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Soga Shōhaku 曽我蕭白

龍虎図 Ryū ko Zu no Uchi

Il drago e la tigre.

Formato e tecniche

Dittico di rotoli da appendere.


Inchiostro su carta.
133,4x53,5 cm ognuno.
Periodo Edo, fine 1770.
Museum of Fine Arts, Boston

Introduzione
La Kyoto del XVII secolo, produsse un irriverente movimento artistico, in questo secolo
Nagasawa Rosetsu (1754-1799), Itō Jakuchū (1716-1800) e Soga Shōhaku portarono
avanti un’ardita sperimentazione a partire da concetti tradizionali, sbalordendo il
pubblico con un’arte contestatrice che non aveva alcun precedente nella storia
giapponese. Quali sconosciuti fattori possono aver motivato questi personaggi di
considerevole talento, nonché sregolati (noti infatti come “I tre eccentrici”) ancora non
è ben chiaro. Questi tre artisti riuscirono inoltre a guadagnarsi il favore di un rigido e
devoto pubblico, a dispetto del loro brusco e radicale distacco dalle convenzioni.
L’improvvisa comparsa sulla scena culturale di questi artisti ribelli rappresenta per gli
storici un fatto del tutto sconcertante. Nessun particolare della loro vita privata allude
alle circostanze che determinarono il loro bizzarro comportamento e la loro dinamica
creatività. Le loro stramberie equivalevano ad una ribellione contro l’autorità. La scelta
dei soggetti e le tendenze “espressionistiche” delle loro opere sfidavano tutte le
regole estetiche sino allora consolidate.

Biografia dell’artista

Miura Sakonjirō si presume sia nato nella provincia di Ise (ora prefettura Mie) visto che
in quest’area sono presenti molte sue opere, ma recenti studi suggeriscono sia nato
nella famiglia di mercanti Miura a Kyōto nel 1730 e che morì il 30 gennaio del 1781 a
Kyōto. Da fanciullo studiò l’arte della pittura sotto la guida di Takada Keiho della
scuola Kanō (scuola basata sui soggetti e sulle tecniche di pittura cinesi) a Kyōto.
Miura sembra adottò il nome di famiglia Soga all’età di 20 anni, probabilmente per
aumentare la sua reputazione di pittore, visto che grazie ad esso poteva essere
linearmente connesso ad un importante lignaggio di pittori ad inchiostro da una parte,
e dall’altra perché sentì sempre un sentimento di affinità con la scuola Soga (attiva nel
periodo Muromachi 1333-1573). Pittore giapponese attivo nel medio periodo
Tokugawa, o periodo Edo (1600-1868), Miura cercò di far rivivere lo stile dei grandi
maestri del periodo Muromachi (1338-1573). Dipinse soggetti tratti da leggende Cinesi
e folcloristiche. La propria disillusione delle arte a lui contemporanee, lo portò ad
apprezzare sempre di più l’arte del passato, in particolare apprezzò con grande
interesse il pittore del periodo Muromachi: Soga Jasoku.
Miura non aveva alcuna autodisciplina nella sua condotta personale e indulgeva a
stravaganti comportamenti, trascurando tutte le regole sociali dell’epoca. Passò molte
tempo sulla strada; lavorando indipendentemente e spostandosi di luogo in luogo
accettando qualsiasi commissione. Secondo la leggenda, una volta Miura ebbe
l’incarico di dipingere dei paraventi per il signore di un clan. Trascorsi diversi giorni
all’interno del suo palazzo, bevendo e gozzovigliando senza fare nulla, venne
rimproverato dal signore per il suo comportamento. In risposta a tali rimproveri ,
avrebbe mescolato in un secchio inchiostro nero, oro e altri pigmenti, e utilizzando una
grande scopa, avrebbe tracciato un enorme arco sui paraventi dorati, sbattendo in
faccia al pretenzioso segretario del signore, ciò che era rimasto del colore. Dopo la sua
partenza, dice la leggenda, sui paraventi avrebbe preso forma un gigantesco
arcobaleno. Miura raffigurava sovente soggetti anomali, quali sennin (immortali),
misteriose creature impossessate da poteri soprannaturali, demoni e teschi,
rasentando il repellente e il grottesco. Un’altra figura ricorrente nel repertorio pittorico
degli artisti cinesi e giapponesi erano inoltre i sapienti, Miura trattò questo tema
sconfinando nella parodia. Le sue figure deformate inoltre, sono dipinte con una forza
e con un virtuosismo sbalorditivi. Non è quindi sorprendente che le sue opere mostrino
una impressionante originalità. Anche se sperimentò la pittura con colori, i lavori di
maggior valore di Miura sono quelli monocromatici eseguiti ad inchiostro. . Lui stesso
dipinse utilizzando grandi linee che donano all’opera una forza e un’energia unica. La
sua pennellata alle volte è ampia e semplice, alle volte abbreviata e complessa. Un
anno dopo la sua morte il suo nome apparì su Who’s Who a Kyoto e fu riconosciuto
come uno dei maggiori talenti della città. Purtroppo non ebbe successori che
portarono avanti il suo stile. La sua abilità artistica venne valutata positivamente negli
anni ’80 del XIX secolo da due statunitensi: Ernest Fenollosa e William Bigelow. Grazie
alle loro raccomandazioni il Museum of Fine Arts di Boston ha aquistato la più grande
collezione privata di opere di Shōhaku.

Sinopsi dell’opera

Normalmente il mito alchemico della lotta tra Yin 阴 e Yang 阳, tipicamente taoista,
viene rappresentato in tutte le più grandi pitture cinesi e giapponesi da una tigre e da
un drago, assolutamente dinamici nel loro scambio di energie. La tigre solitamente
trae forza dalla terra e rappresenta l’elemento femminile, mentre il drago, calato dal
cielo, emana fiamme, simbolo della sua forza e domina l’elemento dell’acqua
rappresentando l’elemento maschile. In molte pitture poi la tigre e il drago si
completano vicendevolmente attraverso i loro movimenti, lo spazio che occupano nel
dipinto e soprattutto attraverso la loro lotta che simboleggia il continuo mutamento
dell’universo e dell’esistenza di ogni essere in esso compreso. L'equilibrio tra i due
principi, è la condizione primaria per un'armoniosa interazione fra i diversi aspetti
dell'esistenza. Non si può di certo dire la stessa cosa parlando di questo dittico di
Shōhaku, che rappresenta più che altro l’opposto delle concezioni tradizionali
attribuite ai due fantastici animali. Ma partiamo con ordine da un’analisi complessiva
delle due pitture per poi entrare successivamente nei dettagli delle figure della tigre e
del drago nella loro specificità. Innanzitutto il fatto che la tigre e il drago siano inserite
in due parti di un dittico nettamente separate, cosa che nelle pitture che trattano lo
stesso tema accade di rado, è di per sé un primo particolare da analizzare. Le due
figure infatti, già al primo colpo d’occhio risultano distaccate l’una dall’altra e
sembrano costituire due realtà nettamente separate. Partendo da destra dalla pittura
del drago si può osservare un’onda “anomala” per la sua composizione: è formata
infatti da un’onda più grande che si infrange contro il drago che compare dall’oscurità,
probabilmente dal cielo o da una nuvola, e da un’onda più piccola che si infrange
contro il bordo a sinistra dell’opera. L’ondata più grande una volta colpito il drago
quasi di sprovvista, si divide in due parti: una che ritorna verso il basso, e l’altra che
sale rispetto alla posizione del drago in maniera speculare rispetto alla precedente.
Questa forte divisione dell’onda di dimensioni maggiori suggerisce la potenza in cui
quell’onda ha colpito il drago frantumandosi. L’acqua inoltre è “anomala” nel senso
che solitamente prima che arrivi una grande onda, l’acqua si ritrae, cosa che qui non
accade, lasciando perplesso l’osservatore. In questa prima pittura si possono già
notare le differenti pennellate usate da Shōhaku; pennellate di misura più fine e curata
delineano le caratteristiche del drago, mentre pennellate di misura maggiore
definiscono le onde con tratti energici, donando visivamente all’acqua una forza
esplosiva impressionante. Passiamo ora al rotolo della tigre. Anche in questa parte di
dittico sono presenti differenti pennellate che distinguono i vari elementi della
composizione; più nette e precise per delineare i canneti di bambù alle spalle della
tigre, e più sfocate per rappresentare la pelliccia della tigre e il suolo circostante. Il
contorno della tigre è tratteggiato poi, da piccole pennellate sottili e lungo questo
contorno, l’inchiostro circostante non lo sovrasta. Inoltre vengono usate pennellate
dolci e leggere nella vicinanza della figura della tigre, per accentuare, insieme al
contorno della figura, la sua posa. A giudicare dagli elementi naturalistici la tigre si
trova su un’altura o su un terreno rialzato, non essendoci un secondo piano nella
composizione, e riuscendo a vedere le rocce delle montagne adiacenti. Le rocce
coperte dalle grandi piante di bambù, con ogni probabilità si trattano dell’estensione
dello stesso terreno in primo piano. Le pennellate delle foglie di bambù seguono tutte
la stessa direzione, indice della probabile presenza del vento, che sembra anche molto
forte. La tigre oltre che impaurita, sembra soffrire gli agenti atmosferici terreni, quali il
vento e la forza di gravità che le fanno assumere una posa così particolare. Nel dittico,
lo sguardo della tigre incrocia quello del drago legando le due opere che a primo
sguardo sembrano non avere nulla a che fare l’una con l’altra. Ma entrambe le
creature, sia il drago che la tigre, sembra che soffrano il peso del loro stesso elemento
naturale; per il drago l’acqua che lo colpisce improvvisamente mentre la tigre sembra
essere quasi schiacciata e torturata dalla terra.

La Tigre

Simbologia

In Asia la tigre è associata al potere del Re, analogamente a quello che in Europa
succede per il leone. I Coreani considerano la Tigre il "Re degli Animali". La tigre, con il
suo ruggito possente ed il suo sguardo magnetico, ha da sempre affascinato
l’immaginario collettivo. In Oriente il suo elegante vello a bande gialle e nere è
considerato simbolo di forza, e in antichità era sovente usato come ornamento da
reggenti e sovrani, o indossato dai guerrieri in battaglia. Oggi è quasi scomparsa, ma
un tempo la tigre prosperava sugli altopiani del Tibet ed era temuta e rispettata dalla
popolazione, che la riteneva un animale magico e dai grandi poteri curativi. Simbolo
cinese della forza terrena. Rappresenta la propria energia acquisita e sviluppata
mediante la preparazione fisica. La tigre ha anche una valenza protettiva, e non è raro
trovare tigri in pietra o dipinte all´ingresso delle case. Si dice infatti che la tigre possa
allontanare gli spiriti malvagi. Specialmente in Giappone, la tigre è l'emblema dei
grandi guerrieri aristocratici, meglio conosciuti in occidente come Samurai, anche se il
termine corretto per indicare questa categoria è: bushi 武士. La tigre inoltre è associata
inoltre alla ferocia, alla passione, alla sensualità, alla bellezza, ed è sempre stata
guardata con timore e rispetto da ogni popolo. La Tigre di Metallo o tigre bianca, è in
qualche modo, il "Re dei Kami 神" quindi colei che dirige le "forze-spiriti della natura" e
in particolare della Montagna. E' quindi un simbolo molto potente che è stato utilizzato
da sempre in Cina molto prima del drago. La Tigre di Metallo non calcola ma agisce
senza troppo riflettere, cosa che spesso rimpiange.
Nell’opera

Nell’opera di Shōhaku tutte queste caratteristiche vengono meno, la tigre non è per
niente energica, feroce, sensuale e benché meno bella. Non presenta le caratteristiche
di forza e di dignità che caratterizzano solitamente questo fantastico animale. La tigre
qui raffigurata sembra anziana sia per via della posa esageratamente incurvata e poco
aggraziata, sia per i suoi artigli che non sono per nulla affilati e paurosi, bensì
presentano uno strato supplementare più chiaro al di sotto del normale artiglio; segno
che non vengono usati da molto tempo. Probabilmente si tratta di una tigre malata,
anziana o in fin di vita che non riesce a cacciare e nemmeno ad affilarsi le unghie.

Il Drago

Simbologia

Simbolo giapponese di saggezza, rappresenta l'energia e la forza spirituale,


l'autocontrollo e l'umiltà. Il drago è padrone di conoscenza e abilità ma non le ostenta.
Il tempo e l'esperienza gli hanno donato la pace interiore oltre che una consolidata
calma e tranquillità. Il drago è un simbolo imperiale, ma venne usato anche da Bushi
soprattutto nel periodo Sengoku; periodo di caos in cui i vari “clan” giapponesi erano
in lotta tra di loro per il controllo di territori e dell’intero Giappone. L’elemento
naturale caratterizzante il drago è sempre stata l’acqua; infatti si credeva in Cina e in
Giappone, che fosse appunto il drago a portare la pioggia.

Nell’opera

Anche il drago, come la tigre, non presenta nessuna caratteristica distintiva della sua
forza spirituale, della sua energia, della sua calma e tranquillità. Anche il drago
sembra essere anziano; lo si nota anche qui dalle unghie poco affilate, la mancanza di
fiamme o di una perla che normalmente vengono raffigurate con esso, e dal fatto che
presenta solamente un corno, mentre normalmente i draghi vengono rappresentati
con due corna all’estremità superiore della testa. Servendosi di pennellate abilmente
controllate, Shōhaku mette maliziosamente in ridicolo questi (la tigre e il drago)
riverentissimi simboli di potere e gloria, emblemi dei potenti despoti della nazione. In
questa irriverenza risiede forse la spiegazione dell’enorme successo riscosso presso il
pubblico.
Giulio Sbrizzai

Storia Dell'Arte dell’Estremo Oriente II


A.A. 2009/10
Prof. G. Peternolli

Bibliografia:

Miyeko Murase, Il Giappone, Utet, Torino, 1992


Shohaku, Kodansha, 1994, Printed in Japan
Kodansha; Encyclopedia of Japan, Printed in Japan, First Edition 1983, Kodansha Ltd.
A Dictionary of Japanese Artists, Lavrance P.Roberts, John Weatherhill Inc. of New York
and Tokyo, 1986
Japanese art of the Edo period, Christine Guth, Calmann and King Ltd, Londra, 1996

Sitografia:

http://www.britannica.com/EBchecked/topic/552533/Soga-Shohaku

http://www.answers.com/topic/soga-shohaku-2

http://www.mfa.org

http://www.kyohaku.go.jp/eng/tokubetsu/050412/tokubetsu.html

http://nuke.taoyinitalia.it/Editoriali/EditorialiAstologia/AnnodellaTigre/tabid/488/Default
.aspx

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