici: il cavalcantismo edulcorato di Gianni Alfani
e quello visionario di Dino Frescobaldi » 131
SEBASTIAN NEUMEISTER
La lezione della luce nelle poesie di Guido Guinizzelli » 145
286 Indice generale

SILVIA FINAZZI
Il Guittone morale delle lettere in versi » 155
ARMANDO ANTONELLI
La riflessione sul volgare a Bologna nel Duecento » 171
LUCA MARCOZZI
Stilnovisti ed elegia latina » 187
FRANZISKA MEIER
Ser Giacomo valente. La figura del “giurista-poeta”
nella scuola siciliana: Giacomo da Lentini » 203
FRANCO SUITNER
Per Iacopone, tra biografia e mistica » 219
NICOLINO APPLAUSO
Folgore da San Gimignano e la parodia di Cenne:
intrighi politici e poetici (con nuovi dati biografici) » 237
MARCELLO CICCUTO
Da Guittone all’Intelligenza. Poesia e immagini nel ’200 » 257
Indice degli autori e delle opere anonime » 273

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