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FACOLTA’ DI INGEGNERIA
Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio
Ingegneria Sanitaria-Ambientale
Prof. Ing. Gaspare Viviani
I parte
marzo 2012
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Indice:
Cap.1 CARATTERISTICHE DELLE ACQUE REFLUE
1. GENERALITA' 7
1.1. Definizioni 7
1.2 Campionamento 7
2. CARATTERISTICHE FISICHE 8
2.1 Temperatura 8
2.2 Colore e odore 9
2.3 Contenuto solido 10
3. CARATTERISTICHE CHIMICHE 12
3.1 pH 12
3.2 Misure di carbonio organico 12
3.2.1 BOD (Domanda biochimica di ossigeno) 12
3.2.2 COD (Domanda chimica di ossigeno) 18
3.2.3 ThOD (Domanda teorica di ossigeno) 18
3.2.4 TOC (Carbonio organico totale) 18
3.3 Composti dell'azoto 18
3.4 Composti del fosforo 20
3.5 Grassi e oli 20
3.6 Tensioattivi 20
3.7 Composti inorganici 21
3.7.1 Cloruri 21
3.7.2 Composti dello zolfo 21
3.7.3 Metalli pesanti 22
3.8 Elementi e composti bioaccumulabili 22
4. CARATTERISTICHE MICROBIOLOGICHE 22
4.1 Microrganismi indicatori 22
4.2 Saggio di tossicità 23
1. PREMESSE 24
2. LINEA ACQUE 24
2.1 Pretrattamenti 24
2.2 Trattamenti meccanici (o primari) 25
2.3 Trattamenti biologici (o secondari) 25
2.4 Trattamenti terziari 25
2.5 Trattamenti di affinamento 25
3. LINEA FANGHI 26
3.1 Ispessimento 26
3.2 Stabilizzazione 26
3.3 Disidratazione 26
3.4 Trattamenti termici 26
3.5 Smaltimento finale 27
4. ALTERNATIVE NELLA SCELTA DEL CICLO DI 27
TRATTAMENTO
5. RENDIMENTI DEPURATIVI 27
6. SISTEMI DI FOGNATURA E SCARICATORI DI PIENA 28
6.1 Sistemi di fognatura 28
6.2 Scaricatori di piena 31
1. GRIGLIATURA 34
1.1 Generalita' 34
1.2 Classificazione e tipologie delle griglie 35
pag. 2
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1. PREMESSE 144
2. PRINCIPI GENERALI 144
2.1 Elementi di microbiologia 145
2.2 Elementi di biochimica 146
2.3 Confronto fra trattamenti aerobici e anaerobici 148
3. FORMULAZIONE MATEMATICA DEL METABOLISMO 150
BATTERICO
3.1 Crescita batterica 151
3.2 Rimozione del substrato 153
3.3 Fattori condizionanti i processi biologici 155
3.3.1 Temperatura 155
3.3.2 Elementi nutritivi 155
3.3.3 Disponibilità di ossigeno 156
4. CARATTERISTICHE IDRODINAMICHE DEI REATTORI 156
BIOLOGICI
4.1 Reattore discontinuo (batch) 157
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pag. 4
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1. GENERALITA' 270
2. RICHIAMI DI IGIENE APPLICATA 271
3. FENOMENI DI SCOMPARSA BATTERICA NELLE ACQUE 272
4. GENERALITA' SUGLI AGENTI DISINFETTANTI 274
4.1 Fattori che influenzano la disinfezione 274
4.1.1 Natura del microrganismo 274
4.1.2 Natura del disinfettante 275
4.1.3 Condizioni al contorno 275
4.2 Meccanismi e modelli di disinfezione 275
5. I TRATTAMENTI DI DISINFEZIONE 278
pag. 5
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Ingegneria sanitaria-ambientale
Bibliografia 340
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Cap.1
1. GENERALITA'
1.1 Definizioni
C=x ⋅ q
1.2 Campionamento
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∑ x i qi
x=
∑ qi
con:
x concentrazione media nell'intero periodo campionato;
xi concentrazione rilevata nell’i-esimo campione;
qi portata misurata durante l’i-esimo campionamento.
V = Σ Vi = α . Σ qi
x=
∑ x i Vi =
α ∑ x i qi
=
∑ x i qi
∑ Vi α ∑ qi ∑ qi
Va rilevato che è generalmente diversa da quella ottenuta come media
aritmetica dei valori rilevati negli n campioni prelevati, risultando a questa uguale
solo nel caso in cui la portata si mantenga costante per l’intero periodo di
campionamento.
2. CARATTERISTICHE FISICHE
2.1 Temperatura
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La misura globale dei solidi presenti nel liquame è data dal residuo totale,
per evaporazione della fase liquida a 105 °C. I solidi totali così determinati
comprendono sia il contenuto salino delle acque di approvvigionamento che i
diversi inquinanti introdotti, indipendentemente dal loro stato fisico (disciolti,
colloidali, sospesi).
I solidi presenti in un refluo possono essere distinti in:
• solidi disciolti, se di dimensioni inferiori a 0,45 μ; comprendono quindi i solidi
realmente disciolti, presenti in dispersione ionica o molecolare, e anche molti
colloidi;
• solidi sospesi, quelli trattenuti da una membrana filtrante di porosità di 0,45 μ.
Ciascuna frazione dei solidi può essere suddivisa in volatile e non volatile (o
residuo fisso), a seconda che sia rimovibile o non, a seguito di incenerimento in un
forno a muffola a 600 °C; la frazione volatile viene solitamente identificata con
quella di natura organica, dato che a temperature inferiori a 550 °C la componente
organica viene ossidata e gassificata.
Nella seguente tabella è riportata la ripartizione delle varie frazioni dei solidi
(in gr/abxgiorno), per il caso dei liquami urbani:
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Fig.1 – Classificazione fisica dei solidi, con indicazione delle dimensioni e delle
modalità di rimozione.
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3. CARATTERISTICHE CHIMICHE
3.1 pH
dSt
= − k e St
dt
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St = So e−k e t = So 10 −kt
dove:
So = concentrazione iniziale di substrato organico
St = concentrazione residua di substrato al tempo t
k = 0,4343 ke è la costante di biodegradazione modificata per tener conto del
cambiamento di base del logaritmo.
St = BODtot – BODt
d BOD t
= k e (BOD tot − BOD t )
dt
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k2 = k1 ϑ (T2 -T1)
di comune impiego nel campo dei trattamenti biologici per valutare gli effetti della
temperatura sulla velocità delle reazioni. Il valore della costante ϑ varia da
processo a processo e può essere desunto valutando sperimentalmente il valore
della costante di velocità per due temperature note.
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B 300
AE = = = 5.000 ab eq.
b 0,06
Metodo per diluizione - Il campione è diluito con acqua in modo che il BOD della
miscela così ottenuta risulti inferiore dell'ossigeno libero (O.D.) in essa
solubilizzabile all'inizio della prova mediante un'intensa aerazione. Misurata la
concentrazione di O.D. dopo aerazione(*), il campione è posto, in assenza d'aria, in
un contenitore ermeticamente chiuso ed è mantenuto a 20 °C per il tempo
stabilito. Si ripete quindi la misura dell'ossigeno disciolto ancora presente e si
calcola il consumo durante la prova. Noto il rapporto di diluizione impiegato è
possibile risalire al valore di BOD del campione originario.
Non essendo a priori noto il valore del BOD, è necessario procedere per tentativi
preparando diversi campioni a differente diluizione.
(*)
Tale concentrazione risulta molto vicina al valore di saturazione, pari a 9,2 mg/l per acqua pulita a 20 °C.
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In questo caso, pur eseguendo anche qui una misura indiretta del carbonio
organico, esso però viene rilevato in maniera chimica, mediante ossidazione. A
tale scopo è utilizzato il bicromato di potassio (K2Cr2O7), che in ambiente acido, ad
elevata temperatura ed in presenza di un catalizzatore (Ag2SO4) ossida la
sostanza organica.
La prova ha una durata complessiva di circa 5 ore, per cui è in pratica
possibile disporre della misura antro 1 giorno dal campionamento, a fronte dei 5
giorni necessari per il BOD.
Normalmente il rapporto COD/BOD5 , per i reflui urbani, è compreso tra 1,6
e 2,5.
L'azoto molecolare (N2) può essere direttamente utilizzato solo da alcuni tipi
di batteri e di alghe (oltre che dalle leguminose); più spesso è suscettibile di
un'utilizzazione indiretta, dopo essere stato ossidato ad anidride nitrica (N2O5) per
effetto delle scariche elettriche prodotte durante i temporali. Combinandosi con
l'acqua, l'anidride nitrica forma acido nitrico (HNO3) e sotto tale forma perviene
sulla superficie terrestre. Una seconda fonte di nitrati è data da alcuni processi
industriali (ad esempio produzione di fertilizzanti).
I nitrati sono utilizzati dai vegetali per produrre composti organici azotati
(proteine vegetali)(*); gli animali non sono capaci di un'utilizzazione diretta
(*)
Per tale funzione i vegetali possono anche utilizzare direttamente l'azoto ammoniacale.
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dell'azoto; per essi la fonte di azoto è costituita dalle proteine vegetali. Per i
fenomeni sopradescritti, il metabolismo animale e vegetale sottrae l'azoto
dall'ambiente, restituendolo poi per i fenomeni di morte e decomposizione
batterica cui è soggetta la materia vivente. Tali fenomeni portano alla produzione
di ammoniaca (NH3), a partire dall'azoto organico delle proteine. Agli stessi
processi di decomposizione batterica è anche soggetto l'azoto organico contenuto
nelle deiezioni animali. Nelle urine invece l'azoto è presente sotto forma di urea, la
quale subisce rapidamente processi di idrolisi, sotto l'azione di enzimi (ureasi), con
formazione finale, anche in questo caso, di ammoniaca.
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fognatura, necessario per trasformare il TKN in nitriti e quindi in nitrati; a ciò fanno
eccezione i casi di reflui di origine produttiva, che contengano già nitrati.
L'azoto totale è costituito dalla somma di tutte le forme di azoto sin qui
citate; per i reflui urbani, il carico unitario di azoto è pari a circa 12 g/abxgiorno.
I grassi e gli oli sono insolubili in acqua e tendono, per via della bassa
densità, ad accumularsi sulla superficie liquida creando problemi estetici ed
ostacolando la riossigenazione dei corpi idrici. A seguito di forte agitazione, e
soprattutto in presenza di agenti emulsionati quali ad esempio i tensioattivi, gli oli
possono formare nell'acqua sospensioni stabili, dette emulsioni.
Essi sono prodotti dall'attività domestica, dal traffico e da molte attività
industriali.
La loro lenta biodegradabilità crea problemi anche negli impianti di
depurazione.
3.6 Tensioattivi
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3.7.1 Cloruri
La presenza di composti dello zolfo nelle acque reflue, provenienti sia dalle acque
di approvvigionamento, sia da apporti industriali, può porre problemi di cattivi odori
e di corrosione dei manufatti.
Il rischio di cattivi odori è collegato alla produzione di solfuri, che si producono in
condizioni anaerobiche, ed alla possibilità che essi si liberino nell'atmosfera sotto
forma di idrogeno solforato (H2S).
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4. CARATTERISTICHE MICROBIOLOGICHE
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Il saggio di tossicità fornisce una misura diretta degli effetti sulla vita
acquatica globalmente dovuti agli inquinanti presenti in uno scarico. Esso viene
condotto osservando la mortalità, su periodi prestabiliti, di adatte specie animali
poste in una serie di acquari di laboratorio in cui lo scarico da esaminare sia
presente in diversi rapporti di diluizione con acqua pulita. Negli acquari deve
essere assicurata sufficiente concentrazione di ossigeno disciolto che non deve
comunque influenzare la mortalità degli animali.
Come indice della tossicità acuta dello scarico viene abitualmente assunto il
limite medio di tolleranza (TLm), inteso come il rapporto di diluizione tra lo scarico e
l'acqua pulita cui corrisponde una mortalità pari al 50% durante il periodo preso in
considerazione (abitualmente 24 o 48 ore).
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Cap.2
1. PREMESSE
I tipi di trattamento utilizzati variano in base alla natura dei processi che in
essi si sviluppano. In particolare, si può fare distinzione tra:
a) trattamenti "meccanici" (grigliatura, sedimentazione, flottazione, filtrazione);
b) trattamenti "chimici” e “chimico-fisici": (flocculazione, precipitazione, ossido-
riduzione, disinfezione);
c) trattamenti "biologici" (fanghi attivi, letti percolatori, lagunaggi, digestione
aerobica e anaerobica);
d) trattamenti "termici" (essiccamento, incenerimento, pastorizzazione).
2. LINEA ACQUE
2.1 Pretrattamenti
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Tali trattamenti, talvolta indicati anch'essi come "terziari", oppure "di quarto
stadio" (per meglio differenziarli da questi), non sono di norma previsti negli usuali
cicli di depurazione; essi sono in genere finalizzati al miglioramento delle
caratteristiche di qualità del refluo, già depurato con trattamenti secondari (o
anche terziari), principalmente per ridurre ulteriormente il contenuto di solidi
ancora in essi presente (e quindi degli inquinanti, organici e non, a questi
connessi).
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3. LINEA FANGHI
I fanghi prodotti nella depurazione dei liquami sono dei liquidi con tenori
relativamente elevati di solidi in sospensione (qualche decina di gr/l), spesso
caratterizzati da elevata putrescibilità. Il loro smaltimento nell'ambiente naturale
presuppone pertanto trattamenti di stabilizzazione e disidratazione.
3.1 Ispessimento
3.2 Stabilizzazione
3.3 Disidratazione
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5. RENDIMENTI DEPURATIVI
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Risulta in particolare:
Q d = r Qn
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Cap.3
TRATTAMENTI MECCANICI
1. GRIGLIATURA
1.1 Generalità
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Invece, in funzione delle modalità di pulizia della griglia, può farsi distinzione
fra g. a pulizia manuale e g. a pulizia meccanica.
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frequenza degli interventi di pulizia. Nel caso delle griglie a pulizia manuale, a
vantaggio di sicurezza è bene prevedere che tale rigurgito possa raggiungere
anche 40 cm; ciò giustifica la previsione, in fase di progetto del canale, di un
franco almeno pari a tale valore.
In parallelo alla griglia va comunque sempre previsto un canale di by-pass,
alimentabile mediante una soglia di sfioro praticata in fregio al canale in cui è
realizzata la griglia stessa (Fig.1). L'entrata in funzione del canale di by-pass può
avvenire in due differenti casi: nel primo, essa avviene in maniera automatica, a
causa dell'ostruzione della griglia, una volta che il rigurgito, determinato
dall'eccessivo intasamento della griglia, abbia raggiunto la quota della soglia
sfiorante: ciò ha il vantaggio di evitare esondazioni dell'intero canale o eccessivi
rigurgiti verso monte. Un secondo caso di utilizzazione del canale di by-pass è
quello in cui il gestore debba eseguire interventi di manutenzione sulla griglia e
quindi occorra metterla fuori esercizio; al fine di consentire tale circostanza, è
necessario prevedere delle paratoie a monte e a valle della griglia stessa.
La quota della soglia di sfioro può essere quindi stabilita a partire dal
massimo rigurgito prevedibile, in funzione delle modalità di pulizia della griglia, e
aggiungendo un franco di 10-20 cm.
Sulla soglia sfiorante viene sempre prevista una griglia grossolana,
realizzabile mediante sbarre verticali, con spaziatura di circa 10 cm; è in tal modo
possibile trattenere i solidi di maggiori dimensioni (Fig.1).
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Qmax
L= (1)
Vmax × hmax
L
Ns = Nb = Ns + 1
s
L tot = L + Nb × b
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la velocità minima Vmin nel canale in cui è posta la griglia, subito a monte di
questa, non risulti inferiore a 0,50 m/s, nel caso di fognature miste (ove sono
presenti le sabbie), e a 0,30 m/s, nel caso di fognature nere di reti a sistema
separato.
Il valore di Vmin può ricavarsi a partire dalla portata minima Qmin e
dell'altezza di moto uniforme hmin:
Qmin
Vmin =
L tot × hmin
Come detto, tale valore deve essere superiore a quello minimo voluto per la
velocità (0,3-0,5 m/s); qualora non lo fosse, occorre restringere la larghezza del
canale, ripetendo il calcolo a partire dall'espressione (1), utilizzando un valore di
Vmax superiore a quello di primo tentativo.
Qualora non si riesca a rispettare la velocità minima a monte della griglia,
occorre almeno assicurare che per le condizioni di massima portata nera venga
raggiunta, nel tratto di canale subito a monte della griglia, una velocità non
inferiore a 0,70 m/s, in modo che, almeno una volta al giorno si abbia il
trascinamento del materiale sedimentato in condizioni di magra. Tale
trascinamento può essere favorito dall'aumento della pendenza del fondo del
canale, immediatamente a monte della griglia.
4
⎛b⎞ 3 V2
ΔH = K ⎜ ⎟ senα
⎝s⎠ 2g
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carico è assai più contenuta, data la maggior frequenza degli interventi del pettine
pulitore, che, si è visto, entra in funzione già per dislivelli attraverso la griglia
dell'ordine di 10 cm.
Al fine di limitare o perfino evitare il sopraelevamento del livello idrico a
monte della griglia, dovuto alla perdita di carico causata dalla sua progressiva
occlusione, può essere previsto, sul fondo del canale e in corrispondenza della
sezione in cui è istallata la griglia, un gradino di altezza pari a tale perdita.
Peraltro, tale gradino, seppure di modesta altezza (circa 0,1 m) è spesso
necessario per un corretto montaggio del telaio della griglia (Figg.3 e 5).
La quantità del materiale trattenuto da una griglia dipende, oltre che dalla
natura del refluo, anche dalla spaziatura tra le sbarre e dalle modalità di pulizia.
Infatti, nel caso delle griglie manuali la minore frequenza degli interventi di
rimozione favorisce i fenomeni di trascinamento a valle; in pratica, ciò determina, a
parità di altre condizioni, la raccolta di una minore quantità di materiale grigliato.
Mentre per i reflui di origine industriale non è possibile fornire delle
indicazioni di carattere generale, invece per quelli urbani, di natura
prevalentemente domestica, si hanno volumi di alcuni litri per abitante all'anno,
secondo le indicazioni della Tab.1.
Sensibili scostamenti da tali valori possono determinarsi per situazioni locali
particolari: ad esempio l'esistenza di tratti scoperti nelle canalizzazioni causa
sempre un aumento di solidi grossolani per effetto dello sversamento abusivo di
materiali solidi. Inoltre, per fognature separate i valori della Tab.1 possono essere
ridotti; infatti un notevole contributo al trascinamento in fognatura dei materiali di
grosse dimensioni (rami, foglie, etc.) è dato dalle acque di pioggia. Ancora,
soprattutto nelle fognature unitarie, i quantitativi giornalmente raccolti possono
scostarsi anche di molto dalle medie annuali, con punte durante le piogge intense
e nella stagione autunnale, quando diventa sensibile la presenza delle foglie.
16 5,0 6,0
20 4,0 5,0
25 3,0 3,5
30 2,5 3,0
40 2,0 2,5
50 1,5 2,0
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1.5 Trituratori
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Sul mercato esistono numerosi tipi di griglie le cui caratteristiche, anche per
quanto riguarda gli schemi di installazione, possono essere ricavate dai cataloghi
dei costruttori. E' bene però fissare alcuni criteri di base da tenere presenti nella
scelta.
L'uso delle griglie a pulizia manuale resta limitato ai piccoli impianti (poche
migliaia di abitanti equivalenti ed anche meno), in cui sia modesta la quantità di
materiale grossolano da rimuovere e possa essere utile ridurre al minimo le
apparecchiature elettromeccaniche nell'impianto.
Tuttavia, anche in questi casi, la tendenza moderna è per il ricorso a griglie
meccanizzate, per la possibilità di ridurre gli oneri derivanti dalla presenza di
operatori, di cui in questo caso non è necessaria una presenza continua, ma
limitata a un controllo di poche ore al giorno.
La griglia a pulizia manuale è in ogni caso da evitare quando si abbia
motivo di temere una presenza particolarmente elevata di materiale grossolano,
per reflui di origine industriale, o anche di origine domestica, ma veicolati da
emissari aperti.
E' inoltre sempre opportuno ricorrere a griglie a pulizia meccanica quando
la quota di arrivo della fognatura sia notevolmente al di sotto del piano di
campagna; ciò sia per evitare un'operazione di pulizia non agevole, che
inevitabilmente sarebbe trascurata dall'operatore, sia per poter disporre la griglia
in posizione prossima alla verticale, in modo da ridurre le dimensioni ed il costo
dell'unità di grigliatura.
Nella scelta tra i vari tipi di griglia a pulizia meccanica occorre tener conto:
a) della potenzialità dell'impianto: negli impianti di piccola e media potenzialità
(cioè fino a poche decine di migliaia di abitanti equivalenti) per installazioni in
superficie risultano spesso convenienti le griglie curve (in particolare quelle ad
asse orizzontale); a parità di larghezza del canale, la superficie utile della griglia
è allora maggiore e il movimento dei dispositivi di pulizia è più semplice; nei
grossi impianti è invece sempre opportuna l'installazione di griglie piane, che
hanno un ingombro in pianta decisamente inferiore;
b) della profondità di installazione: è sempre bene che il materiale raccolto possa
essere allontanato senza che si richieda un intervento manuale per il
sollevamento fino al piano di campagna; da questo punto di vista, le griglie
curve risultano sfavorite nei confronti di alcuni tipi di griglie piane, nelle quali il
pettine può sospingere il grigliato anche di alcuni metri al di sopra del pelo
libero.
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Fig.6 - Griglia ad arco ad asse verticale con rototrituratore (a pulizia meccanica) (doc.
Passavant)
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2. STACCIATURA
2.1 Generalità
2.2 Stacci
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anglosassone, che indica il numero di maglie per pollice della tela. Ad esempio,
uno staccio da 40 mesh, presenta 40 maglie su una lunghezza di 25,4 mm.
Questa indicazione non consente però il calcolo esatto della dimensione utile della
maglia, salvo che non sia noto il diametro del filo che costituisce la tela;
nell'esempio precedente, l'apertura utile è infatti di 0,63 mm, meno il diametro del
filo. In teoria tale diametro dovrebbe essere fissato, in funzione della luce di
maglia, esistendo al riguardo delle norme di unificazione UNI che in pratica però
non sempre vengono seguite dai costruttori, che talvolta si rifanno ad analoghe
norme straniere (DIN tedesche, Standard americane, etc.).
Qualsiasi costruttore è comunque in grado di fornire per le proprie serie
commerciali le indicazioni necessarie; in Tab.1 ne è riportato un esempio.
Per il trattamento primario, le luci di maglia più frequentemente utilizzate
sono comprese tra 0,3 e 3 mm. La velocità effettiva attraverso le maglie è
dell'ordine di 0,35-0,40 m/s; la perdita di carico attorno a 20-30 cm.
Il campo di applicazione della stacciatura è limitato, dato che la sua
funzione può in genere essere svolta, peraltro con risultati migliori, da una vasca
di sedimentazione; percontro, non va trascurato il maggior ingombro di
quest'ultima unità, a parità di rendimento di rimozione dei solidi.
Tab.1 - Corrispondenza tra mesh, luce di maglia (in μm) e rapporto tra superficie dei passaggi e
superficie totale (a) per una serie commerciale di stacci (Catalogo Green Bay Foundry
and Machine Works).
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Per regolarità di esercizio, gli stacci vanno sempre fatti precedere da una
griglia media che trattenga le parti più grossolane.
2.3 Microstacci
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3. DISSABBIATURA
3.1 Generalità
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- 0,5 mm, e, nello stesso tempo, contenere entro limiti quanto più modesti possibili
l'entità delle sostanze organiche che inevitabilmente decantano assieme a questi.
In effetti il problema non è di facile soluzione, per cui è praticamente
impossibile ottenere che dalla sedimentazione sia esclusa tutta la sostanza
organica, anche perchè questa, per sua stessa natura, facilmente aderisce ai
materiali inerti.
Va ricordato che la presenza di materiale organico, in uno con quello inerte,
nei solidi rimossi nelle unità di dissabbiatura (normalmente indicate col generico
termine di sabbie) rappresenta un problema in quanto questi non vengono
sottoposti a un trattamento di stabilizzazione, come invece accade per i fanghi di
supero delle unità di sedimentazione, ma sono avviati direttamente allo
smaltimento assieme ai rifiuti solidi di origine urbana; ciò evidentemente può
comportare pericoli di setticità delle sabbie stesse, tanto nella fase di accumulo
presso l'impianto di depurazione, quanto nella fase di smaltimento. Un
accorgimento adottabile per limitare la presenza di sostanze organiche nelle
sabbie consiste nel lavaggio di queste in vasche appositamente concepite, nelle
quali la frazione organica viene rimossa e riavviata nella linea acque dell'impianto;
la tipologia di tali vasche sarà ripresa appresso.
In ogni caso, un corretto dimensionamento del dissabbiatore, secondo i
criteri che verranno appresso descritti, limita i problemi sin qui accennati.
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Appresso verrà affrontato per primo il problema del controllo del rigurgito
nel canale emissario: esso si risolve assegnando un'opportuna sezione
trasversale al dissabbiatore; è chiaro che i calcoli a ciò finalizzati sono superflui,
come detto, nel caso esista una disconnessione idraulica fra l'emissario e il
dissabbiatore (in tale caso quindi si può scegliere una sezione trasversale
qualunque per il dissabbiatore); in quest'ultimo caso si può passare direttamente
al dimensionamento del modellatore a risalto, la cui presenza è invece sempre
necessaria, al fine di garantire la costanza della velocità nel dissabbiatore, al
variare della portata di alimentazione.
A vantaggio di sicurezza, il proporzionamento della vasca e del modellatore
deve essere effettuato nell'ipotesi che la cunetta disposta sul fondo del
dissabbiatore sia completamente occupata dalle sabbie e prendendo di
conseguenza a base dei calcoli il valore massimo ammissibile della velocità della
corrente nella vasca (0,3 m/s); occorrerà poi verificare che, in condizioni di vasca
spurgata, la velocità della corrente non risulti inferiore al valore minimo
ammissibile (0,2 m/s), al fine di limitare il deposito di materiale organico
putrescibile con le sabbie.
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Vo2 Vd2
ho + = hdo + + ΔH − Δz (1)
2g 2g
Vd
=
(0,30 ) = 0,0046 m
2 2
2g 2 × 9,81
Una volta dedotta l'altezza hdo dalla (1), si può ricavare la corrispondente
larghezza Lo del dissabbiatore, nell'ipotesi che la sezione occupata dal liquame
sia rettangolare; in tale ipotesi infatti risulta:
Qo Qo
Lo = = (2)
Vd hdo 0,30 hdo
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Q1 Q1
= = L ohdo + L1(hd1 − hdo ) (3)
Vd 0,30
Ho = hod + 0, 0046 m
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Si ricorda che per una sezione di forma generica, in condizioni di stato critico
il carico totale nella sezione critica Hc e la relativa portata Qc sono legati alle
caratteristiche geometriche della sezione dalle seguenti espressioni:
1 σc
Hc = K +
2 Lc
σ
Qc = σ c g c
Lc
3
Ho = Yo
2
Q o = X o Yo gYo
e quindi:
2 2
Yo = Ho = (hdo + 0, 0046 ) m
3 3
Qo
Xo = m
2 2
(hdo + 0, 0046 ) g(hdo + 0, 0046 )
3 3
X o Yo + X1Y1
H1 = hd1 + 0, 0046 = Yo + Y1 + m
2 X1
X Y + X1Y1
Q1 = ( X o Yo + X1Y1) g o o
X1
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i −1 Σ1 X j Yj + Xi Yi
Hi = h di + 0,0046 = Σ Yj + Yi +
0 2 Xi
i -1
i −1
g(Σ X j Yj + X i Yi )
Qi = (Σ X j Yj + Xi Yi ) 1
0 Xi
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L V
≥
hd w
Fissando allora il valore della velocità V della corrente nella vasca pari a
0,30 m/s e nell'ipotesi che debbano sedimentare i solidi aventi diametro d
superiore a circa 0,2 mm e peso specifico di circa 2600 ÷ 2700 kg/m3, per i quali
si può ipotizzare una velocità di sedimentazione w pari a circa 0,02 m/s, la
precedente espressione diventa:
L
≥ 15
hd
L∗
= 1,5x15 = 22,5
hd
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da una parete comune, sul ciglio della quale viene posta la condotta di
alimentazione dell'aria, che può essere unica per le due unità (Fig.10).
V = Q × Tw
Q
S=
Ci
In effetti, anche in questo caso un notevole aiuto nella scelta delle dimensioni
della vasca può ricavarsi dalla consultazione delle tabelle messe a punto dalle
Case produttrici, a partire dal volume calcolato fissando il tempo di detenzione
(Figg. 8 e 9).
La velocità della corrente nella vasca, risultante dai criteri di
dimensionamento prima citati, è generalmente inferiore a 0,30-0,50 m/s, per cui
non c'è pericolo di trascinamento dei solidi depositati sul fondo; invece occorre
prestare attenzione al dimensionamento delle zone di imbocco e sbocco, in cui la
velocità non deve superare 0,60-0,80 m/s; è usuale disporre in tali zone dei
deflettori, al fine di limitare a formazione di zone morte che comporterebbero la
diminuzione del tempo di detenzione idraulica.
28,21 × Qa × ln(Pa )
W= [W ]
η
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Per verifica, la potenza specifica Ws, definita come rapporto W/V, deve
risultare non inferiore a 10-20 W/m3, al fine di evitare fenomeni di sedimentazione
in vasca delle sostanze organiche.
L'estrazione delle sabbie dal fondo della tramoggia, nel caso non sia
realizzabile per gravità, necessita di sistemi di sollevamento che possono essere
soggetti ad abrasione da parte dei solidi contenuti nella miscela sollevata.
Un sistema spesso adoperato è quello denominato idroeiettore (o emulsore o
air-lift). Il suo principio di funzionamento è molto semplice (Fig.11): viene infatti
pompata aria sul fondo della vasca, in prossimità dell'imbocco della condotta di
scarico; la miscela acqua-solidi-aria che così viene a formarsi ha una densità
inferiore a quella della circostante miscela acqua-solidi e pertanto tende a risalire
lungo la verticale; la frazione di miscela che si introduce all'interno della condotta
di scarico viene così avviata al bacino di raccolta delle sabbie; l'apparecchiatura
ha il grande vantaggio di non presentare organi meccanici a contatto con le
sabbie, come nel caso delle comuni pompe, per cui non presenta pericoli di
abrasione.
Si può dimostrare che la massima altezza di sollevamento raggiungibile con
tale sistema è pressoché pari all'immersione dell'imbocco della condotta di scarico
(cioè, con riferimento alla Fig.11, H≅Ho).
Nella tabella allegata alla Fig.11 sono riportati, in funzione della
sommergenza, cioè del rapporto Ho/(H+Ho) in %) e del diametro della condotta di
scarico, la portata liquida sollevata e quella dell'aria.
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Fig.11 - Schema di funzionamento, portate sollevate Q (in m3/h) e portate d'aria (in Nm3/h)
di un idroeiettore
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4. SEDIMENTAZIONE
4.1 Generalità
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che essa procede verso il basso, a causa della progressiva aggregazione con le
particelle contigue.
Nella sedimentazione di massa i solidi, in concentrazioni generalmente
elevate, mantengono la loro posizione relativa durante la caduta, grazie
all'intervento di forze interparticellari; quindi tutte le particelle sedimentano con la
stessa velocità, costante nel tempo e nello spazio, a prescindere dalla loro
dimensione.
Infine, l'ispessimento si verifica quando le particelle hanno una
concentrazione tale da costituire uno scheletro solido; in tali condizioni, la
sedimentazione avviene per espulsione dell'acqua, a seguito della compressione
dello scheletro solido.
a) granulare dissabbiatura;
b) fioccosa sedimentazione primaria;
sed. finale, a valle dei processi a biomassa adesa
(letti percolatori, RBC);
c) di massa sed. finale, a valle dei processi a biomassa
sospesa (fanghi attivi);
d) ispessimento ispessitori della linea fanghi
Va infine osservato che ai quattro tipi di sedimentazione sin qui citati può
farsi seguire pure quello noto col termine di consolidazione, che tuttavia non verrà
appresso trattata, in quanto di interesse solo nel campo della meccanica dei
terreni.
F = ( ρ s − ρ) g V
con:
ρs densità del solido
ρ densità del fluido
g accelerazione di gravità
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Nel caso in cui ρs sia maggiore di ρ, tale forza è diretta verso il basso,
avendo lo stesso verso di g, e la particella è sottoposta a un fenomeno di
sedimentazione. In caso contrario, il moto è ascendente e si ha il fenomeno della
flottazione (che verrà trattata al cap. 3.5).
In entrambi i casi però il movimento della particella è contrastato dalla forza
resistente Fr esercitata dal mezzo liquido, che aumenta con il quadrato della
velocità, secondo l'espressione di Newton:
ρ v2
Fr = CdA
2
con:
A sezione della particella lungo un piano ortogonale alla direzione di moto
v velocità di sedimentazione
Cd coefficiente di Newton (o di "drag").
2g (ρs − ρ) V
v= (1)
Cd ρ A
Ammettendo per semplicità che la particella abbia forma sferica, per cui
V/A=2/3 d (essendo d il diametro della particella), la (1) diviene:
4g (ρs − ρ) d
v= (2)
3 Cd ρ
ρvd
Re =
μ
24 3
Cd = + + 0,34 (3)
Re Re
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24 24 μ
Cd = =
Re ρvd
Sostituendo nella (2), si ricava la seguente espressione, nota come legge di
Stokes:
g(ρs − ρ)d2
v= (4)
18 μ
In quanto segue si farà riferimento solo all'ultima zona, che è l'unica in cui
sia garantito con sufficiente precisione il rispetto delle leggi che regolano il
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fenomeno di sedimentazione, che verrà appresso analizzato. E' chiaro che, in fase
di progetto delle vasche, occorre porre particolare attenzione nel prevedere tutti gli
accorgimenti perché le zone di ingresso e di uscita siano le più piccole possibili,
cioè che sia modesta l'influenza sull'idrodinamica della vasca tanto delle modalità
di alimentazione di questa, quanto di prelievo del chiarificato; l'uso di idonei
deflettori e diffusori consente di raggiungere agevolmente tale obiettivo, come si
vedrà nei successivi paragrafi dedicati alla descrizione delle tipologie adoperabili.
Con riferimento allo schema di Fig.2, sia vo la velocità di sedimentazione
che, in base alla legge di Stokes, compete alla particella che, inizialmente nel
punto "a", si muova lungo la retta "af"; evidentemente tutte le particelle dotate della
stessa velocità vo sono intercettate dalla vasca.
Nell'ipotesi che i solidi abbiano la stessa densità, segue che le particelle
con dimensioni maggiori avranno, in base alla (4), velocità di sedimentazione
maggiore di vo, per cui da una analoga composizione vettoriale si ricava che
anch'esse potranno raggiungere la zona del fango, qualunque sia la posizione
(cioè la distanza dal fondo) da esse assunte nella sezione di ingresso della vasca;
infatti l'inclinazione della loro traiettoria rispetto all'orizzontale sarà superiore a
quella della particella avente velocità di sedimentazione vo, prima presa in
considerazione.
Invece, le particelle più piccole, dotate di una velocità di sedimentazione v
minore di vo, verranno intercettate solo se si trovano, nella sezione di ingresso, al
di sotto della retta passante per il punto "f" e avente la stessa direzione della
risultante dei vettori v e V (retta a tratteggio della Fig.2).
Q = V ×H×B
indicando con A la sezione orizzontale della vasca, dalla similitudine dei triangoli
che compaiono in Fig.2 si ottiene:
V L
=
vo H
e quindi:
Q = V × H × B = vo × L × B = vo × A
Pertanto si ricava:
Q
vo = = Ci (5)
A
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entrambe uguali a quelle del caso sin qui trattato, ma avente un'altezza H' pari
alla metà di H. Queste nuove condizioni comportano un valore della velocità di
trasporto V' doppia rispetto a quella V della situazione precedente; analizzando il
moto di una particella avente la velocità di sedimentazione vo, si può osservare
che essa si sposta lungo la diagonale della sezione della vasca e quindi, anche in
questo caso, essa ricade all'interno della zona di sedimentazione; il carico
idraulico a cui è sottoposta la vasca, e quindi la velocità vo delle particelle che
sedimentano, rimangono infatti inalterati, come può dimostrarsi con la stessa
proporzione dei triangoli vista prima:
V' L
=
v o H'
Q = V ' ×H' ×B = v o × L × B = v o × A
e quindi:
Q
Ci = = vo
A
Tale calcolo può ripetersi per qualunque valore di H', a conferma quindi che
la profondità della vasca è ininfluente nel processo di sedimentazione.
Va sottolineato infine che, a parità di densità delle particelle, all'aumentare
di Ci aumenta pure vo e quindi la dimensione dei solidi che è possibile rimuovere
con la vasca; Ci assume quindi il ruolo di parametro di progetto per la vasca.
Invece, in fase di verifica, differenti situazioni possono aversi per una vasca
caratterizzata da un fissato valore di Ci, cioè avente sezione orizzontale A e
alimentata da una portata Q=AxCi. In tale caso, il comportamento della vasca può
essere valutato mediante il rendimento di sedimentazione h, definito come
rapporto tra la quantità di materiale rimosso e quello originariamente presente
nell'unità di volume della sospensione; risulta quindi:
Xo − Xf
η=
Xo
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della velocità di avanzamento V risulta che, nell'ipotesi già richiamata che nella
sezione iniziale della zona di sedimentazione la concentrazione dei solidi sia
uniforme, solo le particelle che si trovano al di sotto del punto "b" sono intercettate
dalla vasca, mentre quelle al di sopra ne fuoriescono, per cui la frazione di solidi
intercettati risulta pari a bc/ac; inoltre, per la similitudine dei triangoli che
compaiono in Fig.2, si può scrivere:
bc v ac v o
= =
L V L V
bc v v
η= = =
ac v o Ci
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Con ciascuno dei due metodi prima descritti è quindi possibile determinare
l'andamento di Z con v; da questo si può passare al calcolo del rendimento di
sedimentazione della vasca. Infatti, fissato il carico idraulico Ci della vasca, sia Z*
la frazione in peso caratterizzata da una velocità di sedimentazione v<Ci e,
viceversa, 1-Z* quella per cui risulta v≥Ci. Segue che quest'ultima verrà totalmente
intercettata, mentre per le particelle cui compete una velocità v<Ci, la frazione
rimossa è pari v/Ci, per la legge di Hazen. Il rendimento totale di sedimentazione
vale quindi:
1 Z*
η = (1 − Z*) +
C1 ∫0 vdZ
ESEMPIO N.1
Problema:
Svolgimento:
Si utilizza in questo caso il metodo della colonna di Camp; in Fig.4b sono riportati i valori di Z e v
relativi ai campioni prelevati nel corso della prova, in tempi e quote differenti. Tali coppie di valori
sono stati diagrammati e interpolati in Fig.4a, dalla quale si ricava che, per il valore di Ci prescelto,
Z* è pari a 0,58: cioè il 42 % dei solidi hanno una velocità di sedimentazione maggiore di 1 m/ora
e sicuramente sedimentano, mentre per il rimanente 58 % occorre valutare la frazione che
sedimenta. Si può allora associare a intervalli discreti ΔX un valore medio di v e quindi ricavare la
sommatoria dei prodotti vΔZ (Fig.4c). Risulta allora:
1 1
η = (1 − Z *) +
Ci
∑ v ΔZ = 0,42 + 1 0,12 = 0,54
quindi il rendimento di sedimentazione è del 54 %.
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calcolata sulla base delle caratteristiche e delle dimensioni originarie delle singole
particelle.
A parità di caratteristiche del materiale sospeso, la tendenza
all'agglomerazione risulta tanto più alta quanto maggiore è la concentrazione dei
solidi, quanto più varie sono le loro dimensioni e quanto maggiore è la profondità
della vasca, tutti fattori questi che aumentano le possibilità di collisione.
La variazione di velocità durante la discesa impedisce di studiare il
fenomeno su basi teoriche, per cui è necessario procedere per via sperimentale.
Si fa uso allora di una colonna di sedimentazione, del tipo di quelle già
descritte nel precedente prf., in cui vengono simulati i fenomeni che si verificano
all'interno di una vasca.
Le colonne hanno diametro pari a circa 20 cm e sono dotate di prese a
differenti altezze, per il prelievo di campioni; è così possibile studiare l'andamento
del fenomeno nel tempo, al variare della profondità.
La sospensione da analizzare va introdotta nella colonna, in modo da
garantire una distribuzione iniziale delle particelle il più uniforme possibile (ciò è
possibile alimentando la colonna dal basso); ad intervalli di tempo determinati si
procede al prelievo dei campioni alle varie altezze e alla determinazione del
rendimento di sedimentazione ottenuto per i diversi campioni.
Ad un generico tempo t, tale rendimento diminuisce procedendo dalla
superficie verso il fondo; infatti gli strati superiori si chiarificano più rapidamente,
dato che essi sono attraversati da una minore quantità di sedimenti.
Riportando in un diagramma cartesiano, in ascissa, il tempo e, in ordinata,
l'altezza della colonna, è possibile associare ad ogni punto di tale diagramma,
caratteristico di un campione prelevato al tempo t e alla quota h, il rendimento di
sedimentazione in esso determinato; per interpolazione dei valori così determinati,
è in definitiva possibile tracciare le curve a rendimento costante (Fig.5).
Il rendimento globale di sedimentazione di un sedimentatore di altezza h ,
avente tempo di permanenza t , può essere calcolato come media ponderata tra i
rendimenti ottenuti alle diverse profondità, mediante l'espressione:
Δhi ηi + ηi +1
η=∑ ×
h 2
dove h è l'altezza della colonna (il cui valore va riportato a partire dal punto più
alto dell'asse delle ordinate di Fig.5) e Δhi ed ηi hanno il significato di cui alla
Fig.5.
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ESEMPIO N.2
Problema:
In Fig.5 sono riportati i risultati di una prova di sedimentazione, eseguita su una colonna. Si vuole
conoscere il rendimento globale di sedimentazione, in condizioni statiche, corrispondente al tempo
t ed alla profondità h .
Svolgimento:
Facendo la media ponderata dei rendimenti ottenuti ai diversi livelli, il rendimento globale di
sedimentazione risulta:
Sono così identificabili due interfacce, una tra le zone A e B ("AB") e l'altra
tra le zone B e C ("BC"). Seguendo il procedere del fenomeno nel tempo (Fig.6), si
osserva che l'interfaccia AB si abbassa con una velocità costante e così pure
costante è la velocità di risalita dell'interfaccia BC.
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x H
x2 = o o
H1
v = v o × x−α
v = v o × e −αx
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b) l'estrazione del fango dal fondo, che produce in tutta la vasca un moto verso il
basso del liquame e quindi dei solidi in esso sospesi; la velocità di tale moto
(costante lungo la verticale, essendo la vasca di forma cilindrica), è:
QF
u=
A
QF
(FS)2 = uxi = xi
A
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(FS)L = u xF
(Q + QF )x 0 = QF x F
da cui:
Qx0
QF =
xF − x0
(Q + QF ) xo
A=
(FS)L
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caso dei liquami di origine domestica, qualora tale curva non sia disponibile, può
farsi ricorso a criteri di calcolo di natura empirica, basati sulla vasta esperienza
ormai accumulata in tale campo; di essi si dirà meglio al successivo prf.5.
Un'ulteriore applicazione della teoria del flusso solido si può avere in fase di
esercizio, al fine di verificare le conseguenze di variazioni dei parametri operativi.
Infatti, si è già osservato che, se una vasca dimensionata per un flusso solido
limite pari a (FS)L viene alimentata con un flusso (FS)*>(FS)L, si determinerà la
risalita del fango nella zona del chiarificato e, prima o dopo, la fuoriuscita del fango
stesso; per evitare ciò, occorre modificare i parametri operativi della vasca, in
modo da far sì che (FS)* rappresenti il nuovo flusso solido limite della vasca
stessa.
Per far ciò (Fig.13), è sufficiente condurre dal valore (FS)* la tangente alla
(FS)1; l'intercetta con l'asse delle ascisse costituisce il nuovo valore xF* della
concentrazione del fango estratto, la cui portata è calcolabile con le espressioni
riportate in precedenza. E' facile rendersi conto che l'aumento di flusso solido
limite, così operato, comporta l'estrazione di una maggiore portata di fango, ma
avente una minore concentrazione (cioè il fango è più diluito).
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ESEMPIO N.3
Problema:
La fase biologica di un impianto a fanghi attivi è alimentata con una portata Q=125 l/s; nella vasca
di aerazione deve essere mantenuta una concentrazione di solidi xo=3,4 kg/m3. Si richiede il
dimensionamento della vasca di sedimentazione finale per un valore di xF=12 kg/m3.
Svolgimento:
Mediante una serie di prove di sedimentazione, condotte per diverse concentrazioni iniziali di
fango, si ottengono i valori di velocità di sedimentazione di massa (corrispondenti al tratto rettilineo
della curva) riportati nel grafico di Figura 14 (a).
Da tale grafico, si ottengono per interpolazione le velocità corrispondenti ad alcuni valori intermedi
di concentrazione, che sono tutti riportati nella tabella allegata alla citata figura, in cui sono
riassunti i valori di x, i corrispondenti valori di v e di (FS)1.
Può essere così costruito il grafico di Figura 14 (b), in cui è riportato l'andamento di (FS)1 con la
concentrazione. Dal valore xF=12 kg/m3 si traccia la tangente alla curva, che intercetta l'asse delle
ordinate in corrispondenza del valore (FS)L=3,6 kg/m2xora. Dall'inclinazione di tale retta si ricava il
valore u = 0,3 m/ora.
Sempre in Figura 14 (b) sono riportate la retta del flusso (FS)2 e, a tratteggio, la curva del flusso
solido totale (FS).
E' ora necessario calcolare la quantità di solidi alimentata nell'unità di tempo, data dal prodotto
della concentrazione xo per la portata di alimentazione della vasca. Quest'ultima è pari alla somma
della portata alimentata alla fase biologica Q e di quella di ricircolo QF. Dal bilancio di massa dei
solidi entranti e uscenti nel sedimentatore si ricava:
xo 3, 4
QF = Q = 125 = 49 l / s
xF − xo 12 − 3, 4
Q 125 × 3600
Ci = = = 0,76 m / ora
A 1000 × 592
Essa è compatibile con la esigenza di evitare il trascinamento di fiocchi isolati, dato che rispetta i
valori riportati al successivo paragrafo.
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calcolo; tale valore può aumentare fino a 4-4,5 m/ora, in corrispondenza della
portata in tempo di pioggia.
Con i criteri di dimensionamento, esposti è possibile ottenere un rendimento
di rimozione dei solidi sospesi compreso tra il 55 ed il 70%; quello del BOD risulta
inferiore e generalmente prossimo al 25-30% (ciò è dovuto alla differente
ripartizione della frazione organica fra i solidi disciolti e sospesi).
In Tab.1 sono riassunti i criteri di dimensionamento che si suggerisce di
adottare nel caso della sedimentazione primaria.
ESEMPIO N.4
Problema:
Dimensionare una vasca di sedimentazione primaria che debba trattare 8400 m3/giorno di
liquame, con una portata di calcolo Qc = 525 m3/ora. Essendo la fognatura a sistema unitario, in
tempo di pioggia viene alimentata una portata Qp pari a 5 volte la media di tempo secco. Il
sedimentatore precede una vasca a fanghi attivi.
Soluzione:
Il volume di sedimentazione, valutato per un tempo di permanenza di 1,50 ore su Qp, risulta:
V = t Qc = 1,5 x 525 = 787,5 m3
Per un carico idraulico (sempre su Qc) Ci = 1,8 m/ora, si ricava la seguente superficie:
Q 525
S= c = = 292 m 2
Ci 1,8
Si realizza quindi una vasca circolare di 22 m di diametro (S = 380 m2) e un'altezza media di
acqua di 2,30 m, con un lieve aumento del carico idraulico rispetto alle condizioni calcolate, per
poter utilizzare le serie commerciali dei ponti raschiatori.
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ESEMPIO N.5
Problema:
Si vuole dimensionare una vasca di sedimentazione finale di un impianto a fanghi attivi a medio
carico, per una portata di calcolo di 200 m3/ora. La concentrazione di solidi sospesi nella miscela
aerata è di 4 g/l; il rapporto di ricircolo è di 0,75; la fognatura è a sistema separato.
Soluzione:
La portata effettiva alimentata nella vasca di sedimentazione è 200 + (0,75) 200 = 350 m3/ora, con
una concentrazione di solidi di 4 Kg/m3. In totale alla vasca sono alimentati 4 x 350 = 1400 Kg/ora.
Assunto un flusso solido limite di 6 Kg/m2xora, ne deriva una superficie di 1.400/6 = 233 m2.
Per contro, imponendo un carico idraulico di 0,8 m/ora, la superficie necessaria è 200/0,8 = 250
m2.
Viene quindi assunto quest'ultimo valore, superiore a quello richiesto in base al flusso solido limite.
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8 ⎡ m3 ⎤
q=n μh 2 2gh ⎢ ⎥
15 ⎣s × m⎦
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Per facilitare l'allontanamento del fango, il fondo della vasca viene costruito
con pendenza maggiori di quelle delle vasche a flusso longitudinale. Pendenze
troppo elevate sono però da evitare, in quanto deve essere assicurata
l'ispezionabilità del fondo del sedimentatore, per procedere alle operazioni di
pulizia e di manutenzione a vasca vuota. Di solito si adottano pendenze non
superiori al 10 %.
La raccolta del fango viene effettuata mediante dei raschiatori a ponte,
munite di lame che strisciano sul fondo, muovendosi in moto rotatorio. Per non
agitare i solidi sedimentati e non disturbare il fenomeno di sedimentazione, si
adottano velocità di rotazione piuttosto basse, in genere non superiori, in periferia,
a 10 mm/s.
Negli esempi riportati nelle Figg. 25 e 26a si fa ricorso a ponti raschiatori
con lama a spirale; nell'esempio in Fig.26b è invece previsto un raschiatore munito
di una serie di lame ad asse rettilineo, inclinate rispetto al supporto rotante
disposto radialmente. Il fango è così avviato in una tramoggia centrale, da cui è
estratto con modalità che non differiscono da quelle descritte per i sedimentatori a
flusso longitudinale; in genere, è necessaria una prevalenza maggiore, dato che è
più lungo il percorso della tubazione disposta sotto il fondo della vasca stessa.
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In ogni caso, va prevista una passerella per l'ispezione della vasca, che può
essere fissa o girevole; in quest'ultimo caso, essa è imperniata al centro e ruota
mediante un carrello poggiato sulla parete periferica e, in maniera solidale col
raschiatore.
L'alimentazione della vasca avviene, come già accennato, al centro della
vasca, mediante una condotta posata sotto il fondo; onde evitare sedimenti in
condotta, è opportuno che in essa, per la portata di calcolo, la velocità non scenda
sotto i 0,40-0,50 m/s; velocità minori possono essere ammesse nei periodi di
bassa portata, in quanto i sedimenti che allora si determinano sono trascinati via
nelle ore di punta. Spesso nel tratto finale verticale della tubazione si adotta una
sezione via via crescente, allo scopo di ridurre l'energia cinetica.
Per ottenere una buona ripartizione della portata in ogni direzione si ricorre
generalmente ad un deflettore cilindrico, concentrico con la tubazione di
adduzione (Fig.25); tale deflettore ha un diametro che oscilla tra il 10 ed il 20% di
quello complessivo della vasca.
Anche in questo caso possono essere adottati diversi accorgimenti per
migliorare la distribuzione della portata entrante in vasca, al fine di rendere
uniforme la velocità in ogni direzione radiale; spesso usato è il sistema con
diffusori tipo Stengel, già descritti per le vasche a flusso longitudinale (Fig.21).
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vy = v cosθ
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Fig.1 - Andamento del coeff. di Newton Cd con Re per differenti forme delle particelle
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Fig.12 - Andamento dei flussi solidi (FS)1, (FS)2 ed FS in funzione della concentrazione xi
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Fig.21 - Diffusori tipo Stengel per l'alimentazione di una vasca di sedimentazione: (a) sed.
longitudinale; (b) sed. radiale (doc. Passavant)
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Fig.23 - Esempio di installazione di una soglia sfiorante con stramazzo tipo Thomson e
lama paraschiuma
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Fig.25 - Sedimentatore a flusso radiale con raschiatore con lama a spirale (doc. Siderpol)
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(a)
(b)
Fig.26 – Viste di sedimentatori a flusso radiale con raschiatore a spirale (a) e a lame multiple (b)
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5. FLOTTAZIONE
5.1 Generalità
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In ogni caso, va ricordato che la presenza di grassi e oli, oltre che costituire
una forma di inquinamento talvolta grave (si pensi ad esempio al caso degli
scarichi a mare con i problemi estetici connessi alla presenza di materiale
galleggiante), possono comportare anche problemi nello stesso processo
depurativo. Aderendo alle pellicole biologiche dei percolatori ed ai fiocchi di fango
attivo, essi ostacolano il trasferimento di ossigeno e provocano un alleggerimento
dei fiocchi, peggiorando le caratteristiche di sedimentabilità del fango; nella linea
fanghi, la loro immissione in quantità rilevanti nei digestori anaerobici ne rallentano
il processo biologico, a causa della loro scarsa biodegradabilità, e vi favoriscono la
formazione della crosta superficiale. Da questo punto di vista sono pericolosi non
tanto gli oli ed i grassi di provenienza domestica, quanto gli oli minerali (lubrificanti,
combustibili, diluenti, etc.) lentamente biodegradabili, che vengono scaricati anche
abusivamente da industrie, autorimesse, stazioni di servizio.
Va infine ricordato che un refluo può contenere, oltre che grassi (allo stato
solido) e oli (allo stato liquido), entrambi in forma dispersa, anche oli in forma di
emulsioni; queste hanno le caratteristiche di sospensioni colloidali,
particolarmente stabili e separabili solo dopo trattamento fisico-chimico
(coagulazione e flocculazione). In questi casi, in assenza di tali trattamenti, i
rendimenti di disoleatura possono risultare bassi, pur adottando tutti i sistemi di
flottazione prima citati.
1 g
v= (ρs − ρ)d2 (1)
18 μ
con:
g accelerazione di gravità
μ viscosità del fluido
ρs densità del solido
ρ densità del fluido
d diametro della particella
Come è noto, a seconda che la densità del fluido sia minore o maggiore di
quella della particella che in esso si trova, la velocità assume lo stesso segno di g
ed è quindi diretta verso il basso (fenomeno di sedimentazione), oppure è di
segno opposto, risultando diretta verso l'alto (fenomeno di flottazione).
Sulla base della velocità ascensionale data dalla (1), la superficie
orizzontale di una vasca di flottazione con alimentazione continua è quindi
calcolabile con la seguente espressione, analoga a quella già vista per i
sedimentatori:
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Q
A=c (2)
v
( ρ s − ρ)
v = 0, 443 (3)
μ
con:
v velocità di flottazione, in m/ora
ρs densità relativa della particella
ρ densità relativa dell'acqua
μ viscosità dell'acqua, in poise.
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Nel caso in cui non sia possibile soddisfare tutte le prescrizioni prima citata
con un'unica vasca, si può suddividere la portata da trattare su più unità
funzionanti in parallelo; peraltro, tale soluzione comporta evidenti vantaggi anche
dal punto di vista dell'elasticità dell'esercizio.
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V/v c
20 1,45
15 1,37
10 1,27
6 1,14
3 1,07
ESEMPIO N.1
Problema:
Si voglia trattare una portata di 240 m3/ora di una sospensione oleosa avente una temperatura di
40 °C; la densità relativa della sostanza oleosa sia di 0,935.
Svolgimento:
Per i valori di temperatura assegnati, la densità dell'acqua vale 0,995 e la viscosità 0,0065 poise.
La velocità minima ascensionale risulta quindi, per la (3), di 4,43 m/ora. Per la velocità di trasporto
V, la condizione più restrittiva deriva dalla limitazione a non superare 54 m/ora (infatti il valore di 15
v è pari a oltre 66 m/ora). Pertanto, la superficie trasversale della vasca risulta pari a:
Q 240
S= = = 4,4 m 2
V 54
tale valore si arrotonda per eccesso a 5 m2. Viene quindi stabilita una profondità H di 1,25 m e una
larghezza B di 4 m; in tal modo infatti risulta H/B>0,3.
L'effettivo valore di V risulta quindi pari a V=Q/S = 240/5=48 m/ora. Essendo V/v = 48/4,43 = 10,8,
dalla Tab.1 si ricava c=1,29; pertanto, la sezione orizzontale della vasca risulta pari a:
Q 240
A = c = 1,29 = 69,92 m 2
v 4,43
ESEMPIO N.2
Problema:
Nella stessa ipotesi dell'esempio precedente, si debba dimensionare un impianto per trattare 1200
m3/ora.
Svolgimento:
Restano inalterati sia il valore di v (4,43 m/ora), sia quello di V (54 m/ora). Pertanto, la superficie
trasversale della vasca risulta:
1200
S1 = = 22,22 m 2
54
Si suppone che il tipo di raschiatori prescelto imponga di non superare per la larghezza della vasca
il valore di 6 m. Per far sì che il rapporto H/B sia compreso tra 0,3 e 0,5, occorre che H vari tra 1,8
e 3,0 m. Adottando il valore più elevato, la sezione trasversale risulta:
S2 = 6 × 3,0 = 18 m 2
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tale valore risulta inferiore a quello necessario, prima determinato. Occorre quindi suddividere la
portata su due unità da 600 m3/ora ciascuna; per ciascuna di esse, la sezione trasversale non
dovrà essere inferiore a:
600
S* = = 11,11 m 2
54
tale sezione può essere realizzata adottando una larghezza B di 5 m e una profondità H* pari a:
S * 11,11
H* = = = 2, 22 m
B* 5
In tal caso, il rapporto H*/B*=2,22/5=0,44 soddisfa la condizione di essere compreso tra 0,3 e 0,5).
La superficie di ciascuna vasca vale:
Q 600
A* = c = 1,32 = 180 m 2
v 4,43
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Nel campo del trattamento delle acque di rifiuto, le più frequenti applicazioni
di questo processo si hanno nelle cartiere, per il recupero delle fibre, e in
raffineria, generalmente a valle di una fase di flottazione naturale, per migliorare il
rendimento di rimozione degli oli o per consentire, previa flocculazione,
l'eliminazione degli oli emulsionati.
Nel trattamento dei liquami urbani, di origine domestica, la flottazione a
pressione differenziata può essere utilizzata per l'ispessimento dei fanghi; in
questo caso essa offre il vantaggio di consentire la rimozione anche delle
particelle di piccole dimensioni, difficilmente separabili coi trattamenti meccanici
tradizionali.
Ulteriore applicazione si può avere nella rimozione degli oli e dei grassi di
reflui scaricati a mare, dopo un trattamento parziale, al fine di ridurre il pericolo di
impatto estetico, connesso alla presenza di sostanze galleggianti sulla superficie
marina.
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Ga = 1,3 Sa [g/m3]
E' questo un valore teorico; nella pratica molto spesso non si raggiunge il
limite di solubilità e ci si accontenta di tenori di saturazione f nettamente inferiori e
generalmente compresi tra 0,60 e 0,85. In altre parole, la quantità d'aria G che
negli impianti reali viene solubilizzata alla pressione p risulta variabile fra il 60 e
l'85% di quella teorica. Pertanto risulta:
G = f G* = 1,3 f Sa p
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Per ovviare agli inconvenienti prima accennati, è possibile fare ricorso agli
impianti con ricircolo dell'effluente.
Lo schema di un impianto con ricircolo è rappresentato in Fig.9, dove è
prevista una fase preliminare di flocculazione dello scarico. Come si nota, lo
scarico non è direttamente sottoposto a pressurizzazione; tale operazione è
invece effettuata su una frazione dell'effluente trattato, al fine di evitare gli
inconvenienti ricordati.
Così facendo, naturalmente, la portata introdotta nel flottatore cresce della
frazione ricircolata e ciò fa aumentare le dimensioni della vasca.
Il funzionamento del processo è differente, rispetto al caso esaminato in
precedenza. La quantità d'aria necessaria viene ancora stabilita sulla base di S e
del rapporto A/S; tuttavia, essa deve essere resa disponibile, mediante il
passaggio, dalla pressione p a quella atmosferica, non più di tutta la portata da
trattare, ma della sola portata di ricircolo.
Indicando quindi con r il rapporto tra la portata di ricircolo qr e quella dello
scarico da trattare q, con il medesimo significato dei simboli in precedenza
impiegati, si potrà scrivere che la quantità d'aria liberata facendo passare da p a
patm la portata qr (anzichè la q) sarà:
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ESEMPIO N.3
Problema:
Si deve trattare una portata di 100 m3/ora di uno scarico con un contenuto di solidi S = 800 mg/l; in
base a dati sperimentali, il rapporto ottimale tra A ed S sia 0,01; la temperatura dello scarico sia di
20 °C. Si richiede la pressione di pressurizzazione, per un impianto di flottazione a insufflazione
d'aria senza ricircolo, nell'ipotesi che il tenore di saturazione f valga 0,6.
Svolgimento:
Alla temperatura T = 20 °C si ha Sa =18,7 l/m3. In base ai valori noti di S e di A/S si ottiene che il
quantitativo d'aria (in peso) necessario è:
ESEMPIO N.4
Problema:
Con gli stessi dati dell'esempio n.3, relativo al caso di impianto senza ricircolo, si dimensioni un
impianto di flottazione con ricircolo, fissando la pressione di esercizio pari a 4 atm.
Soluzione:
da cui r = 0,24 (cioè qr = 0,24 q). Generalmente i valori di r sono mantenuti tra 0,2 a 0,5 e i valori di
p tra 3 e 5 atm.
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Cap.6
TRATTAMENTI BIOLOGICI
1. PREMESSE
2. PRINCIPI GENERALI
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E' noto che i principali elementi nutritivi degli organismi viventi sono costituiti
da carboidrati (zuccheri), proteine e grassi.
I vegetali, organismi autotrofi fotosintetici, sono gli unici in natura capaci di
formare carboidrati, a partire da acqua e CO2, utilizzando l'energia solare
(processo di fotosintesi). Ugualmente, riescono a trarre tutte le sostanze organiche
necessarie al loro metabolismo da sostanze inorganiche semplici. Per tale motivo,
i vegetali sono detti produttori di sostanza organica.
Invece gli organismi eterotrofi, pur potendo sintetizzare carboidrati proteine
e grassi a partire da molecole organiche più semplici, tuttavia non possono
produrre queste ultime dai minerali, così come visto per i vegetali. Essi quindi
utilizzano la sostanza organica già esistente, che viene trasformata parte in nuova
materia cellulare (sintesi), parte in energia e molecole semplici inorganiche
(respirazione); queste ultime vengono così messe a disposizione dei vegetali. Ciò
giustifica che gli organismi eterotrofi vengono detti demolitori.
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Ingegneria sanitaria-ambientale
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dX dX dX
= ( )crescita - ( )scomparsa = μX - k d X = ( μ − k d )X (1)
dt dt dt
con:
X massa batterica presente al tempo t;
μ velocità di crescita batterica [T-1];
kd velocità di scomparsa batterica[T-1].
S
μ = μˆ (2)
ks + S
con:
μ̂ velocità di crescita massima, che si ha per concentrazioni di substrato
sufficientemente alte per non costituire fattore limitante per la crescita
batterica;
S concentrazione del substrato;
ks costante di semisaturazione.
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dx S
= (μˆ − kd) x (3)
dt ks + S
Come più volte detto, l'espressione prima ricavata deriva dall'ipotesi che ci
sia un unico fattore limitante la crescita batterica, che in generale è costituito dalla
concentrazione del substrato organico; è tuttavia possibile che si verifichi una
limitazione della crescita dovuta anche ad altri fattori (nutrienti, come fosforo
azoto, disponibilità di ossigeno, etc.).
E' pertanto possibile tenere conto della compresenza di più fattori limitanti,
modificando la (2) nel seguente modo:
S1 S2 Sn
μ = μˆ × × ... × (2' )
k s1 + S1 k s2 + S 2 k sn + Sn
con:
μ̂ velocità di crescita massima;
S1, S2, Sn concentrazioni dei substrati;
ks1, ks1, ksn costanti di semisaturazione.
Limitandoci per semplicità all'analisi della (2), si può osservare che tale
espressione riproduce bene tutte le fasi della crescita batterica, prima descritte in
maniera qualitativa. Fa eccezione la fase iniziale di acclimatazione, sulla cui
durata nulla si può dire, in quanto strettamente dipendente dalla differenza tra le
condizioni di vita dei batteri nella fase antecedente al loro prelievo e in quella che
essi trovano durante la prova in laboratorio.
Con riferimento ancora alla Fig.3 ed escludendo la fase iniziale di
acclimatazione, si osserva quanto segue:
a) fase di crescita illimitata: in questa fase, i batteri cominciano a svilupparsi
rapidamente secondo la (3); la concentrazione S del substrato è elevata
(S>>ks) per cui dalla (2) si ricava che μ può essere assunto pari a μ̂ ; dato che
kd è sempre molto minore di μ̂ , risulta:
dx
≅ μˆ x (4)
dt
⎛ x ⎞
ln⎜⎜ ⎟⎟ = μˆ t (4' )
⎝ xo ⎠
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ln 2
μˆ = (4' ' )
tg
dS 1 ⎛ dx ⎞ μ
= ⎜ ⎟ = x=vx (5' )
dt Y ⎝ dt ⎠ crescita Y
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avendo indicato con v il rapporto μ/Y, definito come velocità di rimozione del
substrato.
dS μˆ S S
= x = v̂ x (5' ' )
dt Y ks + S ks + S
dS
= v̂ x = k1 (6)
dt
dS S
= v̂ x = k2 S (7)
dt ks
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3.3.1 Temperatura
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dei principali elementi che la compongono), si ricava che l'azoto costituisce 12,4%
del peso complessivo della cellula; tale percentuale per il fosforo si riduce a circa il
2%.
Si dimostra che è necessaria una proporzione fra i tre nutrienti così
espressa:
BOD : N : P = 100 : 5 : 1
Il contenuto dei tre nutrienti principali nelle acque reflue di origine domestica
è invece ricavabile dagli apporti pro-capite tipici di tale caso (60 grBOD/abxg, 12
gN/abxg, 2 gP/abxg); si ricava quindi la seguente proporzione dei tre composti
nelle acque reflue:
BOD : N : P = 100 : 20 : 8
Ciò evidenzia che, nel caso dei reflui di origine domestica, non si ha una
carenza dei due nutrienti (azoto e fosforo), che risultano presenti in quantità
superiori a quelle necessarie per la sintesi dell'intero substrato carbonioso.
Analoga osservazione può farsi per i rimanenti nutrienti (sodio, potassio,
calcio, ferro, etc), che, seppure presenti in modeste quantità nei reflui urbani,
risultano pursempre sufficienti per i fabbisogni del metabolismo batterico.
Altrettanto non può dirsi spesso per il trattamento dei reflui provenienti da
talune attività produttive, nei quali la carenza di uno o più nutrienti può determinare
il blocco dello sviluppo batterico.
Nel caso dei processi aerobici, l'ossigeno disciolto deve essere presente in
concentrazione sufficiente per consentire un normale metabolismo aerobico (1,5-2
mg/l). Essendo tuttavia la popolazione batterica prevalentemente di tipo facoltativo
(cioè essa si adatta a condizioni aerobiche o anaerobiche), l'ossigeno disciolto non
viene ad assumere un ruolo strettamente limitante l'attività batterica, salvo che nei
processi di nitrificazione, a cui presiede una biomassa strettamente aerobica, per
la quale cioè la disponibilità di ossigeno disciolto è condizione necessaria per il
metabolismo.
Al contrario, la presenza di ossigeno disciolto impedisce lo sviluppo delle
specie batteriche strettamente anaerobiche; ne sono un esempio i batteri
metanigeni.
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dC
qC o = qC + V (9)
dt
con:
q portata entrante e uscente dal reattore;
V volume del reattore;
C concentrazione nella vasca, pari a quella nella portata uscente.
C = Co (1 − e
( )
− t - t o / (V q)
) (9' ' )
dC
0 = qC + V (9''')
dt
la cui soluzione è:
C = C1(e
( )
− t − t o − t /(V/q)
) (9iv )
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stesso; invece, nel caso del gradino, tale tipo di reattore si limita a ridurre l'entità
del segnale solo nella fase iniziale di alimentazione del reattore, finendo per
dare una risposta sempre più vicina al segnale stesso.
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qx = qx + V( μ − k )x (10)
e o d e
con:
q portata di alimentazione del reattore;
V volume del reattore;
(μ - kd) xe crescita batterica netta, ricavata dalla (1);
xo, xe concentrazioni di biomassa entrante e uscente dal reattore
(quest'ultima uguale a quella nel reattore, per l'ipotesi di
miscelazione completa).
Trascurando il prodotto qxo rispetto agli altri termini (risulta infatti xo<<xe) e
ricordando che V/q è uguale al tempo di permanenza idraulico t, si ricava:
t( μ − k ) = 1 (10')
d
k s (1 + k d t)
Se = (11)
t (Yv̂ - k d ) − 1
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nell'unità di tempo, il substrato entrante nella vasca è pari a quello uscente più
quello rimosso:
dS
q So = q Se + V (12)
dt
(So − Se ) Y
xe = (12')
μt
Introducendo nella (12') il valore di μ che si ricava dalla (10'), si può scrivere:
(So − Se ) Y
xe = (13)
1 + kd t
So − Se
η=
So
esso è quindi indice del comportamento del processo; per confronto con la (11), si
ricava che, per fissato tipo del refluo (note cioè le costanti cinetiche e la
concentrazione So), η risulta funzione solo dal tempo di residenza idraulico t, che
è già stato così definito:
V
t=
q
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Vxe
ϑ= =t (14)
qxe
la (14) indica quindi che in questo caso i tempi di residenza, idraulico e cellulare,
coincidono.
Nel caso in cui la rimozione del substrato segue una cinetica del primo
ordine, si può applicare la (7), anzichè l'espressione più generale di Michaelis-
Menten (5''); introducendo tale espressione nella (12), che esprime il bilancio di
massa per il substrato, si ricava:
q So = q Se + V k Se
da cui:
So
Se = (15)
1+ K t
L'uso della (15) è nettamente più semplice di quello della (11), in quanto
essa richiede la determinazione sperimentale della sola costante K, anzichè delle
quattro costanti cinetiche.
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Vx Vx
ϑ= ≅ (16)
qs xr + (q − qs ) xe qs xr
Dalla (16) si ricava quindi che, nei sistemi con ricircolo, i tempi di residenza
cellulare e idraulica non coincidono, come invece accadeva nel caso dei sistemi
senza ricircolo.
q xo + V( μ − k d )x = (q − qs )xe + qs xr (10')
ϑ (μ − k d ) = 1 (11')
e quindi:
k s (1 + k d ϑ)
Se = (11' ' )
ϑ (Yv̂ − k d ) − 1
tale espressione è analoga alla (11), in cui però al posto del tempo di residenza
idraulico compare quello cellulare; in questo caso quindi le caratteristiche della
portata scaricata dipendono, oltre che dalle costanti cinetiche, anche dal tempo di
residenza cellulare; esse non dipendono invece dal tempo di residenza idraulico t.
Il vantaggio di ciò è notevole; infatti, per confronto tra la (14) e la (16), si
nota che, nel caso dei sistemi con ricircolo cellulare, ϑ può essere regolato solo
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Ingegneria sanitaria-ambientale
agendo sul volume del reattore, mentre nel caso in cui si faccia il ricircolo, ϑ può
essere variato pure (e si vedrà più convenientemente) agendo sulla portata e sulla
concentrazione del fango di supero.
1 ks 1 1
= + (21)
v v̂ S e v̂
Così linearizzata, la (21) rappresenta una retta nel piano 1/v, 1/Se, di cui
1/ v̂ è l'intercetta sull'asse delle ordinate e ks/ v̂ il coefficiente angolare.
Inoltre, per la (5') risulta:
1 dS
v=
x dt
ed essendo:
dS
V = q (So − Se )
dt
risulta quindi:
q (So − Se )
v= (21')
Vx
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1
= Yv − k d (11'')
ϑ
tale espressione rappresenta nel piano 1/ϑ, v una retta di coefficiente angolare Y e
intercetta con l'asse delle ordinate -kd. Per il calcolo sperimentale di ϑ, in base alla
(16), deve essere nota la quantità di fango di supero allontanata ogni giorno.
ESEMPIO N.1
Problema:
Svolgimento:
Nell'impianto pilota, da laboratorio, mantenuto alla temperatura di 20 °C, sono state condotte
cinque diverse prove, mantenendo costante la portata di alimentazione (e quindi il tempo di
detenzione idraulico t) e facendo variare la concentrazione di biomassa in aerazione x.
Per ciascuna prova sono stati rilevati (tabella in Fig.10):
a) la concentrazione di substrato in ingresso So, che presenta leggere variazioni per gli inevitabili
cambiamenti delle caratteristiche del liquame analizzato;
b) la concentrazione di substrato in uscita Se, con grosse variazioni da prova a prova, per i diversi
rendimenti di depurazione conseguiti;
c) la quantità di fango di supero su base secca Xs, estratta ogni giorno al fine di mantenere le
condizioni di regime; la conoscenza di Xs non è strettamente necessaria in questo esempio, ma
è ugualmente eseguita in quanto necessaria per lo svolgimento del successivo Esempio n.2.
Per ciascuna prova si possono cacolare i valori di 1/v ed 1/Se, riportati in Fig.10.
La retta di interpolazione dei punti sperimentali ha coefficiente angolare ks/ v̂ ed intercetta
sull'asse delle ordinate 1/ v̂ ; tali valori possono essere ricavati col metodo dei minimi quadrati e
valgono:
⎛ 1 ⎞⎛ 1 ⎞ ⎛ 1⎞ ⎛ 1 ⎞
n∑ ⎜ ⎟⎜⎜ ⎟⎟ − ∑ ⎜ ⎟∑ ⎜⎜ ⎟⎟
ks ⎝ v ⎠⎝ S e ⎠ ⎝ v ⎠ ⎝ Se ⎠
= = 41,02 mg/l × giorno
v̂ 2 2
⎛ 1 ⎞ ⎡ ⎛ 1 ⎞⎤
n∑ ⎜⎜ ⎟⎟ − ⎢∑ ⎜⎜ ⎟⎟⎥
⎝ Se ⎠ ⎣⎢ ⎝ S e ⎠⎦⎥
2
⎛ 1⎞ ⎛ 1 ⎞ ⎛ 1 ⎞ ⎛ 1 ⎞⎛ 1 ⎞
∑ ⎜⎝ v ⎟⎠∑ ⎜⎜ S ⎟⎟ − ∑ ⎜⎜ ⎟⎟∑ ⎜ ⎟⎜⎜ ⎟⎟
1
= ⎝ e ⎠ ⎝ Se ⎠ ⎝ v ⎠⎝ S e ⎠ = 0,413 giorni
v̂ 2 2
⎛ 1 ⎞ ⎡ ⎛ 1 ⎞⎤
n∑ ⎜⎜ ⎟⎟ − ⎢∑ ⎜⎜ ⎟⎟⎥
⎝ Se ⎠ ⎢⎣ ⎝ S e ⎠⎦⎥
v̂ =2,42 giorni-1
ks=41,02x2,42=99,3 mg/l
pag. 166
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
ESEMPIO N.2
Problema:
Determinare le costanti cinetiche Y e kd dello stesso refluo analizzato nell'esempio n.1, sapendo
che la capacità della vasca di aerazione Vaer è pari a 10 l.
Svolgimento:
Per ogni prova è già stato calcolato il valore di 1/v ed è noto x. E' stata inoltre misurata la quantità
Xs = qs xr di fango di supero giornaliero (riportata nella tabella di Fig.11).
Per ciascuna prova si riportano in Tab.4 e in Fig.10 i valori v e 1/ϑ; quelli di 1/v sono già stati
calcolati nell'esempio precedente, mentre 1/ϑ si calcola mediante la (16) come:
1 Xs
=
ϑ x Vaer
La retta di interpolazione dei punti sperimentali ha coefficiente angolare e intercetta con l'asse
delle ordinate pari a Y e kd; utilizzando il metodo dei minimi quadrati, si ricava:
Y=0,94
kd=0,04 giorni-1
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G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
pag. 168
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Ingegneria sanitaria-ambientale
pag. 169
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Ingegneria sanitaria-ambientale
processo α
fanghi attivi 1,02
letti percolatori 1,08
lagune aerate 1,08
nitrificazione 1,12
denitrificazione 1,15
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G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
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Ingegneria sanitaria-ambientale
Fig.9 - Impianti pilota per esperienze di laboratorio su processi biologici aerobici. (a)
senza ricircolo cellulare; (b) con ricircolo cellulare e prelievo del fango di supero
dalla vasca di aerazione
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Ingegneria sanitaria-ambientale
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Ingegneria sanitaria-ambientale
presente era "attiva" ai fini tanto della metabolizzazione del substrato organico
solubile, quanto della bioflocculazione di quello sospeso.
In effetti, nel corso degli anni con tale termine si è finito per indicare
numerose tipologie d'impianto oppure eguali tipologie, ma condotte con modalità
operative differenti; di tali varianti si dirà meglio appresso.
In ogni caso, come processo a fanghi attivi si definisce un trattamento di
tipo aerobico, condotto mediante una più o meno prolungata aerazione della
miscela aerata presente nel reattore biologico; in questo, la biomassa è mantenuta
sospesa, in forma di fiocchi aventi dimensioni variabili da qualche centinaio di μ
fino a pochi mm; tali fiocchi possono essere rimossi dal liquido per semplice
sedimentazione.
La biomassa è in effetti costituita non sono da batteri, ma anche da
numerosi altri microrganismi (protozoi, metazoi, rotiferi, larve di insetti, vermi, etc.)
legati gli uni agli altri da una catena alimentare. I fiocchi presentano inoltre
un'importante componente di materiale organico inerte e di materiale inorganico,
in conseguenza dei fenomeni di flocculazione e di inglobamento meccanico che si
determinano nei confronti del materiale disperso nel mezzo liquido.
pag. 176
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Va osservato che, nella pratica, non si fa mai riferimento alla massa ed alla
concentrazione batterica, la cui determinazione richiederebbe metodi analitici di
notevole complessità, non idonei ad un impiego tecnico. Come misura indiretta
della biomassa vengono piuttosto assunti i solidi sospesi volatili (oppure i solidi
sospesi totali, nell'implicita assunzione che ci sia un rapporto costante tra i solidi
sospesi volatili e quelli totali, per i reflui urbani generalmente pari a 0,7); in effetti
però tale assunzione è approssimata, in quanto la massa cellulare non costituisce
una frazione in peso dei solidi sospesi rigidamente costante, dipendendo oltre che
dalle caratteristiche del substrato anche dalle condizioni in cui si opera il processo.
pag. 177
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Ingegneria sanitaria-ambientale
parimenti, il tempo di residenza cellulare ϑ può essere valutato a partire dalla (11'):
1 Se
= Yv̂ − kd (20 )
ϑ k s + Se
La procedura da seguire per il calcolo del volume del reattore biologico può
allora essere così sintetizzata:
a) ove non già note, si valutano mediante prove di laboratorio (cfr. prf. 4.7) le
costanti cinetiche ks, kd, Y e v̂ relative al liquame di cui si vuole eseuire il
trattamento;
b) nota la concentrazione di BOD5 del liquame avviato al reattore biologico (So) e
quella del liquame depurato (Se), generalmente fissato in base ai limiti di legge
imposti per la protezione del recapito, si valuta ϑ con la (20);
c) note la portata di alimentazione q, si valuta V mediante la (19).
pag. 178
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Ingegneria sanitaria-ambientale
q So So
cf = = (22)
xV xt
con:
q portata di alimentazione del sistema, in m3/giorno;
So concentrazione della sostanza organica nella portata alimentata, in kg/m3;
x concentrazione della biomassa nel reattore biologico, in kg/m3;
V volume del reattore biologico, in m3;
t tempo di detenzione idraulico, in giorni.
q So So
cv = = (22')
V t
quindi cv è legato a cf dalla seguente relazione:
c v = x cf (22'')
In base alla (22), segue che valori di cf bassi esprimono scarsa disponibilità
di substrato per la biomassa, a cui corrisponde un elevato rendimento di
depurazione. I batteri infatti tendono ad utilizzare nel modo più completo la
sostanza organica, disponibile in modesta quantità; inoltre la produzione di nuove
cellule batteriche è ridotta, cosicchè è limitata la quantità di fango di supero, che
deve essere estratta per mantenere nel sistema la voluta concentrazione batterica
(in Fig.3 queste condizioni corrispondono alla zona di crescita limitata o, per i più
bassi valori di cf, a quella di respirazione endogena).
All'aumentare di cf cresce la quantità di fango di supero, mentre il
rendimento di depurazione resta elevato fino a quando non si raggiungono
condizioni per cui il substrato nutritivo introdotto nel sistema supera i fabbisogni
della popolazione batterica presente. Quando ciò avviene, la frazione di sostanza
pag. 179
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
organica immessa nel reattore, non utilizzata dalla biomassa, viene scaricata con
l'effluente, con una conseguente riduzione del rendimento di depurazione (è
questo il caso della zona di crescita illimitata della Fig.3).
Le considerazioni precedenti sono riassunte nelle curve riportate in Fig.13,
tutte di origine empirica; tali curve, dedotte da differenti autori, sono state tutte
ricavate a partire dall'esame delle caratteristiche dimensionali e di funzionamento
di reali impianti di depurazione per liquami di origine domestica. L'esame delle
curve evidenzia che rimozioni del BOD dell'ordine del 90% sono conseguibili fino a
quando cf non supera 0,5 kgBOD/kgSSxgiorno. Al di sopra di tale valore il
rendimento di depurazione subisce una rapida diminuzione, particolarmente
sensibile soprattutto in condizioni invernali.
Il calcolo del volume della vasca di aerazione può essere allora così
condotto:
a) noti il valore del BOD5 del liquame influente alla vasca e quello del liquame
depurato (anche in questo caso determinabile in base al rispetto dei limiti fissati
per il rispetto del recapito), si puo ricavare il valore del rendimento richiesto al
trattamento biologico, così definito:
So − Se
ηb = (23)
So
b) in base al valore di ηb si può ricavare il corrispondente valore di cf, utilizzando
una delle curve della Fig.13;
c) fissata la concentrazione x dei solidi nella vasca di aerazione (è spesso indicata
col simbolo SSMA = Solidi Sospesi nella Miscela Aerata), si ricava il valore del
carico volumetrico cv mediante la (22'');
d) si può così ricavare il volume della vasca utilizzando la seguente espressione,
ovviamente derivata dalla (22'):
q So
V= (22' ' ')
cv
L'esame della (22''') evidenzia che, a parità della quantità di substrato qSo
introdotto nel sistema (misurata in kg BOD/giorno), il volume V del reattore
biologico sarà tanto minore, quanto maggiore è il valore assunto per il carico
volumetrico cv. Compatibilmente con le esigenze del processo, conviene quindi
che cv risulti il più possibile elevato, in modo da ridurre al minimo il volume della
vasca di aerazione.
Per la (22''), ciò può ottenersi agendo sia su cf che su x; tuttavia il valore di
cf determina il rendimento di depurazione conseguibile nonchè, come si vedrà
meglio in seguito, la produzione e il grado di stabilità dei fanghi, il consumo di
ossigeno e il livello di nitrificazione. In impianti per liquami domestici, sulla base
delle indicazioni della Fig.13, elevati rendimenti di depurazione (superiori cioè a
0,85 anche in condizioni invernali) sono conseguibili per cf dell'ordine di 0,4-0,5 kg
BOD/kgSSxgiorno. Nella pratica tuttavia è bene mantenersi su valori meno elevati,
pari a 0,2-0,3 kgBOD/kgSSxgiorno, sia per assicurare al processo un sufficiente
margine di sicurezza, sia per tener conto delle punte giornaliere di carico, sia infine
per la possibilità che scarichi non strettamente domestici possano alterare le
caratteristiche di biodegradabilità del substrato organico.
pag. 180
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Anche la scelta del valore di x è limitata; essa deve infatti tener conto delle
caratteristiche di sedimentabilità del fango, che non consentono di superare
determinate concentrazioni per il fango di ricircolo e, di conseguenza, per la
miscela aerata presente nella vasca di aerazione.
Infine va osservato che è possibile legare il carico del fango con le costanti
cinetiche, prima introdotte; infatti, dal bilancio di massa per il substrato nel reattore
biologico risulta:
dS
q (So − Se ) = V = Vxv
dt
quindi, a meno del rendimento ηb, cf coincide con la velocità di rimozione del
substrato.
La (23') stabilisce pertanto un legame tra il criterio di dimensionamento
razionale e quello empirico.
ESEMPIO N.3
Problema:
In base al valore di v̂ e di ks calcolati nell'Esempio n.1, desumere il carico del fango applicabile in
un processo a fanghi attivi alimentato con BOD = 410 mg/l, in cui si voglia ottenere un BOD in
uscita di 35 mg/l. Si ammetta che la temperatura di esercizio possa scendere fino a 10 °C.
Svolgimento:
Dall'Esempio n.2 si sono ottenuti i seguenti risultati: v̂ = 2,42 giorni-1; ks = 99,3 mg/l. L'effettiva
velocità di rimozione del substrato v, in condizioni di miscelazione completa ed a 20 °C, risulta:
Se 35
v 20 = vˆ = 2,42 = 0,63 giorni−1
k s + Se 99,3 + 35
Il valore da applicare nel dimensionamento dell'impianto deve tener conto dell'effettiva temperatura
di esercizio nelle condizioni più critiche (10 °C). Risulta quindi per la (8):
pag. 181
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Ingegneria sanitaria-ambientale
So − Se 410 − 35
ηb = = = 0,914
So 410
VF ⎡ ml ⎤
SVI = (24)
x ⎢⎣ g ⎥⎦
con:
VF volume del fango, in ml/l;
x concentrazione di SS, in g/l.
Fra i fattori che influenzano lo SVI, di particolare interesse appare cf; infatti
si è riscontrato che la migliore sedimentabilità si verifica per cf compreso tra 0,15 e
0,50 kg BOD/kgSSxgiorno e quindi nel campo di più comune applicazione dei
processi a fanghi attivi (Fig.14). Ciò può spiegarsi con le considerazioni seguenti:
pag. 182
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Si ricorda comunque che il valore dello SVI dipende non solo da cf, ma
anche da altri fattori in precedenza richiamati, non sempre facilmente prevedibili.
In sede progettuale è pertanto opportuno ammettere valori di SVI più elevati di
quelli teorici, il che significa far conto su di una peggiore sedimentabilità dei fanghi.
ESEMPIO N.4
Problema:
Determinate il valore dello SVI per la miscela aerata di un impianto a fanghi attivi.
Svolgimento:
Dopo aver prelevato un campione di miscela aerata dalla vasca di areazione, si determinano la
concentrazione dei solidi sospesi SS e il volume dei fanghi VF in sedimentazione statica in cilindro
per 30'; risulta:
SS = 3000 mg/l
VF = 360 ml
Lo SVi risulta quindi pari a:
SVI = 360/3 = 120 ml/g
e, ricordando la (24):
1000 VF 1000
xr = = (26)
VF SVI SVI
pag. 183
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Per definire il valore della concentrazione dei solidi nella miscela aerata x, si
consideri lo schema di Fig.8, in cui è rappresentato un impianto a fanghi attivi
(vasca di aerazione e sedimentatore finale). A regime x è mantenuto costante
ricircolando nella vasca di aerazione il fango separato nel sedimentatore finale (a
meno della frazione eliminata come fango di supero). Con un bilancio della
biomassa nel reattore (biomassa entrante + biomassa prodotta = biomassa
uscente), può scriversi:
dx
q xo + qr xr + V = (q + qr ) x (27)
dt
qr
x= xr (28)
q + qr
x
qr = q (29)
xr − x
pag. 184
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Ingegneria sanitaria-ambientale
ESEMPIO N.5
Problema:
Svolgimento:
4
qr = q = 0,73 q
9,5 − 4
Tuttavia, il circuito di ricircolo viene dimensionato per una portata massima di ricircolo pari al 100%
di quella alimentata; il valore prima calcolato può allora essere ottenuto, ad esempio,
temporizzando il funzionamento delle pompe di ricircolo e facendole funzionare per il 73% del
tempo.
Nel caso in cui la concentrazione del fango di ricircolo si riduca, risultando pari a 7 kgSS/m3,
sempre per la (29) la nuova portata di ricircolo necessaria per mantenere x = 4 kgSS/m3 risulta:
4
qr = q = 1,33 q
7−4
Tale portata di ricircolo non risulta realizzabile, in quanto l'impianto è stato realizzato per qr=q;
ricircolando il massimo valore di portata disponibile, per la (28) la concentrazione massima che si
può mantenere nella vasca di aerazione risulta:
q
x= xr = 3,50 kgSS / m 3
2q
In questo caso, stante che il valore di cv non varia, segue che il minimo valore di cf che può
essere mantenuto in aerazione risulta:
c v 1,2
cf = = = 0,344 kgBOD / kgSS × giorno .
x 3,5
L'esempio dimostra quindi l'opportunità di mantenere criteri prudenziali nella scelta dei parametri di
dimensionamento, in modo da poter assicurare condizioni di processo adeguate ad un buon livello
di depurazione, anche quando la sedimentabilità del fango risulti peggiore di quanto previsto in
sede progettuale.
pag. 185
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Vx
X s = xr qs = (30)
ϑ
ricordando la definizione del tempo di detenzione cellulare (o età del fango) data
dalla (11'), si ricava:
X s = Vx (Yv − k d ) (31)
q(So − Se ) (So − Se ) 1
v= = qSo = ηb Bb (32)
X So X X
Sostituendo la (32) nella (31), si ricava la portata ponderale (su base secca)
del fango di supero prodotto nell'unità di tempo:
X s = ηb Y Bb − k d X (33)
Xs k X k
= Y− d = Y− d (34)
ηb Bb ηb Bb v
L'esame della (34) evidenzia che, per Yv<kd, essa porta a produzioni di
fango negative (e cioè ad una diminuzione dei solidi sospesi presenti nel sistema).
pag. 186
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Tale situazione si può avere per ridotte alimentazioni del substrato, in cui la
produzione di nuovo fango non è sufficiente a compensare i fenomeni di
scomparsa batterica. In reattori batch, ciò corrisponde alla fase endogena; un
esempio di impianti reali, alimentati in continuo, in cui si realizza tale condizione è
data dai digestori aerobici.
Y = 1 kgSS/kgBOD
kd = 0,05 giorni-1
Xs 0,05
= (1,20 − 0,28 c f ) (1 − ) (34')
ηb Bb ηb c f
pag. 187
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Xs 0,05 0,33(x o − x e )
= (1 − )+ (34' ' )
ηb Bb ηb c f ηb Bb
Si osserva infine che dalle espressioni (11') e (23') si ricava un legame tra
l'età del fango ed il carico del fango:
1
= ηb cf − 0, 05 (35)
ϑ
dove le unità di misura sono le stesse di quelle già indicate per la (34'); quindi, in
base alle espressioni (35) e (35'), il valore di ϑ risulta decrescente al crescere di
cf.
ESEMPIO N.6
Problema:
In un impianto a fanghi attivi, con sedimentazione primaria, sono alimentati 2550 m3/giorno di
liquame, aventi concentrazione di BOD e di solidi sospesi rispettivamente pari a So = 275
mgBOD/l e xo = 380 mgSS/l. Il carico del fango è cf = 0,25 kgBOD/kgSSxgiorno; le concentrazioni
di BOD e di solidi sospesi nel liquame in uscita sono Se = 30 mgBOD/l e xe = 60 mgSS/l. Si chiede
di calcolare la produzione di fango di supero.
Svolgimento:
La produzione specifica di fango, dovuta alla componente biodegradabile, può essere valutata
mediante la (34):
X's 0,05
= 1− = 0,775 kgSS / kgBOD rimosso
ηb B b 0,89 ⋅ 0,25
pag. 188
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
corrispondente a:
X's
X's = ηbBb = 0,775 × 0,89 × 701,25 = 484,18 kgSS / giorno
ηb Bb
La produzione di fango di supero dovuto al materiale inerte, assunto pari al 33% dei solidi sospesi,
vale:
X''s = 0,33 (xo − xe ) q = 269,28 kgSS / giorno
pari a
Xs 753,46
= = 1,21 kgSS / kgBOD rimosso
ηb Bb 624,75
pag. 189
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
ΔO 2 (S − Se )
= a' o + b' (36')
xV xt
tale espresssione nel piano ΔO2/xV (So - Se)/xt rappresenta una retta di
coefficiente angolare a' e di intercetta con l'asse delle ordinate b'.
dove b' indica il valore della costante alla temperatura generica T e b'20 alla
temperatura di 20 °C. Le variazioni di a' con la temperatura sono invece
trascurabili.
Dividendo la (36) per (So-Se)q=ηbBb e ricordando che (So-Se)/xt=ηbcf, si
ottiene:
ΔO 2 b'
= a' + (37)
ηb Bb ηb c f
tale espressione evidenzia il legame tra il consumo di ossigeno per unità di BOD
rimosso e il carico del fango applicato al sistema. Si osserva che tale consumo
specifico diminuisce all'aumentare di cf; ciò si spiega con il fatto che per alti valori
di cf una più elevata percentuale di materiale, comunque adsorbito nel fiocco, non
viene ossidato nella fase di aerazione, ma è rimosso con i fanghi di supero (che
infatti risultano più ricchi di materiale volatile); esso va essere eliminato in altre fasi
del ciclo di trattamento (digestione aerobica o anaerobica, processi termici e
simili). In Tab.3 sono indicati i valori ricavabili dalla (37) per a' = 0,5 e b' = 0,1
giorni-1.
pag. 190
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
ESEMPIO N.7
Problema:
Determinare il valore dei coefficienti a' e di b' in un processo a fanghi attivi utilizzato per il
trattamento di un effluente industriale.
Svolgimento:
Per la determinazione di a' e di b' viene utilizzato un impianto pilota, avente un volume di aerazione
V pari a 100 l.
Si effettuano quattro prove, con diversi tempi di permanenza t nella vasca. Le condizioni operative
riscontrate in ciascuna prova sono riassunte nella tabella di Fig.15; viene inoltre misurata, per tutte
le prove, la velocità con cui diminuisce l'ossigeno disciolto nella vasca, rilevandone la
concentrazione all'arresto dei dispositivi di aerazione (O.D.)o, e dopo 30'' (O.D.)1.
Per ciascuna prova sono stati calcolati i valori (So-Se)/xt e ΔO2/xV; la retta di interpolazione dei
valori sperimentali, ottenuta con il metodo dei minimi quadrati, ha l'espressione:
ESEMPIO N.8
Problema:
Svolgimento:
Risulta:
(b')est = b'20 1,08418-20 = 0,085 giorni-1
pag. 191
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
dm
= k g A (c s − c) (38)
dt
dc
= (k L a) T (c s − c) (38')
dt
a) Legge di Dalton: la pressione totale di una miscela di gas è uguale alla somma
delle pressioni parziali dei suoi componenti, essendo queste ultime definite come
pag. 192
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
pg = H xg (39)
con:
pg pressione parziale del gas;
H costante di Henry, avente dimensioni di una pressione;
xg frazione molare del gas a saturazione.
La costante H dipende dalla temperatura e dalla natura del liquido e del gas. I suoi
valori, per i casi di pratico interesse, sono riassunti in Tab.5.
La frazione molare xg è esprimibile come:
ng
xg = (40)
nH2O + ng
ESEMPIO N.9
Problema:
pag. 193
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Calcolare la pressione parziale di metano nel gas di un digestore termofilo (T = 50°, p = 1,065
atm), avente la seguente composizione ponderale: CH4 = 0,44, C02 = 0,52, H2S = 0,03, N2 =
0,01.
Svolgimento:
Alla temperatura di 50 °C, la tensione del vapor d'acqua è di 0,122 atm (Tab.4); la somma delle
pressioni parziali dei diversi costituenti la miscela gassosa vale quindi:
Tale pressione va suddivisa in base alla legge di Dalton, che presuppone la conoscenza della
composizione volumetrica della miscela. A tal fine si consideri che il numero n di grammomolecole
di un costituente, contenuto in un peso unitario di miscela secca, vale:
n = (% p)/pm
ove (% p) è la percentuale in peso e pm il peso molecolare del costituente stesso. Per l'ipotesi di
Avogadro, il volume occupato da un gas è proporzionale al numero di grammomolecole. La
percentuale volumetrica di un costituente (% vol) della miscela vale quindi:
(% p) / pm
(% vol) =
Σ (% p) / pm
Ricordando i pesi molecolari dei costituenti (CH4 = 16, C02 = 44, H2S = 34, N2 = 28), risulta
per il metano:
0,44 : 16
(% vol) = = 0,678
0,44 0,52 0,03 0,01
+ + +
16 44 34 28
ed, analogamente, 0,291 per la C02, 0,022 per la H2S, 0,009 per la N2. Infine, per la legge di
Dalton e la legge di Boyle (p.v = cost, a temperatura costante), risulta:
ESEMPIO N.10
Problema:
Svolgimento:
pag. 194
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
pN 0 .79
xN = = = 11,83 × 10 6
HN 6,68 ⋅ 10 4
p 0.21
x0 = 0 = = 6,42 × 10 6
H0 3,27 ⋅ 10 4
La concentrazione a saturazione (in grammimoli per litro), vale quindi per la (40'):
pag. 195
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
(k L a) T = α (k L a) T * (42)
Na2 SO 3 + 21 O 2 ⎯ CoC1
⎯⎯ 2
→ Na2 SO 4
cs − c
ln = −(k L a) T (t − t1 ) (38'')
c s − c1
ESEMPIO N.11
Problema:
pag. 196
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
Svolgimento:
Con la procedura descritta si è operato dapprima con acqua pulita e successivamente sullo scarico
industriale, ottenendo nei due casi, in funzione del tempo, le concentrazioni di ossigeno riportate
nella tabella di Fig.17. Le prove sono state svolte alla temperatura di 15 °C, a cui corrisponde un
valore di cs di 10,2 mg/l; si trascurano le piccole differenze di cs per l'acqua e per lo scarico
industriale, dovute alla variazione di solubilità connessa alla diversa salinità.
Assunto come riferimento (tempo t1) i valori di concentrazione c1 riscontrati dopo 5 minuti di
aerazione, si dispongono i dati sperimentali nel piano semilogaritmico di Fig.17; i coefficienti
angolari della retta di interpolazione (a tratteggio per l'acqua pulita e continua per lo scarico
industriale) forniscono rispettivamente (kLa)15 = 3,91 ore-1 e (kLa)15* = 5,24 ore-1. Il valore di (kL
a)20 si calcola mediante la (41):
tale espressione può essere riscritta, con riferimento alle grandezze valide per
acqua pulita e alla temperatura di 20 °C:
Per uno stesso sistema di aerazione, O.C. assume valori diversi in funzione
delle condizioni operative, risultando influenzato dalle caratteristiche dello scarico
(che determinano α e β), dalla temperatura (da cui dipende cs*), dalla pressione
(da cui dipende pure cs*), dalla concentrazione di ossigeno nel liquame. E'
pertanto opportuno che la capacità di ossigenazione venga riferita a condizioni
normalizzate (condizioni standard), in modo da disporre di indicazioni ripetibili e tra
di loro confrontabili. Le condizioni standard prevedono:
a) acqua pulita (di acquedotto), per la quale α e β risultano unitari;
b) temperatura di 20 °C (alcuni costruttori si riferiscono a prove condotte a
temperature diverse);
c) pressione di 1 atm (760 mm Hg);
d) concentrazione di ossigeno disciolto nulla (c = 0).
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con:
c concentrazione di ossigeno nella vasca nelle condizioni operative;
cs* concentrazione di ossigeno a saturazione relativa ad acqua pulita e alla
temperatura e pressione di reale esercizio;
c* concentrazione di ossigeno a saturazione relativa ad acqua pulita, alla
temperatura di 20 °C e alla pressione di 1 atm; essa vale 9,17 mg/l.
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Moltiplicando i valori dell'O.C./load per l'apporto medio orario di BOD nelle 24 ore
si ottiene la capacità di aerazione di punta, direttamente riferita a condizioni
standard.
Si osserva tuttavia che tale metodo approssimato può portare a errori,
anche gravi, soprattutto quando le condizioni operative degli impianti si scostino
da quelle di comune impiego per cui sono stati ottenuti i valori empirici di Tab.7.
Esso infatti non tiene conto esplicitamente di aspetti assai importanti del processo
(temperatura di esercizio, entità delle punte di carico, effettivi valori delle costanti
a' e b', reali condizioni di trasferimento dell'ossigeno).
Si sconsiglia quindi l'adozione di tale procedura nel dimensionamento dei
dispositivi di aerazione; essa è stata qui ricordata per il suo diffuso impiego nella
letteratura tecnica e soprattutto nella progettazione degli impianti.
ESEMPIO N.12
Problema:
Svolgimento:
Dalla Fig.16 si ricava α = 0,86; β può essere assunto unitario. La concentrazione di ossigeno a
saturazione per acqua pulita, a 10 °C ed alla pressione di 1 atm vale 11,42 mg/l (dall'Esempio
n.10). A 900 m s.l.m., per la (40) p = 0,883 atm. Conseguentemente, per la legge di Henry, cs* =
11,42 . 0,833 = 10,08 mg/l. Dalla (44) si ricava:
⎡ 1× 10,08 − 2 ⎤
O.C. = 14 ⎢0,86 × 1,02410 − 20 ⎥ = 14 × 0,598 = 8,37 kg0 2 /ora
⎣ 9,17 ⎦
ESEMPIO N.13
Problema:
Per la situazione di cui all'Esempio n.8, calcolare con il metodo dell'O.C./load la capacità di
ossigenazione necessaria in condizioni standard.
Svolgimento:
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al caso precedente (da 750 a 1500 giri/minuto, a seconda della polarità del
motore). L'eliminazione del riduttore consente una notevole semplificazione
costruttiva; tali turbine sono pertanto preferite per installazioni galleggianti,
soprattutto nel caso di lagunaggio aerato (Fig.20). Per questo tipo di impianti
infatti, come per i digestori aerobici, non esistono preoccupazioni connesse alla
salvaguardia del fiocco. Infatti i fiocchi di fango attivo presentano una naturale
tendenza alla flocculazione; anche nel caso di rottura del fiocco nella vasca di
aerazione di norma intervengono rapidamente fenomeni di agglomerazione
durante la fase di sedimentazione di massa, senza quindi che il processo risulti
nel suo complesso danneggiato. Per tale motivo si sostiene talvolta l'inutilità di
usare turbine lente anche nelle vasche a fanghi attivi. La rottura del fiocco può
tuttavia risultare pericolosa quando la biomassa presenti una spontanea
tendenza alla de-flocculazione, come spesso si riscontra in presenza di tossici.
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a) Sistemi a bolle fini: le dimensioni medie delle bolle sono inferiori a 3 mm; esse
sono ottenute per diffusione d'aria attraverso corpi porosi, in materiale plastico
(poliestere espanso ad alta densità, politene poroso e simili) o in ossidi di
alluminio o di silicio sintetizzati in una matrice ceramica. Essi vengono realizzati
in forma di candele o di dischi; in quest'ultimo caso sono alloggiati in sedi di
metallo o di plastica disposte sul fondo della vasca. Ne sono forniti degli esempi
in Fig.25 e 26.
Per un corretto funzionamento è necessario che l'aria, alimentata attraverso un
sistema di tubazioni, sia esente da polvere o da altre impurità che potrebbero
produrre intasamenti. Tale rischio va comunque sempre tenuto presente, anche
per la possibilità che, in caso di arresto dei sistemi di aerazione, si verifichino
accumuli di fango sul fondo. Pertanto, è in genere opportuno che questo tipo di
diffusore venga installato con modalità che ne consentano una semplice
estrazione per le operazioni di ordinaria manutenzione. Un esempio è dato in
Fig.27, in cui un gruppo di diffusori tubolari è alimentato attraverso due
tubazioni a snodo, che ne consentono il sollevamento senza che sia necessario
svuotare la vasca.
Soluzioni analoghe sono possibili anche con diffusori a dischi.
b) Sistemi a bolle medie: le dimensioni medie delle bolle sono comprese tra 3 e 5
mm. Spesso si basano su elementi messi in vibrazione dalla portata d'aria in
uscita, che consentono una ripartizione relativamente buona dell'aria diffusa,
pur alimentata attraverso passaggi di considerevoli dimensioni. La minor
superficie specifica delle bolle comporta rendimenti di ossigenazione inferiori,
rispetto ai sistemi con corpi porosi. Hanno tuttavia il vantaggio di non richiedere
la filtrazione dell'aria e di consentire un funzionamento discontinuo del sistema
di aerazione, fatti questi che li rendono adatti soprattutto nel caso di piccoli e
medi impianti.
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h
(O.C.)1 = (O.C.)2 ( 1 )0,7 (45)
h2
ESEMPIO N.14
Problema:
In una vasca a fanghi attivi, equipaggiata con i diffusori d'aria di cui alla Fig.27, è necessario
trasferire in condizioni di punta 200 kg02/ora. I diffusori sono installati ad una profondità di 3,5 m; la
temperatura del liquido è di 15 °C, con salinità trascurabile. Sono noti:
- i coefficienti α = 0,80 e β = 1;
- la concentrazione di O.D. in vasca, pari a 1,5 mg/l;
- la solubilità dell'ossigeno a 15 °C, pari a 10,15 mg/l.
Svolgimento:
Un m3 di aria, in condizioni normali, contiene 0,280 kg02. Di essi, in condizioni standard, vengono
solubilizzati per insufflazione ηsx0,280 kg02, essendo ηs il rendimento di ossigenazione ottenibile
dal grafico di Fig.28, in funzione della portata d'aria alimentata per ciascun diffusore. Fissata
quest'ultima in 10 m3/ora, per una profondità di vasca di 3 m, risulta ηs = 0,135. Ad essa
corrisponde una capacità di ossigenazione standard unitaria (riferita cioè ad un diffusore) pari a:
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200
n= = 712 aeratori
0,281
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Si può ritenere che non sussistano grosse differenze tra le prestazioni degli
aeratori superficiali ed i sistemi ad insufflazione d'aria a bolle fini.
La quantità di ossigeno trasferibile, in condizioni standard, è in entrambi i
casi dell'ordine di 2,0-2,2 kg02/kWh, mentre scende decisamente per l'aerazione a
bolle medie (1,5 kg02/kWh) e per quello a bolle grosse (1,2 kg02/kWh).
A favore degli aeratori superficiali gioca un'indubbia semplicità di
installazione. Il sistema si basa infatti su di un numero limitato di macchine che
non richiedono la rete di adduzione e di distribuzione d'aria e l'elevato numero di
diffusori necessari con l'insufflazione. Anche l'esercizio ne è notevolmente
semplificato, a fronte delle periodiche operazioni di pulizia dei diffusori, che
devono essere programmate per evitarne l'intasamento e il conseguente calo di
prestazioni nel tempo. Percontro i sistemi a insufflazione d'aria garantiscono una
migliore possibilità di regolazione e, se insonorizzati, danno minori problemi di
rumorosità.
Appresso vengono messi a confronto i due sistemi di aerazione citati:
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Fig.13 - Curve di rendimento di rimozione del BOD in funzione del carico del fango Cf
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Fig.14 - Andamento dell'indice di volume del fango (SVI) in funzione del carico del fango Cf
applicato
Tab.2 - Produzione specifica del fango (in kgSS/kgBOD rimosso)per differenti valori del carico
del fango; la tabella è vaida per liquami di origine domestica
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Tab.5 - Valori della costante di Henry, in 104 atm, relativi ad alcuni gas poco solubili in acqua
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Tab.7 - Valori di O.C./load per diversi valori del carico del fango
(a)
(b)
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Fig. 25 - Diffusori a "candele", per l'insufflazione dell'aria in vasche a fanghi attivi. (a) elemento
diffusore; (b) vista d'assieme (1: condotta di adduzione dell'aria compressa; 2: collettori
di distribuzione dell'aria; 3. diffusori dell'aria; 4. arganello per il sollevamento della
rampa di aerazione) (da catalogo Nokia)
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Fig.26 - Diffusori a "dischi". (a) elemento diffusore; (b) esempio di rete di distribuzione
dell'aria
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Fig.32 - Aeratore statico (a), con esempio di installazione per una laguna aerata
(b) (catalogo Abeco)
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Infine, nel caso di potenzialità molto ridotte (non superiori ai 5.000 abitanti
serviti) è molto diffuso il ricorso a impianti a basso carico (di cui si dirà nel
successivo prf.), in cui la fase di digestione aerobica ha modestissime dimensioni
o è perfino assente (per via dell'elevato grado di stabilizzazione già raggiunto dai
fanghi nel reattore a f.a.).
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V So S
t= = = o (46)
q c v cf ⋅ x
Dal suo esame si ricava che normalmente, per gli usuali valori di So, sono
garantiti tempi di residenza idraulica di alcune ore. Però, quando la concentrazione
So risulta molto bassa, come per taluni effluenti industriali e, in campo civile, per
valori di dotazione idrica elevati in modo anomalo, t può risultare insufficiente.
Allora, in tali casi, la scelta del valore di t diventa condizione limitante per il
dimensionamento della vasca di aerazione (che si ricava quindi per fissato valore
di t , con conseguente diminuzione di quello di cf).
In funzione del valore assunto per cf, si può fare distinzione fra tre tipi di
processi a f.a., appresso descritti.
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Si osserva che, in aggiunta a quanto già detto al prf. 6.9, nel caso in cui non
sia necessaria una linea di stabilizzazione separata dei fanghi biologici, non è
conveniente effettuare la sedimentazione primaria per evitare la produzione di
fanghi putrescibili.
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Tale tipo di reattore è poco adoperato, per il trattamento dei reflui di origine
urbana; infatti in tale caso la concentrazione del substrato carbonioso
biodegradabile nel refluo grezzo è superiore a quello del refluo trattato solo di un
ordine di grandezza, per cui la velocità di rimozione risulta di poco inferiore a
quella mediamente ottenibile col flusso a pistone (e quindi modesta è la riduzione
di volume con questo conseguibile, a parità di rendimento di rimozione).
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Altrettanto non può dirsi nel caso di reflui di origine produttiva (p.e. scarichi di
attività agroalimentari o zootecniche), in cui tale differenza raggiunge anche da
due a quattro ordini di grandezza, per cui il ricorso a soluzioni a flusso a pistone
può consentire una notevole riduzione delle dimensioni delle vasche.
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q (So − S1 ) q (S1 − Se )
= (47)
v1 v2
Se S1
vˆ 2 (So − S1 ) = vˆ 1 (S1 − Se ) (47')
(K s )2 + Se (K s )1 + S1
tale espressione può essere risolta rispetto all'incognita S1, mediante la quale può
essere individuata la condizione che rende eguali i due stadi di trattamento.
I valori delle costanti cinetiche v̂ e Ks vanno determinati sperimentalmente,
su ciascuno degli effluente che alimentano i due stadi; va osservato che i valori di
v̂ 2 e, anche se in misura minore, di (K s )2 dipendono dal livello di depurazione
conseguito nel primo stadio e sono quindi funzione di S1. Di conseguenza, la loro
determinazione andrebbe ripetuta più volte, secondo tale procedura iterativa: si
può iniziare con valori di v̂ 2 e (K s )2 pari a quelli del primo stadio, determinando
così il valore di S1 di primo tentativo (mediante la (47')); quindi valutare i nuovi
valori di v̂ 2 e (K s )2 e quindi di S1 (sempre mediante la (47')) di secondo tentativo;
il calcolo procede finchè i valori di S1 valutato nell'ultimo tentativo è poco differente
da quello del tentativo precedente.
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Per via della posizione variabile del pelo libero, l'aerazione della vasca è
realizzata con una turbina galleggiante (Fig.20), che consente di seguire
l'escursione del livello; non è invece consigliabile il ricorso a sistemi a insufflazione
d'aria, che potrebbero incorrere in frequenti intasamenti, rimanendo inglobati
all'interno del fango sedimentato.
Lo scarico della vasca può essere realizzato con una pompa, o con uno
stramazzo motorizzato o ancora con una valvola a comando automatico.
Il fango depositatosi sul fondo viene allontanato saltuariamente e non
necessita di stabilizzazione.
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Il funzionamento di una fossa di ossidazione può anche essere del tipo "a
bacino unico", prima descritto. In questo caso, lo scarico del liquame depurato, il
funzionamento degli aeratori e l'estrazione del fango di supero avvengono in
maniera intermittente, secondo un ciclo analogo a quello descritto al prf. 6.16.
a) E' facilitata la diffusione dell'ossigeno all'interno del fiocco, che può allora
essere totalmente mantenuto in condizioni aerobiche; tuttavia, in reattori a
miscelazione completa caratterizzati da una bassa concentrazione del
substrato, la diffusione dell'ossigeno nel fiocco è di norma assai più rapida che
non quella del substrato organico, data la considerevole differenza dei rispettivi
pesi molecolari; ciò comporta che l'ossigeno non esercita una azione limitante
sull'attività batterica, in quanto la sua penetrazione nel fiocco resta comunque
maggiore di quella del substrato. Situazione opposta si può invece avere nel
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La fornitura di ossigeno può essere realizzata con uno dei seguenti metodi:
a) gasdotto, collegante l'impianto di depurazione a un centro esterno di produzione
di ossigeno; ove applicabile, è la soluzione più favorevole per le economie di
scala derivanti dall'utilizzazione di un grosso impianto di produzione; esso
consente la massima flessibilità e richiede la realizzazione solo di un serbatoio
di accumulo con funzione di riserva (avente capacità corrispondente al
fabbisogno di 1-3 giorni) e di una cabina di decompressione;
b) impianto criogenico, operante per liquefazione dell'aria a bassissima
temperatura e successiva separazione dell'ossigeno dall'azoto per rettifica
(processo Linde); si tratta di un processo di notevole complessità,
convenientemente applicabile solo per grosse produzioni di ossigeno (almeno
20-30 t/giorno, corrispondenti ai fabbisogni di impianti di depurazione di
potenzialità prossima al milione di persone);
c) impianti a setacci molecolari, costituiti da cristalli sintetici di silicati di alluminio,
in grado di adsorbire selettivamente molecole di diverse dimensioni, trattenendo
in particolare l'azoto, che viene successivamente rilasciato durante la fase di
rigenerazione del letto; il grado di purezza dell'ossigeno così ottenuto è
relativamente basso (90-94%), ma comunque adeguato al tipo di utilizzazione
richiesta in un impianto di depurazione; per la facilità di controllo e di
manutenzione e per la flessibilità di funzionamento, viene in genere oggi
preferito al metodo criogenico (salvo che per impianti di grandissime
dimensioni), trovando campo di applicazione tra 1 e 25 t/giorno di ossigeno.
ESEMPIO N.15
Problema:
Si deve trattare, con un processo a due stadi, uno scarico industriale da un BOD iniziale di 800
mg/l (So) ad un BOD finale di 40 mg/l (Se). Si richiede di individuare la condizione che rende
uguali i due stadi.
Svolgimento:
Mediante prove di laboratorio si sono determinati i valori delle costanti cinetiche. La dipendenza di
v̂ da S, individuata per interpolazione di valori ottenuti su effluenti pretrattati a diverso livello, è
esprimibile da:
v̂ = 0,52 + 0,0018 S
(essendo v̂ espresso in giorni-1 ed S in mg/l); Ks vale 128 mg/l nel primo stadio e 146 mg/l nel
secondo (senza sensibili variazioni in funzione di S1, nell'ambito dei valori di possibile
alimentazione nel secondo stadio).
Risulta quindi:
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da cui:
3 2
0,002 S1 + 0,925 S1 − 98,55 S = 5840
Si osserva che operando su due stadi di uguale capacità, la quantità di substrato rimossa, B, è
molto maggiore nel primario, che non nel secondario. Risulta infatti:
(avendo espresso q in m3/giorno). Tale risultato si spiega in parte con la migliore biodegradabilità
del substrato alimentato nel primo stadio, ma soprattutto con l'accelerazione del processo
collegata ai più elevati valori di concentrazione di substrato ivi mantenuti. Le rispettive velocità di
rimozione valgono infatti:
S1 145,4
v1 = v̂1 = 1,96 = 1,042 giorni −1
(K s )1 + S1 128 + 145,4
Se 40
v 2 = v̂ 2 = 0,78 = 0,168 giorni −1
(K s )2 + S e 146 + 40
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Fig.33 - Alternative impiantistiche per processi a biomassa sospesa con ricircolo cellulare
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Fig.39 - Sistema a pozzo profondo: (a) con setto centrale; (b) con tubo coassiale
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7. STAGNI BIOLOGICI
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Gli stagni biologici, nelle differenti alternative sin qui brevemente richiamate,
trovano impiego sia per i liquami civili, sia per quelli industriali; in quest'ultimo
campo viene sfruttata appieno la notevole capacità dimostrata dagli stagni
nell'omogeneizzare ed equalizzare gli scarichi aventi caratteristiche fortemente
variabili nel tempo.
Rimane tuttavia il problema, spesso non superabile, delle elevate superfici
necessarie, non sempre disponibili, in ogni caso superiori a quelle degli altri
trattamenti biologici.
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dV
Q e + P = Qu ± I + E +
dt
con:
Qe portata entrante
P precipitazione atmosferica
Qu portata uscente
I infiltrazione
E evaporazione
V volume del bacino
t tempo
I principali fenomeni fisici che si verificano in uno stagno sono costituiti dalla
sedimentazione e dalla flottazione; gli eventuali effetti di disturbo, dovuti ad
irregolarità della forma del bacino e quindi a campi di velocità orizzontali variabili
lungo la superficie dello stagno, tali da indurre la possibilità di correnti di corto
circuito, sono ampliamente compensati dai lunghi tempi di detenzione, che sono
almeno dell'ordine dei giorni.
Sia la flottazione che la sedimentazione possono essere influenzate dai
parametri biologici; vi è infatti, da un lato, la possibilità di affioramento di alghe,
che può provocare problemi, dall'altro, un miglioramento della sedimentazione per
effetto dei fenomeni di bioflocculazione che intervengono all'interno del bacino.
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Due sono le fonti di energia presenti in uno stagno: l'energia solare, che
costituisce la fonte maggiore di energia che entra nel sistema; essa in parte
produce calore, in parte è utilizzata dalle cellule algali; la seconda fonte di energia
è costituita dalle sostanze organiche contenute nel liquame, che vengono in parte
utilizzate da batteri, alghe e predatori.
In definitiva, i processi fondamentali che possono avere luogo negli stagni
biologici sono: I'ossidazione aerobica, la decomposizione anaerobica, la
fotosintesi algale e l'azione fagotrofa dei predatori. Tali processi, sintetizzati in
Fig.41, si riscontrano spesso nei processi depurativi sia naturali che artificiali; in
particolare, l'azione fotosintetica algale e quella fagotrofa dei predatori sono
caratteristiche degli stagni biologici.
L'esame della Fig.41 evidenzia che, in base alle caratteristiche della laguna
(profondità, intensità di radiazione solare, etc.) si può avere una condizione
aerobica nell'intera colonna d'acqua ed anche nei sedimenti (laguna aerobica),
oppure solo nello strato superficiale, al di sotto del quale si passa a condizioni
anaerobiche (laguna facoltativa o aerobica, a seconda dell'incidenza dello strato
superficiale sull'intera colonna d'acqua); la figura si riferisce proprio al caso di una
laguna facoltativa.
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luce non supera 0,7 m di profondità, che si detto essere quella media delle lagune
aerobiche.
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Gli stagni aerati si discostano dai tipi prima descritti, in quanto, pur
avendone le caratteristiche fondamentali, il loro funzionamento non è piú basato
su fattori naturali, ma dipende principalmente dall'apporto artificiale di ossigeno.
Si tratta di bacini di elevata profondità, fra 2 e 4 m, in cui la richiesta di
ossigeno è soddisfatta artificialmente, dato che I'azione fotosintetica algale e la
riaerazione atmosferica hanno in questo caso un peso irrilevante.
Il loro funzionamento dipende dal grado di turbolenza e di miscelazione
mantenuto nel bacino, il che consente di operare in modo simile a quello di un
processo ad ossidazione totale senza ricircolo dei fanghi, quindi a debole
concentrazione della biomassa.
L'ossigeno viene fornito preferibilmente mediante turbine, galleggianti o
fisse, che, consentono, oltre che l'aerazione del liquame, anche il suo
rimescolamento, che può essere ritenuto completo per potenze impegnate di
almeno 6 W/m3.
Il rimescolamento del refluo invasato comporta che l'effluente scaricato sia
ricco di solidi sospesi; ciò può essere accettabile, stante che tali solidi sono
costituiti da fanghi già stabili; qualora si voglia un effluente privo di sostanze
sospese, occorre prevederne la sedimentazione; ciò si può ottenere, p.e.,
costituendo un comparto finale dello stagno, separato dal resto di questa mediante
un setto superficiale; i solidi qui sedimentati dovranno essere periodicamente
rimossi.
L'impiego di questi bacini è piú diffuso nel campo dei liquami industriali, che
non di quelli domestici; esso ha dato risultati soddisfacenti, con rendimenti di
rimozione del BOD fino al 90%, tempi di detenzione inferiori a 10 giorni e carichi
organici superficiali Cs dell'ordine di 500 kgBOD/haxgiorno.
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Gli stagni biologici sono bacini aventi, a seconda del tipo, profondità
variabile tra poche decine di centimetri fino a qualche metro; la pianta è
generalmente rettangolare o quadrata ad angoli arrotondati. Possono peraltro
riscontrarsi altre forme, dovute alla convenienza di adattare la forma dello stagno
alle condizioni morfometriche del terreno. Questa possibilità di avere bacini di
forma irregolare non riduce però l'efficacia operativa dello stagno biologico.
La semplicità è una delle caratteristiche degli stagni biologici e pertanto la
loro costruzione non presenta problemi particolari, ma è in ogni caso opportuno
rispettare alcune regole, per evitare possibili inconvenienti nel corso dell'esercizio.
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Ingegneria sanitaria-ambientale
Oltre alla realizzazione di più stagni in serie, è possibile fare ricorso alla
realizzazione di più vasche in parallelo; tale soluzione si presta bene ad assorbire
forti variazioni nella portata influente (p.e. nel caso di reflui di origine anche
meteorica); in questo caso può essere opportuno collegare idraulicamente le varie
vasche, al fine di aumentare la flessibilità dell'impianto e facilitare l'eventuale
ricircolo dei reflui, che può rivelarsi utile se si effettua tra stagni diversi, per
sopperire a condizioni sfavorevoli, quali carenza di nutrienti e di alghe,
concentrazioni di ossigeno e pH troppo elevati o troppo bassi.
pag. 249
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8. LETTI PERCOLATORI
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Per ottenere una ripartizione quanto più possibile uniforme del liquame, i
bracci di distribuzione sono dotati di luci opportunamente spaziate tra di loro e
spesso munite di piattelli distributori. Le luci devono avere dimensioni tali da
evitare il pericolo di intasamento (di solito si fanno non inferiori al cm); in più, i
bracci devono essere dotati di una luce terminale cieca rimovibile, da utilizzare per
le operazioni di pulizia.
La parte inferiore della struttura del letto deve essere in grado di garantire:
- il sostegno del materiale di riempimento;
- l'uniforme raccolta del liquame ossidato per evitare parzializzazioni degli strati
profondi del letto;
- il ricambio dell'aria all'interno del letto.
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a) Pezzatura
Il materiale prescelto dovrebbe consentire il massimo attecchimento della
pellicola biologica (quindi anche l'impiego di elevati carichi volumetrici) e
contemporaneamente garantire un elevato flusso d'aria e la sicurezza del non
verificarsi di intasamenti; in più la pezzatura dovrebbe essere rigorosamente
omogenea per consentire l'uniforme distribuzione del liquame. Tutte queste
esigenze possono essere difficilmente soddisfatte da parte dei materiali di
riempimento tradizionali, fatta forse eccezione per l'uniformità. Infatti se da un lato
converrebbe ridurre la pezzatura per incrementare la superficie specifica As,
dall'altro la corrispondente riduzione del grado di vuoto Gv porterebbe a ridurre
l'apporto di aria e favorirebbe gli intasamenti del letto.
Viene comunemente accettata perciò una soluzione di compromesso che
prevede l'impiego di dimensioni nominali dell'ordine di 50÷60 mm (da aumentare a
80÷100 mm per lo strato di fondo ed eventualmente per quello superficiale).
b) Forma e superficie
La forma ideale è chiaramente quella sferica con superfici lievemente
scabre; sono pertanto da scartare i materiali troppo piatti o allungati che, oltre a
diminuire la superficie specifica, possono impilarsi in modo da parzializzare i flussi,
favorendo gli intasamenti.
c) Grado di impurezze
Il materiale deve essere quanto più possibile libero da impurezze
superficiali (sabbia, argilla, terricci, etc.) che potrebbero provocare problemi di
esercizio; particolare attenzione va data, nei materiali da frantumazione, ai piccoli
detriti tuttora aderenti al materiale e in generale alla pulizia dei mezzi impiegati per
il trasporto.
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una volta noto il volume del letto V, si ricava la superficie S di questo, fissando il
carico idraulico superficiale Ci.
b) Formula di Schreiber:
ηb = 0,93 - k'' Cv
Essa è stata ricavata rielaborando i dati di altre formule, tra cui quella dell'NRC;
ponendo k''=0,17, essa conduce a un dimensionamento valido nel caso di
elevata temperatura di esercizio, mentre porta ad un certo
sottodimensionamento se T < 10 °C; in tal caso è opportuno aumentare il valore
di k'' fino a 0,25-0,35, al fine di ottenere un buon rendimento di depurazione,
anche in condizioni sfavorevoli.
Come si potrà in ogni caso rilevare, per ottenere rendimenti elevati (ηb >
80%) anche in condizioni invernali, occorre applicare carichi organici volumetrici
inferiori (Cv < 0,35 kg BOD5/m3xgiorno) a quelli di un impianto a fanghi attivi a
medio carico, ma confrontabili con quelli di un impianto ad aerazione prolungata.
La produzione di fanghi è decisamente inferiore, rispetto ai fanghi attivi, sia
in peso che in volume; inoltre essi sono alquanto stabilizzati, non richiedendosi
digestione dei fanghi secondari per Cv < 0,1 kg BOD5/m3xgiorno.
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fanghi aumenta e così pure la loro putrescibilità (si richiede pertanto un processo
di stabilizzazione).
Il rapporto di ricircolo r è così definito:
Q
r= r
Q
con:
Qr portata dell'effluente chiarificato ricircolata dal sedimentatore secondario
Q portata dell'influente da sottoporre a trattamento
R = 1+ r
1+ r
F=
(1 + 0,1 × r)2
ηb = 1 − (1 − ηb )F
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ESEMPIO N.15
Problema:
Svolgimento:
R = 1 + r = 2,5
Il numero di passaggi efficace F risulta invece:
1+ r 1 + 1,5
F= 2
= = 1,89
(1 + 0,1× r) (1 + 0,1× 1,5)2
B b 1.200 kgBOD
CV = = = 0,8
V 1.500 m3 g
ηb = 1 − (1 − ηb )F = 1 − (1 − 0,706 )
1,89
= 0,90
Quindi mediante il ricircolo si ottiene l’aumento del rendimento di rimozione del l.p. dal 71 % al 90
%.
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Fig.45 - Schemi di impianto con letto percolatore: (a) a basso carico; (b) con ricircolo
dell'effluente chiarificato
Fig.46 - Schemi di installazione di letti percolatori: (a) senza ricircolo; (b) con ricircolo
(da catalogo Passavant)
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Fig.48 - Elementi prefabbricati utilizzati per il sistema di drenaggio dei letti percolatori
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Fig.49 - Esempi di materiali utilizzati per il riempimento dei letti percolatori; (a) inerti;
(b) (c) (d) (e) materiali sintetici strutturati )pacchi lamellari); (f) materiali
sintetici alla rinfusa
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9. DISCHI BIOLOGICI
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Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente operativi possono essere
fatte le seguenti considerazioni:
- gli oneri di manutenzione sono molto ridotti, richiedendo una limitata presenza di
personale; ciò è possibile poichè, analogamente a quanto avviene per i letti
percolatori, non si hanno problemi di ricircolo dei fanghi, fenomeni di bulking,
schiume, etc.;
- il rendimento depurativo subisce una riduzione, se la concentrazione di solidi
sospesi è rilevante; di ciò bisogna tener conto soprattutto in presenza di apporti
industriali;
- occorre essere sicuri della durata dei materiali di supporto, specie per via della
commercializzazione di numerose nuove soluzioni (tanto per i materiali, quanto
per le tipologie di impianto), su cui non è stata ancora raggiunta una sufficiente
esperienza;
- il sistema a finora dimostrato problemi di manutenzione limitati, se si eccettuano
alcune rotture iniziali dei supporti e, per certo tipi di produzione, problemi di
cedimento degli alberi;
- limitati sono, in campo civile, i casi di malfunzionamento depurativo del sistema,
anche se vengono talora segnalati problemi di difficile aderenza tra pellicole e
supporto, soprattutto in fase di avviamento avanzato.
Fig.51 - Rettori biologici a supporto rotante (RBC): (a) convenzionale; (b) sommerso
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I filtri biologici sommersi (o biofiltri), pur non avendo ancora una vasta
applicazione, presentano delle interessanti caratteristiche (non occorre ricircolare
nè i fanghi, nè il chiarificato, non ci sono problemi di bulking), che li rendono idonei
anche per i trattamenti di rimozione dei nutrienti.
Essi possono essere distinti in:
a) filtri biologici sommersi a letto fisso (packed-bed) (Fig.52): in questo caso, il
reattore è riempito con materiale solitamente plastico; il flusso di liquame può
essere ascendente o discendente;
b) filtri biologici sommersi fluidizzati (fluidized-bed): per ovviare alle resistenze
diffusive provocate dalle pellicole biologiche, può farsi ricorso a riempimenti di
piccole dimensioni (di solito sabbia del diametro inferiore al mm), che viene
mantenuta in sospensione grazie all'elevata velocità ascensionale del refluo
alimentato; l'aerazione del liquame può avvenire o con una sua
preossigenazione, o mediante insufflazione d'aria nel reattore.
Fig.52 - Schema di filtro biologico sommerso a letto fisso; (1) e (3): mezzo di
riempimento; (2): griglia di aerazione; (4): accumulo delle acque di lavaggio;
(5): accumulo dei fanghi estratti nel ciclo di lavaggio
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Cap.7
TRATTAMENTI DI DISINFEZIONE
1. GENERALITA'
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E' noto che l'insorgenza delle malattie e a maggior ragione delle epidemie,
dipende dalla diffusione degli agenti infettanti e dalla loro trasmissione diretta o
indiretta da un individuo all'altro; l’acqua costituisce una forma di trasmissione
preferenziale per le patologie infettive e per questo motivo il controllo della sua
qualità è uno dei principali obiettivi del trattamento delle acque potabili e reflue.
Va detto che in natura il numero di microrganismi presenti è altissimo; essi
possono essere saprofiti (demolitori di sostanza organica) o parassiti, che vivono
invece a carico di organismi viventi; la maggior parte degli organismi portatori di
malattie appartengono a tale seconda categoria.
Tuttavia, la presenza di un germe patogeno non è di per sè sufficiente a
determinare l'insorgerza della malattia; perché ciò si verifichi devono essere
soddisfatte tre condizioni essenziali: (i) il germe deve essere patogeno e virulento;
(ii) esso deve essere presente in una dose minima infettante; (iii) l'individuo
aggredito deve essere recettivo all'azione del germe stesso.
Quindi, la capacità di attivare l’infezione dipende da:
a) la virulenza del germe, che è la misura della sua attività patogena, variabile da
una specie all’altra;
b) la dose minima infettante, data dal numero minimo di germi presenti
nell'organismo, perché si determini l'infezione;
c) la recettività, che rappresenta la capacità dell’individuo a contrarre l’infezione e
dipende da fattori ereditari, nutrizionali, metabolici, stagionali, climatici, etc.
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In corrispondenza del loro scarico in ambienti diversi in cui essi hanno origine, i
microrganismi trovano condizioni che possono essere anche lontane da quelle
idonee alla loro crescita. Ciò vale particolarmente per i microrganismi intestinali
(batteri patogeni e virus), incapaci di riprodursi al di fuori dell'organismo ospite.
Per effetto quindi di numerosi fattori, di tipo fisico, chimico e biologico, si verifica
una progressiva rarefazione e scomparsa dei microrganismi; tali fattori agiscono
attivamente tanto all’interno dei processi di trattamento delle acque, quanto nei
corpi idrici naturali dolci o salini.
In particolare, la sopravvivenza dei microrganismi nelle acque reflue e naturali è
condizionata dai seguenti fattori:
- diluizione/dispersione: le condizioni idrodinamiche del mezzo ricettore
comportano la riduzione della concentrazione dei microrganismi e quindi della
loro carica infettiva nei confronti degli individui;
- sedimentazione: qualora presenti in forma sospesa (o adsorbita su particellato)
in correnti dotati di velocità di deflusso modeste, i microrganismi possono
depositarsi sul fondo dei canali, naturali o artificiali;
- predominanza vitale: i microrganismi sono soggetti a fenomeni di selezione, per
via della differente capacità di adattamento delle varie specie, della
competizione con altri organismi presenti nel ricettore in cui essi vengono a
trovarsi e infine della predazione da parte di alcuni di questi;
- temperatura: la resistenza dei batteri diminuisce all'aumentare della
temperatura;
- salinità: la resistenza delle specie patogene o enteriche decresce
significativamente all'aumentare della concentrazione di sali (il tempo di
scomparsa batterica in acque di mare è da 5 a 10 volte minore che in acqua
dolce);
- pH: i valori ottimali per lo sviluppo dei microrganismi sono compresi entro un
intervallo abbastanza ristretto (ad. es. tra 5 e 6,4 per la S. typhi), anche se la
sopravvivenza si mantiene in un campo molto più ampio;
- radiazioni solari: le radiazioni ultraviolette contenute nella luce solare hanno un
potere disinfettante, anche se il limite di penetrazione dei raggi UV nell'acqua è
variabile in funzione della sua trasparenza e in ogni caso dell’ordine di poche
decine di cm;
- presenza di sostanze tossiche: la presenza di numerosi composti chimici, che
possono trovarsi nelle acque superficiali (tensioattivi anionici, sali dei metalli
pesanti, cianuri, fenoli, etc.) possono ridurre la sopravvivenza dei microrganismi.
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dN
= −kN (1)
dt
N
ln = −kt (2)
No
N = No e−kt (3)
La relazione (3), nota anche come legge di Chick (1908), lega tra loro il
numero N di microrganismi al generico tempo t con quello No al tempo t=0. La
costante k prende il nome di coefficiente di scomparsa batterica; il suo valore
dipende sia dalle caratteristiche del microrganismo, sia di quelle del mezzo in cui
esso si trova.
Facendo riferimento ai logaritmi su base 10, la (3) diviene:
N = No 10−k1t (3')
In Tab.2 sono riportati alcuni valori del T90, rilevati in acque superficiali, in
differenti condizioni di temperatura e per diversi tipi di microrganismo.
Tab. 2 – Valori del T90 per microorganismi enterici in acqua potabile e di fiume a varie temperature
estive e invernali (C = valori ricavati in campo; L = valori ricavati in laboratorio)
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Il tipo e lo stato del microrganismo (ad esempio capsulato o non, allo stato
vegetativo o insporato) possono condizionare fortemente i risultati della
disinfezione.
Alcuni microrganismi sono più facilmente attaccabili rispetto ad altri o più
sensibili a determinati agenti. Anche il loro numero e la loro distribuzione incide sul
risultato finale, così come il fatto che i microrganismi colonizzino i solidi sospesi
presenti nell'acqua.
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k = αCβ (4)
N
ln = −αCβ t (5)
No
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Fig. 1 – Esempio di grafico rappresentativo, per diversi microrganismi, della relazione (6) per
HclO e per un’efficienza del 99%.
Fig. 2 – Confronto dell’efficacia di disinfezione di diversi agenti con scomparsa del 99,9% di E.
coli (con pH = 7,5, T = 12°C)
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5. I TRATTAMENTI DI DISINFEZIONE
I trattamenti di disinfezione possono essere così distinti, sulla base del tipo
di agente disinfettante adoperato:
a) disinfezione con agenti chimici (cloro e suoi composti, ozono, acqua
ossigenata, bromo, iodio, etc.);
b) disinfezione con agenti fisici (calore, raggi UV, etc.)
Appresso si da una breve descrizione dei sistemi più adoperati per le acque
primarie e reflue.
Delle varie forme di cloro così presenti in acqua, è l'acido ipocloroso (HClO)
ad avere azione battericida.
Va rilevato che la dissociazione di HClO in acqua procede all’aumentare del
pH, che quindi comporta uno spostamento verso destra della (8); in Fig.3 sono
riportati i valori percentuali delle proporzioni di cloro molecolare disciolto, acido
ipocloroso indissociato e ione ipoclorito presenti in un'acqua clorata, in funzione
del pH; si osserva che a pH=1,7 il cloro è presente per metà allo stato molecolare
e per metà sotto forma di acido ipocloroso; per valori di pH compresi fra 4 e 6
l'equilibrio è a favore della quantità di acido ipocloroso presente; a pH=7,4 la
soluzione contiene uguali quantità di acido ipocloroso indissociato e di ione
ipoclorito; infine a pH > 9,5 il cloro è praticamente presente solo come ipoclorito.
Quindi, nel caso dei valori di pH usuali per le acque reflue, solo il 50% circa del
cloro è in forma di HClO.
Ulteriore influenza ha la temperatura sulla ripartizione tra le varie forme di
cloro, anche se in misura inferiore rispetto al pH.
L’uso degli ipocloriti (di sodio o di calcio) porta a reazioni di equilibrio simili a
quelle prima richiamate per il clorogas; anche qui si giunge infatti alla formazione
di acido ipocloroso, a sua volta dissociato secondo la (8):
NaClO + H2O ⇔ Na+ + OH− + HClO (9)
Ca ( ClO )2 + 2H2O ⇔ Ca ++ + 2OH− + 2HClO (10)
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Fig. 3 – Rappresentazione delle diverse specie del cloro in soluzione in funzione del pH
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Per la loro facile reperibilità e per la semplicità del loro impiego gli ipocloriti
di calcio e di sodio hanno avuto una notevole diffusione nella pratica della
clorazione delle acque.
L'ipoclorito di sodio NaClO è il composto maggiormente impiegato, in
quanto più stabile; esso si trova disponibile sul mercato in soluzione contenente il
12-15% di cloro attivo. La soluzione si decompone nel tempo, specie per effetto
dell’esposizione alla luce e al calore (si rilevano perdite del 10% circa già dopo 10
giorni); per tali motivi è opportuno che il suo stoccaggio avvenga in luoghi freschi e
in contenitori resistenti alla corrosione. In Fig.6 è riportato uno schema di impianto
di dosaggio di ipoclorito di sodio.
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cloro e degli ipocloriti, il suo uso presenta alcune difficoltà, che ne ne limitano
molto l'applicazione, specie negli impianti di depurazione in cui il ricorso alla
disinfezione sia saltuario.
Infatti, il biossido di cloro è un gas instabile, soprattutto in presenza di
particolari sostanze organiche, e può dar luogo a fenomeni esplosivi, soprattutto
ad alta temperatura ed in presenza di luce. Per questi motivi è di difficile
conservazione e viene prodotto sul luogo di impiego, subito prima del dosaggio e
con notevoli cautele, per il rischio di esplosione in caso di miscelazione
accidentale e incontrollata dei composti usati per la sua produzione.
Esso può essere prodotto facendo reagire clorito sodico (NaClO2) con cloro
molecolare oppure con acido cloridrico, secondo le seguenti reazioni:
Infine, va detto che benché il biossido di cloro non presenti molti degli
inconvenienti del cloro (formazione di THM, problemi organolettici, etc.), tuttavia
esso può dare seguito a effetti tossici, dovuti alla formazione di clorito residuato
dalle reazioni di produzione o che avvengono in acqua, dopo il dosaggio.
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Infatti, l’efficacia della disinfezione richiede oltre che la scelta della "dose"
opportuna di disinfettante, anche il mantenimento di un sufficiente "tempo di
contatto", fra il disinfettante stesso e i microrganismi (vedi Fig.1).
Al fine di procedere alla misura del cloro residuo, può essere utilizzato un
clororesiduometro, la cui installazione è indispensabile se si vuole asservire
automaticamente il dosaggio del cloro alla richiesta di cloro dell'acqua stessa. In
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questo caso, la misura del cloro residuo nella portata uscente dalla vasca di
contatto consente di variare opportunamente il dosaggio del cloro, in testa alla
vasca stessa.
5.4 Declorazione
Invece il solfito e il bisolfito di sodio reagiscono col cloro dando luogo alla
formazione di solfato e bisolfato di sodio e ad acido cloridrico, con una riduzione
dell'alcalinità dell'acqua, a seguito delle modeste quantità di acido prodotte, più
limitata di quella che si ha adoperando l'anidride solforosa.
La filtrazione su carboni attivi ai fini della declorazione si diffonde sempre di
più; infine, l’aerazione dell’acqua, atta a favorire la liberazione del cloro libero, se
impiegata come intervento autonomo risulta poco efficace; una sua utilizzazione è
invece possibile a valle della filtrazione su carboni attivi.
Come il cloro e i suoi composti, anche gli altri alogeni sono in grado di
esercitare sia un'azione ossidante, che disinfettante, ma la loro pratica
utilizzazione nel campo del trattamento delle acque risulta tuttora marginale.
Lo iodio è complessivamente più efficace del cloro, ma, a parte il suo
maggior costo, molti dubbi sono stati avanzati a proposito della sicurezza igienica
di utilizzare acque iodate per usi potabili.
Il bromo, finora usato solo sporadicamente nel settore del trattamento delle
acque di raffreddamento, è stato proposto come agente disinfettante per acque di
piscina e per acque di scarico, sia da sole, che miscelate con cloro. Risultati di un
certo interesse sono riportati in letteratura, anche per gli aspetti economici, mentre
molto poco ancora è stato investigato a riguardo dei problemi connessi con
l'impiego per acque ad uso potabile, soprattutto per i possibili rischi igienici e di
tossicità.
Numerose sono invece le esperienze di applicazione del fluoro nel settore
acquedottistico, soprattutto negli Stati Uniti. Lo scopo dell'aggiunta di fluoro
all'acqua non è però quello di ottenere effetti disinfettanti o di ossidare certi
inquinanti, bensì quello di migliorare le capacità di resistenza dei denti alla carie e,
più genericamente, di favorire i processi di resistenza dell'apparato osseo. Va però
rilevato che, mentre piccole dosi di fluoro sono utili, in particolare nei bambini, la
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O2 ⎯→ O2 + O° (16)
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forniscono la radiazione nel campo più specifico di lunghezza d'onda (255 nm),
mentre le seconde, pur avendo una maggiore dispersione della lunghezza d’onda,
possono tuttavia disporre di una maggiore intensità di radiazione.
I raggi UV, per lunghezze d'onda comprese tra 240 e 280 nm, sono in grado
di danneggiare irreparabilmente gli acidi nucleici cellulari; a parità di tempo di
esposizione, il grado di scomparsa batterica dipende dall'intensità di irraggiamento
(μW/cm2). Gran parte dei batteri e dei virus decadono per dosi complessivamente
ridotte; ad esempio per avere rimozioni dell'ordine del 90% sono spesso sufficienti
poche migliaia di µW⋅s/cm2.
Le caratteristiche della disinfezione con raggi UV sono così riassumibili:
- è in grado di fornire eccellenti rendimenti di rimozione per batteri e virus (minori
per cisti, protozoi e spore);
- è capace di operare con bassi tempi di contatto e quindi con impianti
abbastanza compatti;
- può essere impiegato sia in serbatoi chiusi di contatto, che in canali a pelo
libero;
- presenta una durata piuttosto elevata delle lampade (anche 8.000-10.000 ore
per alcuni tipi) e questo risultato consente costi di esercizio piuttosto
interessanti;
- richiede acqua molto limpida (quindi sottoposta a precedenti trattamenti con
elevati rendimenti di chiarificazione) e la continua pulizia del sistema radiante;
- anche se inizialmente applicata preferibilmente alle piccole utenze, oggi è
diffusamente utilizzata anche in impianti di media e grande potenzialità;
- non introduce composti indesiderati nell'acqua, né ha sinora evidenziato pericoli
di formazione di sottoprodotti pericolosi per la salute;
- non modifica i caratteri organolettici dell'acqua;
- non fornisce alcun tipo di residuo, richiedendo quindi, come nel caso dell’ozono,
una clorazione di copertura.
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e) Raggi gamma: è ben noto che le radiazioni possono provocare irreparabili danni
di natura biologica; tra tutte le sorgenti di radiazione, quelle gamma sono le più
pericolose ed efficaci; esperienze nel campo della disinfezione, anche se a scala
sperimentale, hanno dato risultati molto significativi, utilizzando però sorgenti
molto potenti e quindi d'intrinseca pericolosità. Anche se in fase sperimentale,
sono allo studio applicazioni di sorgenti meno pericolose, quali ad esempio i raggi
beta.
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ESEMPIO N.1
Tema:
Svolgimento:
Dati di dimensionamento:
- portata massima di tempo secco Qmaxn
- portata massima di tempo di pioggia Qmaxp
- dose di cloro attivo D [mg/l]
- percentuale di cloro attivo nella soluzione di NaClO: 12% in volume
- percentuale di cloro attivo nella soluzione dosata: 3% in volume
Dimensionamento impianto:
- portata di cloro attivo: QCl = Qmaxp x D
- portata della soluzione commerciale di NaClO: QNaClO = QCl /0,12
- portata di NaClO da dosare: QNaClO = QCl /0,03
Esempio di calcolo:
- Qmaxp = 250 m3/ora
- dose D = 5 mg/l
- portata ponderale di cloro attivo da dosare: QCl = 250 x 5 = 1.250 g/ora
- portata di soluzione commerciale: QNaClO = 1.250 / (1000 x 0,12) = 10,42 l/ora
- portata pompa dosatrice: 10 -15 l/ora
- consumo mensile di NaClO: 10,42 x 24 x 30 / 1000 = 7,5 m3/mese
Quindi, adoperando un serbatoio di capacità di 10 m3, la frequenza di ricarica risulta pari a 10/7,5 =
1,3 mesi.
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Cap.8
1. RIMOZIONE DELL'AZOTO
1.1 Generalità
E' noto che l'azoto può causare inconvenienti di varia natura nei corpi
ricettori; tra di essi il più noto è l'eutrofizzazione dei corpi idrici a debole ricambio,
in cui peraltro è in genere il fosforo ad esercitare il ruolo di reale fattore limitante la
crescita algale. Altri problemi connessi alla presenza di azoto possono così
riassumersi:
- abbassamento del tenore di ossigeno disciolto nei ricettori, da collegarsi ai
consumi dovuti all'ossidazione batterica dell'azoto ammoniacale ad azoto
nitroso e nitrico;
- tossicità dell'azoto ammoniacale per la fauna ittica, quando esso sia presente in
forma di ammoniaca gas (NH3), per concentrazioni superiori a 0,01 mg/l di N-
NH3;
- limitazioni agli usi idropotabili per i rischi connessi alla presenza di nitrati nelle
acque di falda, che riducendosi a nitriti nell'apparato digerente e combinandosi
con l'emoglobina del sangue vi bloccano il meccanismo di trasporto
dell'ossigeno (cianosi infantile).
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1.2 Nitrificazione
e per il Nitrobacter:
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1.3 Denitrificazione
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2.1 Generalità
La rimozione del fosforo dalle acque reflue può essere condotta facendo
ricorso a trattamenti sia chimici, sia biologici.
I trattamenti chimici si basano su una reazione di precipitazione delle forme
disciolte di fosforo presente nel liquame realizzata per mezzo dell'aggiunta di sali
di ferro, di alluminio o di calce idrata.
Accanto alla reazione di precipitazione, agiscono anche meccanismi di
rimozione di tipo chimico-fisico, quali adsorbimento, coagulazione e flocculazione
con funzione integrativa della rimozione dovuta alla sola reazione di
precipitazione.
I trattamenti biologici fanno uso di ceppi batterici specifici, detti Poli-P (in
particolare l’Acinetobacter), che, se sottoposti in modo sequenziale alla
permanenza in ambienti anaerobici e successivamente aerobici (ciò è possibile
inndue reattori diversi posti inb serie, o in uno stesso reattore in due fasi temporali
successive) sono capaci di accumulare all’interno della cellula notevoli quantità di
fosfati, che quindi possono essere rimossi nella sedimentazione finale.
I trattamenti chimici sono tutt’oggi più frequenti, sia per la maggiore
semplicità dello schema d’impianto necessario, sia per i maggiori rendimenti di
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2.2 Pre-trattamento
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2.4 Post-trattamento
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Ingegneria sanitaria-ambientale
pag. 298
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Ingegneria sanitaria-ambientale
pag. 299
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Cap.9
1.1 Generalita'
U
PF = SS + PA = SS + PF
100
da cui
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SS ⎡ kg ⎤
PF = ⎢g⎥
U ⎣ ⎦
1−
100
SS ⎡ m3 ⎤
QF = ⎢ ⎥
⎛ U ⎞ ⎢⎣ g ⎥⎦
1000⎜ 1 − ⎟
⎝ 100 ⎠
Il peso specifico del fango può essere calcolato come quello di una miscela
eterogenea, costituita da acqua, solidi volatili (di natura organica) e solidi non
volatili (di natura inorganica); con buona approssimazione, si può stimare che il
peso specifico di un fango non disidratato sia pari a quello dell'acqua (1.000
kg/m3), mentre quello del fango già stabilizzato e disidratato raggiunga 1.150-
1.200 kg/m3.
Nella seguente tabella sono riportati i valori ricavabili per umidità,
percentuale di solidi volatili (valutata sui totali) e peso specifico dei fanghi, prima e
dopo le fasi di digestione e disidratazione:
1.4 Putrescibilità
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2. ISPESSIMENTO
2.1 Generalità
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QS = QF1 − QF2
ESEMPIO N.1
Un ispessitore è alimentato con una portata di fango di 100 m3/g, avente umidità del 99%;
calcolare la portata di fango ispessito e di surnatante, nell'ipotesi che nell'ispessitore si raggiunga
un'umidità del 96%.
Risulta:
VF1 = 100 m3/g U1 = 0,99 U2 = 0,96
da cui:
100 − U1 100 − 99 m3
QF2 = QF1 = 100 = 25
100 − U2 100 − 96 g
m3
QS = QF1 − QF2 = 100 − 25 = 75
g
I risultati dell'esempio evidenziano quindi la notevole riduzione della portata di fango ottenuta,
anche se a fronte di una modesta riduzione di umidità.
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SS ⎡ 2 ⎤
A= m
FSL ⎢⎣ ⎥⎦
V = QF × T ⎡m3 ⎤
⎢⎣ ⎥⎦
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3.1 Generalità
V = QF × T
QSSV
V=
CV
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I criteri empiri, prima citati, non tengono conto delle caratteristiche del fango
introdotto nei digestori, distinguendo soltanto tra fanghi attivi e fanghi misti.
Tuttavia la putrescibilità del fango, e quindi le sue esigenze di stabilizzazione,
dipendono dal tipo di trattamento biologico in cui esso si è prodotto. Così fanghi
provenienti da impianti ad ossidazione totale sono già stati stabilizzati nella vasca
a fanghi attivi, mentre fanghi da un trattamento ad alto carico risultano fortemente
putrescibili.
Per un corretto calcolo del digestore aerobico occorre pertanto considerare
il processo biologico nel suo insieme. Ciò è possibile quando la linea liquami
preveda un trattamento a fanghi attivi; è quanto avviene quasi sempre in impianti
dotati di digestore aerobico. Nella descrizione dei processi ad ossidazione totale,
si è già detto che un trattamento di aerazione può assicurare una sufficiente
stabilizzazione del fango se il carico del fango CF viene mantenuto abbastanza
basso e cioè se l'età del fango è abbastanza elevata.
Nel caso di impianti con digestione aerobica separata, le stesse condizioni
devono essere rispettate per l'insieme costituito dalla vasca a fanghi attivi e da
quella di stabilizzazione (digestore).
Pertanto, fissato il valore dell'età del fango compessivo, compatibile con il
grado di stabilizzazione voluto, si calcola l'età del fango corrispondente al tipo di
processo a fanghi attivi prescelto e si ottiene l'età del fango necessaria nel
digestore come differenza tra i due precedenti valori. Vale cioè:
con:
θdig età del fango nel digestore aerobico
θaer età del fango nel processo a fanghi attivi
θtot età del fango complessiva nei reattori biologici (fanghi attivi + digestione).
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(SS) dig
θ dig =
Δ SS dig Δ t
con:
(SS)dig sostanza secca presente nel digestore
Δ SSdig/Δ t sostanza secca estratta nell'unità di tempo con i fanghi digeriti
con:
ΔSNV/Δt portata ponderale di solidi non volatili, non modificata dalla digestione
del fango;
ΔSV/Δt portata ponderale di solidi volatili nel fango alimentato alla vasca, ridotta
a seguito della digestione del fango;
ΔSS/Δt portata ponderale di solidi totali alimentata alla vasca di digestione;
v rapporto tra solidi volatili e solidi totali nel fango non digerito;
r frazione di solidi volatili rimossa per effetto della digestione.
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Infine, il volume della vasca (o meglio dei fanghi presenti in vasca) può
essere valutato come rapporto tra il peso di fango Pf e il suo peso specifico γf; a
sua volta, il peso di fango in vasca può essere ricavato a partire da quello della
sostanza secca mediante la ben nota relazione che lega entrambe a mezzo
dell’umidità u del fango:
Vdig =
Pf
γf
=
(SS) dig
γ f (1 − u)
[m ]
3
ESEMPIO N.2
Problema:
Calcolare con il metodo dell'età del fango, il volume di digestione aerobica di un impianto a fanghi
attivi (senza sedimentazione primaria) in cui vengono alimentati 1320 kg BOD/giorno.
Sono noti:
- il carico del fango sulla linea liquami (CF = 0,25 kg BOD/kg SS x giorno)
- la produzione specifica di fango (Δ SS/ΔN = 0,88 kg SS/kg BOD abbattuto, in base alla 1)
- la frazione di solidi volatili sul secco in entrata al digestore (Δ SV/Δ SS = 0,7)
- la percentuale di solidi volatili eliminata con la digestione (100 r = 40%).Il contenuto di acqua
medio dei fanghi nel digestore (u = 0,98).
L'età del fango complessiva viene prestabilita in 22 giorni (rinunciando con ciò ad una buona
stabilizzazione in condizioni invernali).
Svolgimento:
Dal calcolo d dimensionamento del reattore a fanghi attivi, si ricava θaer = 5,1 giorni; di
conseguenza θdig = θtot - θaer = 22 - 5,1 = 16,9 giorni.
Δ SS Δ SS Δ N
= = 0,88 x 1320 = 1161 kg SS/giorno
Δt ΔN Δ t
Δ SNV Δ SS
= (1 − 0,7) = 348 kg SNV/giorno
Δt Δt
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Δ SV Δ SS Δ SNV
= − = 1161 − 348 = 813 kg SV/giorno
Δt Δt Δt
La quantità di solidi estratti giornalmente con il fango digerito risulta data dall’espressione:
Δ SS dig Δ SNV Δ SV Δ SS
= + (1 − r) = (1 − v ) + Δ SS v (1 − r) [kgSS/giorno]
Δt Δt Δt Δt Δt
cioè:
Δ SS dig
= 1161x[0,3 + 0,7x(1 − 0,40)] = 836 kgSS/giorno
Δt
la sostanza secca che deve essere mediamente presente nel digestore, al fine di garantire un'età
del fango in digestione di 14,9 giorni, è pari a:
Δ SS dig
(SS)dig = θ dig = 16,9 x 836 = 14.128 kgSS
Δt
Essendo l’umidità media dei fanghi nel digestore pari al 98%, il volume del digestore risulta (γf = 1
kg/dm3):
Pf (SS)dig 14.128
Vdig = = = = 706 m3
γ f γ f (1 − u) 1 x 1000 (1 − 0,98)
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ESEMPIO N.3
Problema:
Un digestore aerobico è alimentato con 1200 kg/giorno di solidi di cui il 70% volatili. La
concentrazione dei solidi è pari al 2%; la vasca è dotata di un sistema di aerazione superficiale,
funzionante 24/24 ore, che ne garantisce la completa miscelazione. Il tempo di permanenza dei
solidi è di 16 giorni e la temperatura di esercizio di 16 °C.
Calcolare:
a) la produzione giornaliera di solidi digeriti;
b) la potenza dei dispositivi di aerazione del digestore.
Svolgimento:
Ammettendo una riduzione di solidi volatili del 40% e una percentuale di solidi non volatili pari al
30% dei totali, che non vengono eliminati con la digestione; si ricava una quantità di solidi totali nel
fango digerito pari a:
Essendo la concentrazione di secco pari al 2% e ammettendo per il fango una densità unitaria, il
volume di fango presente nella vasca di digestione risulta:
SS 13.824
V= = 10 − 3 = 691 m3
1− u 1 − 0,98
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806 kWh
E= = 504
1,6 giorno
Infine, occorre verificare che la potenza così valutata sia sufficiente per garantire la completa
miscelazione della vasca; in particolare, per la concentrazione di solidi ipotizzata in vasca, è
necessaria una densità di energia (o potenza specifica) di 25 W/m3. Supposto che il rendimento
del gruppo motore-riduttore sia pari a 0,8, la potenza richiesta agli aeratori risulta quindi:
25 x 691
W2 = = 22 kW
0,8 x 1000
Segue quindi che la scelti degli aeratori deve essere eseguita in funzione di W2, risultando tale
valore di potenza superiore, seppur di poco, a quello W1.
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a b n a b n a b
C n Ha O b + (n − − ) H2 O ⎯⎯→ ( − + ) CO 2 + ( + − ) CH 4
4 2 2 8 4 2 8 4
L'avvio a regime della fase metanigena richiede tempi lunghi (anche alcuni
mesi), in quanto i batteri metanigeni sono presenti in numero molto limitato nei
fanghi freschi, per via della indisponibilità del substrato a loro necessario (acidi
organici) e dell'effetto tossico prodotto dalla presenza di ossigeno libero.
Ciò comporta pure che la velocità con cui procede la fase acida è
nettamente superiore a quella della fase metanigena; i bassi valori di pH che
vengono rapidamente ad instaurarsi per l'accumulo degli acidi volatili rallenta
ulteriormente lo sviluppo dei metanigeni (questi crescono in un campo ottimale di
pH compreso tra 6,8 e 7,5); tale effetto viene però tamponato dalla regressione
acida dovuta alla produzione di ammoniaca, che avviene subito dopo la fese
acida.
Per una digestione completa è pertanto necessaria la successione delle
diverse fasi, ciascuna strettamente necessaria al compimento di quella
successiva; tale considerazione sottolinea la particolare delicatezza del processo,
rispetto a quello che si sviluppa in condizioni aerobiche.
pag. 315
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Ingegneria sanitaria-ambientale
progressiva diminuzione del pH, che esalta lo squilibrio per via dell'effetto inibente
per la popolazione metanigena.
Essendo la velocità della fase metanigena comunque inferiore a quella della
fase acida, la prima costituisce il fattore limitante l'intero processo; questo può
quindi risultare squilibrato dall'introduzione di quantitativi giornalieri di fango fresco
superiori alla capacità di demolizione dei corrispondenti acidi volatili da parte dei
batteri metanigeni.
La messa a regime, e quindi il raggiungimento delle condizioni di equilibrio
prima descritte, richiede un periodo piuttosto lungo (anche 4-6 mesi); tale periodo
può abbreviarsi, qualora l'avviamento del digestore avvenga previo riempimento
dello stesso con fango già digerito, ricco quindi di batteri metanigeni, prelevato da
un altro digestore già in regolare esercizio.
E' noto che tutti i processi di natura biologica sono accelerati dall'aumento
della temperatura; nel caso della digestione anaerobica è possibile, oltre che
tecnicamente opportuno, aumentare artificialmente la temperatura di esercizio del
digestore, sfruttando il contenuto energetico del biogas prodotto.
Va ricordato che i batteri possono essere distinti in funzione dell'intervallo di
temperatura idoneo al loro sviluppo:
a) batteri psicrofili, con campo di attività tra 4 e 25 °C (valore ottimale 15-20 °C);
b) batteri mesofili, con campo di attività tra 10 e 40 °C (valore ottimale 35 °C);
c) batteri termofili, con campo di attività tra 45 e 70 °C (valore ottimale 55 °C).
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pag. 317
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Il calcolo del volume del digestore può essere eseguito con diversi criteri,
tutti di natura empirica:
a) fissando un tempo di detenzione di 30-60 giorni;
b) con un carico organico volumetrico di 0,5-1,0 kgSSV/m3xg;
c) con un volume specifico di 0,1-0,15 m3/ab. servito.
La variabilità dei parametri dipende ovviamente dalle temperature di
funzionamento del digestore, per cui i volumi maggiori sono adottati in
corrispondenza dei climi più freddi.
Il volume del digestore può essere ricavato fissando uno dei seguenti
parametri:
a) tempo di detenzione di 10-20 giorni;
b) carico organico volumetrico di 2-5 kgSSV/m3xg;
c) volume specifico di 0,05-0,12 m3/ab. servito.
Per confronto coi valori relativi alla digestione a basso carico, prima
descritta, si rileva che i volumi necessari in questo caso sono nettamente inferiori;
in effetti però anche in questo caso è opportuno mantenere sufficienti margini di
sicurezza nel dimensionamento, per i seguenti motivi:
- in un digestore monostadio occorre arrestare periodicamente i dispositivi di
miscelazione, al fine di consentire la separazione e l'eliminazione del surnatante
e l'ispessimento del fango;
- non è conveniente diminuire eccessivamente il volume di digestione, al fine di
poter disporre di una capacità di riserva con funzioni di accumulo dei fanghi a
monte dei sistemi di disidratazione naturale o artificiale, così da svincolare tali
processi da un'eccessiva rigidità di gestione.
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V = Qf x 175 10-0,03 T
con:
V volume del digestore (m3)
Qf portata giornaliera di fango fresco (m3/giorno)
T temperatura di digestione (°C).
ESEMPIO N.4
Problema:
Calcolare il volume di un digestore (in condizioni mesofile) per il trattamento dei fanghi primari di
un centro di 50.000 abitanti equivalenti nell'ipotesi di un'umidità iniziale u = 0,95. Si ammette un
apporto unitario di 62 g SS/ab x giorno, di cui 38 di SV.
Svolgimento:
La quantità giornaliera di solidi totali è di 65 x 50.000 x 10-3 = 3.250 kg/giorno di cui 38 x 50.000 x
10-3 =1900 di SV. La portata di fango è di 3.250 : (1 - 0,95) x 10-3 = 65 m3/giorno.
Assunto un carico di 2 kg SV/ab x giorno, ne deriva un volume del digestore di 1900 : 2 = 950
m3/giorno. Il corrispondente tempo di permanenza è di 950 : 65 = 14,6 giorni.
Tenuto conto delle limitate dimensioni dell'impianto è bene che il tempo di permanenza non
scenda sotto i 18 giorni. Di conseguenza il volume risulta di 1170 m3 con un carico di 1900 : 1170
= 1,62 kg SV/m3 x giorno (23,4 l/abitante).
ESEMPIO N.5
Problema:
Ripetere il calcolo precedente, nel caso di un impianto completo di fase biologica, in cui la
produzione specifica di sostanza secca sia di 97 g SS/ab x giorno e quello di sostanze volatili di 66
g SV/ab x giorno. L'umidità iniziale sia u = 0,96.
Svolgimento:
La quantità giornaliera di solidi totali è di 97 x 50.000 x 10-3 = 4.850 kg/giorno e quella di solidi
volatili di 3.300 kg SV/giorno. La portata è di 4.850 : (1-0,96) 10-3 = = 121 m3/giorno.
Assunto un carico di 1,5 kg SV/m3 x giorno, ne deriva un volume del digestore di 3.300 : 1,5 =
2.200 m3 (44 l/abitante). Il corrispondente tempo di permanenza è di 2.200 : 121 = 18,18 giorni.
pag. 319
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ESEMPIO N.6
Problema:
Ripetere il calcolo dei due precedenti esempi, utilizzando la formula di Pöpel per il calcolo del
volume del digestore. Si consideri una temperatura di digestione di 32 °C.
Svolgimento:
pag. 320
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Una valutazione più precisa dei quantitativi di gas che si producono con la
digestione anaerobica può essere condotta ricordando che il volume occupato in
condizioni normali da una grammomolecola di qualsiasi gas è pari a 22,415 litri.
Sia la molecola dell'anidride carbonica che quella del metano hanno un solo
atomo di carbonio (peso atomico 12); in entrambi i casi la grammomolecola
contiene quindi 12 g di C. Pertanto miscele di questi due gas, in qualsiasi rapporto,
presentano un volume di 22,415/12 = 1,866 litri di gas per grammo di C (o m3 di
gas/kg di C).
pag. 325
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CTOT = CC + CG + CS
con:
CTOT carbonio totale alimentato al di gestore
CC carbonio utilizzato per la sintesi cellulare dei batteri
CG carbonio gasificato
CS carbonio perso con l’acqua del fango in forma disciolta
cG = 1 - cC
con:
cG frazione di carbonio gasificato
cC frazione di carbonio utilizzato per la sintesi cellulare dei batteri
cC = 0,775 10-xT
con:
T temperatura di digestione in °C
x funzione del rapporto azoto/carbonio (No/Co) nel fango fresco
cG = 1 – cC = 1 - 0,775 x 10-xT
pag. 326
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gt = K1 (1-10-aRt) g
T [°C] R [giorni-1]
10 2,00
15 2,87
20 4,04
25 5,65
30 7,72
35 10,04
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ESEMPIO N.7
Problema:
Calcolare la quantità di biogas per abitante servito prodotto in un digestore monostadio, mantenuto
alla temperatura di 30 °C con un tempo di permanenza di 20 giorni, alimentato con solo fango
primario.
Si consideri un apporto di materiale sedimentabile di 40 gSV/ab x giorno, costituiti per il 56,7% da
carbonio.
Svolgimento:
Per un rendimento di sedimentazione del 90%, nei fanghi primari si ha una quantità di carbonio
pari a:
Per un rapporto No/Co = 0,102 il coefficiente x è pari a 0,0186 °C; i rimanenti parametri per il
calcolo di gt si pongono pari a:
K1 = 0,75
a = 0,0094
t = 20 giorni
R = 7,72 giorni-1
ESEMPIO N.8
Problema:
Calcolare la quantità per abitante servito del biogas prodotta in un di gestore monostadio
alimentato solo con fanghi secondari prodotti in un impianto e fanghi attivi alimentato con un carico
del fango CF = 0,30 kg BOD/kg SS x giorno, con un rendimento η=0,92. La temperatura di
esercizio del digestore è pari a 30 °C, con tempo di permanenza di 20 giorni.
Si ammette un apporto di BOD di 54 g/ab x giorno, di cui 19 sedimentabili con un rendimento di
sedimentazione primaria pari al 90%.
Svolgimento:
Nelle condizioni fissate si può considerare una produzione di fanghi di 0,9 kg SS/kg BOD rimosso.
Per una percentuale di solidi volatili del 70% e un contenuto di carbonio nella sostanza volatile del
55% la quantità di carbonio nei fanghi di supero risulta:
(54 - 0,9 x 19) x 0,92 x 0,9 x 0,70 x 0,55 = 11,76 g C/ab x giorno.
gt = 1,866 x 0,75 (1 - 0,775 + 10-0,0094 x 30) (1 - 10-0,0094 x 7,72 x 20) = 0,803 l/g di C
pag. 328
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Dal confronto con l'esempio 4, si osserva che in un impianto a fanghi attivi per liquami domestici il
gas prodotto della digestione dei fanghi secondari è circa la metà di quello prodotto dai fanghi
primari.
Il surnatante separato nel corso della digestione (detto "acqua del fango") è
fortemente inquinato, soprattutto nel caso di impianti dotati di fase biologica; in
esso si possono infatti raggiungere valori di solidi sospesi, COD e BOD di parecchi
g/l, oltre che forti concentrazioni di ammoniaca e fosfati.
Ovviamente, il surnatante deve essere ricircolato nella linea acque, al fine
di venire sottoposto a trattamento depurativo; la piccola portata che lo
contraddistingue consente di non tenerne conto in fase di dimensionamento delle
unità di tale linea. Il punto di immissione del surnatante nella linea acque va scelto
tenendo presente la sua elevata putrescibilità; per limitare i possibili cattivi odori è
spesso consigliabile che la sua immissione avvenga direttamente nelle fasi
biologiche, ove è assicurato l'apporto di ossigeno.
pag. 329
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pag. 330
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5.1 Generalità
pag. 331
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riferimento alla superficie specifica del letto, per abitante servito, e quello in
funzione del carico di sostanza secca applicato su base annua per unità di
superficie del letto (vedi Tab.3).
S TOT =
SS
CF
[m ] 2
VF
HTOT = [m]
S TOT
SS
VF =
1000(1 − u)
HTOT
N=
H
Pf SS
VD = = VA = Vf − Vd
γ f 1000(1 − u d )
pag. 332
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5.3.1 Filtropresse
5.3.2 Nastropresse
pag. 333
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5.3.4 Centrifughe
Nella seguente tabella sono riportatati valori tipici dell'umidità, del carico
specifico alimentabile e del consumo specifico, per ciascun tipo di macchina:
pag. 334
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(a)
(b)
(c)
pag. 335
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Fig.13 - Filtropressa
Fango condizionato
(a)
Fango Doccetta di lavaggio
Fango
disidratato
Polimeri
Filtrato
Acqua di lavaggio
(b)
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Intelaiatura interna
Tela filtrante
Indicatori di pressione
Doccette di lavaggio
Valvola di sfiato
Tamburo
Fango disidratato
Livello del fango Motore agitatore
Tramoggia Agitatore
Fig.16 - Centrifuga
pag. 337
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pag. 338
G. Viviani
Ingegneria sanitaria-ambientale
pag. 339
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Ingegneria sanitaria-ambientale
Bibliografia:
Eckenfelder W.W. jr. (1993) Tecnologie di trattamento dei reflui industriali. Ed.
Etaslibri.
pag. 340