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ODONTOSTOMATOLOGIA

Sorriso smagliante

Appunti di odontostomatologia

Con la gentile collaborazione del gruppo sbobina di Odontostomatologia:

Cibarelli Francesca

D’Aniello Roberta

Granozio Giovanni

Saraceno Federica

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ODONTOSTOMATOLOGIA

ANATOMIA DEL DENTE E DEL PARADONTO

Le funzioni principali dei denti sono:

- Triturazione degli alimenti, al fine di facilitarne il successivo processo digestivo;


- Articolazione della parola, basti pensare che i denti sono i responsabili della
produzione dei suoni delle consonanti dette “dentali”;
- Mantenimento dell’estetica facciale.

L’elemento dentario è composto da una corona dentaria e da radici. Il punto di


passaggio tra corona e radice viene detto colletto. Sia la corona che le radici sono
costituite da tessuti diversi.

Classicamente la corona è composta:

- nella sua parte più esterna dallo smalto;


- nello strato sottostante dalla dentina;
- in profondità dalla cavità pulpare e dall’asse vascolo-nervoso.

La caratteristica peculiare
dell’elemento dentario è
rappresentata dalla possibilità di
essere sostituito mediante un
elemento implantare: da ormai
40 anni abbiamo infatti a
disposizione una struttura
protesica, un impianto di metallo
(titanio) che può essere inserito
nell’osso (osteointegrazione), e
che opportunamente ricostruito,
protesizzato, è in grado di
vicariare l’elemento dentario.

L’impianto è stato sviluppato in


modo da poter essere il più simile
possibile al dente, e infatti soffre
anche delle stesse malattie di cui
può soffrire il dente: non può
soffrire di carie (essendo una struttura sintetica), ma soffre di malattia peri-implantare, che
è l’omologo della malattia parodontale.

L’abbiamo accennato ora per sottolineare che la peculiarità di questo sistema è appunto la
connessione tra un “esterno” e un “interno”.

Per “esterno” noi intendiamo la cavità orale, che è un ambiente settico fin dalla nascita;
per “interno” intendiamo il sistema di supporto delle radici (o un sistema impiantare ad
osteointegrazione in caso di sostituzione mediante un impianto) in cui ci deve essere
assoluta assenza di batteri.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Pertanto ci deve essere un sistema di attacco molto efficace in grado di bloccare questi
batteri, interrompendo questa continuità tra i due elementi.

Le radici sono contenute in una cavità ossea detta alveolo e fissate a questa tramite il
legamento alveolo dentario che va dal cemento alla parete interna dell’alveolo o cortex
alveolaris. La radice è composta da:
- cemento radicolare;
- dentina radicolare;
- asse neuro-vascolare.
Il cemento è una sostanza molto simile all’osso, ma con una differenza fondamentale: non
è un tessuto cambiale (che cambia continuamente, come l’osso).

Nell’interfaccia di mantenimento, quindi, è presente da un lato un tessuto osseo, tessuto


cambiale (in particolare l’osso alveolare della mandibola e del mascellare superiore), e
dall’altro lato il cemento, tessuto non cambiale.

Nell’interfaccia tra i due è presente il legamento parodontale, o legamento alveolo-


dentario (a livello dell’articolazione alveolo-dentaria, o gonfosi).

Il colore della corona è bianco-azzurro nei decidui e di un bianco tendente al giallo nei
permanenti. Questa coloritura è dovuta all’usura dello smalto e per aumentata
mineralizzazione della dentina.

In condizioni fisiologiche, il margine della gengiva è situato all’altezza del colletto dentario.
Tuttavia, vi sono delle condizioni patologiche, in cui si parla di:

- gengiva ipertrofica, quando il colletto è posto più in basso;


- gengiva in recessione quando il colletto è posto più in alto.

Per corona clinica intendiamo quella parte della struttura dentaria posta al di sopra del
margine gengivale in recessione.

Le radici possono essere mono o pluriradicolari e hanno una forma diversa, caratteristica
propria degli elementi dentari. Il cavo pulpare si estende dalla corona all’estremità apicale
della radice dove la polpa si continua attraverso il formane apicale, col fascio vascolo-
nervoso del dente.

Il cavo pulpare è delimitato dalla dentina. La dentina è presente sia nella corona, dove è
rivestita dallo smalto, sia nella radice, dove è rivestita da cemento. Il cavo pulpare si divide
in camera pulpare a livello della corona e in canale radicolare a livello delle radici.

Il legamento parodontale ha varie funzioni:

- innanzitutto come gli altri legamenti esso ha la funzione di mantenere bene il


dente nella sua sede;
- è inoltre un ammortizzatore, poiché serve a disperdere funzionalmente le forze
occlusali (le sue fibre sono tutte disposte radialmente alle strutture radicolari quindi
permette di assorbire le forze e ridistribuirle in modo più omogeneo su tutta la
superficie ossea).

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Questi due elementi non sono quelli fondamentali, come dimostra l’implantologia. Gli
impianti, infatti, non hanno il legamento parodontale ma non soffrono della mancanza di
queste due caratteristiche. Grazie all’osteointegrazione, infatti, si viene a creare un legame
biochimico tra la superficie ossea e il biossido di titanio della superficie impiantare che
riesce perfettamente a mantenere il dente in sede, nonostante l’assenza del legamento
parodontale.

Inoltre anche senza il sistema di ammortizzazione del legamento parodontale gli impianti
funzionano perfettamente (studi ci dicono che la sopravvivenza dell’impianto a 10 anni
arriva anche al 92 – 94 %).

La funzione fondamentale del legamento parodontale, invece, sta nel fatto di “separare”
le due strutture, quella cambiale dell’osso e quella non cambiale del cemento.

In assenza di questa separazione infatti gli osteoclasti dell’osso riassorbono anche il


cemento, e non esistendo più (dopo l’embriogenesi) i cementoblasti, le aree assorbite
vengono riempite da osso.

Si va incontro quindi a riassorbimento della radice dentaria e rizalisi, con perdita


dell’elemento dentario.

L’apice dentario della superficie radicolare è quello che viene attraversato dall’asse
neuro-vascolare, che va poi a costituire la polpa dentaria (volgarmente detto il “nervo”),
struttura fondamentale poiché la sintomatologia di patologie come carie o pulpiti viene
trasmessa tramite questa terminazione nervosa.

Le strutture che servono a mantenere l’elemento dentario in sede sono le strutture


parodontali (“circondanti l’elemento dentario”).

Esse sono quattro: osso alveolare, legamento parodontale, cemento radicolare


e gengiva. Dei primi tre abbiamo già parlato.

La gengiva è costituita dai tessuti molli parodontali. Essa può essere cheratinizzata o non
cheratinizzata. Per definizione la gengiva è il tessuto disposto intorno all’elemento
dentario. Lo stesso tessuto, ma disposto intorno ad un elemento implantare assume il
nome di “mucosa masticatoria” (nonostante sia identico alla gengiva).

La gengiva è quindi quella mucosa che ricopre il processo alveolare ed il colletto dei denti.
Distinguiamo:

- gengiva libera o marginale: va dal margine gengivale alla base del solco gengivale
fisiologico e circonda, senza essere adesa, il dente con il quale forma il solco
gengivale fisiologico;
- gengiva aderente: dalla base del solco gengivale fisiologico alla giunzione muco-
gengivale, aderisce al cemento del colletto ed all’osso alveolare sottostante senza
interposizione di uno strato adiposo.

Il solco gengivale fisiologico è lo spazio virtuale che separa il dente dalla gengiva
marginale o libera ed ha una profondità pari all’altezza della gengiva marginale (0,5-2
mm).

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Il cemento costituisce l’apparato di attacco del dente all’osso alveolare, insieme alle fibre
parodontali. È costituito da tessuto mesenchimale calcificato che ricopre la superficie
radicolare dei denti nel quale si inseriscono le fibre parodontali. Il cemento, come l’osso
alveolare, è attraversato dalle fibre di collagene del legamento parodontale, che assumono
l’aspetto di fibre di Sharpey calcificate che costituiscono il sistema di fibre estrinseche del
cemento attraversandolo obliquamente. Le fibre intrinseche del cemento sono prodotte dai
cementoblasti, sono parallele all’asse lungo del dente e si incrociano con le prime.

Il cemento è caratterizzato da una deposizione continua nel corso degli anni che ne
aumenta lo spessore e non va incontro a riassorbimento.

Il legamento parodontale va dal cemento alla cortex alveolaris. Sono quattro gruppi di
fibre che vanno dal cemento cervicale alla cortex alveolaris:

- dall’alto in basso;
- orizzontali;
- oblique dal basso in alto;
- periapicali con disposizione raggiata.

Tali fibre hanno un decorso ondulante per assicurare al dente la sua mobilità fisiologica. Il
legamento riceve innervazione dolorifica, tattile, pressoria e propriocettiva.

L’osso alveolare è costituito da:

- corticale esterna;
- osso spugnoso intermedio;
- corticale interna a o cortex alveolaris.

La lamina dura è perforata da numerosi canali di Volkmann, attraverso i quali i vasi e i


nervi passano dall’osso al legamento parodontale.

CENNI DI EMBRIOLOGIA

Gli elementi dentari originano dalla lamina dentaria (costituita da cellule mesodermiche),
che si approfonda a ferro di cavallo nello stomodeo.

Queste cellule vanno a costituire la primitiva papilla dentaria, che poi si trasformerà nella
cosiddetta “campana di Williams”, a forma appunto di campana, che avvolge la parte
embriologica della polpa dentaria.

Le radici quindi crescono intorno alla struttura vascolo-nervosa, e si chiudono con l’apice
radicolare intorno ad essa (non è la struttura vascolo-nervosa a penetrare nell’elemento
dentario!).

NOMENCLATURA

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ODONTOSTOMATOLOGIA

E’ fondamentale per poter descrivere i danni subiti dagli elementi dentari ad esempio in
caso di incidente al pronto soccorso (per motivi medico-legali).

Abbiamo diversi tipi di nomenclature. Un primo metodo, secondo l’OMS, prevede:

- Innanzitutto una suddivisione in arcata superiore (mascellare) e arcata inferiore


(mandibolare);
- Un’ulteriore suddivisione di ogni arcata in un lato destro e uno sinistro;
- Un sistema di numerazione di ogni dente secondo il quale il numero 1 è assunto
dall’incisivo centrale (l’incisivo laterale assume
il numero 2, il canino il numero 3, e così via).

Un secondo metodo prevede l’identificazione di


ogni elemento dentario con un numero di due
cifre.

Il primo numero corrisponde a quello del


quadrante.

Il primo quadrante per convenzione è il


superiore di destra. Si procede poi in senso
orario (superiore di sinistra, inferiore di sinistra e
inferiore di destra).

Il secondo numero sarà invece quello proprio di


ogni elemento dentario.

Discorsivamente, invece, gli elementi dentari saranno indicati come: incisivo centrale,
incisivo laterale, canino, primo e secondo premolare, primo, secondo e terzo molare
(specificando l’arcata e il lato).

Nel nord America invece abbiamo un altro tipo di numerazione, che indica gli elementi
dentari con un numero da 1 a 32 seguendo sempre il senso dei quadranti (dal superiore
destro in senso orario fino all’inferiore destro).

Questo può creare una serie di problemi nell’interpretazione dei referti, poiché ad
esempio, parlando del dente numero “12” potremmo riferirci sia all’incisivo laterale di
destra dell’arcata superiore (nomenclatura europea), sia al primo premolare di sinistra
dell’arcata superiore (nomenclatura americana).

ORIENTAMENTO DEI PUNTI NELLO SPAZIO

Oltre alla nomenclatura dei singoli elementi dentari dobbiamo stabilire i punti cardinali ai
quali ci riferiamo per orientarci.

Non parliamo infatti di “alto” o “basso” (concetti relativi, quando parliamo dei denti, a causa
della presenza di un’arcata superiore e una inferiore).

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Parliamo invece di“coronale” (facendo riferimento alla corona) e di “apicale” (facendo


riferimento all’apice radicolare), concetti oggettivi.

Inoltre mentre in anatomia parliamo “mediale”, qui parleremo di “mesiale”, riferendoci a


tutto quello che è orientato verso la linea mediana (quella che passa tra i due incisivi
superiori e i due incisivi inferiori).

La linea mediana dal punto di vista estetico e funzionale, in ortodonzia, andrebbe allineata
con la glabella. E’ possibile avere una linea mediana (o linea inter-incisiva) “spostata in
toto” da un lato o dall’altro ma “allineata” perché gli incisivi centrali superiori e inferiori
sono “in asse” tra loro, ma non con il profilo del volto, ovvero con la linea passante per la
glabella e le apofisi geni mandibolare.

Se invece la linea mediana è allineata col profilo del volto parliamo di “linea mediana
centrale”.

Tutto quello che si avvicina alla linea mediana è mesiale, mentre tutto quello che vi si
allontana è detto distale.

Abbiamo infine un linguale, un palatale, e un vestibolare (o buccale).

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DENTIZIONE DECIDUA

E’ composta soltanto da 10 elementi ad arcata: incisivi centrali, incisivi laterali, canini,


primi e secondi molari decidui.

Questi denti decidui occupano lo spazio per solamente alcuni denti permanenti (fino ai due
premolari), anche se il diametro mesio-distale dell’arcata decidua è maggiore rispetto allo
spazio poi occupato da questi denti permanenti.

Questo accade perché il primo molare permanente che erompe distalmente ai molari da
latte, ha così una “spazio di deriva” (leewayspace) grazie al quale può migrare, dopo
che siano sovvenuti i due premolari permanenti, scivolando fino a serrare tutti gli spazi
rimasti.

Nomenclatura dei denti decidui

In questo caso i quadranti sono 5, 6, 7 e 8, seguendo la solita disposizione in senso orario


(dal quadrante superiore destro all’inferiore destro).

Come nella dentizione permanente, il numero del quadrante sarà seguito dal numero del
dente in questione (dall’1 al 5).

TEMPISTICA DI ERUZIONE

I tempi di eruzione dei denti sono estremamente variabili (come si è constatato negli
ultimi decenni grazie all’aumento del campione valutato: cento anni fa’ si riteneva che i
tempi fossero molto più definiti a causa della povertà dei dati in possesso dei dentisti).

Ad ogni modo in ordine di tempo gli elementi che entrano nell’arcata dentaria decidua
sono:

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- gli incisivi centrali inferiori;


- gli incisivi laterali inferiori contemporaneamente agli incisivi centrali superiori;
- gli incisivi laterali superiori;
- i primi molari;
- i canini;
- i secondi molari.

Il canino è un elemento che entra sempre un po’ in ritardo nella dentatura, nonostante sia
centrale.

La sostituzione dei denti da latte con quelli permanenti inizia intorno ai 6-7 anni, con gli
incisivi centrali inferiori.

In realtà però, il primo dente permanente ad erompere (sia in arcata inferiore che in arcata
superiore) è il primo molare, elemento di cui solitamente la madre non si accorge proprio
perché non è preceduto dalla caduta di un dente da latte.

E’ molto importante conoscere questo soprattutto dal punto di vista della prevenzione della
carie (spesso i genitori non si preoccupano delle carie dei denti da latte dei bambini, e qui
c’è il rischio che carie anche molto avanzate del primo molare permanente vengano
sottovalutate).

Il primo molare erompe distalmente all’ultimo deciduo, all’età di 6-7 anni, più o meno alla
stessa età in cui avviene la permuta degli incisivi centrali inferiori.

Una delle domande più frequenti da parte dei genitori a tal riguardo è “gli incisivi inferiori
del bambino stanno erompendo interiormente, deve fare ortodonzia?”.

La risposta è si, e
prima viene
incominciata
l’ortodonzia e meglio
è. Inoltre è
un’ortodonzia molto
semplice.

Successivamente
erompono gli incisivi
centrali superiori, poi
in ordine: incisivi
laterali inferiori,
incisivi laterali
superiori, canini
inferiori, premolari,
canini superiori.

All’età di 13 anni
erompono poi i
secondi molari e

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infine intorno ai 18 anni (ma con una grandissima variabilità temporale) erompono i terzi
molari.

Movimenti eruttivi

Durante il processo di eruzione dentaria distinguiamo tre movimenti:

- pre-eruttivi;
- eruttivi;
- post-eruttivi.

I movimenti pre-eruttivi sono movimenti preparatori destinati a collocare i denti in


posizione più favorevole ai successivi movimenti eruttivi in direzione occlusale.

I movimenti eruttivi sono quei movimenti con i quali i denti migrano dall’interno delle ossa
fino al piano occlusale. Tali movimenti possono essere dovuti a 4 meccanismi:

- per progressivo sviluppo delle radici;


- per pressione vascolare;
- deposizione e riassorbimento selettivo del tessuto osseo che circonda il dente;
- trascinamento del dente in direzione occlusale da parte delle cellule o delle fibre del
legamento parodontale.

I movimenti post-eruttivi sono compiuti dal dente dopo che esso ha raggiunto la sua
posizione funzionale sul piano occlusale. Tali movimenti compensano la crescita dei
mascellari, la continua usura occlusale e l’usura interprossimale.

La corretta eruzione dei denti permanenti è direttamente collegata alla perdita dei decidui
corrispondenti. La pressione del dente permanente in eruzione determina il riassorbimento
radicolare del dente deciduo ad opera degli odontoclasti.

TEMPISTICA DI FORMAZIONE

La corona dentaria in realtà si forma molto prima rispetto all’epoca di eruzione. E’


importantissimo considerare questo elemento nella valutazione delle alterazioni, anche
solo cromatiche, dell’elemento dentario che possono verificarsi in seguito:

- all’utilizzo di tetracicline, che può causare delle strie caratteristiche;


- all’ipersomministrazione di fluoro, che dà luogo alla cosiddetta “fluorosi dentale”:
Avviene in seguito alla continua assunzione di acque troppo ricche di fluoro, e
provoca la comparsa di caratteristiche strie sull’elemento dentario. Questo era un
fenomeno molto tipico intorno agli anni ’40 e ’50 nell’area vesuviana, mentre oggi è
pressoché scomparso;
- a patologie sistemiche sia genetiche che acquisite che vanno ad interferire con la
formazione strutturale dei vari componenti dell’elemento dentario (ad esempio la
“amelogenesi imperfetta, o la “dentinogenesi imperfetta”).

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Queste alterazioni non sono sovrapposte all’epoca di eruzione dell’elemento dentario ma


all’epoca di formazione (somministrando la tetraciclina a un bambino di 6 anni non
dovremo aspettarci alterazioni degli incisivi centrali inferiori: avremo queste alterazioni se
il bambino aveva assunto il farmaco anni prima, quando quei denti si stavano formando!).

Dopo la corona dentaria si formano le radici, che sviluppandosi pian piano dal basso,
fanno erompere l’elemento dentario, imprimendo la cosiddetta “spinta eruttiva”.

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ANOMALIE DENTARIE

Per anomalie dentarie, si intendono ogni alterazione dell’aspetto esterno, della struttura
interna o della topografia di uno o più denti decidui o permanenti, derivante da un disturbo
che può essere geneticamente determinato, congenito o acquisito.

Tra le anomalie dentarie abbiamo un primo gruppo che include: anomalie di numero, di
volume, di forma, di sede, di posizione e di eruzione.

Un secondo gruppo invece include anomalie di sviluppo e struttura di origine genetica o


acquisita.

I fattori che possono intervenire durante l’odontogenesi ad alterare il normale sviluppo


dentario sono:

- fattori di ordine generale: ereditarietà, costituzione, agenti chimici, malattie infettive,


ecc…;
- fattori di ordine locale: traumi, interventi chirurgici sui mascellari, processi infettivi,
disarmonie dento-basali, squilibri muscolari ed abitudini viziate.

Anomalie di numero:iperdonzie

Nelle anomalie di numero abbiamo iperdonzie e ipodonzie (numero maggiore o


inferiore di denti).

A tal proposito abbiamo una “iperdonzia falsa” quando vi è la persistenza dell’elemento


dentale deciduo che simula un’iperdonzia.

Ciò avviene quando l’elemento permanente erompe in un’altra sede: la perdita


dell’elemento deciduo, infatti, è data dal riassorbimento della radice dell’elemento deciduo
da parte del follicolo dentario dell’elemento permanente man mano che cresce dalla zona
apicale.

Se l’elemento permanente erompe in un’altra zona, quindi, non è in grado di riassorbire la


radice dell’elemento deciduo, che in questo modo, non cade, persistendo nell’arcata
(bisognerà estrarlo).

La vera iperdonzia, invece, si ha


quando è presente un vero e proprio
elemento dentario in più, per
un’anomalia a livello embriologico: la
papilla dentaria si è divisa e ha dato
origine a un altro elemento.
Un’iperdonzia classica è il
mesiodens, cioè un abbozzo di
elemento dentario di forma conoide
che è posizionato al centro dei due
incisivi centrali superiori.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Molto spesso la sua posizione è palatale, quindi l’approccio per la rimozione chirurgica
sarà palatale. E’ tuttavia una struttura che non dà problemi nel tempo, e quindi può essere
mantenuta a lungo.
Abbiamo poi invece situazioni con numerosi denti soprannumerari che non possono
quindi essere ospitati in arcata, associate molto spesso a sindromi importanti che
coinvolgono lo scheletro (es: disostosi cleidocranica).
Quindi, le iperdonzie possono essere dovute a:
- denti supplementari: ripetono la forma e la funzione del dente contiguo;
- denti soprannumerari: risultano atipici, più piccoli e rudimentali (mesiodens,
paramolare e distomolare).

Tali alterazioni prediligono la mascella superiore e la diagnosi si effettua con esame clinico
e radiografia che mette in evidenza anche gli eventuali denti inclusi.

Tra le cause genetiche di iperdonzia bisogna ricordare la disostosi cleidocranica. La


disostosi cleido-cranica è una malattia ereditaria autosomica dominante con iperdontia
eclatante di denti permanenti associata a:

- ipoplasia di una o entrambe le clavicole;


- ritardo di ossificazione delle suture craniche con abnorme crescita del neurocranio.

La terapia è chirurgica con eliminazione degli elementi dentari in sovrannumero.

Anomalie di numero in difetto

Allora, parleremo di:

- anodontia quando vi è l’assenza di tutti gli elementi dentari e viene distinta in


agenodontia quando mancano tutti i decidui e ablastodontia quando a mancare
sono tutti i permanenti;
- oligodontia quando il numero dei denti è minore alla metà;
- ipodontia quando il numero degli elementi dentari è compreso tra la metà ed il
numero normale, in questo caso per i decidui si parla di atelegenodontia, per i
permanenti di ateleblastodontia.

Parliamo di agenesie quando vi è una mancanza reale o apparente dell’elemento


dentario: reale quando l’elemento dentario manca effettivamente, apparente quando
l’elemento dentario non è visibile ma c’è, ovvero quando vi è una ritenzione (anomala
eruzione).

Quando vi è agenesia del deciduo, automaticamente avremo anche agenesia del


permanente. Non è vero però il contrario: è possibile che il deciduo si sviluppi, ma il
permanente no.

Quindi o si ha un numero di cellule alterato, o è la posizione ad essere anomala.

Per quanto riguarda la frequenza con la quale si presentano queste anomalie, in generale
a livello del mascellare superiore si verifica più frequentemente l’agenesia dell’incisivo

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ODONTOSTOMATOLOGIA

laterale, poi del terzo molare e poi del secondo premolare. A livello della mandibola
invece gli elementi dentari più frequentemente interessati sono i terzi molari e poi i
secondi premolari (agenesie reali).

Per quanto riguarda le agenesie apparenti (ritenzioni o inclusioni dentarie) sia a livello
del mascellare superiore che a livello della mandibola gli elementi dentari più
frequentemente implicati sono i terzi molari, poi il canino e poi il secondo premolare.

La caratteristica degli elementi dentari implicati (incisivi laterali e canino, secondi


premolari, terzi molari) è quella di essere gli elementi terminali, distali, della fila.

Questo ha una sua logica in quanto questi elementi possono o trovare lo spazio eruttivo
occupato (più frequente nel terzo molare, a causa della sua tempistica di eruzione) e ciò
avviene raramente, oppure, molto più facilmente, essendo quell’elemento il terminale della
fila, cioè l’ultima papilla dentaria che “si stacca” da ogni gruppo, facilmente la sua
posizione può risultare anomala.

Le inclusioni dentarie possono essere dovute a:

- la presenza di un ostacolo nel canale di eruzione, ad esempio un tumore


benigno;
- un’inclinazione della papilla dentaria, che causa la formazione dell’elemento
dentario secondo un asse alterato (ad esempio, orizzontale).

In questo caso la causa può essere correlata a una lesione traumatica subita in età
infantile che ha provocato lo spostamento della papilla; oppure la causa può essere di tipo
infettivo (ascesso a carico dei denti decidui).

A causa di questa inclinazione acquisita il dente in formazione prende in questo modo la


“strada sbagliata” e nel momento in cui la radice si sarà formata (apice radicolare)
arresterà la sua progressione.

Radiograficamente si parla di chiusura degli apici radicolari: quando ciò avviene


significa che non c’è più spinta eruttiva e pertanto il dente non eromperà più.

Ritornando alle anomalie di numero in difetto, l’eziologia è da ricercare in:

- evoluzione della razza, infatti vi sono denti che durante l’evoluzione vanno
scomparendo;
- ereditarietà;
- disendocrinie, soprattutto patologie tiroidee ed ipofisarie;
- distruzione del germe, per traumi, osteomielite, ecc….

La diagnosi si effettua con un Rx che permette di distinguere l’agenesia di un elemento


dentario dalla sua inclusione.

Infine, anomalie di elementi dentari in difetto si hanno anche nella displasia ectodermica,
caratterizzata da anomalie di alcuni organi o apparati di derivazione ectodermica.
Distinguiamo due forme:

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ODONTOSTOMATOLOGIA

- displasia ectodermica anidrotica o D.E.A., rara, X-linked;


- displasia ectodermica idropica o D.E.I., più frequente, autosomica dominante.

Anomalie di sede

In questo caso vi è la mancanza dei normali rapporti topografici che un elemento dentario
ha con la sua sede abituale. I possibili fattori etiopatogenetici sono:

- anomala posizione originaria del germe dentario;


- mancanza di uno spazio in arcata per deciduo che permane oltre i limiti fisiologici di
permuta;
- perdita precoce di un deciduo con perdita dello spazio per il permanente
corrispondente;
- difettoso rapporto proporzionale tra la porzione ossea basale e la porzione dento-
alveolare delle ossa mascellari (disarmonia dento-basale).

Vi sono differenti tipi di anomalie di sede:

- ectopia: l’elemento dentario è situato vicino alla sede abituale, in posizione


vestibolare, linguale o palatina;
- trasposizione: due denti contigui invertono in modo reciproco la loro posizione;
- eterotopia: elemento etero topico situato in sede lontana da quella abituale. Se si
trova al di fuori del cavo orale si parlerà di migrazione.

Anomalie di posizione

Presenza di elementi dentari che, pur occupando la propria sede abituale, si collocano in
arcata con deviazioni assiali dirette nelle tre direzioni dello spazio. Quindi parleremo di:

- versione: inclinazione di un dente verso il lato vestibolare o palatino, in avanti o


mesio-versione o indietro o disto-versione;
- inversione: posizione del dente invertita, con la radice verso la cresta alveolare e
la corona verso la base dell’alveolo, si accompagna costantemente ad inclusione;
- rotazione: il dente ruota attorno il suo asse longitudinale;
- intrusione: la corona del dente si presenta su di un piano più basso rispetto al
piano occlusale;
- estruzione: il margine coronale è situato più in alto rispetto al piano occlusale,
spesso per mancanza dell’elemento dentario antagonista dell’arcata opposta.

Anomalie di forma

Possono essere a carico della corona, con cuspidi accessorie, delle radici e
dell’endodonto.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Anomalie di volume

Distinguiamo:

- gigantismo o macrodontia;
- taurodontismo: dente con corona ampia, radici brevi, camera pulpare estesa,
senza il fisiologico restringimento, fino all’apice pulpare;
- nanismo o microdontia.

Anomalie di sviluppo

In alcuni casi, vi possono essere delle anomalie durante lo sviluppo che possono
determinate delle modificazioni del normale aspetto del dente:

- perla dello smalto: piccola escrescenza tondeggiante, in prossimità del colletto


vicino la giunzione smalto cementizia;
- fusione: tra due denti e può interessare tutto il dente o solo singole parti;
- geminazione: suddivisione incompleta del germe dentario;
- concrescenza: fusione delle radici per noxa intervenuta tardivamente;
- dens in dente o dente invaginato: sviluppo di una parte del dente all’interno di un
altro dente.

Anomalie di struttura

Le anomalie di struttura sono il risultato di disturbi che hanno coinvolto l’elemento dentario
durante la fase di mineralizzazione, con conseguente anomalia dello smalto, della dentina
o di entrambi. Sono causate da:

- carenze vitaminiche;
- alterazioni ormonali;
- malattia esantematiche come morbillo e varicella;
- tossici esogeni;
- fattori genetici.

Tra le anomalie dello smalto vi è


l’Amelogenesi Imperfetta in cui si ha
uno sfaldamento di questa struttura.
Viene ereditata come tratto
autosomico-dominante.

Sicuramente, le anomalie più


importanti sono quelle dovute a fattori
tossici esogeni.

La fluorosi è causata dall’assunzione


di fluoro a concentrazioni superiori a

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ODONTOSTOMATOLOGIA

1,5-2 ppm durate l’istogenesi dei tessuti duri del dente, specie dei pemanenti. I denti
appaiono dicromici con una superficie screziata.

La somministrazione di tetracicline può determinare pigmentazioni antiestetiche ed


indelebili dei tessuti dentari. Vi sono bande giallo chiare o giallo brunastre. È causata da
somministrazione di tetracicline a dosi elevate alle donne nell’ultimo trimestre di gravidanz
a o al bambino nei primi anni di vita.

L’ipoplasia da radioterapia è caratterizzata da erosioni giallo brunastre sulla parete


vestibolare con progressivo avanzamento verso i tessuti profondi fino a creare crateri simil
cariosi.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

PATOLOGIE DELL’ERUZIONE

Per quanto riguarda la patologia dell'eruzione, distinguiamo:

- anomalia del tempo di eruzione;


- inclusioni dentarie;
- disodontiasi del terzo molare.

Anomalie del tempo di eruzione

Per anomalie del tempo di eruzione si intende la disinclusione in cavità orale dell’elemento
dentario in epoca non fisiologica, precoce o tardiva. Ciò può essere dovuto a fattori causali
locali o generali. Tra i fattori causali locali vi sono:

- formazione iniziale del germe precoce o tardiva;


- sviluppo del germe rapido o lento rispetto al fisiologico;
- situazione del germe dentario rispetto al futuro piano occlusale (profonda o
superficiale).

I fattori causali generali riguardano turbe endocrine e vitaminiche che interferiscono con
lo sviluppo dei tessuti mineralizzati dell’organismo.

Se un elemento dentario erompe sull’arcata alcuni anni dopo il limite massimo fisiologico
consentito per la sua eruzione, tale elemento dentario, in questo lasso di tempo, va
considerato come incluso. Soltanto ad eruzione avvenuta esiste la constatazione di
un’eruzione ritardata.

Inclusioni dentarie

Distinguiamo un’inclusione patologica ed un’inclusione fisiologica. Nell’inclusione


patologica vi è la mancata eruzione in cavità orale di un elemento dentario oltre i limiti di
tempo per la sua fisiologica eruzione. Nell’inclusione fisiologica vi è la normale presenza
nei mascellari di un elemento dentario prima dell’epoca fisiologica della sua eruzione nel
cavo orale.

Dal punto di vista clinico, vi è l’assenza di un dente sull’arcata dentaria sia in inclusione
patologica che fisiologica e all’Rx, nell’inclusione patologica vi è il dente incluso
completamente sviluppato, mentre in quella fisiologica si nota solo la corona che già è
sviluppata e calcificata.

L’inclusione può interessare sia i decidui che i permanenti e può essere:

- completa: suddivisa in endossea, con il dente completamente incluso nelle ossa


mascellari, e osteo-mucosa, nella quale il dente supera in parte il limite alveolare e
viene ricoperto dai tessuti molli;
- incompleta: il dente si presenta in cavità orale con una parte della sua corona.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Inoltre possiamo distinguere in:

- totalmente incluso: il sacco pericoronarico del dente non comunica con la cavità
orale;
- parzialmente incluso: il sacco pericoronarico, non più integro, presenta una
comunicazione col cavo orale.

Per l’eziopatogenesi distinguiamo:

- Cause legate al germe dentario:


• lontananza dalla sede di eruzione: la gemma dentaria è posizionata più
distalmente e gli apici radicolari si chiudono prima che il dente possa erompere;
• Ritardi dello sviluppo;
• Posizione anomala;
• Fusione di elementi dentari vicini.
- Cause legate al dente:
• Macrodonzia (situazione molto rara);
• Anomalie radicolari;
• Anomalie di posizione che il dente può assumere nel suo cammino eruttivo.
- Cause legate ai tessuti circostanti:
• Persistenza dei decidui;
• Mancanza di spazio;
• Flogosi;
• Tumori;
• Cisti.
- Cause di ordine generale:
• Fattori ereditari;
• Deficit nutrizionali (nella nostra società molto rari);
• Infezioni;
• Turbe endocrine.

Gli elementi dentari che restano più facilmente inclusi sono gli ultimi elementi di orgni
gruppo o meglio gli ultimi denti ad erompere in ciascun settore.

L’inclusione pura di un elemento dentario in assenza assoluta di qualsiasi complicanza


non è da considerarsi una malattia vera e propria (portatori asintomatici di inclusione).

Le principali Complicanze delle inclusioni dentarie sono:

- complicanze meccaniche: i denti inclusi possono provocare malposizione dei


denti già erotti con conseguenti diastemi, rotazioni e versioni. La pressione
esercitata da un elemento dentario incluso sulle radici o sul colletto dei denti vicini
può provocare rizalisi,ulcerazioni da decubito con carie secondaria;
- Complicanze nervose: disturbi a distanza di origine riflessa su plesso
cervicale,brachiale,intercostali,precordiali (il trigemino è altamente reflessogeno,
con sintomatologia nevralgica del territorio della II o III branca del trigemino, dolore
localizzato alla sede dell’inclusione);

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ODONTOSTOMATOLOGIA

- Complicanze infettive: pericoronarite o infiammazione del sacco pericoronario.


Può avvenire per via ematogena o per trauma che lede il sacco. L’infezione è a
carico dei germi presenti nel cavo orale. Possono dar luogo ad ascessi, flemmoni,
sinusiti mascellari ecc….;
- Complicanze generali: l’elemento incluso può rappresentare un focus per una
sindrome focale a distanza con varie manifestazioni (endocardite);
- Complicanze displastiche: cisti follicolari.

La diagnosi si effettua con l’esame obiettivo, che mostra l’assenza di un elemento


dentario e l’Rx (diagnosi definitiva).

Per quanto riguarda la terapia abbiamo varie scelte operative:

- non intervenire in assenza di complicanze, controlli periodici;


- rimuovere e autotrapiantare il dente incluso qualora esista sull’arcata uno spazio
sufficiente;
- rimuovere il dente incluso;
- recuperare funzionalmente il dente incluso.

Disodontiasi del terzo molare

La mancanza di spazio riguarda (come già detto) soprattutto i terzi molari inferiori, questo
a causa della tempistica di eruzione. Questo perché il secondo molare erompe intorno ai
12 anni, e bisogna quindi aspettare i 18 anni prima che il terzo molare erompa: in
questo gran lasso di tempo “tutti i giochi sono già fatti” ed è per questo che questi elementi
possono facilmente trovare “il parcheggio occupato”.

Inoltre, il percorso di eruzione del terzo molare è molto particolare, e prende il nome di
Curva di Capdepont.

Questo perché il nucleo di crescita della mandibola, facendo crescere la mandibola


cranialmente, trascina con sé la papilla dentaria del terzo molare. Il terzo molare in
formazione viene quindi trascinato distalmente e cranialmente, e per erompere deve
descrivere una curva (Curva di Capdepont).

Essendo quindi già poco lo spazio di eruzione (spazio compreso tra il secondo molare e la
branca montante della mandibola), nel suo percorrere la curva il terzo molare può andare
a scontrarsi contro le radici del secondo molare interrompendo quindi il suo percorso
(esempio di inclusioni orizzontali del terzo molare), oppure può cominciare a “sterzare”
molto più presto, esagerando la curva (disto-versioni del terzo molare).

Tutto ciò è causato dalla mancanza di spazio correlata alla tempistica di eruzione.

Ovviamente tutto ciò è dovuto alla spinta selettiva dell’evoluzione: i nostri antenati (10
milioni di anni fa’) avevano 4 molari, oggi noi ne abbiamo 3 e forse saremo destinati ad
averne di meno. Questo a causa della diversa alimentazione: attualmente noi facciamo un
tipo di alimentazione per cui la masticazione necessita in realtà solo di pochi elementi

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ODONTOSTOMATOLOGIA

dentari. Le prime ricostruzioni con impianti, infatti, presentavano soltanto 10 elementi per
arcata (si fermavano al secondo premolare)!

Per il primo di alimentazione che facciamo i due premolari sono più che sufficienti ad
assicurare la triturazione del cibo.

Quindi in caso di non eruzione del terzo molare non ci sono problemi, e anzi la spinta
selettiva è a favore dello sviluppo del neurocranio piuttosto che dello splancnocranio.

Le principali complicanze sono:

- Pericoronarite e sue complicanze:


• pericoronarite congestiva semplice: dolore in regione retromolare inasprito
da masticazione, edema e arrossamento della mucosa;
• pericoronarite suppurativa: dolore più intenso irradiato all’orecchio,
serramento delle mascelle per contrattura antalgica del massetere e
pterigoideo interno. Disfagia e difficoltà nella masticazione. Possibile raccolta
ascessuale sottomucosa.
- Complicanze a carico dei tessuti cellulari sottocutaneo e sottomucoso:
• evoluzione della pericoronarite con pus che scolla gli spazi sottomucosi e
diffonde agli spazi vicini (spazio tra massetere e angolo della mandibola,
ascessi peritonsillari, sottotonsillari, nel pilastro anteriore del faringe, tra
buccinatore e faccia esterna del corpo della mandibola) creando una
tumefazione localizzata. Dolore irradiato all’orecchio, serramento dei
mascellari, linfadenite sottomascellare. Comprimendo la tumefazione si fa
percorrere il pus lungo il cammino inverso rispetto a quello compiuto all’atto
della migrazione, quindi questo fuoriuscirà dal cappuccio mucoso che ricopre
il terzo molare in disodontiasi.
- Complicanze a carico della mucosa:
• Gengivite ulcero membranosa o neurotrofica, monolaterale e omolaterale al
dente in disodontiasi. Le turbe trofiche della mucosa gengivale sono di
natura riflessa per irritazione della componente vegetativa della III branca del
trigemino, prodotte dal terzo molare in disodontiasi, causano deficit trofici e
zone di minor resistenza che facilitano l’impianto di flora fusospirillare
responsabile della gengivite ulcero membranosa.

21
ODONTOSTOMATOLOGIA

MALOCCLUSIONI

Per quanto riguarda poi la disposizione degli elementi dentari e il modo in cui l’arcata
superiore e l’arcata inferiore si rapportano, c’è da dire che bisogna fare molta attenzione
perché ci sono molte discussioni aperte in questo campo.

L’ortodonzia si fonda proprio sulla possibilità di spostamento degli elementi dentari a livello
del mascellare superiore e della mandibola ma essa presenta un limite: la posizione delle
ossa. Non si può portare un dente al di fuori dello spazio osseo.

Quindi è questo il vero limite dell’ortodonzia, e non l’età.

L’ortodonzia infatti si può fare sempre, a qualunque età: l’elemento che consente lo
spostamento del dente è il legamento parodontale.

Durante l’ortodonzia infatti noi abbiamo un fronte di pressione e un fronte di detenzione.


Sul fronte di pressione avviene il riassorbimento (ma il legamento resta sempre integro),
sul fronte di detenzione il legamento traziona il margine osseo.

Quindi l’ortodonzia è sempre possibile, l’unico prerequisito è che si sia chiuso l’apice
dentario: il movimento va fatto ad apice chiuso altrimenti si va a creare un’alterazione
morfologica della radice.

Quindi se in un bambino alcuni denti si sono già formati ed altri no noi potremo andare a
spostare solo quelli già formati.

Come abbiamo già detto poi, il grande limite dell’ortodonzia è rappresentato dalla
posizione dei “contenitori”, ovvero le ossa (mascellare superiore e mandibolare).

Se esse si trovano in una posizione non corretta bisogna andare ad agire chirurgicamente
spostando “il contenitore”. Questo chirurgia è effettuata dai chirurghi maxillo facciali e
prende il nome di “chirurgia ortognatodontica”.

Pertanto solitamente la gestione di un’anomalia di tipo occlusale è combinata: da un lato


abbiamo la gestione dentaria (spostamento dei denti) e dall’altro lato una gestione
chirurgica maxillo facciale (spostamento delle basi ossee).

Ciò che si va ad esaminare è innanzitutto l’allineamento della linea mediana.

Si analizza poi il grado di copertura degli elementi dell’arcata inferiore da parte


dell’arcata superiore (in visione frontale):

- se gli elementi dell’arcata inferiori non sono visibili parliamo di morso coperto;
- se invece vi è una situazione di beanza tra i margini incisali, o vediamo tutto
l’elemento inferiore parliamo di parliamo di morso aperto.

Fisiologicamente le cuspidi vestibolari dei molari superiori devono sporgere


vestibolarmente rispetto alle cuspidi dei molari inferiori.

Nel caso in cui si verifichi la situazione opposta si parla di morso crociato (crossbite).

22
ODONTOSTOMATOLOGIA

In questi casi non parliamo di vere e proprie


patologie, ma di disarmonie che possiamo
decidere o meno di trattare.

Se decidiamo di trattarle esse possono


essere trattate o con lo spostamento
dentario o con lo spostamento osseo e
dentario combinati (a seconda della
gravità).

L’approccio chirurgico riguarda soprattutto le discrepanze in senso antero-posteriore, e in


particolare quando il mandibolare supera il mascellare superiore. Ciò può essere
dovuto o ad un’ipercrescita della mandibola, o ad una contrazione del mascellare, ma il più
delle volte i due processi sono combinati, e mediante la chirurgia noi possiamo sistemare
l’assetto osseo.

Spesso la motivazione che porta il paziente a sottoporsi al trattamento della malocclusione


è esclusivamente di tipo estetico, e non siamo in presenza di una sintomatologia di tipo
doloroso e non vi sono ripercussioni sull’articolazione temporo-mandibilare. In questo caso
non vi è la necessità di intervenire.

Le mal occlusioni sono anomalie dento-scheletriche con alterazioni dei normali rapporti
occlusali tra le arcate dentarie. Possono interessare le ossa mascellari

Vengono distinte in:

- Patologie scheletriche;
- Patologie dentoalveolari;
- Patologie miste.

Utile, a questo punto è la Classificazione di Angle. In questa classificazione vengono


fissati i parametri che consentono di classificare i rapporti occlusali patologici tra le arcate
dentarie. Abbiamo 3 classi:

- classe I di Angle: normale rapporto occlusale (tuttavia non esclude la


concomitante presenza di affollamento dentario o disarmonie scheletriche pure).
Coincidenza tra la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore
permanente ed il solco mesiovestibolare del primo molare inferiore permanente. Il
canino permanente superiore andrà cosi ad occludere nello spazio compreso tra
canino e premolare inferiore;
- classe II di Angle: posizionamento distale o posteriore della dentatura inferiore
rispetto a quello assunto nella occlusione di classe I. In questa classe distinguiamo
due divisioni:
• divisione 1: rapporto molare di classe II con inclinazione vestibolare degli
incisivi superiori;
• divisione 2: rapporto molare di classe II con retro inclinazione o versione
palatina degli stessi incisivi superiori;

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ODONTOSTOMATOLOGIA

- classe III di Angle: mesializzazione o spostamento anteriore dell’arcata inferiore


rispetto al rapporto occlusale normale. Nel Morso incrociato anteriore gli incisivi
inferiori si collocano al davanti dei corrispettivi superiori.

Infine, tra le Deformità scheletriche ricordiamo:

- Prognatismo: abnorme protrusione di uno o di entrambi i mascellari. Il prognatismo


esclusivo del mascellare superiore può riconoscere nella sua eziopatogenesi fattori
locali come l’azione della respirazione orale o abitudini viziate quali il succhiamento
del pollice. L’aspetto occlusale è quello delle classi II di Angle con aumento
dell’overjet;
- Progenismo: nel prognatismo mandibolare si ha un aumento delle dimensioni
anteroposteriori della mandibola. A livello incisale si manifesta con un’inversione
dell’overjet (morso incrociato). Frequentemente associato a cause ereditarie o
acromegalia.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

MALATTIE PARODONTALI

Sono malattie che coinvolgono i tessuti di supporto dell’elemento dentario. Come abbiamo
già visto le strutture parodontali sono l’osso alveolare, il legamento parodontale,
il cemento radicolare e la gengiva.

Il dente, come già detto, presenta una parte interna e una parte esterna (per “esterno”
intendiamo la cavità orale, per “interno” intendiamo il sistema di supporto delle radici), e
le due parti sono ben separate dal cosiddetto attacco parodontale.

L’attacco parodontale è una barriera che si viene a creare tra i due compartimenti, di cui
noi non ci rendiamo conto clinicamente, nemmeno quando “sondiamo l’elemento
dentario”.

Il sondaggio è una manovra con cui noi andiamo a misurare la tasca parodontale
inserendovi un righello metallico (un cilindro metallico graduato dalla punta smussa di 0,25
mm di diametro), parallelamente all’asse maggiore del dente con una pressione
standardizzata (25 gr).

Normalmente, nonostante l’esistenza di strumenti appositi per la misurazione della


pressione, l’operatore dopo un po’ riesce a dosare la pressione autonomamente grazie
all’esperienza.

L’attacco parodontale è resistente alla forza meccanica, ma soprattutto alla forza


biologica, non permettendo il passaggio dei batteri, normalmente presenti nel cavo orale
(placca batterica).

Esso è composto (ciò quindi non è visibile clinicamente ma istologicamente) da un


attacco epiteliale e un attacco connettivale.

L’attacco epiteliale è un attacco per contiguità. Le cellule sono strettamente connesse


mediante desmosomi, costituendo così una solida barriera.

Ciò che può andare a interrompere questa stretta connessione inter-cellulare è


un’infiammazione (l’edema causa infatti la ridotta apposizione tra i margini cellulari).

L’infiammazione può essere causata dalla scarsa igiene orale: la diretta conseguenza è
l’insorgenza di gengivite.

La gengivite si manifesta con arrossamento, sanguinamento e gonfiore delle gengive.

Quindi se si mantiene bassa la soglia batterica con una buona igiene orale evitando
l’infiammazione, l’attacco continua a funzionare correttamente poiché le giunzioni tra le
cellule restano salde.

L’attacco connettivale, invece, è un attacco per continuità. Le fibre del tessuto


connettivo vanno ad inserirsi direttamente nel cemento radicolare, e spostandosi in
direzione apicale vanno a costituire il legamento parodontale (che non va più dal tessuto
connettivo alla struttura dentaria, ma dalla struttura dentaria al margine osseo).

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Il classico impianto è costituito da una vite di titanio posizionata nell’osso, e una corona
protesica avvitata su di essa mediante una vite di trasmissione. Nel caso dell’impianto è
presente un attacco epiteliale, ma non è presente un attacco connettivale né il legamento
parodontale, perché non c’è il cemento.

Per definizione ciò che accade intorno all’impianto si chiama “osteointegrazione”, che
istologicamente sta a indicare un contatto diretto tra osso e impianto, visibile mediante
microscopia ottica. Non c’è quindi l’interposizione del legamento.

Le fibre connettivali intorno all’impianto esistono, ma non sono funzionalmente orientate, e


non si inseriscono nell’impianto (sono disposte parallelamente alla superficie dell’impianto
e si chiudono a manicotto intorno ad esso).

Anche in questo caso la tenuta meccanica dell’epitelio di attacco può venire meno in
seguito ad una infiammazione. I batteri sono i protagonisti, poiché è la loro presenza
massiva a causare edema, che riduce l’adesione cellulare, e in questo modo essi possono
farsi strada tra i tessuti, andando a peggiorare ulteriormente l’infiammazione.

L’osteoporosi può essere un elemento negativo per quanto riguarda il posizionamento di


un impianto, sia per l’aumento di rimodellamento osseo, ma soprattutto per l’utilizzo dei
bifosfonati, perché inibendo essi l’attività osteoclastica, inibiscono anche il processo di
osteointegrazione (che necessita del rimodellamento osseo intorno all’impianto). Essi
“congelano” la mandibola in questa situazione, ed è anche per questo che possono
causare osteonecrosi della mandibola.

La malattia paradontale è una malattia infettiva, causata da batteri, se noi ci liberiamo dei
batteri la malattia non viene, questa è una cosa che è stata chiarita non molti anni (la
malattia la conosciamo da secoli, la sua strutturazione solo nell’ultimo secolo).

FASE INFIAMMATORIA - GENGIVITE

Questo è il classico aspetto con accumulo di biofilm e di placca, ci sono calcoli di tartaro,
la gengiva sia gonfia, edema, arrossamento ma soprattutto sanguinante al sondaggio, se
noi andiamo a toccare la gengiva questa sanguina, e questo è la base di un classico
circolo vizioso di chi è affetto dalla malattia, lascia accumulare batteri perché non si
spazzola o si spazzola male e una volta raggiunto questo grado di concrezione calcarea,
lo “spazzolamento” non asporta più niente ma spazzolare va a toccare la gengiva che
sanguina e il soggetto non si spazzola più o si spazzola ancora meno perché pensa di
ferirsi e quindi parte il circolo vizioso da cui non si esce più. Questa è la fase
infiammatoria con questi segni costituisce la fase della gengivite che è uno stato della
malattie (anche se adesso costituisce un gruppo a sé stante di malattie) ossia
infiammazione della gengiva. Di per se la gengivite può anche essere uno stato cronico.
Perché in realtà noi dobbiamo lavorare in over-treatment per evitare la fase successiva. A
questa fase infiammatoria segue la fase distruttiva ossia la fase di parodontite.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

FASE DI PARODONTITE

La fase in cui abbiamo la distruzione del legamento paradontale (oltre all’osso alveolare),
che non è più riparabile (anche se oggi esistono delle tecniche di “rigenerazione guidata” o
si prendono le staminali) perché è un organo delicato composto da cellule difficili da
riprodurre, perché hanno un ciclo di crescita molto lento, infatti a seguito di una ferita
chirurgica mentre l’epitelio ricresce in 2 giorni, il legamento paradontale ne impiega ben
21! Con quale rapporto abbiamo la progressione della fase?

Sappiamo che 1/3 dei siti sanguinanti andranno incontro a distruzione. Quale? Non lo
sappiamo. È questo è l’unico modo con cui posso fare terapia e prevenzione perché faccio
terapia della gengivite e prevenzione della fase deostruente, attualmente è l’unico modo.
In realtà noi trattiamo anche i 2/3 che non andranno nella fase destruente ma comunque li
trattiamo per la gengivite, che è una patologia che effettivamente hanno, così gli togliamo
l’alitosi, il sanguinamento, infiammazione ecc…

Tutti i siti che si trovano in gengivite possono andare incontro a parodontite, ma non è una
progressione certa. Tutti i siti che si trovano in parodontite sono sicuramente passati per la
gengivite; quindi è importante vedere la gengivite non più come uno stato ma come una
patologia a se stante; il momento infiammatorio a volte è così rapido che si passa
direttamente alla fase distruttiva.

Non tutti i siti che sono in gengivite vanno in parodontite ma tutti quelli che sono passati in
fase di parodontite sono passati per la gengivite.

Eziologia

Le lesioni in corso di malattia paradentale sono determinate dalla placca mucobatterica,


mentre la patologia è aggravata, ma non determinata da:

- trauma occlusale;
- fattori sistemici fisiologici (pubertà, gravidanza);
- fattori sistemici patologici (malattie sistemiche);
- fattori batterici:
• placca muco batterica;
• materia alba;
• tartaro.
- fattori predisponenti all’accumulo di placca mucobatterica:
• fattori anatomici;
• intasamento alimentare;
• odontoiatria scorretta.
- fattori meccanici:
• spazzolamento scorretto;
• respirazione orale;
• trauma occlusale.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

La placca mucobatterica è un conglomerato di batteri, cellule epiteliali e


polimorfonucleati tenuti assieme da una matrice intercellulare di carboidrati e proteine,
fortemente aderente ai denti. L’accumulo di placca determina gengivite in tutti i soggetti e
parodontite in alcuni. L’eliminazione della placca si accompagna all’arresto della malattia.

La placca è composta da:

- acqua (80%);
- parte solida (20%).

La parte solida a sua volta è costituita da:

- batteri 15%;
- matrice 4 % (70% carboidrati e glicoproteine, 15% lipidi, 15% altro);
- leucociti 0,5 %;
- cellule epiteliali 0,5%.

La placca si deposita prevalentemente nelle zone in cui l’autodetersione ad opera delle


guance, delle labbra e della lingua è meno efficace, cioè solco gengivale e solchi e fessure
occlusali degli elementi dentari. Si deposita sia in sede sopragengivale che sottogengivale.
Non è visibile (ad eccezione dei casi in cui è presente in quantità notevole), ma può
essere evidenziata da sostanze rivelatrici quali l’eritrosina.

La Materia alba è una patina lattescente e molle visibile ad occhio nudo, che si accumula
nella regione cervicale del dente. È costituita da:

- batteri;
- cellule epiteliali desquamate;
- leucociti.

Non è organizzata ed è poco aderente alle superfici dentarie

Per quanto riguarda la placca, la sua organizzazione è composta di più fasi:

- La superficie dentaria viene ricoperta in pochi minuti da un film idrofilico di


glicoproteine salivari (pellicola acquisita);
- la pellicola acquisita permette l’adesione dei batteri alla superficie dentaria;
- la placca si aggrega per adsorbimento di batteri dalla saliva e per moltiplicazione
dei batteri adsorbiti;
- i batteri aderiscono prima in forma reversibile poi irreversibile per cui la placca
diviene aderente dopo circa 24 ore;
- i batteri mediante la loro azione enzimatica sintetizzano dai mono e disaccaridi
alimentari, i polisaccaridi che formano la matrice organica della placca (glucani);
- ai primi strati di placca aderente costituiti da Streptococchi e actinomiceti per lo più,
si aggregano altre specie Gram + e – dotate di minore adesività e sotto la gengiva
anche specie non aderenti e specie dotate di mobilità (costituiscono la placca non
aderente).

Si distingue una placca:

28
ODONTOSTOMATOLOGIA

- sopragengivale;
- sottogengivale a sua volta divisa in una porzione aderente alla superficie
dentaria ed una non aderente contenuta dai tessuti molli.

La Placca sottogengivale non aderente è costituita da forme maggiormente


parodontogene, prevalentemente Gram -, mobili, anaerobie o anaerobie facoltative,
asaccarolitiche. È specificatamente patogena per il parodonto ed è a contatto con l’epitelio
sulculare e giunzionale.

Se la placca fisiologica non viene rimossa meccanicamente essa supera i 100 strati
cellulari ed assume caratteristiche patogene determinando l’insorgenza della gengivite. In
alcuni soggetti un viraggio patogeno della placca e un’alterata risposta immunitaria
possono far evolvere la gengivite in una parodontite.

Il Tartaro è il deposito calcificato aderente alle superfici dentarie che si forma per
calcificazione della placca. E’ patogeno per la irregolarità e la porosità della sua superficie
che favorisce il deposito di placca e ne ostacola l’allontanamento.

La placca mucobatterica comincia a calcificare dopo 8-12 ore dalla sua formazione e dopo
2 settimane risulta calcificata all’80%,ma la sua cristallizzazione si completa dopo mesi.

La precipitazione di Sali di calcio dalla saliva nella placca mucobatterica avviene con un
duplice meccanismo:

- meccanismo fisiochimico: al momento della sua escrezione nel cavo orale la


saliva contiene CO 2 ad una tensione di 60 mmHg a fronte di una tensione di CO 2
orale molto più bassa; questa differenza di tensione determina una perdita di CO 2
salivare con un aumento del pH salivare,che favorisce la precipitazione del fosfato
di calcio;
- meccanismo batterico: i batteri attraverso un’azione di deaminazione e
transaminazione, determinano la precipitazione delle glicoproteine salivari, che da
un lato contribuisce alla formazione della placca e dall’altro riduce la solubilità dei
Sali di calcio presenti nella saliva, favorendone la precipitazione. I complessi
glicoproteici e lipidoproteici della placca esercitano un’azione chelante sui Sali di
calcio. La placca libera la fosfatasi che idrolizza i fosfati organici, favorendo
l’aggregazione con i Sali di calcio. I batteri producono NH 4 + che innalza il pH della
placca favorendo ugualmente la precipitazione del fosfato di calcio.

Distinguiamo un tartaro:

- sopragengivale: localizzato in corrispondenza dello sbocco delle ghiandole salivari


maggiori. E’ di colorito giallo bruno, consistenza friabile e facilmente asportabile;
- Sottogengivale: può essere localizzato nel solco o nella tasca di tutti gli elementi
dentari; di colorito bruno nerastro, consistenza dura e tenacemente aderente alla
superficie dentaria.

I fattori predisponenti all’accumulo di placca muco batterica sono:

- fattori anatomici;

29
ODONTOSTOMATOLOGIA

- intasamento alimentare;
- odontoiatria scorretta.

Per fattori anatomici si intendono:

- difetti del punto di contatto e della cresta marginale che determina intasamento
alimentare;
- alterazioni della normale convessità vestibolare o linguale della corona;
- eruzione incompleta o eruzione ritardata;
- malposizione dentaria vestibolare o linguale che può determinare ristagno della
placca e intasamento alimentare;
- affollamento dentario.

L’Intasamento alimentare (food impaction) è la pressione forzata del cibo contro la gengiva
marginale ed il solco gengivale. Può essere di tipo:

- verticale: in senso corono apicale, per perdita delle caratteristiche anatomiche che
in condizioni normali lo impediscono;
- orizzontale: determinato dalla pressione forzata del cibo in senso orizzontale ad
opera delle guance e della lingua negli spazi interdentali, quando questi non siano
più protetti dalla papilla per un processo di recessione gengivale.

Terapie odontoiatriche scorrette di tipo conservativo o protesico favoriscono il deposito di


placca. Sono da ricondurre al mancato rispetto dell’anatomia nel ripristino della morfologia
del dente, o alla presenza di una superficie restaurata non levigata e lucidata che trattiene
più facilmente la placca.

Nei fattori meccanici rientrano:

- spazzolamento scorretto;
- respirazione orale;
- trauma occlusale.

I fattori meccanici non possono determinare lesioni proprie della malattia parodontale, ma
possono aggravarla in presenza di infiammazione. Lo spazzolamento scorretto eseguito
con uno spazzolino a setole dure o con tecnica errata può determinare perdita di tessuti
parodontali (recessioni gengivali) o di tessuti dentari in regione cervicale (erosione).

La respirazione orale determina disidratazione del tessuto gengivale dei settori anteriori,
accentua i fenomeni infiammatori da placca.

Per trauma occlusale si intende la patologia di uno o più distretti dell’apparato


stomatognatico (parodonto,dente ,articolazioni temporomandibolari, sistema
neuromuscolare) determinato da forze occlusali anomale. Interessa i tessuti parodontali
profondi (placca e tartaro invece esplicano la loro azione su tessuti parodontali marginali al
di sopra dell’attacco connettivale). Il trauma occlusale da solo non è in grado di provocare
la formazione di una tasca parodontale. Distinguiamo due tipi di trauma occlusale:

- primario: indotto da forze occlusali anomale per direzione e/o intensità che
esercitando un’azione di leva sull’elemento dentario, si trasmettono all’osso in

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ODONTOSTOMATOLOGIA

alcuni settori come forze tensive ed in altri come forze compressive che
determinano il riassorbimento osseo (es. alterazioni del piano occlusale);
- secondario: legato all’azione traumatica delle forze occlusali fisiologiche sugli
elementi dentari con parodonto molto ridotto, i quali non sono più in grado di
svolgere la loro funzione e vanno incontro a migrazione e/o mobilità progressiva.

I fattori predisponenti sistemici rendono il decorso della malattia più rapido e grave.
Nessun fattore sistemico può da solo determinare l’insorgenza della malattia parodontale.
I fattori predisponenti sistemici vengono suddivisi in:

- Fattori ereditari: deficit della funzione fagocitaria quali sindrome di Down,


EhlerDanhlos, ChediakHigashi;
- Fattori costituzionali: risposta infiammatoria ed immunitaria;
- Condizioni fisiologiche: di tipo ormonale (pubertà, gravidanza, menopausa) che
possono modificare la risposta infiammatoria parodontale ad agenti microbici;
- Stati patologici: diabete mellito (per deficit funzione PMN e fagocitosi e
microangiopatia), empatie (neutropenie e leucemie), deficit immunitari.

PATOGENESI IMMUNITARIA DELLA MALATTIA PARODONTALE

La storia delle lesioni della malattia parodontale viene racchiusa nello schema di Page,
che inquadra 4 stadi, di cui i primi 3 stadi sono caratterizzati dalla presenza della lesione
iniziale precoce stabilizzata (gengivite), il 4° stadio è dato dalla lesione avanzata
(parodontite).

La lesione iniziale precoce stabilizzata è data dalla gengivite, caratterizzata clinicamente


dai segni di flogosi acuta della mucosa gengivale. Successivamente si stabilizza con il
quadro della gengivite cronica. L’infiltrato infiammatorio determina lisi delle fibre di
collagene e degenerazione dei fibroblasti della gengiva marginale, con ispessimento ed
ulcerazione dell’epitelio sulculare e giunzionale, senza formazione della tasca.

Lo stadio di gengivite può rimanere tale per mesi o anni se non sopravviene la fase di
attività della lesione che determina l’insorgenza della parodontite.

La lesione avanzata è data dalla parodontite. Se la lesione infiammatoria gengivale va


incontro a riacutizzazione, si passa alla fase distruttiva della malattia, la quale interessa i
tessuti parodontali profondi. L’infiltrato infiammatorio si estende alle fibre di collagene
dell’attacco connettivale, che costituiscono la linea di demarcazione tra il parodonto
marginale e quello profondo, determinandone la distruzione. La distruzione delle fibre
connettivali che inseriscono sul cemento (perdita di attacco) si accompagna ad
ispessimento e proliferazione apicale dell’epitelio giunzionale che si distacca dalla
superficie dentale determinando la formazione della tasca.

L’infiltrato infiammatorio determina il riassorbimento dell’osso alveolare mediante


mediatori biochimici. Il riassorbimento osseo si definisce di tipo orizzontale se il margine
alveolare si sposta in direzione apicale, e di tipo verticale se esso si verifica nella
compagine ossea,lungo la parete radicolare (in questo caso di parla di tasche infraossee).

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Terminata la fase distruttiva di attività, la lesione torna quiescente, ma si possono avere


ciclicamente nuove fasi di attività con perdita progressiva di attacco parodontale. Durante
la fase quiescente si ha riparazione connettivale e neoformazione delle fibre transattali che
delimitano apicalmente la tasca e l’infiltrato infiammatorio.

Il trauma occlusale non si accompagna mai alla comparsa di una tasca, ma determina un
processo di degenerazione ialina delle fibre parodontali e di riassorbimento osseo.

Il riassorbimento osseo da trauma occlusale consiste in un processo di decalcificazione.


Le lesioni sono solo parzialmente reversibili dopo l’eliminazione dell’infiammazione. All’Rx
si manifesta con l’aspetto di un difetto osseo, non sondabile clinicamente.

CLASSIFICAZIONE DELLE PARODONTITI

Le parodontiti vengono classificate in:

- Prepuberale;
- giovanile tra i 12 e i 19 anni;
- rapidamente progressiva 19-25 anni;
- adulti oltre i 40 anni;
- refrattario al trattamento;
- recidivante.

Secondo vai qual è il criterio classificativo?

Il criterio di classificazione è l’età! Questo potrebbe far pensare che la patologia


paradontale sia una patologia dell’invecchiamento, come le altre articolazioni anche
questa sia sensibile all’età che quindi invecchi come l’anca il ginocchio ecc...Ma non è
così! Non è una patologia dell’invecchiamento. Noi facciamo una differenziazione in base
all’età semplicemente perché è funzione del tempo di applicazione della causa patologica
cioè dei batteri, più tempo ho i batteri più è la distruzione. Ruolo importante è dato dal
sistema immunitario, che, non presenta variazioni età-correlate tali da innescare la
malattia parodontale. Se manteniamo l’assenza di batteri, il sistema funziona tutta la vita,
non è detto che tutti gli anziani debbano portare la dentiera ma solo in quelli in cui non
viene trattata bene l’igiene. Quindi il sistema di protezione funziona bene tutta la vita, noi
possiamo evitare di portare la dentiere possiamo evitare di andare incontro alla patologia
paradentale se curiamo l’igiene. Se io ho i batteri tutti i giorni dell’anno e non mi lavo denti
a 70 – 80 anni non avrò i denti.

Nella patologia il sistema funziona bene, funziona tutto bene questa è la normalità. È nelle
forme giovanili che il sistema non sta funzionando bene.

SE IO MANTENGO UNA BUONA IGIENE ORALE IL SITEMA DURA TUTTA LA VITA!!!

In passato si parlava anche di paradentosi, dove il suffisso -osi, come nell’artrosi, sta per
degenerazione, ma non è così, ripeto, gli studi svedesi lo confermano: se manteniamo
l’igiene, se facciamo terapia e evitiamo di creare una nicchia ecologica (tasca patologica)

32
ODONTOSTOMATOLOGIA

che crea una pressione selettiva su questi batteri, cioè fa mancare l’ossigeno così si
selezionano batteri, noi possiamo mantenere il nostro dente tutta la vita.

In realtà la classificazione precedentemente illustrata non si usa più ma serve solo per
esprimere quel concetto estremamente importante.

Oggi lavoriamo con una classificazione molto più complessa. Anche la gengivite non viene
più classificata come uno stato ma come malattia perché può persistere per sempre, il sito
può anche non andare mai in contro ad erosione.

La malattia paradontale è il dentellato di una sega in ascendete, quindi ha una fase di


attività, di rapida distruzione, poi si ferma, recede un pochino quindi con una fase di
quiescenza che dura un tempo indeterminato, poi ancora un picco e così via la malattia
quindi procede per fasi di attività. Quindi più ravvicinate sono le fasi di attività più veloce è
la malattia. Quindi qual è la differenza tra le varie forme del criterio classificativo (in base
all’età)? L’eziologia è sempre data dai batteri ma la patogenesi è data dall’efficienza del
sistema immunitario, se non ci sono batteri non c’è malattia.

La differenza è data, quindi, dalla differente risposta del sistema immunitario e in pratica
dov’è il difetto?

Nelle Forme giovanili.

Nella prepuberale vi è un deficit di adesione dei leucociti polimorfonucleati, che anche se


richiamati non riescono ad aderire e quindi non riescono ad attraversare l’endotelio vasale,
è una forma rarissima con 40 -50 casi nel mondo. L’insorgenza è molto precoce dopo
l’eruzione della dentatura decidua (colpisce i decidui). Può manifestarsi in forma
localizzata o generalizzata. La forma generalizzata colpisce i tessuti gengivali tumefatti,
sanguinanti con presenza di recessioni. La perdita ossea è rapida e generalizzata;

La parodontite giovanile (oggi definita aggressiva nell’altra classificazione, la nuova) è


legata a un deficit di chemiotassi del polimorfo nucleati, non rispondono adeguatamente al
richiamo per via della riduzione della gp110 (PM 11000) che è una proteina di membrana
e che probabilmente corrisponde ad un recettore, quindi una diminuzione dei recettori,
questo difetto nel 75% dei casi è imputabile ad un difetto ereditario, quindi è una patologia
ereditaria! In realtà è una parodontite quasi mono-infettiva, dove l’agente biologico è
Aggregatibacter actinomycetem comitans. Il fatto che è causato da un solo batterio è
favorevole perché? Perché possiamo intervenire con una terapia mirata! È un coccobacillo
gram negativo che vive bene in alta tensione di CO 2 , sopravvive bene in assenza così
come in presenza di O 2 e questo dato è fondamentale perché? Quando questo agente
viene trasmesso dalla madre al bambino per esempio non muore. Per spiegare questo
bisogna aprire una parentesi sulla trasmissione e sull’insorgenza della forma adulta. Se
noi trasmettiamo uno degli agenti eziologici delle forme adulte come Porphyromonas
Gengivalis, che è un bacillo gram negativo anaerobio, su una mucosa normale, questo
muore per la presenza di ossigeno. Quindi per favorire il suo attecchimento cosa
dobbiamo avere? Ci deve essere questa famosa tasca cioè ci deve essere un punto in cui
io non ho più il legamento paradontale ma ho una gengiva che è semplicemente
appoggiata, quindi c’è come se avessi un buco profondo in cui man mano che mi porto

33
ODONTOSTOMATOLOGIA

profondamente ho la diminuzione della tensione di O 2 , ecco perché la malattia è infettiva


ma non contagiosa, se non c’è il sistema su cui può agire, il batterio che viene trasmesso
muore e allora noi abbiamo bisogno della preparazione alla sopravvivenza con la
stratificazione del batterio, il primo giorno si accumulano grampositivi facoltativi, poi gram
negativi, poi bacilli gram positivi e gram negativi facoltativi poi quando il mio “sandwich” si
sta formando nelle zone più profonde, l’O 2 comincia a mancare e quindi si forma
l’ambiente per i gram- anaerobi stretti, nella cui categoria sono presenti tutti i responsabili
della malattia paradontale nell’adulto; allora quando ho la malattia significa che non mi
sono lavato i denti per molto tempo, i batteri stanno lì, si crea la tasca con basse tensioni
di O 2 in profondità e i batteri non muoiono.

Tornando alla giovanile, noi abbiamo il 75% dei casi la mamma oltre al passaggio di
batteri passa al figlio una cosa più importante, ossia il difetto genetico di chemiotassi, poi
con la prima pappina gli passa anche il batterio il quale non ha bisogno di preparazione e
vive bene alle alte tensioni di ossigeno, è in grado di sviluppare tutta la malattia. Quindi il
fatto che il batterio abbia la capacità di resistere alle alte tensioni di ossigeno è un dato
importante perché ne evidenzia la facilità di insorgenza (associato al deficit) non solo, ha
anche una caratteristica fondamentale il principale meccanismo patogenetico è la
produzione di una leucotossina che distrugge i polimorfo nucleati, che già non si
muovevano per il deficit, ma vengono appunto anche distrutti.

Quindi abbiamo una doppia patogenesi ereditaria e ambientale.

La malattia, abbiamo detto, progredisce per fasi di attività, più queste sono veloci, più è
veloce la progressione della malattia che viene espressa in termini di legamento perso, è
una misura lineare. Per sapere se la progressione è veloce o lenta noi ragioniamo in
termini di perdita del legamento. La diagnosi è quindi tutta clinica e si basa sul legamento
perso. Che è un concetto tridimensionale ma noi non possiamo misurarlo
tridimensionalmente quindi scegliamo di misurarlo linearmente in determinati punti.

E “da dove” lo andiamo a misurare? Lo misuriamo dalla giunzione amelocementizia cioè


il punto di passaggio tra lo smalto e il cemento, che è un punto che possiamo sempre
verificare, se noi incontriamo il pz più volte allora possiamo verificare la progressione della
patologia ma se è il primo incontro, cioè per sapere quanto un pz ha perso nel momento in
cui noi lo visitiamo dall’inizio della patologia ci possiamo chiedere, non avendo un
confronto, da “quando” lo andiamo a misurare (come faccio il confronto)? Dall’eruzione
dentale, quindi nel momento in cui lo misuro oggi gli misuro la quantità di distruzione che
potrebbe aver avuto dal tempo 0, dall’inizio dell’eruzione dentale, quindi posso dire se sto
misurando il primo molare di un soggetto che ha 50 anni, sto vedendo la distruzione che
ha avuto quindi in 44-45 anni. Oppure ovviamente posso vederlo dopo 6 mesi o un anno e
fare il differenziale. Questo mi da un’ idea sulla storia di questo soggetto, quanto ha perso
negli anni, ma non ci dice cosa dobbiamo fare che invece ci è dato solo dalla tasca cioè
dalla distanza tra il margine gengivale e il fondo della zona dov’è l’attacco.

Con la sonda, ho 2 parametri per misurare:

- la perdita di attacco: la distanza dalla giunzione amelocementizia fino all’attacco;

34
ODONTOSTOMATOLOGIA

- profondità di sondaggio o di tasca: la distanza tra il margine gengivale e la punta


della sonda. Fino a 3 mm di profondità di sondaggio i nostri sistemi di igiene orale
(spazzolino, stuzzicadenti interdentali non quelli da tavola, filo interdentale e
collutorio, nel caso del collutorio l’unica cosa che funziona è la clorexidina e i suoi
derivati, tutto il resto non serve a niente solo che quello che non serve può essere
usato sempre quello che serve realmente quindi la clorexidina non può essere
usato sempre perché è un farmaco vero e proprio) tutto funziona fino a 3 mm di
profondità, dopo 3 mm non arriva più niente, quindi i batteri crescono e man mano
che ci approfondiamo diminuisce la tensione di O 2 e abbiamo una pressione
selettiva per avere anaerobi in sede e la malattia va in progressione; ecco perché
noi facciamo l’intervento chirurgico per modificare questa situazione, perché non ha
senso fare un intervento contro i batteri. Si interviene quando si superano i 3 mm.
Dobbiamo fare un qualcosa di chirurgico per riportare questa dimensione ai 3 mm;
in particolare con innesto osseo e riduzione chirurgica. Lo scopo è di rimanere
all’interno di questi famosi 3 mm.

La parodontite rapidamente deostruente colpisce giovani e adulti tra i 15 e i 35 anni. È


dovuta al notevole accumulo di fattori irritativi locali: presenza preponderante nella flora
sottogengivale del bacterioides gingivalis e deficit funzionale dei PMN o dei monociti. Si
ha una tumefazione infiammatoria, con sanguinamento e grave perdita ossea. I sintomi
sono quelli della parodontite in fase avanzata. Presenta periodi di attività rapidamente
evolutivi e frequenti. Dopo alcuni anni la malattia può rallentare il suo decorso assumendo
quello di una parodontite cronica dell’adulto.
La Parodontite cronica dell’adulto colpisce oltre i 35 anni ed è la forma più frequente,
con lesioni a lenta evoluzione. La gravità della distruzione parodontale è proporzionata alla
entità dei fattori irritativi presenti. Vi è la presenza di una flora parodontogena complessa.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

La carie dentaria

Struttura dell’elemento dentario

I denti, oltre a realizzare la triturazione degli


alimenti, intervengono nell’articolazione
della parola e nel mantenimento
dell’estetica facciale.

Ogni elemento dentario è costituito dalla


corona e dalla radice la quale è contenuta
in una cavità ossea che prende il nome di
alveolo.

In particolare, vediamo che l’elemento


dentario è costituito esternamente dallo
smalto, quello che si vede quando si
guarda la bocca di un soggetto, che è il
tessuto più duro dell’organismo. Lo smalto
copre un sistema tubulare che è la dentina. Questa a sua volta va a coprire la polpa
proteggendola da quel processo di infiammazione che prende il nome di pulpite (a livello
della polpa vi sono nervi che se infiammati danno il dolore di denti classico).

La dentina è composta da una serie di canalicoli, detti anche tubuli dentinari, convergenti
verso la polpa. La polpa (n°3 in figura), che è il tessuto di irrorazione e di innervazione del
dente e dunque quello che causa il mal di denti, ha la stessa origine embrionaria della
dentina; quindi da un punto di vista embrionario polpa e dentina hanno la stessa matrice.
La natura ha fatto in modo che il tessuto giallo (la dentina) sia a protezione del tessuto
rosso (la polpa, la quale è l’organo della sensibilità, ma che dà anche la nutrizione
all’elemento dentario).

Al punto 2 vedete indicata la gengiva; la gengiva è quella parte di mucosa masticatoria


che ricopre il processo alveolare ed il colletto dei denti. Essa è costituito dalla gengiva
libera o marginale e dalla gengiva aderente.

La gengiva libera o marginale è estesa dal margine gengivale alla base del solco
gengivale fisiologico; quella aderente va dalla base del solco gengivale fisiologico alla
giunzione muco-gengivale. Inferiormente alla gengiva aderente per la mandibola e
superiormente per la mascella vi è la mucosa alveolare.

La gengiva libera circonda il dente senza esservi adesa; forma il solco gengivale
fisiologico, ha un’altezza variabile da 0,5 a 2 mm, corrispondente alla profondità del solco
gengivale; a livello interdentale dà luogo alla papilla.

La gengiva aderente si estende dal fondo del solco alla linea muco-gengivale; è fissa,
essendo adesa al cemento del colletto e all’osso alveolare sottostante; di colore rosa
corallo e dal tipico aspetto a buccia d’arancia.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Il limite tra gengiva libera e gengiva aderente è rappresentato da fasci fibrosi che
aderiscono al cemento del colletto. Di questi i più importanti sono:

- Fasci circolari di
Kölliker (c);
- Fasci dento-
gengivali (a) (dal cemento
alla gengiva marginale);
- Fasci dento-
periostei (b) (dal cemento
al periostio alveolare);
- Fasci alveolo-
gengivali (dal mergine
alveolare alla gengiva
libera);
- Fasci transeptali
(d) (dal colletto al colletto
dei denti contigui).

Questa è la struttura del cosiddetto legamento del Kolliker, e la perdita di questo (sia
nelle malattie parodontali che nelle patologie dell’elemento dentario) insieme alla perdita di
osso determina l’abbassamento dell’osso parodontale, con la sensazione che il dente
emerga, quando in realtà è il parodonto ad abbassarsi. Quando il parodonto non regge più
il dente inizia a muoversi.

Il solco gengivale fisiologico è uno spazio virtuale che separa il dente dalla gengiva
marginale o libera, ha una profondità variabile da 0,5 a 2 mm circa che è pari all’altezza
della gengiva marginale.

È fondamentale che il medico capisca che la malattia parodontale rientra in quella che
oggi viene chiamata periomedicina; vi faccio degli esempi: il malato paradontopatico ha la
stessa quantità e qualità di batteri che alcune volte viene ritrovata, all’autopsia,
nell’endocardio di alcuni pazienti, morti per patologia infartuale; la stessa qualità di batteri
viene ritrovata a livello delle articolazioni, in quella che è la malattia reumatica; la stessa
qualità di batteri, sto parlando sempre dello Streptococco β-emolitico, viene ritrovata a
livello renale in quella che è la glomerulonefrite post-streptococcica. Tutto ciò significa che
il paziente paradontopatico è un paziente che presenta dei rischi per il cardiologo, per il
reumatologo, per il nefrologo; significa che il paziente con parodontopatia, se donna ha
una possibilità in più di avere un parto prematuro, insieme ad altre condizioni. Quindi la
gengiva per i medici è di grandissima importanza.

Un’altra cosa molto importante, che costituisce l’elemento dentario è l’osso di sostegno
alveolare, il quale viene ad essere distrutto dalla patologia parodontale; dalle gengiviti in
poi la costante distruzione dell’osso determina un fenomeno che potrebbe essere spiegato
come se avessimo un ombrellone all’interno della sabbia e che lentamente ci porta via la
sabbia: otticamente voi avrete questi pazienti che hanno questo dente che sembra più
lungo, ma in realtà non lo è. . .è quello che vi è attorno che viene ad essere distrutto dal

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ODONTOSTOMATOLOGIA

processo infiammatorio/infettivo; ed il processo infiammatorio/infettivo determina in


progressione la perdita di stabilità dell’elemento dentario, perché la distruzione è
progressiva e costante. Il dente, inoltre, è accolto dall’alveolo, che è costituito da 4 pareti e
la malattia parodontale porta alla distruzione, selettiva o no, di 1, 2, 3, o anche 4 pareti ed
è localizzata, non sempre generalizzata, cioè sito-specifica, vale a dire che può colpire
alcune ed altre sono completamente sani.

Il parodonto è costituito da osso alveolare, legamento alveolo-dentale, gengiva e


cemento. Noi siamo soliti dividere il parodonto in:

• parodonto superficiale, costituito dalla gengiva;


• parodonto profondo, costituito da: legamento alveolo-dentale, cemento e osso
alveolare e che vede anche l’apice radicolare .

Ciò ha un significato, da un punto di vista patologico nelle parodontiti, patologie che si


verificano allorquando si determini la morte della polpa all’interno della radice;
distinguiamo le patologie parodontali in: gengivite e parodontite profonda (talvolta
identificata, o addirittura confusa, con il sintomo di questa patologia: la piorrea, ovvero lo
scorrimento del pus).

Il dente è sostenuto dal legamento alveolo-dentario, questo legamento lega il dente alla
parete ossea ed ha una funzione, cioè quella di dare un minimo di movimento al dente,
che non è, quindi, in anchilosi dentaria; vi sarà capitato di giocare con i denti e sentire che
si muovono, in realtà è una propriocezione (una sensazione) che si avverte, ma non è un
movimento effettivo. La distruzione di questo legamento, comunque, è uguale alla
distruzione dell’osso, cui è strettamente collegato, ma l’interessamento di questo
legamento ha una grande importanza clinica, poiché essendo interessato in alcune
patologie odontoiatriche, spesso il riscontro del suo coinvolgimento ci porta a fare
diagnosi.

Quando parliamo di denti mono- e pluri-radicolati, discutiamo del numero di radici: i denti
del gruppo anteriore ne presentano quasi sempre 1, i denti del gruppo posteriore ne
presentano 3 o 2. Questa è un’altra delle situazioni a cui voi dovete pensare se c’è
malattia parodontale, perché, se c’è osso che sostiene, è ovvio che manterrà di più,
nell’osso, una struttura pluri-radicolata, ad esempio con un tripode, piuttosto che una
struttura mono-radicolata; quindi, se c’è perdita di osso sul molare diventa molto più grave
poterlo recuperare proprio perché ci sono 3 radici da recuperare.

I denti sono di due tipi: denti decidui e denti permanenti. La dentatura decidua è
costituita nel complesso da 20 denti (dieci per arcata) così distinti: 8 incisivi, 4 canini e 8
molari (mancano i premolari e i denti del giudizio).

La dentatura permanente è costituita invece da 32 denti, dei quali sedici inseriti negli
alveoli del mascellare superiore e sedici negli alveoli del mascellare inferiore: i primi
costituiscono l’arcata dentaria superiore e i secondi l’arcata dentaria inferiore.

38
ODONTOSTOMATOLOGIA

DEFINIZIONE DI CARIE

La carie dentaria è un processo patologico irreversibile ad eziologia multifattoriale, che


provoca la distruzione dei tessuti duri del dente (smalto, dentina e cemento) con
complicanze di ordine locale (pulpopatie, parodontiti) e generale (ad es. difficoltà nella
fase cefalica della digestione con un paziente che non tritura i cibi ma che ingoia, con
conseguente aerofagia e malassorbimento).

Quindi, è una patologia dei tessuti duri del dente e la terapia è: eliminare la distruzione e
mettere un materiale sostitutivo.

La carie rappresenta insieme alla malattia parodontale una malattia ad altissima


prevalenza in tutti i paesi occidentali,colpendo in alcune zone il 95% della popolazione.
Risulta, pertanto, essere la malattia più diffusa nel mondo (a parte in svizzera dove il
bambino è biondo, ricco e gli vengono applicate tutte le misure di prevenzione). È
importante tenere presente che esiste un età critica intorno ai 7-8 anni (primo picco) e poi
intorno agli 11-12 anni (secondo picco) con una dentatura di tipo misto difficile da
spazzolare meccanicamente, da qui la necessità di fare dei programmi di ortodonzia atti a
prevenire il processo.

Il DMFT è un “Indice epidemiologico” usato per valutare l’intensità con cui la carie colpisce
gli individui; il suo valore indica il numero complessivo di denti cariati (D), otturati (F) e
mancanti (M) nel singolo paziente. Quando è maiuscolo è per i denti degli adulti (DMFT),
mentre in minuscolo per quelli dei bambini (dmft).

Talvolta, sono considerate come carie anche delle lesioni da abrasione meccanica dei
denti, che il paziente stesso si provoca spazzolando i denti troppo forte; sono usure da

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ODONTOSTOMATOLOGIA

spazzolamento scorretto, a causa delle quali il paziente espone una zona che viene
traumatizzata e che si consuma. Ad es., quelle che vengono definite colpi d’ascia sono
lesioni da usura orizzontali del dente da spazzolamento. Se il paziente espone il cemento
radicolare, il cemento radicolare non è abituato ad essere esposto ed è più facile che
venga usurato e vada incontro a processi cariosi.

È importante per voi medici capire quale sia l’agente eziologico e dove il medico può e
deve intervenire per aiutare l’odontoiatra. Nello sviluppo del processo carioso entrano in
gioco molti fattori importanti nei quali il medico può entrare che sono: l’alimentazione; la
stimolazione all’igiene orale, alla educazione sanitaria, alla necessità di controlli periodici e
di applicare i principi di profilassi.

Fondamentale è, quindi, l’applicazione della prevenzione; bisogna mettere il paziente in


condizione di seguire una metodologia di investigazione che di fatto abbassa di moltissimo
i costi sanitari (una visita ha un costo rispetto ad una protesi di 30 euro Vs 1000 euro).

Negli ultimi 10 anni si è osservata, nei paesi sviluppati, una netta diminuzione del
processo carioso grazie a:

- Programmi di prevenzione, basati sulla fluoroprofilassi sistemica e domiciliare;


- Uso su larga scala di antibiotici;
- Sviluppo di un’ immunità naturale nella popolazione verso microrganismi cariogeni.

Quando discutiamo della carie è lampante che i paesi a basso sviluppo socio-culturale ed
economico hanno un’incidenza di carie altissima.

Fondamentali sono le abitudini: nel bambino tra i 6 e i 7 anni in cui nella alimentazione
prevalgono: merendine, caramelline, nutella, coca-cola (questo in una classe sociale un
po’ più alta) o semplicemente pane e pasta (come in una classe sociale un po’ più bassa)
si è creato il presupposto per lo sviluppo di un agente patogeno, poiché il carboidrato è
zucchero e lo zucchero favorisce il processo carioso. Se un elemento dentario è cariato
l’elemento opponente ha una altissima possibilità di essere cariato anch’esso.

Bisogna intervenire per limitare il processo carioso, già sotto l’aspetto alimentare, perché
l’alimentazione con produzione di acidi è la base della malattia cariosa, attraverso la
formazione della placca muco-batterica. La placca muco-batterica è gestita da un batterio
che è lo Streptococcus Mutans, così chiamato poiché è capace di mutare; la sua
caratteristica peculiare è la capacità di creare una organizzazione (placca) su un elemento
dentario: una pellicola che richiamerà altri batteri. Si tratta di una membrana
particolarmente poco permeabile, al di sotto della quale, quindi a contatto con lo smalto, ci
sono dei batteri acidofili, che quindi abbassano il pH al di sotto di 5,5; ciò determinerà la
dissoluzione dello smalto. La saliva che ha potere tampone non riesce ad arrivare in
tempo per tamponare questa situazione di acidità e quindi si sviluppa il processo carioso.
Mano mano che la placca cresce e prende il calcio dalla saliva, prende i batteri, prende le
cellule di desquamazione e tutto ciò entra nella costituzione della placca che diventa
calcifica. Diventa tartaro; ma sul tartaro si incolla nuova placca, quindi è un fenomeno
costantemente crescente.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Teorie sulla carie

Teoria chimica (Magitot, 1867)

“La carie è determinata da sostanze acide (acido butirrico, acido citrico, acido maleico e
acido lattico) originate dalla fermentazione enzimatica di residui alimentari presenti nel
cavo orale.”

Teoria chimico-parassitaria (Miller, 1892)

“I germi acidogeni della flora batterica orale, in particolare i lattobacilli, fermentando i mono
ed i disaccaridi presenti nei residui alimentari esistenti tra i denti, determinano la
formazione di acido lattico con conseguente decalcificazione dei tessuti duri del dente”

Teoria proteolitica (Gottlieb, 1947)

“La carie è determinata dall’attività proteolitica dei germi che determina primariamente la
dissoluzione della trama organica dello smalto (sostanza interprismatica) e della dentina,
con conseguente crollo dell’impalcatura minerale del dente.”

Teoria della proteolisi-chelazione (Gottlieb, 1947)

“La carie è determinata dall’attività proteolitica dei germi che determina la scissione delle
proteine contenute nello smalto e nella dentina in aminoacidi capaci di sottrarre il calcio ai
tessuti minerali del dente, conducendo alla formazione di composti organici di calcio
solubili nella saliva.”

Teoria trofomicrobica (Beretta, 1927)

“Accanto ai fattori locali chimico-batterici scatenanti, intervengono fattori legati alle


condizioni generali dell’organismo i quali, per via umorale o neurovegetativa, determinano
alterazioni strutturali degli odontoblasti e delle strutture smalto-dentinali che ne riducono la
resistenza ai fattori cariogeni presenti nel cavo orale.”

Teoria di Leimgruber ( 1952)

“Lo smalto e la dentina costituiscono una barriera semipermeabile posta tra la saliva e la
circolazione ematica. Alterazioni dell’equilibrio di tale sistema predispongono al processo
carioso.”

Teoria chimico-parassitaria (Black, 1900)

“La carie è determinata da sostanze acide originate dalla fermentazione enzimatica dei
residui alimentari, presenti nel cavo orale, ad opera di batteri acidogeni aggregati nella
placca muco-batterica”

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Fattori eziologici

Per ottenere il successo finale nel trattamento della lesione cariosa è necessario
conoscerne i fattori eziologici al fine di impostare corrette strategie preventive e
terapeutiche. I principali fattori eziologici sono:

- Dieta;
- Ospite;
- Flora cariogena.

I principali Fattori generali predisponenti sono:

- Alimentazione;
- Suscettibilità dell’ospite: Condizioni fisiologiche (gravidanza, allattamento) e stati
patologici: disendocrinie (ipotiroidismo, malattie tiroidee), malattie infettive (morbillo,
varicella e scarlattina nel bambino, encefaliti nell’adulto), stati carenziali
(disvitaminosi nell’ambito di patologie sistemiche), tossicodipendenze;
- Alterazioni quali/quantitative della saliva: Bicarbonati (funzione tampone),
Vischiosità (adesività batterica), Rapporto quota sierosa/mucosa, Attività
immunitaria della saliva;
- Fattori costituzionali;
- Fattori ecologici;
- Fattori razziali;
- Sesso, Età, Razza;
- Fattori immunitari.

Tra i principali Fattori eziologici predisponenti figura innanzitutto l’alimentazione. Una


dieta ricca in carboidrati è un fattore predisponente l’insorgenza della carie in quanto
fornisce ai batteri cariogeni un substrato metabolico fondamentale alla loro sopravvivenza
ed alla produzione degli acidi organici, in particolare acido lattico, responsabili della
demineralizzazione dello smalto.

Bisogna evitare, pertanto:

- Abbondante assunzione di carboidrati semplici più facilmente metabolizzati da


batteri acidogeni;
- Cibi zuccherini di consistenza vischiosa (marmellata, caramelle,cioccolata);
- Assunzione degli stessi di frequente ed a brevi intervalli di tempo. Ciò, infatti,
favorisce il sostentamento delle colonie batteriche.

La curva di Stephan
esprime le variazioni di
pH della superficie
dentaria al trascorrere
del tempo dopo che il
soggetto ha eseguito
uno sciacquo di 1 min.
con una soluzione

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ODONTOSTOMATOLOGIA

acquosa di saccarosio al 10%. Nel giro di 5 min. siamo sotto il pH critico dello smalto per
la produzione di acidi organici da parte dei batteri cariogeni.

Per quanto riguarda la Suscettibilità dell’ospite, bisogna individuare i soggetti che


presentano un più elevato rischio nell’insorgenza della carie in relazione a vari fattori
predisponenti. Tra questi vi sono quei soggetti che per motivi patologici presentano
un’alterazione della funzione salivare.

La valutazione della funzione salivare permette di determinare:

- Diminuzione del flusso;


- Diminuzione del potere tampone.

È attualmente il test diagnostico di più facile applicazione. I risultati ottenuti andranno,


tuttavia, interpretati in relazione all’età e ai dati anamnestici del paziente.

La valutazione della funzione salivare ha senso in relazione all’azione protettiva che


esercita la saliva verso denti e mucose grazie al suo contenuto di:

- Bicarbonati e fosfati: azione tampone;


- Lisozima: battericida;
- Lattoferrina: inibitore crescita batterica;
- Leucociti;
- Amilasi;
- Fattori del complemento (frazione C3 del complemento);
- IgA.

Normalmente esiste una flora batterica che risiede a livello buccale e che se controllata
riduce il rischio di sviluppo della carie. Esiste sicuramente una suscettibilità individuale che
è legata ad una serie di fattori come fattori di tipo genico e ambientale come
l’alimentazione. Anche la qualità dell’alimento è importante perché alimenti collosi che
aderiscono alla superficie dei denti e più facilmente darà luogo alla carie.

Oltre la flora batterica e la dieta per esempio ritroviamo come fattori predisponenti la
fluorosi, le discromie da tetracicline, che alterano la struttura intima del dente, terapie con
cortisonici, radioterapie, pazienti nefropatici che accumulano prodotti tossici. Quindi
abbiamo una situazione da valutare in complessivo in maniera molto attenta.

Un altro fattore predisponente per il sesso femminile è la gravidanza, che porta ad una
maggiore mobilizzazione del calcio, soprattutto a livello dentario. Ciò non solo priva i denti
di calcio ma aumenta l’escrezione di calcio salivare e dunque nella bocca della paziente
c’è più calcio. Ciò favorisce lo sviluppo di alcune specie batteriche. Inoltre la donna in
gravidanza ha un aumento degli estrogeni e dei progestinici che portano a neoangiogenesi
anche a livello buccale che portano più sangue che favorisce il sanguinamento da
spazzolamento, il che porta la paziente a lavare meno i denti. Inoltre gli estrogeni
modificano la saliva che diventa più mucosa e appiccicaticcia per la presenza di
mucoproteine. Questo tipo di saliva aderisce maggiormente all’elemento dentario e si
forma la placca, ed essendoci più calcio si forma anche il tartaro e sul tartaro nuova

43
ODONTOSTOMATOLOGIA

placca, e se hai minore spazzolamento per la vasodilatazione si sviluppa un grave


processo carioso.

Altro fattore di rischio è il diabete per l’angiopatia diabetica che colpisce il microcircolo con
riduzione di afflusso ematico a livello gengivale il che lo mette a rischio sia della malattia
parodontale ma anche del processo carioso.

Quando parliamo di tossicodipendenza dobbiamo stare attenti all’eroina che distrugge i


denti, mentre altre droghe non hanno lesioni caratteristiche. C’è da dire, però, che in
genere si accompagna frequentemente alla tossicodipendenza scarsa igiene orale,
bruxismo, elevata tolleranza al dolore ed elevata assunzione di zuccheri per contrastare la
transitoria ipoglicemia conseguente allo stato di eccitazione dello psicofarmaco; ciò
favorisce lo sviluppo di carie.

Importante è sicuramente per il rischio di carie è la riduzione del flusso salivare che può
essere dovuto a diverse cause, per esempio patologia renale, disidratazione, sindrome di
Sjogren, calcolosi, radioterapia, che può portare a riduzione delle ghiandole salivari. Il
flusso salivare è importante perché allontana il cibo dai denti. La riduzione del flusso
salivare, determinando una riduzione dell’apporto dei fattori immunitari specifici ed
aspecifici e dei bicarbonati, favorisce l’azione della placca muco batterica.

Fattori scatenanti locali

Nel cavo orale sono state identificate circa 50 specie batteriche diverse. Le forme coccoidi
aerobie o facoltative presentano un’attitudine prevalentemente cariogena a differenza di
quelle filamentose anaerobie ad attitudine prevalentemente parodontopatogena. Il
principale microrganismo responsabile dei processi cariosi è lo Streptococco mutans.

L’ecosistema orale è un ambiente in cui microrganismi diversi instaurano un rapporto


simbiotico con l’organismo umano. In questo ambito occupano una nicchia specifica
alcune specie in grado di colonizzare le superfici dentarie e capaci, quindi, di creare una
comunità biologica complessa in continua evoluzione:la PLACCA BATTERICA.

La Placca muco-batterica è un agglomerato di specie batteriche diverse riunite in una


matrice organica che occupa lo spazio tra le singole cellule o tra micro colonie. Vogliamo
pensare che questo agente patogeno è lo stesso che ritroviamo nella malattia parodontale
e che le epoche di insorgenza sono diverse, ma la matrice con alcune differenze
batteriche è, tutto sommato, comune. Allora pensiamo a questa tela che si posiziona
sull’elemento dentario e che funge di fatto come una membrana semipermeabile,
semipermeabile in senso lato, perché la saliva tutto sommato ha un potere tampone, ma
non riesce a penetrare questo sistema, che è gestito dai batteri. La colonizzazione iniziale
è data da cocchi Gram + e Gram –, aerobi facoltativi, ad azione cariogena. In particolare è
lo Streptococco mutans a rivestire un ruolo fondamentale nella genesi della carie. La
situazione che si sviluppa al di sotto della placca muco-batterica è tale che si sviluppa un
ambiente acido. L’acido lattico che si sviluppa attacca la superficie dello smalto
decalcificandola ed una volta che ciò è successo la saliva non riesce a tamponare queste

44
ODONTOSTOMATOLOGIA

secrezioni. È su questa placca che noi proviamo a lavorare. Affinchè i batteri possano
aderire allo smalto è necessario che producano la pellicola salivare acquisita, un biofilm
lipoproteico che riveste smalto e mucose. Essa è conditio sine qua non per la formazione
della placca batterica e ne rappresenta il primo stadio di stratificazione.

È un sistema che una volta che è iniziato (inizia già 12 ore dopo la pulizia dei denti)
continua ad essere presente e che deve essere tenuto sotto controllo attraverso la nostra
igiene e i prodotti che usiamo.

La situazione della placca è questa: tra tutti i batteri il mutans organizza la placca affinchè
al di sotto di essa vi sia un pH di 5-5.5, che è un pH acido che inizia un’azione lesiva sul
processo dentario che è l’incipit del processo carioso.

Dunque l’erosione acida favorisce lo sviluppo della carie che prima attacca lo smalto e poi
giunge alla dentina.

Ma il paziente a volte con i denti cariati o non cariati, in una situazione fisiologica o
parafisiologica, può avere mal di denti transitorio?? Si, quando vi è sbalzo di temperatura,
come nella febbre, in situazioni ipercinetiche, e nelle donne, nel mestruo perché come
abbiamo visto a causa degli aumenti di estrogeni e progestinici ciclici. L’iperemia porta la
polpa a sbattere contro le superfici esterne per una transitoria dilatazione (la terapia
consiste poi nell’aprire il tetto e togliere porzione superiore del nervo).

Lo Streptoccocco mutans è definito mutans per le rapide variazioni di forma, è un


Gram+, 8 diversi sierotipi (da A a H). Il mutans è in grado di fermentare numerosi substrati
portando alla produzione di acidi organici; gli acidi organici prodotti dal metabolismo
batterico, determinano un abbassamento del pH entro 1-3 min oltre il valore soglia dello
smalto, 5.5, dando inizio alla sua demineralizzazione. È in grado di produrre, grazie
all'azione della glucosiltrasferasi grandi quantità di polisaccaridi extracellulari definiti
“glucani”, in cui il legame prevalente è di tipo 1-3; È il principale organizzatore della
matrice extracellulare della placca muco-batterica; Fa la sua comparsa nel cavo orale solo
con l’eruzione dei primi elementi dentari intorno al sesto mese di vita.

Riesce ad aderire facilmente alla superficie smaltea, legandosi alla pellicola salivare
acquisita. L’aderenza batterica sulla pellicola salivare acquisita, con particolare riferimento
allo Streptococco mutans, avviene tramite legami elettrostatici tra le proteine della pellicola
stessa (gruppi acilici) e la parete batterica (acido lipoteicoico, LTA) con interposizione di
ioni Ca++.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

La sequenza di eventi del processo carioso è la seguente:

- la carie invade lo smalto  fino a quando è intaccato solo lo smalto non c’è nessun
tipo di sensibilità ed il paziente non ha dolore, perché non sono intaccate strutture
nervose;
- nel momento in cui la carie passa all’interno della dentina, la dentina è composta da
centinaia di piccoli tubuli che convergono tutti verso l’organo pulpare, ragion per cui
i batteri del cavo orale (tenete presente che la bocca è la seconda, per numero di
batteri, rispetto alle altre cavità dell’organismo) colonizzano i tubuli e poi passano,
contro un gradiente di umidità, e si portano verso il processo pulpare;
- comincia la pulpite (infiammazione della polpa): i batteri vanno ad invadere la
polpa gradualmente (in senso corono-apicale), coinvolgendo via via tutto il tessuto;
nel momento in cui i batteri cominciano a toccare la polpa inizia la sensibilità; quindi
questo passaggio comincia a dare quella stimolazione che è la stimolazione al
caldo, al freddo, al pH che cambia mezz’ora dopo che abbiamo fatto una
alimentazione normale ed abbassandosi il pH, con stimolo acido, si inizia a
presentare all’interno del dente una sintomatologia: il classico mal di denti.
L’interessamento della polpa, in corso di pulpite, crea la condizione di dolore.

Esistono, però, anche degli stati fisiologici per cui possiamo avere un “finto mal di denti”,
per così dire; questi sono i cosiddetti stati di iperemia pulpare (aumento del flusso ematico
alla polpa), consequenziali ad un aumento della temperatura corporea, come nella febbre
o nelle donne in corrispondenza del picco ovulatorio, per le variazioni estro-progestiniche.
Bisogna, pertanto, sempre escludere queste possibili cause di “mal di denti finto”.

Terminologia

Come per le altre patologie, anche qui vi sono una serie di termini utilizzati per descrivere
le singole varianti cliniche del processo cariogeno:

- Carie primaria: insorge su una superficie integra;


- Recidiva cariosa: è una lesione che si presenta come riattivazione di una carie
preesistente e non completamente asportata durante il trattamento conservativo;
- Carie secondaria: è una lesione che insorge a livello dei margini di una cavità
precedentemente otturata;
- Carie rampante: quando in un paziente si osserva l’insorgenza di almeno dieci
nuove lesioni nell’arco di 12 mesi.

Carie dello smalto

La lesione iniziale limitata allo spessore dello smalto, che


non ha ancora determinato la formazione di una cavità.
Esistono vari strati di distruzione dello smalto:

a) Zona di distruzione;

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ODONTOSTOMATOLOGIA

b) Zona di invasione con smalto totalmente demineralizzato ricco di sostanza amorfa;


c) Zona di invasione con smalto parzialmente demineralizzato con aumento degli
spazi intercristallini riempiti di sostanza amorfa;
d) Smalto indenne.

Carie della dentina

Rappresenta la naturale progressione della


lesione iniziale che ha determinato la
formazione di una cavità nello smalto e una
lesione a livello dentinale.

Gli strati di distruzione della dentina sono:

a) Zona di distruzione;
b) Zona di invasione;
c) Zona di sclerosi tubulare;
d) Zona di dentina apparentemente
indenne.

Carie del cemento

A seguito di una recessione del margine gengivale si verifica l’esposizione del cemento
radicolare ai fluidi orali e di conseguenza può andare incontro a carie.

Classificazione delle lesioni cariose

Esiste una scala di classificazione della carie:

- D1: carie dello smalto limitata alla metà esterna;


- D2: carie che interessa l’intero spessore dello smalto;
- D3: carie che interessa la metà più esterna della dentina;
- D4: carie che interessa l’intero spessore di dentina e giunge in prossimità della
polpa(pulpite).

Tornando alla pulpite, sappiamo che il tessuto pulpare si porta verso l’apice radicolare.
Questa struttura è collegata ad un nervo, alveolare superiore o inferiore , che è proprio per
ogni emiarcata (il che consente un’anestesia localizzata). Questi nervi si dipartono dal
ganglio di Gasser e, dunque, da questa struttura principale si diparte un nervo per
emiarcata e da questo un nervo per ogni dente. Sulla base del decorso dei nervi alveolari
superiori ed inferiori, possiamo dividere la bocca in 4 quadranti. Nella pulpite il dolore di
riferimento segue questo percorso dei nervi alveolari ed abbiamo una zona di dolore non
identificata dal paziente in modo preciso (anche perché spesso le fibre nervose si
incrociano), ma genericamente a livello del quadrante; talvolta, se c’è interessamento

47
ODONTOSTOMATOLOGIA

dell’emiarcata superiore, il paziente può riferire anche dolore nella regione temporale
perché alcune fibre si dirigono verso il temporale. Nella patologia pulpitica, che è una
nevralgia secondaria, quindi, non si riesce a discriminare la localizzazione precisa del
dente che è interessato dal processo infiammatorio, a meno che non andiamo a stimolarlo
con dei test (come il test di sottrazione di calore: stimoliamo fortemente il paziente
sottraendo calore, in corrispondenza di un singolo elemento dentario; se quello è il dente
interessato allora il paziente da un dolore di base avvertirà un dolore forte; se quello non è
il dente interessato dal processo, il paziente avvertirà solo freddo).

Tutte queste osservazioni sulla localizzazione del dolore sono importanti la diagnosi
differenziale della nevralgia essenziale, che colpisce soggetti tra i 40 e i 60 anni,
principalmente donne, con una sintomatologia della durata scarsa di un minuto, ma
talmente intensa da condurre a tendenze suicide. Quindi è una sintomatologia molto
intensa, che determina una serie di nevralgie secondarie, in cui il paziente riferisce solo un
dolore diffuso. Un’altra diagnosi differenziale importante è con la patologia che segue una
pulpite: dopo la carie, dopo la pulpite possiamo avere la parodontite apicale (la terza
patologia di sequenza): la morte, la necrosi del tessuto pulpare e quando il dente è
necrotico e stiamo andando verso l’ascesso, il dolore sarà localizzato al singolo elemento
dentario (a questo punto il dentista ci dice che bisogna devitalizzare il dente).

La diagnosi differenziale ci farà quindi orientare verso il trattamento: un dolore localizzato


ci orienterà verso una terapia antibiotica ed antidolorifica; una pulpite ci orienterà verso un
forte antidolorifico con l’aiuto di un antibiotico per ridurre la componente batterica; poco o
nulla si dovrà fare in caso di iperemia.

Quindi comprendete come la carie in un momento iniziale non ha sintomatologia, ma nel


momento in cui ha un contatto con la dentina inizia la sintomatologia nevralgica, che poi
evolve verso la morte cellulare; l’evoluzione e la sintomatologia, sono legati ad un dato
molto banale. La carie per colpire il nervo può procedere o sfondando il dente dall’alto o
dai lati, e l’evento può avvenire o in maniera traumatica o lentamente.

Cosa interessa di più? Solchi, fessure e fossette ovvero i punti cario recettivi. Questo
dente che è il VI esce ai bambini a 6 anni, quindi bisogna insegnare alle mamme che fino
a 5 sono denti di latte, dal sesto in poi sono già denti definitivi.

Per quelli che faranno pediatria, sappiate che i dentini davanti escono un po’ più linguali.
Spieghiamo il perché: il meccanismo di eruzione di un dente è banale: sotto al dente da
latte c’è il dente permanente; del dente permanente si costituisce prima la corona
(rapidamente) e poi la radice. Questa si costituisce con un meccanismo che rispetto ad un
piano è come se io aggiungessi una fettina per volta sotto; all’aggiunta di ogni nuova
fettina, si consuma la radice del dente di latte, fino a quando quest’ultimo sarà solo
poggiato sulla gengiva e dondolerà. Dopo di che cade il dente di latte, esangue o con quel

48
ODONTOSTOMATOLOGIA

pochino di sangue della gengiva, e comincia ad uscire il dente sotto. Per quanto riguarda il
gruppo di denti inferiori, nell’eruzione i dentini davanti di latte cadono perché si consuma la
radice data la spinta in avanti della lingua ogni volta che il bambino ingoia e per
l’insorgenza del dente sotto. Quindi i denti davanti inferiori definitivi non sono più dietro,
sono quelli davanti che si stanno spostando in avanti! È fisiologico.

Tornando al VI dentino, che esce a 6 anni, è quello più a rischio di carie, perché si mangia
tutte le caramelle, le merendine, la coca-cola, ecc...tant’è che noi facciamo la profilassi
con la sigillatura: ripuliamo questo solco, lo laviamo e poi mettiamo una resina sigillante,
che trasforma un solco in una superficie liscia.

Fondamentale è l’ANAMNESI; bisogna ascoltare il paziente. Poi l’E.O. per ricercare i segni
clinici, che sono più importanti degli esami strumentali; bisogna guardare di una struttura
dentaria ogni lato, ogni faccia. L’indagine strumentale nell’ambito dell’odontoiatria più
importante è l’Rx (una radiografia di un processo carioso, che appare come un’area di
distruzione). Esistono poi dei test salivari e microbiologici.

Per la parte chirurgica: è fondamentale capire, quando dobbiamo operare, se il paziente


abbia una patologia cardiovascolare; questo perché qualsiasi intervento io faccia nella
bocca provocherà delle batteriemie transitoria, che può mettere a rischio il paziente;
pertanto devo creare delle condizioni di tranquillità, abbattendo gli indici di placca e con
antibioticoterapia: amoxicillina 3 g prima dell’intervento. Ma non è solo questo per il
paziente cardiovascolare, poiché quest’ultimo, molto probabilmente, sarà in terapia
anticoagulante e dunque a rischio di emorragia; bisogna pertanto valutare i tempi di
coagulazione.

A volte riesco ad avere un vantaggio nel trattamento della patologia parodontale se ho una
serie di carie? Se io ho delle lesioni cariose, all’interno di queste lesioni cariose ci sono
dei batteri; se io inizio un trattamento parodontale dove ho una infiammazione marginale
sostenuta da un batterio, non necessariamente potrò fare tutte le otturazioni insieme, ma
se ripulisco tutta la zona e metto delle otturazioni provvisorie, sono andato a ridurre la
carica batterica, che è vicina al parodonto marginale, ed ho di fatto migliorato la situazione
gengivale.

Per la carie proviamo a fare una prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

La prevenzione primaria consiste in una prevenzione del danno attuando:

- Profilassi alimentare;
- Fluoro profilassi;
- Sigillatura dei solchi;
- Visite periodiche di controllo.

Quindi, la prevenzione primaria è entrare nella comunità e fare passare un messaggio


(l’educazione sanitaria che dicevamo prima); la secondaria è applicare un canone ad una
popolazione più o meno estesa di soggetti; la terziaria è entrare nell’operatività
(restaurare).

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Il neonato non ha batteri nel cavo orale; il cavo orale viene colonizzato all’allattamento, per
cui se la madre ha una patologia noi dobbiamo andare prima ad agire sulla madre. Quindi
se volessimo applicare un canone di prevenzione secondaria sarebbe: lavorare sulla
madre.

L’ EPULIDE GRAVIDICA è un’iperplasia del tessuto connettivo della gengiva o del


parodonto, in corrispondenza della quale si è formata una placca. La formazione
dell’epulide dipende dal picco estro-progestinico ed è fondamentale che il ginecologo
conosca questa possibilità.

L’epulide può essere addirittura extraorale; si può procedere con la rimozione chirurgica
che può lasciare scoperta la radice del dente (al massimo si può fare un piccola innesto),
ma comunque successivamente avviene la ricostruzione del tessuto gengivale guidata dal
“sostegno osseo-dentale”.

Come possiamo per ridurre la placca? Utilizzando dei colluttori o gel con clorexidina e
cloruri che hanno un’azione antibatterica (agiscono aumentando drammaticamente la
permeabilità della membrana della streptococcus mutans); è comunque da tenere
presente che la clorexidina non può essere usata per lungo tempo perché può dare come
effetto collaterale la disgeusia (alterazione della percezione del gusto) e una
disepitelizzazione della mucosa orale con glossite, gengivite, ulcere orali…

L’igiene orale (con lo spazzolino, il dentifricio, il filo interdentale, il colluttorio) andrebbe


seguito mezz’ora dopo ogni pasto ed è chiaro che se sommo all’azione dello spazzolino e
del dentifricio quella del colluttorio il risultato sarà migliore: il colluttorio penetra nel solco
gengivale e negli spazi interdentali ed inoltre, molti colluttori hanno all’interno l’esetidina
una molecola ad attività anti-placca che si lega alle proteine salivari permanendo a lungo a
livello della cavità orale.

L’effetto sbiancante di un dentifricio è dato dalla pomice o dal bicarbonato. La differenza


tra un buon dentifricio e un cattivo dentifricio dipende:

• da come vengono selezionate le particelle di bicarbonato da cui dipende il grado di


abrasione del dentifricio: nei dentifrici di più bassa qualità abbiamo un controllo del
prodotto scadente e quindi il dentifricio sarà poco standardizzato con particelle di
bicarbonato di dimensioni diverse; abbiamo poi dentifrici di maggiore qualità,
acquistabili in farmacia con uno specifico grado di abrasività e questo può essere di
molta utilità: ad es. possiamo consigliare ad uno spazzolatore forte di acquistare un
dentifricio con un grado di abrasività basso in modo tale da compensare l’azione
usurante sullo smalto dentario data dallo spazzolamento;
• nei dentrifici di buona qualità abbiamo il fluoruro stannoso che è in grado di formare sui
denti una pellicola che dura per un certo tempo;
N.B: è importante tenere presente la fluorosi idrica una condizione caratterizzata da
una colorazione anomala (giallastra, grigiastra) dei denti dovuta solitamente ad una
assunzione di acqua troppo carica in fluoro; il fluoro durante il processo di istogenesi
dei denti (0-14 anni) può depositarsi stabilmente nello smalto come fluorato e
superando una certa soglia avremo l’alterazione della colorazione; nei bambini tra 0-14
per coadiuvare l’istogenesi dei denti definitivi diamo la compressina di fluoro (ma non

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ODONTOSTOMATOLOGIA

nei mesi estivi), ma se ci troviamo nella zona vesuviana essendo gli acquedotti privati e
poco controllati potremmo avere un’acqua molto ricca in fluoro, che può, sommandosi
al fluoro assunto con la compressa, far sforare di molto il bilancio
Lo spazzolino elettrico è sicuramente utile perché entra negli spazi interdentali e da
una maggiore pulizia (non bisogna esercitare una pressione di spazzolamento dato
che può arrecare solo danni).

Io devo tenere conto se il bambino abiti in una zona Vesuviana, perché in quella zona se
c’è un aumento nella falda acquifera di fluoro io già sto in fluorosi e lo rovino per tutta la
vita con una colorazione di denti che è inguardabile. In più devo fare attenzione se nella
sua alimentazione c’è pesce azzurro, tonno, funghi, tutti ricchi in fluoro o all’acqua
minerale che beve (ad es. il contenuto di fluoro nella Ferrarelle è molto aumentato; l’acqua
minerale a minor contenuto in fluoro attualmente è la Lete). Comunque il fluoro è
fondamentale, aiuta! Fluoro per via generale da 0 a 14 anni; dopo i 14 anni la
somministrazione per via sistemica ad un ragazzo che abbia già costituito i denti non
serve a nulla, ma serve la fluoroprofilassi topica con spazzolino, dentifricio, colluttorio.

Per quanto riguarda la posologia di somministrazione:

- lattanti, 0.25 mg/die;


- fino a 3 anni, 0.5 mg/die;
- dia 3 ai 12 anni, 1 mg/die, oltre i 2 mg/die c’è il rischio di fluorosi dentaria e la dose
letale è di 35 ng/Kg.

Prevenzione della carie

Fluoro
Azione Formazione
antibatterica Fluorapatite
Inibizione
Inibisce le enolasi adesione Un cristallo con un
batteriche ed valore di pH critico più
impedisce l’ingresso Sostituisce gli ioni Ca
basso della
del glucosio nel soma nel legame tra le
idrossiapatite
batterico glicoproteine salivari e
i lipopolisaccaridi della
parete batterica

51
ODONTOSTOMATOLOGIA

Il fluoro è presente anche nel tè, nelle alici, nelle sardine, anche alcuni tipi di sale sono
fluorati, ecc. . .

SIGILLATURA DEI SOLCHI

Apertura e sigillatura, mediante una


resina fluida, delle irregolarità
superficiali dei molari più esposti a
rischio di carie

La sigillatura dei solchi consiste nel chiudere i solchi, con delle resine, per renderli
facilmente detergibili.

IGIENE ORALE

Si prefigge l’allontanamento dal cavo orale degli agenti cariogeni locali, identificabili nella
placca mucobatterica. Deve essere intesa sia come igiene orale domiciliare che necessita
di una istruzione e motivazione del paziente, sia come igiene orale professionale,
eseguendo periodiche ablazioni del tartaro (ogni 5-6 mesi) finalizzate all’allontanamento
della placca mucobatterica e alla diagnosi precoce di eventuali lesioni.

PROFILASSI ALIMENTARE

Controllo e regolazione degli zuccheri inseriti nella dieta. È importante non tanto il controllo
della quantità degli zuccheri, ma soprattutto il tipo di zuccheri, la frequenza di assunzione,
lo stato fisico. Sicuramente da preferire sono i polisaccaridi rispetto ai mono e disaccaridi,
limitando l’assunzione a determinati periodi della giornata, cercando di evitare
l’assunzione di glucidi molto viscosi, difficili da allontanare soprattutto dalle irregolarità
anatomiche (zone più soggette a carie).

52
ODONTOSTOMATOLOGIA

FLUOROPROFILASSI

Il fluoro agisce con più meccanismi:

- Influenza sull’attività metabolica dei microorganismi della placca (inibizione


dell’enolasi);
- Meccanismi di incorporazione del fluoro nella struttura dentaria.

Durante la calcificazione dello smalto (somministrazione sistemica) con un meccanismo di


inserzione, il fluoro si inserisce in maniera omogenea nella molecola di idrossiapatite
formando la fluoro apatite. Nelle fasi tardive (somministrazione topica) con un meccanismo
di sostituzione ionica viene incorporato in maniera non omogenea nella molecola

SIGILLATURA DEI SOLCHI

Apertura e sigillatura, mediante una resina fluida, delle irregolarità superficiali dei molari
più esposti a rischio di carie. Rendiamo più piatta la superficie dei denti in modo che sia
più detergibile.

53
ODONTOSTOMATOLOGIA

PULPOPATIE

Con il termine di pulpopatie vengono definiti tutti i processi infiammatori, regressivi e


degenerativi che possono coinvolgere il tessuto pulpare, determinandone, nelle fasi
terminali, la necrosi.

I processi infiammatori o PULPITI hanno un’incidenza nettamente maggiore rispetto a


quella dei processi regressivi e degenerativi. Il “dolore” in odontoiatria è legato
all’infiammazione della polpa; l’infiammazione della polpa è detta pulpite.

La polpa è costituita da un tessuto connettivo di tipo embrionale, riccamente innervato e


vascolarizzato, con arteriole di tipo terminale e venule senza valvole, con uno scarso
sistema linfatico di drenaggio; la polpa, inoltre, è racchiusa in una cavità rigida (camera
pulpare e canale radicolare).

Il tessuto pulpare può distinguersi in coronale ed apicale con la differenza che il primo è
essenzialmente costituito da un tessuto connettivo cellulare con odontoblasti disposti
perifericamente e poche fibre di collagene, mentre il secondo è più povero di cellule e più
ricco di fibre. Tale diversa struttura, soprattutto relativamente alle fibre collagene, è da
ascrivere alla necessità di assicurare un sostegno a vasi, nervi e linfatici.

Tali caratteristiche anatomo-istologiche fanno si che il tessuto pulpare, quando aumenta di


volume per l’iperemia e l’essudato legati al processo infiammatorio, non ha possibilità né
di espansione né di drenaggio. I vasi pulpari vengono quindi compressi a livello del forame
apicale, determinando un ridotto apporto ematico arteriolare ed una stasi del deflusso
venulare, situazione questa che può condurre alla necrosi dell’organo.

Noi abbiamo una problematica; il processo carioso supera lo smalto, entra nei tubuli
dentinari, arriva fino alla polpa, i batteri arrivano fino alla polpa, e ciò complica questa
situazione. Le pulpopatie possono essere complicanze di un processo carioso, anzi
questa è l’evenienza più frequente. Quando il processo carioso ha raggiunto una certa
estensione e profondità, i germi, o le loro tossine, possono invadere la polpa, tramite i
tubuli dentinali, in una fase in cui la camera pulpare è ancora integra. Per questa ragione
non si parla più di carie penetrante, ma di carie complicata, con una definizione di
significato eminentemente clinico, essendo la pulpite l’espressione di tale complicanza,
indipendentemente dall’esposizione della polpa nella cavità cariosa per la completa
distruzione dei tessuti duri. Inoltre il termine carie penetrante è ingiustificato in quanto la
carie si definisce come un processo distruttivo che interessa solo i tessuti duri del dente e
che, pertanto, non penetra mai nel tessuto pulpare.

La camera pulpare, cioè dove è il nervo, è praticamente chiusa, e il nervo è all’interno; il


processo carioso può iniziare sopra, lateralmente, avanti, dietro e, quindi, di conseguenza,
comincia ad aggredire la polpa centrale. Nel momento in cui questo si verifica con una
componente batterica, tutti i nervi presentano l’edema, quindi l’infiammazione. Nel
momento in cui si gonfiamo, perché l’edema aumenta, in realtà strozziamo il vaso e
comprimiamo il nervo. Inizia a sbattere contro le pareti. Da qui la stimolazione al nervo è
collegata al “cavo” principale e riguarda i 4 emilati della bocca. Quando abbiamo questo

54
ODONTOSTOMATOLOGIA

tipo di dolore, esso segue il percorso del nervo, abbiamo una nevralgia secondaria. La
nevralgia secondaria è diversa dalla nevralgia essenziale che è quella trigeminale.

Ma una nevralgia secondaria a chi può venire? A tutti…

C’è una fascia di età? No, perché ci vuole un processo carioso.

Una nevralgia trigeminale viene a determinate fasce di età. Le caratteristiche fondamentali


sono già nello screening del paziente. Donna / uomo = rapporto 2:1; età = quinta, sesta
decade; caratteristiche del dolore = completamente differenti: dolore immediato,
improvviso, insopportabile. In letteratura si trova la descrizione di pazienti che tentano il
suicidio.

La differenza tra un paziente che ha una nevralgia secondaria, il mal di denti, da uno che
ha una nevralgia trigeminale è che il paziente che ha una nevralgia secondaria la notte,
come lui mette la testa sul cuscino, aumenta la pressione sanguigna, quindi, aumenta il
dolore. Per questo motivo il paziente preferisce stare in piedi. Quindi la notte ha dolore.
Specialmente nei casi di pulpite sierosa acuta, Il paziente che ha una nevralgia essenziale
non parla, non è un “logorroico” come quello della pulpite che spiega il suo problema,
perché esistono delle “zone grilletto” (trigger zone) zone di stimolazione dove c’è
l’emergenza del nervo, una sua superficializzazione; la mimica facciale da’ questo tipo di
stimolazione e quindi fa avvertire il dolore.

Quindi il paziente che ha una nevralgia trigeminale, che non è più di competenza
odontoiatrica ma diventa un segno diagnostico, non parla nella paura che possa avvertire
dolore.

Quindi ricapitolando: la nevralgia secondaria può venire a tutti, perché è legata ad un


mal di denti.

Quello che ci interessa è capire cosa succede quando il processo carioso ci porta
un’alterazione dello stato normale, si verifica un angioedema. L’angioedema, l’angioflogosi
con angioedema, crea una situazione che in realtà è una situazione che inizia con la
stimolazione dolorosa. Ma questa angioflogosi può essere determinata solamente dal
processo carioso? O un paziente può avere denti assolutamente sani ed avere una
angioflogosi secondaria? Si… a sbalzi di temperatura. Nella febbre, specialmente nel
bambino, nel quale è un pò più alta, possiamo avere un processo di angioflogosi
generalizzata, e quindi di conseguenza il bambino può avere anche questo. Questo
significa che nel “momento febbre” il bambino avverte questa sintomatologia; questo può
avvenire anche nella fase premestruale, nelle donne. Le pazienti possono avvertire un
senso di fastidio, che poi diventa fisiologico, a tutti gli elementi dentali. Se il fenomeno
rientra è tutto ok. Questa condizione è una iperemia pulpare che colpisce più denti
contemporaneamente, legata a stati generali fisiologici o patologici dell’organismo, come
appunto la febbre, la gravidanza e lo stato mestruale. Tali condizioni possono quindi
essere accompagnate da algie dentali diffuse che scompaiono con il regredire della
sintomatologia generale. L’iperemia pulpare può anche derivare da fattori locali su un solo
dente. In generale l’iperemia pulpare rappresenta uno stato iniziale e reversibile della
patologia pulpare. Essa può regredire o evolvere in pulpite conclamata a seconda

55
ODONTOSTOMATOLOGIA

dell’intensità e della durata degli stimoli che l’hanno determinata. L’iperemia pulpare,
caratterizzata da dilatazione delle arteriole e delle venule, con conseguente lieve aumento
di volume della polpa, è accompagnata clinicamente da una reazione dolorosa di breve
durata agli alimenti dolci ed alle variazioni termiche nel cavo orale.

Ma se abbiamo la persistenza di fenomeni vascolari, abbiamo che la polpa va in


espansione e, in una camera assolutamente compressa, quale è la camera pulpare, dove
è il nervo, il paziente avverte dolore. Il dolore è di tipo nevralgico; il paziente che ha una
nevralgia secondaria non sa quale è il dente che gli fa male, ragion per cui riferisce che è
tutta la zona che gli fa male. In anatomia ci sono delle piccole differenze, delle possibilità
di ramificazione dei nervi dei denti, per cui ci può essere la possibilità che un paziente dica
“ mi fa male qui, ma anche un poco qua”; cioè il dolore può essere, per un fatto che viene
detto “sinalgico”, anche diffuso in zone limitrofe. Quindi vi può riferire il dolore, anche se
si tratta di un elemento dentario dell’arcata superiore, al parietale, al temporale. Queste
sinalgie, che a volte non ti fanno capire bene se sono legate all’interconnessione del
nervo, non ti fanno capire se tu realmente sei davanti ad un dolore completamente della
parte di sotto o anche in parte dall’arcata superiore.

Esistono dei tests che si fanno per discriminare la situazione e fanno capire quindi la
problematica all’arcata superiore ed inferiore. Nel momento in cui noi abbiamo una
nevralgia, quindi un dolore di base, esiste la possibilità che in questo dolore di base ci
siano dei picchi dolorosi. Un picco doloroso può essere generato dallo sbalzo termico.

Il caldo o il freddo, l’acqua calda o il brodo caldo, la pasta o qualche altra cosa che sia più
fredda o più calda, possono dare una stimolazione su una nevralgia di base e dare un
picco doloroso che acuisce il dolore. Questo è un dato assolutamente importante per noi
quando discutiamo della pulpite sierosa acuta.

L’iperemia pulpare rappresenta lo stadio iniziale ed irreversibile. È caratterizzata da


dilatazione delle arteriole e delle venule. Tutto ciò determina un lieve aumento di volume
della polpa. I principali sintomi sono: reazione dolorosa di breve durata conseguente a
stimoli tattili, chimici e termici. Non vi è dolore spontaneo.

La pulpite sierosa acuta è praticamente una pulpite che è sensibile al caldo e al freddo;
se io do al paziente uno stimolo freddo egli ha dolore, allo stesso modo se metto uno
stimolo caldo. Quindi ci sta un dolore di base e dei picchi di stimolazione. Questo nella
pulpite sierosa acuta.

La pulpite sierosa acuta è caratterizzata da iperemia vasale, formazione di microtrombi,


fuoriuscita di essudato dai vasi e lieve infiltrazione leucocitaria. La prima fase è quindi
quella della iperemia vasale attiva, in cui si ha una vasodilatazione del distretto arteriolare;
l’aumento volumetrico del sangue nel distretto arteriolare provoca, in seguito all’aumento
di pressione idrostatica, la trasudazione di un liquido povero in proteine. La rallentata
circolazione induce un aumento della permeabilità del microcircolo con la formazione di un
essudato nei tessuti extravascolari e “l’impacchettamento” degli eritrociti nei piccoli vasi,
con aumento della viscosità del sangue e formazione di microtrombi. Si forma anche un
infiltrato leucocitario. Come risultato di tutti i processi coinvolti si ha una riduzione
dell’apporto di sangue arteriolare e del deflusso di quello venulare. La sintomatologia è

56
ODONTOSTOMATOLOGIA

caratterizzata da un dolore di fondo, continuo, accentuato da fasi di riacutizzazione


scatenate da stimoli termici e da stimoli chimici che ricordano le crisi dolorose della
nevralgia essenziale del trigemino; nelle nevralgie essenziali del trigemino, però, la durata
delle crisi dolorose è brevissima. La sintomatologia pulpitica persiste nel tempo anche
oltre lo stimolo che l’ha determinata ed è tanto più intensa e durevole quanto più è diffuso
il processo infiammatorio. Anche la posizione supina o uno sforzo, per l’iperemia che
determinano a livello pulpare, possono scatenare l’ascesso doloroso. Il dolore pulpitico
non è localizzato al dente, bensì diffuso a tutta la emiarcata corrispondente (nevralgia
secondaria); più raramente il dolore è riferito alla emiarcata antagonista o addirittura alla
emiarcata controlaterale (sinalgie dento-dentarie). Nei processi cariosi multipli è difficile
identificare il dente pulpitico ma si ci può orientare tentando di definire l’irradiazione del
dolore. Una irradiazione alla regione temporale indirizza verso i molari superiori; alla rocca
petrosa verso i molari inferiori; alla regione sotto orbitaria verso i canini e gli incisivi
superiori; al mento verso i canini e gli incisivi inferiori. Questo è un criterio orientativo
perché vi possono anche essere delle sinalgie!

Se l’evoluzione invece, all’interno di questa camera pulpare, chiusa, è legata ai batteri ed


inizia un fenomeno degenerativo, cioè la polpa, il nervo, il vaso incominciano ad andare in
necrosi, succede che i batteri incominciano a distruggere questo tipo di tessuto e quindi
creano il presupposto di una purulenza. Passiamo quindi da una sierosa acuta ad una
sieropurulenta. Iniziano cioè quelle fasi di costituzione di un preascesso con una
sindrome che è ancora più compressiva all’interno del dente. Lo stimolo sieropurulento
si attenua con il freddo ed invece con il caldo si accentua. Il paziente che ha questo
tipo di processo è quello che arriva con la bottiglia di acqua fredda o che beve.

La pulpite sierosa, per il progressivo aumento nell’essudato dei leucociti, può esitare in
quella purulenta; l’essudato si raccoglie allora in piccoli ascessi disseminati che danno poi
luogo ad una fusione totale della polpa. La dissoluzione del tessuto pulpare è determinata
dagli enzimi proteolitici leucocitari e batterici. Tale distruzione tissutale viene facilitata dalla
struttura reticolare della polpa, costituita da connettivo lasso e priva di fibre elastiche. La
sintomatologia dolorosa, sempre con il carattere della nevralgia secondaria, diventa più
intensa, continua e a carattere pulsante. Essa è accentuata dal caldo ed attenuata dal
freddo, a differenza di quanto avviene nella forma sierosa, dove qualsiasi tipo di variazione
termica accentua la sintomatologia dolorosa.

Abbiamo detto che il dolore della nevralgia secondaria da pulpite sierosa acuta peggiora
con il caldo e con il freddo; nella sieropurulenta migliora con il freddo e peggiora con
il caldo, perché induce vasodilatazione. Quindi noi cominciamo a capire la possibile
evoluzione di questo processo, perché quando si ha un processo sieropurulento, quindi
questa situazione può potenzialmente peggiorare con una formazione ascessuale, dopo
aver fatto un intervento tecnico si deve utilizzare un antibiotico per evitare una infezione
secondaria che porterebbe il paziente ad avere un empiema.

Dobbiamo stare attenti perché siamo in vicinanza del seno mascellare; dobbiamo
imparare per cultura medica che i premolari e i molari superiori possono avere rapporti di
continuità (cioè sono dentro) o contiguità (sono vicini) col seno mascellare.

57
ODONTOSTOMATOLOGIA

Questo significa che una formazione ascessuale che si costituisce in uno di questi
elementi determina un ascesso all’interno del seno mascellare che si chiama empiema;
dall’empiema può nascere una situazione di tipo sinusale. Ma qual è la peculiarità di una
sinusite odontogena rispetto ad una pan sinusite? La sinusite odontogena è localizzata
e monolaterale.

Se l’ascesso si costituisce in un seno mascellare, il mio essudato purulento esce da una


sola narice. Il fatto che il processo è localizzato ad una sola narice mi determina il dato
che praticamente la sinusite è monolaterale, se è monolaterale io devo poter pensare che
c’è una infezione di un solo seno mascellare; quando il secreto è bilaterale io devo
pensare che può essere una infiammazione abbastanza generalizzata.

L’istologia è un pò diversa. Dalla infiammazione si arriva alla morte cellulare.

Classificazione delle pulpiti

1. Polpa intatta non infiammata;


2. Polpa atrofica;
3. Pulpite acuta;
4. Pulpite in fase di transizione;
5. Pulpite cronica;
6. Pulpite cronica parziale;
7. Pulpite cronica parziale con necrosi;
8. Pulpite cronica totale;
9. Pulpite cronica totale con necrosi parziale;
10. Necrosi pulpare totale.

Se io ho la polpa, e ho un insulto batterico dall’esterno perché ho la carie, è probabile che


il primo pezzo possa andare in necrosi, il resto continua ad essere assolutamente valido.
Mi trovo in una situazione in cui vi è una parzialità acuta e vado verso una cronicizzazione.
Man mano che la necrosi aumenta, aumenta la mia possibilità di avere un elemento
dentario che va verso la necrosi totale.

Un altro dato è che alcuni denti hanno una sola radice, altri ne hanno tre, per cui a volte
facendo i test di stimolazione, che poi sono gli stessi test che il paziente fa in maniera
generalizzata, cioè il freddo, il caldo, lo stimolo elettrico, il paziente non avverte niente.
Poi quando vai ad aprire il dente, arrivi su un molare e magari trovi un canale in necrosi ed
il nervo all’interno in necrosi, mentre gli altri due sono vitali. Il paziente avverte un dolore
come se il nervo fosse vivo. Questo è per capire che una cosa è la clinica, un’altra cosa è
poi il fenomeno istologico che si verifica all’interno del dente. Questo diventa un
importante elemento discriminante per la diagnosi ma allo stesso tempo vi deve far capire
che quella di sopra è una classificazione di tipo clinico.

Infine, anche le pulpiti possono diventare fenomeni cronici. Nella pulpite cronica
ulcerosa si ha un’infiammazione cronica della polpa. Questa forma può essere primaria o
secondaria a forma acuta. Si nota la presenza di uno strato necrotico sulla superficie

58
ODONTOSTOMATOLOGIA

pulpare. La sintomatologia è attenuata, con leggera sensibilità al caldo e al freddo, con


dolore alla masticazione.

Nella pulpite cronica iperplastica, l’infiammazione cronica della polpa determina una
reazione iperplastica, co la formazione di un piccolo bottone carnoso, sporgente, tipo
polipo nella cavità cariosa. I sintomi sono dolore e sanguinamento alla masticazione.

EZIOLOGIA DELLE DEGENERAZIONI PULPARI

Cause naturali Cause iatrogene

Malattia parodontale Preparazione a secco

Carie Farmaci

Usura Liners

Trauma fisico Sottofondi

Trauma occlusale Restauri provvisori

Neoplasia Materiale da impronta

Materiale da restauro

Tutto ciò che sta nella colonna di sinistra crea delle problematiche sulla polpa. Vediamo
che vi sono delle cause parodontali; immaginiamo il dente, io posso avere l’attacco carioso
da solo ma posso anche avere problemi parodontali. Se io ho una distruzione dell’osso
attorno al dente, io arrivo con la distruzione dell’osso, all’apice del dente. Il processo
infettivo quindi non parte da sotto, ma può partire da sopra. Quando, in presenza di una
parodontite marginale, la tasca parodontale ha raggiunto una profondità tale da essere
vicina all’apice, i germi, diffondendo attraverso l’apice, possono aggredire la polpa per via
retrograda, anche in assenza di un processo carioso.

Nelle usure si può pensare ai pazienti che “bruxano”; un paziente che bruxa è un paziente
che usura di continuo i suoi elementi dentali. Masticando si consumano gli elementi
dentali, come chi cammina tanto e si usura le scarpe!

Tra i fattori di tipo fisico possiamo ricordare differenti tipi di traumi.

Ci sono i traumi propriamente detti in seguito a urti o cadute etc... Tale tipo di trauma può
indurre una interruzione a livello apicale del fascio vascolo-nervoso con conseguente
necrosi ischemica dell’elemento dentario. Poi vi sono i traumi da forze ortodontiche
eccessive, infatti nella terapia ortodontica vanno sempre applicate forze controllate.
Superate queste forze può essere compromessa la vitalità dell’elemento dentario
interessato dalla terapia. In più, restauri scorretti o elementi dentari malposti, creando
precontatti occlusali (trauma occlusale), possono traumatizzare la regione apicale di un
dente, determinando lentamente la necrosi della polpa.

59
ODONTOSTOMATOLOGIA

Alla fine vi sono i processi neoplastici.

Le cause iatrogene sono tutte quelle che determina l’odontoiatra con i materiali che utilizza
in bocca al paziente (uso di materiale da otturazione su denti vitali).

il processo di degenerazione pulpare può essere parziale, può diventare totale, quando è
parziale può diventare acuta e poi ha un fenomeno di riparazione, da acuta può diventare
cronica e poi atrofica: è una possibilità molto “mista”.

L’esito è il quadro di necrosi pulpare, distinta in tre tipi:

- Coagulativa: per via dell’improvvisa ischemia si ha una rapida denaturazione delle


proteine intercellulari che impedisce la lisi lisosomiale;
- Colliquativa: processi di autolisi da parte di enzimi proteolitici. Anche gli enzimi dei
batteri contribuiscono alla necrosi;
- Gangrenosa: ischemia che determina necrosi, con sovra immissione di batteri
anaerobi. Questa forma è asintomatica, il dente è necrotico, insensibile, di colore
più scuro e rammollito.

Evitiamo confusioni. A noi interessa che ci sia una nevralgia secondaria che ha un dolore
di base, di fondo, che il paziente non localizza l’elemento dentario, che viene stimolato dal
freddo e dal caldo e quindi, di conseguenza, è un dolore di tipo continuo: qui siamo alla
fase sierosa. Nella fase sieropurulenta c’è una differente risposta al caldo e al freddo.
Dopo la fase sieropurulenta vi è la possibilità della necrosi pulpare.

La necrosi pulpare, in relazione all’agente eziologico ed alla modalità di insorgenza, può


essere di tipo coagulativo, colliquativo o gangrenoso. La necrosi coagulativa della polpa
può insorgere per una improvvisa ischemia, legata ad interruzione traumatica del fascio
vascolo-nervoso, o per danno chimico o termico. La necrosi colliquativa, indotta
principalmente da enzimi proteolitici, è caratterizzata da fenomeni di autolisi. Si verifica
nella maggior parte delle necrosi batteriche, in quanto gli enzimi di origine batterica
potenziano i fenomeni digestivi leucocitari. La necrosi gangrenosa, infine, è un tipo di
necrosi ischemica modificata dall’azione dei batteri, soprattutto gli anaerobi. I germi che ne
determinano l’insorgenza sono soprattutto streptococchi, stafilococchi, spirilli ed il
bacillo perfrigens. La gangrena pulpare se non complicata è asintomatica. All’esame
obiettivo si presenta un dente la cui polpa è necrotica, insensibile a stimoli termici o
elettrici, di colore più scuro rispetto agli elementi dentari contigui. Nelle forme aperte, che
sono le più frequenti, la polpa si presenta esposta, rammollita, di colore grigio e di odore
fetido. La gangrena pulpare, anche se asintomatica, può improvvisamente complicarsi con
una parodontite apicale acuta, determinando la sintomatologia caratteristica di
quest’ultima.

60
ODONTOSTOMATOLOGIA

Parodontiti

“Parodonthos” è tutto quello che sta attorno al dente. Quindi, la parodontite è un processo
infiammatorio localizzato al paradonto.

Nel momento in cui c’è la necrosi pulpare, noi siamo passati a parlare di PARODONTITE
APICALE. La parodontite apicale è il dente con la morte cellulare all’interno del canale,
cioè il dente è necrotico ed il canale è pieno di batteri e di polpa in decomposizione.
Quindi qualsiasi stimolo, il caldo, il freddo, sulla necrosi, è assolutamente nullo. Non si ha
nessuna risposta. Manca la possibilità di avere degli stimoli perché il dente è morto. Quindi
il presupposto fondamentale per la parodontite apicale è la necrosi pulpare.

Abbiamo le parodontiti apicali e quelle marginali. Le parodontiti possono essere


classificata anche in parodontiti endodontiche e marginali. Quelle endodontiche sono,
quindi, conseguenza della necrosi pulpare, spesso localizzate in regione periapicale; le
parodontiti marginali sono dovute ad accumulo di placca mucobatterica nel solco
gengivale.

Le parodontiti endodontiche sono spesso localizzate nella regione periapicale, mentre


quelle marginali si identificano nella parodontite marginale o malattia parodontale la quale,
determinata da accumulo di placca mucobatterica nel solco gengivale, progredisce in
senso corono-apicale.

La parodontite endodontica costituisce la complicanza della necrosi pulpare,


conseguenza, a sua volta, della carie o di un trauma. La polpa necrotica, infatti, priva di
reattività vitale, permette facilmente il passaggio dei batteri, e delle loro tossine, nel
tessuto parodontale situato intorno all’apice dell’elemento dentario. Qui i germi trovano
tessuto vitale che reagisce con un processo infiammatorio di difesa che può essere acuto
o cronico.

Si ritiene che nella maggior parte delle parodontiti endodontiche l’infezione sia
polimicrobica con un’ampia varietà di batteri anaerobi facoltativi ed obbligati.

Anche i fattori irritativi di tipo fisico-chimico, come la penetrazione oltre l’apice di strumenti
canalari o di materiale da otturazione canalare, possono determinare una parodontite
endodontica.

La patologia infiammatoria del parodonto di origine endodontica riconosce, nella maggior


parte dei casi, un iter patogenetico ben definito che ha come suo inizio la necrosi pulpare
e la conseguente diffusione di batteri e tossine dai canali radicolari al parodonto. Notevole
importanza nel determinismo delle alterazioni tissutali del periapice rivestono la natura, la
quantità e la durata di esposizione ai fattori antigenici. Infatti una massiccia quantità di
antigene o una esposizione prolungata possono determinare un danno dei tessuti
periapicali più grave. I prodotti batterici, diffondendo nei tessuti parodontali, suscitano una
risposta infiammatoria con una produzione di mediatori del riassorbimento osseo con
deplezione della quota inorganica. Tra i prodotti batterici ritroviamo l’acido lipotecoico, i
peptidoglicani ed i lipopolisaccaridi. I lipopolisaccaridi sono una componente strutturale

61
ODONTOSTOMATOLOGIA

della superficie di membrana dei batteri gram - costituiti da una catena polisaccaridica,
legata ad un core lipidico, che attiva il riassorbimento osseo.

Se il processo è sopra, noi abbiamo l’infiltrazione dello smalto e la pulpite. Se il processo


va avanti e va a colpire il nervo, mandandolo in necrosi, noi abbiamo la morte cellulare e
quindi di conseguenza non è più il dente collegato, ma è solo l’elemento dentario ad avere
una risposta. Questo significa che in questo caso il dolore è localizzato. Quindi il paziente
con la parodontite apicale acuta può riferire quale è il dente che gli fa male, dice che
non riesce a chiudere la bocca e appena tocca sopra a quel dente gli fa molto male.
Questo perché i fenomeni infiammatori si sono spostati in questa zona e l’edema stira il
legamento alveolo-dentario; stirando il legamento alveolo dentario, il paziente ha la
sensazione che l’elemento dentario esca dall’alveolo. Quindi il paziente ha questo senso
di precontatto che è assolutamente individuale. Il dentista va e non nota niente in bocca
al paziente, non va a fare più dei test di stimolazione perché il dente è morto, cioè li fa ma
ha una risposta negativa. Il test che il dentista fa è uno solo: prende il manico dello
specchietto, va sull’elemento dentario, e ci batte sopra, il paziente sente dolore. In pratica
il medico va a fare il movimento opposto di quello che il paziente avverte come estrusione.

La sintomatologia della parodontite apicale acuta insorge con una sensazione di tensione
locale a carico del parodonto apicale del dente la cui polpa è necrotica che, con l’evolversi
del processo, da luogo ad un dolore localizzato, accentuato alla pressione verticale ed alla
masticazione; successivamente lo stato di tensione parodontale, determinato dall’iperemia
e dall’essudato ivi presente, fa sì che il dente venga sospinto leggermente fuori
dall’alveolo, sintomo questo avvertito dal paziente, come un precontatto in occlusione, ma
non rilevabile obiettivamente.

Quindi nella parodontite apicale il dolore è localizzato e rispetto alla nevralgia, dove era
generalizzato, il paziente indica l’elemento dentario che gli fa male; il caldo e il freddo non
hanno nessuna rilevanza, ma la hanno in una fase avanzata della parodontite perché qui
dentro ci sono i batteri e se i batteri non vengono circoscritti, e quindi il processo diffonde,
l’unico tessuto vitale è l’osso. L’osso tende a reagire all’invasione batterica con la
formazione di un granuloma.

Nel granuloma le cellule di difesa arrivano e cercano di circoscrivere il processo. Poi c’è la
produzione di istamina, arrivano i macrofagi etc... Si forma un granuloma aspecifico.

Il granuloma, di per se, è il tentativo dell’organismo di bloccare un fenomeno, che è un


fenomeno che dall’infiammazione passa verso un fatto più infettivo. Nel momento in cui ci
sono i batteri ed il dente non ha più una difesa vitale, dalla polpa escono delle cellule
infiammatorie che provano a fare la loro difesa, quando li è tutto morto l’unico tessuto che
reagisce è l’osso. L’osso prova un attimo a circoscrivere il fenomeno. Quindi costituisce
una prima linea di difesa, per il canale morto con i batteri dentro, che è di tipo
granulomatoso. Il granuloma circoscrive la situazione, viene subito dopo l’edema.

Nel momento in cui l’ha circoscritto se esistono, e questa è l’ipotesi, delle cellule che sono
embrionarie, noi abbiamo delle cellule embrionarie che sono a diversi livelli. Questi
vengono chiamati residui epiteliali del Malassez. Nel momento in cui il granuloma
ingloba i residui epiteliali del Malassez, diventa un granuloma cistico, quindi ha una

62
ODONTOSTOMATOLOGIA

tendenza a formare una situazione infiammatoria un pò più complessa. L’evoluzione del


granuloma cistico è la cisti.

La cisti poi diventa un fenomeno infiammatorio di tipo cronico organizzato. Quindi stiamo
parlando delle cisti radicolari, radicolari perché sono legate alla radice.

Hai una evoluzione: se l’evoluzione va verso la fase acuta si può avere edema, purulenza,
ascesso; se si va verso la fase di cronicizzazione a volte il processo è silente ed hai il
granuloma, il granuloma cistico e la cisti radicolare. Quindi si hanno due fasi: una fase che
va verso l’acuto ed una fase che va verso il cronico. Il dente che presenta una struttura
granulomatosa o presenta una struttura cistica ha alla base una sintomatologia dolorosa.
La cisti si forma e sta la.

La cisti è una neoformazione benigna a sviluppo endoosseo, che tende ad una crescita a
spese dell’osso, e che è rivestita da una parete. L’interno della cisti è liquido; normalmente
nelle cisti odontoiatriche si trova un liquido di colore giallo citrino, perché le cellule si
sfaldano e liberano questi cristalli di colesterolo, di “colesterina” che entrano nella cisti. Se
all’interno passa del sangue, la cisti diventa ematica; quando il sangue è in
decomposizione non è mai di colore rosso, ma perlopiù marronastro, marrone scuro.

E’ importante riuscire a pensare a dove si trova il dente e cosa ci sta vicino.

Per cui se l’ascesso è localizzato all’arcata superiore, noi possiamo avere un empiema del
seno mascellare, quindi il paziente comincerà a buttare pus dalla narice.

Ma se l’ascesso è sugli elementi inferiori, vediamo situazioni che possono andare a


secondo di come è localizzato l’ascesso e come è posizionato il dente, possono andare
verso la lingua, verso la gola, perché queste sono le posizioni nello spazio. Invece per
l’arcata superiore se l’ascesso c’è, soprattutto nel gruppo anteriore, il paziente si gonfia fin
sotto l’occhio. Quindi pensate alla localizzazione e questa è la fase sieropurulenta.

Se invece di per se la situazione è cronica, noi abbiamo la possibilità che si formi un


granuloma, un granuloma cistico o una cisti radicolare, che è una neoformazione benigna
a sviluppo endoosseo che tende alla cavitazione centrale, rivestita da una parete, al cui
interno c’è un epitelio, con la possibilità di un liquido citrino e/o anche di tipo emorragico;
abbiamo dato una genesi infiammatoria
alla cisti.

Anche un trauma può determinare la


necrosi. Come si genera la necrosi? Dal
vaso esce il globulo rosso, che nella
emoglobina ha il ferro; il ferro viene preso
dai batteri e da’ il solfuro ferrico che è una
sostanza scura. Per questo motivo si ha la
colorazione. Il fatto che il dente sia in
necrosi determina la morte al suo interno
e la reazione infiammatoria con quella che
noi tecnicamente definiamo una perdita di

63
ODONTOSTOMATOLOGIA

osso attorno alle radici. Nella immagine c’è una osteolisi peri e latero-radicolare, cioè
attorno alla radice. Il canale appare più slargato.

Carie e traumi determinano l’emorragia


pulpare che da necrosi.

L’incisivo di questo paziente è scuro, è


necrotico. A questo punto si arriva alla
morte cellulare ed il passaggio nei
tubuli dentinali di tutti gli eritrociti. La
cascata è questa:

- rottura dei vasi sanguigni;


- globuli rossi nei tubuli dentinali;
- liberazione di emoglobina;
- liberazione di ferro;
- ferro + solfuro di idrogeno = solfuro di ferro;
- pigmentazione del dente.

Fino a quando la carie è nello smalto non c’è problema, quando passa nella dentina inizia
la sensibilità, quando si arriva alla polpa si inizia in senso degenerativo.

Ricapitoliamo. Abbiamo la condizione alla base del dente e possiamo avere una
evoluzione sierosa o sieropurulenta. Nel momento in cui abbiamo la parodontite acuta in
fase sierosa il dolore è localizzato accentuato dalla pressione verticale, dalla masticazione
e si avverte quello che è un precontatto soggettivo in occlusione.

In una pulpite sierosa il paziente riferisce un dolore di tipo nevralgico, secondario e


accentuato dal caldo e dl freddo; se fosse sieropurulenta, invece, il dolore sarebbe
attenuato dal freddo e accentuato dal caldo. Se siamo invece davanti ad una parodontite
sierosa acuta, il paziente riferisce dolore localizzato e precontatto soggettivo in occlusione.
I test di stimolazione sono negativi. Questo senso di precontatto soggettivo dipende dallo
stiramento del legamento alveolare. Ma c’è la possibilità di una evoluzione in fase
purulenta. Nella fase purulenta la sintomatologia si presenta più intensa e di tipo pulsante.

Se io ho la zona di osso che circoscrive il dente, il pus, i piociti tendono a degradare


l’osso. Ora immaginiamo nello spessore della mandibola una certa degradazione
dell’osso; mano mano che si ci sposta sul laterale si ha una determinata lesione. Se ho
una lesione, nemmeno necessariamente molto estesa, ma che va in senso orizzontale,
può arrivare sotto il periostio (che ha funzione di nutrizione e di innervazione dell’osso).
Quando l’ascesso arriva sotto al periostio, quando la purulenza arriva sotto al periostio, il
paziente ha dolore. Quella è la fase di massimo dolore quando si ha una purulenza,
perché il periostio è innervato, per cui si ha una peculiarità: si ha la fase di massimo
dolore e di minimo gonfiore. Cioè l’ascesso è localizzato in sede sottoperiostea ed il
paziente avverte il massimo dolore ed ha il minimo del gonfiore.

64
ODONTOSTOMATOLOGIA

L’ascesso erode il periostio, tecnicamente lo “cribra”. Nel momento in cui lo cribra, alla
fase di massimo dolore e minimo dolore, segue la fase di minimo dolore e massimo
gonfiore (non parliamo più di edema ma di essudato purulento).

A seconda di come si localizza l’ascesso è possibile fare una diagnosi. Questo ci interessa
anche per il dente del giudizio, perché a seconda di come è localizzato, si ci rende conto
di come e dove va la parte ascessuale.

Si da una iniziale terapia antibiotica; nelle infezioni odontoiatriche il male peggiore sono i
gram negativi , anche se i gram positivi danno anche delle forme secondarie localizzate
tipo le endocarditi. I microrganismi causa di parodontite apicale acuta sono:
Streptococchi, stafilococchi, lactobacilli, actinomiceti, microrganismi anaerobi.

Più che di guarigione con la terapia antibiotica si può parlare di riduzione della
sintomatologia, il dente è morto. La terapia antibiotica che viene fatta va bene, però
bisogna pensare che un paziente che ha dai 30 ai 40 anni ha già preso molte volte
l’amoxicillina, e quindi magari prende amoxicillina ed acido clavulanico; ma bisogna fare
una scelta che è elementare. Quando si utilizza un antibiotico bisogna avere il metro di
valutazione della gravità della situazione rispetto alla terapia che si va a dare. È meglio
una terapia più invasiva che risolve rapidamente il problema; una terapia per via orale
impiega un pò più di tempo, rispetto ad una terapia per via iniettiva.

Le evoluzione possibili di una parodontite apicale acuta sono le seguenti:

- Il processo può guarire in seguito a terapia antibiotica;


- Il processo può cronicizzarsi;
- In rari casi la raccolta purulenta può drenarsi attraverso la camera pulpare o
attraverso lo spazio parodontale; in questo ultimo caso il dente intorno a cui evolve
il processo, per perdita progressiva delle sue connessioni con l’alveolo, diventa
mobile;
- La raccolta purulenta può diffondere verso il periostio prima (ascesso
sottoperiosteo) e verso i tessuti molli poi (ascesso sottomucoso e sottocutaneo),
con formazione di eventuali ascessi e/o flemmoni perimascellari e perimandibolari.
Il passaggio dalla fase di ascesso sottoperiosteo a quella di ascesso sottomucoso
e/o sottocutaneo è avvertito dal paziente con un aumento della tumefazione (il
massimo gonfiore) e con una netta diminuzione del dolore (minimo dolore) perché il
pus, passato dal tessuto osseo ai tessuti molli, non è più sotto tensione come nella
fase di ascesso sottoperiosteo in cui il dolore raggiunge la massima intensità
(massimo dolore e minimo gonfiore);
- Diffusione del processo alle ossa mascellari con insorgenza di una osteomielite,
evenienza questa molto più rara della precedente e legata ad una esaltata virulenza
dei germi o ad una transitoria carenza dei poteri di difesa dell’organismo,
consecutiva, ad esempio, a malattie esantematiche nell’età pediatrica.

65
ODONTOSTOMATOLOGIA

Questo è il dato di evoluzione


verso una parodontite che può
essere sierosa o sieropurulenta.
Se noi abbiamo una
localizzazione all’arcata
superiore può prendere le
strade indicate in giallo. Se va
verso il seno mascellare
possiamo avere l’empiema.

Se l’ascesso va verso il
pavimento della lingua,
abbiamo dei casi di patologie
come l’angina di Ludwig, che
porta ad un rapido ascesso al
pavimento della lingua, che si
alza, si porta verso dietro e il
paziente muore per
soffocamento.

Toccandosi la mandibola si può


vedere che è scavata, ha una
doccia naturale che si ferma a
livello dei due premolari dove c’è
l’inserzione muscolare dei
muscoli triangolare e quadrato
del mento, che sono due
muscoletti che bloccano la
situazione ascessuale. Questa
zona riguarda gli elementi che
vanno dal secondo, o dal primo
premolare, al terzo molare.

Ricordare che quando l’ascesso


ha “bucato” l’osso ed il periostio
può andare nei tessuti
sottomucosi. Se si sbaglia la
terapia si ha gente con la fistola
mucosa che si deve lasciare aperta. Questo si verifica in soggetti a cui hanno sbagliato la
terapia o hanno lasciato qualcosa dentro o non hanno ben pulito la cavità.

A volte abbiamo la PARODONTITE APICALE CRONICA (ab initio).

La parodontite apicale acuta può evolvere, se si ha una risposta immunitaria più


efficiente o dei germi meno virulenti, a parodontite apicale cronica.

La necrosi, alcune volte, è probabilmente di tipo chimico, cioè l’odontoiatra aveva utilizzato
chissà quali materiali e c’è la zona di osteolisi peri e latero radicolare. Con le radiografie

66
ODONTOSTOMATOLOGIA

non bisogna mai buttarsi a dire ad esempio.. è una cisti. La definizione di una diagnosi
esatta di cisti è legata prima di tutto al contorno molto netto ma è una diagnosi
(granuloma, granuloma cistico e cisti) di tipo istologico. La clinica dice che c’è osteolisi peri
e latero radicolare. Quando si individua l’osteolisi già si è fatta una parziale diagnosi
clinica, ma dire granuloma, granuloma cistico o cisti è qualcosa di puramente istologico.

Patogenesi

Rispetto al processo infiammatorio acuto, le caratteristiche istologiche del processo


cronico si rilevano nella proliferazione di elementi cellulari già presenti, quali i fibroblasti, le
cellule dell’endotelio vascolare e gli istiociti.

I monociti-macrofagi sono attratti nel sito infiammato da vari fattori chemiotattici tra i quali
prodotti batterici, complemento e linfochine. Una volta attivati essi possono svolgere
attività fagocitaria o indurre la stimolazione antigenica di cellule immunocompetenti,
ricoprendo quindi un ruolo importante nella distruzione tissutale per la produzione di
idrolasi lisosomiali, prostaglandine, citochine, quali TNF e IL-1, e numerosi altri enzimi. La
presenza di linfociti T e B, di anticorpi delle varie classi e di frammenti del complemento
C3 attestano che i prodotti del metabolismo batterico o di derivazione dei tessuti alterati
dell’ospite sono in grado di provocare reazioni immunologiche sia umorali che cellulari nel
parodonto apicale. Al processo flogistico partecipano anche cellule specifiche citotossiche.

Macrofagi, linfociti, plasmacellule e fibroblasti arrivano per chemiotassi nel sito


infiammatorio ed hanno attività fagocitaria, attivano un riassorbimento
osteoclastico (prostaglandine) e organizzano un nuovo tessuto (granuloma apicale).

La patologia periapicale cronica è caratterizzata da una elaborata riparazione delle cellule


lese, con la proliferazione di un gran numero di nuovi fibroblasti dall’adiacente tessuto
connettivo. Vengono elaborate anche nuove fibrille collagene e si formano nuovi vasi
sanguigni che proliferano dalla vecchia rete vasale. I capillari si anastomizzano tra di loro
formando un ampio letto vascolare. Questo tessuto che si viene a formare è definito
tessuto di granulazione ed è formato da nuovi fibroblasti, fibre collagene, nuovi vasi
sanguigni e cellule dell’infiammazione cronica. Si forma quindi il granuloma apicale che
rappresenta la più tipica espressione della parodontite apicale cronica. Esso ha una forma
rotondeggiante, circoscritta, e nella sua espansione determina un riassorbimento osseo.

Il granuloma apicale tende a limitare la diffusione batterica e ha significato


protettivo ma può portare a riassorbimento osseo.

Il granuloma apicale, quindi, è un processo infiammatorio cronico a carattere produttivo;


esso ha una forma rotondeggiante, è circoscritto e determina nel suo sviluppo un
riassorbimento progressivo dell’osso alveolare periapicale.

67
ODONTOSTOMATOLOGIA

Il granuloma apicale è tessuto fibroso giovane riccamente vascolarizzato in cui


sono presenti plasmacellule, granulociti, linfociti e macrofagi; quasi costante è
l’assenza di batteri anche se in alcuni casi rari sono stati riscontrati granulomi infetti. Con
la presenza dei residui epiteliali del Malassez può evolvere a cisti radicolare
attraverso una fase intermedia che viene definita granuloma cistico.

Col granuloma si ha comunque una limitazione della diffusione batterica che viene così
confinata nell’ambito del tessuto periapicale ed impedita dalla reazione immunitaria nella
sua naturale evoluzione loco-regionale o sistemica.

La sintomatologia della parodontite apicale cronica è quasi sempre completamente silente.


Il dolore alla percussione ed alla masticazione è assente; in alcuni casi si può riscontrare
una dolenzia alla pressione sulla parete vestibolare all’altezza dell’apice interessato dal
processo flogistico.

Il quadro radiografico è caratterizzato dalla presenza di una osteolisi circoscritta a contorni


netti a carico dell’osso periapicale.

Il quadro clinico della parodontite apicale cronica può mutare repentinamente per una
riacutizzazione del processo che conduce ad una fusione purulenta del tessuto
granulomatoso. Tale riacutizzazione, che spesso è determinata da una diminuzione dei
poteri di difesa dell’organismo, può essere il primo sintomo di una parodontite apicale
cronica la cui presenza in precedenza non era avvertita dal paziente.

La possibilità evolutive del granuloma sono le seguenti:

- Guarigione con restituito ad integrum previa terapia specialistica;


- Evoluzione fibrosa con formazione di un connettivo simile a quello cicatriziale previa
terapia specialistica;
- Manifestazioni acute e subacute recidivanti (ascesso ricorrente);
- Evoluzione cistica: quest’ultima è una complicanza locale di un granuloma che
abbia inglobato residui epiteliali.

68
ODONTOSTOMATOLOGIA

Ascessi e flemmoni perimandibolari e perimascellari

L’ascesso è una raccolta di pus in una cavità neoformata dalla stessa raccolta
ascessuale; in cavità già formate (ad esempio nel seno mascellare), la raccolta purulenta
prende il nome di empiema.

Il flemmone è invece una infezione acuta purulenta dei connettivi che non ha alcuna
tendenza alla limitazione.

Le parodontiti apicali di tipo purulento rappresentano la causa più frequente degli ascessi
e dei flemmoni. In un dente cariato la polpa, finchè conserva la sua vitalità anche se in
stato di flogosi, rappresenta una barriera biologica alla penetrazione dei germi in
profondità grazie ai suoi poteri di difesa vitale. Se si interviene tardi, il tessuto pulpare va
incontro a necrosi settica diventando un punto in cui agiscono i germi, i quali possono
diffondere lungo il canale radicolare e dar luogo ad una parodontite apicale prima sierosa
e poi purulenta.

La raccolta purulenta, inizialmente circoscritta al tessuto osseo spongioso


periapicale, diffonde poi fino al periostio che, privato della sua vascolarizzazione
per microemboli settici provenienti dal processo infiammatorio, va in necrosi
parcellare, permettendo la progressione della raccolta nei tessuti molli.

Il pus può drenarsi verso la cavità sinusale


(1), verso la mucosa palatina (2), verso i
legamenti parodontali (3), verso il fornice
vestibolare (4), verso la cute (5).

Possibili vie di diffusione di una parodontite


apicale purulenta alla mascella superiore e
alla mandibola. 1) nel seno mascellare
(empiema); 2)verso la mucosa palatina
(ascesso palatino); 3) verso la mucosa
gengivale ed il fornice (ascesso
sottomucoso); 4) verso la guancia (ascesso
sottocutaneo); 5) verso la gengiva linguale
(ascesso sottomucoso); 6)verso il pavimento della
bocca al di sopra del muscolo miloioideo (ascesso
del pavimento sopramiloioideo); 7) verso il pavimento
della bocca ed al di sotto del muscolo miloioideo
(ascesso del pavimento sottomiloioideo o ascesso
sopraioideo centrale); 8 & 9) verso la cute che
ricopre la faccia esterna della mandibola (ascesso
sottocutaneo); 10) verso la mucosa gengivale ed il
fornice (ascesso sottomucoso).

La progressione della raccolta purulenta oltre il


periostio è segnata da una riduzione della

69
ODONTOSTOMATOLOGIA

sintomatologia dolorosa

L’Angina di Ludwing è data dall’interessamento del processo suppurativo a più logge


monolateralmente o bilateralmente (che sono in stretti rapporti di contiguità tra loro). Tutto
il pavimento orale viene interessato. Si può notare una tumefazione diffusa della regione
sopraioidea e del pavimento orale con protrusione della lingua tra le due arcate dentarie
ed intensa sintomatologia dolorosa alla deglutizione e alla masticazione.

Vi è un’intensa sintomatologia generale con febbre alta, polso frequente e torpore


psichico. Si possono avere delle complicazioni come le polmoniti ab ingestis se il materiale
si butta nelle vie respiratorie.

Infine, non vanno ignorate le complicanze dei flemmoni perimascellari. Le complicanze


possono essere dovute a:

- particolare virulenza dei germi;


- carenza nei poteri di difesa dell’organismo;
- scarsa sensibilità dei germi agli antibiotici.

Le principali complicanze sono:

- tromboflebite della vena facciale anteriore;


- flebite del plesso pterigoideo;
- flebite del tronco tireolinguofacciale (secondaria a flebite del plesso pterigoideo);
- setticemia;
- setticopiemia (localizzazioni secondarie in corso di setticemia).

70
ODONTOSTOMATOLOGIA

OSTEOMIELITI DEI MASCELLARI

Sono malattie infiammatorie dello scheletro maxillofacciale. Molta attenzione alla


terminologia, infatti distinguiamo:

- Osteiti: localizzate nei canali vascolari della corticale e negli spazi midollari
adiacenti;
- Osteomieliti: localizzazione prevalente al midollo osseo (con necrosi ossea);
- Periostiti: coinvolgono il periostio;
- Osteoperiostite: coinvolgono il periostio e gli strati più esterni della corticale

Le cause possono essere suddivise in:

- Specifiche;
- Aspecifiche.

Le Osteomieliti Specifiche sono lesioni osteolitiche dovute a:

- tubercolosi ossea;
- lue;
- actinomicosi.

Le Osteomieliti aspecifiche sono provocate da germi piogeni che possono infettare la


struttura ossea per via ematogena, per esposizione o per contiguità. Inoltre possono
essere dovute a insulti fisico-chimici sull’osso.

Da un punto di vista anatomo-patologico si ha una compromissione dei vasi sottoperiostei


per diffusione dell’infezione, con ischemia responsabile di necrosi di aree di ampiezza
variabile definite sequestri. I sequestri col tempo si separano dalle restanti strutture ossee
cosi da formare corpi estranei liberi che vengono successivamente eliminati.

Nell’osteomielite cronica si verifica l’equilibrio tra risposte infiammatorie lesive e risposte


reattive e riparative dell’osso: l’attività osteoblastica, derivante soprattutto dal periostio,
elabora nuovo osso sub periosteo (involucro) che racchiude e circonda interamente in
focolaio infiammatorio. Inoltre nella cavità midollare si verifica una deposizione ossea di
considerevole entità attorno al focolaio infettivo che si traduce in un’aumentata densità e
sclerosi dell’osso.

Clinicamente distinguiamo:

- osteomielite acuta di origine dentaria o per contiguità;


- osteomieliti croniche di origine dentaria;
- osteomielite per propagazione dei germi dai tessuti molli;
- osteomielite ematogena;
- osteomielite da agenti fisici (da radioterapia per neoplasie; con ulcerazione dei
tessuti molli);
- osteomielite da agenti chimici (intossicazione da zolfo e fosforo).

71
ODONTOSTOMATOLOGIA

Nell’Osteomielite acuta di origine dentaria o per contiguità, il processo osteomielitico


esordisce come una parodontite apicale acuta purulenta quando ha raggiunto una certa
estensione porta a trombosi dei vasi con sequestri.

I Sintomi sono: aggravamento della sintomatologia della parodontite apicale purulenta con
febbre alta, dolori continui di tipo trafittivo, rapida tumefazione delle parti molli
perimascellari, mobilità dei denti sovrastanti il focolaio.

La presenza del segmento osseo necrotico in via di demarcazione determina una


stimolazione del periostio, che reagisce ispessendosi lentamente e formando la cosiddetta
“cassa da morto”(tessuto osseo necrotico delimitato da un tessuto di granulazione
infetto) perforata da numerosi orifizi fistolosi attraverso i quali l’essudato purulento si drena
all’esterno.

La terapia contempla:

- antibiotico, che riduce la formazione dei sequestri;


- Poi drenaggio del pus;
- Quando si verifica la demarcazione (evidenziata radiograficamente come una netta
delimitazione dell’osso necrotico da quello sano) si effettua la sequestrectomia;
- courettage della cavità residua onde allontanare il tessuto di granulazione infetto.

Con il tempo si avrà il riempimento della cavità residua ad opera di tessuto fibroso che poi
si trasforma per metaplasia in tessuto osseo.

Nelle Osteomieliti croniche di origine dentaria distinguiamo due forme: una forma
rarefacente e una ossificante.

Nella forma rarefacente la sintomatologia è simile, ma più estesa della parodontite


apicale cronica, con la presenza di uno o più denti necrotici e dolenzia. All’Rx di nota la
rarefazione ossea diffusa a margini irregolari. La terapia prevede l’asportazione dell’osso
malato e revisione strumentale della cavità.

Nella forma ossificante si ha una lenta neoformazione di tessuto osseo eburneo intorno
alle radici dei denti necrotici. Si riscontra all’Rx zone ossee di aspetto compatto in cui è
scomparsa la normale trabecolatura a discapito degli spazi midollari che vengono ridotti.

La terapia prevede l’estrazione del dente e dei tessuti necrotici. In alcuni casi le due forme
si alternano in focolai differenti.

L’osteomielite per propagazione dei germi dai tessuti molli si verifica in seguito a
fratture con esposizione dei frammenti, per propagazione del processo infettivo da ascessi
e flemmoni perimascellari, a carico dell’osso alveolare (alveolite postestrazione
dentaria). In questo caso la gengiva che circonda l’alveolo si presenta arrossata e la
cavità alveolare è occupata da un coagulo grigiastro, di odore fetido.

La terapia (della forma postestrattiva) prevede:

- antibiotici per via generale;


- rimozione del coagulo infetto;

72
ODONTOSTOMATOLOGIA

- disinfezione dell’alveolo con acqua ossigenata.

Nella Osteomielite ematogena i germi sono presenti nel torrente ematico. L’insorgenza è
improvvisa con:

- febbre;
- dolore trafittivo localizzato al segmento mascellare interessato;
- tumefazione delle parti molli perimascellari;
- mobilità degli elementi dentari della regione colpita.

73
ODONTOSTOMATOLOGIA

SINUSITI MASCELLARI

Il Seno mascellare è in continuità anatomica con fosse nasali (meato medio) ed in


contiguità (tramite sottile diaframma osseo) con le regioni apicali di primo e secondo
molare e secondo premolare.

I germi responsabili di sinusite possono venire da:

- Dalle fosse nasali;


- Dal parodonto apicale dei denti;
- Direttamente dall’esterno in seguito a traumi.

Si distinguono sinusiti mascellari:

- di origine dentaria;
- di origine nasale;
- di origine ematica (in corso di malattie infettive);
- in seguito a traumi;
- in seguito ad osteomieliti del mascellare superiore.

Le Sinusiti mascellari di origine dentaria riconoscono diverse origini:

- parodontiti apicali del primo o secondo molare e del secondo premolare acute o
croniche;
- parodontopatie profonde che di propagano al parodonto apicale;
- penetrazione nel seno di frammenti radicolari infetti in corso di una avulsione
dentaria;
- complicata da frattura radicolare.

Una raccolta purulenta periapicale comporta l’interessamento osteitico del diaframma


osseo presente tra apice radicolare e seno, con successivo interessamento della mucosa
sinusale, oppure coinvolge quest’ultima direttamente, se le radici contraggono con essa
rapporti di continuità.

L’interessamento del seno inizia con l’insorgenza di un empiema (semplice presenza


nell’antro della raccolta purulenta) poi successivamente la mucosa sinusale partecipa
anche essa al processo infiammatorio (sinusite mascellare vera e propria).

Le Sinusiti mascellari di origine nasale sono di solito di origine virale (stessi agenti
eziologici di rinite acuta). Generalmente si verifica il contemporaneo interessamento di
tutte le cavità paranasali. I sintomi principali sono:

- Dolore sordo limitato alla radice del naso, esacerbato dalla compressione in
corrispondenza dell’osso lacrimale (punto di Grunwald);
- Può associarsi cefalea frontale o cefalea diffusa;
- Fotofobia;
- Torpore intellettuale;
- Febbre.

74
ODONTOSTOMATOLOGIA

La Sinusite di origine ematica è dovuta a localizzazione ematogena di germi nel seno


mascellare in corso di malattie infettive.

Le Sinusiti mascellari da traumi sono dovute a traumi che interessano la fossa canina
con esposizione ed infezione del seno.

I quadri clinici sono:

- Forma acuta;
- Forma cronica.

SINUSITI ACUTE

La forma Catarrale è di origine nasale, con congestione della mucosa, diapedesi, edema,
ipersecrezione ghiandolare. La forma muco purulenta è di origine sia nasale che
dentaria. Si nota il notevole aumento di leucociti nell’essudato.

Nelle sinusiti, per l’ostacolo o la difficoltà al transito dell’aria causato dalle secrezioni o
raccolte, aumenta la tensione dell’anidride carbonica: questa inibisce la fagocitosi e
l’ambiente acido favorisce la disintegrazione dei granulociti venendo così compromessi i
meccanismi locali di difesa.

La sintomatologia è viva, dolorosa, accentuata dalla pressione sulla fossa canina e


localizzata ai denti superiori che in seguito diffonde a tutto il mascellare interessato. Vi è
febbre, cefalea, secrezione mucopurulenta dal naso, che può cessare se la mucosa
tumefatta occlude l’ostium ad antrum.

Per la Diagnostica, con l’esame rinoscopico anteriore possiamo valutare la presenza del
Segno di Flishmann: presenza di pus nel meato medio e sul cornetto inferiore con
eversione della mucosa dell’ostium ad antrum. Un altro esame utile è l’esame
diafanoscopico (o transilluminazione): si esegue introducendo nella bocca del pz uno
strumento composto da un manico alla cui estremità vi è una fonte luminosa protetta.
L’esame va eseguito all’oscuro e il pz deve chiudere la bocca accostando bene le labbra.
Si ricava un’immagine caratteristica, detta spettro di Heryng, dovuta all’aria contenuta nei
seni mascellari: è costituita da due aree luminose bilaterali situate l’una ai lati della radice
del naso, in corrispondenza della fossa canina,l’altra a livello delle palpebre inferiori. Il
Segno di Davidson è la luminosità del bulbo oculare evidenziabile attraverso le pupille. Il
Segno di Garel si ricerca invitando il pz a chiudere gli occhi e avverte una vaga
sensazione soggettiva di luminosità. L’intensità della transilluminazione varia in rapporto
alle variazioni di spessore delle strutture che i raggi debbono attraversare: quando il seno
mascellare di un lato presenta un ispessimento della mucosa che lo riveste o è occupato
da secrezione, la sua transilluminazione si riduce nei confronti del seno controlaterale sino
a scomparire. All’esame radiografico si riscontra un’opacità parziale o totale del seno
malato rispetto a quello sano. È possibile effettuare una puntura diameatica (per
drenaggio) oppure un esame ecografico.

75
ODONTOSTOMATOLOGIA

La Terapia generale prevede la somministrazione di antibiotici ed antinfiammatori e


terapia locale. Se di origine nasale si può effettuare un drenaggio con nebulizzazione
attraverso il naso e applicazione di antibiotici. Se è di origine dentaria si effettua un
trattamento antibiotico e antinfiammatorio di alcuni giorni, poi estrazione del dente
necrotico e drenaggio transalveolare.

SINUSITI CRONICHE

Una sinusite cronica può essere dovuta:

- Mancata terapia della forma acuta;


- Riniti croniche;
- Penetrazione di un apice necrotico, nel corso di una avulsione dentaria a carico
degli elementi posteriorsuperiori, per frattura radicolare;
- Malformazioni anatomiche del seno che rendono difficile il drenaggio della normale
secrezione mucosa.

I sintomi sono dolore attenuato sia spontaneo che provocato dalla pressione della fossa
canina con secrezione mucopurulenta dal naso.

La Diagnostica prevede esame rinoscopico anteriore con pus nel meato inferiore, nel
meato medio e sul cornetto inferiore, con formazioni polipoidi che sporgono dal cavo
sinusale attraverso l’ostium. L’esame Rx mostra un opacamente diffuso, mentre l’esame
diafanoscopico o trans illuminazione si mostra un opacamente diffuso.

La Terapia è generale con antibiotici, mentre quella locale, per le forme di origine dentaria
si procede all’avulsione del dente responsabile e al drenaggio transalveolare ed
instillazione di antibiotici in loco. Se si rivela insufficiente si applica una metodica che
permetta un’ampia apertura del seno ed un trattamento chirurgico radicale per via nasale
o per via orale.

L’intervento di Caldwell-Luc è una tecnica di elezione nella terapia radicale delle sinusiti
mascellari croniche in anestesia locoregionale. Si pratica un’incisione orizzontale della
mucosa del fornice gengivale dalla regione apicale dell’incisivo laterale alla regione
apicale del secondo molare. Divaricati i lembi della ferita si apre il seno e se ne asporta la
parete anterolaterale. Si procede all’asportazione del tessuto granulomatoso e delle
formazioni polipoidi e si abbatte anteriormente il setto osseo nasosinusale e la testa del
turbinato inferiore, in modo da determinare un’ampia controapertura verso la coana. Si
incide la mucosa, che rivestiva la parete ossea abbattuta creando un lembo che viene
ribattuto sul pavimento del seno. Si tampona con uno zaffo di garza drenando con un
tubicino e si chiude la breccia operatoria orale con punti staccati.

76
ODONTOSTOMATOLOGIA

CISTI DI ORIGINE DENTARIA


Le cisti sono neoformazioni benigne a sviluppo endoosseo che tendono alla
cavitazione centrale. L’interno è costituito da tessuto epiteliale, mentre l’esterno è formato
da tessuto connettivo. Il contenuto è liquido.

Le cisti sono legate ad un’infiammazione cronica periapicale (cisti radicolari) o ad una


aberrazione di sviluppo di elementi embrionali dentoformativi (cisti germinali e cisti
follicolari). Hanno una crescita espansiva nel tessuto osseo che viene progressivamente
distrutto.

Nelle Cisti germinali e cisti follicolari l’epitelio esterno della campana del Williams o
l’epitelio del reticolo stellato vengono stimolati dalla noxa patogena a proliferare in senso
centrifugo sostenuti dalle strutture del follicolo.

Tra le due cisti varia solo il momento in cui la causa agisce: nella germinale esiste soltanto
un abbozzo dell’elemento dentario, mentre nella follicolare esso è completamente formato.

La classificazione prevede:

- Cisti germinali (da formazioni embrionali dentarie durante l’istodifferenziazione del


germe dentario);
- Cisti follicolari (da formazioni embrionali dentarie dopo l’istodifferenziazione del
germe dentario);
- Cisti radicolari e cisti residue (da residui epiteliali parodontali del Malassez
prossimo-apicali).

Le Cisti germinali sono neoformazioni cistiche che contengono nella loro cavità un dente
non completamente sviluppato. La parete cistica esterna contrae rapporti con il tessuto
osseo circostante.

Queste cisti sono espressione di una disorganogenia intervenuta durate la differenziazione


istologica del germe dentario: uno o più elementi embrionali dentoformativi facenti parte
del germe, non hanno subito una normale differenziazione dirottando verso una
degenerazione cistica.

Le Cisti follicolari neoformazioni cistiche che derivano da una degenerazione cistica


dell’epitelio esterno o dell’epitelio del reticolo stellato sostenuti nel loro accrescimento
centrifugo dalle strutture del follicolo di un elemento dentario normalmente costituito, ma
rimasto incluso nella compagine delle ossa mascellari. È da considerare come una
complicanza dell’inclusione dentaria.

Le Cisti radicolari sono un’espressione di un processo infiammatorio cronico periapicale


a carattere produttivo. Si sviluppano in corrispondenza dell’apice radicolare di un elemento
dentario con polpa necrotica (in assenza di polpa necrotica non si svilupperà mai una cisti
radicolare). Il tutto parte dal granuloma apicale (parodontite apicale cronica), che può
inglobare nel suo contesto i residui epiteliali del Malassez prossimo apicali, derivati dalla
guaina di Hertwig. Si costituirà in tal modo un granuloma apicale contenente i residui
epiteliali del Malassez, questi ultimi iniziano un movimento ipertrofico ed iperplastico

77
ODONTOSTOMATOLOGIA

proprio di tutti gli elementi embrionali che sollecitati riprendono una loro capacità
proliferativa. Queste cellule epiteliali occupano il centro del granuloma apicale: le più
centrali vanno incontro ad autolisi per deficit nutritivo,mentre quelle più periferiche
continuano a moltiplicarsi, con formazione del granuloma cistico che continua ad
accrescersi. La cisti radicolare si accresce per espansione centrifuga a spese del tessuto
osseo.

La sintomatologia è differente a seconda del periodo:

- latenza: asintomatico. Riscontro occasionale solo nel caso di suppurazione della


cisti o durante esame Rx dei mascellari praticato per altri motivi;
- di stato: aumento di volume della cisti con tumefazione del segmento osseo ospite.
La tumefazione sarà di volume e consistenza variabile, superficie liscia, limiti netti e
normale mucosa che la ricopre.

L’Esame obiettivo risulta essere differente a seconda della cisti presa in considerazione:

- nella Cisti germinale: mancanza di un elemento dentario per mancato sviluppo;


- Cisti follicolare: mancanza di un elemento dentario per inclusione dentaria;
- Cisti radicolare:presenza di un dente con necrosi pulpare o di un residuo radicolare;
- Cisti residua: assenza di un elemento dentario, precedentemente estratto.

All’Rx si nota una radiotrasparenza circondata da un orletto di addensamento osseo ben


evidente nell’ambito della compagine ossea.

Nelle Cisti germinali, all’interno della zona osteolitica si avrà la presenza di una corona
dentaria senza il concomitante sviluppo della porzione radicolare. Nella Cisti follicolare si
avrà un aspetto osteolitico e presenza di un elemento dentario incluso la cui corona pesca
nella neoformazione cistica mentre la radice è al di fuori della cisti a contatto con l’osso
circostante. Nella Cisti radicolare vi è un rapporto costante cisti-apice radicolare ed
interruzione della lamina ossea che circonda il parodonto apicale nel punto in cui ha avuto
inizio la formazione granulomatosa.

78
ODONTOSTOMATOLOGIA

AMELOBLASTOMA

Sono tumori a partenza dalla struttura dentaria. Abbiamo:

- tumori che vengono dal organo dello smalto: l’esempio capofila è


l’ameloblastoma, poi abbiamo tumore odontogeno squamoso, odontogeno epiteliale
calcificate e odontogeno a cellule chiare;
- tumore con epitelio odontogeno ed ectomesenchima odontogeno:
costituiscono il 3% dei tumori odontogeni, interessano seconda e terza decade di
vita e sono più spesso localizzati al mascellare e si accompagnano spesso a denti
inclusi, all’esame clinico si presentano con tumefazione non dolente a lenta,
lentissima crescita.
- tumore odontogeno adenomadoide;
- odontomi, sono più che altro degli amartomi.

L’ ameloblastoma è un tumore a malignità locale cioè è estremamente invasivo ma non


da metastasi a distanza quindi facciamo una terapia chirurgica con escissione completa.
L’ameloblastoma policistico (una variante) ha la caratteristica tipica, che si presenta
radiologicamente a “vetro soffiato” si vede la parte cistica e il riassorbimento delle superfici
radicolari; la variane uniloculare in cui mancano gli elementi dentari della zona e si vede
un enorme espansione in cui molto spesso possiamo ritrovare un elemento dentario. Se
noi andiamo a fare un analisi istologica e prendiamo solo un pezzo, avremo come referto:
“organo dello smalto” perché abbiamo tutte cellule dell’organo dello smalto che sono
replicate.

L’ameloblastoma è un tumore benigno epiteliale o fibroepiteliale, con localizzazione


principale alle ossa mascellari. Deriva dagli elementi embrionali dentoformativi in fasi
diverse del loro sviluppo (tumore dis-odonto-genetico-odontogeno). La sua ipotetica
derivazione si può far risalire a:

- Disturbi genetici della formazione dell’organo dello smalto;


- Dirottamento dalla normale linea evolutiva dell’organo dello smalto di un germe
dentario;
- Abnorme proliferazione dei residui epiteliali del Malassez;
- Componente epiteliale di una cisti germinale;
- Rivestimento epiteliale della mucosa orale che ricopre le ossa mascellari;
- Presenza di isolotti della lamina dentaria primitiva disseminati in altri organi (ipofisi,
ovaio, faringe, tibia).

I Tumori disodontogenetici derivano da elementi epiteliali differenziati, i quali ad un certo


momento del loro sviluppo, dirottano dalla normale linea evolutiva per assumere uno
sviluppo atipico. Individuiamo tre forme:

- Solida;
- Cistica;
- Mista.

79
ODONTOSTOMATOLOGIA

Nella forma solida lo stroma connettivale è esiguo, nel quale si affondano gittate di cordoni
cellulari epiteliali che in alcuni punti tendono ad espandersi con aspetto pseudofollicolare.
La struttura è analoga a quella della polpa dell’organo dello smalto o reticolo stellato, ma
non si riscontrano mai formazioni di smalto. Spesso si è in presenza di microcisti, segno di
un orientamento involutivo e degenerativo che culmina poi nella forma cistica.

Nella Forma cistica vi è stroma connettivale scarso che circonda numerosi ammassi
epiteliali con tipico aspetto pseudofollicolare. Vi sono note regressive a carico del reticolo
stellato con numerose cavità cistiche contenenti un liquido citrino che tendono a confluire
fra loro.

Nella Forma mista vi sono aspetti propri di ambedue le forme precedenti. A volte vi può
essere la differenziazione odontoblastica dello stroma limitata alla presenza di orletti di
tipo odontoblastico che non hanno però la struttura definitiva della dentina. In caso di
abbozzi dentari o denti conformati parliamo invece di odontomi.

La d.d. va posta con i teratomi: gli ameloblastomi evolvono al massimo verso la


produzione di abbozzi dentari, mentre nei teratomi si raggiunge l’evoluzione verso una
varietà di abbozzi di organi.

La sintomatologia prevede:

- un Primo periodo: asintomatico (diagnosi casuale su Rx);


- Secondo periodo: tumefazione di varie dimensioni a livello mandibolare, specie a
livello dell’angolo e del ramo ascendente e ricoperta da mucosa normale. E’ di
consistenza variabile, superficie plurilobata,limiti netti, indolente. Vi possono essere
parestesie o anestesie dell’emilabbro in caso di compressione radice del nervo
dentario inferiore (raro in quanto l’ameloblastoma non infiltra, ma comprime solo).

All’Rx si nota osteolisi a contorni policiclici, distinta dal tessuto osseo circostante, formata
da varie concamerazioni cistiche confluenti (immagine a bolle di sapone). Si distinguono
due varietà radiografiche:

- Aspetto pluricistico o pluriloculato (d.d. con tumori giganto cellulari);


- Aspetto monocistico o monoloculato (d.d. con forme cistiche).

La terapia prevede l’escissione chirurgica conservativa o demolitiva. La mancata


neoapposizione ossea in cavità è indice dell’avverarsi di una recidiva. In questo caso si
rende necessaria una chirurgica demolitiva (asportazione neoformazione + tratto osseo
che la ospita per 1-2 cm).

Si ricorda che l’ameloblastoma non è un tumore maligno, ma si configura come un tumore


che facilmente può andare incontro a recidiva.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

ODONTOMA (CEMENTOMA)

Si tratta di tumori di origine dentaria costituiti del tutto o prevalentemente da tessuti dentari
calcificati, più o meno differenziati.

Più che tumore deve essere definito come malformazione iperplastica in quanto mancano
le caratteristiche proprie della neoplasia (a differenza dell’ameloblastoma). I tessuti di cui è
formato una volta raggiunta la maturazione restano stazionari (manca di accrescimento
autonomo, continuo e illimitato).

Il disordine quindi è di tipo quantitativo, e non qualitativo (i tessuti infatti sono definiti), per
anomala attività degli elementi deputati alla formazione dei tessuti dentari sia all’epoca del
loro sviluppo che durante la calcificazione.

Questo tumore è frequente in età infantile con uno sviluppo estremamente lento. Le sedi
più frequenti sono:

- regione del terzo molare nella mandibola;


- all’interno del seno mascellare.

Da un punto di vista anatomo-patologico distinguiamo:

- Forme semplici: tessuto dentario calcificato variamente distribuito nella massa


tumorale;
- Forme composte: agglomerato di denti rudimentali più o meno differenziati
istologicamente e morfologicamente, tra di loro collegati da una trama connettivale,
cementizia od ossea.

Siccome questi tumori prendono origine dall’organo dentario in stati diversi del suo
sviluppo, avremo forme diverse, con un differente grado di differenzazione. Dal meno al
più differenziato sono:

- Odontomi embrioblastici: comprendono elementi embrionali giovani senza alcuna


tendenza alla formazione di tessuti dentari istologicamente definiti. Poco
differenziati;
- Odontomi odontoblastici: presenza di abbozzi di smalto, dentina e a volte
cemento;
- Odontomi coronari: si sviluppano dopo l’inizio della formazione della corona;
- Odontomi radicolari: si sviluppano durante la differenziazione radicolare e
contengono dentina e cemento.

I principali fattori predisponenti sono:

- Meccanici da abnormi pressioni sui germi dentari in via di sviluppo (per mancanza o
insufficienza di spazio, accrescimento difettoso delle ossa mascellari, presenza di
denti soprannumerari);
- Fattori traumatici;
- Fattori infiammatori;
- disturbi ormonali e del ricambio.

81
ODONTOSTOMATOLOGIA

La sintomatologia comprende:

- Periodo di latenza (odontoma annidato nella compagine ossea), asintomatico;


- Periodo di evidenza clinica: progressiva deformazione del mascellare di cui è
ospite, con tumefazione ricoperta da mucosa normale, consistenza dura, varia
forma e dimensioni, superficie irregolare, limiti netti, indolente;
- Periodo avanzato: l’odontoma solleva le corticali ossee esterna e interna alla
mandibola; può anche svilupparsi nel seno mascellare superiore senza deformare
la corticale esterna.

Si ha dolore solo in caso di compressione dei tronchi nervosi trigeminali.

All’Rx si nota una massa endossea circoscritta, calcificata, struttura omogenea, delimitata
dall’osso circostante da una zona lineare che la circonda e che corrisponde all’involucro
connettivale. Nei composti avremo zone circoscritte più o meno calcificate nelle quali si
possono individuare formazioni dentarie più o meno evolute.

Possono essere semplici o composti; quelli semplici sono composti da un solo tessuto
dentale come il cementoma, non hanno praticamente nessun significato passando
inosservati per tutta la vita, ma possono costituire un ostacolo ad esempio all’eruzione
dentaria e in questo casi si rimuovono, ma ripeto passano quasi sempre inosservati e
costituiscono dei reparti occasionali nelle radiografie. I composti sono tessuti dentali
disorganizzati e si accompagnano spesso ad inclusione dentaria. Sono tessuti dentali più
o meno organizzati che possono dare origine a strutture simili a denti. Quindi il trattamento
è sempre la rimozione di tutte queste piccole massarelle (denticoli) per lasciare la via
libera all’eruzione, oppure dopo la rimozione fare l’esposizione dentaria e trazionare
ortodonticamente che si può fare però soltanto a completamento della crescita radicolare.

82
ODONTOSTOMATOLOGIA

NEVRALGIE DEL TRIGEMINO

È la più frequente tra le sofferenze dolorose del cranio di tipo nevralgico. Ne esistono di 3
tipi:

- secondaria o sintomatica;
- essenziale o primitiva;
- sindromica.

Le lesioni considerate causa di sindromi nevralgiche secondarie, ma che danno


sintomatologia dolorosa di tipo gravativo e continuo (differente da caratteri propri della
nevralgia trigeminale) sono:

- parodontiti apicali;
- osteomieliti dei mascellari;
- osteiti croniche condensanti che determinerebbero la sindrome nevralgica per il
restringimento dei canali ossei in cui decorrono le branche trigeminali;
- le inclusioni dentarie, per la stimolazione che l’elemento dentario incluso può
determinare sui rami trigeminali;
- sinusiti;
- radiodermiti da terapia fisica per carcinomi mascellari;
- alveoliti, in particolare quelle secche.

La nevralgia secondario o sintomatica può essere dovuta a:

- lesioni di organi o tessuti che si trovano nel territorio di innervazione del trigemino
(pulpiti, pulpoliti, infiammazioni iridocoroidee, meningiti, otiti);
- a processi tossi-infettivi con sofferenza trigeminale (herpes zoster, influenza,
malaria, tifo);
- a un fattore meccanico (traumi cranici, malformazioni ossee, tumori intrinseci o
estrinseci del trigemino, aneurismi arteriosi);
- forme nervose sistemiche (tabe, sclerosi a placche, siringobulbia, sindromi
talamiche).

Vi è un dolore di tipo continuo, si presenta con crisi prolungate da 15-20 min fino a
qualche ora (più prolungate della nevralgia essenziale in cui durano pochi secondi). Il
dolore non è folgorante come nell’essenziale.

Non vi è un vero e proprio intervallo di pieno benessere tra le crisi (al contrario di n.
essenziale). Non è possibile evidenziare zone trigger che scatenano dolore alla pressione.
La compressione di tali zone evidenzia o una iperestesia cutanea o una accentuazione del
dolore preesistente. Spesso ha compartecipazione di altri nervi cranici alla sindrome
nevralgica (mai rilevabile in n. essenziale).

La nevralgia essenziale non riconosce una causa precisa, con un dolore violentissimo,
folgorante. La crisi è di brevissima durata (15-30 sec.). E’ unilaterale, interessa una sola
branca, eccezionalmente due. Insorge all’improvviso spontaneamente o in seguito a
semplici stimoli fisiologici (starnutire, parlare, ammicare, masticare) oppure scatenata da
stimoli tattili in corrispondenza di trigger zones innervate dal trigemino (frequenti alla

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ODONTOSTOMATOLOGIA

radice del naso, angolo della bocca, del forame infraorbitario, angolo esterno delle
palpebre, forame mentoniero).

Scompare completamente negli intervalli lasciando il pz nell’angosciosa attesa dalla


successiva crisi dolorosa. Vi è mancanza di qualunque partecipazione dei nervi motori
cranici. Vi è l’assenza di qualunque alterazione permanente della sensibilità cutanea
nell’estremità cefalica.

Le nevralgie sindromiche sono caratterizzate da dolore trigeminale associato a segni di


tipo paretico (sindromi trigeminali nevralgico paretiche) per lo più a carico di altri nervi
cranici e di plessi neurovegetativi, tutti messi in sofferenza dal medesimo motivo
eziopatogenetico che è alla base della nevralgia del trigemino.

Si identificano nelle sindromi:

- della loggia cavernosa;


- dell’angolo ponto cerebellare;
- simpatico trigeminali;
- riflesse del Bonnet;
- nevralgico paretiche;
- tossi-infettive.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

PRECANCEROSI ORALI

Le Lesioni precancerose sono alterazioni tissutali sulle quali è più probabile che insorga
una neoplasia maligna. La trasformazione interessa nel tessuto coinvolto generalmente
l’epitelio. Sono associate a mutazioni cromosomiche ben definite. Le cellule diventano
indipendenti dai segnali di crescita, evadono l’apoptosi, sviluppano un potenziale
replicativo illimitato, c’è neoangiogenesi.

L’epitelio del cavo orale viene definito come pavimentoso plustrtificato non cheratinizzato.
In realtà in alcuni punti dell’epitelio orale c’è tessuto cheratinizzato: la gengiva aderente ai
denti, palato duro, dorso lingua, vermiglio (zone esposte a traumi). Lo sviluppo della
cheratina in zone normalmente non cheratinizzate ha un significato completamente
diverso.

Per poter descrivere le lesioni di un epitelio, si utilizzano dei termini specifici. La


caratteristica principale è l’aumento degli strati di cheratina. L’ipercheratosi rappresenta
l’aumento di spessore dello strato corneo. Viene indicata in due forme morfologiche
diverse: la ortocheratosica, dove le cellule appaiono totalmente corneificate e la
paracheratosica, con la presenza di corneociti nucleati immaturi.

Le ipocheratosi sono patologie di raro riscontro per le quali è stato ipotizzato un processo
esfoliativo particolarmente rapido. Istologicamente si caratterizzano per la presenza di uno
strato corneo di spessore estremamente ridotto.

Le discheratosi rappresentano un aspetto patologico dell’epidermopoiesi caratterizzato


da fenomeni di cheratinizzazione precoci ed anomalie di singoli elementi cheratinocitari. Si
può avere una DISPLASIA, ovvero un’alterazione della citologia, che può essere di tre
gradi:

- lieve;
- moderata;
- severa o carcinoma in situ.

Quale comportamento attuare di fronte a una precancerosi e con quale criterio?


Ovviamente dipende dal tipo di precancerosi!

In base alla probabilità statistica di degenerazione vengono diversificate dall’OMS in 3


categorie:

- Facoltative o potenziali in cui la percentuale di degenerazione è modesta;


- Vere con notevole possibilità di trasformazione;
- Obbligate, in cui l’evoluzione verso la neoplasia è inevitabile, seppur con tempi e
modi diversi.

Esame dei tessuti orali

Vanno sempre fatti con dei guanti, si compongono di una fase ispettiva (colore,
irrorazione, grado di trofismo), con due dita possiamo aprire il cavo orale, anche con due

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ODONTOSTOMATOLOGIA

spatole e valutiamo la zona del fornice e quindi il trofismo, l’estendibilità, se ci sono delle
ulcere se sono traumatiche, da quanto tempo ci sono, la dolorabilità. Lo stesso viene fatto
per l’arcata inferiore. L’illuminazione deve essere buona, l’odontoiatra osserverà il
paziente alle sue spalle mentre il medico si pone di fronte al paziente. Poi si valutano le
zone posteriori, la mucosa geniena, si vede se ci sono delle lesioni intorno alla guancia e
contemporaneamente si valutano gli elementi dentali, valutare la presenza di margini
taglienti,carie,infiammazione in generale. La lingua viene valutata chiedendo al paziente di
compiere movimenti naturali, si chiederà al paziente di toccare il palato con la punta della
lingua, servirà per valutare il frenulo linguale, poi la motilità con spostamento destro e
sinistro. Poi con la garza si afferra la lingua e si osserva il dorso della lingua e la base
della lingua, contemporaneamente con l’altra mano si procede alla palpazione della lingua
per vedere se ci sono zone di resistenza e si valuterà anche la dolorabilità. Il pavimento
della bocca, si possono osservare dei tori, formazioni benigne, iperostosi, che si possono
ritrovare lingualmente all’altezza dei premolari e del palato duro (toro palatino). Possono
creare dei problemi per alcune manovre terapeutiche come ad esempio quando si applica
una protesi, questo potrebbe richiedere l’asportazione del toro palatino. Non hanno
significato patologico. Si osserva poi il faringe. Si procede con la palpazione dei linfonodi
sottomandibolari, si procede con una palpazione extra orale bimanuale. Si può anche
palpare la tensione dei muscoli masticatori sempre bimanualmente con una mano
all’interno del cavo orale. Una patologia dell’articolazione temporo-mandibolare genera
una tensione muscolare. Palpazione del collo lungo lo sternocleidomastoideo per
apprezzare i linfonodi latero-cervicali.

PRECANCEROSI POTENZIALI O FACOLTATIVE

Leucoplachia

Le leucoplachie, il lichen planus e quello erosivo, la candidosi cronica e la cheilite attinica


sono le lesioni precancerose ad alto rischio di cancerizzazione dal 3 al 15%. Il lichen
erosivo fa parte del 3% delle lesioni ad alto rischio, la diagnosi viene fatta con la biopsia
escissionale che permette di fare anche contemporaneamente la terapia. Le lesioni a
basso rischio di cancerizzazione sono la fibrosi sottomucosa, i papillomi solitari e il lupus.

La leucoplachia è una macchia bianca non asportabile a differenza del mughetto e non è
riconducibile a nessun altra patologia. Può essere localizzata in qualsiasi settore del cavo
orale, predilige la mucosa geniena, fornici, la lingua e il pavimento. L’associazione con
l’infezione da candida può favorire l’evoluzione della lesione precancerosa. Il trattamento
con antimicotici migliora la sintomatologia e riduce le dimensioni e il grado di
cheratinizzazione della lesione in modo da rendere più semplice l’intervento. Dal punto di
vista istologico è caratterizzata da un ispessimento degli strati epiteliali con acantosi e
ipergranulosi e comparsa di intensa cheratinizzazione superficiale associata a flogosi
cronica del corion. Si assiste ad una stratificazione irregolare con iperplasia dello strato
basale. La leucoplachia va in diagnosi differenziale con la candidosi cronica pseudo
membranosa ed iperplastica ed il lichen orale a placca (quest’ultimo tende ad essere

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ODONTOSTOMATOLOGIA

bilaterale e simmetrico). La terapia è esclusivamente chirurgica ed è preceduta dalla


rimozione dei fattori irritanti ed eventuale terapia antimicotica.

Quindi, la leucoplachia è una chiazza o placca dura, non correlabile ad alcuna causa o
malattia nota.

Esistono 3 forme principali:

- omogenea: placca bianca non rilevata con caratteristico aspetto acciottolato. Non
dolente; può essere localizzata o diffusa e la presenza di displasia è rara in tale
forma;
- nodulare: alternarsi di aree bianche, formate da piccoli noduli cheratosici, e di aree
rosse dove l’epitelio è atrofico, con aspetti erosivi, spesso associata ad eritema.
Presenza di displasia in oltre la metà dei casi;
- verrucosa (o iperplasia verruciforme del cavo orale): superficie interamente e
intensamente cheratinizzata che si solleva in proiezioni papillari. Nelle forme estese
viene definita papillomatosi orale florida che è una precancerosi vera.

Tali forme vengono considerate il prestadio del carcinoma verrucoso. Possono essere
localizzate in qualsiasi settore del cavo orale.

I principali fattori eziologici sono:

- tabacco;
- alcool;
- candidosi (sembra favorire la comparsa di displasia);
- herpes simplex;
- tutti i fattori irritanti locali ad azione protratta nel tempo.

La presenza di displasia si evidenzia con anomalie dell’architettura degli strati epiteliali e


con aumentato pleiomorfismo cellulare, stratificazione irregolare con iperplasia dello strato
basale.

La lesione cheratosica và sempre rimossa o quanto meno sottoposta a biopsia. La


rimozione è preceduta dalla rimozione di tutti i fattori irritanti locali e da una eventuale
terapia antimicotica. Nei casi di lesione particolarmente estesa si può usare la crioterapia.

La leucoplachia viene classificata in omogenea e non omogenea e quella non omogenea


viene distinta a sua volta in nodulare,eritematosa e verrucosa. La leucoplachia omogenea
si presenta come una placca bianca non rilevata con caratteristico aspetto acciottolato. E’
caratterizzata da un grado di displasia lieve. Dal punto di vista istopatologico dalla lieve a
quella più severa passiamo da una ipercheratosi ad un’iperortocheratosi fino alla
paracheratosi ovvero alla ritenzione dei nuclei, contemporaneamente abbiamo acantosi,
aumento dello spessore dello strato spinoso e displasie che precedono la trasformazione.
Il passaggio da lieve a moderato ed infine a grave attiene allo spessore.

La differenza tra carcinoma in situ e carcinoma invasivo riguarda l’attraversamento della


membrana basale. La diagnosi differenziale va posta con la cheratosi da carcinoma
squamocellulare, la cheilite attinica da carcinoma verrucoso, la stomatite nicotinica da

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ODONTOSTOMATOLOGIA

candidosi, la necrosi da acido acetilsalicilico da leucoplachia capelluta, lingua a carta


geografica dal lichen. Il lichen da una lesione rossa sulla cute e una lesione bianca nella
mucosa.

Dobbiamo trovare la causa della leucoplachia, può essere dovuta da un’ipercheratosi in


seguito ad uno stimolo meccanico come ad esempio un dente fratturato, una protesi
tagliente che va sistemata o per abitudini del paziente ad es. si morde in quella zona, fuma
la pipa e appoggia il cannellino in quel punto, appoggia la matita in quel punto, alcune
condizioni di bruxismo portano a mordicchiarsi le guance anche durante la notte in questo
caso dobbiamo interrompere questo ciclo eliminando la causa ad esempio limando il dente
e poi si valuta se questa lesione regredisce, si procede con un controllo dopo 15 gg. Le
due settimane rappresentano il tempo di turn-over della mucosa orale. Se dopo 15 gg la
lesione non è regredita si procede con la biopsia escissionale ed un esame istologico. Lo
stesso vale per la lesione ulcerativa. Bisogna monitorare bene i pazienti che fumano,
potrebbero continuare a fumare e la lesione potrebbe non regredire per questo motivo.

La leucoplachia non omogenea si presenta con aspetto nodulare, misto, biancastro,


verrucoso con un grado di displasia media o grave. L’eritroplachia per certi versi è più
grave della leucoplachia.

Lichen planus

Mucosite cronica su base autoimmune nella quale le cellule bersaglio risultano essere i
cheratinociti dello strato basale.

Vengono considerate lesioni potenzialmente cancerose la variante atrofica e quella


erosiva. Il lichen predispone la mucosa orale all’azione dei carcinogeni ambientali. La
mucosa si presenta ispessita, anelastica, con imponenti fenomeni fibrotici del corion.

Il lichen planus è bilaterale,questo è un segno importante. E’ una malattia infiammatoria


cronica ad eziologia sconosciuta, per la presenza di displasie e può degenerare in una
lesione carcinomatosa. Non ha una manifestazione cutanea, rimane confinato a livello del
cavo orale. Il paziente può conviverci per tutta la vita senza fare una particolare terapia.
Esistono forme di lichen ipercheratosiche, forme atrofiche, le forme erosive sono quelle
che vanno seguite e fanno parte del 3% delle lesioni ad alto rischio di evolvere in una
lesione carcinomatosa e vanno trattate con una terapia escissionale conservativa. Dopo la
biopsia si procede con l’osservazione del paziente e terapia cortisonica locale. La diagnosi
di lichen si basa sull’osservazione clinica, sull’esame istologico che mostra il tipico infiltrato
a banda delle papille dermiche “band-like” con disgregazione dello strato basale; la
diagnosi differenziale va posta con leucolplachia, lupus eritematoso discoide e candidosi,
o nelle forme bollose-erosive con pemfigo e pemfigoidi.

Fibrosi sottomucosa

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ODONTOSTOMATOLOGIA

La fibrosi sottomucosa traumatica è dovuta alla masticazione, incidenti, traumi da


bruxismo. La lesione tende ad autosostenersi essendo sede di traumatismi.

Ulcera da decubito

È una lesione cronica della mucosa orale, con perdita di sostanza estesa oltre la
membrana basale. Insorge in seguito a traumatismi cronici causati da denti
profondamente cariati o mal posizionati. Il danno cronico porta ad una espansione clonale
delle popolazioni presenti in loco. Le replicazioni sono esaltate nei tentativi di riparazione e
su tale popolazione espansa è più facile che intervenga l’azione di carcinogeni ambientali
con conseguente danno genetico e trasformazione cellulare.

Per l’anatomia patologica, la lesione si presenta a margini netti, poco rilevati, consistenza
scarsamente aumentata, spesso dolente alla palpazione. Il fondo appare ricoperto da
essudato fibrinoso che raramente sanguina al contatto con gli strumenti.

La terapia prevede la rimozione immediata dell’agente traumatico, ciò è generalmente in


grado di portare a guarigione il pz in 10-15 gg.

Se dopo aver atteso 2 settimane la lesione non guarisce allora si tratta di un tipo infettivo
e/o neoplastico.

Cheiliti

Predispongono all’insorgenza del ca. del labbro. Abbiamo le seguenti forme di cheilite:

- cheilite ghiandolare (con variante apostematosa);


- cheilite attinica.

Cheilite ghiandolare

In condizioni normali a livello del prolabio (zona di Klein) non vi è presenza di ghiandole
salivari. In alcuni individui le gh. salivari accessorie delle labbra sono presenti anche a
livello del prolabio (specie l’inferiore) e restano quindi esposte a svariate noxae patogene
che possono determinare una flogosi cronica.

Vi sono due forme di cheilite ghiandolare:

- Forma ghiandolare semplice: cronica non purulenta;


- Forma ghiandolare apostematosa di Volkmann: cronica purulenta.

La forma ghiandolare semplice insorge sulla parte mediana del prolabio, con macchie
rosse, prima pianeggianti, poi prominenti sulla mucosa. Presentano alla periferia un alone
leucoplasico ed al centro un’apertura che corrisponde al canale escretore della ghiandola
da cui fuoriesce un secreto mucoso che ricopre il prolabio come una rugiada.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Le zone leucoplasiche possono col tempo confluire formando una vera e proprio placca
leucoplasica.

Il labbro si presenta non deformato, di consistenza granulosa alla palpazione ed è assente


la sintomatologia soggettiva.

Se il fenomeno cronicizza, la forma apostematosa rappresenta una possibile evoluzione.

La forma apostematosa deriva dalle cheiliti ghiandolari semplici per infezione secondaria
del parenchima ghiandolare da parte dei comuni piogeni che vi pervengono lungo i dotti
escretori dilatati.

Il labbro si presenta tumefatto, ricoperto da croste nerastre, molli, tenacemente aderenti


alla mucosa sottostante. Allontanando tali croste si mette allo scoperto la mucosa
sottostante erosa, sanguinante e dolente, su cui sono presenti numerose prominenze
rosse da cui fuoriesce essudato mucopurulento.

L’essudato purulento intradermico può raccogliersi formando degli ascessi che si drenano
esternamente a livello cutaneo o all’interno del cavo orale, nel vestibolo.

I Sintomi sono:

- Tensione;
- Ipomobilità del labbro;
- Dolore;
- Difficoltà funzionale alla masticazione e alla fonazione.

Può evolversi con retrazioni cicatriziali o formazione di nuovi focolai purulenti.

La terapia (sia semplici che apostematose) prevede: Elettrocoagulazione o courettage


ghiandolare.

Cheilite attinica

È legata all’esposizione alla luce del sole o a forte illuminazione artificiale (raggi UV).
Colpisce soprattutto il prolabio particolarmente esposto agli UV. Altri fattori sono: vento,
stato idrometrico. L’Incidenza familiare è legata alla quantità di pigmento dello strato
basale.

La Forma acuta è legata a brusca ed intensa esposizione ad UV. Il prolabio è congesto,


tumefatto, ricoperto da croste siero-ematiche e dolente. Guarisce in 10-15 gg con una fine
desquamazione. Se l’esposizione agli UV continua si passa alla forma subacuta e poi alla
cronica.

La Forma cronica interessa prevalentemente la porzione centrale del labbro inferiore. Il


prolabio è lievemente tumefatto, atrofico con colorito rosso laccato, con presenza di ragadi
decorrenti perpendicolarmente all’asse del prolabio, erosioni superficiali a fondo rosa
ricoperte da fine strato di essudato o ulcerazioni a fondo grigiastro ricoperte da essudato
pseudo membranoso.

90
ODONTOSTOMATOLOGIA

Tali erosioni e ulcerazioni guariscono dando luogo ad una superficie mucosa sottile e
pallida che và facilmente incontro a nuove lesioni. Perifericamente al settore in cui la
mucosa è assottigliata l’epitelio si presenta ipercheratosico, con formazione di squame
grigie che si distaccano facilmente.

Il derma risulta infiltrato da linfoplasmacellule, con capillari vasodilatati e degenerazione


basofila delle fibre collagene ed elastiche. Il labbro perde la sua elasticità al pari della cute
circostante. Di solito scompare nei mesi invernali Nelle forme più avanzate si può avere
displasia. Può degenerare in carcinoma.

La Profilassi consiste nell’evitare completamente l’esposizione ai raggi solari. Quando la


lesione non regredisce si ricorre alla chirurgia con asportazione delle lesioni.

La cheilite attinica veniva definita la malattia dei pescatori oggi si vede di più nelle ragazze
che si espongono in maniera selvaggia al sole. Questa lesione è determinata dall’azione
istolesiva della banda luminosa degli UV . I meccanismi di difesa sono rappresentata da
un ispessimento dello strato corneo e da un aumento del pigmento dello strato basale. La
mucosa del prolabio si presenta dolente,tumefatta,congesta. Possono essere presenti
ulcerazioni che guariscono con formazione di cicatrici nella forma acuta mentre nella
forma cronica le ulcerazioni guariscono dando luogo ad una superficie mucosa sottile e
pallida che facilmente va incontro a nuove lesioni. La cheilite attinica può manifestarsi in
forma acuta e più raramente in forma cronica. Quella cronica è legata all’esposizione
cronica al sole, colpisce particolarmente contadini, marinai. Scompare nei mesi invernali e
assume carattere permanente solo nelle forme gravi. Dal punto di vista istologico presenta
ipercheratosi, atrofia dell’epitelio e nelle forme avanzate un quadro di vera e propria
displasia caratterizzato dalla proliferazione dello strato basale e anomalie della forma e
volume delle cellule. La degenerazione in carcinoma è certa e può presentare un periodo
di latenza molto lungo, 20-30 anni. La terapia consiste nell’evitare per quanto possibile
l’esposizione ai raggi solari nelle ore con maggiore prevalenza di UVA o nel caso di attività
lavorative ricorrendo all’uso di cappelli a falda larga e creme protettive a base di acido
paraminobenzoico. Quando le lesioni non regrediscono è possibile prevedere l’evoluzione
carcinomatosa ed è opportuno ricorrere alla terapia chirurgica.

La cheilite attinica dal 6 al 10% ha una trasformazione maligna.

Papilloma

Il papilloma a cellule squamose è una patologia benigna, è una lesione solitaria che ha
una localizzazione ubiquitaria nella mucosa orale, la sua grandezza è variabile. La
neoformazione può essere sessile o peduncolata, non c’è displasia epiteliale e non c’è
una trasformazione maligna. E’ una neoformazione di carattere infiammatorio cronico
reattiva a stimoli chimici, fisici o meccanici presenti nel cavo orale.

La verruca volgare è simile al papilloma a cellule squamose, si presenta con lesioni


singole o multiple, è frequente nei bambini, sono bianche perché c’è una ipercheratosi, il
grado più benigno di differenziazione. Sono associate al papilloma virus 2 o 4.

91
ODONTOSTOMATOLOGIA

Il papilloma è una neoformazione fibroepiteliale sessile o peduncolata, ricoperta da


mucosa liscia o ruvida, di colorito roseo, consistenza molle elastica, volume variabile da
un grano di miglio ad una nocciola.

Hanno carattere infiammatorio cronico, reattivi a stimoli irritativi presenti nel cavo orale.
Alcuni possono essere corneificati

Nella forma sessile, la base di impianto ha un diametro pari o maggiore rispetto al


diametro massimo del corpo del papilloma, mentre la forma peduncolata ha una base di
impianto con diametro minore del diametro massimo del corpo del papilloma. Possono
presentarsi singoli o multipli.

La forma peduncolata ha rischio maggiore di trasformazione maligna: la ristretta base di


impianto rende molto mobile la massa sovrastante e quindi particolarmente
traumatizzabile all’interno del cavo orale.

L’agente eziologico potrebbe essere il papilloma virus umano (HPV). Presenta un


accrescimento lentissimo. La terapia è chirurgica

Nevi

Si possono presentare anche delle colorazioni della mucosa orale per la presenza di
depositi di amalgama, materiale per l’otturazione che veniva utilizzato in modo massivo
fino a qualche anno fa. L’amalgama veniva chiamata “volgarmente” piombatura ma in
realtà nell’amalgama non c’è il piombo, è un composto metallico che è costituito per l’80%
da argento. La caratteristica dell’amalgama è quella di essere plasmabile quando viene
mescolata. Il mercurio permette l’indurimento dell’amalgama, per questo motivo
l’amalgama è stata imputata responsabile di alcune malattie neurologiche come la sclerosi
a placche ma essendo un materiale ampiamente diffuso e una prevalenza della carie
dell’80% della popolazione è facile fare questa associazione. Potrebbe essere tossico
nella fase plastica ma una volta che è complessata all’interno della struttura non riveste
più nessun problema. Sotto la spinta del mercato e dell’estetica oggi il materiale per la
ricostruzione è costituito da compositi che sono polimeri resinosi che presentano una
varietà di colore. Non hanno una stabilità dimensionale, il composito tende ad usurarsi a
differenza dell’amalgama. Se si fresa una amalgama d’argento i frammenti possono finire
sotto la mucosa, in questo caso la localizzazione del nevo è lontana dalle strutture
dentarie però è importante ricordare che la diagnosi differenziale delle lesioni
melanomatose va fatta con i residui di amalgama sottomucosi.

I nevi sottomucosi sono importanti e vanno tenuti sottocontrollo per evitare l’evoluzione in
melanoma. I nevi a livello del cavo orale interessano il palato e la mucosa geniena, i nevi
si presentano sotto varie forme: nevo pigmentato comune, nevo blu acellulare, melanoma
giovanile benigno o nevo di Spitz. I segni clinici che inducono il sospetto di degenerazione
maligna sono rappresentate da un aumento delle dimensioni del nevo sia in senso
orizzontale che in altezza, cambiamento di colore dal bruno al nero o un’improvvisa

92
ODONTOSTOMATOLOGIA

decolorazione, dalla presenza di alone periferico eritematoso e dalla insorgenza di una


dolenzia spontanea o provocata.

I nevi sono nidi di melanociti e interessano la mucosa geniena e palato. Si presentano


come macule di colore bruno, rotondeggianti, piane o leggermente rilevate o con aspetto
vegetante o moriforme.

Esistono diverse forme di nevi:

- nevo pigmentato comune;


- nevo blu acellulare;
- nevo di Spitz (o melanoma giovanile benigno).

Il nevo pigmentato comune è un nevo piccolo e piatto, con gruppi di cellule proliferanti
localizzate presso la linea di giunzione tra epitelio e sottomucosa. Sono distinti in base alla
sede in:

- Intraepiteliali;
- Giunzionali (degenera più frequentemente degli altri);
- Composti (giunzionali e intraepiteliali);
- Intramucosi.

Il nevo blu acellulare è frequente nel cavo orale, specie al palato duro nelle femmine.

Il Nevo di Spitz interessa soggetti giovani o bambini. È raro ed si localizza a livello della
mucosa orale delle labbra o della lingua.

I segni clinici di sospetta degenerazione maligna sono:

- aumento delle dimensioni;


- cambiamento di colore o improvvisa decolorazione;
- presenza di un alone periferico eritematoso;
- insorgenza di una dolenza spontanea o provocata.

La Melanosi è una lesione pigmentata del cavo orale estesa data dall’accumulo lineare di
melanociti a livello dello strato basale senza formazione di nidi cellulari. È potenzialmente
cancerogena.

La Terapia prevede l’asportazione chirurgica preventiva dei nevi intraorali e delle melanosi
di piccole dimensioni. Nelle melanosi molto estese è utile l’effettuazione di biopsie
randomizzate nelle sedi maggiormente pigmentate o a livello di aree disomogenee.

Precancerosi vere

Candidosi cronica iperplastica

93
ODONTOSTOMATOLOGIA

È una lesione causata da invasione da parte di un micete degli strati profondi della
mucosa e della sottomucosa con una risposta tissutale espressa da:

- paracheratosi;
- acantosi;
- iperplasia pseudoepiteliomatosa;
- formazione di microascessi;
- intensa flogosi cronica del corion.

Spesso è presente displasia di grado più o meno marcato.

Le lesioni appaiono come macchie biancastre dure e fortemente aderenti, rilevate e con
aspetto papillare.

Le sedi preferenziali di formazione delle macchie sono: labbra, lingua, regione


commisurale e retrocommissurale (più colpite).

La Terapia è prima medica con antimicotici e successivamente chirurgica con


asportazione completa.

La candidosi è una sovra infezione da C.albicans. La candida normalmente fa parte della


popolazione batterica del cavo orale. Candida albicans si coltiva sul terreno di Sabouraud.
E’ un patogeno opportunista. Pazienti immunodepressi o in seguito ad una terapia
prolungata con antibiotici possono sviluppare la stomatomucosite da Candida. La
stomatomucosite è caratterizzata dalla comparsa di membrane di colorito bianco rilevate
sul piano mucoso e circondate da un alone eritematoso; tali placche sono costituite da
cellule epiteliali sfladate, da essudato fibrinoso e dalle ife del micete che si spingono in
profondità determinando l’aderenza della placca alla mucosa. Le forme cliniche di
candidosi del cavo orale riconosciute sono:

- pseudomembranosa acuta (mughetto) presente soprattutto nei bambini;


- atrofica acuta (eritematosa);
- atrofica cronica che è caratteristica delle protesi (stomatite da dentiera);
- candidosi cronica iperplastica,è favorita da fattori irritativi cronici come il fumo e
si associa a lesioni di tipo leucoplastico;
- cheilite angolare da Candida.

La terapia per il cavo orale consiste in applicazioni topiche, la somministrazione sistemica


non è necessaria. In pazienti con candidosi atrofica cronica dobbiamo stare attenti e
trattare anche l’apparecchio protesico. La protesi totale dopo un certo periodo di tempo
diventa incongrue per il riassorbimento osseo a cui è andato incontro il paziente. Si usano
delle resine fatte polimerizzare a freddo per rimodellare la protesi. Queste resine però
sono estremamente porose e all’interno dei pori si posizionano le ife della Candida, ecco
perché il paziente non guarisce e si reinfetta. Non basta che la protesi venga a contatto
con l’antimicotico perché l’antimicotico non penetra all’interno della protesi. Bisogna
procedere rimuovendo tutto il materiale della resina aggiunto sulla protesi e va immessa a
caldo la resina nuova.

94
ODONTOSTOMATOLOGIA

Esiste anche la leucoplachia da candida. La diagnosi differenziale va fatta spostando


queste chiazze bianche, si vedono dei puntini rossi sanguinolenti. Il 5% dei neonati risulta
affetto dalla forma pseudo membranosa per un’immaturità dei sistemi di difesa o da
alterazioni locali, malattie sistemiche. Le terapie antibiotiche, l’uso massiccio di
corticosteroidi, il diabete mellito creano una predisposizione alla candidosi.

Lo strato bianco-giallastro della mucosa è facilmente asportabile e lascia intravedere dei


puntini rossastri sanguinolenti. La forma atrofica acuta è più comune determina un rossore
linguale e viene anche detta “lingua dolorante da antibiotici”. La lesione è dolente.

Papillomatosi orale florida

Vi sono lesioni bianche cheratosiche del cavo orale a superficie con numerose proiezioni
papillari molto cheratinizzate. È una forma molto avanzata di leucoplachia verrucosa e
frequenti sono i fenomeni displastici con possibilità di trasformazione in ca verrucoso
(neoplasia a basso grado di malignità, crescita lenta e rare metastasi).

PRECANCEROSI OBBLIGATE

Morbo di Bowen

È un Ca. squamoso intraepiteliale (ca in situ) che può evolvere in ca invasivo (nell’arco di
molti anni). Ha un aspetto simile a eritroplasia. La sede preferenziale di insorgenza è la
cute fotoesposta, ma anche mucosa orale e/o genitale.

Eritroplasia

Si definisce in questo modo, qualsiasi area eritematosa a superficie vellutata a sede


intraorale che non può essere classificata come secondaria ad un processo patologico
noto. In genere asintomatica. Mostra displasia più o meno grave o franca anaplasia.

L’eritroplasia presenta un’alta percentuale di trasformazione maligna (90% circa). La


terapia prevede la rimozione chirurgica accurata ed esame istologico.

L’eritroplachia è una lesione rossa e vellutata non riconducibile a nessun altra patologia
nota dal punto di vista clinico e anatomo patologico. Dal punto di vista istologico abbiamo
una iperplasia squamosa associata a cheratosi, displasie di vario grado e carcinoma in
situ. La trasformazione maligna della eritroplachia è elevatissima. La lesione va rimossa
chirurgicamente in modo esteso ed esaminate istologicamente.

La classificazione dell’OMS la divide in 3 stadi evolutivi:

- lieve;

95
ODONTOSTOMATOLOGIA

- moderata;
- grave o carcinomatosa.

Nella lieve è interessato solo il 3^ inferiore dell’epitelio, la displasia è moderata quando è


interessato ½ - 2/3 dell’epitelio e nella grave tutta la lamina epiteliale è interessata.

96
ODONTOSTOMATOLOGIA

STOMATITI

Per stomatite si intende un processo infiammatorio localizzato alla mucosa del cavo orale.
Si ha la formazione delle caratteristiche lesioni, ulcere, che vanno incontro a risoluzione
spontanea una volta che si è eliminata la causa di base. Tuttavia, le lesioni da processi
infiammatori vanno in diagnosi differenziale con eventuali lesioni precancerose.

La stomatite erpetica, dovuta a HSV, è ampiamente diffusa. Infatti il 50% della


popolazione mondiale ne è affetta, ha un carattere ricorrente e la sua localizzazione è a
carico sia delle mucose che del tessuto cheratinizzato. L’infezione è ciclica ed essendo il
virus in stato latente nei gangli la slatentizzazione avviene per stimoli di natura traumatica,
esposizione al sole, alterazioni ormonali o immunitarie. Spesso si trovano nelle aree delle
suture. Non ha terapia oppure si possono utilizzare terapia antivirale sistemica ma la
sintomatologia è di scarsa entità e le lesioni sono transitorie. E’ generalmente asintomatica
a volte può manifestarsi sia sulla mucosa orale che sull’epitelio cheratinizzato. La
prevalenza è maggiore nei bambini perché è il primo momento in cui si viene a contatto
con il virus. E’ caratteristico il ciclo della lezione: vescicola - ulcerazione - fase
essudativa. Non vediamo naturalmente la fase crostosa nella mucosa orale. Il paziente
immuno-compromesso presenterà una manifestazione più grave e sarà necessaria una
terapia sistemica. L’infezione avviene per contatto attraverso la cute, le mucose o con le
goccioline di Pflugge tramite la mucosa rinofaringea. Il virus può dar luogo solo in stipiti
particolarmente virulenti ad una meningo-encefalite clinicamente apparente.

La gengivo-stomatite erpetica è particolarmente frequente i età infantile per l’assenza di


una difesa immunitaria specifica. La mucosa orale si presenta arrossata, tumefatta con
presenza di numerose vescicole sparse e circondate da un alone eritematoso che si
ulcerano precocemente per i continui traumatismi della mucosa orale dando luogo a
piccole erosioni ricoperte da essudato siero-fibrinoso su cui si impianta la flora batterica
secondaria con conseguente alitosi. La malattia dura in genere un paio di settimane. La
terapia della gengivo-stomatite infantile consiste nella somministrazione di antibiotici ad
ampio spettro per evitare sovrapposizioni batteriche e gamma globuline 0,2 cc per Kg
ripetute dopo tre giorni. Nelle forme recidivanti si applica per via topica idrossiuridina,
tromantadina, acyclovir e per via sistemica isoprinosina (antivirale) oltre al vaccino
antierpetico.

Nell’ambito delle stomatopatie autoimmuni ritroviamo il LED, lupus eritematoso discoide.


E’ una dermatosi cronica caratterizzata da lesioni eritematose, squamose ed atrofiche che
si localizzano più frequentemente al viso. Colpisce maggiormente il sesso femminile e l’età
adulta nel periodo estivo. La lesione tipica è rappresentata dall’eritema a farfalla sul volto,
in un quarto dei casi sono presenti lesioni orali; si manifestano al prolabio con
caratteristiche simili a quelle cutanee mentre sulla mucosa orale, di solito su quella
geniena, compare una placca di colorito rosso cupo, biancastra in alcuni punti ed erosa in
altri, circondata da un alone eritematoso in cui i capillari hanno un decorso raggiato. Il LED
ha decorso cronico, la prognosi è buona perché la possibilità che evolva in LES è rara.
Nella diagnosi le lesioni vanno differenziate dalla leucoplachia e dal lichen. La presenza di
eritema raggiato periferico è tipico del LED. Per la terapia vengono utilizzate applicazioni
topiche di cortisonici sulle lesioni o la crioterapia. Nelle forme diffuse si somministrano per

97
ODONTOSTOMATOLOGIA

via orale antimalarici di sintesi (idrossiclorochina 400-600 mg/die) e vitamina E (100-300


mg/die).

La stomatite aftosa ricorrente è una patologia molto diffusa, molto dolorosa. L’eziologia
è ignota sembra legata ad un meccanismo autoimmune e va in diagnosi differenziale con
la stomatite erpetica, la terapia sarà basata sui corticosteroidi ad uso locale. L’intervento di
prima linea consiste nelle” toccature” di collutorio con clorexidina che non ha un’azione
diretta ma serve a bloccare una sovra infezione batterica. La clorexidina, molto diffusa in
Europa, è entrata in commercio solo 15 anni fa negli USA. Precedentemente alla
clorexidina venivano usate le tetracicline localmente, veniva aperta una capsula e disciolta
in un bicchiere d’acqua e veniva utilizzata come un collutorio. La tetraciclina, come la
clorexidina, ha la capacità di legarsi ai tessuti duri e talvolta anche a quelli molli e funzione
come un tampone a cessione lenta. La stomatite aftosa è dolorosa nei primi giorni poi la
sintomatologia regredisce per la rigenerazione dell’epitelio.

La somministrazione sistemica di corticosteroidi viene attuata solo nelle sintomatologie


aftose molto gravi come la sindrome aftosa di behcet. Le afte non risiedono sull’epitelio
cheratinizzato a differenza dell’herpes. Le recidive sono frequenti e sono legate a stress di
carattere fisico, al S.I., ecc... Interessa l’11-20% della popolazione. Può presentare ulcere
minor, maior (grandezza superiore a 0.5 cm) o di tipo erpetiforme (le ulcere sono disposte
a grappoli). Le ulcere guariscono spontaneamente dopo 10-14 giorni potendo recidivare
dopo la “restituito ad integrum” della lesione dopo settimane o mesi. Sono più frequenti nel
sesso femminile. Le forme estese possono interessare anche le ghiandole salivari minori
(periadenite di Sutton) e possono guarire dopo molte settimane. La sindrome di Behcet è
caratterizzata da ulcere orali, genitali e flogosi oculari cui possono accompagnarsi
manifestazioni cutanee, nervose e vascolari. L’ulcera aftosa all’esame istologico presenta
un infiltrato linfoplasmacellulare, linfociti T CD4+ nelle fasi iniziali, linfociti T CD8+ nelle fasi
avanzate e una massiva presenza di PMN neutrofili. La terapia delle afte si basa su:

- allontanamento di fattori favorenti (stress psicofisico, foci infettivi ecc…);


- utilizzo di colluttori disinfettanti a base di clorexidina, bicarbonato di sodio e acido
acetilsalicilico;
- pomate anestatiche a base di xilocaina viscosa all’1-2% o tetracaina al 2% per
ridurre la sintomatologia dolorosa;
- utilizzo di cortisonici per applicazione topica o per via generale nelle forme resistenti
o con interessamento sistemico (sindrome di Behcet);
- immunomodulanti come il levamisolo, antielmintico con capacità
immunosoppressiva ad alte dosi;
- disodiocromoglicato per via sistemica per abbassare la soglia di eccitabilità delle
mstcellule alla degranulazione;
- dapsone per via sistemica o topica utilizzato normalmente per la lebbra o per la
dermatite erpetiforme.

Il pemfigo è una patologia su basa autoimmunitaria che interessa le mucose e la cute. Il


pemfigo volgare presenta la sua manifestazione più frequente a livello del cavo orale
(50%). Si presenta con ulcerazioni orali irregolari. L’aspetto caratteristico della lesione è la
bolla o vescicola acantolitica a livello intraepiteliale che assumono aspetti precocemente

98
ODONTOSTOMATOLOGIA

erosivi. Esistono poi delle lesioni di transizione a cavallo tra il carattere lichenoide e
pemfigoide e sono localizzate sempre a livello del cavo orale, sono forme benigne di
colore rosso con una scarsa sintomatologia e non si procede con l’esame istologico.
Successivamente la malattia si estende alla cute. La perdita di elettroliti dalle lesione e
l’infezioni delle stesse sono state causa di morte prima dell’introduzione della terapia
immunosoppressiva. A livello istologico si può notare acantolisi con separazione dello
strato spinoso da quello basale ed il primo rilievo evidenziabile è edema intercellulare che
si accompagna ad una perdita dei contatti intercellulari degli strati soprabasali dell’epitelio
squamoso stratificato; successivamente le cellule dello strato spinoso si separano le une
della altre con la formazione della bolla. Nel liquido della bolla possono essere visti
agglomerati di cellule acantolitiche con nucleo ingrandito, ipercromatico e atipico,
presentano anche un orletto periferico citoplasmatico iperbasofilo e un’area perinucleare
ipocromatica con aspetto di cellule “lisate a lutto”, il citoplasma è omogeneamente
eosinofilo.

Il pemfigo è caratterizzato dalla presenza di autoanticorpi circolanti in grado di legarsi ad


antigeni presenti sulla superficie delle cellule epiteliali di cute e mucose. Gli autoanticorpi
sono responsabili dei primi eventi morfologici della lesione: la dissociazione delle giunzioni
intercellulari e la perdita dell’adesione cellula-cellula.

Il titolo anticorpale deve essere monitorato nel paziente in trattamento in quanto permette
di indicare una prognosi e di valutare una risposta al trattamento, un aumento del titolo
può essere segno di ripresa della patologia. Il pemfigo è stato associato con numerose
patologie di tipo autoimmunitario: sindrome di Sjogren, artrite reumatoide, pemfigoide
bolloso e lichen planus. Il pemfigo può essere indotto da farmaci (D-penicillamina),raggi
ultravioletti e infrarossi. Le lesioni del pemfigo volgare devono essere distinte da quelle del
pemfigo bolloso, dal pemfigoide cicatriziale, dall’eritema multifome, dal lichen planus
bolloso e dalla dermatite erpetiforme.

La terapia prevede l’utilizzo di steroidi (deflazacort e prednisone) che se necessario


vengono coniugati a farmaci immunosoppressori quali azatioprina, ciclofosfamide e
metotrexate.

99
ODONTOSTOMATOLOGIA

TUMORI DEL CAVO ORALE

Il cavo orale fa registrare la maggiore incidenza di neoplasie. Il carcinoma a cellule


squamose è la 4^ neoplasia più frequente nei maschi e 6^ nelle femmine e rappresenta il
90% delle neoplasie maligne del cavo orale. L’età è superiore ai 40 anni. La
sopravvivenza media è meno del 76% con linfonodi negativi, con linfonodi positivi del
36%.

Il fattore causale principale è il fumo, la combinazione alcool-fumo è particolarmente


dannosa. L’alcool scinde il film lipidico di protezione.

I fattori eziologici sono:

- dieta (carenza di vitamina A, C, E, ferro);


- fattori dentari (scarsa igiene orale);
- raggi UV;
- Virus (HSV, HPV, EBV, HIV) ruolo da definire;
- IMMUNODEPRESSIONE medica e patologica (HIV). Anche le malattie
parodontali sono un altro fattore eziologico e si sviluppano in pazienti con HIV in
seguito all’immunodepressione;
- infezioni croniche (candida, sifilide).

Si localizza a livello della lingua, labbra, pavimento della bocca, guancia e da


metastasi al polmone, ossa, fegato, cervello.

Distinguiamo 2 istotipi:

- ca. spinocellulare;
- ca. basocellulare.

Il Ca spinocellulare è il più frequente e le cellule epiteliali carcinomatose invadono i


tessuti in profondità. Possono andare incontro a processi di cheratinizzazione con
formazione di perle cornee. Nel Ca in situ, le cellule carcinomatose non hanno ancora
superato la membrana basale. Il Ca verrucoso è una variante che si presenta come una
massa verrucosa o papillomatosa ad accrescimento superficiale

Il Ca basocellulare interessa esclusivamente il labbro superiore ed è raro nel cavo orale.


Esistono varie forme di Ca del cavo orale:

- nodulare (10-15 %): nodulo duro con margini indistinti ed infiltrati, aderente ai piani
sottostanti, indolente;
- ulcerativa (20-25 %): area ulcerata infiltrata e mal delimitata dai tessuti circostanti,
con bordi rilevati, duri, con fondo ricoperto da materiale emorragico, fibrinoso,
necrotico;
- vegetante (15-20 %): escrescenze di consistenza molle, facilmente sanguinanti;
- misti (40-60 %): coesistenza dei quadri sopra descritti.

Per il Grading abbiamo:

- I grado: cellule ben differenziate;

100
ODONTOSTOMATOLOGIA

- II grado: cellule con un certo grado di indifferenziazione;


- III grado: cellule altamente indifferenziate.

Lo Staging si effettua mediante il sistema TNM.

Ca della lingua

La lingua è una zona particolarmente visibile, le zone laterali della lingua sono le più
colpite poiché sono le zone in cui si esercita un maggior traumatismo. L’introflessione della
lingua è un quadro sfavorevole, abbiamo una coartazione del nucleo centrale. La
palpazione della lingua va fatta in modo tale da apprezzare i cambi di consistenza, i
noduli,ma anche la mobilità. La lingua è composta da muscolo e quindi facilmente si
vedono noduli o trazioni.

Quando si vede un’area di radiotrasparenza si procede con una biopsia che sarà
escissionale se la lesione è inferiore a 2 cm e si farà anche un’ortopantomografia. La
prognosi è peggiore se tardiva, in un paziente di sesso maschile ed
immunocompromesso.

La sedi posteriori del cavo orale sono quelle che il paziente raramente controllerà con
l’autopalpazione. L’8,1% delle lesioni precancerose presentano malignità (media di diversi
studi). In Italia la malignità aumenta e c’è un’intercettazione tardiva della lesione. Le
lesioni precancerose presentano tessuto alterato morfologicamente in cui c’è la
probabilità che la neoplasia insorga in maniera più alta rispetto alle altre zone. La
condizione invece indica un’alterazione generalizzata che si associa ad un aumento
significativo di sviluppare un carcinoma.

I principali Fattori di rischio sono: tabacco, alcol, consumo di betel (foglie masticate
soprattutto in india) e chutta, radiazioni, esposizione solare, disordini metabolici
(s.plummer wilson), metalli pesanti, infezioni virali, scarsa igiene orale, protesi inadeguata,
ingestione di cibi caldi o speziati.

101
ODONTOSTOMATOLOGIA

PATOLOGIA DELLE GHIANDOLE SALIVARI

SCIALODOCHITI

Sono processi infiammatori del dotto delle ghiandole salivari. Sono relativamente frequenti
per la ricca flora microbica presente nel cavo orale e per la notevole attività meccanica dei
tessuti molli durante l’atto della masticazione e della deglutizione

La Sede più frequente è il Dotto escretore della ghiandola sottomascellare a causa della
sua sede anatomica nel pavimento della bocca.

I principali Fattori eziologici sono:

- Virulenza della flora microbica normalmente presente nel cavo orale;


- Penetrazione di corpi estranei nel dotto interessato;
- Calcolosi del dotto;
- Traumi, specie a carico della papilla del dotto (papilliti).

Clinicamente, distinguiamo due forme di scialodochiti:

- Fibrinosa;
- Purulenta.

La scialodochite fibrinosa rappresenta la prima fase di qualsiasi processo scialodochitico,


caratterizzato da iperemia e formazione nel dotto di un tappo fibrinoso che ne occlude
parzialmente o totalmente il lume con transitoria ritenzione salivare. Il Dotto appare
tumefatto e arrossato.

La situazione può essere asintomatica o con dolore violento alla legione ghiandolare
(colica del dotto). Durante la colica il dotto è dolente alla palpazione e vi è la fuoriuscita di
saliva densa e vischiosa alla pressione del dotto.

La sintomatologia regredisce rapidamente con l’espulsione del tappo fibrinoso


accompagnata da abbondante scarico di saliva nella bocca.

La scialodochite purulenta si caratterizza per la presenza e fuoriuscita dal dotto di


essudato purulento. Vi è una spiccata sintomatologia dolorosa, specie in corrispondenza
dei pasti.

La terapia prevede: uso di antibiotici, colluttori e applicazioni calde.

SCIALOADENITI

Le scialoadeneti sono invece processi infiammatori del parenchima della ghiandola


salivare. Distinguiamo:

- Primitive acute e croniche;


- Secondarie acute e croniche.

102
ODONTOSTOMATOLOGIA

Le scialoadeniti primitive acute non sono secondarie ad alcun fatto morboso locale o
generale, ma sono dovute ad un agente infettivo. Tra tutte, di sicuro la più famosa è la
parotite epidemica.

La Parotite epidemica presenta un decorso benigno, guarigione rapida in 10 gg e lascia


un’immunità permanente. Colpisce prevalentemente le due parotidi (bilaterale), ma può
localizzarsi anche alle sottomascellari o alle sottolinguali. Il virus raggiunge la ghiandola
per via ascendente canalicolare o per via ematica, penetrando nel torrente circolatorio
attraverso le vie respiratorie.

L’Anatomia patologica è caratterizzata dalla presenza di essudato sieroso o sierofibrinoso,


linfociti, monociti e granulociti nel connettivo interstiziale della ghiandola. È presente
rigonfiamento e desquamazione dell’epitelio ghiandolare.

La Sintomatologia è caratterizzata da:

- Cefalea;
- Febbre;
- Anoressia;
- Tumefazione ghiandole interessate;
- Dolore alla deglutizione e alla compressione.

Le principali complicanze sono la scialoadenite suppurativa che è dovuta al sovrapporsi


di una infezione piogena su quella virale. Ha un decorso più lento e una più intensa
sintomatologia dolorosa. Un’ulteriore complicanze è l’Orchite: tumefazione dolorosa del
testicolo dovuta a essudato nello stroma della gonade. Ancora, possiamo avere:

- Pancreatine acuta sierosa: segni di insufficienza pancreatica;


- Meningite sierosa.

Gli “orecchioni” vanno incontro a guarigione spontanea.

Nella Scialoadenite citomegalica da virus vi è la presenza di cellule duttali e


parenchimali notevolmente aumentate di volume, con inclusioni intranucleari ed
intracitoplasmatiche.

Le Scialoadeniti secondarie acute sono dovute a:

- scialodochite: per diffusione ascendente del processo infettivo;


- malattia infettiva: quali scarlattina, polmonite, sepsi. La via di diffusione è ematica;
- diffusione del processo infettivo da organi vicini: otite media o esterna, artrite
suppurativa dell’ATM, flemmoni perimascellari. Diffusione per contiguità o via
linfatica.

La Sintomatologia è caratterizzata da:

- Interessamento mono o plurighiandolare;


- Rapida insorgenza sintomi in forme secondaria a malattie infettive, lenta per forme
secondarie a scialodochite;
- Dolore;

103
ODONTOSTOMATOLOGIA

- Tumefazione ghiandolare;
- Febbre;
- Essudato sieroso o purulento.

La Scialoadenite postoperatoria è una scialoadenite secondaria acuta. Insorge entro i


primi 15 gg dopo un intervento per via della riduzione della secrezione salivare dovuta a
disidratazione ed ai riflessi neurovegetativi legati all’intervento operatorio.

La sintomatologia è imponente con:

- Dolore;
- Tumefazione ghiandolare;
- Iperemia degli ostii duttali;
- Febbre;
- Fluttuazione alla palapazione della tumefazione a causa dell’avvenuta fusione
purulenta.

Se non si instaura un’opportuna terapia può causare un flemmone laterocervicale.

Le scialoadeniti secondarie croniche sono secondarie a:

- Scialoadochiti croniche;
- Cronicizzazione di una forma acuta per inadeguata terapia;
- Malattie generali;
- Intossicazione da piombo o mercurio;
- Stati uremici.

La ghiandola si presenta aumentata di volume, dura, poco dolente e scarsamente mobile,


con alterazione del calibro dei dotti con quadri alterali all’esame scialo grafico. È presente
iposcialia (per fibrosi e atrofia del parenchima ghiandolare). La terapia è chirurgica con
asportazione della ghiandola.

Tra le scialoadeniti primitive croniche vi è il Tumore di Kuttner o scialoadeniti pseudo


neoplastica. L’eziologia è ignota. Probabilmente è una reazione allergica ad un micete.
La sede preferenziale è data dalle sottomascellari. Si caratterizza per l’aumento lento e
progressivo del volume e della consistenza della ghiandola a da iposcialia. La terapia
prevede la somministrazione di cortisone.

Infine, vi sono alcune forme di scialoadeniti croniche specifiche, quali la tubercolosi e la


sifilide con localizzazione alla ghiandola salivare. In questi casi la terapia antibiotica contro
l’agente eziologica determina una risoluzione del quadro.

Non bisogna poi dimenticare la scialolitiasi o calcolosi delle ghiandole salivari. Si


intende la formazione di concrezioni calcaree nei dotti salivari. Mostra una prevalenza per
il sesso maschile e a rischio sono i soggetti con scarsa igiene orale. Le sedi preferenziali
(per frequenza) sono:

- Sottomascellare;
- Parotide;
- Sottolinguale.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

I fattori predisponenti sono:

- stasi salivare che favorisce l’aggregazione calcarea, a causa di iposcialia, fenomeni


discinetici del dotto, posizione anatomica (in particolare dotto di Wharton);
- alterazione qualitativa della saliva;
- scialodochiti (residui legati al processo infiammatorio possono rappresentare il
primo nucleo intorno al quale viene a formarsi il calcolo).

Il calcolo è composto da:

- 80% da Sali di calcio (fosfati e carbonati);


- 20% da sostanza organiche (cellule epiteliali, muco, germi, miceti).

La sintomatologia contempla un dolore trafittivo a carico del pavimento orale o della


regione parotidea (colica salivare) durante i pasti o alla sola vista del cibo. La ghiandola si
ingrossa per ritenzione salivare acuta e la sintomatologia regredisce in qualche ora con
abbondante escrezione di saliva nel cavo orale.

Alla palpazione si apprezza il calcolo lungo il decorso del dotto (palpazione bimanuale) e
si provoca dolore. La cronicizzazione conduce a sclerosi della ghiandola con iposcialia.

La Diagnosi si effettua con:

- Esame Rx diretto;
- Esame scialografico: praticato iniettando nel dotto alcuni mezzi di contrasto
radiopachi, che visualizzano calcoli con scarsa radiopacità ed eventuali alterazioni
infiammatorie duttali.

La terapia consiste nell’asportazione del calcolo in anestesia generale.

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ODONTOSTOMATOLOGIA

TUMORI DELLE GHIANDOLE SALIVARI

Per quanto riguarda la frequenza e sede di incidenza:

- parotide 80% (benigne nel 70-80% dei casi);


- sottomandibolare 8-9% (benigne nel 60-70% dei casi);
- sottolinguale 1%;
- salivari minori 10%.

Si caratterizzano come masse palpabili non dolenti (a meno di un’infiltrazione delle


strutture nervose), con consistenza variabile (molle,elastica,dura,lignea).

Distinguiamo tumori maligni e tumori benigni.

Tumori benigni

L’Adenoma pleomorfo è il tumore più frequente delle gh salivari maggiori, con


componente epiteliale e mioepiteliale immerse in un’abbondante matrice di tessuto di
sostegno ad aspetto mucoide, mixoide o condroide.

La sintomatologia è blanda per via del lento accrescimento asintomatico. Richiama


l’attenzione del pz solo per notevoli dimensioni raggiunte che ne alterano la fisionomia o
per l’insorgenza di disturbi funzionali (disturbi della masticazione, deglutizione, sindrome
nevralgica o paresi del VII, ipoacusia per compressione del condotto uditivo).

All’EO si nota, alla palpazione, una tumefazione globosa, liscia o bernoccoluta, non
dolente, mobile. È presente una massa capsulata, contenuta nell’ambito del parenchima
della ghiandola con aspetto istologico eterogeneo.

Il trattamento prevede la chirurgia ma le recidive sono frequenti e spesso maligne.

L’Adenolinfoma (o tumore di Warthin) rappresenta il 5-15 % dei tumori della parotide.


Insorge quasi sempre nella porzione inferiore della parotide a livello dell’angolo della
mandibola. È costituito da spazi cistici o ghiandolari rivestiti da epitelio cilindrico incluso in
un abbondante tessuto linfoide, una massa solida, sferica o lobulata, rivestita da capsula.

Il trattamento prevede l’asportazione anche se non va mai incontro a trasformazione


maligna.

Gli Adenomi monomorfi sono adenomi composti da un solo tipo cellulare, come:

- adenoma ossifilo;
- adenoma a cellule chiare;
- adenoma tubulare;
- adenoma basocellulare.

Tumori maligni

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ODONTOSTOMATOLOGIA

Il Carcinoma adenocistico rappresenta il 38% dei ca maligni delle gh. Salivari ed è


legato alla proliferazione incontrollata delle cellule mioepiteliali ed epiteliali, organizzate a
formare tubuli, cordoni cellulari anastomizzati, o masse e travate di piccole cellule
compatte.

La neoformazione invade il parenchima ghiandolare circostante o la cute sovrastante.


Sono presenti metastasi precoci ai linfonodi regionali.

Il trattamento prevede la chirurgia, ma recidiva nel 60-100 % dei casi. La sopravvivenza a


5 anni è del 45 %.

Il Carcinoma mucoepidermoide è caratterizzato da cellule squamose, mucosecernenti


ed intermedie. Colpisce prevalentemente la parotide. La neoformazione è solida, cistica o
semicistica, scarsamente delimitata da una capsula incompleta.

Il Trattamento prevede la chirurgia. Non danno metastasi, ne recidive. La sopravvivenza a


5 anni è dell’85%. Per le forme più indifferenziate a 5 anni la sopravvivenza è del 20-30 %.

Il Carcinoma a cellule acinose origina dalle cellule sierose degli acini. Alcune forme,
anche ben differenziate, possono metastatizzare ai linfonodi regionali o ad altri organi. È
ben incapsulato. Il trattamento è la chirurgia. La sopravvivenza a 5 anni è del 70-85% per
la comparsa di recidive e metastasi.

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