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il cibo la tua medicina di Attilio Speciani www.eurosalus.com

Celiachia: si incrinano le certezze?
Alcune considerazioni che riguardano la malattia celiaca sono in
contrasto tra loro ma questo, anziché diventare fonte di crescita della
conoscenza, viene spesso nascosto. La concezione medica più con-
sueta definirebbe la celiachia un’intolleranza al glutine (proteina pre-
sente in frumento, orzo, farro, kamut e altri cereali) che determina una
lesione grave della mucosa intestinale e un conseguente malassorbi-
mento. La sua cura dovrebbe comportare l’eliminazione completa del
glutine per tutta la vita. Ma non è così semplice: negli ultimi anni so-
no emersi studi scientifici importanti che pongono qualche dubbio su
questa concezione.
1) Dal 2003 Hugh Sampson, professore alla Mt Sinai School of Medicine
di New York, ha definito la celiachia una forma di allergia alimenta-
re mista, sia immediata sia ritardata, causata cioè dal contatto
dell’intestino con il glutine per più giorni consecutivi. In alcuni
casi il glutine deve essere eliminato del tutto, ma in altri proba-
bilmente potrebbe essere solo modulato.
2) In molte nazioni l’avena è proibita, in altre consentita, a testi-
moniare poca chiarezza nelle decisioni sulla reattività alimentare.
3) Sono stati proposti casi di celiachia transitoria, cioè guarita, su
alcune riviste scientifiche, ma se ne parla poco.
4) Chi mangia prodotti senza glutine crede di non ingerirlo. Invece c’è
una soglia di tolleranza per il glutine di 5 mg per chilo di alimento.
5) Dal 2004 l’allergologia si interroga sui lavori scientifici che hanno
dimostrato talvolta più problematica l’eliminazione di un cibo
piuttosto che la rieducazione dell’organismo alla sua tolleranza.
Tutto ciò a testimoniare che c’è ancora molto da definire, e per ora so-
lo un medico competente e aggiornato può individualmente valutare
il parziale reintegro o l’esclusione perenne del glutine dalla dieta.

Cibi, le combinazioni
più salutari
Ho letto che pollo e cavolini di Bruxelles,
mangiati insieme, moltiplicano di dieci volte
i loro effetti antitumorali, come il salmone
fresco con l’insalata. È vero? E se è vero, ci
sono altre indicazioni simili? E quali sono in-
vece le combinazioni dannose?
Adele R. (62 anni, Milano)
Negli ultimi anni si è visto che gli antiossi-
danti agiscono meglio se utilizzati a bassi
dosaggi e in modo integrato tra loro. Ad
esempio, poca vitamina C, affiancata a mine-
rali e vitamine antiossidanti, ha degli effetti
più benefici che alte dosi di sola vitamina C.
In campo nutrizionale cibi sani, possibil-
mente biologici, affiancati ad alimenti con
un alto valore antiossidante, hanno una
buona attività sinergica. Non è possibile mi-
surare in pratica questo valore, ma nello stes-
so modo in cui possono funzionare cavolini
e pollo, o insalata e pesce, possono funzio-
nare anche mirtilli e ricotta, uva con le noci
e le mandorle o altre gustose e soprattutto
“colorate associazioni”. Di certo sappiamo
che pesce e carni bianche non hanno la
tendenza a generare forme tumorali. L’asso-
ciazione poi con frutta o verdura, già di per
sé ricca di sostanze antiossidanti, non può
che dare effetti benefici.
Cosa mangiare
se la prolattina è alta?
Da qualche tempo ho la prolattina alta. Cosa
posso fare per riportarla a livelli fisiologici in
modo naturale? Ci sono delle possibili scelte
nutrizionali?
Rosaria D. (35 anni, Catanzaro)
Negli ultimi anni è sempre più chiaro che la
nostra alimentazione interferisce sul sistema
ormonale. Il tutto origina dalla maggiore o
minore capacità di alcuni alimenti di indurre
resistenza all’insulina o all’opposto di miglio-
rarne la sensibilità. La policistosi ovarica
(ovaio policistico) o i disturbi tiroidei, ad
esempio, dipendono anche da questo, e l’al-
terazione della prolattina potrebbe essere
parimenti correlata. Chiedo spesso a chi ha
la prolattina alta di valutare la presenza di
intolleranze alimentari. Spesso è coinvolto
il latte, che agisce, come le proteine lattiero
casearie, inducendo insulino resistenza e fa-
cilitando l’ingrassamento. Regolare l’intro-
duzione dei latticini, attivare con costanza il
movimento aerobico e mangiare con giu-
sto equilibrio proteine e carboidrati, sono
spesso gli strumenti più semplici per tornare
verso valori normali di prolattina.
Esistono davvero gli alimenti
del buon umore?
Sempre più spesso si legge di un rapporto di-
retto tra il modo in cui si mangia e la depres-
sione. Come sta muovendosi la ricerca in
questo campo? Ci sono delle indicazioni pra-
tiche, utili per tutti?
Ginevra N. (48 anni, Asti)
Il legame tra le funzioni del tessuto adipo-
so e la depressione si fa sempre più chiaro.
Si stanno scoprendo molte sostanze, come
la leptina, che vengono prodotte nel tessu-
to adiposo in risposta al tipo di alimenti in-
geriti e che agiscono come antidepressivi.
Cioè, chi mangia nei momenti giusti
riceve dalla leptina un’induzione al di-
magrimento e al controllo della fame,
ma anche uno stimolo diretto sull’umo-
re, come se usasse un potente antidepres-
sivo naturale. Solo che per innescarlo non
bisogna andare in farmacia: è sufficiente
mangiare, fare una ricca prima colazione
e attivare il metabolismo con l’attività
fisica. La presenza della leptina, inoltre, re-
gola anche il dispendio dell’energia, facili-
tando il dimagrimento.
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68 marzo 2007