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DIPARTIMENTO+INGEGNERIA+CIVILE+E+ARCHITETTURA+

UNIVERSITÀ+DEGLI+STUDI+DI+CATANIA+
+

Giuseppe Pezzinga

ELEMENTI DI
IDRAULICA NUMERICA

Catania 2015
INDICE

1. Introduzione
1.1 OSSERVAZIONE DIRETTA E MODELLAZIONE 1
1.2 MODELLI FISICI, MODELLI ANALOGICI E MODELLI MATEMATICI 1
1.3 ANALISI SPERIMENTALE E ANALISI TEORICA 2
1.4 INTERPRETAZIONE NUMERICA 2
1.5 EQUAZIONI IMPLICITE IN IDRAULICA 2
1.6 METODI ITERATIVI 3
1.7 VALORI DI PRIMO TENTATIVO 3

2. Elementi di calcolo numerico


2.1 EQUAZIONI NON LINEARI 4
2.1.1Metodi chiusi 4
2.1.1.1 Metodo di bisezione (o dicotomico) 4
2.1.1.2 Metodo della secante 4
2.1.2Metodi aperti 5
2.1.2.1 Problema del punto fisso 5
2.1.2.2 Metodo di Newton-Raphson 5
2.1.2.3 Metodo della secante 7
2.1.2.4 Metodo di Newton per i sistemi 8
2.1.2.5 Metodo di Newton generalizzato 10
2.2 SOLUZIONE DI SISTEMI LINEARI 10
2.2.1Metodo di Gauss 11
2.2.2Metodo di fattorizzazione triangolare 11
2.2.3Metodi iterativi 12
2.2.3.1 Metodo di Jacobi 13
2.2.3.2 Metodo di Seidel 13
2.2.3.3 Metodi di rilassamento 14
2.3 INTEGRAZIONE NUMERICA DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI 14
2.3.1Schemi numerici 15
2.3.1.1 Metodo di Eulero 16
2.3.1.2 Metodo di Heun 17
2.3.1.3 Metodo di Runge-Kutta 17
2.3.1.4 Metodo predictor-corrector 18
2.3.1.5 Schema di Runge-Kutta per sistemi di
equazioni differenziali 19

3. Moto permanente in reti di condotte in pressione


3.1 GENERALITÀ 21
3.2 METODO DI HARDY CROSS 22
3.2.1Verifica di una rete di condotte in pressione con il
metodo di Hardy Cross (esercitazione 1) 23
3.3 METODO NODALE 23
3.3.1Analisi dell'elemento 24
3.3.2Equazione della matrice elementare 24
3.3.3Tubazioni 25
3.3.4Pompe 26
3.3.5Valvole 27
3.3.6Assemblaggio della matrice globale 27
3.3.7Posizione delle condizioni al contorno 29
3.3.8Soluzione del sistema di equazioni 29
3.3.8.1 Analisi lineare 29
3.3.8.2 Metodo di Newton 29
3.3.9Coefficienti di rilassamento 30
3.4 VERIFICA DI UNA RETE DI CONDOTTE IN PRESSIONE CON IL
METODO NODALE (ESERCITAZIONE 2) 31

4. Progetto di reti di condotte in pressione


4.1 GENERALITÀ 35
4.2 DIMENSIONAMENTO DI RETI APERTE O AD ALBERO 36
4.2.1Costo di una condotta 36
4.2.2Dimensionamento di due condotte in serie (esercitazione 3) 37
4.2.3Sistema lineare nei dislivelli 38
4.2.4Programmazione lineare 39
4.2.2.1 Il metodo del simplesso e il metodo delle
penalità 40
4.2.2.2 La programmazione lineare e il problema di
progetto della rete 41
4.2.2.3 Esempio applicativo 42
4.3 DIMENSIONAMENTO DI RETI CHIUSE O A MAGLIE 45
4.3.1Progetto mediante programmazione non lineare 45
4.3.2Metodo semplificato 46
4.4 PROGETTO DI UNA RETE DI CONDOTTE IN PRESSIONE
(ESERCITAZIONE 4) 47

5. Correnti a superficie libera in moto permanente


5.1 GENERALITÀ 50
5.2 EQUAZIONE DEL MOTO 50
5.3 SCHEMI ALLE DIFFERENZE FINITE ESPLICITI E IMPLICITI 52
5.4 CONSISTENZA, STABILITÀ, CONVERGENZA, ACCURATEZZA 53
5.4.1Stabilità 53
5.4.1.1 Schema esplicito 53
5.4.1.2 Schema implicito 56
5.4.2Consistenza 57
5.4.2.1 Schema esplicito 57
5.4.2.2 Schema implicito 58
5.4.3Convergenza 59
5.4.4Accuratezza 59
5.5 INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI 60
5.5.1Alvei prismatici 60
5.4.2.1 Calcolo del profilo di corrente in un alveo
prismatico (esercitazione 5) 60
5.5.2Alvei naturali 61
5.5.3Alvei a sezione composta 61
5.6 IL PROGRAMMA HEC-RAS 63
5.7 CALCOLO DI UN PROFILO DI CORRENTE IN UN ALVEO NATURALE
(ESERCITAZIONE 6) 66
5.8 CORRENTI A PORTATA VARIABILE LUNGO IL PERCORSO 69
5.8.1Sfioratore laterale 70
5.9 DIMENSIONAMENTO DI UNO SFIORATORE LATERALE
(ESERCITAZIONE 7) 71

6. Correnti in pressione in moto vario


6.1 GENERALITÀ 73
6.2 OSCILLAZIONI DI MASSA 73
6.3 ESEMPI APPLICATIVI 74
6.3.1Moto vario nelle gallerie degli impianti idroelettrici 74
6.3.2Moto vario negli impianti di sollevamento muniti di
cassa d'aria 76
6.4 VERIFICA DI UN IMPIANTO DI SOLLEVAMENTO CON CASSA
D'ARIA. OSCILLAZIONI DI MASSA (ESERCITAZIONE 8) 77
6.5 MOTO VARIO ELASTICO 77
6.5.1Equazioni del moto 77
6.5.2Metodo delle caratteristiche 78
6.5.3Possibili schemi alle differenze finite 80
6.6 CONDIZIONI AL CONTORNO 84
6.6.1Condizioni iniziali 84
6.6.2Classificazione dei dispositivi d'estremità 84
6.6.3Esempi di condizioni ai limiti 85
6.6.3.1 Volano 86
6.6.3.2 Cassa d'aria 86
6.6.3.3 Cassa d'aria con strozzatura dissimmetrica 87
6.6.3.4 Pozzo piezometrico 87
6.6.3.5 Cassa d'acqua 92
6.6.3.6 Tronco elastico a parametri concentrati 92
6.6.3.7 Serbatoio 90
6.7 VERIFICA DI UN IMPIANTO DI SOLLEVAMENTO CON CASSA
D'ARIA. MOTO VARIO ELASTICO (ESERCITAZIONE 9) 92
6.8 CAVITAZIONE 93
6.8.1Cavitazione vaporosa 94
6.8.2Cavitazione gassosa 95
6.9 EQUAZIONI INDEFINITE PER TUBAZIONE VISCOELASTICA 96
6.10 LE EQUAZIONI DEL MOTO BIDIMENSIONALI IN COORDINATE
CILINDRICHE E I MODELLI QUASI BIDIMENSIONALI 100
6.11 I MODELLI UNIDIMENSIONALI NON STAZIONARI 106

7. Correnti a superficie libera in moto vario


7.1 GENERALITÀ 107
7.2 EQUAZIONI DEL MOTO 107
7.3 METODO DELLE CARATTERISTICHE 108
7.4 INTEGRAZIONE NUMERICA 109
7.5 SCHEMI ALLE DIFFERENZE FINITE 110
7.5.1Schemi espliciti 110
7.5.1.1 Schema di Lax 110
7.5.1.2 Criterio di stabilità di Courant 111
7.5.2Schemi impliciti 112
7.5.2.1 Schema di Preissman 112
7.5.3Schemi espliciti di secondo ordine 112
7.5.3.1 Schema di Mac Cormack 114
7.6 CROLLO DI DIGA 114
7.7 CALCOLO NUMERICO DELL'ONDA CONSEGUENTE AD UN
CROLLO DI DIGA (ESERCITAZIONE 10) 115
7.8 MODELLI BIDIMENSIONALI 117
7.9 SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI PER LE ONDE DI PIENA 119
7.9.1Modello cinematico 120
7.9.2Modello parabolico 121
7.9.3Schemi numerici 121
7.9.3.1 Modello cinematico 121
7.9.3.2 Modello parabolico 122
7.10 EQUAZIONE DEI SERBATOI 123
7.11 VERIFICA DI UN SERBATOIO DI LAMINAZIONE (ESERCITAZIONE 11) 125
8. Fenomeni di filtrazione e dispersione negli acquiferi
8.1 GENERALITÀ 127
8.2 I FENOMENI DI FILTRAZIONE 128
8.3 EQUAZIONI DELLA FILTRAZIONE 128
8.4 IL METODO DELLE DIFFERENZE FINITE PER I PROBLEMI DI
FILTRAZIONE 131
8.4.1Acquifero isotropo e confinato 131
8.4.2Moto permanente 131
8.4.3Calcolo della filtrazione in un acquifero isotropo
confinato omogeneo (esercitazione 12) 133
8.4.4Moto vario 133
8.4.4.1 Schema esplicito 134
8.4.4.2 Schema implicito 135
8.4.5Estensione agli altri tipi di acquifero 136
8.4.5.1 Acquifero non isotropo 136
8.4.5.2 Acquifero freatico 137
8.5 TRASPORTO DI SOSTANZE IN FALDE ACQUIFERE 138
8.6 EQUAZIONI DELLA DISPERSIONE 139
8.7 IL METODO DELLE DIFFERENZE FINITE PER I PROBLEMI DI
DISPERSIONE 144

Bibliografia 147
Elementi di Idraulica Numerica 1

1. INTRODUZIONE

1.1 Osservazione diretta e modellazione

L'ingegnere deve interpretare correttamente i fenomeni fisici a fini di progetto di


nuove opere, o per verificare impianti esistenti in seguito a variazioni dei para-
metri di progetto o per risolvere problemi di cattivo funzionamento degli im-
pianti stessi.
Il metodo più corretto di conoscenza dei problemi è l'osservazione diretta dei fe-
nomeni e la misura delle grandezze fisiche che li descrivono. Purtroppo solo ra-
ramente si può ricorrere all'osservazione diretta. Infatti, anche nel caso della ve-
rifica del funzionamento di opere esistenti, spesso non si può osservare diretta-
mente l'evento da sottoporre ad indagine, o perché è un evento naturale sul quale
non si può influire, oppure perché i suoi prevedibili effetti sull'opera sarebbero
distruttivi. Da qui discende l'importanza della modellazione dei fenomeni.

1.2 Modelli fisici, modelli analogici e modelli matematici

I modelli sono solitamente classificati in tre categorie: si distinguono infatti mo-


delli fisici, modelli analogici e modelli matematici.
I modelli fisici sono modelli che riproducono l'opera o l'impianto da studiare con
una riduzione della scala geometrica. Il fenomeno osservato nel modello viene
ricondotto al funzionamento reale sulla base delle leggi dell'analisi dimensionale
e della similitudine. Il modello fisico ha il pregio di riprodurre con buona accu-
ratezza fenomeni complessi. La complessità può essere dovuta alla geometria o
alla complessità del campo di moto o del fluido, come nei moti bifase. Il difetto
principale dei modelli fisici è quello di adattarsi solo ad una particolare geome-
tria e di essere quindi costosi.
I modelli analogici (che potrebbero essere considerati una particolare categoria
di modelli fisici, in quanto richiedono misure di grandezze fisiche di laboratorio)
si basano su un'analogia formale tra le leggi che descrivono il fenomeno d'inte-
resse e le leggi del fenomeno che viene riprodotto nel modello (es.: modelli elet-
trici di reti idrauliche). Presentano gli stessi difetti dei modelli fisici e vengono
realizzati solo per motivi di interesse scientifico.
I modelli matematici si basano invece sulla risoluzione matematica delle equa-
zioni che descrivono i fenomeni. Le equazioni possono essere teoriche, empiri-
che o di entrambi i tipi. Possono essere espresse in termini differenziali o finiti.
In senso stretto si intende per modello matematico o numerico una serie di ope-
razioni fatte al calcolatore per risolvere le equazioni che descrivono il fenomeno
secondo certe regole, che costituiscono l'algoritmo di calcolo. Il pregio dei mo-
2 G. Pezzinga

delli matematici è che possono seguire geometrie diverse semplicemente cam-


biando i dati di ingresso; il difetto è che risultano insufficienti o comunque meno
accurati dei modelli fisici nella riproduzione di alcuni fenomeni.

1.3 Analisi sperimentale e analisi teorica

La definizione delle leggi che definiscono un certo fenomeno fisico è sempre


effettuata sulla base dell'analisi sperimentale, accompagnata dall'analisi teorica
per interpretare il fenomeno e generalizzare i risultati.
Una volta definite le equazioni che descrivono il fenomeno, se esiste una solu-
zione analitica si ricorre a questa, altrimenti si è costretti a ricorrere all'analisi
numerica.

1.4 Interpretazione numerica

L'interpretazione numerica è necessaria perché nei problemi tecnici dell'idraulica


i fenomeni che hanno una soluzione analitica sono molto pochi. In particolare
solitamente la presenza delle resistenze rende non integrabili analiticamente le
equazioni. In molti casi allora per ottenere la soluzione analitica si è costretti a
ricorrere a semplificazioni che comportano l'introduzione di una certa approssi-
mazione nei calcoli. Per effettuare calcoli più accurati si ricorre allora alla riso-
luzione numerica delle equazioni.
Normalmente le equazioni che descrivono i fenomeni fisici sono equazioni dif-
ferenziali e sono risolte attraverso una discretizzazione. Il modello matematico o
numerico comprende sia le equazioni che lo schema numerico adottato per ri-
solverle. Anche in equazioni espresse in termini finiti tuttavia a volte si è co-
stretti a ricorrere alla risoluzione numerica a causa del fatto che la variabile
compare nelle equazioni stesse in forma implicita.

1.5 Equazioni implicite in idraulica

Le equazioni implicite in idraulica sono molto diffuse. Tra queste possiamo ri-
cordare l'equazione di Colebrook-White, che esprime il legame esistente in moto
turbolento tra l'indice di resistenza, il numero di Reynolds e la scabrezza rela-
tiva.
Un'altra equazione implicita è quella che esprime il legame tra energia e altezza
in una corrente a pelo libero. Tale equazione è riconducibile solo se la sezione è
rettangolare ad una cubica, che ammette soluzione analitica, ma anche in questo
Elementi di Idraulica Numerica 3

caso, se si cerca l'altezza corrispondente ad una data energia, è più semplice ri-
correre ad una soluzione numerica.
Ancora un'equazione implicita si ha ad esempio per definire il legame esistente
in moto uniforme tra l'altezza e la portata in una corrente a pelo libero.

1.6 Metodi iterativi

Quando non esiste la soluzione diretta dell'equazione o quando risulta laboriosa


si ricorre ad un metodo iterativo. In questi metodi da un valore di primo tenta-
tivo si trova la soluzione finale seguendo certe regole dipendenti dal metodo
scelto. Normalmente, più il valore di primo tentativo è vicino alla soluzione fi-
nale, più rapidamente questa viene raggiunta. Mentre per l'applicazione dei me-
todi iterativi bisogna conoscere l'analisi numerica, per scegliere nella maniera
migliore i valori di primo tentativo bisogna conoscere l'idraulica.

1.7 Valori di primo tentativo

Vediamo come la conoscenza dell'idraulica ci aiuta per determinare i valori di


primo tentativo nelle equazioni appena viste.
Nella formula di Colebrook un buon valore di primo tentativo è dato dal valore
dell'indice di resistenza valevole per il moto puramente turbolento. In molti altri
fenomeni in cui interviene la turbolenza e c'è una dipendenza dal numero di
Reynolds occorre una risoluzione iterativa del problema (anche per via grafica),
come per esempio nel calcolo dei coefficienti di efflusso di uno strumento misu-
ratore di portata.
Nell'equazione dell'energia in una corrente a pelo libero per avere un'indicazione
sul valore di primo tentativo bisogna esaminare la situazione particolare. Per
esempio nell'efflusso sotto una paratoia, se cerchiamo il tirante a monte, siccome
sappiamo che la corrente è lenta possiamo trascurare in prima approssimazione
il termine cinetico.
Nell'equazione del moto uniforme, per esempio possiamo partire dal valore del-
l'altezza che si ha in una sezione rettangolare molto larga.
4 G. Pezzinga

2. ELEMENTI DI CALCOLO NUMERICO

2.1 Equazioni non lineari

Consideriamo un'equazione f(x)=0, dove f(x) è una funzione algebrica o tra-


scendente. La funzione algebrica è espressa tramite polinomi. La funzione tra-
scendente attraverso combinazioni di funzioni esponenziali, logaritmiche, trigo-
nometriche, ecc. La funzione inoltre in generale può essere di variabile reale o
complessa. La radice di f(x) sarà ξ se f(ξ)=0. In termini numerici però ci accon-
tenteremo che sia |f(x)|<ε, oppure |x-ξ|<ε. In questo caso diremo che ξ è uno zero
della funzione.
Esistono metodi per valutare tutte le radici reali e complesse di una funzione
polinomiale e metodi per valutare la singola radice sulla base della conoscenza
approssimata del valore stesso.
In ingegneria ed in particolare in idraulica si usano i metodi del secondo tipo,
perché di solito esiste una sola radice significativa e si conosce di solito un cri-
terio per farne una valutazione approssimata, come abbiamo già visto.
I metodi che si usano sono metodi iterativi. Partono dalla valutazione del valore
iniziale. Indicano l'insieme di regole da seguire per calcolare i successivi valori
della serie dei valori approssimati fin quando non viene superato un test di con-
vergenza. E' opportuno di solito fissare anche un numero massimo di iterazioni.
I metodi possono essere distinti in due categorie: metodi chiusi e metodi aperti.

2.1.1 METODI CHIUSI

2.1.1.1 Metodo di bisezione (dicotomico)

E' il tipico metodo chiuso. Si basa sulla conoscenza di due valori di x in cui la
funzione assume un valore positivo e un valore negativo. Per questo il metodo è
detto chiuso. Il valore stimato è quello che divide in due l'intervallo. Si procede
poi sull'intervallo metà agli estremi del quale la funzione assume segni opposti,
fin quando viene superato il test di convergenza.

2.1.1.2 Metodo della secante

Un miglioramente della stima si può ottenere tenendo conto dei valori agli
estremi dell’intervallo utilizzando l’equazione:
Elementi di Idraulica Numerica 5

f (xnd )xns − f (xns )xnd


xn+1 =
f (xnd ) − f (xns )

2.1.2 METODI APERTI

2.1.2.1 Problema del punto fisso

Consideriamo l'equazione x=g(x). Se è soddisfatta per x=ξ, si dice che ξ è un


punto fisso di g(x). Per trovare il punto fisso ci si basa sulla successione:
x1=g(x0), x2=g(x1), ..., xn=g(xn-1).
Si possono determinare le condizioni di convergenza esaminando come l'errore
nella soluzione ad un certo passo dello schema iterativo dipenda dall'errore al
passo precedente. Nel caso dello schema appena illustrato per la convergenza
occorre che sia |g'(x)|<1.
Ci sono quattro possibili tipi di comportamento: convergenza monotona, con-
vergenza oscillante, divergenza monotona, divergenza oscillante.

2.1.2.2 Metodo di Newton-Raphson

Supponiamo di avere un valore approssimato xn e di volerlo migliorare in modo


tale che sia f(xn+h)=0. Sviluppando la funzione in serie di Taylor arrestata al
primo termine si ha:

f (xn+h) ≅ f(xn) + h f'(xn) = 0 ,

da cui si ottiene:

f (x n )
h=- .
f '(x n )

Lo schema è quindi il seguente:


€ f (x n )
xn = xn-1 - .
f '(x n )


6 G. Pezzinga

Fig. 2.1 – Metodo del punto fisso (Gambolati, 1988)

Osservando che tale formula può essere interpretata come un caso particolare
dello schema del punto fisso applicato alla funzione:

f (x)
g(x) = x - ,
f '(x)

ne risulta facilmente che la condizione di convergenza è che risulti:


€ f (x) f "(x)
|g'(x)| = 2
< 1.
[ f '(x)]


Elementi di Idraulica Numerica 7

Fig. 2.2 – Metodo di Newton-Raphson (Gambolati, 1988)

Tale condizione di solito è verificata per continuità nell'intorno della soluzione


perché in corrispondenza alla soluzione è f(x)=0, tranne che f'(x) sia uguale a
zero.
La convergenza dello schema di Newton è quadratica, cioè l'errore ad una certa
iterazione è dell'ordine del quadrato dell'errore all'iterazione precedente.
Una modifica del metodo di Newton si ha attraverso l'introduzione di un molti-
plicatore della correzione ω detto fattore di rilassamento. Serve ad accelerare la
convergenza o ad ottenerla anche in condizioni difficili, come per esempio vi-
cino ai flessi. Il fattore di rilassamento ω deve essere compreso tra 0 e 2.

2.1.2.3 Metodo della secante

Si può calcolare la derivata anche in base ai valori della funzione in due punti
vicini, cioè come rapporto incrementale. Questo dà luogo al cosiddetto metodo
8 G. Pezzinga

della secante. Il principale vantaggio di tale metodo è che non c'è bisogno di cal-
colare la derivata in maniera analitica.

2.1.2.4 Metodo di Newton per i sistemi

In generale si può avere un sistema di equazioni non lineari da risolvere:

f1 (x1, x2, ..., xn) = 0 ,


f2 (x1, x2, ..., xn) = 0 ,
...
fn (x1, x2, ..., xn) = 0 .

Fig. 2.3 – Metodo della tangente fissa e della secante (Gambolati, 1988)

Volendo migliorare la predizione a partire da un insieme approssimato di valori


x1, x2, ..., xn, si possono sviluppare in serie di Taylor le funzioni, arrestando lo
sviluppo al primo termine:
Elementi di Idraulica Numerica 9

∂f1 ∂f
f1(x1+Δx1, ..., xn+Δxn) ≅ f1(x1, ..., xn) + Δx1 + ... + Δxn 1 = 0 ,
∂x1 ∂x n
...
∂f ∂f
fn(x1+Δx1, ..., xn+Δxn) ≅ fn(x1, ..., xn) + Δx1 ∂xn + ... + Δxn n = 0 .
1 ∂x n
€ €
Si vede quindi che bisogna risolvere il sistema scritto in notazione matriciale:
€ €
Fj Δx = - F,

essendo Fj lo jacobiano, cioè la matrice delle derivate. Il vettore Δx natural-


mente va sommato al vettore dei valori approssimati x. Si può utilizzare anche in
questo caso un fattore di rilassamento.

Fig. 2.4 – Convergenza di diversi metodi (Gambolati, 1988)


10 G. Pezzinga

2.1.2.5 Metodo di Newton generalizzato

Per l'applicazione del metodo esposto si richiede però la risoluzione del sistema
lineare. Se non si vuole risolvere il sistema si può ricorrere alla sequenza:

x1(k+1) = x1(k) - ω
(
f1 x1 (k ) , x 2 (k ) ,..., x n (k ) ),
∂f ( x
1 1
(k )
)
, x 2 (k ) ,..., x n (k )
∂x1

x2(k+1) = x2(k) - ω
(
f 2 x1 (k +1) , x 2 (k ) ,..., x n (k )
,
)
€ ∂f 2 x1 (
(k +1) (k )
, x 2 ,..., x n (k )
)
∂x 2
...

xn(k+1) =€xn(k) - ω
(
f n x1 (k +1) , x 2 (k +1) ,..., x n−1 (k +1) , x n (k ) ).
∂f ( x
n 1
(k +1)
)
, x 2 (k +1) ,..., x n−1 (k +1) , x n (k )
∂x n

in cui è anche considerata l'utilizzazione di un fattore di rilassamento ω. In que-


sta sequenza l'indice k si riferisce all'iterazione. Si ricorre quindi ad un'iterazione
di Newton locale, tenendo € conto, nel calcolare una correzione, dei valori più
aggiornati delle altre variabili.

2.2 Soluzione di sistemi lineari

Abbiamo visto che l'applicazione del metodo di Newton per i sistemi di equa-
zioni non lineari porta alla scrittura di un sistema di equazioni lineari. Anche
dalla scrittura in forma discretizzata di equazioni differenziali nasce la necessità
di risolvere sistemi di equazioni lineari. Vedremo quindi alcuni metodi per la
soluzione di sistemi lineari.
Supponiamo di avere un sistema di n equazioni in n incognite, rappresentato in
notazione matriciale dalla scrittura Ax=b. Supponiamo inoltre che det(A)≠0. Per
risolvere il sistema si potrebbe applicare la regola di Cramer, che però quando n
cresce diventa praticamente inapplicabile. Il numero delle operazioni necessarie
è infatti dell'ordine di (n-1)(n+1)!.
Elementi di Idraulica Numerica 11

Esistono per la soluzione metodi diretti e metodi iterativi. Tra i metodi diretti
vedremo il metodo di Gauss e il metodo di fattorizzazione triangolare (che per
matrici simmetriche si chiama metodo di Cholesky). Tra i metodi iterativi ve-
dremo i metodi di Seidel, di Jacobi, di rilassamento.

2.2.1 METODO DI GAUSS

Per risolvere il sistema con il metodo di Gauss, si divide inizialmente la prima


equazione per a11, si moltiplica rispettivamente per a21, a31, ..., an1 e si sottrae ri-
spettivamente alla seconda, terza, ..., n-esima equazione. Fatta questa opera-
zione, alle righe che non siano la prima mancherà il coefficiente ai1, mentre nella
prima sarà a11=1.
Si ripete l'operazione partendo dalla seconda riga; questa si divide per a22, e si
moltiplica rispettivamente per a32, ..., an2, sottraendola dalla terza, ..., n-esima
equazione. Così dalla terza equazione in poi abbiamo eliminato i coefficienti ai2.
Si arriva in definitiva ad una forma del tipo Ux=c, dove U è una matrice triango-
lare alta. Fatto questo, è facile trovare le incognite con un processo di sostitu-
zione alla rovescia, a partire da xn fino a x1.
L'elemento per cui si divide ogni singola riga si chiama elemento pivotale. Se
uno di questi diventa nullo, la corrispondente equazione deve essere permutata
con una di quelle che seguono. In pratica le cose vanno male anche se l'elemento
pivotale risulta piccolo, fatto che può causare grandi errori numerici. Si può al-
lora applicare il metodo di Gauss con la scelta del pivot massimo.

2.2.2 METODO DI FATTORIZZAZIONE TRIANGOLARE

Il metodo di fattorizzazione triangolare si basa su un teorema che afferma che se


i minori della matrice A che cominciano con a11 sono non nulli, la matrice può
essere decomposta nel prodotto LU, dove L è triangolare bassa e U è triangolare
alta con coefficienti diagonali pari a 1. Facendo il prodotto righe per colonne LU
si verifica che i coefficienti di L e U sono dati dalle formule seguenti:
k−1
lik = aik - ∑l im u mk i=1,2,...,n; k=1,2,...,i
m=1

1 $ '
k−1

€ l kk %

ukj = & a kj − l km umj ))
& k=1,2,...,n-1; j=k+1,...,n
m=1 (


12 G. Pezzinga

Bisogna calcolare nell'ordine: la prima riga di L, la prima riga di U, la seconda


riga di L, la seconda riga di U, ecc. Posto Ux=y, si ottiene Ly=b. Si ottiene
quindi prima y e poi x.
Anche in questo caso l'accuratezza della soluzione può migliorare con opportune
permutazioni di righe e colonne.
Se A è simmetrica si può scrivere A=LLT, essendo LT la matrice trasposta di L.
Le regole per trovare i coefficienti di L sono le seguenti:

ai1
l11 = a11 ; li1 = i=2,...,n;
l11

$ j−1 '1/ 2
€ ∑ 2
ljj = && a jj − l jk ))
€(
j=2,...,n;
% k=1

1$ '
j−1

€ l jj %

lij = && aij − lik l jk )) j=2,...,n; i=j+1,...,n
k=1 (

Il metodo di fattorizzazione triangolare è detto di Crout-Banachiewicz se la


matrice è non simmetrica e di Cholesky se la matrice è simmetrica.

2.2.3 METODI ITERATIVI

Le matrici possono essere distinte in due tipi: matrici dense e sparse. Mentre per
le matrici dense sono più indicati i metodi diretti come quelli appena visti, per le
matrici sparse sono più indicati i metodi iterativi.
I metodi iterativi partono da un valore di primo tentativo e convergono alla so-
luzione attraverso una serie di regole dipendenti dal metodo stesso.
Un'iterazione di grado m è un'equazione nella forma:

xk+1 = Fk (A, b, xk, xk-1, ..., xk-m+1)

L'iterazione è detta stazionaria se F non dipende da k ed è lineare se F è una fun-


zione lineare. Tra queste vedremo le iterazioni di Jacobi, di Seidel, di rilassa-
mento.
Possiamo scrivere A=L+D+U, essendo L e U rispettivamente la parte triango-
lare bassa e alta di A senza la diagonale principale, e D la matrice diagonale con
i coefficienti diagonali di A.
Elementi di Idraulica Numerica 13

2.2.3.1 Metodo di Jacobi

Per definire l'iterazione di Jacobi scriviamo il sistema nella forma


Dx+(L+U)x=b. L'iterazione è definita dallo schema Dxk+1+(L+U)xk=b, e scritta
in forma canonica è la seguente:

xk+1 = - D-1 (L+U) xk + D-1 b.

2.2.3.2 Metodo di Seidel

Per ricavare l'iterazione di Seidel scriviamo il sistema nella forma


(L+D)x+Ux=b. L'iterazione è definita dallo schema (L+D)xk+1+Uxk=b, e scritta
in forma canonica:

xk+1 = - (L+D)-1 U xk + (L+D)-1 b.

Confrontando l'iterazione di Seidel scritta nella forma:

xk+1 = - D-1 (Lxk+1 +Uxk) + D-1 b,

con quella di Jacobi, si vede che nell'iterazione di Jacobi contribuiscono a for-


nire l'iterata k+1 solo valori all'iterata k, mentre nell'iterazione di Seidel contri-
buiscono a fornire l'iterata k+1 valori all'iterata k+1 stessa. Questa osservazione
suggerisce che se i metodi convergono entrambi quello di Seidel converge più
rapidamente.
Esistono teoremi che forniscono le condizioni per la convergenza dei due me-
todi. Vedere se tali condizioni sono soddisfatte comporta però una serie di cal-
coli laboriosi. Una condizione sufficiente di convergenza fornisce un criterio
pratico di semplice impiego. Si dimostra che se la matrice è diagonalmente do-
minante, allora le iterazioni di Jacobi e di Seidel convergono. Perché la matrice
sia diagonalmente dominante occorre che si abbia:

n ( j≠i )

∑a ij ≤ aii
j=1

con almeno una riga in cui valga strettamente il segno di minore.



14 G. Pezzinga

2.2.3.3 Metodi di rilassamento

Seguendo la stessa impostazione usata in precedenza, scritto il sistema nella


forma Dx=Dx-ω(L+D+U)x+ωb, con ω parametro numerico arbitrario, rica-
viamo l'iterazione di rilassamento (ωL+D)xk+1=[(1-ω)D-ωU]xk+ωb. Per con-
frontarla con le altre iterazioni è opportuno scriverla nella forma:

xk+1 = xk + ω [- D-1 (Lxk+1 +Uxk) + D-1 b - xk].

Questa vuol dire che la correzione apportata dal metodo di Seidel viene rilassata
per il fattore ω. C’è un’analogia con il fattore di rilassamento del metodo di
Newton generalizzato. Si dimostra che per ω≥2 e per ω≤0 il metodo di rilas-
samento non converge. L'esperienza mostra che se 0<ω<2 e A è diagonalmente
dominante di norma il metodo converge. Esistono criteri più precisi di conver-
genza per matrici con proprietà particolari. Il metodo si chiama di sovrarilas-
samento se ω>1, di sottorilassamento se ω<1. Per ω=1 si ha l'iterazione di
Seidel. Il sovrarilassamento è un acceleratore della convergenza, il sottorilas-
samento un freno. Il sottorilassamento è però indicato quando il sistema da ri-
solvere è non lineare e viene linearizzato.

2.3 Integrazione numerica di equazioni differenziali

L'interpretazione teorica di un fenomeno fisico conduce spesso alla scrittura di


una o più equazioni differenziali. Esaminiamo prima il caso delle equazioni dif-
ferenziali ordinarie, in cui c'è una variabile dipendente y e una variabile indi-
pendente x, mentre se le variabili indipendenti sono più d'una si ha l'equazione
differenziale alle derivate parziali.
Un'equazione differenziale ordinaria può essere messa in generale nella forma:

F(x, y, y', y", ..., y(n)) = 0

Le equazioni possono essere classificate in base al loro ordine e grado. L'ordine


è il massimo ordine delle derivate della variabile y. Posta l'equazione sotto forma
di polinomio della y e delle sue derivate, il grado è l’esponente della derivata di
ordine massimo.
L'equazione si scrive di solito nella forma canonica:

y(n) = f(x, y, y', y", ..., y(n-1))


Elementi di Idraulica Numerica 15

Risolvere l'equazione differenziale vuol dire trovare le funzioni di x che soddi-


sfano l'equazione stessa. La funzione Φ(x) definita all'interno dell'intervallo di
definizione della x, derivabile fino all'ordine n, è una soluzione se si ha:

Φ(n) = f(x, Φ, Φ', Φ", ..., Φ(n-1))

La soluzione naturalmente contiene n costanti arbitrarie, da determinare con n


condizioni supplementari.
Le condizioni supplementari si distinguono in condizioni iniziali e condizioni al
contorno. In un problema ai valori iniziali le condizioni sono date tutte in corri-
spondenza a un unico punto. In un problema ai valori al contorno le condizioni
sono date in più punti.

2.3.1 SCHEMI NUMERICI

Alcune equazioni differenziali sono integrabili analiticamente. Della maggior


parte non si conosce invece un integrale generale e si ricorre quindi all'integra-
zione numerica. Nell'integrazione numerica di equazioni differenziali si sostitui-
scono alle derivate approssimazioni numeriche di queste, ottenute utilizzando i
valori della funzione in un numero finito di punti dell'intervallo di definizione.
La distanza tra due punti vicini si chiama passo o intervallo d'integrazione. Si
chiama errore di troncamento l'errore dovuto al fatto che la derivata viene ap-
prossimata non con una serie infinita ma con una serie troncata. In base al modo
in cui vengono calcolate le derivate si hanno vari schemi (o metodi) numerici.
Le proprietà che qualificano uno schema numerico sono: la stabilità, la consi-
stenza, la convergenza, l'accuratezza.
La stabilità riguarda l'entità degli errori al procedere del calcolo. In particolare
interessa come l'errore commesso ad un certo passo dipenda dall'errore al passo
precedente. Perché lo schema sia stabile occorre che l'errore non si amplifichi.
Se al tendere del passo d'integrazione h a zero l'equazione algebrica discreta
tende all'equazione differenziale lo schema si dice consistente. L'ordine della
consistenza quantifica la differenza tra equazione algebrica discreta che appros-
sima l'equazione differenziale e l'equazione differenziale originaria. È misurata
dall'errore di troncamento causato dall'introduzione del rapporto incrementale al
posto della derivata. La potenza secondo h del primo termine trascurato dà la
consistenza.
Uno schema consistente e stabile si dice convergente, perché al tendere di h a
zero la soluzione numerica tende a quella vera.
L'accuratezza di uno schema riguarda la differenza tra la soluzione approssimata
e quella vera. Non può essere valutata a priori ma solo per confronto con la so-
16 G. Pezzinga

luzione analitica valevole per casi semplici. Naturalmente uno schema con con-
sistenza di ordine superiore è più accurato.
Esamineremo le proprietà di alcuni schemi numerici per alcuni problemi partico-
lari, come l'integrazione dei profili di moto permanente di una corrente a pelo li-
bero.
Gli schemi numerici per la soluzione di equazioni differenziali possono essere
suddivisi in schemi espliciti e impliciti. Nei primi la formula risolutiva è del
tipo:

yn+1 = yn + h [a0f(xn,yn) + a1f(xn-1,yn-1) + ... + aif(xn-i,yn-i)]

mentre nei secondi è del tipo:

yn+1 = yn + h [b0f(xn+1,yn+1) + b1f(xn,yn) + ... + bi+1f(xn-i,yn-i)].

I metodi impliciti sono più laboriosi dei metodi espliciti ma in generale più ac-
curati e più stabili.
Gli schemi numerici possono essere anche distinti in metodi a passo singolo
(onestep) e a passo multiplo (multistep). Nei primi il valore di yn+1 è determinato
solo in base al valore di yn, nei secondi il valore di yn+1 viene determinato in
base ai valori in più passi precedenti.

2.3.1.1 Metodo di Eulero

Lo schema suggerito da Eulero è scarsamente applicato perché poco accurato e


viene illustrato solo per ragioni storiche. Supponiamo di avere un'equazione dif-
ferenziale del primo ordine scritta in forma canonica:

y' = f(x,y)

con la condizione:

y=y0 per x=x0.

Lo schema di Eulero consiste nell'approssimare la derivata con uno sviluppo ar-


restato al primo ordine e calcolandola nell'estremo sinistro del passo d'integra-
zione:

yn+1 = yn + h f(xn,yn)
Elementi di Idraulica Numerica 17

Lo schema di Eulero è esplicito e presenta il pericolo di instabilità, per cui oc-


corre ricorrere a passi d'integrazione molto piccoli.

2.3.1.2 Metodo di Heun

Un miglioramento del metodo di Eulero si ha mediando la derivata tra il punto


iniziale e il punto finale dell'intervallo. Lo schema che si ottiene è il seguente:

h
yn+1 = yn + [f{xn,yn} + f{xn+h,yn+h f(xn,yn)}]
2

Questo metodo è del secondo ordine, ed è quindi più accurato del metodo di
Eulero. Viene anche detto metodo di Eulero migliorato.
Un altro metodo di€ secondo ordine, detto metodo di Eulero modificato, consi-
dera la pendenza nell'intervallo h pari alla pendenza nel suo punto medio. Lo
schema è definito dall'espressione:

yn+1 = yn + h f[xn+h/2,yn + h/2 f(xn,yn)]

2.3.1.3 Metodo di Runge-Kutta

Gli schemi del tipo di Runge-Kutta sono tra i metodi più usati perché sono rela-
tivamente stabili e precisi. Ne esistono di vari tipi, tutti riconducibili alla forma
generale:

yn+1 = yn + h (a1K1 + a2K2 + ... + anKn)

La funzione tra parentesi è detta funzione incremento e rappresenta la pendenza


media della curva nell'intervallo. Si può vedere che il metodo di Eulero è ricon-
ducibile ad un metodo di Runge-Kutta del primo ordine e il metodo di Heun ad
un metodo di Runge-Kutta del secondo ordine. Dal terzo ordine in su si chia-
mano schemi di Runge-Kutta, e si differenziano in base al numero di punti con-
siderati all'interno dell'intervallo per stimare la pendenza ed al peso che viene
assegnato ad ognuno di questi punti.
E' molto diffuso ad esempio il metodo di Runge-Kutta del quarto ordine che è
definito dalle seguenti espressioni:

a1 = a4 = 1/6 , a2 = a3 = 1/3 ,
18 G. Pezzinga

K1 = f(xn,yn) , K2 = f(xn+h/2,yn+K1 h/2) ,

K3 = f(xn+h/2,yn+K2 h/2) , K4 = f(xn+h,yn+K3 h) ,

yn+1 = yn + h/6 [K1 + 2K2 + 2K3 + K4].

2.3.1.4 Metodo predictor-corrector

Gli schemi di questo tipo appartengono alla categoria degli schemi a passi mul-
tipli, in cui per calcolare il valore in n+1 si tiene conto del valore in più punti
precedenti, il che consente di migliorare la stima della curvatura nell'intervallo.
In particolare i metodi del tipo predictor-corrector si basano sull'idea di stimare
in base ad una formula di tipo esplicito il valore al passo n+1 (fase di predizione)
e di correggere il valore stimato in fase di predizione in base ad una formula di
tipo implicito.
Un metodo predictor-corrector è ad esempio quello di Milne, che è del 4° ordine
e che si basa sulle due seguenti formule:

4
yn+1p = yn-3 + h [2 f(xn-2,yn-2) - f(xn-1,yn-1) + 2 f(xn,yn)] ,
3

h
yn+1c = yn-1 + [f(xn-1,yn-1) + 4 f(xn,yn) + f(xn+1,yn+1p)] .
€ 3

Il difetto dei metodi a passi multipli in generale è quello di non essere autoinne-
scanti, cioè in corrispondenza al punto iniziale, essendo noto solo il punto ini-

ziale stesso, occorre fare ricorso ad un metodo a passo singolo (ad esempio
Runge-Kutta).
Più semplicemente un metodo predictor-corrector a passo singolo si può scrivere
nella forma:

yn+1p = yn + h f(xn,yn) ,

h
yn+1c = yn + [f(xn,yn) + f(xn+1,yn+1p)] .
2


Elementi di Idraulica Numerica 19

2.3.1.5 Schema di Runge-Kutta per sistemi di equazioni differenziali

Gli schemi numerici che si utilizzano per risolvere i sistemi di equazioni diffe-
renziali del primo ordine sono una semplice estensione degli schemi già visti
valevoli per una singola equazione.
Consideriamo le equazioni del sistema scritte sotto la forma canonica:

dx
= f [x(t), y(t), t]
dt

dy
= g [x(t), y(t), t]
dt

con le condizioni iniziali
€ x(t0) = x0 y(t0) = y0.

Prendendo ora per esempio in considerazione dello schema di Runge-Kutta del


4° ordine, la generalizzazione si ottiene considerando le seguenti formule ricor-
sive:

h
xn+1 = xn + (K1 + 2K2 + 2K3 + K4)
6
h
yn+1 = yn + (M1 + 2M2 + 2M3 + M4)
6

essendo €

K1 =€f(xn, yn, tn) ,

M1 = g(xn, yn, tn) ,

K2 = f(xn + K1 h/2, yn + M1 h/2, tn + h/2) ,

M2 = g(xn + K1 h/2, yn + M1 h/2, tn + h/2) ,


K3 = f(xn + K2 h/2, yn + M2 h/2, tn + h/2) ,

M3 = g(xn + K2 h/2, yn + M2 h/2, tn + h/2) ,

K4 = f(xn + K3 h, yn + M3 h, tn + h) ,
20 G. Pezzinga

M4 = g(xn + K3 h, yn + M3 h, tn + h) .

h rappresenta il passo d'integrazione della variabile indipendente. I coefficienti


vanno calcolati nell'ordine K1, M1, K2, M2, K3, M3, K4, M4. Il procedimento
inizia calcolando i valori K1 e M1 in base alla condizione iniziale e procedendo
fino a coprire l'intero campo d'integrazione.
Elementi di Idraulica Numerica 21

3. MOTO PERMANENTE IN RETI DI CONDOTTE IN PRESSIONE

3.1 Generalità

Una rete di distribuzione idrica può essere vista dal punto di vista topologico
come un grafo, cioè un insieme di elementi, ciascuno aventi determinate pro-
prietà, che si incontrano in nodi.
Le variabili dipendenti sono, come in ogni problema idraulico, la portata ed il
carico, funzioni dello spazio e del tempo nel caso più generale di moto vario.
La dipendenza spaziale, in generale tridimensionale, è in realtà limitata dal fatto
che si ha a che fare normalmente o con elementi unidimensionali, la cui lun-
ghezza viene inoltre confusa, la maggior parte delle volte, con la sua proiezione
sul piano orizzontale, oppure con elementi che possono essere considerati pun-
tuali. In definitiva, per identificare un punto della rete si può fare riferimento ad
un identificatore dell'elemento ed eventualmente a sistemi di ascisse locali.
Le equazioni che si hanno a disposizione sono equazioni di continuità ed equa-
zioni di bilancio di energia. In generale risultano banali le equazioni di conti-
nuità per l'elemento, e, con le usuali ipotesi semplificative, risultano altrettanto
banali le equazioni del bilancio energetico ai nodi. Si hanno così in definitiva a
disposizione equazioni di continuità in numero pari al numero dei nodi ed equa-
zioni del moto in numero pari al numero degli elementi.
La relazione esistente tra elementi, nodi e maglie in una rete è:

e+1=n+m

con e numero degli elementi, n numero dei nodi e m numero delle maglie.
Questa si ottiene facilmente partendo dalla rete più semplice possibile, formata
da un lato e da due nodi (per cui e + 1 = n) e considerando che l’aggiunta di un
nuovo elemento a una rete comporta l’aggiunta di un nuovo nodo, a meno che
non si utilizzino due nodi già esistenti, nel qual caso si forma una nuova maglia.

3.2 Metodo di Hardy Cross

Nel metodo di Hardy Cross si fornisce una soluzione iniziale in cui le portate
siano congruenti con le equazioni di continuità ai nodi e si scrivono equazioni
del moto lungo ogni maglia che consentono di trovare la portata correttiva per
ogni maglia. Si risolve cioè un sistema di dimensione pari al numero delle
maglie. Dal punto di vista della programmazione, c'è la difficoltà di determinare
la soluzione iniziale, ed è necessaria una descrizione topologica della rete
relativamente complessa. Inoltre essendo le maglie presenti solo nelle reti chiuse
22 G. Pezzinga

un metodo del genere va bene solo per questa categoria di reti. Per reti formate
da sole condotte, l’equazione del moto per una maglia si può scrivere:

∑βi=1
i Qi Qi =0

avendo racchiuso nel coefficiente βi tutte le costanti di una formula quadratica


per la perdita di carico distribuita di una condotta. La sommatoria è estesa a tutti
i lati della maglia. La formulazione con il valore assoluto consente di assegnare
alla perdita lo stesso segno della portata. Se quindi si introduce un verso di
percorrenza positivo per le portate nella maglia (per esempio antiorario), le
perdite si sommeranno algebricamente e dovranno necessariamente essere nulle
per l’unicità del carico in ogni nodo. Ipotizzando di conoscere le portate di
tentativo Qi’, queste differiranno in generale da quelle che risolvono l’equazione
del moto della maglia per una costante unica per tutti i lati, dato che le portate
iniziali rispettano le equazioni di continuità ai nodi. Detta ΔQ la portata
correttiva della maglia, la perdita di carico può essere espressa in modo
approssimato con lo sviluppo in serie arrestato al primo termine e l’equazione
del moto di maglia si può scrivere:

l l

∑β
i=1
i Qi ' Qi '+2ΔQ ∑β
i=1
i Qi ' =0

Da questa si ricava la portata correttiva:

∑β
i=1
i Qi ' Qi '
ΔQ = − l

2 ∑βi=1
i Qi '

Nei lati in comune fra due maglie si apportano le correzioni di entrambe,


tenendo presente che le portate correttive hanno il segno coerente con la
convenzione per il verso positivo di maglia. Per quanto si possa per ogni
iterazione impostare e risolvere il sistema che fornisce il vettore delle portate
correttive, il sistema si può risolvere anche considerando un’equazione alla
Elementi di Idraulica Numerica 23

volta, considerando i valori più aggiornati delle portate (e delle perdite di


carico). Le iterazioni si fermano quando l’errore complessivo sulla perdita di
carico per ogni maglia è inferiore a una prefissata tolleranza (per esempio 1
mm). Una volta ricavate le portate nei lati, si ricavano i carichi ai nodi partendo
dal nodo (serbatoio) in cui il carico è noto.
Il metodo può essere esteso anche a reti con più di un serbatoio, considerando
una magglia fittizia che collega due serbatoi. In questo caso la somma delle
perdite di carico della maglia fittizia non è nulla, ma è uguale alla differenza dei
carichi nei due serbatoi alle sue estremità ΔH. Se il verso positivo delle portate
nella maglia fittizia è dal serbatoio più alto al serbatoio più basso si può scrivere:

ΔH − ∑β
i=1
i Qi ' Qi '
ΔQ = l

2∑β i=1
i Qi '

3.2.1 VERIFICA DI UNA RETE DI CONDOTTE IN PRESSIONE CON IL METODO DI


HARDY CROSS (ESERCITAZIONE 1)

È data la rete illustrata nella Figura 3.1. Il carico nel nodo H è HH = 25 m. Il


coefficiente di Strickler è k = 70 m1/3/s per tutte le condotte. Determinare con il
metodo di Hardy Cross le portate nei rami, i carichi nei nodi e in particolare il
carico il carico minimo e il nodo in cui si verifica. La rete è adattata dal libro di
Adami e Di Silvio “Esercizi di idraulica”, Edizioni Libreria Cortina.

3.3 Metodo nodale

Si può risolvere invece il problema considerando come incognite i carichi ai


nodi, ottenendo un sistema di dimensione pari al numero dei nodi. Da queste
grandezze è poi facile risalire alle portate e alle grandezze d'interesse in un qua-
lunque punto della rete.
Il trascurare, come di consueto, le perdite di carico localizzate ai nodi consente
di considerare un unico carico per ogni nodo.
Le equazioni del moto definiscono gli scambi di energia che avvengono all'in-
terno dell'elemento e possono riguardare perdite di energia (dissipazioni di
24 G. Pezzinga

energia idraulica in calore) o guadagni di energia (trasformazioni di energia


meccanica esterna in energia idraulica attraverso pompe).

Fig. 3.1 - Schema della rete per l’esercitazione 1

3.3.1 ANALISI DELL'ELEMENTO

A causa dell'impostazione data nel seguito, per cui la definizione delle proprietà
topologiche, su cui si basa la scrittura delle equazioni di continuità, viene affi-
data all'assemblaggio di una matrice globale a partire da matrici elementari, il
problema si riconduce alla definizione delle matrici elementari, dipendenti dal
tipo di elemento che si esamina, che legano fra di loro le portate alle estremità di
un elemento con i relativi carichi.

3.3.2 EQUAZIONE DELLA MATRICE ELEMENTARE

Ci si basa su una relazione elementare del tipo:

"Qi % " kii kij %" H i %


$ '=$ '$ '
#Q j & #k ji k jj &# H j &

€ €
Elementi di Idraulica Numerica 25

essendo i e j il nodo iniziale e finale del generico elemento, Qi e Qj le portate, Hi


e Hj i carichi e kii, kij, kji, kjj i coefficienti della matrice di conduttività.
Si esporranno ora le leggi del moto per vari elementi, in diverse condizioni di
funzionamento, attraverso la definizione della matrice K delle conduttività.

3.3.3 TUBAZIONI

Il più semplice elemento della rete, ed il più diffuso, è una tubazione di lun-
ghezza L, di diametro D e di assegnate caratteristiche di scabrezza. Se la portata
è costante lungo il percorso, la matrice K è simmetrica e si può scrivere sotto la
forma:

# k −k&
K=% (
$−k k '

con k coefficiente positivo, in modo da far corrispondere ad un dislivello posi-


tivo tra il nodo iniziale ed il nodo finale una portata positiva.
La definizione del coefficiente€ k dipenderà allora soltanto dalla formula pre-
scelta per il calcolo della perdita di carico distribuita. E' da notare come, con le
formule valide per il regime di moto turbolento, il coefficiente k dipenda dal di-
slivello ΔH=Hi - Hj, così da dar luogo ad un problema non lineare. Vedremo in
seguito quale sia la maniera migliore di affrontare la risoluzione di un tale tipo
di sistema.
Le diverse espressioni del coefficiente k per diverse formule, con i relativi limiti
di validità, sono elencate in tabella 3.I.
E' da notare come la formulazione del problema attraverso la conduttività renda
di uso altrettanto agevole la formula di Colebrook-White, in quanto, come è
noto, il prodotto Re λ non dipende dalla portata e quindi il coefficiente k è noto
per un certo dislivello ΔH.
E' facile anche tener conto dell'eventuale presenza di un valvola di flusso unidi-
rezionale presente lungo la tubazione. Infatti, in tal caso, se la valvola consente

il moto nel verso da i verso j, sarà

k=0 per Hi < Hj

e viceversa, nel caso sia consentito il flusso da j verso i si assumerà

k=0 per Hi > Hj.


26 G. Pezzinga

Tabella 3.I - Espressione del coefficiente k per diverse formule di uso comune

Autore Coefficiente k Limiti di validità


Poiseuille πρgD 4 Re<2000
k=
128µL
Prandtl
2,5
# g & 0,5 # 2,51 & Re>4000, Re*<5
k=-πD % ( log % ( (t. lisci)
$ 2LΔH ' $ Re λ '
Prandtl €
2,5
# g & 0,5 # ε & Re>4000, Re*>70
k=-πD % ( log % ( (t. scabri)
$ 2LΔH ' $ 3,71D '
Colebrook 0,5 Re>4000
€ # g€ & ! 2, 51 ε $
k = - π D2,5 % ( log # + &
$ 2LΔH ' " Re λ 3, 71D %
Manning € €2.67
D Re>4000, Re*>70
k = 0,0992 π
nL0.5 ΔH 0.5
Strickler € cD 2.67 Re>4000, Re*>70
k = 0,0992 π 0.5
L ΔH 0.5
Bazin € 10.875π D3 Re>4000, Re*>70
k = 0.5
D + 2γ L0.5 ΔH 0.5
Kutter € 12.5π D3 Re>4000, Re*>70
k = 0.5
D + 2m L0.5 ΔH 0.5

In maniera analoga si può tener conto di una saracinesca chiusa lungo una tuba-
zione ponendo senz'altro k = 0 per qualunque valore di Hi e Hj.

3.3.4 POMPE

Si può esprimere la curva caratteristica prevalenza-portata della pompa sotto la


forma:

|ΔH| = a|Q|2 + b|Q| + c.

Occorre osservare come in questo caso sia strettamente necessario assegnare un


flusso unidirezionale alla pompa. Posto iv=1 se il flusso è nel verso dal nodo i al
nodo j e iv=-1 se il verso è quello opposto, si può esprimere la matrice K nella
forma usuale (simmetrica) con il coefficiente k pari a:
Elementi di Idraulica Numerica 27

1/2

k = iv
[ ]
−b − b 2 − 4a (c + iv ΔH ) 1
2a ΔH

con ΔH = Hi - Hj. Risulta inoltre:



k=0 per c + iv ΔH < 0.

In questo modo si tiene conto sia del funzionamento normale che del possibile
funzionamento come resistenza.

3.3.5 VALVOLE

Esprimendo la perdita localizzata in funzione del carico cinetico si può scrivere:

V2
ΔH = m
2g

e si ottiene una matrice K ancora simmetrica, con il coefficiente k pari a:


€ 0,5
πD 2 $ 2g '
k= & )
4 % mΔH (

Il coefficiente m è funzione del tipo di dispositivo che genera la dissipazione lo-


calizzata, del grado di apertura e del numero di Reynolds; va quindi specificato
caso per caso. €

3.3.6 ASSEMBLAGGIO DELLA MATRICE GLOBALE

Dopo aver considerato le matrici del singolo elemento, occorre assemblare que-
ste in maniera opportuna, per esprimere le relazioni di continuità ai nodi. Si ot-
terrà una matrice globale delle conduttività quadrata di ordine n, se n è il numero
dei nodi. La riga i-esima esprime l'equazione di continuità al nodo i. Quindi la
matrice globale moltiplicata per il vettore dei carichi nodali sarà uguale al vet-
tore delle portate erogate ai nodi:
28 G. Pezzinga

KH=C

Per comprendere il modo di assemblaggio della matrice K a partire dalle matrici


elementari conviene ricorrere ad un esempio (Figura 3.2).

Fig. 3.2 - Schema della rete di esempio

Riferendosi ad esempio al nodo 6, in cui convergono gli elementi 5, 6 e 7, si può


scrivere:

Q6,5 + Q6,6 + Q6,7 = C6

Ricavando poi Q6,5, Q6,6 e Q6,7 dalle relazioni in funzione dei carichi nodali si
può scrivere:

k5 (H6 - H3) + k6 (H6 - H1) + k7 (H6 - H4) = C6

o anche:

- k5 H3 - k6 H1 - k7 H4 + (k5 + k6 + k7) H6 = C6

Questa rappresenta la riga numero 6 del sistema. Il sistema globale in forma ma-
triciale per lo schema della figura 3.1 è il seguente:

#k 1 + k 2 + k 6 −k1 −k 2 0 0 −k 6 &# H 1 & " C1 %


% (% ( $ '
% −k1 k1 + k 3 −k 3 0 0 0 (% H 2 ( $C 2 '
% −k 2 −k 3 k2 + k3 + k4 + k5 −k 4 0 −k 5 (% H 3 (= $C 3 '
% (% H ( $C '
0 0 −k 4 k4 + k7 + k8 −k 8 −k 7 $ 4'
% (% 4 (
% 0 0 0 −k 8 k8 0 (% H 5 ( $C 5 '
% −k 6 0 −k 5 −k 7 0 k 5 + k 6 + k 7 ('%$ H 6 (' $C '
$ # 6&

€ €
Elementi di Idraulica Numerica 29

Come si nota, la conduttività di un elemento che collega i nodi i e j compare con


il segno + al posto ii e jj della matrice globale e con il segno - al posto ij e ji.

3.3.7 POSIZIONE DELLE CONDIZIONI AL CONTORNO

L'inserimento delle condizioni al contorno per i nodi con carico prefissato av-
viene sostituendo alla riga relativa al nodo l'equazione:

H j = H j°

Ad esempio, riferendosi alla rete della figura 3.1 e volendo fissare il carico al
nodo 5, si cambierà il sistema nella forma:

#k 1 + k 2 + k 6 −k1 −k 2 0 0 −k 6 &# H 1 & " C1 %


% (% ( $ '
% −k1 k1 + k 3 −k 3 0 0 0 (% H 2 ( $ C2 '
% −k 2 −k 3 k2 + k3 + k4 + k5 −k 4 0 −k 5 (% H 3 (= $ C3 '
% 0 0 −k 4 k4 + k7 + k8 0 −k 7 (% H ( $C + k8 H 5 '
% (% 4 ( $ 4 '
% 0 0 0 0 1 0 (% H 5 ( $ H5° '
% −k 6 0 −k 5 −k 7 0 k 5 + k 6 + k 7 ('%$ H 6 (' $# C6 '
$ &

La matrice è diagonalmente dominante e rispetta quindi la condizione sufficiente


€ per la convergenza della soluzione iterativa del sistema. €

3.3.8 SOLUZIONE DEL SISTEMA DI EQUAZIONI

3.3.8.1 Analisi lineare

Il sistema reso lineare deve essere risolto ripetutamente, con metodo diretto o in
maniera iterativa, aggiornando ogni volta la matrice dei coefficienti, che dipen-
dono dai carichi. In termini matriciali si ha infatti:

K(H)H=C

3.3.8.2 Metodo di Newton

E' più conveniente tuttavia ricorrere al metodo di Newton. Si tratta di scrivere un


vettore di funzioni
30 G. Pezzinga

F(H)=K(H)H-C

Dall'imposizione dell'annullarsi delle funzioni F(H), pari nella generica itera-


zione a F'(H):

F(H) = F'(H) + dF(H) = 0

si ricava il vettore delle correzioni dH, dall'equazione matriciale:

d(K(H)H − C)
dF(H) = dH = - F'(H)
dH

che può essere scritta anche nella forma:


€ Kd(H) dH = - F'(H)

essendo Kd(H) lo jacobiano del sistema.


Dopo la prima soluzione, che si può effettuare con la matrice linearizzata, le
successive possono essere effettuate con il metodo di Newton, che risulta in ge-
nerale più veloce. La convergenza sarà considerata raggiunta quando l'ultima
correzione del carico al nodo risulta minore di un valore prefissato.

3.3.9 COEFFICIENTI DI RILASSAMENTO

Un ulteriore aumento della velocità di convergenza può essere ottenuto attra-


verso l'introduzione di un coefficiente di rilassamento, cioè moltiplicando la cor-
rezione per un opportuno coefficiente correttivo, sia che si utilizzi il metodo di
Newton, sia che si risolva la matrice linearizzata. In questo caso il rilassamento
si applica secondo il seguente schema:

ΦR(i) = f Φ(i) + (1-f) Φ(i-1),

dove Φ(i-1) è il valore della generica variabile all'iterazione i-1, Φ(i) è il valore
che si avrebbe apportando per intero la correzione, ΦR(i) è il valore della varia-
bile dopo il rilassamento ed f è il fattore di rilassamento.
Il fattore ottimo di rilassamento può essere determinato analiticamente, ma ri-
chiede un procedura di calcolo che richiede un tempo che annulla i benefici del
Elementi di Idraulica Numerica 31

minor numero di iterazioni richiesto. Indagini numeriche hanno mostrato che il


miglior valore di f si aggira attorno a 0,7.

3.4 Verifica di una rete di condotte in pressione con il metodo nodale


(esercitazione 2)

Esistono programmi di pubblico dominio per la verifica di reti idrauliche in


pressione, ad esempio EPANET, sviluppato dall’Environmental Protection
Agency degli USA. Tuttavia per l’esercitazione si può utilizzare un programma
in Fortran fornito nel libro di Brebbia e Ferrante “Computational hydraulics”,
Butterworths.
Il programma adotta il metodo nodale descritto precedentemente, consente di ri-
solvere reti con sole tubazioni e serbatoi, e utilizza per il calcolo delle perdite di
carico la formula di Hazen-Williams.
Il codice di calcolo è composto da un programma principale e da varie subrou-
tine. Diamo nel seguito una breve descrizione del funzionamento del programma
principale e delle singole subroutine. I commenti all'interno del programma e
delle subroutine dovrebbero essere di ulteriore aiuto per comprendere il signifi-
cato delle singole parti.
Dopo l'inizializzazione dei parametri di base nel programma viene chiamata la
subroutine INPUT, che legge i dati necessari da un file e controlla che i limiti
massimi di lati, di nodi e di serbatoi non vengano superati. Le portate erogate ai
nodi vengono lette nel vettore AL e poi trasferite nel programma principale an-
che nei vettori Q ed ELRE.
All'interno della subroutine INPUT viene anche chiamata la subroutine BAND,
che serve a calcolare la larghezza della semibanda della matrice globale del si-
stema. Nelle subroutine successive, per risparmiare memoria, della matrice glo-
bale verrà conservata solo la semibanda. Infatti tale matrice è bandata e simme-
trica.
La subroutine INCOE serve per determinare la soluzione iniziale, assumendo un
dislivello pari a 1 per ogni lato.
La subroutine ASSEM serve ad assemblare la matrice globale del sistema.
Chiama a sua volta al suo interno due subroutine: STIFF ed ELASS. Nella prima
si calcolano i coefficienti della matrice elementare, nella seconda i coefficienti
della matrice elementare vengono sommati nella matrice globale.
Successivamente nella subroutine BOUND vengono assegnate le condizioni al
contorno, ovvero i carichi nei serbatoi.
La subroutine SLBSI serve a risolvere il sistema di equazioni utilizzando il me-
todo di eliminazione di Gauss.
32 G. Pezzinga

Queste subroutine vengono utilizzate in un primo tempo per trovare la soluzione


di primo tentativo. I carichi nodali vengono inseriti alla fine di questo processo
nel vettore AL. Questo vettore viene sommato al vettore H, inizialmente nullo.
Si calcolano successivamente i valori attuali delle portate erogate (utilizzando le
subroutine ASSEM e BOUND), che differiranno in generale dai valori delle por-
tate erogate imposte. La subroutine MULTI moltiplica la matrice del sistema per
il vettore dei carichi nodali, ottenendo l'attuale valore delle portate erogate nel
vettore AL. Si controlla la convergenza sullo scarto quadratico globale tra por-
tate erogate attuali e portate erogate imposte diviso per la somma dei valori asso-
luti delle portate erogate, che deve risultare minore di una prefissata tolleranza
TOL. Si controlla inoltre che non sia stato superato il massimo numero di itera-
zioni.
Se la convergenza non è raggiunta si calcola una correzione al vettore dei carichi
nodali per mezzo del metodo di Newton, tenendo conto che i coefficienti dello
jacobiano sono uguali a quelli della matrice linearizzata moltiplicati per 0,54 (a
causa dell'utilizzazione della formula di Hazen-Williams). Per diminuire il nu-
mero delle operazioni viene diviso per 0,54 il vettore dei termini noti.
Dopo questa operazione viene calcolata la correzione con la subroutine SLBSI e
memorizzata nel vettore AL, che viene sommato al vettore H. Il ciclo continua
finché non è stata raggiunta la convergenza. A questo punto vengono chiamate
le subroutine RESUL, che calcola le portate negli elementi, e OUTPT, che
scrive su un file i risultati del calcolo.
Il programma è stato modificato per calcolare le perdite di carico con la formula
di Strickler. Eventuali miglioramenti al programma di Brebbia e Ferrante
possono consistere: nella possibilità di utilizzare coefficienti di scabrezza
differenti per ogni tratto; nella possibilità di introdurre la lunghezza del tratto
anziché farla calcolare in base alle coordinate geometriche; nella sostituzione
della subroutine che risolve la matrice utilizzando il metodo di Gauss con una
che utilizza il metodo di Cholesky, che dovrebbe essere più efficiente. Inoltre un
ulteriore aumento della velocità di convergenza può essere raggiunto mediante
l'introduzione di un coefficiente di rilassamento, da moltiplicare per la
correzione nella generica iterazione.
L’esercitazione consiste nella verifica della rete schematizzata in Figura 3.2.
L'esempio è tratto, adattandolo, dal capitolo di S. Artina e M. Sovrini sulla
verifica delle reti di acquedotto del 4° vol. del Manuale di Ingegneria Civile -
Ed. Cremonese. Gli autori forniscono un programma in Fortran simile a quello
illustrato, che risolve la rete con metodo nodale attraverso la risoluzione iterativa
del sistema linearizzato per mezzo del metodo di Cholesky, considerando
l'indice di resistenza della formula di Darcy-Weisbach esprimibile per mezzo
della formula di Colebrook-White.
Elementi di Idraulica Numerica 33

Fig. 3.3 – Schema della rete per l’esercitazione 2

La rete è composta dai seguenti lati:

Lato N. iniz. N. fin. Lungh. Diam.


1 1 2 1540 0,4
2 2 3 1150 0,3
3 3 4 1330 0,2
4 4 5 1000 0,1
5 5 6 1330 0,2
6 6 7 1350 0,4
7 7 8 1340 0,4
8 3 6 1000 0,1
9 2 7 1020 0,2
10 1 8 1000 0,4
11 5 12 1000 0,1
12 6 11 1000 0,2
13 7 10 1020 0,1
14 8 9 1000 0,2
15 11 12 1330 0,15
16 10 11 1540 0,2
17 9 10 1150 0,2
34 G. Pezzinga

Esiste inoltre un serbatoio nel nodo 1 a una quota di 85 m s. m. Il coefficiente di


scabrezza di tutte le tubazioni è di 70 m1/3/s.

Le portate erogate ai nodi sono le seguenti:

Nodo Portata (m3/s)


2 0,013
3 0,024
4 0,012
5 0,024
6 0,048
7 0,026
8 0,002
9 0,001
10 0,013
11 0,024
12 0,012

Occorre verificare, eventualmente modificando il diametro delle condotte, che i


carichi risultino superiori ai seguenti valori:

Nodo Carico (m s. m.)


2 75
3 70
4 65
5 65
6 70
7 75
8 80
9 80
10 75
11 70
12 65
Elementi di Idraulica Numerica 35

4. PROGETTO DI RETI DI CONDOTTE IN PRESSIONE

4.1 Generalità

Nel problema di verifica si ipotizza che siano note le caratteristiche della rete.
Nel problema di progetto, nel caso di condotte a gravità, data la posizione dei
nodi e l'erogazione, ci si propone in generale di scegliere il tracciato e i diametri
delle condotte. Poiché il problema non è determinato dal punto di vista idraulico,
occorre ricorrere a condizioni aggiuntive che sono solitamente condizioni di
minimo costo.
Tali problemi nella pratica progettuale si risolvono solitamente per via empirica,
essendo tali e tanti i vincoli da rispettare che le variabili che mantengono un
grado di libertà risultano comunque da fissare in un campo molto limitato di
possibili valori. In particolare per quanto riguarda il tracciato spesso questo è
determinato da altri motivi che non sono quelli di minimizzare il costo del si-
stema, come per esempio, nelle reti urbane, la necessità di seguire il tracciato
delle strade per facilitare i lavori di costruzione e manutenzione della rete.
Inoltre, per quanto riguarda i diametri, il fatto di dover ricorrere a diametri com-
merciali che variano in maniera discreta e i limiti di velocità in condotta che è
buona norma di progetto rispettare escludono in partenza molte delle soluzioni
teoricamente possibili. Oltre a questi aspetti occorre ricordare come spesso biso-
gna tener conto di altri criteri, come per esempio la flessibilità della rete per
soddisfare condizioni di funzionamento future, o la capacità della rete di funzio-
nare in condizioni di emergenza (guasti, servizio antincendio). Se si tenesse
conto solo dei criteri di minima economia, ad esempio, non esisterebbero le reti
chiuse, in cui certi tronchi vengono aggiunti proprio per dare la possibilità di
avere percorsi alternativi e far funzionare parte della rete anche in caso di guasti.
Nonostante ciò, sono stati sviluppati metodi che consentono un dimensiona-
mento "ottimale" delle reti attraverso il rispetto delle equazioni idrauliche e con
l'aggiunta delle condizioni di minimo costo. Il dimensionamento ottenuto con i
metodi che esporremo deve essere considerato tuttavia di primo tentativo, da
verificare secondo la sensibilità del progettista, che può tener conto in base alla
sua esperienza di tutti gli altri criteri e norme di buona progettazione non presi in
considerazione nei metodi suddetti.
Il progetto del tracciato non è risolvibile in maniera esatta. Infatti, ad esempio,
non è a priori possibile affermare se la rete più conveniente è una rete in cui esi-
stano solo tratti che colleghino i nodi in cui si deve erogare una certa portata, o
una rete con nodi aggiuntivi.
Anche nella prima ipotesi, non esistono metodi generali per stabilire il tracciato
migliore. In ricerca operativa esistono infatti metodi per minimizzare ad esempio
il costo complessivo di una rete di trasporto. Nel caso della rete idrica tuttavia il
36 G. Pezzinga

costo del singolo tronco dipende dalla portata che vi scorre, che non è nota a
priori. Si ricorre allora a metodi euristici, cioè a metodi che non sono esatti ma
che forniscono regole da seguire che danno risultati soddisfacenti nella maggior
parte dei casi pratici. Una semplicissima regola euristica ad esempio è quella di
stabilire il tracciato della rete rendendo minimo lo sviluppo complessivo della
rete stessa.
Nel seguito supporremo tuttavia che il tracciato della rete sia già stato stabilito in
base a criteri di cui non ci interessiamo.

4.2 Dimensionamento di reti aperte o ad albero

4.2.1 COSTO DI UNA CONDOTTA

Il costo per unità di lunghezza per la messa in opera di una condotta c, oltre a
dipendere dal materiale di cui è costituita e dalla classe di pressione, è legato al
diametro D. Una possibile relazione empirica è:

c = c0 + aD n

dove c0 , a e n sono costanti empiriche. Esiste un’aliquota del costo fissa che è
essenzialmente legata a una parte dei costi di scavo; l’esponente n è maggiore di
1, perché al crescere del diametro cresce anche lo spessore, ma minore di 2.
Esaminiamo il caso relativamente semplice del dimensionamento di due
condotte in serie (Figura 4.1), indeterminato dal punto di vista delle sole
condizioni idrauliche.

Fig. 4.1 – Dimensionamento di due condotte in serie


Elementi di Idraulica Numerica 37

Le portate nei due tratti sono note e quindi le equazioni idrauliche sono le due
equazioni del moto. Le incognite sono tre, e cioè i due diametri e il carico al
nodo erogante N. Esiste quindi un’indeterminazione, che può essere eliminata
con una condizione aggiuntiva di minimo costo. In effetti, considerando la
dipendenza del costo totale, somma dei prodotti dei costi unitari delle condotte
per le rispettive lunghezze, dal carico al nodo HN, si vede che, dovendo il carico
al nodo essere compreso tra zB e zA, si otterrebbe un costo tendente all’infinito
sia per HN tendente a zB, sia per HN tendente a zA. Infatti la perdita di carico in
ogni tratto tende a zero quando il diametro tende all’infinito. Quindi il costo
totale deve avere un minimo per un valore di HN compreso tra zB HN e zA.
Si potrebbe ottenere la condizione di minimo costo analiticamente, ma
occorrerebbe in seguito ricorrere ai diametri commerciali. Conviene quindi
esaminare le poche possibili soluzioni con diametri commerciali. Si procede nel
modo seguente:
- si fissa un diametro per il tratto 1;
- si calcola il carico al nodo N;
- si determina il diametro teorico per il tratto 2;
- si scelgono per il tratto 2 i due diametri commerciali più vicini al diametro
teorico e se ne determina la lunghezza;
- si calcola il costo complessivo del sistema.
Si ripete il procedimento per altri valori del diametro determinando la soluzione
di costo minimo (i costi unitari si possono ottenere da una tabella, senza bisogno
di ricorre a equazioni). Il procedimento deve essere ripetuto, con gli opportuni
adattamenti, fissando il diametro arbitrario nel tratto 2.

4.2.2 DIMENSIONAMENTO DI DUE CONDOTTE IN SERIE (ESERCITAZIONE 3)

Facendo riferimento al sistema di due condotte in serie della Figura 4.1 si


considerino i seguenti dati:
zA = 300 m,
zB = 200 m,
Q1 = 0,15 m3/s,
Q2 = 0,09 m3/s,
L1 = 14000 m,
L2 = 9000 m,
k = 70 m1/3/s.
Determinare la soluzione di minimo costo considerando i costi unitari della
Tabella 4.2.
38 G. Pezzinga

4.2.3 SISTEMA LINEARE NEI DISLIVELLI

Nel seguito supporremo di avere una rete a gravità con un unico estremo di ali-
mentazione. In questa ipotesi, nel caso di una rete aperta o ad albero in cui esi-
stano l lati e n nodi vale la relazione n=l+1. Possiamo supporre che esistano m
nodi eroganti in cui occorre che si abbia un certo carico minimo

Hi ≥ Himin, i=1, 2, ..., m .

Assegnando le portate erogate e sfruttando le equazioni di continuità ai nodi, le


portate nei singoli lati della rete sono univocamente determinate.
Restano da determinare gli l diametri e gli n carichi ai nodi. Imponendo tuttavia
che la condizione di vincolo sui carichi ai nodi eroganti sia rispettata con il se-
gno di uguaglianza, ed essendo anche fissato il carico nel nodo di alimentazione,
restano da determinare solo l-m carichi ai nodi non eroganti.
E' noto che per minimizzare il costo occorre scrivere per ogni nodo non erogante
un'equazione del tipo:

∑ ± dC
j dy k
k
=0 j = 1, ..., l-m

essendo Ck e yk rispettivamente il costo e il dislivello piezometrico del generico


lato e la sommatoria è estesa a tutti i lati che convergono al nodo j. Il segno +
vale per i lati€con portata entrante nel nodo e il segno - per i lati con portata
uscente.
In un piccolo intervallo si può approssimare il legame tra costo e dislivello pie-
zometrico del singolo lato con una funzione parabolica ponendo:

Ck = tk + sk yk + rk yk2 .

I coefficienti possono essere ricavati attraverso un sistema di tre equazioni asse-


gnando i costi delle tubazioni per tre diametri fissati, scegliendo i tre diametri in
un intorno della presumibile soluzione finale.
Con questa ipotesi la derivata del costo rispetto al dislivello risulta:

dC k
= sk + 2 rk yk .
dyk


Elementi di Idraulica Numerica 39

Inoltre per ogni percorso dal nodo di alimentazione al generico nodo erogante si
può imporre l'uguaglianza tra il dislivello totale che è noto e i dislivelli dei sin-
goli tratti incogniti scrivendo:

∑y i
h = Δi i = 1, ..., m.

essendo la sommatoria estesa a tutti i lati del percorso i-esimo.


Occorre quindi risolvere il sistema lineare costituito da l equazioni, l-m di mi-
€ nodo e m di moto lungo ogni percorso, nelle l incognite disli-
nimo costo a ogni
vello piezometrico lungo ogni lato.
Naturalmente dai dislivelli piezometrici, essendo note le portate, possono essere
ricavati i diametri di ogni singolo lato. Questi valori non coincideranno in gene-
rale con i valori dei diametri commerciali. Si possono allora per ogni lato utiliz-
zare i diametri commerciali più vicini a quello teorico determinato e stabilire le
lunghezze L1 e L2 di ogni tratto con diverso diametro attraverso le due equa-
zioni:

L1 + L2 = L

J1 L 1 + J2 L 2 = y

essendo J1 e J2 le cadenti relative ad ogni diametro.

4.2.4 PROGRAMMAZIONE LINEARE

In maniera più rigorosa il problema del dimensionamento di una rete aperta può
essere impostato come un classico problema di programmazione lineare.
In un problema di questo genere occorre trovare il minimo di una funzione li-
neare:

min z = c1 x1 + c2 x2 + ... + cn xn

detta "funzione obiettivo", soggetta ai vincoli lineari:

a11 x1 + a12 x2 + ... + a1n xn = d1


a21 x1 + a22 x2 + ... + a2n xn = d2
...
am1 x1 + am2 x2 + ... + amn xn = dm
40 G. Pezzinga

e con le condizioni di non negatività:

x1, x2, ... , xn ≥ 0.

Se i vincoli lineari hanno la forma di disuguaglianze:

a11 x1 + a12 x2 + ... + a1n xn ≤ d1


a21 x1 + a22 x2 + ... + a2n xn ≤ d2
...
am1 x1 + am2 x2 + ... + amn xn ≤ dm

ci si può ricondurre al problema standard introducendo variabili ausiliarie xn+1,


xn+2, ..., xm+n tali che:

a11 x1 + a12 x2 + ... + a1n xn + xn+1 = d1


a21 x1 + a22 x2 + ... + a2n xn + xn+2 = d2
...
am1 x1 + am2 x2 + ... + amn xn + xn+m = dm

4.2.2.1 Il metodo del simplesso e il metodo delle penalità

Nella soluzione del problema di programmazione lineare, delle n incognite al


più m valori saranno non nulli e almeno n-m saranno nulli. Si può vedere infatti
che se la soluzione esiste starà su uno dei vertici dell'iperpoliedro a n dimensioni
(detto simplesso) definito dai vincoli e dalle condizioni di non negatività. Il
vertice sarà intersezione di n iperpiani di cui m sono di vincolo e almeno altri n-
m sono piani coordinati. Su un vertice saranno quindi nulle almeno n-m
incognite.
Per trovare la soluzione si potrebbero esaminare allora tutti i vertici del sim-
plesso. Tuttavia questa metodo è praticabile quando le variabili non sono molte,
altrimenti richiede uno sforzo di calcolo eccessivo. In alternativa, si può partire
da uno qualunque di tali vertici e procedere lungo i lati dell'iperpoliedro nella di-
rezione in cui la pendenza della funzione è massima, fin quando si trovi il mi-
nimo, cioè fin quando non esistano più direzioni lungo cui il valore della fun-
zione z diminuisca.
Si ricorre di solito al metodo del simplesso, con opportuni accorgimenti per in-
dividuare la soluzione iniziale, come il metodo delle penalità.
Il metodo delle penalità consiste nel creare un problema di programmazione li-
neare artificiale mediante l'introduzione di un numero di variabili ausiliarie in
numero pari al numero delle equazioni di vincolo, in modo tale che si abbia:
Elementi di Idraulica Numerica 41

a11 x1 + a12 x2 + ... + a1n xn + xn+1 = d1


a21 x1 + a22 x2 + ... + a2n xn + xn+2 = d2
...
am1 x1 + am2 x2 + ... + amn xn + xn+m = dm

La funzione di costo del problema modificato è la seguente:


n +m
z = c1 x1 + c2 x2 + ... + cn xn + M ∑x , i
i=n +1

essendo m un coefficiente molto grande. La soluzione viene raggiunta quindi


partendo da una soluzione di base che comprenda solo le variabili ausiliarie e

ponendo le variabili originarie nulle. Si raggiunge poi la soluzione, se esiste,
procedendo lungo i vertici dell'iperpoliedro, fino a trovare il minimo.

4.2.2.2 La programmazione lineare e il problema di progetto della rete

Per ottenere una formulazione del problema di progetto nella forma classica
della programmazione lineare, occorre per ogni lato della rete scegliere un certo
numero di diametri possibili, di cui bisogna stabilire la lunghezza. La generica
incognita del problema diventa allora la lunghezza del tratto a diametro costante
lungo ogni lato. La funzione da minimizzare sarà il costo totale della rete

z= ∑C ,
i
i

essendo la sommatoria estesa a tutti i tratti della rete.


I vincoli esprimeranno per il lato generico i che la somma delle lunghezze dei
tratti a diametro diverso sarà €
pari alla lunghezza totale del tratto:

Li1 + Li2 + ... + Lir = Li

essendo r i possibili tratti a diametro diverso lungo ogni lato.


Altri vincoli saranno costituiti da equazioni analoghe a quelle viste prima vale-
voli per ogni percorso dal nodo di alimentazione al generico nodo erogante, che
esprimeranno che la somma dei dislivelli lungo tutti i tratti presenti lungo il per-
corso sia inferiore al dislivello massimo, pari alla differenza tra il carico nel ser-
batoio di alimentazione e il carico minimo al nodo erogante
42 G. Pezzinga

Jj1 Lj1 + Jj2 Lj2 + ... + Jjs Ljs ≤ Δj.

essendo s i possibili tratti a diametro diverso lungo ogni percorso.


I diametri possibili per ogni lato possono essere stabiliti in base ad altri vincoli
di carattere idraulico, come per esempio le velocità ammissibili in condotta.

4.2.2.3 Esempio applicativo

Un esempio di applicazione del metodo delle penalità nell'ambito del metodo del
simplesso (tratto da Stephenson) è illustrato nel seguito per una semplice con-
dotta unicursale, collegante cioè un serbatoio di alimentazione con vari nodi
eroganti attraverso un unico percorso.
Sia la condotta lunga 900 m divisa in due tronchi rispettivamente di 500 m e 400
m in cui scorrono rispettivamente portate di 40 l/s e 14 l/s. Il carico nel serbatoio
sia di 10 m e il carico minimo all'estremità di valle sia di 5 m.
Supponiamo di aver fissato i possibili valori dei diametri nei due tratti. Nel
primo tratto, lungo 500 m e con portata di 40 l/s, i diametri possibili sono di 250
mm e di 200 mm. Nel secondo tratto, lungo 400 m e con portata di 14 l/s, i dia-
metri possibili sono di 200 mm e di 150 mm. Le incognite saranno le quattro
lunghezze del tratto a diametro 250 mm nel primo lato, del tratto a diametro 200
mm nel primo lato, del tratto a diametro 200 mm nel secondo lato e del tratto a
diametro 150 mm nel secondo lato. Le cadenti e i costi per unità di lunghezza
per i quattro tratti sono i seguenti.

1 2 3 4
J(%) 0,25 0,71 0,1 0,42
C($/hm) 5 4 4 3

Indicando con x1, x2, x3 e x4 le quattro lunghezze divise espresse in hm, la fun-
zione di costo da minimizzare sarà in questo caso:

z = 5x1 + 4x2 + 4x3 + 3x4

mentre i vincoli saranno espressi dalle tre equazioni:

x1 + x2 = 5 ,
x3 + x4 = 4 ,
0,25 x1 + 0,71 x2 + 0,1 x3 + 0,42 x4 ≤ 5 .
Elementi di Idraulica Numerica 43

Nel metodo delle penalità, come già accennato, si aggiungono variabili ausiliarie
in numero pari al numero delle equazioni di vincolo e il loro coefficiente di
costo si pone pari a un valore molto alto. Il loro valore si pone pari al valore dei
rispettivi termini noti, mentre le variabili normali si pongono pari a zero. Nel
problema trasformato con le variabili ausiliarie la soluzione iniziale sarà una
soluzione di base, cioè avrà m valori non nulli e n-m valori nulli, ma in generale
non sarà la soluzione definitiva. Per trovare la soluzione finale si può procedere
come descritto in seguito, con l'ausilio della tabella 4.I.
Si fissa inizialmente la soluzione di base come formata dalle variabili ausiliarie
introdotte (nell'esempio x5, x6 e x7) a cui si attribuisce un coefficiente di costo
molto grande M. Il valore iniziale delle variabili ausiliarie viene posto rispetti-
vamente pari a 5, 4 e 5, affinché vengano rispettate le equazioni di vincolo.
Per stabilire quale variabile effettiva debba sostituire una variabile ausiliaria
nella soluzione di base, nella tabella si calcola per ogni colonna un valore di op-
portunità. Questo valore si calcola sommando i coefficienti della colonna mol-
tiplicati per i corrispondenti coefficienti di costo della soluzione di base e sot-
traendo il totale dal coefficiente di costo relativo alla variabile della colonna. Il
massimo valore negativo dei valori di opportunità individua quale variabile in-
trodotta nella soluzione di base consenta la massima riduzione di costo possibile.
Viene scelta così la "colonna chiave".
Per stabilire il massimo valore che si possa introdurre della variabile individuata
dalla colonna chiave senza violare i vincoli, si calcola per ogni riga un valore
detto rapporto di sostituzione, dividendo il valore della variabile di base relativa
ad ogni riga per il corrispondente coefficiente della colonna chiave. In corri-
spondenza al minimo valore positivo si ha la "riga chiave".
Il coefficiente che sta sulla riga chiave e sulla colonna chiave viene detto "nu-
mero chiave". Si sostituisce allora alla variabile della soluzione di base in corri-
spondenza alla riga chiave la variabile in corrispondenza alla colonna chiave.
I valori della soluzione di base e i valori in tabella vanno modificati con queste
regole:
- ogni numero della riga chiave va diviso per il numero chiave;
- a ogni numero in una riga non chiave bisogna sottrarre il corrispondente nu-
mero nella riga chiave moltiplicato per il rapporto tra il vecchio numero di riga
nella colonna chiave e il numero chiave.
La procedura continua fino a quando non esistono più valori di opportunità ne-
gativi. In questo caso non sono più possibili miglioramenti (cioè diminuzioni di
costo) alla soluzione.
44 G. Pezzinga

Tabella 4.I - Esempio di applicazione del metodo del simplesso. Metodo delle
penalità

Passo 1
Base Coeff. Val. x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 Rapp.
sost.
5 4 4 3 M M M
x5 M 5 1 1 1 5/1 *
x6 M 4 1 1 1 inf.
x7 M 5 0,25 0,71 0,1 0,42 1 5/0,71
Valore 5- 4- 4- 3- 0 0 0
opport. 1,25M 1,71M 1,1M 1,42M
*

Passo 2
Base Coeff. Val. x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 Rapp.
sost.
5 4 4 3 M M M
x2 4 5 1 1 1 inf.
x6 M 4 1 1 1 4
x7 M 1,45 -0,46 0,1 0,42 -0,71 1 3,45 *
Valore 1+0,46M 0 4- 3- 1,71M- 0 0
opport. 1,1M 1,42M 4
*

Passo 3
Base Coeff. Val. x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 Rapp.
sost.
5 4 4 3 M M M
x2 4 5 1 1 1 5
x6 M 0,55 1,1 0,76 1,69 -2,38 0,5 *
x4 3 3,45 -1,1 0,24 1 -1,69 2,38 -
Valore 4,3-1,1M 0 3,28- 0 1,1-0,69M 0 3,38M-
opport. 0,76M 7,14
*

Passo 4
Base Coeff. Val. x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 Rapp.
sost.
5 4 4 3 M M M
x2 4 4,5 1 -0,69 -1,54 2,16 -
x1 5 0,5 1 0,69 1,54 -2,16 -
x4 3 4 1 1 -
Valore 0 0 0,31 0 M- M- M-
opport.
Elementi di Idraulica Numerica 45

4.3 Dimensionamento di reti chiuse o a maglie

4.3.1 PROGETTO MEDIANTE PROGRAMMAZIONE NON LINEARE

Mentre il problema del dimensionamento di una rete aperta con gli accorgimenti
visti prima è riconducibile a un problema lineare, il dimensionamento di una rete
chiusa è in generale un problema non lineare. Infatti le portate in ogni singolo
ramo della rete non sono note a priori ma dipendono anche dai valori dei diame-
tri che sono da determinare. D'altra parte, come già accennato, una rete di mi-
nimo costo deve essere una rete aperta, perché in una rete chiusa esistono dei lati
ridondanti rispetto a quelli assolutamente necessari per raggiungere tutti i nodi
eroganti.
Il problema si può rendere simile a quello risolto nel caso della rete aperta fis-
sando in tutti i lati il valore della portata, tenendo conto che la rete chiusa è fatta
per consentire il soddisfacimento di una data domanda con vari percorsi alterna-
tivi.
In generale comunque occorrerebbe risolvere un problema di programmazione
non lineare. In un problema di tal genere occorre in generale trovare il minimo
di una funzione non lineare:

min z = f(x1, x2, ..., xn)

soggetta a un insieme di vincoli non lineari:

g1(x1, x2, ..., xn) = 0


g2(x1, x2, ..., xn) = 0
...
gm(x1, x2, ..., xn) = 0

e con le condizioni di non negatività:

x1, x2, ..., xn ≥ 0.

Per risolvere il problema esistono vari algoritmi, molto più complessi di quello
che abbiamo visto, nessuno dei quali è in grado di trovare con sicurezza la solu-
zione ottimale. In particolare il minimo che si trova non è detto che sia il mi-
nimo assoluto. Perché avvenga questo bisogna trovarsi già con la soluzione di
primo tentativo in vicinanza della soluzione effettiva.
46 G. Pezzinga

4.3.2 METODO SEMPLIFICATO

Un metodo euristico per il dimensionamento di reti a maglie si basa sulla crea-


zione di una rete aperta di minimo costo. Infatti, come già accennato, la rete di
minimo costo deve essere aperta. Una buona approssimazione alla rete aperta
ottimale si ha impostando il seguente problema di programmazione lineare.
Minimizzare la funzione:

z= ∑L Q i i

essendo Li e Qi la lunghezza e la portata del generico lato, con la sommatoria


estesa a tutti i lati della rete, considerando incognite le portate.
I vincoli sono costituiti dalle€equazioni di continuità ai nodi:

∑ ±Q j
k = qj

essendo la sommatoria estesa a tutti i lati convergenti al nodo j in cui la portata


erogata è qj. La soluzione sarà composta da una serie di valori positivi e da zeri.
€ la portata sono i lati da escludere per ottenere la rete
I lati per cui risulta nulla
aperta. Questa può essere poi dimensionata con il metodo visto prima. I lati
esclusi possono essere dimensionati successivamente, adottando il diametro
minimo o scegliendo altri criteri di dimensionamento.
La funzione obiettivo costituisce il trasporto globale di massa. In realtà questa
funzione non tiene conto dell'economia di scala. Infatti il legame portata-costo
non è lineare, ma ogni costo è proporzionale a Qm (m<1), cosicché una funzione
obiettivo più accurata sarebbe:

z= ∑L Q i
m
i .

Tuttavia, considerata la notevole semplificazione del problema che si ha con la


funzione lineare, è preferibile adottare questa, anche considerando tutte le limi-
€ i cui risultati devono essere accettati solo in prima
tazioni dei metodi impiegati,
approssimazione e devono essere riconsiderati alla luce dell'esperienza del pro-
gettista.
Elementi di Idraulica Numerica 47

4.4 Progetto di una rete di condotte in pressione (esercitazione 4)

Il programma di riferimento per l'esercitazione sul dimensionamento delle reti di


condotte è tratto dal libro: D. Stephenson - Pipeflow analysis - Elsevier.
Precisamente utilizzeremo la versione in Fortran del programma originale in
BASIC per l'applicazione del metodo del simplesso.
Il programma è in grado di effettuare la scelta, in base ai metodi di programma-
zione lineare prima descritti, sia del tracciato della rete (nel caso di una rete
chiusa) che dei diametri delle tubazioni. Il programma minimizza la funzione
obiettivo e fornisce tutti i valori delle variabili, sia di quelle effettive che di
quelle ausiliarie.
Per capire il modo di utilizzare il programma per il dimensionamento di una rete
chiusa è meglio riferirsi ad un esempio, lo stesso riportato da Stephenson. La
rete è composta dai seguenti lati:

Lato N. iniz. N. fin. Lungh.


1 1 2 400
2 2 3 300
3 2 5 500
4 1 4 500
5 4 5 450
6 5 3 700

Nel nodo 1 esiste un serbatoio a livello invariabile. Le portate erogate ai nodi


sono le seguenti:

Nodo Portata (m3/s)


3 0,200
5 0,080

In base a quanto previsto nel metodo semplificato per determinare il tracciato


della rete occorre minimizzare la funzione:

z = 400 Q1 + 300 Q2 + 500 Q3 + 500 Q4 + 450 Q5 + 700 Q6

con i vincoli:

Q1 - Q2 - Q3 = 0
Q2 + Q6 = 200
Q4 - Q5 = 0
Q3 + Q5 - Q6 = 80
48 G. Pezzinga

avendo assunto come direzioni delle portate quelle dal nodo iniziale al nodo fi-
nale.
Il programma chiede prima il nome della prova, poi il numero delle variabili,
quindi il numero dei vincoli in cui vale rispettivamente il segno ≤, il segno = e il
segno ≥. Successivamente il programma richiede l'inserimento dei coefficienti
dei vincoli considerando nell'ordine i segni ≤, =, ≥ ed i corrispondenti termini
noti. Infine vengono richiesti i coefficienti della funzione obiettivo da minimiz-
zare.
Dopo le elaborazioni vengono forniti i risultati, cioè l'insieme di valori delle va-
riabili che minimizzano la funzione obiettivo sotto i vincoli imposti ed il corri-
spondente coefficiente di costo. Nel caso in esame risulta:

Variabile Valore Coeff. costo


1 280 400
2 200 300
5 0 450
3 80 500

La rete aperta che minimizza la funzione obiettivo è dunque costituita dai lati 1,
2 e 3 (essendo 5 con valore nullo). I valori corrispondono alle portate che scor-
rono nei vari lati.
In seguito alla definizione del tracciato, si può riutilizzare il programma per
stabilire i valori dei diametri delle tubazioni della rete resa aperta con il proce-
dimento precedente, utilizzando il metodo che abbiamo descritto per il dimen-
sionamento di una rete aperta mediante programmazione lineare.
Nel caso in esame, la rete è costituita ora solamente dai lati 1, 2 e 3. Si possono
stabilire i diametri ottimali impostando ad esempio il problema di programma-
zione lineare. Considerando la possibilità di utilizzare sul lato 1 tre diametri, ri-
spettivamente 400 mm, 350 mm e 300 mm, sul lato 2 due diametri, 350 mm e
300 mm, sul lato 3 due diametri, 250 mm e 200 mm, si tratta di minimizzare la
seguente funzione obiettivo:

z = 100 x1 + 80 x2 + 70 x3 + 80 x4 + 70 x5 + 60 x6 + 50 x7

essendo le variabili costituite dalle lunghezze dei vari tronchi a diametro diffe-
rente e portata differente (i coefficienti rappresentano i costi per unità di lun-
ghezza). I vincoli sono i seguenti:

0,009 x1 + 0,017 x2 + 0,04 x3 + 0,009 x4 + 0,02 x5 ≤ 50


0,009 x1 + 0,017 x2 + 0,04 x3 + 0,009 x6 + 0,03 x7 ≤ 70
Elementi di Idraulica Numerica 49

x1 + x2 + x3 = 400
x4 + x5 = 300
x6 + x7 = 500

che impongono come al solito che il dislivello lungo ogni percorso sia inferiore
a una quantità prefissata, dipendente dal carico nel serbatoio e dal carico minimo
necessario al nodo erogante, e che la somma delle lunghezze dei tratti su ogni
lato sia pari alla lunghezza totale.

In questo caso il programma fornisce questi risultati:

Variabile Valore Coeff. costo


8 28 0
9 39 0
3 400 70
5 300 70
7 500 50

Naturalmente le variabili 8 e 9 sono fittizie. I risultati vanno considerati limita-


tamente alle variabili originarie.

L'esercitazione prevede il dimensionamento della rete presa in considerazione


nell'esercitazione precedente, considerando gli stessi carichi minimi,
naturalmente supponendo inizialmente i diametri incogniti. Per il calcolo della
cadente si può fare riferimento alla formula di Strickler con coefficiente di
scabrezza c=70.

Per i coefficienti di costo si può fare riferimento alla Tabella 4.2

Tabella 4.2 - Costi unitari in funzione del diametro

Diametro (mm) Costo (€/m) Diametro (mm) Costo (€/m)


60 34,2 400 223,7
80 41,3 450 274,6
100 44,8 500 303,7
125 59,5 600 379,6
150 63,7 700 608,9
200 88,3 800 753,3
250 121,8 900 924,7
300 147,7 1000 1076,0
350 191,2
50 G. Pezzinga

5. CORRENTI A SUPERFICIE LIBERA IN MOTO PERMANENTE

5.1 Generalità

Nel presente capitolo si studia il moto permanente nelle correnti a pelo libero
gradualmente variate. Il moto permanente si verifica nei canali artificiali con
portata costante, mentre non si verifica mai negli alvei naturali. Tuttavia, anche
se in generale il moto è vario, negli alvei naturali le variazioni sono dovute ai
fenomeni di piena, che sono abbastanza lenti. Quindi è possibile di norma stu-
diare il moto permanente considerando costante nel tempo la portata al colmo, se
la portata nella sezione di monte del tratto studiato varia di poco nel tempo
impiegato dal colmo di piena a propagarsi fino alla sezione di valle. Più è grande
il fiume, più è valida questa approssimazione. In ogni caso il calcolo effettuato
in tal modo è in condizioni di sicurezza.
Si studia la corrente da un punto di vista unidimensionale, ipotizzando che le li-
nee di corrente abbiano piccole curvature. Di conseguenza l'equazione di Eulero
lungo la normale alla direzione del moto:

∂ V2
( p + γh) = - ρ
∂n R

essendo il raggio di curvatura R molto grande, integrata fornisce:


€ €p
h + = cost
γ

e quindi la distribuzione delle pressioni è idrostatica.


Di conseguenza, per ogni sezione l'energia totale rispetto a un riferimento oriz-

zontale è definita dall'espressione:

αV 2
E=z+y+ .
2g

5.2 Equazione del moto



Nel caso generale di moto vario, l'equazione del moto unidimensionale delle
correnti a superficie libera gradualmente variate si può scrivere nella forma:
Elementi di Idraulica Numerica 51

∂E dz ∂y 1 ∂(αV 2 ) β ∂V
= + + =- -J
∂x dx ∂x 2g ∂x g ∂t

mentre, in assenza di apporti laterali, l'equazione di continuità assume la forma:


€ € € € ∂Q ∂A €
+ =0.
∂x ∂t

In moto permanente si può scrivere:



dE € dz dy 1 d(αV 2 )
= + + =-J
dx dx dx 2g dx

mentre l'equazione di continuità assume la forma:


€ € € € dQ
=0.
dx

Ipotizzando per semplicità α costante con y, e facendo comparire la portata,


l'equazione del moto si scrive:

dE dz dy αQ 2 $ ∂A dy ∂A '
= + - & + )=-J
dx dx dx gA 3 % ∂y dx ∂x (

ed essendo ∂A/∂y=B larghezza in superficie, l'equazione del profilo della cor-


rente si può scrivere:
€ € € €
dE dz dy $ αQ 2 B ' αQ 2 ∂A
= + &1 − )- =-J
dx dx dx % gA 3 ( gA 3 ∂x

oppure nella forma:


€ € € €
αQ 2 ∂A
i−J+
dy gA 3 ∂x
= .
dx 1 − Fr 2

La cadente J sarebbe in generale funzione della scabrezza relativa e del numero


di Reynolds, così come per le condotte in pressione. Tuttavia si ipotizza di solito

che il moto sia puramente€turbolento e si adotta la formula di Chezy:
52 G. Pezzinga

Q2
J= 2 2 ,
A C r

dove r è il raggio idraulico. Il coefficiente C di Chezy si può esprimere ad


esempio con la formula di Manning:

1 1/6
C= r .
n

I valori del coefficiente n per i canali artificiali sono tabulati sui manuali in fun-
zione della natura del rivestimento delle pareti, mentre per i corsi d'acqua natu-
rali si valutano in funzione€della natura del terreno, della vegetazione delle
sponde e delle irregolarità dell'alveo.

5.3 Schemi alle differenze finite espliciti e impliciti

L'equazione dei profili appena scritta è un'equazione differenziale ordinaria del


primo ordine, che abbiamo portato nella forma:

dy
= f(x,y).
dx

Per risolvere questa equazione è necessaria una condizione al contorno, che si


assegna a valle per corrente lenta e a monte per corrente veloce.
La soluzione analitica è€possibile solo per casi molto particolari (integrale di
Bresse). In generale l'equazione si deve risolvere numericamente. Si utilizzano
metodi numerici alle differenze finite, con cui si sostituisce alla derivata il rap-
porto incrementale, ottenendo l'equazione:

Δy
= f(x,y).
Δx

Si deve quindi stabilire un reticolo di calcolo, definendo le sezioni a distanze di-


screte.

Esistono due grandi categorie di schemi alle differenze finite: gli schemi espliciti
e gli schemi impliciti. Uno schema esplicito si può mettere nella forma

yk +1 − yk
= f(xk+1,yk+1).
Δx


Elementi di Idraulica Numerica 53

nel caso di corrente lenta e nella forma

yk +1 − yk
= f(xk,yk).
Δx

nel caso di corrente veloce.


Uno schema implicito si può scrivere genericamente

yk +1 − yk
= θ f(xk,yk) + (1-θ) f(xk+1,yk+1).
Δx

essendo θ un coefficiente di peso. Scegliendo θ=1/2 si ha:


€ yk +1 − yk 1
= [f(xk,yk) + f(xk+1,yk+1)].
Δx 2

5.4 Consistenza, stabilità, convergenza, accuratezza


€ €
Ogni schema possiede delle proprietà che lo qualificano: stabilità, consistenza,
convergenza, accuratezza.

5.4.1 STABILITÀ

La stabilità riguarda l'entità degli errori al procedere del calcolo. In particolare


occorre analizzare come l'errore commesso ad un certo passo dipenda dall'errore
al passo precedente. Perché lo schema sia stabile occorre che l'errore non si
amplifichi. Analizziamo la stabilità dello schema esplicito e dello schema im-
plicito.

5.4.1.1 Schema esplicito

Se la corrente è lenta si può scrivere:

yk +1 − yk
= f(xk+1,yk+1).
Δx

Supponendo di avere un errore εk+1 su yk+1 si ha:



54 G. Pezzinga

yk +1 + ε k +1 − yk − ε k
= f(xk+1,yk+1+εk+1).
Δx

Vediamo quanto vale il nuovo errore εk dato il precedente εk+1. Lo sviluppo in


serie di Taylor della funzione f(x,y) è il seguente:

∂f
f(xk+1,yk+1+εk+1) = f(xk+1,yk+1) + εk+1
∂y k +1

Si ha quindi, combinando le precedenti:

∂f€
εk+1 = εk + εk+1 Δx
∂y k +1

e quindi:
€ % (
∂f
εk = εk+1 '1 − Δx*
& ∂y k +1 )

Perché lo schema sia stabile si deve avere



εk ∂f
= 1− Δx < 1
ε k +1 ∂y k +1

e quindi
€ € ∂f
0< Δx < 2 .
∂y k +1

Si può scrivere:
€ ∂f ∂f dx d 2y 1
= =
∂y ∂x dy dx 2 dy
dx

Esaminiamo i segni delle derivate prima e seconda per i vari profili.


€ €

Elementi di Idraulica Numerica 55

dy d 2y ∂f
Profilo
dx dx 2 ∂y
D1 + + +
D2 - - +
D3 + + +
€ €
F1 + - € -
F2 - + -
F3 + - -

I profili di corrente lenta sono D1, D2 e F1. Per il profilo F1 la condizione vista
prima non può essere soddisfatta. Si ha instabilità. Per i profili D1 e D2 basta
scegliere:

2
Δx < .
∂f
∂y

Si ha stabilità condizionata.

Se la corrente è veloce si può scrivere:

yk +1 − yk
= f(xk,yk).
Δx

yk +1 + ε k +1 − yk − ε k ∂f
= f(xk,yk+εk) = f(xk,yk) + εk .
€ Δx ∂y k

Si ottiene allora:

$ ∂f ' €
εk+1 = εk &1 + Δx).
% ∂y k (

Per la stabilità deve essere:



ε k +1 ∂f
= 1+ Δx < 1
εk ∂y k

e quindi
€ €
56 G. Pezzinga

∂f
-2< Δx < 0 .
∂y k

Quindi, esaminando la tabella precedente, si vede che il profilo D3 è instabile,


mentre i profili F2 e F3 sono stabili sotto la condizione

2
Δx < .
∂f
∂y

5.4.1.2 Schema implicito



Si può scrivere in generale:

yk +1 − yk 1
= [f(xk,yk) + f(xk+1,yk+1)].
Δx 2

Analogamente a quanto fatto prima si può scrivere:



yk +1 + ε k +1 −€yk − ε k 1
= [f(xk,yk+εk) + f(xk+1,yk+1+εk+1)]=
Δx 2

1$ ∂f ∂f '
= & f (x k , yk ) + ε k + f (x k +1 , yk +1 ) + ε k +1 ).
€ 2% € ∂y k
∂y k +1 (

Si ottiene in definitiva:

Δx % ∂f ∂f (
εk+1-εk = 'ε k + ε k +1 *.
2 & ∂y k ∂y k +1 )

Supponendo che si abbia, in prima approssimazione:


€ ∂f ∂f
= ,
∂y k ∂y k +1

si ottiene:
€ €
Elementi di Idraulica Numerica 57

% Δx ∂f ( $ Δx ∂f '
εk+1 '1 − * = εk &1 + ).
& 2 ∂y ) % 2 ∂y (

Per la stabilità deve essere, in corrente lenta:


€ € Δx ∂f
1−
εk 2 ∂y
= < 1.
ε k +1 Δx ∂f
1+
2 ∂y

Questa condizione non è mai verificata per il profilo F1 (instabilità) ed è sempre


€ D1 e D2 (stabilità senza condizioni).
verificata per i profili
Per la corrente veloce: €

Δx ∂f
1+
ε k +1 2 ∂y
= < 1.
εk Δx ∂f
1−
2 ∂y

Questa condizione non è mai verificata per il profilo D3 (instabilità) ed è sempre


€ F2 e F3 (stabilità senza condizioni).
verificata per i profili

5.4.2 CONSISTENZA

Se al tendere di Δx a zero l'equazione algebrica discreta tende all'equazione dif-


ferenziale lo schema si dice consistente. L'ordine della consistenza quantifica la
differenza tra equazione algebrica discreta ed equazione differenziale. È misu-
rata dall'errore di troncamento causato dall'introduzione del rapporto incremen-
tale. La potenza di Δx del primo termine trascurato dà la consistenza.

5.4.2.1 Schema esplicito

Nel caso di corrente lenta si ha:

yk +1 − yk
= f(xk+1,yk+1).
Δx


58 G. Pezzinga

Lo sviluppo in serie di Taylor attorno a yk+1 è il seguente:

dy Δx 2 d 2 y
yk = yk+1 - Δx + - ...
dx k +1 2 dx 2 k +1

Sostituendo si ottiene:
€ €
dy Δx 2 d 2 y
- + ... = f(xk+1,yk+1).
dx k +1 2 dx 2 k +1

Questa è l'equazione risolta in realtà. La differenza con l'equazione di partenza è


data principalmente dal termine
€ €
Δx d 2 y
-
2 dx 2 k +1

che dipende dalla prima potenza di Δx. Quindi lo schema esplicito è consistente
perché al tendere di Δx a zero l'equazione algebrica tende all'equazione diffe-

renziale e la consistenza è del primo ordine. Analogamente si procede per cor-
rente veloce.

5.4.2.2 Schema implicito

In questo caso l'equazione si scrive:

yk +1 − yk 1
= [f(xk,yk) + f(xk+1,yk+1)].
Δx 2

Lo sviluppo in serie di Taylor nel punto medio tra xk e xk+1 fornisce:


€ €
Δx dy 1 Δx 2 d 2 y 1 Δx 3 d 3 y
yk+1 = y 1 + + + + ...
k+
2
2 dx k + 1 2! 4 dx 2 k + 1 3! 8 dx 3 k + 1
2 2 2

€ Δx dy 1 Δx 2 d 2 y 1 Δx 3 d 3 y
yk €
= y 1 - € + € - + ...
k+
2
2 dx k + 1 2! 4 dx 2 k + 1 3! 8 dx 3 k + 1
2 2 2

€ € € €
Elementi di Idraulica Numerica 59

Sottraendo la seconda dalla prima si ottiene:

dy Δx 3 d 3 y
yk+1 - yk = Δx + + ...
dx k + 1 24 dx 3 k + 1
2 2

Sostituendo si vede che l'equazione risolta in realtà:


€ 2 3 €
dy Δx d y 1
+ + ... = [f(xk,yk) + f(xk+1,yk+1)]
dx k + 1 24 dx 3 k + 1 2
2 2

differisce dall'equazione vera per un termine del secondo ordine in Δx e per ter-

mini€di ordine superiore. La consistenza dello schema implicito è quindi del se-
condo ordine. €

5.4.3 CONVERGENZA

Uno schema consistente e stabile si dice convergente, perché al tendere di Δx a


zero la soluzione numerica tende a quella vera.

5.4.4 ACCURATEZZA

L'accuratezza di uno schema riguarda la differenza tra la soluzione approssimata


e quella vera. Non può essere valutata a priori ma solo per confronto con la so-
luzione analitica valevole per casi semplici. Naturalmente uno schema con con-
sistenza di ordine superiore è più accurato.
In pratica si vede che piccole variazioni della scabrezza (di qualche percento)
danno luogo a soluzioni che differiscono maggiormente tra loro di quanto non
differiscano le soluzioni date dai due schemi. Quindi, considerate le incertezze
che si hanno sulle scabrezze reali, così come sulle portate, le approssimazioni
numeriche risultano certamente accettabili.
60 G. Pezzinga

5.5 Integrazione delle equazioni

5.5.1 ALVEI PRISMATICI

In questo caso l'equazione del profilo si scrive:

dy i−J
= .
dx 1 − Fr 2

Siccome non si hanno sezioni vincolate a certe ascisse, è molto adatto lo schema
diretto:
€ €
1 − Fr 2
xk+1 - xk = (yk+1 - yk) .
i−J

e l'incognita è xk+1 o xk a seconda che la corrente sia veloce o lenta.


In alternativa si può utilizzare lo schema:

α k +1Vk +12 α k Vk 2
yk +1 + − yk +
H k +1 − H k 2g 2g
xk+1 - xk = = .
i−J i−J

€ corrente in un alveo prismatico (esercitazione 5)


€ del profilo di
5.5.1.1 Calcolo

Si consideri il canale a sezione rettangolare costituito da due tratti con diversa


pendenza e sboccante in un serbatoio a livello invariabile (Figura 5.1).

Figura 5.I – Schema del canale


Elementi di Idraulica Numerica 61

Determinare il profilo di corrente nei due tratti localizzando il risalto con il


bilancio delle spinte totali.

5.5.2 ALVEI NATURALI

Per i corsi d'acqua naturali la sezione in generale non è costante e la pendenza di


fondo non è facilmente definibile. Si preferisce allora integrare l'equazione:

dE
= -J
dx

dove E è l'energia totale rispetto ad un piano orizzontale di riferimento:


€ αV 2 αV 2
E=z+y+ =h+
2g 2g

essendo h la quota del pelo libero rispetto all'orizzontale.


Se la sezione è compatta si può porre α = 1. L'equazione alle differenze finite si
può scrivere ad esempio: € €

Vk2+1 V2 1
hk+1 + = hk + k - ( J k + J k +1 ) Δx.
2g 2g 2

L'incognita è l'altezza hk nel caso di corrente lenta o hk+1 nel caso di corrente ve-
loce. Naturalmente l'equazione è implicita, perché dipendono dall'altezza
d'acqua anche il € € e€la cadente. Bisogna allora risolverla partendo
termine cinetico
da un valore di primo tentativo, con uno dei metodi iterativi già visti per le
equazioni non lineari, per esempio il metodo del punto fisso.

5.5.3 ALVEI A SEZIONE COMPOSTA

Nel caso di sezioni composte da alveo di magra e da due o più golene, la sezione
può essere suddivisa attraverso le verticali per i punti iniziali delle golene; il le-
game tra portata e cadente risulta quindi:

2
A j r j3
Q= ∑Q j = J ∑ nj
,



62 G. Pezzinga

avendo indicato con l'indice j le grandezze relative alla generica zona j-esima.
Tale modo di procedere, per quanto approssimato, è certamente il più pratico e
consente tra l'altro di assegnare diversi valori dell'indice di scabrezza alle varie
zone della sezione.
Il coefficiente α di Coriolis consente di tener conto della disuniformità della di-
stribuzione di velocità nella valutazione dell'energia totale. Tale coefficiente si
può assumere pari a 1 nel caso di sezioni compatte. Nel caso di sezioni
composte, assumendo pari ad 1 il coefficiente della singola zona (trascurando
cioè la disuniformità di velocità nella singola zona rispetto a quella dell'intera
sezione), il coefficiente α è esprimibile tramite la relazione:

∑ V j3 A j
α= ,
V 3A

essendo Vj = Qj/Aj la velocità media della zona j-esima.


L'equazione, che si può scrivere nella forma:

α k +1Vk2+1 α k Vk2 1
hk+1 + = hk + - ( J k + J k +1 ) Δx.
2g 2g 2

risulta ancora implicita e più complessa che per alveo a sezione compatta. Con-
viene fissare un valore di tentativo e valutare l'errore commesso:
€ € €
Er = Ek+1 - Ek - ΔE.

Se Er risulta piccolo ci si ferma, altrimenti si continua, prendendo ad esempio


come correzione successiva 1/2 Er.
Naturalmente il procedimento descritto, che si basa sulla suddivisione della se-
zione composta in parti, non è rigoroso nel caso di moto permanente. Oltre
all'approssimazione già introdotta in moto uniforme, dovuta alla scelta della sud-
divisione verticale, lungo la quale non è nullo lo sforzo tangenziale, nel caso del
moto permanente esistono tra le varie zone della sezione anche trasferimenti di
portata a causa del fatto che in sezioni diverse si hanno altezze d'acqua diverse e
quindi valori diversi delle frazioni della portata totale nelle sottosezioni. Tali
trasferimenti determinano sforzi aggiuntivi, dovuti al trasferimento di quantita di
moto, che sono trascurati pur potendo risultare molto cospicui soprattutto per al-
vei non prismatici.
Elementi di Idraulica Numerica 63

5.6 Il programma HEC-RAS

I programmi sviluppati dall’Hydrologic Engineering Center dell’U.S. Army


Corps of Engineers sono di pubblico dominio. L’attuale software HEC-RAS ha
incorporato, migliorato e reso più facilmente fruibili i precedenti programmi
HEC-2 (moto permanente) e UNET (moto vario). Nel modulo di moto
permanente l'equazione del moto è scritta nella forma:

d # αV 2 &
%h + (=-J;
dx $ 2g '

in forma discretizzata, per il generico tratto di lunghezza L compreso tra la se-


zione k e la sezione k+1 più a valle, si può scrivere:

α k Vk2 α V2
hk + = hk+1 + k +1 k +1 + ΔE .
2g 2g

La perdita di carico ΔE viene espressa tramite la relazione:


€ €
α k Vk2 α k +1Vk2+1
ΔE = LJ + m − ,
2g 2g

dove il secondo addendo rappresenta le eventuali perdite per espansione o con-


trazione nel tratto compreso tra le due sezioni, essendo m un coefficiente adi-
mensionale. €
Il programma consente di suddividere il generico tronco in tre zone (zona
golenale di sinistra, alveo di magra, zona golenale di destra), ciascuna delle quali
può avere diversa lunghezza, scabrezza e cadente. Naturalmente, all'interno di
ciascuna di queste zone possono esservi ulteriori suddivisioni per tener conto di
eventuali differenze di scabrezza o della presenza di diversi piani golenali.
Indicando con gli indici S, C e D rispettivamente le grandezze relative alla zona
di sinistra, a quella di centro ed a quella di destra, la lunghezza L del tronco
viene espressa dalla media pesata:

L S QS + LC QC + L D QD
L= ,
Q

essendo, ovviamente:

64 G. Pezzinga

Q = QS + QC + QD .

La cadente nella generica sezione è data dall'espressione:

Q2
J= 2
,
(" Ar 2 / 3 % " Ar 2 / 3 % " Ar 2 / 3 % +
*$ ' +$ ' +$ ' -
)# n & S # n & C # n &D ,

e, per il generico tronco, dalla media:


€ 2
(Qk +1 + Qk )
J= 2
.
# Ai ri2 / 3 Ai ri2 / 3 &
%∑ k +1 + ∑k (
$ n i ni '

Esistono varie altre possibilità di valutare la cadente media.


Il profilo di corrente viene calcolato procedendo nel seguente modo:
- €
nell'ipotesi di corrente lenta:
a. note l'altezza idrica di valle hk+1 e la portata Qk+1, si calcolano Vk+1 e
Jk+1;
b. nota la portata a monte Qk si fissa un valore di tentativo per l'altezza
idrica hk;
c. si calcolano Vk e Jk;
d. si calcola la perdita ΔE;
e. dall'equazione del moto, si determina un nuovo valore dell'altezza idrica
a monte hk:

α k +1Vk2+1 α k Vk2
hk = hk+1 + + ΔE - ;
2g 2g

f. se lo scarto fra i due successivi valori di hk risulta maggiore di un prefis-


sato valore, il calcolo riprende dal punto c. con l'ultimo valore di hk;
€ €
g. determinato così hk, si verifica che tale valore risulti superiore a quello
dell'altezza critica hc nella sezione k;
h. se tale condizione è verificata si passa al calcolo per il tronco immedia-
tamente a monte, tornando al punto a.;
i. se invece risulta hk < hc, si pone hk = hc;
Elementi di Idraulica Numerica 65

- nell'ipotesi di corrente veloce il procedimento va applicato nell'identico


modo ma procedendo, con gli ovvi adattamenti, da monte verso valle.
Se la corrente risulta ovunque lenta (o veloce) il procedimento si esaurisce; qua-
lora invece in qualche sezione risulti un tirante uguale all'altezza critica, il pro-
cedimento va ripetuto con l'ipotesi di corrente veloce (o lenta). È presumibile
che il nuovo calcolo dia luogo ad altezze di corrente veloce (lenta) tranne in al-
cune sezioni in cui l'altezza sarà pari alla critica. Dall'analisi dei risultati ottenuti
dai calcoli nelle due ipotesi si è quindi in grado di ricostruire il profilo di cor-
rente, scegliendo in ogni sezione l'altezza di corrente lenta o veloce risultante dal
relativo calcolo ed escludendo l'altezza critica, a meno che questa non si ritrovi
in entrambi i calcoli effettuati. Un’opzione presente nel programma HEC-RAS è
il calcolo in regime di corrente mista, nel quale viene localizzato anche il risalto
con un bilancio delle spinte totali.
Un particolare cenno va dedicato alle procedure previste dal modello per l'analisi
dell'effetto dei ponti sulla corrente. La più semplice si limita a depurare l'area
della sezione dall'ingombro del ponte (pile e impalcato). La seconda consente
invece un esame più dettagliato delle condizioni di deflusso.
Con tale procedura, infatti, si considera che la portata può attraversare la sezione
del ponte o nelle normali condizioni di corrente a pelo libero, oppure in pres-
sione (il livello idrico supera l'intradosso dell'impalcato, ma non l'estradosso) od
ancora parte in pressione e parte a stramazzo (il livello supera il piano superiore
del ponte). Per ciascuna di tali situazioni il calcolo viene condotto con le specifi-
che equazioni.
Applicando l'equazione globale della dinamica al volume idrico compreso tra le
sezioni immediatamente a valle del ponte (nell'ipotesi di corrente lenta) e la se-
zione del ponte (schematizzata di forma trapezia), si calcola il livello idrico in
corrispondenza del ponte e su tale base si determina il tipo di deflusso.
Se il livello risulta inferiore a quello dell'intradosso dell'impalcato, il deflusso è
a pelo libero. In tal caso, se l'altezza risulta superiore all'altezza critica, il mo-
dello calcola il dislivello tra monte e valle a mezzo dell'equazione di Yarnell. Se,
invece, l'altezza risulta inferiore o uguale a quella critica, si impone che il de-
flusso avvenga in condizioni di stato critico e si determinano i livelli a monte ed
a valle del ponte, sempre con l'applicazione dell'equazione globale della dina-
mica.
Se il deflusso avviene in pressione, si applica l'equazione dell'efflusso sotto luce
a battente; infine, se il livello supera anche il piano superiore del ponte, l'ali-
quota di portata che defluisce sopra il ponte viene calcolata con l'equazione del-
l'efflusso da una luce a stramazzo.
66 G. Pezzinga

5.7 Calcolo di un profilo di corrente in un alveo naturale (esercitazione 6)

Nel caso di un corso d'acqua naturale, individuato il tratto da studiare, per prima
cosa occorre scegliere le sezioni di calcolo. Naturalmente occorre prendere in
considerazione le sezioni in corrispondenza alle quali si hanno variazioni delle
caratteristiche geometriche e idrauliche dell'alveo. Le sezioni vanno inoltre trac-
ciate in direzione ortogonale alla presumibile direzione della corrente. Quindi se
si effettua il calcolo per le portate di piena, non bisogna considerare l'andamento
dell'alveo di magra ma quello della zona presumibilmente interessata dalla cor-
rente, che comprende anche le golene, ed eventualmente la vallata circostante.
Nei tratti prismatici comunque è opportuno scegliere le sezioni non troppo di-
stanti (di norma non più di 500 m) per effettuare calcoli accurati.

Utilizzeremo il programma HEC-RAS per calcolare il profilo di moto


permanente sul Po, tra le sezioni di Stienta e Pontelagoscuro.
Siccome abbiamo rilievi delle scale delle portate nelle tre stazioni idrometriche
di Stienta, Occhiobello e Pontelagoscuro, il programma HEC-RAS può essere
utilizzato per effettuare la taratura del coefficiente di scabrezza (o dei
coefficienti di scabrezza, uno per l'alveo di magra e uno per le golene) del tratto
studiato. Esiste un'opzione ben precisa per far effettuare la taratura al
programma stesso. Noi tuttavia non la utilizzeremo.
Nel tratto studiato sono state scelte otto sezioni. I dati che definiscono la geome-
tria delle sezioni sono i seguenti:

Sezione 1 (progr. 0) - Pontelagoscuro


x(m) 0,0 40,5 189,0 202,3 219,5 253,5
y(m) 15,53 8,03 11,03 12,20 12,29 4,80
x(m) 442,3 617,9 685,4
y(m) 0,00 5,79 14,36

Sezione 2 (progr. 1750)


x(m) 0,0 97,0 291,5 320,0 460,0 600,5
y(m) 14,44 8,84 8,44 12,38 10,88 7,38
x(m) 1120,0 1250,0 1500,0 1535,0
y(m) 1,52 8,76 5,76 12,18

Sezione 3 (progr. 3100)


x(m) 0,0 94,5 162,0 332,0 383,0 904,0
y(m) 14,84 2,84 2,76 1,96 8,09 11,09
x(m) 907,0
y(m) 14,90
Elementi di Idraulica Numerica 67

Sezione 4 (progr. 4150)


x(m) 0,0 67,5 257,8 298,0 352,0 456,0
y(m) 15,09 0,00 0,00 13,30 13,34 1,84
x(m) 621,5 703,0 932,0 1006,0 1137,0 1298,0
y(m) 0,84 11,02 11,00 7,50 7,50 15,21

Sezione 5 (progr. 5300) - Occhiobello


x(m) 0,0 27,0 128,5 446,0 540,0
y(m) 15,49 7,40 3,80 2,88 15,18

Sezione 6 (progr. 6650)


x(m) 0,0 27,0 274,5 340,0 716,0 805,0
y(m) 16,46 13,46 4,96 -0,53 3,47 15,40

Sezione 7 (progr. 7200)


x(m) 0,0 40,5 94,5 128,8 170,0 305,0
y(m) 16,51 7,51 7,51 3,12 -1,64 3,69
x(m) 400,0 549,0 613,2
y(m) 10,7 7,6 13,43

Sezione 8 (progr. 8600) - Stienta


x(m) 0,0 67,5 175,3 310,5 440,0 501,0
y(m) 16,74 7,14 2,74 3,14 3,10 -1,76
x(m) 609,0 892,0 932,0
y(m) 10,04 11,04 15,92

Le scale delle portate rilevate nelle tre sezioni sono riportate di seguito.

Stienta
h(m s.m.) 9,5 10,0 10,5 11,0 11,5 12,0
Q(m3/s) 3500 3950 4500 5050 5800 6550

Occhiobello
h(m s.m.) 9,0 9,5 10,0 10,5 11,0 11,5
Q(m3/s) 3450 3850 4350 4900 5550 6350

Pontelagoscuro
h(m s.m.) 8,5 9,0 9,5 10,0 10,5 11,0
Q(m3/s) 3600 4050 4500 5200 5900 6750
68 G. Pezzinga

Fig. 5.2 – Planimetria del Po tra Stienta e Pontelagoscuro


Elementi di Idraulica Numerica 69

Fig. 5.3 – Scale delle portate in forma grafica

5.8 Correnti a portata variabile lungo il percorso

Consideriamo correnti a portata variabile in moto permanente. A seconda che la


portata diminuisca lungo il canale (sfioratore laterale, griglia di fondo) o
aumenti (canale di gronda) si devono usare equazioni basate su ipotesi differenti.
Nel caso che una certa portata si allontani dalla corrente principale, si può
ipotizzare che il processo avvenga senza dissipazione di energia. Si può quindi
partire dall’equazione già vista:

dE
=i−J
ds

nell’ipotesi che la vena che si allontana abbia energia cinetica uguale a quella
media della corrente.
Se invece c’è l’ingresso€ di una portata nella corrente, il fenomeno dissipa
energia e deve essere studiato considerando l’equazione globale dell’equilibrio
dinamico, che, essendo S la spinta totale, si può scrivere:

dS
= γ A (i − J )
ds
70 G. Pezzinga

5.8.1SFIORATORE LATERALE

Considerando nel termine E la variabilità sia dell’altezza idrica y che della


portata Q, consente di scrivere l’equazione del profilo nella forma:

Q dQ
i−J −
dy gA 2 ds
=
ds Q2 B
1− 3
gA

Un andamento qualitativo del profilo si può ottenere nell’ipotesi di poter


trascurare la differenza i – J. L’equazione diventa:

Q dQ

dy gA 2 ds
=
ds Q2 B
1− 3
gA

Dato che si considera il caso di portata decrescente lungo s, il numeratore è


sempre positivo. Dato che il denominatore è positivo per corrente lenta e
negativo per corrente veloce, ne segue che l’altezza idrica cresce verso valle per
corrente lenta e decresce per corrente veloce. L’equazione appena scritta può
essere integrata analiticamente con ulteriori ipotesi sulla legge della variazione
di portata.
Nel caso dello sfioratore laterale si ipotizza di poter utilizzare, per ogni elemento
ds, l’espressione della portata su uno stramazzo. Detto p il petto dello sfioratore
e µ il coefficiente di efflusso si può scrivere:

dQ
= −µ ( y − p) 2g ( y − p)
ds

Dato che i – J = 0, E è costante. Supponendo quindi per esempio che la corrente


sia lenta, E si calcola nella sezione di valle. Per un canale a sezione rettangolare,
utilizzando la seguente espressione della portata per unità di larghezza q:

q = y 2g ( E − y)

l’equazione del profilo di può scrivere:


Elementi di Idraulica Numerica 71

3/2 1/2
dy 2µ ( y − p) ( E − y )
=−
ds B 2E − 3y

Questa ammette una soluzione analitica del tipo:

B"
s2 − s1 = # F ( y2 ) − F ( y1 )$%
µ

in cui la funzione F ha la seguente espressione:

2E − 3p E − y E−y
F= − 3arcsin
E−p y− p E−p

Questa formulazione consente di risolvere facilmente il problema del


dimensionamento, o meglio del predimensionamento, considerate le ipotesi
semplificative, dello sfioratore laterale.
Se si vuole considerare l’equazione completa, questa può essere risolta solo per
via numerica, considerando il sistema formato dalle due equazioni differenziali
del primo ordine:

Q
i−J + µ ( y − p) 2g ( y − p)
dy gA 2
=
ds Q2 B
1− 3
gA

dQ
= −µ ( y − p) 2g ( y − p)
ds

per il quale si rimanda agli schemi descritti nel capitolo 2.

5.9 Dimensionamento di uno sfioratore laterale (esercitazione 7)

Si consideri un tratto di canale in cui sia realizzato uno sfioratore laterale con le
caratteristiche indicate in Figura 5.4. Si deve determinare la lunghezza dello
sfioratore e il profilo del pelo libero sia con la soluzione analitica che per via
numerica.
72 G. Pezzinga

Fig. 5.4 – Schema dello sfioratore laterale


Elementi di Idraulica Numerica 73

6. CORRENTI IN PRESSIONE IN MOTO VARIO

6.1 Generalità

Le variazioni della portata di regime in impianti in pressione generano processi


di moto vario che possono essere dannosi per l'impianto in quanto provocano
oscillazioni di pressione rispetto al valore di regime. Questi fenomeni devono
quindi essere previsti e attentamente studiati in fase di progetto, al fine di dimi-
nuirne gli effetti mediante l'introduzione di opportuni dispositivi di protezione.
Le equazioni del moto vario in cui si tenga conto della comprimibilità dell'acqua
e della deformabilità della condotta sono tipiche equazioni iperboliche, rappre-
sentative di problemi di propagazione. Le onde di pressione e di portata si pro-
pagano cioè lungo la condotta con una celerità finita. In questo caso il problema
matematico consiste nella risoluzione di equazioni differenziali alle derivate
parziali iperboliche con le opportune condizioni iniziali e condizioni al contorno.
In certi casi è accettabile trascurare la comprimibilità dell'acqua e la deformabi-
lità della condotta (ipotesi anelastica), il che equivale a dire che la celerità delle
perturbazioni è infinita. In tale situazione il problema si può ridurre all'integra-
zione di un'equazione differenziale ordinaria, in quanto si perde la dipendenza
della portata dall'ascissa lungo la condotta.
Esamineremo allora separatamente la risoluzione dei problemi di moto vario
elastico e quella dei problemi di oscillazioni di massa.

6.2 Oscillazioni di massa

Le equazioni di continuità e del moto per una corrente unidimensionale si pos-


sono scrivere nella forma:

∂(ρQ) ∂(ρA)
+ = 0,
∂x ∂t

∂H 1 dV
+ + J = 0,
∂x g dt
€ €
essendo x l'ascissa lungo l'asse della condotta, t il tempo, H il carico piezome-
trico, Q la portata, ρ la densità del fluido, g l'accelerazione di gravità, A l'area

della sezione trasversale, J€
la forza resistente per unità di peso.
Nell'ipotesi di poter trascurare la comprimibilità del liquido e la deformabilità
della condotta l'equazione di continuità assume la forma
74 G. Pezzinga

∂Q
= 0,
∂x

per cui la portata risulta dipendente solo dal tempo ma non dall'ascissa. Di con-
seguenza, integrando lungo la un generico tronco di condotta di lunghezza L,

l'equazione del moto può essere riscritta in generale nella forma:

L dQ
HL - H0 + + LJ = 0,
gA dt

Per definire completamente il problema occorre in generale legare i carichi nella


sezione iniziale e finale della condotta alla portata, in base alla natura dei dispo-
sitivi di estremità presenti. €

6.3 Esempi applicativi

6.3.1 MOTO VARIO NELLE GALLERIE DEGLI IMPIANTI IDROELETTRICI

Nel caso del moto vario in una galleria di un impianto idroelettrico ad esempio,
tenendo conto della condizione di serbatoio a livello invariabile a monte si ha:

H0 = Hs.

Nella sezione di valle, trascurando per semplicità la portata nella condotta for-
zata, ipotesi ammissibile per la notevole diversità dei tempi caratteristici dei fe-
nomeni di moto vario nella condotta stessa e nella galleria, l'equazione di conti-
nuità si scrive nella forma:

dH P
Σ = Q.
dt

essendo HP il carico piezometrico nel pozzo e Σ l'area della sezione del pozzo.
Se è presente una strozzatura, facendo riferimento per semplicità ad una formula

quadratica con coefficiente costante Ks, il legame tra i carichi nel pozzo e in
condotta si può scrivere:

HL - HP = Ks Q |Q|.
Elementi di Idraulica Numerica 75

Introducendo l'oscillazione Z del carico piezometrico nel pozzo rispetto al carico


statico, si deve risolvere in definitiva nel caso più generale il sistema di due
equazioni differenziali ordinarie del primo ordine costituito dall'equazione del
moto:

L dQ L
Z+ + Ks Q |Q| + 2 2 4 / 3 Q |Q| = 0,
gA dt k A R

in cui si è adottata la formula di Strickler per esprimere le perdite distribuite (R è


il raggio idraulico) e dall'equazione di continuità:
€ €
dZ
Σ = Q.
dt

Le condizioni iniziali si possono scrivere:


€ Z = - J0 L Q = Q0 .

In assenza di strozzatura e nell'ipotesi di perdite distribuite trascurabili il sistema


di equazioni può essere facilmente integrato analiticamente. Derivando infatti la
seconda delle equazioni e sostituendo nella prima si ottiene l'equazione differen-
ziale di secondo ordine nella variabile Z:

ΣL d 2 Z
Z+ = 0.
gA dt 2

Ponendo
€ gA
ω=
ΣL

la soluzione dell'equazione, tenendo conto delle condizioni iniziali Z=0 e


dZ/dt=Q0/Σ per t=0, è la seguente:

LA
Z = V0 sen (ωt).

La soluzione analitica può servire per confrontare la soluzione numerica, con-


trollando l'accuratezza dello schema numerico adottato per risolvere il sistema.

76 G. Pezzinga

6.3.2 MOTO VARIO NEGLI IMPIANTI DI SOLLEVAMENTO MUNITI DI CASSA D'ARIA

Nel caso del moto vario in un impianto di sollevamento munito di una cassa d'a-
ria, prendendo in considerazione i carichi piezometrici assoluti, la condizione di
serbatoio a livello invariabile all'estremo di valle della condotta consente di scri-
vere:

HL = Hs.

Nella sezione iniziale si possono scrivere le seguenti equazioni:


- l'equazione della trasformazione politropica per l'aria contenuta nella cassa

Hc Wn = Hs Wsn ;

essendo Hc il carico assoluto dell'aria e W e Ws rispettivamente il generico vo-


lume d'aria e il volume d'aria in condizioni statiche;
- l'equazione della perdita di carico attraverso l'eventuale strozzatura tra cassa e
condotta

Hc = H0 + Ks Q |Q|;

- l'equazione di continuità tra la cassa e la condotta

dW
Q- = 0.
dt

Introducendo anche in questo caso l'oscillazione Z del carico piezometrico nella


cassa rispetto al carico statico, l'equazione del moto può essere scritta:

L dQ L
-Z+ + Ks Q |Q| + 2 2 4 / 3 Q |Q| = 0 .
gA dt k A R

Inoltre, differenziando l'espressione della politropica e sostituendo nell'equa-


zione di continuità, questa si può scrivere nella forma:
€ €
Ws H s1/ n dZ
- =Q.
n(H s + Z)1+1/ n dt

Si ricade quindi nello stesso caso precedente di un sistema di due equazioni dif-
ferenziali del primo ordine. Le condizioni iniziali sono in questo caso:

Elementi di Idraulica Numerica 77

Z = J0 L Q = Q0 .

6.4 Verifica di un impianto di sollevamento con cassa d'aria. Oscillazioni di


massa (esercitazione 8)

L'esercitazione consiste nel realizzare un programma in Fortran per il calcolo


delle oscillazioni di moto vario in un impianto di sollevamento con cassa d'aria
nell'ipotesi anelastica. Per risolvere il problema si può utilizzare lo schema di
Runge-Kutta del 4° ordine, dopo aver messo in forma canonica il sistema di due
equazioni differenziali del primo ordine nelle incognite Q e Z.

L'impianto da prendere in considerazione ha le seguenti caratteristiche:

D = 0,5 m Q0 = 0,2 m3/s


L = 1000 m k = 70 m1/3/s
Hs = 100 m W s = 2 m3

Bisogna calcolare l'andamento nel tempo e la massima oscillazione del carico


nella cassa in assenza di strozzatura ed in presenza di una strozzatura con coeffi-
ciente Ks=500 s2/m5.

6.5 Moto vario elastico

6.5.1 EQUAZIONI DEL MOTO

Le equazioni del moto vario elastico possono essere espresse nella forma

∂H 1 ∂Q
+ +J=0
∂X gA ∂T

∂H c 2 ∂Q
+ =0
€ € ∂T gA ∂X

essendo X l'ascissa lungo l'asse della condotta, T il tempo, H il carico, Q la por-


tata, g l'accelerazione di gravità, A l'area della sezione trasversale, J la cadente e
€ €
c la celerità delle onde elastiche.
La celerità, per una condotta a sezione circolare, è valutabile con l'espressione
78 G. Pezzinga

$ 1/ 2
& ε ')
&
& ρ ))
c= &
&1 + ε D ))
&
% E s )(
,

dove ε e ρ sono rispettivamente il modulo di elasticità a compressione cubica e


la densità dell'acqua, D è il diametro, s è lo spessore della tubazione ed E il mo-

dulo di elasticità del materiale costituente la tubazione.
La cadente può essere valutata con le usuali formule per il moto uniforme. Se si
adotta ad esempio la formula di Darcy-Weisbach, l'indice di resistenza può es-
sere considerato costante e pari a quello di regime (modello stazionario), oppure
può essere considerato funzione del numero di Reynolds e calcolato con la for-
mula di Colebrook-White per valori del numero di Reynolds maggiori di 2000 e
con la formula di Poiseuille per valori minori o uguali a 2000 (modello quasi-
stazionario). Valutando le resistenze in moto vario in questo modo, queste ten-
dono a essere sottostimate, specialmente se i transitori risultano rapidi.

6.5.2 METODO DELLE CARATTERISTICHE

Le equazioni del moto vario formano un sistema di equazioni alle derivate par-
ziali iperbolico quasi lineare. Le variabili dipendenti sono il carico e la portata,
le variabili indipendenti l'ascissa e il tempo. Queste equazioni possono essere
trasformate in equazioni differenziali ordinarie per mezzo del metodo delle
caratteristiche.
Una combinazione lineare delle equazioni può essere scritta nella forma:

∂H 1 ∂Q # ∂H c 2 ∂Q &
g + +gJ+λ % + ( = 0,
∂X A ∂T $ ∂T gA ∂X '

e riordinando i termini nella forma:


€ €
∂H ∂H € 1 ∂Q c 2 ∂Q
g +λ + +λ + g J = 0.
∂X ∂T A ∂T gA ∂X

essendo λ un valore arbitrario.


€ € € €
Elementi di Idraulica Numerica 79

Qualunque coppia di valori di λ fornisce ancora le equazioni originarie. Sce-


gliendo opportunamente λ si arriva ad una semplificazione delle equazioni e ad
una scrittura delle stesse in termini di derivate totali. Infatti si può scrivere:

dH ∂H ∂H dX dQ ∂Q ∂Q dX
= + = +
dT ∂T ∂X dT dT ∂T ∂X dT

Quindi, se si sceglie λ in maniera tale che:


€ € € € € €
dX g λc 2
= =
dT λ g

l'equazione combinazione lineare si può scrivere:


€ € €
dH 1 dQ
λ + + g J = 0,
dT A dT

con λ che assume i due valori:


€ € g
λ=±
c

ed il corrispondente legame tra X e T risulta definito dall'espressione:


€ dX
= ± c.
dT

Sono state quindi individuate sul piano (X,T) due curve con pendenza rispetti-
vamente 1/c e –1/c. Queste curve si chiamano linee caratteristiche (e nel caso in
esame sono rette perché € c è costante). Le linee caratteristiche hanno la
particolarità, dal punto di vista matematico, di essere linee di discontinuità della
soluzione del problema differenziale. Dal punto di vista fisico rappresentano il
percorso seguito dalle perturbazioni.
In termini di differenziali totali le equazioni possono essere riscritte nella forma:

c
dH ± dQ ± J c dT = 0 ,
gA

valendo il segno + lungo una linea caratteristica positiva di equazione dX/dT=c e


il segno - lungo una linea caratteristica negativa di equazione dX/dT=-c.

80 G. Pezzinga

6.5.3 POSSIBILI SCHEMI ALLE DIFFERENZE FINITE

Le equazioni ai differenziali totali scritte prima, insieme con le equazioni delle


linee caratteristiche, si traducono immediatamente in schemi di calcolo alle dif-
ferenze finite, che differiscono principalmente per il modo di calcolare il termine
contenente le resistenze.
Nel seguito descriviamo uno schema del tipo predizione-correzione. Nella fase
di predizione le equazioni si trasformano alle differenze finite adottando l'ap-
prossimazione rettangolare per la portata nel termine delle resistenze e l'appros-
simazione trapezia per tutti gli altri termini. Nella fase di correzione si adotta in-
vece l'approssimazione trapezia per tutti i termini, tenendo conto del valore di
predizione già calcolato.
Indicando rispettivamente con r e s gli indici dei punti della discretizzazione
lungo gli assi X e T e con l'apice i valori di predizione, le equazioni in termini
discreti si possono scrivere nel modo seguente.
Nella fase di predizione, lungo la caratteristica positiva dX/dT=c:

c
(H'r,s+1 - Hr-1,s) +
gA
(Q'r,s+1 −Qr−1,s ) + c ΔT [J(Qr-1,s)] = 0,

lungo la caratteristica negativa dX/dT=-c:


€ c
(H'r,s+1 - Hr+1,s) -
gA
(Q'r,s+1 −Qr +1,s ) - c ΔT [J(Qr+1,s)] = 0;

Nella fase di correzione, lungo la caratteristica positiva dX/dT=c:


€ c 1
(Hr,s+1 - Hr-1,s) +
gA
(Qr,s+1 − Qr−1,s ) + c ΔT [J(Q'r,s+1)+J(Qr-1,s)] = 0 ,
2

lungo la caratteristica negativa dX/dT=c:


€ €
c 1
(Hr,s+1 - Hr+1,s) -
gA
(Qr,s+1 − Qr +1,s ) - c ΔT [J(Q'r,s+1)+J(Qr+1,s)] = 0 .
2

In alternativa, si può adottare uno schema più semplice basato sul metodo di
Eulero, che consiste in pratica nell'adottare lo schema precedente arrestato alla

€ di predizione, senza alcuna
semplice fase correzione. Un'altra possibilità è di
adottare uno schema implicito. Solitamente però lo schema descritto è ab-
bastanza accurato senza essere troppo oneroso dal punto di vista del calcolo.
Elementi di Idraulica Numerica 81

Fig. 6.1 – Integrazione con lo schema di Eulero (Testa, 1993)


82 G. Pezzinga

Fig. 6.2 – Integrazione con lo schema di predizione-correzione (Testa, 1993)


Elementi di Idraulica Numerica 83

Fig. 6.3 – Integrazione con lo schema implicito (Testa, 1993)


84 G. Pezzinga

Naturalmente le equazioni scritte valgono per una tubazione con caratteristiche


geometriche, elastiche e di scabrezza uniformi. La generalizzazione tuttavia è
semplice: in un intervallo in cui si ha una disuniformità basta mediare l'area, la
celerità, le resistenze tra i due valori alle estremità.
Le equazioni alle differenze finite scritte valgono per i nodi interni del reticolo.
Per i nodi sui contorni bisogna opportunamente combinare l'equazione valevole
lungo una linea caratteristica con l'equazione, in termini differenziali o finiti, che
rappresenta la particolare condizione al contorno. In particolare, all'estremo di
monte occorre fare sistema tra la condizione al contorno e l'equazione valevole
lungo la linea caratteristica negativa, mentre all'estremo di valle il sistema da ri-
solvere è tra la condizione al contorno e l'equazione valevole lungo la linea ca-
ratteristica positiva.

6.6 Condizioni al contorno

6.6.1 CONDIZIONI INIZIALI

Le condizioni al contorno, necessarie per l'integrazione delle equazioni, sono


costituite dalle condizioni iniziali, che rappresentano le condizioni dell'impianto
all'istante iniziale del processo di moto vario, e dalle condizioni ai limiti, che
esprimono le modificazioni subite dalle onde elastiche alle due estremità della
condotta. In particolare le condizioni iniziali coincidono con le condizioni di re-
gime. Si può quindi scrivere:

QX,0 = Q0

HX,0 = H0 - J0 X

6.6.2 CLASSIFICAZIONE DEI DISPOSITIVI D'ESTREMITÀ

La grande varietà di condizioni che si possono presentare alle estremità della tu-
bazione richiede un criterio di classificazione. La classificazione matematica
delle condizioni di estremità si traduce in un corrispondente comportamento fi-
sico.
Un criterio di classificazione adottato è di ordine energetico: riguarda il carattere
degli scambi di energia tra la tubazione e il dispositivo di estremità. Si indivi-
duano così due classi di condizioni ai limiti, alle quali corrisponde una differente
struttura delle equazioni rappresentatrici.
Elementi di Idraulica Numerica 85

I sistemi del primo tipo, detti "non dinamici", governano il flusso all'estremo del
tubo, ma non sono in grado di crearvi accumulazioni di energia. Sono descritti
da relazioni fra il carico e la portata in termini finiti, del tipo:

F(H,Q,T) = 0.

Se in tale equazione compare una sola delle due grandezze H o Q il sistema ter-
minale è detto una "sorgente" della stessa grandezza.
I sistemi del secondo tipo, detti "dinamici", possono scambiare energia con la
tubazione. Ammettono una rappresentazione matematica in termini differenziali,
genericamente espressa tramite il sistema di equazioni


= ψ(θ; Q,H; T)
dT

φ(θ; Q,H; T) = 0
€ dinamico contengono almeno una delle due grandezze
Le equazioni del sistema
Q o H all'estremo della tubazione. La seconda di queste equazioni è detta di im-
pedenza e contiene le componenti di un vettore di stato θ del sistema conside-
rato, rappresentativo dello stato del sistema stesso durante la evoluzione del fe-
nomeno.
Un altro importante criterio di caratterizzazione dei sistemi terminali è basato sul
fatto che il tempo compaia o meno esplicitamente nelle condizioni ai limiti: si
differenziano così rispettivamente i sistemi "non autonomi" da quelli "auto-
nomi". La differenza fisica tra questi consiste nel fatto che i sistemi "non auto-
nomi" sono attivi nel generare perturbazioni, mentre i sistemi "autonomi" pos-
sono solo assorbire, trasmettere e riflettere perturbazioni generate da altre cause.

6.6.3 ESEMPI DI CONDIZIONI AI LIMITI

Descriveremo nel seguito una serie di possibili condizioni di estremità. Faremo


riferimento in generale a un dispositivo presente nella sezione iniziale della con-
dotta, come normalmente si ha in un impianto di sollevamento che si voglia
proteggere dalle sovrapressioni eccessive susseguenti allo stacco improvviso
dell'impianto di pompaggio.
86 G. Pezzinga

6.6.3.1 Volano

In questo caso la condizione al limite, rappresentante il fenomeno di arresto del


gruppo di pompaggio, si ricava dalle seguenti equazioni:
- equazione del bilancio energetico della pompa

C dT = -I dΩ;

- equazione caratteristica prevalenza-portata

F(Q,Ω,Y)=0;

- equazione caratteristica coppia-portata

F(Q,Ω,C)=0;

- equazione che lega carico d'aspirazione e carico di mandata

H0,T = Y + Ha.

6.6.3.2 Cassa d'aria

All'istante iniziale, ipotizzando come di consueto un'interruzione istantanea della


portata di alimentazione, il valore della portata può ricavarsi uguagliando la va-
riazione elastica di carico alla perdita di carico dovuta alla strozzatura. Facendo
riferimento per semplicità ad una formula quadratica con coefficiente costante
Ks, si ottiene:

c
gA
(Q0 − Q0,0 ) = Ks Q0,0 |Q0,0| = H0 - H0,0 .

Il corrispondente valore del carico risulta


€ c
H0,0 = Hs + J0L -
gA
(Q0 − Q0,0 )

La condizione al limite si basa sulle seguenti equazioni:


- l'equazione della trasformazione politropica per l'aria contenuta nella cassa

Elementi di Idraulica Numerica 87

Hc Wn = Hs Wsn ;

essendo Hc il carico assoluto dell'aria e W e Ws rispettivamente il generico vo-


lume d'aria e il volume d'aria in condizioni statiche;
- l'equazione della perdita di carico attraverso l'eventuale strozzatura tra cassa e
condotta, ricavata nelle ipotesi di trascurare sia il dislivello tra l'interfaccia aria-
acqua nella cassa e il baricentro della sezione d'innesto della cassa, sia l'inerzia
del liquido contenuto nella cassa stessa

Hc = H0,T + Ks Q0,T|Q0,T|;

- l'equazione di continuità tra la cassa e la condotta

dW
Q0,T - = 0.
dT

6.6.3.3 Cassa d'aria con strozzatura dissimmetrica



Se si ha un dispositivo di strozzatura dissimmetrica si adottano due valori del
coefficiente Ks rispettivamente per la fase di flusso e per la fase di riflusso:

Ks = Ksa Q0,T ≥ 0 ,

Ks = Ksr Q0,T < 0 .

6.6.3.4 Pozzo piezometrico

Per la condotta con pozzo piezometrico la condizione al limite si basa sull'equa-


zione di continuità tra pozzo e condotta, che, nell'ipotesi di trascurare l'inerzia
del liquido contenuto nel pozzo e in assenza di perdite di carico concentrate, può
essere scritta nella forma

Σ dH0,T = - Q0,T dT .
88 G. Pezzinga

Fig. 6.4 - Strozzatura ottima. Oscillazioni estreme (Modica e Pezzinga, 1989)


Elementi di Idraulica Numerica 89

Fig. 6.5 - Oscillazioni per strozzatura dissimmetrica (Modica e Pezzinga, 1990)


90 G. Pezzinga

Fig. 6.6 - Confronti per strozzatura dissimmetrica (Modica e Pezzinga, 1990)


Elementi di Idraulica Numerica 91

Fig. 6.7 - Massimi per strozzatura dissimmetrica (Modica e Pezzinga, 1990)


92 G. Pezzinga

6.6.3.5 Cassa d'acqua

Per la condotta con cassa d'acqua la condizione al limite si scrive:

Σ dH0,T = - Q0,T dT Q0,T ≥ 0 ,

Q0 = 0 Q0,T < 0.

6.6.3.6 Tronco elastico a parametri concentrati

Per la condotta con tronco elastico la condizione al limite lega la portata alla de-
formazione, considerata elastica, del tronco e dell'acqua contenuta al suo interno.
L'equazione di continuità si può scrivere quindi

gWt
dH0,T = - Q0,T dT.
ct2

6.6.3.7 Serbatoio

La condizione al limite di valle, prendendo in considerazione un serbatoio a li-
vello invariabile, si può esprimere nella forma

HL,T = Hs.

6.7 Verifica di un impianto di sollevamento con cassa d'aria. Moto vario


elastico (esercitazione 9)

L'esercitazione consiste nell’utilizzare un programma per il calcolo delle


oscillazioni di moto vario in un impianto di sollevamento con cassa d'aria
nell'ipotesi elastica. Per risolvere le equazioni il programma utilizza il metodo
delle caratteristiche e uno schema di predizione-correzione. Nel programma si fa
riferimento ai seguenti parametri adimensionali che definiscono il problema:

cV ALV02 J L K saQ02 K sr Q02


N= 0, λ= , y0 = 0 , k 0a = , k 0r = .
gH s 2gH sWs Hs Hs Hs

€ € € € €
Elementi di Idraulica Numerica 93

L'impianto da prendere in considerazione ha le stesse caratteristiche di quello


dell'esercitazione precedente. Inoltre, le grandezze da prendere in considerazione
per il calcolo della celerità sono le seguenti:

s = 0,02 m
E = 30000 N/mm2

Bisogna calcolare l'andamento nel tempo e la massima oscillazione del carico


nella cassa in assenza di strozzatura ed in presenza di una strozzatura con coeffi-
ciente Ks=500 s2/m5, e confrontare i risultati con quelli ottenuti nell'ipotesi
anelastica.

6.8 Cavitazione

Quando in condotta, a causa dell'arrivo di onde di depressione, la pressione


scende al di sotto della tensione di vapore del liquido si verificano fenomeni di
cavitazione. In tal caso il processo di moto vario risulta di più difficile studio in
quanto il deflusso si altera a causa della formazione di una fase aeriforme non
disciolta. In generale la successiva scomparsa della fase aeriforme è
accompagnata da elevati valori di sovrapressione, che possono danneggiare la
condotta. Si possono identificare due tipi di cavitazione. Nel primo la fase
gassosa arriva, in determinati tratti di condotta, a interessare quasi
completamente la sezione trasversale: questo primo tipo è designato come
"rottura di vena liquida". Nel secondo tipo definito "deflusso a bolle", la fase
gassosa si trova distribuita in un tratto abbastanza lungo sotto forma di bolle più
o meno grandi. Sono ambedue fenomeni la cui modellazione matematica è
piuttosto complessa.
In generale le cavità sono caratterizzate dalla presenza sia di gas che di vapore.
Tuttavia è usuale, nei modelli di cavitazione, considerare la presenza di un solo
componente della fase aeriforme. Si parla quindi di cavitazione vaporosa o di
cavitazione gassosa. Nel primo caso si ipotizza l’assenza di gas in condotta e la
cavità si forma quando la pressione raggiunge la tensione di vapore. Nel secondo
caso la massa del vapore è trascurata e si considera invece una certa quantità di
gas libero, costante nel tempo nel caso più semplice, in forma di bolle che
accrescono il loro volume quando la pressione diminuisce, con variazione della
celerità. In entrambi i casi un rilascio di gas disciolto può avvenire in seguito
alla diminuzione della pressione. Inoltre si manifestano dissipazioni addizionali
che nascono dalle interazioni tra fase liquida e fase aeriforme Quindi quelli
descritti sono due schemi ideali, che comunque forniscono risultati abbastanza
vicini tra loro e che danno indicazioni molto precise sulla oscillazioni di
94 G. Pezzinga

pressione massime e minime. Inoltre, pur potendosi utilizzare sempre il metodo


delle caratteristiche, la dipendenza della celerità dalla pressione rende più
appropriati schemi numerici di cui si tratterà in maniera approfondita a proposito
delle correnti a superficie libera in moto vario. Di seguito si illustrano due
semplici modelli di cavitazione vaporosa o gassosa distribuita, rimandando ai
capitoli successivi per gli schemi numerici per l’integrazione delle equazioni.

6.8.1 CAVITAZIONE VAPOROSA

La densità della miscela liquido-vapore può essere espressa in funzione delle


densità del liquido e del vapore:

ρ = ρ l (1 − α) + ρ v α

dove ρl è la densità del liquido, ρv è la densità del vapore e α è il rapporto tra


volume del vapore e volume totale. Essendo la densità della miscela una

funzione della pressione p e della frazione di vapore α, l’equazione di continuità
della miscela può essere scritta, considerando piccole frazioni di vapore, nella
forma:

∂p 2 ∂α ρc 2 ∂Q
− ρc + =0
∂t ∂t A ∂x

Introducendo la variable φ:

p c2
φ= − α
ρg g

l’equazione di continuità può essere riscritta nella forma:



∂φ c 2 ∂Q
+ =0
∂t gA ∂x

da cui si può ricavare φ. La pressione e la frazione di vapore si possono quindi


calcolare rispettivamente come:

p = max(ρgϕ, pv )


Elementi di Idraulica Numerica 95

& p ρgϕ )
α = max(0, v− 2 +
' ρa *

essendo pv è la tensione di vapore.



6.8.2 CAVITAZIONE GASSOSA

La densità della miscela liquido-gas può essere espressa in funzione delle


densità del liquido e della massa di gas libero per unità di volume della miscela
m:

$ mRT '
ρ = &1 − )ρ l + m
% p (

Considerando per semplicità m costante, nell’ipotesi di piccole quantità di gas,


l’equazione di continuità si può scrivere:

∂p ρc 2 ∂Q
+ =0
∂t A ∂x

con la celerità c della miscela liquido-gas data dall’espressione:


€ p
c = c0
p 2 + ρc02 mRT

dove c0 è la celerità per m = 0. Introdotta la variabile φ:



ρc02 mRT
φ= p−
p

l’equazione di continuità si scrive:



∂φ c02 ∂Q
+ =0
∂t gA ∂x

da cui si può ricavare φ. La pressione si calcola quindi dall’espressione:



96 G. Pezzinga

φ + φ + 4ρc02 mRT
p=
2

La pressione totale si valuta quindi come somma della pressione del gas e della
tensione di vapore, perché nelle bolle di gas è presente anche il vapore.

Naturalmente le pressioni a cui si fa riferimento sono assolute.

6.9 Equazioni indefinite per tubazione viscoelastica

Si è visto che parte degli effetti dissipativi presenti nel moto vario in condotte di
materiale plastico sono dovuti al comportamento non elastico del materiale co-
stituente la condotta. In particolare si è visto che adottando un comportamento di
tipo viscoelastico si riescono a riprodurre i fenomeni di moto vario nelle tuba-
zioni in materiale plastico con sufficiente accuratezza.
Ammettendo per il materiale un comportamento viscoelastico lineare, si può
adottare un modello di Kelvin-Voigt, con cui il comportamento meccanico del
materiale viene rappresentato con una catena di elementi, costituiti da una molla
accoppiata in parallelo ad uno smorzatore viscoso e congiunti ad una estremità
ad una semplice molla per rappresentare la componente di deformazione istanta-
nea.
Maggiore è il numero di elementi meglio il modello approssima il comporta-
mento reale del materiale, anzi è possibile dimostrare che il modello può simu-
lare qualsiasi comportamento viscoelastico qualora sia dotato di un numero in-
finito di elementi.
La deformazione totale può essere espressa come la somma di una componente
istantanea e di una ritardata:

ε = εi + εr

Utilizzando il modello di Kelvin-Voigt a n elementi si ottiene:


n
εr = ∑ε j
j=1

La componente di deformazione istantanea è data da: εi = σ/E0.


Per la componente ritardata, detti
€ ηj ed Ej rispettivamente la viscosità ed il mo-
dulo elastico del generico elemento, imponendo l'equilibrio del generico ele-
mento si ottiene l'equazione differenziale:
Elementi di Idraulica Numerica 97

dε j
σ = Ej εj + η j
dT

Questa equazione può essere messa sotto la seguente forma:



dε j 1 &σ )
= ( −εj+
dT τ j 'E j *

dove τj = ηj/Ej è detto tempo di ritardo del j-esimo elemento di Kelvin-Voigt.


Nel caso di una condotta
€ di diametro D e spessore s, soggetta alla pressione in-

terna p, nelle ipotesi che alla parete siano trascurabili gli sforzi di taglio e le
forze d'inerzia, per le deformazioni si ottengono le seguenti espressioni:

pDλ
εi =
2sE 0

dε j 1 & pDλ )
= ( − ε j +.
dT
€ τ j ' 2sE j *

λ è un parametro legato alle condizioni di vincolo ed è dato da




2s D
λ = (1 + µ) +
D D+ s

se la condotta è vincolata in modo che la deformazione longitudinale non sia


impedita, e
€ €
2s D
λ = (1 + µ) + (1 - µ2)
D D+ s

per deformazione longitudinale nulla, essendo µ il coefficiente di Poisson.


€ €
98 G. Pezzinga

Fig. 6.8 – Oscillazioni con tronco deformabile (Pezzinga e Scandura, 1995)


Elementi di Idraulica Numerica 99

L'introduzione del comportamento viscoelastico lineare rispetto al caso del ma-


teriale puramente elastico modifica solo l'equazione di continuità che si può
scrivere:
n
∂V ∂ε j 1 ∂p
∂X
+2 ∑ ∂T +
ρc 2 ∂T
=0
j=1

dove c è da calcolare con il modulo E0 relativo alla deformazione istantanea.


All''equazione di€continuità occorre
€ associare l'equazione del moto:

1 ∂p 1 ∂V
+ +J=0
ρg ∂X g ∂T

e quella della deformazione ritardata


€ € ∂ε 1
j

∂T
=
τj
(b j p − ε j )

Queste equazioni possono essere trasformate in equazioni ai differenziali sulle


linee caratteristiche:€

n
(b j p − ε j ) dT ± ρ g J c dT = 0
dp ± ρ c dV + 2 ρ c2 ∑ τj
j=1

dε j 1
dT
-
τj
(b j p − ε j ) = 0

Nell'ipotesi di condotta orizzontale, scegliendo il riferimento in corrispondenza


del suo asse, tali equazioni
€ possono essere scritte nella seguente forma:

c c2
n
(b jρgH − ε j )dT ± J c dT = 0
dH ±
gA
dQ + 2
g
∑ τj
j=1

dεj -
(b jρgH − ε j ) dT = 0
€ € τj


100 G. Pezzinga

Limitandosi al modello di Kelvin-Voigt ad un solo elemento le equazioni diven-


gono:

c 2ρc 2 b1 2c 2
dH ± dQ + H dT - ε1 dT ± J c dT = 0
gA τ1 τ 1g

(b1ρgH − ε1 )
dε1 - dT = 0
€ € € τ1

6.10 Le equazioni del moto bidimensionali in coordinate cilindriche e i



modelli quasi bidimensionali

Numerosi studi teorici e sperimentali hanno messo in evidenza che nei fenomeni
di moto vario nelle correnti in pressione le dissipazioni di energia differiscono
sensibilmente da quelle che si manifestano in condizioni di moto uniforme.
Poiché gli errori di valutazione delle resistenze rilevati nei modelli unidimensio-
nali possono essere imputati alla diversità che intercorre fra gli effettivi profili
della velocità in condizioni di moto vario e quelli, uniformi sulla sezione, consi-
derati nei modelli unidimensionali stessi, per valutare più accuratamente le resi-
stenze si può ricorrere a modelli quasi bidimensionali, in cui si prende in consi-
derazione la disuniformità della distribuzione della velocità lungo la direzione
radiale, ma si assume un unico valore della pressione nella sezione.
L'equazione di continuità e le equazioni del moto in coordinate cilindriche per
una tubazione elastica a sezione circolare nell'ipotesi di campo di moto bidi-
mensionale a simmetria assiale possono essere espresse nella forma:

∂ρ ∂(ρU ) 1 ∂(ρRV )
+ + = 0,
∂T ∂X R ∂R

∂U ∂U ∂U ∂H 1 ∂σ X 1 ∂( Rτ XR )
+U +V =-g - - ,
∂T€ ∂X
€ ∂R
€ ∂X ρ ∂X ρR ∂R

∂V ∂V ∂V ∂H 1 ∂τ XR 1 ∂(Rσ R ) σ θ
+U +V =-g - - + ,
€ ∂T
€ ∂X
€ ∂R€ ∂R ρ ∂X ρR ∂R R
€ €
essendo X l'ascissa lungo l'asse della condotta, R la distanza dall'asse, T il tempo,
H il carico piezometrico, U e V le componenti della velocità rispettivamente in
€ € € € € € €
Elementi di Idraulica Numerica 101

direzione X e R, ρ la densità del fluido, g l'accelerazione di gravità, σX, τXR, σR e


σθ le componenti del tensore degli sforzi.
Queste equazioni consentono di determinare le variabili H, U e V, dipendenti in
generale da X, R e T, una volta che siano definiti i legami tra gli sforzi e le ve-
locità di deformazione, le condizioni ai limiti e le condizioni iniziali. Tuttavia,
essendo la risoluzione delle equazioni notevolmente onerosa, si può ricorrere a
semplificazioni che rendano le equazioni stesse più facilmente risolvibili.

Normalmente è possibile trascurare la componente V della velocità in direzione


radiale e le sue derivate, così come nell'equazione del moto in direzione longi-
tudinale la derivata dello sforzo normale σX e il termine convettivo residuo, in
analogia a quanto si fa nei modelli unidimensionali.
Un'ulteriore ipotesi semplificativa che rende il modello quasi bidimensionale
consiste nell'assumere per ogni istante di tempo un unico valore del carico pie-
zometrico in ciascuna sezione, il che equivale a trascurare i termini contenenti
gli sforzi nell'equazione del moto in direzione radiale, assumendo quindi:

∂H
= 0.
∂R

Delle variabili dipendenti U e H, la prima è considerata funzione di X, R e T,


mentre la seconda solo di X e T. L'insieme di queste ipotesi, con l'ulteriore
usuale semplificazione di € trascurare la derivata di ρ rispetto a X nell'equazione
di continuità, consente di riscrivere il sistema di equazioni nella forma:

∂H c 2 ∂Q
+ =0,
∂T gA ∂X

∂U ∂H 1 ∂( Rτ XR )
+g + = 0,
€ ∂T€ ∂X ρR ∂R

essendo c la celerità delle onde elastiche e Q la portata. Quest'ultima può essere


calcolata integrando il profilo di velocità sull'intera sezione:
€ € €
R0
Q = ∫ U2πRdR .
0

essendo R0 il raggio della condotta.



102 G. Pezzinga

Lo sforzo tangenziale τXR (d'ora in poi indicato semplicemente τ) può essere


valutato per il regime laminare per mezzo della legge di Newton:

∂U
τ=-ρν
∂R

dove ν è la viscosità cinematica.


Osservando poi che dA = 2πRdR, l'equazione del moto si può anche scrivere:

∂U ∂H 2π ∂( Rτ )
+g + =0.
∂T ∂X ρ ∂A

Per il regime turbolento si può estendere al moto vario un semplice modello


degli sforzi valido per il moto uniforme basato, all'interno del substrato lami-
€ €
nare, sulla legge di Newton, e, all'esterno di questo, sull'ipotesi della lunghezza
di mescolamento di Prandtl, assumendo per lo sforzo tangenziale l'espressione:

∂U ∂U ∂U
τ=-ρν - ρ l2 ,
∂R ∂R ∂R

essendo l la lunghezza di mescolamento. Per tale grandezza si può adottare


l'espressione di Marchi:
€ €
l = κ Y e−Y / R 0 ,

essendo Y=R0-R la distanza dalla parete.


Per ricavare lo spessore del substrato
€ laminare δ si possono estendere al moto
vario le semplici relazioni valide per il moto uniforme. In particolare si suppone
in prima approssimazione che all'interno del substrato il profilo di velocità segua
una legge lineare e all'esterno di questo il profilo localmente segua una legge lo-
garitmica e si ricerca l'intersezione tra questi due profili. Introdotta la velocità
d'attrito U*, legata come è noto allo sforzo alla parete τp dall'espressione:

τp
U* = ,
ρ

l'equazione che definisce il profilo lineare di velocità all'interno del substrato è


la seguente:

Elementi di Idraulica Numerica 103

U U *Y
= .
U* ν

Il profilo logaritmico di velocità all'esterno del substrato è definito dall'espres-


sione:
€ €
U Y
= 2,5 ln +B
U* ε

ε è la scabrezza equivalente e B un parametro dipendente dal numero di


Reynolds d'attrito:
€ €

* U *ε
Re = .
ν

Lo spessore del substrato è calcolabile allora imponendo l'uguaglianza:


€ U *δ δ
= 2,5 ln + B .
ν ε

L'espressione di B in funzione di Re* che si può utilizzare per tubi commerciali


è
€ €
" 3,32 %
€ B = 8.5 - 2.5 ln $1 + '
# Re* &


104 G. Pezzinga

Fig. 6.9 – Risultati del modello quasi bidimensionale (Modica e Pezzinga, 1992)
Elementi di Idraulica Numerica 105

Fig. 6.10 – Oscillazioni in rete di condotte (Lombardo e Triberio, 1995)


106 G. Pezzinga

6.11 I modelli unidimensionali non stazionari

Nei modelli unidimensionali con resistenze non stazionarie, per tener conto
degli incrementi del termine delle resistenze, rispetto ai valori legati all'an-
damento delle velocità medie, si propongono formulazioni per le resistenze in
moto vario. Un modello possibile è basato sull’aggiunta nell'equazione del moto
di due termini, uno dipendente dall'accelerazione locale e uno dipendente dal-
l'accelerazione convettiva. L'equazione assume quindi la forma:

1 ∂V ∂H k ∂V # ∂V & kc ∂V
+ +J+ + segno%V ( = 0.
g ∂t ∂x g ∂t $ ∂x ' g ∂x

in cui V è la velocità media, J è il termine di resistenza quasi stazionario e k è un


coefficiente considerato indipendente dall'ascissa e dal tempo.
A tale€equazione deve essere associata l'equazione di continuità. Le equazioni di
continuità e del moto possono essere integrate ricorrendo al metodo delle
caratteristiche o a schemi direttamente operanti sulle equazioni differenziali alle
derivate parziali. Il difetto dei modelli di questo tipo è la difficoltà di definire in
maniera rigorosa i valori del coefficiente k.
Elementi di Idraulica Numerica 107

7. CORRENTI A SUPERFICIE LIBERA IN MOTO VARIO

7.1 Generalità

Il moto vario nelle correnti a pelo libero si ha quando si produce una variazione
rispetto al valore di regime della portata o dell'altezza in una sezione. Queste
variazioni possono essere determinate dall'uomo, dovute ad eventi naturali o ac-
cidentali.
Esempi di fenomeni di moto vario nelle correnti a pelo libero sono:
- le onde nei canali causate da attacco o stacco di turbine o pompe, o da aper-
tura o chiusura di paratoie;
- le onde nei canali di navigazione, causate dalle operazioni di manovra;
- le piene nei corsi d'acqua naturali;
- le onde di marea negli estuari;
- l'onda creata dal crollo di una diga.
Il moto vario è sempre un fenomeno di tipo propagatorio. Le equazioni del moto
infatti sono iperboliche. Così come nel moto vario nelle correnti in pressione, in
cui, nel caso di fluido incomprimibile e condotta indeformabile, si arrivava a de-
scrivere il comportamento del sistema con equazioni differenziali ordinarie, per-
ché l'equazione di continuità diventava superflua, anche nel moto vario a super-
ficie libera, in determinati casi, è lecito trascurare l'aspetto propagatorio del fe-
nomeno. Questo avviene ad esempio quando si hanno fenomeni di lento riem-
pimento o svuotamento di serbatoi; in questo caso si possono trascurare nell'e-
quazione del moto il termine d'inerzia e il termine delle resistenze, rendendo così
superflua la scrittura dell'equazione del moto. Anche in questo caso si giunge
quindi ad un problema definito da equazioni differenziali ordinarie, perché si
trascura la dipendenza spaziale del fenomeno.

7.2 Equazioni del moto

L'equazione del moto unidimensionale delle correnti a superficie libera gra-


dualmente variate si può scrivere nella forma:

∂y αV ∂V β ∂V
+ + =i-J
∂x g ∂x g ∂t

mentre, in assenza di apporti laterali, l'equazione di continuità assume la forma:


€ € €∂Q ∂A
+ =0.
∂x ∂t

€ €
108 G. Pezzinga

Queste equazioni rappresentano rispettivamente il bilancio dell'energia per unità


di peso e la continuità della massa per un volume elementare.
Solitamente si possono assumere costanti e pari a 1 i coefficienti di ragguaglio α
e β, cosicché, moltiplicando per g, l'equazione del moto assume la forma:

∂V ∂V ∂y
+V +g = g (i - J)
∂t ∂x ∂x

È più conveniente inoltre scrivere l'equazione di continuità nella forma:


€ € ∂y € A ∂V ∂y
+ +V =0
∂t B ∂x ∂x

che si ottiene ricordando la regola di derivazione del prodotto e che si ha


€ €∂A ∂y€ ∂A ∂y
=B , =B .
∂x ∂x ∂t ∂t

Anche nel caso del moto vario a superficie libera il sistema è di tipo iperbolico e
si presta alla risoluzione per mezzo del metodo delle caratteristiche.
€ € € €

7.3 Metodo delle caratteristiche

Analogamente a quanto fatto nel caso delle equazioni del moto vario nelle con-
dotte in pressione, possiamo trasformare le equazioni scritte per il moto vario
nelle correnti a pelo libero in equazioni differenziali ordinarie valevoli lungo le
linee caratteristiche.
Una combinazione lineare delle equazioni scritte prima è la seguente:

∂V ∂V ∂y # ∂y A ∂V ∂y &
+V +g +λ % + + V ( = g (i - J),
∂t ∂x ∂x $ ∂t B ∂x ∂x '

e, riordinando i termini, nella forma:


€ € € €' ∂V -
*∂V $ A *∂y $ g ' ∂y -
, + &V + λ ) / + λ , + &V + ) / = g (i – J),
+ ∂t % B ( ∂x . + ∂t % λ ( ∂x .

essendo λ un valore arbitrario.


Scegliendo questa volta λ in maniera tale che:
€ €
Elementi di Idraulica Numerica 109

dx A g
=V+λ =V+
dt B λ

si ottiene:
€ € €
gB g
λ=± =± ,
A c

avendo introdotto la celerità delle piccole perturbazioni in una corrente:


€ €
gA
c= .
B

Le equazioni del moto vario in termini di derivate totali possono essere quindi
scritte nella forma:

dV g dy
± = g (i - J),
dt c dt

valendo il segno + lungo la linea caratteristica di equazione dx/dt=V+c e il segno


- lungo la linea caratteristica di equazione dx/dt=V-c.
€ €

7.4 Integrazione numerica

Esistono diverse possibilità per calcolare le grandezze che compaiono nelle


equazioni del metodo delle caratteristiche, così come per il moto vario nelle
condotte in pressione. Nel moto vario nelle correnti a pelo libero gli schemi dif-
feriscono per il modo in cui vengono valutate le resistenze e la celerità, che di-
pende da y.
Lo schema più semplice consiste nel valutare la celerità e le resistenze in base ai
soli valori al tempo precedente, basandosi cioè su uno schema di Eulero. In-
dicando rispettivamente con l'indice A e con l'indice B i valori al tempo prece-
dente lungo la linea caratteristica positiva e lungo la linea caratteristica negativa
e con l'indice P i valori al tempo attuale, le equazioni in termini discreti possono
essere scritte nella forma:

" g%
VP - VA + $ ' (yP - yA) = g (i - J)A Δt,
# c &A


110 G. Pezzinga

" g%
VP - VB - $ ' (yP - yB) = g (i - J)B Δt.
# c &B

Le due condizioni al contorno vanno assegnate una a monte e una a valle per
corrente lenta, entrambe a monte per corrente veloce.

7.5 Schemi alle differenze finite

7.5.1 SCHEMI ESPLICITI

Con il metodo delle caratteristiche si risolvono equazioni differenziali ordinarie


ma bisogna effettuare interpolazioni, perché il punto di intersezione tra la linea
caratteristica e la retta che rappresenta l'istante di tempo precedente non coincide
in generale con uno dei punti della griglia di calcolo.
In alternativa si possono usare schemi alle differenze finite espliciti o impliciti
che si basano su diverse possibili discretizzazioni delle derivate parziali che
compaiono nelle equazioni del moto vario, e si basano su una griglia fissa.

7.5.1.1 Schema di Lax

Uno dei più semplici schemi espliciti è lo schema diffusivo di Lax, che dà risul-
tati soddisfacenti. In questo schema le derivate e le grandezze D=A/B e J ven-
gono approssimate nel modo seguente (i è l'indice delle ascisse, k è l'indice dei
tempi):

∂y yik +1 − yi*
= ,
∂t Δt

∂V Vi k +1 − Vi*
= ,
€ € ∂t Δt

∂y yik+1 − yi−1
k
= ,
€ € ∂x 2Δx

∂V Vi k+1 − Vi−1
k
= ,
€ € ∂x 2Δx

€ €
Elementi di Idraulica Numerica 111

Di* = 0,5 Di−1


k
(
+ Dik+1 , )
Ji* = 0,5 Ji−1
k
(
+ Jik+1 , )

essendo:

yi* = 0,5 yi−1
k
(
+ yik+1 , )
Vi* = 0,5 Vi−1
k
(
+ Vi k+1 . )

Sostituendo queste espressioni nelle equazioni del moto e di continuità e sempli-
ficando si ottiene:

Δt Δt
Δx
(
yik +1 = yi* − 0,5 Di* Vi k+1 − Vi−1
k
)
− 0,5 Vi* yik+1 − yi−1
Δx
k
( )
Δt Δt
Vi k +1 = Vi* − 0,5
Δx
(
g yik+1 − yi−1
k
) (
− 0,5 Vi* Vi k+1 − Vi−1
Δx
k
)
+ gΔt i − Ji* ( )

Espandendo in serie di Taylor i termini di queste equazioni e confrontandole con
le equazioni originarie, si può vedere che lo schema di Lax introduce termini
€ addizionali simili a termini diffusivi:

1 Δx 2 ∂ 2 y 1 Δx 2 ∂ 2V
, ,
2 Δt ∂x 2 2 Δt ∂x 2

e a questa circostanza deve il suo nome.


€ €
7.5.1.2 Criterio di stabilità di Courant

Effettuando un'analisi di stabilità si può vedere che lo schema descritto è stabile


sotto la condizione:

Δx
Δt ≤
| V | +c

che è detta condizione di Courant-Friedrichs-Lewy o semplicemente condizione


di Courant. Il numero adimensionale

112 G. Pezzinga

C=
( V + c)Δt
Δx

è detto numero di Courant, e per la stabilità deve risultare minore di 1.



7.5.2 SCHEMI IMPLICITI

Nello schema di Lax le grandezze D e J e le derivate in x sono valutate al tempo


precedente t e per questo lo schema è esplicito. Tenendo conto nella discretizza-
zione delle derivate in direzione x anche dei valori al tempo successivo t+Δt, si
hanno gli schemi impliciti. Le equazioni algebriche diventano più complesse da
risolvere, in generale non lineari, ma si ha stabilità incondizionata.

7.5.2.1 Schema di Preissman

Uno degli schemi impliciti più usati è lo schema di Preissman. In questo schema
le derivate parziali sono approssimate nella maniera seguente:

∂f
=
( ) (
fi k +1 + fi k+1+1 − fi k + fi k+1 )
∂t 2Δt
k +1
(
∂f α fi +1 − fi
=
k +1

+
)
(1 − α) fi k+1 − fi k ( )
€ ∂x Δx Δx

f ( x,t ) =
(
α fi k+1+1 + fi k +1 ) + (1 − α)( f k
i +1 + fi k )
€ 2 2

essendo α un coefficiente di peso (0,5<α≤1). Sostituendo espressioni di questo


tipo nelle equazioni del moto e di continuità, con y, V, D o J al posto di f, si ot-
tiene: €

Δt
yik +1 + yik+1+1 +
Δx
[( )
α Dik+1+1 + Dik +1 + (1 − α) Dik+1 + Dik ⋅ ( )]
[( ) (
⋅ α Vi k+1+1 − Vi k +1 + (1 − α) Vi k+1 − Vi k + )]


Elementi di Idraulica Numerica 113

Δt
+
Δx
[( ) (
α Vi k+1+1 + Vi k +1 + (1 − α) Vi k+1 + Vi k ⋅ )]
[( ) (
⋅ α yik+1+1 − yik +1 + (1 − α) yik+1 − yik )] = y
k
i + yik+1

Δt
Vi k +1 + Vi k+1+1 + 2g
Δx
[( ) (
α yik+1+1 − yik +1 + (1 − α) yik+1 − yik + )]

Δt
+
Δx
[( ) (
α Vi k+1+1 + Vi k +1 + (1 − α) Vi k+1 + Vi k ⋅ )]

[( ) (
⋅ α Vi k+1+1 − Vi k +1 + (1 − α) Vi k+1 − Vi k )] =

[( ) (
= Vi k + Vi k+1 + 2gΔti − gΔt α Jik+1+1 + Jik +1 + (1 − α) Jik+1 + Jik )]

In queste due equazioni compaiono le quattro incognite yik +1, yik+1+1, Vi k +1 e Vi k+1+1.
Tenendo conto delle analoghe equazioni scritte per gli altri intervalli, se n è il

numero di intervalli (e quindi n+1 il numero di nodi della griglia), si ottengono
2n equazioni in 2n+2 incognite. Tenendo conto delle due condizioni al contorno
il numero delle equazioni bilancia il numero €delle€incognite.€ €
Occorre dunque
risolvere un sistema non lineare di 2n+2 equazioni in 2n+2 incognite, usando ad
esempio il metodo di Newton. Si può osservare che la matrice dei coefficienti è
bandata.
Un'analisi di stabilità dell'equazione di Saint Venant linearizzata mostra che lo
schema di Preissman è incondizionatamente stabile. Tuttavia l'accuratezza del
calcolo richiede comunque la scelta di un intervallo di tempo dello stesso ordine
di grandezza di quello dato dalla condizione di Courant. Una scelta dell'inter-
vallo di tempo può essere effettuata confrontando le soluzioni per differenti in-
tervalli Δt; si può adottare allora l'intervallo di tempo in corrispondenza al quale
le differenze tra le soluzioni cominciano a essere trascurabili.

7.5.3 SCHEMI ESPLICITI DI SECONDO ORDINE

Gli schemi espliciti del secondo ordine sono più accurati degli schemi del primo
ordine e sono di più semplice applicazione dei metodi impliciti. Anche se ri-
chiedono per ogni passo qualche calcolo in più rispetto ai metodi del primo or-
dine, in compenso, essendo di ordine superiore, hanno bisogno di un numero
minore di passi di calcolo per raggiungere la stessa accuratezza.
114 G. Pezzinga

7.5.3.1 Schema di Mac Cormack

Lo schema di Mac Cormack è il più diffuso degli schemi espliciti di secondo


ordine. È del secondo ordine sia nel passo temporale che nel passo spaziale. Si
presta particolarmente per analizzare moti con onde di shock ed è adatto per
studiare le onde che si propagano su un alveo inizialmente secco, come quella
conseguente al crollo di una diga.
Nella parte di predizione si usano differenze finite in avanti e nella parte di cor-
rezione si usano differenze finite all'indietro (o viceversa).
Scrivendo l'equazione differenziale nella forma generale:

∂U ∂F(U)
+ = D(U)
∂t ∂x

lo schema di Mac Cormack è definito dai seguenti due passi di predizione e di


correzione:
€ €
Δt k
U*i = Uik −
Δx
( )
Fi +1 − Fik + ΔtDik

1$ Δt * '
Uik +1 = &Uik + U*i −
2% Δx
( *
Fi − Fi−1 )
+ ΔtD *i )
(

L'analisi di stabilità mostra che anche lo schema di Mac Cormack è stabile se si
rispetta la condizione di Courant.

\
7.6 Crollo di diga

Uno dei problemi classici da studiare integrando le equazioni del moto vario
nelle correnti a pelo libero è quello dell'onda conseguente al crollo di una diga.
Le equazioni scritte prima possono essere utilizzate nell'ipotesi di corrente uni-
dimensionale, quindi se la vallata si sviluppa prevalentemente in direzione longi-
tudinale, distribuzione delle pressioni idrostatica e componente verticale della
velocità nulla. Tali ipotesi hanno ovviamente validità limitata, ma di solito
danno risultati soddisfacenti.
Il problema normalmente viene affrontato ipotizzando la rimozione istantanea
della diga. Tale semplice ipotesi consente di prescindere dalle modalità di rot-
tura della diga ed è quella che fornisce i risultati più gravosi. In laboratorio tale
fenomeno può essere simulato rimuovendo istantaneamente una paratoia che
sbarra la zona con acqua ferma. Studi recenti hanno preso in considerazione
Elementi di Idraulica Numerica 115

l'effettivo crollo dello sbarramento in casi in cui le modalità di questo possono


influire sulla riproduzione dell'onda a valle, come nel caso delle dighe in mate-
riali sciolti.
Le resistenze possono essere calcolate in prima approssimazione con le formule
valevoli per il moto uniforme, anche se, come abbiamo già visto nel caso del
moto vario in pressione, queste non sono tanto attendibili nel caso di transitori
rapidi.
Le condizioni iniziali sono ovviamente quelle di acqua ferma a monte della diga
e di alveo secco a valle della diga. A volte viene considerato anche il caso di al-
veo a valle con una certa portata, che rappresenta la portata rilasciata dal serba-
toio per assicurare una minima quantità d'acqua nel fiume. L'istantanea rimo-
zione della diga provoca un'onda negativa a monte della diga e un'onda positiva
a valle di questa.
Una soluzione classica del problema è quella per alveo rettangolare con
pendenza nulla e nell'ipotesi di resistenze trascurabili. Questa soluzione si può
ottenere con il metodo delle caratteristiche. Siccome tale soluzione può servire
per controllo dell'accuratezza della soluzione numerica, ricavata con uno degli
schemi visti in precedenza, scriviamo le equazioni che la definiscono senza sof-
fermarci sul modo per ottenerla:
2
#2 x & 2"x % x
y = y0 % − ( V= $ + gy0 ' per − gy0 < < 2 gy0
$ 3 3t gy0 ' 3# t & t
x
y = y0 V=0 per
< − gy0
t
€ € x
€ y=0 € V=0 per€2 gy0 <
t

€ con
Esiste anche una soluzione analitica per alveo altezza idrica non nulla (e
velocità nulla) a valle della diga. € €
7.7 Calcolo numerico dell'onda conseguente ad un crollo di diga
(esercitazione 10)

L'esercitazione consiste nell’utilizzare un semplice programma in Fortran per il


calcolo numerico dell'onda conseguente al crollo di una diga, che integra le
equazioni del moto vario con lo schema di Mac Cormack. I dati da prendere in
considerazione sono i seguenti: y0 = 100 m, B = 50 m, i = 0,01, k = 30 m1/3/s.
Bisogna calcolare l'andamento nel tempo e la massima altezza raggiunta in una
sezione posta a valle della diga ad una distanza di 5000 m.
116 G. Pezzinga

Fig. 7.1 – Crollo di diga. Modello unidimensionale (Pezzinga, 1997)


Elementi di Idraulica Numerica 117

7.8 Modelli bidimensionali

Nel caso che il moto non abbia una direzione prevalente, si può ricorrere alle
equazioni bidimensionali del moto, che, sempre nell'ipotesi di distribuzione
idrostatica delle pressioni e considerando le velocità medie sulla verticale, si
scrivono:

∂h ∂(Uh ) ∂(Vh )
+ + =0
∂t ∂x ∂y

∂(Uh ) ∂# 1 & ∂(UVh )


+ %U 2 h + gh 2 ( + = gh (ix - Jx)
∂t
€ €∂x $ € 2 ' ∂y

∂(Vh ) ∂(UVh ) ∂# 1 &


+ + %V 2 h + gh 2 ( = gh (iy - Jy)
€ € ∂t ∂x ∂y $
€ 2 '

Le componenti Jx e Jy della forza resistente per unità di peso possono essere


calcolate, adottando la formula di Strickler, con le seguenti espressioni:
€ € €
U U2 +V2 V U2 +V2
Jx = J y =
c 2h 4 / 3 c 2h 4 / 3

assumendo che il raggio idraulico sia uguale all'altezza d'acqua. Dalla composi-
zione di queste si ottiene la forza resistente per unità di peso nella direzione del
vettore velocità € €

U2 +V2
J = 2 4 /3
c h

Gli schemi visti per le equazioni del moto unidimensionali possono essere estesi
al caso delle equazioni bidimensionali. Lo schema di Mac Cormack ad esempio
€ prendendo in considerazione le equazioni nella
per le equazioni bidimensionali,
forma generale:

∂U ∂E ∂F
+ + =D
∂t ∂x ∂y

è definito dai seguenti due passi di predizione:


€ € €
118 G. Pezzinga

Fig. 7.2 – Crollo di diga. Modello bidimensionale (Cataliotti, 1994)


Elementi di Idraulica Numerica 119

Δt k Δt k
U*i, j = Ui,k j −
Δx
( )
E i +1, j − E i,k j −
Δy
( )
Fi, j +1 − Fi,k j + ΔtD i,k j

e di correzione:
€ 1$ k Δt * Δt * '
Ui,k +1
j = U
& i, j
2%
+ U *
i, j −
Δx
E (
i, j − E *
i−1, j − )
Δy
Fi, j (
− F *
i, j−1 + ΔtD)*
i, j )
(

7.9 Semplificazioni possibili per le onde di piena



Nel caso che le trasformazioni di energia potenziale in energia cinetica e vice-
versa siano modeste, come succede per le onde di piena, l'equazione del moto
può essere semplificata trascurando i termini di accelerazione, locale e convet-
tiva, che essa comprende.
L'equazione del moto

∂V ∂V ∂y
+V +g = g (i - J)
∂t ∂x ∂x

si scrive allora nella forma


€ € € ∂y
= i - J.
∂x

dando luogo al modello parabolico.


In molti casi si può semplificare ulteriormente l'equazione, quando il termine
€ alla pendenza di fondo i, ottenendo l'equazione
∂y/∂x sia trascurabile rispetto

i=J

che dà luogo al modello cinematico. L'equazione di continuità resta la stessa del


modello completo e può essere scritta nella forma

∂Q ∂y
+B =0.
∂x ∂t

L'integrazione numerica in questi casi si modifica leggermente, poiché le equa-


zioni sia del modello cinematico che del modello parabolico si possono sintetiz-
€ €
120 G. Pezzinga

zare in un'unica equazione alle derivate parziali nella sola incognita portata (o
altezza).

7.9.1 MODELLO CINEMATICO

Nel caso del modello cinematico l'equazione del moto coincide con la scala delle
portate in moto uniforme e si può scrivere

Q = Q(y)

in cui la funzione dipende dalla relazione di moto uniforme utilizzata. Si può


quindi utilizzare tale relazione per eliminare una delle due incognite dall'equa-
zione differenziale.
Si ha ad esempio:

∂y dy ∂Q
=
∂t dQ ∂t

e sostituendo nell'equazione di continuità si ottiene:


€ €∂Q dy ∂Q
+B =0,
∂x dQ ∂t

o anche, essendo dA=Bdy:


€ € ∂Q dQ ∂Q
+ =0.
∂t dA ∂x

Un osservatore che si muova con velocità c=dx/dt=dQ/dA non vede variare la


portata; infatti si può scrivere:
€ €
dQ ∂Q ∂Q ∂Q dx ∂Q ∂Q dQ ∂Q
= +c = + = + =0.
dt ∂t ∂x ∂t dt ∂x ∂t dA ∂x

Nel modello cinematico la celerità c della portata (e anche dell'altezza idrica) è


pari quindi a dQ/dA e dipende quindi dalla legge di resistenza adottata.
€ € € € € € €
Elementi di Idraulica Numerica 121

7.9.2 MODELLO PARABOLICO

Per ottenere l'equazione del modello parabolico si può derivare l'equazione di


continuità rispetto a x e l'equazione del moto rispetto a t ottenendo quindi dopo
la sostituzione:

1 ∂ 2Q ∂J
= .
B ∂x 2 ∂t

Essendo la cadente J funzione del tempo attraverso y e Q, il secondo membro si


può esplicitare scrivendo:
€ €
∂J ∂J ∂Q ∂J ∂y
= + .
∂t ∂Q ∂t ∂y ∂t

Tenendo conto dell'equazione di continuità e facendo le sostituzioni si ottiene


l'equazione
€ € €
∂Q ∂J /∂y ∂Q 1 ∂ 2Q
- = ,
∂t B∂J /∂Q ∂x B∂J /∂Q ∂x 2

che può anche essere messa sotto la forma:


€ € €
∂Q ∂Q ∂ 2Q
+c =D 2.
∂t ∂x ∂x

Si può vedere che la celerità c è la stessa del modello cinematico. In più al se-
condo membro è comparso un termine diffusivo, che consente ad esempio di ri-
€ della€portata €
produrre l'attenuazione al colmo e il cosidetto cappio di piena.

7.9.3 SCHEMI NUMERICI

7.9.3.1 Modello cinematico

Per integrare l'equazione del modello cinematico si può ricorrere a schemi nu-
merici espliciti o impliciti. Un possibile schema esplicito si basa sulla seguente
discretizzazione delle derivate:
122 G. Pezzinga

∂Q Qin +1 − Qi*
=
∂t Δt

∂Q Qin+1 − Qi−1
n
=
€ € ∂x 2Δx

essendo
€ € α
Qi* (
= (1 − α)Qin + Qin+1 + Qi−1
2
n
)
con α compreso tra 0 e 1. Si ottiene quindi il seguente schema:

n +1 Qin+1 + Qi−1
n
n n Qin+1 − Qi−1
n
Qi = α + (1 − α)Qi − ci Δt
2 2Δx

Si può vedere che lo schema è stabile per:



# cΔt & 2
% ( ≤α≤1
$ Δx '

Un possibile schema implicito è basato sulla seguente discretizzazione delle de-


rivate:

∂Q Q n +1 − Qin α % Qin+1+1 − Qin+1 Qi−1
n +1 n (
− Qi−1
= (1-α) i + ' + *
∂t Δt 2& Δt Δt )

∂Q Q n +1 − Qi−1
n +1
Q n − Qi−1
n
= θ i +1 + (1-θ) i +1
€ € ∂x € 2Δx 2Δx

Si può vedere che per θ≥0,5 lo schema è incondizionatamente stabile. Essendo


implicito, lo schema richiede a ogni passo la risoluzione di un sistema lineare.
€ € €

7.9.3.2 Modello parabolico

L'estensione dello schema implicito precedentemente visto per il modello cine-


matico all'equazione del modello parabolico si attua esprimendo la derivata se-
conda in direzione x per mezzo dell'espressione
Elementi di Idraulica Numerica 123

∂ 2Q Qin+1+1 − 2Qin +1 + Qi−1


n +1
Qin+1 − 2Qin + Qi−1
n
= θ + (1-θ)
∂x 2 Δx 2 Δx 2

utilizzando il coefficiente di peso θ analogamente a quanto fatto per la derivata


prima. Anche questo schema è incondizionatamente stabile per θ≥0,5.
€ € €
Per α=θ=0 si ottiene uno schema esplicito che è stabile sotto la condizione:

# cΔt & 2 2DΔt


% ( ≤ ≤1
$ Δx ' Δx 2

La prima disuguaglianza impone che l'intervallo temporale sia:


€ € 2D
Δt ≤
c2

La seconda disuguaglianza impone che l'intervallo temporale sia:


€ Δx 2
Δt ≤
2D

Solitamente se è verificata la seconda la prima risulta verificata ampiamente. Lo


schema esplicito dà luogo alla semplice soluzione:

Qin+1 n
− Qi−1 Qin+1 − 2Qin + Qi−1
n
Qin +1 = Qin n
− ci Δt n
+ Di Δt
2Δx Δx 2

7.10 Equazione dei serbatoi



Uno degli effetti principali dei serbatoi, siano o non siano questi progettati a tale
esclusivo scopo, è quello di laminazione delle onde di piena, cioè l'attenuazione
delle portate di piena al colmo, che si ha a causa dell'invaso di parte del volume
di piena e della sua restituzione al corso d'acqua in un tempo successivo.
I fenomeni di moto vario all'interno dei serbatoi possono essere studiati prescin-
dendo dalle caratteristiche di propagazione in quanto l'equazione del moto ri-
sulta banale, essendo le velocità trascurabili, così come i termini di resistenza ed
i termini d'inerzia.
L'unica equazione significativa è l'equazione di continuità, che si può scrivere
nella forma:
124 G. Pezzinga

dW
= Qe - Qu
dt

essendo W il volume all'interno del serbatoio, Qe e Qu rispettivamente la portata


entrante e la portata uscente. L'unica variabile indipendente è il tempo, mentre le
grandezze che compaiono € nell'equazione di continuità possono essere conside-
rate funzioni note del tempo, come la portata entrante, o funzioni della quota h
del pelo libero nel serbatoio, che a sua volta è una funzione del tempo.
La legge con cui la portata uscente è legata alla quota dipende dal tipo di luce di
efflusso dal serbatoio. In particolare, se la luce è a battente, come per uno sca-
rico di fondo, la portata è legata alla radice quadrata del carico sulla luce:

Qu = µfA 2g(h − h f )

dove A è l'area della luce e hf è la quota del baricentro della luce. Il coefficiente
di efflusso µf tiene conto dell'eventale contrazione e di tutte le perdite di carico

concentrate e distribuite.
Nel caso di una luce a stramazzo, come per uno scarico di superficie, la portata è
legata al carico sulla soglia mediante la legge:
3/2
Qu = µsL 2g (h − hs )

dove L è la larghezza della luce e hs è la quota della soglia. Il coefficiente di ef-


flusso µs dipende principalmente dalla conformazione della soglia, oltre che dal

carico stesso. Nel caso che l'efflusso avvenga da entrambe le luci, la portata
uscente è data dalla somma dei due contributi.
Il volume del serbatoio stesso è legato alla quota del pelo libero attraverso la
cosidetta curva dei volumi, che può essere considerata esprimibile per punti, con
interpolazione lineare tra un punto e l'altro, oppure può essere espressa mediante
una funzione monomia del tipo:

W = a hn

con i coefficienti a e n ricavabili facilmente per mezzo di un'interpolazione con


il metodo dei minimi quadrati.
L'andamento dell'idrogramma entrante in funzione del tempo si ricava con i me-
todi dell'idrologia. Di solito si parte dalle piogge e si usa il metodo delle fasce
isocorrive o il metodo dell'idrogramma unitario.
Elementi di Idraulica Numerica 125

Normalmente gli intervalli temporali usati per la ricostruzione di un'idrogramma


di piena sono molto ampi rispetto agli intervalli temporali di integrazione neces-
sari per una buona accuratezza di qualunque schema numerico adottato.
L’idrogramma di piena può essere considerato lineare a tratti.
Sostituendo le funzioni di h viste in precedenza nell'equazione di continuità del
serbatoio, si ottiene un'equazione differenziale di primo ordine, che si può risol-
vere con uno degli schemi numerici già visti.
In particolare si può scrivere:

dW
=
( )
d ah n
= anh n−1
dh
dt dt dt

Inoltre la legge della portata uscente può essere considerata variabile al variare
di h secondo il seguente schema:
€ € €
Qu = 0 per 0 ≤ h ≤ hf
Qu = µfA 2g(h − h f ) per hf < h ≤ hs
3/2
Qu = µfA 2g(h − h f ) + µsL 2g (h − hs ) per hs < h

Naturalmente
€ se una delle due luci non esiste basta porre uguale a zero il coef-
ficiente di efflusso. Il coefficiente di efflusso della luce di fondo deve essere ri-
cavato €
€ imponendo un bilancio di energia tra il serbatoio e la sezione di sbocco
della galleria, considerando tutte le perdite concentrate e distribuite. Il coeffi-
ciente di efflusso dello sfioratore di superficie dipende dalla forma di questo. Ad
esempio per stramazzo a larga soglia (Belanger) vale 0,385, mentre per soglia
con profilo Creager assume un valore tra 0,48 e 0,50 in corrispondenza al carico
per cui è stato progettato, mentre assume valori inferiori per diversi valori del
carico.
Nella legge di efflusso si è trascurato il caso del possibile funzionamento della
luce di fondo come soglia a stramazzo, che avviene per altezze d'acqua com-
prese tra il fondo e la sommità della galleria di scarico.

7.11 Verifica di un serbatoio di laminazione (esercitazione 11)

L'esercitazione consiste nel realizzare un semplice programma di calcolo in


Fortran per la verifica di un serbatoio di laminazione con una luce di fondo e
uno scarico di superficie. Occorre integrare l'equazione del serbatoio, conside-
rando come variabile dipendente la quota del pelo libero nel serbatoio stesso,
utilizzando lo schema di predizione-correzione. Bisogna calcolare l'andamento
126 G. Pezzinga

della portata uscente e l'attenuazione subita dalla portata al colmo prendendo in


considerazione i seguenti dati:

Curva volumi-altezze: W(m3) = 176 h(m) 2,93


Quota luce di fondo: hf = 2 m
Area luce di fondo: A = 4 m2
Coefficiente di efflusso luce di fondo: µf = 0,9
Quota soglia sfiorante: hs = 25 m
Larghezza soglia sfiorante: L = 10 m
Coefficiente di efflusso soglia sfiorante: µs = 0,48
Quota iniziale: h0 = 1 m

L'idrogramma di piena è dato nella tabella seguente:

t(h) Q(m3/s)
0,0 0,00
0,5 66,64
1,0 172,52
1,5 244,14
2,0 788,92
2,5 1053,92
3,0 517,13
3,5 121,27
4,0 62,48
4,5 12,64
5,0 0,00
Elementi di Idraulica Numerica 127

8. FENOMENI DI FILTRAZIONE E DISPERSIONE NEGLI ACQUI-


FERI

8.1 Generalità

Lo studio dei fenomeni di filtrazione e dispersione negli acquiferi sotterranei è


importante perché le acque sotterranee sono tuttora una delle maggiori fonti di
approvvigionamento idrico, soprattutto a fini potabili. Lo sviluppo della popola-
zione e delle attività produttive ha portato a fenomeni come il sovrasfruttamento
e l'inquinamento delle falde, che possono pregiudicare l'utilizzazione della ri-
sorsa anche per tempi molto lunghi. Per evitare danni irreversibili alle falde è
quindi necessario saper prevedere le conseguenze che un intervento dell'uomo
possa avere sia in termini di quantità che in termini di qualità dell'acqua.
Ad esempio lo sfruttamento di una falda, abbassandone il livello, può incidere
sullo sviluppo della vegetazione. La costruzione di una diga può porre problemi
di innalzamento della falda, con conseguente necessità di opportuni lavori di
drenaggio. Lo scarico di liquami civili o industriali, in molti casi tossici, può in-
quinare le falde, pregiudicandone lo sfruttamento a fini potabili. Il sovrasfrutta-
mento delle falde in vicinanza delle coste può provocare fenomeni di intrusione
di acqua del mare, con conseguente aumento della salinità.
I modelli matematici che descriveremo in seguito sono basati su una schematiz-
zazione bidimensionale di fenomeni che in realtà sono tridimensionali. Questa
assunzione è ovviamente valida nel caso di un problema piano, come ad esempio
il fenomeno della filtrazione sotto una traversa di sbarramento, ed è suffi-
cientemente approssimata nel caso dei fenomeni a scala regionale, come sono ad
esempio quelli prima descritti. Infatti in questo caso l'estensione planimetrica
della superficie interessata dal fenomeno è nettamente preponderante sullo spes-
sore dell'acquifero; si possono quindi usare modelli bidimensionali mediati sulla
verticale.
I modelli matematici sono di particolare importanza nei fenomeni a scala regio-
nale, che non possono essere studiati su modello fisico, sia per la grande scala
che per la difficile determinazione delle caratteristiche del terreno che influen-
zano la filtrazione e la dispersione. In tale tipo di fenomeni occorre quindi sem-
pre una taratura dei parametri del modello, possibilmente in base ad osservazioni
e misure dirette sull'acquifero studiato.
128 G. Pezzinga

8.2 I fenomeni di filtrazione

I modelli bidimensionali che illustreremo possono essere adottati per i fenomeni


in cui lo spessore dell'acquifero è piccolo rispetto all'estensione planimetrica
dell'acquifero (modelli a scala regionale).
Il moto di filtrazione in un acquifero sotterraneo si distingue in moto nella zona
satura e moto nella zona non satura. Il moto nella zona non satura è prevalente-
mente in direzione verticale, ma nei fenomeni a scala regionale ha principal-
mente importanza il moto nella zona satura. La discussione sarà ristretta allora al
moto nella zona satura. Verranno presi in considerazione terreni porosi, anche se
i metodi descritti possono essere adattati anche ai terreni fratturati.
Le falde acquifere sotterranee possono essere di vari tipi:
- falde confinate, dette anche falde artesiane, dalla regione francese dell'Artois,
in cui l'acqua si trova tra due strati di terreno impermeabile, detti rispettivamente
letto e tetto della falda; l'acqua della falda è in pressione e in un piezometro in-
fisso nel terreno il livello sale fino ad un valore superiore al tetto della falda;
- falde non confinate, dette anche falde freatiche, che sono confinate alla base da
una formazione impermeabile, detta letto della falda, e sono superiormente in
comunicazione con l'atmosfera;
- falde semiconfinate, delimitate da almeno uno strato semimpermeabile, che
può essere sia quello inferiore che quello superiore, e che quindi scambiano
portata con le falde circostanti.
Nei modelli bidimensionali che considereremo si assume nulla la componente
della velocità in direzione verticale e si considera di conseguenza un unico va-
lore del carico piezometrico lungo la verticale (ipotesi di Dupuit).

8.3 Equazioni della filtrazione

Nelle ipotesi prima esposte, le equazioni del moto di filtrazione di un fluido in


un acquifero sotterraneo sono l'equazione di continuità e la legge di Darcy.
L'equazione di continuità per il moto bidimensionale in un acquifero sotterraneo
si può scrivere:

∂(mu) ∂(mv) ∂h
- - +q=S
∂x ∂y ∂t

essendo m lo spessore dello strato saturo, u e v le componenti della velocità in


direzione x e y, q la portata entrante, S il coefficiente d'immagazzinamento.
€ € il coefficiente€
Nel caso della falda artesiana d'immagazzinamento è legato alla
comprimibilità del fluido, mentre nel caso della falda freatica l'effetto della
Elementi di Idraulica Numerica 129

comprimibilità può essere trascurato rispetto alle variazioni di volume di fluido


causate dall'innalzamento e dall'abbassamento del livello della falda; in questo
caso il coefficiente d'immagazzinamento coincide con la porosità effettiva del
terreno ne. Inoltre lo spessore dell'acquifero è funzione del livello piezometrico,
essendo la falda a contatto con l'atmosfera. Detta b la quota del letto impermea-
bile della falda, l'equazione di continuità si può allora scrivere:

∂[(h − b)u] ∂[(h − b)v] ∂h


- - + q = ne
∂x ∂y ∂t

Tenendo conto della legge di Darcy le componenti di velocità si possono legare


alle componenti del gradiente del carico nelle rispettive direzioni:
€ € €
∂h ∂h
u=-k , v=-k ,
∂x ∂y

essendo k il coefficiente di permeabilità. La legge di Darcy può essere genera-


lizzata per un acquifero anisotropo:
€ €
∂h ∂h ∂h ∂h
u = - kxx - kxy , v = - kyx - kyy ,
∂x ∂y ∂x ∂y

introducendo cioè, al posto del coefficiente di permeabilità k, un tensore di per-


meabilità:
€ € € €
"k xx k xy %
K=$ '
#k yx k yy &

per tener conto del fatto che in un mezzo anisotropo la direzione della velocità
può differire dalla direzione del gradiente del carico.
Combinando le precedenti € equazioni, l'equazione del moto si può scrivere, nel
caso di un acquifero artesiano:

∂ # ∂h & ∂ # ∂h & ∂h
% mk ( + % mk ( + q = S
∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y ' ∂t

per un mezzo isotropo e


€ € €
130 G. Pezzinga

∂# ∂h ∂h & ∂ # ∂h ∂h & ∂h
% mk xx + mk xy ( + % mk yx + mk yy ( + q = S
∂x $ ∂x ∂y ' ∂y $ ∂x ∂y ' ∂t

per un mezzo anisotropo. Nel caso di un acquifero freatico si può invece scri-
vere:
€ € €
∂$ ∂h ' ∂ $ ∂h ' ∂h
(h − b)k + &(h − b)k ) + q = n e
∂x &% ∂x )( ∂y % ∂y ( ∂t

per un mezzo isotropo e


€ € ∂h ' ∂ $ €
∂$ ∂h ∂h ∂h ' ∂h
&(h − b)k xx + (h − b)k xy ) + &(h − b)k yx + (h − b)k yy ) + q = ne
∂x % ∂x ∂y ( ∂y % ∂x ∂y ( ∂t

per un mezzo anisotropo. La scrittura dell'equazione di continuità per un acqui-


fero semiconfinato è più complessa e prende in considerazione termini di scam-
€ € €
bio con gli acquiferi circostanti basati su una formulazione in accordo con la
legge di Darcy.
Le equazioni appena viste valgono per il moto vario, mentre quelle valevoli per
il moto permanente si ottengono eliminando il termine ∂h/∂t. Le equazioni del
moto vario in un acquifero sono equazioni differenziali alle derivate parziali di
tipo parabolico. Per l'integrazione alle equazioni devono essere associate le
condizioni iniziali (l'andamento del carico al tempo iniziale) e le condizioni al
contorno (valevoli sulla frontiera del dominio d'integrazione). Nel caso del moto
permanente invece le equazioni sono ellittiche e richiedono la definizione delle
condizioni al contorno.
Le condizioni al contorno possono essere di tre tipi:
- condizioni al contorno del primo tipo (di Dirichlet), che impongono il valore
del carico. In ogni problema è necessario almeno un punto in cui sia definita una
condizione al contorno del primo tipo, per garantire l'unicità della soluzione, che
altrimenti è definita a meno di una costante;
- condizioni al contorno del secondo tipo (di Neumann), che impongono un va-
lore del flusso al contorno. Su tali parti della frontiera è quindi assegnato il va-
lore del gradiente del carico. In particolare i contorni impermeabili sono punti in
cui il flusso è nullo;
- condizioni al contorno del terzo tipo (miste), che impongono un legame che è
una combinazione lineare del carico e del flusso, valevoli per contorni semim-
permeabili.
Elementi di Idraulica Numerica 131

8.4 Il metodo delle differenze finite per i problemi di filtrazione

8.4.1 ACQUIFERO ISOTROPO E CONFINATO

Faremo riferimento per semplicità al caso di un acquifero confinato. In tal caso


la scrittura delle equazioni in forma discreta darà luogo alla formulazione di un
sistema lineare, contrariamente al caso dell'acquifero non confinato, per cui si
avranno equazioni non lineari nei carichi piezometrici ai nodi. Infatti nel caso
dell'acquifero non confinato la trasmissività, definita come prodotto del coeffi-
ciente di permeabilità per lo spessore dell'acquifero, dipende dalla soluzione.
Tuttavia si può attuare in questi casi una linearizzazione del problema, espri-
mendo la trasmissività in base al valore attuale del carico e considerandola come
costante.
Nel caso si terreno isotropo si può fare quindi riferimento all'equazione:

∂ # ∂h & ∂ # ∂h & ∂h
%T ( + %T ( + q = S
∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y ' ∂t

essendo T la trasmissività, prodotto dello spessore dell'acquifero per il coeffi-


ciente di permeabilità, e quindi funzione, nel caso di acquifero confinato e iso-
€ coordinate€spaziali. €
tropo, delle sole

8.4.2 MOTO PERMANENTE

Nel caso del moto permanente l'equazione vista prima si particolarizza nella se-
guente:

∂ # ∂h & ∂ # ∂h &
%T ( + %T ( + q = 0
∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y '

che, nel caso che la portata q emunta o immessa nell'acquifero sia nulla, e nel
caso di trasmissività costante (acquifero omogeneo) diventa:
€ €
∂2h ∂2h
Δ2 h = + =0
∂x 2 ∂y 2

Questa è l'equazione di Laplace, che abbiamo già incontrato come classico


esempio di equazione ellittica. Si ottiene questa forma dell'equazione anche nel
€ €
132 G. Pezzinga

caso di un problema piano. Infatti in tale ipotesi e nel caso di moto permanente
l'equazione di continuità si scrive:

∂u ∂v
+ =0
∂x ∂y

e utilizzando la legge di Darcy nell'ipotesi di acquifero omogeneo si ottiene an-


cora l'equazione di Laplace.
€ € schema iterativo per la soluzione dell'equazione
Abbiamo già visto un possibile
di Laplace, basato sull'idea di raggiungere la soluzione del problema di equili-
brio come soluzione finale di un problema di dispersione, che evita di risolvere
il sistema lineare.
Vedremo adesso lo schema completo, che si basa sempre sulla valutazione delle
derivate seconde in direzione x e y nella forma:

∂ 2 h hi +1, j − 2hi, j + hi−1, j ∂ 2 h hi, j +1 − 2hi, j + hi, j−1


= =
∂x 2 Δx 2 ∂y 2 Δy 2

L'equazione discretizzata si scrive quindi:


€ €
hi +1, j − 2hi, j + h€
i−1, j

hi, j +1 − 2hi, j + hi, j−1
+ = 0.
Δx 2 Δy 2

Questo schema è valido se le dimensioni delle maglie della griglia di calcolo


sono costanti
€ (anche se la dimensione Δx può essere diversa da Δy) e in questo

caso ha consistenza del secondo ordine. Nel caso che sia anche Δx=Δy, lo
schema diventa semplicemente esprimibile attraverso l'equazione:

- 4hi,j + hi+1,j + hi-1,j + hi,j+1 + hi,j-1 = 0.

Una volta numerati gli n nodi del reticolo, si tratta quindi di scrivere n equazioni
lineari e di risolvere il sistema. Naturalmente le equazioni del tipo di quella ap-
pena scritta valgono per i nodi interni, mentre per i nodi sulla frontiera del do-
minio di integrazione bisogna tener conto delle condizioni al contorno.
Esaminiamo condizioni al contorno di due tipi: quelle in cui si impone il valore
del carico e quelle in cui si impone che la parete sia impermeabile, e quindi che
il valore della velocità (e quindi della derivata del carico in direzione normale)
sia nullo. Per i punti della frontiera in cui si impone il valore del carico la con-
dizione al contorno assume la forma:
Elementi di Idraulica Numerica 133

hi,j = hi,j°.

Per i punti in cui si assume che la derivata del carico in direzione normale alla
frontiera stessa sia nullo, la condizione al contorno assume la forma:

hi+1,j = hi-1,j

se la frontiera è ortogonale alla direzione x, oppure la forma:

hi,j+1 = hi,j-1

se la frontiera è ortogonale alla direzione y.

8.4.3 CALCOLO DELLA FILTRAZIONE IN UN ACQUIFERO ISOTROPO CONFINATO


OMOGENEO (ESERCITAZIONE 12)

L'esercitazione consiste nel calcolare con il metodo di Seidel l’andamento della


piezometrica in un acquifero artesiano omogeneo e isotropo largo 600 m e lungo
700 m. Sui lati dell’acquifero esistono frontiere impermeabili. A monte e a valle
il carico è fissato rispettivamente pari a 7 m e a 0. La trasmissività è costante e
pari a 0,1 m2/s. Sull’asse di simmetria a 300 m dalla frontiera di monte c’è un
pozzo che emunge una portata di 1 m3/s.

8.4.4 MOTO VARIO

L'equazione del moto vario per acquifero confinato e isotropo:

∂ # ∂h & ∂ # ∂h & ∂h
%T ( + %T ( + q = S
∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y ' ∂t

può essere discretizzata in base al seguente schema generale:


€ € €
Si,j
hi,n +1 n
j − hi, j
= qi,j +
( ) (
Ti +1/ 2, j hi*+1, j − hi,* j − Ti−1/ 2, j hi,* j − hi−1,
*
j )+
Δt Δx 2

+
( ) (
Ti, j +1/ 2 hi,* j +1 − hi,* j − Ti, j−1/ 2 hi,* j − hi,* j−1 )
2
€ € Δy


134 G. Pezzinga

dove n è l'indice dei tempi e la trasmissività è mediata tra due punti vicini per
tener conto del fatto che i flussi di portata sono definiti sulle pareti di una cella
di calcolo. In particolare la trasmissività media può essere valutata semplice-
mente con la media aritmetica:

Ti, j + Ti +1, j
Ti+1/2,j =
2

o più correttamente con la media armonica:


€ 2Ti, j Ti +1, j
Ti+1/2,j =
Ti, j + Ti +1, j

perché due trasmissività in serie sono equivalenti a due resistenze in parallelo.


Il generico termine hi,* j può essere valutato nella forma:

hi,* j = (1 − θ)hi,n j + θhi,n +1


j


con θ, compreso tra 0 e 1, coefficiente di peso tra il valore al tempo precedente e
il valore al tempo successivo. Tale scrittura dà luogo ad uno schema implicito

per θ≠0 e a uno schema esplicito per θ=0.
L'equazione discretizzata appena vista vale naturalmente per i nodi interni del
campo d'integrazione, mentre per i nodi di frontiera bisogna porre le condizioni
al contorno nelle possibili forme viste (di Dirichlet, di Neumann, miste).

8.4.4.1 Schema esplicito

Nel caso che si scelga θ=0, il carico al generico nodo (i,j) al tempo n+1 può es-
sere valutato con la semplice formula esplicita:

hi,n +1 = hi,n j +
Δt
qi, j +
( n n
) (n n
)
Δt Ti +1/ 2, j hi +1, j − hi, j − Ti−1/ 2, j hi, j − hi−1, j
+
j
Si, j Si, j Δx 2

+
(n n
) ( n n
Δt Ti, j +1/ 2 hi, j +1 − hi, j − Ti, j−1/ 2 hi, j − hi, j−1 )
€ Si, j Δy 2


Elementi di Idraulica Numerica 135

Si può vedere che questo schema è stabile sotto la condizione:

# Δt Δt & 1 S
% 2 + (≤
$ Δx Δy 2 ' 2 T

che nella maggior parte dei casi risulta molto gravosa. Infatti, soprattutto nei
modelli a scala regionale, che riguardano
€ fenomeni di moto vario con scale tem-

porali dell'ordine degli anni, e in cui le dimensioni delle maglie vanno normal-
mente da un ordine di grandezza di 10 m ad uno di 100 m, gli intervalli di tempo
risultano dell'ordine dei secondi, dando luogo a tempi di calcolo inaccettabili.

8.4.4.2 Schema implicito

È opportuno ricorrere allora a schemi impliciti, che richiedono ad ogni intervallo


di tempo la risoluzione di un sistema con un numero di equazioni pari al numero
dei nodi del reticolo di calcolo. Ponendo θ≠0 nella formula

hi,* j = (1 − θ)hi,n j + θhi,n +1


j

si ha uno schema implicito. Se si sceglie θ=0,5, in particolare, si ha lo schema di


Cranck-Nicholson, largamente usato per la sua accuratezza, in quanto risulta con
€ ordine.
consistenza di secondo
Ponendo θ=1, in particolare, si ottiene:
n +1
Ti−1/ 2, j hi−1, j Ti +1/ 2, j hin+1,
+1
j Ti, j−1/ 2 hi,n +1
j−1 Ti, j +1/ 2 hi,n +1
j +1
+ + + -
Δx 2 Δx 2 Δy 2 Δy 2

$
Ti−1/ 2, j Ti +1/ 2, j Ti, j−1/ 2 Ti, j +1/ 2 Si, j ' Si, j hi,n j
−hi,n +1
j & 2
+ 2
+ + + ) = −qi, j − .
€ € € % Δx Δx
€ Δy 2 Δy 2 Δt ( Δt

Bisogna quindi risolvere un sistema lineare con numero di equazioni pari al nu-
mero dei nodi del reticolo di calcolo. Nei nodi interni valgono equazioni del tipo
€ appena scritta, mentre nei nodi di frontiera bisogna imporre le condi-
di quella
zioni al contorno.
Il sistema di equazioni da risolvere è caratterizzato da una matrice bandata e
simmetrica, e può essere risolto con metodo diretto o con metodo iterativo, come
già visto a proposito dei sistemi lineari. In particolare tra i metodi diretti può es-
sere utilizzato il metodo di Gauss.
136 G. Pezzinga

Tra i metodi iterativi, utilizzando il metodo di Jacobi, la soluzione iterativa del-


l'equazione precedente scritta nella forma:

hi,n +1 (n +1 n +1 n +1 n +1
j = f hi−1, j + hi +1, j + hi, j−1 + hi, j +1 )
può essere ottenuta mediante lo schema iterativo:

hi,n +1(new
j
)
(n +1(old )
= f hi−1, j + hin+1,
+1(old )
j + hi,n +1(old
j−1
)
+ hi,n +1(old
j +1
)
)
riferendosi gli indici (old) e (new) rispettivamente all'iterazione precedente e alla
nuova iterazione. Tale procedura converge verso la soluzione del sistema in
€ la matrice è diagonalmente dominante. Utilizzando il metodo di Seidel,
quanto
invece, lo schema iterativo è definito dall'equazione:

hi,n +1(new
j
)
( n +1(new )
= f hi−1, j + hin+1,
+1(old )
j + hi,n +1(new
j−1
)
+ hi,n +1(old
j +1
)
)
Anche in questo caso l'introduzione di un fattore di sovrarilassamento (compreso
tra 1 e 2) può accelerare la convergenza.

8.4.5 ESTENSIONE AGLI ALTRI TIPI DI ACQUIFERO

8.4.5.1 Acquifero non isotropo

In questo caso, analogamente al tensore di permeabilità introdotta precedente-


mente, può essere definito un tensore di trasmissività:

"Txx Txy %
T=$ '
#Tyx Tyy &

e l'equazione generale discretizzata vista in precedenza può essere estesa nel


modo seguente:

Si,j
hi,n +1 n
j − hi, j
= qi,j +
( ) (
Txx i +1/ 2, j hi*+1, j − hi,* j − Txx i−1/ 2, j hi,* j − hi−1,
*
j )+
Δt Δx 2

+
( ) (
Tyy i, j +1/ 2 hi,* j +1 − hi,* j − Tyy i, j−1/ 2 hi,* j − hi,* j−1 )+
€ € Δy 2


Elementi di Idraulica Numerica 137

+
(
Txy i, j +1/ 2 hi*+1, j +1 − hi−1,
* * *
j +1 + hi +1, j − hi−1, j )−
4ΔxΔy


(
Txy i, j−1/ 2 hi*+1, j − hi−1,
* * *
j + hi +1, j−1 − hi−1, j−1 )+
€ 4ΔxΔy

+
(
Txy i +1/ 2, j hi*+1, j +1 − hi*+1, j−1 + hi,* j +1 − hi,* j−1 )−
4ΔxΔy €


(
Txy i−1/ 2, j hi,* j +1 − hi,* j−1 + hi−1,
* *
j +1 − hi−1, j−1 )
€ 4ΔxΔy

8.4.5.2 Acquifero freatico



Nel caso di acquifero freatico, la trasmissività dipende, oltre che dalle coordinate
spaziali, anche dal carico piezometrico, e quindi in generale dal tempo.
Introducendo la quota del fondo impermeabile dell'acquifero bi,j, la trasmissività
si esprime nella forma:

Ti,j = ki,j (hi,j - bi,j)

La trasmissività media tra due punti può ancora essere valutata mediante la me-
dia armonica vista in precedenza:

2Ti, j Ti +1, j
Ti+1/2,j =
Ti, j + Ti +1, j

In alternativa si può valutare lo spessore dell'acquifero con una media geome-


trica:

Ti+1/2,j = ki+1/2,j (h i +1, j )(
− bi +1, j hi , j − bi , j )
essendo la permeabilità valutata sempre con la media armonica:

138 G. Pezzinga

2ki, j ki +1, j
ki+1/2,j =
ki, j + ki +1, j

Quindi, se nello schema implicito anche le trasmissività sono valutate implici-


tamente, il sistema risultante diventa non lineare e uno degli schemi iterativi vi-
sti prima diventa strettamente€necessario per la soluzione.

8.5 Trasporto di sostanze in falde acquifere

L'inquinamento delle falde acquifere sotterranee dovuto alle attività umane av-
viene in vari modi. Ad esempio, acqua inquinata può infiltrarsi nell'acquifero da
corpi idrici superficiali inquinati, da collettori fognari fessurati, da pozzi neri. Le
sostanze inquinanti utilizzate in agricoltura (nitrati, pesticidi) trasportate dalle
piogge possono raggiungere le falde. Allo stesso modo le sostanze tossiche o
nocive presenti nelle discariche di rifiuti solidi possono inquinare le falde.
Il processo di dispersione degli inquinanti nelle falde è molto complesso. Si può
distinguere una prima fase in cui l'inquinante si disperde nella direzione verticale
principalmente per percolazione attraverso la zona non satura, da una seconda
fase in cui il moto avviene nella zona satura. Nel seguito si prenderanno in
considerazione, anche per il fenomeno della dispersione, modelli a scala re-
gionale, considerando il problema bidimensionale con riferimento alle grandezze
mediate sulla verticale. Ci limiteremo quindi a esaminare la fase del trasporto
nella zona satura, trascurando la prima fase del processo. Questa appros-
simazione è sicuramente accettabile quando le dimensioni planimetriche dell'ac-
quifero sono prevalenti rispetto alla sua dimensione verticale. Gli effetti tridi-
mensionali possono essere importanti in acquiferi fortemente stratificati.
Si possono distinguere i soluti trasportati in base al loro comportamento. In par-
ticolare si distinguono soluti attivi o inattivi dal punto di vista chimico.
L'eventuale attività chimica può essere messa in conto attraverso le opportune
equazioni di reazioni chimiche o attraverso equazioni che tengano conto dell'in-
terazione tra la sostanza e la matrice solida dell'acquifero (assorbimento).
Inoltre, per forti concentrazioni del soluto, le disuniformità spaziali della densità
della sostanza trasportata possono influenzare il campo idrodinamico. Nel se-
guito si considereranno soltanto soluti inattivi sia dal punto di vista chimico che
dal punto di vista idrodinamico. Questa ipotesi comporta che le equazioni che ri-
solvono il campo di moto sono disaccoppiate dalle equazioni che risolvono il
problema di trasporto. Il campo di velocità deve essere conosciuto a priori per la
risoluzione delle equazioni di trasporto. In particolare il modello di trasporto ri-
chiede la conoscenza delle effettive velocità attraverso i pori, che possono essere
Elementi di Idraulica Numerica 139

ottenute dalle velocità del modello di filtrazione dividendo per la porosità effet-
tiva ne.

8.6 Equazioni della dispersione

Il trasporto del soluto ideale precedentemente definito può essere analizzato


sulla base del bilancio di massa in un volume infinitesimo. Il trasporto a livello
microscopico all'interno dei singoli meati avviene secondo due modalità fonda-
mentali: il trasporto convettivo e il trasporto diffusivo. Mentre il flusso convet-
tivo della sostanza considerata attraverso una superficie è proporzionale alla
componente della velocità ortogonale alla superficie stessa:

Φ c = un c A

il flusso diffusivo, secondo la legge di Fick, è proporzionale all'opposto del gra-


diente della concentrazione in direzione normale alla superficie:

∂c
Φd = - Dm A
∂n

essendo Dm il coefficiente di diffusione molecolare.


L'equazione indefinita del trasporto a livello microscopico in assenza di apporti
esterni si può scrivere allora nella€forma:

∂c ∂(uc) ∂(vc) ∂(wc) # ∂2c ∂2c ∂2c &


+ + + = Dm % 2 + 2 + 2 (
∂t ∂x ∂y ∂z $ ∂x ∂y ∂z '

Dal punto di vista applicativo, tuttavia, questa equazione è di scarsa utilità, in


quanto
€ i volumi
€ su cui è opportuno effettuare il bilancio sono macroscopici. Per
€ € €
ottenere l'equazione indefinita su un volume macroscopico si considerano valori
medi delle grandezze sui pori contenuti nel volume stesso. I valori medi sull'in-
tero volume si ottengono moltiplicando per la porosità effettiva ne.
Come in molti processi statistici, si esprimono le grandezze locali come somma
della media della stessa grandezza sull'intero volume e dello scarto locale dalla
media:

u = u + u', v = v + v', w = w + w', c = c + c'.

€ € € €
140 G. Pezzinga

Fig. 8.1 – Possibili fonti di inquinamento (Kinzelbach, 1986)


Elementi di Idraulica Numerica 141

Fig. 8.2 – Modalità della dispersione (Kinzelbach, 1986)


142 G. Pezzinga

Con tale procedimento, sostituendo i valori locali nell'equazione di bilancio


scritta in precedenza e mediando, si ottiene l'equazione del trasporto per un vo-
lume macroscopico, che in assenza di apporti esterni si scrive:

∂(ne c) ∂(ne uc) ∂(ne vc) ∂(ne wc) ∂(ne u'c') ∂(ne v'c') ∂(ne w'c')
+ + + + + + =
∂t ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z

∂# ∂c & ∂ # ∂c & ∂ # ∂c &


= % Dm ne ( + % Dm ne ( + % Dm ne (
€ € € € € ∂x $ €∂x ' ∂y $€ ∂y ' ∂z $ ∂z '

in cui per semplicità sono stati omessi i segni di media. I nuovi termini introdotti
in seguito al procedimento descritto sono detti termini di dispersione e sono do-

vuti alle variazioni microscopiche € dovute alla€disuniformità delle di-
di velocità
mensioni dei pori, all'effettivo profilo di velocità all'interno dei pori e alla curva-
tura delle linee di corrente attorno ai grani. Su volumi ancora più grandi inter-
vengono inoltre anche disuniformità nella permeabilità, che creano le maggiori
deviazioni della velocità dal suo valore medio.
Nei modelli di dispersione a scala regionale, il processo di media si effettua su
un volume prismatico con dimensioni planimetriche dx e dy e avente come di-
mensione verticale tutto lo spessore dell'acquifero. Con riferimento alle gran-
dezze medie sulla verticale, si ottiene quindi la seguente forma dell'equazione di
trasporto:

∂( mne c) ∂( mne uc) ∂( mne vc) ∂( mne u'c') ∂( mne v'c')


+ + + + =
∂t ∂x ∂y ∂x ∂y

∂# ∂c & ∂ # ∂c &
= % Dm mne ( + % Dm mne (
€ € € € € ∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y '

Il processo di dispersione all'interno dell'acquifero, dovuto all'effetto delle disu-


niformità della velocità, consiste in un mescolamento e spargimento di una di-
stribuzione iniziale di concentrazione.€Esistono quindi analogie
€ tra il processo di
diffusione e il processo di dispersione. Per tale motivo i termini di dispersione
vengono di solito modellati in analogia ai termini diffusivi, introducendo un
coefficiente di dispersione Ds:

∂c ∂c
u'c' = - Ds , v'c' = - Ds .
∂x ∂y

€ €
€ €
Elementi di Idraulica Numerica 143

In tale ipotesi l'equazione del trasporto bidimensionale può essere scritta nella
forma:

∂( mne c) ∂( mne uc) ∂( mne vc)


+ + =
∂t ∂x ∂y

∂# ∂c & ∂ # ∂c&
= ( D + D ) mn + %( D + D ) mn (
∂x %$ ∂x (' ∂y $
m s e m s e
€ € € ∂y'

Più in generale, se si vuole tener conto dell'anisotropia della dispersione si può


introdurre un tensore di dispersione:
€ €
"Dxx Dxy %
D=$ '
#Dyx Dyy &

L'equazione di trasporto bidimensionale si scrive allora nella forma:


€ vc)
∂( mne c) ∂( mne uc) ∂( mn ∂# ∂c & ∂ # ∂c &
e
+ + = % Dm mne ( + % Dm mne ( +
∂t ∂x ∂y ∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y '

∂) # ∂c ∂c &, ∂ ) # ∂c ∂c &,
+ +mne % Dxx + Dxy (. + +mne % Dyx + Dyy (.
€ € € ∂x *
€ $ ∂x € ∂y '- ∂y * $ ∂x ∂y '-

Introducendo una sorgente per unità di volume σ e tenendo conto della portata
infiltrata per unità di area q in direzione verticale, si ottiene in definitiva l'equa-
zione di Bear: € €

∂( mne c) ∂( mne uc) ∂( mne vc) ∂# ∂c & ∂ # ∂c &


+ + = % Dm mne ( + % Dm mne ( +
∂t ∂x ∂y ∂x $ ∂x ' ∂y $ ∂y '

∂) # ∂c ∂c &, ∂ ) # ∂c ∂c &,
+ mn D
+ e % xx + D xy (. + mn D
+ e % yx + Dyy (. + σ m + q cin
€ € ∂x
€ * $ ∂x
€ ∂y '- ∂y *
€ $ ∂x ∂y '-

essendo cin la concentrazione della portata in ingresso. I coefficienti di


dispersività sono raramente noti a priori. Solitamente vengono posti nella forma
di € €
un prodotto tra il valore assoluto di una velocità e una grandezza che ha le
dimensioni di una lunghezza ed è chiamata dispersività. In particolare, il tensore
144 G. Pezzinga

di dispersione è in forma diagonale se uno degli assi coordinati è allineato con il


vettore velocità. Assumendo che l'asse x sia allineato si ottiene:

"DL 0%
D=$ '
#0 DT &

essendo DL e DT i coefficienti di dispersione longitudinale e trasversale. Si può


porre allora:

DL = αL | v | , DT = αT | v | ,

essendo αL e αT rispettivamente la dispersività longitudinale e trasversale.


I coefficienti di dispersività
€ in un sistema di €
riferimento qualunque possono es-
sere ottenuti dalle espressioni:

u2 v2 u2 v2 uv
Dxx = αL + αT , Dyy = αT + αL , Dxy = Dyx = (αL - αT) .
|v| |v| |v| |v| |v|

Si nota un aumento della dispersività longitudinale αL all'aumentare della scala


dell'area considerata, a causa dell'aumento delle disomogeneità che comportano
€ € € € €
maggiori dispersioni. I rapporti osservati tra αT e αL sono nel campo 0,01-0,3,
con un valore medio attorno a 0,1. La valutazione delle dispersività è tuttavia un
problema di grande difficoltà e il metodo migliore resta l'osservazione diretta
nell'acquifero preso in esame.

8.7 Il metodo delle differenze finite per i problemi di dispersione

L'equazione del trasporto di una sostanza in una falda acquifera è un'equazione


di convezione-diffusione. Supponiamo per semplicità di ipotizzare la dispersione
isotropa e la porosità costante.
I termini dispersivi possono essere discretizzati nella forma:

mi +1/2, j Ds i +1/2, j (ci +1, j − ci, j ) − mi−1/2, j Ds i−1/2, j (ci, j − ci−1, j )


−ne -
Δx 2

mi, j +1/2 Ds i, j +1/2 (ci, j +1 − ci, j ) − mi, j−1/2 Ds i, j−1/2 (ci, j − ci, j-1 )
−ne
€ Δy 2


Elementi di Idraulica Numerica 145

I termini convettivi possono essere discretizzati nella forma generale:

mi +1/2, j ui +1/2, j [αci, j + (1 − α)ci +1, j ]− mi−1/2, j ui−1/2, j [βci−1, j + (1 − β)ci, j ]


ne +
Δx

mi, j +1/2 vi, j +1/2 [γci, j + (1 − γ)ci, j +1 ]− mi, j−1/2 vi, j−1/2 [δci, j−1 + (1 − δ)ci, j ]
+ne
€ Δy

Le velocità devono essere considerate note, perché sono state ricavate preceden-
temente con un modello di filtrazione. I coefficienti α, β, γ e δ assumono diverse

espressioni a seconda dello schema adottato. In particolare se si adotta uno
schema centrato si ha:

α = β = γ = δ = 0,5

Se si adotta uno schema "upwind" i coefficienti si calcolano con le seguenti


espressioni:

1 + sgn ( ui +1/2, j ) 1 + sgn ( ui−1/2, j )


α= β=
2 2

1 + sgn (vi, j +1/2 ) 1 + sgn (vi, j−1/2 )


γ= δ=
€ 2 € 2

Lo schema centrato è più accurato ma introduce oscillazioni nella soluzione che


possono essere evitate scegliendo intervalli spaziali sufficientemente piccoli. Lo
€ invece introduce un€termine di dispersione numerica che di-
schema upwind
pende dall'entità dei coefficienti dei termini convettivi, oltre che dagli intervalli
spaziali della griglia di calcolo. In particolare si può definire un numero adi-
mensionale, detto numero di Peclet, che assume le seguenti espressioni a se-
conda della direzione considerata:

uΔx vΔy
Pex = , Pey = .
Ds Ds

Scegliere numeri di Peclet minori di 2 è un buon criterio sia per evitare le oscil-
lazioni numeriche nel caso che si adotti lo schema centrato, sia per far sì che il
termine di dispersione€ numerica rimanga € contenuto rispetto alla dispersione ef-
fettiva nel caso che si adotti lo schema upwind.
146 G. Pezzinga

La derivata temporale si può discretizzare nella forma:

ci,n +1 n
j − ci, j
ne mi, j
Δt

Le concentrazioni che compaiono nelle espressioni discretizzate dei termini


convettivi e dispersivi possono essere espresse nella forma generale:

ci,j = θ ci,n +1 n
j + (1 − θ)ci, j

con θ coefficiente di peso compreso tra 0 e 1. Per θ=0 si ottiene uno schema
esplicito, per θ=0,5 uno schema di Cranck-Nicholson e per θ=1 uno schema to-
€ €
talmente implicito. Lo schema esplicito è stabile se è rispettata la condizione di
Courant nelle due direzioni:

uΔt vΔt
Cx = ≤1 Cy = ≤1
Δx Δy

e il criterio di Neumann, che si esprime con la condizione:


€ € &
# Δt Δt 1
Ds % 2 + 2 ( ≤
$ Δx Δy ' 2

Alle equazioni appena viste bisogna associare le condizioni al contorno che pos-
sono essere rispettate imponendo che il €
valore della concentrazione sia uguale a

un valore assegnato, o imponendo che il flusso convettivo così come quello di-
spersivo sia nullo sui contorni impermeabili.
Elementi di Idraulica Numerica 147

BIBLIOGRAFIA

- ADAMI A., DI SILVIO G. - "Esercizi di idraulica" – Edizioni Libreria


Cortina, 1983
- ARTINA S., SOVRINI M. “Verifica di reti di acquedotto a maglie,
funzionanti in pressione ed in regime di moto permanente ”, in F. Rossi, F.
Salvi (a cura di) “Manuale di ingegneria civile. Sezione quarta: introduzione
ai programmi di calcolo di ingegneria civile” - Edizioni Scientifiche A.
Cremonese, 1989
- BREBBIA C.A., FERRANTE A. - "Computational hydraulics" - But-
terworths, 1983
- CHAUDRY M.H. - "Applied hydraulic transients" - Van Nostrand Rein-
hold, 1987
- GAMBOLATI G. - "Elementi di calcolo numerico" - Edizioni Libreria
Cortina, 1988
- HENDERSON F.M. - "Open channel flow" - Macmillan, 1966
- KINZELBACH W. - "Groundwater modelling" - Elsevier, 1986
- PERUGINELLI A. - "Idraulica e analisi numerica" - Libreria Flaccovio
Editrice, 1991
- STEPHENSON D. - "Pipeflow analysis" - Elsevier, 1984
- WYLIE E.B., STREETER V.L. - "Fluid transients" - FEB Press, 1982

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