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Università degli Studi di Bologna

FACOLTÀ DI INGEGNERIA
DISTART
Dipartimento di Ingegneria delle Strutture, dei Trasporti,
delle Acque, del Rilevamento e del Territorio

ANALISI SPERIMENTALE E TEORICA DEI


MECCANISMI DI COLLEGAMENTO CON LEGANTI
BITUMINOSI DEGLI STRATI DI CONGLOMERATO
BITUMINOSO DELLE PAVIMENTAZIONI STRADALI

TESI di DOTTORATO in INGEGNERIA DEI TRASPORTI


XVI Ciclo

Tesi di Dottorato del: Il Tutore:


Dott. Ing. CESARE SANGIORGI Chiar.mo Prof. Ing. ALBERTO BUCCHI

Il Coordinatore:
Chiar.mo Prof. Ing. MARINO LUPI

Marzo 2004
PAROLE CHIAVE:

conglomerato bituminoso
emulsioni bituminose
collegamento
strati
Leutner test
INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: IL COLLEGAMENTO TRA GLI STRATI DELLA


PAVIMENTAZIONE STRADALE

1.1 LA PAVIMENTAZIONE STRADALE 1


1.1.1 Il pacchetto stradale 1
1.1.2 I materiali impiegati 4
1.1.3 La posa in opera 6

1.2 IL FENOMENO DEL DISTACCO TRA GLI STRATI 9


1.2.1 Il degrado della pavimentazione stradale 9
1.2.2 Il distacco tra gli strati bituminosi: come si manifesta 12
1.2.3 Il distacco tra gli strati bituminosi: cause 14
1.2.4 Il distacco tra gli strati bituminosi: effetti 29

CAPITOLO 2: ANALISI TEORICA DEL COLLEGAMENTO TRA GLI


STRATI

2.1 INTRODUZIONE 33
2.2 STUDIO DELLE DISTRIBUZIONI TENSO-DEFORMATIVE 35
2.2.1 Influenza delle condizioni di interfaccia sulla distribuzione tensionale
e deformativa nel pacchetto 35
2.2.2 Modellazione numerica del collegamento tramite codice BISAR 42
2.3 ANALISI DEL COLLEGAMENTO ALL’INTERFACCIA 48
2.3.1 Introduzione all’analisi 48

i
Indice.

2.3.2 Fattore a): l’ingranamento tra gli strati 51


2.3.3 Fattori b) e c): adesione e coesione dei bitumi nei conglomerati 61
2.3.4 Fattore d): adesione e coesione del bitume della mano d’attacco 88
2.4 CONCLUSIONI 98

CAPITOLO 3: STUDI SPERIMENTALI, TEST E NORMATIVE SUL


COLLEGAMENTO TRA GLI STRATI

3.1 STUDI SPERIMENTALI IN LETTERATURA 100


3.1.1 Introduzione 100
3.1.2 Uzan J., Livneh M. e Eshed Y. “Investigation of Adhesion properties
between Asphaltic-Concrete Layers” 100
3.1.3 Tschegg E.K., Kroyer G., Tan D., Stanzl-Tschegg S.E. e Litzka J.,
“Investigation of Bonding between Asphalt Layers on Road
Construction” 104
3.1.4 Partl M.N. e Raab C., “Shear Adhesion between top layers of fresh
asphalt pavements in Switzerland” 107
3.1.5 Romanoschi S.A. e Metcalf J.B., “The characterization of pavement
layer interfaces” 112
3.1.6 Mohammad L.N., Raqib M.A., Wu Z., Huang B., “Measurement of
Interlayer Bond Strength through Direct Shear Tests” 118
3.1.7 Canestrari F., Ferrotti G., Santagata E., Santagata F.A.,
“Interpretazione del Ruolo delle Mani d’attacco nelle Pavimentazioni
Flessibili” 120
3.2 I TEST ESISTENTI PER VALUTARE IL COLLEGAMENTO 127
3.2.1 Introduzione 127
3.2.2 Metodi “distruttivi” 127
3.2.3 Metodi “non - distruttivi” 146

ii
Indice.

3.3 LE NORME E LE SPECIFICHE LEGATE AL COLLEGAMENTO 153


3.3.1 Introduzione 153
3.3.2 Norme e Specifiche in alcuni paesi europei 157
3.4 CONCLUSIONI 175

CAPITOLO 4: LA SPERIMENTAZIONE INGLESE

4.1 IL PROGETTO DI RICERCA PRESSO IL NCPE 178


4.1.1 Introduzione 178
4.1.2 Il Nottingham Centre for Pavement Engineering 179
4.1.3 Il programma sperimentale 180
4.2 LA SPERIMENTAZIONE CON IL LEUTNER SHEAR TEST 181
4.2.1 I materiali impiegati e la preparazione dei campioni 181
4.2.2 I risultati ottenuti 188
4.2.3 Il “BTN”: uno strumento per un buon collegamento 194
4.2.4 Le specifiche proposte 200
4.3 CONCLUSIONI 206

CAPITOLO 5: LA SPERIMENTAZIONE ITALIANA: PARTE I

5.1 LA SPERIMENTAZIONE 207


5.1.1 Introduzione 207
5.1.2 Scopo della sperimentazione 208
5.2 LE PROVE ESEGUITE IN SITO 211
5.2.1 Rilievo del piano di posa 212
5.2.2 Rilievo della macrorugosità superficiale tramite prova HS 212

iii
Indice.

5.2.3 Misura del quantitativo di mano d’attacco steso 217


5.2.4 Prelievo dei campioni 221
5.3 LE PROVE ESEGUITE IN LABORATORIO 224
5.3.1 Il Leutner Shear Test 224
5.3.2 Prove sul conglomerato di usura 238

CAPITOLO 6: LA SPERIMENTAZIONE ITALIANA: PARTE II

6.1 INTRODUZIONE 240


6.2 I RISULTATI DELLE PROVE 243
6.3 SITO DI LOIANO 247
6.3.1 Introduzione 247
6.3.2 Risultati delle prove Leutner 250
6.4 SITO DI LOIANO CENTRO 254
6.4.1 Introduzione 254
6.4.2 Risultati delle prove Leutner 256
6.5 SITO DI SALICETO 260
6.5.1 Introduzione 260
6.5.2 Risultati delle prove Leutner 262
6.6 SITO DI SILLARO 268
6.6.1 Introduzione 268
6.6.2 Risultati delle prove Leutner 270
6.7 SITO DI STENDHAL 275
6.7.1 Introduzione 275
6.7.2 Risultati delle prove Leutner 277
6.8 SITO DI PILASTRO 282
6.8.1 Introduzione 282
6.8.2 Risultati delle prove Leutner 284

iv
Indice.

6.9 SITO DI CRESPELLANO 290


6.9.1 Introduzione 290
6.9.2 Sezione 1ª 293
6.9.3 Sezione 2ª 297
6.9.4 Sezione 3ª 301
6.9.5 Sezione 4ª 304
6.9.6 Sezione 5ª 307
6.9.7 Sezione 6ª 311

CAPITOLO 7: CONCLUSIONI E PROPOSTE

7.1 CONCLUSIONI 316


7.1.1 Introduzione 316
7.1.2 Osservazioni sugli interventi manutentivi seguiti 317
7.1.3 Osservazioni generali sui risultati ottenuti 319
7.1.4 Osservazioni sul dispositivo e sulla prova Leutner 326
7.2 PROPOSTE 327
7.2.1 Introduzione 327
7.2.2 Nuova metodologia per la progettazione delle mani d’attacco 329

BIBLIOGRAFIA

v
INTRODUZIONE

Le pavimentazioni stradali sono costituite da diversi strati di materiali differenti,


stesi e compattati in tempi successivi, a formare il pacchetto della sovrastruttura
stradale. Molte ricerche sono state condotte nel campo delle prestazioni dei
singoli materiali utilizzati; al contrario, pochi studi sono stati condotti
sull’importanza del collegamento tra gli strati e sugli effetti che questo ha sulla
vita della pavimentazione stessa; per di più, in Europa sono pochissime le norme
o specifiche regolamentari esistenti in materia. La continua ricerca di materiali
ad alte prestazioni da impiegare nelle costruzioni stradali, viene spesso
vanificata a causa di uno scarso collegamento tra gli strati realizzati coi materiali
stessi. Ricerche condotte alla metà degli anni ottanta dal prof. S.F. Brown e J.M.
Brunton in Inghilterra, hanno dimostrato che, per garantire la necessaria capacità
portante della struttura e, conseguentemente, una più lunga vita di servizio, è
essenziale che sia garantito anche un buon collegamento tra gli strati del
pacchetto stradale. Oltre ad una riduzione della capacità portante, uno scarso
collegamento riduce il Livello di Servizio della strada. Le rotture per
scorrimento reciproco degli strati sono eventi frequenti, così come il
manifestarsi di buche per asportazione dello strato superficiale può rendere la
strada estremamente pericolosa. Con l’avvento dei microtappeti il problema
diventa ancora più sentito.
Attualmente, per la progettazione di una pavimentazione stradale, si è soliti
considerare gli strati come totalmente collegati. Tuttavia, nella realtà, il livello di
collegamento è indeterminato e compreso nel campo tra la perfetta adesione ed
il completo distacco, in relazione alle proprietà dei materiali utilizzati ed alla
qualità della loro posa in opera. La pratica corrente in Europa è quella di
costruire pavimentazioni multistrato con una mano d’attacco contenente leganti
bituminosi (tack coats o bond coats) tra gli strati, che ne favorisca il

I
collegamento, per assicurare un comportamento d’insieme alla struttura
sottoposta ai carichi stradali. Spesso, purtroppo, queste condizioni non sono
soddisfatte ed allo stato dell’arte si può dire che: le reali cause di uno scarso
collegamento non sono state effettivamente comprese, la sua evoluzione nel
tempo e col traffico non è stata studiata, nessuna tecnica di misurazione della
sua resistenza e rigidezza è stata comunemente accettata ed esso non è stato
investigato per i diversi tipi di materiali solitamente impiegati nelle
pavimentazioni stradali. In pratica, è difficile capire quali siano i fattori che
influiscano sul collegamento e determinare in quale misura essi lo facciano.
Il primo risultato di molte delle ricerche condotte in altri Paesi è stato la messa a
punto di nuove metodologie e procedure di prova atte a quantificare in sito od in
laboratorio l’entità di tale collegamento. Dall’analisi delle specifiche e
normative presenti sull’argomento in Europa si riscontra come solo un paio delle
metodologie di prova sviluppate, siano effettivamente in uso corrente nelle
procedure di verifica di routine sulle pavimentazioni stradali.
Sulla spinta degli studi già da tempo avviati in Germania e Svizzera e
parallelamente al progetto di ricerca più recente sviluppato in Inghilterra presso
il Nottingham Centre for Pavement Engineering, il DISTART – Strade e
Geotecnica dell’Università di Bologna sta portando a termine una
sperimentazione finalizzata sia ad investigare i fattori che determinano uno
scarso collegamento tra gli strati superficiali di una pavimentazione stradale
reale, sia a studiare l’efficacia delle mani d’attacco bituminose. Tale
sperimentazione è stata resa possibile grazie al supporto tecnico ed economico
offerto, a scopo di ricerca, dalla Valli – Zabban S.p.A., società tra le maggiori
fornitrici di prodotti bituminosi in Italia. La ricerca fa uso di una apparecchiatura
tedesca denominata Leutner Shear Test specificatamente costruita in Germania
alla fine degli anni settanta per testare il collegamento tra gli strati bituminosi

II
componenti una carota di 150 mm di diametro prelevata da una pavimentazione
stradale o prodotta appositamente in laboratorio.
Le ragioni che hanno portato a realizzare in Italia una siffatta ricerca sono
essenzialmente legate alla necessità di affiancare agli studi condotti in
Inghilterra da chi scrive, nei quali i campioni sottoposti a prova sono stati
confezionati in laboratorio, una sperimentazione nella quale i campioni fossero
estratti da pavimentazioni stradali reali. In tale modo, si è potuto anche tracciare
un quadro ragionevolmente rappresentativo delle reali condizioni di
collegamento esistenti tra gli strati bituminosi di alcune pavimentazioni
dell’interland bolognese e, più in generale, di quelle ottenibili mediamente nella
pratica comune degli interventi manutentivi stradali.
Il presente lavoro, visto il crescente interesse in ambito europeo nei confronti del
problema del collegamento tra gli strati superficiali del pacchetto stradale, vuole
rappresentare un passo in avanti nella sensibilizzazione degli addetti ai lavori in
Italia. L’introduzione, in specifiche o normative, di una prova che valuti il
collegamento tra gli strati e di un metodo di accertamento della qualità della
costruzione è auspicabile per la realizzazione di pavimentazioni più performanti,
in cui la qualità dei singoli materiali, non sia vanificata da un problema ad oggi
sottovalutato, quale la mancanza di collegamento.

III
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

CAPITOLO 1

IL COLLEGAMENTO TRA GLI STRATI DELLA


PAVIMENTAZIONE STRADALE

1.1 LA PAVIMENTAZIONE STRADALE

1.1.1 Il pacchetto stradale


Una pavimentazione stradale, sia essa flessibile o semi-rigida, è
tradizionalmente costituita da più strati sovrapposti di materiali differenti,
composti da miscele di aggregati lapidei e leganti, a formare una vera e propria
struttura frapposta tra i carichi ed il terreno in posto; tale struttura prende anche
il nome di Sovrastruttura Stradale; la serie di strati costituenti ha in genere, una
ossatura litica con dimensione degli elementi decrescente dal basso verso l’alto,
a fronte di una qualità crescente delle caratteristiche meccaniche degli inerti
stessi e della miscela che li comprende.

strato di usura
strato di collegamento
strato di base
strato di fondazione

piano di posa / sottofondo naturale

Figura 1.1: Schema di pavimentazione stradale flessibile.

1
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

A ciascuno strato viene storicamente attribuita una funzione precipua e,


conseguentemente, una caratterizzazione dimensionale, in termini di spessore ed
una meccanica, in termini di resistenza alle sollecitazioni del materiale in
esercizio. Prima di descrivere brevemente ciascuno strato, si ricorda che il ruolo
primario della sovrastruttura stradale è quello di distribuire sul piano di posa,
ripartendoli convenientemente, gli sforzi dovuti ai carichi del traffico e che, per
tale motivo essa dovrà avere uno spessore tale per cui le pressioni trasmesse al
suolo siano sufficientemente ridotte e non superino quelle critiche del terreno (si
veda la figura 1.1 riferita al caso di una pavimentazione stradale flessibile).
In generale, a partire dal piano di posa, si possono trovare i seguenti strati:
ƒ uno strato di fondazione di 30÷40 cm, posato sul terreno naturale in posto o
di bonifica o sul piano finito del rilevato stradale, generalmente costituito da
una miscela selezionata di inerti non legati aventi una granulometria assortita;
esso ha in primo luogo, la funzione statica di ripartizione dei carichi, ma
funge anche da elemento di separazione tra il terreno di sottofondo ed i
materiali superficiali più pregiati; in tale senso ostacola anche la risalita
capillare dell’acqua e la contaminazione degli strati sovrastanti da parte delle
particelle fini del sottofondo;
ƒ uno strato di base di 20÷25 cm, che nel caso di sovrastruttura flessibile, è
costituito da conglomerato bituminoso con dimensione nominale degli
aggregati di solito inferiore a quella dello strato di fondazione; esso è
chiamato a resiste a fenomeni tipici di fatica essendo uno strato inflesso e
prevalentemente sottoposto a sollecitazioni di trazione; riveste altresì un
ruolo fondamentale nella limitazione del fenomeno dell’ormaiamento
superficiale in base alla sua maggiore o minore cedevolezza;
ƒ uno strato di collegamento o binder di 7÷10 cm, in conglomerato bituminoso,
avente la funzione di collegare lo strato di base e lo strato d’usura; esso
presenta aggregati di dimensione nominale intermedia (20÷25 mm);

2
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

ƒ uno strato di usura, o manto d’usura di 3÷4 cm, in conglomerato bituminoso;


su di esso gravano direttamente le sollecitazioni indotte dai veicoli; deve
essere quindi in grado di resistere alle azioni normali e tangenziali trasmesse
dai pneumatici, soprattutto in fase di accelerazione e decelerazione; una
funzione fondamentale dello strato di usura è legata al fatto che, la superficie
d’estradosso costituisce il piano viabile della sovrastruttura, sul quale
debbono essere garantite caratteristiche di aderenza e regolarità indispensabili
per il moto e per la sicurezza stradale; per tale motivo sono richieste elevate
caratteristiche di resistenza all’urto ed all’abrasione degli inerti, una certa
tenacità del legante ed una opportuna rugosità della superficie finita; assieme
allo strato di collegamento, l’usura ha anche la funzione di impedire la
dannosa percolazione dell’acqua di superficie verso gli strati profondi,
qualora non sia stata appositamente progettata come drenante. In
quest’ultimo caso occorre una impermeabilizzazione bituminosa ad hoc.
Frequentemente, strato di collegamento e strato di usura vengono identificati,
nel complesso, col termine di strati superficiali. Gli spessori appena descritti per
il caso di una pavimentazione stradale flessibile, sono puramente indicativi.
Come già accennato, i compiti basilari della pavimentazione sono
essenzialmente due: il trasferimento delle sollecitazioni indotte dai carichi
mobili o statici al sottofondo naturale (sostentamento del veicolo) e la
realizzazione di un piano viabile regolare e sicuro, ossia tale da garantire sia
l’aderenza e quindi il moto, sia il comfort di marcia (sicurezza e regolarità del
moto) per i veicoli che la percorrono. Se l’importanza del sostentamento e
dell’aderenza era già conosciuta fin dalla costruzione delle strade consolari
dell’Impero romano, la richiesta di comfort segue, ad oggi, lo sviluppo dei
veicoli su gomma, sempre più performanti e tecnologicamente avanzati. Le
modalità con le quali la pavimentazione svolge i compiti teste descritti sono
dipendenti da molteplici fattori legati essenzialmente alla progettazione della

3
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

sovrastruttura stradale stessa. In particolare, si evidenzia l’importanza dei


materiali utilizzati e della loro configurazione di esercizio in opera, ovvero
l’insieme degli strati secondo i quali il pacchetto è organizzato ed i relativi
spessori.
La scelta dei materiali da impiegare nella costruzione e degli spessori da
adottare viene fatta dal progettista sulla base dei volumi di traffico previsti, delle
condizioni climatiche del luogo, della vita utile richiesta alla sovrastruttura e dei
fondi a disposizione dell’ente proprietario della strada, nonché della natura
dell’intervento da realizzare. Occorre, infatti, tener presente che la maggior parte
degli interventi costruttivi sono di tipo manutentivo, ossia tali per cui al più,
vengono ripristinati soltanto gli strati superficiali del pacchetto. Ecco che molto
spesso, lo schema della sovrastruttura stradale originaria viene modificato con la
posa di nuovi materiali, in modi e tempi diversi e con diversi spessori. Sono
frequenti carotaggi di pavimentazioni che rivelano la storia del pacchetto
stradale stesso, ove è possibile identificare strati multipli posati in anni
successivi con o senza fresatura od applicazioni di irruvidimento e risagomatura
quali trattamenti superficiali o microtappeti a freddo.

1.1.2 I materiali impiegati


La figura 1.2 rappresenta il margine di una pavimentazione stradale in
costruzione. Osservandola ci si rende conto della eterogeneità dei materiali
impiegati a stretto contatto tra loro. Il passaggio dal terreno naturale del piano di
fondazione al conglomerato bituminoso, spesso modificato, dello strato di usura
appare graduale.
La fondazione generalmente in misto granulare o stabilizzato granulometrico è
uno strato definibile come non legato, in quanto non vengono impiegati leganti.
Tuttavia, le caratteristiche di assortimento della curva granlometrica che lo
contraddistingue conferiscono al materiale in opera spiccate proprietà di

4
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

compattezza e di portanza. Oltre ad una precisa configurazione geometrica, gli


elementi litici che compongono la fondazione debbono anche rispondere a
determinati requisiti fisici e meccanici al fine di garantire il soddisfacimento dei
compiti che lo strato deve assolvere. Ecco che, la scelta degli inerti, non può
essere casuale, ma deve sottostare a precise regole e norme. Lo stesso accade per
gli inerti presenti nei conglomerati bituminosi che compongono gli strati
soprastanti. Basti pensare all’importanza delle prove di abrasione ed urto per gli
aggregati dello strato di usura.

Figura 1.2: Margine di una pavimentazione in costruzione.

La richiesta di un piano viabile durevole, regolare e compatto oltre che


impermeabile ed insensibile strutturalmente alla presenza di acqua, ha
comportato la necessità di legare tra loro gli inerti con un legante che fosse in
primo luogo anidrofilo e chimicamente compatibile con gli aggregati ed, in
secondo luogo, relativamente poco costoso, alla luce dei grandi quantitativi da
impiegare. Il bitume, già raccolto naturale da affioramenti ed impiegato nella
costruzione delle antiche strade romane, svolge ancora oggi egregiamente il
proprio compito di legante, pur se attualmente ottenuto dalla distillazione
frazionata del petrolio. Risale al 1901, a Lugo di Romagna, la realizzazione

5
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

della prima strada catramata italiana, nella quale al posto del bitume era
impiegato il “catrame liquido del gas”, oggi notoriamente escluso dalle
lavorazioni. I conglomerati bituminosi attuali sono, a parte la differente natura
del legante, concettualmente simili ai “neri” di allora. Oggi si studiano le curve
granulometriche, i bitumi modificati, le percentuali ottime di bitume ed i
rapporti volumetrici al fine di ottenere una miscela che, se correttamente posata
in opera, garantisca determinate prestazioni durante tutta la vita utile della
pavimentazione.

1.1.3 La posa in opera


Il processo di costruzione della sovrastruttura stradale prevede alternativamente
più fasi di stesa e compattazione dei materiali del pacchetto, secondo gli schemi
di progetto. Ciascuno strato deve essere opportunamente sagomato sia
trasversalmente, sia longitudinalmente al fine di ottenere un sistema multistrato
finito in grado di smaltire le acque ed i detriti presenti sul piano viabile. Dopo la
preparazione del piano di posa del pacchetto, che prevede anche la verifica
tramite prove specifiche della capacità portante, viene steso il materiale dello
strato di fondazione. Trattandosi di materiale grossolano arido e non legato, esso
viene convenientemente distribuito sulla superficie tramite motograder e
compattato con rulli statici e vibranti fino al raggiungimento degli spessori
richiesti ed della densità minima necessaria determinata in laboratorio. La
successiva posa e compattazione dei conglomerati bituminosi è una procedura
relativamente semplice, ma che richiede particolare attenzione in quanto legata
alla variabile temperatura. Come noto, le caratteristiche reologiche del bitume
impiegato e, conseguentemente, del conglomerato con esso confezionato, sono
strettamente legate alla temperatura. Infatti, per poter essere posato in opera, un
tradizionale conglomerato bituminoso a caldo, deve essere prodotto ad una
temperatura superiore ai 150÷160°C. Generalmente, la compattazione del

6
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

conglomerato deve essere completata quando esso si trova ancora a temperature


non inferiori ai 130°C. Inoltre, con l’avvento dei bitumi modificati aventi
viscosità talvolta anche molto elevate, le temperature di posa comunemente
adottate debbono essere superate fino a raggiungere valori ottimali spesso
suggerti direttamente dal produttore di bitume. Ecco che, al fine di ottenere gli
spessori, le densità e le percentuali di vuoti necessari, le temperature del
conglomerato sulla vibrofinitrice ed a tergo dei rulli compattatori dovrebbero
essere controllate con regolarità durante l’esecuzione dei lavori. Le vibrofinitrici
ed i rulli compattatori di nuova generazione prevedono dispositivi in grado di
misurare in continuo la temperatura e l’addensamento raggiunto dal materiale,
consentendo di calibrare direttamente i parametri di stesa quali temperature delle
piastre finitrici e velocità di avanzamento. Il fine è ovviamente sempre quello di
aumentare la produttività del macchinario assieme alla qualità della lavorazione.
In tale senso, le ultime innovazioni tecnologiche prevedono vibrofinitrici in
grado di stendere contemporaneamente l’emulsione bituminosa per mano
d’attacco (figura 1.3) ed il conglomerato bituminoso o, addirittura, i due
conglomerati bituminosi superficiali in una sola passata (figura 1.4).

Figura 1.3: Vibrofinitrice con barra di spruzzaggio integrata.

7
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Figura 1.4: Tecnologia “Compact Asphalt Module” hot-over-hot doppio strato.

Una innovativa tecnologia tedesca, riconosciuta anche dall’Association


Mondiale de la Route (AIPCR) tra le 15 “Innovative structure” più significative,
prevede, infatti, la posa in opera diretta dei due strati superficiali di
conglomerato bituminoso “hot over hot” per mezzo di una particolare
vibrofinitrice che presenta due tramogge di carico distinte e due piastre finitrici
distinte ed in serie. Le tecnologie ricordate, seppur discutibili soprattutto per i
tempi di rottura dell’emulsione la prima, e per l’effettiva compattazione del
doppio strato, la seconda, sono ancora in fase sperimentale, ma appaiono
senz’altro promettenti.
I due esempi proposti sono stati scelti appositamente in quanto introducono,
seppur indirettamente, il tema della presente tesi, lasciando spunto per un rapido
cenno al problema del collegamento tra gli strati bituminosi della
pavimentazione stradale ed all’impiego delle emulsioni bituminose come mani
d’attacco, nella realizzazione del pacchetto stradale stesso. Nella descrizione
delle fasi di costruzione della pavimentazione, si è tralasciata volutamente la
fase di applicazione della mano d’attacco bituminosa all’interfaccia tra gli strati
in conglomerato bituminoso, al fine di evidenziare la scarsa importanza
attribuitagli dai capitolati e dalle prescrizioni di molti paesi europei tra i quali
anche l’Italia. Ad oggi infatti, non esistono in Italia, indicazioni e riferimenti su
cui basare l’operazione di applicazione delle mani d’attacco, né tantomeno sono
descritte prove da effettuarsi al fine di verificarne l’efficacia dopo la stesa e,

8
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

successivamente, in esercizio. Diversi studi a livello internazionale hanno


tuttavia dimostrato l’importanza del collegamento tra gli strati della
pavimentazione stradale nei confronti della vita utile della sovrastruttura. Il
presente studio si propone quindi, di investigare il problema del collegamento
tra gli strati bituminosi della pavimentazione stradale e dell’impiego delle mani
d’attacco bituminose, con un approccio prevalentemente sperimentale, mettendo
a confronto i risultati di una esperienza di ricerca portata a termine nel Regno
Unito, con quelli di una sperimentazione condotta in Italia, sulle pavimentazioni
dell’area bolognese.

1.2 IL FENOMENO DEL DISTACCO TRA GLI STRATI

1.2.1 Il degrado della pavimentazione stradale


I fenomeni di degrado cui è sottoposta una pavimentazione stradale sono
molteplici e tra loro strettamente legati. La formazione di fessure, di
avvallamenti, di ormaie, di buche, così come gli sgranamenti superficiali e le
delaminazioni, sono tutti aspetti diversi del fatto che la sovrastruttura stradale si
stia degradando. Il manifestarsi di questi fenomeni, riscontrabili direttamente sul
piano viabile, indica molto spesso l’esistenza di carenze all’interno del pacchetto
stradale stesso e/o del piano di posa. Le carenze sono generalmente di tipo
meccanico-strutturale, per cui ad esempio, gli spessori impiegati per i
conglomerati bituminosi non sono sufficienti per sopportare i carichi esterni,
oppure gli aggregati scelti per il piano viabile non presentano sufficiente
resistenza all’abrasione, od ancora i bitumi utilizzati rammolliscono alle
temperature di esercizio. Ecco che, sotto l’effetto delle azioni esterne, il
pacchetto, inteso come struttura resistente composta da più materiali, inizia a
cedere, manifestando in maniera più o meno spiccata i fenomeni di degrado
sopra descritti. Appare evidente come risulti assai complesso il compito di
separare gli effetti delle varie azioni che concorrono al degrado della

9
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

sovrastruttura ed altrettanto difficile è fornire di quest’ultimo una identificazione


oggettiva. Se, ad esempio, si pensasse di realizzare una pavimentazione stradale
ex novo e di non sottoporla alle azioni del traffico, né a quelle del clima (alte e
basse temperature), né ad altro tipo di azione esterna, ivi comprese la gravità ed
il contatto con aria, si può ritenere che essa resti inalterata nel tempo.
Ripristinando la gravità ed il contatto con aria in condizioni standard, il
pacchetto cambierebbe lentamente le proprie caratteristiche per effetto
dell’azione del peso proprio dei materiali e dell’ossidazione degli stessi, in
particolare della matrice bituminosa. Se poi si ammettessero variazioni
climatiche dell’ambiente in cui la pavimentazione è inserita, gli effetti si
sovrapporrebbero, per cui ad esempio, la degradazione del bitume verrebbe
accentuata alle alte temperature, oppure l’azione del gelo agirebbe
meccanicamente sugli aggregati delle miscele, riducendone le caratteristiche di
resistenza meccanica. Se, infine, si applicasse anche il traffico, ecco che la
sovrastruttura stradale sarebbe sottoposta ad una serie di azioni normali e
tangenziali superficiali che si ripercuoterebbero all’interno del pacchetto
sollecitandolo ripetutamente. Le caratteristiche reologiche dei materiali
costituenti gli strati, legate alla temperatura di esercizio ed alla velocità di
applicazione dei carichi, e l’azione continuata del traffico, farebbero si che le
deformazioni indotte dai carichi si accumulino e che la capacità della
sovrastruttura di resistere nel tempo alle sollecitazioni cui è sottoposta,
trasferendole al sottofondo, si riduca fino al raggiungimento dei limiti di
resistenza dei materiali stessi, ovvero alla loro rottura.
Si è descritto sommariamente il processo secondo il quale avviene lo scadimento
delle proprietà di resistenza dei materiali che compongono il pacchetto stradale,
e quindi del pacchetto stesso, inteso come struttura multistrato resistente, sotto le
molteplici azioni esterne. Si è inoltre osservato come, a partire da ciò, abbiano
luogo i fenomeni di degrado comunemente riscontrabili sul piano viabile.

10
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Tuttavia, seppur la loro origine sia dovuta a carenze in termini di resistenza dei
materiali, essi si sviluppano in modi e tempi differenti a seconda dei casi. Per
cui, ad esempio, una pavimentazione con uno strato di base sottodimensionato
può presentare principalmente fessure longitudinali di tipo bottom-up, piuttosto
che fessure trasversali dovute a shock termico, oppure una pavimentazione con
un bitume di usura troppo poco viscoso può evidenziare, soprattutto nella
stagione estiva, ormaiamenti e refluimenti sul piano viabile (figura 1.5).

Figura 1.5: Gravi fessurazioni ed ormaiamenti su pavimentazioni stradali.

Dal lungo quadro introduttivo si comprende quanto sia complesso il processo di


deterioramento della sovrastruttura e quanto sia difficile individuarne le cause,
soprattutto se queste si trovano in profondità, all’interno del pacchetto, ed il
verificarsi del fenomeno in superficie rappresenta soltanto l’atto conclusivo
dell’ammaloramento. Occorre poi tener presente che, molto spesso, la
contemporaneità di due o più fenomeni di degrado su una porzione di
pavimentazione li amplifica vicendevolmente, suscitando il dubbio in chi deve
giudicarli, su quale, dei più, sia causa o conseguenza degli altri. Un semplice
esempio può essere d’aiuto anche per introdurre al paragrafo successivo, nel
quale si prenderà in esame il fenomeno del distacco tra gli strati neri del
pacchetto stradale e ciò che questo fatto può comportare.

11
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Da un sopralluogo effettuato su una pavimentazione stradale ammalorata risulta


che, una sezione di essa, presenta aree nelle quali alcune porzioni di
conglomerato bituminoso superficiale si sono distaccate e nell’intorno della
buca formatasi è evidente una fitta rete di fessurazioni. L’interrogativo è: cosa è
avvenuto? E’ possibile che in seguito a fenomeni di fatica del conglomerato
bituminoso di usura si siano formate le fessure e conseguentemente al loro
congiungimento, le porzioni di conglomerato tra esse racchiuse si siano
distaccate, oppure che, per via del carente collegamento all’interfaccia tra i due
strati bituminosi, le sollecitazioni tangenziali superficiali abbiano indotto le
fessurazioni e quindi il distacco del conglomerato d’usura. Fornire una risposta è
alquanto difficile e soltanto uno studio disgiunto dei due fenomeni può essere di
ausilio.

1.2.2 Il distacco tra gli strati bituminosi: come si manifesta


Tra i fenomeni di degrado della pavimentazione citati, il distacco tra gli strati di
conglomerato bituminoso del pacchetto, è forse quello che in passato ha ricevuto
minor attenzione da parte dei ricercatori e dei tecnici stradali. A differenza di
fessurazioni superficiali ed ormaiamenti, fenomeni che, pur avendo spesso
origine da carenze interne della sovrastruttura, si manifestano sul piano viabile
per stadi successivi di ammaloramento, il distacco tra gli strati non è
direttamente visibile in superficie, se non quando si verifica tra i due strati
superficiali con il loro reciproco slittamento e/o l’asportazione di conglomerato
bituminoso. Tuttavia, ciò non significa che il fenomeno non sia dannoso o che
partecipi in misura minore al deterioramento della pavimentazione. In effetti,
trattandosi del collegamento esistente alle interfacce tra strati bituminosi e
trovandosi queste al di sotto della superficie viabile, risulta difficile individuarne
e valutarne l’assenza, se non attraverso la realizzazione di carotaggi che
interessino più strati. Alla stregua delle fessurazioni bottom-up che si

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

manifestano in superficie quando il danno è ormai completo, anche il distacco


tra lo strato superficiale e quello sottostante si manifesta, nella maggior parte dei
casi, con la separazione di porzioni più o meno estese di conglomerato
bituminoso. Esistono poi casi nei quali il fenomeno di distacco tra strato di usura
e binder è accentuato al punto che, intere zone del conglomerato bituminoso
sovrastante, scorrono e dislocano rispetto a quello sottostante, allo stesso modo
in cui un tappeto domestico può scivolare su un pavimento. Le fotografie di
figura 1.6 riportano due esempi di tali casi.

Figura 1.6: Slittamento di conglomerato di usura senza asportazione.

Diversamente avviene quando il distacco interessa interfacce sottostanti. In tali


casi, pur non essendovi un riscontro diretto in superficie con l’asportazione di
conglomerato bituminoso, il fenomeno è comunque degradante per la
sovrastruttura e lo è forse in misura maggiore rispetto alle separazioni
superficiali, se osservato con riferimento alla vita utile. Un recente studio
francese [78], di cui si parlerà in seguito, ha evidenziato come il problema del
collegamento tra gli strati in conglomerato bituminoso della pavimentazione
stradale, ne riduca di 3,8 volte la vita utile. In pratica, ciò è dovuto alla non
collaborazione tra gli strati nel sopportare i carichi esterni. Il pacchetto stradale
si trova ad operare come più elementi resistenti disgiunti di spessore diverso.

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Questo comporta che le risorse di resistenza dei materiali dei singoli strati,
vengano chiamate in causa separatamente e che conseguentemente sia più facile
esaurirle. In superficie, non si ha evidenza diretta del fenomeno profondo, se
non con la comparsa di altri fenomeni ad esso legati e da esso accentuati, così
come descritto nell’esempio riportato sopra. Le fotografie di figura 1.7
rappresentano alcuni casi evidenti di distacco superficiale.

Figura 1.7: Esempi di distacco superficiale di conglomerato bituminoso.

1.2.3 Il distacco tra gli strati bituminosi: cause


Da una analisi svolta nel 1986 [11] sulle pavimentazioni della intera rete stradale
francese con riferimento agli ammaloramenti ed alle loro cause, è emerso che
più del 5% delle sovrastrutture osservate, evidenziava fenomeni superficiali di
distacco tra gli strati. Con tutta probabilità, un valore percentuale anche
superiore, riguardava pavimentazioni che, pur non presentando direttamente in

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

superficie il problema, soffrivano di distacco tra i neri sottostanti e lo


manifestavano con la comparsa di altri fenomeni di deterioramento che
altrimenti non si sarebbero verificati, o lo avrebbero fatto in misura minore.
Il crescente numero di progetti di ricerca nel mondo volti a studiare il problema
del collegamento tra gli strati in conglomerato bituminoso delle pavimentazioni
stradali, testimonia l’importanza che l’argomento sta assumendo nell’intento di
garantire la performance delle sovrastrutture nell’intero arco della loro vita utile.
Oggi, oltre ad interessarsi dei materiali componenti i singoli strati, al fine di
migliorarne le caratteristiche di funzionalità, resistenza, durevolezza e
lavorabilità indipendentemente dagli altri materiali presenti nel pacchetto
stradale e dal fatto che con essi collaborino a formare una sovrastruttura, ci si
rivolge, giustamente, anche allo studio del legame che si dovrà sviluppare tra gli
strati stessi al fine di garantire un comportamento di insieme della
pavimentazione nei confronti dei carichi agenti. Nel capitolo terzo saranno
descritti gli studi scientifici più importanti condotti di recente sull’argomento.
Si consideri ora come esempio di approccio conoscitivo, quello legato al
fenomeno delle fessurazioni. Le cause della loro comparsa, a lungo investigate
in passato, appaiono oramai note e sono comunemente attribuite ai: fenomeni di
fatica dei conglomerati bituminosi, sia che esse si diffondano dal basso verso
l’alto, sia dall’alto verso il basso, alla presenza di giunti costruttivi sede di
elevate sollecitazioni e ristagni d’acqua, ai fenomeni termici di dilatazione e
ritiro che generano le classiche fessurazioni trasversali intervallate. In molti
paesi nei quali il problema delle fessure è diffuso, già da diversi anni si è
introdotto l’utilizzo dei leganti modificati per migliorare la resistenza a fatica dei
conglomerati bituminosi ad ogni temperatura di esercizio o si sono adottati
procedimenti costruttivi in grado di minimizzare il problema in corrispondenza
dei giunti e di contenere le fessurazioni da variazioni termiche. Si sono poi
messi a punto interventi di manutenzione curativi da attuare quando il fenomeno

15
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

si manifesta comunque. Ecco che negli Stati Uniti, ad esempio, è oramai pratica
comune e compare inoltre nei capitolati della maggior parte dei Department of
Transportation statali, l’intervento di riempimento e/o sigillatura delle fessure
con materiali a matrice bituminosa. Non è raro infatti, percorrere una
pavimentazione stradale che superficialmente si presenti come quella
rappresentata nella fotografia di figura 1.8.

Figura 1.8: Una pavimentazione stradale con fessurazioni sigillate.

In Italia, l’impiego di riempitivi o sigillanti è ancora poco diffuso e solo da


qualche tempo sono presenti in commercio tecnologie applicative di rapida
esecuzione come i sigillanti a nastro in rotoli da applicarsi a freddo.
L’esempio appena descritto per le fessurazioni, suggerisce come poter affrontare
anche il problema del distacco tra gli strati. Compresi gli aspetti che governano
il fenomeno, alla luce delle sollecitazioni esterne, occorre studiare i materiali da
impiegare, le configurazioni strutturali da realizzare ed i processi costruttivi da
adottare al fine di limitarne la comparsa e, qualora il collegamento tra gli strati
venisse comunque a mancare, occorre individuare anche gli interventi
manutentivi adeguati da attuarsi in risposta. Al termine del presente capitolo, si
tratterà brevemente delle normative e delle specifiche di capitolato vigenti, in
relazione a questo problema.
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tipo di aggregati, legante, additivi, etc
proprietà dei tipo di miscela: Usura 0/8, Usura 0/15, Sma 0/12, Binder, etc.
materiali
proporzioni di miscela: percentuali di aggregati, contenuto di bitume, percentuali di additivi, etc.
reciproco ingranamento tra gli strati e rugosità del piano di posa
proprietà contaminazione della superficie di posa: fresata, sporca, umida, oleosa, etc.
dell'interfaccia applicazione della mano d'attacco: tipo, quantità, tempo di rottura, bitume residuo anidro, etc.
trattamenti speciali della superficie di posa
temperature: della superficia di posa, del conglomerato bituminoso, etc.
spessore degli strati e larghezza di stesa
variabili velocità di stesa, tipo di finitrice, temperature delle piastre, etc.
costruttive
energia del processo di compattazione: tipo/i di compattatore, metodo di compattazione, etc.

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condizioni climatiche di posa: temperatura, umidità, etc.
pavimentazione nuova o rinnovata
caratteristiche posizione dell'interfaccia: usura/binder, binder/base, usura/base, etc.
della
tipo di pavimentazione: flessibile, semi-rigida, rigida
pavimentazione
portanza degli strati di fondazione e del sottofondo
geometria e singolarità della strada: curve, incroci, rotatorie, pendenze, opere d'arte, etc.
condizioni della traffico; pesante, velocità, frequenze, etc.
strada condizioni climatiche di esercizio: sole, pioggia, gelo, etc.
età e tempo di traffico
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Tabella 1.1: Parametri che governano il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Le cause del distacco tra gli strati della pavimentazione stradale sono, come ci si
sarà resi conto, molteplici e spesso, seppur siano state individuate, risulta
difficile controllarle o comunque limitarne gli effetti. La tabella 1.1 riporta in
maniera sufficientemente esaustiva, quelli che possono essere indicati come gli
aspetti principali che governano il problema. L’ordine col quale essi sono stati
inseriti in tabella è privo di significato in quanto ciascuno partecipa, comunque,
in misura più o meno rilevante alla caratterizzazione del collegamento tra gli
strati bituminosi del pacchetto stradale. Una breve descrizione di ciascun
parametro può, come ricordato, aiutare a comprendere in quale modo occorra
agire per limitare la comparsa di problemi di distacco tra gli strati, od intervenire
se questi si manifestano. Per quanto riguarda le proprietà dei materiali
impiegati si considerano influenti:
ƒ il tipo di aggregati in relazione alla loro natura mineralogica (basalti, calcari,
porfidi, etc.) ad alle loro caratteristiche fisico-meccaniche (forma, resistenza,
etc.); il tipo di legante bituminoso impiegato (tal quale, modificato hard,
modificato soft, etc.) ed alle sue caratteristiche reologiche; i tipi di additivi (fibre
di vetro, fibre di cellulosa, etc.) ed alle loro proprietà;

Figura 1.9: Rapporti volumetrici per due diverse miscele bituminose.

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

ƒ il tipo di miscela bituminosa usata con particolare riferimento alla dimensione


nominale massima degli inerti (Usura 0/8, Usura 0/12, Usura 0/15, Splitt Mastic
Asphalt, Binder 0/20, etc.)
ƒ le proporzioni dei materiali componenti la miscela scelta, in peso od in
volume percentuale.
Le fotografie di figura 1.9 mostrano i rapporti volumetrici di due tipiche miscele
inglesi per manti superficiali: a sinistra un conglomerato poroso, a destra un Hot
Rolled Asphalt.

Per le proprietà dell’interfaccia tra due strati adiacenti si hanno:


ƒ il reciproco ingranamento tra gli strati e la rugosità superficiale dello strato
che accoglie il conglomerato caldo superficiale; questo aspetto rappresenta una
delle variabili più importanti nella caratterizzazione del collegamento tra gli
strati bituminosi sovrapposti, soprattutto per quel che riguarda la resistenza
meccanica dello stesso nei confronti delle sollecitazioni taglianti; in lingua
inglese la parola “ingranamento” è esprimibile con il termine “interlocking” e
costituisce appunto, la capacità che il collegamento di interfaccia ha di resistere
al taglio, per effetto del dislocamento e scavalcamento reciproco degli inerti
appartenenti ai due strati adiacenti; la figura 1.10 mostra come ciò avvenga;

TOP layer
piano di taglio

BOTTOM layer

Figura 1.10: Rappresentazione schematica dell’ingranamento tra strati.

19
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

ƒ la contaminazione della superficie di posa; aspetto fondamentale, soprattutto


se si considera l’applicazione di mano d’attacco bituminosa, è la presenza sulla
superficie di posa, di agenti contaminanti; sia essa costituita direttamente dalla
superficie di uno strato di usura esistente, dalla superficie ottenuta dalla fresatura
della pavimentazione o dalla superficie di un nuovo strato bituminoso, i
contaminanti possono compromettere notevolmente il potere adesivo della mano
d’attacco o comunque inficiare l’adesione reciproca tra gli strati adiacenti
dovuta ai bitumi costituenti; la natura degli agenti contaminanti può essere varia:
oltre all’acqua piovana o non, il piano di posa può essere contaminato da inerti,
spesso fini e di natura anche argillosa (si pensi ad esempio al fango
eventualmente trascinato dai mezzi di cantiere), oppure da detriti e sporcizia non
asportata al passaggio delle motoscope aspiratrici, infine da materiali oleosi
dispersi dai mezzi d’opera. La fotografia di figura 1.11 rappresenta un caso di
pavimentazione inevitabilmente contaminata dai mezzi di cantiere sulla quale si
sta per spruzzare la mano d’attacco.

Figura 1.11: Pavimentazione contaminata da detriti e polveri dai mezzi di cantiere.

Un caso particolare è costituito dalla superficie fresata. L’asportazione di


conglomerato bituminoso tramite scarificatrice, genera un grande quantitativo di

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

materiale granulare fine e polveroso sulla superficie di posa che deve


necessariamente essere eliminato con le motoscope. Alcune ricerche hanno
dimostrato come la presenza di materiale inerte fine tipo filler, in quantitativi
non eccessivi, non penalizzi il collegamento tra gli strati in quanto esso funge da
mastice assieme al legante bituminoso. Tuttavia, se il quantitativo è notevole,
anche l’applicazione di una mano d’attacco abbondante risulta inefficace
[66][76].
ƒ applicazione della mano d’attacco; come descritto nell’introduzione generale,
scopo del presente lavoro è anche quello di studiare l’efficacia delle mani
d’attacco bituminose nel collegamento tra gli strati neri della pavimentazione
stradale. L’operazione di applicazione delle emulsioni risulta pertanto tra quelle
di maggior importanza per la ricerca condotta ed in quanto tale, necessita di
particolare attenzione. Parametri come il tipo di emulsione impiegata, il
quantitativo spruzzato, il tempo di rottura, il quantitativo di bitume anidro
residuo per metro quadrato, le modalità e le condizioni di applicazione, sono
fondamentali per garantire l’efficacia dell’applicazione. Come noto, le emulsioni
bituminose oggi in commercio sono moltissime, in ragione del tipo di bitume
impiegato per confezionarle, dei quantitativi percentuali di acqua e bitume e
degli additivi chimici adottati come emulsionanti e stabilizzanti. Talvolta, sono
gli stessi produttori che modificano la ricetta di una emulsione al fine di renderla
più adatta per una specifica applicazione. Basti solo pensare al differente
comportamento di rottura che una emulsione deve avere nel periodo estivo
rispetto a quello autunnale od invernale; oppure ad emulsioni per mano
d’attacco da impiegarsi con la tecnologia precedentemente descritta di
applicazione diretta da vibrofinitrice; od ancora alla necessità di fornire
emulsioni, anche modificate, che si sposino chimicamente sia con il materiale
della superficie di posa, sia con quello del nuovo strato e che, in fase di stesa,
non si leghino ai pneumatici dei mezzi di cantiere (figura 1.12).

21
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Figura 1.12: Dannosa asportazione della mano d’attacco da parte della vibrofinitrice.

Di notevole importanza nei riguardi del collegamento tra gli strati bituminosi è
ovviamente, oltre al tipo, il quantitativo di emulsione spruzzata e quindi il
quantitativo di bitume residuo anidro che, in seguito alla rottura, permane sul
piano di posa. Lo studio condotto ha cercato di individuare come ciò influisca
sul collegamento ed in che misura lo faccia. Inoltre, non meno importanti, sono
le modalità e le condizioni di spruzzatura e la qualità con cui questa operazione
viene eseguita. L’applicazione della mano d’attacco può avvenire
essenzialmente in due modi: tramite lancia a mano, oppure tramite barra
spruzzatrice autocarrata. La figura 1.13 mostra i due tipi di applicazione.

Figura 1.13: Modalità di applicazione dell’emulsione bituminosa.

22
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Con riferimento al quantitativo di emulsione applicata, in seguito verrà descritta


la prova di deposito eseguita con vassoi metallici con cui valutarlo. La
spruzzatura tramite lancia appare evidentemente non adatta al fine di controllare
con precisione i quantitativi stesi e l’uniformità della applicazione sulla
superficie di posa. Tuttavia, anche tra le barre spruzzatici autocarrate esistono
modelli più o meno avanzati . Le più moderne sono attrezzate con pannelli di
comando in cabina, che consentono di controllare temperature e pressioni di
spruzzatura, in funzione delle velocità di avanzamento, dell’ampiezza di stesa e
dell’altezza da terra della barra. Talune sono dotate anche di barra con ugelli
riscaldabili al fine di evitarne l’ostruzione con bitume solidificato. Purtroppo, ad
oggi, queste tecnologie sono ancora costose e spesso le imprese non dedicano
molte risorse ad una operazione come l’applicazione della mano d’attacco,
ritenuta in genere di limitata importanza. Per tale motivo sui cantieri stradali si
possono incontrare macchinari antiquati, usurati e privi di dispositivi di
controllo, coi quali il quantitativo di emulsione spruzzato per metro quadrato
varia unicamente in funzione della velocità di avanzamento del mezzo. Ecco che
la qualità dell’operazione di stesa scade notevolmente, in quanto è lasciata
interamente alla sensibilità dell’operatore. Oltre al quantitativo steso è
importante l’uniformità di stesa.

Figura 1.14: Esempi di applicazione dell’emulsione bituminosa: scorretto e corretto.

23
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

La figura 1.14 rappresenta una stesa di emulsione scorretta in quanto non


uniforme (getti non sovrapposti) ed una corretta ed uniforme. L’uniformità di
spruzzatura è legata al corretto funzionamento degli ugelli, al loro orientamento
ed alla distanza da terra della barra di stesa. In figura 1.15 sono riportati due
esempi di funzionamento che potrebbero aver dato luogo ai risultati di figura
1.14: in alto aperture disuniformi degli ugelli, in basso aperture uniformi e
corretta sovrapposizione doppia dei getti.

Figura 1.15: Funzionamento degli ugelli di spruzzatura: scorretto e corretto.

ƒ trattamenti speciali della superficie di posa; molto frequentemente gli


interventi sulle pavimentazioni stradali prevedono una semplice risagomatura
del piano viabile, con la ricarica di un nuovo strato di usura al di sopra di quello
esistente. Talvolta, la superficie che accoglie il nuovo strato, può avere già
subito interventi di irruvidimento aventi spessori minimi quali: trattamenti
superficiali, slurry seal, eccetera. In tali casi, le caratteristiche di resistenza alla
azioni taglianti del collegamento all’interfaccia tra trattamento e nuovo strato
bituminoso, possono essere fortemente influenzate dalla presenza di un secondo
piano di scorrimento a pochi millimetri di distanza. Come si vedrà in seguito, la
presenza di interstrati sottili può, infatti, vanificare l’efficacia del collegamento

24
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

creato col nuovo strato, in quanto le sollecitazioni indotte possono essere


trasferite direttamente all’interfaccia sottostante, in genere più debole.

Per le variabili costruttive nelle lavorazioni di cantiere:


ƒ temperature; il ruolo delle temperature alla stesa dei materiali bituminosi e del
piano di posa che li accoglie è fondamentale per il raggiungimento delle
caratteristiche di addensamento richieste. La corretta compattazione di un
conglomerato bituminoso ha un ruolo chiave nel generare l’ingranamento tra gli
strati all’interfaccia ed è, conseguentemente, indispensabile per sviluppare la
resistenza al taglio del collegamento. La temperatura del piano di posa è poi
importante all’atto della stesa della mano d’attacco. L’innesco e la rapidità del
fenomeno di rottura è intimamente legato alle condizioni termiche nelle quali
avviene il contatto emulsione-superficie. Come si è già ricordato, la produzione
stessa delle emulsioni varia solitamente in funzione delle temperature di stesa.
ƒ spessore degli strati e larghezza di stesa; oltre alla temperatura, di notevole
influenza sulla compattazione e quindi sullo sviluppo della capacità di
ingranamento tra gli strati, è lo spessore dello strato steso; è intuitivo rendersi
conto di come uno strato sottile, se ben confezionato, si addensi più facilmente
di uno spesso. Per quanto riguarda l’aspetto della larghezza di stesa esso è legato
alla qualità, ovvero alla efficacia, del macchinario adottato; talvolta l’apertura
eccessiva del banco di stesa può comportare una non uniforme distribuzione e
chiusura del conglomerato che trasversalmente può apparire striato.
ƒ velocità di stesa, tipo di finitrice, temperatura delle piastre, etc; queste
variabili intervengono direttamente sulla bontà della stesa; spesso si ricordano i
4 metri/minuto come velocità di stesa ottimale, ma questo dato deve essere
comunque tarato sulla base della finitrice impiegata in relazione alla sue
caratteristiche meccaniche di funzionamento ed al tipo di materiale steso, oltre
che ovviamente alla sua temperatura; strettamente correlata è anche la

25
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

temperatura e l’azione dei tamper di finitura e di rasatura. La figura 1.16 mostra


due banchi di stesa differenti al lavoro.

Figura 1.16: Banchi di stesa di vibrofinitrici al lavoro.

ƒ energia del processo di compattazione; secondo quanto descritto ai punti


precedenti, la variabile compattazione è fondamentale; l’argomento è molto
ampio in quanto oltre al tipo ed al numero di compattatori, entra in gioco anche
il procedimento adottato nell’impiegarli; quindi occorre considerare la geometria
dei percorsi di compattazione, la velocità del rullo, la rapidità di inversione di
marcia, la distanza dalla finitrice, l’impiego di azioni vibranti, etc; (figura 1.17)

Figura 1.17: Compattatori a rullo di pesi differenti.

ƒ condizioni climatiche di posa; la posa dei materiali bituminosi è bene che sia
fatta in condizioni climatiche favorevoli, per cui in assenza di precipitazioni,
con temperatura dell’aria non inferiore ai 5°C ed umidità contenuta.

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Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Per le caratteristiche della pavimentazione nelle lavorazioni di cantiere:


ƒ pavimentazione nuova o rinnovata; il collegamento tra gli strati bituminosi e
l’efficacia della mano d’attacco dipendono in larga misura dal tipo di superficie
di posa. Si sono già descritti gli effetti della contaminazione superficiale. Ora, a
prescindere dalla presenza di agenti contaminanti, si sottolinea come, ogni stesa
di conglomerato bituminoso, faccia storia a se nei riguardi del collegamento tra
gli strati. Tuttavia, è possibile suddividere le superfici riscontrabili,
individuandone tre macrogruppi: superfici di posa con conglomerato nuovo,
superfici di posa con conglomerato usurato, superfici di posa fresate; all’interno
di questi gruppi è racchiusa tutta la casistica dei piani di posa esistenti nella
costruzione degli strati superficiali.
ƒ posizione dell’interfaccia; il fatto che l’interfaccia di cui si considera il
collegamento sia la prima od una delle successive a partire dalla superficie del
pacchetto dei neri, è basilare per quanto riguarda gli effetti che il distacco tra gli
strati può avere. Nel paragrafo precedente si è descritto in che modo un distacco
superficiale ed uno profondo possono degradare la sovrastruttura. L’influenza
della posizione dell’interfaccia sul collegamento è legata non solo all’ordine in
cui essa si trova, ma anche alla sua profondità e quindi agli spessori degli strati
ed alla distanza che esiste tra essa ed il piano viabile.
ƒ tipo di pavimentazione; del tutto analogo al precedente è il discorso relativo al
tipo di pavimentazione; ogni pacchetto stradale ha caratteristiche strutturali che
lo contraddistinguono, ossia tipo di strati, spessori, materiali adottati ed insiste
su un certo sottofondo; l’insieme di questi fattori ed il fatto che siano stati
progettati correttamente in relazione ai carichi agenti, caratterizza il
collegamento che si esplica a ciascuna interfaccia del pacchetto, in particolare
quelle tra gli strati bituminosi. Il sottodimensionamento, ad esempio, dello strato
di usura può comportare sollecitazioni eccessive per l’interfaccia sottostante;
con l’avvento dei microtappeti il problema è ancora più presente.

27
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

ƒ portanza degli strati di fondazione e sottofondo; si veda il punto precedente.


Infine, si descrivono gli aspetti relativi alle condizioni della strada oggetto
dell’intervento di costruzione:
ƒ geometria e singolarità della strada; la conformazione del tracciato stradale è
rilevante soprattutto in ragione delle sollecitazioni trasmesse dai veicoli
transitanti alla pavimentazione. Curve, intersezioni a raso, rotatorie, pendenze
sono tutte singolarità del tracciato nelle quali è certa la presenza di azioni
tangenziali dovute alla deriva del veicolo, ad accelerazioni e decelerazioni, ad
avanzamento a marce ridotte, etc. che sollecitano maggiormente il collegamento
tra gli strati e nelle quali è più probabile che si verifichino fenomeni di distacco.
ƒ traffico; la variabile traffico è esprimibile tramite l’entità dei carichi, spesso
riconducibile ad un numero di assi Standard di riferimento, tramite la loro
velocità e la loro frequenza. Con riferimento alle azioni specificatamente
taglianti trasmesse dai carichi alle interfacce, potrebbe essere opportuno fornirne
l’effettiva caratterizzazione ottenuta per mezzo di studi che ne identifichino
intensità, direzione e verso.
ƒ condizioni climatiche di esercizio; è innegabile che l’ambiente in cui la
pavimentazione si trova ad operare abbia un qualche effetto, anche indiretto, sul
collegamento tra gli strati.
ƒ età; si tratta della vita della pavimentazione stradale in esame; è
sostanzialmente l’insieme dei due punti precedenti; la vita di esercizio di una
pavimentazione è infatti caratterizzata dal passaggio di un certo numero di
veicoli, che transitano in un certo modo ed in certe condizioni climatiche.

Il quadro degli aspetti che governano il collegamento tra gli strati del pacchetto
stradale può essere ampliato ulteriormente anche tenendo conto del fatto che, se
alcuni di essi si verificano in contemporanea, possono accentuarsi a vicenda ed

28
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

accelerare il processo di degrado della pavimentazione, così come descritto al


paragrafo 1.2.1.

1.2.4 Il distacco tra gli strati bituminosi: effetti


A questo punto è opportuno descrivere gli effetti che i fenomeni di distacco
possono comportare, soprattutto se osservati dal punto di vista dell’utenza. Si è
già descritto sommariamente al paragrafo 1.2.2 quello che accade in pratica, se il
collegamento tra gli strati non è sufficientemente resistente nei confronti delle
sollecitazioni trasmesse dai carichi esterni e si verificano, pertanto, separazioni
alle interfacce. Nel caso in cui il distacco avvenga in profondità, la vita utile
della sovrastruttura si riduce, con la contemporanea accentuazione indiretta dei
principali fenomeni di degrado, quali fessurazioni, delaminazioni ed
ormaiamenti. Se il distacco avviene in superficie invece, si può verificare
l’asportazione e/o lo slittamento del conglomerato bituminoso superficiale
rispetto a quello sottostante, con la formazione di buche ed avvallamenti.
Dal punto di vista della funzionalità stradale e quindi in termini di sicurezza e
regolarità del moto, la mancanza di collegamento tra gli strati superficiali può
essere assai deleteria. Le fotografie di figura 1.7 mostrano, infatti, come il
formarsi di una zona di distacco possa generare una pericolosa irregolarità del
piano viabile. In tale caso, sono dannosi anche i detriti di conglomerato
bituminoso che si separano, potendo essere sollevati dai veicoli transitanti o
costituire essi stessi elementi singolari di instabilità. In secondo luogo,
l’irregolarità che si forma può sorprendere l’utente alla guida del veicolo,
modificando il contatto pneumatico/via, riducendo, in pratica, l’aderenza od
instabilizzando gli organi di guida. Essa è poi sede preferenziale di ristagni di
acqua e detriti che possono ridurre ulteriormente l’aderenza locale.
Nei riguardi del deterioramento della pavimentazione, i fenomeni di distacco
possono, come già ricordato, dare luogo od accentuare altri aspetti di degrado.

29
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

Ecco che, ad esempio, una larga zona di distacco può costituire una via
preferenziale per la percolazione profonda delle acque superficiali, a
determinare uno scadimento localizzato delle proprietà di resistenza dei
materiali del pacchetto e la comparsa di fenomeni fessurativi altrimenti non
riscontrabili. Non trascurabile è poi l’effetto di auto-estensione del problema. In
sostanza, in corrispondenza di una singolarità quale ad esempio un avvallamento
da distacco, i carichi dovuti ai mezzi transitanti vengono trasmessi in modo
anomalo alla sovrastruttura; il loro effetto dinamico viene accentuato e le
sollecitazioni si concentrano localmente in un punto prossimo al difetto
portandolo col tempo, alla rottura ed estendendo l’anomalia di origine.

A conclusione del presente capitolo, si ritiene necessaria la seguente


osservazione circa la carenza, in Italia, di indicazioni e prescrizioni chiare ed
esaustive, in materia di controllo e verifica in esercizio del collegamento
esistente tra gli strati bituminosi della pavimentazione stradale, in generale, e di
impiego di mani d’attacco bituminose, in particolare e come questa mancanza
possa, in qualche modo, essere annoverata tra le cause di molti dei difetti e dei
deterioramenti che costellano il patrimonio stradale italiano.
Molto si è fatto per aumentare le caratteristiche di resistenza dei singoli materiali
componenti gli strati affinché questi non soffrissero di fatica e si fessurassero o
presentassero ormaiamenti; poco o nulla si è fatto, invece, per migliorare il
comportamento di insieme della sovrastruttura stradale. Alcuni capitolati
prevedono studi completi di caratterizzazione e controllo per ogni miscela
impiegata nel pacchetto; la tradizionale metodologia di progetto Marshall per i
conglomerati bituminosi, viene oggi spesso affiancata, nelle pagine delle
specifiche, dai proporzionamenti volumetrici delle miscele derivati dalle norme
prestazionali Superpave americane e realizzati tramite Pressa Giratoria;
numerosi poi, sono i controlli richiesti sui singoli materiali e sulle miscele con

30
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

essi ottenute e le verifiche della loro corretta posa in opera tramite prelievi alla
stesa, prove di densità e resistenza in laboratorio e successivi carotaggi per la
verifica degli spessori; si analizzano i bitumi in termini di gradazione, viscosità
e tendenza all’invecchiamento, siano essi tal quali o modificati; si caratterizzano
gli inerti con analisi granulometriche, analisi si forma, prove di levigabilità
accelerata, prove di abrasione ed urto, prove di idrofilia, etc; si valuta
l’accoppiamento di aggregati e bitume con prove di adesione e prove di potere
rigidificante dei filler per la qualità del mastice di bitume finale. Ed ancora, si
propongono materiali innovativi per i manti di usura, strati drenanti e
fonoassorbenti, strati antiskid, strati ad alto modulo, etc.; si prendono in
considerazione tecniche di riciclaggio in sito ed a freddo dei conglomerati, con
l’impiego di emulsione e cemento o dei bitumi cosiddetti schiumati; si
richiedono in certi casi, appositi interstrati in materiale geosintetico che limitino
la riflessione superficiale delle fessure.
Tuttavia, nonostante il problema del collegamento tra gli strati della
pavimentazione esista e sia dimostrato essere importante, esso non viene ancora
preso sufficientemente in considerazione. Non esistono prove in sito od in
laboratorio atte a valutare il collegamento tra gli strati alle varie interfacce del
pacchetto stradale durante la sua vita; non sono descritti con chiarezza i tipi ed i
quantitativi di emulsioni bituminose da impiegarsi come mani d’attacco,
soprattutto in relazione al piano di posa, alle condizioni climatiche di stesa ed al
conglomerato soprastante; non sono definite le modalità applicative delle
emulsioni stesse, né prove specifiche per valutare il bitume residuo effettivo su
metro quadrato e nemmeno sono indicati i tempi di rottura necessari prima della
stesa successiva.
Queste carenze di indicazioni e specifiche appaiono quantomai non al passo coi
tempi. Se da un lato, infatti, si cerca di costruire una pavimentazione durevole
realizzata con strati di materiali resistenti e tenaci, dall’altro si corre il rischio di

31
Capitolo 1: Il collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale.

vanificare tali sforzi non prendendo in sufficiente considerazione il


collegamento tra gli strati stessi, ovvero il funzionamento del pacchetto stradale
come una unica struttura dell’ingegneria civile. Ecco che, se i tecnici contraenti,
i progettisti ed i costruttori soprattutto, non hanno riferimenti normativi relativi
al collegamento tra gli strati ed alle mani d’attacco cui attenersi nella
realizzazione della pavimentazione, si corre il rischio di non porre adeguata
attenzione nei confronti degli aspetti che governano il problema descritti in
Tabella 1.1. Così, ad esempio, la scelta delle emulsioni da applicare può essere
non progettata, i quantitativi stesi non controllati, i tempi di rottura non attesi,
etc., ma soprattutto, l’effettivo collegamento tra gli strati del pacchetto non
essere verificato né alla consegna dei lavori, né in seguito.
Si comprende quindi come prima causa dei problemi di distacco tra gli strati
della pavimentazione stradale sia proprio la mancanza di regole ed indicazioni
chiare, basate su studi e sperimentazioni scientifiche valide, che sensibilizzino e
responsabilizzino gli addetti ai lavori circa un fenomeno troppo spesso
sottovalutato e fonte di notevole detrimento per il corretto funzionamento della
sovrastruttura realizzata.

32
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

CAPITOLO 2

ANALISI TEORICA DEL COLLEGAMENTO TRA GLI STRATI

2.1 INTRODUZIONE

Le sollecitazioni che interessano i punti nell’intorno del collegamento


all’interfaccia tra due strati adiacenti di una pavimentazione stradale multistrato,
sono intuitivamente, dipendenti da diversi fattori quali:
ƒ l’entità dei carichi agenti: statici, dinamici, verticali, orizzontali, etc;
ƒ le condizioni in cui i carichi sono applicati: temperature, frequenze, etc.;
ƒ la presenza di stati di sollecitazione coattivi;
ƒ le caratteristiche meccaniche e geometriche di ciascuno strato;
ƒ le caratteristiche meccaniche e geometriche del collegamento tra gli strati;
ƒ le caratteristiche meccaniche e geometriche del pacchetto stradale;
ƒ la posizione nel pacchetto dell’interfaccia considerata;
In particolare, si può ritenere che, lo stato effettivo del collegamento tra gli strati
della pavimentazione, ne influenzi direttamente le prestazioni attraverso il
controllo dei livelli tensionali indotti nei materiali che compongono gli strati
stessi. A titolo di esempio puramente teorico, si riporta quanto descritto da
Tschegg E.K. et al. [23] in merito alla capacità portante di una trave snella
appoggiata. In figura 2.1 è schematizzato il confronto flessionale tra una trave
singola di dimensioni (b)x(l)x(h) ed un sistema di tre travi sovrapposte, ma non
solidali, ciascuna avente dimensioni (b)x(l)x(h/3). Si supponga che il materiale
costituente tutte le travi sia unico e di modulo elastico noto (E). Se si
sottopongono le due strutture ad un carico centrato (P) identico, lo stato
tensionale e gli spostamenti massimi (w) in mezzeria risultanti, sono differenti,
perché differenti sono i momenti di inerzia (Iy) a confronto. Per la trave singola,

33
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

infatti, il momento di inerzia è nove volte maggiore di quello calcolabile per il


sistema a tre travi sovrapposte.

Iy = bh3/12 Iy = 1/9 * bh3/12

l l

P P

w w

w1= Pl / 48 EIy w2= 9 Pl / 48 EIy

Figura 2.1: Confronto flessionale tra strutture.

La freccia massima risulta pertanto, nove volte maggiore per la trave multipla.
Pensando di applicare l’esempio descritto al caso di una pavimentazione
stradale, si comprende come la conoscenza dell’effettivo stato di collegamento
tra gli strati sia di fondamentale importanza, nella determinazione del livello
tenso-deformativo raggiungibile nei materiali costituenti, in particolare in
corrispondenza delle interfacce. Il modo in cui le sollecitazioni si distribuiscono
nella sovrastruttura ed il conseguente andamento delle tensioni è, infatti,
strettamente legato alle condizioni di vincolo tra gli strati. Come si vedrà in
seguito, in accordo alle soluzioni del problema dell’andamento delle tensioni in
un pavimentazione multistrato elastica disponibili in letteratura, la distribuzione
tensionale in corrispondenza delle regioni di interfaccia è fortemente influenzata
dalle condizioni di collegamento dell’interfaccia stessa ed, in particolar modo,
ciò avviene negli strati più alti del pacchetto. Questo fatto è significativo,

34
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

soprattutto in relazione alle caratteristiche degli strati superficiali stessi ed al


fatto che questi sono costruiti in tempi differenti e che ciò, spesso, comporta
carenze nel loro collegamento.
Infine, è possibile affermare che, nella realtà, il collegamento esistente tra gli
strati della sovrastruttura è sicuramente compreso tra la perfetta adesione ed il
completo distacco; i moderni codici razionali per il calcolo delle pavimentazioni
flessibili, si avvalgono di opportuni parametri per caratterizzare in tale senso la
trasmissione delle sollecitazioni in corrispondenza delle interfacce modellate.

2.2 STUDIO DELLE DISTRIBUZIONI TENSO-DEFORMATIVE

2.2.1 Influenza delle condizioni di interfaccia sulla distribuzione tensionale


e deformativa nel pacchetto
Come appena ricordato, il calcolo razionale e la modellazione di sovrastrutture
stradali flessibili si fondano comunemente sull’analisi del sistema elastico
multistrato. In molti casi, la rappresentazione del collegamento tra gli strati non
viene neanche considerata ed il pacchetto stradale viene modellato come un
continuo multimaterico. In altri casi, invece, è possibile attivare il controllo dello
stato di collegamento tra gli strati attraverso specifici moduli di reazione desunti
dalle leggi costitutive dei problemi di contatto alle interfacce; con tali moduli
possono essere riprodotte tutte le condizioni di collegamento possibili comprese
tra la perfetta adesione ed il completo distacco e conseguentemente descrivere in
maniera meno approssimata l’effettivo comportamento della pavimentazione
sotto carico. In questo paragrafo, dunque, nell’ambito dell’analisi teorica del
collegamento tra gli strati, si vuole sottolineare, attraverso la descrizione di
alcune modellazioni rinvenute in letteratura ed un semplice esempio di
modellazione con codice BISAR (Shell), l’influenza che le condizioni di

35
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

collegamento tra gli strati hanno sulle distribuzioni tensionale e deformativa nel
pacchetto e le conseguenti implicazioni di questo nella progettazione della
sovrastruttura. L’analisi è proposta principalmente e per semplicità, con
riferimento alla sola prima interfaccia, ovvero quella tra strato di usura e strato
di collegamento nel caso di pavimentazioni di nuova costruzione, o tra strato
esistente e nuovo tappeto, nei casi di ricarico.
Lo studio condotto da Romain J.E. nel 1968 e riproposto dieci anni dopo da
Uzan J. et al. [3] è, forse, uno dei primi esempi di modellazione numerica di un
pavimentazione stradale multistrato elastica che comprenda anche la
caratterizzazione delle interfacce tra gli strati. In figura 2.2 è rappresentato il
pacchetto a quattro strati modellato da Romain nel quale è possibile notare il
ricorso a grandezze multiple al fine di semplificarne il calcolo.

2a
p
0.5a E1 =10E4

a E2 =10E4

2a E3 =4E4

E4

Figura 2.2: Modello a 4 strati di Romain.

La tabella 2.1 riporta i valori effettivi di tensioni, deformazioni e deflessioni


relativi a tre configurazioni differenti delle tre interfacce presenti, rapportati alle
tensioni, deformazioni e deflessioni calcolate nel caso di aderenza perfetta a
tutte le interfacce. Si può osservare come, nella maggior parte dei casi, i valori

36
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

ottenuti aumentino quando una qualsiasi delle interfacce viene modificata da


perfettamente aderente e completamente distaccata. In particolare, è interessante
notare come vi sia un aumento delle deformazioni a trazione alla base dello
strato adiacente all’interfaccia le cui proprietà sono state mutate. Inoltre, è
opportuno sottolineare l’aumento delle deformazioni a compressione all’apice
del sottofondo e come, dal modello, le deflessioni superficiali non risentano in
modo significativo dal cambiamento del collegamento alla prima interfaccia.
Infine, si osservi che l’influenza della condizioni di interfaccia sia più
pronunciata quando il rapporto tra i moduli elastici degli strati adiacenti è
prossimo all’unità.
(1) (2) (3)
Condizione Prima interfaccia distacco adesione distacco
interfaccia Seconda interfaccia adesione distacco distacco
Terza interfaccia adesione adesione adesione

Primo
strato Tensione max compr. 0.79 1.02 0.89
Tensione max traz. 21.9 1.92 26.9
Deform. max compr. 2.83 1.07 3.07
Deform. max traz. 1.93 1.10 2.07
1.20 1.19 1.43
Deflessione

Secondo
strato Tensione max compr. 1.74 0.98 1.81
Tensione max traz. 1.08 2.26 2.73
Deform. max compr. 1.27 1.72 2.25
1.30 1.44 1.89
Deform. max traz.

Terzo
strato Tensione max compr. 1.55 1.48 2.29
Tensione max traz. 1.38 1.23 1.77
Deform. max compr. 1.28 0.92 1.18
1.22 0.92 1.29
Deform. max traz.

Quarto
strato Tensione max compr. 1.40 1.74 2.40
Deform. max traz. 1.37 1.37 1.97
Deflessione max 1.19 1.39 1.58

Tabella 2.1: Risultati relativi per il modello 4-strati con differenti


condizioni di interfaccia.

37
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Uzan propone il modello da lui messo a punto per la rappresentazione del


collegamento parziale tra gli strati della sovrastruttura flessibile elastica
multistrato. Esso si basa sull’assunzione che il collegamento tra due strati
adiacenti, sia paragonabile ad un sottile film di materiale avente modulo di
Taglio (G) e spessore (t) e che la tensione tangenziale (τ) all’interfaccia, dovuta
all’applicazione dei carichi esterni, determini uno spostamento relativo
orizzontale (Δu) tra le due facce tale per cui si abbia:

τ=Gγ (1)

dove (γ) rappresenta la deformazione di taglio del film di materiale pari a

(Δu/t); sostituendo quest’ultimo in (1) si ottiene:

τ = (G/t) Δu (2)

ovvero,

τ = K Δu (3)

dove, esprimendo (τ) in N/m3 e (Δu) in m, risulta (K), Modulo di Reazione


orizzontale dell’interfaccia o Modulo di Rigidezza al taglio [33][42] espresso in
MN/m3. L’equazione (3) rappresenta la nota legge costitutiva di Goodman per la
descrizione del comportamento all’interfaccia nei multistrati elastici [1]. Con
riferimento alla teoria lineare elastica, il modulo (K) si assume essere costante.
La figura 2.3, schematizza la sovrastruttura caricata a 4 strati utilizzata da Uzan
per investigare l’influenza delle condizioni di collegamento in corrispondenza
dell’interfaccia più superficiale sulla distribuzione delle tensioni nel pacchetto.
Si osservi come il carico del modello, sia costituito da una distribuzione di
pressione uniforme (p) di raggio (a). Il primo risultato dello studio, è stato quello
di individuare un range di valori di (K) compreso tra i 1000 ed i 100000 MN/m3

38
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

per il quale si verifica una sensibile variazione nella tensione radiale di trazione
(o nella deformazione radiale di trazione) alla base dello strato superiore.

2a
p
h1/a = 0.5 ν1= 0.5 E1 = 500 MN/m2

h2/a = 0.7 ν2= 0.5 E2 = 500 MN/m2

h3/a = 1.0 ν3= 0.35 E3 = 100 MN/m2

∞ ν4= 0.5 E4 = 30 MN/m2

Figura 2.3: Modello a 4 strati di Uzan.

La variazione del comportamento della sovrastruttura, in relazione alle


condizioni di collegamento all’interfaccia, è raffigurato in figura 2.4, dove è
graficato l’andamento delle deformazioni radiali (εr) normalizzate rispetto alla
pressione superficiale (p) con la profondità nei seguenti casi:
a) collegamento di perfetta adesione; (K = ∞)
b) collegamento di completo distacco; (K = 0)
c) K = 10000 MN/m3;
d) K = 100000 MN/m3.
Nel caso di interfaccia completamente distaccata o di valori di (K) piccoli, la
deformazione radiale a trazione, alla base del primo strato, è maggiore rispetto al
caso di collegamento con perfetta adesione. Alla sommità del secondo strato poi,
l’inserimento di una interfaccia debole, comporta il passaggio delle (εr/p) dalla
trazione alla compressione. All’aumentare del valore di (K) all’interfaccia, lo

39
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

stato deformativo si avvicina a quello calcolato per il collegamento perfetto. Per


il caso c), in cui (K) è assunto pari a 10000 MN/m3, la deformazione radiale
all’estradosso del secondo strato risulta ancora di compressione.

compression tension 104x εr/p


-2 -1 0 1 2
h1/a = 0.5 E1 = 500 MN/m2

h2/a = 0.7 E2 = 500 MN/m2

perfetta aderenza
h3/a = 1.0 completo distacco E3 = 100 MN/m2
K = 10000 MN/m3
K = 100000 MN/m3

∞ E4 = 30 MN/m2

Figura 2.4: Distribuzione delle deformazioni radiali normalizzate con la profondità.

Una sperimentazione dell’epoca, comprovante quanto riportato sopra, fu


condotta da Bleyenberg W.G. et al. [3]. Una pavimentazione multistrato
flessibile venne dotata di estensimetri posizionati alle interfacce tra gli strati
bituminosi il cui Modulo di Rigidezza fu fissato in 2000 MPa. I libretti di
cantiere, riferiscono che la costruzione dello strato bituminoso superficiale
venne realizzata 20 mesi dopo quella dello strato di collegamento; per tale
motivo fu possibile ritenere che vi potesse essere un migliore collegamento tra
gli strati sottostanti rispetto a quelli superficiali. La distribuzione delle
deformazioni computata tramite il software BISAR, ottenuta modellando la
perfetta adesione tra gli strati bituminosi della sovrastruttura monitorata da
Bleyenberg, viene confrontata in figura 2.5 sovrapponendovi i livelli
deformativi effettivamente misurati in sito.

40
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Dalla figura si può evincere che:


ƒ alla sommità del secondo strato, la deformazione misurata è di
compressione, laddove l’analisi numerica fornisce trazione;
ƒ alla sommità del terzo strato, le deformazioni calcolate si collocano nella
parte superiore del campo di valori misurato in sito;
ƒ alla superficie della pavimentazione, la deformazione a compressione è
apparentemente più ampia di quella calcolata; in tale caso, la discrepanza
può essere attribuita alla vicinanza degli estensimetri ai carichi transitanti.
Con riferimento alla figura 2.4 è possibile ritenere che lo stato deformativo
misurato in sito, corrisponda al caso di collegamento parziale della interfaccia
più superficiale, come tracciato qualitativamente con linea continua nera in
figura 2.5.

ε di compressione; μm/m ε di trazione


-100 -50 0 50

curva BISAR – perfetta adesione


andamento qualitativo possibile

Figura 2.5: Confronto tra deformazioni misurate in sito e modellate.

41
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

In generale, dunque, anche questo esempio sperimentale prova che, nel


passaggio da una condizione all’interfaccia di completo distacco, ad una teorica
di perfetta adesione tra gli strati, le deformazioni (ε) di trazione alla base dello
strato superiore si riducono, tendendo al valore corrispondente alla totale
adesione ed, analogamente, alla sommità dello strato inferiore, le deformazioni
di compressione tendono ad annullarsi ed a portarsi nel campo delle trazioni.
Non esistendo, nella realtà, le condizioni teoriche di perfetta adesione e
completo distacco, lo stato tenso-deformativo effettivo si assesta tra le due
distribuzioni limite descritte dall’analisi numerica. Si osserva inoltre, che
l’analisi non prende in considerazione la non-linearità del comportamento dei
materiali bituminosi, ma ciò si ritiene non possa essere causa dell’inversione di
segno delle deformazioni nel modello.

2.2.2 Modellazione numerica del collegamento tramite codice BISAR


Come ultimo esempio di modellazione numerica che descriva l’influenza
dell’entità del collegamento tra gli strati sul comportamento della sovrastruttura,
si propongono due modelli di multistrato elastico identici, ma caricati
diversamente. Nel primo modello, il carico trasmesso da una coppia di ruote
gemellate dal peso di 30 KN ciascuna è solamente verticale; nel secondo,
invece, si suppone anche una condizione di decelerazione (od accelerazione)
dello stesso veicolo che, con un coefficiente di aderenza longitudinale (fl) tra
pneumatico e pavimentazione pari a 0.7, esplica una coppia di forze orizzontali
di contatto pari a 21 KN ciascuna.
Se col primo modello si vuole confermare la correttezza delle analisi condotte da
Uzan circa la distribuzione delle deformazioni nella sovrastruttura al variare
delle condizioni di collegamento alla prima interfaccia, col secondo si vogliono
mostrare i valori degli spostamenti che si possono effettivamente verificare in
corrispondenza della stessa interfaccia quando la pavimentazione stradale

42
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

flessibile è soggetta anche a comuni azioni orizzontali. La figura 2.6 rappresenta


il modello analizzato per il caso di carichi verticali ed orizzontali. In essa, sono
riportati i valori dei parametri elastici e gli spessori degli strati componenti il
pacchetto, da inserirsi nel programma di calcolo.

30KN 30KN

o y

21KN 21KN E1= 5000 MPa


ν1=0.35
h1 = 0.04 m
E2= 4000 MPa
h2 = 0.08 m ν2=0.35

x E3= 3000 MPa


ν3=0.35
h3 = 0.16 m

E4= 60 MPa
ν4=0.40
z

h4 = ∞

Figura 2.6: Multistrato elastico sottoposto a carichi verticali ed orizzontali.

43
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Occorre quindi definire il valore della pressione di contatto pneumatico-


superficie attraverso il raggio dell’impronta circolare di carico; per una
pressione (pg) di circa 7.6 atm il raggio (ri) di impronta risulta di 0.112 m. La
distanza (d) tra gli assi delle ruote gemelle è pari a 0.424 metri. I dati di input
prevedono, inoltre, la definizione della condizione di collegamento
all’interfaccia studiata, attraverso il valore del Modulo di Spring Compliance
(Ks), pari all’inverso del Modulo di reazione orizzontale (K) introdotto da
Goodman e ripreso da Uzan. Alla stregua di quanto visto in precedenza, si
considerano qui, per ciascun modello, cinque sistemi multistrato nei quali viene
variato il parametro (Ks), espresso in m3/N, al fine di riprodurre le diverse
condizioni di interfaccia volute. In particolare, la tabella 2.2 riporta i cinque
valori di Spring Compliance utilizzati nei sistemi modellati; essi corrispondono
ad altrettanti valori di (K), espressi in MN/m3, nei modelli proposti da Uzan [3]
e da Al Hakim B. [42][49][67][68].

Numero Condizione di (Ks) in m3/N (K) in MN/m3


Sistema collegamento BISAR Uzan&Hakim
1 perfetta aderenza 0 ∞
2 intermedio 1.0*10-11 100000
3 intermedio 1.0*10-10 10000
4 intermedio 1.0*10-09 1000
5 int./distacco 1.0*10-08 100

Tabella 2.2: Valori di Spring Compliance (Ks) attribuiti nei 5 sistemi analizzati.

Infine, devono essere individuati i punti all’interno del pacchetto stradale per i
quali riportare il computo. Per tracciare gli andamenti tenso-deformativi
completi in funzione della profondità ed, allo stesso tempo, restituire i valori di
tensioni e deformazioni in corrispondenza dell’interfaccia analizzata, si è
definito un set di sei punti di calcolo individuati sulla verticale di simmetria del

44
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

sistema, coincidente con l’asse (z) del riferimento principale. Nella tabella 2.3
sono contenuti i valori delle profondità dei sei punti a cui eseguire il calcolo ed i
corrispondenti strati in cui essi si trovano. Si noti come, la coppia di valori (2) e
(3) definisca due punti prossimi alla prima interfaccia, ma appartenenti a strati
diversi.

Punto di calcolo Profondità (m) Strato


1 - 0.001 1
2 - 0.039 1
3 - 0.041 2
4 - 0.119 2
5 - 0.121 3
6 - 0.279 3

Tabella 2.3: Profondità dei punti di calcolo e strati corrispondenti.

Per quanto riguarda il primo modello calcolato, in figura 2.7 sono rappresentate
le distribuzioni delle deformazioni (εxx) normalizzate tramite la pressione di
contatto (p), in funzione della la profondità nel pacchetto e della condizione di
collegamento alla prima interfaccia, caratterizzata dal valore assunto dal Modulo
di Reazione orizzontale (K).
Il risultato rispecchia fedelmente quanto ottenuto da Uzan. Pur se con valori
differenti per via dei diversi materiali, spessori e condizioni di carico, gli
andamenti ottenuti confermano la notevole dipendenza degli stati deformativi
all’interno del pacchetto stradale, dall’entità del modulo (K) relativo alla prima
interfaccia. Dalla condizione di continuità ottenuta nel caso di un modulo
infinito corrispondente ad un perfetto collegamento, si passa a distribuzioni
discontinue. Se un valore di (K) pari a 100000 MN/m3 comporta un lieve
scostamento dalla condizione di perfetto collegamento, uno pari a 1000 MN/m3
determina addirittura il cambio di segno per la deformazione in corrispondenza
del lembo inferiore dello strato superficiale (linea blu) ed un ulteriore aumento,

45
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

in modulo di quella al lembo superiore dello strato di binder. Se poi si scende a


valori di (K) prossimi alla condizione di assenza di collegamento, la variazione
delle deformazioni all’interfaccia è ancora più evidente al punto che, lo strato di
usura ed il restante pacchetto bituminoso, si comportano come due elementi
sovrapposti disgiunti analogamente a quanto visto nel primo paragrafo col
semplice esempio proposto da Tschegg.

compression tension 109x εxx/p


-0,25 -0,20 -0,15 -0,10 -0,05 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30

h1 = 0,04 m E1 = 5000 MPa


1a interfaccia
K = variabile
E2 = 4000 MPa
h2 = 0,08 m
2a interfaccia
K = infinito
E3 = 3000 MPa
h3 = 0,16 m
K=∞
K = 100000 MN/m3
K = 10000 MN/m3
K = 1000 MN/m3
K = 100 MN/m3
3a interfaccia
K = infinito
∞ E4 = 60 MPa

Figura 2.7: Distribuzioni delle deformazioni al variare di (K) nella prima interfaccia .

Dal secondo modello si ritiene interessante descrivere gli andamenti degli


spostamenti dei punti del pacchetto al di sotto del carico, nella direzione delle
azioni orizzontali (x). In figura 2.8 si sono pertanto tracciate le curve (ux) in
funzione della profondità e delle condizioni di collegamento alla prima
interfaccia. In tale caso (K) è stato fatto variare, per completezza, da un valore
infinito ad uno pari ai 10 MN/m3, corrispondenti rispettivamente alla condizione
di perfetto collegamento ed a quella di prossimo distacco. Il risultato della

46
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

modellazione è significativo. Nel caso in cui alla prima interfaccia vi sia un


collegamento perfetto, gli spostamenti dei punti del pacchetto sottostanti il
carico in direzione (x) variano con continuità nel pacchetto e si assestano, in
corrispondenza della stessa interfaccia, su valori pari a circa 6 centesimi di
millimetro. La curva relativa ad un valore di (K) di 100000 MN/m3 è tanto
prossima a quella precedente che non è possibile distinguerle sul grafico. Anche
la curva per (K) pari a 10000 MN/m3 è prossima alla continuità.

Spostamento ux (m)
0,0E+00 2,0E-05 4,0E-05 6,0E-05 8,0E-05 1,0E-04 1,2E-04 1,4E-04 1,6E-04 1,8E-04 2,0E-04

h1 = 0,04 m E1 = 5000 MPa


1a interfaccia
K = variabile
E2 = 4000 MPa
h2 = 0,08 m
2a interfaccia
K = infinito
E3 = 3000 MPa
h3 = 0,16 m K=∞
K = 100000 MN/m3
K = 10000 MN/m3
K = 1000 MN/m3
K = 100 MN/m3
K = 10 MN/m3

3a interfaccia
K = infinito
∞ E4 = 60 MPa

Figura 2.8: Spostamenti in direzione (x) dei punti sottostanti ai carichi per (K) variabile.

A riprova di quanto affermato da Uzan, in figura 2.8 è evidente poi come la


variazione delle condizioni di collegamento sia marcata per valori di (K)
inferiori ai 10000 MN/m3. Per (K) pari a 1000 MN/m3 lo strato superficiale
inizia a slittare sopra quello sottostante determinando uno spostamento relativo
tra i punti originariamente a contatto di almeno 2 centesimi di millimetro. Il
sistema per il quale il valore di Modulo di Reazione orizzontale è stato fissato in
100 MN/m3 presenta uno spostamento pari a più di un decimo di millimetro per

47
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

tutto lo strato superficiale rispetto alla condizione di riposo ed uno spostamento


relativo di 8 centesimi di millimetro rispetto alla porzione inferiore della
pavimentazione. Il caso estremo è rappresentato dal modello di multistrato
elastico per cui il (K) della prima interfaccia è pari a soli 10 MN/m3. In esso lo
spostamento relativo tra i punti di interfaccia è di circa 1.5 decimi di millimetro.
In pratica, la porzione inferiore della sovrastruttura risente in minima misura
dell’azione orizzontale dal veicolo, mentre quella superiore scorre
allontanandosi di quasi 1.8 decimi di millimetro dalla configurazione originaria.
Pur trattandosi di una modellazione elastica approssimata della realtà, l’esempio
proposto mette nuovamente in luce l’importanza del collegamento alle
interfacce del pacchetto stradale, in particolare per quella più superficiale. I
risultati ottenuti debbono essere raffrontati anche alle condizioni di resistenza a
fatica dei materiali all’interfaccia; gli spostamenti calcolati sono infatti relativi
ad una unica applicazione di carico a cui, nella realtà, ne seguiranno certamente
altre.

2.3 ANALISI DEL COLLEGAMENTO ALL’INTERFACCIA

2.3.1 Introduzione all’analisi


Il secondo passo nell’analisi teorica del collegamento tra gli strati di una
pavimentazione stradale, riguarda direttamente quello che avviene in
corrispondenza dell’interfaccia tra due conglomerati bituminosi adiacenti,
quando questi sono soggetti, sia all’azione verticale (pv) dovuta al solo peso
statico dei veicoli, sia all’azione orizzontale (qh) dovuta, ad esempio, alle forze
che la ruota esplica sulla superficie del piano viabile in fase di frenatura.
Entrambe le azioni descritte sono applicate sull’area di contatto pneumatico-
superficie stradale in modo non uniformemente distribuito, in relazione alle
caratteristiche del pneumatico, alla sua pressione di gonfiaggio, alle

48
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

caratteristiche della superficie viabile eccetera. Tuttavia, nella descrizione


seguente, si terrà conto per semplicità, di una distribuzione uniforme delle azioni
citate e non si considererà il momento all’interfaccia dovuto alla eccentricità di
(qh) rispetto al piano (t-t).
La figura 2.9 è stata ottenuta sovrapponendo alcuni elementi grafici colorati, ad
una fotografia digitale ravvicinata dell’interfaccia tra due strati superficiali di
conglomerato bituminoso, così come osservabili da una sezione verticale di una
carota prelevata in sito. Quali sono i fattori che intervengono nella
caratterizzazione del comportamento del collegamento strato-strato quando esso
è sottoposto alle azioni sopra descritte? Per rispondere a questo interrogativo, si
è pensato di identificare in figura, i quattro fattori che si ritiene compartecipino
maggiormente allo sviluppo della resistenza meccanica del collegamento in
esame. In seguito, sulla base degli studi scientifici inerenti rinvenuti in
letteratura, si fornirà per ciascuno di essi una descrizione teorico-pratica delle
modalità con le quali si esplica, cercando anche di valutarne il compito nel
comportamento d’insieme del collegamento e quindi, di attribuirvi un peso.
Essendo, inoltre, nota l’influenza della variabile temperatura sul comportamento
dei materiali bituminosi, se ne descriveranno gli effetti considerandola
all’interno del campo di utilizzo comune.
I fattori studiati sono:
a) l’ingranamento reciproco offerto dagli aggregati dei due conglomerati a
contatto;
b) l’adesione del bitume di miscela agli inerti del conglomerato di
appartenenza;
c) la coesione che il bitume è in grado di sviluppare tra gli inerti del
conglomerato di appartenenza;
d) l’adesione e la coesione che il bitume della mano d’attacco (residuo
anidro od applicato a caldo) sviluppa nei confronti degli aggregati coi

49
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

quali viene a contatto, appartenenti ai due conglomerati adiacenti, tenendo


anche conto della presenza dei bitumi di miscela a ricoprire gli inerti.

pv
qh

c)

d)
t si
a) sl t
ni nl
ti tl
a)

b)

Figura 2.9: Comportamento di una interfaccia: fattori che caratterizzano il collegamento.

Si sottolinea inoltre come, nell’analisi proposta, si prescinda dalla qualità dei


materiali utilizzati, ipotizzando che le miscele impiegate siano state confezionate
correttamente e che la loro posa in opera sia stata eseguita nel rispetto dei
requisiti di spessore e di compattazione necessari. Analogamente, si ipotizza che
il bitume adottato per la mano d’attacco sia del tipo adeguato e sia stato steso (a
freddo in emulsione o direttamente a caldo) nel rispetto dei quantitativi previsti
per la realizzazione del lavoro a regola d’arte e, nel caso di emulsione, siano
stati attesi i tempi necessari alla corretta rottura della stessa.

50
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

2.3.2 Fattore a): l’ingranamento tra gli strati


Nel capitolo primo si era già fatto cenno all’importanza del reciproco
ingranamento tra gli strati bituminosi di interfaccia nello sviluppo delle
proprietà di resistenza del collegamento. In particolare, si era ricordato come, in
seguito all’applicazione di uno sforzo tagliante in corrispondenza di una
interfaccia teorica, si potesse generare una resistenza al taglio offerta dal
dislocamento e scavalcamento reciproco tra gli inerti appartenenti ai due strati
adiacenti. In figura 2.9 è chiaramente visibile come, in prossimità del piano di
taglio, si generino alcuni punti di contatto aggregato-aggregato tra inerti
appartenenti ai due diversi conglomerati. A cosa sono dovuti questi punti di
contatto? Come si sono creati? Che cosa accade in essi e quale contributo ne
perviene alla resistenza del collegamento tra gli strati? Quale è il
comportamento di insieme dello strato superiore in relazione a tale
ingranamento? Rispondere a tali questioni è alquanto complesso, soprattutto se
si considerano anche le variabili bitume e temperatura.
Innanzitutto, occorre precisare il motivo per cui aggregati appartenenti a
conglomerati di strati diversi, possono trovarsi nella configurazione di figura
2.9. La posa degli strati della pavimentazione stradale avviene, come già
descritto, in tempi successivi; ultimata la compattazione dello strato di
collegamento, ad esempio, si passa alla posa a caldo dello strato di usura. Il
piano di posa, in questo caso, è costituito dalla superficie di estradosso del
binder, la quale presenta una determinata macro e microtessitura superficiale,
legata alle caratteristiche della miscela, alla sua compattazione ed allo spessore
dello strato. In sostanza, la superficie ottenuta è il risultato dell’assestamento
degli inerti del conglomerato ricoperti di bitume ad una determinata
temperatura, sotto l’azione della vibrofinitrice e della superficie cilindrica liscia
del rullo compattatore. L’ingranamento col conglomerato soprastante dipenderà
quindi da fattori quali: la dimensione nominale media della macrorugosità

51
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

superficiale del binder, la distribuzione granulometrica della miscela di usura, il


tipo e la percentuale di legante della stessa, oltre ovviamente, alla temperatura
ed alle condizioni di compattazione. Se si ipotizza, invece, una superficie di
posa al limite perfettamente rigida e piana, ovvero senza rugosità superficiale, ci
si può immaginare che all’interfaccia, la miscela di usura si distribuisca in
maniera del tutto analoga a quanto visibile in superficie e, conseguentemente,
non si abbia l’inclusione di aggregati nel conglomerato sottostante, ovvero non
si crei ingranamento reciproco. Tale esempio è stato riportato per spiegare come,
la configurazione tessiturale del conglomerato del piano di posa (binder), così
come appare prima del passaggio della vibrofinitrice, non resti immutata in
seguito alla stesa del conglomerato successivo. Bisogna infatti pensare che,
trattandosi di conglomerati bituminosi, vi possa essere una riorganizzazione
degli inerti più superficiali in seguito al rammollimento del bitume di miscela
dovuto al calore del materiale appena posato ed alla pressione che il
compattatore esercita sugli aggregati di confine. Ecco che, a seconda delle
caratteristiche delle miscele e della loro compattazione in opera, la cicatrice di
interfaccia può essere più o meno evidente, più o meno profonda e più o meno
resistente meccanicamente.
A questo punto, prima di osservare cosa determina l’ingranamento sul
comportamento di insieme dell’interfaccia, è necessario descrivere
sommariamente quello che accade in corrispondenza della zona di contatto
aggregato-aggregato quando sugli inerti agisce una forza. Tale forza potrà essere
identificata come la risultante delle azioni esterne verticali ed orizzontali
descritte in precedenza o solamente di quelle orizzontali nel caso in cui si
ipotizzi l’assenza teorica di quelle verticali. Per semplicità, si suppone che essa
agisca parallelamente al piano di interfaccia. Sempre dal punto di vista teorico, è
noto che due aggregati possono tangere in un unico punto; nelle realtà però
questo non avviene e il contatto è distribuito su di un’area più o meno estesa

52
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

della superficie esterna degli inerti a seconda della loro forma e della loro
posizione reciproca. Su tale area di contatto vengono trasmesse, da aggregato ad
aggregato, le sollecitazioni derivanti dall’applicazione dei carichi esterni. In
figura 2.10 è riportato un esempio schematico di contatto aggregato-aggregato.
Come è ovvio, per date forma e natura litica degli aggregati, loro posizione
reciproca e loro orientamento (ϑ) nei confronti della sollecitazione esterna, si
verifica un determinato stato tensionale e deformativo all’interno degli inerti
stessi ed sull’area (λ) di mutuo contatto.

S
d n t

ϑ b

Figura 2.10: Schematizzazione del contatto tra inerti.

Con riferimento all’aspetto meccanico del contatto si può ritenere valido quanto
segue. Se l’inclinazione (ϑ) del piano passante per l’areola (λ) è negativa, allora
gli inerti inizialmente a contatto tenderanno a separasi senza lo sviluppo di forze
nel sistema, se non quelle di adesione e coesione dovute al bitume che li ricopre.
Nel caso in cui (ϑ) sia compreso tra 0° e 180° si verifica, invece, quanto
schematizzato in figura. In sostanza, la forza (S) al contatto può essere
scomposta in una componente (n) normale al piano di contatto ed una (t) ad esso

53
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

tangente. La condizione per cui si verifichi lo scorrimento dell’aggregato (a) su


quello (b), supposto vincolato, è la seguente:

t > n tg (ψ) + Cλ

dove (t) ed (n) sono le componenti di (S), tg (ψ) è il fattore attritivo, (C) è la
coesione offerta dal legante e (λ) è l’areola di contatto sulla quale, per
semplicità, si suppone agire tale coesione. Si sottolinea come, in questo semplice
modello, il parametro (ψ), che esprime l’angolo di attrito tra gli elementi, sia
dipendente da diversi aspetti quali: la microtessitura superficiale degli inerti a
contatto legata alla loro natura mineralogica, il tipo od i tipi di bitume che li
ricoprono (di miscela e dall’emulsione), lo spessore del film di bitumi, la
temperatura a cui si trovano, ovvero la loro viscosità. Analogamente, il
parametro (C) descrive la coesione offerta dai bitumi presenti, in relazione alla
temperatura ed alla velocità di applicazione del carico, ossia rappresenta la
capacità che i leganti che ricoprono gli inerti hanno di mantenerli nella loro
posizione iniziale reciproca. Nella realtà lo sviluppo della coesione si presume
interessi una superficie più estesa di quella del semplice contatto, coinvolgendo
anche porzioni di legante via via radialmente più distanti da (λ). Si osservi in
merito a ciò, quanto riportato in seguito sul fattore coesione al punto c).
Se, dunque, si verifica una (t) di intensità tale per cui l’aggregato (a) possa
iniziare a scorrere su (b), lo spostamento avverrà fintanto che esiste una (tλi)
sulle areole (λi) di contatto successive tale per cui risulta vinto lo sforzo
resistente dovuto all’attrito residuo tra gli inerti ed alla coesione residua dei
leganti. Ovviamente, se l’inclinazione (ϑ) delle areole di contatto successive
cambia, e/o la forza (S) cambia, muteranno anche i termini e la forma della
disequazione residua. Va detto che, quanto descritto, accade non considerando la
presenza di altri aggregati nell’intorno dei due inerti schematizzati in figura

54
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

2.10. La presenza di altri inerti e di altro bitume costituisce ovviamente una


condizione di vincolamento aggiuntiva al contorno.
Se, invece, su (λ) vale inizialmente che:

t < n tg (ψ) + Cλ

allora si manifesta prima il momento definito da (S) per il braccio (d) rispetto al
contatto. L’aggregato (a) non scorre, ma inizia subito a ruotare attorno a (λ).
Ruoterà fintanto che il momento non si annulla o fino a quando la disequazione
per le nuove configurazioni di contatto, non cambierà di segno e l’aggregato
potrà iniziare a scorrere su (b) traslando.
In definitiva, quello che si immagina accadere nella realtà, è un moto di
rototraslazione di (a), intervallato da rotazioni o traslazioni pure, in relazione al
verso iniziale della disequazione proposta ed alle condizioni residue (post picco)
dei parametri di attrito e coesione, oltre che all’inclinazione delle aree di
contatto successive.
La descrizione di cui sopra è, come detto, stata condotta per il sistema di
contatto singolo di figura 2.10. Tale sistema è riprodotto all’interno di un doppio
strato bituminoso un considerevole numero di volte; non soltanto, così come
visibile in figura 2.9, all’interfaccia tra due strati e composto da aggregati
appartenenti a conglomerati diversi ed, al limite, da tre bitumi diversi, ma anche
all’interno di ciascuno strato, formato dagli inerti e dal bitume della miscela
bituminosa stessa. Ecco che, il comportamento descritto, è valido per qualunque
tipo di contatto aggregato-aggregato che si verifichi nei neri del pacchetto
stradale. Tuttavia, le caratteristiche dei due tipi di contatto citati sono assai
differenti, e proprio in questo risiede la ragione per cui, il distacco superficiale
di porzioni di conglomerato, avviene principalmente all’interfaccia e non nel
volume dei conglomerati che vi si affacciano. Il motivo sperimentalmente più

55
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

evidente è legato al fatto che gli strati sono stesi e compattati in tempi
successivi; la tessitura superficiale del piano di posa, pur mostrando una rugosità
dipendente dal tipo di miscela e dalla sua compattazione, resta comunque
riconoscibile sulla superficie laterale di una carota prelevata in sito; in pratica, la
circonferenza di interfaccia si riconosce non soltanto per la variazione di
conglomerato, ma, soprattutto, per la disposizione orientata della maggior parte
degli aggregati che la delimitano: essi, pur essendo poliedrici, hanno spesso le
facce piane più estese disposte parallelamente all’interfaccia, ossia al piano
costituito dalla superficie cilindrica del rullo compattatore che si distende
longitudinalmente durante la compattazione. Per tale motivo, lo sviluppo delle
condizioni di ingranamento ottimali che si verificano all’interno del volume di
ciascun conglomerato, è invece limitato in corrispondenza dell’interfaccia e
legato in maniera preponderante alla sola rugosità superficiale del piano di posa.
Ecco che, molti dei contatti aggregato-aggregato che si producono all’interfaccia
presentano valori di (ϑ) nulli e pertanto, se analogamente a quanto fatto in
precedenza, non si considerano le azioni esterne verticali, ma solo quelle
orizzontali, le traslazioni degli aggregati superiori risultano ostacolate dal solo
contributo coesivo-adesivo dei bitumi coinvolti e non da quello attritivo.
Dalla sommatoria di tutti i contributi resistenti di attrito che si sviluppano
all’interfaccia si ottiene l’apporto totale di resistenza meccanica al collegamento
dovuto al fattore cosiddetto di ingranamento. A rigore con tale termine, si
identificano soltanto i contributi attritivi dovuti alle componenti (n) dei soli
sforzi taglianti (S) per tutta la loro durata, distinguendo a parte, un termine di
attrito ai contatti dovuto alle sole azioni esterne verticali ed un termine di
coesione ed adesione dovuto ai bitumi. Di quest’ultimo, pur avendolo già
identificato in questo punto, si tratterà nei seguenti punti b) e c) con riferimento
ai conglomerati bituminosi di strato ed al punto d) con riferimento al bitume
della mano d’attacco. In definitiva, l’ingranamento è comunque un fattore

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

attritivo, ma va distinto da quello dovuto ai soli carichi verticali in quanto si


manifesta anche in loro assenza. Macroscopicamente esso corrisponde, come già
accennato, allo scavalcamento reciproco tra i grani per successivi scorrimenti
e/o rotazioni in seguito al superamento della resistenza iniziale di picco fino al
cessare dell’azione tagliante. In tutto ciò occorre tener presente anche la
resistenza meccanica degli inerti stessi; se le forze (S) sono tali da generare stati
tenso-deformativi che superino in un qualsiasi punto, le risorse di resistenza del
materiale costituente l’aggregato, allora non si verifica più lo scavalcamento
dell’inerte, ma la sua rottura.
A conclusione di questo punto a) si vuole cercare di rispondere all’interrogativo
inerente il comportamento di insieme dello strato superiore in relazione
all’ingranamento.
Esistono diverse teorie a riguardo, molte delle quali mutuate dagli studi
geotecnici sul comportamento a taglio delle terre granulari. In realtà, queste
teorie osservano il comportamento volumetrico del materiale nel suo complesso,
soprattutto nei riguardi del noto fenomeno della dilatanza indotta dagli sforzi di
taglio. Come descritto dalla teoria geotecnica di Rowe P.W. (1962) [89], che
come tale non fa riferimento alla presenza di bitume, il termine dilatanza
descrive il fenomeno per il quale si producono deformazioni volumetriche
negative (ossia con aumento di volume) in un campione granulare sottoposto a
tensioni di taglio. Rowe derivò, per mezzo di principi energetici, una relazione
tra il rapporto tensionale agente sul campione e la dilatanza misurata, per un
pacchetto regolare di sfere o di cilindri. Le ipotesi erano essenzialmente quella
di scorrimento reciproco tra le particelle a contatto sul piano di taglio e quella
per cui le particelle si muovessero secondo una direzione fissa formante un certo
angolo con tale piano. Ottenne una relazione, valida per test con scatole di taglio
o celle triassiali, comunemente impiegata come legge di flusso nella teoria della

57
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

plasticità. In figura 2.11 è riportata la rappresentazione schematica della


relazione di Rowe.

Figura 2.11: Relazione di dilatanza secondo Rowe.

Tuttavia, negli studi di Rowe non era contemplata la presenza di bitume a


limitare notevolmente il moto reciproco tra i grani ed a modificarne i parametri
attritivi. Secondo Collop A.C. et al. [80], invece, tenendo conto della presenza
del legante bituminoso, è possibile caratterizzare con un modello abbastanza
semplice il comportamento attritivo e dilatante misurato su campioni bituminosi
doppio strato sottoposti a taglio. Egli richiama dapprima i due aspetti dominanti
che si manifestano nelle prove geotecniche di taglio su materiali granulari non
legati: la resistenza per attrito, dipendente dalla caratteristiche superficiali degli
inerti e l’ingranamento tra le particelle, il quale richiede lo sviluppo di un certo
lavoro di taglio, che comporta un aumento di volume durante la prova.
Quest’ultimo è, come visto, generalmente identificato come rapporto di
dilatanza ed è dovuto principalmente al vincolamento cinematico nella

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

deformazione, offerto dalle particelle stesse e dalla rigidezza del loro materiale.
Nel caso del collegamento tra strati bituminosi, quest’ultimo meccanismo sarà
comunque presente, determinando la dilatanza dello strato superiore mentre vi si
impongono spostamenti orizzontali. Anche un meccanismo analogo a quello
attritivo è presente e, secondo Collop, è identificabile dalla rigidezza di contatto
fornita dai leganti bituminosi presenti. Di conseguenza, la relazione tra tensioni
di taglio e spostamenti all’interfaccia tra gli strati dipenderà da ambedue i fattori
sopra descritti. Quanto affermato può essere rappresentato attraverso la
schematizzazione del contatto tra due particelle analogamente a quanto visto in
precedenza. In figura 2.12 il contatto è schematizzato come puntuale e la forza
(P) applicata all’aggregato non vincolato è generica ed orizzontale. Lo
spostamento di tale aggregato, tuttavia, non è orizzontale, ma è lungo la
direzione tangente al contatto.

ϑ b

Figura 2.12: Schematizzazione del contatto tra inerti secondo Collop.

L’angolo (ϑ) può essere considerato come il rapporto di dilatanza (K) per cui (K
= tanϑ). Assumendo che lo spostamento normale tra le particelle sia contrastato

59
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

da una rigidezza normale di contatto (kn) e che lo spostamento tangenziale tra le


particelle sia contrastato da una rigidezza tangenziale di contatto (ks), si può
dimostrare che la rigidezza orizzontale effettiva del sistema (keff) è data dalla
relazione:

(1 + K2) ks
keff =
1 + K2 (ks / kn)

Dunque, la rigidezza orizzontale effettiva del sistema dipende sia dalla rigidezza
del collegamento al contatto, sia dall’angolo di dilatanza dovuto al vincolamento
cinematico. Se si assume che la rigidezza (kn) sia molto superiore a quella
tangenziale, l’espressione si riduce alla:

2
keff = (1 + K ) ks

Avendo Collop ottenuto sperimentalmente per i medesimi materiali, ma


condizioni differenti del collegamento all’interfaccia, un valore costante di (keff),
ovvero tangente iniziale delle curve di rottura pressoché costante, implica che il
secondo membro sia costante, ossia che ((1 + K2) ks) sia costante. Essendo i
materiali di interfaccia invariati nei provini a diverso grado di collegamento, si
può ritenere che le condizioni di dilatanza non varino significativamente, per cui
(K) è costante; ciò comporta, per quanto visto sopra, che anche (ks) lo sia.
Collop conclude così giustificando i risultati ottenuti per cui: il fatto che
condizioni differenti di collegamento mostrino differenti resistenze al taglio
(associate a diversi spostamenti a taglio), ma una simile rigidezza orizzontale
effettiva, significa che la resistenza al taglio del contatto varia dipendendo dalle
condizioni di collegamento dovute ai bitumi. Quanto esposto appare
ragionevole, essendo plausibile che un quantitativo corretto di mano d’attacco

60
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

comporti una migliore adesione se paragonata a quella di una interfaccia


contaminata da detriti, con o senza l’applicazione dell’emulsione.
L’analisi proposta nello studio descritto descrive una situazione teorica; nella
realtà, le condizioni all’interfaccia tra materiali adiacenti sono
considerevolmente più complesse. Tuttavia, il semplice modello visto, illustra
come gli effetti combinati di dilatanza (dovuta allo scheletro litico) e rigidezza
di adesione (dovuta all’adesione dei leganti tra gli strati) contribuiscano, con
tutta probabilità, al comportamento complessivo a taglio di una interfaccia.

2.3.3 Fattori b) e c): adesione e coesione dei bitumi nei conglomerati


Nel punto a) si sono chiamati in causa i concetti di adesione e coesione, con
riferimento alle proprietà leganti del bitume all’interno della miscela di un
conglomerato bituminoso. In figura 2.9 tali due aspetti sono stati rappresentati
come separati, anche se in realtà essi agiscono contemporaneamente nel
conferire resistenza meccanica al conglomerato cui il legante appartiene. Per tale
motivo, vengono qui presi in considerazione come un unico fattore nella
descrizione del loro contributo alla caratterizzazione del collegamento tra gli
strati bituminosi della pavimentazione, ma trattati separatamente perché, distinti,
sono i parametri che li governano.
Dal sito internet della società petrolifera Nynas [117]si riportano le definizioni
fornite per le proprietà dei bitumi per uso stradale, tra le quali:
“Adhesion”: this property refers to the ability of bitumen to adhere or bond to
aggregate.
“Cohesion”: this property refers to the strength of the bitumen and its ability to
bond together two or more individual materials.
Essendo adesione e coesione proprietà del bitume facente parte della miscela, è
opportuno ricordare innanzitutto, quali sono mediamente, i quantitativi di
legante presenti in un conglomerato e quali spessori possono avere i film di

61
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

bitume che ricoprono gli aggregati. Esprimendo in valore percentuale il peso di


bitume impiegato per miscele bituminose superficiali di usura, riferendolo al
peso complessivo dei soli aggregati, si rammentano quantità di legante comprese
tra il 4.5% ed il 7.5% in relazione al tipo di miscela prodotta, ovvero alla sua
granulometria ed alla superficie specifica degli inerti da ricoprire. Nel caso di
conglomerati per strati di collegamento, generalmente più grossolani, i
quantitativi si riducono di circa un punto percentuale a seconda della riduzione
in superficie specifica. Per conglomerati particolari come quelli drenanti e quelli
tipo Stone Mastic Asphalt (SMA) i quantitativi ed il tipo di bitume variano
notevolmente ed in genere il bitume è modificato.
Per quanto riguarda gli spessori del film bituminoso che ricopre gli inerti, la
trattazione è assai complessa. Studi più o meno recenti [70] hanno dimostrato
che l’ordine di grandezza dello spessore di bitume che mediamente ricopre gli
aggregati in un conglomerato bituminoso è pari a 0.1 - 0.3 mm. Tuttavia,
osservando la figura 2.9, ci si rende conto della caoticità della distribuzione delle
fasi all’interno di un conglomerato. Sono presenti aggregati grossolani a contatto
con altri aggregati grossolani e/o con aggregati molto più piccoli, avvolti da un
mastice di bitume e inerti fini che occlude gli interstizi tra i grani riducendo la
porosità del conglomerato. In figura, è arduo distinguere dove finisca l’inerte e
dove inizi il bitume, soprattutto per gli aggregati più piccoli. In diversi punti è
inoltre difficile, se non impossibile, individuare il bitume al contatto tra due
inerti, tanto che l’affermazione di Thom N.H. et al [77] circa l’effettivo spessore
di bitume presente tra due aggregati ravvicinati e compressi tra loro, appare
alquanto sensata e va tenuta in considerazione anche per quanto detto al punto a)
circa l’ingranamento. Thom giudica assurdo ritenere che lo spessore del film di
bitume che ricopre gli inerti in un conglomerato bituminoso appena miscelato e
non ancora posato, permanga tale anche dopo la sua compattazione in opera. In
effetti, con una semplice considerazione sugli stati tensionali all’interno della

62
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

pavimentazione, egli fornisce una valida spiegazione. Ad esempio, anche


sottoposto ad una tensione di un solo KPa, un aggregato del diametro di 10 mm
si sposterà di almeno 8 microns al secondo all’interno di un bitume di viscosità
pari a 106 Pa.·s, che corrisponde circa ad una temperatura di 20°C; è plausibile
che un certo numero di molecole di bitume restino comunque incluse nell’area
di contatto, ma appare abbastanza logico ritenere che si verifichino contatti
diretti aggregato-aggregato e che il legante od il mastice di legante sia spinto
negli interstizi vuoti che si riempiono parzialmente.

- Occorre ora prendere in esame il concetto di adesione tra bitume ed aggregati


appartenenti al medesimo conglomerato bituminoso che, come tale, risulta
essere un cosiddetto materiale composito. Col termine adesione si esprime non
soltanto il fenomeno chimico-fisico col quale bitume ed inerte si legano tra loro
durante il confezionamento del conglomerato, ma anche il contributo offerto al
materiale finale dall’entità di tale legame, in termini di resistenza meccanica; in
seguito verranno descritte anche alcune prove di laboratorio atte a quantificarne
il valore.
Per comprendere la natura dell’adesione tra bitume ed inerte è opportuno rifarsi
ad alcune nozioni generali sulla Teoria dell’Adesione tra due fasi condensate. Il
livello di risoluzione con il quale osservare il fenomeno, infatti, si spinge
certamente oltre quello comunemente impiegato nelle tradizionali prove di
laboratorio, nelle quali si valutano i conglomerati nel loro insieme sotto forma di
provini di varie dimensioni, fino ad arrivare a studiare l’energia superficiale (o
tensione superficiale per un corpo isotropo) e le caratteristiche chimiche della
superficie degli aggregati minerali, per valutarne le capacità di adesione coi
bitumi.
Per sottolineare l’importanza che la superficie di un materiale ha nei confronti,
ad esempio, delle caratteristiche di resistenza meccanica del corpo che

63
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

racchiude, DiBenedetto A.T. [87], in un interessante lavoro sponsorizzato dal


“Comitee on Effects of Natural Elements and Chemicals on Bitumen Aggregate
Combinations”, illustra un semplice caso. Si vuole dimostrare che la resistenza a
trazione di un solido elastico fragile, dove il limite teorico di resistenza dipende
dall’energia necessaria a produrre una superficie fratturata, dipende dalla
tensione superficiale del materiale. Si prenda in esame una lamina di spessore
unitario di tale materiale sottoposta ad uno stato tensionale piano e con una
piccola frattura, così come schematizzata in figura 2.13. Secondo la teoria di
Griffith, la resistenza a trazione della lamina con piccola microfrattura, è
determinata dalle condizioni che permettono alla frattura di propagarsi lungo
tutta la sezione trasversale del materiale.

M M

2l

Figura 2.13: Esempio dell’importanza dell’Energia di superficie.

Il criterio di Griffith per l’instabilità della frattura, vuole che la essa divenga
instabile e che il materiale pervenga a rottura, quando l’Energia libera (G) del
materiale si riduce con la dimensione della frattura, ossia quando:

dG
≤0
dl

Mentre la frattura cresce, viene rilasciata Energia di Deformazione (Ge) ed si


rende necessaria Energia di Superficie (Gs) per formare la nuova superficie:

64
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

( π l2 σ 2 )
Ge = e Gs = (4 l γ)
E

dove (σ) è la tensione esterna, (E) è il modulo di Young e (γ) è l’Energia di


Superficie per unità di superficie. Da ciò segue che il criterio di Griffith per la
frattura in stati tensionali piani risulta:

d ( 2π l σ2 )
(Ge + Gs) = +4γ ≤0
dl E

Per cui la tensione teorica di rottura è data da:

1/2
σr = ( 2Eγ
πl
)
Tale espressione mostra come la resistenza a trazione della lamina sia
dipendente dalla Energia di Superficie del solido (γ), dal modulo di Young (E) e
dalla dimensione iniziale della microfrattura.
L’esempio descritto per il caso di un elemento monomaterico fa comprendere
come si accresca l’importanza della superficie di un materiale e delle Energie ad
essa associate, nel caso di sistemi a materiali compositi quali, ad esempio, i
conglomerati bituminosi. In questi, infatti, il comportamento del sistema dipende
fortemente dalla natura delle interfacce tra matrice e riempitivo, ovvero tra
aggregato e legante. Resistenza a trazione, tenacia delle fratture, resistenza
chimica e modulo elastico, ad esempio, dipendono tutti dal grado di adesione tra
le fasi. Il grado di adesione è a sua volta controllato da un certo numero di fattori
fisici e chimici. Tra i primi compaiono, l’area di superficie, la rugosità
superficiale, il grado di bagnabilità, la differenza in modulo elastico e di
coefficiente di Poisson ed anche la differenza nei coefficienti di espansione
termica. Tra i secondi compaiono le differenze in termini di energie di coesione,

65
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

le polarità, le energie di superficie, le solubilità relative e le suscettività al


calore, all’ossidazione e all’idrolisi. In definitiva, la resistenza di una interfaccia
dipenderà in maniera assai complessa da una combinazione dei fattori teste
descritti.
Nello stesso lavoro DiBenedetto propone una interessante schematizzazione
della resistenza del collegamento adesivo tra una fase liquida in solidificazione
ed una solida. Si può ritenere che esista una determinata condizione di
collegamento adesivo massimo sviluppabile sotto condizioni ideali di contatto
molecolare perfetto come mostrato in figura 2.14. La perdita di resistenza
primaria è dovuta alla rottura delle molecole nel raggiungere la loro propria
distanza di collegamento pari a pochi Angstrom (Å). Ciò è visualizzabile tramite
un microvuoto all’interfaccia in grado, in seguito, di concentrare le tensioni e
causare rotture premature.

Perdita di resistenza
dovuta alla carenza di
contatto molecolare Liquido
Resistenza
Vuoto
adesiva
massima
teorica Solido

Resistenza Perdita di resistenza


adesiva dovuta a tensioni residue
Inerente
Resistenza residua

Figura 2.14: Fattori che influenzano la resistenza del collegamento adesivo.

66
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Una seconda perdita in resistenza deriva dallo sviluppo di tensioni residue


all’interfaccia. Normalmente, il legante viene applicato in uno stato fluido e poi
solidifica per raffreddamento o per reazione chimica o per entrambe. Questo
fatto causa inevitabilmente, differenze in termini di contrazioni ai confini delle
fasi, da cui si verificano concentrazioni tensionali indesiderate. La resistenza
residua netta del collegamento adesivo appare dunque, essere una piccola parte
di quella teoricamente esplicabile, talvolta anche inferiore all’unità percentuale.
Esistono svariate teorie e meccanismi per descrivere l’adesione tra materiali
diversi in un sistema composito. Se ne passano in rassegna alcuni che, sebbene
si sovrappongano per certi aspetti, possono essere considerati cronologicamente
ordinati in relazione alla tempistica con la quale si verificano, in misura più o
meno accentuata, nel fenomeno dell’adesione bitume-aggregato [86].
1) Teoria dell’adsorbimento:
essa può essere applicata alla maggior parte dei fenomeni di adesione ed
adsorbimento di liquidi su solidi; descrive il concetto della bagnabilità del solido
e si basa sulla misura dell’angolo di contatto tra le due fasi. Comprendendo
anche la presenza di aria come terza fase del sistema, si analizzano allora le
proprietà delle interfacce in corrispondenza della cosiddetta “giunzione tripla”.
Quando una goccia di liquido, ad esempio bitume, si trova a contatto con solido,
ad esempio un aggregato, resta stazionaria o si spande a seconda dell’angolo di
contatto che si forma. La figura 2.15 mostra esempi di tali due casi.

A
A
L
θ L θ

S S

Buona bagnabilità Scarsa bagnabilità

Figura 2.15: Bagnabilità nella teoria dell’adsorbimento.

67
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Scrivendo la condizione di equilibrio delle tensioni superficiali per la giunzione


tripla considerata si ha che:

γSV = γSL + γLV cos (θ )

Da quest’ultima è possibile definire i limiti per la condizione di assoluta non


bagnabilità ed per quella di bagnabilità spontanea.
Se:
γSV ≥ γSL + γLV

con (θ ) = 0°, si verifica la bagnabilità spontanea.


Se:
γSL ≥ γSV + γLV

con (θ ) = 180°, si ha che (L) non può bagnare (S) in nessun modo.
Nella realtà, solitamente si verifica un caso intermedio a quelli visti. Se la goccia
si spande e la superficie del solido è bagnata correttamente è probabile che
l’adesione successiva tra le due fasi sia alta. D’altra parte un aggregato non
ricoperto completamente di bitume è indice di scarsa bagnabilità e
conseguentemente, di scarsa adesione. Ecco che la corretta bagnabilità del
liquido sul solido costituisce il primo passo verso l’adesione.
La bagnabilità, infine, è ottimale quando la superficie è libera da contaminazioni
(γSV è massimo), quando il legante è affine al substrato (γSL è piccolo) mostrando
una bassa tensione interfacciale, oppure quando la tensione superficiale
dell’adesivo è bassa (γLV è piccola). La rugosità superficiale di (S) modifica la
bagnabilità in quanto il fluido deve muoversi sulle asperità. In corrispondenza di
una superficie inclinata crescente, la bagnabilità è probabilmente ostacolata,
mentre nella decrescente è aiutata. Molto importante è poi la possibilità che
l’aria resti intrappolata sotto il fluido che si spande, in quanto vengono mutati gli
angoli di contatto. Non esiste un modo di predire i soli effetti della rugosità, ma

68
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Wenzel ha suggerito che l’angolo di contatto di equilibrio per una superficie


rugosa sia dato da:

γSV - γSL
cos (θ) = r
γLV

dove (r) è il rapporto tra l’area della reale superficie e l’area media piana. Tale
espressione suggerisce che, se (θ) è inferiore a 90°, la bagnabilità è favorita dalla
rugosità, mentre se è superiore a 90° è ostacolata.
Da punto di vista chimico la bagnabilità è condizionata dalle forze di attrazione
tra gli elementi delle superfici. Le forze chimiche possono essere deboli (Forze
di Van der Waals) o da moderatamente forti a deboli (interazioni dipolo-dipolo).

2) Teoria dell’ingranamento meccanico:


dopo una rapida azione bagnante, il liquido passa a riempire i microvuoti
presenti sulla superficie del solido. Il liquido deve bagnare i passaggi capillari in
modo da allontanare l’aria presente nei pori. Per un poro cilindrico aperto di
diametro (d), la profondità di penetrazione è pari a:

cos(θ) γLV d t

dove (t) è il tempo e (η) la viscosità. Per cui, quando (θ) tende a 90°, (r) tende a
zero ed (η) tende all’infinito, occorre un tempo molto lungo per riempire il poro.
Se il poro è chiuso ad una estremità, l’aria viene compressa ed intrappolata
all’interfaccia.
A contatto con l’aria o per reazione chimica diversa, il liquido inizia a
solidificare costituendo in tale modo un ingranamento meccanico tra le fasi. Tale
ingranamento combina la resistenza coesiva di ambedue i solidi, a formare una
interfaccia che agisce come un materiale composito, con proprietà intermedie tra

69
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

quelle dei due materiali adiacenti. Esso, quindi, costituisce un meccanismo


chiave dell’adesione e può spiegare l’ottima resistenza di taluni collegamenti
all’aggressione dell’acqua. Se poi interviene anche un legame chimico tra i
materiali come descritto in seguito, allora si crea un collegamento ancora più
resistente. Come visto, il riempimento delle porosità ed il conseguente
ingranamento sono fortemente dipendenti dalla viscosità del liquido in relazione
alla sua temperatura. Il tasso di raffreddamento e solidificazione del legante,
ossia il tasso di aumento della viscosità dopo la posa, può pertanto avere un
effetto significativo sull’adesione successiva.
Esiste anche una certa resistenza attritiva che si sviluppa tra superficie delle
porosità ed il legante solidificato in esse incluso; tale resistenza è dovuta in
genere alla differenza di dilatazione termica dei due materiali la quale comporta
sforzi di compressione all’interno dell’inclusione e pertanto anche una elevata
“adesione attritiva”.

3) Teoria della diffusione:


tale teoria descrive l’adesione di materiali a matrice gommosa e fortemente
viscosi. Essa afferma che il collegamento è il risultato del concatenamento di
lunghe catene composte attraverso la superficie, dopo che i materiali si sono
inter-diffusi l’uno nell’altro. Tale teoria, analoga concettualmente alla
precedente, è indicata soprattutto nello studio dell’interazione tra bitumi diversi,
quali ad esempio quello della mano d’attacco e quello del conglomerato
sottostante o soprastante.

4) Teoria del legame chimico:


in accordo a tale teoria una reazione chimica tra i due materiali a contatto è
responsabile dell’adesione. Tale reazione produce un legame che non può essere
rotto senza danneggiare il volume di uno dei due materiali collegati,

70
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

generalmente il più debole. Per favorire il legame chimico spesso è conveniente


l’uso di cosiddetti primer di adesione che debbono dapprima reagire con
l’aggregato attivandolo chimicamente e successivamente con il legante
applicato. I legami chimici possono essere classificati come primari e secondari.
I primari presentano generalmente energie di legame dell’ordine delle 30-100 k-
cal/g-mole, con distanze interatomiche di 1-3 Å. Questo comporta resistenze
teoriche dell’ordine dei 106-107 psi. I secondari, o di Van der Waals, presentano
generalmente energie di legame dell’ordine delle 0.5-10 k-cal/g-mole, con
distanze interatomiche di 3-5 Å. Questo comporta resistenze teoriche dell’ordine
dei 105-106 psi, ossia di un ordine di grandezza più deboli delle precedenti.

5) Teoria acido-base:
in accordo a tale teoria, l’adesione deriva dall’attrazione polare di acidi e basi di
Lewis, ossia elementi poveri ed elementi ricchi dei elettroni all’interfaccia. Le
interazioni acido-base sono di notevole importanza nell’adesione dei materiali
bituminosi in generale e delle emulsioni in particolare, in quanto controllano la
loro compatibilità con l’aggregato e possono assicurare la bagnabilità della
superficie. Nel caso di una emulsione cationica, ad esempio, essa romperà a
contatto con aggregati caricati negativamente.
In genere, gli aggregati si dividono in acidi-idrofili e basici-idrofobi. Gli acidi
sono principalmente costituiti da quarzo (ossia SiO2 oltre il 65%) e sono
caratterizzati da proprietà che sono critiche per l’adesione; mentre i basici sono
costituiti principalmente da calcite (CaCO3) (SiO2 inferiore al 40%) e sono
caratterizzati da proprietà non critiche per l’adesione [30]. In effetti, ciò è
giustificabile osservando che le superfici degli aggregati minerali, hanno energie
elettriche differenti, in relazione al carattere dipolare delle corrispondenti
petrografie ed in base a tali energie esercitano un adsorbimento diretto sulle altre
molecole aventi anch’esse carattere dipolare. Ecco che, presentando gli

71
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

aggregati acidi spiccate caratteristiche dipolari rispetto a quelli basici, essi


adsorbiranno più sensibilmente l’acqua, nota per la sua dipolarità. D’altro canto,
avendo il bitume una carattere dipolare praticamente nullo, esso adsorbirà con
più facilità su aggregati minerali basici (Becker 1953). In seguito, tuttavia, si
vedrà come la polarità non è dipendente soltanto dalla natura petrografia degli
inerti, ma anche dalla loro attività superficiale.
Infine, va detto che questo tipo di adesione è seconda come tenacità soltanto ai
legami chimici ed ha il vantaggio che può essere ottenuta anche senza fare
ricorso a primer od attivanti di adesione chimici.

6) Teoria del confine debole:


questa teoria non spiega perché un materiale aderisce ad un altro, ma al
contrario, il motivo per cui non si collegano. Essa suggerisce che la rottura
avviene sempre in corrispondenza del collegamento più debole che si ha
all’interfaccia tra materiali. Nei legami bitume-inerti, un punto di debolezza può
essere costituito da una superficie del solido contaminata o degradata o troppo
porosa. Tali “difetti” possono essere luogo preferenziale di rotture e talvolta
possono anche essere attribuiti alle lavorazioni di cantiere: la rottura degli
aggregati più superficiali in fase di compattazione, pur se ricoperti di bitume,
può infatti indurre un loro distacco prematuro.

In un interessante lavoro proposto alla 9th International Conference on Asphalt


Pavement (ISAP) tenutasi a Copenhagen nell’agosto 2002, Harders O. e Noesler
I. [71], prendono in esame alcune delle teorie di adesione sopra citate, in
relazione allo stato dell’Energia Superficiale che gli aggregati hanno al
momento della loro miscelazione col legante bituminoso. Si è osservato che
l’Energia di superficie di aggregati appena frantumati varia nel tempo per via
della riorganizzazione delle polarità e dell’assorbimento superficiale di acqua e

72
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

polvere. Tale processo richiede alcuni mesi per stabilizzarsi ad un valore


minimo. Se si considera che gli inerti possono permanere anche a lungo nei
volumi di stoccaggio dell’impianto di produzione di conglomerato, e che la loro
Energia superficiale è diretta responsabile della compatibilità adesiva col legante
bituminoso, si comprende come sia necessario conoscere preventivamente lo
stato delle effettive condizioni energetiche superficiali, non solo per il
confezionamento dei conglomerati a caldo, ma anche per le applicazioni con
leganti bituminosi in emulsione.
A proposito della teoria dell’adesione acido-base, si è già fatto cenno alla
dipendenza del carattere polare degli inerti non solo dalla loro petrografia, ma
anche dalla loro attività superficiale a sua volta legata alla energia. Con
riferimento a quanto visto, in base ai tempi di stoccaggio dei minerali dopo la
loro frantumazione, ne conseguono differenti affinità polari con i leganti nel
tempo. Jostein ha provato che l’attività superficiale degli aggregati è più spiccata
subito dopo la loro frantumazione; dopo circa 120 giorni viene poi raggiunto un
minimo valore di attività. Essendo l’adesione dipendente dall’attività
superficiale degli aggregati, ne consegue che, tempi di stoccaggio differenti
comportano differenti gradi di adesione per uno stesso tipo di minerale. Tale
ultima affermazione è rilevante soprattutto con riferimento alla durabilità dei
conglomerati bituminosi in opera.
Secondo Noesler, dunque, la scelta degli aggregati ha molta più importanza
sull’adesione della scelta del bitume [53][54].

A conclusione di questa descrizione circa l’importanza per la resistenza dei


conglomerati bituminosi, del fattore adesione tra bitume ed aggregati nelle
miscele, si riportano brevemente alcuni studi scientifici condotti al fine di
sviluppare prove e metodologie di laboratorio atte a quantificare
sistematicamente tale adesione.

73
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

In molti paesi esistono norme riguardanti prove di adesione; tuttavia, non esiste
ancora una procedura di prova standardizzata affidabile e significativa con la
quale si possa quantificare sistematicamente ed oggettivamente l’influenza
dell’adesione sul collegamento con gli inerti. Nelle prove esistenti viene valutata
l’interazione esistente tra bitume ed aggregati al fine di aumentare l’adesione; in
sostanza, le caratteristiche fisiche e chimiche dei due componenti sono valutate
per massimizzare i fenomeni di assorbimento ed adsorbimento del bitume
sull’inerte per ottenere appunto una migliore adesione. In tale modo, il
collegamento tra le fasi risulta forte e le probabilità di esfoliazioni e
distaccamenti di aggregati in presenza di acque viene minimizzata. Ecco che,
molti dei test di adesione esistenti, valutano lo scadimento delle proprietà
meccaniche delle miscele bituminose in seguito al contatto con acqua; i provini
vengono testati prima e dopo l’immersione in acqua per un certo lasso di tempo
ed il rapporto tra i risultati ottenuti nei due casi determina la bontà dell’adesione.
Altri test, tra i quali il famoso Net Adsorption Test consistono nel valutare
l’adesione del bitume misurandone la dispersione in acqua; viene misurata la
quantità di bitume rimossa dagli inerti dopo l’immersione in acqua, ovviamente
meno essa è migliori sono ritenuti assorbimento ed adsorbimento e di
conseguenza anche l’adesione. In ambedue i tipi di prove descritti, lo scopo è
quello di valutare il collegamento tra bitume ed inerti per evitare che esso si
rompa. Tra i test dei tipi di cui sopra si ricordano quelli messi a punto da alcuni
noti ricercatori. Ingo Noesler [54] impiega il metodo seguente per misurare la
resistenza dell’adesione. Dal raffronto tra i valori di Modulo di Rigidezza
Dinamico a Trazione Indiretta (ITSM) misurati su provini Marshall a 25°, prima
e dopo la loro immersione in acqua, si è in grado di stimare la tenacia
dell’adesione tra bitume ed aggregati. Se la differenza tra i Moduli ITSM è
superiore al 30%, si può ritenere che l’adesione sia poco resistente e viene
suggerito il cambio di tipo di inerti, oppure l’impiego di attivanti di adesione o

74
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

di bitumi modificati. Woodside A.R. [29] invece, propongono l’uso accoppiato


del Net Adsorption Test e della Prova Cantabro, per osservare in quale modo i
risultati ottenibili varino al modificare di talune caratteristiche della miscela
bituminosa quali, ad esempio, la natura litologica degli inerti. Dallo studio
condotto gli autori hanno concluso che maggior lavoro sulle stime impiegate in
tali due metodi possono comprovarne l’efficacia nella previsione della
prestazione in opera dei materiali. Essi ritengono che i due test possano essere
economicamente impiegati per fornire una indicazione preventiva dei problemi
che si potranno verificare nella vita utile della pavimentazione. Tali metodi
possono infatti suggerire al progettista di utilizzare materiali alternativi quali
primer ed attivanti di adesione per migliorare la qualità adesiva ed aumentare la
probabile prestazione in opera. Una interessante modifica ad una metodologia
oramai consolidata è stata proposta da Scholz e Brown (1996) che hanno
sviluppato una variante del Reometro Dinamico a Taglio (DSR) inserendo
porzioni di aggregato minerale tra i piatti di prova. In tale modo le proprietà
reologiche dei bitumi sono state misurate a diretto contatto con gli aggregati ed
in presenza di acqua. Pais, Silva e Pereira [64][65] hanno messo a punto un test
che simula il comportamento del materiale bituminoso sottoposto a sforzi di
trazione o taglio crescenti fino ad indurre la rottura del legame tra aggregato e
mastice. I provini hanno forma prismatica e comprendono una singola grande
porzione di aggregato tra due strati interamente di mastice. L’efficienza del loro
legame viene valutata in base allo sforzo a rottura necessario e dalla forma della
superficie di rottura.
Infine, si riporta sommariamente il testo introduttivo della norma Europea CEN
prEN 12697-11 del 1999 [103] per la determinazione della compatibilità tra
aggregati e bitumi. Tale compatibilità, espressa dal grado di ricoprimento di
bitume (in %) determinato visivamente su aggregati pre-ricoperti e sottoposti a
mescolamento meccanico in acqua, esprime la perdita di adesione su miscele

75
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

bituminose non compattate. Tale metodo può essere impiegato per valutare gli
effetti dell’umidità sulle miscele con o senza la presenza di attivanti di adesione
sia liquidi (ammine), sia minerali (calce o cemento).

- La seconda proprietà del bitume che conferisce resistenza al conglomerato di


appartenenza, è la cosiddetta coesione. Essa corrisponde alla capacità che il
bitume ha, in termini di resistenza meccanica, di mantenere intatto il
conglomerato bituminoso legando tra loro gli elementi litici che lo formano. In
pratica, rappresenta il potere legante del bitume ipotizzando che esso sia
perfettamente aderente agli aggregati che circonda ed è pertanto identificabile
con la resistenza meccanica del legante stesso. A differenza dell’adesione
dunque, la coesione è una caratteristica da riferirsi unicamente al bitume e non
al sistema comprendente anche l’inerte. Le sollecitazioni cui il legante è
sottoposto all’interno della miscela sono quelle in parte descritte al punto a) con
riferimento al comportamento di due inerti a contatto, di cui uno sottoposto ad
una forza esterna. In realtà, si preferisce parlare di coesione del mastice di
bitume, ossia del sistema resistente che il legante forma in seguito alla
miscelazione con le frazioni finissime (fillers) della curva granulometrica. Ecco
che, ad avvolgere lo scheletro litico grossolano del conglomerato, non è più
soltanto il legante bituminoso, ma è un mastice, generalmente più rigido e
viscoso avente proprietà fisico-meccaniche differenti, a seconda del tipo di filler
impiegato, da quelle del solo bitume. Di quest’ultimo tuttavia, mantiene la
spiccata sensibilità alla temperatura ed alla velocità di applicazione dei carichi.
L’importanza della coesione del bitume nella resistenza dei conglomerati
bituminosi in opera è legata soprattutto al fenomeno della fatica. La fatica dei
conglomerati bituminosi è, come noto, uno dei principali meccanismi di degrado
delle pavimentazioni stradali e, conseguentemente, la valutazione del
comportamento a fatica si trova alla base dei comuni metodi di progettazione

76
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

delle sovrastrutture. L’analisi ravvicinata di carote prelevate da pavimentazioni


degradate per fatica o l’ispezione di provini di laboratorio sottoposti a fatica,
mostrano che le fratture nel conglomerato avvengono principalmente nel volume
del film di bitume o, per meglio dire, di mastice. Alcune ricerche hanno
dimostrato peraltro che, la natura e l’origine del bitume per una prefissata
miscela bituminosa, ha un basilare effetto sul suo comportamento a fatica in
laboratorio (Moutier). Diviene quindi assai importante valutare il contributo del
bitume stesso alla resistenza a fatica dei conglomerati bituminosi, in relazione
sia al suo comportamento alla frattura, sia alla sua capacità auto-riparante
(healing effect) [70].
Prima di analizzare, per mezzo di alcune considerazioni teoriche e della
descrizione di un’interessante sperimentazione condotta negli ultimi anni presso
il Laboratoire Central des Ponts et Chaussées, dove ed in quale modo si esplica
la coesione del bitume all’interno di un conglomerato, è bene ricordare
brevemente da cosa essa può dipendere. Trattandosi di materiale bituminoso è
immediato ricondursi alla temperatura ed alla velocità di applicazione dei
carichi, nonché alla loro frequenza. Il comportamento elasto-plastico-viscoso del
bitume e, quindi, del mastice da esso ottenuto è notoriamente dipendente da
questi fattori, basti solamente pensare alla fragilità che il legante può mostrare
alle basse temperature. Svariati sono in letteratura gli studi scientifici che
dimostrano, qualificano e quantificano le dipendenze sopra citate; tuttavia, non è
compito del presente lavoro descriverle, se non in relazione alla capacità di auto-
riparazione che i materiali bituminosi hanno proprio per via di quelle.
Prendendo nuovamente in considerazione la schematizzazione teorica del
contatto aggregato-aggregato di figura 2.10 si vuole ora analizzare ciò che può
accadere al bitume od al mastice bituminoso nell’intorno del punto o dell’areola
di contatto, quando sul sistema intervengono le sollecitazioni descritte in
precedenza. Assumendo che, secondo quanto asserito da Thom [77], il film di

77
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

bitume tra le particelle sia ridotto a poche molecole, il contatto diretto tra gli
inerti costituisce una singolarità per la quale, se si verifica un qualsiasi
movimento relativo tra le particelle, sia esso di scorrimento, rotazione o
separazione (supponendo la loro rigidezza non paragonabile a quella del
mastice), si produce uno stato tenso-deformativo infinito nel bitume adiacente.
Per spiegare ciò, occorre ammettere che, nell’intorno del punto di contatto, il
bitume si fratturi immediatamente e che, la microscopica frattura determini una
subitanea riduzione di rigidezza dopo la prima somministrazione di carico ed
inoltre, che la stessa rigidezza, si riduca ulteriormente ad ogni successiva
applicazione, mentre la frattura si propaga. La figura 2.16 mostra lo schema
ravvicinato del contatto tra inerti e la frattura nel bitume secondo Thom.

Figura 2.16: Sviluppo di una frattura al contatto tra aggregati.

Una tale situazione mostrerà una frattura che cresce molto rapidamente durante
le prime applicazioni di carico, ma che poi rallenta nel raggiungere spessori
maggiori di bitume dove le deformazioni sono inferiori. In generale, in
corrispondenza di ciascun contatto dove avviene un movimento relativo tra gli
elementi litici sotto carico, questo indurrà uno stato tensionale nel bitume
adiacente; dove le particelle tendono a separarsi, le sollecitazioni dovranno
essere interamente assorbite dalle tensioni di trazione nel bitume; dove si
manifesta scorrimento o rotazione, vi sarà una azione addizionale dovuta
all’attrito inter-particellare (si veda il punto a)).

78
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

A supporto di quanto detto, Thom riporta l’osservazione che, nella procedura


standardizzata della prova per la determinazione del Modulo di Rigidezza
dinamico a Trazione Indiretta (ITSM), solitamente si misurano valori di modulo
che vanno riducendosi dopo i cinque colpi normalizzati (spesso di più del 10%)
ed in particolar modo successivamente alla prima applicazione di carico.
Analogamente la figura 2.17 riporta l’andamento di una prova di fatica a due
punti su trave trapezoidale. Dal grafico si evince come la rigidezza si riduca col
numero di applicazioni e, sebbene parte di tale riduzione sia da attribuirsi
all’aumento di temperatura nel materiale durante il test (analisi termometriche
suggeriscono che tale variazione è comunque esigua), si può ritenere valido
l’approccio teorico proposto, secondo il quale nel legante prossimo al contatto
tra le particelle si ha lo sviluppo crescente di microfratture.
Rigidezza Relativa

Numero di Applicazioni di Carico

Figura 2.17: Calo della Rigidezza durante un test a fatica su campione trapezoidale.

Si è parlato dell’importanza del tipo di bitume nella caratterizzazione del


comportamento a fatica di un conglomerato bituminoso per data granulometria e

79
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

natura litica degli aggregati. Sulla base di tale affermazione, presso il


Laboratoire Central des Ponts et Chaussées di Parigi è in corso da alcuni anni a
questa parte, una importante ricerca sul degrado strutturale dei conglomerati
bituminosi [70]. Uno degli aspetti presi in maggiore considerazione con
riferimento al fenomeno della fatica è certamente la coesione offerta dal bitume
alla miscela. Per simulare in laboratorio la frattura e l’auto-riparazione di film
sottili di bitume sotto carico ciclico, così come lo sono nella realtà all’interno del
conglomerato bituminoso, è stato messo a punto il cosiddetto “Local Fracture
Test on Bitumen”, nel quale una lente di bitume viene colata su due elementi
convessi metallici, che simulano due aggregati ravvicinati, lasciata solidificare e
sottoposta a sforzi ciclici di trazione monoassiale. La figura 2.18 schematizza
l’apparato a riposo, ovvero quando tra le superfici sferiche che simulano gli
inerti, è presente un gap di alcuni decimi di millimetro alla temperatura di 0°C.
Tale distanza, come si è già ricordato, non si discosta troppo da quella che
effettivamente si può riscontrare tra gli aggregati di un conglomerato reale.

Figura 2.18: Rappresentazione schematica dell’apparato per il Local Fracture Test.

La geometria degli elementi metallici è stata disegnata per indurre la


concentrazione delle tensioni al centro del provino. La somministrazione del

80
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

carico al provino avviene, per via della natura viscosa del bitume, a
deformazione controllata costante. Dopo l’applicazione dello stato deformativo
per un tempo di 4 secondi, il provino viene riportato nella posizione iniziale in
modo che possa avere luogo il fenomeno di auto-riparazione della frattura
evidenziatasi nel primo ciclo (healing effect). La figura 2.19 riporta la curva
forza-spostamenti ottenuta per un test condotto a 0°C, con uno spessore iniziale
del film di bitume pari a 220 μm ed uno spostamento massimo di 50 μm,
raggiunto nei 4 secondi di test, che corrisponde ad una deformazione massima
possibile del 23%.

Figura 2.19: Andamento tipico di un Local fracture test a ciclo unico.

Nel grafico si possono riconoscere distintamente tre fasi di comportamento:


OA: questa parte di curva corrisponde alla classica risposta di un materiale
visco-elastico soggetto ad un tasso di deformazione costante;
AB: il valore del carico mostra un calo improvviso. Tale calo si manifesta
laddove lo spostamento imposto continua a caricare il provino; la discontinuità

81
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

può essere spiegata con la comparsa di una frattura sul provino ed una sua
propagazione non constante. Il fenomeno corrisponde ad un improvviso strappo
del bitume non appena la tensione al centro del provino raggiunge la tensione
limite di rottura, cui corrisponde il calo di forza;
BC: alla stregua della fase OA, la curva corrisponde al comportamento visco-
elastico del materiale soggetto ad un tasso di deformazione costante: la
pendenza inferiore testimonia la diminuita rigidezza globale del campione,
legata all’apertura della frattura nella fase AB. Analogamente a quanto già visto,
la curvatura può essere dovuta alla combinazione di due aspetti: il progredire
della fessura creatasi in AB e le caratteristiche reologiche del bitume.

In base ai parametri imposti alla procedura di prova, la curva forza-spostamenti


può presentare una o più discontinuità, in particolare il numero di discontinuità
pare corrispondere al numero di fratture concentriche visibili sul provino portato
a rottura completa.

Figura 2.20: Superficie di frattura di un provino testato a 0°C; sono visibili diverse
discontinuità sia sulla superficie che sulla curva forza-spostamenti ottenuta.

Si osservi in merito a quanto appena detto, come i tecnici dell’LCPC abbiano


ottenuto dallo stesso bitume, due comportamenti totalmente diversi a due

82
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

temperature diverse e come i grafici ottenuti siano rappresentativi di quanto


effettivamente avvenuto nel campione (figure 2.20 e 2.21).

Figura 2.21: Superficie di frattura di un provino testato a -15°C; sia campione che curva
forza-spostamenti mostrano una unica discontinuità.

Nonostante il fatto che i Local Fracture Tests siano stati condotti in laboratorio,
essi sono comunque estremamente rappresentativi di quello che realmente può
accadere all’interno del conglomerato bituminoso in esercizio, in corrispondenza
del contatto tra due aggregati. In particolare, la parte di sperimentazione qui
riportata è stata indirizzata ad investigare proprio il comportamento a fatica dei
bitumi e, pertanto, a prescindere dal tipo di bitume (se ne è sperimentato uno
solo), si è concentrata l’attenzione su aspetti quali l’effetto della temperatura
sulla rigidezza e l’effetto del tempo di riposo (compreso tra la prima e la
seconda applicazione di carico) sul fenomeno di auto-riparazione del bitume.
Per quanto riguarda gli effetti della temperatura sui risultati, gli autori hanno
riscontrato, come ci si poteva aspettare, una notevole dipendenza della rigidezza
del bitume da essa: la pendenza iniziale della curva di rottura si riduce
apprezzabilmente con l’aumentare della temperatura; il calo di forza, legato
all’apertura della frattura è, inoltre, più spiccatamente visibile alle basse
temperature; esso può infatti scomparire nel caso di temperature medio-alte.

83
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Analoghe considerazioni possono essere fatte in merito alla velocità di


applicazione del carico.
Infine, con riferimento agli effetti del periodo di riposo sul fenomeno di auto-
riparazione, si sono eseguiti diversi test nei quali sono stati applicati un certo
numero di cicli di carico allo stesso campione, intervallati da periodi di riposo
durante i quali il provino veniva riportato nelle condizioni di partenza. Si è
osservato come la capacità di auto-riparazione del bitume dipenda
sostanzialmente dalla durata del periodo di riposo: un attesa di 4 ore tra la prima
e la seconda applicazione di carico comporta un andamento di quest’ultima del
tutto simile a quello ottenuto per la prima. In sostanza, la pendenza del tratto OA
prima della discontinuità è la medesima: ciò può essere interpretato come una
riparazione quasi completa della frattura sviluppatasi nel primo ciclo di carico.
Tuttavia, la pendenza della curva dopo il primo calo è leggermente inferiore, ad
indicare che il secondo ciclo di carico determina una apertura della frattura
maggiore del primo ciclo. Un tempo di riposo di 2 minuti comporta comunque
un certo “healing”, specialmente per l’ultima frattura apertasi nel primo ciclo di
carico, in genere corrispondente al secondo calo di forza. Tuttavia, la pendenze
delle curve post-rottura indicano che l’auto-riparazione è solo parziale. Come è
logico immaginare, l’effetto di auto-riparazione è strettamente legato alla
temperatura alla quale il periodo di riposo avviene: una temperatura elevata, così
come un periodo di riposo più lungo, comportano un aumento nella capacità di
“healing” del bitume.

A conclusione di questa descrizione circa l’importanza per la resistenza dei


conglomerati bituminosi del fattore coesione del bitume di miscela, si riporta
l’indicazione circa i test tradizionalmente condotti per valutarne l’entità.
A prescindere dalle prove classiche sui bitumi (Penetrazione, P&A, Fraass,
Duttilità, etc.) e da quelle più attuali di origine Superpave (Reometria

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Rotazionale a taglio, Viscosimetria rotazionale, Direct Tension Test, Reometria


flessionale su travetto, RTFOT, PAV, etc.) che comunque caratterizzano il
bitume in quanto tale e ne rivelano il comportamento resistente in opera e quindi
indirettamente la coesione, esistono taluni test specifici atti a studiare
direttamente la risposta coesiva del bitume nelle configurazione di esercizio. In
sostanza, si valuta il potere legante del bitume già all’interno del conglomerato
bituminoso mutuando in certi casi le apparecchiature adottate per le prove di
abrasione sugli aggregati, oppure sfruttando strumenti nei quali viene
convenzionalmente riprodotto lo spessore del film di bitume in opera e
successivamente testato a taglio diretto. Il primo esempio riportato è il test di
origine spagnola denominato Cantabro. Alcuni ricercatori spagnoli osservarono
che la tradizionale metodologia Marshall non risultava soddisfacente nella
progettazione delle moderne miscele bituminose aperte. Per tale motivo, misero
a punto una procedura di prova alternativa per lo studio di tali miscele, e videro
che questa forniva anche utili indicazioni circa le caratteristiche di coesione ed
adesione dei conglomerati bituminosi in generale. Il test è sostanzialmente una
prova di abrasione nella quale di valuta la perdita in peso di campioni Marshall
di conglomerato bituminoso sottoposti a 300 giri nel noto apparecchio Los
Angeles utilizzato per le prove sugli aggregati; il provino Marshall deve essere
introdotto nel cilindro senza le sferette di acciaio. La procedura può anche
prevedere la comparazione di risultati ottenuti su provini pre e post-immersione
in acqua, valutando in tale modo l’azione di quest’ultima sulle proprietà di
coesione ed adesione del bitume nel conglomerato [55].
La seconda prova che si riporta è il cosiddetto Vialit Pendulum Test [118]. In
esso, il bitume in esame, viene colato sulla superficie dentellata di un blocchetto
metallico delle dimensioni di un dado da gioco sul quale viene poi posizionato
un analogo blocchetto, anch’esso dentellato, ad ottenere un film di bitume
compreso tra i due elementi, dello spessore paragonabile a quello presente nei

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

conglomerati in opera. Il sistema di blocchetti e bitume viene quindi alloggiato e


vincolato su un supporto metallico posto sul percorso di un maglio a pendolo. Il
pendolo viene rilasciato da una certa altezza, ad impattare contro il blocchetto
superiore e l’altezza di risalita dopo l’impatto viene misurata su una scala
graduata. Maggiori sono le proprietà coesive del bitume, minore sarà la risalita
del pendolo dopo l’urto col sistema e viceversa. In tale modo, la misura
dell’energia dissipata nell’impatto mostrerà una quota parte corrispondente
all’energia necessaria per vincere il potere legante del film di bitume in altre
parole, la coesione. Questo test, di origine francese viene contemplato anche
nelle “Specifications for Highway Works: Series 900” inglesi [105] e può essere
impiegato per determinare le proprietà coesive di bitumi tal quali, modificati od
anche di recupero [119]. La figura 2.22 riporta l’andamento di risultati di Vialit
test in termini di Coesività (J/cm2) al variare della temperatura per diversi tipi di
bitumi.

Bitume
modificato B

Bitume
modificato A

Bitume
normale

Figura 2.22: Vialit pendulum e risultati per diversi bitumi a diverse temperature.

86
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Si conclude questa lunga trattazione teorica dei punti b) adesione e c) coesione


relativi al bitume presente nei conglomerati bituminosi, sottolineandone il
contributo alla resistenza meccanica del collegamento tra gli strati, oggetto del
presente capitolo.
Pais J.C. et al. [65] afferma, in generale, che le proprietà meccaniche dei
conglomerati bituminosi dipendono dall’adesione tra legante ed aggregati, così
come dalla coesione interna al legante stesso. Thom N.H. et al. [77] conclude
che, in definitiva, può essere conveniente considerare il conglomerato
bituminoso come un materiale granulare nel quale il bitume limita i movimenti
relativi tra gli elementi litici. Egli osserva che un materiale granulare secco,
realizzato con inerti frantumati, così come accade per una miscela bituminosa,
può esso stesso presentare una rigidezza prossima ai 100 MPa, con lievi
variazioni dovute alla granulometria, ed include la separazione non vincolata e
la rotazione delle particelle, oltre che il contatto con altri elementi litici.
L’effetto del bitume sarà pertanto quello di: aumentare direttamente lo sforzo
tagliante necessario per produrre uno scorrimento relativo tra gli inerti ed
amplificare la rigidezza d’insieme, per via delle restrizioni sulle traslazioni e
rotazioni reciproche tra le particelle.
In conclusione, buona parte della resistenza meccanica del collegamento
all’interfaccia tra strati bituminosi adiacenti sottoposti a compressione e taglio è
legata all’adesione ed alla coesione sviluppata dai bitumi delle miscele
componenti gli strati stessi, oltre ovviamente al loro ingranamento interno. In
effetti, se si assume per ipotesi, che la resistenza del collegamento all’interfaccia
tra gli strati, ossia il legame tra gli aggregati che sono a contatto ed
appartengono ai due conglomerati adiacenti, sia infinita, ne consegue che, la
resistenza alle azioni esterne del sistema bistrato, resta totalmente a carico di
quella interna a ciascuno dei due conglomerati, ossia alle loro proprietà di
ingranamento interno, di adesione bitume-inerti e di coesione. Ecco che, la

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

rottura del sistema, non avverrà certo all’interfaccia, ma potrà manifestarsi in un


punto od un piano qualsiasi all’interno dei due conglomerati di strato.
Nella realtà, in genere, il collegamento all’interfaccia, in quanto discontinuità
effettiva, rappresenta il punto debole del sistema e, pertanto, risulta con più
probabilità, interessato da rottura. Tuttavia, le porzioni di conglomerato che si
affacciano direttamente al contatto, per le quali la resistenza meccanica
corrisponde all’incirca a quella del conglomerato di appartenenza (ci si trova ad
una estremità), compartecipano comunque alla resistenza del collegamento,
fornendo ingranamento, adesione e coesione agli inerti a ridosso dell’interfaccia,
ossia mantenendoli nella loro posizione originaria confinandoli sulla parte del
loro contorno non a contatto con il conglomerato dell’altro strato.

2.3.4 Fattore d): adesione e coesione del bitume della mano d’attacco
Si intende ora concludere la descrizione dei fattori che influenzano la resistenza
meccanica del collegamento tra gli strati bituminosi del pacchetto stradale,
prendendo in esame unitariamente, le proprietà di adesione e coesione che il
bitume della mano d’attacco (residuo anidro od applicato a caldo) sviluppa nei
confronti degli aggregati coi quali viene a contatto, appartenenti ai due
conglomerati adiacenti, tenendo anche conto della presenza dei bitumi presenti
in ciascuna miscela di strato.
Dalla figura 2.9 si nota come il bitume della mano d’attacco, ipotizzando che sia
stata applicata e che la procedura di applicazione sia stata eseguita correttamente
(nel caso di emulsione, rispettando i tempi necessari alla rottura), si disponga
sulla superficie assai irregolare del piano di posa interessandone, per quanto
possibile, ogni interstizio. Si viene così a formare un film di legante di spessore
variabile sull’intero piano di posa a seconda dei quantitativi spruzzati e della
macrorugosità superficiale dello stesso, a costituire, sia un manto
impermeabilizzante, sia e soprattutto, un collante tra lo strato sottostante e

88
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

quello ancora da stendersi. In genere, le mani d’attacco con le funzioni teste


descritte, vengono applicate sotto forma di emulsioni bituminose a freddo. In
Italia infatti, ben l’85% delle emulsioni bituminose prodotte viene impiegato per
tale scopo. Per questo motivo, nel presente lavoro, si considererà il bitume della
mano d’attacco, sia esso normale o modificato, come residuo anidro proveniente
della spruzzatura di una emulsione bituminosa.
Dopo aver descritto per sommi capi come avviene il fenomeno della “rottura” di
una emulsione bituminosa cationica, si passerà ad analizzare da un lato, le
caratteristiche di adesione del bitume residuo ai conglomerati di interfaccia
sfruttando le teorie dell’adesione viste in precedenza, dall’altro, le caratteristiche
di coesione dello stesso nel compito di legare tra loro gli aggregati appartenenti
a due strati differenti, aggregati per altro, ricoperti dai rispettivi bitumi di
miscela. Si tratterà inoltre nel contempo, della necessaria compatibilità tra i vari
bitumi a contatto, delle diverse situazioni di posa che si possono verificare in
sito e dell’effetto che la presenza di contaminanti, la non corretta “rottura” o
l’eccesso di bitume residuo possono avere sulle effettive condizioni di
collegamento finali.
L’emulsione bituminosa come visto nel primo capitolo, viene applicata sul piano
di posa per mezzo di una barra spruzzatrice autocarrata in determinate
condizioni di temperatura e pressione, a seconda delle necessità del caso. In
seguito al passaggio dell’emulsione negli ugelli di spruzzatura ed al suo contatto
con la superficie di posa, si verifica la cosiddetta “rottura”, ovvero la
separazione dell’acqua dal bitume. Più nello specifico, la velocità di “rottura” ed
il processo di eliminazione dell’acqua dall’emulsione dipendono essenzialmente
dalla sua reattività, da quella degli aggregati che essa bagna e dalla condizioni
ambientali al contorno, quali temperatura ed umidità dell’aria. Per quanto
riguarda la reattività dell’emulsione, essa dipende dalla sua formulazione
chimica, e quindi dal bitume, dall’acqua, dagli emulsionanti e dagli stabilizzanti

89
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

impiegati per confezionarla e dalle loro concentrazioni. Le emulsioni possono


infatti, essere classificate in base alla loro reattività come: a rapida rottura, a
media rottura ed a lenta rottura; in certi casi si producono anche emulsioni
super-stabili con una rottura estremamente lenta e controllata. In relazione agli
aggregati, si è visto in precedenza come le loro capacità reattive siano legate alla
loro natura petrografica ed alla loro attività superficiale (quindi anche al periodo
di stoccaggio che hanno subito). Gli inerti acquisiscono una carica superficiale
caratteristica dipendente dal pH e dalla natura dei minerali componenti. Come
detto quelli acidi, molto ricchi in silice, tendono ad assumere una carica
negativa, mentre i basici ricchi in calcite, tendono ad assumere una carica
positiva. All’aumentare del pH tutti gli inerti tendono a acquisire una maggiore
carica negativa, mentre la presenza di sali di calcio od altri cationi nell’acqua
tende a rendere la superficie meno negativa. In generale, si può dire che le
emulsioni cationiche reagiscano più velocemente con aggregati a carica
superficiale negativa.

a) b)

c) d)

Figura 2.23: Possibili fasi nella rottura di una emulsione bituminosa cationica [88].

90
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Nella figura 2.23 sono raffigurate le possibili fasi del processo di “rottura” ed
assestamento di una emulsione cationica. Alcuni dei passi possono essere così
riassunti [88]:
a) adsorbimento dell’emulsionante sulla superficie dell’aggregato: gli ioni di
emulsionante liberi vengono rapidamente adsorbiti sulla superficie degli
inerti; essi possono essere estratti dall’interfaccia acqua-bitume molto più
lentamente; la rimozione della riserva di ioni emulsionanti liberi, rende
l’emulsione propensa alla coalescenza (tendenza delle gocce di bitume a
riunirsi), ma allo stesso tempo riduce o addirittura inverte la carica
superficiale degli inerti, ritardando l’assestamento. Gli emulsionanti
cationici vengono adsorbiti di più su minerali silicei rispetto ad
emulsionanti anionici o non-ionici, il ché spiega l’utilità delle emulsioni
cationiche in presenza di aggregati acidi.
b) moto delle gocce di emulsione verso la superficie degli aggregati: le
gocce di bitume nell’emulsione possiedono una piccola carica e
procedono verso la superficie dell’inerte avente carica opposta
(Elettroforesi). La concentrazione presso la superficie porta le particelle
assieme, inducendone la flocculazione, la coalescenza e la distribuzione
sulla superficie.
c) cambi di pH: taluni aggregati come i calcarei o fillers come limi o
cemento possono realmente neutralizzare l’acido in una emulsione
cationica, comportando l’innalzamento del pH e la destabilizzazione
dell’emulsione. In altri casi, gli aggregati possono adsorbire gli ioni
idrogeno inducendo un innalzamento di pH meno marcato, ma ancora
sufficiente a destabilizzare l’emulsione. Certi aggregati solubili come i
calcarei possono fornire ioni di calcio o di magnesio alla soluzione che
tende a neutralizzarsi, soprattutto se anionica.

91
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

d) evaporazione dell’acqua: non appena l’acqua lascia il sistema evaporando,


le gocce si concentrano aumentando la coalescenza. Per certe emulsioni a
lenta o lentissima rottura, l’evaporazione rappresenta il meccanismo più
importante della rottura.

Il processo di rottura appena descritto in maniera del tutto semplificata, deve


verificarsi in ciascun campo di impiego delle emulsioni bituminose, anche se in
modi e tempi differenti da caso a caso. Nell’applicazione di emulsione per mano
d’attacco i possibili scenari di stesa sono innumerevoli a seconda delle
caratteristiche del piano di posa e delle condizioni ambientali. Lo sviluppo delle
proprie capacità leganti ed impermeabilizzanti da parte dell’emulsione sono
pertanto legate ad un cospicuo numero di fattori. Il fattore forse più importante è
costituito dalle proprietà chimico-fisiche della superficie che accoglierà
l’emulsione stessa. Innanzitutto, che cosa bagna l’emulsione? Con quali
materiali viene a contatto? Nel caso di una mano d’attacco spruzzata su uno
strato di recente costruzione, mai aperto al traffico, la configurazione di figura
2.23 sarà resa alquanto più complessa dalla presenza di un secondo bitume a
rivestire la superficie degli inerti del piano di posa. Se la superficie di posa è
costituita da uno manto di usura degradato, è del tutto probabile che l’emulsione
spruzzata venga a contatto diretto sia coi gli inerti spogliati del bitume
superficiale dall’azione del traffico, sia con il bitume ai margini degli stessi. Nel
caso infine, di superficie di posa fresata, l’emulsione dovrà rompere su una
superficie alquanto rugosa, ricca di detriti e prevalentemente costituita da
superfici vive di inerti frantumati dalle punte della fresa.
Studiare il fenomeno dell’adesione da parte del bitume di emulsione nei casi
descritti risulta assai complicato se non impossibile, tuttavia, mano alle teorie
viste al punto b), si può pensare che ciascuna di esse sia valida per rappresentare
stadi diversi del processo di adesione del bitume residuo alla superficie di posa,

92
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

qualsiasi essa sia, in misura più o meno marcata. Ecco che la teoria della
Diffusione sarà più indicata nel caso in cui il bitume dell’emulsione venga a
contatto col bitume del conglomerato di strato. Analogamente, le teorie Acido-
base e del Confine debole appaiono più indicate nello studio dell’adesione a
superfici dove l’inerte e spoglio o spaccato, per le quali conoscere le
caratteristiche chimico-elettriche della superficie degli inerti è fondamentale. In
ogni caso, la bagnabilità del piano di posa da parte dell’emulsione prima e del
bitume residuo poi è necessaria e può essere studiata colla teoria
dell’Adsorbimento.
Con riferimento allo sviluppo di adesione tra legante della mano d’attacco e
superficie di posa è obbligatorio richiamare l’importanza delle condizioni di
contaminazione di quest’ultima, al fine di una corretta applicazione. Sul piano di
posa, prima del passaggio della barra spruzzatrice, possono trovarvisi svariati
elementi di contaminazione anche dopo l’azione della motospazzatrice: primi fra
tutti detriti e materiali terrosi, anche molto umidi, portati sul sito dai mezzi di
cantiere, acque meteoriche o di lavorazione, olii, solventi o altri materiali
presenti in loco; ed ancora, nel caso di posa su usura degradata senza
scarificazione, si ha la presenza di detriti lasciati dai mezzi che hanno percorso
la pavimentazione nella sua vita, per cui gomme, combustibili, sporcizia e
quant’altro; sulle superfici appena fresate e spazzate restano comunque detriti di
inerti frantumati e polveri fini, acque di lavorazione, etc. L’effetto che tali agenti
contaminanti hanno sulla rottura dell’emulsione e sull’adesione del bitume alla
superficie è in genere deleterio, basti pensare al fatto che una pesante
contaminazione di materiale granulare fine riduce la bagnabilità superficiale ed
allo stesso tempo le possibilità di adsorbimento alla superficie sottostante
ostacolando le reazioni bitume-aggregato o la diffusione bitume-bitume.
Un aspetto importante nell’utilizzo di mani d’attacco bituminose è senz’altro la
compatibilità esistente tra i bitumi presenti, ovvero quello derivante dalla

93
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

emulsione e quelli impiegati nei conglomerati di ciascuno strato. Talvolta,


quando tale compatibilità è insufficiente, si può verificare il cosiddetto
fenomeno di “scomparsa” della mano d’attacco. Esso consiste nella migrazione
del bitume della mano d’attacco, all’interno di uno dei due conglomerati
adiacenti, andando esso in sostanza a far parte della miscela bituminosa di strato
o, nei casi più gravi, comparendo sulla superficie del piano viabile sotto forma
di essudazioni bituminose localizzate. Si è soliti attribuire tale fenomeno alla
eccessiva differenza di viscosità tra i bitumi, soprattutto quando si fa uso di
emulsioni bituminose con leganti di base morbidi (180-200 pen) assai più deboli
di quelli dei conglomerati di strato (50-70 pen).
Con riferimento alla coesione offerta dal bitume della mano d’attacco è questo
forse l’aspetto più importante nel giustificarne l’impiego. Il potere legante del
bitume gioca un ruolo predominante nello sviluppo della resistenza meccanica
del collegamento tra gli strati della pavimentazione bituminosa. In effetti, non
appena si parla di mano d’attacco salta alla mente l’azione adesiva del collante
bituminoso. Supponendo che il legame con il piano di posa da un lato e con il
conglomerato dello strato superiore dall’altro sia avvenuto e sia tenace, ne
consegue che lo straterello bituminoso dello spessore medio di circa 0.2 mm, nel
caso di corretta applicazione a 200 gr/m2 di bitume residuo, deve sopperire da
solo, con la propria coesione, alle carenze di ingranamento che si hanno
inevitabilmente all’interfaccia tra gli strati, per il fatto che essi sono stati
realizzati separatamente e con materiali differenti. In sostanza, la coesione della
mano d’attacco deve contribuire alla resistenza soprattutto laddove sono piccoli
gli angoli (θ) dell’ingranamento di interfaccia, per i quali le componenti (n)
ortogonali ai contatti delle azioni esterne taglianti sono piccole ed elevate,
invece, sono le (t) destabilizzanti; deve contribuire nell’aumentare la risultante
del membro stabilizzante nelle disequazioni viste per lo studio
dell’ingranamento, soprattutto, come si vedrà, per quel che riguarda l’addendo

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

di coesione al contorno del contatto. La resistenza coesiva del bitume residuo


dovrà essere pronta ad agire anche in condizioni di temperatura avverse
(superiori ai 40°C ed inferiori ai –10°C), il che spesso suggerisce l’impiego di
bitumi modificati.
I valori di coesione del bitume da emulsione non sono diversi da quelli visti per i
bitumi dei conglomerati tradizionali e le prove atte a caratterizzarla sono le
medesime, per lo meno in laboratorio. In effetti, non esistono prove di cantiere
specifiche per lo studio delle capacità leganti delle mani d’attacco in sito,
qualsiasi siano le condizioni della superficie di posa; nel capitolo conclusivo del
presente lavoro si proporrà un metodo pratico di verifica derivato dai test sugli
intonaci edilizi.
In merito allo spessore del film di bitume residuo necessario nelle mani
d’attacco, diverse ricerche, talune ancora in corso, hanno dimostrato, con
l’ausilio di prove di taglio diretto all’interfaccia su carote doppio strato,
l’esistenza di quantitativi ottimali di bitume residuo e quindi di spessori del film
bituminoso. In effetti, ciò è plausibile; la regola per la quale all’aumentare del
bitume residuo aumenta il potere legante della mano d’attacco è vera fintanto
che l’eccesso di bitume, non comporta lo scadimento del collegamento. Le
ragioni sono ancora al vaglio dei ricercatori, ma possono essere facilmente
intuite. Si pensi ad un film di bitume ottimale: in base alle caratteristiche del
bitume, quale spessore deve avere tale film per svolgere al meglio la funzione di
mano d’attacco? La risposta è conseguenza diretta di quanto visto fino ad ora in
merito. Secondo le affermazioni di Thom, in corrispondenza dei punti di
contatto tra aggregati, il film si riduce notevolmente ed il bitume che prima della
compattazione occupava lo spazio tra i due inerti viene spinto negli interstizi
dell’intorno. Questo fenomeno avverrà su più fronti di contatto all’interfaccia e
sarà tanto più accentuato quanto meno viscoso è il legante. In sostanza, la
configurazione ottimale vede la ridistribuzione del film di bitume della mano

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Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

d’attacco all’interfaccia, in seguito alle compattazioni successive. Lo spessore


variabile della membrana bituminosa formatasi dovrà essere tale, per
determinate caratteristiche reologiche del bitume, da fornire la rigidezza
necessaria al collegamento per resistere alle sollecitazioni esterne, proprio in
corrispondenza del piano più debole.
Esisterà, analogamente alla metodologia Marshall di progettazione delle miscele
bituminose, un quantitativo di legante ottimale, superato il quale, le proprietà di
collegamento della mano d’attacco iniziano a scadere. Si può pensare alle cause
di questo. Un film di bitume residuo eccessivo comporterà, durante la
compattazione, lo spostamento del legante, a riempire o saturare tutte le porosità
nell’intorno dei contatti, tanto che, e lo si può vedere anche sulla superficie
esterna di talune carote, si viene a creare una fascia di interfaccia satura di
bitume. A questo punto la discussione è analoga a quella che spiega lo
scadimento delle resistenze Marshall in caso di quantitativi eccessivi di legante.
Il bitume, vedrà vanificate le sue proprietà coesive dagli elevati scorrimenti
dovuti agli spessori di legante in esubero, a ridurre la rigidezza dell’interfaccia.
Infatti, spessori eccessivi di bitume, comportano una riduzione del termine
attritivo nei punti di ingranamento all’interfaccia o nei contatti a (θ) nullo, ma
con azioni ortogonali non nulle (cioè sempre). Il termine coesivo delle
disequazioni di ingranamento resta inalterato solo per quel che riguarda la
coesione del legante che ovviamente non cambia, a cambiare invece sono le aree
sulle quali tale coesione agisce, pur essendo maggiori, per la maggior presenza
di legante, esse vanno a sostituirsi ad aree dove la coesione è quella interna degli
aggregati, elevatissima, e pertanto, anche se in complesso il termine coesivo
aumenta, lo scostamento dall’interfaccia degli inerti per la presenza di più
bitume, ne allontana anche la resistenza meccanica che altrimenti sarebbe stata
chiamata a agire al posto di quella del solo bitume.

96
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Per concludere si farà cenno all’importanza del rispetto dei tempi di rottura
dell’emulsione per il raggiungimento delle proprietà leganti del bitume residuo.
Come detto nel primo capitolo l’operazione di stesa della mano d’attacco è
spesso ritenuta un surplus nelle attività di cantiere ed in quanto tale non viene
adeguatamente curata. A maggior ragione, una volta spruzzata, l’emulsione
rappresenta un ritardo alle operazioni di stesa successive. Ecco perché spesso, i
tempi di attesa per la rottura completa dell’emulsione bituminosa non vengono
rispettati e la vibrofinitrice transita sopra una superficie ancora di colore
marrone scuro e non nera come dovrebbe essere. In pratica, si stende
conglomerato bituminoso caldo sopra una emulsione non rotta. Le conseguenze
di questo fatto sono molteplici e tutte negative per lo sviluppo delle funzioni
leganti della mano d’attacco. Per brevità, se ne cita soltanto una, ovvero
l’occlusione di acqua di emulsione all’interfaccia, deleteria non soltanto per
l’adesione nell’adsorbimento del bitume sulla superficie di posa, ma anche per la
diffusione tra il bitume della mano d’attacco e quello che ricopre gli inerti del
conglomerato caldo in arrivo.

Infine, come già fatto per gli altri punti (a), b) e c)), si conclude il fattore d)
adesione e coesione del legante della mano d’attacco nella caratterizzazione
teorica della resistenza del collegamento tra gli strati della pavimentazione
bituminosa, riassumendone le peculiarità.
Così come avviene per i singoli conglomerati afferenti all’interfaccia, le
proprietà di adesione e coesione del legante bituminoso della mano d’attacco
sono fondamentali nell’espletamento del compito di incollare tra loro due strati
neri. Resta il fatto che, trattandosi di una interfaccia, tale compito può risultare
assai arduo, soprattutto se le sollecitazioni esterne sono elevate. La mano
d’attacco deve in sostanza curare la cicatrice presente cercando di conferirle una
resistenza meccanica prossima a quella dei conglomerati dei singoli strati.

97
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

Purtroppo però, l’interfaccia è una discontinuità effettiva e presenta una


variazione di materiali, un minor ingranamento rispetto al volume dei
conglomerati, meno bitume e contaminazioni. Per tali motivi, al bitume residuo
è richiesta una tenacità superiore a quella dei bitumi da conglomerato, per
ristabilire gli equilibri di resistenza persi. Si è visto come, tuttavia, eccedere in
legante possa essere controproducente per la resistenza finale, soprattutto per il
fatto che, pur in presenza di un bitume di ottime qualità, spessori in esubero
conducono a scorrimenti eccessivi all’interfaccia. Ecco perché, talvolta, così
anche come impongono le normative inglesi, in base alla percentuale di bitume
presente nei conglomerati di strato (in genere quello superiore), può essere utile
contenere il quantitativo di mano d’attacco anziché aumentarlo, o addirittura
renderlo nullo, soprattutto qualora lo strato superiore sia costituito da una
miscela speciale ad altissimo tenore di bitume (ad esempio SMA).

2.4 CONCLUSIONI

Al termine di questo ampio quadro teorico sul collegamento esistente tra gli
strati in conglomerato bituminoso di una pavimentazione stradale, se ne
riassumono sinteticamente i punti salienti, con l’intento di introdurre la
descrizione degli studi sperimentali condotti in proposito presso le Università di
Nottingham (Inghilterra) e di Bologna presentati nei prossimi capitoli.
L’importanza del collegamento tra gli strati del pacchetto stradale è evidente;
basti pensare al significativo numero di ricerche inerenti conclusesi in tutto il
mondo ed al crescente numero di quelle in corso. Gli studi teorici sui multistrato
elastici coadiuvati da esperienze in sito, hanno dimostrato che la distribuzione
delle tensioni e delle deformazioni all’interno del pacchetto stradale è
intimamente legata alla condizioni di collegamento alle interfacce tra gli strati,

98
Capitolo 2: Analisi teorica del collegamento tra gli strati.

soprattutto per quelli più prossimi alla superficie. Nel calcolo a fatica delle
sovrastrutture stradali diventa quindi basilare conoscere e poter tener conto
dell’effettivo collegamento esistente tra gli strati bituminosi, dovendo quota
parte delle risorse di resistenza meccanica dei materiali essere messa a
disposizione degli stati tensionali che si sviluppano nel collegamento stesso.
Una piccola fotografia ravvicinata di una interfaccia tra strati bituminosi (figura
2.9) è stata di ausilio nello studio dei fattori che intervengono nella definizione
della resistenza meccanica del collegamento di cui sopra. Individuati a grandi
linee fattori quali l’ingranamento tra inerti, l’adesione e la coesione dei bitumi
nei conglomerati di strato e l’adesione e la coesione nel bitume della mano
d’attacco, si sono analizzati distintamente con l’ausilio dei riferimenti
bibliografici più attinenti e moderni. L’ingranamento tra gli strati, che chiama in
causa soprattutto le rigidezze degli aggregati lapidei, fornisce un notevole
contributo alla resistenza meccanica del collegamento, purtroppo per via delle
modalità costruttive, il contributo che ne deriva è spesso ridotto, perché ridotto è
il numero di aggregati che si frappongono all’interfaccia. L’adesione e la
coesione nei conglomerati bituminosi di strato sono fattori fondamentali, perché
oltre a definire la resistenza intrinseca del materiale nel suo volume,
contribuiscono alla resistenza del collegamento conferendo rigidezza ai contatti
con il conglomerato adiacente. La mano d’attacco infine, spesso trascurata nelle
operazioni di cantiere, è una componente indispensabile nel collegamento. Nella
stragrande maggioranza dei casi essa rappresenta l’unico elemento resistente del
collegamento tra due strati ed in quanto tale, andrebbe progettata e curata con
oculatezza. Laddove l’entità dell’ingranamento all’interfaccia non raggiunge
quella del volume dello strato bituminoso, occorre un collante che limiti gli
scorrimenti ed aumenti la rigidezza locale.

99
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

CAPITOLO 3

STUDI SPERIMENTALI, TEST E NORMATIVE SUL


COLLEGAMENTO TRA GLI STRATI

3.1 STUDI SPERIMENTALI IN LETTERATURA

3.1.1 Introduzione
Nel capitolo precedente si è studiato il problema del collegamento tra gli strati
bituminosi della sovrastruttura stradale dal punto di vista teorico, focalizzando
l’attenzione sia sugli effetti che le condizioni di resistenza di tale collegamento
possono avere sulla capacità della pavimentazione di assolvere al suo compito in
termini di distribuzione dello stato tenso-deformativo, sia sui fattori fisico-
meccanici che compartecipano alla loro definizione.
Nel presente paragrafo, si intende invece fornire un quadro sufficientemente
completo degli studi sperimentali più significativi condotti fino ad oggi per la
caratterizzazione del collegamento. L’ordine delle esperienze è cronologico (in
base alla data di pubblicazione) e per ciascuna di esse verrà fornita una breve
descrizione della fase sperimentale e delle conclusioni tratte.

3.1.2 Uzan J., Livneh M. e Eshed Y. “Investigation of Adhesion properties


between Asphaltic-Concrete Layers” [3].
Dello studio sperimentale di Uzan si è già trattato ampiamente nella descrizione
dei modelli per la caratterizzazione delle distribuzioni tensionali all’interno del
pacchetto stradale, per diverse condizioni di collegamento tra gli strati.
La fase sperimentale viene introdotta per la determinazione delle proprietà del
collegamento all’interfaccia tra gli strati, da impiegarsi nei metodi di
progettazione razionali delle sovrastrutture stradali ex novo e nella
determinazione degli spessori di ripristino nel caso di interventi manutentivi. Le

100
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

proprietà investigate da Uzan sono essenzialmente il Modulo di Reazione


orizzontale dell’interfaccia (K) e le componenti coesive e frizionali della
resistenza di interfaccia, rispettivamente (cg) e (g’).
Il programma di prove condotto ha previsto test di taglio diretto (la scatola di
prova verrà descritta nei successivi paragrafi) su provini di conglomerato per:
ƒ due diverse temperature: 25°Ce 55°C;
ƒ cinque quantitativi di mano d’attacco: 0.0, 0.5, 1.0, 1.5 e 2.0 Kg/m2;
ƒ cinque pressioni verticali applicate normalmente al piano di taglio durante
la prova: 0.05, 0.5, 1.0, 2.5, 5.0 Kg/cm2.
Il conglomerato impiegato è stato di tipo tradizionale con: inerti calcarei e
bitume 60-70 pen, densità di 2380 Kg/m3, Stabilità Marshall di 1140 Kg,
scorrimento 4.1 mm e percentuale di vuoti del 3.7%. Con questo conglomerato
ed una mano d’attacco con bitume dello stesso tipo, sono stati preparati provini
doppio strato da sottoporre a taglio dopo una termostatazione di 2 ore. La scatola
di taglio e la procedura di prova impiegata comportano una distorsione sulle due
parti di provino ed uno stato tensionale di interfaccia non omogeneo (si veda la
figura 3.1):

u2 u1

Strato superiore
F

τ τ

Strato inferiore

Figura 3.1: Schema delle deformazioni del provino di Uzan.

101
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Nell’analisi dei risultati Uzan ha considerato valori medi delle tensioni di taglio
e degli spostamenti. La media delle tensioni è stata computata come lo sforzo
orizzontale diviso per l’area di interfaccia, mentre gli spostamenti relativi tra lo
strato superiore e quello inferiore, come la media tra (u1) ed (u2).
Dai grafici tensioni – spostamenti ottenuti si è visto che il comportamento
dell’interfaccia è non lineare e che la resistenza decresce una volta raggiunto un
certo valore massimo. Per l’analisi si sono così valutati i seguenti parametri di
resistenza e di deformazione:
a) il modulo di reazione orizzontale di interfaccia in corrispondenza dello
spostamento relativo di 0.013 cm. Esso è molto prossimo a quello iniziale
rappresentativo delle effettive condizioni in sito dove si verificano
spostamenti relativi molto piccoli;
b) la tensione tangenziale di picco che rappresenta la resistenza
dell’interfaccia.
Uzan rappresenta i due parametri descritti in funzione della pressione verticale
normale all’interfaccia agente. Un’interessante affermazione riconducibile a
quanto visto nel capitolo secondo circa i fattori che contribuiscono alla
resistenza del collegamento, sostiene che: l’analogia dei comportamenti
presentati da un conglomerato bituminoso e dall’interfaccia tra due conglomerati
bituminosi sta a significare che i medesimi aspetti concorrono alla definizione
della resistenza di interfaccia ossia: l’adesione rappresentata dalle proprietà di
trazione del piano di scorrimento, l’ingranamento derivante dall’inclusione di
inerti tra i due strati e la frizione, che deriva dalla rugosità delle due facce.
Le conclusioni tratte dall’analisi dei dati sperimentali ottenuti sono svariate:
ƒ la resistenza al taglio dell’interfaccia cala significativamente
all’aumentare della temperatura ed aumenta innalzando la pressione
verticale normale al piano di interfaccia;

102
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ esiste un quantitativo ottimale di mano d’attacco (bitume tra 0.5 ed 1.0


Kg/m2) per il quale la resistenza al taglio è massima, ma l’influenza del
quantitativo di mano d’attacco nel caso di conglomerati freschi è basso.
Occorre investigare l’effetto della mano d’attacco sulle proprietà
dell’interfaccia nel caso di superfici degradate o segnate dalla intemperie;
ƒ ad una velocità di taglio di 0.25cm/minuto il Modulo di reazione
orizzontale (K) è basso, prossimo alla condizione di non collegamento. Il
suo valore si riduce all’aumentare della temperatura ed aumenta con la
pressione verticale. Per velocità di taglio superiori, rappresentative delle
condizioni di carico imposte dai carichi transitanti, si può pensare di
correggere il modulo (K) impiegando fattori uguali a quelli considerabili
per la rigidezza a trazione dei conglomerati bituminosi. In tale modo si
perviene a valori di (K) dell’ordine dei 1000 Kg/m3;
Dalla revisione bibliografica Uzan ha visto che:
ƒ tensioni e deformazioni nel pacchetto sono fortemente dipendenti dalle
condizioni di interfaccia. Il valore di modulo (K) ricavato nei test di
laboratorio e corretto, conduce ad una condizione intermedia di
collegamento all’interfaccia;
ƒ diverse ricerche hanno convenuto che le condizioni di interfaccia tra gli
strati bituminosi è intermedia tra il completo distacco ed il perfetto
collegamento, specialmente quando intercorre un sensibile lasso di tempo
tra la costruzione dei due strati. Alla luce della distribuzione degli
spostamenti, si è visto che l’interpretazione delle misurazioni in sito sono
più correttamente interpretabili ammettendo una frizione parziale tra le
interfacce;
Per quanto visto sopra Uzan conclude che:

103
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ ad alte temperature, è difficile ottenere una interfaccia perfettamente


collegata per via delle elevate tensioni tangenziali indotte all’interfaccia
dai carichi verticali ed orizzontali;
ƒ fessurazioni a forma di mezza luna possono svilupparsi in seguito a
carichi orizzontali e verticali in sezioni ove il collegamento tra gli strati è
basso per via di carenza costruttive;
ƒ la condizione di interfaccia comporta un significativo calo nella rigidezza
dei pacchetti bituminosi flessibili, riducendo pertanto le capacità portanti
della pavimentazione;
ƒ l’approccio ad interventi manutentivi razionali deve prendere in
considerazione le reali condizioni di interfaccia.

3.1.3 Tschegg E.K., Kroyer G., Tan D., Stanzl-Tschegg S.E. e Litzka J.,
“Investigation of Bonding between Asphalt Layers on Road Construction”
[23].
Nello studio sperimentale condotto da Tschegg è stata sviluppata una semplice
metodologia di prova per la misurazione del comportamento meccanico a
frattura del collegamento tra gli strati. Nel paragrafo successivo verrà descritta
in modo esaustivo l’apparecchiatura utilizzata (Wedge Splitting Test), che
prevede l’apertura controllata di una frattura all’interfaccia tra i due strati
bituminosi di provini cilindrici opportunamente sagomati. Durante i test, la
curva carico – spostamento completa viene determinata fino a rottura del
collegamento avvenuta. Tale curva, secondo Tschegg, caratterizza il
comportamento del collegamento nella modalità di apertura della frattura e
costituisce una base di partenza per la trattazione numerica di problemi di
interfaccia.
Il Wedge Splitting test viene condotto alla velocità di 1 mm/minuto. I provini
doppio strato sono confezionati in laboratorio con un conglomerato bituminoso

104
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

di collegamento (dimensione nominale massima degli inerti pari a 16 mm)


secondo la norma austriaca RVS 8.05.14. Le mani d’attacco impiegata sono
state due: una cationica al 60%, HB-60-K ed una modificata con SBS al 60%,
HB-60-K-PM. Le prove sono state condotte a sei temperature diverse per
valutare l’influenza della temperatura sulla qualità del collegamento tra gli strati:
-21°C, -10°C, -5°C, 0°C, 5°C e 10.5°C. Per avere un buon riscontro statistico,
per ciascuna temperatura e ciascun tipo di mano d’attacco sono stati testati 4
provini. Dall’analisi dei grafici di carico-spostamento di figura 3.2, Tschegg
riscontra una notevole variabilità del comportamento della prova con la
temperatura, evidenziabile dalle diverse forme che la curva di rottura assume nei
vari casi.

Figura 3.2: Curve carico-spostamento a diverse temperature.

105
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Alla temperatura di 10.5°C il comportamento è tipicamente plastico, al calo di


temperatura corrisponde una riduzione dello spostamento relativo tra le due
porzioni di provino in corrispondenza del picco. Nella parte iniziale delle curve
si osserva un comportamento elastico a rigidezza crescente col calo di
temperatura. La propagazione della frattura nel provino si verifica dopo la
registrazione del picco di carico. Il ramo discendente è più ripido alle basse
temperature, evidenziando la natura fragile della rottura. Contrariamente alle
alte temperature l’andamento è duttile con un ramo di discesa più dolce.
Per quanto concerne l’andamento dello sforzo massimo (Fmax) in relazione alla
temperatura, Tschegg osserva che esso è praticamente identico per i due bitumi
impiegati nella mano d’attacco alle temperature più alte, mentre alle temperature
inferiori allo zero, il bitume modificato (P) mostra valori di sforzo superiori, fino
a raggiungere una differenza di 1000N in corrispondenza dei –21°C. In termini
di Energia Specifica di Frattura (GF) in dipendenza dalla temperatura, si è
osservato che dai 10.5°C ai –10°C le curve per ambedue i bitumi sono crescenti,
ma quella del bitume modificato ha una crescita più spiccata. Sotto i 10°C viene
impiegata minor (GF) in seguito alla maggior fragilità del legante. L’andamento
è il medesimo per i due bitumi investigati (figura 3.3).

Figura 3.3: Andamenti di (Fmax) e (GF) con la temperatura di prova.

106
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Dal confronto tra gli andamenti di (Fmax) e di (GF) con la temperatura Tschegg
conclude che, l’interpretazione dei risultati delle prove per mezzo del solo sforzo
massimo condurrebbe a conclusioni non realistiche sull’effettivo
comportamento delle interfacce in dipendenza della temperatura. Questa tesi
comprova la non adeguatezza di test come il Pull-off, nel quale viene rilevato
solo lo sforzo massimo a rottura, per la caratterizzazione completa dei materiali
all’interfaccia.
Infine, Tschegg confronta i risultati delle prove condotte con quelli ottenuti in
passato da prove eseguite su provini omogenei di conglomerato bituminoso. Lo
scopo è quello di valutare la differente capacità di carico di provini con e senza
interfaccia. In linea di principio i valori di (GF) sono molto superiori per provini
omogenei. A seconda del tipo di aggregati impiegati nel caso di provini
omogenei si possono verificare forti innalzamenti di (GF) per via
dell’ingranamento degli inerti nell’apice della frattura o per la rottura degli inerti
stessi. Questi due fenomeni non sono stati riscontrati nel caso di provini doppio
strato. Che le interfacce siano i punti più deboli del pacchetto stradale viene
nuovamente riscontrato secondo Tschegg, nel fatto che i valori di (GF) per
campioni con interfaccia siano, in media, compresi tra il 10% ed il 50% di quelli
ottenuti per campioni omogenei.

3.1.4 Partl M.N. e Raab C., “Shear Adhesion between top layers of fresh
asphalt pavements in Switzerland” [41].
Lo studio condotto presso i laboratori federali svizzeri dell’EMPA forniscono un
quadro dei reali livelli di collegamento ottenibili da pavimentazioni di nuova
costruzione in Svizzera. Le prove sono state realizzate tramite il Linear-Parallel
Direct Shear (LPDS) tester, evoluzione del noto Leutner Shear test, entrambe
descritti nel paragrafo successivo.

107
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

I provini sottoposti a prova, sono stati tutti prelevati da pavimentazioni stradali


svizzere, subito dopo la loro realizzazione o, in alcuni casi, dopo diversi anni di
servizio. La sperimentazione ha previsto sia la caratterizzazione della resistenza
di interfaccia tramite prove inter-strato, sia la caratterizzazione della resistenza
al taglio dei conglomerati bituminosi di strato, tramite prove in-strato. Le
temperature di prova sono state in ogni caso di 20°C e per taluni anche di 40°C.
La tabella 3.1 riporta i risultati in termini di sforzo di taglio massimo (in KN) e
rigidezza massima (in KN/mm) dei test inter-strato ed in-strato condotti da Partl
alla temperatura di 20°C, per ciascuno dei siti investigati.

Tabella 3.1: risultati di LPDS test a 20°C per ciascun sito. SMA = Splitt Mastic
Asphalt, AC = asphalt concrete, HR = hot rolled asphalt, GA = gussasphalt,
DR = porous asphalt e HMT = hot mix base corse asphalt.

La tabelle 3.2 riporta invece, i risultati per i test condotti a 40°C: si noti come i
valori di resistenza siano nettamente inferiori.

108
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Tabella 3.2: risultati di LPDS test a 40°C per ciascun sito. SMA = Splitt Mastix
Asphalt, AC = asphalt concrete, HR = hot rolled asphalt, GA = gussasphalt,
DR = porous asphalt e HMT = hot mix base corse asphalt.

Sulla base della sperimentazione condotta e dei valori di LPDS ottenuti, Partl
trae diverse conclusioni di seguito riportate per punti:
ƒ la prova LPDS è un metodo semplice e utile per effettuare le Valutazioni
di Qualità ed i test di verifica delle pavimentazioni stradali
immediatamente dopo la loro costruzione. Esso è inoltre un valido
strumento per le scelte decisionali sugli interventi manutentivi. Spessori
superiori ai 30 mm e temperature di prova inferiori ai 40°C sono
preferibili per evitare effetti di “snow plough” all’inizio dei test;
ƒ sono state osservate notevoli differenze di comportamento tra le prove
inter-strato e quelle in-strato; ciò suggerisce una maggiore rigidezza (a
20°C) per il collegamento inter-strato rispetto all’andamento della curva
in-strato. Misurazioni ottiche al piano di taglio durante i test hanno
mostrato che nel caso di prove inter-strato gli spostamenti orizzontali

109
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

(dilatanza) sono stati dell’ordine dei 0.06mm pari a circa il 60% dei
corrispondenti valori di spostamenti in-strato (si veda la figura 3.4).

Figura 3.4: Rilievi ottici di spostamento orizzontale all’interfaccia.

ƒ nel caso dei conglomerati porosi (DR) è stata osservata una notevole
variabilità dei risultati di sforzo massimo tagliante e rigidezza massima.
Inoltre, si è visto che il coefficiente di variazione è cresciuto per la prove
a 40°C. Questo fatto mostra come ad alte temperature l’LPDS conduca a
risultati meno attendibili;
ƒ la resistenza inter-strato verificata tra strato superficiale e strato di
collegamento nelle pavimentazioni di nuova costruzione è fortemente
influenzata dalle proprietà di resistenza in-strato del conglomerato
superficiale; è stata individuata una relazione tra le massime resistenze
inter-strato ed in-strato così come per i valori di rigidezza nel caso di strati
superficiali nuovi. Nei grafici riportati in figura 3.5 nei quali è riportato il
confronto di resistenze inter-strato e resistenze in-strato i valori ottenuti
sono sulla linea di equità a 45° dall’origine nel caso degli sforzi

110
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

tangenziali massimi e per un 15% più alti nel grafico delle rigidezze inter-
strato rispetto a quelle in-strato;

Figura 3.5: Confronto diretto tra valori di sforzo massimo e rigidezza per
test inter-strato ed in-strato corrispondenti, alla temperatura di 20°C.

ƒ notevoli differenze nel comportamento a taglio sono state riscontrate tra


conglomerati chiusi con forte quantitativo di bitume (gussasphalt) e
conglomerati porosi (porous asphalt);
ƒ la tesi che, conglomerati a struttura litica grossolana, con grossi film di
bitume ed un processo di compattazione specifico come gli SMA,
potessero mostrare una particolare influenza sulle proprietà del
collegamento inter-strato alle alte temperature, non è stata confermata
nello studio condotto;
ƒ valori suggeriti da Partl, impiegabili come limite inferiore di resistenza
all’LPDS test (20°C) per specifiche o norme sono: 23 KN di sforzo
massimo e rigidezza inter-layer di 12 KN/mm;

111
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ i valori di sforzo e di rigidezza in ogni caso hanno mostrato una spiccata


dipendenza dalla temperatura; soprattutto per la seconda grandezza si
sono avuti cali di 2-6 volte il valore ottenuto a 20°C;
ƒ dal confronto dei valori di resistenza massima in-strato ottenuti da test
condotti su carote prelevate subito dopo la costruzione e dopo 3-5 anni di
servizio, si riscontra un 10% di resistenza in più per i secondi, sia nel caso
del conglomerato di usura, sia per quello di collegamento. Nessuna
significativa differenza è stata invece rilevata nelle resistenza inter-strato
tra carote prelevate in corrispondenza dell’ormaia e non.

Esperienze più datate di quella di Partl, ma basate sempre sull’utilizzo del


Leutner Shear test sono state condotte sia da Codjia H. [21], sia dallo stesso
Prof. Rolf Leutner [6][28]. In ambedue i casi le sperimentazioni hanno visto il
prelievo di un grande numero di provini dalla strade ed autostrade tedesche ed,
in seguito all’elaborazione dei dati, entrambe gli autori suggeriscono valori
limite di sforzo massimo e spostamento da ottenersi con il Leutner test. Nel
capitolo successivo, inoltre, verrà descritta la sperimentazione condotta da chi
scrive, presso il Nottingham Centre for Pavement Engineering (NCPE) a
conclusione della quale verranno forniti valori limite di resistenza anche per il
caso di pavimentazioni inglesi [63][66][73][74][76][80][83].

3.1.5 Romanoschi S.A. e Metcalf J.B., “The characterization of pavement


layer interfaces” [43][69][12][13][32].
Gli obiettivi principali della ricerca condotta da Romanoschi sono stati: lo studio
di un modello costitutivo per le interfacce tra strati di pavimentazioni flessibili e
la determinazione degli effetti delle condizioni di interfaccia sulla prestazione di
servizio della pavimentazione. In merito, un semplice modello costitutivo per
interfacce bituminose, è stato derivato dall’analisi dei dati ottenuti da prove di

112
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

taglio diretto in laboratorio per diverse condizioni di carico normale al piano di


taglio. L’apparecchiatura impiegata per la realizzazione dei test verrà descritta
nel paragrafo successivo ed è denominata Direct Shear Test with Normal Load. I
provini doppio strato sottoposti a prova sono stati prelevati da una
pavimentazione sperimentale in scala 1 a 1, appositamente costruita per test di
fatica, presso i laboratori del Department of Civil and Environmental
Engineering della Louisiana State University di Baton Rouge, USA. Nella
pavimentazione di prova sono stati riprodotti due pacchetti stradali simili: uno
con una mano d’attacco in emulsione bituminosa in ragione di 0.1l/m2 spruzzata
sulla superficie dello strato di collegamento prima della posa del conglomerato
di usura, ed uno senza mano d’attacco. Gli spessori degli strati, realizzati con la
stessa miscela bituminosa, sono stati rispettivamente 50 mm per quello di
collegamento e 40 mm per quello superficiale.
Le variabili di prova per la sperimentazione di Romanoschi sono state:
ƒ il tipo di interfaccia: con o senza mano d’attacco;
ƒ la temperatura: 15°C, 25°C e 35°C;
ƒ il livello di carico normale al piano di taglio: 138, 276, 414 e 522 KPa.
Per ciascuna combinazione sono state sottoposte a prova 5 carote scelte
casualmente. Tutte hanno mostrato la rottura in corrispondenza dell’interfaccia.
La figura 3.6 mostra il tipico andamento di una prova di taglio diretto con
l’apparecchiatura di Romanoschi. Sulla curva sono riconoscibili tra parti
distinte:
1) la prima parte corrisponde ad un comportamento lineare dell’interfaccia
con un elevato modulo di reazione (K); lo spostamento di taglio cresce
linearmente con lo sforzo applicato; allo sforzo massimo (Smax) si verifica
la rottura;

113
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

2) la seconda parte corrisponde al comportamento post-rottura; le due


porzioni di provino non sono ancora completamente separate all’interfaccia
la quale mostra ancora qualche risorsa di resistenza;
3) la terza parte descrive il comportamento a frizione del contatto tra le due
porzioni di provino completamente distaccate.

Figura 3.6: Tipica curva carico-spostamenti per una prova di taglio.

Il modello costitutivo proposto da Romanoschi sulla base delle analisi effettuate


sui risultati dei test condotti muove da una considerazione iniziale legata alle
effettive condizioni di carico in sito. La natura ciclica delle sollecitazioni stradali
rende non indispensabile la modellazione del comportamento post-rottura,
ovvero la seconda parte di curva, in quanto esso si verificherà una sola volta nel
momento in cui le risorse di resistenza del collegamento all’interfaccia saranno
esaurite ed i carichi esterni ne indurranno il distacco completo. Per tale motivo,
non sono stati individuati parametri di modellazione che rappresentino il
secondo comportamento, ma solo la parte elastica a rottura e la parte frizionale
finale. Il modello costitutivo proposto è schematizzato in figura 3.7. Esso
prevede due fasi. Nella prima fase, quando le tensioni di taglio sono inferiori a

114
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

quelle di rottura, gli spostamenti relativi all’interfaccia sono proporzionali alle


tensioni taglianti secondo la legge di Goodman già descritta nel capitolo
precedente e per la quale (K) rappresenta il Modulo di Reazione orizzontale
dell’interfaccia. Non appena il collegamento cede si passa direttamente alla
seconda fase. In essa il comportamento può essere rappresentato da una
semplice legge attritiva caratterizzata da un coefficiente di attrito (mu).

Figura 3.7: Modello costitutivo di interfaccia proposto da Romanoschi.

La tabella 3.3 riporta i valori medi del Modulo di reazione orizzontale di


interfaccia (K), della resistenza di interfaccia (Smax) e del coefficiente di frizione
(mu), per i tre livelli di temperatura e le quattro condizioni di carico normale. I
valori mostrano che, per entrambe le interfacce investigate (con e senza mano
d’attacco), la temperatura gioca un ruolo fondamentale nella caratterizzazione
dell’interfaccia; sia (K) che (Smax) si riducono all’aumentare della temperatura.
Nonostante le apparecchiatura di prova e le caratteristiche dei materiali
differiscano, Romanoschi è in grado di confrontare i risultati da lui ottenuti alla
temperatura di 25°C, con quelli riscontrati da Uzan venti anni prima. Dal
confronto sono state tratte le seguenti conclusioni:

115
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ le resistenze al taglio delle interfacce testate da Romanoschi sono


comprese tra i 0.5 ed i 2.5 MPa, laddove Uzan ottenne valori compresi tra
i 0.3 ed i 0.75 MPa;
ƒ i valori del modulo di reazione di interfaccia (K) ottenuti da Uzan
variavano dai 0.4 ai 2.0 N/mm3, pari quasi al doppio di quelli ottenuti da
Romanoschi (0.2 – 1.2 N/mm3).

Tabella 3.3: Parametri ottenuti per il modello costitutivo di Romanoschi.

Secondo Romanoschi le differenze di risultati sono imputabili ai differenti


materiali e procedure usate nella realizzazione dei campioni di prova. Inoltre, le
velocità di taglio sono state assai differenti: 0.04 mm/min per Uzan e 0.2
mm/sec per Romanoschi.

116
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

L’analisi dei dati statistici di varianza indicano, come già accennato, che la
temperatura condiziona i valori di (Smax) e di (K) per ambedue le interfacce
considerate; il tipo di interfaccia condiziona (Smax) e (K), ma non (mu). Il carico
normale alle tre temperature ha i medesimi effetti su (K), ma diversi su (Smax) e
questo avviene solo in assenza di mano d’attacco. Romanoschi spiega questo
fatto imputandolo alla presenza di vuoti all’interfaccia nei provini privi di mano
d’attacco. L’aumento di sforzo normale causa un aumento nell’area della
superficie di contatto e pertanto anche una maggiore resistenza del collegamento
ed un aumento di (K). In presenza di mano d’attacco, i vuoti sono riempiti di
bitume e l’aumento delle tensioni normali non conduce ad aumenti di superficie
di contatto, per cui nemmeno (K) e (Smax) aumentano.
A conclusione dello studio Romanoschi trae alcune interessanti conclusioni di
seguito elencate:
ƒ il comportamento delle pavimentazioni stradali in esercizio prova che, le
condizioni di collegamento all’interfaccia tra gli strati, condiziona in
modo significativo la distribuzione di tensioni e deformazioni nelle
sovrastruttura flessibili e semi-rigide e conseguentemente le loro
prestazioni;
ƒ il comportamento delle interfacce bituminose può essere descritto tramite
un semplice modello a tre variabili: (K) il Modulo di Reazione
orizzontale, (Smax) il valore di resistenza massima a taglio, (mu) il
coefficiente di frizione a distacco avvenuto;
ƒ tutti e tre i parametri dipendono dalla temperatura;
ƒ (mu) non dipende dell’entità del carico normale all’interfaccia;
ƒ (K) e (Smax) non dipendono dell’entità del carico normale all’interfaccia
soltanto in presenza di mano d’attacco;

117
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Omettendo le conclusioni tratte per la modellazione numerica agli elementi finiti


delle interfacce tra strati bituminosi e strati di fondazione si riporta quanto
proposto da Romanoschi per studi futuri del problema:
ƒ occorre realizzare altre prove di taglio conducendole a differenti velocità e
temperature, in modo da caratterizzare ulteriormente la dipendenza da essi
del modello costitutivo proposto;
ƒ è necessaria altra ricerca per comprendere gli effetti della dimensione
delle asperità all’interfaccia sul suo comportamento, così come sul tipo e
sul quantitativo di mano d’attacco impiegata.

3.1.6 Mohammad L.N., Raqib M.A., Wu Z., Huang B., “Measurement of


Interlayer Bond Strength through Direct Shear Tests” [75].
Gli obiettivi della ricerca condotta da Mohammad sono stati: a) la valutazione
del quantitativo di mano d’attacco applicata e delle temperature di prova sulla
resistenza del collegamento all’interfaccia; b) l’individuazione, se esiste, di un
quantitativo ottimale di mano d’attacco; c) la valutazione dell’influenza del
livello di tensioni normali sull’entità del collegamento.
A tale scopo sono stati preparati in laboratorio per mezzo del compattatore
giratorio ben 156 provini doppio strato, con quattro tipi diversi di emulsione e
cinque quantitativi di applicazione: 0.0, 0.09, 0.23, 0.45 e 0.9 l/m2. Su di essi è
stato condotto un semplice test di taglio diretto alle temperature di 25°C e 55°C
per diversi valori di pressione normale all’interfaccia: 137.9, 275.8, 413.6, 551.5
689.4 KPa. I campioni di prova, costituiti da tre provini ciascuno, hanno
presentato tutti una percentuale dei vuoti compresa tra il 5 ed il 7%.
Le prove sono state eseguite tramite due supporti appositamente realizzati per
essere introdotti nel Superpave Shear Tester (a camera climatizzata) e produrre
una sollecitazione tagliante in corrispondenza dell’interfaccia tra gli strati. La
figura 3.8 rappresenta i supporti vuoti ed in configurazione di prova. Questa

118
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

metodologia di prova non è stata riproposta nel paragrafo successivo, ma


potrebbe essere annoverata tra i dispositivi a taglio diretto.

Figura 3.8: Supporti per la prova di taglio diretto secondo Mohammad.

Il carico tagliante è stato applicato variandolo costantemente a 222.5 N/min fino


alla rottura del provino. Nell’analisi dei risultati si sono considerati i valori di
picco di tensione tangenziale a rottura e spostamento a rottura.
Le conclusioni cui Mohammad giunge dallo studio statistico dei dati ottenuti
sono le seguenti:
ƒ tra le emulsioni adottate per la sperimentazione la CRS 2P fornisce i
valori più elevati di resistenza all’interfaccia e pertanto è stata identificata
come la migliore; il quantitativo ottimale è risultato essere pari a 0.09
l/m2;
ƒ alla temperatura più bassa di prova, l’aumento del quantitativo di mano
d’attacco applicata, ha causato in genere una diminuzione della resistenza
dell’interfaccia; comunque, la resistenza al taglio di interfaccia, non si è
mostrata sensibile alla variazione di quantitativo di mano d’attacco alle
alte temperature di prova;
ƒ i risultati di prove di taglio condotte a diversi valori di carico normale al
piano di taglio, hanno mostrato un incremento lineare di resistenza con
l’aumento del carico normale. Il tasso di aumento di resistenza si è visto
essere simile ad entrambe le temperature di prova;

119
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ il fatto che la miglior condizione di collegamento all’interfaccia, ottenuta


con l’applicazione di 0.09 l/m2 di CRS 2P, sia corrispondente all’83%
della resistenza al taglio di un provino monostrato a 25°C, dimostra
secondo Mohammad che la costruzione di pavimentazioni stradali a strati
successivi introduce superfici deboli nel pacchetto.

3.1.7 Canestrari F., Ferrotti G., Santagata E., Santagata F.A.,


“Interpretazione del Ruolo delle Mani d’attacco nelle Pavimentazioni
Flessibili”
[17][19][20][22][26][31][35][36][37][39][40][44][45][58][79][81][82][84].
L’indagine sperimentale condotta presso i laboratori anconetani del CIRS ha
avuto come scopo quello di interpretare il ruolo delle mani d’attacco nelle
interfacce bituminose di pavimentazioni flessibili.
A tal fine sono stati sottoposti a prova di taglio diretto circa 150 provini: parte
prodotti in laboratorio tramite carotaggio di piastre bituminose doppio strato
compattate con roller compactor, parte prelevati da una specifica
pavimentazione sperimentale in vera grandezza, costruita con gli stessi materiali
impiegati in laboratorio. La preparazione delle interfacce tra gli strati bituminosi
è avvenuta prevedendo o meno la presenza di una mano d’attacco
opportunamente dosata in ragione di 0.3 Kg/m2. Per quest’ultima, sono state
adottate due diverse emulsioni bituminose stradali: una cationica convenzionale
al 60% ed una modificata al 70%.
Le prove di taglio diretto impiegate sono l’ASTRA Test ed il test LPDS
entrambe descritte nel paragrafo successivo.
L’analisi dei risultati proposta muove dallo studio degli “inviluppi di rottura”
ottenuti per le diverse configurazioni di prova utilizzate. In particolare, oltre al
tipo di test eseguito (ASTRA od LPDS) ed alla provenienza dei provini (sito o

120
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

laboratorio), si è fatto variare il tempo di stagionatura (a breve e medio termine),


lo sforzo normale applicato (0, 0.2, 0.41 MPa) e la temperatura di prova (20°C e
40°C). La legge che individua il dominio di resistenza a taglio è esprimibile
tramite una relazione del tipo:

τpicco = c + σ tan Φp

dove (τpicco) rappresenta il valore a rottura della tensione di taglio, (c)


rappresenta la coesione all’interfaccia, (σ) la pressione normale all’interfaccia
ed (Φp) l’angolo di attrito dell’interfaccia prima della crisi. Dal confronto dei
risultati ottenuti nelle diverse configurazioni di prova, gli Autori hanno
osservato che: per un certo valore di (σ), il valore massimo di tensione tagliante
(τpicco) può rappresentarsi come la somma di diversi contributi così come
rappresentato in figura 3.9 e nell’espressione successiva.

tp = c + s tg Fp

ta

tc = td + tci

tm

s* s

Inviluppo di rottura con mano d’attacco

Inviluppo di rottura senza mano d’attacco

Retta d’attrito

Figura 3.9: Scomposizione dei contributi dell’inviluppo di rottura.

121
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

τpicco = τμ + (τd + τci) + τa

dove (τμ) è il contributo attritivo, (τd) è il contributo della dilatanza, (τci) è il


contributo della coesione interna e (τa) è il contributo dovuto alla eventuale
mano d’attacco. Inoltre, si è visto che, in tutte le condizioni di prova, a parità di
mano d’attacco considerata, l’angolo di attrito residuo (μres), corrispondente alla
pendenza della retta d’attrito, è maggiore di quello ottenuto per la retta di
inviluppo (Φp), mostrando una sostanziale convergenza delle due rette per
elevati valori dello sforzo normale (σ). Secondo gli Autori, tale fatto può essere
spiegato considerando che, il contributo offerto alla resistenza dalle componenti
coesive (dilatanza e coesione interna), tende a diminuire all’aumentare dello
sforzo normale applicato.
Si è poi valutata l’influenza di ciascuna delle variabili introdotte sul
comportamento a rottura dei provini testati.
Per quanto riguarda la mano d’attacco si è innanzitutto confermato quanto
concluso in altre sperimentazioni analoghe, ossia che l’impiego di emulsioni
modificate conferisce una maggiore resistenza al sistema bistrato, soprattutto
alla temperatura di 20°C. Anche la termo-dipendenza è rilevante: a 40°C il
contributo dell’emulsione modificata, o comunque della mano d’attacco non
viene più riscontrato, indipendentemente dalla condizioni di prova. Secondo gli
Autori, ciò può essere interpretato considerando l’incremento di deformabilità
del bitume residuo alla alte temperature ed il corrispondente calo di resistenza.
Pertanto, la resistenza di picco alle alte temperature (40°C) può essere
considerata indipendente dalla presenza e dal tipo di emulsione impiegata,
risultando riconducibile prevalentemente alle caratteristiche delle miscele di
strato. Inoltre, dal confronto tra provini confezionati con emulsione cationica e
senza emulsione si è osservato uno scadimento delle resistenza in presenza della

122
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

mano d’attacco; si è pensato che essa possa agire da lubrificante (è non da


legante) per effetto del bitume che ricopre gli inerti superficiali del
conglomerato vergine dello strato inferiore, il ché comporta un dannoso eccesso
di legante all’interfaccia. Per tale motivo gli Autori sottolineano l’importanza
del corretto dosaggio di legante residuo per ciascun caso applicativo affrontato.
Per l’influenza della temperatura si sono valutati gli andamenti delle resistenza
di picco, a parità di sforzo normale applicato, nelle due condizioni termiche
previste. L’analisi conferma che, a parità di sforzo normale applicato, le
resistenze al taglio calano all’aumentare della temperatura, in accordo con
quanto osservato da vari Autori. Inoltre, presentando le curve una pendenza
simile, si pensa di poter attribuire le variazioni di comportamento, alla
componente di resistenza (τci) di coesione interna delle miscela bituminosa
costituente gli strati. L’influenza della temperatura sul comportamento
meccanico delle interfacce è stata valutata anche attraverso i valori di Modulo di
Reazione orizzontale (K) misurati. In particolare (figura 3.10), (K) diminuisce al
crescere della temperatura, a parità di sforzo normale applicato, mostrando
comunque valori inferiori per sforzi normali più bassi.

Temp-K
0,6

0,5 ATCS0

0,4 ATCS2
K [N/mm3]

ATCS4
0,3
ATCS0
0,2 ATCS2
ATCS4
0,1

0
0 10 20 30 40 50
Tem p [°C]

Figura 3.10: Andamento del modulo (K) in funzione della temperatura.

123
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Con riferimento all’angolo di attrito residuo (μres) gli Autori hanno riscontrato
valori sostanzialmente indipendenti dalla temperatura, interpretando tale
risultato come frutto dalle proprietà intrinseche dei due corpi a contatto.
Dal confronto dei domini di rottura ottenuti alle due temperature di prova, è stata
tratta un’importante conclusione generale, già per altro riportata in altri studi. In
sostanza, emerge l’esigenza di uno studio ad hoc di progettazione delle mani
d’attacco, finalizzato all’ottimizzazione dei dosaggi al variare delle condizioni al
contorno per le quali ne è previsto l’impiego.
Per quanto riguarda l’influenza dello sforzo normale applicato si è già visto
come esso influenzi il valore della resistenza al taglio in maniera significativa.
Esiste una certa proporzionalità tra il Modulo di Reazione orizzontale (K) e (σ),
indipendentemente dalla presenza o meno di mano d’attacco. Per spiegare
questo si considera che, il picco di rottura (τmax) è stato osservato per tutte le
prove eseguite, all’incirca in corrispondenza dello stesso spostamento
orizzontale. Ne discende secondo gli Autori che, se al crescere di (σ) aumenta
(τmax) anche (K) deve aumentare con lo sforzo normale. Dai test è stato inoltre
osservato che alle alte temperature il modulo (K) si presenta maggiore per i
provini con interfaccia priva di emulsione rispetto a quelli con mano d’attacco.
Anche il confronto in relazione alla stagionatura è significativo. Per quanto
riguarda l’impiego di emulsione cationica si è riscontrato un sensibile aumento
delle sue prestazioni con la stagionatura mostrando essa oltre ad un incremento
di coesione, anche un aumento di resistenza in corrispondenza di tutti i valori di
sforzo normale applicato. In effetti, dei quattro contributi di resistenza a taglio ai
una interfaccia, l’unico che si è dimostrato essere sensibile alla stagionatura è
risultato quello relativo alla adesione offerta dall’emulsione, unicamente nel
caso della emulsione cationica.
In termini di preparazione dei provini si è voluta verificare la rappresentatività
dei provini preparati in laboratorio con la preparazione di quelli in stesa reale.

124
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Dal confronto degli inviluppi di rottura per provini ottenuti in sito ed in


laboratorio si evince che quest’ultima presenta valori di resistenza sempre
superiori. Gli Autori attribuiscono tale differenza alle formazione di un maggior
ingranamento tra i conglomerati componenti gli strati, nelle piastre preparate in
laboratorio, probabilmente dovuto ad una maggiore asperità superficiale dello
strato sottostante. Alle alte temperature tale differenza va annullandosi a
testimonianza della termo-dipendenza del materiale indipendentemente dalla
condizioni al contorno. Ciò è anche riscontrabile dall’analisi di rette di
regressione nel piano (τmax-lab – τmax-sito) dove lo scostamento dalla condizione di
eguaglianza sulla retta a 45° rispetto all’origine è minore a 40°C. Infine, con
tutta probabilità la differenza è da imputarsi alla differente compattazione ed alla
differenza in termini di percentuale dei vuoti nei due casi: si sono riscontrati
sistematicamente valori di densità superiori per i provini confezionati in
laboratorio. In sostanza, la tensione massima a taglio diminuisce all’aumentare
della percentuale di vuoti residui delle miscele che costituiscono gli strati.

A conclusione dello studio, gli Autori forniscono una interessante comparazione


tra prove di taglio diretto eseguite con ASTRA test e con test LPDS ricavando
uno significativo legame tra le prove. Il confronto può essere eseguito solamente
con riferimento a test svolti in assenza di carico normale al piano di taglio, non
essendone prevista l’applicazione nella caso dell’LPDS. La temperatura di
riferimento è 20°C. Si sono analizzate le (τmax) ottenute da ASTRA
paragonandole alle tensioni tangenziali nominali medie ottenute dall’LPDS. Si
osserva una netta differenza tra i risultati nei due casi; tale discordanza può
essere facilmente attribuibile alle diverse velocità di prova adottate: la prova
LPDS ha una velocità 20 volte superiore. Questo fatto comporta una risposta più
rigida dei materiali impiegati, dando luogo a resistenze più elevate. Dalla tabella
3.4 si osserva una spiccata proporzionalità tra i risultati ottenuti per diverse

125
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

condizioni di interfaccia. In particolare, si riscontra un coefficiente di


conversione pari a circa 3 tra i risultati delle due prove.

Tipo d'interfaccia t LPDS/tASTRA


emuls.cationica 3,16
emuls.modificata 3,09
no emulsione 3,01

Tabella 3.4: Coefficienti di conversione ASTRA – LPDS. Sito. Medio termine.

Gli Autori fiduciosi dell’interessante risultato ottenuto, sottolineano la necessità


di ulteriori studi in merito. Tuttavia, l’invarianza del coefficiente di
trasformazione per diverse condizioni di interfaccia ed il permanere delle
gerarchie di resistenza ottenute coi due metodi, confermano la bontà del
risultato, soprattutto nel caso di provini prelevati in sito.

126
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

3.2 I TEST ESISTENTI PER VALUTARE IL COLLEGAMENTO

3.2.1 Introduzione
Come evidente dal numero di studi sperimentali portati a termine od ancora in
corso sul tema del collegamento esistente tra gli strati del pacchetto stradale,
l’interesse a riguardo è stato ed è tutt’ora forte. Il primo risultato di molte delle
ricerche condotte e descritte è stato la messa a punto di nuove metodologie e
procedure di prova atte a quantificare in sito od in laboratorio l’entità di tale
collegamento. Dall’analisi delle specifiche e normative presenti sull’argomento
in Europa, riproposte nel paragrafo successivo, si riscontra come solo un paio
delle metodologie di prova prodotte, siano effettivamente in uso corrente nelle
verifiche sulle pavimentazioni stradali europee. Molti dei test infatti, sono
solamente prototipi di laboratorio finalizzati alla sola ricerca sull’argomento.
Nel presente paragrafo si riportano per sommi capi, tutte le metodologie di
prova rinvenute in letteratura fino ad oggi, fornendo per ciascuna una breve
descrizione del funzionamento, dei pregi e dei difetti. Nel farlo si distinguerà tra
metodi cosiddetti “distruttivi”, generalmente applicati su campioni prelevati da
pavimentazioni reali o confezionati in laboratorio, nei quali il provino (o la
pavimentazione) viene portato a rottura e metodi cosiddetti “non distruttivi”,
eseguiti sia su campioni in laboratorio, sia su pavimentazioni reali, nei quali non
avvengono fenomeni di rottura evidenti.

3.2.2 Metodi “distruttivi”


La maggior parte dei metodi distruttivi prevede l’asportazione, per mezzo di
seghe circolari bagnate o carotatici bagnate, di porzioni di pavimentazione
stradale intatte, da esaminare e sottoporre a prova in laboratorio. Nella
valutazione delle caratteristiche di resistenza del collegamento tra gli strati del
pacchetto stradale, i provini prelevati, siano essi a forma parallelepipeda o
cilindrica, debbono necessariamente essere costituiti da almeno due strati

127
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

bituminosi che definiscano l’interfaccia del cui collegamento si vuole valutare


l’entità. Il provino viene quindi portato a rottura tramite apparecchiature ad hoc
che applicano forze o spostamenti imposti a seconda del tipo di test. Per il fatto
che i campioni debbono essere prelevati dal sito, un punto negativo di molti
metodi distruttivi, è quello di dover arrecare disturbo al traffico sulla strada in
esame. Come si vedrà le azioni esterne applicabili al provino al fine di indurre la
rottura del collegamento all’interfaccia sono diverse, ma riconducibili
essenzialmente a: trazione monoassiale diretta od indiretta, taglio diretto od
indiretto, torsione diretta.

Pull-off test:
Il Pull-off test (RVS 11.065 1993 Norma Austriaca) [23] può essere eseguito sia
direttamente sulla pavimentazione stradale, sia su carote prelevate in sito e
portate in laboratorio. Nel primo caso, occorre conoscere con esattezza la
profondità, rispetto al piano viabile, dell’interfaccia che si intende sottoporre a
prova; se l’interfaccia da testare non è quella più superficiale è necessario
procedere alla asportazione di parte del materiale sovrastante o comunque
occorre essere certi di non frapporre altre interfacce tra lo strumento e quella da
testare. Supponendo di voler misurare la resistenza della prima interfaccia, si
procede perforando la pavimentazione con un carotiere del diametro di 100 mm
fino ad incontrare l’interfaccia e oltrepassandola di almeno 50 mm. Dopo aver
praticato l’intaglio, si incolla sulla testa della carota ancora collegata alla base,
una piastra metallica tramite apposito collante epossidico. Quindi, si collega la
piastra allo strumento di misura munito di dinamometro e trattore e la prova può
avere inizio. In sostanza, essa consiste nell’applicare alla porzione di strato
superficiale connessa alla piastra, uno sforzo di trazione in direzione assiale tale
da indurre la rottura del collegamento all’interfaccia. Allo stesso modo si può

128
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

eseguire il test in laboratorio asportando completamente la carota e vincolandola


tramite ganasce all’estremità inferiore come in figura 3.11.

Figura 3.11: Pull-off test di laboratorio.

Questo semplice test, tuttavia, restituisce unicamente lo sforzo di collegamento


massimo a trazione e mostra una cospicua variabilità dei risultati divenendo così
poco affidabile come test di routine.
Le ragioni della spiccata variabilità sono facilmente intuibili e sono:
ƒ la possibile eccentricità del carico per via di piccoli angoli formati dal non
allineamento del trattore o per via del non parallelismo tra superficie ed
interfaccia (strato a cuneo);
ƒ la piccola dimensione del provino se paragonata alle dimensioni medie
degli aggregati;

129
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ la formazione di dentellature sulla superficie delle carote causata


dall’abrasione dell’utensile di taglio o dalla rottura di inerti;
ƒ le concentrazioni tensionali dovute al vincolamento delle deformazioni
trasversali nell’area di applicazione del carico (la piastra è incollata),
specialmente nel caso di spessori di strato sottili;
ƒ la dipendenza della resistenza del conglomerato dalla temperatura non
può essere correttamente valutata in sito;
Inoltre, questo metodo soffre di alcune gravi deficienze che, per certi versi, non
possono essere trascurate. In primo luogo, il fatto che la resistenza del
collegamento all’interfaccia possa essere misurata soltanto se questa è inferiore
alla resistenza a trazione dei conglomerati che costituiscono il provino; in
secondo luogo, il fatto che il contributo offerto alla resistenza del collegamento
dall’ingranamento tra gli aggregati dei due strati non venga restituita nel
risultato finale.

Wedge splitting test [23]:


La traduzione italiana del nome può essere: Prova di separazione tramite cuneo.
Il test è stato introdotto da Tschegg nel 1995 per lo studio delle curve carico-
spostamento di materiali eterogenei, durante la propagazione controllata di una
fessura indotta, fino all’avvenuta completa separazione tra due porzioni di
provino. Il test, eseguibile in laboratorio su provini di varia forma e dimensioni
preparati in laboratorio o prelevati in sito, può essere sfruttato per valutare la
resistenza del collegamento all’interfaccia tra strati bituminosi. A tale scopo, la
fessura di cui sopra viene indotta in corrispondenza dell’interfaccia tra gli strati
pertanto il campione deve essere costituito da almeno due. La figura 3.12
mostra, a sinistra lo schema di funzionamento del test ed a destra le forme
possibili di provini da sottoporre a prova. Con tale prova si valutano sia lo

130
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

sforzo di picco a rottura (FMAX), sia il comportamento di rottura del campione


distinguendo tra i casi di andamento fragile e duttile.

Figura 3.12: Wedge splitting test: schema di funzionamento e possibili forme dei provini.

I provini debbono essere preparati, producendo una scanalatura a base


rettangolare nella quale alloggiare i contrasti metallici sui cui agirà il cuneo e
praticando in corrispondenza dell’interfaccia una piccola incisione che dia inizio
alla rottura. La forza agente sul cuneo (FM) viene trasferita orizzontalmente agli
strati attraverso i contrasti metallici, sotto forma di forze (FH) pari a:

FM
FH =
2 tg α

dove (α) è l’angolo del cuneo variabile tra 5° e 12°.


Allo stesso tempo viene misurato lo spostamento di apertura della fessura (δ) ed
il grafico sforzi (FH) – spostamento (δ) viene registrato. Il massimo valore di
resistenza alla rottura dei provini, viene assunto come valore caratteristico del

131
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

collegamento tra i due strati. La figura 3.13 riporta esempi di curve di rottura di
tipo fragile e duttile.

Figura 3.13: Curve carico spostamento da WST: comportamenti fragile e duttile.

Infine, posto che l’area sottesa alla curva rappresenta l’energia di frattura (G) del
provino. Dividendo (G) per l’area di frattura (A) si ottiene:

G
GF =
A

dove (GF) costituisce l’energia specifica di frattura, parametro caratteristico che


definisce la resistenza del materiale alla crescita della frattura.

Figura 3.14: Rottura di un provino sottoposto a WST e modellazione numerica di WST.

132
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Un test del tutto simile è stato proposto da Bourdrel D. et al. [50] (Essai
simplifié d’ouverture à la cale) nel quale il cuneo tagliante viene fatto avanzare
alla velocità di 2 mm al minuto. Come mostra il grafico sulla destra di figura
3.15 viene registrato lo sforzo verticale in funzione del tempo di applicazione a
diverse temperature.

Figura 3.15: Prova di separazione a cuneo secondo Bourdrel D..

Test di Taglio Diretto:


Segue ora la descrizione di una serie di test nei quali sul provino viene applicato,
in corrispondenza dell’interfaccia tra gli strati, uno sforzo di taglio diretto, in
certi casi accompagnato da un carico assiale normale al piano di taglio. Tali test,
in generale si basano sulla legge di Goodman vista nel secondo capitolo per la
quale la tensione tangenziale all’interfaccia è legata al cosiddetto Modulo di
reazione orizzontale (MN/m3) pari all’inverso dello Shear Spring Compliance
che compare nella caratterizzazione del collegamento tra gli strati in BISAR [2].
L’ordine col quale vengono descritti non è aleatorio, ma vede prima i test di
laboratorio, nei quali il provino ha forma parallelepipeda con dimensioni

133
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

variabili e successivamente i test nei quali il provino ha forma cilindrica con


diametri variabili tra i 96 mm ed i 155 mm.

Test di Taglio secondo Uzan J. [3]:


Nel 1978 Jacob Uzan propose un metodo di prova a taglio diretto al fine di
identificare i valori dei Moduli di reazione all’interfaccia per condizioni variabili
di temperatura, carico normale al piano di taglio e quantitativo di mano
d’attacco, per impiegarli nella progettazione razionale delle sovrastrutture
stradali. Il provino è doppio strato: il primo viene compattato staticamente a 200
Kg/cm2 in uno stampo di acciaio delle dimensioni 15x10x5 cm e
successivamente trattato con emulsione, il secondo strato di 3 cm di spessore
viene compattato sul primo una volta che l’emulsione ha rotto. Il campione è
pronto per essere condizionato a diverse temperature ed introdotto nella scatola
di taglio munita di quattro comparatori di spostamento collocati in direzioni
diverse. Una volta vincolata la base della scatola ed applicato il carico normale
al piano di taglio si applica alla porzione di conglomerato soprastante contenuta
nella parte di scatola mobile, uno spostamento orizzontale controllato di 2.5
mm/minuto. Dal momento che le variabili sono diverse si possono restituire
curve carico di taglio-spostamento per carie condizioni di temperatura e carico
normale, nonché di quantitativi di bitume residuo presente.

Shear Box Test [10][14][24][46][48][56][57][60][63][73]:


Del tutto analogo è la scatola di taglio messa a punto preso l’Università di
Nottingham dal Prof.S.F.Brown e Mr.B.Broderick per lo studio degli interstrati
sintetici nelle pavimentazioni. Nel 2000 tale apparato è stato ripreso per
condurre una ricerca riguardante l’importanza del collegamento tra gli strati
della pavimentazione stradale. Il principio di funzionamento è esattamente
quello della Scatola geotecnica di Casagrande. Nelle figure 3.16 e 3.17 sono

134
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

riportati rispettivamente la vista laterale dello strumento ed una fotografia


dell’apparato durante un test.

Figura 3.16: Vista laterale dello Shear Box Test di Nottingham.

Figura 3.17: Fotografia dello Shear Box Test in azione.

I provini doppio strato, prodotti in laboratorio tramite roller compactor o


prelevati in sito tramite sega circolare, hanno dimensioni paragonabili a quelle di
una scatola da scarpe (30x25x20). Su di essi vengono incollate le due parti

135
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

metalliche che costituiscono la scatola di taglio ed il sistema viene poi alloggiato


a fianco di un pistone pneumatico orizzontale che applicherà il carico di taglio.
Verticalmente agisce anche un carico variabile normale al piano di taglio; il
contrasto di tale sforzo è ovviamente costituito da rulli che scorrono sulla
superficie superiore della scatola. Un difetto di tale strumentazione è l’elevato
momento flettente dovuto al non allineamento del carico orizzontale ed anche la
difficoltà nel controllare le condizioni di temperatura dei provini. Un pregio è
senz’altro la possibilità di agire dinamicamente sul pistone orizzontale
sottoponendo il provino a carichi ciclici che portano a rotture per fatica il
collegamento.

ASTRA Test (Ancona Shear Testing Research and Analysis) [19] [22] [35]
[84] [58] [81]:
Presso il laboratorio del Centro Interuniversitario Sperimentale di Ricerca
Stradale di Ancona è stata messa a punto, nel 1992, una apparecchiatura
concettualmente analoga alle due precedenti ed alla Scatola di Casagrande. I
provini doppio strato in questo caso hanno dimensioni più contenute e possono
avere forma parallelepipeda o cilindrica e provenire sia da compattazioni di
laboratorio, sia da campioni prelevati in sito e sagomati. Il provino viene
alloggiato all’interno di due semi-scatole, così come mostrato in figura 3.18,
distanziate tra loro in modo da lasciare una zona centrale non confinata, in
corrispondenza dell’interfaccia. La semi-scatola inferiore viene fatta avanzare ad
una velocità costante di 2.5 mm/min. Tramite un sistema di leve e pesi, è
possibile far agire sul provino anche un carico verticale, ortogonale
all’interfaccia. Tutta la strumentazione è contenuta all’interno di una camera
climatica, con la quale è possibile controllare le condizioni di temperatura ed
umidità. Un pregio del macchinario è certamente la versatilità: possono infatti
essere variate al contempo praticamente tutte le variabili che condizionano il

136
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

comportamento del collegamento all’interfaccia. Inoltre, alcune modifiche


recenti, hanno permesso di impiegare provini cilindrici con diametri diversi da
quelli tradizionali Marshall inserendoli in appositi elementi metallici con fori di
dimensioni diverse (figura 3.19)

. Figura 3.18: Configurazione base di prova dell’ASTRA Test .

Figura 3.19: Adattatori per provini a base cilindrica variabile .

Le strumentazioni di registrazione dati collegate all’apparecchiatura ASTRA


consentono di memorizzare l’andamento nel tempo di alcuni parametri quali: lo
sforzo tagliante applicato, lo spostamento orizzontale relativo tra le semiscatole
e lo spostamento verticale di quella superiore (dilatanza). Dall’elaborazione dei
dati ottenuti si possono ricavare una serie di andamenti utili alla
caratterizzazione del collegamento, in particolare gli andamenti di:

137
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ sforzo tagliante – spostamento orizzontale;


ƒ dilatanza – spostamento orizzontale;
ƒ tensione tangenziale – tensione normale;
ƒ inviluppo di rottura, coesione ed angolo di attrito di picco;
ƒ angolo di attrito residuo dopo picco;
ƒ modulo secante di reazione orizzontale (K).

Direct Shear Test with Normal Load secondo Romanoschi S.A. [43][69]:
Come visto nel paragrafo precedente, presso il Department of Civil and
Environmental Engineering della Louisiana State Univeristy di Baton Rouge
(USA) è stato condotto negli ultimi anni, un ampio studio per la
caratterizzazione delle interfacce tra gli strati della pavimentazione stradale. In
quella ricerca è stato impiegato un test di taglio diretto che sfrutta provini
doppio strato a sezione circolare del diametro di 95 mm, prelevati dal sito o
confezionati in laboratorio. L’apparecchiatura consente, come schematizzato in
figura 3.20, di applicare all’interfaccia sia un carico tagliante, sia uno normale.

Figura 3.20: Direct Shear Tester with Normal Load secondo Romanoschi.

138
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Importante è il corretto posizionamento dell’interfaccia in corrispondenza del


piano di taglio, per tale motivo si adotta un pistone di base avvitabile. Il taglio
viene eseguito applicando uno spostamento controllato di 0.2 mm/secondo fino
al raggiungimento di 12 mm totali di spostamento. I momenti flettenti sono
minimizzati ed un gap di 5 mm viene lasciato tra le due coppelle di taglio in
corrispondenza dell’interfaccia. Una serie di LVDT (comparatori di
spostamento) misura gli spostamenti delle coppelle. I provini da sottoporre a
prova vengono preventivamente termostatati per 24 ore.
L’apparecchiatura proposta può essere anche impiegata per la realizzazione di
prove di fatica dell’interfaccia tra conglomerati. In particolare, gli autori hanno
apportato una lieve modifica al sistema inclinando di 25.5° il piano di taglio
rispetto all’asse verticale in modo che la tensione tangenziale all’interfaccia
risulti pari alla metà di quella normale, al fine di simulare la composizione di
sforzo normale ed azione frenante di un veicolo in condizioni medie di aderenza
(coefficiente di aderenza longitudinale pari a 0.5). Il carico ciclico pari al 10% di
quello di rottura viene applicato a 5 Hz da una pressa pneumatica e con le
registrazioni di sforzi e spostamenti su più direzioni è possibile caratterizzare
compiutamente il comportamento a fatica dell’interfaccia.

Leutner Shear Test [6][21][28][46][61][62][63][66][73][76][80][[108][111]:


La prova a taglio diretto, proposta fin dal 1979 dal Professor Rolf Leutner
[Leutner1979] della Technische Universitat Braunschweig e denominata per
questo Leutner Shear Test o semplicemente Leutner, è stata impiegata per la
realizzazione delle prove nelle fasi sperimentali del presente lavoro. Pertanto se
ne fornirà per completezza una breve descrizione, ma si rimanda ai capitoli
successivi per la lettura dei particolari esecutivi. Essa viene eseguita su provini
doppio strato cilindrici del diametro di 150 mm circa, a seconda dell’utensile di
taglio impiegato nei carotaggi, per tale motivo, infatti, si sfrutta

139
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

l’intercambiabilità di appositi elementi metallici consentendo di sottoporre a


prova carote di diametro leggermente diverso dai 150 mm detti. Le carote
possono anche presentare più strati e quindi più interfacce, da poter essere
testate in tempi successivi e possono essere prelevate in sito o prodotte in
laboratorio. Nel capitolo conclusivo si tratterà di provini doppio strato
confezionati con pressa giratoria.
La figura 3.11 mostra gli schemi costruttivi dell’apparecchiatura Leutner così
come riportati sulle istruzioni 2312-1999: Asphalt Prüfung – ALP A-Stb Teil 4,
attualmente adottate in Germania per la verifica del collegamento tra gli strati
delle pavimentazioni stradali tedesche.

50
mm/min

150
mm
Vista frontale Vista laterale

Vista alto

Figura 3.21: Leutner Shear Tester: schema di massima e modalità di prova.

Il Leutner consta di due semi-anelli metallici dei quali uno inferiore fisso, al
quale viene vincolata la porzione di carota che si trova a tergo dell’interfaccia,
ed uno anteriore mobile, sottoposto all’azione di una pressa tradizionale
Marshall che imprime allo strato di conglomerato bituminoso posto
anteriormente all’interfaccia uno spostamento controllato di 50±1 mm/minuto.

140
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Nel test l’azione tagliante è concentrata esattamente sull’interfaccia che,


pertanto, deve essere correttamente posizionata in corrispondenza del piano di
taglio definito dai sue semi-anelli citati. L’apparecchiatura che applica il carico
deve come minimo essere dotata di cella di carico per la misura dello sforzo
tagliante e di comparatore di spostamento per misurare gli abbassamenti dello
strato. Il test viene condotto alla temperatura di prova di 20±1 °C dopo
termostatazione dei provini per almeno 12 ore.
A differenza delle prove viste fin’ora, il test soffre della mancanza di un gap tra
gli anelli di taglio all’interfaccia; per tale motivo è possibile che un
disallineamento dei piani o la presenza di aggregati grossolani comprometta il
risultato della prova. Per ovviare a tale inconveniente una modifica proposta ed
eseguita presso l’NCPE dell’Università di Nottingham è stata la creazione di un
interspazio di 5 mm tra gli anelli di carico. Inoltre, essendo il collegamento tra
gli strati del provino unicamente sottoposto a taglio, non essendovi una azione
ortogonale al piano di interfaccia, sia presso l’Università Olandese di Delft, sia
presso quella di Nottingham sono state apportate alcune modifiche al sistema,
introducendo un sistema pneumatico frontale per la somministrazione di sforzi
assial-normali all’interfaccia.
Nella configurazione di base il risultato di una singola prova di taglio con
Leutner è rappresentato dal grafico sforzo tagliante – spostamenti ottenuto per
portare a rottura il collegamento. Dall’area della superficie di taglio si può
facilmente risalire alle tensioni tangenziali sviluppatesi.

Layer-Parallel Direct Shear (LPDS) Tester [41][84][107][108][116]:


Il test è stato messo a punto presso i Laboratories for Materials Testing and
Research dell’EMPA, ente federale svizzero per la ricerca in campo stradale.
L’apparecchiatura è del tutto simile a quella di Leutner, così come lo è la
procedura di prova e la restituzione dei risultati. L’unica differenza è legata al

141
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

sistema di vincolamento delle carote alla base del meccanismo di taglio. In


sostanza, anziché impiegare un semianello di serraggio bloccato tramite una
vite, è stato introdotto un semicilindro metallico sottoposto all’azione vincolante
di una pompa pneumatica. La figura 3.22 rappresenta schematicamente il
dispositivo LPDS: si noti la forte analogia con l’apparecchiatura Leutner.

Figura 3.22: Linear-Parallel Direct Shear Tester.

La velocità di applicazione del carico è fissata in 50.8 mm/minuto. La prova,


inoltre, è normalizzata in Svizzera col codice: SN 671961 “Détermination de la
liaison entre les couches (selon Leutner)”.

Sia l’LPDS che il Leutner appaiono metodi di prova di facile esecuzione e


hanno costi ridotti, tuttavia presentano come già accennato, problemi per il
corretto posizionamento delle carote e non misurano la dilatanza durante il
taglio. In entrambe i casi dal diagramma sforzo tagliante – spostamenti è
possibile risalire al massimo sforzo (Fmax) e la tensione tangenziale nominale
media (τnom,avg) conoscendo il diametro (d) del provino:

142
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

4Fmax
τnom,avg =
d2 π

La pendenza iniziale massima della curva di rottura rappresenta la rigidezza


massima a taglio del collegamento di interfaccia considerato:

ΔF
Smax =
Δs

dove (ΔF) è la variazione di sforzo tagliante nell’intervallo di spostamento (Δs)


interessato dalla massima pendenza della curva di rottura. Inoltre, i due test sono
eseguibili soltanto su carote il cui strato anteriore al piano di taglio abbia uno
spessore superiore ai 25 mm. In caso contrario non sono infrequenti rotture
localizzate le provino per troncamento sub-orizzontale dello strato.
Infine, si presume che la prova citata da Kennedy C.K. nell’appendice 10 del
TRRL Laboratory Report 813 del 1978, fosse proprio il Leutner test essendo la
descrizione fornita sostanzialmente corrispondente; unica differenza la velocità
di carico imposta a 13 mm/minuto anziché 50mm/minuto come visto [5].

Ensayo de corte secondo Pérez Jiménez :


A conclusione dei test di taglio diretto si riporta la prova proposta dal Professore
spagnolo Pérez Jiménez della E.T.S.I.C.C.P. di Barcellona [51]. Il metodo è
stato adottato per la realizzazione di uno studio sull’importanza delle mani
d’attacco chiamato: “Importancia de los Riegos de Adherencia entre capas de
base”. Esso viene eseguito su provini doppio strato prodotti in laboratorio del
diametro di 101 mm e della altezza complessiva di 12-14 cm. L’altezza dei
provini è importante per il principio meccanico col quale il test viene eseguito.
In pratica, il provino viene alloggiato all’interno di un supporto cilindrico cavo
tale per cui l’interfaccia affiora dal bordo superiore di 5 mm soltanto.

143
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Successivamente carota e supporto vengono collocati su due appoggi al di sotto


di una pressa così come schematizzato in figura 3.23.

Figura 3.23: Prova di taglio secondo Pérez Jiménez: schema di prova e fotografia.

La configurazione di prova è quella di una trave appoggiata-appoggiata per la


quale l’azione di taglio sull’interfaccia in prossimità dell’appoggio corrisponde
in pratica, alla metà dello sforzo applicato dal pistone. Questa affermazione è
legata al fatto che il supporto cilindrico in cui è alloggiata la carota conferisce
una elevata rigidezza al sistema. La termostatazione dei provini viene eseguita in
acqua a 60°C per 24 ore, dopo le quali ci si riconduce alla temperatura voluta
per il test. In tale modo si può anche dire che il collegamento viene verificato
“umido” ossia dopo immersione. La velocità di prova è di 1.27 mm/min. Il
risultato è un semplice grafico carico – spostamenti.

Torque Bond test [63][78][106]:


Il principio di funzionamento del test di torsione del collegamento all’interfaccia
denominato Torque Bond test è molto semplice: si tratta di applicare un azione
torcente al provino cilindrico per mezzo di una apparecchiatura resa solidale con
la porzione di strato superiore della carota. Il test, nato in Svezia per verifiche in
sito, è stato recentemente proposto in Inghilterra quale prova di controllo nella
qualità dei microtappeti di proprietà. Tuttora il test è al vaglio del noto British
Board of Agreement (BBA) un istituto para-statale incaricato, nell’ambito delle
Highway Authorities Product Approval Scheme (HAPAS), di valutare e

144
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

controllare i prodotti bituminosi delle società che richiedono la certificazione di


qualità e gli strumenti di prova ad essi legati. In particolare il Torque Bond test
ricade nel gruppo dei cosiddetti Thin Surfacing (SG3) ed è compreso nel
Guidelines Document for the Assesment and Certification of the thin Surfacing
systems for Highways, Appendix A 3, SG3/98/173 del 2000.
La prova può essere eseguita in sito od in laboratorio e la preparazione dei
provini e del tutto simile a quella del Pull-off test dovendosi nel primo caso,
effettuare un carotaggio parziale del pacchetto stradale fino ad interessare lo
strato sottostante l’interfaccia in esame, per uno spessore di almeno 50 mm, nel
secondo, vincolare inferiormente lo strato sottostante tramite ganasce metalliche
così come rappresentato in figura 3.24.

interfaccia

Figura 3.24: Torque Bond Test.

Dopo l’incollaggio della piastra metallica alla superficie superiore del provino il
test può avere inizio. La somministrazione dello sforzo torsionale può essere
applicato manualmente in sito tramite un apposito braccio meccanico con
impugnatura e dinamometro per la misurazione degli sforzi, oppure in

145
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

laboratorio sotto un dispositivo meccanico in grado di imprimere una torsione e


registrarne l’entità. Neo del test è la grande variabilità dei risultati.

3.2.3 Metodi “non - distruttivi”


Tra i metodi di valutazione delle caratteristiche del collegamento tra gli strati
bituminosi di una pavimentazione stradale, si annovera anche una serie di test da
realizzarsi in sito, per i quali non viene arrecato danno evidente alla
sovrastruttura in esame ed in ragione di ciò vengono definiti come “non-
distruttivi”. In generale, tali prove hanno, più che altro, carattere sperimentale di
ricerca e nessuna di esse ha ancora trovato una valida collocazione in ambito
normativo. Questo campo di indagine resta comunque aperto, e sono attese
implementazioni future di queste metodologie che, certamente, porteranno
benefici in fase di verifica, in quanto non solo esse non comportano
l’asportazione di parti della pavimentazione, ma sono anche perlopiù di rapida
esecuzione. Ne vengono passate in rapida rassegna alcune, senza scendere nei
particolari teorici, spesso complessi, alla base del loro funzionamento e
comunque rinvenibili nei riferimenti bibliografici corrispondenti.
I metodi di cui sopra sono in genere legati alla propagazione di onde con
frequenza maggiore di 20 KHz (frequenza limite che l’orecchio umano riesce a
percepire) all’interno della pavimentazione stradale in esame. La differenza tra i
diversi test risiede fondamentalmente nel metodo utilizzato per provocare
l’impulso che genera le onde e nel sistema di acquisizione delle stesse.

Seismic Pavement Analyser (SPA) e Portable Seismic Pavement Analyser


(PSPA) [16][18][47][48]:
In seguito a diversi anni di ricerche presso i laboratori stradali dell’Università
del Texas di El Paso, il Prof. S. Nazarian ha messo a punto un’apparecchiatura
basata sulle tecniche di propagazione delle onde nella pavimentazione

146
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

denominata Seismic Pavement Analyser. In sostanza, essa consiste in una


sorgente generatrice di onde di vario genere e di una ricevente che capta le onde
di ritorno. I campi di impiego sono i più disparati e tra questi figura proprio la
valutazione dello stato di collegamento tra gli strati superficiali del pacchetto
stradale. Ne è stata studiata anche la versione economica e portatile denominata
PSPA, che può essere usata per la determinazione del modulo e della rigidezza
dello strato più alto della pavimentazione e per una stima, purtroppo soltanto
approssimata, delle condizioni di collegamento tra gli strati. Questi sistemi sono
in grado di decodificare segnali differenti, in base a 5 diversi metodi di
sollecitazione sismica tra i cui: l’UBW (Ultrasonic Body-Wave), metodo delle
onde ultrasoniche nel corpo, l’USW (Ultrasonic Surface-Wave), metodo delle
onde ultrasoniche di superficie, l’IE (Impact Echo), metodo dell’eco d’impatto,
l’IR (Impulse Response), metodo delle risposta d’impulso ed il SASW (Spectral
Analysis of Surface Waves), analisi dello spettro delle onde di superficie. SPA e
PSPA sono controllati tramite computer che esegue automaticamente la raccolta
dati (figura 3.25)

Figura 3.25: Portable Seismic Pavement Analyser.

147
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Colibrì Test [38][48]:


Sulla base del fatto che, il dissesto strutturale nella forma di fessurazioni o
perdite di collegamento tra gli strati bituminosi si ripercuote sulla risposta
dinamica della pavimentazione, per più di 30 anni il “French National Public
Works Laboratory” ha continuato a studiare l’impiego di test dinamici per la
stima delle diverse condizioni strutturali delle pavimentazioni francesi. Agli
inizi degli anni '90 venne messo a punto un dispositivo di prova denominato
“Colibrì” [38]. In questa prova, un impulso elettrico viene trasmesso alla
superficie della pavimentazione in esame e la risposta della pavimentazione
viene rilevata da 3 accelerometri posti in serie ad una certa distanza, così come
schematizzato in figura 3.26.

Figura 3.26: Schema dell’apparecchiatura Colibrì.

Analizzando lo spettro del segnale è possibile stimare diversi aspetti della


condizione strutturale della pavimentazione, inclusi i difetti nel collegamento tra
gli strati, la coesione o l’eventuale frammentazione dello strato di base.
Seguendo diverse fasi di implementazione, il prototipo “Colibrì” è stato usato
con successo tra il 1996 ed il 1997 al fine di:
ƒ identificare i difetti nel collegamento tra lo strato d’usura e quello
sottostante;

148
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ƒ stimare la coesione o la frammentazione dello strato di collegamento;


ƒ monitorare l’evoluzione delle caratteristiche meccaniche dello strato
d’usura.
Le metodologie utilizzabili per condurre le misurazioni dinamiche sono tre.
Le prime due focalizzano la loro attenzione sui moduli della Funzione di
Trasferimento delle onde (Transfer Function) ad una frequenza di 300 Hz o
1500 Hz lungo un dato percorso. Da esse si ottengono informazioni sulla
coesione o sulla presenza di fessurazioni nello strato di base, così come sullo
stato dell’interfaccia tra strato d’usura e strato sottostante. Il terzo metodo mira
all’identificazione del rapporto tra la velocità di propagazione delle onde e la
lunghezza d’onda nell’arco dell’intero spettro di frequenza, in un determinato
punto di misurazione. Questa metodologia permette di ricavare informazioni
circa le caratteristiche meccaniche dello strato d’usura.
Secondo lo studio condotto con “Colibrì” da Simonin J.M. et al. [38], per una
pavimentazione il cui strato d’usura sia distaccato, le onde meccaniche vengono
riflesse dall’interfaccia distaccata aumentando la risposta della pavimentazione e
la Funzione di Trasferimento fornisce moduli più alti che non nel caso di
pacchetto con strati superficiali collegati. Questo fenomeno si è visto essere più
evidente per le onde di frequenza pari a circa 1500Hz. Uno speciale indicatore
statistico messo a punto da Simonin è in grado di fornire valori rappresentativi
dello stato del collegamento all’interfaccia e può essere riportato in un grafico in
funzione della distanza coperta nel percorso di prova. In quest’ultimo le
condizioni di distacco all’interfaccia sono individuabili sia su punti isolati, sia su
intere sezioni di pavimentazione stradale.
Il sistema “Colibrì”, tutt’ora in fase di studio appare valido e promettente, ma
necessità di un migliore livello di analisi nel caso di rilievo dinamico di
pavimentazioni fessurate.

149
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Test con Falling Weight Deflectometer (FWD) [25][33][42][48][49][67][68]:


Il noto FWD viene impiegato con successo per la caratterizzazione in continuo
della portanza delle sovrastrutture stradali oramai da diversi anni. Il principio di
funzionamento è semplice ed analogo a quello del “Colibrì” e prevede la
registrazione tramite una serie di sette geofoni delle deflessioni del pacchetto
stradale soggetto all’impulso prodotto da una massa battente. La figura 3.27
mostra un classico FWD.

Figura 3.27: Fotografia ravvicinata dei geofoni e del piatto di battuta di un FWD.

Al Hakim B.et al. [49] ha studiato una metodologia di prova e di back-analysis


con la quale, per mezzo di test con FWD, è possibile valutare le condizioni di
collegamento tra gli strati superficiali della pavimentazione. Inizialmente la
metodologia è stata adottata per investigare le condizioni di collegamento tra
strato di usura e di collegamento nelle pavimentazioni flessibili. La back-
analysis tradizionale consiste nell’ottimizzazione del set di proprietà della
pavimentazione quali rigidezze e coefficienti di Poisson per restituire le
deflessioni misurate; in genere i coefficienti di Poisson sono convenzionalmente

150
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

attribuiti e l’analisi a ritroso viene condotta solo per i valori di rigidezza


assumendo che il collegamento tra gli strati sia perfetto. Con la metodologia
proposta da Al Hakim, oltre alla back-analysis delle rigidezze degli strati si è in
grado di risalire, per mezzo dei dati di deflessione misurati, al cosiddetto Shear
Reaction Modulus (Modulo di Reazione a Taglio) in corrispondenza delle
interfacce tra gli strati. Tale Modulo corrisponde in sostanza, allo Shear Spring
Compliance presente in BISAR per la caratterizzazione delle interfacce.
Secondo Al Hakim per ciascun tipo di pavimentazione viene assemblata una
banca dati di deflessioni per date rigidezze di strato e condizioni di collegamento
alle interfacce. Successivamente viene eseguita la ricerca delle migliori
equazioni considerando le deflessioni come variabili indipendenti ed i parametri
del pacchetto come variabili dipendenti. Nelle equazioni vengono impiegati
come variabili diversi set di misurazioni della forma dei bacini di deflessione.
Infine, le deflessioni misurate con l’FWD ad ogni punto della pavimentazione in
esame vengono inserite nelle equazioni per predire i parametri della
sovrastruttura cercati.

Hammer Test [48][74][83]:


L’Hammer Test è un prototipo di test ancora in fase di sviluppo presso il
Nottingham Centre for Pavement Engineering (NCPE) dell’Università di
Nottingham. Esso si basa essenzialmente sulle stesse ipotesi viste per gli altri
metodi ad impulso, ma sfrutta come punti di forza la rapidità di esecuzione e la
facilità di impiego, nella valutazione delle condizioni di collegamento esistenti
all’interfaccia più superficiale. Il test consiste nel misurare per mezzo di un
accelerometro fissato a terra, le accelerazioni verticali della superficie della
pavimentazione stradale in un punto, prodotte dalle onde generate da un impulso
applicato manualmente tramite un martello, nelle sue vicinanze. Ad oggi le
ricerche condotte da Sangiorgi C. et al. [74][83] permettono di affermare che

151
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

l’Hammer test è in grado di distinguere sicuramente tra condizioni di presenza o


mancanza di collegamento, senza poter quantificare con certezza le condizioni
di legame intermedie. In sostanza, tramite parametri indicatori derivati dagli
spettri di frequenza della risposta o semplici valutazioni delle Dimensioni
Frattali (FD) degli andamenti geometrici delle Time Histories accelerometriche
normalizzate rispetto a quelle di impulso, si può affermare se, al di sotto
dell’accelerometro di prova, vi sia o meno collegamento tra gli strati, ma non
quanto vale questo collegamento, né quanto esso si discosti dalla condizione di
distacco in termini di resistenza. Il set-up di prova è rappresentato in figura 3.28.

testing vehicle laptop


plastic tip operator
steel handle bar laptop &
software

acquisition hardware
Hammer test
session set-up
load cell bolt
accelerometer hammer
& steel ring operator

Figura 3.28: Apparecchiature e set-up per l’esecuzione dell’Hammer Test.

A sinistra è raffigurato il martello composto da un manico metallico ed una testa


di battuta nella quale una cella di carico è alloggiata tra due dadi pretensionati.
L’impulso viene trasmesso alla cella di carico tramite una punta sagomata
intercambiabile in materiale plastico. A terra viene fissato, tramite mastice
adesivo o collante su piastrina metallica, un comune accelerometro di
precisione. Al centro è raffigurato il sistema hardware di acquisizione dati ed a
destra il set-up di prova per il quale sono richiesti almeno due operatori: uno al
software ed uno al martello. Tutto il sistema può essere facilmente alloggiato

152
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

all’interno di un furgone ed alimentato con corrente a 220 Volts trasformata


dalla batteria dello stesso veicolo. Per completezza, durante la prova deve essere
controllata la temperatura della pavimentazione.

3.3 LE NORME E LE SPECIFICHE LEGATE AL COLLEGAMENTO

3.3.1 Introduzione
Al termine del primo capitolo si è fatto cenno alla mancanza in Italia di regole
specifiche ed indicazioni chiare ed esaustive circa la verifica del collegamento
tra gli strati bituminosi della pavimentazione stradale e circa l’applicazione di
una mano d’attacco (a freddo con emulsioni od a caldo con bitumi) prima della
posa di un nuovo strato di conglomerato. Nel presente paragrafo si riportano, a
partire dal caso italiano, tutte le direttive e norme rinvenute in materia di verifica
del collegamento tra gli strati e di stesa di mano d’attacco, dei più importanti
paesi europei. L’intento è quello di evidenziare come le mancanze riscontrate in
Italia non siano, purtroppo, una eccezione in Europa e come, nonostante il
problema del collegamento tra gli strati del pacchetto stradale sia oramai
dimostrato essere fondamentale per la vita utile della sovrastruttura, le
normative e le specifiche non si aggiornino, restando, in alcuni casi, prive di una
benché minima indicazione ed in altri, con regole che, seppur presenti, non sono
certo al passo coi tempi della moderna progettazione prestazionale.
Gli sforzi di rinnovamento nascono da più parti: non solo, come visto, fioriscono
progetti di ricerca sul collegamento tra gli strati e sull’impiego di mani d’attacco
in tutta Europa e non, ma, consci dell’attualità e della fruttuosità del problema,
sono gli stessi produttori di emulsioni e bitumi, spesso riuniti in associazioni più
o meno note, a promuovere il progresso nell’utilizzo dei loro materiali. Un
esempio recente di sensibilizzazione nel campo, è stato senz’altro l’interessante
workshop (di cui si è trattato all’inizio del presente capitolo) proposto dal

153
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

gruppo di ricerca del CIRS dell’Università Politecnica delle Marche, in


collaborazione con importanti ditte produttrici di emulsioni bituminose, durante
la tre giorni di ASPHALTICA 2003 tenutasi a Padova lo scorso Dicembre [84].
Un secondo esempio risale al Novembre del 2002, quando due noti Membri
dell’International Bitumen Emulsion Federation (IBEF), Roffe J.C. e Chaignon
F., hanno presentato al 3rd International Conference Bituminous Mixtures and
Pavements di Salonicco (GR) una memoria [78] nella quale illustrano il quadro
attuale sull’impiego di emulsioni o comunque di prodotti bituminosi per mani
d’attacco, nel mondo e sullo stato dell’arte in materia di prove per la
caratterizzazione del collegamento tra gli strati. Se ne fornisce di seguito un
breve riassunto tradotto dall’inglese.
“Le mani d’attacco sono impiegate in vari paesi nel mondo. Pur essendo
oramai indubbia l’importanza che esse hanno per la vita utile di una
sovrastruttura – molti software per la progettazione stradale contemplano le
mani d’attacco come tacite componenti -, non vengono ancora considerate
come un fattore importante nella costruzione del pacchetto stradale. Ad oggi
non esistono test o procedure normalizzate per le mani d’attacco, ma solo
progetti di tentativo per dimostrare l’efficienza della tecnica.
….omissis…
Sulla scia del Congresso Mondiale dell’Emulsione svoltosi nel Settembre 1997 a
Bordeaux, l’IBEF decise, in accordo con gli esperti presenti al meeting, di
valutare l’importanza data alle mani d’attacco nel mondo, organizzando
un’indagine. Venne consegnato un questionario a ciascun Paese presente
attraverso il quale si richiedevano diverse informazioni circa:
‰ il tipo di legante o la tecnica d’attacco locale;
‰ la quantità impiegata per m2;
‰ il lasso di tempo trascorso tra la posa del legante e quella del c.b.;
‰ le norme e le specifiche esistenti;

154
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

‰ i tests e le ispezioni applicabili;


‰ la metodologia di applicazione.
I seguenti paesi hanno risposto tramite le rispettive associazioni professionali o
compagnie private: Spagna, Francia, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito,
USA.
Ad eccezione di alcune lievi disparità, l’indagine non ha mostrato differenze
importanti. In particolare:
- Il legante più frequentemente usato è l’emulsione cationica (acida) ed a volte
anionica, eccetto per gli USA dove è usato il bitume puro a caldo.
- Il quantitativo minimo di bitume residuo, per mani d’attacco applicate su
conglomerati tradizionali, varia da 0.12 a 0.4 Kg/m2.
- L’intervallo di tempo tra l’applicazione della mano d’attacco e la stesa dello
strato di conglomerato, va dai 20 minuti per un legante “rotto” od a freddo, a
diverse ore per un legante “secco” (più è secco lo strato, piùè tenace il
collegamento). In alcuni paesi, per via del fatto che si stendono spessori sottili
(40 mm) ed ultra-sottili (fino a 25 mm), le mani d’attacco sono spesso stese
contemporaneamente al conglomerato con vibrofinitrici dotate di barre
spruzzatrici. In Francia, alcune imprese usano una “mano d’attacco pulita”
immediatamente trafficabile dopo la stesa, che si basa su una emulsione a
rottura controllata molto rapida.
- Per quanto riguarda le specifiche, alcuni paesi ne sono dotati, tranne l’Italia
e la Spagna. Queste specifiche sono spesso semplici raccomandazioni incluse
nei documenti d’appalto. Raccomandazioni specifiche sono presenti in Gran
Bretagna, Olanda ed Stati Uniti, solo per tappeti superficiali speciali quali ad
esempio i conglomerati porosi. Nonostante esistano test e controlli impiegabili
con tale tecnica, non vi sono procedure normalizzate tranne che in Austria,
Svizzera ed in forma di bozza in Gran Bretagna. In Austria il test si basa sulla
resistenza a taglio degli strati, in Svizzera sulla resistenza a trazione

155
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

(affermazione non corretta), In Gran Bretagna il metodo in esame si basa sulla


torsione (si tratta del Torque Bond test visto nel paragrafo precedente).
….omissis…
Per mostrare l’impatto delle mani d’attacco (si da per scontato che siano
efficaci) sulla progettazione delle pavimentazioni si è condotto un esempio per
mezzo del software ALIZE…
….omissis…
I risultati mostrano che la vita utile delle sovrastruttura collegata è aumentata
di un fattore 3.8 rispetto a quella della struttura con distacco. Per tale motivo,
le pavimentazione che comprende una mano d’attacco godrà di una vita utile di
20 anni, mentre quella senza mano d’attacco durerà soltanto 7-8 anni. A
testimonianza di ciò sono le sovrastrutture deteriorate osservate negli anni ’80
in Francia;esse sono la conseguenza del fatto che negli anni ’70 le mani
d’attacco non erano applicate sistematicamente e la fatica si manifestò
velocemente sulle superfici stradali bituminose.
….omissis…
Test esistenti o in via di sviluppo
- Metodo Svizzero SN 671961
(è stato descritto compiutamente nel paragrafo precedente)
- Metodo Austriaco (si tratta del pull-off test)
Viene impiegato su carote con almeno due strati. Si fissano due piastre
metalliche alle superfici delle carota e si applica uno sforzo di trazione. A
seconda del tipo di legante lo sforzo di trazione deve essere maggiore di 1.5
N/mm2 per modificati e maggiore di 1 N/mm2 per bitumi normali. Forti penalità
vengono imposte per ogni 0.1 N/mm2sotto i livelli specificati.
- Progetto in corso in Gran Bretagna (si tratta del Torque Bond Test)
- Progetto MTQ

156
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Sembra essere il più promettente. Il test può essere condotto in sito ed esclude la
distruzione della pavimentazione se il collegamento è completo. L’apparato
mobile applica uno sforzo di trazione (stripping resistance)
.…omissis…
Conclusioni
Lo studio condotto mostra che le mani d’attacco sono un elemento essenziale
nelle costruzioni stradali nel mondo, tranne alcuni casi, ed aiutano
nell’assicurare pavimentazioni più durevoli, nonostante il loro basso costo. Noi
speriamo che i tests attualmente in fase di sviluppo possano aiutare nel definire
un approccio più razionale a tale tecnica, in modo da caratterizzare meglio i
nuovi leganti e mostrare la loro efficienza ed il loro impatto a lungo termine.
Questo dovrebbe rendere possibile l’ottimizzazione della progettazione in
relazione alle condizioni locali ed alle differenti tecniche applicative dei
conglomerati bituminosi.

3.3.2 Norme e Specifiche in alcuni paesi europei

In Italia [90][91][92]:
Il quadro italiano è, come detto, carente. L’adeguamento al sistema normativo
europeo è lento e difficile ed oramai i vecchi Bollettini Ufficiali del CNR non
sono più sufficienti a coprire la necessità di regole ed indicazioni, sull’intero
fronte delle costruzioni stradali. L’UNI è in forte attività per l’armonizzazione
alle norme europee, ma fin’ora, i Comitati Tecnici incaricati del compito, hanno
acquisito soltanto alcuni raggruppamenti normativi, tra cui il più avanzato pare
essere quello dei sigillanti bituminosi a caldo ed a freddo.
Le indicazioni circa le lavorazioni di cantiere e le verifiche in corso d’opera o
successive, vengono tradizionalmente impartite dalle Specifiche tecniche di
Capitolato d’Appalto fornite dall’ente proprietario della strada. Per tale motivo

157
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

in Italia esiste una giungla di “Norme Tecniche” dettate da Compartimenti


ANAS, Province, Comuni e società proprietarie di autostrade, prima fra tutte la
Società Autostrade per l’Italia S.p.A.. In genere, i Capitolati degli enti minori
sono palesemente derivati da quelli ANAS o da quelli autostradali a seconda dei
casi. Lo stesso Centro Interuniversitario Sperimentale di Ricerca Stradale
(CIRS) già citato in precedenza, ha redatto un Capitolato stradale a disposizione
degli enti che ne fanno richiesta di utilizzo.
In questo arazzo di regole, sono poche e mal fornite le indicazioni riguardanti
l’applicazione delle mani d’attacco e del tutto mancanti o quasi, le richieste di
verifica del collegamento tra gli strati della pavimentazione bituminosa per
mezzo di test specifici. Posto che nulla è presente sui Bollettini CNR, né sulle
norme UNI che descrivono solamente le prove di caratterizzazione dei singoli
materiali, si riporta di seguito quanto rinvenuto in alcuni Capitolati d’Appalto.
Nelle Norme Tecniche di Appalto – Funzione Monitoraggio e Studi per la
Manutenzione (1998) della ex Società Autostrade S.p.A. nel parte riguardante la
posa dei conglomerati bituminosi a caldo di base, collegamento ed usura (A e
B), si fa cenno, nelle ultime due righe del paragrafo, all’interposizione tra due
strati sovrapposti, di una mano d’attacco di emulsione bituminosa in ragione di
0.5 Kg/m2. Nelle stesse Norme, in relazione alla posa in opera di conglomerati
bituminosi drenanti-fonoassorbenti per strati d’usura, si richiede la stesa di una
uniforme mano d’attacco nella quantità compresa tra 0.6 e 2.0 Kg/m2 (secondo
le indicazioni della D.L.) ed il successivo eventuale spargimento di uno strato di
sabbia o graniglia prebitumata. Per i microtappeti a caldo viene invece,
esplicitamente richiesta una mano d’attacco con leganti adeguati, applicata sul
piano di posa perfettamente pulito ed asciutto, in quantità compresa tra 0.6 e 4.0
daN/m2. Si dice inoltre, che la D.L. potrà approvare un successivo eventuale
spargimento di sabbia, graniglia, cemento o calce idrata sulla superficie della
mano d’attacco per consentire il transito dei mezzi di stesa.

158
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Nelle Norma Tecniche del Capitolato Sovrastrutture Stradali (1997) del


Compartimento ANAS di Firenze, in relazione alla posa in opera di un normale
conglomerato bituminoso, si richiede l’applicazione di una mano di ancoraggio
costituita da emulsione acida (cationica) al 60% di bitume a rottura rapida,
dosata in ragione di 0.5 Kg/m2. Inoltre, si dice che l’emulsione dovrà essere
stesa in un velo perfettamente uniforme e continuo, immediatamente avanti alla
finitrice e ad una distanza tale dalla stessa che, tenuto conto della velocità di
avanzamento, sia consentita la completa rottura dell’emulsione e l’evaporazione
dell’acqua prima della stesa del conglomerato.
Nelle Norme Tecniche del Capitolato Sovrastrutture Stradali del Compartimento
ANAS di Bologna (parte seconda) si prevede, per gli strati d’usura con SMA, la
preventiva stesa di una mano d’attacco, realizzata con bitume modificato con
elastomeri termoplastici SBS, in ragione di 1.5 Kg/m2 come minimo; inoltre che,
l’uniforme spruzzatura del prodotto ed il dosaggio previsto devono essere
assicurati da apposite spanditrici automatiche. Lo stesso Capitolato, trattando
della posa di normali conglomerati bituminosi, prima della loro stesa richiede
l’applicazione di una mano d’ancoraggio costituita da emulsione cationica
(acida) al 60% di bitume a rottura rapida, dosata in ragione di 0.5 Kg/m2; ed
analogamente a quanto già visto per il Compartimento di Firenze, l’emulsione
dovrà essere stesa in un velo perfettamente uniforme e continuo,
immediatamente avanti alla finitrice ed a una distanza tale dalla stessa che,
tenuto conto della velocità d’avanzamento, sia consentita la completa rottura
dell’emulsione e l’evaporazione dell’acqua prima della stesa del conglomerato.

Alla luce di quanto visto fin’ora nei precedenti capitoli l’evidente mancanza di
indicazioni chiare ed esaustive è allarmante. Riallacciandosi, infatti, a quanto
concluso al termine del primo capitolo ed a quanto riportato da Roffe J.C. circa
il deterioramento delle pavimentazioni francesi degli anni '80, si può pensare a

159
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ragione che, molte delle costruzioni stradali realizzate negli ultimi anni od in
fase di realizzazione, potranno soffrire in un futuro più o meno prossimo, di
degradazioni premature (fessurazioni, ormaiamenti, distacchi) legate alla scarsa
attenzione prestata in fase di costruzione all’applicazione (o meno) della mano
d’attacco. Nei tre esempi di Capitolati riportati, peraltro tra i più rappresentativi,
vengono citati soprattutto dei quantitativi di emulsione bituminosa o di bitume
da spruzzare sul piano di posa, in certi casi oltre ad esserne richiesti quantitativi
notevoli, non viene nemmeno specificato il tipo di emulsione o di bitume, in
altri, l’emulsione da posare è la stessa qualsiasi sia il tipo di intervento
costruttivo da realizzare; si pensi soltanto alla differenza tra una superficie
fresata ed una di nuova realizzazione. In essi, non si parla di condizioni
ambientali di spruzzatura, di efficienza dei mezzi di stesa, di prove di
uniformità, di verifiche dei quantitativi di bitume residuo anidro effettivi, di
verifiche di rottura, di controllo della presenza di contaminazioni, di prelievi di
campioni di legante, di controllo del rischio di asportazione dell’emulsione
prima e del legante bituminoso poi; a proposito di quest’ultimo punto si richiede
l’applicazione di sabbie, graniglie o cemento per consentire il passaggio dei
mezzi d’opera, senza essere certi dell’effetto che tali materiali possono avere
sull’effettivo collegamento tra gli strati e quindi sull’efficacia della mano
d’attacco appena applicata.
Inoltre, ma è plausibile, in nessun caso è esplicitamente richiesta la
progettazione della mano d’attacco, ovvero lo studio preventivo del tipo e del
quantitativo emulsione o di bitume puro da stendere per quella determinata
lavorazione, che prevede quei conglomerati bituminosi a contatto, con quella
macrorugosità del piano di posa e quella dimensione nominale massima degli
inerti dello strato sovrastante. Di questo aspetto si tratterà nelle conclusioni del
presente lavoro dove verrà avanzata una proposta di metodologia progettuale di
laboratorio per le mani d’attacco bituminose.

160
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Infine, purtroppo, non si parla di prove di routine per la verifica dell’effettive


condizioni di collegamento tra gli strati della pavimentazione. Ciò significa che,
per la pavimentazione realizzata, si ammette che, l’aver eseguito correttamente
le poche indicazioni circa la posa della mano d’attacco e la posa dello strato
successivo, dia sufficienti garanzie al committente, sulla bontà del collegamento
ottenuto tra gli strati e sulla durabilità del pacchetto stradale costruito. Per essere
precisi esiste una piccolissima clausola nel Capitolato ANAS di Firenze dove in
merito all’applicazione di interstrati sintetici viene richiesta la verifica del
collegamento tra gli strati su carote da 150 mm di diametro richiedendo un
valore di resistenza al taglio pari a 15 KN, senza specificare la metodologia con
la quale eseguire la prova od altro.

Nel Regno Unito [93-106]:


Il Regno Unito è certamente più attento dell’Italia al problema delle mani
d’attacco. Pur non essendo ancora presente ufficialmente un test per la verifica
di routine del collegamento tra gli strati del pacchetto stradale in opera, le
indicazioni circa la posa delle mani d’attacco di emulsione (tack coats) o di altri
materiali bituminosi (bond coats) sono diverse e presenti sia nelle norme, le
“British Standards” (BS), sia nelle specifiche per i lavori autostradali, le
“Specifications for Highway works”. Esistono altre fonti, come le
raccomandazioni del Transportation Road Research Laboratory, ma non
vengono contemplate in questa sede.
Precisato che la classificazione delle emulsioni bituminose avviene per mezzo di
una sigla alfanumerica del tipo K1-40, dove K (od A) indica il tipo di emulsione
(cationica od anionica), 1 (o 2, 3, etc.) indica la velocità di rottura e 40 (o 60, 70,
etc.) indica la percentuale di bitume in emulsione, si riportano di seguito le
indicazioni presenti sulle BS riguardanti le costruzioni stradali ed i materiali

161
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

impiegati e sulle Series 900 delle Specifications, inerenti la posa del pacchetto
stradale.
Nelle BS 434-2 “Code of practice for use of bitumen road emulsions” [95] sono
fornite le linee guida per l’impiego delle emulsioni (cationiche od anioniche) per
uso stradale. Vengono specificati i materiali, le lavorazioni in sito, i tempi di
rottura e sono descritti tutti i tipi di impiego, compresa l’applicazione curativa su
pavimentazioni in calcestruzzo. In particolare, all’inizio della norma viene
indicata la K1-40 come tipo di emulsione cationica da utilizzare per le mani
d’attacco. Quando il clima è umido o le condizioni non agevolano una buona
evaporazione dell’acqua, è consigliato invece, l’uso di emulsioni classe K1-60 e
K1-70 per abbreviare i tempi di rottura. Nella sezione 14 denominata Tack
Coating viene definita l’applicazione delle mani d’attacco. Nonostante la
sezione non sia ampia, le indicazioni fornite sono chiare e precise. Si richiedono
emulsioni di tipo A1-40 o K1-40 da essere impiegate al più presto dopo la
consegna, se ciò non fosse, occorre assicurare la loro omogeneità agitandole. Si
richiede uniformità di stesa evitando ristagni localizzati, ma soprattutto si
stabiliscono quantitativi di emulsione puramente indicativi compresi tra i 0.3 L/
m2 ed i 0.5 L/ m2, e si precisa che il reale quantitativo spruzzato, viene deciso
per ciascun lavoro in relazione alle diverse circostanze incontrate. Ad esempio,
si dice che, il tenore basso è indicato per un substrato chiuso, mentre quello alto
per un substrato rugoso. Un quantitativo inferiore agli 0.3 L/ m2 è indicato nel
caso di applicazione di slurry seal, mentre quantitativi superiori ai 0.5 L/ m2
sono indicati per taluni substrati in calcestruzzo. Infine, si richiede l’attesa della
completa rottura dell’emulsione prima della posa dello strato successivo. Una
breve clausola finale descrive l’impiego di granigliatura prebitumata fine per
ovviare all’inconveniente dell’asportazione del legante da parte dei mezzi di
cantiere.

162
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Già queste prime regole appaiono più esaustive di quelle italiane, basti pensare
al fatto che sono contenute negli “Standards” ossia nelle norme che in Italia
corrisponderebbero alle norme CNR o UNI. Ma non è tutto qui. La norma BS
594-2 “Specification for Transport, laying and compaction of hot rolled asphalt”
[97] fornisce, nella sezione 5, la descrizione di tutte le operazioni preliminari da
eseguirsi sul piano di posa del nuovo strato bituminoso. In particolare, è
richiesto che il piano di posa sia esente da contaminazioni di qualsiasi tipo,
specificando che il transito dei mezzi di cantiere sulla superficie venga limitato
al minimo e che il piano sia regolare ed omogeneo. Al punto 5.5 viene
espressamente definito il ruolo di tack coats o bond coats come promotori di
adesione tra gli strati di una pavimentazione nuova o nei casi di interventi di
manutenzione. La loro scelta dipende dalle condizioni del substrato, dalla
rigidezza e dal contenuto di bitume degli strati e dal tipo di sito. I tack coats
sono definiti come emulsioni bituminose di classe K1-40 o 60 in conformità alle
BS 434-1, mentre i bond coats sono materiali bituminosi di proprietà di
produttori che ne hanno richiesto la certificazione al BBA/HAPAS (vedi Torque
Bond Test) e che in genere vengono impiegati nei casi di necessità di forti
quantitativi di mano d’attacco o di particolari lavorazioni. Al punto 5.5.2 sono
riportati i quantitativi di mano d’attacco (tack o bond coats) da stendere sul
piano di posa, a seconda del contenuto di bitume nei conglomerati di interfaccia
e della natura dello strato sottostante, assieme ad una serie di note circa il loro
impiego in casi particolari come, ad esempio, il caso di traffico temporaneo. Se
ne riportano i valori espressi in Kg/m2 di bitume residuo anidro nelle tabelle 3.5,
3.6, 3.7, 3.8 e 3.9. Si ricorda anche che nel caso di bond coats i tassi di
applicazione in Kg/m2 debbono essere forniti dal produttore proprietario della
certificazione e che nel caso in cui questi non ne fornisca, ci si deve attenere ai
quantitativi riportati nelle tabelle corrispondenti (3.7, 3.8 e 3.9). Tutte le
percentuali di bitume sono in peso sulla miscela di conglomerato.

163
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

contenuto di legante contenuto di legante nello strato inferiore


nello strato superiore < 4,0 % 4,1 - 5,0 % > 5,1 %

> 5,1 % 0.15 0.15 0.15


4,1 - 5,0 % 0.20 0.15 0.15
< 4,0 % 0.25 0.20 0.15

Tabella 3.5: Quantitativi di bitume residuo da tack coat in Kg/m2 raccomandati nel caso di
conglomerato bituminoso nuovo. Nuova costruzione.

contenuto di legante natura dello strato inferiore/superficie esistente


nello strato superiore povero in legante risagomato ricco in legante

> 5,1 % 0.20 0.15 0.15


4,1 - 5,0 % 0.25 0.20 0.15
< 4,0 % 0.25 0.25 0.20

Tabella 3.6: Quantitativi di bitume residuo da tack coat in Kg/m2 raccomandati nel caso di
superfici pre-esistenti. Manutenzione.

Il termine “povero in legante” si riferisce ad un conglomerato che si stimi avere


meno del 4% di legante (in peso sulla miscela), o nel quale gli inerti sono
parzialmente ricoperti o dove vi sia evidenza di fessurazioni.

contenuto di legante contenuto di legante nello strato inferiore


nello strato superiore < 4,0 % 4,1 - 5,0 % > 5,1 %

> 5,1 % 0.15 0.15 0.15


4,1 - 5,0 % 0.30 0.25 0.25
< 4,0 % 0.40 0.35 0.30

Tabella 3.7: Quantitativi di bitume residuo da bond coat in Kg/m2 raccomandati nel caso di
conglomerato bituminoso nuovo. Nuova costruzione.

164
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

contenuto di legante natura dello strato inferiore/superficie esistente


nello strato superiore povero in legante risagomato ricco in legante

> 5,1 % 0.50 0.40 0.25


4,1 - 5,0 % 0.60 0.50 0.35
< 4,0 % 0.60 0.60 0.40

Tabella 3.8: Quantitativi di bitume residuo da bond coat in Kg/m2 raccomandati nel caso di
superfici pre-esistenti. Manutenzione.

natura dello strato inferiore/superficie esistente


contenuto di legante
nello strato superiore povero in legante; strati ad alto conglomerato normale;
cls; strato rigido modulo di rigidezza debolmente permeabile

> 5,1 % 0.60 0.60 0.50


4,1 - 5,0 % 0.60 0.60 0.50
< 4,0 % 0.80 0.70 0.60

Tabella 3.9: Quantitativi di bitume residuo da bond coat in Kg/m2 raccomandati per
migliorare l’impermeabilità delle superficie dello strato sottostante/superficie esistente.

Le mani d’attacco, siano esse tack coats o bond coats debbono essere applicate
in maniera uniforme. La norma richiede inoltre, che il colore della superficie
spruzzata si tramuti dal marrone al nero, ossia che l’emulsione rompa, prima
della stesa dello strato successivo, tranne nel caso in cui l’applicazione avvenga
tramite barra spruzzatrice integrata alla vibrofinitrice – il ché pare non corretto-
e che nel caso si formino ristagni di emulsione questi vengano eliminati tramite
scopa e lasciati asciugare. A questa stessa norma (BS 594-2) fanno riferimento
le Series 900 delle “Specifications for Highway Works” di cui si è detto in
precedenza. Infatti, esse costituiscono l’equivalente dei capitolati autostradali
italiani e per il fatto che già le norme BS sono ricche di indicazioni, le
“Specifications” non fanno altro che rimandare ad esse per la costruzione del

165
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

pacchetto stradale. In particolare, la Series 920 rimanda proprio alla BS 594-2


per l’applicazione delle mani d’attacco.
In conclusione, si ricorda quanto detto a proposito del Torque Bond Test [106]
nel paragrafo precedente. Esso, rappresenta una prova specifica per valutare le
caratteristiche di collegamento dei cosiddetti “Thin Surfacings” e la sua
certificazione è tutt’ora al vaglio del British Board of Agreement nell’ambito
dello Highway Authorities Product Approval Scheme (HAPAS). Tuttavia, esso
non rappresenta ancora un test di routine e difficilmente il suo impiego potrà
essere esteso anche ai pacchetti realizzati con conglomerati tradizionali.

In Germania [109][110][111]:
In Germania, il problema della caratterizzazione della resistenza del
collegamento tra gli strati bituminosi della pavimentazione stradale
(Schichtenverbund), è sentito già da diversi anni, tanto che il test specifico per
valutarla, il Leutner test, fu ideato alla fine degli anni '70. Come descritto nel
paragrafo precedente, il Leutner test è entrato di diritto tra le specifiche di prova
tedesche e rappresenta l’unica metodologia con la quale verificare il
collegamento tra gli strati di un pacchetto stradale. Le istruzioni di riferimento
sono le 2312-1999: Asphalt Prüfung – ALP A-Stb Teil 4, nelle quali viene
descritta l’apparecchiatura e la procedura di prova, nonché le operazioni di
prelievo dei provini per il test. Tuttavia, paradossalmente, nelle norme e nelle
specifiche tedesche, non sono contemplate indicazioni circa i limiti di
accettabilità dei valori ottenuti col Leutner. L’unica nota deriva dalla
sperimentazione condotta dalla ricercatrice U. Stöckert [61], la quale, in seguito
ad una estesa campagna investigativa sulle condizioni di collegamento tra gli
strati della pavimentazioni tedesche di nuova e di vecchia costruzione, ha
suggerito alcuni limiti da imporsi ai valori di carico tagliante a rottura, espresso

166
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

in (KN), e di Spostamenti massimi a rottura, espressi in (mm), nei casi di


interfacce di collegamento tra strati diversi, così come riportato in tabella 3.10.

Strato d'usura su Strato di collegamento Strato di base su


Stöckert, 2001 strato di collegamento su strato di base strato di base
(ADS/ABS) (ABS/ATS) (ATS/ATS)

Sforzo di Taglio 25,00 kN 20,00 kN 16 kN

Spostamento 2,00 ÷ 4,00 mm 1,50 ÷ 3,00 mm 1,00 ÷ 3,00 mm

Tabella 3.10: Valori minimi di Sforzo di Taglio e spostamenti ottenuti da Leutner test.

Per quanto concerne i quantitativi di mano d’attacco da impiegare nella


realizzazione di un nuovo pacchetto stradale o nel caso di interventi di
manutenzione, le norme DIN non forniscono indicazioni utili, al pari delle
norme italiane. Tuttavia, esistono delle specifiche raccomandazioni contenute
nel bollettino tecnico denominato “Merkblatt für Schichtenverbund, Näte,
Anschlüsse und Randausbildungen” nel quale i quantitativi di mano d’attacco
vengono espressi in modo del tutto analogo a quello visto per le British Standard
594-2 in funzione degli strati a contatto. Ad esso si riconducono le “condizioni
tecniche addizionali di contratto” tipiche del sistema edilizio tedesco, nelle quali
è richiesto di effettuare ogni possibile operazione per raggiungere un “adeguato”
collegamento tra gli strati bituminosi. Nel bollettino di cui sopra le strade
vengono classificate in base al traffico che le interessa in: strade a traffico
pesante (Bauklasse SV I, II e III) e strade a traffico leggero (Bauklasse SV IV, V
e VI). Per le prime (traffico pesante) è necessario utilizzare una emulsione
modificata denominata “PmOB Art C U 60 K”, dove “PmOB” indica il bitume
modificato, “Art C” il fatto che si tratta di una emulsione, “U” il fatto che sia
instabile, “60” la percentuale di bitume sul totale e “K” il fatto che sia cationica.
Per le strade a traffico leggero, invece, viene raccomandato l’utilizzo o di
“Bitumenemulsion U 60 K”, cioè emulsione cationica instabile al 60 % di
bitume normale, oppure di emulsioni bituminose a base di solvente identificate

167
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

con la sigla “HK” (quest’ultime sono in disuso per ripercussioni ambientali e


sulle maestranze). Le tabelle 3.11 e 3.12 riportano i quantitativi suggeriti dalle
specifiche codificate come “2222-1998-001” e “2222-1998-002”,
rispettivamente per le due tipologie di strade viste sopra. I numeri nelle caselle
sono i quantitativi minimi richiesti di emulsione bituminosa, espressi in gr/m2.

tipologia del nuovo strato


Strato di
Strato di Base (ATS) SMA
collegamento (ABi)

PmOB Art C U 60 K PmOB Art C U 60 K


Strato di Base (ATS)
tipologia e condizioni dello strato sottostante

f X
150 - 250 250 - 350

PmOB Art C U 60 K PmOB Art C U 60 K


gf X
250 - 350 250 - 350

PmOB Art C U 60 K PmOB Art C U 60 K


o/a X
300 - 400 300 - 500
Strato di Collegamento

PmOB Art C U 60 K
f - X
150 - 250
(ABi)

PmOB Art C U 60 K PmOB Art C U 60 K


gf -
250 - 350 250 - 350

PmOB Art C U 60 K PmOB Art C U 60 K


o/a -
300 - 500 250 - 350

Tabella 3.11: Quantitativi di emulsione in gr/m2 in funzione della tipologia del nuovo strato
e della tipologia e delle condizioni dello strato sottostante. Strade a traffico pesante.

In tabella le lettere di riga hanno il seguente significato:


f: sta per “fresco”, ossia strato di nuova costruzione;
gf: significa che la superficie è fresata;
o/a: significa che la superficie è porosa o presenta poco bitume superficiale;

mentre i simboli nelle caselle significano:


-: significa che quella situazione non si deve identificare;

168
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

x: significa che il quantitativo deve essere determinato in base alle effettive


necessità.

tipologia del nuovo strato


Strato di Strato di Conglomerato
SMA
Base collegamento bituminoso chiuso
U 60 K U 60 K U 60 K HK
f X
tipologia e condizioni dello strato sottostante

150 - 250 250 - 350 150 - 250 200 - 300


Strato di Base

U 60 K U 60 K U 60 K HK
gf X
250 - 350 250 - 350 250 - 350 200 - 300
U 60 K U 60 K U 60 K
o/a X
300 - 400 300 - 500 250 - 350
HK HK
s - X
200 - 300 200 - 300
U 60 K HK U 60 K HK
Strato di Collegamento

f X X
150 - 250 150 - 250 150 - 250 150 - 250
U 60 K U 60 K HK U 60 K HK
gf X
250 - 350 250 - 350 200 - 300 250 - 350 250 - 350
U 60 K U 60 K
o/a X X
300 - 400 250 - 350
HK HK
s X X
200 - 300 200 - 300

Tabella 3.12: Quantitativi di emulsione in gr/m2 in funzione della tipologia del nuovo strato
e della tipologia e delle condizioni dello strato sottostante. Strade a traffico leggero.

dove:
s: significa substrato polveroso.

Nonostante si tratti di raccomandazioni, le indicazioni proposte dal bollettino di


cui sopra sono significative del fatto che comunque viene attribuita una certa
importanza all’applicazione delle mani d’attacco. I valori, paiono essere più che
altro stimati in base all’esperienza di cantiere e non sono certo il frutto di uno
studio progettuale; in effetti, trattandosi di quantitativi di emulsione in alcuni
casi sono evidentemente sottostimati.

169
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

L’esempio tedesco tuttavia, è quello che presenta più riferimenti e regole in


merito al collegamento tra gli strati ed all’applicazione di mani d’attacco.
Purtroppo, vista l’importanza che il collegamento si è dimostrato avere nella
caratterizzazione della vita utile della sovrastruttura stradale, la quantità e la
qualità di tali indicazioni pare ancora insufficiente per poter controllare
compiutamente le lavorazioni di cantiere ed i risultati di tali lavorazioni.

In Svizzera:
La situazione Svizzera è del tutto analoga a quella tedesca.
Obiettivo della norma SN 640430 “Enrobés bitumineux compactés” [107] è
quello di fissare tutte le raccomandazioni e le prescrizioni relative alla
concezione ed alla realizzazione di strati d’usura, di collegamento, di base e di
fondazione in conglomerato bituminoso compattato, che non siano contenute
nella normativa europea riguardanti i conglomerati bituminosi.
Secondo la norma svizzera, per garantire un buon collegamento (liaison
irreprochable) tra i diversi strati di conglomerato bituminoso, è necessario
applicare, per nebulizzazione, una adeguata mano d’ancoraggio (enduit
d’accrochage). Per essa occorre utilizzare emulsioni di bitume conformi alla
norma SN 670200, dopes d’adesività, oppure altri prodotti che siano comunque
appropriati. Il dosaggio è funzione della natura del supporto e deve essere
definito prima della messa in opera. Si indica comunque per il quantitativo
minimo un valore che vari tra i 100 ed i 200 g/m2 di bitume residuo. Per
superfici “chiuse” il dosaggio di emulsione sarà piuttosto basso. Per superfici
rugose (ad esempio “fresate”) al contrario, dice la norma, conviene aumentare il
quantitativo in maniera appropriata.
In particolare, per quanto riguarda la realizzazione di pavimentazioni di
conglomerato poroso, si richiede l’applicazione di una mano d’attacco, su un
supporto impermeabile, in ragione di un valore indicativo per il dosaggio

170
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

compreso tra 150 e 300 g/m2 di legante residuo; segue l’eventuale applicazione
di SAMI.
Per quanto riguarda la nebulizzazione della mano d’attacco, le norme indicano
che essa dovrà essere tale da ottenere una ripartizione uniforme del legante. La
rottura dell’emulsione od in generale, la presa del prodotto d’ancoraggio dovrà
concludersi prima della stesa del successivo strato bituminoso.
Al punto G della stessa norma sono elencati i controlli relativi ai materiali posati
ed alla pavimentazione con essi realizzata. In particolare, il punto numero 45,
“Liaison entre les couches”, fornisce valori limite di riferimento per prove di
taglio diretto eseguite secondo la norme SN 671961 “Détermination de la liaison
entre les couches (selon Leutner) [108], ossia impiegando la stessa metodologia
Leutner tedesca. I valori vengono definiti in base alle classi di traffico della
strada esaminata e valutati su 4 carote prelevate per ciascuna sezione di posa. Il
valore intermedio è quello considerato attendibile. Il valore minimo di resistenza
al taglio richiesto al collegamento è di 15 KN almeno, all’interfaccia tra strato di
usura e strato di collegamento, lo stesso all’interfaccia tra strato di usura e strato
di base, in assenza di strato di collegamento. Tra tutti gli strati restanti occorre
ottenere almeno 12 KN. Infine, la norma sancisce che non vi sono esigenze di
verifica tra strato bituminoso di base e strato di fondazione.
La situazione svizzera è, analogamente al caso tedesco, completa, in quanto
sono forniti sia i valori dei quantitativi di mano d’attacco da stendere, sia i valori
di resistenza del collegamento tra gli strati, da verificarsi con una prova
standardizzata come il Leutner. Resta tuttavia, l’aleatorietà decisionale in fase di
scelta del prodotto per la mano d’attacco e sui quantitativi effettivi da applicarsi
per ciascun caso. In definitiva, la norma è cosciente del fatto che superfici
diverse necessitino di materiali e quantitativi diversi, ma non spiega come
effettuare la scelta, lasciando in pratica il compito alla mercé degli interessi di
cantiere. Inoltre, i valori minimi di KN richiesti per le prove Leutner appaiono,

171
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

alla luce delle esperienze di prova rinvenute in letteratura, poco restrittivi,


soprattutto in assenza di indicazioni circa i valori di spostamento (mm)
corrispondente: così ad esempio, possono essere raggiunti sì i 15 KN di
resistenza citati, ma con uno spostamento, ad esempio, di 1.0 mm il ché
testimonia, dall’esperienza, una rottura del provino estremamente fragile ed
improvvisa, tipica delle interfacce prive di mano d’attacco e con un discreto
ingranamento.

In Francia:
Il quadro francese, è stato descritto dagli stessi Roffe J.C. e Chaignon F.
nell’ultima parte della memoria già descritta e presentata alla conferenza sui
materiali stradali di Salonicco nel 2002 [78]. Ecco alcuni punti:
….omissis…
… gettiamo uno sguardo alle proporzioni comunemente impiegate in Francia…
…anzitutto le mani d’attacco vengono applicate con barre spruzzatici
autocarrate e non con spruzzatici a mano od altri metodi rustici. Ciò rende
possibile progettare tassi di applicazione industriali. E’ importante descrivere le
mani d’attacco in termini di quantitativo di bitume residuo piuttosto che di
emulsione bituminosa il cui quantitativo in bitume può variare notevolmente.
Interfaccia tra fondazione non legata e strato di base bituminoso:
la superficie della fondazione dopo la compattazione viene spruzzata con un
film di sigillatura contenente 1.2 Kg/m2 di emulsione bituminosa e ricoperto con
graniglia 4-6 mm. Prima della posa del conglomerato successivo, viene
applicata sulla lavorazione precedente, una mano d’attacco contenente 0.2
gr/m2 di bitume residuo.
Interfaccia tra due conglomerati bituminosi:
si applicano sistematicamente mani d’attacco a 0.2 gr/m2 di bitume residuo,
anche quando lo strato inferiore è stato steso di recente.

172
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

Interfaccia tra strato di base bituminoso e strato in conglomerato con spessore


superiore ai 50 mm:
in tale caso il quantitativo di bitume residuo applicato sale a 0.250 gr/m2.
Interfaccia tra strato di base bituminoso e conglomerato poroso: (errato ?)
nel caso di conglomerato poroso, le mani d’attacco devono anche fungere da
strato impermeabilizzante per proteggere gli strati sottostanti dall’acqua
superficiale. Le mani d’attacco sono applicate circa allo stesso modo dei
trattamenti superficiali con graniglie 4-6 mm, anche se il quantitativo di legante
è superiore.
….omissis…
Tappeti bituminosi molto sottili:
in questo tipo di progetto, la mano d’attacco gioca un ruolo ancor più
importante nell’assicurare il legame con la pavimentazione esistente, con dosi
superiori anche ai 0.400 gr/m2.

Senza entrare nel merito della qualità e della precisione di stesura della memoria
di Roffe e Chaignon è possibile fare alcune considerazioni.
La prima è critica nei confronti dei due rappresentanti di una delle più note
associazioni di produttori ed utilizzatori di emulsioni bituminose l’IBEF, i quali
ad una conferenza internazionale di richiamo come quella di Salonicco, per
cercare di pubblicizzare l’uso di prodotti bituminosi nelle mani d’attacco e
sensibilizzare gli addetti ai lavori nei confronti del problema della
caratterizzazione del collegamento tra gli strati bituminosi del pacchetto
stradale, hanno proposto un articolo scarno e privo di riferimenti normativi, più
mirato a fornire quantitativi di mano d’attacco da stendersi, che suggerimenti
reali circa i modi coi quali affrontare il problema effettivo della progettazione
delle mani d’attacco. In sostanza, hanno descritto come buona norma, l’usanza
francese di stendere molto bitume, anche con strati di graniglia frapposti e con

173
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

l’ausilio di macchinari avanzati, senza cercare tuttavia di spiegare da subito i


meccanismi che stanno alla base della resistenza del collegamento tra gli strati i
quali, come si è visto nel capitolo precedente, in certi casi suggeriscono di
limitare il quantitativo di mano d’attacco per non creare effetti controproducenti.
Una posizione più corretta sarebbe stata quella di spronare i ricercatori presenti a
mettere a punto metodologie e procedure di progettazione delle mani d’attacco,
mirate all’estensione della vita utile di una sovrastruttura (e non ad aumentare
meramente i quantitativi di leganti stesi) e quindi incentrate sui parametri che
indicano in una determinata situazione di cantiere, quale mano d’attacco
stendere, quanta stenderne e come farlo.
In secondo luogo, ritornando al quadro normativo francese, se la situazione
descritta da Roffe e Chaignon è effettiva, allora la Francia non si discosta quali-
quantitativamente troppo dall’Italia. Mancano i tipi di emulsione, le corrette
modalità applicative, ma soprattutto i controlli in fase d’opera sulle stese.
Mancano inoltre, i controlli delle effettive condizioni di collegamento tra gli
strati e non esiste pertanto un riferimento normativo per una prova
standardizzata di verifica.

A conclusione di questo paragrafo si ricorda come le Norme Europee (EN) in


materia di pavimentazioni stradali contemplino tradizionalmente le sole
caratterizzazioni dei materiali da impiegarsi, senza fornire indicazioni circa le
loro applicazioni. Pertanto, come era logico attendersi le norme EN non trattano
di mani d’attacco, né tantomeno di quantitativi e neanche di test per la
caratterizzazione del collegamento tra gli strati bituminosi della pavimentazione
stradale.

174
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

3.4 CONCLUSIONI

Alla luce di quanto descritto nei paragrafi iniziali del presente capitolo si
sottolinea ancora una volta come fin dagli anni '70 vi sia una certa sensibilità dei
gruppi di ricerca di tutto il mondo verso il problema del collegamento tra gli
strati della pavimentazione stradale. Il fiorire di studi e metodologie di prova più
o meno articolati ne sono la prova. Tuttavia, per la complessità del problema e
per il numero di variabili che intervengono nel caratterizzarlo, si è dimostrato
assai arduo il compito di definirne compiutamente tutti gli aspetti, in una sola
sperimentazione e le conclusioni cui si è giunti sono rimaste purtroppo isolate.
In pratica, le ricerche sono state di due tipi. In un primo gruppo si annoverano
quelle condotte prevalentemente in laboratorio per le quali, messa a punto la
metodologia di prova, si sono confezionati svariati campioni con materiali e
condizioni di interfaccia diverse e li si è sottoposti a test in configurazioni
variabili di temperatura e carichi esterni. Si sono ottenute informazioni di
resistenza del collegamento in relazione al tipo ed al quantitativo di legante
impiegato, al tipo di miscela adottata, all’entità del carico normale all’interfaccia
e soprattutto alla temperatura di prova. Nel secondo gruppo si identificano le
sperimentazioni in sito, per le quali nella maggior parte dei casi è stata prevista
una estesa campagna investigativa su campioni prelevati da pavimentazioni
stradali od autostradali al fine di caratterizzarne il collegamento e fornire
indicazioni di massima per specifiche di verifica dello stesso.
In ambedue i casi, le sperimentazioni condotte dai singoli gruppi di ricerca non
si sono dimostrate ad oggi del tutto esaustive e, nella maggior parte dei casi, le
ricerche avviate non hanno avuto un seguito. Ecco che, molte metodologie di
prova sono state abbandonate o non hanno dato luogo a filoni di ricerca locali.
Soltanto il Leutner test appare avere una certa continuità di utilizzo e soprattutto
negli ultimi se ne è visto l’impiego per almeno cinque sperimentazioni differenti
delle quali una in Svizzera, una in Olanda, due a Nottingham (di cui una in

175
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

corso) ed una ad Ancona in Italia. In parallelo, l’apparecchiatura ASTRA del


CIRS di Ancona è stata adottata in un buon numero di ricerche e gli sviluppi
futuri appaiono assai promettenti.
Le conclusioni cui giungono tutte le esperienze di ricerca descritte in precedenza
hanno come punto in comune la forte dipendenza della resistenza del
collegamento all’interfaccia dalla temperatura, il ché era immaginabile. Meno
scontate ed assai importanti appaiono le conclusioni per le quali, l’applicazione
di elevati quantitativi di mano d’attacco, non fornisca altrettante spiccate doti di
resistenza al collegamento di interfaccia. Per tale motivo appare ancora più
giustificata l’affermazione per la quale è necessaria una progettazione mirata
della mano d’attacco a seconda di ogni caso applicativo specifico. Vi sono poi
discordanze soprattutto sui valori di Modulo di Reazione orizzontale (K)
misurato da vari Autori, per il quale tuttavia si ricorda l’estrema variabilità ed il
fatto che il campo che racchiude le condizioni reali di collegamento sia
comunque assai ampio. Infine, tutti gli autori concordano nell’affermare che la
presenza di carichi normali agenti sul piano di interfaccia risulti in un aumento
dello sforzo tagliante necessario per portare a rottura il provino.
Dal paragrafo relativo alle metodologie di prova implementate nel corso degli
anni, emerge una tendenza all’impiego di test di taglio diretto, senz’altro più
affidabili ed efficienti di test che applicano trazioni dirette o torsioni. Inoltre, è
presente la volontà di poter caratterizzare anche in sito il collegamento tra gli
strati tramite nuove metodologie non distruttive che sfruttano lo studio della
risposta del pacchetto stradale in seguito all’applicazione di impulsi. Tra queste
il francese Colibrì si è dimostrato assai promettente.
Infine, per quel che riguarda le norme si è posto l’accento sulla loro carenza
diffusa in Europa in materia di mani d’attacco e di verifica del collegamento tra
gli strati. I paesi anglosassoni sono più attenti all’impiego delle mani d’attacco
bituminose e forniscono un certo numero di indicazioni per la loro progettazione

176
Capitolo 3: Studi sperimentali, test e normative sul collegamento tra gli strati.

ed applicazione, tuttavia non è ancora contemplato lo studio di laboratorio del


problema e nemmeno sono vigenti norme per la verifica in sito del
collegamento. I paesi di lingua tedesca sono invece pronti alla verifica in sito del
collegamento tramite il Leutner, pur non essendo ancora ben chiari i limiti coi
quali confrontarne i risultati. Vi sono poi paesi come l’Italia dove le norme e le
specifiche dei capitolati d’appalto sono carenti su tutti i fronti: pochissime sono
le indicazioni sulla posa e la verifica delle mani d’attacco ed assenti quelle sulla
verifica del collegamento tra gli strati in sito. In questi casi, molto si deve ancora
fare per arrivare alla messa a punto di studi di laboratorio volti alla
progettazione prestazionale delle mani d’attacco ed altrettanto per la
standardizzazione di efficienti metodologie di prova del collegamento in
laboratorio ed in sito.
Nei prossimi capitoli vengono presentate le due sperimentazioni condotte, l’una
presso il Nottingham Centre for Pavement Engineering (NCPE) e l’altra presso
il DISTART-Strade dell’Università di Bologna, per mezzo del Leutner Shear
Test. Nel primo caso si sono investigate le condizioni di collegamento tra gli
strati di carote confezionate prevalentemente in laboratorio con materiali inglesi,
nel secondo si sono eseguite prove su campioni doppio strato prelevati da
pavimentazioni stradali reali. Dagli studi sono emerse alcune interessanti
conclusioni che, oltre a confermare quanto ottenuto da altre ricerche, consentono
di indirizzare gli studi futuri su aspetti più specifici del problema quali, ad
esempio, la reale entità dell’ingranamento possibile tra due miscele bituminose
qualsiasi e l’effettivo sviluppo di adesione bitume-piano di posa in presenza di
contaminazioni. Allo stesso tempo si è presentata la possibilità di suggerire una
metodologia di progettazione delle mani d’attacco tramite l’impiego combinato
in laboratorio di Pressa Giratoria e Leutner Shear test.

177
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

CAPITOLO 4

LA SPERIMENTAZIONE INGLESE

4.1 IL PROGETTO DI RICERCA PRESSO IL NCPE

4.1.1 Introduzione
Nel presente capitolo, verrà descritta una parte dei risultati del primo progetto di
ricerca inerente il collegamento tra gli strati bituminosi della pavimentazione
stradale, condotto presso il Nottingham Centre for Pavement Engineering
(NCPE) [113] dell’Università di Nottingham, nel Nottinghamshire inglese.
Il progetto di ricerca dal titolo “The Importance of Bonding between Pavement
Layers”, iniziato nel giugno del 2000 e conclusosi nel giugno del 2002, è stato
sponsorizzato (circa 194000 sterline inglesi) dall’Engineering and Physical
Sciences Research Council (ESPRC) inglese in collaborazione con importanti
società del campo stradale tra le quali: Aggregate Industries UK Ltd., Nynas
Bitumen, Tarmac Central Ltd., Dynatest UK Ltd. e Scott Wilson K. Pavement
Engineering.
Nei due anni di progetto, sotto la supervisione dei Proff. Stephen F.Brown ed
Andrew C.Collop e del Dr.Nicholas H.Thom, sono state condotte parallelamente
alcune ricerche finalizzate alla caratterizzazione del collegamento tra gli strati
della pavimentazione in generale ed, in particolare, allo studio di una valida
metodologia di laboratorio per una sua valutazione quali-quantitativa ed alla
messa a punto di una tecnologia Non Distruttiva da impiegarsi per la verifica del
collegamento in sito.
Nei primi 18 mesi di studio si è curata la revisione letteraria, si sono eseguite
modellazioni numeriche del collegamento tra gli strati con software specifici, si
è valutata l’efficacia della metodologia PSPA [18] nello studio non-distruttivo in

178
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

sito del collegamento, si è avviato lo sviluppo dell’Hammer test e si sono


condotti studi preliminari sulla resistenza tramite lo Shear Box test. Nella
seconda fase del progetto si è proseguito lo sviluppo dell’Hammer test, si è
realizzato un ampio programma di sperimentazione tramite il Leutner Shear test
su campioni confezionati in laboratorio e si è costruita una pavimentazione in
scala reale sulla quale condurre i due studi precedenti.
Nel febbraio del 2003 è stato attivato presso l’NCPE il secondo progetto di
ricerca per lo studio dell’importanza del collegamento tra gli strati della
pavimentazione stradale, sponsorizzato dalla Highways Agency (HA), società
che gestisce il patrimonio autostradale del Regno Unito. Ad oggi, questo
progetto non ancora conclusosi, intende proporre agli enti normatori inglesi ed
alla HA stessa, l’adozione del Leutner Shear Test, in versione modificata, quale
strumento di routine per le attività di controllo e verifica delle condizioni di
collegamento tra gli strati delle pavimentazioni stradali ex-novo od in esercizio,
a sostegno del nuovo assetto contrattuale denominato Design, Build, Finance
and Operate (DBFO), secondo il quale chi progetta e costruisce la strada deve
anche finanziarne il mantenimento e quindi gestirla sotto la supervisione
dell’ente proprietario.

4.1.2 Il Nottingham Centre for Pavement Engineering


Il centro di ricerca inglese è stato inaugurato nel Settembre 2001 ed è frutto di
un impegno comune della School of Civil Engineering dell’Università di
Nottingham, guidata dal Professor Stephen F.Brown, e della Shell Bitumen Ltd.,
nota società del settore petrolifero mondiale. Il NCPE è, ad oggi, uno dei
maggiori centri di ricerca sui materiali stradali d’Europa ed è molto conosciuto
anche in altri continenti, al punto che ricercatori e studiosi di tutto il mondo, vi
si recano periodicamente per sviluppare avanzati progetti di ricerca. Tra i vari
studi portati a termine si ricorda quello per la messa a punto dell’oramai noto

179
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Nottingham Asphalt Tester (NAT), dispositivo dinamico per la caratterizzazione


prestazionale dei conglomerati bituminosi, datato 1988.
La struttura su tre piani è attrezzata con le più moderne tecnologie ed ospita
accademici, ricercatori, dottorandi, tecnici, nonché tutto il personale tecnico
della Shell Bitumen.
Tra le strumentazioni ed i dispositivi del centro, per lo studio e la
caratterizzazione dei bitumi, dei conglomerati bituminosi e dei materiali non
legati, oltre al già citato NAT, si ricorda la Pavement Test Facility (PTF), un
maneggio automatico per la simulazione del traffico in condizioni climatiche
variabili, su pavimentazioni realizzate in scala reale.

4.1.3 Il programma sperimentale


Si sottolinea come nel presente lavoro venga riportata solo la descrizione della
seconda fase di progetto riguardante l’impiego del Leutner Shear Test per la
valutazione della resistenza a taglio del collegamento di interfaccia in
laboratorio, tralasciando la parte inerente lo sviluppo dell’Hammer Test, per la
quale si rimanda ai riferimenti bibliografici [74][83].
Alla luce delle difficoltà esecutive delle prove di taglio con Shear Box,
principalmente dovute ai lunghi tempi di preparazione dei provini ed alla non
uniformità delle tensioni taglianti all’interfaccia, si è passati nell’Agosto del
2001 all’utilizzo del Leutner Test, praticamente ancora sconosciuto in
Inghilterra, grazie all’apporto del Prof.Ing. Joachim Poes della University of
Applied Sciences – Fachhochschule Frankfurt am Main. L’economicità, la
facilità di impiego e la rapidità di esecuzione delle prove con tale dispositivo, ha
convinto i ricercatori dell’NCPE che il Leutner potesse essere una
apparecchiatura efficace ed efficiente nella caratterizzazione del collegamento
tra gli strati bituminosi e non. Ecco che, al fine di valutare l’influenza sul
collegamento tra gli strati di alcune variabili quali: la posizione dell’interfaccia

180
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

all’interno del pacchetto stradale, le tipologie di materiali a contatto, la presenza


di mano d’attacco, il quantitativo di mano d’attacco e la presenza di agenti
contaminanti sul piano di posa, nel Settembre 2001 è stato approntato un esteso
programma sperimentale di laboratorio che ha visto la realizzazione di almeno
30 piastre bituminose doppio strato con diversi tipi di interfaccia e di una
pavimentazione sperimentale in scala reale. Sulla stessa pavimentazione è poi
stato possibile testare le potenzialità dell’Hammer Test. Dalle due campagne
investigative condotte a distanza di 6 mesi in periodi dell’anno con temperature
differenti, si sono ottenuti risultati promettenti per il test. Se l’intento iniziale è
stato quello di individuare un dispositivo in grado di discernere tra varie
condizioni di interfaccia e quantificarne il collegamento in modo puntuale, le
sperimentazioni hanno tuttavia rivelato che esso è capace unicamente di
individuare condizioni di completo distacco o di collegamento certo. In
sostanza, l’Hammer Test, tutt’ora in fase di sviluppo, si è dimostrato uno
strumento utile soprattutto per indirizzare i punti di prelievo per le verifiche del
collegamento in laboratorio con Leutner.

4.2 LA SPERIMENTAZIONE CON IL LEUTNER SHEAR TEST

4.2.1 I materiali impiegati e la preparazione dei campioni


In questo paragrafo si riferirà della sperimentazione di laboratorio condotta con
l’ausilio del Leutner test [66][76] utilizzando campioni confezionati in
laboratorio, campioni prelevati dalla pavimentazione di prova su scala reale e
campioni prelevati dalla Pavement Test Facility di cui sopra.
La sperimentazione con Leutner si prefigge fra l’altro, di fornire un valido
strumento di valutazione qualitativa e quantitativa del collegamento tra gli strati,
fin dal momento della costruzione della pavimentazione e per tutta la sua vita
utile, nonché di suggerire alcune indicazioni sui valori di resistenza minimi da
raggiungersi all’interfaccia tra gli strati stessi affinché non sia compromessa la

181
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

funzionalità strutturale della sovrastruttura. A tale fine sono state confezionate in


laboratorio una serie di piastre doppio strato costituite da due diversi
conglomerati bituminosi a contatto, con condizioni differenti all’interfaccia,
secondo quanto riportato di seguito.
I materiali impiegati nello studio sono quelli comunemente utilizzati nelle
pavimentazioni realizzate nel Regno Unito. In particolare, sono stati scelti
conglomerati bituminosi adatti per strati di usura, di collegamento e di base in
modo da poter investigare il collegamento alle prime due interfacce del
pacchetto stradale. Dalle British Standard e dalle Highways Specifications
(series 900 e 1000) sono stati scelti i fusi granulometrici e le specifiche relative
al contenuto di legante, di vuoti e di fibre, nonché tutte le indicazioni utili per la
preparazione di miscele che rientrassero nella media della pratica comune. Per lo
stesso motivo si è optato per curve granulometriche per quanto possibile
prossime ai valori medi dei medesimi fusi. Per quanto riguarda i conglomerati
da usura, si sono adottati uno Stone Mastic Asphalt (SMA) con pezzatura
massima di 10 mm ed un Hot Rolled Asphalt (HRA) 30/14mm, ovvero un
conglomerato bituminoso prevalentemente sabbioso, avente una pezzatura
massima di 14 mm ed almeno un 30% grossolano, sul totale degli aggregati.
Come materiale per strato di collegamento si è adottato un Dense Bitumen
Macadam (DBM) con pezzatura massima di 20 mm, mentre come conglomerato
di base si è adottato un DBM con pezzatura di 28 mm.

Tabella 4.1: Tipi di conglomerato bituminoso impiegati nella sperimentazione.

182
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

La tabella 4.1 mostra le caratteristiche principali delle miscele utilizzate. Gli


aggregati utilizzati sono arenarie e dioriti provenienti da cave locali. I bitumi
impiegati sono di tipo tradizionale ed hanno penetrazioni fisse di 50 e 100
decimillimetri. In figura 4.1 è riportato un esempio di curva granulometrica
utilizzata per un DBM 20 mm.

100

90

80

70

60

50

40

30
Minimum Specification
20 Maximum Specification
10 Midpoint
design
0
0.01 0.1 1 10 100

Sieve Size (mm)

Figura 4.1: Esempio di curva granulometrica dalle Series 900.

Una volta scelti i materiali, si è passati alla realizzazione in laboratorio delle


piastre quadrate costituite da due strati in conglomerato bituminoso aventi
spessori rispettivamente di 70 mm quello inferiore e di 40 mm o di 50 mm
quello superiore, a seconda che si trattasse di uno strato di usura o di
collegamento. Gli spessori scelti sono stati dettati, oltre che dalla reale
possibilità di compattare il materiale negli stampi (305mmx305mm) per mezzo
del compattatore a rullo, anche dagli spessori degli strati bituminosi
comunemente adottati in sito ed dalle dimensioni che le carote debbono avere
per poter essere testate nel dispositivo Leutner, secondo quanto descritto nel
capitolo successivo. La figura 4.2 mostra un esempio di piastra bituminosa
doppio strato nella quale è ben visibile la linea di interfaccia e la differenza di

183
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

spessore tra gli strati bituminosi. Durante la confezione di ciascun provino da


cui prelevare due carote da 150 mm, si è sempre provveduto alla preparazione
dell’interfaccia tra i due strati trattando opportunamente la superficie dello strato
inferiore.

Figura 4.2: Esempio di piastra bituminosa doppio strato.

Tre sono i trattamenti proposti per simulare le condizioni di una stesa reale.
La prima interfaccia scelta (denominata “normal amount of tack coat” o “N”)
rappresenta il caso di una buona lavorazione: una mano di emulsione bituminosa
(K1-40 a rapida azione in conformità con le BS 434-1) al 40% di bitume viene
stesa sulla superficie dello strato inferiore in modo da ottenere un quantitativo di
bitume residuo anidro pari a circa 200 g/m2. Il quantitativo di emulsione è
leggermente variabile tra una superficie di DBM 20mm o DBM 28mm per via
della diversa rugosità superficiale dei due materiali. Come visto nel capitolo
precedente, le norme inglesi richiedono un stesa di emulsione compresa tra i 0.3
L/m2 ed i 0.5 L/m2 ed il quantitativo reale deve essere stabilito per ciascun
lavoro a seconda delle caratteristiche specifiche del caso. Viene anche citata la
necessità di lasciare “rompere” completamente l’emulsione prima di eseguire la
stesa successiva, cosa che spesso nella pratica comune non avviene.

184
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Il secondo trattamento di interfaccia (denominata “poor slurry” od “O”)


prevede la riproduzione di ciò che accade in sito quando non viene stesa la mano
d’attacco e la superficie si presenta leggermente contaminata. Il termine
contaminata è abbastanza generico, l’intento è quello di simulare una superficie
di stesa sporcata dal passaggio dei mezzi d’opera e successivamente spazzata. Il
materiale utilizzato per creare lo sporco e una miscela di acqua e filler dioritico
(1 a 1) chiamata in seguito “slurry” ed applicata per mezzo di un semplice
pennello. Il quantitativo di slurry steso è stato determinato mediante una
valutazione visiva della superficie trattata: la superficie dei DBM contaminata
lascia intravedere il colore nero del conglomerato a “pelle di leopardo”.
L’ultimo trattamento previsto nel programma base dei provini (denominata
“slurry + excess of tack coat” o “C”) è quello che simula la stesa di emulsione
su di una superficie molto contaminata. Può accadere infatti, che l’impresa
esecutrice dei lavori, pur essendo richiesta la pulizia dello strato inferiore tramite
motospazzatrice prima dello spargimento dell’emulsione, non esegua
effettivamente l’operazione per mancanza di tempo e proceda immediatamente
alla spruzzatura dell’emulsione in quantitativi leggermente maggiori, in modo da
coprire le zone più sporche.

Figura 4.3: Superficie di posa contaminata con slurry.

185
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

La quantità di slurry stesa in questa interfaccia è maggiore di quella del caso


precedente e fa apparire la superficie completamente ricoperta da un sottile film
di sporco. La figura 4.3 mostra il caso di una interfaccia di questo tipo prima del
trattamento ad emulsione.
Nei casi in cui è stata prevista emulsione si è sempre attesa la rottura per almeno
trenta minuti, tranne nei casi in cui si volessero volutamente simulare operazioni
di stesa affrettate. La tabella 4.2 riporta le caratteristiche principali
dell’emulsione cationica impiegata.

Caratteristiche emulsione cationica K1-40


CARATTERISTICHE DISTILLAZIONE RESIDUO DISTILL.
Aspetto buono %bitume 37.2 Penetrazione 121
Sedimentazione assente %solvente 1.5 R&B 43.2
pH 1.71 %acqua 61.3 Visco 60°C 105
Trattenuto 630 μm assente Fraass -16
Viscosità 14 cP LASER CIS 100
Demulsività 26.90% diametro medio 4.35 μm
IREC 115g diametro massimo 4.47 μm

Tabella 4.2: Caratteristiche principali dell’emulsione cationica impiegata.

Combinando i materiali utilizzati per i vari strati con le interfacce teste descritte,
si sono ottenute un certo numero di combinazioni di base, per ciascuna delle
quali sono state prodotti tre o più piastre da cui estrarre due carote da sottoporre
a Leutner test. La tabella 4.3 riporta le combinazioni di base testate.
Ogni combinazione presenta un codice identificativo composto da tre lettere di
cui la prima indica la natura dello strato superiore, la seconda il tipo di
interfaccia e la terza il tipo di strato inferiore, essendo scontato che nel caso di
combinazioni di tipo DxD si è impiegato uno strato inferiore in DBM28 mm. Da
un totale di 29 piastre si sono ricavate 58 carote complessive impiegate per la
sola sperimentazione di base; altre piastre doppio strato sono state confezionate
per ulteriori prove descritte in seguito.

186
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Tabella 4.3: Combinazioni di materiali ed interfacce realizzate.

Come già ricordato tutti i materiali sono stati preparati e compattati in


laboratorio con un compattatore a sezione di rullo denominato RollerComp che
simula meglio di ogni altro metodo di compattazione la reale azione di un rullo
compattatore stradale. Temperature, pressioni e numero di passaggi di stesa sono
stati accuratamente controllati e registrati al fine di ottenere campioni di prova il
più possibile omogenei. La temperatura minima del materiale post-
compattazione è stata fissata in base alle norme inglesi in 105°C, così come un
periodo di almeno 24 ore è stato fatto trascorrere prima di carotare i due provini
dalla piastra preparata. La figura 4.4 mostra due fotografie del compattatore a
sezione di rullo impiegato per la realizzazione delle piastre.

Figura 4.4: Compattatore a sezione di rullo RollerComp.

187
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Figura 4.5: Fase di carotaggio e carote estratte da una singola piastra.

La figura 4.5 rappresenta a sinistra una fotografia delle operazioni di carotaggio


ed a destra le quattro carote estraibili da una singola piastra: due di esse hanno
un diametro 150 mm e possono essere sottoposte a Leutner Test le altre hanno
un diametro di 100 mm e, una volta preparate, possono essere testate con il
dispositivo Nottingham Asphalt Tester per lo studio delle caratteristiche di
rigidezza dinamica dei conglomerati bituminosi di ciascuno strato (ITSM).

4.2.2 I risultati ottenuti


I Leutner test sono stati eseguiti secondo le modalità descritte nel capitolo
successivo. Riportando in un unico grafico Carico(KN) – Spostamento(mm) i
valori di picco ottenuti da tutte le prove eseguite, è possibile individuare una
nuvola di punti sulla quale impostare diverse considerazioni utili ai fini dello
studio. Il grafico in figura 4.6 riporta tutti i punti di picco relativi alle prove
eseguite su SMA/DBM ed HRA/DBM, ovvero le combinazioni dell’interfaccia
più superficiale e quelli relativi all'interfaccia sottostante: DBM20mm su
DBM28mm. Nell'analisi del grafico è opportuno ignorare il simbolo
identificativo della serie, per quei test che hanno mostrato un comportamento
diverso da quello atteso, per motivi di erronea preparazione del provino. Questi
test hanno comunque una validità pratica, perché consentono di valutare in che
misura l'operazione errata influenza il collegamento. Le osservazioni di seguito

188
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

riportate sono basate sulla relazione esistente tra il risultato del Leutner test e
l'aspetto delle superfici di interfaccia delle carote. Nell’esaminare le carote
testate si sono considerati alcuni parametri quali: la presenza e la qualità di
ingranamento all'interfaccia, la presenza sulla superficie di materiale asportato
dall'altro strato, la compattazione dei due strati, la presenza e lo stato dello slurry
steso per contaminare l'interfaccia, la presenza e lo stato del bitume residuo
dall'emulsione stesa e l'eventuale posizionamento improprio della carota
riscontrabile con la rottura, talvolta inevitabile, di uno o più aggregati di bordo.
Nel grafico è possibile identificare tre aree, all’interno delle quali si raggruppano
i punti rappresentativi dei test condotti. Queste aree si sviluppano lungo un
ipotetico settore circolare centrato nell’origine degli assi. L’area più distante
dall’origine quantifica il collegamento ottenuto per i provini preparati con
emulsione; in essa sono racchiusi i punti di picco dei test coi valori più alti, sia
in termini di Carico(KN), sia di Spostamento(mm), a conferma di come la
presenza della mano d’attacco, fornisca un contributo decisamente positivo al
collegamento.
32.00

30.00
Load- PEAK (kN)

28.00

26.00

24.00

22.00 HND

20.00 HOD

18.00 HCD

16.00 SND

14.00 SOD

12.00 SCD

10.00 DND

8.00 DOD

6.00 DCD

4.00

2.00
Displ.-PEAK (mm)
0.00
0.00 1.00 2.00 3.00 4.00 5.00

Figura 4.6: Grafico dei punti di picco ottenuti dai Leutner test.

189
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

La seconda area comprende sostanzialmente i test con interfacce contaminate da


slurry. L’importanza di una superficie di stesa pulita è confermata dal fatto che,
l’interfaccia “C”, presenta valori leggermente inferiori rispetto alla “O” dove,
pur non prevedendo emulsione, la contaminazione è minore. La terza area
comprende i risultati dei test che hanno registrato i valori più bassi di resistenza
del collegamento. In particolare, vi si trovano alcuni dei test svolti sui materiali
della seconda interfaccia: è noto infatti che, all’aumentare della pezzatura
nominale delle miscele testate, si abbia un calo dei valori di resistenza. Ciò non
significa tuttavia che, per quell’interfaccia, il collegamento sia insufficiente,
perché trovandosi più in profondità nel pacchetto stradale, è anche soggetta a
stress inferiori.
SMA ed HRA presentano risultati analoghi, anche se il comportamento del
primo è leggermente più rigido per via della composizione granulometrica più
grossolana che ne aumenta la resistenza al taglio: ciò è stato riscontrato
eseguendo Leutner test su carote di materiale omogeneo.
Una osservazione importante riguarda i test relativi alle interfacce di tipo “O”
contaminate con un velo di slurry. I valori riscontrati si collocano in una zona
adiacente ai test con sola emulsione. Dall’analisi delle carote testate si è potuto
apprezzare come il filler secco residuo dello slurry di contaminazione sia stato in
gran parte assorbito dal bitume caldo del materiale appena steso, a formare un
mastice bituminoso che, a quanto pare, non influenza in maniera negativa il
collegamento. Ovviamente, la formazione del mastice e la conseguente
ininfluenza sulle resistenze, è legata al quantitativo ed al tipo di sporco presente
nonché alla percentuale ad al tipo di bitume della miscela stesa a parità di
compattazione. In relazione ai test su carote con interfaccia di tipo “C” si
possono fare alcune osservazioni altrettanto interessanti. Come ricordato, la
contaminazione è stata realizzata mediante un film di slurry che ricoprisse
l’intera superficie, senza lasciare intravedere il materiale dello strato sottostante.

190
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Il filler residuo dello slurry, lasciato seccare, viene nuovamente bagnato con la
stesa dell’emulsione bituminosa. L’acqua di rottura della mano d’attacco in
parte evapora ed in parte viene assorbita dal filler ed imprigionata
nell’interfaccia con la stesa dello strato superiore caldo. Il colore dello sporco
residuo sulle superfici della carota testata appare, a differenza del caso con solo
slurry, bronzeo e si avverte la presenza di umidità che, a giudicare dai risultati
ottenuti, influenza negativamente il collegamento nonostante la presenza del
bitume dall’emulsione. La quantità di sporco e l’umidità, infatti, non consentono
di sfruttare tutto l’ingranamento disponibile all’interfaccia per la resistenza al
taglio e nemmeno le proprietà adesive della mano d’attacco.
Una variabile importantissima è risultata essere la compattazione. Test relativi a
carote nelle quali la superficie cilindrica esterna dell’SMA appariva porosa per
una scarsa compattazione, hanno fornito valori anche 8KN inferiori a quelli con
buona compattazione. Le differenze più evidenti si sono riscontrate appunto
negli SMA che, se ben compattati ed in presenza di emulsione, presentavano
sulla superficie di interfaccia tracce di materiale asportato dallo strato inferiore a
riprova del notevole ingranamento e del potere adesivo del bitume residuo. Una
scarsa compattazione porta, invece, a risultati nettamente inferiori. L’assenza di
ingranamento è riscontrabile nell’aspetto della superficie di interfaccia
dell’SMA del tutto simile a quella superiore dello strato finito.
Tra i risultati ottenuti sono da annoverare anche quelli relativi ad una gamma di
test condotti parallelamente alla sperimentazione di base, necessari al fine di
comprendere meglio il comportamento del collegamento tra gli strati in
determinate condizioni di prova. Per investigare gli effetti della temperatura
dell’interfaccia sulla resistenza del collegamento tra gli strati, sono stati
eseguiti alcuni Leutner test a temperature diverse dai 20°C usuali. In particolare,
alcune carote di tipo SmaNDbm, sono state testate a 40°C (4) ed a 5°C (4). I
risultati hanno confermato quanto già rinvenuto in letteratura, mostrando una

191
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

fortissima influenza della temperatura sulla resistenza del collegamento


all’interfaccia. In particolare, le prove a 40°C hanno mostrato i valori di
resistenza più bassi dell’intera sperimentazione scendendo al di sotto degli 8
KN, per scorrimenti compresi fra i 2 ed i 3 mm, a testimonianza di una scarsa
rigidezza dei conglomerati dovuti al rammollimento dei bitumi. Al contrario le
prove a 5°C hanno fornito i valori più alti superando in alcuni casi anche i 70
KN con rotture talvolta “esplosive” dei provini e spostamenti al picco attorno
agli 1.5 mm. I test eseguiti ai 20°C standard hanno mostrato un comportamento
nella norma della sperimentazione, raggiungendo valori di resistenza 3 volte
superiori a quelli ottenuti per le prove a 40°C e con scorrimenti analoghi.
Un secondo studio, finalizzato a comprendere gli effetti stagionali sul
collegamento, ha previsto la stesa di emulsioni a diverso contenuto di bitume
(K1-40 e K1-60) e la successiva posa dello strato di usura sullo strato di
collegamento preventivamente lasciato per 24 ore a 5°C (medesimi quantitativi
di bitume residuo). In sostanza, si è simulata la costruzione dell’ultimo strato
della pavimentazione in condizioni limite di temperatura. Dal confronto tra i
provini preparati con K1-40 a temperature di posa differenti (5°C e 20°C), a
parità di tempi di rottura (30 minuti), si sono ottenuti valori di resistenza più
bassi del 46% per il primo caso, a testimonianza di come un medesimo prodotto
bituminoso risenta delle condizioni climatiche di impiego. In tale caso, lo
scadimento è stato dettato con tutta probabilità dalla non corretta rottura della
mano d’attacco ai 5°C. I risultati dei provini confezionati con K1-60 sono
leggermente superiori a quelli dell’altra emulsione e mostrano un
comportamento più rigido. Ciò può essere attribuito alla minor quantità di acqua
presente nell’emulsione per la quale la rottura è stata migliore del caso
precedente. Si suggerisce l’adozione di emulsioni specifiche per climi freddi. Vi
è poi da tenere in conto la capacità dello strato inferiore freddo nel creare

192
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

ingranamento con quello caldo in arrivo. La differenza di temperatura tra i due


conglomerati influisce certamente sulle possibilità di interlocking.
Sottoponendo una carota confinata entro uno stampo cilindrico, ad un carico
normale ciclico (700 KPa pressione di contatto), è stato possibile simulare
grossolanamente gli effetti del traffico sulla compattazione degli strati e
conseguentemente sulla resistenza del collegamento tra gli stessi. In questo caso
le combinazioni utilizzate hanno previsto un’interfaccia di tipo “O” (poco
contaminata e senza emulsione) e diversi conglomerati di usura al fine di
osservare l’evoluzione del collegamento partendo da una situazione iniziale non
ottimale. Il numero di applicazioni di carico è stato fatto variare da un minimo di
1000 ad un massimo di 500000 con frequenza di 2 Hz per motivi di tempo. La
temperatura della cella durante l’applicazione del “traffico” è stata fissata in 20
ed in 40°C. I risultati dei Leutner test successivamente condotti (a 20°C) hanno
indicato un graduale aumento della resistenza al taglio del collegamento in
ambedue le configurazioni di temperatura. Nel caso dei 40°C l’aumento di
resistenza è stato significativo a differenza di quanto accaduto per i 20°C dove
l’aumento è esistente, ma poco apprezzabile. Il numero di applicazioni di carico
incide ovviamente sui risultati, lasciando intuire una condizione asintotica per la
quale dopo un certo numero di cicli la resistenza raggiunta non varia
sensibilmente. Occorre tuttavia sottolineare come le condizioni di traffico
riprodotte siano grossolanamente rappresentative di quanto effettivamente si
verifica in sito, per cui si immagina che nella realtà, l’intervento di altri
fenomeni di degrado quali fessurazioni ed ormaiamenti ad esempio, comporti
uno scadimento delle proprietà del collegamento all’aumentare dei cicli di
traffico. I risultati ottenuti hanno anche indicato un differente comportamento
dei conglomerati impiegati. In sostanza, l’Hot Rolled Asphalt ha mostrato una
crescita della resistenza più rapida dello Stone Mastic Asphalt; ciò è imputabile
soprattutto alla differenze tra le miscele, per cui il materiale prevalentemente

193
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

fine dell’HRA ha sfruttato più rapidamente l’azione combinata di traffico e


temperatura, per inserirsi nei meati dello strato sottostante. Tuttavia, le
resistenze raggiunte in ultimo dai provini di tipo SmaODbm sono state superiori,
a testimonianza di una resistenza al taglio superiore del nuovo conglomerato
venutosi a creare all’interfaccia, in seguito riarrangiamento degli elementi litici
delle due miscele a contatto.
Infine, sono stati effettuati anche 4 test sulla combinazione DbmNDbm
utilizzando un’emulsione di bitume modificato. Dai test è emerso come il
bitume modificato conferisca notevoli risorse di resistenza al collegamento
portando i valori di picco da una media di 12 KN per il caso di emulsione di
bitume non modificato ad una di 21 KN per emulsione di bitume modificato,
con un aumento quasi doppio della resistenza a rottura e rigidezze simili.

Dalle considerazioni fatte e da una ulteriore analisi delle carote testate, è


possibile inquadrare ed attribuire un peso alle variabili in gioco, in termini di
resistenza del collegamento. Nel paragrafo seguente, i risultati della ricerca
vengono tradotti in un utile strumento di valutazione del collegamento tra gli
strati di un pacchetto stradale in costruzione.

4.2.3 Il “BTN”: uno strumento per un buon collegamento


Uno degli scopi del progetto dell’Università di Nottingham è stato quello di
suggerire un valido strumento di valutazione qualitativa e quantitativa del
collegamento fin dal momento della costruzione della pavimentazione. A tale
fine è stato sviluppato un metodo che consente all’ingegnere di prevedere quale
sarà il collegamento tra gli strati del pacchetto stradale all’inizio del suo
servizio, semplicemente osservando e valutando le operazioni di costruzione
della sovrastruttura. A tale strumento è stato dato il nome di “Bond Table
Number”. Esso indurrà i contraenti, i costruttori ed i tecnici a prestare maggiore

194
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

attenzione alla realizzazione delle interfacce della pavimentazione in


costruzione. In questo modo la qualità del collegamento potrà essere controllata
fin dall’inizio e, qualora risultasse necessario, testata per mezzo del Leutner
prelevando alcune carote. Nel caso in cui la sovrastruttura presentasse problemi
di distacco nei primi tempi di esercizio, le cause potranno agevolmente essere
identificate tramite i dati raccolti ed i contenziosi tra i contraenti ed i costruttori
potrebbero essere più facilmente risolti. Lo strumento prevede: l’analisi puntuale
estensiva delle caratteristiche e condizioni della superficie di posa che accoglierà
il nuovo strato, il controllo e monitoraggio delle operazioni di applicazione
dell’emulsione bituminosa per mano d’attacco, la caratterizzazione del bitume
residuo dall’emulsione ed il controllo e monitoraggio della stesa del nuovo
strato e della sua compattazione. La pavimentazione in costruzione viene
percorsa longitudinalmente e suddivisa in tratte di lunghezza, comunque, non
superiore ai 30 metri. Le dimensioni della tratta sottoposta a valutazione sono
abbastanza soggettive e possono variare a seconda delle condizioni di visibilità,
della larghezza della fascia di stesa della vibrofinitrice o della presenza di
riferimenti fissi, quali ad esempio un ponte od un rilevato. Si può anche pensare
di definire le dimensioni minime e massime della tratta a seconda
dell’importanza della sovrastruttura in esame. Per ciascuna tratta l’ingegnere
dovrà calcolare un singolo “BTN” che ne esprima le condizioni medie di
collegamento al termine dei lavori. Il “Bond Table Number” è un numero
calcolabile per mezzo di una semplice tabella nella quale compaiono tutti i
parametri che si ritiene influenzino la futura resistenza fin dalla fase di
costruzione (figura 4.7). Attribuendo un punteggio a ciascun parametro ed
eseguendo la somma algebrica degli addendi richiesti, si ottiene il numero che
stima il collegamento ed, eventualmente, prevede il comportamento di un
Leutner test. I punteggi sono in pratica già forniti nella tabella e dal loro valore,
si può comprendere il peso dato a ciascuna variabile. In essa compaiono quattro

195
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

sezioni principali per le quali attribuire i punteggi. Esse sono denominate come
segue:
• SEZIONE A: Interlocking (ingranamento) all’interfaccia;
• SEZIONE B: Adesione all’Interfaccia;
• SEZIONE C: Condizioni della pavimentazione;
• SEZIONE D: Compattazione strato superiore.
La prima sezione quantifica l’interlocking che si può sviluppare tra i due strati
all’interfaccia. Col termine interlocking si intende, come già visto, la resistenza
al taglio che si crea tra le superfici di contatto di due strati adiacenti, stesi in
tempi diversi, per effetto del loro reciproco immorsamento dovuto alle
caratteristiche delle miscele componenti ed alla loro compattazione. Un metodo
efficace di valutazione dell’interlocking può essere mutuato dalle misure di
aderenza. La prova denominata Altezza di Sabbia(mm) viene generalmente
utilizzata per quantificare la macrorugosità superficiale del piano viabile. Essa
fornisce anche una valutazione della capacità che la superficie dello strato
inferiore ha di ricevere la miscela di quello superiore caldo e creare con essa
immorsamento. Allo stesso modo l’Altezza di Sabbia dello strato superiore, pur
se fatta sulla superficie finale e non su quella di interfaccia, consente di valutare
come il materiale dello stesso strato sia in grado di inserirsi all’interno dei vuoti
della superficie di stesa fredda. L’utilizzo della prova di Altezza di Sabbia verrà
ampiamente descritto nel capitolo successivo.
Nella Sezione A per ognuno dei due strati, compaiono quattro diversi punteggi a
seconda dei millimetri di Altezza di Sabbia. Un punteggio alto viene attribuito al
parametro che è a favore del collegamento. Il caso migliore di ingranamento è
quello che prevede uno strato inferiore molto rugoso (HS>1.5mm) ed uno strato
superiore ricco di fini che penetrino facilmente negli interstizi, sotto l’azione del
rullo compattatore (HS<0.5mm). Sommando algebricamente i punteggi si ricava
il Totale di Sezione A.

196
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

UoN BOND TABLE NUMBER:


SEZIONE A INTERLOCKING ALL'INTERFACCIA

HS STRATO INFERIORE >1.5 mm 1.5 to 1.0 mm 1.0 to 0.5 mm <0.5 mm

a. punti num num num num

HS STRATO SUPERIORE >1.5 mm 1.5 to 1.0 mm 1.0 to 0.5 mm <0.5 mm

b. punti num num num num

TOTALE SEZIONE A num

SEZIONE B ADESIONE ALL'INTERFACCIA

CONTAMINAZIONE TRATTA
SUPERFICIE CONTAMINATA < 25% tra 25% e 50% tra 50% e 75% > 75%

c. punti num num num num

TIPO di CONTAMINAZIONE argillosa sabbiosa oleosa spessore >1mm

d. punti num num intervento intervento

STATO della CONTAMINAZIONE asciutto umida molto umida

e. punti num num num

2 2
BITUME RESIDUO (g/m )2
> 200 g/m 200 to 100 g/m < 100 g/m2

f. punti num num num


PURO HARD PURO SOFT FLUSSATO (cut-
TIPO DI BITUME MODIFICATO
(50/70) (170/200) back)
g. punti num num num num

TOTALE SEZIONE B num

SEZIONE C CONDIZIONI DELLA PAVIMENTAZIONE


TEMP. SUPERFICIE DI STESA ALTA MEDIA BASSA

h. punti num num num

TRATTA IN PENDENZA (i>tot%) si no

i. coefficiente coeff. coeff.


TOTALE SEZIONE C num

SEZIONE D COMPATTAZIONE STRATO SUPERIORE carota


PERCENTUALE DENSITA' DI
ALTA MEDIA BASSA
PROGETTO
l. punti num num num
TOTALE SEZIONE D num

TOTALE BTN num TRATTA num

Figura 4.7: Tabella ber il calcolo del BTN di una sezione.

La Sezione B riporta le caratteristiche dell’interfaccia in termini di adesione. In


particolare, essa considera i materiali che si possono avere all’interfaccia diversi
da quelli componenti gli strati. Il bitume dell’emulsione è uno di essi e viene
steso proprio per aumentare il collegamento adesivo tra i due strati adiacenti. Al
film di bitume sono dedicate alcune sottosezioni, tra le quali il peso maggiore,

197
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

viene dato al quantitativo di bitume residuo per metro quadrato di superficie di


stesa. Le norme non forniscono un valore preciso, ma nella pratica comune,
utilizzando i volumi di emulsione richiesti, si dovrebbero ottenere almeno 200
g/m2. Come descritto precedentemente, molto spesso, la superficie di stesa si
presenta contaminata da materiali diversi dal bitume residuo e nocivi per
l’adesione. Materiali terrosi di vario genere sono inevitabilmente trasportati dai
mezzi d’opera sulla pavimentazione in costruzione e spesso poco considerati.
Una rapida pulizia, talvolta, non è sufficiente per rimuovere completamente lo
sporco, specialmente se bagnato; si è visto che l’umidità intrappolata
all’interfaccia riduce significativamente l’adesione, anche in presenza di mano
d’attacco. Anche il tipo di contaminazione è molto importante: un velo di sabbia
asciutta è sicuramente meno dannoso per la resistenza del collegamento di una
striscia di argilla bagnata o di una larga chiazza oleosa lasciata da un mezzo di
cantiere. La sottosezione denominata Contaminazione Tratta quantifica questi
aspetti attribuendo loro punteggi negativi, aventi un notevole peso sulla somma
Totale della Sezione B. La descrizione della Contaminazione richiede la stima
da parte dell’ingegnere di:
• percentuale di area di tratta contaminata;
• tipo di contaminazione;
• stato della contaminazione.
La Sezione C, relativa alle Condizioni della Pavimentazione, considera la
temperatura e la pendenza della superficie di stesa attribuendo punteggi negativi
quando la pavimentazione è fredda ed in forte pendenza. Si è osservato infatti,
come l’effetto della temperatura riduca il collegamento, sia per un ridotto
ingranamento dovuto ad una minore capacità dello strato inferiore freddo di
ricevere quello superiore, sia per l’allungamento dei tempi di rottura
dell’emulsione, anche se adatta.

198
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

La Sezione D, infine, si riferisce alla compattazione dello strato steso. Il


processo di stesa e compattazione del conglomerato bituminoso è molto
articolato e dipende da svariati fattori: temperature, tipo di vibrofinitrice,
velocità di stesa, tipo di rullo, modalità e numero di passaggi, spessore dello
strato, sono solo alcuni di essi. Generalmente, il controllo della compattazione
viene eseguito alcuni giorni dopo la fine della rullatura su carote prelevate in
sito. Le tecniche di valutazione della compattazione sono diverse. I capitolati dei
vari enti richiedono questa o quella tecnica a seconda dei casi. Il principio di
base è quello di fissare un parametro di addensamento di riferimento, molto
spesso la percentuale di vuoti, sulla base di un mix-design di laboratorio
accettato, da confrontare con i valori ottenuti da una carota prelevata in sito. Il
valore ottenuto in sito non si potrà discostare più di una certa percentuale per
poter dichiarare la compattazione accettabile.
I campi della Sezione D riportano appunto, la percentuale del valore di progetto
ottenuta in sito al fine di stabilire se la compattazione sia stata sufficiente o
meno. In realtà, è noto che spesso, i valori richiesti dalle specifiche, non
vengono soddisfatti e l’impresa esecutrice dei lavori è soggetta a sanzioni. Per
tale motivo si ammettono valori di compattazione inferiori a quelli richiesti,
attribuendovi in tabella un punteggio negativo. Un’importante considerazione
riguarda il numero di carote necessarie per la valutazione della compattazione in
sito da utilizzare nel calcolo del “BTN” di tratta. Esso dipende dalle dimensioni
geometriche della strada (larghezza carreggiata, larghezza corsia, etc), nonché
dall’importanza della stessa. Attualmente il prelievo di carote per test di
laboratorio è abbastanza incontrollato e talvolta viene richiesto soltanto il
carotaggio di un campione relativo ad una giornata di lavoro. Per rendere il
campione significativo, si ritiene che esso debba appartenere ad una sezione di
lavoro, intendendo per sezione, quella porzione di pavimentazione nella quale
non si sono avuti cambiamenti nelle operazioni di stesa. Una carota non può

199
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

essere rappresentativa di due sezioni stese in giorni differenti (temperature e


materiali leggermente diversi) o con squadre di lavoro differenti. Ecco che
almeno una carota ogni 100÷200 metri è necessaria. In questo modo, un solo
campione per la prova di compattazione potrà essere rappresentativo ed
utilizzato per un certo numero di “BTN” calcolati su tratte successive. Se, infine,
le carote prelevate sono di 150mm, si può anche pensare di avvalorare il “BTN”
ottenuto per quella tratta specifica, tramite un Leutner test.
La calibrazione della procedura di valutazione proposta necessità di un certo
numero di applicazioni a casi reali che confermino altresì la validità dei
parametri che la compongono.

4.2.4 Le specifiche proposte


Nel 1994 H.Codjia (Universität Karlsruhe, TH) [21] propose i valori limite
riportati in tabella 4.4 identificando nello Sforzo di Taglio(KN) e nello
Spostamento(mm) ottenibili con il Leutner test, i parametri significativi e di
riferimento per la resistenza del collegamento tra gli strati dei più comuni
pacchetti stradali tedeschi. I valori proposti fanno riferimento a test svolti su
carote prelevate da pavimentazioni ripristinate, ovvero nelle quali era stato
eseguito un ricarico superficiale di materiale di usura dopo la stesa di una
opportuna mano d’attacco. Non essendo menzionato il traffico, si presume che i
test siano stati condotti su carote del tipo “nuovo su vecchio” prelevate
immediatamente dopo la stesa. Lo studio Svizzero realizzato all’EMPA (Swiss
Federal Laboratories) investiga, con l’ausilio dell’apparecchiatura Leutner
modificata, denominata LPDS (Layer-Parallel Direct Shear), la resistenza al
taglio tra asfalti freschi. I risultati forniscono un’idea dei reali livelli di
resistenza del collegamento ottenibili in una pavimentazione nuova e dopo
almeno tre anni di servizio, in Svizzera. Un valore minimo di 23 KN viene
fissato per il Carico(KN) come base di definizione delle specifiche svizzere.

200
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Invece di limiti per lo spostamento, viene richiesta una rigidezza di inter-layer


minima di 12 KN/mm. In tabella 4.5 sono riportati i valori minimi di
Carico(KN) e Spostamento(mm) recentemente suggeriti da U.Stöckert [61]. Essi
si basano su una ampia serie di Leutner test eseguiti su carote provenienti da
tipiche pavimentazioni tedesche. Le carote sono state prelevate dalle medesime
pavimentazioni all’inizio del servizio e dopo un anno. In alcuni casi si è
registrato un aumento anche del 30% dei valori di resistenza.

strato di usura su strato di strato di collegamento su strato di usura su strato di


H.Codjia, 1994
collegamento (ADS/ABS) strato di base (ABS/ATS) base (ADS/ATS)
Sforzo di Taglio 15.00 kN 10.00 kN 13.00 kN

Spostamento 1.5 mm 1.0 mm 1.5 mm

Tabella 4.4: Limiti per Leutner test forniti da Codjia.

strato di usura su strato di strato di collegamento su strato di base su strato di


Stöckert, 2001
collegamento (ADS/ABS) strato di base (ABS/ATS) base (ATS/ATS)

Sforzo di Taglio 25.00 kN 20.00 kN 16.00 kN

Spostamento 2.0 mmto 4.00 mm 1.5 mmto 3.00 mm 1.0 mmto 3.00 mm

Tabella 4.5: Limiti per Leutner test forniti da Stockert.

Questo breve quadro introduttivo è utile per sottolineare come nei paesi di
lingua tedesca, il problema del collegamento tra gli strati (Schichtenverbund) sia
oggetto di studio già da diversi anni, e di come le normative dei vari paesi si
stiano opportunamente orientando in tal senso. Un grande slancio allo studio
della problematica è stato sicuramente portato dal lavoro di ricerca svolto dallo
stesso Prof. R.Leutner e dal semplice ed efficace test da lui ideato. Al contrario,
come sottolineato nel capitolo precedente, né le normative d’oltremanica, né
quelle italiane contemplano, ad oggi, un test specifico per la determinazione del
collegamento tra gli strati della pavimentazione durante la sua vita utile, né

201
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

tantomeno, è richiesto un test di valutazione della Qualità di esecuzione ed


ispezione dell’opera dopo la costruzione e nemmeno uno strumento di supporto
alle decisioni di manutenzione.
I test condotti all’Università di Nottingham consentono anche di avanzare una
prima proposta di limitazione per i valori minimi di resistenza riscontrabili nella
pavimentazione esaminata. Il numero di test svolti e le combinazioni di materiali
impiegate, conferiscono a tali limiti validità generale nella gamma di scenari
possibili e rappresentano un’ottima base di partenza per futuri studi specifici. La
tabella 4.6 riporta i valori minimi suggeriti per il Carico(KN) e lo
Spostamento(mm) di picco per Leutner test eseguiti su carote prelevate da
pavimentazioni di diversa importanza ed in tempi diversi.

stratodi usurasustratodi stratodi collegamentosu stratodi usura sustratodi


collegamento stratodi base base
Sforzodi Taglio 20.00 kN 12.00kN 18.00 kN
NUOVA
Spostamento 2.0mmto4.00 mm 1.5mmto2.5 mm 2.0 mmto4.00 mm
stratodi usurasustratodi stratodi collegamentosu stratodi usura sustratodi
collegamento stratodi base base

dopo1 ANNO Sforzodi Taglio 25.00 kN 17.00kN 23.00 kN


di TRAFFICO
Spostamento 2.5mmto4.00 mm 1.5mmto2.5 mm 2.5 mmto4.00 mm

Tabella 4.6: Limiti per Leutner test proposti al UoN.

Prima di descrivere i valori proposti è bene ricordare che, il progetto inglese ha


visto anche la realizzazione di una pavimentazione in scala reale denominata
Pavement Test Facility (PTF). Questo raro dispositivo di laboratorio ha
consentito di riprodurre fedelmente una tipica pavimentazione inglese, a partire
dal sottofondo e di sottoporla all’azione del traffico simulata per mezzo di un
pneumatico stradale mobile, caricato idraulicamente in modo da ottenere una
pressione di contatto di 600KPa. Due fasce di pavimentazione sono state
sottoposte a 10'000 passaggi ciascuna alla temperatura di 30°C. Carote da testare

202
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

con il Leutner sono state prelevate prima e dopo il trafficking. Sulla base di
quanto osservato da U.Stöckert e sulla base di quanto verificato a Nottingham,
gli effetti del traffico comportano, in generale, un aumento della resistenza del
collegamento per via dell’effetto compattante dei carichi. Su 40 carote prelevate
dalla PTF e testate, si sono riscontrati aumenti sia per i valori di
Spostamento(mm), sia per quelli di Carico(KN). Il grafico di figura 4.8 riporta
per semplicità soltanto i risultati medi ottenuti per il Carico(KN).
45.00

Carico di Taglio (kN) NEW TRAFFIC


40.00

differenza MIN: 6.55 kN


35.00
differenza MED: 9.81 kN
differenza MAX: 20.02 kN

30.00

25.00

20.00

15.00

10.00

5.00

0.00
talcum pwdr talcum pwdr excess tack coat excess tack coat clay slurry clay slurry normal tack coat normal tack coat
20 mm 40 mm 20mm 40mm 20 mm 40 mm 20 mm 40 mm
NEW 0.00 7.56 20.07 20.37 1.81 10.51 15.08 18.60
TRAFFIC 12.06 14.50 28.02 38.24 20.88 17.59 21.63 38.62

Figura 4.8: Confronto tra Leutner test eseguiti su carote prelevate da PTF.

Le carote prelevate appartenevano a porzioni di pavimentazione (spessori SMA


si usura pari a 20mm o 40 mm) aventi 4 differenti trattamenti di interfaccia:
polvere di talco per ridurre il collegamento, eccesso di emulsione, slurry
argilloso per un collegamento parziale e normal-emulsione per ottenere le
condizioni di miglior collegamento. Analogamente a quanto descritto dai
ricercatori tedeschi, l’aumento di resistenza è stato proporzionalmente più
spiccato per le porzioni trattate ad emulsione, mentre dove lo slurry od il talco
riducevano il collegamento, è stato inferiore.

203
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Anzitutto, è necessario sottolineare come i limiti forniti siano soltanto un primo


stadio di una più dettagliata ed ampia proposta di specifica. Essi sono anche
indipendenti dalla configurazione del pacchetto stradale, quali che siano gli
spessori ed i materiali impiegati, al fine di garantire comunque le condizioni
minime di fruibilità e sicurezza dell’infrastruttura. Come prima classificazione si
è pensato di distinguere tra pavimentazioni nuove e trafficate. I termini sono
tuttora volutamente generici, ma lasciano comprendere quale sia lo spettro dei
casi possibili. Una pavimentazione può essere classificata come nuova quando
l’ultimo strato steso non è stato ancora aperto al traffico: in pratica alla consegna
del cantiere. I casi sono numerosi: si va dal pacchetto stradale fresco di
un’infrastruttura nuova, al ripristino di un semplice manto d’usura previa
fresatura del vecchio conglomerato bituminoso. Si può pensare che sia più
probabile ottenere un migliore collegamento in una pavimentazione nuova dove,
ad esempio, i bitumi dei conglomerati non sono ossidati, piuttosto che in un
rifacimento, dove la superficie fresata si presenta spesso contaminata e richiede
pulizia ed un’opportuna mano d’attacco. Nonostante questa differenza, si ritiene
utile richiedere una certa resistenza per una pavimentazione che debba essere
ancora aperta al traffico. I limiti proposti costituiscono altresì la base per una
valutazione di Qualità della costruzione. Parlare di pavimentazione trafficata
appare ancora più generico, in quanto si introduce la variabile traffico. Essa è
direttamente legata alla vita della strada. Nell’arco di un anno, ad esempio, una
pavimentazione è soggetta al passaggio di un certo numero di Assi Standard e ad
un certo clima: è noto come il binomio caldo-traffico sia assai temuto. Il traffico
significa anche fatica della struttura con fenomeni di ormaiamento e di
fessurazione, complici delle rotture assieme alla mancanza di collegamento tra
gli strati. In che modo ed in che misura questi eventi lo siano è un problema
tuttora aperto, di notevole complessità ed importanza. I valori proposti per la
resistenza del collegamento nelle pavimentazioni trafficate sono maggiori di

204
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

quelli per pavimentazioni nuove sia perché, come descritto, l’effetto della sola
compattazione dovuta al traffico ne comporta un aumento, sia perché nel caso in
cui la pavimentazione sia affetta da ormaiamento e fessurazioni notevoli, le
risorse di resistenza della struttura restano in gran parte affidate al collegamento.
Un aumento di 5 KN rispetto al caso di pavimentazione nuova è parso
sufficiente. Il periodo di vita dopo il quale si possono richiedere i valori di
resistenza più alti è stato indicativamente fissato in un anno, anche alla luce
degli studi tedeschi, ma sarà opportuno ridefinirlo in futuro sulla base del
numero di Assi Standard transitanti e del quadro climatico cui è soggetta la
pavimentazione in esame. La stessa tabella 4.6 riporta nelle colonne la
distinzione dell’interfaccia testata. La prime due colonne si riferiscono
all’interfaccia più superficiale ed a quella ad essa sottostante, appartenenti ad un
pacchetto stradale che presenta lo strato di binder. La terza colonna si riferisce
all’interfaccia più superficiale di una pavimentazione dove lo strato di binder è
assente. Le differenze sono chiaramente dovute ai diversi livelli tensionali cui le
interfacce sono soggette ed ai valori di resistenza effettivamente raggiungibili
nelle stesse.
Per quanto riguarda il campionamento della pavimentazione da testare, lo
schema di carotaggio può essere definito sulla base dell’importanza della strada,
facendo riferimento alle dimensioni geometriche della sovrastruttura ed al
traffico che essa deve sopportare. Generalmente si preleva un campione
costituito da due o tre carote ravvicinate, alternativamente sull’ormaia esterna, al
centro della corsia e sull’ormaia interna ad intervalli di lunghezza variabile caso
per caso: in genere dai 50 ai 100 metri a seconda della larghezza della
carreggiata. Un importante accorgimento è quello di marcare la superficie della
carota identificando la direzione di percorrenza al fine di posizionare
correttamente la carota entro il dispositivo di prova. Le semi-carote testate col

205
Capitolo 4: La sperimentazione inglese.

Leutner possono eventualmente, anche essere utilizzate per test di densità dei
conglomerati.

4.3 CONCLUSIONI

L’importanza del collegamento tra gli strati che compongono la pavimentazione


stradale è sottolineata dai numerosi studi di ricerca in corso e dalla necessità di
porre delle regole specifiche per la realizzazione delle interfacce del pacchetto
stradale stesso. A differenza dell’ormaiamento e della fessurazione, il distacco
tra gli strati non si manifesta per stadi successivi facilmente identificabili in
superficie e per ciò, in passato, non ha ricevuto le dovute attenzioni, ma non per
questo è meno importante nell’azione di degradazione della pavimentazione. Il
progetto di ricerca all’NCPE dell’Università di Nottingham ha gettato le basi per
la redazione di specifiche costruttive relative alla resistenza del collegamento tra
gli strati dei pacchetti stradali inglesi e non, identificando i fattori che più
influenzano il cosiddetto bonding. Una discreta gamma di scenari costruttivi e
l’impiego dei materiali più comunemente usati nel Regno Unito, hanno
consentito di caratterizzare il collegamento per mezzo del Leutner Shear Test e
di suggerire valori sufficienti di resistenza da adottarsi nelle specifiche. Il
principio di funzionamento del Leutner test è risultato essere valido e ne viene
proposto l’utilizzo come metodo di valutazione del collegamento durante la vita
della pavimentazione. Il “Bond Table Number”, infine, è un nuovo e semplice
strumento ideato per incentivare la realizzazione di pavimentazioni più
performanti. Semplici valutazioni in fase di costruzione consentono ai tecnici di
prevedere l’entità del collegamento tra gli strati e di controllarne la Qualità.

206
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

CAPITOLO 5

LA SPERIMENTAZIONE ITALIANA: PARTE I

5.1 LA SPERIMENTAZIONE

5.1.1 Introduzione
In seguito all’esito positivo dell’esperienza di ricerca inglese, si è ritenuto
indispensabile, ai fini della redazione del presente lavoro, condurre anche in
Italia una sperimentazione che investigasse le proprietà del collegamento tra gli
strati della pavimentazione stradale per mezzo del Leutner Shear Test. Le
ragioni sono essenzialmente legate alla necessità di affiancare allo studio del
comportamento dei materiali inglesi, quello dei conglomerati bituminosi e delle
mani d’attacco italiane. A differenza della sperimentazione inglese, per la quale
il confezionamento dei campioni da sottoporre a prova è stato eseguito
completamente in laboratorio, nella sperimentazione italiana di seguito descritta,
si è preferito optare per provini estratti da pavimentazioni di stesa reali. In tale
modo, si è potuto anche tracciare un quadro ragionevolmente rappresentativo
delle reali condizioni di collegamento esistenti tra gli strati bituminosi di alcune
pavimentazioni dell’interland bolognese e, più in generale, di quelle ottenibili
mediamente nella pratica comune degli interventi manutentivi ordinari.

La sperimentazione oggetto del presente capitolo è stata resa possibile dal


supporto tecnico ed economico offerto, a scopo di ricerca, dalla Valli-Zabban
S.p.A., società fiorentina tra le maggiori fornitrici di prodotti bituminosi, con
diverse sedi in Italia, di cui una nell’area industriale di Bologna. La stessa
società ha concesso al Dipartimento DISTART-Strade della Facoltà di
Ingegneria dell’Università degli Studi di Bologna, sia l’utilizzo in comodato

207
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

gratuito dell’apparecchiatura di prova Leutner appositamente acquistata per la


sperimentazione, sia l’appoggio tecnico del proprio Laboratorio Prove LaBO.
Allo stesso tempo, grazie ai contatti intercorsi con i tecnici del settore Viabilità
della Provincia di Bologna, è stato possibile assistere ai fini della presente
ricerca, ad alcuni interventi di manutenzione ordinaria realizzati sulle
sovrastrutture di loro competenza, nel periodo compreso tra il giugno 2003 e
l’ottobre 2003. Dai siti sperimentali adottati e da altri compresi nel territorio dei
comuni di Bologna e di Crespellano, si sono prelevati, in seguito alle operazioni
di stesa, i campioni di pavimentazione da sottoporre alle prove di laboratorio.
Come verrà descritto dettagliatamente nel capitolo quinto, i siti adottati sono
stati in totale sette e, per ciascuno di essi, si sono eseguite le operazioni di
cantiere e di laboratorio riportate nei paragrafi successivi. Nella maggior parte
dei casi, le mani d’attacco impiegate sono state fornite dalla Valli-Zabban S.p.A.
aventi quindi caratteristiche tecniche note, nei casi restanti le emulsioni sono
comunque state compiutamente caratterizzate in laboratorio.

5.1.2 Scopo della sperimentazione


Lo scopo della ricerca italiana realizzata è stato quello di investigare e
caratterizzare sperimentalmente l’entità del collegamento esistente
all’interfaccia tra gli strati in conglomerato bituminoso delle pavimentazioni
stradali in presenza di mano d’attacco bituminosa. In sostanza, si è voluta
studiare l’efficacia delle mani d’attacco in emulsione bituminosa nel compito di
conferire resistenza meccanica al collegamento di cui sopra, prefiggendosi di:
ƒ determinare il criterio col quale scegliere il prodotto bituminoso specifico
per uno specifico intervento;
ƒ valutare, oggettivamente, il quantitativo ottimale di legante da impiegare
per quello specifico intervento, prescindendo da fini economici.

208
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Per fare ciò, si è optato per realizzare lo studio sfruttando interventi di


manutenzione reali nel territorio bolognese, ossia lavorazioni di cantiere reali,
materiali bituminosi reali, condizioni di posa reali e tempistiche di cantiere reali.
Se da un lato, la veridicità delle stese attribuisce una importante attendibilità ai
risultati di laboratorio, dall’altro introduce contemporaneamente tutte le
aleatorietà non controllabili in sito, rendendo talvolta assai ardua
l’interpretazione dei risultati ottenuti. Si è tuttavia cercato di limitare le variabili
in gioco riducendo il numero dei casi applicativi in esame. In particolare, la
tabella 5.1 riassume quelle che originariamente dovevano essere le variabili in
gioco e conseguentemente gli scenari di posa che si sarebbero dovuti studiare.
Al momento della redazione della presente tesi, non tutte le combinazioni
ottenibili sono state investigate, soprattutto per le difficoltà organizzative
incontrate nel predisporle.

Tipo di piano di posa Tipo di emulsione Quantitativi

Binder nuovo di bitume normale 50/70 nessuno


Usura vecchia di bitume modificato quantitativo A
Superficie fresata di bitume normale 180/200 quantitativo B

Tabella 5.1: variabili in gioco nella sperimentazione bolognese.

Prima di passare alla descrizione delle prove di caratterizzazione eseguite in sito


e di quelle eseguite in laboratorio, è opportuno fornire una breve spiegazione in
merito ai termini presenti in Tabella 5.1.
Tipo di piano di posa: nella stragrande maggioranza dei casi gli interventi di
costruzione stradale sono di tipo manutentivo. In pratica, non si tratta di
realizzare un pacchetto stradale ex novo, ma soltanto di ripristinare le condizioni
di funzionalità di quello esistente. Ecco che, a seconda delle condizioni di
degrado della pavimentazione, delle disponibilità economiche e, quindi, del

209
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

piano manutentivo programmato si può, in genere, presentare una delle tre


superfici di posa proposte: binder nuovo, usura vecchia o superficie fresata. Nel
primo caso, l’intervento di ricostruzione prevede la bonifica tramite asportazione
di un certo spessore di pavimentazione esistente ed il conseguente ripristino
tramite un adeguato ricarico di conglomerato bituminoso per strato di
collegamento fino a raggiungere la quota di posa dello strato superficiale. Il
piano di posa è in tale modo costituito dalla superficie dello strato di
collegamento, realizzata con conglomerato bituminoso fresco e pertanto con una
determinata configurazione tessiturale di superficie. Nel secondo caso
l’intervento detto di “risagomatura” prevede la posa del nuovo conglomerato
direttamente sul piano viabile esistente. Questo fatto si vedrà essere assai
rilevante nella caratterizzazione del collegamento tra gli strati bituminosi. La
superficie che accoglie il nuovo strato infatti, ha subito l’azione del traffico e del
tempo e perciò si presenta lesionata, irregolare, contaminata (anche post-
spazzatura), esfoliata dal bitume che originariamente ricopriva gli inerti
superficiali. Molto spesso poi, essa è il risultato di lavorazioni particolari di
irruvidimento come i trattamenti superficiali ed i microtappeti a freddo che,
soprattutto se mal eseguite, possono condurre a scadimenti delle condizioni di
collegamento alla nuova interfaccia. Il terzo caso è quello per il quale dopo
l’asportazione con fresa di un certo spessore di pacchetto stradale, si
ricostituisce il piano viabile posando direttamente il conglomerato di usura sulla
superficie irregolare di fresatura.
Il tipo di emulsione è più che altro un parametro legato alla scelta tecnica del
progettista e, purtroppo, spesso non viene tenuto in adeguata considerazione,
non esistendo, secondo quanto visto nel capitolo terzo, sufficienti indicazioni e
regole su come sceglierlo. In realtà, a mancare è la cultura della progettazione
mirata della mano d’attacco della quale si tratterà nel capitolo conclusivo. Le
emulsioni per mano d’attacco in commercio sono prodotte tradizionalmente con

210
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

bitumi morbidi e con alte percentuali di acqua. Alcuni produttori tuttavia,


ritengono più fruttuoso commercializzare emulsioni bituminose per mano
d’attacco prodotte con bitume a penetrazione intermedia e con medi quantitativi
d’acqua od anche con bitumi modificati di qualità. Nella sperimentazione
presentata pertanto, si farà uso soprattutto di emulsioni ottenute con bitume a
media penetrazione (50/70) e di emulsioni modificate; soltanto due dei siti
adottati hanno previsto l’impiego di emulsioni a bitume morbido.
Per quanto riguarda i quantitativi di mano d’attacco stesi si è distinto tra sezioni
di pavimentazioni prive di mano d’attacco e sezioni con determinati quantitativi
di bitume residuo anidro rilevato per metro quadrato. Se originariamente
l’intenzione era quella di controllare con esattezza i quantitativi di legante posati
ad ogni sezione, in seguito ci si è resi conto della impossibilità di farlo. I motivi
sono sostanzialmente legati alla eterogeneità dei mezzi di cantiere per la
spruzzatura delle emulsioni e del personale addetto. Molti mezzi non sono dotati
di controllo automatico del dosaggio in cabina e pertanto i quantitativi
effettivamente spruzzati non possono essere calibrati, se non giocando sulla
sensibilità dell’operatore. Ecco che l’unico controllo eseguibile è stato quello di
verifica del quantitativo reale di bitume residuo steso tramite un semplice test di
cantiere descritto in seguito.

5.2 LE PROVE ESEGUITE IN SITO

Come già accennato nel paragrafo precedente, per ciascuno dei sette siti presi in
considerazione si è resa necessaria, al fine di caratterizzare le condizioni di
collegamento tra gli strati riscontrate in laboratorio, una serie di misurazioni e
rilievi in sito, da effettuarsi antecedentemente alla posa del conglomerato
bituminoso di usura e subito dopo la sua compattazione. Di seguito se ne
fornisce una breve descrizione giustificandone l’effettuazione.

211
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

5.2.1 Rilievo del piano di posa


Individuato il tratto di strada interessato dai lavori, sulla base delle effettive
tempistiche di cantiere, è stato necessario stabilire, prima dell’inizio delle
operazioni di stesa, la lunghezza delle sezioni di pavimentazione secondo cui
suddividere il tratto oggetto di studio. A seconda del tipo di piano di posa, del
tipo di emulsione impiegata e della rapidità con la quale eseguire i rilievi si sono
suddivisi due o più tratti di lunghezza variabile tra i 50 ed i 200 metri e
larghezza equivalente a quella assunta dal banco di stesa della vibrofinitrice. Per
ciascuna sezione si è presa nota, oltre che delle sue dimensioni approssimative,
di tutte le singolarità dislocate superficialmente. Nel caso di piano di posa
costituito da usura vecchia, si sono identificate tutte le posizioni in cui la
superficie presentasse anomalie quali fessurazioni, buche, avvallamenti o
semplicemente giunti, tombini e quant’altro. Lo stesso è avvenuto nel caso di
superficie di posa fresata. Nel caso di posa su binder nuovo, pur verificando
l’integrità della superficie bituminosa, sono state annotate comunque le riprese
di stesa, le variazioni effettive di conglomerato e la posizione dei giunti
complanari.
Completata la fase di rilievo visivo, coadiuvata dal tracciamento tramite vernice
spray di riferimenti utili ad identificare in seguito le singolarità suddette, si è
passati alla fase di prova, rilevando in punti prestabiliti, la macrorugosità
superficiale del piano di posa. Nel caso di superficie fresata, tale operazione non
è ovviamente stata eseguita.

5.2.2 Rilievo della macrorugosità superficiale tramite prova HS


Il motivo per cui si sono eseguiti rilievi di macrorugosità superficiale del piano
di posa è molto semplice. Nel secondo capitolo si sono visti i fattori che
contribuiscono alla definizione della resistenza meccanica del collegamento di
interfaccia tra due conglomerati bituminosi qualsiasi. Il primo fattore ad essere

212
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

preso in considerazione è stato l’ingranamento reciproco tra le miscele


bituminose a contatto. Si è visto come questo ingranamento dia un contributo
notevole alla resistenza del collegamento, soprattutto se le configurazioni di
contatto tra gli aggregati appartenenti ai due strati adiacenti sono molte e
disposte in modo tale da ostacolare lo spostamento indotto dalle azioni esterne.
Purtroppo però, si è detto anche che le condizioni di ingranamento ottenibili
all’interfaccia tra due strati bituminosi di nuova costruzione difficilmente
raggiungeranno l’entità di quelle individuabili nel volume degli strati costituenti.
Il motivo è legato essenzialmente al fatto che l’interfaccia è una discontinuità
costruttiva che prevede prima la posa e compattazione dello strato inferiore, poi
quella dello strato superiore. In tale modo, il piano di posa ottenuto dall’azione
della superficie piana del rullo offrirà una minor disposizione all’ingranamento
reciproco che non se il conglomerato fosse posato senza essere rasato e
compattato. Nel caso di una superficie trafficata come quella di una usura
vecchia, le possibilità di ingranamento possono essere sia ridotte, sia aumentate.
Si riducono quando l’azione dei pneumatici dei mezzi transitanti leviga il piano
viabile rendendolo sempre più uniforme e quando la presenza di detriti e residui
non asportabili occlude le macrorugosità ancora esistenti. Sono aumentate
quando l’azione dei pneumatici determina una asportazione delle parti più fini
superficiali e scopre le porzioni affioranti degli inerti che resistono all’abrasione.
A questo punto è automaticamente chiara la necessità di misurare quanto la
macrorugosità della superficie del piano di posa sia tale da favorire
l’ingranamento reciproco tra gli strati accogliendo nei propri meati gli inerti
caldi e ricoperti di bitume del nuovo conglomerato bituminoso.

La prova più rapida e semplice per quantificare la macrorugosità superficiale è


senz’altro la misura dell’Altezza di Sabbia (HS) condotta secondo quanto
riportato nel Bollettino Ufficiale n°94 del CNR. Essa nasce come prova per la

213
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

caratterizzazione dell’aderenza superficiale di una pavimentazione stradale, ma


in questa sede viene, come visto, sfruttata per altri fini. Brevemente, essa
consiste nel distribuire un certo volume di sabbia avente caratteristiche
normalizzate sulla superficie in esame, tramite un apposito tampone in gomma,
fino a ricoprire l’area circolare per la quale la sabbia è penetrata all’interno dei
meati superficiali ed il tampone tocca la sommità degli inerti.

Figura 5.1: Esecuzione della prova di Altezza di Sabbia. – DISTART- LaSeG

Successivamente occorre misurare su più punti il diametro medio del cerchio


ottenuto e rapportarlo al volume di sabbia versato in modo da ottenere la misura
indiretta della profondità media dei meati che definiscono la macrorugosità della
superficie in esame. La figura 5.1 mostra l’esecuzione della prova. Il risultato
della prova, costituito da un certo numero di misurazioni consecutive, viene
restituito in millimetri e rappresenta la cosiddetta Altezza di Sabbia (HS). Valori
tipici della prova sono: 0.1-0.3 mm per una scarsa macrorugosità, 0.6-0.8 mm
per una macrorugosità media, 1.2-1.4 mm ed oltre per una macrorugosità molto
buona.
Sulla base del fatto che l’ingranamento nasce sostanzialmente dalla inclusione di
inerti del conglomerato bituminoso soprastante all’interno dei vuoti di quello
sottostante è opportuno conoscere, oltre alla disponibilità che la superficie di

214
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

posa ha nell’accoglierli, anche la effettiva possibilità che ciò avvenga.


Solitamente le dimensioni massime degli inerti dello strato più superficiale sono
inferiori a quelle di quello sottostante e ciò può fare supporre che la tessitura di
posa consenta facilmente l’inclusione di aggregati dallo strato superiore. Per tale
motivo l’operazione di misura della Altezza di Sabbia viene ripetuta in sito
anche sulla superficie del nuovo tappeto d’usura steso. Se in apparenza ciò può
sembrare inutile ai fini dello studio dell’ingranamento all’interfaccia, in realtà
non lo è. In effetti, ripetere la prova sulla superficie finita del conglomerato
bituminoso appena raffreddatosi, può dare una idea della possibilità che la
miscela del conglomerato bituminoso superficiale ha di insinuarsi nei meati del
piano di posa. Se l’altezza di sabbia dell’usura è bassa significa che molti sono i
materiali fini ed elevata è la dose di bitume. Per questo motivo si può pensare
che questa miscela, sotto l’azione del rullo compattatore, si comporti sul piano
di posa in maniera “duttile”, andando a permeare più facilmente la superficie
dello strato sottostante; al contrario un’usura con HS elevata e quindi con tutta
probabilità confezionata con elementi litici prevalentemente grossolani, troverà
difficoltà nel farlo.
In realtà, la stima delle possibilità di ingranamento tra i due strati bituminosi
all’interfaccia tramite la misura di due Altezze di Sabbia così come appena
descritto, è abbastanza approssimativa. In effetti, alla misura di Altezza di
Sabbia, occorrerebbe affiancare anche la curva granulometrica delle miscele. In
un caso, si sono infatti riscontrati valori di HS simili per due piani di posa
completamente diversi dal punto di vista della tessitura e della curva
granulometrica. Basti pensare che, uno stesso valore di HS, può risultare ad
esempio, sia da una usura 0/12 poco assortita e con poco bitume, sia da un
binder 0/20 ricco di riempitivo e di bitume. Quale sarebbe l’ingranamento
ottenibile nei due casi sovrapponendovi una usura fine tipo 0/8? La risposta è
difficile, ma si può supporre che, nel primo caso si possa creare effettivamente

215
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

ingranamento e che questo sia distribuito in maniera uniforme sulla superficie di


posa essendo le dimensioni degli inerti paragonabili; nel secondo caso si può
immaginare che sussistano piccoli punti di inclusione, ma che questi siano
localizzati e che la maggior parte dell’interfaccia sia caratterizzata da inerti della
miscela 0/8 appoggiati sulle facce di grandi inerti da 15/20 mm. Risulterebbe
pertanto plausibile attendersi una maggiore resistenza del collegamento nel
primo caso, supposto che quella dei conglomerati di strato sia superiore.
Infine, una importante osservazione. Il fatto che vi sia una effettiva
compenetrazione tra le due miscele, non significa necessariamente che vi sia
anche una accresciuta resistenza meccanica del collegamento. Come visto nel
capitolo secondo, un buon ingranamento può essere sfruttato soltanto se i
conglomerati dei due strati a contatto hanno sufficienti risorse di resistenza per
sostenerlo durante l’applicazione degli sforzi tangenziali e ad esempio, dare
luogo al fenomeno della dilatanza nel caso in cui l’ingranamento sia tra inerti di
dimensioni paragonabili. Un semplice esempio può chiarire il discorso. Se come
detto sopra una miscela di usura è in grado, per via della propria finezza, di
inserirsi all’interno dei vuoti della superficie di posa, si verifica un notevole
ingranamento. Tuttavia tale ingranamento non è caratterizzato da contatti tra
inerti di dimensioni simili, ma dall’inclusione di un mastice di bitume ed inerti
più o meno fini dello strato superiore, negli spazi tra gli inerti di quello inferiore.
Per un aggregato grossolano dello strato sottostante vi sono molti contatti con
aggregati fini dello strato soprastante; si tratta sempre di ingranamento, ma la
resistenza del collegamento in un caso simile difficilmente potrà raggiungere
quella dovuta alla creazione di contatti aggregato-aggregato simili a quello di
figura 2.8, dove a rispondere all’azione tagliante è la resistenza del minerale e
non le proprietà leganti del mastice di bitume.
Per la sperimentazione eseguita, alla luce delle miscele bituminose impiegate, si
può comunque ritenere abbastanza significativo il confronto tra le Altezza di

216
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Sabbia del piano di posa e della superficie di usura per valutarne la possibilità di
ingranamento. Per cui se una superficie di posa restituisce un HS di 1.3 mm e
l’usura un HS pari a 0.3 mm, si può pensare che in seguito alla corretta
compattazione si crei ingranamento.

5.2.3 Misura del quantitativo di mano d’attacco steso


Per ciascuna delle sezioni nelle quali è stato suddiviso il tratto di
pavimentazione su cui intervenire, si è prevista la posa di un certo quantitativo
di mano d’attacco in emulsione bituminosa, corrispondente in definitiva, ad un
certo numero di grammi di bitume residuo anidro lasciati su ogni metro quadrato
di superficie di posa. In pratica, in seguito alla passaggio della barra spruzzatrice
autocarrata ed all’avvenuta rottura dell’emulsione, sul piano di posa resterà un
certo quantitativo di bitume, cosiddetto appunto residuo, che fungerà da mano
d’attacco. Come misurare tale quantitativo? In Italia, oltre a non esistere una
verifica standardizzata dell’effettivo quantitativo di bitume residuo steso, non vi
è alcuna pratica comune di cantiere per farlo.
Un semplice ed efficace espediente di cantiere per misurare i gr/m2 di bitume
residuo effettivamente presenti sul piano di stesa è rappresentato dal cosiddetto
“Test dei Vassoi”. Mutuato dalle prove di calibratura delle macchine
spruzzatrici automatizzate e dai “Test di Deposito” per i quantitativi di
granigliature nei trattamenti superficiali, il “Test dei Vassoi” è di facile
esecuzione e può consentire anche di valutare l’uniformità trasversale di
spruzzatura. Il test consiste semplicemente nel disporre un certo numero di
vassoi metallici, o comunque di materiale non assorbente, sulla superficie della
sezione di pavimentazione interessata dalla spruzzatura. La posizione dei vassoi
e la distanza tra due vassoi consecutivi è legata alla precisione colla quale si
vuole restituire la misura del quantitativo di bitume residuo steso, in funzione
dello spazio percorso dal mezzo. In genere, sia per non intralciare troppo le

217
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

operazioni di stesa, sia per non creare troppi punti non trattati, si dispongono i
vassoi ad una distanza compresa tra i 3 ed i 5 metri. Nel caso di disposizione
affiancata, al fine di rilevare l’uniformità di stesa trasversale, è opportuno
considerare lo scartamento delle ruote del mezzo per non condizionarne il
passaggio durante la spruzzatura. La figura 5.2 rappresenta a sinistra un esempio
di vassoio impiegato nella presente sperimentazione ed a destra la disposizione
in cantiere di un certo numero di vassoi prima del passaggio della barra
spruzzatrice.

Figura 5.2: Vassoio per la misura del bitume residuo e disposizione in sito.

Una operazione fondamentale ai fini della corretta restituzione dei risultati è


senz’altro la calibrazione del set di vassoi impiegato nella prova. Per poter
determinare con precisione il peso di bitume residuo che ricopre il vassoio è
infatti, necessario conoscere la tara dello stesso, ottenuta, dopo una accurata
pulizia, per mezzo di una bilancia di precisione. Il peso al grammo viene
riportato per comodità sulla faccia del vassoio a contatto con il piano viabile.
Non appena tutti i vassoi di sezione sono posizionati la barra spruzzatrice può
avanzare alla velocità prestabilita e bagnare la superficie di posa con
l’emulsione. Ovviamente, per avere una misura effettiva dei quantitativi
spruzzati è opportuno posizionare i vassoi ad una certa distanza dall’inizio della

218
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

stesa in modo che il mezzo vi transiti sopra in condizioni di regime di


spruzzatura. In figura 5.3 sono riportate due fotografie scattate in seguito al
passaggio del mezzo spandi-emulsione. A sinistra è possibile scorgere il mezzo
al termine della stesa ed in primo piano i vassoi per il test. A destra è ben
visibile un vassoio ricoperto di emulsione bituminosa in via di rottura.

Figura 5.3: Test dei Vassoi: superficie di stesa bagnata di emulsione e vassoi.

Successivamente al passaggio del mezzo è possibile rimuovere i vassoi


operando con molta cautela. In primo luogo, occorre prestare attenzione a non
asportare troppa emulsione camminandovi sopra, in secondo luogo è molto
importante evitare che parte dell’emulsione caduta sul vassoio, non venga persa
durante la rimozione. Le migliori condizioni vorrebbero l’attesa della rottura
della mano d’attacco prima della rimozione dei vassoi, tuttavia, per facilitare le
operazioni di cantiere è possibile rimuoverli in anticipo sfruttando il
contenimento offerto dai bordi rialzati dei vassoi stessi. In condizioni
meteorologiche non favorevoli o nel caso di emulsioni lente, la rottura della
mano d’attacco può richiedere diversi minuti, per tale motivo è opportuno
individuare un’area in prossimità della stesa nella quale posizionare i vassoi
rimossi in fase di rottura. La figura 5.4 riporta due fotografie scattate durante la

219
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

rimozione dei vassoi. A sinistra la rimozione di alcuni vassoi, a destra il punto di


superficie di posa in cui era posizionato un vassoio. A rigore tali punti
dovrebbero essere ritrattati con emulsione bituminosa stesa a mano.

Figura 5.4: Test dei Vassoi: rimozione dei vassoi.

L’operazione seguente le rimozione dei vassoi è la misurazione del quantitativo


di bitume residuo anidro che li ricopre. Per fare questo si ricorre nuovamente
alla bilancia di precisione. Occorre tuttavia avere la certezza della completa
rottura della mano d’attacco. In certi casi dunque, è necessario porre i vassoi in
forno ad una temperatura adeguata per fare avvenire la rottura senza intaccare il
bitume. Nei casi più favorevoli, le condizioni climatiche possono consentire la
completa rottura in sito e l’impiego di una bilancia portatile, può eliminare la
fase di trasporto dei vassoi stessi.
Infine, sulla base della tara e della superficie del vassoio è possibile, tramite una
semplice proporzione, ricondursi al valore del quantitativo di bitume residuo
anidro effettivamente steso su di un metro quadrato di pavimentazione
esprimendolo in gr/m2. A titolo di esempio, la stesa fotografata in figura 5.4,
realizzata con una emulsione modificata al 70%, ha fornito valori di bitume
residuo anidro compresi tra i 400 ed i 500 gr/m2: un notevole quantitativo di
mano d’attacco. Riportando in veste grafica i valori dei quantitativi di bitume

220
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

residuo stesi in corrispondenza di un determinato vassoio è possibile tracciare


una curva che rappresenta la variabilità di stesa sulla sezione trattata. Il grafico
di figura 5.5 ne è un esempio.

800
2
bitume residuo gr/m

Sezione 5 – Sito di Crespellano


700

600
536.0
521.3
500
493.3
482.7 498.7
477.3
437.3 444.0
400

300

200

100

vassoio n°
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Figura 5.5: Test dei Vassoi: grafico relativo al bitume residuo steso.

5.2.4 Prelievo dei campioni


In seguito alla rottura dell’emulsione della mano d’attacco i mezzi d’opera
possono procedere alla stesa dello strato di conglomerato bituminoso
superficiale. La stesa viene eseguita con una normale vibrofinitrice e
successivamente compattata con rullo tandem statico o vibrante.
Come visto in precedenza, al termine delle operazioni di posa, è possibile
effettuare la misura della macrorugosità della superficie dello strato steso con la
prova dell’Altezza di Sabbia.

221
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Il passo successivo è il prelievo dei campioni di pavimentazione de sottoporre


alle prove di laboratorio. I campioni necessari per i test debbono, in primo
luogo, essere rappresentativi delle condizioni reali medie della pavimentazione
su cui si è intervenuto. A tale fine, sulla base delle informazioni registrate circa
la presenza di singolarità od anomalie che potrebbero compromettere la buona
risuscita dei test, si predispone un campagna di carotaggio da effettuarsi al più
presto dopo l’apertura al traffico veicolare. Per ciascuna sezione del tratto in
esame, interessata da un certo quantitativo di mano d’attacco, occorre prelevare
un campione di almeno tre carote ravvicinate, in modo che la prova sia
effettivamente rappresentativa. Allo stesso tempo, come si vedrà nel capitolo
successivo, è necessario prelevare campioni anche nei brevi tratti privi di mano
d’attacco creati appositamente come condizione di controllo.
I punti in cui eseguire i carotaggi dovranno come detto, non interessare zone di
pavimentazione ammalorata o con singolarità ed, allo stesso tempo, dovranno
essere scelti sulla base dei quantitativi di bitume residuo riscontrati. Ecco che,
sarà preferibile concentrare i prelievi in punti compresi tra due vassoi
consecutivi che presentino lo stesso valore di bitume residuo anidro, così da
testare provini simili.
Infine, la tecnica di carotaggio, eseguita con tradizionale carotiere raffreddato ad
acqua del diametro interno di circa 150 mm, deve essere particolarmente curata.
L’ortogonalità dell’asse del carotiere rispetto al piano superficiale deve essere
valutata con precisione al fine di ottenere provini con spessori omogenei. Allo
stesso tempo, l’avanzamento dell’utensile deve essere effettuato lentamente in
modo tale da incidere in minor misura possibile sulle effettive condizioni di
collegamento all’interfaccia tra i due strati più superficiali. Per poter asportare la
carota è necessario raggiungere lo strato non legato, per tale motivo in alcuni
casi si possono avere in mano cilindri multistrato in conglomerato bituminoso di
altezza superiore ai 30 cm. Ciascun provino dovrà essere asciugato e marcato ed

222
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

il foro corrispondente nella pavimentazione, dovrà essere attentamente richiuso


con conglomerato bituminoso a caldo o a freddo. La figura 5.6 mostra una delle
carote estratte.

Figura 5.6: Esempio di carota doppio strato da 150 mm.

La figura 5.7 rappresenta uno schema riportato nel quaderno di cantiere, nel
quale sono annotate tutte le informazioni utili per una delle sezioni esaminate; in
particolare è visibile la posizione dei vassoi, quella dei rilievi di macrorugosità
ed i punti nei quali sono state prelevate le carote per i test.

Figura 5.7: Esempio di schema grafico di cantiere.

223
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

In questo particolare sito, anziché creare una apposita sezione priva di mano
d’attacco, si sono sfruttati i punti privi di legante lasciati dai vassoi, all’interno
dei quali effettuare i carotaggi di controllo.

5.3 LE PROVE ESEGUITE IN LABORATORIO

5.3.1 Il Leutner Shear Test


Come descritto nel capitolo terzo, la metodologia di prova distruttiva adottata
per la realizzazione della presente sperimentazione è una tipica prova di taglio
diretto su provini cilindrici doppio strato: il Leutner Shear Test. Le motivazioni
che hanno condotto alla scelta di tale test sono diverse. In primo luogo, il
Leutner Test era gia stato impiegato con successo nella sperimentazione
condotta presso il Nottingham Centre for Pavement Engineering dell’Università
di Nottingham ed in altri importanti progetti di ricerca. In secondo luogo, esso è
un macchinario relativamente costoso ed poco ingombrante e può essere
azionato da una tradizionale pressa Marshall e trasportato agevolmente. Inoltre,
la preparazione dei provini è praticamente nulla e l’esecuzione della prova è
assai semplice e rapida. Infine, il Leutner costituisce la prova di riferimento per
la valutazione del collegamento tra gli strati sia in Germania, sia in Svizzera
essendo, nel primo caso citato nelle istruzioni di contratto per le prove sui
materiali bituminosi (2312-1999: Asphalt Prüfung-ALP A-Stb Teil 4), nel
secondo caso richiamato come test nella norme per la costruzione delle
pavimentazioni bituminose stradali svizzere (SN 617961).
Tra i punti negativi attribuibili a Leutner il primo è certamente la variabilità dei
risultati a parità di condizioni, legata soprattutto alle difficoltà di
posizionamento dei provini all’interno dello strumento. Il secondo neo è la
scarsa corrispondenza con le reali condizioni di carico su strada: il provino viene

224
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

caricato sulla superficie laterale e non su quella corrispondente al piano viabile,


ma, soprattutto, non vi è la riproduzione né dei carichi normali agenti in
concomitanza coi carichi taglianti, né dell’effetto di confinamento dato dal
pacchetto stradale di origine ed inoltre, le velocità di somministrazione del
carico non sono rappresentative delle dinamicità effettive. Infine, la particolare
vicinanza dei semi-anelli metallici che definisce il piano di taglio comporta una
notevole concentrazione degli sforzi in corrispondenza degli aggregati di bordo
all’interfaccia che si ripercuote sulla bontà del test, sotto forma di non
uniformità delle tensioni tangenziali sulla superficie di taglio e sotto forma di
“effetto di assestamento” iniziale per molte delle curve di rottura registrate. Per
quest’ultimo motivo, il numero di provini necessari per avere un campione
rappresentativo, è in genere, elevato.
Al termine di questo paragrafo si tratterà delle possibili modifiche apportabili
all’apparecchiatura al fine di ridurne i lati negativi e migliorarne l’affidabilità: in
particolare, si prenderà in esame la possibilità di applicare un carico esterno
normale al piano di taglio, misurando contemporaneamente gli spostamenti nella
stessa direzione ed ancora, la possibilità di distanziare i semi-anelli di carico dal
piano di taglio lasciando una porzione dei due strati a contatto non confinata.
Il “Leutner Shear Test” venne messo a punto alla fine degli anni '70 dal
Professore tedesco Rolf Leutner dell’Institut für Straßenwesen della “Tecnische
Universität Braunschweig” di Darmstadt [1979] che già allora, si occupava della
caratterizzazione delle proprietà di resistenza del collegamento tra gli strati
bituminosi del pacchetto stradale; all’Eurasphalt&Eurobitume Congress del
1996 a Strassburgo, lo stesso Leutner, a propostito del test da lui ideato scrive:
“…it makes a significant contribution to quality assurance in road contruction
and increases the conclusion of latent defect clauses “.
Di seguito si fornisce una descrizione dell’apparecchiatura e della procedura di
prova standardizzata.

225
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Il dispositivo schematizzato in figura 5.8, è essenzialmente composto da due


semi-anelli metallici (3) disposti in modo sfalsato l’uno rispetto all’altro, di cui
quello superiore mobile e quello inferiore fisso.

Vista frontale Vista laterale

Vista dall’alto

Figura 5.8: Schema tecnico del dispositivo Leutner.

Il semi-anello è superiore è solidale ad un supporto metallico a forma di U


rovesciata (1) in grado di traslare verticalmente lungo due guide cilindriche (2)
vincolate alla struttura inferiore del sistema, cui è collegato tramite viti il semi-
anello inferiore. Nella vista laterale di figura 5.8 è possibile notare come lo
sfalsamento dei due semi-anelli generi un piano di taglio perfettamente definito:
il gioco tra le due parti è di appena qualche decimo di millimetro. In posizione di
riposo, la porzione superiore del meccanismo viene mantenuta a distanza da
quella inferiore tramite due molle di contrasto inserite nelle guide cilindriche. Il
provino multi-strato cilindrico deve essere inserito con l’asse orizzontale
all’interno del dispositivo, fino a far coincidere il piano di interfaccia con quello
di taglio. Il vincolamento della carota avviene tramite una vite di serraggio

226
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

posteriore (4) colla quale un apposito semi-anello di contrasto viene abbassato


fino a bloccare la parte posteriore della carota. Questa, nel caso di provini di
altezza elevata, sarà adagiata sui supporti metallici (5) regolabili per non creare
momenti non desiderati. La figura 5.9 mostra a sinistra il dispositivo collocato al
di sotto del pistone di azionamento ed a destra un particolare dei due semi-anelli
di taglio.

Figura 5.9: Dispositivo Leutner e particolare dei semi-anelli.

Il Leutner necessita, per essere azionato, di una pressa funzionante a controllo di


velocità in grado di imprimere alla parte mobile superiore (1) uno spostamento
di 50.1 millimetri al minuto verso il basso; essendo tale velocità identica a quella
di una classica prova Marshall, ne consegue che, una qualsiasi pressa Marshall,
può azionare il Leutner. Il pistone della pressa non insiste direttamente sul
dispositivo, ma ai fini di ovviare alle possibili eccentricità degli assi, tra i due
contrasti si frappone una sfera od una semi-sfera in acciaio in grado di
riallineare il carico. Dalle fotografie di figura 5.9 è ben visibile come i due semi-
anelli metallici di taglio siano resi solidali ai supporti tramite viti a barilotto: la

227
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

praticità di tale assemblaggio è legata alla possibilità di sostituire i semi-anelli


all’occorrenza in funzione del diametro delle carote da sottoporre a prova. Si è
già accennato a ciò nel capitolo terzo, ricordando che gli utensili di carotaggio in
commercio, possono estrarre provini cilindrici di diametri non sempre
coincidenti coi 150 mm standardizzati.
Tutta l’apparecchiatura può essere alloggiata per comodità all’interno di una
cella climatica colla quale termostatare i campioni e condurre prove a
temperature diverse da quelle standardizzate.
La procedura di prova, infatti, prevede che l’esecuzione del test avvenga su
provini sottoposti a termostatazione secca alla temperatura di 20±1°C per
almeno 12 ore. Nel caso in cui non si ricorra all’impiego di una cella climatica,
la procedura vuole che tra l’operazione di estrazione della carota dall’ambiente
climatizzato e la fine del test non trascorrano più di 10 minuti, ciò allo scopo di
evitare condizionamenti termici che potrebbero falsare la prova.
Prima di inserire e bloccare la carota di prova nel Leutner, è raccomandabile
eseguire l’operazione di individuazione della superficie di interfaccia tra gli
strati, marcando con un lapis la circonferenza corrispondente sulla superficie
esterna della carota. Tale operazione, apparentemente semplice, può in alcuni
casi dimostrarsi impegnativa ed è fondamentale per un corretto posizionamento
del provino nel dispositivo. Dopo aver contrassegnato l’interfaccia e siglato gli
strati, è possibile adagiare la carota orizzontalmente nel Leutner, avendo
particolare cura nel fare combaciare il piano di taglio con la circonferenza
appena marcata. Solitamente tale operazione deve tener conto anche dalla
direzione di compattazione del conglomerato bituminoso in sito, cui è riferita
una freccia opportunamente tracciata sulla superficie superiore dello strato,
prima delle operazioni di carotaggio. Un controllo richiesto dalle istruzioni di
prova richiede che il piano di interfaccia sia il più possibile ortogonale all’asse
longitudinale della carota: è ammessa una deviazione massima di 5 mm. Molti

228
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

test non hanno successo proprio per il fatto che le carote non sono state prelevate
correttamente o perché, anche nel caso in cui lo siano, le pendenze trasversali
del conglomerato più superficiale sono tali da compromettere l’ortogonalità di
cui sopra. La conseguenza di un non corretto posizionamento del provino entro
il dispositivo di taglio, comporta l’applicazione dell’azione tagliante nel volume
di uno dei due strati bituminosi a contatto e non in corrispondenza
dell’interfaccia tra essi e la inutilità dei dati registrati. Più avanti si vedrà come
questo problema potrebbe essere ovviato modificando la forma dei semi-anelli
di carico. Una volta posizionata la carota e vincolatala tramite la vite di
serraggio posteriore, è possibile portare il semi-anello superiore di taglio a
contatto con lo strato anteriore del provino somministrando un leggero pre-
carico: in genere non più di 0.05 KN. A questo punto il test può avere inizio ed
il pistone della pressa può avanzare alla velocità prestabilita fino a portare a
rottura il provino. Un particolare accorgimento di sicurezza prevede di imporre
l’arresto del pistone quando tra i due supporti metallici dei semi-anelli, si
raggiunge una distanza inferiore ai 2 mm. In tale modo si evita che essi possano
venire pericolosamente a contatto.

50 mm/min.

150
mm

Figura 5.10: Leutner test prima e dopo l’esecuzione della prova.

229
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

La figura 5.10 mostra due fotografie scattate prima e dopo l’esecuzione di un


Leutner test. In quella di destra è visibile in primo piano, la porzione anteriore di
carota staccatasi dal resto del provino sotto l’azione tagliante del semi-anello
superiore. Al termine della prova è possibile azzerare il carico ed estrarre la
parte posteriore della carota nella quale possono essere presenti altre interfacce
già marcate da sottoporre a prova.
Durante l’esecuzione del test, la resistenza del collegamento all’interfaccia tra
gli strati viene registrata misurando, ad una frequenza prestabilita, il valore dello
sforzo applicato dal pistone ed il corrispondente spostamento subito. Per fare
questo, è necessario che la pressa di carico sia almeno dotata di una cella della
capacità massima di 100 KN con relativo dinamometro e di un comparatore di
spostamento verticale al centesimo di millimetro. La figura 5.11 riporta
l’andamento di una tipica curva di rottura ottenibile da un Leutner test eseguito
correttamente alla temperatura di 20°C.

50.0
Sforzo di Taglio (kN)

45.0 20 °C

40.0

35.0

30.0

25.0

20.0

15.0

10.0

5.0 Spostamento (mm)


0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Figura 5.11: tipico andamento di una curva di rottura da Leutner test.

230
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Nel capitolo successivo verranno presi in esame gli andamenti di tutte le prove
Leutner eseguite nei sette siti adottati ai fini della sperimentazione. In
particolare, per ciascun sito si trarranno conclusioni legate alle specifiche
condizioni delle interfacce sottoposte a prova ed al termine della serie si
confronteranno tra loro i risultati complessivi.
A conclusione di questo paragrafo si intende fornire alcune indicazioni utili
circa le possibili modifiche da applicarsi al dispositivo Leutner, al fine di
renderlo più rappresentativo delle reali condizioni in sito e più affidabile, oltre
che fonte di più informazioni di misura.
La prima indicazione nasce dalla carente rappresentatività che la configurazione
di prova originaria ha nei confronti delle effettive condizioni di carico stradali.
In prima istanza, è ipotizzabile l’applicazione di un carico orizzontale normale al
piano dell’interfaccia sottoposta a taglio. In sostanza, si tratta di vincolare la
carota alla traslazione orizzontale applicandovi posteriormente un contrasto e
somministrare sulla superficie dello strato anteriore, uno sforzo normale che
simuli le reali condizioni di carico in sito. Così facendo, è noto da altri studi, che
i valori di carico tagliante aumentano con l’aumentare dello sforzo normale
applicato e la caratterizzazione del collegamento tra gli strati può essere
realizzata tramite utili inviluppi di rottura sul piano (τ-σ). Allo stesso tempo è
plausibile anche la restituzione della misura della dilatanza, ovvero dello
spostamento in direzione normale al piano di interfaccia, della porzione
anteriore della carota durante l’evento di taglio. Tale importante indicazione può
essere molto utile per la caratterizzazione delle proprietà di ingranamento dei
conglomerati a contatto fino a rottura ed a rottura avvenuta, in condizioni di
contatto residue.
La seconda indicazione si riferisce alla concentrazione tensionale che si verifica
sulla superficie esterna del provino in corrispondenza del piano di taglio, ed alla
conseguente disuniformità che si produce sulla superficie di interfaccia. Tale

231
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

distribuzione delle tensioni è dovuta alla posizione reciproca ravvicinata dei due
semi-anelli di carico. Essa comporta come visto, la formazione di un piano di
taglio molto definito, che obbliga l’operatore ad una elevata precisione di
posizionamento e talvolta, vanifica comunque la prova, per la presenza sul
bordo di aggregati grossolani frapposti al piano di taglio, che arrivano a rottura.
Si è riscontrato mediamente che la rottura di un inerte determina un aumento di
carico pari a circa 5 KN. Se da un lato l’applicazione del taglio perfettamente in
corrispondenza dell’interfaccia appare teoricamente più corretta, dall’altro non
gioca certamente a favore della funzionalità del sistema. Nel caso di strati a
contatto confezionati con miscele di aggregati grossolani ed aventi un notevole
ingranamento reciproco, sarebbe alquanto difficile, se non impossibile,
individuare perfettamente l’interfaccia e posizionarla correttamente. Lo stesso
dicasi nel caso delle superfici di posa fresate, nelle quali la presenza di
ondulazioni dovute alle punte della fresa e la necessità di orientare il provino per
testarlo nella direzione di fresatura, comporterebbero notevoli difficoltà di
posizionamento onde evitare fratture localizzate degli strati. Ecco che, come per
altri sistemi di prova a taglio diretto quali Direct Shear Box, Shear Box e
ASTRA le scatole di taglio realizzano tra loro un gap di circa 5 mm a cavallo
dell’interfaccia in esame, così per il Leutner sarebbe pensabile la separazione
orizzontale dei semi-anelli di taglio a costituire un intercapedine analoga dove
l’interfaccia non sia confinata.
In una interessante analisi numerica condotta presso il Nottingham Centre for
Pavement Engineering (NCPE) tramite il codice di calcolo agli elementi finiti
ANSYS, sono stati messi a confronto due modelli che simulassero il
comportamento tenso-deformativo di un provino doppio strato sottoposto a
Leutner test; un primo modello rappresenta il dispositivo così come prodotto
all’origine, nel secondo i semi-anelli di taglio sono stati modificati e tra di essi è
stata imposta una distanza di 5 mm a rivelare una piccola porzione dei

232
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

conglomerati bituminosi afferenti all’interfaccia. La mesh dei modelli è stata


realizzata con appositi elementi tetraedrici in grado di ben adattarsi alla forma
irregolare delle parti. La figura 5.12 mostra i due modelli implementati.

Figura 5.11: Modelli numerici di Leutner test realizzati con ANSYS.

233
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Da una analisi degli andamenti di tensioni e deformazioni in corrispondenza del


diametro verticale di interfaccia è possibile comprendere come, seppur analoghi,
i due modelli forniscano risultati assai differenti. Le figure 5.12, 5.13 e 5.14
mostrano l’andamento tenso-deformativo in funzione della distanza dal semi-
anello superiore sul piano di interfaccia nei due diversi modelli.

Comparison of Standard/Modified
2.0

1.0

0.0
0 0.03 0.06 0.09 0.12 0.15
Stress (MPa)

-1.0

-2.0

-3.0
Std - normal stress
Std - shear stress
-4.0
Mod - normal stress
Mod - shear stress
-5.0

Diameter (m)

Comparison of Standard/Modified
0.2

0.2

0.1

0.1
Strain (%)

0.0
0 0.03 0.06 0.09 0.12 0.15
-0.1

-0.1 Std - normal strain


Std - shear strain
-0.2
Mod - normal strain
Mod - shear strain
-0.2

Diameter (m)

Figura 5.12: Andamento di tensioni e deformazioni sul diametro verticale di interfaccia.

234
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Figura 5.13: Andamento delle tensioni tangenziali sulla superficie di interfaccia.

235
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Figura 5.14: Andamento delle tensioni normali sulla superficie di interfaccia.

236
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

Nella parte superiore della figura 5.12 è ben evidente come gli andamenti delle
tensioni tangenziali all’interfaccia, sul diametro verticale parallelo alla direzione
di taglio, abbiano un comportamento assai differente per i due modelli. La linea
verde è quella relativa alle tensioni nel modello di origine; come detto, queste
sono concentrate sul bordo esterno del provino e raggiungono i 3 MPa in
corrispondenza del semi-anello di carico superiore. Nel modello con semi-anelli
distanziati invece, la linea rossa non presenta anomale concentrazioni tensionali
ai bordi e si mantiene pressoché costantemente al di sotto dell’unità. Analogo è
l’andamento delle deformazioni nella parte inferiore della figura. Quanto
osservato è visibile anche su tutta la superficie di interfaccia, nelle restituzioni di
figura 5.13. In particolare, le tensioni tangenziali nel modello modificato, oltre
ad essere più che dimezzate rispetto a quelle del modello originario, sono più
distribuite sul contorno della carota e non danno luogo a notevoli ed indesiderate
concentrazioni locali.
Infine, è utile osservare anche quello che accade alle tensioni normali al piano di
interfaccia. In effetti, essendo i punti di carico fisicamente non allineati, si può
generare un momento sulla superficie di taglio, che tende a ribaltare la porzione
anteriore del provino verso l’esterno, ossia l’interno del foglio. Dalle figure 5.12
e 5.14 si evince come, nel modello standard, le tensioni di trazione al bordo
superiore siano maggiori di quelle del modello modificato che, in quel punto, è
invece sottoposto a compressione. Inoltre, l’area di compressione in azzurro
chiaro è più estesa per il modello modificato, il ché gioca a favore della stabilità
del test.
In conclusione, l’analisi numerica condotta sottolinea come, intervenire sul
dispositivo aumentando la distanza tra i semi-anelli di carico, possa sortire
effetti positivi sulla distribuzione tenso-deformativa della superficie di
interfaccia. In particolare, si può ottenere una riduzione delle tensioni ai bordi
della carota ed una loro maggiore uniformità sul piano di taglio. Questo fatto

237
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

può condurre all’esecuzione di test con curve di rottura prive di “effetti di


assestamento” iniziali, dovuti alle deformazioni locali dei conglomerati
sottoposti alle scomode concentrazioni tensionali viste. Inoltre, non essendo
l’interfaccia confinata, il posizionamento del provino risulterebbe certamente
facilitato e si ridurrebbero i problemi di rottura di aggregati al bordo,
diminuendo il numero dei test da eliminare.

5.3.2 Prove sul conglomerato di usura


Al fine di caratterizzare ulteriormente i risultati ottenuti dalle prove di taglio
diretto eseguite con il dispositivo Leutner, si sono rese necessarie alcune analisi
di laboratorio sui conglomerati bituminosi che costituiscono i campioni
prelevati.
Come si vedrà in seguito, le operazioni di carotaggio sono state, in alcuni casi,
ritardate rispetto alla data di apertura al traffico veicolare della strada interessata
dai lavori. Soltanto in un paio di siti è stato possibile prelevare i campioni nei
giorni immediatamente seguenti la posa. Come noto, l’azione del traffico svolge
una ulteriore azione di compattazione sui conglomerati, da aggiungersi a quella
dei rulli compattatori. Per eliminare la variabile traffico, si è pensato di misurare
sulle porzioni di conglomerato superficiale ottenute dalla rottura dei provini, la
percentuale dei vuoti residui. In questo modo si possiede un parametro di
confronto tra le entità di compattazione dei vari siti alla luce delle curve
granulometriche e delle percentuali di bitume dei materiali costituenti.
Per fare questo si sono esaminate con cura la porzioni di conglomerato
bituminoso di usura dei provini di ciascun sito, ricavate dal taglio tramite
Leutner; in certi casi la porzione di strato, geometricamente non compromessa,
non ha mostrato rimaneggiamenti particolari e nemmeno l’asportazione di
aggregati all’interfaccia. Ecco che, per queste porzioni di conglomerato è stato

238
Capitolo 5: La sperimentazione italiana: parte I.

possibile determinare, anche tramite il procedimento di estrazione eseguito con


estrattore Soxhlet le seguenti caratteristiche:
ƒ lo spessore medio del conglomerato di usura steso;
ƒ il peso di volume del conglomerato compattato (γ) mediante pesata con
bilancia idrostatica e non;
ƒ la percentuale di bitume sul peso degli aggregati (ba) secondo la norma
B.U. CNR 38;
ƒ la curva granulometrica degli inerti;
ƒ il peso specifico apparente della miscela degli aggregati (γa) secondo la
norma B.U. CNR 63;
ƒ la percentuale dei vuoti residui nel conglomerato compattato (v%)
secondo la norma B.U. CNR 25, ovvero applicando la formulazione:

bc 100 - bc
v % = 100 – γ +
γb γa

dove compaiono:
γ = peso di volume del provino, espresso in gr/cm3,

γb = 1.025 ÷ 1.030 gr/cm3, è il peso specifico del bitume,

γa = densità apparente dei granuli, anch’essa in gr/cm3,

bc = ba / [1 + (ba/100)],

ba = percentuale di bitume sul peso degli aggregati.

239
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

CAPITOLO 6

LA SPERIMENTAZIONE ITALIANA: PARTE II

6.1 INTRODUZIONE

Nel capitolo precedente è stata introdotta la sperimentazione realizzata dal


DISTART – Strade dell’Università di Bologna, in collaborazione con la società
Valli-Zabban S.p.A. ed il settore Viabilità delle Provincia di Bologna. Oltre a
fornire lo scopo prefissosi, sono state descritte brevemente tutte le operazioni di
cantiere e di laboratorio svolte al fine di caratterizzare il collegamento esistente
all’interfaccia tra gli strati bituminosi superficiali di ciascuna delle
pavimentazioni di nuova costruzione investigate. In questo capitolo, si intende
mostrare i risultati complessivi ottenuti.
Come detto, i siti adottati, distribuiti su tutto il territorio bolognese, sono stati
complessivamente sette ed hanno previsto interventi di manutenzione ordinaria
per i quali si è reso necessario ripristinare la funzionalità del piano viabile,
realizzando, in ogni caso, un nuovo manto di usura. Nella scelta dei siti, si è
cercato di inquadrare il maggior numero di combinazioni di posa, tra quelle
ottenibili dalla tabella 5.1. Ad oggi, non è stato tuttavia possibile investigarle
tutte. Nella maggior parte degli interventi seguiti, è stata prevista la cosiddetta
risagomatura stradale, tramite posa diretta del nuovo strato di usura sul piano
viabile esistente ammalorato. In alcuni casi, l’intervento manutentivo si è
mostrato più consistente, richiedendo anche la rimozione di parte del pacchetto
stradale sottostante ed il ripristino delle quote originarie tramite la posa di uno
strato di collegamento e di un nuovo manto di usura. In un solo caso purtroppo,
si sono potute investigare le condizioni di collegamento esistenti all’interfaccia
tra una superficie di posa fresata ed uno strato di usura ex novo.

240
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Un limite delle sperimentazioni in sito è senz’altro quello della variabilità dei


materiali adottati e delle condizioni di posa che si possono incontrare. Basti
pensare alle differenze esistenti tra due superfici di posa di usura ammalorata:
costruite, ad esempio, in tempi diversi, con materiali diversi, in modi diversi ed
interessate da traffici diversi. Vi sono poi differenze tra i nuovi conglomerati
bituminosi posati, non solo in termini di qualità e provenienza della miscela
bituminosa, ma anche di modalità di posa e compattazione: due squadre di stesa
distinte, a parità di mezzi d’opera, lavorano comunque in maniera differente.
Anche all’interno di uno stesso cantiere le condizioni della lavorazione possono
mutare repentinamente, ad esempio una stessa stesa può essere rifornita da due
impianti diversi, magari a diverso funzionamento, per cui si alternano
conglomerati che, seppur ponderalmente simili, hanno caratteristiche litiche
differenti o addirittura temperature alla finitrice differenti.
Per cercare di tener conto delle variabilità suddette si sono adottati i controlli
descritti nel capitolo precedente che, se non altro, consentono di uniformare i
termini di paragone tra i vari siti. Con l’Altezza di Sabbia si è cercato di
confrontare la macrorugosità dei diversi piani di posa e la possibilità di
ingranamento con lo strato bituminoso in via di stesa. Con la prova dei vassoi si
sono verificate le effettive quantità di mano d’attacco stese nelle varie sezioni
sperimentali. Con la percentuale dei vuoti dello strato di usura, si è infine
cercato di descriverne la compattazione, tenendo ovviamente conto delle
caratteristiche proprie della miscela, come la granulometria e la percentuale di
bitume.
Come ricordato in precedenza, uno dei parametri controllati è stato il tipo di
mano d’attacco applicato. I siti sperimentali sono stati infatti opportunamente
scelti anche in funzione del tipo di emulsione bituminosa adottata per le
lavorazioni. In particolare, si sono seguiti cantieri dove fosse prevista la posa di
prodotti Valli-Zabban. Nella maggior parte dei casi le mani d’attacco applicate

241
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

erano costituite da emulsioni di bitume normale confezionate in percentuali


differenti. Un solo sito, suddiviso comunque in sei diverse sezioni, ha visto
l’impiego di una mano d’attacco in emulsione di bitume modificato. In due casi
le emulsioni adottate non erano prodotte da Valli-Zabban e sono per questo state
sottoposte a caratterizzazione anonima di laboratorio.
La tabella 6.1 seguente, riassume schematicamente le informazioni inerenti
ciascuno dei sette siti sperimentali adottati. In particolare, nelle colonne sono
riportate, oltre alle date di stesa e di carotaggio, anche le indicazioni circa il tipo
di superficie di posa incontrato, il tipo di emulsione stesa, il numero di sezioni
nelle quali è stato suddiviso ciascun sito ed il numero di carote prelevate per le
prove di laboratorio.

DISTART
SPERIMENTAZIONE SULLE MANI D'ATTACCO Strade

superficie di posa mano d'attacco


Proprietà
Strada, Data Data USURA BINDER tipo di N° N°
SITO FRESATA
Impresa, Stesa Carote VECCHIA NUOVO emulsione sezioni carote
altre

Prov.BO bit. normale


1 Loiano
Cise
23/07/03 04/09/03 Si No No 2 15
(Idrobit)

Prov.BO bit. normale


2 Loiano C.
Cise
24/07/03 04/09/03 No No Si 3 7
(Idrobit)
Prov.BO
3 Saliceto Squadra 04/06/03 25/07/03 Si No No Altre 3 10
Provincia
Prov.BO
4 Sillaro Squadra 08/07/03 24/07/03 Si No No Altre 3 15
Provincia
Com. BO
bit. normale
5 Stendhal Coop 01/10/03 28/11/03 Si Si No 4 12
Costr. (Idrobit)
Com. BO
bit. normale
6 Pilastro Coop 16/10/03 27/11/03 Si Si No 4 12
Costr. (Idrobit)

Com.CRES bit. modific.


7 Crespellano
Co.Ge.Ca.
22/05/03 28/05/03 Si Si No 6 44
(Helastoval)

Tabella 6.1: Quadro riassuntivo dei siti investigati.

242
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.2 I RISULTATI DELLE PROVE

I risultati ottenuti dalla sperimentazione vengono di seguito presentati


separatamente per ognuno dei siti investigati descrivendo in ogni caso le
specificità presenti. L’ordine tenuto nella descrizione non è temporale, ma segue
la tabella 6.1 sulla base del numero crescente di sezioni adottate.
Per ciascuno dei siti adottati quindi, si forniscono, prima le indicazioni circa la
locazione ed il tipo di intervento effettuato, poi in una unica schematizzazione, i
risultati delle prove di Altezza in Sabbia e dei vassoi condotte in sito e quelli
relativi alle caratteristiche volumetriche della miscela di usura posata. Nelle
medesime figure, è possibile individuare le sezioni secondo cui è stato suddiviso
il tratto in esame e la posizione dei punti di carotaggio riferita a quella dei
vassoi. Parallelamente viene fornita la curva granulometrica del conglomerato,
la percentuale di bitume in peso sugli inerti, così come ottenute dalla estrazione
di laboratorio, e la caratterizzazione della emulsione adottata come mano
d’attacco.
Infine, si riportano le curve ottenute dai test Leutner condotti sui campioni
prelevati nelle varie sezioni previste per ciascun sito. A partire dai punti (Carico
– spostamento) registrati durante i test, è agevole ricondursi al corrispondente
andamento (tensione tangenziale – spostamento) rapportandoli all’area del
provino sottoposto a taglio. Raccogliendo tutte le curve (τ – spostamenti) in
unico grafico, indipendentemente dalle condizioni effettive di interfaccia, si
ottiene un quadro di insieme delle condizioni di collegamento del sito
investigato di fronte al quale è possibile trarre alcune considerazioni. Sulla base
delle esperienze rinvenute in letteratura si è poi ritenuta valida la scelta di
restituire i grafici sul piano (τ – spostamento) esprimendo le variabili
rispettivamente in (MN/m2) e (m).
Per definire una chiave di lettura dei risultati ottenuti che non si limitasse
solamente all’individuazione dei valori di picco delle curve (τ – spostamento) ed

243
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

al loro confronto reciproco, si è fatto ricorso al calcolo di alcuni parametri


geometrici in grado di descrivere gli andamenti delle curve di rottura nel loro
complesso. Tali parametri, come si vedrà, oltre a sintetizzare il comportamento
d’insieme della prova, possono anche essere impiegati per trarre alcune
indicazioni circa le effettive condizioni di resistenza del collegamento in esame,
durante le diverse fasi della sua vita in esercizio.
I parametri adottati sono complessivamente quattro ed identificano
rispettivamente la pendenza iniziale della curva di carico, la pendenza della
secante al picco di rottura, la distanza dall’origine degli assi dello stesso e la
pendenza della curva in seguito alla rottura.
Il primo parametro scelto deriva dalla caratterizzazione delle condizioni di
collegamento di interfaccia espresse tramite il valore del cosiddetto Modulo di
Reazione Orizzontale (K) proposto da Goodman [1] nel 1968 ed in seguito
ripreso da Uzan [3] per la caratterizzazione dei suoi studi. Il Modulo (K), già
visto nel capitolo secondo, rappresenta il coefficiente che lega, secondo la legge
di Goodman, il valore delle tensioni tangenziali (τ) all’interfaccia, con quello dei
corrispondenti spostamenti relativi (Δs) tra gli elementi a contatto. Sulle curve di
rottura ottenute dalle prove di taglio diretto condotte su provini doppio strato di
conglomerato bituminoso, Uzan ha calcolato i valori di (K) in corrispondenza
dello spostamento iniziale (δ) tra gli elementi pari a 0.13 mm. Il motivo di uno
spostamento di calcolo così basso, è legato alla definizione stessa di (K),
essendo esso il legame tra le tensioni tangenziali e gli spostamenti relativi che si
verificano nel modello, a partire dalla condizione iniziale di riposo ovvero, la
condizione che si ha in sito, non appena è stata ultimata la costruzione della
pavimentazione. Ecco che dunque, il parametro (K) così calcolato, mostra quale
possa essere il comportamento resistente del collegamento di interfaccia alla
prima somministrazione di carico tagliante quale ad esempio, quella
rappresentata da un mezzo pesante in fase di frenatura. Nell’analisi dei dati della

244
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

presente sperimentazione si sono restituiti i valori di (Ki) calcolati per uno


spostamento iniziale (δ) di 0.1 mm.
Il secondo parametro adottato corrisponde come detto, alla pendenza della retta
secante la curva (τ – spostamento) in corrispondenza del picco di rottura. In
pratica, il parametro (Ksec) scelto è rappresentato dal rapporto tra il valore di
(τpicco) e quello di (Δspicco). Per identificare compiutamente la posizione del picco
di rottura, si sfrutta anche il valore del modulo (m) del vettore di picco che
individua il massimo della curva a partire dall’origine degli assi. Con
riferimento al significato attribuibile ai parametri (Ksec) ed (m), in relazione alle
condizioni di resistenza del collegamento in esercizio, si può ritenere che essi
esprimano, in un certo qual modo, la risposta che il collegamento tra gli strati
bituminosi offre alle applicazioni ripetute del carico orizzontale di cui sopra,
successive alla prima. In sostanza, tali parametri forniscono una indicazione
circa la capacità più o meno spiccata che il collegamento in esame ha, di
resistere nel tempo ai carichi orizzontali esterni.
Il quarto ed ultimo parametro è identificato nella pendenza che la curva di prova
assume successivamente al picco di rottura. Il valore di (p) è negativo essendo
decrescenti i valori di resistenza al taglio offerti dal collegamento all’interfaccia
in seguito alla rottura nella prova di taglio diretto. Il parametro (p) può essere
pensato come la rappresentazione delle condizioni di resistenza residue del
collegamento in esercizio, una volta che si è verificata la rottura. Esso descrive,
in pratica, la resistenza che il collegamento offre all’applicazione di carichi
esterni orizzontali successivi a quello che ha determinato la rottura
all’interfaccia, ossia, se si vuole, la tendenza al distacco della porzione superiore
di conglomerato bituminoso del pacchetto.
La figura 6.1 rappresenta una tipica curva di rottura ottenuta da una prova di
taglio con Leutner ed espressa in termini di tensioni tangenziali medie
all’interfaccia. Sulla stessa sono stati identificati i quattro parametri geometrici

245
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

teste descritti. Si noti come i valori degli stessi siano dipendenti dalla scala di
rappresentazione del grafico. Per tale motivo si sono adottate le unità di misura
rinvenute in letteratura: per (τ) i MN/m3, per (Δs) i metri.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

2.5

2.0

p
m
1.5

1.0

Ksec
0.5

Ki Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.1: Identificazione dei parametri geometrici per la caratterizzazione


delle curve (τ – spostamento) ottenute.

I valori di (Ki), (Ksec), (m) e (p) per ognuna delle curve di rottura relative ad un
sito vengono riportate in una unica tabella di seguito alle curve stesse. In esse,
per una agevole confronto tra i valori ottenuti, il modulo (m) è stato calcolato
per spostamenti espressi in millimetri e non in metri.

Segue la caratterizzazione di ciascun sito adottato.

246
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.3 SITO DI LOIANO

6.3.1 Introduzione
Il sito denominato “Loiano” si trova sulla Strada Provinciale n°22, nei pressi
dell’abitato di Loiano, comune dell’Appennino bolognese. In data 23 Luglio
2003, i tecnici del settore Viabilità della Provincia di Bologna hanno previsto un
intervento localizzato di manutenzione ordinaria sull’ultimo tratto di strada
prima del centro cittadino. Tale intervento è consistito nella risagomatura del
piano viabile tramite posa di un nuovo strato di usura in conglomerato
bituminoso tradizionale, le cui caratteristiche di miscela sono riportate in
seguito. In base alla lunghezza dell’intervento ed alle tempistiche di cantiere, è
stato possibile suddividere un tratto stradale di circa 500 metri in due sezioni di
stesa, sulle quali posare due diversi quantitativi di emulsione bituminosa
normale (Idrobit) al 60%. Tra le due sezioni è stato previsto un breve tratto privo
di mano d’attacco al fine di confrontare le condizioni di collegamento tra gli
strati anche in assenza di legante. Ad una analisi visiva delle sezioni trattate è
emersa la presenza di due differenti materiali a costituire il piano di posa
esistente; il primo comprende tutta la 1ª sezione e parte della 2ª ed è
caratterizzato da una spiccata macrorugosità superficiale con valori di Altezza in
Sabbia dell’ordine dei 0.95 mm; il secondo, copre la restante porzione della 2ª
sezione e, seppur di più recente costruzione, appare meno scabro presentando
valori medi di HS dell’ordine dei 0.53 mm.
Dalla figura 6.2 si evince come la 1ª sezione sia stata interessata da un valore
medio di bitume residuo posato compreso tra i 60 e gli 80 gr/m2. Nella seconda
il quantitativo è stato leggermente inferiore e si attesta su valori compresi tra i
40 ed i 60 gr/m2. L’intento originario era quello di differenziare maggiormente i
quantitativi stesi, tuttavia, come già ricordato in precedenza, la presenza di barre
di spruzzatura non automatizzate, non consente una elevata precisione di stesa e

247
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

lascia il controllo diretto alla sola sensibilità dell’operatore. In seguito alla posa
ed alla compattazione del nuovo strato di usura, si sono eseguite su entrambe le
sezioni in esame, alcune prove di macrorugosità che hanno restituito valori di
HS compresi tra i 0.75 e i 0.85 mm. Dall’analisi delle carote successivamente
estratte, si è anche potuto misurare lo spessore effettivo del nuovo strato posato.
In figura 6.2, le indicazioni nei riquadri di colore marrone identificano lo
spessore medio rilevato. Si evidenziano gli spessori esigui riscontrati nella parte
finale della 2ª sezione, dovuti probabilmente al repentino cambiamento di
pendenza longitudinale della strada in quel punto.

200.0
bitume residuo gr/mq...

Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


180.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq

160.0 %VUOTI % vuoti del conglomerato di usura


HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
140.0 HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito

120.0 1ª sezione Idrobit 2ª sezione Idrobit


HS 0,75 e 0,85
100.0 Usura Vecchia tipo B
Usura Vecchia tipo A
HS 0,85 HS 0,95 HS 0,85 3,2 cm 2,2 cm
80.0
HS 1,05 % 7,2 NO T.C.
HS 0,51
HS 0,95 45 g/m2 13,14,15
60.0 HS 0,41
1,2,3 NO T.C. 7,8,9

65 g/m2 4,5,6 HS 0,53


40.0
2,3 cm % 7,8 10,11,12 HS 0,53
HS 0,95
3,0 cm 45 g/m2 HS 0,51
20.0
1,6 cm vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23

Figura 6.2: Loiano: schema dei rilievi in sito.

Con riferimento alle caratteristiche dei materiali posati si riportano di seguito sia
le analisi di laboratorio tradizionali condotte sull’emulsione bituminosa per
mano d’attacco impiegata (prodotto Valli-Zabban in tabella 6.2), sia la curva
ganulometrica del conglomerato bituminoso steso, corredata del quantitativo di
bitume in miscela (figura 6.3). La percentuale di vuoti residui media del 7.5%,
seppur elevata, è una delle migliori ottenute nei siti di tutta la sperimentazione.

248
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

IDROBIT Metodo di Unità di Valori di Valore


Caratteristiche prova Misura Specifica analisi
Grado di acidità Interno pH 2.0 ÷ 4.0 2,69
% legante totale EN1431 % 55.0 ± 2 51,8+2,0
Trattenuto setaccio
EN 1429 % < 0.2 0
630 µm
Viscosità dinamica ASTM 4402 mPa s 52
Granulometria
Laser max/medio CIS 100
Ø micron < 10.0 3,87/5,94
particelle media Interno
popolazione
Residuo bituminoso distillato CNR n.100/84 modificata a 204°C
Penetrazione a 25°C, EN 1426 dmm 68
Punto di
EN 1427 °C 45,7
rammollimento

Tabella 6.2: Loiano: Caratteristiche dell’emulsione bituminosa impiegata.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI LOIANO


100.0

90.0 Crivelli e
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 86.6
40.0 5 38.5
2 31.1
30.0 0.4 16.2
0.18 9.2
20.0 0.075 5.7
% bitume 5.23
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.3: Loiano: curva granulometrica del conglomerato di usura.

249
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.3.2 Risultati delle prove Leutner


Sono stati prelevati cinque campioni costituiti ciascuno da tre carote, per un
totale di 15 provini da sottoporre a prova Leutner. Su alcuni di questi tuttavia,
non è stato possibile eseguire il test o, pur avendolo eseguito, si è ritenuto non
attendibile il risultato ottenuto, per via dell’esiguo spessore dello strato di usura
posato, che non ha consentito la corretta esecuzione della prova. In particolare,
le carote comprese tra la n°10 e la n°13 hanno visto la rottura superficiale del
nuovo conglomerato e sono state pertanto scartate. La carota n°5 è stata
anch’essa scartata. Nel caso della carota n°3, si è poi rinvenuta la presenza di un
trattamento superficiale di irruvidimento subito al di sotto del piano di posa che
ha comportato, soltanto in questo test, lo spostamento del piano di taglio da
quello impostato ad uno di alcuni millimetri più profondo: il risultato ottenuto
non è stato preso in considerazione.
Il grafico di figura 6.4 riporta, come introdotto, tutte le curve (τ – spostamenti)
ritenute attendibili.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

LS1

2.5 LS2

LS4

2.0 LS6

LS7
1.5
LS8

LS9
1.0
LS14

LS15
0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.4: Loiano: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

250
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

L’analisi delle curve è stata eseguita sia confrontando direttamente dal grafico i
valori di tensioni tangenziali e spostamenti a rottura, sia calcolando per ciascuna
di esse i valori dei quattro parametri introdotti in precedenza: (Ki), (Ksec), (m) e
(p) riportati in tabella 6.3. Si noti come il valore di (m) sia stato calcolato per
spostamenti espressi in millimetri a favore di un miglior confronto tra i risultati.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ2 + Δs2)1/2 (MN/m3)
LS 1 1033 560 4.49 -3434
LS 2 843 496 4.58 -1509
LS 4 761 589 2.88 -5207
LOIANO

LS 6 789 599 2.52 -6119


LS 7 789 693 2.97 -5036
LS 8 707 720 3.30 -1634
LS 9 761 650 3.51 -5290
LS 14 789 520 3.83 -2304
LS 15 595 560 4.13 -4711

Tabella 6.3: Loiano: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento mostrato, analogamente a quanto sottolineato da Uzan [3], è
quello tipico per le prove di resistenza al taglio su conglomerati bituminosi, a
dimostrazione del fatto che, anche il collegamento tra gli strati possiede
caratteristiche di resistenza simili a quelle di strato, seppur con valori differenti;
2) i valori di tensione tangenziale di picco misurati sono compresi tra gli 1.5 e i
2.5 MN/m2, mentre gli spostamenti corrispondenti si attestano su valori
compresi tra i 2 ed i 4.5 mm;
3) il ramo della curva di rottura successivo al picco, mostra un minor numero di
punti registrati rispetto al ramo ascendente, a dimostrazione della rapidità con la
quale avviene la separazione delle parti in seguito alla rottura;
4) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
e rappresentativi del Modulo di Reazione orizzontale del collegamento (K), sono

251
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

compresi tra i 600 ed i 1000 MN/m3, ed indicano pertanto, secondo quanto


sostenuto da Al Hakim [68], una condizione di collegamento intermedia tra il
completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta adesione (> 10000 MN/m3);
5) le carote n° 1 e 2 hanno mostrato i valori più elevati di tensione e
spostamenti a rottura, con una media di 2.40 MN/m2 per i primi ed una di 4.1
mm per i secondi; le carote n° 4 e 6 hanno mostrato i valori più bassi di tensione
e spostamenti a rottura, con una media di 1.58 MN/m2 per i primi ed una di 2.3
mm per i secondi; le carote n° 7, 8 e 9 hanno mostrato valori intermedi di
tensione e spostamenti a rottura con una media di 2.15 MN/m2 per i primi ed una
di 2.7 mm per i secondi;
6) le curve ottenute dalle carote n° 14 e 15 mostrano valori di tensioni al picco
paragonabili con quelli delle carote n° 8 e 9, ma con spostamenti più elevati;
7) i valori della pendenza della secante al picco (Ksec) e del modulo del vettore
che lo identifica (m), riassumono le tendenze descritte ai punti 5) e 6) e sono
compresi tra i 500 ed i 700 MN/m3 i primi ed i 2,5 ed i 4,6 MN/m2mm i secondi;
8) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i –1600 ed i –6100 MN/m3;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Loiano ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Con riferimento al quantitativo di legante residuo si nota come esso influisca
notevolmente sugli andamenti delle curve di rottura alla temperatura di prova di
20°C. In particolare, per un maggior quantitativo di bitume, si verificano
resistenze e spostamenti maggiori. Le carote n° 1 e 2 sono infatti caratterizzate
da 65 gr/m2 di bitume residuo all’interfaccia che, pur essendo poco, ha
determinato l’aumento delle risorse di resistenza, se paragonate a quelle delle
carote n° 4 e 6 che, a parità di macrorugosità superficiale, sono prive di mano
d’attacco. In sostanza, si è registrato un aumento di tensione tagliante pari a

252
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

circa 0.80 MN/m2 e di spostamento relativo pari a circa 1.8 mm. Le carote n° 7,
8 e 9 mostrano valori leggermente inferiori a quelli delle prime, ma l’ordine di
grandezza delle differenze di resistenza e spostamenti, non è tuttavia attribuibile
alla piccola disparità nel quantitativo di bitume residuo all’interfaccia. Anche i
valori di modulo (m) e (Ksec) comprovano ovviamente quanto descritto.
Sempre in relazione al quantitativo di mano d’attacco, si osservano differenti
comportamenti post-rottura. In particolare, i valori di pendenza (p) del ramo
discendente sono superiori, in valore assoluto, per le carote prive di mano
d’attacco. Questo fatto comprova, in generale, la tendenza dei collegamenti
realizzati senza legante bituminoso, a mostrare un comportamento di rottura
fragile, ossia con bassi spostamenti al picco ed elevate pendenze post-rottura. Al
contrario, carote come la n° 2, seppur con minimi quantitativi di bitume
all’interfaccia, sviluppano una certa plasticità della resistenza post-rottura che,
come già accennato nel paragrafo precedente, può essere positiva nel contrastare
il completo distacco di porzioni di conglomerato superficiale dalla
pavimentazione stradale.
Le carote n° 14 e 15 fanno storia a sé. In effetti, gli spessori rilevati sullo strato
di usura in tali provini, ne rende il comportamento al limite dell’accettabilità,
soprattutto per via della bassa macrorugosità che limita le possibilità di
ingranamento reciproco tra gli strati e del fatto che sono prive di mano d’attacco.
Alla luce di ciò, i valori elevati ottenuti dai test relativi possono essere attribuiti
ad un non corretto posizionamento dei provini nel dispositivo di taglio ed alla
conseguente rottura di alcuni grani di bordo; si ritiene che ciò sia dovuto alla
difficoltà nell’individuare l’esatta posizione del piano di interfaccia sulla
superficie laterale della carota, per il fatto che le miscele a contatto appaiono del
tutto simili ed uniformi.

253
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.4 SITO DI LOIANO CENTRO

6.4.1 Introduzione
Il sito denominato “Loiano Centro” si trova nelle immediate vicinanze del sito
precedente, in corrispondenza del centro del paese. Il giorno 24 luglio è stato
eseguito un intervento di manutenzione per un tratto stradale di circa 800 metri,
che ha previsto la scarifica dello strato bituminoso superficiale e la posa diretta
di un nuovo manto d’usura in conglomerato bituminoso tradizionale.
Tale sito è l’unico della sperimentazione nel quale si sono potute verificare le
condizioni di collegamento all’interfaccia esistenti tra il nuovo conglomerato di
usura e quello fresato della superficie di posa. Il tratto in esame è stato suddiviso
in tre sezioni a diversi quantitativi di mano d’attacco: in realtà soltanto la 1ª
sezione mostra un ragguardevole quantitativo di bitume residuo variabile tra i
250 ed i 400 gr/m2; le restanti sezioni mostrano quantitativi attorno ai 100 gr/m2.
Il rilievo della macrorugosità superficiale nel caso di superficie fresata perde di
significato, essendo il piano di posa sagomato dagli utensili di taglio.
Nonostante questo, le ondulazioni riscontrabili sullo stesso, giocano comunque a
favore della resistenza del collegamento tra gli strati, andando a costituire una
superficie di posa irregolare che non ostacola la compenetrazione tra i due
materiali a contatto. L’Altezza di Sabbia dello strato superficiale finito è
risultata essere pari a 0.66 mm, un valore che indica la natura assortimento del
conglomerato di usura e la sua disponibilità ad adattarsi alle asperità della
superficie di posa.
La figura 6.5 schematizza il sito e ne fornisce i valori ottenuti dalle prove
eseguite in sito. Si noti come purtroppo, non sia stato possibile predisporre
porzioni di pavimentazione prive di mano d’attacco dalle quali estrarre carote di
confronto. L’emulsione bituminosa applicata è la medesima del sito di Loiano:
Idrobit 55 della Valli-Zabban.

254
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

500.0

bitume residuo gr/mq..


Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote
450.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq

400.0
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura

350.0 1,2,3
370 g/m2
300.0 % 8,7
3,5 cm
250.0
1ª sezione Idrobit 2ª sezione Idrobit 3ª sezione Idrobit
200.0 HS 0,66
% 8,4 3,4 cm 3,3 cm

150.0 110 g/m2 110 g/m2


4,5 6,7

100.0

50.0
Superficie di posa fresata vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Figura 6.5: Loiano Centro: schema dei rilievi in sito.

Lo strato bituminoso di usura steso è costituito da un conglomerato avente le


caratteristiche riportate in figura 6.6.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI LOIANO C.


100.0

90.0 Crivelli e
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 100.0
40.0 5 45.0
2 37.7
30.0 0.4 20.2
0.18 11.9
20.0 0.075 7.4
% bitume 5.20
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.6: Loiano Centro: curva granulometrica del conglomerato di usura.

255
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Un valore dell’8.5% medio dei vuoti residui riscontrato sul conglomerato


bituminoso compattato in sito appare piuttosto alto. Lo spessore medio di stesa
si attesta su valori compresi tra i 3.3 ed i 3.8 cm.

6.4.2 Risultati delle prove Leutner


Dalla 1ª sezione è stato prelevato un campione di 3 carote con un quantitativo
approssimativo di legante pari a 370 gr/m2 di bitume residuo. Nelle restanti
sezioni sono stati prelevati due campioni di due carote ciascuno con 110 gr/m2 di
mano d’attacco. Nessuna delle curve di rottura è stata scartata, pur essendo noto
il problema legato al corretto posizionamento del provino nel dispositivo di
rottura. Nel caso di interfacce fresate infatti, le asperità dovute alla scarifica del
piano di posa, compromettono spesso la corretta esecuzione della prova,
andando a frapporsi al piano di taglio in corrispondenza del bordo esterno del
provino. In tale modo, la resistenza al taglio misurata risulta essere quella di uno
dei due conglomerati di strato e non quella del collegamento. Per questo motivo,
nel capitolo precedente si è mostrata l’efficacia della modifica da apportarsi
all’apparecchiatura Leutner, realizzando un gap longitudinale tra i semi-anelli di
taglio che non comporti il sconfinamento laterale dell’interfaccia.

Figura 6.7: Porzioni di carota sottoposta a test: si noti la superficie di posa fresata.

256
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Le porzioni di carota di figura 6.7 mostrano come l’effetto della fresatura


caratterizzi le superfici dei due conglomerati bituminosi a contatto.
Il grafico di figura 6.8 riporta tutte le curve (τ – spostamenti), comprese quelle
prodotte da rotture con asportazione dei conglomerati di strato.

3.0
LC1
Tensione di Taglio (MN/m2)

LC2
2.5
LC3

LC4

2.0 LC5

LC6

LC7
1.5

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.8: Loiano Centro: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

La tabella 6.4 riporta i valori dei quattro parametri caratteristici calcolati per le
curve di rottura ottenute.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ2 + Δs2)1/2 (MN/m3)
LC 1 925 574 4.94 -1105
LOIANO CEN.

LC 2 1060 559 5.23 -924


LC 3 946 614 4.86 -1040
LC 4 1031 633 4.12 -1074
LC 5 816 597 3.82 -1089
LC 6 839 542 4.05 -762
LC 7 707 504 4.61 -561

Tabella 6.4: Loiano Centro: valori dei quattro parametri caratteristici.

257
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è piuttosto costante e, a differenza di
quanto visto per il sito precedente, non vi sono differenze di registrazione
evidenti tra il ramo ascendente e quello discendente ad indicare rotture di tipo
non fragile;
2) i valori di tensioni tangenziali di picco ottenuti sono compresi tra i 2.2 ed i
3.0 MN/m2, mentre gli spostamenti corrispondenti si attestano su valori
compresi tra i 3.5 ed i 5.0 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 700 ed i 1000 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) le carote n° 1, 2 e 3 hanno mostrato i valori più elevati di tensione e
spostamenti a rottura, con una media di 2.80 MN/m2 per i primi ed una di 4.5
mm per i secondi; le restanti carote hanno restituito valori di tensioni medi pari a
2.30 MN/m2 e di spostamenti pari a 3.6 mm;
5) come conseguenza dei suddetti valori di tensioni e spostamenti, i valori di
(Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 500 ed i 630 MN/m3 il primo
ed i 3.8 ed i 5.2 MN/m2mm i secondi;
6) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i –500 ed i –1100 MN/m3;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Loiano Centro ed alcune più generali valide per tutta la
sperimentazione.
Le resistenze ottenute dalle prove Leutner sono tra le più alte di quelle misurate
in tutta la sperimentazione. Con riferimento alle sole carote n° 1 e 4 per le quali
non si è verificata l’asportazione di materiale bituminoso da uno od entrambi gli

258
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

strati, si può ritenere che, l’operazione di fresatura e la successiva posa di una


buona mano d’attacco, abbiano conferito una notevole resistenza del
collegamento tra gli strati. A tale proposito, tuttavia, si può pensare che il
maggiore contributo alla resistenza derivi dall’ingranamento offerto dalla
superficie di posa fresata e non tanto dal quantitativo di bitume residuo posato:
osservando le curve corrispondenti si nota che triplicando il quantitativo di
legante si verifica un aumento del picco di rottura di appena 0.3 MN/m2.
Da quanto detto si può affermare che l’operazione di fresatura del piano di posa,
anche per normali interventi di risagomatura, comporta un notevole beneficio
alle prestazioni del collegamento realizzato.
Per quanto riguarda la significatività della pendenza post-picco della curva di
rottura, si osserva che non vi è notevole variabilità del parametro (p) calcolato,
non essendo presenti carote prive di legante all’interfaccia. Le pendenze sono
inferiori in modulo a quelle riscontrate dalle carote del sito precedente, in
accordo coi quantitativi superiori di bitume residuo misurati. Tuttavia, è
possibile che la bassa pendenza di alcune delle curve registrate, sia dovuta al
verificarsi di asportazioni diffuse di materiale bituminoso da uno dei due strati,
con il conseguente sovrascorrimento post-rottura delle due porzioni irregolari di
carota. Il motivo delle rotture anomale descritte, può essere imputabile a due
ragioni, anche concomitanti: la prima è l’inevitabile applicazione del taglio sul
volume dei conglomerati di strato dovuta, come visto, alla irregolarità della
superficie del piano di posa; la seconda è la tenacia offerta dall’adesione e dalla
coesione del film di bitume residuo applicato sugli inerti vivi della superficie
fresata.

259
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.5 SITO DI SALICETO

6.5.1 Introduzione
Il sito denominato “Saliceto” si trova sulla Strada Provinciale n°45 per Ferrara,
nei pressi del comune di Bentivoglio. In data 4 giugno 2003 le maestranze del
settore Viabilità della Provincia di Bologna, hanno eseguito un intervento di
risagomatura del piano viabile tramite la posa di un nuovo manto di usura in
conglomerato bituminoso tradizionale dello spessore medio di 3 cm,
direttamente sulla superficie esistente.
La figura 6.9 riporta lo schema del tratto stradale interessato dai lavori ed i
risultati dei rilievi eseguiti in sito. Sono state previste tre sezioni a differenti
quantitativi di mano d’attacco intervallati da due brevi tratti privi di legante dai
quali prelevare i campioni di confronto. Dai rilievi di Altezza di Sabbia eseguiti
si è riscontrata una notevole macrorugosità della superficie di posa di tutto il
tratto, probabilmente dovuta all’asportazione della matrice bituminosa fine
superficiale da parte dell’azione dei veicoli transitati. Allo stesso tempo il nuovo
conglomerato di usura ha mostrato una buona tendenza all’ingranamento.
Alla 1ª sezione corrisponde un quantitativo di legante residuo compreso tra i 50
ed i 100 gr/m2; nella 2ª sezione si sono riscontrati dai 100 ai 200 gr/m2 di
legante, mentre nella terza dai 200 ai 300 gr/m2. I valori contrassegnati in figura
con un cerchio rosso, corrispondono a misurazioni della uniformità trasversale
di spruzzatura eseguite con vassoi aggiuntivi; essendo essi assai differenti
evidenziano come la barra di spruzzatura impiegata non sia stata efficiente,
producendo notevoli disomogeneità di stesa.
Il conglomerato bituminoso del nuovo manto di usura ha le caratteristiche di
miscela riportate in figura 6.10. La compattazione è comunque risultata scarsa,
con valori di vuoti residui misurati dopo 6 settimane di apertura al traffico

260
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

prossimi al 9 %. Gli spessori valutati sulle carote prelevate dalle prime due
sezioni sono inferiori ai 3 cm; nella terza raggiungono anche i 4 cm.

600.0 bitume residuo gr/mq. .


Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote
550.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
500.0 %VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
450.0
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito
400.0
Usura Vecchia
350.0 1ª sezione Altre 2ª sezione Altre 3ª sezione Altre
HS 0,38 e 0,39
300.0
2,4 cm

250.0 2,6 cm % 9,1

NO T.C. 150 g/m2


200.0 m, mi e, f, g
% 9,5
% 9,1
150.0 50 g/m2
200 g/m2
h,i,l
100.0 a,b,c
NO T.C.
d,di 3,5 cm
50.0 % 8,1
HS 1,10 HS 1,10 HS 1,10 HS 1,20 vassoio
4,2 cm
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

Figura 6.9: Saliceto:schema dei rilievi in sito.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI SALICETO


100.0
Crivelli e
90.0
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 100.0
40.0 5 76.7
2 47.1
30.0 0.4 23.0
0.18 14.2
20.0 0.075 7.3
% bitume 5.95
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.10: Saliceto: curva granulometrica del conglomerato bituminoso di usura.

261
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

La mano d’attacco adottata dai tecnici della Provincia di Bologna non è stata
fornita da Valli-Zabban S.p.A. e pertanto si è provveduto al prelievo di un
campione da sottoporsi alle prove classiche di laboratorio per emulsioni
bituminose. Le caratteristiche rilevate sono riportate in tabella 6.5.

Altre 1 Metodo di Unità di Valori di Valore


Caratteristiche prova Misura Specifica analisi
Grado di acidità Interno pH 2.0 ÷ 4.0 3,82
% legante totale EN1431 % 60.0 ± 2 57+1
Trattenuto setaccio
EN 1429 % < 0.2 tracce
630 µm
Viscosità dinamica ASTM 4402 mPa s 33
Granulometria
Laser max/medio CIS 100
Ø micron < 10.0 5,80/13,22
particelle media Interno
popolazione
Residuo bituminoso distillato CNR n.100/84 modificata a 204°C
Penetrazione a 25°C, EN 1426 dmm 169
Punto di
EN 1427 °C 39,4
rammollimento

Tabella 6.5: Saliceto: Caratteristiche dell’emulsione bituminosa impiegata.

6.5.2 Risultati delle prove Leutner


Delle 13 carote complessive prelevate, soltanto 7 hanno fornito curve di rottura
attendibili o comunque significative.
Del campione di tre carote (a, b, c) prelevate dalla 3ª sezione, la seconda non
viene presa in considerazione in quanto, la scarsa resistenza offerta, scaturisce
dalla presenza di un trattamento superficiale eseguito in passato che ha
comportato il trasferimento della superficie di rottura su una interfaccia diversa
da quella investigata. Idem per le carote (m ed mi), a testimonianza del fatto che,
tutto il tratto stradale esaminato, è stato in passato interessato dal citato
trattamento di irruvidimento. Le tre carote (h, i, l) prelevate nella 1ª sezione non

262
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

presentavano purtroppo spessori sufficienti per essere sottoposte a prova Leutner


e sono state pertanto scartate. Idem per la carota (d).
Il grafico di figura 6.11 riporta tutte le curve (τ – spostamenti) ritenute
attendibili.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

aC

2.5 cC

di

2.0 eB

fB

1.5
gB

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.11: Saliceto: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

La tabella 6.6 riporta i valori dei quattro parametri caratteristici calcolati per le
curve di rottura ottenute.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
aC 816 576 3.76 -1127
SALICETO

cC 963 627 3.40 -676


di 759 405 4.14 -2250
eB 768 616 3.15 -3639
fB 635 611 3.68 -4381
gB 789 607 3.49 -2991

Tabella 6.6: Saliceto: valori dei quattro parametri caratteristici.

263
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è abbastanza costante nei tratti ascendenti,
ma piuttosto variabile in quelli post-picco, ad esclusione della carota priva di
mano d’attacco;
2) i valori di tensioni tangenziali di picco ottenuti sono compresi tra gli 1.8 ed i
2.2 MN/m2, mentre gli spostamenti corrispondenti si attestano su valori
compresi tra i 2.7 ed i 4.0 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 600 ed i 1000 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) le carote (a, c, e, f , g) che presentano la mano d’attacco, hanno mostrato i
valori più elevati di tensione e spostamenti a rottura, con una media di 2.10
MN/m2 per i primi ed una di 3.0 mm per i secondi; l’unica carota priva di
legante (di) presenta un picco di resistenza di 1,77 MN/m2 per un considerevole
spostamento complessivo di 4.0 mm circa;
5) i valori di (Ksec) e di (m) relativi ai provini con legante sono compresi
rispettivamente tra i 570 ed i 620 MN/m3 il primo ed i 3.0 ed i 3.8 MN/m2mm i
secondi; per la carota (di) sono invece 405 MN/m3 e 4.14 MN/m2mm;
6) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i – 700 ed i – 4300 MN/m3;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Saliceto ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Con riferimento al quantitativo di bitume residuo si nota come le curve delle
carote (a, c) oltre a presentare un picco medio leggermente superiore a quello
delle carote (e, f, g), evidenzino un andamento post-picco meno fragile, a
testimonianza del maggior quantitativo di legante della mano d’attacco che

264
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

contengono. Dal paragone visivo tra le carote (a) ed (f) di figura 6.12, si nota
infatti, come nella prima sia apprezzabile il maggior quantitativo di legante
posato, per altro riscontrabile anche al tatto.

Figura 6.12: Paragone tra le interfacce post-test delle carote (a) ed (f).

La piccola differenza rilevata in termini di resistenza al taglio di picco prova


che, nella caratterizzazione dei due collegamenti investigati, intervengono con
pesi diversi sia il quantitativo di mano d’attacco, sia l’ingranamento reciproco
tra gli strati. La carota (a) infatti, presenta un terzo del quantitativo di bitume
residuo della carota (f ) in più, ma si può supporre che a parità di compattazione,
l’ingranamento raggiunto tra gli strati sia leggermente inferiore, per via di un
maggiore spessore di conglomerato steso: 3.6 cm contro 2.4 cm.
I valori dei parametri (Ksec) ed (m) per la caratterizzazione del picco di rottura,
sono complessivamente contenuti, se osservati nell’ambito dell’intera
sperimentazione. Questo fatto è imputabile alle caratteristiche di resistenza al
taglio del nuovo conglomerato di usura posato. Oltre ad essere, come detto, poco
compattato, esso è costituito da una miscela piuttosto fine e ricca di bitume. Non
vi sono pertanto molti elementi litici grossolani in grado di sviluppare
ingranamento con le asperità della superficie di posa, in questo caso elevate. Per
tale motivo, le curve ottenute sono indicative soprattutto della resistenza al
taglio del conglomerato stesso in prossimità dell’interfaccia, soprattutto in

265
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

presenza di una mano d’attacco che leghi i due conglomerati. Sulla superficie
dello strato inferiore della carota (a) è infatti riscontrabile la presenza di
materiale bituminoso fine asportato dallo strato superiore. In questi casi quindi,
la funzione di legame fornita dalla mano d’attacco può essere vanificata dalla
scarsa resistenza meccanica del conglomerato di usura.
Il sito di Saliceto è particolare perché oltre ad essere caratterizzato da un
conglomerato di usura poco tenace, ha svelato la presenza di un sottile
trattamento superficiale di irruvidimento. Nella fase di carotaggio questo ha
ostacolato notevolmente le operazioni non consentendo, come nel caso della 1ª
sezione, il prelievo di campioni testabili. Per molte delle carote testate, tuttavia,
si è verificato il trasferimento della superficie di taglio dall’interfaccia tra il
nuovo manto di usura posato e l’esistente piano viabile, all’interfaccia
sottostante il trattamento superficiale, rendendo inutili i dati registrati dalla
prova. La figura 6.13 ne mostra un valido esempio. Questo fatto richiama
l’attenzione sulla importanza della corretta posa dei trattamenti di irruvidimento
in generale, al fine di garantirne l’effettivo collegamento con il piano di posa nel
tempo, soprattutto quando sono previste operazioni di ricarico successive, come
nel caso qui presentato.

Figura 6.13: Esempio di carota scartata per trasferimento della superficie di taglio.

266
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Un collegamento di interfaccia debole può infatti, fare scadere la bontà delle


operazioni eseguite qualche millimetro più in superficie. Ecco che, in questi
casi, è auspicabile il controllo delle effettive condizioni di collegamento esistenti
prima della applicazione del nuovo manto di usura tramite carotaggio preventivo
e, qualora queste siano insufficienti, prevedere una operazione di scarifica
superficiale.
Il comportamento della prova eseguita sul provino (di) è anomalo, soprattutto
per quel che riguarda i valori di (Ki) e di (Ksec). Si tratta, come visibile dalla
figura 6.14 di un evidente caso di non corretto posizionamento del provino nel
macchinario. In effetti osservando l’uniformità della superficie dello strato
inferiore, la rottura sembrerebbe omogenea, sulla porzione anteriore della carote,
tuttavia, è presente un dente (evidenziato dalle frecce rosse) della larghezza di
circa 4 mm, che si attesta completamente nel volume del conglomerato di usura
posato. In tale caso quindi la curva di rottura è rappresentativa delle effettive
condizioni di resistenza al taglio del conglomerato bituminoso superficiale nel
suo volume, e non in prossimità della superficie di collegamento così come visto
per gli altri provini.

Figura 6.14: Esempio di non corretto posizionamento del provino.

267
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.6 SITO DI SILLARO

6.6.1 Introduzione
Il sito denominato “Sillaro” corrisponde ad un intervento di risagomatura
eseguito dalle maestranze della Provincia di Bologna sulla Strada Provinciale
n°21 che da Castel San Pietro si dirige verso la collina. Un nuovo conglomerato
bituminoso di usura dello spessore medio di 3 cm, è stato posato in data 8 Luglio
2003 direttamente a contatto con il piano viabile esistente, caratterizzato da una
notevole disomogeneità superficiale dovuta a numerosi rappezzi.
La figura 6.15 riporta lo schema del sito con la suddivisione in tre sezioni con
diversi quantitativi di mano d’attacco in emulsione bituminosa non fornita da
Valli-Zabban. Tra le sezioni sono stati previsti due brevi tratti privi di legante,
ove prelevare i campioni di riferimento. La 1ª sezione presenta un quantitativo
medio di legante di 80 gr/m2; la 2ª sezione presenta un quantitativo medio di
legante di 180 gr/m2; la 3ª sezione di 40 gr/m2. La macrorugosità superficiale del
piano di posa è stata misurata tramite Altezza di Sabbia in diversi punti della 1ª
sezione e si attesta su valori compresi tra i 0.65 ed i 0.80 mm. Per avere
indicazioni sulla predisposizione del nuovo conglomerato posato nel creare
ingranamento con lo strato sottostante, si sono condotte anche prove di HS
diffuse su tutta la superficie del nuovo manto d’usura, ottenendo valori compresi
tra 0.39 e 0.45 mm.
La compattazione del nuovo conglomerato di usura appare scarsa con valori di
percentuale di vuoti residui compresi tra il 9 e l’11%; anche gli spessori
appaiono in alcuni punti non adeguati, soprattutto nella 2ª sezione dove alcune
carote hanno mostrato spessori posati inferiori ai 2 cm. La figura 6.16 riporta le
caratteristiche della miscela bituminosa stesa, comprensive della percentuale di
legante, mentre la tabella 6.7 riporta quelle dell’emulsione bituminosa impiegata
come mano d’attacco.

268
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

400.0

bitume residuo gr/mq. .


Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
350.0
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
300.0 HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito

Usura Vecchia
250.0 HS 0,45 e 0,39

3,2 cm 2,5 cm NO T.C. 3,7 cm 3ª sezione Altre


1AB,2AB,3AB
200.0 HS 0,80
% 8,9
HS 0,80
% 11.1
150.0 110 g/m2
2,0 cm
1A,2A,3A HS 0,72 NO T.C.
180 g/m2
HS 0,66 1BC,2BC,3BC
100.0 1B,2B,3B
1,8 cm % 10,2
40 g/m2 3,0 cm
1C,2C,3C
50.0
1ª sezione Altre 2ª sezione Altre
vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

Figura 6.15: Sillaro: schema dei rilievi in sito.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI SILLARO


100.0
Crivelli e
90.0
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 100.0
40.0 5 78.7
2 47.3
30.0 0.4 26.4
0.18 14.1
20.0 0.075 7.5
% bitume 5.98
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.16: Sillaro: curva granulometrica del conglomerato bituminoso di usura.

269
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

La mano d’attacco adottata dai tecnici della Provincia di Bologna non è stata
fornita da Valli-Zabban S.p.A. e pertanto si è provveduto al prelievo di un
campione sufficiente da sottoporre alle prove classiche di laboratorio sulle
emulsioni bituminose.

Altre 1 Metodo di Unità di Valori di Valore


Caratteristiche prova Misura Specifica analisi
Grado di acidità Interno pH 2.0 ÷ 4.0 3,58
% legante totale EN1431 % 60.0 ± 2 58,2+1
Trattenuto setaccio
EN 1429 % < 0.2 0,10%
630 µm
Viscosità dinamica ASTM 4402 mPa s 44
Granulometria
Laser max/medio CIS 100
Ø micron < 10.0 6,12/12,13
particelle media Interno
popolazione
Residuo bituminoso distillato CNR n.100/84 modificata a 204°C
Penetrazione a 25°C, EN 1426 dmm 169
Punto di
EN 1427 °C 39,4
rammollimento

Tabella 6.7: Sillaro: Caratteristiche dell’emulsione bituminosa impiegata.

6.6.2 Risultati delle prove Leutner


Delle 15 carote estratte soltanto 9 hanno restituito curve di rottura attendibili.
La carota 2B estratta dalla 2ª sezione presentava spessori non compatibili con
quelli richiesti dal test e pertanto è stata scartata. Si è cercato poi di condurre
comunque il test sulla carota adiacente 3B avente uno spessore minimo di 1.8
cm. Il risultato della prova, certamente non attendibile, è un chiaro esempio di
come l’azione del semi-anello di taglio non venga correttamente applicata al
collegamento di interfaccia se lo spessore dello strato superficiale è esiguo. La
figura 6.17 è una fotografia della porzione inferiore della carota dopo il test.

270
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Figura 6.17: Esempio di rottura per non corretto posizionamento del provino.

Delle carote di controllo campionate dal primo tratto privo di emulsione


compreso tra la 1ª e la 2ª sezione, sono state scartate le 2AB e la 3AB,
rispettivamente, per l’impossibilità di vincolare posteriormente il provino a
causa della sua limitata altezza e per il non corretto posizionamento della carota
nel dispositivo di taglio. Infine, le curve ottenute dalle carote 2BC e 3BC
prelevate dal tratto di controllo compreso tra la 2ª e la 3ª sezione, non sono state
prese in considerazione per l’avvenuto trasferimento della superficie di rottura al
di sotto di un trattamento superficiale preesistente alla stregua di quanto
avvenuto nel sito di Saliceto.
Il grafico di figura 6.18 riporta tutte le curve (τ – spostamenti) ritenute
attendibili.
L’analisi delle curve è stata eseguita sia confrontando direttamente dal grafico i
valori di tensioni tangenziali e spostamenti a rottura, sia calcolando per ciascuna
di esse i valori dei quattro parametri introdotti in precedenza: (Ki), (Ksec), (m) e
(p) riportati in tabella 6.8.

271
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

3.0
A1

Tensione di Taglio (MN/m2)


A2
2.5
A3

B1
2.0
B3

C1
1.5
C2

C3
1.0
AB1

BC1
0.5

Spostamento (m)

0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.18: Sillaro: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
A1 688 519 4.75 -2235
A2 711 538 5.09 -1268
A3 796 638 3.91 -2503
SILLARO

B1 571 433 4.66 -857


C1 707 599 4.50 -1203
C2 707 614 4.22 -2319
C3 707 532 4.64 -2720
AB 1 631 521 3.61 -2174
BC 1 598 427 4.07 -232

Tabella 6.8: Sillaro: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è tra i più eterogenei riscontrati nella
sperimentazione, soprattutto per quel che riguarda le carote prelevate nei tratti di
controllo;

272
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

2) i valori di tensioni tangenziali di picco ottenuti sono compresi tra gli 1.8 ed i
2.8 MN/m2, mentre gli spostamenti corrispondenti si attestano su valori
compresi tra gli 3.2 ed i 4.5 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 570 ed i 800 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) le carote 1A, 2A, 3A, 1C, 2C e 3C, che presentano la mano d’attacco, hanno
mostrato i valori più elevati di tensione e spostamenti a rottura, con una media di
2.50 MN/m2 per i primi ed una di 3.8 mm per i secondi; la carota 1B, avente un
forte quantitativo di legante all’interfaccia, ma un esiguo spessore di
conglomerato, ha mostrato un picco di resistenza di 2,12 MN/m2 per un
considerevole spostamento complessivo di 4.4 mm circa; la carota priva di
legante 1AB presenta un picco di resistenza di 1,90 MN/m2 per uno spostamento
di 3.2 mm circa; la carota priva di legante 1BC presenta un picco di resistenza di
1,82 MN/m2 per uno spostamento di 3.9 mm circa;
5) i valori di (Ksec) e di (m) relativi ai provini con legante sono compresi
rispettivamente tra i 520 ed i 640 MN/m3 il primo ed i 3.9 ed i 5.0 MN/m2mm i
secondi; per la carota 1B sono invece 433 MN/m3 e 4.66 MN/m2mm; per la
carota 1AB sono 521 MN/m3 e 3.61 MN/m2mm; per la carota 1BC sono infine
427 MN/m3 e 4.07 MN/m2mm;
6) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i – 230 ed i – 2700 MN/m3;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Sillaro ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Con riferimento agli effetti della mano d’attacco, si nota come le curve derivate
dalle carote del campione A e del campione C, abbiano mostrato valori di

273
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

resistenza massima tra loro simili, pur presentando una cospicua differenza nel
quantitativo di legante residuo. Delle curve ottenute, si ritiene che quelle
registrate dalla rottura delle carote 1A, 3A e 2C, 3C siano le più veritiere, non
essendosi verificati strappi evidenti di porzioni di conglomerato da uno dei due
strati. Le curve 1A e 3C presentano inoltre, spostamenti di picco superiori
rispetto alle 3A e 2C dovuti a rotture di bordo localizzate. Ecco così che, la
differenza del quantitativo di emulsione stesa può alla fine essere riscontrata
dalla diversità del valore medio delle pendenze post-rottura delle curve: -2368
MN/m3 e -2520 MN/m3 rispettivamente. Anche per il parametro (p), così come
per i valori di picco, la variazione percentuale è comunque esigua, se paragonata
alla differenza nel quantitativo di mano d’attacco stesa. I valori misurati possono
essere imputati alla asportazione di materiale bituminoso fine dal conglomerato
dello strato soprastante, per la sua scarsa resistenza al taglio, il ché ha
uniformato sia la resistenza complessiva del collegamento, sia la resistenza
attritiva post rottura, fungendo esso in quest’ultimo caso da elemento di
scorrimento. La fotografia di figura 6.19 rispecchia quanto affermato essendo
evidente la presenza di aggregati fini sciolti sulla superficie di taglio, per altro
assai opaca.

Figura 6.19: Porzione superiore della carota 3C.

274
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

L’efficacia della mano d’attacco può essere quantificata osservando i valori di


(Ki), (Ksec) ed (m) ottenuti dalla carota 1AB. La variazione di (Ki) è di 90
MN/m3, mentre i picchi salgono di 0.6 MN/m2, ovvero (Ksec) ed (m) aumentano
di 50 MN/m3 il primo e di 0.91 MN/m2mm il secondo.
Per quanto riguarda le carote 1B ed 1BC esse offrono curve di rottura assai
singolari, con tutta probabilità dovute alla notevole deformazione che la sottile
porzione superiore del provino subisce sotto carico. Tale comportamento non
rende accettabili i dati registrati. Soltanto l’andamento post-picco della carota
1B può essere ritenuto in linea con i valori di bitume residuo in essa contenuti.

6.7 SITO DI STENDHAL

6.7.1 Introduzione
Il sito denominato “Stendhal” deriva il suo nome da quello della strada del
comune di Bologna nei pressi del quartiere Corticella. In data 1 ottobre 2003
sono stati eseguiti lavori di risagomatura e ripavimentazione su un tratto stradale
della lunghezza di 1 chilometro. L’intervento è stato caratterizzato da tratti di
scarifica profonda della pavimentazione esistente, con sostituzione degli strati di
collegamento ed usura e da tratti nei quali si è resa necessaria soltanto la
risagomatura del piano viabile, tramite la posa del solo conglomerato
bituminoso di usura.
Il tratto stradale è stato suddiviso in quattro sezioni delle quali, la prima e
l’ultima, caratterizzate da un piano di posa costituito da un conglomerato
bituminoso di collegamento di nuova realizzazione, la seconda e la terza da una
superficie di posa costituita dal piano viabile della pavimentazione esistente. In
quest’ultimo caso si è riscontrata la presenza di un trattamento superficiale di
irruvidimento preesistente dello spessore di alcuni millimetri. Il quantitativo di
legante residuo steso sulle prime due sezioni è stato mediamente di 70 gr/m2,

275
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

mentre per le restanti sezioni si sono misurati 120 gr/m2. Da un cospicuo numero
di rilievi di macrorugosità superficiale eseguiti sulle due diverse superfici di
posa è emersa una inattesa uniformità. I valori ottenuti si sono attestati tra i 0.50
ed i 0.70 mm a testimonianza del fatto che, per le caratteristiche intrinseche
della miscela, il conglomerato di binder steso è risultato superficialmente assai
chiuso e quindi poco favorevole all’ingranamento. Parallelamente, il
conglomerato bituminoso di usura steso è risultato essere di elevata pezzatura ed
ha restituito notevoli valori di rugosità superficiale, a sfavore di ingranamento.
Anche la percentuale dei vuoti è elevata forse anche in conseguenza dei notevoli
spessori di conglomerato stesi: tra i 3,3 ed i 4,8 cm. La figura 6.20 riporta lo
schema del sito ed i valori misurati.

300.0
bitume residuo gr/mq...

Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
250.0
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito

200.0 Binder Nuovo Usura Vecchia Binder Nuovo


HS 0,8
%10.1
HS 0,72 4,8 cm
NO T.C.
HS 0,66 %8.5
150.0 3,4 cm 7,8
120 g/m2

NO T.C. 11,12
1,2 3,3 cm 4,8 cm
100.0 65 g/m2 70 g/m2
3,4 5,6 120 g/m2
HS 0,55 HS 0,51
9,10
HS 0,51
50.0
HS 0,60 HS 0,65 HS 0,51 HS 0,51 4,1 cm
4ª sez. Idrobit
HS 0,55
vassoio
1ª sezione Idrobit 2ª sez. Idrobit 3ª sez. Idrobit
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

Figura 6.20: Stendhal: schema dei rilievi in sito.

Le caratteristiche del conglomerato bituminoso di usura steso sono riportate in


figura 6.21, si noti la dimensione nominale massima degli inerti pari a 15 mm ed

276
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

il quantitativo di legante pari a 4.5% in peso sugli inerti, tipico di un


conglomerato grossolano.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI STENDHAL


100.0
Crivelli e
90.0
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0
15 94.4
10 61.6
40.0
5 34.7
2 26.1
30.0
0.4 11.6
20.0 0.18 7.7
0.075 4.6
10.0 % bitume 4.50

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.21: Stendhal: curva granulometrica del conglomerato bituminoso di usura.

L’emulsione bituminosa adottata come mano d’attacco è un prodotto Valli-


Zabban al 55% di bitume normale avente le medesime caratteristiche di quello
impiegato a Loiano, si veda a tale proposito la tabella 6.2.

6.7.2 Risultati delle prove Leutner


Delle 12 carote sottoposte a prova non è stato possibile restituire i dati delle
prime tre per motivi tecnici. Le carote n° 1 e 2 mostravano comunque una
elevatissima porosità del conglomerato di usura posato, con tutta probabilità
dovuta ad una ripresa di stesa: si è comunque notato un loro comportamento
anomalo durante i test. L’unica carota rappresentativa delle condizioni di
collegamento della prima sezione resta la n° 4, che assieme alle n° 11 e 12
descrive il comportamento dei campioni relativi al piano di posa di
conglomerato bituminoso di binder. Le carote n° 5, 6, 7, 8 , 9 e 10 sono state

277
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

estratte dalle sezioni centrali ove il piano di posa è costituito dal piano viabile
esistente. In particolare, le carote intermedie sono state prelevate da un breve
tratto di controllo privo di mano d’attacco. Il grafico di figura 6.22 riporta tutte
le curve (τ – spostamenti) ritenute attendibili. La tabella 6.9 riporta i valori dei
quattro parametri caratteristici calcolati per le curve di rottura ottenute.

3.0

4
Tensione di Taglio (MN/m2)

2.5 5

2.0 7

1.5
9

10
1.0
11

12
0.5

Spostamento (m)

0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.22: Stendhal: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ2 + Δs2)1/2 (MN/m3)
St 04 1060 492 2.99 -526
St 05 680 613 1.01 -755
STENDHAL

St 06 653 560 0.76 -355


St 07 626 566 1.15 -823
St 08 810 640 0.97 -653
St 09 979 656 1.77 -407
St 10 805 526 1.58 -336
St 11 707 702 2.66 -821
St 12 915 531 3.03 -912

Tabella 6.9: Stendhal: valori dei quattro parametri caratteristici.

278
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è rappresentativo delle diverse superfici di
posa del sito; i test ottenuti da carote con due conglomerati nuovi hanno resituito
valori di resistenza superiori alle restanti: purtroppo non vi sono provini di
controllo su binder per quantificare l’efficacia della mano d’attacco in quel caso;
2) i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco ottenuti per carote con
binder nuovo sono generalmente bassi e compresi rispettivamente tra gli 1.5 ed
gli 1.8 MN/m2, ed i 2.0 ed i 3.0 mm; sulle carote prelevate nelle sezioni centrali,
i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco sono tra i più bassi
dell’intera sperimentazione e si attestano rispettivamente su valori compresi tra i
0.5 e gli 1.1 MN/m2, ed gli 0.6 ed gli 1.5 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 620 ed i 1060 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) le carote n° 5 e 6, nonostante la presenza di 70 gr/m2 di bitume residuo,
hanno mostrato i valori più bassi di tensione e spostamenti a rottura, con una
media di 0.50 MN/m2 per i primi ed una di 0.7 mm per i secondi;
5) i valori di (Ksec) e di (m) relativi ai provini con legante sono compresi
rispettivamente tra i 490 ed i 700 MN/m3 il primo ed i 0.7 ed i 3.0 MN/m2mm i
secondi;
6) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i – 330 ed i – 910 MN/m3;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Stendhal ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Per quanto riguarda i campioni prelevati dalle due sezioni centrali interessate
dalla sola posa di conglomerato bituminoso di usura, essi hanno restituito valori

279
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

di resistenza estremamente bassi, non superiori agli 1.11 MN/m2 con


spostamenti corrispondenti inferiori agli 1.5 mm. Tali dati derivano con tutta
probabilità da due concause: la scarsa compattazione dello strato superiore e lo
scarso ingranamento ottenibile dalle macrorugosità misurate, soprattutto alla
luce delle caratteristiche granulometriche della nuova miscela bituminosa. Con
riferimento al confronto tra carote con mano d’attacco e carote prive di legante,
si è notato un’inattesa similitudine di comportamento tra le n° 5, 6 e 7, 8. Il
motivo di ciò è certamente dovuto alla scarsa compattazione delle prime due che
presentano altresì l’eccessivo spessore di 4.8 cm. La figura 6.23 mostra il
confronto visivo tra le carote n° 5 e 7. In entrambe le porzioni superiori (di
destra), si possono notare le elevate dimensioni dei grani di miscela; nella
porzione inferiore della carota n°5 è evidente il bitume della mano d’attacco ed
il fatto che non si sia sviluppato ingranamento essendo esso pressoché intatto.
La parte inferiore della carota n° 7 invece è palesemente priva di legante e la
superficie del piano viabile originario è rimasta praticamente inalterata.

Figura 6.23: Confronto tre le superfici di taglio delle carote n° 5 e 7.

Le curve di rottura mostrano comunque la validità del parametro (p)


nell’esprimere la resistenza attritiva post-rottura dovuta al maggiore o minore
quantitativo di legante residuo. In particolare, le carote n° 7 ed 8 mostrano

280
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

pendenze maggiori, di contro le n° 9 e 10 le minori con valori di (p) medi


rispettivamente di –738 MN/m3 e –370 MN/m3.
I valori di resistenza più elevati mostrati dalle carote n° 9 e 10 sono legati alla
presenza del trattamento superficiale suddetto. In tale caso, per il fatto che il
collegamento del trattamento al proprio piano di posa è, molto probabilmente,
più resistente di quello creato con l’intervento di manutenzione eseguito, non si
è verificato il trasferimento del piano di taglio riscontrato in altri siti. Per tale
motivo le curve n° 9 e 10 si sono innalzate leggermente.
Per quanto riguarda i campioni prelevati dalle due sezioni di estremità, si hanno
soltanto tre curve di comparazione: una relativa ad un quantitativo di bitume
residuo pari a circa 65 gr/m2 e due con circa 120 gr/m2. Anche in questo caso i
valori di resistenza e spostamento restituiti sono bassi se paragonati a quelli
ottenuti nell’intera sperimentazione. Si presume che un ruolo fondamentale sia
stato nuovamente quello della scarsa compattazione del conglomerato
superficiale e dei forti spessori stesi. Essendo i risultati comunque superiori a
quelli ottenuti dalle due rispettive sezioni intermedie, si presume che la posa su
binder nuovo abbia contribuito in maggior misura alla resistenza del
collegamento. In tale caso, tuttavia, è più difficile la lettura dei valori di
pendenza post-picco (p) delle curve di rottura, dovendosi anche tenere in
considerazione la presenza del bitume che ricopre gli inerti che affiorano al
contatto. Una chiave di lettura dei risultati appena discussi può essere descritta
sulla base del fatto che il conglomerato di usura nuovo, viene posato caldo sul
piano di posa costituito da un conglomerato fresco, con un bitume giovane ed in
grado di rammollirsi almeno superficialmente, soprattutto dopo la posa della
mano d’attacco che comunque avviene a più di 40°C. Si può quindi ritenere
plausibile il cambiamento delle condizioni di ingranamento all’interfaccia così
come descritto nel capitolo terzo, per le quali, gli inerti superficiali del binder si
riorganizzano sotto l’azione del rullo compattatore che, comprimendo gli inerti

281
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

all’interfaccia del conglomerato superiore tende a farli penetrare tra quelli


dell’inferiore.

6.8 SITO DI PILASTRO

6.8.1 Introduzione
Il sito denominato “Pilastro” deriva il nome da quello della zona residenziale del
Comune di Bologna ove in Ottobre sono stati eseguiti diversi lavori di
manutenzione stradale. In una strada a doppia corsia di appena 300 metri di
lunghezza ed a senso unico di marcia, i tecnici del Comune hanno previsto un
intervento di manutenzione duplice; su una corsia è stata eseguita una scarifica
profonda dei conglomerati bituminosi esistenti al fine di ripristinare in una unica
soluzione sia il conglomerato di collegamento, sia quello di usura; l’altra corsia
ha richiesto solamente una risagomatura del piano viabile con la ricarica di un
nuovo conglomerato bituminoso di usura a contatto con quello esistente. Il sito
ha previsto, ai fini della sperimentazione, la realizzazione di quattro sezioni con
differenti quantitativi di mano d’attacco stesi. Le prime due sezioni hanno
interessato la corsia con usura esistente: nella 1ª sezione il quantitativo di
legante residuo misurato col test dei vassoi si è attestato attorno ai 120 gr/m2,
nella 2ª sezione si sono raggiunti i 190 gr/m2. Sulla corsia con binder nuovo si
sono approntate le restanti due sezioni: nella 3ª sezione sono stati misurati 120
gr/m2 di bitume residuo, mentre nella 4ª sezione circa 180 gr/m2.
La figura 6.24 mostra lo schema del sito ed i valori ottenuti dai test eseguiti. Con
riferimento alle prove di macrorugosità superficiale si sono rilevati valori
pressoché omogenei su ambedue le corsie di intervento. Nella prima corsia (1ª e
2ª sezione) la macrorugosità è spiccata, con valori compresi tra gli 1.10 e gli
1.40 mm di HS. Analogamente sulla superficie del binder nuovo si sono misurati
dai 0.90 agli 1.10 mm di HS.

282
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Il sito di Pilastro è purtroppo caratterizzato da una scarsa compattazione e dalla


disomogeneità di spessore del conglomerato bituminoso di usura posato su tutto
il tratto. Dagli spessori minimi di 2.0 cm della 1ª sezione si passa nello spazio di
30 metri a spessori oltre i 4.0 cm; nella 4ª sezione un provino ha toccato la punta
di 4.8 cm di spessore per il nuovo strato di usura.

450.0
bitume residuo gr/mq...

Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


400.0 65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura

350.0 HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa


HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito
300.0 Usura Vecchia Binder Nuovo
HS 0.55

250.0 % 12,9 4,7 cm % 13,1


190 g/m2 180 g/m2
HS 1,10 HS 1,20 HS 1,25 B2,B3 HS 1,0 HS 0,95 HS 0,95 D2,D3 4,5 cm
200.0
2,0 cm 3,9 cm
% 11,9 120 g/m2
120 g/m2 4,8 cm
150.0 A2,A3 NO T.C. C2,C3
NO T.C.
B1
D1
4,1 cm
100.0
2,0 cm HS 1,25 HS 1,00 4,2 cm HS 1,10 HS 1,05 HS 0,90
NO T.C. HS 1,40 NO T.C.
50.0 A1 C1

1ª sezione Idrobit 2ª sez. Idrobit 3ª sezione Idrobit 4ª sez. Idrobit vassoio


0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44

Figura 6.24: Pilastro: schema dei rilievi in sito.

Le caratteristiche del conglomerato di usura steso sono riportate in figura 6.25 e


comprendono oltre alla curva granulometrica anche la percentuale di bitume
calcolata in peso sugli inerti di miscela: il valore consuntivo ottenuto
dall’estrazione Soxhlet è del 5.53%.
La mano d’attacco adottata per questo intervento manutentivo è la medesima
impiegata nel sito di Stendhal e corrisponde ad una emulsione acida al 55% di
bitume normale denominata Idrobit 55 e prodotta da Valli-Zabban. Le
caratteristiche tecniche dell’emulsione sono proposte in tabella 6.2.

283
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI PILASTRO


100.0
Crivelli e
90.0
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 91.6
40.0
5 58.5
2 41.8
30.0
0.4 16.9
0.18 10.9
20.0
0.075 6.2
% bitume 5.53
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.25: Pilastro: curva granulometrica del conglomerato bituminoso di usura.

6.8.2 Risultati delle prove Leutner


Per ciascuna delle quattro sezioni è stato in seguito prelevato un campione di 3
provini, per un totale di 12 carote complessive. In questo caso, non essendo stati
previsti brevi tratti di controllo privi di mano d’attacco ed essendo agevole e
precisa la misurazione della posizione dei vassoi durante i test, si è provveduto
in ogni sezione ad estrarre una carota direttamente dal punto ove era stato
collocato un vassoio. Così facendo si sono ottenuti anche i provini di controllo.
Le curve di rottura registrate sono in certi casi assai difformi da quelle ottenute
in altre prove, soprattutto per il comportamento plastico dimostrato.
Ovviamente anche i parametri caratteristici sono fortemente condizionati dagli
andamenti delle curve ed in taluni casi, mostrano i valori più estremi degli
intervalli ottenuti nell’arco di tutta la sperimentazione.
Il grafico di figura 6.26 riporta tutte le curve (τ – spostamenti) registrate per i
campioni del sito.

284
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

3.0
A1

Tensione di Taglio (MN/m2)


A2
2.5
A3

B1

2.0 B2

B3

C1
1.5
C2

C3
1.0 D1

D2

0.5 D3

Spostamento (m)

0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.26: Pilastro: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

La tabella 6.10 riporta i valori dei quattro parametri caratteristici calcolati per le
curve di rottura ottenute.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ2 + Δs2)1/2 (MN/m3)
a1 870 439 2.40 -585
a2 816 475 2.57 -667
a3 654 455 2.46 -502
b1 979 908 0.68 -1067
PILASTRO

b2 843 655 0.79 -553


b3 822 593 0.84 -246
c1 897 291 3.85 -344
c2 626 393 3.03 -517
c3 897 410 2.59 -685
d1 334 223 5.14 -163
d2 761 277 3.67 -190
d3 761 333 3.71 -241

Tabella 6.10: Pilastro: valori dei quattro parametri caratteristici.

285
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è assai eterogeneo: vi sono curve con
scarsissime risorse di resistenza a comportamento fragile, curve a buona
resistenza, ma assai plastiche e curve intermedie che presentano gli scorrimenti
tipici dei deboli spessori di conglomerato superiore;
2) ogni sezione mostra provini con andamento simile a prescindere della
presenza o meno di mano d’attacco;
3) i valori di resistenza ottenuti dai provini testati sono in generale bassi se
confrontati con quelli di altri siti; i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di
picco ottenuti per carote con binder nuovo sono compresi rispettivamente tra gli
1.12 ed gli 1.34 MN/m2, ed gli 1.5 ed i 4.0 mm; sulle carote prelevate nelle
prime due sezioni, i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco sono tra
i più bassi dell’intera sperimentazione e si attestano rispettivamente su valori
compresi tra i 0.5 e gli 1.1 MN/m2, ed gli 0.6 ed i 2.3 mm;
4) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 620 ed i 980 MN/m3, ad esclusione del solo provino D1 per
il quale il valore è poco significativo, ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
5) le carote della 2ª sezione hanno mostrato i valori più bassi di tensione e
spostamenti a rottura, con una media di 0.50 MN/m2 per i primi ed una di 0.6
mm per i secondi;
6) i valori dei parametri (Ksec) ed (m) hanno medie differenti per ciascuna delle
sezioni realizzate: 456 MN/m3 e 2.48 simon per la 1ª sezione, 718 MN/m3 e 0.77
simon per la 2ª sezione, 365 MN/m3 e 3.16 MN/m2mm per la 3ª sezione, 277
MN/m3 e 4.18 MN/m2mm per la 4ª sezione;
7) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
compresi tra i – 160 ed i – 1060 MN/m3;

286
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per il sito di Pilastro ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Le curve di rottura offrono una difficile interpretazione delle condizioni di
collegamento del sito. Il dato evidente è la bassa resistenza complessiva dei
campioni prelevati, se paragonata a quelle ottenute in altri siti. La presenza di
condizioni inaspettatamente variabili, condiziona la possibilità di trarre
considerazioni di insieme e, anche all’interno di una medesima sezione, non
consente di distinguere tra carote prive di legante e carote con mano d’attacco,
anche se cospicua. Si preferisce quindi proporre una analisi dei risultati distinta
per sezione.
Per la 1ª sezione, il fattore condizionante è certamente l’esiguo spessore del
nuovo strato i usura steso: appena 2.0 cm su tutti i provini. Le curve ottenute
sono le più vicine al comportamento classico di rottura del collegamento
all’interfaccia, ma con tutta probabilità sono rappresentative anche delle
deformazioni interne del materiale bituminoso di strato e per tale motivo
raggiungono basse resistenze e notevoli spostamenti. Nelle curve A1 ed A3, ad
esempio, è evidente il lungo tratto di curva sub-orizzontale che testimonia la
sovrapposizione degli effetti di rottura del collegamento e di deformazione del
conglomerato di strato. Con riferimento alla presenza di mano d’attacco, non si
notano differenze evidenti di comportamento tra le carote A1 ed A2, A3.

Figura 6.27: Confronto tra le superfici di rottura di provini con e senza legante residuo.

287
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

In figura 6.27 è proposto il confronto visivo tra le superfici di rottura dei provini
A1 di A3 dei quali il primo prelevato in un punto privo di mano d’attacco ed il
secondo in un punto con circa 120 gr/m2 di bitume residuo. A riprova della
similitudine delle curve di rottura ottenute anche le interfacce appaiono del tutto
identiche: in particolare non è evidente la presenza di legante residuo. A tale
proposito si ritiene plausibile la presenza di un fenomeno, seppure parziale, di
“scomparsa dell’emulsione”. Con tutta probabilità nelle lavorazioni di cantiere
non sono stati attesi tempi si rottura necessari all’emulsione per posarsi
correttamente; questo fatto, in concomitanza ai bassi spessori stesi, può aver
favorito la permeazione della mano d’attacco all’interno del conglomerato di
strato durante la fase di compattazione. Ciò giustificherebbe sia l’evidente
somiglianza tra le interfacce di rottura, sia la mancata differenziazione tra le
curve corrispondenti. Anche i valori dei parametri caratteristici sono del tutto
uniformi tra loro.
Il fattore più condizionante per la 2ª sezione è senz’altro la scarsa compattazione
del conglomerato bituminoso superficiale: valori prossimi al 13% di vuoti
residui sono tipici dei conglomerati speciali quali tappeti anti-skid o strati
drenanti e non hanno certamente consentito al collegamento di interfaccia di
sfruttare le risorse di resistenza offertegli dalla notevole macrorugosità del piano
di posa. Le tre curve ottenute dalle carote B1, B2 e B3 sono estremamente
simili, forse anche per i bassi valori raggiunti. Le condizioni di resistenza del
provino B1 dovrebbero riproporre quelle del provino A1 essendo ambedue privi
di legante e posati sull’usura esistente, ma non è così. La notevole differenza
risiede dunque soltanto nella diversa compattazione e nel diverso spessore di
stesa. In questo caso la similitudine tra le curve non è supportata dalla analogia
visiva tra le interfacce di taglio. La figura 6.28 pone a confronto la carota B1
evidentemente priva di bitume residuo con la B3 sulla quale si notano facilmente
i 190 gr/m2 di legante stesi.

288
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Figura 6.28: Confronto tra le superfici di rottura di provini con e senza legante residuo.

L’unica chiave di lettura delle curve della 2ª sezione è certamente il parametro


(p). In effetti, le curve post-rottura mostrano pendenze completamente differenti.
Al di là delle scarse resistenza offerte dai collegamenti, le resistenze attritive
residue sono di agevole lettura per altro riscontrabile anche dal bitume presente
all’interfaccia. Il valore di –1067 MN/m3 per la carota B1 è indice di una rottura
fragile e di assenza di risorse post-picco, mentre i –246 MN/m3 di B3
restituiscono tutta la resistenza offerta dai 190gr/m2 di legante della mano
d’attacco. I -553 MN/m3 di B2 sono anch’essi riscontrabili nel minor
quantitativo di legante presente rispetto a B3.
Le curve delle carote C1, C2 e C3 della 3ª sezione sono di difficile
interpretazione, soprattutto perché la rottura di C1 è stata condizionata, in
seguito al non corretto posizionamento del provino nella macchina di taglio,
dalla presenza di un grosso inerte di bordo (del conglomerato di binder) che si è
frapposto all’azione tagliante del semi-anello inferiore spaccandosi. Allo stesso
tempo un agglomerato di inerti grossolani del conglomerato di usura ha
ostacolato la rottura creando una anomala singolarità di contatto. Per tale motivo
si può pensare di escludere dalla valutazione la carota C1 sfruttandola per
richiamare il problema della verifica delle dimensioni massime degli inerti in
relazione alle dimensioni del provino sottoposto a Leutner test.

289
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Le curve di C2 e C3 differiscono di poco così come visivamente simili sono le


superfici di rottura. Anche in questo caso la scarsa compattazione ha giocato a
sfavore della resistenza del collegamento senza che il possibile ingranamento tra
gli strati fosse sfruttato appieno. I valor di pendenza post-picco sono comunque
rappresentativi della presenza di legante, anche se in misura minore rispetto alle
carote della 2ª sezione.
Le tre curve della 4ª sezione hanno andamenti estremamente plastici. Le
superfici della carota D1 dopo la rottura appaiono assai irregolari e la presenza
di numerosi inerti dislocati plasticamente sul bordo della superficie di taglio,
lascia supporre sia la riorganizzazione delle condizioni di ingranamento
all’interfaccia tra i due conglomerati nuovi, sia, forse anche come conseguenza
di quello, il non corretto posizionamento del provino. Le carote D2 e D3
rivelano la presenza di legante, ma a differenza delle carote C2 e C3 è evidente
il rimaneggiamento delle condizioni di ingranamento all’interfaccia, nonostante
la scarsa compattazione. Nessuno dei quattro parametri caratterizzanti le curve
offre una chiave di lettura dei risultati.

6.9 SITO DI CRESPELLANO

6.9.1 Introduzione
Nel Comune di Crespellano a pochi chilometri da Bologna, negli ultimi giorni
del maggio 2003 è stato eseguito un consistente intervento di manutenzione
stradale sulla pavimentazione di Via Lunga, nella omonima località. La strada,
interessata da un elevato traffico giornaliero di mezzi pesanti, ha richiesto, per il
tratto compreso tra la nuova Bazzanese ed il cavalcavia autostradale, la
sostituzione degli strati bituminosi superficiali, tramite la scarifica di diversi
centimetri di pacchetto stradale esistente e la posa di un nuovo strato di
collegamento e di usura. Tra la posa di uno strato e di quello successivo è

290
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

trascorsa circa una settimana durante la quale il tratto stradale è stato aperto al
traffico. Il sito è stato particolarmente utile alla sperimentazione essendo stati
previsti ben sei tratti a diversi quantitativi di mano d’attacco bituminosa
modificata. L’emulsione adottata a Crespellano è un prodotto Valli-Zabban
confezionata al 70% di bitume modificato a media penetrazione ed elevata
temperatura di rammollimento: si osservino in tale proposito le caratteristiche
ottenute in laboratorio di tabella 6.11. La stesa è avvenuta tramite barra
spruzzatrice autocarrata con dispositivo di controllo in cabina.

HELASTOVAL Metodo di Unità di Valori di Valore


Caratteristiche prova Misura Specifica analisi
Grado di acidità Interno pH 2.0 ÷ 4.0 2.9
% legante totale EN1431 % 70.0 ± 2 69
Trattenuto setaccio
EN 1429 % < 0.2 0
630 µm
Viscosità dinamica ASTM 4402 mPa s 212
Granulometria
Laser max/medio CIS 100
Ø micron < 10.0 3.28/5.29
particelle media Interno
popolazione
Residuo bituminoso distillato CNR n.100/84 modificata a 204°C
Penetrazione a 25°C, EN 1426 dmm 58
Punto di
EN 1427 °C 80,2
rammollimento

Tabella 6.11: Crespellano: Caratteristiche dell’emulsione bituminosa impiegata.

Trattandosi di emulsione modificata, tra le lavorazioni di cantiere è stata anche


prevista la distribuzione di un leggero quantitativo di cemento, successiva alla
rottura dell’emulsione per evitarne l’asportazione da parte dei mezzi di cantiere.
La figura 6.29 riporta una fotografia nella quale è rappresentata l’operazione di
aspersione del piano di posa. La pratica, seppur efficace può risultare discutibile
dal punto di vista tecnico perché può ridurre le proprietà adesive del bitume
della mano d’attacco.

291
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Figura 6.29: Crespellano: Distribuzione di cemento sulla mano d’attacco.

Il conglomerato superficiale steso è un’usura tradizionale con un discreto


contenuto di legante pari al 6.23% in peso sugli inerti. La curva granulometrica
è anomala essendo presente un notevole quantitativo di passante al setaccio 0.4
mm che ne riduce le possibilità di addensamento.

CURVA GRANULOMETRICA CONGLOMERATO BITUMINOSO PER USURA - SITO DI CRESPELLANO


100.0
Crivelli e
90.0
setacci UNI Curva
2234 (mm)
80.0
100 100.0
Percentage Passing (%)

70.0 71 100.0
40 100.0
60.0 30 100.0
25 100.0
50.0 15 100.0
10 100.0
40.0 5 62.2
2 46.5
30.0 0.4 27.6
0.18 13.4
20.0 0.075 5.5
% bitume 6.20
10.0

0.0
0.01 0.1 1 10 100
Sieve Size log (mm)

Figura 6.30: Crespellano: curva granulometrica del conglomerato bituminoso di usura.

292
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

La figura 6.30 riporta la curva granulometrica desunta dall’estrazione di


laboratorio condotta su diversi campioni di conglomerato prelevati alla stesa.
Per ciascuno dei tratti realizzati vengono di seguito descritte e commentate sia le
prove di caratterizzazione della macrorugosità del piano di posa e del
quantitativo di bitume residuo misurato tramite il test dei vassoi, sia i risultati
dei Leutner test eseguiti sui campioni prelevati, nonché il calcolo dei quattro
parametri di caratterizzazione delle curve di rottura.

6.9.2 Sezione 1ª
La 1ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa della mano d’attacco in
quantitativi di bitume residuo compresi tra i 300 ed i 400 gr/m2: tra i più elevati
dell’intera sperimentazione. La figura 6.31 riporta lo schema della sezione nel
quale è possibile osservare come la macrorugosità superficiale del binder nuovo
si aggiri su valori prossimi agli 0.58 mm di HS. La predisposizione
all’ingranamento tra i conglomerati bituminosi posati è sufficiente essendo stato
misurato un valore medio di HS per la superficie dell’usura pari a 0.42 mm.

900.0
bitume residuo gr/mq...

Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


800.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
700.0
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
600.0 HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito

500.0 Binder Nuovo


HS 0,42

400.0

1C 1D 1E 1F
300.0
1B 2/3 cm 380 g/m2 380 g/m2 NO T.C. 380 g/m2
1A
NO T.C. % 7/8 % 7/8 % 7/8 % 7/8
NO T.C.
200.0 % 7/8 HS 0,58 HS 0,58 HS 0,58 HS 0,58
% 7/8 2/3 cm
HS 0,60 HS 0,58 2/3 cm 2/3 cm 2/3 cm
100.0
1ª sezione Helastoval
vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Figura 6.31: 1ª sezione: schema dei rilievi in sito.

293
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Il conglomerato di usura steso ha mostrato una compattazione appena sufficiente


con valori di vuoti residui compresi tra il 7 e l’8%.
Dalla sezione sono state prelevate in tutto sei carote: tre, in corrispondenza dei
punto di misura con vassoio e pertanto prive di mano d’attacco, tre in presenza
di legante in quantitativo prossimo ai 380 gr/m2.
Delle curve di rottura registrate se ne considerano, ai fini della valutazione del
collegamento tra gli strati della pavimentazione, soltanto cinque, essendo quella
ottenuta dalla carota 1E compromessa dalla presenza di un grosso inerte
frantumato. La figura 6.32 riporta tutte le curve (τ – spostamenti) ritenute
attendibili.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m )
2

1A

2.5 1B

1C

2.0 1D

1F

1.5

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.32: 1ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

L’analisi delle curve è stata eseguita sia confrontando direttamente dal grafico i
valori di tensioni tangenziali e spostamenti a rottura, sia calcolando per ciascuna
di esse i valori dei quattro parametri introdotti in precedenza: (Ki), (Ksec), (m) e
(p) riportati in tabella 6.12.

294
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
CRESP. 1° 1A 685 395 2.41 -1245
1B 685 420 3.06 -1743
1C 816 463 3.48 -266
1D 498 430 3.20 -223
1E 812 476 3.59 -656
1F 663 519 3.31 -318

Tabella 6.12: 1ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è quello tipico dei collegamenti ottenuti in
altri siti; vi è in più una spiccata differenza di comportamento tra le carote con
mano d’attacco e senza; occorre tener conto che le prove Leutner relative ai
provini di tale sezione sono state erroneamente eseguite ad una temperatura di
alcuni gradi superiore ai 20°C;
2) i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco ottenuti per carote con
mano d’attacco sono compresi rispettivamente tra gli 1.2 ed gli 1.5 MN/m2, ed i
3.0 ed i 3.2 mm; sulle carote prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e
spostamenti di picco si attestano rispettivamente su valori compresi tra gli 0.9 e
gli 1.2 MN/m2, ed i 2.3 ed i 2.9 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 500 ed i 820 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 400 ed i 520
MN/m3 il primo ed i 2.4 ed i 3.6 MN/m2mm i secondi;
5) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
prossimi ai –270 MN/m3 per i provini con legante ed ai –1500 MN/m3 per i
provini senza mano d’attacco;

295
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 1ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Le curve mostrano un’evidente differenza di comportamento tra i provini con e
senza mano d’attacco. In particolare, i primi hanno sia valori di resistenza
massima più elevati, sia andamenti post-rottura assai più duttili dei secondi. Il
contributo di resistenza offerto dalla mano d’attacco risulta in circa 0.3 MN/m2
per le tensioni tangenziali e in 0.5 mm per gli spostamenti. Il parametro di
lettura più significativo è (p) per il quale la differenza tra le medie calcolate nei
due casi è pari in valore assoluto a 1230 MN/m3 a testimonianza di come il
legante bituminoso modificato sia ottimale per garantire risorse di resistenza
residue a rottura avvenuta.
Una osservazione di rilevante importanza nell’ambito dell’analisi dei dati del
sito di Crespellano, riguarda l’effetto che la pratica di distribuire un agente di
distacco quale ad esempio cemento, può avere sull’effettiva efficacia della mano
d’attacco nel contribuire alla resistenza del collegamento di interfaccia.
L’utilizzo di un filler è certamente preferibile a quello di graniglie che, se mal
distribuite, possono compromettere il collegamento di interfaccia, riducendo
localmente la compattazione dello strato di conglomerato superficiale posato. I
fillers, se dosati in quantitativi adeguati, oltre ad agevolare come detto le
lavorazioni di cantiere, possono formare assieme al bitume residuo, un mastice
bituminoso del tutto analogo a quello di un normale conglomerato, che mantiene
buone proprietà di adesione e coesione a favore della resistenza del
collegamento. Studi in proposito [66] hanno confermato come la presenza di
materiale contaminante fine non sia deleteria per la resistenza del collegamento
fintanto che il quantitativo non sia tale da indebolire le caratteristiche del
mastice bituminoso.
Occorre poi notare che, le carote prive di legante, sono comunque state
interessate dall’aspersione di cemento che, in assenza di mano d’attacco, non

296
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

sarebbe stato distribuito; nella valutazione della loro resistenza occorre tenerne
conto. Non sono state infatti previste carote che simulassero la mancanza di
mano d’attacco e la posa diretta del conglomerato superficiale sul binder da
poco posto. In tale caso, si sarebbe potuto attendere un contributo alla resistenza
del collegamento offerto dalla presenza del bitume del conglomerato di strato
sulla superficie del binder in sostituzione della mano d’attacco.

6.9.3 Sezione 2ª
La 2ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa di un quantitativo di
mano d’attacco compreso tra i 500 e gli 800 gr/m2 in bitume residuo.
I valori di HS riportati in figura 6.33 sono compresi tra i 0.55 e i 0.72 mm a
testimonianza della macrorugosità piuttosto limitata del piano di posa in binder.
La predisposizione del conglomerato superficiale a realizzare ingranamento
colla superficie di posa è valutabile dal valore di HS misurato sul nuovo piano
viabile: 0.38 mm.

900.0
Binder Nuovo
bitume residuo gr/mq...

HS 0,38
800.0

2A 2F 2/3 cm
700.0 NO T.C. NO T.C.
% 7/8 2C
2D HS 0,69 % 7/8
HS 0,55 780 g/m2
600.0 780 g/m2
% 7/8
2B % 7/8
2E
2/3 cm
500.0 780 g/m2 HS 0,53 NO T.C.
2/3 cm % 7/8 % 7/8
2/3 cm
400.0 HS 0,55 HS 0,72

2ª sezione Helastoval
300.0
Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
200.0
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
100.0 HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8

Figura 6.33: 2ª sezione: schema dei rilievi in sito.

297
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Il conglomerato di usura steso ha mostrato una compattazione appena sufficiente


con valori di vuoti residui compresi tra il 7 e l’8%.
Dalla sezione sono state prelevate in tutto sei carote: tre, in corrispondenza dei
punto di misura con vassoio e pertanto prive di mano d’attacco, tre in presenza
di legante in quantitativo prossimo ai 780 gr/m2.
Delle curve di rottura registrate se ne considerano, ai fini della valutazione del
collegamento tra gli strati della pavimentazione, soltanto cinque, essendo quella
ottenuta dalla carota 2A compromessa dal non corretto posizionamento del
rovino nel dispositivo di taglio. La figura 6.34 riporta tutte le curve (τ –
spostamenti) ritenute attendibili.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

2B

2.5 2C

2D

2.0 2E

2F

1.5

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.34: 2ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

L’analisi delle curve è stata eseguita sia confrontando direttamente dal grafico i
valori di tensioni tangenziali e spostamenti a rottura, sia calcolando per ciascuna
di esse i valori dei quattro parametri introdotti in precedenza: (Ki), (Ksec), (m) e
(p) riportati in tabella 6.13.

298
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
CRESP. 2° 2A 592 510 4.85 -369
2B 654 574 4.06 -419
2C 616 492 4.48 -345
2D 529 555 4.69 -219
2E 623 527 3.14 -294
2F 589 474 4.18 -660

Tabella 6.13: 2ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura è inaspettatamente uniforme, soprattutto
alla luce di quanto osservato in precedenza circa l’impiego di cemento anche sui
punti privi di legante;
2) i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco ottenuti per carote con
mano d’attacco sono compresi rispettivamente tra i 2.0 ed i 2.3 MN/m2, ed i 3.7
ed i 4.2 mm; sulle carote prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e
spostamenti di picco si attestano rispettivamente su valori compresi tra gli 1.4 e
gli 1.8 MN/m2, ed i 2.8 ed i 3.8 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 530 ed i 650 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 470 ed i 570
MN/m3 il primo ed i 3.1 ed i 4.6 MN/m2mm i secondi;
5) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
prossimi ai –220 MN/m3 per i provini con legante ed ai –660 MN/m3 per i
provini senza mano d’attacco;

299
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 2ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Le curve mostrano una certa differenza di comportamento tra i provini con e
senza mano d’attacco. In particolare, i primi hanno sia valori di resistenza
massima più elevati, sia andamenti post-rottura leggermente più duttili dei
secondi. Il contributo di resistenza offerto dalla mano d’attacco risulta in circa
0.5 MN/m2 per le tensioni tangenziali e in 0.5 mm per gli spostamenti. In questa
sezione l’attesa variazione del parametro (p) di pendenza post-picco non è stata
registrata e gli andamenti delle cinque curve analizzate sono simili.
Tutte le curve sono caratterizzate dalla asportazione reciproca di conglomerato
dai due strati; in particolare le carote 2B, 2C e 2D hanno verificato il distacco di
parte del conglomerato di usura, rimasta legata allo strato sottostante. La figura
6.35 mostra la presenza dell’abbondante mano d’attacco e la rottura di parte del
conglomerato di usura a riprova del potere legante del bitume modificato pur se
in quantitativo notevole.

Figura 6.35: Rottura per asportazione di conglomerato di usura.

La duttilità delle curve ottenute dalle carote 2E e 2F è attribuibile alla presenza


di alcuni grossi inerti di bordo che hanno subito l’azione dei semi-anelli di taglio

300
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

dislocandosi sul margine della superficie di rottura anche nella fase di post-picco
non consentendo l’interpretazione dei valori calcolati per il parametro (p).

6.9.4 Sezione 3ª
La 3ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa di un quantitativo di
mano d’attacco compreso tra i 650 e gli 800 gr/m2 in bitume residuo. Le Altezze
di Sabbia misurate sul piano di posa sono mediamente di 0.65 mm a
testimonianza della poca macrorugosità superficiale del binder steso. La figura
6.36 riporta lo schema della 3ª sezione coi relativi valori misurati.

900.0
Binder Nuovo
bitume residuo gr/mq...

HS 0,38
800.0
HS 0,63
HS 0,66
700.0 3Ci 3Bi

NO T.C. NO T.C. 3Ai


2/3 cm NO T.C.
% 7/8 % 7/8
600.0 2/3 cm
3C 3B % 7/8
740 g/m2 740 g/m2 3A
500.0 2/3 cm
% 7/8 % 7/8 720 g/m2
2/3 cm
% 7/8

400.0 3ª sezione Helastoval

300.0 Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
200.0 %VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
100.0
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito
vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Figura 6.36: 3ª sezione: schema dei rilievi in sito.

Anche in tale caso il conglomerato bituminoso è stato steso in spessori medi


minimi prossimi ai 3 cm. La compattazione, in certi punti scarsa è mediamente
stata rilevata in una percentuale dei vuoti pari al 7 ÷ 8%. Si tenga conto che il
prelievo delle carote è avvenuto a pochi giorni dalla stesa del conglomerato
superficiale.
La figura 6.37 riporta le curve ricavate dalle prove Leutner.

301
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

3.0

Tensione di Taglio (MN/m2)


3A

2.5 3Ai

3B

2.0 3Bi

3C

1.5

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.37: 3ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

I valori dei parametri caratteristici delle curve sono riportai in tabella 6.14.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
3A 592 638 4.27 -551
CRESP. 3°

3Ai 903 494 3.01 -920


3B 654 641 4.37 -347
3Bi 436 553 3.22 -728
3C 903 603 3.97 -462
3Ci 778 520 4.12 -633

Tabella 6.14: 3ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) l’andamento delle curve di rottura rispecchia le differenze di legante
presenti: maggiori resistenze e spostamenti per carote con mano d’attacco
rispetto a quelle prive;
2) i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco ottenuti per carote con
mano d’attacco sono compresi rispettivamente tra i 2.0 ed i 2.4 MN/m2, ed i 3.5

302
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

ed i 3.7 mm; sulle carote prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e


spostamenti di picco si attestano rispettivamente su valori compresi tra gli 1.3 e
gli 1.6 MN/m2, ed i 2.9 ed i 3.0 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 430 ed i 900 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 490 ed i 640
MN/m3 il primo ed i 3.0 ed i 4.4 MN/m2mm i secondi;
5) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
prossimi ai –450 MN/m3 per i provini con legante ed ai –760 MN/m3 per i
provini senza mano d’attacco;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 3ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
I 740 gr/m2 di bitume residuo hanno conferito al collegamento notevoli proprietà
di resistenza aumentando le tensioni tangenziali a rottura medie di almeno 0.8
MN/m2 e gli spostamenti corrispondenti di 0.8 mm. Ciò si rinviene anche nei
valori dei moduli (m) che passano da 3.4 a 4.2 MN/m2mm.
Per quanto riguarda la pendenza della curva post-picco sono confermati i bassi
valori in modulo per la presenza di mano d’attacco e valori più alti di 310
MN/m3 per le curve registrate da carote prive di legante. Nonostante la
differenza riscontrata, essa non raggiunge i valori visti ad esempio per la 1ª
sezione: ciò è imputabile alla minor presenza di cemento di distacco nel punto in
cui è stato prelevato il campione.

303
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.9.5 Sezione 4ª
La 4ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa di un quantitativo di
mano d’attacco compreso tra i 300 e gli 450 gr/m2 in bitume residuo. Le Altezze
di Sabbia misurate sul piano di posa sono mediamente di 0.45 mm a
testimonianza della poca macrorugosità superficiale del nuovo binder steso. La
figura 6.37 riporta lo schema della 4ª sezione coi relativi valori misurati.
600.0
bitume residuo gr/mq...

Binder Nuovo
HS 0,38
500.0 4C 4B 4A
NO T.C. NO T.C. NO T.C.
% 7/8 2/3 cm
4F 4E 4D
400.0 300 g/m2 300 g/m2 300 g/m2
% 7/8 2/3 cm

HS 0,45
300.0
4ª sezione Helastoval

200.0 Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
100.0
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito
vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Figura 6.37: 4ª sezione: schema dei rilievi in sito.

Anche in tale caso il conglomerato bituminoso è stato steso in spessori medi


minimi prossimi ai 3 cm. La compattazione, in certi punti scarsa, è mediamente
stata rilevata in una percentuale dei vuoti del conglomerato bituminoso di usura
pari al 7 ÷ 8%. Si tenga conto che il prelievo delle carote è avvenuto a pochi
giorni dalla stesa del conglomerato superficiale e pertanto non ha risentito della
compattazione dovuta al transito dei mezzi.
La figura 6.38 riporta le curve ricavate dalle prove Leutner. La curva della
carota 4C è caratterizzata dalla rottura di un inerte sul bordo del piano di taglio
che ha notevolmente innalzato il carico a rottura: se ne tenga conto.

304
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

3.0

Tensione di Taglio (MN/m2)


4A

4B
2.5
4C

4D
2.0
4E

4F

1.5

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.38: 4ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

I valori dei parametri caratteristici delle curve calcolati, sono riportati in tabella
6.15.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
4A 947 614 2.56 -840
CRESP. 4°

4B 992 765 2.06 -5444


4C 897 762 3.12 -5837
4D 967 670 4.24 -484
4E 915 649 4.24 -419
4F 809 649 4.60 -384

Tabella 6.15: 4ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) anche in questo caso l’andamento delle curve di rottura rispecchia le
differenze di legante presenti: maggiori resistenze e spostamenti per carote con
mano d’attacco rispetto a quelle prive; queste ultime hanno presentato una
rottura assai fragile a testimonianza della presenza del cemento asperso;

305
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

2) i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco ottenuti per carote con


mano d’attacco sono compresi rispettivamente tra i 2.3 ed i 2.5 MN/m2, ed i 3.6
ed i 3.9 mm; sulle carote prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e
spostamenti di picco si attestano rispettivamente su valori prossimi agli 1.5
MN/m2, ed ai 2.0 mm;
3) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 810 ed i 990 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
4) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 620 ed i 760
MN/m3 il primo ed i 2.0 ed i 4.6 MN/m2mm i secondi;
5) i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti negativi e
prossimi ai –430 MN/m3 per i provini con legante ed ai –4040 MN/m3 per i
provini senza mano d’attacco;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 4ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
I 300 gr/m2 di bitume residuo hanno conferito al collegamento notevoli proprietà
di resistenza aumentando le tensioni tangenziali a rottura medie di almeno 1.0
MN/m2 e gli spostamenti corrispondenti di 1.5 mm. Ciò si rinviene anche nei
valori dei moduli (m), che passano dai 2.6 ai 4.4 MN/m2mm. Si consideri anche
la riduzione degli spostamenti delle carote prive di legante dovuta alla presenza
del cemento di distacco. Per quanto riguarda la pendenza della curva post-picco,
sono confermati i bassi valori in modulo per la presenza di mano d’attacco e
valori più alti di ben 3600 MN/m3 per le curve registrate da carote prive di
legante. In tale caso le differenza è molto elevata ed è giustificata dalla notevole
fragilità del collegamento nel caso di assenza di mano d’attacco e presenza di
molto cemento sul binder.

306
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

6.9.6 Sezione 5ª
La 5ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa di un quantitativo di
mano d’attacco compreso tra i 450 e gli 520 gr/m2 in bitume residuo.
La sezione è caratterizzata dalla presenza di due differenti piani di posa essendo
essa all’estremità dal tratto stradale interessato dai lavori di manutenzione. Un
prima porzione ha visto la posa su binder nuovo così come per le sezioni
precedenti, una seconda porzioni invece, è stata interessata dalla posa diretta di
conglomerato bituminoso superficiale sul piano viabile esistente costituito da
una usura ammalorata ad elevata macrorugosità.
Le Altezze di Sabbia misurate sul piano di posa sono mediamente di 0.55 mm
per la prima porzione, a testimonianza della poca macrorugosità superficiale del
binder steso e di 0.90 mm per l’usura esistente sulla quale è evidente l’azione
esercitata dal traffico che la ha interessata.
La figura 6.39 riporta lo schema della 5ª sezione coi relativi valori misurati.
700.0
bitume residuo gr/mq...

Binder Nuovo Usura Vecchia


600.0 HS 0,42
HS 0,60
HS 0,51 HS 0,95 HS 0,85
500.0 5A
5I
NO T.C. 5G
5C 520 g/m2
% 7/8 5D 5E
500 g/m2
400.0 490 g/m2 480 g/m2 480 g/m2 5F 5H 2/3 cm
5B
% 7/8 % 7/8 NO T.C. 2/3 cm 450 g/m2
NO T.C. 2/3 cm
% 7/8 % 7/8

300.0
5ª sezione Helastoval

Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote


200.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
100.0 HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Figura 6.39: 5ª sezione: schema dei rilievi in sito.

307
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Anche in tale caso il conglomerato bituminoso è stato steso in spessori medi


minimi prossimi ai 3 cm. La compattazione è riscontrabile dal valore della
percentuale dei vuoti in certi punti prossima all’8%.
Nella prima parte della sezione è stato previsto un breve tratto privo di legante
dal quale prelevare le carote di controllo, mentre sull’usura esistente il campione
è stato prelevato dal punto in cui era collocato un vassoio.
La figura 6.40 riporta le curve ricavate dalle prove Leutner per tutti i provini
estratti. La curva della carota 5I è stata eliminata in quanto lo spessore del
conglomerato di usura posato, non ha consentito l’esecuzione corretta della
prova. La curva di 5A deve essere invece re-interpretata sulla base della
presenza di un aggregato di bordo a rottura che ha innalzato il carico massimo di
qualche unità.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

5A

5B
2.5
5C

5D

2.0 5E

5F

5G
1.5
5H

1.0

0.5

Spostamento (m)
0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.40: 5ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

I valori dei parametri caratteristici delle curve sono riportai in tabella 6.16.

308
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ + Δs2)1/2
2
(MN/m3)
5A 992 684 2.79 -3464
5B 592 585 2.41 -1596
CRESP. 5°

5C 759 481 3.62 -375


5D 741 470 4.09 -345
5E 592 426 3.70 -379
5F 623 812 1.91 -2646
5G 654 692 2.97 -483
5H 915 672 3.47 -458

Tabella 6.16: 5ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) su ambedue le superfici di posa, l’andamento delle curve di rottura
rispecchia le differenze di legante presenti: maggiori resistenze e spostamenti
per carote con mano d’attacco rispetto a quelle prive; non considerando, per
quanto detto, il comportamento iniziale di 5A, sono chiaramente distinguibili i
risultati relativi alle due diverse sotto sezioni;
2) per quanto riguarda la posa su binder nuovo, i valori di tensioni tangenziali e
spostamenti di picco ottenuti per carote con mano d’attacco sono compresi
rispettivamente tra gli 1.44 ed gli 1.74 MN/m2, ed i 3.3 ed i 3.7 mm; sulle carote
prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco si
attestano rispettivamente su valori prossimi agli 1.3 MN/m2, ed ai 2.3 mm;
3) per quanto riguarda la posa su usura esistente, i valori di tensioni tangenziali
e spostamenti di picco ottenuti per carote con mano d’attacco sono compresi
rispettivamente tra gli 1.68 ed gli 1.93 MN/m2, ed i 2.5 ed i 3.0 mm; sulle carote
prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco si
attestano rispettivamente su valori prossimi agli 1.5 MN/m2, ed ai 1.2 mm;
4) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 590 ed i 990 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di

309
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta


adesione (> 10000 MN/m3);
5) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 420 ed i 810
MN/m3 il primo ed i 1.9 ed i 4.1 MN/m2mm i secondi;
6) sul binder, i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti
negativi e prossimi ai –340 MN/m3 per i provini con legante ed ai –2500 MN/m3
per i provini senza mano d’attacco; sull’usura esistente i valori della pendenza
della curva post-picco (p) sono di –470 MN/m3 per i provini con legante ed ai –
2600 MN/m3 per il provino senza mano d’attacco;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 5ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Con riferimento ai risultati ottenuti dalle carote delle prima porzione di stesa, si
ripropone la differenza tra quelle prive di mano d’attacco e quelle che, in questo
caso ne presentano ben 480 gr/m2. Le prime risultano, forse anche per la
presenza del cemento, assai più deboli e fragili delle seconde che mostrano un
andamento a campana indice di una certa plasticità di rottura del collegamento.
Ad esclusione della carota 5A, come detto anomala, tutte le altre su binder
presentano un andamento pre-rottura a tratti coincidente. La carota 5B rompe
almeno 0.7 MN/m2 prima delle altre ed ha una resistenza attritiva post-picco
tipica delle carote prive di legante prossima ai –2000 MN/m3. Le pendenze post-
picco delle altre curve sono indice del fatto che la mano d’attacco interviene in
seguito alla rottura e si attestano su valori prossimi ai –360 MN/m3.
Simili, ma più rigide e leggermente più resistenti sono le curve ottenute dalle
carote prelevate sul piano di posa ammalorato. In tale caso, si ritiene plausibile
che un notevole contributo alla resistenza si pervenuto dall’ingranamento tra gli
strati riscontrabile dai valori di HS misurati. L’incremento di resistenza dovuto
al legante è prossimo agli 0.6 MN/m2, con spostamenti aumentati di 1.4 mm.

310
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Queste curve sono più rigide delle corrispondenti curve su binder: ciò è
imputabile al maggior ingranamento. Per quanto riguarda i valori di pendenza
post-picco è rispettata la regola per cui con legante si ottengono valori di – 470
MN/m3 circa e senza legante si raggiungono i – 2600 MN/m3.

6.9.7 Sezione 6ª
La 6ª sezione del sito di Crespellano ha previsto la stesa di un quantitativo di
mano d’attacco compreso tra i 400 e gli 600 gr/m2 in bitume residuo. Anche
questa sezione è caratterizzata dalla presenza di due differenti piani di posa. Un
prima porzione su binder nuovo, una seconda sul piano viabile esistente
costituito da una usura ammalorata. Le Altezze di Sabbia misurate sul piano di
posa sono mediamente di 0.65 mm per la prima porzione, superiori alle sezioni
precedenti e di soli 0.55 mm per l’usura esistente sulla quale tuttavia si ritiene
poco veritiera la misura per via della eterogeneità della superficie. Anche in tale
caso il conglomerato bituminoso è stato steso in spessori medi minimi prossimi
ai 3 cm. La figura 6.41 riporta lo schema della 6ª sezione.
700.0
Binder Nuovo Usura Vecchia
bitume residuo gr/mq...

HS 0,38
600.0 6F
460 g/m2 6C
480 g/m2

500.0 6H HS 0,49 HS 0,95 2/3 cm


520 g/m2 6G
HS 0,85
2/3 cm NO T.C. 6E HS 0,55
2/3 cm
400.0 6M 6L 6I % 7/8 470 g/m2
490 g/m2 480 g/m2 460 g/m2 6Gi % 7/8 6D 6B 6A
% 7/8 % 7/8 NO T.C. NO T.C. 400 g/m2 400 g/m2

300.0 % 7/8

6ª sezione Helastoval 6ª sezione Helastoval


Legenda: 1,2,3 sigla identificativa posizione carote
200.0
65 g/m2 grammi di bitume residuo per mq
%VUOTI % vuoti del conglomerato di usura
100.0
HS 0,95 Altezza di Sabbia del piano di posa
HS 0,75 Altezza di Sabbia del piano finito vassoio
0.0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

Figura 6.41: 6ª sezione: schema dei rilievi in sito.

311
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

Nella prima parte della sezione è stato previsto un breve tratto privo di legante
dal quale prelevare le carote di controllo, mentre sull’usura esistente il campione
è stato prelevato dal punto in cui era collocato un vassoio. La figura 6.42 mostra
il tratto privo di mano d’attacco.

Figura 6.42: Tratto privo di mano d’attacco.

La figura 6.43 riporta le curve ricavate dalle prove Leutner.

3.0
Tensione di Taglio (MN/m2)

6A

2.5 6B

6C

6D
2.0
6E

6F

6G
1.5
6Gi

6I

1.0 6L

0.5

Spostamento (m)

0.0
0.000 0.001 0.002 0.003 0.004 0.005 0.006 0.007 0.008 0.009 0.010

Figura 6.43: 6ª sezione: curve (τ – spostamento) ricavate dai test Leutner.

312
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

La curva della carota 6M è stata eliminata per il non corretto posizionamento nel
dispositivo di taglio. La 6H per lo spessore esiguo dello strato posato che non ha
consentito l’esecuzione del test. Per le curve 6I e 6L invece si tenga conto della
deformazione dello stesso.
I valori dei parametri caratteristici delle curve sono riportai in tabella 6.17.

Ki Ksec m p
sito carota
(MN/m3) (MN/m3) (τ2 + Δs2)1/2 (MN/m3)
6A 934 572 3.20 -415
6B 895 526 3.28 -432
6C 966 644 3.43 -571
CRESP. 6°

6D 654 459 1.76 -1059


6E 747 498 3.51 -388
6F 747 464 3.57 -383
6G 872 558 1.60 -7861
6G1 841 584 1.23 -8484
6I 992 492 4.10 -574
6L 872 447 4.01 -346

Tabella 6.17: 6ª sezione: valori dei quattro parametri caratteristici.

Dall’analisi dei risultati ottenuti si osserva che:


1) su ambedue le superfici di posa, l’andamento delle curve di rottura
rispecchia le differenze di legante presenti: maggiori resistenze e spostamenti
per carote con mano d’attacco rispetto a quelle prive;
2) per quanto riguarda la posa su binder nuovo, i valori di tensioni tangenziali e
spostamenti di picco ottenuti per carote con mano d’attacco sono compresi
rispettivamente tra gli 1.5 ed gli 1.8 MN/m2, ed i 3.3 ed i 4.0 mm; sulle carote
prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco si
attestano rispettivamente su valori prossimi agli 0.7 MN/m2, ed ai 1.2 mm;
3) per quanto riguarda la posa su usura esistente, i valori di tensioni tangenziali
e spostamenti di picco ottenuti per carote con mano d’attacco sono compresi
rispettivamente tra gli 1.5 ed gli 1.8 MN/m2, ed i 2.8 ed i 3.0 mm; sulle carote

313
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

prive di legante, i valori di tensioni tangenziali e spostamenti di picco si


attestano rispettivamente su valori prossimi agli 0.7 MN/m2, ed ai 1.6 mm;
4) i valori della pendenza iniziale (Ki) calcolati per uno spostamento di 0.1 mm
sono compresi tra i 650 ed i 990 MN/m3 ed indicano pertanto una condizione di
collegamento intermedia tra il completo distacco (< 100 MN/m3) e la perfetta
adesione (> 10000 MN/m3);
5) i valori di (Ksec) e di (m) sono compresi rispettivamente tra i 450 ed i 650
MN/m3 il primo ed i 1.2 ed i 4.1 MN/m2mm i secondi;
6) sul binder, i valori della pendenza della curva post-picco (p) sono tutti
negativi e prossimi ai – 420 MN/m3 per i provini con legante ed ai – 8100
MN/m3 per i provini senza mano d’attacco; sull’usura esistente i valori della
pendenza della curva post-picco (p) sono di – 470 MN/m3 per i provini con
legante ed ai –1060 MN/m3 per il provino senza mano d’attacco;

Alla luce di quanto osservato si possono trarre alcune considerazioni specifiche


per la 6ª sezione ed alcune più generali valide per tutta la sperimentazione.
Con riferimento ai risultati ottenuti dalle carote delle prima porzione di stesa su
binder, si ripropone la differenza tra quelle prive di mano d’attacco e quelle che,
in questo caso ne presentano mediamente ben 470 gr/m2. Le prime risultano,
forse anche per la presenza del cemento, assai più deboli e fragili delle seconde.
Tra queste poi c’è differenza tra carote prelevate prima e carote prelevate dopo il
tratto di controllo. Le curve di 6E e 6F infatti presentano il tipico andamento a
campana delle rotture in presenza di mano d’attacco. Le curve di 6I e 6L invece
sono molto plastiche a testimonianza del fatto che nella rottura sia subentrata
anche la deformazione del conglomerato superficiale avente, nel punto di
prelievo, uno spessore esiguo. Se ne tenga conto nella valutazione dei risultati.
Tale differenza può essere imputata alla diversa macrorugosità superficiale
riscontrata sul binder. Anche i valori del modulo (m) supportano tale

314
Capitolo 6: La sperimentazione italiana: parte II.

affermazione essendo i valori medi delle coppie di curve rispettivamente di 3.54


MN/m2mm per le 6E e 6F, di 1.4 unità per le 6G e 6Gi e di 4.1 unità per le 6I e
6L. Gli andamenti post-picco sono rappresentativi dei quantitativi di mano
d’attacco presente. Per le carote prive di legante si hanno valori assai elevati di
(p) pari in modulo a 8100 MN/m3 , tra i più elevati della sperimentazione pari a
circa 20 volte il valore ottenuto in presenza di bitume residuo. La figura 6.44
mostra la planarità delle superfici di rottura ottenute per la carota 6G priva di
mano d’attacco.

Figura 6.44: Superfici a rottura di carota priva di mano d’attacco.

Simili, ma più rigide, ad esclusione della 6D, sono le curve ottenute dalle carote
prelevate sul piano di posa ammalorato. In tale caso, si ritiene plausibile che un
contributo alla rigidezza del collegamento sia pervenuto dall’ingranamento tra
gli strati riscontrabile dai valori di HS misurati. Per tutte le carote con legante si
è verificata l’asportazione di porzioni di conglomerato di usura rinvenute sullo
strato inferiore del provino. Per quanto riguarda i valori di pendenza post-picco
è rispettata la regola vista per cui con legante si ottengono valori di (p) prossimi
ai – 470 MN/m3 circa e senza legante si raggiungono i – 1060 MN/m3.

315
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

CAPITOLO 7

CONCLUSIONI E PROPOSTE

7.1 CONCLUSIONI

7.1.1 Introduzione
Nel presente paragrafo si intende fornire una serie di osservazioni e
considerazioni scaturite dalla valutazione delle sperimentazioni condotte nel loro
complesso, tenendo conto della differenze esistenti in termini di materiali,
processi e scopi. In particolare, alla luce dell’esperienza inglese, ci si soffermerà
soprattutto su quanto ottenuto dalla sperimentazione italiana. Le osservazioni
seguenti non vogliono di certo essere esaustive del problema esaminato, quanto,
piuttosto, lasciare a chi legge utili spunti e riflessioni su cui avviare nuovi studi
in proposito. Allo stesso tempo, si cerca di indirizzare verso la messa a punto di
nuove regole ed indicazioni circa l’impiego delle mani d’attacco e di controlli da
effettuarsi in opera od in laboratorio anch’essi legati al problema del
collegamento tra gli strati bituminosi. Il primo punto trattato riguarda le
osservazioni sulle lavorazioni condotte nei sette cantieri seguiti in Italia, con
riferimento alle operazioni che interessano direttamente il collegamento tra gli
strati posati, così come descritte nel capitolo primo. Il secondo punto prende in
esame le considerazioni desunte dall’analisi dei risultati ottenuti per ciascun sito
e le generalizza sotto forma di indicazioni di massima, con particolare
riferimento alle condizioni di collegamento iniziali riscontrate in sito, ai tipi ed
ai quantitativi di mano d’attacco adottati ed alle tipologie di interfacce
incontrate. Il terzo punto, infine, tratta della metodologia Leutner, per la quale si
sottolinea l’importanza della modifica dello spessore longitudinale tra i semi-
anelli di taglio suggerita nel capitolo sesto e si propongono specifiche

316
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

limitazioni di utilizzo, in relazione agli spessori dei conglomerati della carota


sottoposta a prova, alla dimensione nominale massima degli aggregati che li
compongono ed alla temperatura a cui eseguire il test.

7.1.2 Osservazioni sugli interventi manutentivi seguiti


La sperimentazione condotta ha permesso anzitutto, di osservare in prima linea
le lavorazioni stradali eseguite in alcuni cantieri dell’area bolognese, da squadre
di manutenzione diverse. Gli interventi manutentivi a cui si è assistito hanno
permesso di comprendere l’effettiva importanza attribuita a talune lavorazioni di
cantiere e l’accuratezza adottata nell’eseguirle.
Nota l’importanza dell’assenza di agenti contaminanti sul piano di posa del
nuovo strato bituminoso ed ancora prima dell’emulsione bituminosa per mano
d’attacco, è parsa piuttosto scorretta la pratica comune di non eseguire la pulizia
preventiva della superficie con mezzi idonei. In effetti, soltanto in uno dei sette
cantieri seguiti, si è verificata la presenza di un mezzo di cantiere per la pulizia
superficiale del piano di posa. Per il sito di Loiano Centro, infatti, era pressoché
scontata l’asportazione dei residui di scarifica dal piano di posa prima di
eseguire la stesa successiva. Nei restanti sei siti non si è mai provveduto
all’allontanamento dei detriti e delle acque dalla superficie interessata dalla
posa, nemmeno nei casi in cui l’intervento ha previsto la posa diretta del nuovo
conglomerato sul piano viabile esistente. In sostanza, il cantiere mobile ha visto
di volta in volta la spruzzatura della mano d’attacco direttamente sullo strato che
pochi minuti prima era percorso dai veicoli in transito. Ecco che, in primo luogo
la bagnabilità della superficie da parte dell’emulsione, così come discussa nel
capitolo secondo, è stata in ogni caso fortemente ridotta dalla presenza di
contaminanti. In secondo luogo, la rottura della stessa non sarà certamente stata
quella ottimale. Infine, i detriti, seppur ricoperti di legante, possono essere stati
elementi di separazione tra gli strati.

317
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Una seconda osservazione in merito alle lavorazioni è legata ai quantitativi di


mano d’attacco adottati nei vari casi e alle modalità di applicazione. Il dato più
allarmante riguarda la variabilità dei quantitativi normalmente stesi dagli
operatori dei mezzi di spruzzatura. Non essendovi indicazioni o controlli
particolari in merito all’applicazione della mano d’attacco, sulla lavorazione
esistono notevoli interrogativi da parte di chi la esegue e, talvolta, questa viene
anche ritenuta un surplus o addirittura inutile. In effetti, chi è incaricato di
valutare la bontà dei lavori non possiede ad oggi, pur esistendo metodi di
verifica, un corretto metro che gli consenta di esprimere un giudizio
sull’applicazione dell’emulsione, se non tramite un rapido controllo visivo. Il
fatto che la superficie del piano di posa sia di colore marrone in seguito al
passaggio della barra di spruzzatura non indica, purtroppo, se il quantitativo
steso è corretto o meno, ma soprattutto se il bitume residuo che si sta
depositando sia sufficiente.
I mezzi per l’applicazione della mano d’attacco incontrati sono i più disparati.
Solo in un caso la barra era dotata di controllo automatico in cabina e nonostante
questo i quantitativi stesi sono stati comunque variabili. Nei cantieri restanti i
mezzi erano in genere semplici botti termiche accoppiate ad una pompa in grado
di portare l’emulsione agli ugelli di spruzzatura con un flusso costante e non
regolabile. Ecco che, il quantitativo di mano d’attacco steso è variato in funzione
della velocità del mezzo e della abilità dell’operatore. In molti casi la barra non
era in piena efficienza ed alcuni degli ugelli non hanno lavorato correttamente
col risultato di avere stese disuniformi o addirittura intere strisce di
pavimentazione prive di legante.
Occorre poi considerare la sensibilità dell’operatore che in molti casi ha
dimostrato di non conoscere il reale funzionamento della mano d’attacco al
variare della temperatura di posa. Per tale motivo si sono, in alcuni casi,

318
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

riscontrati quantitativi di emulsione stesi di norma assolutamente insufficienti


allo scopo.
In relazione ai tempi di rottura per la mano d’attacco si è riscontrato che questi
non vengono generalmente rispettati e talvolta il passaggio della vibrofinitrice
avviene su un piano di posa sul quale la rottura non è ancora avvenuta.
Si è poi vista la pratica di distribuire filler di cemento come distaccante nel caso
di emulsione modificata. Tale operazione, preferibile rispetto all’impiego di
graniglie, è comunque apparsa in certi casi a sfavore del collegamento,
soprattutto quando il legante residuo sottostante era poco.
Infine, il rilievo degli spessori stesi e delle compattazioni riscontrate permette di
affermare che i primi sono generalmente inferiori a quelli inizialmente richiesti,
ma soprattutto che le seconde sono assai approssimative: i valori prossimi al
10% di vuoti residui per miscele bituminose tradizionali da usura appaiono
senz’altro eccessivi.

7.1.3 Osservazioni generali sui risultati ottenuti


Dall’analisi condotta nel precedente capitolo sui risultati ottenuti da ciascuno dei
sette siti indagati, si possono trarre alcune considerazioni generali, valide per
tutta la sperimentazione condotta ed in grado di fare maggior luce sulle effettive
condizioni di collegamento all’interfaccia tra gli strati bituminosi superficiali
della pavimentazione stradale e sull’efficacia della mano d’attacco.
La prima osservazione riguarda i valori medi ottenuti dall’insieme delle curve di
rottura Leutner per il parametro (Ki). Come già ricordato, tale parametro si
riconduce alla legge di Goodman per la rappresentazione dello stato tenso-
deformativo all’interfaccia tra due elementi distinti a contatto. Dagli studi
rinvenuti in letteratura [3][69][84] è emersa la possibilità di valutare le
condizioni di collegamento iniziali di interfaccia tramite il valore del Modulo di
Reazione orizzontale (K). L’inverso dello stesso parametro si è visto essere

319
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

impiegato anche nella caratterizzazione del collegamento tra gli strati nei codici
di calcolo elastici per la progettazione dei pacchetti stradali, quali ad esempio
BISAR. Secondo gli studi di Uzan [3] prima e di Al Hakim [68] poi, il
parametro (K) presenta una grande variabilità e diversi ordini di grandezza di
distanza può descrivere condizioni di perfetta adesione, così come di completo
distacco. Esiste infatti, secondo gli autori, un intervallo di valori di (K) per i
quali si può ritenere una condizione di collegamento intermedia tra le
precedenti. In particolare, si ha la quasi certezza di distacco quando (K) si riduce
al di sotto dei 10 MN/m3 e la quasi perfetta adesione quando (K) supera i
100000 MN/m3. Dalle curve Leutner ottenute per l’intera sperimentazione
condotta si sono ottenuti valori di (Ki) mediamente compresi tra i 400 ed i 1100
MN/m3. Tali valori, seppur bassi, corrispondono correttamente a condizioni
intermedie di collegamento tra gli strati e sono in linea con quanto rinvenuto in
altre sperimentazioni. Essi inoltre, sono pressoché indipendenti dal tipo di
interfaccia in esame a significare che, in media, nella realizzazione dei pacchetti
stradali per strati si sono raggiunte condizioni sufficienti di collegamento nei
confronti delle sollecitazioni esterne iniziali quali ad esempio, quelle di un
mezzo pesante in frenata.
Le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione del presente lavoro sono
state introdotte nel capitolo precedente e sono così riassumibili: è stata
ampiamente dimostrata l’importanza che il collegamento tra gli strati della
pavimentazione stradale ha nei confronti della vita utile della stessa. Alla luce di
ciò e del fatto che in cantiere, ma ancor prima in fase di progettazione, la pratica
di impiego delle mani d’attacco in emulsione bituminosa sia troppo spesso
trascurata e talvolta considerata superflua, si è ritenuto utile investigare le
effettive condizioni di collegamento tra gli strati della pavimentazione stradale
così come realizzate in sito con e senza l’applicazione di mano d’attacco. Si è
cercato in pratica, di comprendere se e come questa contribuisca alla resistenza

320
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

del collegamento tra gli strati, per mezzo di prove di taglio diretto condotte
tramite l’apparecchiatura di laboratorio Leutner. I campioni da sottoporre a
prova sono stati prelevati da diversi siti con condizioni di posa differenti al fine
di stabilire quali fossero i dosaggi ed il tipo di legante ottimali per ciascuna
applicazione. Come scopo conseguente, si è inteso anche fornire indicazioni più
precise a chi deve progettare e costruire la pavimentazione quando si tratta di
spruzzare la mano d’attacco.
Sulla base di quanto appena esposto, di seguito si riportano le considerazioni
deducibili da un confronto di quelle tratte per ciascuno dei siti adottati.
ƒ Il quantitativo ed il tipo di mano d’attacco necessari al fine di raggiungere
le migliori condizioni di collegamento tra due strati di conglomerato
bituminoso, non possono essere stabiliti senza tener conto delle effettive
condizioni al contorno presenti. Fattori come l’ingranamento possibile tra
i conglomerati presenti, la resistenza meccanica dei conglomerati stessi e
la compatibilità tra i bitumi del sistema, debbono fungere da base sulla
quale fondare la cosiddetta “progettazione della mano d’attacco”. Anche
questo studio, al pari di altri, ha evidenziato come l’aumento di bitume
residuo sul piano di posa non corrisponda necessariamente ad un
proporzionale aumento di resistenza del collegamento. In alcuni casi si è
notato come il duplicare o triplicare il quantitativo di legante posato abbia
apportato solo un debole miglioramento, in altri casi invece ha comportato
addirittura lo scadimento della resistenza. Ecco che appare logico dover
eseguire uno studio sul quantitativo e sul tipo di emulsione da impiegarsi
al fine di evitare sprechi e migliorare l’efficacia dell’applicazione. Anche
con riferimento alle condizioni di resistenza del collegamento una volta
che sia sopraggiunta la rottura all’interfaccia, si può ritenere che la
presenza della mano d’attacco sia benefica, in quanto si è notata un certa
duttilità delle curve di rottura post-picco nei casi di presenza di legante.

321
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Questo fatto gioca a favore del collegamento in quanto, come detto,


riduce la probabilità di distacco completo di porzioni di pavimentazione
dal pacchetto stradale. Trattandosi di andamenti post-rottura di tipo
attritivo è comprensibile la maggior facilità con la quale si distinguono i
diversi quantitativi di legante adottati.
ƒ I casi di risagomatura del piano viabile tramite posa diretta di nuovo
conglomerato bituminoso richiedono particolare attenzione. In essi,
infatti, si è riscontrato un ruolo preponderante della macrorugosità del
piano di posa e del conseguente ingranamento raggiunto nel conferire
resistenza al collegamento finale. Tale ingranamento, risulta in una
comportamento assai fragile del sistema, se non è stata applicata mano
d’attacco e pertanto il collegamento è nel complesso debole. Al contrario,
l’applicazione di legante esalta la resistenza associata all’ingranamento
conferendo all’interfaccia caratteristiche più simili a quelle di un
conglomerato bituminoso che non a quelle di un semplice contatto tra
inerti del piano di posa e conglomerato di usura. Si può pensare che il
bitume della mano d’attacco vada a svolgere la funzione di legante
all’interno della miscela bituminosa costituita dai due conglomerati a
contatto. Nei casi in cui la macrorugosità non sia spiccata o si verifichi la
presenza di un trattamento superficiale preesistente, si suggerisce di
evitare la posa diretta del nuovo conglomerato, anche se con quantitativi
considerevoli di mano d’attacco. Questa, fungerebbe con tutta probabilità
da elemento di scorrimento rendendone inutile l’applicazione. Ecco che,
si ritiene più valido un intervento di scarifica superficiale che elimini, non
solo la presenza di interfacce eventualmente deboli al di sotto del piano di
posa, ma generi anche una maggiore probabilità di ingranamento tra i due
strati contigui, dettata dalle irregolarità create dagli utensili di fresatura.

322
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

ƒ Riallacciandosi a quanto appena affermato si è riscontrata una elevata


resistenza dei collegamenti realizzati su piani di posa fresati.
L’ingranamento offerto dalle irregolarità del piano di posa è notevole,
soprattutto se coadiuvato dalla presenza di una buona mano d’attacco.
Tuttavia, nell’unico sito indagato, si è visto che aumenti notevoli di
legante residuo, non corrispondono ad altrettanti contributi alla resistenza
del collegamento. Ciò è dovuto alla preponderanza del contributo
dell’ingranamento sulla resistenza rispetto a quello della mano d’attacco.
Si può anche pensare che, in tali casi, la mano d’attacco sia necessaria
solamente per ripristinare le percentuali di bitume superficiale asportate
con la scarifica. Si ritiene quindi certamente utile l’applicazione di
legante, ma il quantitativo non è determinante ai fini della resistenza. Esso
dovrà solamente andare a costituire un film di bitume che sfrutti l’attività
superficiale che gli inerti della superficie scarificata hanno sviluppato in
seguito alla loro frantumazione, supportando la carenza di bitume
presente, soprattutto in presenza di conglomerati di usura poveri di
legante.
ƒ Si è detto dell’effetto controproducente che l’applicazione spropositata di
mano d’attacco può avere sulla resistenza del collegamento e del fatto
che, nella maggior parte dei casi sia evidente l’esistenza di un valore
ottimale di legante residuo da applicare, oltrepassato il quale o non si
hanno effetti benefici giustificabili o le proprietà di resistenza scadono.
Ciò è vero soprattutto nel caso di posa su conglomerato bituminoso di
nuova realizzazione. Il motivo di tale affermazione è certamente legato
alla presenza di un conglomerato di binder “giovane”, con un bitume
ancora attivo ed in grado di fungere da legante nei confronti del
conglomerato superficiale posato. Ecco che all’interfaccia si viene a
creare un nuovo tipo di conglomerato costituito dagli aggregati dei due

323
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

strati adiacenti. La discontinuità originaria tende ad essere annullata,


soprattutto se le condizioni di posa sono ottimali per cui, ad esempio, la
compattazione favorisce la compenetrazione degli inerti delle due miscele
a contatto. L’apporto di un quantitativo eccessivo di ulteriore legante con
la stesa della mano d’attacco, può, come già detto, comportare lo
scadimento delle proprietà di resistenza del collegamento, aumentando gli
scorrimenti a rottura o addirittura riducendo le tensioni massime. Si può
pensare che vi sia una analogia tra il comportamento resistente del
conglomerato creatosi all’interfaccia, al variare del quantitativo di mano
d’attacco ed il comportamento di un conglomerato bituminoso
tradizionale registrato con la prova Marshall, al variare della percentuale
di bitume di miscela. Per questi motivi, nella valutazione dei quantitativi
di mano d’attacco da impiegarsi nei casi di stesa su conglomerato nuovo è
opportuno considerare anche le percentuali di legante presenti nelle
miscele bituminose a contatto. A supporto di quanto affermato si rimanda
alle norme inglesi BS 594 nelle quali i quantitativi di tack coat sono
forniti in funzione delle suddette percentuali.
ƒ L’impiego di emulsioni modificate ha mostrato la sua efficacia sia su
piano di posa in conglomerato di “binder” nuovo, sia su “usura” esistente.
Gli aumenti di resistenza sono in genere più spiccati di quelli dovuti
all’impiego di emulsioni normali. In alcuni casi i valori di resistenza a
rottura sono stati triplicati dalla presenza della mano d’attacco. Soprattutto
gli andamenti delle curve post-rottura hanno mostrato notevoli risorse di
resistenza residue, anche per elevati scorrimenti, a conferma di quanto
affermato in precedenza. Si è poi visto che, nel caso di piano di posa in
conglomerato preesistente, l’impiego di emulsione modificata ha
accentuato le risorse di resistenza se confrontato con l’utilizzo di
emulsioni normali di bitume ad alta penetrazione, su un piano di posa con

324
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

macrorugosità analoga. L’adozione di emulsioni a bitume modificato


rende tuttavia spesso necessaria l’applicazione di materiali di distacco per
evitare l’asportazione da parte dei mezzi di cantiere. Tale materiale dovrà
avere caratteristiche tali ed essere posato in modo tale da non
compromettere l’adesione del bitume residuo al nuovo conglomerato
posato o nei casi peggiori la mancata compattazione del conglomerato
superficiale all’interfaccia.
ƒ Nel caso di impiego di emulsioni bituminose normali è in genere da
preferirsi quello di emulsioni a base di bitume con bassa penetrazione
rispetto a quello di emulsioni con bitume a penetrazioni superiori ai 150
dmm. Le ragioni sono più che altro legate alla compatibilità del bitume
residuo dall’emulsione con i bitumi delle miscele di strato, aventi in
genere, penetrazioni medie. Il fenomeno della “scomparsa della mano
d’attacco” è infatti tipico nel caso di impiego di emulsioni di bitume
morbido, posate sotto strati sottili di conglomerato bituminoso di usura.
ƒ Di notevole importanza ai fini dello sviluppo delle proprietà di resistenza
del collegamento tra gli strati bituminosi è senza dubbio la compattazione
dello strato superficiale. Essa non solo gli conferisce resistenza meccanica
addensandolo, ma contribuisce alla formazione dell’ingranamento tra i
conglomerati all’interfaccia. In presenza di una superficie di posa a
spiccata macrorugosità e di un conglomerato di usura che si presti a creare
con essa immorsamento, la compattazione è il veicolo tramite il quale il
collegamento acquista resistenza alle azioni tangenziali. Come già visto
nel capitolo secondo infatti, buona parte delle risorse di resistenza
all’interfaccia sono legate proprio alla formazione di punti di contatto con
ingranamento tra gli aggregati dei due strati adiacenti. L’applicazione
della mano d’attacco può, per dosaggi adeguati, favorire lo sviluppo di
tale immorsamento. Dalle prove condotte si è riscontrato che in assenza di

325
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

compattazione la resistenza del collegamento scade notevolmente ed in


genere anche l’applicazione di legante viene vanificata. Soprattutto nel
caso di posa su conglomerato nuovo di binder è auspicabile una intensa
azione compattante, specialmente in condizioni di alte temperature, in
modo tale che, la sutura della discontinuità di interfaccia, avvenga tramite
la riorganizzazione delle condizioni di ingranamento al contatto.

7.1.4 Osservazioni sul dispositivo e sulla prova Leutner


I pregi ed i difetti del dispositivo Leutner e del test con esso realizzabile sono
già stati ampiamente presi in considerazione nei capitoli terzo, quarto e quinto.
In questa sede si intende soltanto riproporre la necessità di realizzare una
semplice modifica ai semi-anelli di carico al fine di ridurre lo spreco di utili dati.
In particolare, si è osservato che per ogni sito un certo numero di curve di rottura
è stato scartato, in pratica circa il 15% dei dati restituiti non è stato preso in
considerazione. La semplice introduzione del gap longitudinale di circa 5 mm
tra i semi-anelli di taglio con l’opportuna sagomatura dei bordi di contatto
ridurrebbe certamente i problemi di rotture localizzate di bordo dovute alla
concentrazione tensionale all’interfaccia e faciliterebbe le operazioni di
posizionamento del provino all’interno del dispositivo di prova. In particolare,
risulterebbe assai più agevole la conduzione dei test su provini ad interfaccia
fresata caratterizzati dalle tipiche dentature di scarifica.
Occorrerebbe poi uno studio in grado di valutare caso per caso, l’effettiva
influenza sull’andamento delle curve di rottura della deformazione del
conglomerato dello strato superficiale, legata al suo spessore. Si è notato che, in
accordo con quanto riportato nelle specifiche tedesche e svizzere, i test condotti
su provini con spessori dello strato posato inferiori ai 2 cm sono stati falsati
dalle deformazioni plastiche del conglomerato stesso. Nel caso in cui lo spessore
fosse esiguo si può ritenere utile un contrasto normale al piano di taglio.

326
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Particolare importanza riveste poi il problema delle dimensioni nominali degli


inerti delle miscele che compongono i conglomerati di strato nei provini da
sottoporre a prova, rispetto alle dimensione della sezione delle carote stesse. Si
può ritenere infatti, che la presenza di inerti grossolani di dimensioni
raffrontabili con le dimensioni della superficie di taglio del provino, possano
inficiare la possibilità di paragonare test differenti, costituendo essi stessi
elementi di singolarità all’interfaccia. (effetto scala)
In merito alla temperatura di prova, i 20°C adottati dalla procedura tedesca sono
certamente il valore limite superiore al quale condurre un test di tale tipo.
Probabilmente la scelta è stata dettata più da fattori di praticità che da aspetti di
tipo tecnico. Tuttavia, si può pensare di condurre test a temperature inferiori,
quali ad esempio i 10°C ai quali, secondo quanto visto in altri studi, le differenze
tra i comportamenti a rottura risulterebbero enfatizzati, soprattutto nei paragoni
tra mani d’attacco normali e modificate.
Infine, nel capitolo precedente è stata introdotta una chiave di lettura per le
curve di rottura registrate dal Leutner. I quattro parametri caratteristici (Ki),
(Ksec), (m) e (p) descritti, rappresentano, in modo compiuto, l’andamento di tutta
la curva ottenuta ed, in particolare, restituiscono la caratterizzazione della
resistenza del collegamento in relazione alla sua vita in esercizio, passando dalla
risposta della stessa alla prima azione di carico, attraverso la rottura dovuta per il
raggiungimento di stati tenso-deformativi limite, fino al manifestarsi delle
risorse di resistenza residue.

7.2 PROPOSTE

7.2.1 Introduzione
Col presente paragrafo si chiude il lavoro svolto fino ad ora ed si descrivono
quelli che possono essere gli sviluppi futuri che scaturiscono dall’esperienza

327
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

acquisita in materia di collegamento tra gli strati bituminosi della


pavimentazione stradale e di impiego delle mani d’attacco bituminose.
Sulla base di quanto affermato nella conclusione del capitolo terzo, le norme e le
specifiche europee si limitano, nei casi migliori, a fornire i valori dei quantitativi
di mano d’attacco da stendersi negli interventi di costruzione e manutenzione
stradale e/o i valori di resistenza minimi da raggiungersi per le prove di verifica
del collegamento in sito, tramite prove di laboratorio. Anche molti degli studi di
ricerca condotti negli ultimi anni, soprattutto quelli basati sulla verifica delle
condizioni di collegamento tra gli strati su campioni prelevati da pavimentazioni
reali, si limitano a fornire i valori minimi di resistenza da richiedersi nelle
specifiche [41] inerenti, sulla base di un gran numero di test svolti in laboratorio.
Altre ricerche caratterizzano il collegamento esistente tra gli strati, stabilendo
quali siano i fattori che maggiormente influenzano il comportamento dello
stesso e quali i valori di resistenza che in media si possono ottenere dai materiali
bituminosi di comune impiego. Vi sono poi ricerche specifiche, il cui unico
obiettivo è quello di mettere a punto un modello di rappresentazione del
comportamento del collegamento tra gli strati bituminosi sotto carico, ai fini di
implementare nuove funzioni per il controllo delle interfacce, nei codici
numerici impiegati per il calcolo delle sovrastrutture stradali flessibili.
Alla luce di quanto concluso e dell’importanza attribuibile al collegamento tra
gli strati del pacchetto stradale, appare ancora più giustificata l’affermazione per
la quale sia necessaria una progettazione mirata della mano d’attacco a seconda
di ciascun caso applicativo specifico; non ci si deve limitare quindi, a fornire tipi
e quantitativi di legante predefiniti o valori minimi assoluti di resistenza del
collegamento, ma occorre sviluppare una intera metodologia prestazionale di
progetto e verifica delle mani d’attacco, in grado di valutare gli effettivi
quantitativi di legante necessari per ciascuna applicazione mettendo a confronto
le reali performance che ciascun materiale può avere in un determinato impiego.

328
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Nel prossimo paragrafo si è cercato dunque, di descrivere quali possano essere i


punti salienti di una siffatta metodologia, che adotti l’utilizzo combinato di una
normale Pressa Giratoria e del semplice dispositivo Leutner. L’applicabilità di
questa metodologia alla comune progettazione degli interventi manutentivi, la
rende estremamente utile agli occhi dei tecnici stradali, soprattutto nel compito
di rispondere ai sempre più numerosi interrogativi circa il tipo ed il quantitativo
da posare in ciascun caso e l’effettiva necessità della mano d’attacco bituminosa.

7.2.2 Nuova metodologia per la progettazione delle mani d’attacco


La proposta di una “Metodologia Prestazionale per il Progetto e la Verifica delle
Mani d’Attacco” costituisce una delle conclusioni più significative maturate
dalla sperimentazione oggetto della presente tesi. Dall’analisi dei dati raccolti,
dall’interpretazione delle curve di rottura e dei quattro parametri caratteristici da
esse desunti e dall’osservazione diretta delle superfici di interfaccia di centinaia
di provini sottoposti a Leutner test, si è ritenuta necessaria e plausibile la
proposta di un siffatto approccio progettuale.
Il ragionamento muove essenzialmente dal fatto che si presume vi siano un
quantitativo ed un tipo ottimale di mano d’attacco per ciascun impiego e che,
secondo quanto stimato da diverse ricerche, un eccesso di legante all’interfaccia
possa essere controproducente per la resistenza del collegamento prima della
rottura. Allo stesso tempo, si deve anche tener conto del fatto che, la presenza di
bitume, attribuisce comunque risorse di resistenza residue al collegamento,
rendendo meno probabili i pericolosi fenomeni di distacco completo di porzioni
di conglomerato superficiale. Nel capitolo secondo si è poi trattato della
particolare configurazione che si sviluppa all’interfaccia tra due conglomerati
bituminosi a contatto in presenza di mano d’attacco; il conglomerato bituminoso
misto che si crea nello straterello di collegamento, ha lo stesso comportamento
resistente di un conglomerato di strato [3] e per questo motivo, si presume possa

329
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

risentire anch’esso del quantitativo di legante, o di leganti, che lo interessano.


Ecco che, come già affermato, alla stregua della nota Metodologia Marshall, si
ritiene possibile l’individuazione di un tipo e di un quantitativo ottimale di mano
d’attacco da impiegarsi a seconda di ciascuno specifico intervento manutentivo.
La “Metodologia” ideata prevede due fasi distinte e consecutive: una prima fase
di progetto (in blu) ed una seconda fase di verifica (in rosso), corredate da altre
operazioni ausiliarie che estendono l’impiego della procedura. Lo schema di
figura 7.1 consente di comprenderne più facilmente i punti.
La metodologia proposta può essere impiegata nello studio di tutte le interfacce
bituminose presenti nel pacchetto stradale, sia esso in fase di nuova
realizzazione o sottoposto ad un intervento manutentivo superficiale o profondo.
Si supponga noto il tipo di intervento da realizzare.
La base di partenza è costituita dal tipo di piano di posa del nuovo conglomerato
bituminoso da stendere. I casi che si possono presentare, come già osservato nel
capitolo quinto, sono essenzialmente tre:
ƒ nel primo (a), la superficie di posa è costituita da un conglomerato
bituminoso di nuova realizzazione, sia esso il rispristino di uno strato
profondo in seguito alla scarifica, od uno strato facente parte di un pacchetto
stradale ex-novo.
ƒ nel secondo (b), la posa del nuovo conglomerato bituminoso per la
risagomatura, avviene direttamente sulla superficie del piano viabile
esistente, in genere ammalorato.
ƒ nel terzo caso (c), infine, il piano di posa è costituito dalla superficie fresata
del conglomerato bituminoso esistente.

Il primo step della fase di progettazione prevede il prelievo dalla


pavimentazione interessata dai lavori, di un certo numero di campioni tramite
carotaggio.

330
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

TIPOLOGIA DEL PIANO DI POSA

C.B.NUOVO (a) C.B.ESISTENTE (b) C.B.FRESATO (c)

PRELIEVO DEL 1aFASE:PROGETTO ESECUZIONE DI


MATERIALE IN SITO PROVE (e) DI
PER IL PRELIEVO DI n° X CAMPIONI (1 ) ALTEZZA DI
CONFEZIONAMENTO SABBIA SUL PIANO
RAPPRESENTATIVI DEL PIANO DI
DEL CAMPIONE CON DI POSA IN SITO
SGC (d) E STUDIO POSA TRAMITE CAROTAGGIO (2)
DELLA SUA DELLA PAVIMENTAZIONE IN SITO

EVENTUALE PROGETTO
DEL C.B. SOVRASTANTE
COMPATTAZIONE

EVENT. STUDIO DEL PREPARAZIONE DEI CAMPIONI (3)


C.B. SOTTOSTANTE E LORO CALIBRAZIONE DI
LABORATORIO (4)

POSA DELLA MANO d’ATTACCO (5 )


2aFASE:VERIFICA
INSERIMENTO DEL PROVINO EVENTUALE
CONTROLLO DEI
ALL’INTERNO DEL SGC (2) E PROGETTAZIONE
QUANTITATIVI DI DELL’INGRANAMENTO
COMPATTAZIONE DEL C.B.
MANO D’ATTACCO TRAMITE LO STUDIO
SOVRASTANTE CON SPESSORI
STESI IN SITO (10) DEL C.B.
E DENSITÁ PRESTABILITE (6) SOVRASTANTE (f)

PRELIEVO DI
CAMPIONI DOPPIO ESECUZIONE DELLE
STRATO DI PROVE LEUTNER (7)
PAVIMENTAZ. (11)

RESTITUZIONE DELLE CURVE


ESECUZIONE DI ROTTURA E DEI LORO 4
DELLE PROVE PARAMETRI CARATTERISTICI (8)
LEUTNER (12)

INDIVIDUAZIONE TRAMITE IL
VERIFICA DEI CONFRONTO E LA
VALORI OTTENUTI VALUTAZIONE DEL RAPPORTO
PER CONFRONTO BENEFICI-COSTI DEL TIPO E
CON QUELLI DI DEL QUANTITATIVO DI MANO
PROGETTO (13) D’ATTACCO OTTIMALE (9)

CONFRONTO

Figura 7.1: Schema della “Metodologia di Progettazione e Verifica delle Mani d’Attacco”.

331
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Il numero dei campioni (1) deve essere rappresentativo delle effettive condizioni
superficiali e di volume del conglomerato che costituisce il piano di posa.
Soprattutto nel caso di posa su c.b. esistente, il prelievo di carote deve essere
eseguito in punti della pavimentazione privi di anomalie od irregolarità, quali ad
esempio fessurazioni. Il diametro (2) delle carote prelevate deve essere valutato
sulla base delle dimensioni delle fustelle adottate dalla Pressa Giratoria (SGC) a
disposizione e dei semi-anelli di taglio intercambiabili del Leutner. La presenza
di piccoli discordanze tra le dimensioni citate si ritiene comunque non essere
pregiudizievole per l’esecuzione delle prove. Nel caso in cui l’intervento
preveda un piano di posa in c.b. nuovo quale ad esempio un binder, è possibile
confezionare i campioni necessari per lo studio direttamente alla Pressa
Giratoria, sfruttando le proporzioni della miscela di progetto fornite dal tecnico
progettista o addirittura il materiale confezionato in impianto (d). Allo stesso
tempo si possono fornire utili indicazioni circa la compattazione dello stesso.
Il secondo step richiede la preparazione dei provini e la loro calibrazione in
laboratorio. Le carote prelevate in sito, mostreranno certamente una geometria
irregolare della supericie profonda di distacco. Per poterle impiegare nello
studio, i rende pertanto necessario il taglio (3) della porzione terminale di
ciascun provino per portarlo ad altezze che ne consentano, sia l’introduzione
all’interno della fustella per Pressa Giratoria, sia il successivo vincolamento nel
dispositivo Leutner. Allo stesso tempo è possibile calibrare i campioni (4)
misurandone le dimensioni geometriche effive, i pesi e le densità di volume. Nel
caso di conglomerati porosi, è preferibile evitare la paraffinatura del provino,
sostituendo tale operazione con l’impermeabilizzazione superficiale dello stesso
per mezzo di materiale adesivo in grado di adattarsi alle asperità superficiali.
L’operazione di calibrazione consentirà in fase di verifica di risalire ai valori di
compattazione del nuovo conglomerato bituminoso steso.

332
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Lo step successivo prevede la posa della mano d’attacco (5). Il numero di


campioni da estrarsi nel primo step è indubbiamente legato al tipo di
progettazione che si intende realizzare ed alla rappresentatività richiesta per il
dato ottenuto. Il caso più semplice richiede la valutazione del quantitativo
ottimale da stendersi per un determinato tipo di mano d’attacco. In esso,
occorrerà predisporre un numero di campioni pari ai quantitativi di mano
d’attacco di tentativo che si vogliono confrontare, più un campione di controllo
per il quale non sia prevista la posa di legante. Il numero di provini costituenti
un campione è evidentemente tanto maggiore quanto maggiore è l’affidabilità
necessaria alla progettazione, in relazione anche alle possibilità effettive di
prelievo in sito. Nel caso in cui sia richiesto il confronto tra più leganti, il
numero di campioni aumenta conseguentemente, mantenendo valido il
campione privo di mano d’attacco. L’applicazione della mano d’attacco alla
superficie dei provini cilindrici è una operazione assai importante, così come
importante è l’attesa dei tempi di rottura nel caso di impiego di emulsioni
bituminose. In effetti, la mano d’attacco può anche essere costituita da bitume
posato a caldo o da un particolare trattamento bituminoso. Nella stragrande
maggioranza dei casi tuttavia, si adottano emulsioni bituminose tradizionali la
cui posa in laboratorio deve avvenire nel modo più rappresentativo possibile
delle effettive modalità di cantiere: un esempio potrebbe essere quello di una
barra spruzzatrice semovente in scala, sotto la quale posizionare i campioni
opportunamente protetti.
In seguito all’avvenuta rottura dell’emulsione, si procede con la posa del
conglomerato bituminoso sovrastante. Per questo step si rende necessario
inserire la porzione di pavimentazione reale estratta e preparata secondo gli step
precedenti, all’interno di una fustella cilindrica per Pressa Giratoria (2). Il passo
successivo prevede l’introduzione e la compattazione del nuovo conglomerato
bituminoso di progetto, al di sopra dell provino precedentemente inserito. Il

333
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

quantitativo di materiale caldo sciolto introdotto, sarà stabilito in funzione degli


spessori e del grado di addensamento richiesto dal progettista (6); analogamente
accade per i valori di pressione e per il numero di rivoluzioni del compattore. Se
il conglomerato bituminoso da posare non è stato ancora definito, la
metodologia di progetto consente anche di fornire utili indicazioni in proposito.
In particolare, sulla base dei rilievi (e) di macrorugosità eseguiti in sito (non nei
casi di fresatura) e delle indicazioni sulle caratterisitche della miscela dello
strato di posa, è possibile studiare l’applicazione di un conglomerato bituminoso
superficiale in grado di sfruttare al meglio le condizioni di ingranamento offerte.
Tale studio (f), può essere agevolmente condotto predisponendo un set di
provini carotati sui quali compattare, in assenza di mano d’attacco, tipi diversi di
conglomerato bituminoso. Tra le miscele impiegate varieranno ovviamente i
rapporti volumetrici dei materiali costituenti, in particolare la dimensione
nominale massima degli inerti; le miscele adottate saranno comunque già state
calibrate con una metodologia di progettazione ad hoc. La scelta dovrà ricadere
su quel conglomerato che, a parità di resistenza meccanica propria e di sforzo di
compattazione, è in grado di sfruttare al meglio l’ingranamento offerto dal piano
di posa esistente. Tale progettazione secondaria del c.b. sovrastante richiede
anch’essa l’impiego del dispositivo Leutner.
Una volta confezionati i campioni doppio-strato, dei quali quello sottostante
carotato (o confezionato nel caso (a)) e quello sovrastante compattato con la
Pressa Giratoria, è possibile sottoporli a Leutner test dopo averli termostatati.
L’esecuizione delle prove Leutner è nota (7), si suggerisce tuttavia di adottare un
dispositivo modificato nei semi-anelli di taglio secondo quanto già indicato in
precedenza. Si noti come gli spessori dei campioni confezionati sono certamente
sufficienti per l’esecuzione delle prove.

334
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

Dalla rottura dei campioni (8) si ottengono altrettante curve (τ – spostamenti),


dalle quali desumere i valori di picco e ciascuno dei parametri caratteristici
introdotti: (Ki), (Ksec), (m) e (p).
Il confronto (9) di tutti i risultati ottenuti consente di concludere la
progettazione della mano d’attacco fornendo il tipo ed il quantitativo di legante
ottimale per quello specifico caso. Tale confronto si basa sulla valutazione
complessiva delle curve e dei parametri caratteristici da esse ricavati in relazione
ai quantitativi ed al tipo di legante impiegato. In sostanza, secondo quanto
affermato nell’introduzione del presente paragrafo, ci si aspetta, a parità di piano
di posa, una differenziazione delle curve di rottura sulla base delle condizioni di
interfaccia. Ecco che, per quel particolare intervento, sarà possibile individuare
la soluzione progettuale più valida. Occorre tuttavia stabilire i termini secondo i
quali effettuare la scelta, ossia i criteri coi quali stabilire che un tipo di mano
d’attacco od un quantitativo di legante sono migliori di altri, od al limite che
l’applicazione della mano d’attacco non sia conveniente. Il criterio di base è
certamente quello economico: c’è convenienza nell’ottenere valori di resistenza
leggermente superiori di quelli corrispondenti ad un certo quantitativo di
legante, applicandone il triplo? La risposta può essere negativa o positiva, ma
occorre giustificarla. Il confronto tra le curve deve basarsi pertanto sia sugli
effettivi benefici che una scelta apporta alla resistenza del collegamento, sia sui
costi che questa scelta implica, anche in termini di vita utile della
pavimentazione. Il metro di paragone per le curve deve necessariamente essere
acquisito dai comportamenti a rottura del collegamento rinvenuti in letteratura
e/o raccolti nel corso degli anni. In tale modo si potrà stabilire se, ad esempio
l’aumento di alcune centinaia di MN/m3 per il parametro (p) rendano
giustificabile l’applicazione di un certo quantitativo di legante in più, o se, il
fatto di non applicare la mano d’attacco perché le curve in sua presenza non si

335
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

discostano molto da quelle ottenute senza, sia lecito con riferimento alla vita
utile del pacchetto.
Terminata la fase progettuale della mano d’attacco, occorre verificare che
le lavorazioni in cantiere tendano a realizzare le stesse condizioni di
collegamento riscontrate in laboratorio. A tale fine, il controllo dei quantitativi
di legante applicati sulla superficie di posa, per mezzo del test dei vassoi (10) , è
certamente indispensabile. Il tecnico deve inoltre assicurarsi che le condizioni di
posa siano ottimali, richiedendo ad esempio, la pulizia della superficie stradale
prima del passaggio della barra spruzzatrice. Allo stesso tempo sarà importante
assicurarsi che la stesa sia uniforme e che i tempi di rottura dell’emulsione siano
attesi. Occorre poi individuare i punti della pavimentazione, dai quali prelevare
in seguito i campioni di controllo (11). Tali campioni dovranno essere
rappresentativi dell’intero intervento e potranno essere impigati anche per i
normali controlli di spessori, addensamenti e conformità dei materiali.
Dall’esecuzione dei test Leutner Modificati (12) sui provini doppio strato
estratti e termostatati, sarà infine, possibile effettuare la verifica delle condizioni
di collegamento in sito. Si porranno certamente valori percentuali limite, da
confrontarsi (13) con i risultati ottenuti nella fase di progettazione. Nel caso in
cui tali valori non fossero attesi, occorrerà prevedere, ad esempio, penalizzazioni
per chi ha eseguito i lavori.

In ultimo, un breve cenno al carattere prestazionale della “Metodologia”


proposta. In primo luogo, il comportamento del collegamento tra gli strati
bituminosi di progetto, viene direttamente valutato su campioni di
pavimentazione prelevati in sito. Se il campione è rappresentativo, la superficie
delle carote rispecchia fedelmente le caratteristiche reali del piano di posa,
seppur le condizioni di contaminazione di cantiere all’atto della stesa non siano
effettivamente riproducibili. I materiali bituminosi adottatti sono i medesimi. La

336
Capitolo 7: Conclusioni e Proposte.

mano d’attacco ed il conglomerato bituminoso di nuova realizzazione infatti,


sono comunemente controllati. Anche la compattazione realizzata tramite Pressa
Giratoria permette di riprodurre in maniera ottimale le effettive compattazioni in
sito, restituendo gli spessori e gli addensamenti di progetto. Col test dei vassoi
poi, si valutano i quantitativi di legante effettivamente stesi in opera. Il Leutner
test infine, prescindendo dalla presenza di azioni normali all’interfaccia, che
come dimostrato in numerosi studi [84], innalzano le tensioni di taglio, si
avvicina sufficientemente alle reali condizioni di sollecitazione del collegamento
in sito, con riferimento soprattutto alle modalità di applicazione delle azioni
tangenziali ed ai valori di Modulo di Reazione orizzontale (K) ottenibili.
Ipotizzando poi, di variare la temperatura di prova nel range di quelle di
esercizio, sarà possibile valutare le prestazioni del collegamento progettato per
diverse condizioni climatiche.

337
BIBLIOGRAFIA

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xii
Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del presente lavoro.
I professori ed i colleghi del DISTART Strade e Geotecnica di Bologna.
Tutti gli amici del NCPE di Nottingham.
Tutti gli amici ed i dirigenti della Valli-Zabban S.p.A.
I colleghi ed amici del Settore Viabilità della Provincia di Bologna.
I laureandi.
Gli altri amici.
La mia famiglia e la persona che mi sta accanto.

Grazie!
C.S.

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