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DIPARTIMENTO DI
CHIMICA, MATERIALI E
INGEGNERIA CHIMICA
“GIULIO NATTA”
Rif. mCD_R_13-030
Contratto di ricerca
Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” - Materiali Cementizi e Durabilità
Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 3 di 112
Indice
1. Premessa pag. 5
2. Stato dell’arte pag. 6
2.1 La pre-ossidazione per esposizione atmosferica pag. 6
2.1.1 Azione dell’esposizione all’atmosfera dell’acciaio pag. 6
2.1.2 Studi sulla caratterizzazione degli ossidi sulle barre d’armatura pag. 7
2.2 Effetti sull’aderenza pag. 9
2.3 Effetti sulla passivazione e la corrosione delle armature pag. 10
2.3.1 Sintesi degli studi disponibili pag. 10
2.3.2 Confronto dei risultati pag. 18
Tabelle e Figure pag. 21
3. Metodologia sperimentale pag. 33
3.1 Barre d’armatura pag. 33
3.1.1 Caratterizzazione macroscopica pag. 33
3.1.2 Caratterizzazione microstrutturale pag. 34
3.1.3 Analisi dei prodotti di corrosione pag. 34
3.2 Calcestruzzo pag. 34
3.2.1 Materie prime e proporzioni pag. 34
3.2.2 Caratterizzazione pag. 35
3.3 Prove in calcestruzzo pag. 35
3.3.1 Provini pag. 35
3.3.2 Condizioni di stagionatura e di esposizione pag. 36
3.3.3 Prove in condizioni di corrosione libera pag. 36
3.3.4 Prove di polarizzazione potenziostatica pag. 37
3.4 Prove in soluzione pag. 37
3.4.1 Provini e celle di prova pag. 37
3.4.2 Misura del potenziale di corrosione pag. 38
3.4.3 Prove di polarizzazione potenziostatica pag. 38
Tabelle e Figure pag. 39
4. Risultati pag. 44
4.1 Classificazione visiva del grado di ossidazione delle armature pag. 44
4.2 Caratterizzazione delle barre pag. 45
4.2.1 Composizione chimica e proprietà meccaniche pag. 45
4.2.2 Osservazioni macroscopiche pag. 45
4.2.3 Analisi delle sezioni metallografiche pag. 45
4.2.4 Analisi sui prodotti di corrosione pag. 47
4.3 Prove di passivazione in calcestruzzo pag. 47
4.3.1 Fasi iniziali della passivazione pag. 47
4.3.2 Condizioni di corrosione libera pag. 48
4.3.3 Polarizzazione potenziostatica pag. 51
4.4 Prove in soluzione pag. 51
4.4.1 Prima serie pag. 51
4.4.2 Seconda serie pag. 52
Tabelle e Figure pag. 53
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5. Discussione pag. 87
5.1 Effetto dell’esposizione atmosferica pag. 87
5.1.1 Correlazione tra tempo di esposizione e ossidazione pag. 87
5.1.2 Effetto sulle proprietà meccaniche pag. 88
5.2 Effetto della pre-ossidazione sulla passivazione pag. 88
5.2.1 Passivazione iniziale pag. 89
5.2.2 Effetto dell’umidità pag. 91
5.2.3 Effetto di una polarizzazione anodica pag. 92
Tabelle e Figure pag. 94
Conclusioni pag. 108
Bibliografia pag. 110
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 5 di 112
1. Premessa
Il prolungato stoccaggio delle armature in aree non coperte prima del getto del
calcestruzzo determina la formazione di ‘ruggine’ sulla superficie dell’acciaio. L’entità
dell’ossidazione dipende dall’ambiente di esposizione e dalla durata; in ambienti vicini
alla costa, è possibile che negli ossidi siano presenti ioni cloruro. Le norme italiane, in
particolare le Norme Tecniche per le Costruzioni, e quelle internazionali non contengono
raccomandazioni specifiche in merito alla valutazione dell’entità della pre-ossidazione
delle armature e a possibili criteri di accettazione. In genere si limitano a richiedere che
non ci siano ossidi non aderenti che possano pregiudicare l’aderenza, mentre non
affrontano i possibili effetti della pre-ossidazione sulla durabilità delle opere. Anche i
capitolati tecnici dei maggiori enti appaltanti italiani non riportano indicazioni dettagliate
riguardo ai possibili criteri di accettazione delle barre. Questa situazione rende difficile la
gestione dei contenziosi e costringe spesso alla sabbiatura delle barre pre-ossidate,
indipendentemente dal livello raggiunto dall’ossidazione.
In realtà, mentre è evidente che ‘spessi’ strati di ossido non aderente pregiudicano
l’aderenza acciaio-calcestruzzo e non possono essere accettati, la presenza di ‘sottili’
strati di ossidi aderenti potrebbe non avere effetti significativi sulla struttura. In
particolare, per quanto concerne la durabilità delle costruzioni, si ritiene comunemente
che il contatto con l’ambiente alcalino del calcestruzzo possa portare alla passivazione
dell’acciaio anche in presenza di un ‘sottile’ strato di ossido aderente, in quanto
l’alcalinità può permeare lo strato d’ossido e permettere la formazione del film passivo,
almeno in assenza di cloruri. Tuttavia non sono disponibili informazioni sulle effettive
condizioni di passivazione delle armature in funzione delle caratteristiche dello stato di
pre-ossidazione (spessore e composizione degli ossidi, morfologia ed entità dell’attacco
subito dall’acciaio, ecc.). L’analisi della letteratura scientifica (Capitolo 2) ha consentito
di rilevare dati controversi e difficilmente confrontabili, in quanto frutto di studi con
metodologie sperimentali differenti. Alcuni autori sostengono che la pre-ossidazione non
abbia alcun effetto sul successivo comportamento alla corrosione delle armature nel
calcestruzzo. Altri, invece, sostengono che questa potrebbe influenzare la durabilità della
struttura, soprattutto in seguito alla carbonatazione del calcestruzzo o alla penetrazione
dei cloruri (ad esempio favorendo l’innesco dell’attacco oppure la sua propagazione).
Questa relazione descrive i risultati di uno studio sperimentale volto alla valutazione degli
effetti della pre-ossidazione delle armature sulla durabilità delle costruzioni in
calcestruzzo armato. In particolare, in questo lavoro si è previsto lo studio dell’influenza
dell’ossidazione delle barre, prodotta dalla corrosione atmosferica, sulla loro passivazione
in un calcestruzzo rappresentativo delle tipiche applicazioni strutturali in Italia,
considerando armature provenienti da uno stabilimento e caratterizzate da diversi gradi di
pre-ossidazione indotti dall’esposizione atmosferica, al fine di individuare eventuali
condizioni critiche per la passivazione.
Nel capitolo 2 si riporta lo stato dell’arte emerso dall’analisi della bibliografia disponibile
su questo argomento. Nel capitolo 3 si descrivono le prove sperimentali effettuate
nell’ambito di questo studio, i cui risultati sono presentati nel capitolo 4 e discussi nel
capitolo 5. Infine si traggono le conclusioni dello studio.
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2. Stato dell’arte
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Tuttavia, un aumento della temperatura può avere anche effetti positivi se favorisce
l’evaporazione dell’acqua.
La velocità di corrosione dell’acciaio aumenta notevolmente in presenza di inquinanti
atmosferici sia gassosi (soprattutto SO2) sia solidi (polveri sottili). I primi favoriscono la
formazione di condense acide e aumentano la conducibilità elettrica della soluzione a
contatto con la superficie del metallo, i secondi si depositano sulla superficie creando uno
strato poroso che trattiene le soluzioni aggressive. In ambienti marini, sulla superficie
metallica possono depositarsi aerosol contenenti cloruri; l’accumulo di questi ioni sulla
superficie ha un effetto estremamente negativo sulla velocità di corrosione e, in ambienti
marini urbani e industriali, ha un’azione sinergica con gli inquinanti.
Le condizioni di corrosione peggiori si riscontrano sulla superficie metallica, in genere,
nelle zone in cui si formano interstizi in cui, da un lato, si possono accumulare l’acqua e
gli inquinanti e, dall’altro lato, è sfavorita l’evaporazione. Infatti, le zone ben esposte
all’atmosfera in genere possono beneficiare sia dell’effetto dilavante della pioggia (che
favorisce la rimozione degli inquinati) sia della rapida evaporazione dell’acqua nei
periodi asciutti. Viceversa, all’interno degli interstizi può ristagnare a lungo l’acqua e si
concentrano le sostanze inquinanti. Nel caso delle barre d’armatura conservate in fasci, le
condizioni più aggressive si possono produrre, ad esempio, nelle zone di contatto fra le
barre all’interno del fascio.
L’entità della corrosione dipende, ovviamente, anche dal tempo di esposizione. In
generale, per l’acciaio esposto all’atmosfera, si osserva un andamento del consumo del
ferro (e quindi anche della quantità di ossidi prodotti) proporzionale alla radice quadrata
del tempo di esposizione, dovuto al fatto che gli strati di ruggine, pur non essendo in
grado di proteggere l’acciaio, determinano una leggera riduzione della velocità di
corrosione. Sono stati proposti diversi meccanismi elettrochimici per spiegare la crescita
dello strato di ossidi e il ruolo dell’alternanza di periodi di asciutto e bagnato in seguito
all’esposizione atmosferica dell’acciaio [1-3].
Per approfondimenti sulla corrosione atmosferica degli acciai, si rimanda ai riferimenti
[4-6].
2.1.2 Studi sulla caratterizzazione degli ossidi sulle barre d’armatura
L’effetto dell’esposizione atmosferica sulle barre d’armatura è stato studiato da Zitrou et
al. [7], che hanno analizzato anche il ruolo del processo di produzione. Si sono
considerate barre prodotte con diversi metodi ed esposte ad Atene a 12 km dalla costa,
subito dopo la produzione e senza rimuovere la scaglia, per diversi tempi (1, 3, 6 e 9
mesi, a partire dal mese di settembre). Si è osservato che lo stato della superficie e lo
strato iniziale di ossido (scaglia) presente, che dipendono dal processo produttivo, hanno
un ruolo fondamentale nello sviluppo della corrosione in atmosfera. In questo lavoro, nel
caso delle barre laminate a caldo (sia con elevato tenore di carbonio sia con aggiunta di
vanadio) si è osservata una scaglia iniziale di spessore di circa 10-15 μm; sulle barre
prodotte con processo Tempcore lo spessore era minore (circa 6 μm) e con trafilatura a
freddo era praticamente inesistente.
Dall’osservazione visiva macroscopica delle barre è emerso che gli acciai laminati a
caldo (microlegati e non) presentavano fin da subito una scaglia scura e, una volta
esposti, hanno subito un attacco corrosivo a partire dalle parte più esterna delle nervature
(probabilmente a causa del ridotto spessore della scaglia), divenuto poi uniforme con
l’aumentare della durata di esposizione. Nel caso delle barre Tempcore e trafilate a
freddo, invece, gli ossidi non aderenti tendevano fin dai primi mesi a coprire l’intera
superficie.
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Con analisi al microscopio elettronico a scansione su sezioni lucidate, gli autori hanno
valutato lo spessore degli strati di ossidi e con microsonda EDAX la loro composizione
elementale. La Figura 2.1 mostra i risultati ottenuti con le barre prodotte con i diversi
metodi, dopo vari periodi di esposizione. In Figura 2.2, viene riassunto l’andamento nel
tempo dello spessore degli ossidi (scaglia iniziale e, poi, prodotti di corrosione). Non si
vedono rilevanti differenze fra le armature prodotte con le diverse tecnologie. Tuttavia,
analizzando le piccole differenze, le armature trafilate a freddo si sono rivelate
leggermente più sensibili alla corrosione, seguite dalle barre prodotte con il processo
Tempcore. Le barre laminate a caldo, sia non legate sia microlegate con vanadio, hanno
mostrato il comportamento migliore. Questo risultato è stato giustificato dagli autori con
il maggiore spessore iniziale della scaglia. Il peggiore comportamento delle armature
trafilate a freddo e Tempcore, oltre che dal minore spessore di ossidi iniziali, è stato
giustificato anche rispettivamente con le tensioni residue che derivano dal processo di
deformazione a freddo e con la presenza di una microstruttura eterogenea.
Con l’analisi EDAX nei prodotti di corrosione sulle barre esposte all’atmosfera si sono
rilevati gli elementi zolfo (S) e cloro (Cl). Gli autori riportano una possibile spiegazione
del meccanismo con cui si produce la corrosione che ipotizza il ruolo dei contaminanti
atmosferici (SO2) e dei cloruri. Sostengono che gli anioni cloruri e solfato sono in grado
di passare attraverso lo strato iniziale di ossido di ferro (scaglia) e innescare la corrosione
localizzata, con formazione di solfati contemporaneamente a cloruro di ferro. La SO2 e
l’ossigeno vengono inizialmente adsorbiti sulla superficie dell’ossido e successivamente
trasformati in ioni solfato. La reazione degli ioni solfato con gli ioni ferro porta alla
formazione di solfato di ferro nei siti anodici. Successivamente il solfato ferroso si ossida
a solfato ferrico che quindi idrolizza per produrre ossi-idrossidi di ferro con generazione
di acido solforico.
Con l’analisi di diffrazione di raggi X (XRD) hanno visto che la scaglia iniziale consiste
in ematite (Fe2O3), magnetite (Fe3O4) e wustite (FeO). Dopo l’esposizione all’atmosfera,
invece, il prodotto di corrosione principale è la lepidocrocite (γ-FeOOH), seguita dalla
akaganeite (β-FeOOH) e dalla goethite (α-FeOOH). La composizione mineralogica degli
ossidi non è stata influenzata dal processo produttivo.
Mehmood et al. [8] hanno studiato gli effetti dell’esposizione di barre laminate a caldo e
Tempcore a un’atmosfera marina industriale del golfo arabo, per un periodo fino a 2 anni.
L’osservazione visiva ha mostrato che entro due settimane le barre Tempcore si sono
rivestite di ruggine, mentre le barre laminate a caldo mostravano ruggine solo nei risalti
delle nervature. Dopo un mese le barre Tempcore erano ricoperte di ruggine quasi
completamente, mentre le altre lo erano solo per il 20-50% della superficie e mostravano
degli attacchi più localizzati. Dopo quattro mesi tutti i tipi di barre hanno perso
completamente l’iniziale colore scuro della scaglia ed erano completamente arrugginite.
Tuttavia, la ruggine sulle barre Tempcore aveva un aspetto più liscio, mentre in quelle
laminate a caldo era granulare e incoerente. La più rapida ossidazione delle barre
Tempcore viene spiegata dal minore spessore di scaglia che ricopre queste barre, in
quanto durante la produzione vengono raffreddate più velocemente in superficie rispetto a
quelle laminate a caldo. Tuttavia, nelle barre laminate a caldo, la corrosione inizia dove la
spessa scaglia viene rimossa durante la movimentazione delle barre, dando luogo ad
attacchi localizzati, in corrispondenza dei quali, a causa del maggiore volume degli ossidi,
la scaglia viene poi progressivamente fessurata e rimossa.
La Figura 2.3 mostra l’andamento nel tempo della perdita di massa dei diversi tipi di
armature. Si osserva come la perdita di massa sia inferiore sulle armature Tempcore
rispetto a quelle laminate a caldo. Quindi il più rapido arrugginimento osservato
visivamente sulle prime non sembra corrispondere a una maggiore velocità di corrosione.
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La minore velocità di corrosione atmosferica delle barre Tempcore viene attribuita dagli
autori a una microstruttura (martensitica rinvenuta) più omogenea di quella delle barre
laminate a caldo, caratterizzate dalla presenza di ferrite e perlite che favorirebbe la
formazione di micro-celle di corrosione. In questo articolo vengono anche riportate le
perdite di spessore delle barre e le loro caratteristiche meccaniche. Si mostra come, anche
dopo due anni di esposizione, la riduzione di spessore sia modesta (meno di un decimo di
millimetro) e la resistenza a trazione non sia influenzata dalla corrosione atmosferica.
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acciaio. Sostengono, inoltre, che non vi sono differenze fra barre di piccolo o grande
diametro in relazione agli effetti dell’esposizione atmosferica: lo spessore dello strato di
ossidi che si deposita sulle barre dipende dall’aggressività dell’ambiente e dalla durata di
esposizione, ma non dal loro diametro.
Mehmood et al. [8] confermano l’assenza di effetti della pre-corrosione sull’aderenza con
prove di pull-out effettuate su barre esposte a un’atmosfera marina industriale del golfo
arabo per 12 mesi.
In generale, quindi, sembra emergere da questi studi che lo stato di ossidazione
superficiale delle armature generatosi prima che siano introdotte nel calcestruzzo, almeno
se gli ossidi sono aderenti e le armature sono nervate, non ha effetti deleteri sull’aderenza
al calcestruzzo. Si osserva che in letteratura sono presenti molti studi che hanno valutato
anche gli effetti sull’aderenza degli ossidi prodotti dalla corrosione delle armature
all’interno del calcestruzzo (in seguito all’innesco della corrosione per carbonatazione o
contaminazione da cloruri). Questi studi non sono stati considerati in questo stato
dell’arte, in quanto si riferiscono a condizioni differenti rispetto a quelle della ruggine
prodotta per esposizione atmosferica (in particolare, l’accrescimento degli ossidi
direttamente all’interno del calcestruzzo indurito può causare stati di tensione e di
fessurazione).
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Fe3O4 prodotta in laboratorio esponendo l’acciaio a 800°C per 20 minuti e, infine, con
pre-ossidazione prodotta esponendo l’acciaio in ambiente umido per diverse settimane
(non documentano l’effettivo stato di ossidazione superficiale). Le barre sono state
inglobate in provini di malta sui quali si sono misurati il potenziale di corrosione e la
velocità di corrosione (con il metodo della Rp) in due fasi: nei primi 28 giorni in cui la
malta veniva stagionata a 100% UR e 20°C e per ulteriori 90 giorni in cui i diversi
provini sono stati immersi in acqua distillata e in soluzioni con 1% e 3% di NaCl. Nel
periodo di stagionatura (Figura 2.5) le barre lucidate e con scaglia si sono mostrate
passive; anche le barre con pre-ossidazione hanno mostrato di essere passive, anche se si
è rilevata una velocità di corrosione leggermente superiore rispetto alle barre prese come
riferimento (giustificata da una maggiore area effettiva dovuta alla presenza degli ossidi
porosi). Nel caso dei provini successivamente immersi nelle diverse soluzioni si sono
ottenuti risultati differenti per le barre lucidate e con scaglia rispetto a quelle con pre-
ossidazione. Come mostrato in Figura 2.6, le prime due tipologie hanno continuato a dare
velocità di corrosione trascurabili (nonostante la diminuzione del potenziale, giustificata
dagli autori con la riduzione del contenuto di ossigeno), mentre le barre pre-corrose
hanno evidenziato velocità di corrosione crescenti all’aumentare del contenuto di cloruri
della soluzione in cui sono stati immersi i provini. Gli autori, per giustificare gli elevati
valori di velocità di corrosione rilevati sui provini immersi nelle soluzioni con cloruri
ipotizzano che lo strato di ruggine possa aver interferito con lo strato di portlandite che, in
caso di intimo contatto fra acciaio e calcestruzzo, promuove il mantenimento delle
condizioni di passività; tuttavia, non riportano dati relativi alla effettiva quantità di cloruri
giunta alla profondità dell’armatura. Forniscono, invece, delle interpretazioni basate sulla
possibilità che il processo di corrosione possa essere sostenuto da un processo catodico di
autoriduzione della ruggine (Fe2+ + 4Fe2O3 + 2e 3Fe3O4) e, quindi, possa avvenire
anche in assenza di ossigeno (necessario per il comune processo catodico di riduzione
dell’ossigeno stesso: O2 + 2H2O + 4e 4OH-).
Proverbio e Cigna [18] hanno studiato il comportamento di barre nervate in due
calcestruzzi con cemento pozzolanico e con rapporto acqua/cemento di 0.5 e 0.7. Le barre
sono confrontate nelle condizioni: decapate, pulite con una spazzola metallica e pre-
corrose (si dice solo che sono state esposte ad atmosfera umida e non si documenta lo
strato di ruggine). Si è monitorata per circa un anno la velocità di corrosione (con il
metodo della Rp) sui provini esposti in laboratorio (senza contaminazioni). La Figura 2.7
mostra che per tutte le barre la velocità di corrosione è diminuita lungo tutto l’arco
dell’anno di esposizione. Le barre pre-corrose hanno mostrato un andamento della
velocità di corrosione analogo a quello delle barre decapate, ma con valori circa doppi.
Gli autori spiegano questo fenomeno affermando che lo strato di ruggine che inizialmente
copre le barre pre-corrose richiede un tempo maggiore per la passivazione nel
calcestruzzo e, anche quando viene raggiunta una condizione di passività, lo strato
residuo di ruggine maschera la superficie inducendo la formazione di fenomeni corrosivi
localizzati. Non vengono però forniti dati a supporto di questa assunzione.
Mammoliti et al. [19] descrivono un numero limitato di prove in soluzioni alcaline alle
quali sono stati aggiunti cloruri. Si confronta la superficie lucidata con la superficie
nervata di barre per calcestruzzo armato. Si studia, inoltre, la superficie lucidata di una
barra liscia di acciaio dolce. Gli autori non trovano significative differenze di velocità di
corrosione tra i diversi acciaio e le diverse condizioni superficiali in assenza di cloruri. In
seguito all’aggiunta di cloruri concludono che lo stato della superficie influisce
sull’innesco della corrosione per pitting.
Gonzàlez et al. [20] hanno studiato barre pre-corrose in acqua di mare, successivamente
inglobate in provini di malta (valutano anche l’effetto di un inibitore a base di nitrito di
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e di potenziale di corrosione (ben correlate fra loro) gli autori osservano, però, che una
volta innescata la corrosione le barre sabbiate si corrodono con velocità più elevata
rispetto alle armature con scaglia e con pre-ossidazione.
Novak et al. [22] confrontano barre con diversi gradi di finitura (‘machined’, con la
scaglia di laminazione e pre-corrose), in calcestruzzi con diversi tenori di cloruri (fino a
2.5% fatti penetrare come NaCl). Non sembra che abbiano usato barre per armatura. Le
barre pre-corrose avevano uno spessore medio dello strato di ossidi di circa 50 µm,
ottenuto dopo circa sei mesi di esposizione all’esterno in un ambiente di classe C4,
secondo la norma ISO 9223; lo spessore medio della scaglia era di 10-20 µm. In Tabella
2.1 sono riportati i risultati delle prove e si confrontano le misure di resistenza di
polarizzazione con prove di perdita di massa. Gli autori concludono che le armature pre-
corrose hanno un valore inaccettabile di velocità di corrosione (> 1 µm/anno) anche in
calcestruzzo senza cloruri. Affermano che, in tutti i casi (quindi, sembrerebbe
stranamente anche senza cloruri), la corrosione è localizzata. L’articolo non è molto
chiaro e si fatica a capire come sono state effettivamente svolte le prove; ad esempio, non
è chiaro come abbiano calcolato la perdita di massa sulle armature che erano già pre-
ossidate. Per giustificare la corrosione delle barre pre-ossidate nei provini senza cloruri o
con 0.4% di cloruri parlano di un possibile ruolo dei solfati presenti nell’atmosfera in cui
è avvenuta la pre-ossidazione. Tuttavia, la loro spiegazione del fenomeno non è
supportata da spiegazioni convincenti. I dati sperimentali sono limitati a una tabella con
potenziale di corrosione (Ecorr) e resistenza di polarizzazione (Rp); per le perdite di massa,
rimandano a un altro articolo (che non è stato possibile reperire).
In effetti, Mohammed e Hamada [23] inviano alla rivista delle osservazioni su questo
articolo. Chiedono maggiori dettagli sperimentali, ma non c’è risposta degli autori.
Chiedono anche spiegazioni sulla ‘localizzazione’ dell’attacco e fanno riferimento
all’articolo di Li e Sagues [21] che afferma che la sabbiatura ha innalzato il tenore critico
di cloruri, ma dopo l’innesco la velocità di corrosione delle armature sabbiate è risultata
maggiore di quelle con scaglia di laminazione o con ruggine. Per quanto riguarda i solfati
loro ritengono che possano influenzare la corrosione sia con sia senza cloruri; i solfati
possono trasformarsi in acido solforico che è altamente aggressivo sia per l’acciaio sia per
il calcestruzzo. Affermano inoltre che i solfati possono neutralizzare gli ioni OH- che
passano attraverso lo strato di ruggine. Citano quindi Avila-Mendoza et al. [17] che
attribuiscono la corrosione delle barre pre-ossidate alla auto-riduzione del Fe2O3 a Fe3O4;
questo effetto può essere significativo nei primi periodi di esposizione. Questi autori,
inoltre, riportano i dati di Tabella 2.2 nella quali rianalizzano i dati di Novak et al. e
confrontano le velocità di corrosione ottenute con la resistenza di polarizzazione (Rp) con
quelli ottenute dalla perdita di massa, assumendo che non ci sia localizzazione
dell’attacco (ipotizzano un ‘fattore di pitting’ pari a 1, cioè che la corrosione sia
uniforme). Si osserva come ci sia una significativa differenza tra la penetrazione
dell’attacco stimata con Rp e quella misurata con perdita di peso.
Maslehuddin et al. [24] descrivono uno studio in cui si sono considerate barre di diametro
12 mm e 18 mm di diversa produzione (Tempcore e tre processi di laminazione a caldo).
Le barre sono state studiate nelle condizioni come ricevute e dopo esposizione di 3, 6 e 12
mesi in due ambienti nel golfo arabo: uno a 5 km dal mare e uno a 400 km dal mare;
considerano anche barre esposte per 1000 ore in nebbia salina. Le barre sono state
introdotte in provini di calcestruzzo ‘esposti’ a una soluzione con 5% NaCl. Lo studio,
per come è impostato, sarebbe interessante; tuttavia i risultati sono presentati e discussi in
modo confuso e si fatica a capire cosa sia stata davvero ottenuto (non sono riportati dati
su quanti cloruri sono penetrati nei diversi provini). Gli autori si soffermano soprattutto
sulle differenze fra le armature prodotte con processo Tempcore e laminazione a caldo,
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giustificherebbe l’aumento del potenziale di corrosione verso valori più nobili (-200/-100
mV vs SCE). Ipotizzano che la reazione anodica, invece, non cambi. L’aumento della
velocità di corrosione stimata con la resistenza di polarizzazione sui provini con ruggine,
secondo questi autori è tipico degli ‘elettrodi porosi’; ipotizzano, quindi, che lo strato di
ossidi si comporti come un elettrodo poroso la cui area attiva è proporzionale alla massa
dell’elettrodo (cioè dello strato di ruggine). Ipotizzando che il processo di corrosione sia
controllato dal processo di riduzione di ossigeno, ci si aspetterebbe quindi una velocità di
corrosione all’incirca proporzionale alla massa di ossido, come sembrerebbe dimostrare la
Figura 2.13). Questa ipotesi varrebbe anche nel caso in cui non tutta la massa della
ruggine fosse conduttiva elettricamente, pur di ipotizzare che ci sia una distribuzione
uniforme dei siti reattivi nella ruggine. Sulla base di questa ipotesi affermano, quindi, che
la ruggine favorirebbe il processo di corrosione, come giustificato dalla correlazione
diretta fra la massa di ruggine e la perdita di massa dovuta alla corrosione dell’acciaio.
Affermano, inoltre, che il metodo della polarizzazione lineare ha sovrastimato la velocità
di corrosione nei campioni con i contenuti di ruggine più elevati (Figura 2.14); questo
viene attribuito alla ‘inadeguatezza’ della metodologia di prova utilizzata (misura della
corrente dopo soli 15 secondi di polarizzazione di 10 mV) in presenza di elevati valori di
capacitanza causati dagli elevati spessori di ossidi. Nella parte finale dell’articolo
riportano alcuni risultati su barre immerse in malta (Figura 2.15) che sembrano mostrare
(con il metodo della resistenza di polarizzazione) velocità di corrosione elevate per i
provini con pre-ossidazione; non forniscono però spiegazioni riguardo alle condizioni di
queste prove.
Poursaee e Hansson [27] hanno studiato il tempo di passivazione delle armature in malta
e in una soluzione dei pori simulata (entrambe senza cloruri), confrontando armature
come ricevute (con scaglia, ma non la documentano) e dopo sabbiatura. Hanno effettuato
misure di potenziale di corrosione e di velocità di corrosione (con metodo della Rp). La
Figura 2.16 mostra l’andamento della velocità di corrosione delle armature nei provini in
malta e in soluzione. Gli autori affermano che il tempo necessario per raggiungere valori
di velocità di corrosione tipici della passività (assunto pari a 1 mA/m2) sono stati di 7
giorni in malta e 3 giorni in soluzione; tuttavia, la velocità di corrosione è diminuita, sia
pure lentamente, anche in seguito. Sulle barre con scaglia hanno osservato velocità di
corrosione leggermente più alte, ma sostengono che questa osservazione non è né
consistente né significativa. In questo lavoro hanno anche cercato, per le barre in
soluzione di studiare il film di passività sulle barre sabbiate con spettroscopia Raman, ma
sostengono che questo sia troppo sottile per essere valutato con questa tecnica; anche
sulle barre con scaglia non hanno osservato differenze significative in seguito
all’immersione per due mesi nella soluzione.
Miranda et al. [28] confrontano il comportamento dell’acciaio senza ruggine (decapato)
con quello dell’acciaio sottoposto a diversi tipi di pre-ossidazione: barre con ‘spessi’
prodotti di corrosione in seguito all’esposizione in malta carbonatata per diversi anni,
piastrine contaminate con cloruri e esposte per diversi tempi in una camera umida, barre
ossidate a 550 o 650°C, barre con tre diversi gradi di corrosione i seguito a esposizione
all’acqua di mare. Fanno prove in soluzione satura di Ca(OH)2 e in malta, rilevando il
potenziale di corrosione e la velocità di corrosione con il metodo della Rp, impulsi
galvanostatici e curve di polarizzazione. La Figura 2.17 confronta le velocità di
corrosione ottenute in soluzione e in malta con le barre nelle diverse condizioni (ci sono
anche prove con uso di un inibitore di corrosione a base di nitrito di calcio, che non
vengono qui considerate). Si osserva che sulle barre con pre-ossidazione,
indipendentemente dal modo con cui questa è stata effettuata (e quindi dalla
composizione degli ossidi), la velocità di corrosione è 1-2 ordini di grandezza superiore a
quella delle barre decapate. Gli autori riportano anche delle correlazioni tra la velocità di
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critico di cloruri per l’innesco della corrosione, hanno raccolto 10 tipi di barre d’armatura
nervate provenienti da diversi paesi e con varie condizioni superficiali. Sono state
confrontate le condizioni superficiali e le microstrutture dello strato superficiale
dell’acciaio. L’osservazione visiva delle barre ha evidenziato differenza nella
microstruttura superficiale (caratterizzata da martensite per le barre prodotte con il
processo Tempcore e da ferrite-perlite per quelle prodotte per laminazione a caldo) e nelle
condizioni superficiali: alcune barre erano essenzialmente libere da prodotti di corrosione
rosso-bruni, altre ne erano parzialmente ricoperte, altre ancora erano rivestite da spessi
strati di ruggine non aderente. Campioni delle barre sono stati immersi per 42 giorni in
soluzione satura di Ca(OH)2 e sono state caratterizzati con misure di voltammetria ciclica.
Gli autori evidenziano una correlazione tra l’intensità del picco evidenziato durante la
prova al potenziale di circa -500 mV vs Ag/AgCl (che attribuiscono alla conversione del
Fe(II) in Fe(III)) e il grado di pre-ossidazione osservato visivamente. Successivamente,
alla soluzione in cui erano immerse le barre si sono periodicamente aggiunti cloruri, per
verificare l’innesco della corrosione, con misure di potenziale di corrosione. I risultati
sono stati analizzati come rapporto critico [Cl-]/[OH-] ovvero come rapporto fra la
concentrazione di cloruri che ha determinato l’innesco della corrosione localizzata e la
concentrazione di ioni [OH-] nella soluzione alcalina di prova. Con questo studio non è
stata riscontrata alcuna correlazione tra il rapporto critico [Cl-]/[OH-] e la classificazione
visiva della pre-ossidazione o l’intensità del picco individuato con la voltammetria
ciclica. Gli autori affermano che né la quantità di ruggine né l’aspetto visivo delle barre
permettono una previsione del comportamento a corrosione delle barre in presenza di
cloruri. Sostengono, invece, che ci possa essere un effetto della microstruttura
superficiale dell’acciaio, in quanto hanno rilevato tenori critici di cloruri maggiori sulle
barre con microstruttura ferritico-perlitica rispetto a quelle con microstruttura
martensitica.
2.3.2 Confronto dei risultati
Per confrontare i risultati degli studi descritti sinteticamente nel paragrafo precedente, in
Tabella 2.4 vengono evidenziati i fattori considerati da ciascuno studio e le conclusioni
tratte dagli autori. Nel dettaglio, le diverse colonne della tabella riportano, per ogni
lavoro:
- gli autori, l’anno e il riferimento bibliografico,
- la tipologia di metallo considerato: l’impiego di barre nervate per calcestruzzo armato,
di barre lisce oppure laminette di acciaio; per le barre da calcestruzzo armato, ove
indicato dagli autori, sono evidenziate le tecnologie produttive (Tempcore oppure
laminazione a caldo),
- le condizioni superficiali prese come parametro di confronto: queste sono state distinte
per il riferimento (cioè barre senza scaglia di laminazione o senza pre-corrosione,
ottenute per decapaggio, sabbiatura, ecc.), per la scaglia di laminazione (in genere
ottenuta direttamente dal produttore, ma in alcuni casi prodotta artificialmente ad alta
temperatura) e per la pre-ossidazione (per questa si è distinto fra condizioni di
esposizione naturale prolungata o accelerata, separando ulteriormente i casi in cui era
presente la contaminazione da cloruri da quelli in cui era assente);
- i metodi analitici eventualmente utilizzati dagli autori per documentare e caratterizzare
la composizione, lo spessore o la microstruttura della scaglia di laminazione e della pre-
ossidazione;
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- gli effetti osservati per la scaglia di laminazione rispetto alla condizione presa come
riferimento dagli autori, in relazione sia alla passivazione delle armature sia all’innesco
della corrosione da cloruri;
- gli effetti osservati per la pre-ossidazione rispetto alla condizione presa come
riferimento dagli autori, in relazione sia alla passivazione delle armature sia all’innesco
della corrosione da cloruri.
Per quanto riguarda le ultime due voci, si sono considerati sia i risultati presentati
nell’articolo sia le interpretazioni riportate dagli autori, al fine di individuare se,
rispettivamente la scaglia e/o la pre-ossidazione, hanno influito:
- sulla passivazione delle armature, quindi sulla loro possibilità di raggiungere velocità di
corrosione trascurabili (e confrontabili con quelle del riferimento) in assenza di
carbonatazione o contaminazione con cloruri;
- sull’innesco della corrosione da cloruri, quindi sul tenore critico di cloruri necessario
per innescare la corrosione localizzata.
Dall’analisi della Tabella 2.4 emerge come, purtroppo, i lavori effettuati dai diversi autori
siano di difficile confronto e giungano spesso a conclusioni contrastanti. I motivi sono da
ricondurre soprattutto alle diverse metodologie utilizzate. In alcuni casi si sono impiegate
barre pre-corrose effettivamente per prolungata esposizione all’atmosfera, ma in molti
casi si sono utilizzate barre pre-corrose artificialmente (spesso in ambienti o soluzioni con
cloruri). A volte le prove sono state realizzate in calcestruzzo, altre in soluzioni alcaline
che simulano la soluzione dei pori del calcestruzzo. A queste differenze si aggiungono
altri fattori che complicano il confronto, quali: la composizione e la tecnologia produttiva
delle barre, la composizione del calcestruzzo, le tipologie di prove effettuate, ecc.
Si possono, comunque, cercare di individuare degli elementi comuni a più lavori.
In generale viene mostrato come la stessa scaglia di laminazione possa portare a velocità
di corrosione, rilevate con misure elettrochimiche più elevate rispetto a quelle ottenute su
armature “pulite” con sabbiatura, decapaggio o, persino, lucidatura. In assenza di cloruri
nel calcestruzzo, tuttavia, quasi tutti gli autori sostengono che le armature si passivino
anche in presenza di scaglia (tranne Miranda et al. [28]). Per quanto riguarda l’innesco
della corrosione da cloruri, la maggior parte degli autori sostengono che la scaglia stessa
sia in grado di ridurre il tenore critico rispetto alle armature “pulite”. La quantificazione
di questo effetto è però difficile, a causa anche della forte variabilità del tenore critico e
della sua dipendenza da molti altri fattori (tra i quali il tipo di legante, la microstruttura
dell’acciaio, il potenziale dell’acciaio, le caratteristiche microstrutturali dell’interfaccia
tra acciaio e calcestruzzo, ecc.). Diversi autori sostengono che l’eventuale effetto della
scaglia di laminazione sia “mascherato” dagli effetti di tutti gli altri fattori e, in definitiva,
sia solo uno dei tanti contributi che favoriscono la forte variabilità del tenore critico per le
armature. Va inoltre osservato come il possibile effetto negativo della scaglia di
laminazione, sia pure interessante dal punto di vista teorico, abbia poca rilevanza dal
punto di vista pratico. Infatti, la presenza di scaglia di laminazione è da intendersi come
una condizione “realistica” per le armature, visto che non è proponibile la sua rimozione.
L’analisi della bibliografia diviene ancora più complicato quando si cerca di analizzare
l’effetto della pre-ossidazione dovuta alla esposizione delle barre all’atmosfera. Da un
lato, la stessa definizione di pre-ossidazione diviene complicata, in quanto spesso la
superficie “come ricevuta” delle barre d’armatura non comprende solo la scaglia di
laminazione, ma presenta in parte già delle tracce di ossidi rosso-bruni. Inoltre, solo in
pochi studi è stato effettivamente caratterizzato lo strato di ossidi che ricopriva le
armature e, di conseguenza, in tutti gli altri studi, è difficile comprendere quali condizioni
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siano state davvero effettuate. Diversi autori evidenziano come la semplice osservazione
visiva della superficie delle barre non sia sufficiente per definire l’effettivo stato di
ossidazione. Un’ulteriore complicazione è dovuta al fatto che spesso lo strato di pre-
ossidazione è stato ottenuto per esposizione ad atmosfere o soluzioni contenenti cloruri.
I risultati dei diversi lavori sono contrastanti, soprattutto per quanto riguarda la possibile
passivazione delle armature. Molti autori giungono alla conclusione che, almeno in
assenza di cloruri (quindi quando l’esposizione atmosferica delle barre è avvenuta lontano
dalle coste marine), le armature siano in grado di passivarsi anche attraverso lo strato
superficiale di ossidi. Tuttavia, altri autori sostengono che le armature non siano in grado
di raggiungere condizioni di passività. Queste conclusioni sono in genere basate sul
confronto dei risultati di misure elettrochimiche di potenziale di corrosione e velocità di
corrosione rispetto alle armature prese come riferimento. In alcuni casi, questo risultato
potrebbe essere ricondotto alla presenza di cloruri nella ruggine che potrebbero avere
effetti negativi sulla passivazione, ma in altri casi gli autori giungono a questa
conclusione anche senza alcuna contaminazione da cloruri.
Per quanto riguarda l’innesco della corrosione dovuta alla penetrazione di cloruri nel
calcestruzzo durante la vita di servizio, c’è una prevalenza di studi che sostiene un ruolo
negativo della pre-ossidazione; tuttavia c’è anche un numero significativo di studi che
non evidenzia alcun ruolo o, persino, ipotizza un effetto positivo della pre-ossidazione.
Questi risultati, come per la scaglia di laminazione e probabilmente a maggior ragione in
questo caso, sono probabilmente frutto della forte variabilità del tenore critico che
difficilmente può essere presa in considerazione in un singolo lavoro sperimentale.
D’altro canto, il confronto di lavori di autori diversi non è possibile, in quanto le diverse
condizioni sperimentali introducono ulteriori elementi di incertezza.
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Tabella 2.1 – Confronto fra i risultati di velocità di corrosione ottenuta con perdita di
massa (vcorr), resistenza di polarizzazione (Rp) e potenziale di corrosione (Ecorr) su
armature pre-corrose (pre-rusted), con scaglia di laminazione (scaled) e pulite
meccanicamente (machined), immerse in calcestruzzo sottoposto a penetrazione di cloruri
(Novak et al. [22]).
Tabella 2.2 – Analisi dei risultati di Novak et al. [22] effettuata da Mohammed e Hamada
[23] per confrontare direttamente i valori di velocità di corrosione ottenuti con la
resistenza di polarizzazione e con la perdita di massa.
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Tabella 2.4 – Confronto degli studi sugli effetti degli ossidi sul comportamento a corrosione delle barre d’armatura.
(f)
Metodo di Condizioni superficiali Caratterizzazione Effetto scaglia (vs Rif.) Effetto pre-ossidazione
Rif. Tipo di (g) (h) (i)
Autori Anno (a) produzione Elettrolita Cloruri Metodi
bibl. metallo (b)
Riferimento (d) Pre-ossidazione Pre- (j) (k) (j) (k)
(c) Scaglia (e) Scaglia Passivazione Innesco Passivazione Innesco
ossidazione
John et al. 1983 [13] B n.d. S n.d. A n.d. n.d. C Pen EIS n.d. n.d. P <<
Vassie 1989 [14] B-L n.d. S C-R N-Cl n.d. s C No, Mix Ecorr P (0% Cl-) = (Cl=0.5%) P (0% Cl-) < (Cl=0.5%)
No, Mix,
Al-Tayyb et al. 1990 [15] n.d. n.d. n.d. n.d. N-? n.d. n.d. C Ecorr, Rp n.d. n.d. P >
Pen
Hansson e Sorensen 1990 [16] B-N, B-L n.d. S C-R N n.d. n.d. M Pen Ps, Ecorr, Rp n.d. > n.d. >>
Avila-Mendoza et al. 1994 [17] B-L n.d. L A A n.d. n.d. M No, Pen Ecorr, Rp P = P (<) <<
Proverbio e Cigna 1995 [18] B-N n.d. D, M n.d. A n.d. n.d. C No Rp n.d. n.d. P (<) n.d.
Mammoliti et al. 1996 [19] B-L, B-N n.d. L C-R n.d. n.d. n.d. S Sol Pd P << n.d. n.d.
Gonzales et al. 1996 [20] n.d. n.d. D n.d. A, A-Cl n.d. s, Cl S, M No Rp n.d. n.d. NP n.d.
Mehmood et al. 1998 [8] B-N L, T-C n.d. C-R N-Cl n.d. PM C No, Pen Ecorr n.d. n.d. P >>
Li e Sagues 2001 [21] B-N n.d. S C-R A-Cl n.d. n.d. S Sol Ecorr, EIS P << P <<
Novak et al. 2001 [22] B-L n.d. M C-R N s s C No, Pen Ecorr,Rp, PM P < NP <<
Maslehuddin et al. 2002 [24] B-N L, T-C n.d. C-R N, N-Cl, A-Cl n.d. n.d. C No, Pen Ecorr, Rp, Gs n.d. n.d. P >>
Al-Dulaijan et al. 2002 [25] B-N n.d. S n.d. A-Cl n.d. n.d. S, C No Ecorr, Rp, Gs n.d. n.d. NP n.d.
Gonzalez et al. 2007 [26] L n.d. n.d. n.d. A-Cl n.d. s S, M No Ecorr, Rp, PM n.d. n.d. NP n.d.
Poursee e Hansson 2007 [27] B n.d. S C-R n.d. n.d. n.d. S, M No Ecorr, Rp P n.d. n.d. n.d.
Miranda et al. 2007 [28] L, B-N n.d. D A A, A-Cl n.d. n.d. S, M No Ecorr, Rp, Pd NP n.d. NP n.d.
Manera et al. 2008 [29] B-L, B-N T-C S C-R n.d. n.d. n.d. C No, Mix Ecorr, Rp P << n.d. n.d.
Ghods et al. 2010 [30] B-N n.d. L C-R n.d. n.d. n.d. S Sol Ecorr, Rp, EIS, n.d. << n.d. n.d
Bansabra e Azzouz 2013 [32] B-N n.d. L n.d. n.d. n.d. OM S No Ecorr, Rp, EIS n.d. n.d. NP n.d.
Angst e Elsener 2015 [33] B-N L, T-C n.d. C-R N-? n.d. OV, Vc S Sol Ecorr n.d. = n.d. =
(a)
Tipo di provino utilizzato per le prove: B-N = barre nervate, B-L = barre lisce, B = barre (non specificato se lisce o nervate), L = laminette, n.d. = non dichiarato.
(b)
Metodo di produzione delle barre d'armatura: T-C = Themp-core , L = laminato a caldo, n.d. = non dichiarato.
(c)
Condizione superficiale dell'acciaio presa come riferimento: S = sabbiato, D = decapato, L = lucidato, M = spazzolatura o altra rimozione meccanica, n.d. = non disponibile.
(d)
Tipo di scaglia: C-R = come ricevuta dal produttore, A = prodotta artificialmente, n.d. = non disponibile.
(d)
Tipo di pre-ossidazione: N = naturale per esposizione ad atmosfera senza cloruri, N-Cl = naturale per esposizione ad atmosfera marina, A = artificiale senza cloruri, A-Cl = artificiale per immersione in soluzioni con cloruri o nebbia salina, N-? = naturale in
ambiente non dichiarato, n.d. = non disponibile.
(f)
Metodi impiegati per caratterizzare la scaglia e/o la pre-ossidazione: OV = osservazione visiva, SEM = microscopia elettronica a scansione, XRD = diffrazione di raggi X, s = viene dichiarato lo spessore di ossidi o di metallo consumato, Cl = analisi del
contenuto di cloruri, PM = perdita di massa; Vc = voltammetria ciclica; n.d. = non disponibile.
(g)
Mezzo in cui sono state fatte le prove: C = calcestruzzo, M = malta, S = soluzione.
(h)
Cloruri eventualmente impiegati nelle prove: No = nessuna contaminazione, Mix = aggiunti al mix del calcestruzzo, Pen = penetrazione nel calcestruzzo indurito, Sol = aggiunti alla soluzione.
(i)
Metodi di valutazione dello stato di corrosione: Ecorr = potenziale di corrosione, Rp = resistenza di polarizzazione, EIS = impedenza elettrochimica, Pd = polarizzazione potenziodinamica anodica, Ps = polarizzazione potenziostatica anodica, PM = perdita di
massa, Gs = polarizzazione galvanostatica.
(j)
Interpretazione dei risultati da parte degli autori, in relazione alla passivazione, rispetto al riferimento: P = confermata, P (<) = confermata passivazione, anche se con velocità di corrosione maggiore, NP = armature non passive, n.d. = non disponibile.
(k)
Interpretazione dei risultati da parte degli autori, in relazione all'innesco della corrosione da cloruri, rispetto al riferimento: '=' = nessun effetto, '<' = leggero peggioramento, '<<' = evidente peggioramento, '>' = leggero miglioramento, '>>' evidente
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Laminate a caldo
(C = 0.375%)
Laminate a caldo
e microlegate (V)
Tempcore
Trafilate
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Figura 2.2 – Spessore dei prodotti di corrosione in funzione dei mesi di esposizione
all’atmosfera di Atene (Zitrou et al. [7]).
Figura 2.3 – Andamento nel tempo della perdita di massa di barre d’armatura, ottenute
con processo Tempcore (quenched) e con laminazione a caldo (hot rolled), in seguito
all’esposizione a un’atmosfera marina industriale nel golfo arabo (Mehmood et al. [8]).
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Figura 2.5 – Potenziale di corrosione (a) e velocità di corrosione (b) rilevati su armature
con diverse condizioni superficiali (lucidate a specchio: mirror finish; con scaglia: black
oxide; con pre-ossidazione: red oxide) in provini di malta durante la stagionatura (Avila-
Mendoza et al. [17]).
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 26 di 112
Figura 2.7 – Velocità di corrosione (CR) rilevata su barre d’armatura con diverse
condizioni superficiali (decapate: rombi, pulite con una spazzola metallica: cerchi, pre-
corrose: quadrati) in provini di calcestruzzo conservati in laboratorio (Proverbio e Cigna
[17]).
Figura 2.8 – Andamento della velocità di corrosione nel tempo su barre immerse in malta
con differenti condizioni superficiali: senza ruggine e con strati di ossidi di 166, 239 e
253 g/m2 contaminati da cloruri (Gonzàlez et. al. [20]).
Figura 2.9 – Andamento della velocità di corrosione nel tempo per due barre d’armatura
rispettivamente senza pre-ossidazione e con uno strato di ossidi non contaminato da
cloruri pari a 395 g/m2 immerse in una soluzione satura di idrossido di calcio (Gonzàlez
et. al. [20]).
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Figura 2.10 – Andamento del potenziale di corrosione di barre con diverso stato
superficiale (sabbiate: sandblasted, con scaglia: as-received, e pre-corrose: prerusted)
immerse in una soluzione satura di Ca(OH)2 (pH 12.6) a cui sono stati progressivamente
aggiunti cloruri (Li e Sagues [21]).
Figura 2.11 – Correlazione tra pH della soluzione e contenuto critico di cloruri ([Cl-]T)
per barre con diverso stato superficiale (sabbiate: sandblasted, con scaglia: as-received, e
pre-corrose: prerusted) (Li e Sagues [21]).
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(a)
(b)
Figura 2.12 – Andamento del potenziale di corrosione (a) e della velocità di corrosione
(b) di barre con diversi livelli di pre-corrosione (1: riferimento, 2: 0.89 mg/m2, 3: 1.52
mg/m2, 4: 3.41 mg/m2, 5: 7.95 mg/m2, 6: 12.43 mg/m2) immerse in soluzione satura di
Ca(OH)2 (Gonzàlez et al. [26]).
Figura 2.13 – Andamento della corrosione stimata con perdita di peso in funzione della
quantità di ruggine presente prima dell’immersione nella soluzione satura di Ca(OH)2
(Gonzàlez et al. [26]).
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 29 di 112
Figura 2.14 – Confronto della perdita di massa stimata con il metodo della
polarizzazione lineare (W(elect)) e con la perdita di massa (W(grav)) per campioni con
diversi livelli di pre-corrosione (1: riferimento, 2: 0.89 mg/m2, 3: 1.52 mg/m2, 4: 3.41
mg/m2, 5: 7.95 mg/m2, 6: 12.43 mg/m2) immersi in soluzione satura di Ca(OH)2
(Gonzàlez et al. [26]).
(a)
(b)
Figura 2.15 – Andamento del potenziale di corrosione (a) e della velocità di corrosione
(b) di barre con diversi livelli di pre-corrosione immerse malta (Gonzàlez et al. [26]).
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(a)
(b)
Figura 2.16 – Andamento nel tempo della velocità di corrosione in malta (a) e in una
soluzione dei pori simulata (b) di barre con scaglia (As received) e sabbiate (Sand
blasted) (Poursaee e Hansson [27]).
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 31 di 112
Figura 2.17 – Confronto della velocità di corrosione in una soluzione satura di Ca(OH)2 e
in malta di acciaio decapato (rust-free) e acciaio con pre-ossidazione ottenuta in diversi
modi (Miranda et al. [28]).
(a) (b)
Figura 2.18 – Correlazione fra il grado di pre-corrosione (in g/m2) e la velocità di
corrosione rispettivamente in (a) una soluzione satura di Ca(OH)2 o (b) malta di acciaio
decapato (rust-free) e acciaio con pre-ossidazione ottenuta in diversi modi (Miranda et al.
[28]).
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 32 di 112
Figura 2.19 – Velocità di corrosione in calcestruzzi con cemento portland (OPC) e 10%
di fumo di silice (10%SF) senza cloruri, di barre con diverso stato superficiale (R =
nervate, S = lisce; ar = come ricevute, sb = sabbiate, in funzione della temperatura
(Manera et al. [29]).
Figura 2.20 – Osservazione della scaglia di laminazione sulle barre di tre diversi
produttori (i, ii e iii) (Ghods et al. [30]).
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3. Metodologia sperimentale
Le prove sperimentali sono state effettuate su provini di calcestruzzo armato con barre di
due diametri (10 mm e 18 mm) caratterizzate da diversi gradi di condizione superficiale.
In una prima fase, con vari tipi di prove elettrochimiche si sono valutate le condizioni di
corrosione delle barre nel calcestruzzo, in assenza di azioni depassivanti. In questo
capitolo si descrivono le metodologie di prova e i provini utilizzati.
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3.2 Calcestruzzo
Per studiare il comportamento alla corrosione delle barre con le diverse condizioni
superficiali, si sono realizzati dei provini in calcestruzzo armato. La composizione del
calcestruzzo è stata definita in modo da ottenere condizioni rappresentative del
calcestruzzo di impiego tipico in Italia per opere strutturali.
3.2.1 Materie prime e proporzioni
Per il confezionamento del calcestruzzo si è utilizzato un cemento portland al calcare del
tipo CEM II/A-L 42.R, prodotto da Buzzi Unicem. Si sono, quindi, utilizzati acqua
deionizzata, un aggregato calcareo di Zandobbio con una dimensione massima di 12 mm
e l’additivo fluidificante Dynamon SX prodotto da Mapei. Il rapporto acqua/cemento
(a/c) è stato fissato a 0.5 e le proporzioni dell’impasto sono riportate in Tabella 3.1.
Sono stati effettuati due getti distinti per i provini con armature di 18 mm e per quelli di
10 mm, rispettivamente in data 2/12/2014 e 23/09/2015. Entrambe le volte si è preparato
un volume totale dell’impasto pari a 14 litri, così da ricavare, oltre ai provini armati,
anche 8 provini cubici di lato 10 cm, destinati alla caratterizzazione del calcestruzzo allo
stato indurito.
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3.2.2 Caratterizzazione
In Tabella 3.2 si riportano i risultati relativi alle principali caratteristiche dei due
calcestruzzi confezionati, rispettivamente per i provini armati con barre di diametro pari a
18 mm e 10 mm.
Per quanto concerne lo stato fresco, si sono previste delle misure di lavorabilità effettuate
mediante la prova di abbassamento al cono di Abrams, secondo la normativa UNI EN
12350-2. I calcestruzzi sono caratterizzati da una consistenza fluida allo stato fresco,
corrispondente in entrambi i casi a uno slump di 21 cm, ovvero ad una classe di
consistenza S4.
Per la caratterizzazione del calcestruzzo allo stato indurito, si sono valutate la densità, la
resistività elettrica e la resistenza a compressione, utilizzando i provini di forma cubica
stagionati in una camera a 20°C e umidità relativa maggiore del 95%, dopo circa 3, 7, 28
e 50 giorni dal confezionamento. Per la determinazione della densità, si è seguita la
normativa di riferimento UNI EN 12390-7 e si sono ottenuti valori compresi fra 2440 e
2460 kg/m3.
La misura di resistività elettrica del calcestruzzo (Figura 3.2) è stata effettuata sui provini
stagionati a umido, interponendo il provino di calcestruzzo tra due piastre di rame
collegate con dei cavi ad un conduttimetro. Tra le piastre e i provini sono state interposte
delle spugnette inumidite con acqua per favorire il passaggio di corrente tra le due
superfici parallele del provino. La resistività elettrica è stata ricavata con la relazione:
∙
dove: ρ è la resistività elettrica (Ωm), K è la costante di cella (m) dipendente dalla
geometria del provino, calcolata come il rapporto tra la superficie S interessata dal
passaggio di corrente e la lunghezza L del provino. In Tabella 3.2 si osserva che si sono
ottenuti valori di 61-67 Ωm dopo un mese di stagionatura.
Per valutare le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo confezionato attraverso la
prova di resistenza a compressione, si è fatto riferimento alla norma UNI EN 12390-3.
L’esecuzione delle prove di compressione è avvenuta tramite una pressa idraulica a
controllo di carico automatico a una velocità di carico costante di 0.5 MPa/s. In Tabella
3.2 si osserva che si è misurata una resistenza compressione di circa 50 MPa a 28 giorni
di stagionatura.
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La realizzazione dei provini armati ha avuto inizio con la preparazione delle armature
(Figura 3.3a); le estremità delle armature sono state schermate per un tratto pari a 30 mm
in prossimità del contatto elettrico e a 10 mm sull’estremità opposta, in modo da lasciare
scoperto un tratto centrale di 60 mm. La schermatura è stata realizzata con un sottile
strato di malta cementizia modificata con SBR (stirene-butadiene). Una volta trascorse 24
ore per consentire la presa della malta, è stato realizzato il contatto elettrico: ad
un’estremità dell’armatura precedentemente forata, si è collegato tramite rivettatura un
cavo elettrico connesso a un occhiello. Infine, entrambi gli estremi della barra sono stati
isolati con un nastro autoagglomerante in gomma etilenpropilenica (EPR) per una
lunghezza pari al tratto di applicazione della malta (Figura 3.3b).
Successivamente sono stati preparati degli elettrodi interni di riferimento di titanio
attivato. È stata sezionata una piccola porzione di titanio attivato da una rete con maglie
di 3 cm e realizzato il contatto con un cavo elettrico in rame; tale connessione è stata
opportunamente isolata con un nastro in teflon e successivamente rivestita con una guaina
plastica termorestringente. La stabilità del potenziale degli elettrodi è stata verificata
attraverso l’immersione in acqua per 24 ore, durante le quali si è misurato il loro
potenziale rispetto a un elettrodo di riferimento al calomelano (SCE); si sono scartati gli
elettrodi non stabili.
Infine, per consentire l’applicazione della corrente alle armature durante le misure
elettrochimiche, nel cassero si è introdotto un ulteriore elettrodo in titanio attivato, al
quale è stata conferita una forma ad Y, che consentisse, una volta posizionato nel cassero,
di circondare l’armatura senza toccarla (Figura 3.4a). É stato, quindi, interposto un
distanziatore plastico per evitare, durante il getto, un eventuale cortocircuito dovuto al
contatto tra l’armatura e il controelettrodo; inoltre, per conferire una maggiore rigidezza
al controelettrodo, si è preferito avvolgere tra loro due fili di titanio.
Per quanto riguarda il cassero, si è utilizzato un cilindro in PVC (Figura 3.4b) con una un
basamento sempre di PVC di spessore 1 cm appositamente forato per permettere il
posizionamento della barra d’armatura e degli altri elettrodi. La Figura 3.5 mostra un
immagine di provini dopo lo scassero.
3.3.2 Condizioni di stagionatura e di esposizione
I provini armati sono stati scasserati dopo un giorno e sono stati immediatamente inseriti
singolarmente in un sacchetto di plastica, al fine di prevenire l’evaporazione dell’acqua, e
sono stati posizionati all’interno di una camera climatica a temperatura controllata di
23°C in condizione di auto-essiccamento. Successivamente, si è rimosso il sacchetto di
plastica e il provino è stato esposto alla temperatura di 20°C e all’umidità relativa di 80%.
La durata di tale condizione di esposizione differisce per i provini con barre di diametro
pari a 10 mm (circa pari a due mesi) rispetto a quella dei provini con barre di diametro di
18 mm (sei mesi).
Una terza condizione a cui i provini armati sono stati sottoposti è l’immersione in acqua,
a temperatura di 20°C. Per una durata di circa un mese, i provini sono stati posizionati
singolarmente in recipienti, dove successivamente si è aggiunta acqua della rete idrica di
Milano, fino a raggiungere un livello di pochi millimetri al di sotto dell’altezza
complessiva del campione, così da ottenere la saturazione completa e allo stesso tempo
preservare le connessioni con i cavi elettrici.
3.3.3 Prove in condizioni di corrosione libera
Durante le diverse condizioni di esposizione si sono monitorati l’andamento nel tempo
del potenziale di corrosione e della velocità di corrosione delle armature. Le misure di
potenziale sono state effettuate, tramite l’utilizzo di un voltmetro ad alta impedenza,
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rispetto sia all’elettrodo interno di titanio attivato (Figura 3.6), sia ad un elettrodo di
riferimento esterno al calomelano saturo (SCE). Quando si è utilizzato l’elettrodo al
calomelano saturo, durante le prime due condizioni di esposizione, questo è stato
appoggiato sulla superficie del provino previa l’interposizione di una spugna inumidita
allo scopo di migliorare il contatto tra gli elementi (Figura 3.7). Per quanto riguarda la
condizione di immersione, questo è stato inserito nell’acqua nello stesso recipiente del
provino sottoposto a misura.
La velocità di corrosione è stata rilevata indirettamente con il metodo della resistenza di
polarizzazione (Rp, detto anche metodo della polarizzazione lineare); la prova prevede
l’uso di un potenziostato (Figura 3.8) che ha permesso di applicare una corrente esterna
che perturba il potenziale di corrosione libera di ±10 mV. Per effettuare la prova sono
stati previsti i seguenti collegamenti al potenziostato: il primo con l’armatura del provino,
il secondo con l’elettrodo di riferimento in titanio interno al provino ed infine il terzo con
il contro-elettrodo di titanio attivato. La prova è stata effettuata imponendo la variazione
di potenziale ΔE di +10 e quindi -10 mV e rilevando, in entrambi i casi, la densità
corrente di polarizzazione (ipol) dopo 30 secondi. Il rapporto fra ΔE e ipol (detto resistenza
di polarizzazione Rp, (Ω)) è inversamente proporzionale alla velocità di corrosione (icorr)
secondo la seguente espressione:
∙
dove: la costante B è stata considerata pari a 26 mV ed A è la superficie di acciaio a
contatto con il calcestruzzo (m²).
3.3.4 Prove di polarizzazione potenziostatica
Al termine dei periodi sia di auto-essiccamento sia di immersione in acqua, è stata
effettuata una prova di polarizzazione potenziostatica. Si è utilizzato un potenziostato che
ha consentito di portare il potenziale dell’armatura dei provini a +200 mV rispetto a un
elettrodo al calomelano saturo (Fe vs SCE), rilevando la corrente di polarizzazione
durante le 24 ore successive. La prova è stata effettuata singolarmente su ciascun provino,
utilizzando come riferimento per la misura del potenziale l’elettrodo interno di titanio
attivato (Ti), precedentemente calibrato rispetto all’elettrodo di riferimento esterno SCE;
in questo modo si è imposto all’armatura il valore di potenziale rispetto a Ti
corrispondente al +200 mV vs SCE. La corrente di polarizzazione è stata monitorata con
un sistema di acquisizione automatica che ha consentito di rilevare la caduta ohmica su
una resistenza di shunt (Figura 3.9).
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Una prima serie di prove è stata effettuata sulle barre di diametro 18 mm e si è protratta
per circa un anno. Una volta immerse le barre in soluzione in un unico contenitore
(Figura 3.10), questo è stato posizionato in una camera climatica a temperatura di 20°C.
A cadenza mensile è stato controllato il pH con strisce colorimetriche, così da verificare
che le armature si trovassero sempre in una condizione alcalina; occasionalmente è stata
aggiunta una piccola quantità di idrossido di calcio per prevenire la carbonatazione della
soluzione.
Una seconda serie di prove è stata effettuata sulle barre d’armatura di entrambi i diametri
che sono state immerse in una soluzione satura di Ca(OH)2, con un pH di 12.6, e in una
soluzione a pH 13.5 ottenuta aggiungendo NaOH alla soluzione satura di Ca(OH)2.
3.4.2 Misura del potenziale di corrosione
Per le prove di corrosione, nella cella si è posizionato un elettrodo esterno di riferimento
al calomelano saturo (SCE). Le misure di potenziale sono state effettuate rispetto a questo
elettrodo, tramite l’utilizzo di un voltmetro ad alta impedenza.
3.4.3 Prove di polarizzazione potenziostatica
Anche sulle barre immerse in soluzione della prima serie è effettuata una prova di
polarizzazione potenziostatica, imponendo un potenziale di +200 mV rispetto
all’elettrodo al calomelano per 24 ore. Con il sistema di acquisizione dati si è rilevato
l’andamento nel tempo della corrente di polarizzazione.
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Componenti Dosaggio
CEM II/A-L 42.R 400 kg/m³
acqua deionizzata 200 kg/m³
aggregati calcarei 1768 kg/m³
additivo fluidificante 3.2 kg/m³
Tabella 3.2 - Principali proprietà del calcestruzzo fresco e indurito, misurate sulle due
miscele confezionate in occasione della realizzazione dei provini con barre
rispettivamente 10 mm e 18 mm.
(a) (b)
Figura 3.1 - Campioni di armature inglobate per le analisi metallografiche,
rispettivamente di diametro pari a 18 mm (a) e 10 mm (b).
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(a) (b)
Figura 3.3 - Esempio di applicazione della boiacca cementizia sulle porzioni di armatura
di lunghezza totale 100 mm (a) e di armatura completa con il contatto elettrico e la
schermatura delle estremità con nastro autoagglomerante (b); il tratto esposto al
calcestruzzo è lungo 60 mm.
(a) (b)
Figura 3.4 - Vista dall’alto (a) e laterale (b) del cassero con all’interno i vari elettrodi.
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Figura 3.9 - Camera climatica, potenziostato e sistema di acquisizione dati per le misure
di polarizzazione potenziostatica in calcestruzzo.
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4. Risultati
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campioni C-2 lo strato di ossidi è più uniformemente distribuito lungo il bordo della
sezione (ad esempio lo spessore minimo rilevato è maggiore per questo campione rispetto
al campione C-1). Pur considerando i limiti delle osservazioni fatte su campioni che
possono essere stati alterati durante la movimentazione e il trasporto, il confronto fra i
campioni C-1 e C-2 delle barre di 18 mm sembra mostrare che dove l’attacco si localizza,
la penetrazione della corrosione è maggiore rispetto a dove si distribuisce più
uniformemente.
Si è osservata, inoltre, in tutte le barre (quindi per entrambi i diametri e per tutte le
condizioni superficiali studiate) la presenza di piccole cricche superficiali, che in genere
non superano la profondità di 100-150 µm, riempite con ossidi (esempi sono mostrati in
alcune delle micrografie di Figura 4.14). Queste cricche superficiali sono presenti anche
nei campioni non esposti a pre-ossidazione e sono da ricondurre alla fase di produzione
delle barre. All’immagine con elettroni retrodiffusi si evidenzia che gli ossidi che le
riempiono hanno una tonalità di grigio tipica della scaglia di laminazione. Gli ossidi
presenti nelle microcricche, essendo ricoperte dal metallo, non sono stati rimossi
nemmeno nei campioni sabbiati.
4.2.4 Analisi sui prodotti di corrosione
Nelle Figure 4.17 e 4.18 sono riportati i risultati delle analisi di diffrazione dei raggi X
(XRD) effettuate sui prodotti di corrosione prelevati dalle armature esposte per un anno,
rispettivamente di 10 mm e di 18 mm di diametro. I grafici sono “disturbati”
probabilmente a causa della scarsa quantità di ruggine che si è potuta prelevare per le
analisi. Nel caso della barra di 10 mm è stato possibile ritrovare i tipici composti
riscontrabili nei prodotti di corrosione dell’acciaio esposto all’atmosfera: magnetite,
akaganeite e lepidocrocite. Sulla barra di diametro maggiore si sono individuati:
magnetite, lepidocrocite e goethite.
Le analisi del contenuto di cloruri hanno mostrato l’assenza di quantità rilevabili di questi
ioni all’interno degli ossidi degli stessi campioni su cui sono state effettuate le analisi
XRD.
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Armature 10 mm. La Figura 4.19 mostra l’andamento nel tempo del potenziale delle
diverse armature di diametro 10 mm nei primi 10 giorni dopo il getto. Per tutte le
tipologie di armatura si osserva una diminuzione del potenziale nelle prime ore, con un
minimo a circa 7 ore (0.3 giorni), seguita da un progressivo aumento. Con le armature
nuove (A1) e sabbiate (A2), nelle prime misure si sono ottenuti valori di potenziale di
circa -300 mV rispetto all’elettrodo di titanio attivato (Ti). Successivamente si è raggiunto
un minimo di -500/-600 mV vs Ti; quindi il potenziale ha iniziato a crescere,
raggiungendo circa -200 mV vs Ti dopo un giorno e -100 mV vs Ti dopo 10 giorni. Le
armature pre-corrose B e C hanno mostrato un andamento analogo alle precedenti, anche
se i primi valori di potenziale sono stati leggermente superiori (-200 mV vs Ti), così
come i valori minimi raggiunti dopo circa 7 ore (-350/-400 mV vs Ti). Tuttavia, dopo un
giorno e dopo 10 giorni si sono raggiunti valori di potenziale analoghi a quelli delle
armature A1 a A2.
Armature 18 mm. La Figura 4.20 mostra l’andamento nel tempo del potenziale delle
armature di diametro 18 mm. Analogamente alle armature 10 mm, si osserva un
andamento inizialmente decrescente e poi un progressivo aumento. In questo caso, però,
si sono rilevate maggiori differenze tra i provini. Le prime misure di potenziale variano, a
seconda delle tipologia di armatura, tra -350 e -100 mV vs Ti. Anche i valori minimi di
potenziale sono diversi rispetto alle barre 10 mm (non scendono sotto -400 mV vs Ti) e
sono raggiunti in tempi differenti (18-24 ore). Non sembra emergere tuttavia, alcuna
correlazione con lo stato superficiale delle armature. Si osserva, inoltre, che anche per
tutte le tipologie di armature 18 mm si raggiungono dopo 10 giorni valori di potenziale
compresi fra -200 e -100 mV vs SCE.
4.3.2 Condizioni di corrosione libera
A partire dal primo giorno dopo il getto sono state effettuate misure manuali di potenziale
di corrosione (sia rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato sia rispetto a un elettrodo
esterno SCE) e di velocità di corrosione. I risultati di queste misure, condotte prima in
condizioni di auto-essiccamento del provino, poi con esposizione a 80% di umidità
relativa e, infine, con immersione in acqua, sono mostrati in funzione del tempo nelle
Figure 4.21-4.29. In ciascuna figura sono riportati i risultati relativi ai tre provini replicati
realizzati con la stessa tipologia di armature. La parte (a) delle figure riporta il potenziale
dell’armatura misurato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato, la parte (b) il
potenziale di corrosione dell’armature misurato rispetto all’elettrodo di riferimento
esterno al calomelano saturo (SCE), mentre la parte (c) descrive l’andamento della
velocità di corrosione, espressa in mA/m² e misurata con la tecnica elettrochimica della
resistenza di polarizzazione. In ogni grafico l’asse temporale è stato distinto in tre periodi
corrispondenti alle diverse condizioni di esposizione a cui i provini armati sono stati
sottoposti: una prima fase di auto-essiccamento a temperatura costante di 23°C, una
seconda fase relativa all’esposizione dei provini a 20°C e 80% di umidità relativa e,
infine, la condizione di immersione a 20°C, il cui inizio è delineato con la linea verticale
azzurra.
Al termine del periodo di auto-essiccamento e durante il periodo di immersione sono state
effettuate anche prove di polarizzazione potenziostatica nelle quali si è imposto il
potenziale di +200 mV vs SCE all’armatura per 24 ore e si è rilevato l’andamento nel
tempo della corrente di polarizzazione; nelle Figure 4.19-4.29 sono mostrati, attraverso le
linee rosse verticali, i tempi in corrispondenza dei quali sono state effettuate queste
prove; i risultati di queste prove vengono analizzati nel successivo paragrafo 4.3.3.
Armature 10 mm. Le Figure 4.21-4.24 riportano i risultati relativi ai provini armati
confezionati con armature con diametro 10 mm. La parte (a) di queste figure descrive
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diminuiti nel tempo fino a raggiungere circa 0.70 mA/m² al termine del periodo di auto-
essiccamento. Anche in questo caso la velocità di corrosione si è mantenuta costante nella
successiva condizione a 20°C e 80% di umidità relativa, mentre durante il periodo di
immersione ha mostrato un leggero aumento fino a un valore massimo di 1.1 mA/m². I tre
provini replicati hanno confermato lo stesso risultato.
Anche le armature soggette a pre-ossidazione per sei mesi B (Figura 4.23c) e per un anno
C (Figura 4.24c) hanno mostrato andamenti simili della velocità di corrosione; si è però
osservato un ulteriore leggero aumento dei valori assoluti. Dopo un giorno si sono
misurati valori attorno a 10 mA/m2 e successivamente la velocità di corrosione si è
assestata su valori prossimi o leggermente superiori a 1 mA/m2, con piccole differenze in
funzione del tipo di provino e delle condizioni di esposizione.
Per le armature in tutte le condizioni si osserva che in seguito all’effettuazione delle due
prove potenziostatiche non si notano variazioni rilevanti tali da ritenere che la
polarizzazione indotta dalla prova potenziostatica possa aver perturbato le condizioni di
corrosione dei provini.
Armature 18 mm. Le Figure 4.25-4.29 riportano i risultati relativi ai provini armati
confezionati con armature con diametro 18 mm. Anche in questo caso la parte (a) delle
figure descrive l’andamento nel tempo del potenziale dell’acciaio rispetto all’elettrodo
interno di riferimento in titanio attivato, mentre la parte (b) riporta il potenziale misurato
rispetto all’elettrodo di riferimento esterno SCE. Sia pure con leggere differenze, il
potenziale di corrosione delle diverse armature rilevato con in due elettrodi ripercorre
l’andamento già osservato per le armature con diametro 10 mm. Al termine del periodo di
auto-essiccamento si sono raggiunti valori attorno a -100/-50 mV, mentre durante
l’immersione si sono ottenuti valori di 50-100 inferiori; tuttavia senza raggiungere valori
minori di -200 mV vs SCE. Anche in questo caso le misure con l’elettrodo esterno
durante il periodo in cui il calcestruzzo si è asciugato per l’esposizione a 80% UR sono
state più elevate di quelle rispetto all’elettrodo interno.
Per quanto concerne la velocità di corrosione, anche questi provini hanno confermato
notevoli differenze tra le armature con diverso tipo di condizione superficiale. I valori
riscontrati nel giorno successivo al getto sono molto elevati in ciascuna categoria di
provini, e per i provini con pre-ossidazione raggiungono anche valori compresi fra 20 e
30 mA/m². Le differenze, però, emergono anche dal confronto dei valori su cui si
stabilizza la velocità di corrosione durante il periodo di auto-essicamento. I provini con
armature nuove e sabbiate (rispettivamente A1, Figura 4.25c, e A2, Figura 4.26c) si
portano a velocità di corrosione comprese nell’intervallo fra 0.6 e 0.4 mA/m². I provini
con pre-ossidazione di sei mesi (B, Figura 4.27c) si attestano attorno a 1-1.5 mA/m². Per
quanto riguarda le armature con pre-ossidazione di un anno, si sono ottenute velocità di
corrosione con valori di 2.8-5 mA/m2 sui tre provini replicati della tipologia C-1 (Figura
4.28c) e di 1.5-2 mA/m2 sui tre provini replicati della tipologia C-2 (Figura 4.29c). In
questo caso si sono quindi mantenute velocità di corrosione significativamente superiori
allo soglia di 1 mA/m2 sulle armature esposte a pre-ossidazione. Inoltre, queste misure
evidenziano una maggiore velocità di corrosione per le armature di tipo C-1 rispetto alle
armature di tipo C-2.
Nel successivo periodo di esposizione in ambiente asciutto a 80% UR tutte le armature
mantengono i valori raggiunti al termine del periodo di auto-essicamento (con solo una
leggerissima diminuzione). Infine, nel periodo di immersione, si nota un aumento della
velocità di corrosione nelle sole armature delle condizioni A1 e A2, anche se i valori
restano inferiori a 1 mA/m2. Nel caso delle armature con pre-ossidazione (B, C-1 e C-2),
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A B C
Tipo di barra
Nuove 6 mesi 1 anno
C 0.21 0.19 0.19
Mn 0.77 0.82 0.81
Si 0.21 0.2 0.19
P 0.01 0.02 0.02
S 0.02 0.04 0.04
Cu 0.45 0.59 0.58
Cr 0.07 0.16 0.16
Ni 0.10 0.11 0.11
Mo 0.02 0.02 0.02
Ceq 0.39 0.41 0.40
A B C
Tipo di barra
Nuove 6 mesi 1 anno
C 0.21 0.19 0.2
Mn 0.73 0.8 0.79
Si 0.25 0.19 0.21
P 0.02 0.02 0.02
S 0.04 0.04 0.03
Cu 0.42 0.57 0.49
Cr 0.06 0.12 0.15
Ni 0.09 0.09 0.09
Mo 0.02 0.02 0.03
Ceq 0.38 0.4 0.41
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Tabella 4.3 – Stima indicativa degli spessori di ossidi osservati sulla superficie delle
barre dedotta in base alle osservazioni al microscopio ottico e al microscopio elettronico.
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Figura 4.3 – Differenti condizioni superficiali delle armature presenti nel fascio C di 18
mm di diametro.
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600
590
(a)
700
690
Carico di rottura (MPa)
680
670
660
650
640
630
620
610
600
1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p
Nuovo 6 mesi 1 anno
(b)
20
18
16
14
12
Agt (%)
10
8
6
4
2
0
1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p
Nuovo 6 mesi 1 anno
(c)
Figura 4.4 – Carico di snervamento (a), carico di rottura (b) e allungamento percentuale
(c) di campioni di armatura di diametro pari a 10 mm relativamente ai tre differenti fasci
disponibili.
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600
590
(a)
700
690
Carico di rottura (MPa)
680
670
660
650
640
630
620
610
600
A4p
A5p
A6p
B4p
B5p
B6p
C4p
C5p
C6p
A4
A5
A6
B4
B5
B6
C4
C5
C6
(b)
20
18
16
14
12
Agt (%)
10
8
6
4
2
0
A4p
A5p
A6p
B4
B4p
B5
B5p
B6
B6p
C4
C4p
C5
C5p
C6
C6p
A4
A5
A6
(c)
Figura 4.5 – Carico di snervamento (a), carico di rottura (b) e allungamento percentuale
(c) di campioni di armatura di diametro pari a 18 mm relativamente ai tre differenti fasci
disponibili.
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A1 - Nuova A2 - Sabbiata
B - 6 mesi C - 1 anno
Figura 4.6 - Osservazione visiva delle diverse tipologie superficiali delle armature di
diametro pari a 10 mm.
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A1 - Nuova A2 - Sabbiata
C-2 - 1 anno
Figura 4.7 - Osservazione visiva delle diverse tipologie superficiali delle armature di
diametro pari a 18 mm.
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A1 - Nuova A2 - Sabbiata
B - 6 mesi C - 1 anno
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A1 – Nuova A2 - Sabbiata
B - 6 mesi C1 - 1 anno
C2 - 1 anno
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(a) (b)
Figura 4.10 - Osservazione della sezione metallografica della barra A1-0 di diametro 10
mm (a) e della barra A1-1 di diametro 18 mm (b).
(a) (b)
Figura 4.11 - Osservazione della microstruttura della barra di armatura A1-0, di diametro
10 mm, relativamente al cuore (a) ed al bordo (b).
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(a)
(b) (c)
Figura 4.12 - Osservazione della microstruttura della barra A1-1, di diametro 18 mm,
relativamente al cuore (a), alla zona 1 intermedia (b) e alla zona 2 corticale (c).
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A1 - Nuova A2 – Sabbiata
B - 6 mesi C - 1 anno
Figura 4.13 - Osservazione al microscopio ottico dei bordi delle sezioni metallografiche
per le armature di diametro 10 mm.
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A1 - Nuova A2 – Sabbiata
B - 6 mesi C1 - 1 anno
C2 - 1 anno
Figura 4.14 - Osservazione al microscopio ottico dei bordi delle sezioni metallografiche
per le armature di diametro 18 mm.
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A1 - Nuova
A2 - Sabbiata
B - 6 mesi
C - 1 anno
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A1 - Nuova
B - 6 mesi
C-1 – 1 anno
C-2 - 1 anno
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0 0
A1-1 A2-1
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
-300 -300
-400 -400
-500 -500
-600 -600
-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)
(a) (b)
0 0
B-1 C-1
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
B-2 C-2
-100 -100
B-3 C-3
-200 -200
-300 -300
-400 -400
-500 -500
-600 -600
-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)
(c) (d)
Figura 4.19 - Andamento nel tempo del potenziale delle armature di diametro 10 mm,
rilevato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato nei primi 10 giorni successivi al
getto del calcestruzzo. Barre: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b), pre-corrose per 6 mesi B (c) e
un anno C (d).
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0 0
A1-2 A2-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
-300 -300
-400 -400
-500 -500
-600 -600
-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)
(a) (b)
0 0
B-2 C1-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
-300 -300
-400 -400
-500 -500
-600 -600
-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)
(c) (d)
0
C2-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
C2-3
-100
C2-4
-200
-300
-400
-500
-600
-700
0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni)
(e)
Figura 4.20 - Andamento nel tempo del potenziale delle armature di diametro 18 mm,
rilevato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato nei primi 10 giorni successivi al
getto del calcestruzzo. Barre: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b), pre-corrose per 6 mesi B (c) e
un anno C1 (d) e C2 (e).
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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
50
-50 A1-2
(a)
-150
potenziostatica
potenziostatica
-250 A1-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
50
-50 A1-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica
-250 A1-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
potenziostatica
potenziostatica
A1-1
10
A1-2
(c)
1
A1-3
0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)
Figura 4.21 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A1 per le armature di diametro pari a 10 mm.
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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
50
-50 A2-2
(a)
-150
potenziostatica
potenziostatica
-250 A2-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
50
-50 A2-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica
-250 A2-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
potenziostatica
potenziostatica
A2-1
10
A2-2
(c)
1
A2-3
0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)
Figura 4.22 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A2 per le armature di diametro pari a 10 mm.
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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
50
-50 B-2
(a)
potenziostatica
-150
potenziostatica
-250 B-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
50
-50 B-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica
-250 B-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
potenziostatica
potenziostatica
B-1
10
B-2
(c)
1
B-3
0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)
Figura 4.23 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione B per le armature di diametro pari a 10 mm.
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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
50
-50 C-2
(a)
-150
potenziostatica
potenziostatica
-250 C-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
50
-50 C-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica
-250 C-3
-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)
100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
potenziostatica
potenziostatica
C-1
10
C-2
(c)
1
C-3
0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)
Figura 4.24 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C per le armature di diametro pari a 10 mm.
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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
essiccamento
100
0
A1-3
(a) -100
-200
potenziostatica
potenziostatica
-300 A1-4
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
essiccamento
200 (T= 23°C) A1-2
100
0
A1-3
(b) -100
-200 potenziostatica
potenziostatica
A1-4
-300
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
100
potenziostatica
potenziostatica
essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
A1-2
10
A1-3
(c)
1
A1-4
0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
Figura 4.25 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A1 per le armature di diametro pari a 18 mm.
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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
essiccamento
100
0
A2-3
(a) -100
-200
potenziostatica
potenziostatica
-300 A2-4
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
essiccamento
200 (T= 23°C) A2-2
100
0
A2-3
(b) -100
-200 potenziostatica
potenziostatica
A2-4
-300
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
100
potenziostatica
potenziostatica
essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
A2-2
10
A2-3
(c)
1
A2-4
0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
Figura 4.26 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A2 per le armature di diametro pari a 18 mm.
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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
essiccamento
100
0
B-3
(a) -100
-200
potenziostatica
potenziostatica
-300 B-4
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
essiccamento
200 (T= 23°C) B-2
100
0
B-3
(b) -100
-200 potenziostatica
potenziostatica
B-4
-300
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
100
potenziostatica
potenziostatica
essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
B-2
10
B-3
(c)
1
B-4
0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
Figura 4.27 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione B per le armature di diametro pari a 18 mm.
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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
essiccamento
100
0
C1-3
(a) -100
-200
potenziostatica
potenziostatica
-300 C1-4
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
essiccamento
200 (T= 23°C) C1-2
100
0
C1-3
(b) -100
-200 potenziostatica
potenziostatica
C1-4
-300
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
100
potenziostatica
potenziostatica
essiccamento
Velocità di corrosione (mA/m2)
10
C1-3
(c)
1
C1-4
0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
Figura 4.28 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C-1 per le armature di diametro 18 mm.
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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
essiccamento
100
0
C2-3
(a) -100
-200
potenziostatica
potenziostatica
-300 C2-4
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C
Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
essiccamento
200 (T= 23°C) C2-2
100
0
C2-3
(b) -100
-200 potenziostatica
potenziostatica
C2-4
-300
-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
100
potenziostatica
potenziostatica
essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)
C2-2
10
C2-3
(c)
1
C2-4
0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)
Figura 4.29 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C-2 per le armature di diametro 18 mm.
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10 10
A1-1 A2-1
Densità di corrente (mA/m2)
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(a) (b)
10 10
B-1 C-1
Densità di corrente (mA/m2)
B-2 C-2
B-3 C-3
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(c) (d)
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10 10
A1-1 A2-1
Densità di corrente (mA/m2)
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(a) (b)
10 10
B-1 C-1
Densità di corrente (mA/m2)
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(c) (d)
Figura 4.31 - Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata durante la fase di immersione per i
provini con armature di diametro pari a 10 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e pre-
ossidate per sei mesi B (c) e un anno C (d).
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10 10
A1-2 A2-2
A1-3 A2-3
Densità di corrente (mA/m2)
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(a) (b)
10 10
B-2 C1-2
B-3 C1-3
Densità di corrente (mA/m2)
B-4 C1-4
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(c) (d)
10
C2-2
C2-3
Densità di corrente (mA/m2)
C2-4
0.1
0.01
0 6 12 18 24
Tempo (ore)
(e)
Figura 4.32 – Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata dopo la fase di auto-essiccamento
per i provini con armature di diametro pari a 18 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e
pre-ossidate per sei mesi B (c) e un anno C1 (d) e C2 (e).
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10 10
A1-2 A2-2
A1-3 A2-3
Densità di corrente (mA/m2)
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(a) (b)
10 10
B-2 C1-2
B-3 C1-3
Densità di corrente (mA/m2)
B-4 C1-4
1 1
0.1 0.1
0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)
(c) (d)
10
C2-2
C2-3
Densità di corrente (mA/m2)
C2-4
0.1
0.01
0 6 12 18 24
Tempo (ore)
(e)
Figura 4.33 – Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata durante la fase di immersione per i
provini con armature di diametro pari a 18 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e pre-
ossidate per sei mesi B (c) e un anno C1 (d) e C2 (e).
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-100
-200 A2-5
-250
B-5
-300
-350 C1-5
-400
C2-5
-450
0.1 1 10 100 1000
Tempo (giorni)
Figura 4.34 – Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 18 mm con diverse condizioni superficiali durante la prima serie di prove in
soluzione.
1000
Rebars:
A1-5
100
Densità di corrente (mA/m2)
A2-5
10
B-5
1 C1-5
C2-5
0.1
0 6 12 18 24
Tempo (ore)
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0
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
-50 A1-6
-100
-150
A2-6
-200
-250
-300 B-6
-350
-400
C-6
-450
-500
0 5 10 15 20
Tempo (giorni)
(b)
Figura 4.36 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 10 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2), nella
seconda serie di prove in soluzione; nei due grafici (a e b) sono mostrati gli andamenti di
due prove ripetute su provini replicati.
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-100
-150 A2-6
-200
-250 B-6
-300
-350 C1-6
-400
-450 C2-6
-500
0 5 10 15 20
Tempo (giorni)
Figura 4.37 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 18 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2), nella
seconda serie di prove in soluzione.
0
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
A1-7
-100
-200
A2-7
-300
B-7
-400
-500
C-7
-600
0 5 10 15 20 25
Tempo (giorni)
Figura 4.38 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 10 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2) con
aggiunta di NaOH per portare il pH a 13.3, nella seconda serie di prove in soluzione.
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diversa, come mostrato in Figura 4.3. Questa circostanza fa rilevare come le condizioni
microclimatiche di esposizione della singola barra possano influenzare significativamente
l’avanzamento della corrosione nel tempo, rendendo difficile una valutazione
complessiva dell’effettivo stato di pre-ossidazione sulla base del solo tempo di
esposizione. Si è, infatti, ipotizzato che le barre più interne del fascio siano state
maggiormente protette rispetto a quelle più esterne. L’analisi microscopica della sezione
delle barre ha, inoltre, evidenziato come lo strato di ossidi effettivamente presente sulle
barre non sia facilmente prevedibile attraverso la sola osservazione visiva. Nelle armature
di diametro 18 mm esposte per un anno, infatti, in base all’osservazione visiva si era
individuata una situazione di pre-ossidazione più estesa sulle barre identificate con la
sigla C-2 rispetto a quelle identificate con la sigla C-1. In realtà l’analisi delle sezioni
metallografiche ha consentito di verificare spessori di ossidi maggiori nelle seconde;
questa osservazione induce a ritenere che nelle zone in cui l’attacco non è esteso a tutta la
barra, la penetrazione della corrosione tenda ad essere maggiore rispetto a dove si
distribuisce più uniformemente. La sola osservazione visiva, che fa affidamento sulla
variazione di colore da grigio scuro della scaglia a rosso-bruno degli ossidi prodotti
dall’esposizione atmosferica, quindi, non è detto che sia rappresentativa dell’effettivo
grado di corrosione della superficie dell’acciaio.
Lo spessore degli ossidi presenti è stato stimato, sia pure in modo approssimativo, su una
sezione di ciascun tipo di barra (Tabella 4.3). La Figura 5.3 riporta l’andamento dello
spessore medio indicativo degli ossidi in funzione del tempo di esposizione e l’intervallo
di variazione. Per entrambi i diametri, la scaglia di laminazione presente sulle barre di
recente produzione ha uno spessore variabile fra 5 e 25 m. L’esposizione atmosferica
per un anno ha portato a spessori massimi di ossidi di circa 100 m sulle barre da 10 mm
e di circa 200 m su quelle da 18 mm (condizione C-1). Per quanto riguarda la
composizione mineralogica degli ossidi (paragrafo 4.2), sono stati rilevati i tipici prodotti
della corrosione atmosferica del ferro (akaganeite, lepidocrocite, goethite) che inglobano
ancora porzioni di magnetite proveniente dalla scaglia (Figure 4.17 e 4.18).
5.1.2 Effetto sulle proprietà meccaniche
Le prove meccaniche effettuate presso l’Università di Brescia hanno mostrato che né la
scaglia né la pre-ossidazione documentata nel paragrafo precedente hanno un’influenza
apprezzabile sulla resistenza e la duttilità delle barre (Figure 4.4 e 4.5). Questi risultati
sono in accordo con le osservazioni microstrutturali che hanno evidenziato un consumo di
metallo trascurabile rispetto alla sezione resistente e l’assenza di attacchi corrosivi
localizzati che potrebbero avere effetti sulla duttilità. Va rilevato che le sezioni
metallografiche hanno messo in evidenza la presenza, su tutte le barre, di piccoli difetti
superficiali in forma di cricche con profondità di qualche centinaio di micrometri. Queste
sono riempite di ossidi che all’analisi con elettroni retrodiffusi mediante microscopio
elettronico a scansione presentano la tonalità di grigio tipica della scaglia di laminazione
(paragrafo 4.2.3); inoltre, sono state osservate anche sulle barre di recente produzione
(non esposte all’atmosfera). Non sono quindi da ricondurre alla pre-ossidazione, ma alla
fase di produzione.
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 90 di 112
individuare, per ogni singolo provino il tempo in cui il potenziale di corrosione supera
questa soglia.
La Figura 5.5 confronta i tempi t1, t2 e t3, per le barre da 10 mm (parte a) e da 18 mm
(parte b) nelle diverse condizioni superficiali (per ogni condizione sono riportati i tre
provini replicati). Si osserva come il criterio basato sul raggiungimento del potenziale di
corrosione superiore a -200 mV vs SCE sia stato raggiunto in un tempo (t3) compreso fra
5 e 8 giorni per quasi tutte le condizioni superficiali. Solo le barre sabbiate per entrambi i
diametri e le armature da 18 mm nella condizione C-1 hanno mostrato un tempo
maggiore (sino a 18 giorni). Questo parametro non sembra indicare la presenza di effetti
significativi della pre-ossidazione. Anche il criterio basato sulla derivata della curva della
velocità di corrosione porta a differenze di tempo (t1) modeste fra le barre nelle diverse
condizioni superficiali; tutte le barre sembrano raggiungere in tempi compresi fra 7 e 18
giorni una condizioni di velocità di corrosione sostanzialmente stabile che potrebbe essere
associata al raggiungimento delle condizioni di passività.
Viceversa, il criterio basato sul raggiungimento di una velocità di corrosione inferiore a 1
mA/m2 (quindi a circa 1 m/anno) mostra notevoli differenze fra le barre sabbiate e con
scaglia e quelle con pre-ossidazione. Per entrambi i diametri, il tempo t2 a cui si è
raggiunto 1 mA/m2 è paragonabile ai tempi t1 e t3 sia per le barre sabbiate sia per quelle
con scaglia di laminazione. Questa osservazione porta a ritenere che i tre criteri definiti in
precedenza, sia pure con piccole differenze, possano essere considerati equivalenti per
valutare il raggiungimento delle condizioni di passività. Nel caso delle barre sottoposte a
pre-ossidazione, invece, il tempo t3 è nettamente maggiore. Ad esempio le barre da 10
mm hanno raggiunto valori di velocità di corrosione inferiori a 1 mA/m2 solo dopo 14-26
giorni con pre-ossidazione di 6 mesi e di 16-59 giorni con pre-ossidazione di un anno.
Nel caso delle barre di diametro 18 mm con pre-ossidazione sia di 6 mesi sia di un anno,
questa condizione non è stata raggiunta nemmeno dopo più di due mesi di contatto con il
calcestruzzo. In effetti, le Figure 4.27-4.29 mostrano che la velocità di corrosione di
queste barre non è mai scesa sotto 1 mA/m2 durante tutto il periodo di prova.
Per valutare le differenze appena osservate, si può fare riferimento ai valori di velocità di
corrosione a cui si sono portate le armature durante il periodo di auto-essiccamento. La
Figura 5.6 riporta, per ciascun tipo di barra, la velocità di corrosione V1 misurata in
corrispondenza del tempo t1 e la velocità di corrosione V2 misurata a regime. Come già
osservato nel caso degli esempi di Figura 5.4, anche per tutte le altre tipologie di barre la
velocità di corrosione a regime raggiunge valori inferiori rispetto a quelli osservati al
tempo t1 (quando l’andamento della velocità di corrosione si stabilizza e la sua derivata
subisce una rapida diminuzione). Tuttavia, anche considerando i valori V2 a regime si
osserva come le armature pre-ossidate presentino valori di velocità di corrosione più
elevati delle barre sabbiate e con scaglia di laminazione. Nel caso delle barre da 10 mm le
velocità di corrosione sono comunque solo poco superiori a 1 mA/m2 anche con la pre-
ossidazione di un anno. Viceversa, con le barre da 18 mm, soprattutto nella condizione C-
1, si raggiungono valori di 4-8 mA/m2 che non possono essere ritenuti trascurabili.
Se questi ultimi valori di velocità di corrosione fossero “reali” si dovrebbe dedurre che la
pre-ossidazione può ostacolare la passivazione delle armature. In realtà, anche con
l’ausilio dei risultati presentati nei paragrafi seguenti si mostrerà come questo risultato sia
probabilmente dovuto a un limite della tecnica con cui è stata misurata la velocità di
corrosione (il metodo della polarizzazione lineare). Un primo elemento utile si può
ricavare dalla Figura 5.7 che confronta il potenziale di corrosione delle armature,
misurato sia al tempo t1 (E1) sia a regime durante l’auto-essiccamento (E2). È noto che
quando le armature si corrodono (e quindi non sono passive) a un aumento della velocità
di corrosione corrisponde una diminuzione del potenziale di corrosione [12]. La Figura
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 91 di 112
5.7 mostra chiaramente che non c’è alcun effetto della pre-ossidazione sul potenziale di
corrosione delle armature; le armature pre-ossidate hanno potenziali di corrosione
paragonabili a quelle con scaglia di laminazione o sabbiate. Questi risultati sono, quindi,
in disaccordo con le elevate velocità di corrosione rilevate sulle barre pre-ossidate. Anche
i potenziali rilevati sulle armature immerse in soluzioni alcaline (Figure 4.36-4.38) non
hanno evidenziato differenze apprezzabili fra la barre con diverse condizioni superficiali.
5.2.2 Effetto dell’umidità
Per indagare ulteriormente sulle effettive condizioni di passività delle armature, si
possono considerare i risultati delle prove effettuate in diverse condizioni ambientali.
Dopo il periodo di auto-essiccamento, infatti, i provini sono stati esposti dapprima in un
ambiente relativamente asciutto con umidità relativa di 80% e poi sono stati immersi in
acqua (tutte le prove sono state effettuate alla temperatura costante di 20°C). Nel caso di
armature in condizioni di passività, la velocità di corrosione rimane trascurabile
indipendentemente dalle condizioni di umidità del calcestruzzo, mentre quando le
armature sono attive all’aumento dell’umidità del calcestruzzo corrispondono l’aumento
della velocità di corrosione dell’acciaio e la diminuzione del suo potenziale di corrosione.
Le Figure 5.8 e 5.9 confrontano i valori del potenziale di corrosione misurati a regime in
ogni condizione di esposizione, rispettivamente rispetto all’elettrodo interno di titanio
attivato (Ti) e all’elettrodo esterno al calomelano saturo (SCE). Per ogni tipologia di barra
e per ogni condizione ambientale sono riportati tre simboli che corrispondono ai tre
provini replicati (che mostrano sempre una buona riproducibilità dei risultati). Con
entrambi gli elettrodi di riferimento non si sono osservate variazioni significative di
potenziale di corrosione tra le barre con diverso stato superficiale. Le variazioni di
umidità hanno comportato modifiche analoghe su tutti i provini, attribuibili quindi a
effetti non correlati alla pre-ossidazione delle barre. Ad esempio i valori di potenziale
leggermente inferiori misurati su tutte le barre in condizioni di immersione (soprattutto
con l’elettrodo di titanio attivato) sono da attribuire a variazioni nel contenuto di ossigeno
nel calcestruzzo, mentre i valori leggermente più elevati osservati a 80% UR (soprattutto
con l’elettrodo esterno SCE) sono da attribuire a contributi di giunzione sulla superficie
asciutta del calcestruzzo. Pertanto le misure di potenziale, anche in condizioni di umidità
variabile, non evidenziano effetti negativi della pre-ossidazione.
La Figura 5.10 confronta la velocità di corrosione rilevata nelle diverse condizioni di
umidità. Come già osservato in precedenza per le condizioni di auto-essiccamento si
osserva un aumento della velocità di corrosione al crescere del tempo di pre-ossidazione,
con i valori più elevati rilevati sulle barre di diametro 18 mm nella condizione C-1.
Tuttavia, si osserva come le condizioni di umidità a cui sono stati esposti i provini non
abbiano alcun effetto significativo. Proprio sulle barre con pre-ossidazione che danno
velocità di corrosione superiori a 1 mA/m2 non si osserva alcun aumento della velocità di
corrosione passando dall’ambiente asciutto all’immersione in acqua. Questi risultati
supportano ulteriormente l’ipotesi che anche le armature con pre-ossidazione siano in
condizioni di passività.
I motivi per cui si sono rilevate velocità di corrosione elevate sulle armature con pre-
ossidazione possono essere ricondotti alla tecnica della resistenza di polarizzazione
utilizzata, come metodo non distruttivo, per stimare la velocità di corrosione. Alcuni
autori [35, 36] hanno mostrato che questa tecnica può fornire dei risultati non attendibili
e, in particolare, sovrastimare la velocità di corrosione, soprattutto quando questa è
piccola e all’interfaccia acciaio-calcestruzzo siano presenti degli effetti di tipo capacitivo
che deviano dall’andamento capacitivo ideale. Si può ipotizzare che la presenza di ossidi
pre-esistenti sulla superficie delle armature possa alterare la misura della resistenza di
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 93 di 112
ossido fino a 200 m, le armature sono in grado di passivarsi in calcestruzzo alcalino e
non contaminato da cloruri. L’aumento della densità di corrente di corrosione rilevato con
la tecnica della resistenza di polarizzazione (Rp) all’aumentare dello spessore di ossidi
presenti sulla superficie delle barre è da ricondurre agli effetti di questi ossidi sulla misura
stessa che portano a rilevare valori apparenti di Rp (e quindi di icorr) non corrispondenti
alle effettive condizioni elettrochimiche delle armature.
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 94 di 112
Figura 5.1 – Confronto dell’aspetto visivo della superficie e degli ossidi osservati al
SEM sulle barre di diametro 10 mm.
Figura 5.2 – Confronto dell’aspetto visivo della superficie e degli ossidi osservati al
SEM sulle barre di diametro 18 mm.
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 95 di 112
200
150
Spessore stimato (m)
100
50
0
Sabbiato Scaglia 6 mesi 1 anno
(a)
200
150
Spessore stimato (m)
100
50
0
Sabbiato Scaglia 6 mesi 1 anno (C-2) 1 anno (C-1)
(b)
Figura 5.3 – Stima dello spessore di ossidi in funzione delle condizioni di conservazione
delle barre: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.
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100 0.1
Vcorr P-d 1 mA
Vm deriv 0.05
d(log(Vcorr))
-0.05
-0.1
-0.15
1
-0.2
-0.25
0.1 -0.3
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70
Tempo (giorni)
(a)
100 0.1
Vcorr P-d 1 mA
Vm deriv 0.05
Velocità di corrosione (mA/m2)
0
10
d(log(Vcorr))
-0.05
-0.1
-0.15
1
-0.2
-0.25
0.1 -0.3
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70
Tempo (giorni)
(b)
Figura 5.4 – Esempi di analisi degli andamenti nel tempo della velocità di corrosione
stimata con il metodo della resistenza di polarizzazione (provini: A1-1 (a) e C-3 (b))
durante il periodo di esposizione in condizioni di auto-essiccamento, per la stima del
tempo t1 in cui la derivata del logaritmo della velocità di corrosione diviene trascurabile
(cerchio nero), del tempo t2 a cui si raggiunge una velocità di corrosione inferiore a 1
mA/m2 (croce rossa) e del valore medio a regime della velocità di corrosione (linea
tratteggiata verde).
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 97 di 112
65
60
55
50
45 t1
40 t2
Tempo (giorni)
35 t3
30
25
20
15
10
5
0
A1-1
A1-2
A1-3
A2-1
A2-2
A2-3
B-1
B-2
B-3
C-1
C-2
C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno
(a)
70
65
60
55
50 t1
45 t2
Tempo (giorni)
40
t3
35
30
25
20
15
10
5
0
A1-2
A1-3
A1-4
A2-2
A2-3
A2-4
C1-2
C1-3
C1-4
C2-2
C2-3
C2-4
B-2
B-3
B-4
A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.5 – Stima del “tempo di passivazione” valutato come: t1 = tempo in
corrispondenza del quale la derivata del logaritmo della velocità di corrosione diviene
trascurabile; t2 = tempo in corrispondenza del quale la velocità di corrosione scende sotto
1 mA/m2; t3 = tempo in corrispondenza del quale il potenziale di corrosione raggiunge
valori più positivi di -200 mV vs SCE: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 98 di 112
10
V2
1
0.1
A1-1
A1-2
A1-3
A2-1
A2-2
A2-3
B-1
B-2
B-3
C-1
C-2
C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno
(a)
10
Velocità di corrosione (mA/m2)
V1
V2
1
0.1
A1-2
A1-3
A1-4
A2-2
A2-3
A2-4
C1-2
C1-3
C1-4
C2-2
C2-3
C2-4
B-2
B-3
B-4
A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.6 – Confronto della velocità di corrosione misurata in corrispondenza del tempo
t1 definito in Figura 5.4 (V1) e del valore a regime della velocità di corrosione nel periodo
di esposizione in condizioni di auto-essiccamento (V2): (a) barre da 10 mm, (b) barre da
18 mm.
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100
E1
-100
E2
-200
-300
-400
-500
A1-1
A1-2
A1-3
A2-1
A2-2
A2-3
B-1
B-2
B-3
C-1
C-2
C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno
(a)
100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
E1
-100
E2
-200
-300
-400
-500
A1-2
A1-3
A1-4
A2-2
A2-3
A2-4
C1-2
C1-3
C1-4
C2-2
C2-3
C2-4
B-2
B-3
B-4
A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.7 – Confronto del potenziale di corrosione misurato in corrispondenza del
tempo t1 definito in Figura 5.4 (E1) e del valore a regime del potenziale di corrosione nel
periodo di esposizione in condizioni di auto-essiccamento (E2): (a) barre da 10 mm, (b)
barre da 18 mm.
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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 100 di 112
200
100
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
-100
-200
-300
autoess.
-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno
(a)
200
100
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)
-100
-200
-300
autoess.
-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.8 – Confronto del valore a regime del potenziale di corrosione Ecorr (misurato
rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato) nei vari ambienti, in funzione delle
condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.
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200
100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
-100
-200
-300
autoess.
-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno
(a)
200
100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)
-100
-200
-300
autoess.
-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.9 – Confronto del valore a regime del potenziale di corrosione Ecorr (misurato
rispetto all’elettrodo esterno al calomelano saturo, SCE) nei vari ambienti, in funzione
delle condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18
mm.
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10
autoess.
80%U.R.
Immerso
0.1
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno
(a)
10
Velocità di corrosione (mA/m2)
autoess.
80%U.R.
Immerso
0.1
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.10 – Confronto del valore a regime della velocità di corrosione icorr (stimata con
il metodo della resistenza di polarizzazione) nei vari ambienti, in funzione delle
condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.
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10
1
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
Provini immersi 18 mm - 1 anno (C-2)
0.1
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
Spessore medio ossidi (m)
(a)
10
Velocità di corrosione (mA/m2)
1
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
Provini immersi 18 mm - 1 anno (C-2)
0.1
0 50 100 150 200 250
Spessore massimo ossidi (m)
(b)
Figura 5.11 – Correlazione fra la velocità di corrosione icorr (stimata con il metodo della
resistenza di polarizzazione) nella condizione di immersione e la stima dello spessore
medio rappresentativo (a) e massimo (b) degli ossidi.
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10
dopo
autoess.
Densità di corrente (mA/m2) Immerso
0.1
0.01
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno
(a)
10
dopo
autoess.
Densità di corrente (mA/m2)
Immerso
0.1
0.01
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno
(b)
Figura 5.12 – Confronto del valore a regime della densità di corrente ipol nelle prove di
polarizzazione potenziostatica a +200 mV vs SCE (valore medio delle rilevazioni
effettuate tra 20 e 24 ore) realizzate al termine del periodo di auto-essiccamento e nel
periodo di immersione dei provini, in funzione delle condizioni superficiali delle barre
d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.
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10
0.1
10 mm - Sabbiato 10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi 10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato 18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi 18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
0.01
0 50 100
Spessore medio ossidi (m)
(a)
10
Densità di corrente (mA/m2)
0.1
10 mm - Sabbiato 10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi 10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato 18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi 18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
0.01
0 50 100 150 200 250
Spessore massimo ossidi (m)
(b)
Figura 5.13 – Correlazione fra il valore a regime della densità di corrente ipol nelle prove
di polarizzazione potenziostatica a +200 mV vs SCE (valore medio delle rilevazioni
effettuate tra 20 e 24 ore) realizzate nel periodo di immersione dei provini e la stima dello
spessore medio rappresentativo (a) e massimo (b) degli ossidi.
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300
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
Potenziale (mV vs SCE) 200 10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
100 18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
0 18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
-100
-200
-300
0.1 1 10
Densità di corrente (mA/m2)
(a)
300
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
200 10 mm - 6 mesi
Potenziale (mV vs SCE)
10 mm - 1 anno
100 18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
0 18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
-100
-200
-300
0.1 1 10
Densità di corrente (mA/m2)
(b)
Figura 5.15 – Confronto del legame tra potenziale e densità di corrente rilevato sulle
armature nelle diverse condizioni superficiali sia durante le prove di polarizzazione
potenziostatica a +200 mV vs SCE (i valori di potenziale nel grafico sono stati
leggermente modificati per poter distinguere i simboli relativi alle barre da 10 mm e da 18
mm) sia con le misure in condizioni di corrosione libera: (a) provini in condizioni di auto-
essiccamento, (b) provini immersi.
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Conclusioni
In questa ricerca si è studiato l’effetto della pre-ossidazione delle barre d’armatura sulla
loro resistenza alla corrosione nel calcestruzzo. Attraverso un’ampia ricerca bibliografica
si è analizzato lo stato dell’arte. In generale, è emerso, da studi compiuti in un arco di
tempo molto ampio, che lo stato di ossidazione superficiale delle armature generatosi
prima che siano introdotte nel calcestruzzo non ha effetti deleteri sull’aderenza al
calcestruzzo, almeno se gli ossidi sono aderenti e le armature sono nervate. Viceversa, per
quanto concerne gli effetti sulla resistenza alla corrosione, in letteratura sono disponibili
studi che giungono a conclusioni contrastanti. Molti autori sostengono che, almeno in
assenza di cloruri (quindi quando l’esposizione atmosferica delle barre avviene lontano
dalle coste marine), le armature siano in grado di passivarsi anche attraverso lo strato
superficiale di ossidi che già le ricopre. Diversi autori, invece, sostengono che le armature
non siano in grado di raggiungere condizioni di passività; questo risultato potrebbe essere
ricondotto alla presenza di cloruri nella ruggine (non dichiarati ufficialmente nella
pubblicazione) che potrebbero avere effetti negativi sulla passivazione, ma alcuni autori
giungono a questa conclusione anche dichiarando l’assenza di contaminazione da cloruri.
Per quanto riguarda l’innesco della corrosione dovuta alla penetrazione di cloruri nel
calcestruzzo durante la vita di servizio, c’è una prevalenza di studi che sostiene un ruolo
negativo della pre-ossidazione; tuttavia c’è anche un numero significativo di studi che
non evidenzia alcun ruolo o, persino, ipotizza un effetto positivo della pre-ossidazione. I
motivi dei diversi punti di vista, spesso, sono però da ricondurre alle differenze nelle
metodologie di prova utilizzate dai vari autori e all’uso di prove accelerate che potrebbero
non essere rappresentative delle situazioni reali.
Le prove sperimentali condotte nell’ambito di questa ricerca hanno permesso di valutare
l’effettiva possibilità delle armature di passivarsi in condizioni analoghe a quelle reali
delle strutture in calcestruzzo armato. Si sono studiate barre d’armatura di diametro 10
mm e 18 mm esposte per 6 mesi e 1 anno all’aperto e in assenza di contaminazione da
cloruri, confrontate con barre di recente produzione (ricoperte da scaglia di laminazione)
e sabbiate.
La caratterizzazione dello stato superficiale delle barre, ha mostrato che la scaglia di
laminazione presente sulle barre di nuova produzione, pur apparendo di colore grigio
scuro e compatta all’osservazione visiva, in realtà non è sempre aderente ed è
notevolmente fessurata; il suo spessore è dell’ordine di 5-25 m. L’esposizione
atmosferica delle barre ha portato alla formazione sulla loro superficie di ossidi di colore
rosso-bruno, di estensione superficiale e di spessore crescenti in funzione del tempo di
esposizione. Dopo un anno di conservazione all’aperto si sono rilevati spessori massimi
di ossidi di circa 100 m sulle barre da 10 mm e di circa 200 m su quelle da 18 mm.
L’analisi della composizione degli ossidi ha rilevato i tipici prodotti della corrosione
atmosferica del ferro (akaganeite, lepidocrocite, goethite) che inglobano ancora porzioni
di magnetite proveniente dalla scaglia.
Nel caso delle barre di diametro 18 mm esposte per un anno si sono individuate,
all’interno dello stesso fascio, barre con estensione degli ossidi notevolmente diversa, a
causa delle diverse condizioni microclimatiche prodotte all’interno del fascio stesso (si è
ipotizzato che le barre più interne del fascio siano state maggiormente protette rispetto a
quelle più esterne). Si è, inoltre, osservato come la sola osservazione visiva, che fa
affidamento sulla variazione di colore da grigio scuro della scaglia a rosso-bruno degli
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Riferimenti bibliografici
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