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Milano, 7 settembre 2016

DIPARTIMENTO DI
CHIMICA, MATERIALI E
INGEGNERIA CHIMICA
“GIULIO NATTA”

Rif. mCD_R_13-030

Contratto di ricerca

Studio della passivazione nel calcestruzzo


delle armature con pre-ossidazione
Relazione finale

Materiali cementizi e durabilità Tel. 02 2399 3138 Partita Iva 04376620151


via Mancinelli, 7 Fax 02 2399 3180 Cod. Fisc. 80057930150
20131 Milano http://mcd.chem.polimi.it
Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 2 di 112

Questa relazione finale fa riferimento al contratto di ricerca “Studio della passivazione


nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione” stipulato tra SISMIC – Associazione
tecnica per la promozione degli acciai sismici per cemento armato e il Politecnico di
Milano, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”.
I responsabili scientifici sono:
Prof. Ing. Luca Bertolini
Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”
via Mancinelli, 7 - 20131 Milano
Tel. 02 2399 3138 - Fax. 02 2399 3180
E-mail: luca.bertolini@polimi.it
Ing. Maddalena Carsana
Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”
via Mancinelli, 7 - 20131 Milano
Tel. 02 2399 3142 - Fax. 02 2399 3180
E-mail: maddalena.carsana@polimi.it
Il gruppo di lavoro è stato costituito da: prof. Luca Bertolini, ing. Maddalena Carsana,
ing. Chiara Cattaneo e ing. Fan Yang.
Il presente rapporto non può essere riprodotto parzialmente senza autorizzazione esplicita.

I responsabili della ricerca


Prof. Luca Bertolini Ing. Maddalena Carsana

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Indice

1. Premessa pag. 5
2. Stato dell’arte pag. 6
2.1 La pre-ossidazione per esposizione atmosferica pag. 6
2.1.1 Azione dell’esposizione all’atmosfera dell’acciaio pag. 6
2.1.2 Studi sulla caratterizzazione degli ossidi sulle barre d’armatura pag. 7
2.2 Effetti sull’aderenza pag. 9
2.3 Effetti sulla passivazione e la corrosione delle armature pag. 10
2.3.1 Sintesi degli studi disponibili pag. 10
2.3.2 Confronto dei risultati pag. 18
Tabelle e Figure pag. 21
3. Metodologia sperimentale pag. 33
3.1 Barre d’armatura pag. 33
3.1.1 Caratterizzazione macroscopica pag. 33
3.1.2 Caratterizzazione microstrutturale pag. 34
3.1.3 Analisi dei prodotti di corrosione pag. 34
3.2 Calcestruzzo pag. 34
3.2.1 Materie prime e proporzioni pag. 34
3.2.2 Caratterizzazione pag. 35
3.3 Prove in calcestruzzo pag. 35
3.3.1 Provini pag. 35
3.3.2 Condizioni di stagionatura e di esposizione pag. 36
3.3.3 Prove in condizioni di corrosione libera pag. 36
3.3.4 Prove di polarizzazione potenziostatica pag. 37
3.4 Prove in soluzione pag. 37
3.4.1 Provini e celle di prova pag. 37
3.4.2 Misura del potenziale di corrosione pag. 38
3.4.3 Prove di polarizzazione potenziostatica pag. 38
Tabelle e Figure pag. 39
4. Risultati pag. 44
4.1 Classificazione visiva del grado di ossidazione delle armature pag. 44
4.2 Caratterizzazione delle barre pag. 45
4.2.1 Composizione chimica e proprietà meccaniche pag. 45
4.2.2 Osservazioni macroscopiche pag. 45
4.2.3 Analisi delle sezioni metallografiche pag. 45
4.2.4 Analisi sui prodotti di corrosione pag. 47
4.3 Prove di passivazione in calcestruzzo pag. 47
4.3.1 Fasi iniziali della passivazione pag. 47
4.3.2 Condizioni di corrosione libera pag. 48
4.3.3 Polarizzazione potenziostatica pag. 51
4.4 Prove in soluzione pag. 51
4.4.1 Prima serie pag. 51
4.4.2 Seconda serie pag. 52
Tabelle e Figure pag. 53

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5. Discussione pag. 87
5.1 Effetto dell’esposizione atmosferica pag. 87
5.1.1 Correlazione tra tempo di esposizione e ossidazione pag. 87
5.1.2 Effetto sulle proprietà meccaniche pag. 88
5.2 Effetto della pre-ossidazione sulla passivazione pag. 88
5.2.1 Passivazione iniziale pag. 89
5.2.2 Effetto dell’umidità pag. 91
5.2.3 Effetto di una polarizzazione anodica pag. 92
Tabelle e Figure pag. 94
Conclusioni pag. 108
Bibliografia pag. 110

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1. Premessa

Il prolungato stoccaggio delle armature in aree non coperte prima del getto del
calcestruzzo determina la formazione di ‘ruggine’ sulla superficie dell’acciaio. L’entità
dell’ossidazione dipende dall’ambiente di esposizione e dalla durata; in ambienti vicini
alla costa, è possibile che negli ossidi siano presenti ioni cloruro. Le norme italiane, in
particolare le Norme Tecniche per le Costruzioni, e quelle internazionali non contengono
raccomandazioni specifiche in merito alla valutazione dell’entità della pre-ossidazione
delle armature e a possibili criteri di accettazione. In genere si limitano a richiedere che
non ci siano ossidi non aderenti che possano pregiudicare l’aderenza, mentre non
affrontano i possibili effetti della pre-ossidazione sulla durabilità delle opere. Anche i
capitolati tecnici dei maggiori enti appaltanti italiani non riportano indicazioni dettagliate
riguardo ai possibili criteri di accettazione delle barre. Questa situazione rende difficile la
gestione dei contenziosi e costringe spesso alla sabbiatura delle barre pre-ossidate,
indipendentemente dal livello raggiunto dall’ossidazione.
In realtà, mentre è evidente che ‘spessi’ strati di ossido non aderente pregiudicano
l’aderenza acciaio-calcestruzzo e non possono essere accettati, la presenza di ‘sottili’
strati di ossidi aderenti potrebbe non avere effetti significativi sulla struttura. In
particolare, per quanto concerne la durabilità delle costruzioni, si ritiene comunemente
che il contatto con l’ambiente alcalino del calcestruzzo possa portare alla passivazione
dell’acciaio anche in presenza di un ‘sottile’ strato di ossido aderente, in quanto
l’alcalinità può permeare lo strato d’ossido e permettere la formazione del film passivo,
almeno in assenza di cloruri. Tuttavia non sono disponibili informazioni sulle effettive
condizioni di passivazione delle armature in funzione delle caratteristiche dello stato di
pre-ossidazione (spessore e composizione degli ossidi, morfologia ed entità dell’attacco
subito dall’acciaio, ecc.). L’analisi della letteratura scientifica (Capitolo 2) ha consentito
di rilevare dati controversi e difficilmente confrontabili, in quanto frutto di studi con
metodologie sperimentali differenti. Alcuni autori sostengono che la pre-ossidazione non
abbia alcun effetto sul successivo comportamento alla corrosione delle armature nel
calcestruzzo. Altri, invece, sostengono che questa potrebbe influenzare la durabilità della
struttura, soprattutto in seguito alla carbonatazione del calcestruzzo o alla penetrazione
dei cloruri (ad esempio favorendo l’innesco dell’attacco oppure la sua propagazione).
Questa relazione descrive i risultati di uno studio sperimentale volto alla valutazione degli
effetti della pre-ossidazione delle armature sulla durabilità delle costruzioni in
calcestruzzo armato. In particolare, in questo lavoro si è previsto lo studio dell’influenza
dell’ossidazione delle barre, prodotta dalla corrosione atmosferica, sulla loro passivazione
in un calcestruzzo rappresentativo delle tipiche applicazioni strutturali in Italia,
considerando armature provenienti da uno stabilimento e caratterizzate da diversi gradi di
pre-ossidazione indotti dall’esposizione atmosferica, al fine di individuare eventuali
condizioni critiche per la passivazione.
Nel capitolo 2 si riporta lo stato dell’arte emerso dall’analisi della bibliografia disponibile
su questo argomento. Nel capitolo 3 si descrivono le prove sperimentali effettuate
nell’ambito di questo studio, i cui risultati sono presentati nel capitolo 4 e discussi nel
capitolo 5. Infine si traggono le conclusioni dello studio.

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2. Stato dell’arte

In questo capitolo si riportano i dati disponibili nella letteratura scientifica a proposito


dell’utilizzo di barre di armatura con pre-ossidazione dovuta all’esposizione atmosferica.
Si valutano prima gli effetti dell’esposizione atmosferica in termini di alterazione
superficiale delle barre di armatura; si accenna poi all’influenza sull’aderenza fra acciaio
e calcestruzzo; quindi si analizzano le conseguenze sulla passivazione in calcestruzzo
alcalino e sul comportamento a corrosione in caso di depassivazione per carbonatazione o
cloruri. Si considerano solo gli effetti dell’ossidazione delle armature avvenuta prima del
getto del calcestruzzo; non vengono, invece, presi in considerazione gli effetti degli ossidi
di corrosione prodotti all’interno del calcestruzzo in seguito alla sua carbonatazione o alla
penetrazione dei cloruri.

2.1 La pre-ossidazione per esposizione atmosferica


Le barre d’armatura, in seguito ai processi di produzione, sono in genere ricoperte da una
aderente scaglia di laminazione, formata da ossidi prodotti ad alta temperatura. Nel
periodo che intercorre tra la produzione e il getto del calcestruzzo, le barre sono esposte
all’atmosfera (in stabilimento e in cantiere). Durante questo periodo sono soggette
all’azione della corrosione atmosferica e la scaglia di laminazione può essere rimossa e
sostituita dai tipici prodotti di corrosione del ferro a temperatura ambiente.
2.1.1 Azione dell’esposizione all’atmosfera dell’acciaio
La corrosione atmosferica dell’acciaio può aver luogo quando la superficie del metallo è
bagnata o ricoperta da un sottile velo d’acqua (non visibile ad occhio nudo), prodotto
dalla condensazione dell’umidità dell’ambiente. Lo spessore e la composizione del velo
liquido hanno importanti conseguenze sulla velocità di corrosione. Gli effetti della
corrosione dipendono anche dalla durata della permanenza del film liquido sulla
superficie metallica, che è determinata innanzitutto dalle condizioni di umidità e
temperatura dell’ambiente. La presenza di inquinanti atmosferici o di cloruri può
peggiorare gli effetti della corrosione sia perché cambia la composizione chimica del
liquido a contatto con il metallo sia perché può favorire la condensazione.
In genere, per gli acciai non legati esposti all’atmosfera, si considera un valore critico
dell’umidità relativa dell’ambiente pari a circa 70-80%, oltre il quale si assume che si
formi, per condensazione, un film liquido in grado di promuovere la corrosione. Infatti, la
velocità di corrosione è di solito trascurabile sotto questa soglia, mentre aumenta
rapidamente quando viene superata. Nei casi in cui le armature sono conservate in un
ambiente interno asciutto, normalmente non si superano questi valori di umidità e gli
effetti della corrosione atmosferica sono trascurabili. Viceversa l’esposizione all’aperto,
eventualmente anche in condizioni riparate dalla pioggia, può promuovere la corrosione
dell’acciaio. È opportuno osservare che la soglia critica di umidità relativa può essere
inferiore ai valori indicati in precedenza quando sono presenti contaminanti che formano
sali igroscopici (ad esempio i cloruri) oppure quando la corrosione avanza, perché i
prodotti di corrosione che si accumulano sulla superficie del metallo possono consentire
la condensazione capillare all’interno dei loro pori o interstizi.
La temperatura influisce sulla velocità di corrosione. Infatti, quando la superficie del
metallo è bagnata, la velocità di corrosione aumenta all’aumentare della temperatura.

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Tuttavia, un aumento della temperatura può avere anche effetti positivi se favorisce
l’evaporazione dell’acqua.
La velocità di corrosione dell’acciaio aumenta notevolmente in presenza di inquinanti
atmosferici sia gassosi (soprattutto SO2) sia solidi (polveri sottili). I primi favoriscono la
formazione di condense acide e aumentano la conducibilità elettrica della soluzione a
contatto con la superficie del metallo, i secondi si depositano sulla superficie creando uno
strato poroso che trattiene le soluzioni aggressive. In ambienti marini, sulla superficie
metallica possono depositarsi aerosol contenenti cloruri; l’accumulo di questi ioni sulla
superficie ha un effetto estremamente negativo sulla velocità di corrosione e, in ambienti
marini urbani e industriali, ha un’azione sinergica con gli inquinanti.
Le condizioni di corrosione peggiori si riscontrano sulla superficie metallica, in genere,
nelle zone in cui si formano interstizi in cui, da un lato, si possono accumulare l’acqua e
gli inquinanti e, dall’altro lato, è sfavorita l’evaporazione. Infatti, le zone ben esposte
all’atmosfera in genere possono beneficiare sia dell’effetto dilavante della pioggia (che
favorisce la rimozione degli inquinati) sia della rapida evaporazione dell’acqua nei
periodi asciutti. Viceversa, all’interno degli interstizi può ristagnare a lungo l’acqua e si
concentrano le sostanze inquinanti. Nel caso delle barre d’armatura conservate in fasci, le
condizioni più aggressive si possono produrre, ad esempio, nelle zone di contatto fra le
barre all’interno del fascio.
L’entità della corrosione dipende, ovviamente, anche dal tempo di esposizione. In
generale, per l’acciaio esposto all’atmosfera, si osserva un andamento del consumo del
ferro (e quindi anche della quantità di ossidi prodotti) proporzionale alla radice quadrata
del tempo di esposizione, dovuto al fatto che gli strati di ruggine, pur non essendo in
grado di proteggere l’acciaio, determinano una leggera riduzione della velocità di
corrosione. Sono stati proposti diversi meccanismi elettrochimici per spiegare la crescita
dello strato di ossidi e il ruolo dell’alternanza di periodi di asciutto e bagnato in seguito
all’esposizione atmosferica dell’acciaio [1-3].
Per approfondimenti sulla corrosione atmosferica degli acciai, si rimanda ai riferimenti
[4-6].
2.1.2 Studi sulla caratterizzazione degli ossidi sulle barre d’armatura
L’effetto dell’esposizione atmosferica sulle barre d’armatura è stato studiato da Zitrou et
al. [7], che hanno analizzato anche il ruolo del processo di produzione. Si sono
considerate barre prodotte con diversi metodi ed esposte ad Atene a 12 km dalla costa,
subito dopo la produzione e senza rimuovere la scaglia, per diversi tempi (1, 3, 6 e 9
mesi, a partire dal mese di settembre). Si è osservato che lo stato della superficie e lo
strato iniziale di ossido (scaglia) presente, che dipendono dal processo produttivo, hanno
un ruolo fondamentale nello sviluppo della corrosione in atmosfera. In questo lavoro, nel
caso delle barre laminate a caldo (sia con elevato tenore di carbonio sia con aggiunta di
vanadio) si è osservata una scaglia iniziale di spessore di circa 10-15 μm; sulle barre
prodotte con processo Tempcore lo spessore era minore (circa 6 μm) e con trafilatura a
freddo era praticamente inesistente.
Dall’osservazione visiva macroscopica delle barre è emerso che gli acciai laminati a
caldo (microlegati e non) presentavano fin da subito una scaglia scura e, una volta
esposti, hanno subito un attacco corrosivo a partire dalle parte più esterna delle nervature
(probabilmente a causa del ridotto spessore della scaglia), divenuto poi uniforme con
l’aumentare della durata di esposizione. Nel caso delle barre Tempcore e trafilate a
freddo, invece, gli ossidi non aderenti tendevano fin dai primi mesi a coprire l’intera
superficie.

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Con analisi al microscopio elettronico a scansione su sezioni lucidate, gli autori hanno
valutato lo spessore degli strati di ossidi e con microsonda EDAX la loro composizione
elementale. La Figura 2.1 mostra i risultati ottenuti con le barre prodotte con i diversi
metodi, dopo vari periodi di esposizione. In Figura 2.2, viene riassunto l’andamento nel
tempo dello spessore degli ossidi (scaglia iniziale e, poi, prodotti di corrosione). Non si
vedono rilevanti differenze fra le armature prodotte con le diverse tecnologie. Tuttavia,
analizzando le piccole differenze, le armature trafilate a freddo si sono rivelate
leggermente più sensibili alla corrosione, seguite dalle barre prodotte con il processo
Tempcore. Le barre laminate a caldo, sia non legate sia microlegate con vanadio, hanno
mostrato il comportamento migliore. Questo risultato è stato giustificato dagli autori con
il maggiore spessore iniziale della scaglia. Il peggiore comportamento delle armature
trafilate a freddo e Tempcore, oltre che dal minore spessore di ossidi iniziali, è stato
giustificato anche rispettivamente con le tensioni residue che derivano dal processo di
deformazione a freddo e con la presenza di una microstruttura eterogenea.
Con l’analisi EDAX nei prodotti di corrosione sulle barre esposte all’atmosfera si sono
rilevati gli elementi zolfo (S) e cloro (Cl). Gli autori riportano una possibile spiegazione
del meccanismo con cui si produce la corrosione che ipotizza il ruolo dei contaminanti
atmosferici (SO2) e dei cloruri. Sostengono che gli anioni cloruri e solfato sono in grado
di passare attraverso lo strato iniziale di ossido di ferro (scaglia) e innescare la corrosione
localizzata, con formazione di solfati contemporaneamente a cloruro di ferro. La SO2 e
l’ossigeno vengono inizialmente adsorbiti sulla superficie dell’ossido e successivamente
trasformati in ioni solfato. La reazione degli ioni solfato con gli ioni ferro porta alla
formazione di solfato di ferro nei siti anodici. Successivamente il solfato ferroso si ossida
a solfato ferrico che quindi idrolizza per produrre ossi-idrossidi di ferro con generazione
di acido solforico.
Con l’analisi di diffrazione di raggi X (XRD) hanno visto che la scaglia iniziale consiste
in ematite (Fe2O3), magnetite (Fe3O4) e wustite (FeO). Dopo l’esposizione all’atmosfera,
invece, il prodotto di corrosione principale è la lepidocrocite (γ-FeOOH), seguita dalla
akaganeite (β-FeOOH) e dalla goethite (α-FeOOH). La composizione mineralogica degli
ossidi non è stata influenzata dal processo produttivo.
Mehmood et al. [8] hanno studiato gli effetti dell’esposizione di barre laminate a caldo e
Tempcore a un’atmosfera marina industriale del golfo arabo, per un periodo fino a 2 anni.
L’osservazione visiva ha mostrato che entro due settimane le barre Tempcore si sono
rivestite di ruggine, mentre le barre laminate a caldo mostravano ruggine solo nei risalti
delle nervature. Dopo un mese le barre Tempcore erano ricoperte di ruggine quasi
completamente, mentre le altre lo erano solo per il 20-50% della superficie e mostravano
degli attacchi più localizzati. Dopo quattro mesi tutti i tipi di barre hanno perso
completamente l’iniziale colore scuro della scaglia ed erano completamente arrugginite.
Tuttavia, la ruggine sulle barre Tempcore aveva un aspetto più liscio, mentre in quelle
laminate a caldo era granulare e incoerente. La più rapida ossidazione delle barre
Tempcore viene spiegata dal minore spessore di scaglia che ricopre queste barre, in
quanto durante la produzione vengono raffreddate più velocemente in superficie rispetto a
quelle laminate a caldo. Tuttavia, nelle barre laminate a caldo, la corrosione inizia dove la
spessa scaglia viene rimossa durante la movimentazione delle barre, dando luogo ad
attacchi localizzati, in corrispondenza dei quali, a causa del maggiore volume degli ossidi,
la scaglia viene poi progressivamente fessurata e rimossa.
La Figura 2.3 mostra l’andamento nel tempo della perdita di massa dei diversi tipi di
armature. Si osserva come la perdita di massa sia inferiore sulle armature Tempcore
rispetto a quelle laminate a caldo. Quindi il più rapido arrugginimento osservato
visivamente sulle prime non sembra corrispondere a una maggiore velocità di corrosione.

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La minore velocità di corrosione atmosferica delle barre Tempcore viene attribuita dagli
autori a una microstruttura (martensitica rinvenuta) più omogenea di quella delle barre
laminate a caldo, caratterizzate dalla presenza di ferrite e perlite che favorirebbe la
formazione di micro-celle di corrosione. In questo articolo vengono anche riportate le
perdite di spessore delle barre e le loro caratteristiche meccaniche. Si mostra come, anche
dopo due anni di esposizione, la riduzione di spessore sia modesta (meno di un decimo di
millimetro) e la resistenza a trazione non sia influenzata dalla corrosione atmosferica.

2.2 Effetti sull’aderenza


Il possibile ruolo negativo dello strato di ossidazione superficiale delle barre
sull’aderenza al calcestruzzo ha ricevuto molta attenzione. Sono disponibili studi che
risalgono fino agli inizi del secolo scorso. Uno studio del 1909 (citato in [9]), ha mostrato
che con prove di pull-out su barre d’armatura lisce gli ossidi aderenti (firm rust)
migliorano l’aderenza perché questa è fortemente legata all’adesione superficiale tra
acciaio e calcestruzzo (almeno fino a tre mesi di esposizioni all’aperto). Uno studio di
Johnston e Cox del 1940 [10] ha effettuato 420 prove di aderenza su 78 tipi diversi di
barre lisce (per dimensione e grado di ossidazione). Hanno visto che a bassi valori di
scorrimento le barre pre-corrose hanno un maggiore sforzo di adesione, mentre l’ultimate
bond strength non è significativamente affetto dalla presenza di ossidi.
Nella sesta edizione del manuale sui controlli delle strutture in calcestruzzo emesso dal
Bureau of Reclamation nel 1956 [11], si parla anche della ruggine sulla superficie delle
armature sull’aderenza con il calcestruzzo, dicendo che i suoi effetti sono controversi. Si
sostiene che in alcuni casi sono stati rimossi con interventi costosi. Si descrive quindi uno
studio del Bureau of Reclamation che ha fatto delle prove di laboratorio su barre nervate
con quattro diversi gradi di ossidazione (non trattate, pulite con carta vetrata, pulite con
spazzolatura metallica e sabbiate). I risultati hanno rafforzato le osservazioni degli autori
che in precedenza avevano sostenuto che la ruggine non ha un effetto deleterio
sull’aderenza. In particolare, nelle conclusioni di questo studio si sostiene che:
- la ruggine non è dannosa per l’aderenza con il calcestruzzo e non sembrano esserci dei
vantaggi quando viene rimossa;
- l’aderenza dipende dalla dimensione della barra e dal numero di nervature,
- la ruggine aumenta la naturale rugosità della superficie delle armature e quindi tende ad
aumentare l’adesione superficiale della barra, anche se può ridurre la sezione resistente,
- le normali operazioni di cantiere sono sufficienti per rimuovere la ruggine non aderente
e la scaglia prima dell’inglobamento nel calcestruzzo.
Suggerisce che le barre che si siano arrugginite oltre il ‘limite di utilizzabilità’ possano
essere pulite e pesate per verificare che siano ancora conformi alle specifiche.
Nel 1968 Kemp et al. [9] hanno effettuato un ulteriore studio sull’aderenza barre-
calcestruzzo, considerando barre nervate e vari gradi di ossidazione (scaglia e ruggine).
Gli autori giustificano lo studio con il verificarsi di diversi casi di non accettazione di
barre d’armatura a causa degli ossidi. Le prove sono state effettuate su barre con diametro
di circa 13 mm e 28 mm, in differenti condizioni superficiali: armature sottoposte a
processi meccanici di pulizia, laminate a caldo, esposte all’atmosfera per tre mesi, cinque
mesi e mezzo e due anni, immerse in acqua per cinque mesi e mezzo ed immerse in acqua
salata per cinque mesi e mezzo. Il comportamento di tutte le categorie di armature risulta
confrontabile: gli studiosi non notano differenze tra le diverse condizioni superficiali,
suggerendo che la pre-ossidazione non è dannosa per l’aderenza fra calcestruzzo e

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acciaio. Sostengono, inoltre, che non vi sono differenze fra barre di piccolo o grande
diametro in relazione agli effetti dell’esposizione atmosferica: lo spessore dello strato di
ossidi che si deposita sulle barre dipende dall’aggressività dell’ambiente e dalla durata di
esposizione, ma non dal loro diametro.
Mehmood et al. [8] confermano l’assenza di effetti della pre-corrosione sull’aderenza con
prove di pull-out effettuate su barre esposte a un’atmosfera marina industriale del golfo
arabo per 12 mesi.
In generale, quindi, sembra emergere da questi studi che lo stato di ossidazione
superficiale delle armature generatosi prima che siano introdotte nel calcestruzzo, almeno
se gli ossidi sono aderenti e le armature sono nervate, non ha effetti deleteri sull’aderenza
al calcestruzzo. Si osserva che in letteratura sono presenti molti studi che hanno valutato
anche gli effetti sull’aderenza degli ossidi prodotti dalla corrosione delle armature
all’interno del calcestruzzo (in seguito all’innesco della corrosione per carbonatazione o
contaminazione da cloruri). Questi studi non sono stati considerati in questo stato
dell’arte, in quanto si riferiscono a condizioni differenti rispetto a quelle della ruggine
prodotta per esposizione atmosferica (in particolare, l’accrescimento degli ossidi
direttamente all’interno del calcestruzzo indurito può causare stati di tensione e di
fessurazione).

2.3 Effetti sulla passivazione e la corrosione delle armature


È noto che le barre d’armatura di acciaio non legato nel calcestruzzo sono protette dalla
corrosione grazie alle condizioni di passività che si sviluppano a contatto con la soluzione
alcalina contenuta nei pori della pasta cementizia. Infatti, la soluzione nei pori del
calcestruzzo è costituita prevalentemente dagli idrossidi di sodio e di potassio e, per
effetto dell’impiego di comuni cementi, ha un pH compreso tra 13 e 13.8; i valori più
bassi si rilevano sui calcestruzzi con aggiunte di loppa d’altoforno o di materiali
pozzolanici. A contatto con questa soluzione, l’acciaio è passivo, cioè si ricopre di un
sottile strato di ossidi di ferro che rende la velocità di corrosione trascurabile,
indipendentemente dalle condizioni di umidità del calcestruzzo. La corrosione delle
armature può essere successivamente provocata dalla carbonatazione del calcestruzzo o
dalla penetrazione di cloruri nel copriferro. Per approfondimenti si rimanda ai riferimenti
[5] e [12].
Le condizioni di passivazione delle armature quando vengono poste a contatto con il
calcestruzzo, tuttavia, dipendono da diversi fattori che possono influenzare il tipo e le
proprietà protettive degli ossidi che si formano. Uno di questi fattori può essere lo stato
della superficie delle armature. Gli effetti della scaglia di laminazione e degli ossidi
prodotti dall’esposizione atmosferica delle barre sono controversi.
2.3.1 Sintesi degli studi disponibili
In letteratura sono presenti diversi studi volti a verificare la possibilità che le armature
con scaglia o sottoposte a pre-corrosione possano effettivamente raggiungere le
condizioni di passività una volta introdotte nel calcestruzzo; altri studi valutano gli effetti
degli ossidi sull’innesco della corrosione, in particolare da cloruri. In questo paragrafo si
analizzano, in ordine cronologico di pubblicazione, gli studi disponibili e, per ciascuno, si
riporta una breve sintesi volta a evidenziare i risultati utili ai fini della presente ricerca.
John et al. [13] in uno studio volto alla valutazione dell’efficacia di interventi di
ripristino, confrontano il comportamento di barre sabbiate con quello di barre pre-corrose
artificialmente per esposizione di alcuni giorni in ambiente umido. Sulla base di misure di

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impedenza elettrochimica di provini armati in calcestruzzo sottoposti a carbonatazione


accelerata e penetrazione di cloruri, sostengono che le barre pre-corrose mostrano
inizialmente un tipico comportamento passivo. Tuttavia, in seguito alla penetrazione della
carbonatazione e dei cloruri le barre pre-corrose, mostrano una maggiore attività del
processo di corrosione, confermata dall’osservazione visiva.
Vassie [14], con lo scopo di verificare l’efficacia di diversi metodi di rimozione della
ruggine dalle armature prima degli interventi di ripristino, valuta gli effetti della pre-
corrosione di barre lisce di acciaio dolce, precedentemente sabbiate e poi esposte per sei
mesi ad un’atmosfera marina industriale, durante i quali si è avuto un consumo di ferro di
circa 20 m. Attraverso misure di potenziale di corrosione rileva l’innesco della
corrosione sulle barre una volta immerse in calcestruzzi senza cloruri e con 0.5% di
cloruri rispetto al cemento, aggiunti all’impasto. Su armature di controllo (non pre-
corrose) osserva un analogo comportamento sia nella condizione di ricevimento dallo
stabilimento sia dopo sabbiatura; entrambe si passivano senza cloruri e non si innesca la
corrosione con 0.5% di cloruri (c’è incertezza nel caso delle barre con scaglia in
calcestruzzo con cloruri). Nel caso delle barre pre-corrose (in ambiente con cloruri) ha
rilevato condizioni di passività in calcestruzzo non contaminato da cloruri, mentre ha
ottenuto dei risultati incerti nel calcestruzzo con 0.5% di cloruri. Sulla base di queste
osservazioni, suggerisce che, prima degli interventi di ripristino, vengano rimossi i
depositi di corrosione contaminati da cloruri. Nell’articolo si valutano anche gli effetti di
armature con attacchi localizzati per pitting (prodotti da precedente esposizione in
calcestruzzo contaminato da cloruri) e si mostra che solo la totale rimozione degli ossidi
mediante sabbiatura può essere efficace per prevenire la corrosione nella zona ripristinata.
Al-Tayyib et al. [15] hanno confrontato il comportamento di barre “senza ruggine” (non
precisano cosa intendono esattamente) e barre pre-ossidate per esposizione di un anno
all’atmosfera del golfo arabo. Non forniscono alcuna documentazione sullo stato di
ossidazione delle barre pre-corrose e sull’eventuale presenza di cloruri. Le prove sono
state fatte sia in calcestruzzo senza cloruri sia con aggiunta di 2% di NaCl (considerando
il dosaggio di cemento di 400 kg/m3, il contenuto di cloruri aggiunto è pari a circa 0.3%
in massa rispetto al cemento). Su provini immersi prima in acqua per due mesi e poi in
una soluzione 5% NaCl, hanno rilevato l’andamento nel tempo del potenziale di
corrosione (un esempio è riportato in Figura 2.4) e della velocità di corrosione misurata
con il metodo della polarizzazione lineare. Sostengono che non ci sono effetti negativi
della pre-ossidazione e arrivano persino ad affermare che la velocità di corrosione nei
provini pre-ossidati è inferiore a quella dei provini senza pre-ossidazione (i valori di
velocità di corrosione sono stati misurati al termine del periodo di immersione in acqua è
sono tutti compresi fra 1.23 e 1.68 m/anno).
Hansson e Sorensen [16] hanno studiato l’effetto della penetrazione dei cloruri nel
calcestruzzo su armature nervate in condizioni “come ricevute” (con lieve ossidazione) e
con pre-ossidazione ottenuta con due sole settimane di esposizione all’aperto; hanno,
inoltre, confrontato il comportamento con barre lisce sabbiate. Dopo 100 giorni di
esposizione alla soluzione con cloruri (in condizione di polarizzazione potenziostatica a 0
mV vs SCE) hanno rilevato l’innesco della corrosione solo su 2 barre di 6 dei campioni
pre-corrosi, mentre l’innesco è avvenuto su 5 di 6 barre “come ricevute” e su tutte e sei le
barre lisce sabbiate. Si è tuttavia notato che, a differenza della corrosione uniforme
osservata sulle barre lisce, sulle barre nervate si osservavano piccole aree corrose. Gli
autori concludono affermando che la pre-corrosione ha un effetto benefico sull’innesco
della corrosione da cloruri.
Avila-Mendoza et al. [17] riportano delle prove in malta con le quali confrontano il
comportamento di barre lisce in tre condizioni: lucidate a specchio, con una scaglia di

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Fe3O4 prodotta in laboratorio esponendo l’acciaio a 800°C per 20 minuti e, infine, con
pre-ossidazione prodotta esponendo l’acciaio in ambiente umido per diverse settimane
(non documentano l’effettivo stato di ossidazione superficiale). Le barre sono state
inglobate in provini di malta sui quali si sono misurati il potenziale di corrosione e la
velocità di corrosione (con il metodo della Rp) in due fasi: nei primi 28 giorni in cui la
malta veniva stagionata a 100% UR e 20°C e per ulteriori 90 giorni in cui i diversi
provini sono stati immersi in acqua distillata e in soluzioni con 1% e 3% di NaCl. Nel
periodo di stagionatura (Figura 2.5) le barre lucidate e con scaglia si sono mostrate
passive; anche le barre con pre-ossidazione hanno mostrato di essere passive, anche se si
è rilevata una velocità di corrosione leggermente superiore rispetto alle barre prese come
riferimento (giustificata da una maggiore area effettiva dovuta alla presenza degli ossidi
porosi). Nel caso dei provini successivamente immersi nelle diverse soluzioni si sono
ottenuti risultati differenti per le barre lucidate e con scaglia rispetto a quelle con pre-
ossidazione. Come mostrato in Figura 2.6, le prime due tipologie hanno continuato a dare
velocità di corrosione trascurabili (nonostante la diminuzione del potenziale, giustificata
dagli autori con la riduzione del contenuto di ossigeno), mentre le barre pre-corrose
hanno evidenziato velocità di corrosione crescenti all’aumentare del contenuto di cloruri
della soluzione in cui sono stati immersi i provini. Gli autori, per giustificare gli elevati
valori di velocità di corrosione rilevati sui provini immersi nelle soluzioni con cloruri
ipotizzano che lo strato di ruggine possa aver interferito con lo strato di portlandite che, in
caso di intimo contatto fra acciaio e calcestruzzo, promuove il mantenimento delle
condizioni di passività; tuttavia, non riportano dati relativi alla effettiva quantità di cloruri
giunta alla profondità dell’armatura. Forniscono, invece, delle interpretazioni basate sulla
possibilità che il processo di corrosione possa essere sostenuto da un processo catodico di
autoriduzione della ruggine (Fe2+ + 4Fe2O3 + 2e  3Fe3O4) e, quindi, possa avvenire
anche in assenza di ossigeno (necessario per il comune processo catodico di riduzione
dell’ossigeno stesso: O2 + 2H2O + 4e  4OH-).
Proverbio e Cigna [18] hanno studiato il comportamento di barre nervate in due
calcestruzzi con cemento pozzolanico e con rapporto acqua/cemento di 0.5 e 0.7. Le barre
sono confrontate nelle condizioni: decapate, pulite con una spazzola metallica e pre-
corrose (si dice solo che sono state esposte ad atmosfera umida e non si documenta lo
strato di ruggine). Si è monitorata per circa un anno la velocità di corrosione (con il
metodo della Rp) sui provini esposti in laboratorio (senza contaminazioni). La Figura 2.7
mostra che per tutte le barre la velocità di corrosione è diminuita lungo tutto l’arco
dell’anno di esposizione. Le barre pre-corrose hanno mostrato un andamento della
velocità di corrosione analogo a quello delle barre decapate, ma con valori circa doppi.
Gli autori spiegano questo fenomeno affermando che lo strato di ruggine che inizialmente
copre le barre pre-corrose richiede un tempo maggiore per la passivazione nel
calcestruzzo e, anche quando viene raggiunta una condizione di passività, lo strato
residuo di ruggine maschera la superficie inducendo la formazione di fenomeni corrosivi
localizzati. Non vengono però forniti dati a supporto di questa assunzione.
Mammoliti et al. [19] descrivono un numero limitato di prove in soluzioni alcaline alle
quali sono stati aggiunti cloruri. Si confronta la superficie lucidata con la superficie
nervata di barre per calcestruzzo armato. Si studia, inoltre, la superficie lucidata di una
barra liscia di acciaio dolce. Gli autori non trovano significative differenze di velocità di
corrosione tra i diversi acciaio e le diverse condizioni superficiali in assenza di cloruri. In
seguito all’aggiunta di cloruri concludono che lo stato della superficie influisce
sull’innesco della corrosione per pitting.
Gonzàlez et al. [20] hanno studiato barre pre-corrose in acqua di mare, successivamente
inglobate in provini di malta (valutano anche l’effetto di un inibitore a base di nitrito di

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sodio e di un trattamento idrorepellente). Riportano spessori degli strati di ruggine


presenti sulle barre pari a 253, 239 e 116 g/m2 (non precisano come sono stati misurati) e
un contenuto di cloruri rispettivamente di 3.31, 2.58 e 1.61 g/m2. La velocità di
corrosione è stata misurata attraverso la resistenza di polarizzazione (non vengono
spiegati i parametri usati). Studiano anche l’effetto della ruggine prodotta in assenza di
cloruri (esposizione a 100% U.R. per 30 giorni, durante i quali si è formato uno strato di
ruggine di 395 g/m2); queste barre però sono provate solo in soluzione satura di Ca(OH)2.
La discussione dell’articolo è ambigua. La maggior parte dei risultati sono ottenuti sulle
barre in malta che hanno l’ossido con cloruri, ma questo non viene messo in evidenza (se
non nella metodologia). In questo caso si mostra che lo strato di ruggine (con cloruri!)
previene la passivazione, come mostrato in Figura 2.8 dove si osserva che solo le
armature senza ossidi in superficie raggiungono, entro 10 giorni, velocità di corrosione
inferiori a 0.1 A/cm2 (corrispondenti a 1 mA/m2) che viene considerato normalmente
come soglia limite per le condizioni di passività. I campioni con uno strato di ossidi 116
g/m² hanno, mostrato fino a circa 2 anni di esposizione valori di velocità di corrosione
inferiori rispetto a quelli con maggiore pre-ossidazione, ma nettamente superiori a quelli
con assenza di prodotti superficiali (decapati). Per quanto riguarda la pre-ossidazione in
assenza di contaminazione da cloruri ci sono solo due prove in soluzione di idrossido di
calcio, Figura 2.9; si vede che dopo 150 ore (6 giorni) le barre con ossidi hanno velocità
di corrosione superiore rispetto a quelle senza ossidi (20 A/cm2 vs 0.2 A/cm2);
comunque anche le barre senza ossidi hanno velocità di corrosione più elevate di quelle
normalmente attese su armature passive.
Mehmood et al. [8] riportano misure di potenziale di corrosione effettuate su barre
laminate a caldo e Tempcore pre-corrose fino a 12 mesi in un’atmosfera marina
industriale del golfo arabo e poi messe in provini di calcestruzzo. I provini sono stati
immersi parzialmente in acqua di mare e acqua dolce. Sulla base del solo tempo in cui è
avvenuta la diminuzione del potenziale di corrosione nei provini a contatto con l’acqua di
mare, gli autori sostengono che la ruggine abbia un ruolo positivo e possa inibire
l’innesco della corrosione da cloruri.
Li e Sagues [21] hanno effettuato prove in soluzioni di diverso pH (12.6, 13.3 e 13.6) su
armature nervate sabbiate, come ricevute (con scaglia e piccole tracce rosse di ruggine) e
pre-corrose (ottenute immergendo per 3 giorni le barre come ricevute in una soluzione
agitata con 3.5% NaCl). Ogni due settimane sono stati aggiunti cloruri (come NaCl) alle
soluzioni alcaline con l’obiettivo di valutare il tenore critico per l’innesco della
corrosione, attraverso misure di potenziale di corrosione e di impedenza elettrochimica
(metodo con il quale si è stimata la velocità di corrosione). La Figura 2.10 riporta, come
esempio, l’andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle barre immerse nella
soluzione a pH 12.6 (soluzione satura di Ca(OH)2). In assenza di cloruri tutte le barre si
portano rapidamente a un potenziale superiore a -200 mV vs SCE, che viene assunto
come evidenza del fatto che tutte si sono passivate. La diminuzione del potenziale di
corrosione che si osserva dopo l’aggiunta dei cloruri individua l’innesco della corrosione.
La Figura 2.11 riporta la correlazione tra il potenziale di corrosione e la concentrazione di
cloruri a cui si è innescata la corrosione (che viene considerata come una stima del tenore
critico di cloruri) sulle armature nelle diverse condizioni superficiali. Da questi risultati
gli autori concludono che le armature sabbiate mostrano valori più elevati (circa doppi) di
tenore critico rispetto alle altre; non si sono, invece, osservate differenze fra le armature
con scaglia di laminazione e quelle pre-ossidate (con uno spessore di ruggine non definito
nell’articolo ottenuto, secondo quanto indicato, dopo soli 3 giorni). Gli autori affermano
che la rimozione sia della scaglia sia della ruggine dalla superficie delle armature può
migliorare la resistenza alla corrosione da cloruri. Con le misure di velocità di corrosione

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e di potenziale di corrosione (ben correlate fra loro) gli autori osservano, però, che una
volta innescata la corrosione le barre sabbiate si corrodono con velocità più elevata
rispetto alle armature con scaglia e con pre-ossidazione.
Novak et al. [22] confrontano barre con diversi gradi di finitura (‘machined’, con la
scaglia di laminazione e pre-corrose), in calcestruzzi con diversi tenori di cloruri (fino a
2.5% fatti penetrare come NaCl). Non sembra che abbiano usato barre per armatura. Le
barre pre-corrose avevano uno spessore medio dello strato di ossidi di circa 50 µm,
ottenuto dopo circa sei mesi di esposizione all’esterno in un ambiente di classe C4,
secondo la norma ISO 9223; lo spessore medio della scaglia era di 10-20 µm. In Tabella
2.1 sono riportati i risultati delle prove e si confrontano le misure di resistenza di
polarizzazione con prove di perdita di massa. Gli autori concludono che le armature pre-
corrose hanno un valore inaccettabile di velocità di corrosione (> 1 µm/anno) anche in
calcestruzzo senza cloruri. Affermano che, in tutti i casi (quindi, sembrerebbe
stranamente anche senza cloruri), la corrosione è localizzata. L’articolo non è molto
chiaro e si fatica a capire come sono state effettivamente svolte le prove; ad esempio, non
è chiaro come abbiano calcolato la perdita di massa sulle armature che erano già pre-
ossidate. Per giustificare la corrosione delle barre pre-ossidate nei provini senza cloruri o
con 0.4% di cloruri parlano di un possibile ruolo dei solfati presenti nell’atmosfera in cui
è avvenuta la pre-ossidazione. Tuttavia, la loro spiegazione del fenomeno non è
supportata da spiegazioni convincenti. I dati sperimentali sono limitati a una tabella con
potenziale di corrosione (Ecorr) e resistenza di polarizzazione (Rp); per le perdite di massa,
rimandano a un altro articolo (che non è stato possibile reperire).
In effetti, Mohammed e Hamada [23] inviano alla rivista delle osservazioni su questo
articolo. Chiedono maggiori dettagli sperimentali, ma non c’è risposta degli autori.
Chiedono anche spiegazioni sulla ‘localizzazione’ dell’attacco e fanno riferimento
all’articolo di Li e Sagues [21] che afferma che la sabbiatura ha innalzato il tenore critico
di cloruri, ma dopo l’innesco la velocità di corrosione delle armature sabbiate è risultata
maggiore di quelle con scaglia di laminazione o con ruggine. Per quanto riguarda i solfati
loro ritengono che possano influenzare la corrosione sia con sia senza cloruri; i solfati
possono trasformarsi in acido solforico che è altamente aggressivo sia per l’acciaio sia per
il calcestruzzo. Affermano inoltre che i solfati possono neutralizzare gli ioni OH- che
passano attraverso lo strato di ruggine. Citano quindi Avila-Mendoza et al. [17] che
attribuiscono la corrosione delle barre pre-ossidate alla auto-riduzione del Fe2O3 a Fe3O4;
questo effetto può essere significativo nei primi periodi di esposizione. Questi autori,
inoltre, riportano i dati di Tabella 2.2 nella quali rianalizzano i dati di Novak et al. e
confrontano le velocità di corrosione ottenute con la resistenza di polarizzazione (Rp) con
quelli ottenute dalla perdita di massa, assumendo che non ci sia localizzazione
dell’attacco (ipotizzano un ‘fattore di pitting’  pari a 1, cioè che la corrosione sia
uniforme). Si osserva come ci sia una significativa differenza tra la penetrazione
dell’attacco stimata con Rp e quella misurata con perdita di peso.
Maslehuddin et al. [24] descrivono uno studio in cui si sono considerate barre di diametro
12 mm e 18 mm di diversa produzione (Tempcore e tre processi di laminazione a caldo).
Le barre sono state studiate nelle condizioni come ricevute e dopo esposizione di 3, 6 e 12
mesi in due ambienti nel golfo arabo: uno a 5 km dal mare e uno a 400 km dal mare;
considerano anche barre esposte per 1000 ore in nebbia salina. Le barre sono state
introdotte in provini di calcestruzzo ‘esposti’ a una soluzione con 5% NaCl. Lo studio,
per come è impostato, sarebbe interessante; tuttavia i risultati sono presentati e discussi in
modo confuso e si fatica a capire cosa sia stata davvero ottenuto (non sono riportati dati
su quanti cloruri sono penetrati nei diversi provini). Gli autori si soffermano soprattutto
sulle differenze fra le armature prodotte con processo Tempcore e laminazione a caldo,

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evidenziando un migliore comportamento delle prime. Non sembrerebbe emergere alcun


ruolo negativo delle due diverse pre-ossidazioni. Anzi gli autori affermano nelle
conclusioni che le barre Tempcore esposte per 12 mesi (non si capisce a quale atmosfera)
non hanno mostrato corrosione e questo indicherebbe che i prodotti di corrosione che si
sono formati su queste barre in seguito all’esposizione atmosferica avrebbero ritardato
l’ingresso dei cloruri alla superficie dell’acciaio.
Al-Dulaijan et al. [25] studiano gli interventi di ripristino e le prestazioni meccaniche
delle strutture in calcestruzzo, ma valutano anche l’effetto dell’ossidazione, prodotta
artificialmente. La corrosione è stata prodotta con esposizione delle barre nervate per 6
mesi in nebbia salina (NaCl). Dopo la pulizia (delle barre con vari metodi) le hanno
immerse in provini che simulano degli interventi di ripristino e hanno fatto una corrosione
artificiale con applicazione di diverse correnti anodiche. I risultati delle prove, basati sulla
corrente necessaria per innescare la corrosione in queste condizioni, sono poco attendibili.
Le misure di corrosione sono fatte solo in soluzione (con prove di polarizzazione
potenziodinamica e resistenza di polarizzazione). La Tabella 2.3 riporta i risultati ottenuti:
le velocità di corrosione sono espresse in mpy, millesimi di pollice all’anno (1 mpy
corrisponde circa a 25 μm/anno, quindi pari a 25 mA/m²). La minore velocità di
corrosione si è riscontrata nell’acciaio sottoposto al processo di sabbiatura, mentre la
maggiore nei campioni pre-corrosi con un valore superiore a 4.5 μA/cm² (45 mA/m²). Ciò
può essere attribuito, come indicato dagli autori, al fatto che la pre-corrosione comporta la
formazione di pori dove le sostanze aggressive (tra cui i cloruri) si possono concentrare e
favorire la cinetica dell’attacco corrosivo quando la superficie è esposta a condizioni di
umidità adeguate.
Gonzàlez et al. [26] nel loro lavoro hanno usato metodi elettrochimici e gravimetrici per
verificare il comportamento a corrosione di lastrine di acciaio (non barre) pre-ossidate
(con contaminazione da cloruri) e immerse in soluzione satura di idrossido di calcio (non
agitata). Il livello di pre-ossidazione è variato da 0 a 12.4 mg/cm2 (corrispondente a circa
30 µm di spessore di ruggine). Le misure di perdita di massa sono state effettuate dopo 30
giorni di immersione nella soluzione alcalina e si è dedotta la quota dovuta alla ruggine
formata precedentemente, misurata su provini paralleli prima dell’inizio delle prove.
Riportano i risultati di misure di potenziale di corrosione e di velocità di corrosione (Rp)
durante 30 giorni di esposizione (Figura 2.12). Mostrano anche il confronto tra la perdita
di massa e la quantità di ossidi presenti prima dell’immersione nella soluzione (Figura
2.13). Affermano che la presenza di ruggine, anche in piccola quantità (0.89 mg/cm2) è
sufficiente per far perdere la passività; sostengono che ‘probabilmente’ la continuità del
film di passività viene localmente rotta nelle immediate vicinanze dei punti di contatto tra
le particelle di ruggine e la superficie metallica oppure il pH dentro i punti di attacco è
sostanzialmente ridotto. Nella discussione studiano anche il meccanismo del controllo del
processo elettrochimico e affermano che lo strato di ruggine è reattivo catodicamente. I
bassi potenziali di corrosione misurati nei primi giorni di immersione sui provini con
strato di ruggine (-600/-500 mV vs SCE), secondo questi autori, sono giustificati dal fatto
che la ‘riduzione della ruggine’ è la principale reazione catodica nella prima fase della
corrosione delle armature pre-ossidate (lo giustificano con il fatto che, da considerazioni
sui diagrammi di Pourbaix, la magnetite (Fe3O4) diviene la fase termodinamicamente
stabile ad alto pH). Ipotizzano, quindi, che gli ossidi prodotti dalla precedente esposizione
a pH inferiore (in predominanza -FeOOH) si trasformino prevalentemente in magnetite e
che la formazione di Fe3O4 avvenga solo dopo che si sia formata ‘una certa quantità’ di
Fe2+. Ipotizzano quindi che, in seguito al consumo di tutti gli ossidi che si possono ridurre
e trasformare in magnetite (in base alle loro prove sostengono che questo può durare al
massimo 10-12 giorni), la reazione catodica cambia e la riduzione di ossigeno diviene la
reazione catodica predominante. Questo cambiamento nel processo catodico,

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giustificherebbe l’aumento del potenziale di corrosione verso valori più nobili (-200/-100
mV vs SCE). Ipotizzano che la reazione anodica, invece, non cambi. L’aumento della
velocità di corrosione stimata con la resistenza di polarizzazione sui provini con ruggine,
secondo questi autori è tipico degli ‘elettrodi porosi’; ipotizzano, quindi, che lo strato di
ossidi si comporti come un elettrodo poroso la cui area attiva è proporzionale alla massa
dell’elettrodo (cioè dello strato di ruggine). Ipotizzando che il processo di corrosione sia
controllato dal processo di riduzione di ossigeno, ci si aspetterebbe quindi una velocità di
corrosione all’incirca proporzionale alla massa di ossido, come sembrerebbe dimostrare la
Figura 2.13). Questa ipotesi varrebbe anche nel caso in cui non tutta la massa della
ruggine fosse conduttiva elettricamente, pur di ipotizzare che ci sia una distribuzione
uniforme dei siti reattivi nella ruggine. Sulla base di questa ipotesi affermano, quindi, che
la ruggine favorirebbe il processo di corrosione, come giustificato dalla correlazione
diretta fra la massa di ruggine e la perdita di massa dovuta alla corrosione dell’acciaio.
Affermano, inoltre, che il metodo della polarizzazione lineare ha sovrastimato la velocità
di corrosione nei campioni con i contenuti di ruggine più elevati (Figura 2.14); questo
viene attribuito alla ‘inadeguatezza’ della metodologia di prova utilizzata (misura della
corrente dopo soli 15 secondi di polarizzazione di 10 mV) in presenza di elevati valori di
capacitanza causati dagli elevati spessori di ossidi. Nella parte finale dell’articolo
riportano alcuni risultati su barre immerse in malta (Figura 2.15) che sembrano mostrare
(con il metodo della resistenza di polarizzazione) velocità di corrosione elevate per i
provini con pre-ossidazione; non forniscono però spiegazioni riguardo alle condizioni di
queste prove.
Poursaee e Hansson [27] hanno studiato il tempo di passivazione delle armature in malta
e in una soluzione dei pori simulata (entrambe senza cloruri), confrontando armature
come ricevute (con scaglia, ma non la documentano) e dopo sabbiatura. Hanno effettuato
misure di potenziale di corrosione e di velocità di corrosione (con metodo della Rp). La
Figura 2.16 mostra l’andamento della velocità di corrosione delle armature nei provini in
malta e in soluzione. Gli autori affermano che il tempo necessario per raggiungere valori
di velocità di corrosione tipici della passività (assunto pari a 1 mA/m2) sono stati di 7
giorni in malta e 3 giorni in soluzione; tuttavia, la velocità di corrosione è diminuita, sia
pure lentamente, anche in seguito. Sulle barre con scaglia hanno osservato velocità di
corrosione leggermente più alte, ma sostengono che questa osservazione non è né
consistente né significativa. In questo lavoro hanno anche cercato, per le barre in
soluzione di studiare il film di passività sulle barre sabbiate con spettroscopia Raman, ma
sostengono che questo sia troppo sottile per essere valutato con questa tecnica; anche
sulle barre con scaglia non hanno osservato differenze significative in seguito
all’immersione per due mesi nella soluzione.
Miranda et al. [28] confrontano il comportamento dell’acciaio senza ruggine (decapato)
con quello dell’acciaio sottoposto a diversi tipi di pre-ossidazione: barre con ‘spessi’
prodotti di corrosione in seguito all’esposizione in malta carbonatata per diversi anni,
piastrine contaminate con cloruri e esposte per diversi tempi in una camera umida, barre
ossidate a 550 o 650°C, barre con tre diversi gradi di corrosione i seguito a esposizione
all’acqua di mare. Fanno prove in soluzione satura di Ca(OH)2 e in malta, rilevando il
potenziale di corrosione e la velocità di corrosione con il metodo della Rp, impulsi
galvanostatici e curve di polarizzazione. La Figura 2.17 confronta le velocità di
corrosione ottenute in soluzione e in malta con le barre nelle diverse condizioni (ci sono
anche prove con uso di un inibitore di corrosione a base di nitrito di calcio, che non
vengono qui considerate). Si osserva che sulle barre con pre-ossidazione,
indipendentemente dal modo con cui questa è stata effettuata (e quindi dalla
composizione degli ossidi), la velocità di corrosione è 1-2 ordini di grandezza superiore a
quella delle barre decapate. Gli autori riportano anche delle correlazioni tra la velocità di

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corrosione in soluzione o in malta e la quantità di pre-corrosione (Figura 2.18). Anche


queste correlazioni, secondo gli autori, sembrano indicare che non abbia alcun effetto il
modo con cui sono stati prodotti gli ossidi e che la velocità di corrosione nella soluzione
alcalina e nella malta dipenda essenzialmente dal loro spessore. Gli autori sostengono che
la più elevata velocità di corrosione sull’acciaio pre-ossidato è stata ottenuta non solo con
il metodo della resistenza di polarizzazione, ma è confermata anche da altri metodi
elettrochimici (prove di polarizzazione potenziodinamica e impulsi galvanistatici). Gli
autori sostengono che non è sorprendente che l’effetto passivante della soluzione satura di
Ca(OH)2 o della malta cementizia, che è praticamente immediato sull’acciaio decapato,
sia ritardato o inesistente sotto gli spessi strati di ossidi e idrossidi, dove non c’è
evidentemente contatto tra il mezzo passivante e la superficie metallica da passivare.
Manera et al. [29] riportano prove di corrosione su armature lisce e nervate; in entrambi i
casi si sono provate armature come ricevute (con scaglia) e sabbiate. L’obiettivo era lo
studio del tenore critico di cloruri. I risultati non hanno mostrato significative differenze
nel comportamento alla corrosione tra le barre lisce e nervate, valutato con misure di
potenziale di corrosione e velocità di corrosione (Rp). In entrambi i casi si è osservato un
leggero effetto dello stato superficiale: nel calcestruzzo contaminato da 1% e 2% di
cloruri (rispetto alla massa del legante); le barre con scaglia di laminazione hanno
mostrato velocità di corrosione superiori rispetto a quelle sabbiate; in assenza di cloruri,
comunque, le velocità sono sempre trascurabili (Figura 2.19).
Ghods et al. [30] descrivono uno studio per la valutazione del tenore critico di cloruri nel
quale confrontano barre con scaglia e barre a cui sono state rimosse le nervature e sono
poi state lucidate. Con prove in soluzione, riportano valori di tenore critico più elevato
per le barre lucidate. In un successivo articolo [31] analizzano, con osservazioni al
microscopio elettronico a scansione, la scaglia di laminazione di barre ottenute da tre
diversi produttori (non dicono il tipo di processo, ma è presumibilmente un Tempcore,
vista la composizione dell’acciaio). Le barre sono state analizzate anche dopo immersione
in una soluzione che simula il liquido dei pori del calcestruzzo contaminato con cloruri.
La Figura 2.20 mostra le microstrutture della scaglia di laminazione delle barre dei tre
produttori. Si osservano significative differenze in spessore (ma gli autori affermano che
ci sono anche all’interno delle barre dello stesso produttore), uniformità e microstruttura.
In particolare, si osserva che, all’osservazione con elettroni retrodiffusi (backscatter), la
scaglia si presenta caratterizzata da strati di diversa intensità di grigio (che corrisponde a
composti di diverso peso molecolare medio): lo strato interno è più chiaro, quello esterno
più scuro. Partendo da questa osservazione ipotizzano che la scaglia sia composta da uno
strato interno di magnetite (Fe3O4) e uno esterno di ematite (Fe2O3), i cui volumi relativi
sono molto variabili sia fra i diversi produttori sia per uno stesso produttore. Osservano,
inoltre, che ci sono molte cricche fra la scaglia e la superficie dell’acciaio; sulla base di
questa osservazione ipotizzano che si creino condizioni simili a quelle della corrosione in
fessura, che spiegherebbero una maggiore suscettibilità alla corrosione da cloruri (cioè un
minore tenore critico) per le barre rivestite con la scaglia rispetto a quelle in cui sono stati
rimossi gli ossidi.
Bensabra e Azzouz [32] riportano i risultati di prove in soluzione satura di Ca(OH)2. Si
confrontano la superficie di sezione lucidata con la superficie nervata e con ossidi (non è
chiaro che tipi di ossidi, se scaglia o ruggine). Fanno misure di potenziale di corrosione,
prove potenziodinamiche e impedenza elettrochimica. Sostengono che la ruggine
impedisce il processo di passivazione del metallo, agendo da ‘barriera fisica’ alla
diffusione degli ioni idrossili (e quindi dell’alcalinità) verso la superficie dell’acciaio.
Angst e Elsener [32], nell’ambito del comitato tecnico Rilem 235-CTC (Corrosion
initiating Chloride Threshold Concentrations in Concrete) dedicato allo studio del tenore

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critico di cloruri per l’innesco della corrosione, hanno raccolto 10 tipi di barre d’armatura
nervate provenienti da diversi paesi e con varie condizioni superficiali. Sono state
confrontate le condizioni superficiali e le microstrutture dello strato superficiale
dell’acciaio. L’osservazione visiva delle barre ha evidenziato differenza nella
microstruttura superficiale (caratterizzata da martensite per le barre prodotte con il
processo Tempcore e da ferrite-perlite per quelle prodotte per laminazione a caldo) e nelle
condizioni superficiali: alcune barre erano essenzialmente libere da prodotti di corrosione
rosso-bruni, altre ne erano parzialmente ricoperte, altre ancora erano rivestite da spessi
strati di ruggine non aderente. Campioni delle barre sono stati immersi per 42 giorni in
soluzione satura di Ca(OH)2 e sono state caratterizzati con misure di voltammetria ciclica.
Gli autori evidenziano una correlazione tra l’intensità del picco evidenziato durante la
prova al potenziale di circa -500 mV vs Ag/AgCl (che attribuiscono alla conversione del
Fe(II) in Fe(III)) e il grado di pre-ossidazione osservato visivamente. Successivamente,
alla soluzione in cui erano immerse le barre si sono periodicamente aggiunti cloruri, per
verificare l’innesco della corrosione, con misure di potenziale di corrosione. I risultati
sono stati analizzati come rapporto critico [Cl-]/[OH-] ovvero come rapporto fra la
concentrazione di cloruri che ha determinato l’innesco della corrosione localizzata e la
concentrazione di ioni [OH-] nella soluzione alcalina di prova. Con questo studio non è
stata riscontrata alcuna correlazione tra il rapporto critico [Cl-]/[OH-] e la classificazione
visiva della pre-ossidazione o l’intensità del picco individuato con la voltammetria
ciclica. Gli autori affermano che né la quantità di ruggine né l’aspetto visivo delle barre
permettono una previsione del comportamento a corrosione delle barre in presenza di
cloruri. Sostengono, invece, che ci possa essere un effetto della microstruttura
superficiale dell’acciaio, in quanto hanno rilevato tenori critici di cloruri maggiori sulle
barre con microstruttura ferritico-perlitica rispetto a quelle con microstruttura
martensitica.
2.3.2 Confronto dei risultati
Per confrontare i risultati degli studi descritti sinteticamente nel paragrafo precedente, in
Tabella 2.4 vengono evidenziati i fattori considerati da ciascuno studio e le conclusioni
tratte dagli autori. Nel dettaglio, le diverse colonne della tabella riportano, per ogni
lavoro:
- gli autori, l’anno e il riferimento bibliografico,
- la tipologia di metallo considerato: l’impiego di barre nervate per calcestruzzo armato,
di barre lisce oppure laminette di acciaio; per le barre da calcestruzzo armato, ove
indicato dagli autori, sono evidenziate le tecnologie produttive (Tempcore oppure
laminazione a caldo),
- le condizioni superficiali prese come parametro di confronto: queste sono state distinte
per il riferimento (cioè barre senza scaglia di laminazione o senza pre-corrosione,
ottenute per decapaggio, sabbiatura, ecc.), per la scaglia di laminazione (in genere
ottenuta direttamente dal produttore, ma in alcuni casi prodotta artificialmente ad alta
temperatura) e per la pre-ossidazione (per questa si è distinto fra condizioni di
esposizione naturale prolungata o accelerata, separando ulteriormente i casi in cui era
presente la contaminazione da cloruri da quelli in cui era assente);
- i metodi analitici eventualmente utilizzati dagli autori per documentare e caratterizzare
la composizione, lo spessore o la microstruttura della scaglia di laminazione e della pre-
ossidazione;

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- gli effetti osservati per la scaglia di laminazione rispetto alla condizione presa come
riferimento dagli autori, in relazione sia alla passivazione delle armature sia all’innesco
della corrosione da cloruri;
- gli effetti osservati per la pre-ossidazione rispetto alla condizione presa come
riferimento dagli autori, in relazione sia alla passivazione delle armature sia all’innesco
della corrosione da cloruri.
Per quanto riguarda le ultime due voci, si sono considerati sia i risultati presentati
nell’articolo sia le interpretazioni riportate dagli autori, al fine di individuare se,
rispettivamente la scaglia e/o la pre-ossidazione, hanno influito:
- sulla passivazione delle armature, quindi sulla loro possibilità di raggiungere velocità di
corrosione trascurabili (e confrontabili con quelle del riferimento) in assenza di
carbonatazione o contaminazione con cloruri;
- sull’innesco della corrosione da cloruri, quindi sul tenore critico di cloruri necessario
per innescare la corrosione localizzata.
Dall’analisi della Tabella 2.4 emerge come, purtroppo, i lavori effettuati dai diversi autori
siano di difficile confronto e giungano spesso a conclusioni contrastanti. I motivi sono da
ricondurre soprattutto alle diverse metodologie utilizzate. In alcuni casi si sono impiegate
barre pre-corrose effettivamente per prolungata esposizione all’atmosfera, ma in molti
casi si sono utilizzate barre pre-corrose artificialmente (spesso in ambienti o soluzioni con
cloruri). A volte le prove sono state realizzate in calcestruzzo, altre in soluzioni alcaline
che simulano la soluzione dei pori del calcestruzzo. A queste differenze si aggiungono
altri fattori che complicano il confronto, quali: la composizione e la tecnologia produttiva
delle barre, la composizione del calcestruzzo, le tipologie di prove effettuate, ecc.
Si possono, comunque, cercare di individuare degli elementi comuni a più lavori.
In generale viene mostrato come la stessa scaglia di laminazione possa portare a velocità
di corrosione, rilevate con misure elettrochimiche più elevate rispetto a quelle ottenute su
armature “pulite” con sabbiatura, decapaggio o, persino, lucidatura. In assenza di cloruri
nel calcestruzzo, tuttavia, quasi tutti gli autori sostengono che le armature si passivino
anche in presenza di scaglia (tranne Miranda et al. [28]). Per quanto riguarda l’innesco
della corrosione da cloruri, la maggior parte degli autori sostengono che la scaglia stessa
sia in grado di ridurre il tenore critico rispetto alle armature “pulite”. La quantificazione
di questo effetto è però difficile, a causa anche della forte variabilità del tenore critico e
della sua dipendenza da molti altri fattori (tra i quali il tipo di legante, la microstruttura
dell’acciaio, il potenziale dell’acciaio, le caratteristiche microstrutturali dell’interfaccia
tra acciaio e calcestruzzo, ecc.). Diversi autori sostengono che l’eventuale effetto della
scaglia di laminazione sia “mascherato” dagli effetti di tutti gli altri fattori e, in definitiva,
sia solo uno dei tanti contributi che favoriscono la forte variabilità del tenore critico per le
armature. Va inoltre osservato come il possibile effetto negativo della scaglia di
laminazione, sia pure interessante dal punto di vista teorico, abbia poca rilevanza dal
punto di vista pratico. Infatti, la presenza di scaglia di laminazione è da intendersi come
una condizione “realistica” per le armature, visto che non è proponibile la sua rimozione.
L’analisi della bibliografia diviene ancora più complicato quando si cerca di analizzare
l’effetto della pre-ossidazione dovuta alla esposizione delle barre all’atmosfera. Da un
lato, la stessa definizione di pre-ossidazione diviene complicata, in quanto spesso la
superficie “come ricevuta” delle barre d’armatura non comprende solo la scaglia di
laminazione, ma presenta in parte già delle tracce di ossidi rosso-bruni. Inoltre, solo in
pochi studi è stato effettivamente caratterizzato lo strato di ossidi che ricopriva le
armature e, di conseguenza, in tutti gli altri studi, è difficile comprendere quali condizioni

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siano state davvero effettuate. Diversi autori evidenziano come la semplice osservazione
visiva della superficie delle barre non sia sufficiente per definire l’effettivo stato di
ossidazione. Un’ulteriore complicazione è dovuta al fatto che spesso lo strato di pre-
ossidazione è stato ottenuto per esposizione ad atmosfere o soluzioni contenenti cloruri.
I risultati dei diversi lavori sono contrastanti, soprattutto per quanto riguarda la possibile
passivazione delle armature. Molti autori giungono alla conclusione che, almeno in
assenza di cloruri (quindi quando l’esposizione atmosferica delle barre è avvenuta lontano
dalle coste marine), le armature siano in grado di passivarsi anche attraverso lo strato
superficiale di ossidi. Tuttavia, altri autori sostengono che le armature non siano in grado
di raggiungere condizioni di passività. Queste conclusioni sono in genere basate sul
confronto dei risultati di misure elettrochimiche di potenziale di corrosione e velocità di
corrosione rispetto alle armature prese come riferimento. In alcuni casi, questo risultato
potrebbe essere ricondotto alla presenza di cloruri nella ruggine che potrebbero avere
effetti negativi sulla passivazione, ma in altri casi gli autori giungono a questa
conclusione anche senza alcuna contaminazione da cloruri.
Per quanto riguarda l’innesco della corrosione dovuta alla penetrazione di cloruri nel
calcestruzzo durante la vita di servizio, c’è una prevalenza di studi che sostiene un ruolo
negativo della pre-ossidazione; tuttavia c’è anche un numero significativo di studi che
non evidenzia alcun ruolo o, persino, ipotizza un effetto positivo della pre-ossidazione.
Questi risultati, come per la scaglia di laminazione e probabilmente a maggior ragione in
questo caso, sono probabilmente frutto della forte variabilità del tenore critico che
difficilmente può essere presa in considerazione in un singolo lavoro sperimentale.
D’altro canto, il confronto di lavori di autori diversi non è possibile, in quanto le diverse
condizioni sperimentali introducono ulteriori elementi di incertezza.

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Tabella 2.1 – Confronto fra i risultati di velocità di corrosione ottenuta con perdita di
massa (vcorr), resistenza di polarizzazione (Rp) e potenziale di corrosione (Ecorr) su
armature pre-corrose (pre-rusted), con scaglia di laminazione (scaled) e pulite
meccanicamente (machined), immerse in calcestruzzo sottoposto a penetrazione di cloruri
(Novak et al. [22]).

Tabella 2.2 – Analisi dei risultati di Novak et al. [22] effettuata da Mohammed e Hamada
[23] per confrontare direttamente i valori di velocità di corrosione ottenuti con la
resistenza di polarizzazione e con la perdita di massa.

Tabella 2.3 - Risultati delle misure di potenziale di corrosione e di velocità di corrosione


(con il metodo della polarizzazione lineare) su barre pre-corrose in nebbia salina
(corroded), sabbiate (SB) e pulite con spazzolatura manuale (HT), immerse in una
soluzione satura di Ca(OH)2 (Al-Dulaijan et al. [25]).

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Tabella 2.4 – Confronto degli studi sugli effetti degli ossidi sul comportamento a corrosione delle barre d’armatura.

(f)
Metodo di Condizioni superficiali Caratterizzazione Effetto scaglia (vs Rif.) Effetto pre-ossidazione
Rif. Tipo di (g) (h) (i)
Autori Anno (a) produzione Elettrolita Cloruri Metodi
bibl. metallo (b)
Riferimento (d) Pre-ossidazione Pre- (j) (k) (j) (k)
(c) Scaglia (e) Scaglia Passivazione Innesco Passivazione Innesco
ossidazione
John et al. 1983 [13] B n.d. S n.d. A n.d. n.d. C Pen EIS n.d. n.d. P <<
Vassie 1989 [14] B-L n.d. S C-R N-Cl n.d. s C No, Mix Ecorr P (0% Cl-) = (Cl=0.5%) P (0% Cl-) < (Cl=0.5%)
No, Mix,
Al-Tayyb et al. 1990 [15] n.d. n.d. n.d. n.d. N-? n.d. n.d. C Ecorr, Rp n.d. n.d. P >
Pen
Hansson e Sorensen 1990 [16] B-N, B-L n.d. S C-R N n.d. n.d. M Pen Ps, Ecorr, Rp n.d. > n.d. >>
Avila-Mendoza et al. 1994 [17] B-L n.d. L A A n.d. n.d. M No, Pen Ecorr, Rp P = P (<) <<
Proverbio e Cigna 1995 [18] B-N n.d. D, M n.d. A n.d. n.d. C No Rp n.d. n.d. P (<) n.d.
Mammoliti et al. 1996 [19] B-L, B-N n.d. L C-R n.d. n.d. n.d. S Sol Pd P << n.d. n.d.
Gonzales et al. 1996 [20] n.d. n.d. D n.d. A, A-Cl n.d. s, Cl S, M No Rp n.d. n.d. NP n.d.
Mehmood et al. 1998 [8] B-N L, T-C n.d. C-R N-Cl n.d. PM C No, Pen Ecorr n.d. n.d. P >>
Li e Sagues 2001 [21] B-N n.d. S C-R A-Cl n.d. n.d. S Sol Ecorr, EIS P << P <<
Novak et al. 2001 [22] B-L n.d. M C-R N s s C No, Pen Ecorr,Rp, PM P < NP <<
Maslehuddin et al. 2002 [24] B-N L, T-C n.d. C-R N, N-Cl, A-Cl n.d. n.d. C No, Pen Ecorr, Rp, Gs n.d. n.d. P >>
Al-Dulaijan et al. 2002 [25] B-N n.d. S n.d. A-Cl n.d. n.d. S, C No Ecorr, Rp, Gs n.d. n.d. NP n.d.
Gonzalez et al. 2007 [26] L n.d. n.d. n.d. A-Cl n.d. s S, M No Ecorr, Rp, PM n.d. n.d. NP n.d.
Poursee e Hansson 2007 [27] B n.d. S C-R n.d. n.d. n.d. S, M No Ecorr, Rp P n.d. n.d. n.d.
Miranda et al. 2007 [28] L, B-N n.d. D A A, A-Cl n.d. n.d. S, M No Ecorr, Rp, Pd NP n.d. NP n.d.
Manera et al. 2008 [29] B-L, B-N T-C S C-R n.d. n.d. n.d. C No, Mix Ecorr, Rp P << n.d. n.d.
Ghods et al. 2010 [30] B-N n.d. L C-R n.d. n.d. n.d. S Sol Ecorr, Rp, EIS, n.d. << n.d. n.d
Bansabra e Azzouz 2013 [32] B-N n.d. L n.d. n.d. n.d. OM S No Ecorr, Rp, EIS n.d. n.d. NP n.d.
Angst e Elsener 2015 [33] B-N L, T-C n.d. C-R N-? n.d. OV, Vc S Sol Ecorr n.d. = n.d. =

(a)
Tipo di provino utilizzato per le prove: B-N = barre nervate, B-L = barre lisce, B = barre (non specificato se lisce o nervate), L = laminette, n.d. = non dichiarato.
(b)
Metodo di produzione delle barre d'armatura: T-C = Themp-core , L = laminato a caldo, n.d. = non dichiarato.
(c)
Condizione superficiale dell'acciaio presa come riferimento: S = sabbiato, D = decapato, L = lucidato, M = spazzolatura o altra rimozione meccanica, n.d. = non disponibile.
(d)
Tipo di scaglia: C-R = come ricevuta dal produttore, A = prodotta artificialmente, n.d. = non disponibile.
(d)
Tipo di pre-ossidazione: N = naturale per esposizione ad atmosfera senza cloruri, N-Cl = naturale per esposizione ad atmosfera marina, A = artificiale senza cloruri, A-Cl = artificiale per immersione in soluzioni con cloruri o nebbia salina, N-? = naturale in
ambiente non dichiarato, n.d. = non disponibile.
(f)
Metodi impiegati per caratterizzare la scaglia e/o la pre-ossidazione: OV = osservazione visiva, SEM = microscopia elettronica a scansione, XRD = diffrazione di raggi X, s = viene dichiarato lo spessore di ossidi o di metallo consumato, Cl = analisi del
contenuto di cloruri, PM = perdita di massa; Vc = voltammetria ciclica; n.d. = non disponibile.
(g)
Mezzo in cui sono state fatte le prove: C = calcestruzzo, M = malta, S = soluzione.
(h)
Cloruri eventualmente impiegati nelle prove: No = nessuna contaminazione, Mix = aggiunti al mix del calcestruzzo, Pen = penetrazione nel calcestruzzo indurito, Sol = aggiunti alla soluzione.
(i)
Metodi di valutazione dello stato di corrosione: Ecorr = potenziale di corrosione, Rp = resistenza di polarizzazione, EIS = impedenza elettrochimica, Pd = polarizzazione potenziodinamica anodica, Ps = polarizzazione potenziostatica anodica, PM = perdita di
massa, Gs = polarizzazione galvanostatica.
(j)
Interpretazione dei risultati da parte degli autori, in relazione alla passivazione, rispetto al riferimento: P = confermata, P (<) = confermata passivazione, anche se con velocità di corrosione maggiore, NP = armature non passive, n.d. = non disponibile.
(k)
Interpretazione dei risultati da parte degli autori, in relazione all'innesco della corrosione da cloruri, rispetto al riferimento: '=' = nessun effetto, '<' = leggero peggioramento, '<<' = evidente peggioramento, '>' = leggero miglioramento, '>>' evidente

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Laminate a caldo
(C = 0.375%)

Laminate a caldo
e microlegate (V)

Tempcore

Trafilate

Figura 2.1 – Osservazione al microscopio elettronico a scansione degli strati presenti


sulla superficie delle barre prodotte con diversi metodi, esposte all’atmosfera (Atene) per
diversi tempi. In ogni figura sono riportati rispettivamente: (a) lo stato iniziale “come
ricevuto”, lo stato dopo (b) 3 mesi e (c) 6 mesi di esposizione e (d) la morfologia
superficiale osservata dopo 6 mesi (Zitrou et al. [7]).

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Figura 2.2 – Spessore dei prodotti di corrosione in funzione dei mesi di esposizione
all’atmosfera di Atene (Zitrou et al. [7]).

Figura 2.3 – Andamento nel tempo della perdita di massa di barre d’armatura, ottenute
con processo Tempcore (quenched) e con laminazione a caldo (hot rolled), in seguito
all’esposizione a un’atmosfera marina industriale nel golfo arabo (Mehmood et al. [8]).

Figura 2.4 – Potenziale di corrosione rilevato su armature con diverse condizioni


superficiali in calcestruzzi senza cloruri e con 0.3% di cloruri (Al-Tayyib et al. [15]).

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Figura 2.5 – Potenziale di corrosione (a) e velocità di corrosione (b) rilevati su armature
con diverse condizioni superficiali (lucidate a specchio: mirror finish; con scaglia: black
oxide; con pre-ossidazione: red oxide) in provini di malta durante la stagionatura (Avila-
Mendoza et al. [17]).

Figura 2.6 – Correlazione tra il potenziale di corrosione e la velocità di corrosione


misurati al termine di un periodo di 90 giorni di immersione in diverse soluzioni su
armature con diverse condizioni superficiali (lucidate a specchio: mirror finish; con
scaglia: black oxide; con pre-ossidazione: red oxide) in provini di malta (Avila-Mendoza
et al. [17]).

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Figura 2.7 – Velocità di corrosione (CR) rilevata su barre d’armatura con diverse
condizioni superficiali (decapate: rombi, pulite con una spazzola metallica: cerchi, pre-
corrose: quadrati) in provini di calcestruzzo conservati in laboratorio (Proverbio e Cigna
[17]).

Figura 2.8 – Andamento della velocità di corrosione nel tempo su barre immerse in malta
con differenti condizioni superficiali: senza ruggine e con strati di ossidi di 166, 239 e
253 g/m2 contaminati da cloruri (Gonzàlez et. al. [20]).

Figura 2.9 – Andamento della velocità di corrosione nel tempo per due barre d’armatura
rispettivamente senza pre-ossidazione e con uno strato di ossidi non contaminato da
cloruri pari a 395 g/m2 immerse in una soluzione satura di idrossido di calcio (Gonzàlez
et. al. [20]).

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Figura 2.10 – Andamento del potenziale di corrosione di barre con diverso stato
superficiale (sabbiate: sandblasted, con scaglia: as-received, e pre-corrose: prerusted)
immerse in una soluzione satura di Ca(OH)2 (pH 12.6) a cui sono stati progressivamente
aggiunti cloruri (Li e Sagues [21]).

Figura 2.11 – Correlazione tra pH della soluzione e contenuto critico di cloruri ([Cl-]T)
per barre con diverso stato superficiale (sabbiate: sandblasted, con scaglia: as-received, e
pre-corrose: prerusted) (Li e Sagues [21]).

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(a)

(b)
Figura 2.12 – Andamento del potenziale di corrosione (a) e della velocità di corrosione
(b) di barre con diversi livelli di pre-corrosione (1: riferimento, 2: 0.89 mg/m2, 3: 1.52
mg/m2, 4: 3.41 mg/m2, 5: 7.95 mg/m2, 6: 12.43 mg/m2) immerse in soluzione satura di
Ca(OH)2 (Gonzàlez et al. [26]).

Figura 2.13 – Andamento della corrosione stimata con perdita di peso in funzione della
quantità di ruggine presente prima dell’immersione nella soluzione satura di Ca(OH)2
(Gonzàlez et al. [26]).

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Figura 2.14 – Confronto della perdita di massa stimata con il metodo della
polarizzazione lineare (W(elect)) e con la perdita di massa (W(grav)) per campioni con
diversi livelli di pre-corrosione (1: riferimento, 2: 0.89 mg/m2, 3: 1.52 mg/m2, 4: 3.41
mg/m2, 5: 7.95 mg/m2, 6: 12.43 mg/m2) immersi in soluzione satura di Ca(OH)2
(Gonzàlez et al. [26]).

(a)

(b)
Figura 2.15 – Andamento del potenziale di corrosione (a) e della velocità di corrosione
(b) di barre con diversi livelli di pre-corrosione immerse malta (Gonzàlez et al. [26]).

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(a)

(b)
Figura 2.16 – Andamento nel tempo della velocità di corrosione in malta (a) e in una
soluzione dei pori simulata (b) di barre con scaglia (As received) e sabbiate (Sand
blasted) (Poursaee e Hansson [27]).

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Figura 2.17 – Confronto della velocità di corrosione in una soluzione satura di Ca(OH)2 e
in malta di acciaio decapato (rust-free) e acciaio con pre-ossidazione ottenuta in diversi
modi (Miranda et al. [28]).

(a) (b)
Figura 2.18 – Correlazione fra il grado di pre-corrosione (in g/m2) e la velocità di
corrosione rispettivamente in (a) una soluzione satura di Ca(OH)2 o (b) malta di acciaio
decapato (rust-free) e acciaio con pre-ossidazione ottenuta in diversi modi (Miranda et al.
[28]).

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Figura 2.19 – Velocità di corrosione in calcestruzzi con cemento portland (OPC) e 10%
di fumo di silice (10%SF) senza cloruri, di barre con diverso stato superficiale (R =
nervate, S = lisce; ar = come ricevute, sb = sabbiate, in funzione della temperatura
(Manera et al. [29]).

Figura 2.20 – Osservazione della scaglia di laminazione sulle barre di tre diversi
produttori (i, ii e iii) (Ghods et al. [30]).

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3. Metodologia sperimentale

Le prove sperimentali sono state effettuate su provini di calcestruzzo armato con barre di
due diametri (10 mm e 18 mm) caratterizzate da diversi gradi di condizione superficiale.
In una prima fase, con vari tipi di prove elettrochimiche si sono valutate le condizioni di
corrosione delle barre nel calcestruzzo, in assenza di azioni depassivanti. In questo
capitolo si descrivono le metodologie di prova e i provini utilizzati.

3.1 Barre d’armatura


Le barre d’armatura studiate nell’ambito di questo lavoro sono state fornite da Sismic. Si
tratta di barre d’acciaio per cemento armato laminato a caldo B450C, saldabile, prelevate
da fasci esposti all’esterno di uno stabilimento per diversi periodi. Sono state fornite tre
serie di barre di diametro 18 mm, così identificate:
- non ossidate;
- esposte ad ossidazione per 6 mesi;
- esposte ad ossidazione per 1 anno.
e tre serie di barre di diametro 10 mm, così identificate:
- non ossidate;
- con basso grado di pre-ossidazione;
- con alto grado di pre-ossidazione.
Le barre d’armatura sono state caratterizzate chimicamente e meccanicamente dal
produttore che ha fornito il certificato riportato nell’allegato A. Presso i laboratori
dell’Università di Brescia sono state effettuate anche prove per verificare l’aderenza al
calcestruzzo, i cui risultati sono riportati nell’allegato B.
3.1.1 Caratterizzazione macroscopica
Le barre delle diverse tipologie sono arrivate in laboratorio raggruppate in fasci, in
relazione al diverso grado di pre-corrosione. In seguito all’apertura dei diversi fasci, la
barre sono state osservate e le condizioni superficiali sono state documentate
fotograficamente. Sulla base della osservazione visiva relativa allo stato di ossidazione
superficiale, le barre sono state suddivise in classi omogenee. Parte delle barre non
ossidate sono state sottoposte al processo di sabbiatura a metallo bianco per rimuovere la
scaglia di laminazione. Per ciascuna tipologia di barra, sono stati ricavati segmenti di
lunghezza pari a 10 cm, successivamente, utilizzati per le varie prove.
L’indagine macroscopica è stata ulteriormente approfondita su porzioni di armatura
rappresentative di ciascuna tipologia, tramite l’utilizzo di uno stereo-microscopio Wild
M8. Per ogni campione si sono considerati ingrandimenti pari a 6x e 12x, documentando
fotograficamente le nervature, lo stato di ossidazione e i difetti eventualmente presenti.

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3.1.2 Caratterizzazione microstrutturale


La microstruttura delle armature è stata studiata attraverso l’analisi al microscopio ottico.
Per la preparazione dei campioni da sottoporre ad analisi metallografica (Figura 3.1),
sono state sezionate le armature per una lunghezza circa pari a 1 cm, inglobate in resina
acrilica termoindurente. I campioni lucidati a specchio sono stati sottoposti a un attacco
metallografico in Nital 3. Si sono considerati ingrandimenti pari a 200x per osservare il
bordo delle sezioni metallografiche e valutare lo spessore dei prodotti di corrosione per le
diverse tipologie di campioni, e pari a 500x, in modo da poter evidenziare nel dettaglio le
diverse microstrutture nelle zone centrale e corticali delle barre.
3.1.3 Analisi dei prodotti di corrosione
I prodotti di corrosione sono stati caratterizzati, innanzitutto, tramite analisi per
diffrazione dei raggi X (X-Ray Diffraction Analysis, XRD) per l’identificazione dei
composti cristallini presenti. È stata prelevata una piccola quantità di polvere dei prodotti
di corrosione superficiali, sia da una barra d’armatura di diametro pari a 18 mm e sia da
una di 10 mm di diametro. Per l’analisi si è utilizzato un diffrattometro con radiazione Cu
Kα e con velocità di scansione di 2°C/min. La determinazione dei composti presenti nel
campione è stata effettuata in base al sistema automatico di ricerca Philips X'Pert
Software, dopo il quale è stata eseguita una verifica manuale dei risultati ottenuti; infine,
per i picchi ancora incogniti, si sono utilizzati i volumi Powder Diffraction File.
Un campione di circa un grammo di ossidi è stato essiccato, pesato, sciolto in acido
nitrico e, quindi, si è determinato il contenuto di cloruri mediante titolazione
potenziometrica con un titolatore automatico.
Infine, lo strato di ossido presente sui campioni inglobati per le analisi metallografiche è
stato osservato al microscopio elettronico a scansione, con il quale si è documentato lo
spessore degli strati superficiali, la loro morfologia e, mediante sonda a dispersione di
energia (EDS), si è effettuata l’analisi elementale.

3.2 Calcestruzzo
Per studiare il comportamento alla corrosione delle barre con le diverse condizioni
superficiali, si sono realizzati dei provini in calcestruzzo armato. La composizione del
calcestruzzo è stata definita in modo da ottenere condizioni rappresentative del
calcestruzzo di impiego tipico in Italia per opere strutturali.
3.2.1 Materie prime e proporzioni
Per il confezionamento del calcestruzzo si è utilizzato un cemento portland al calcare del
tipo CEM II/A-L 42.R, prodotto da Buzzi Unicem. Si sono, quindi, utilizzati acqua
deionizzata, un aggregato calcareo di Zandobbio con una dimensione massima di 12 mm
e l’additivo fluidificante Dynamon SX prodotto da Mapei. Il rapporto acqua/cemento
(a/c) è stato fissato a 0.5 e le proporzioni dell’impasto sono riportate in Tabella 3.1.
Sono stati effettuati due getti distinti per i provini con armature di 18 mm e per quelli di
10 mm, rispettivamente in data 2/12/2014 e 23/09/2015. Entrambe le volte si è preparato
un volume totale dell’impasto pari a 14 litri, così da ricavare, oltre ai provini armati,
anche 8 provini cubici di lato 10 cm, destinati alla caratterizzazione del calcestruzzo allo
stato indurito.

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3.2.2 Caratterizzazione
In Tabella 3.2 si riportano i risultati relativi alle principali caratteristiche dei due
calcestruzzi confezionati, rispettivamente per i provini armati con barre di diametro pari a
18 mm e 10 mm.
Per quanto concerne lo stato fresco, si sono previste delle misure di lavorabilità effettuate
mediante la prova di abbassamento al cono di Abrams, secondo la normativa UNI EN
12350-2. I calcestruzzi sono caratterizzati da una consistenza fluida allo stato fresco,
corrispondente in entrambi i casi a uno slump di 21 cm, ovvero ad una classe di
consistenza S4.
Per la caratterizzazione del calcestruzzo allo stato indurito, si sono valutate la densità, la
resistività elettrica e la resistenza a compressione, utilizzando i provini di forma cubica
stagionati in una camera a 20°C e umidità relativa maggiore del 95%, dopo circa 3, 7, 28
e 50 giorni dal confezionamento. Per la determinazione della densità, si è seguita la
normativa di riferimento UNI EN 12390-7 e si sono ottenuti valori compresi fra 2440 e
2460 kg/m3.
La misura di resistività elettrica del calcestruzzo (Figura 3.2) è stata effettuata sui provini
stagionati a umido, interponendo il provino di calcestruzzo tra due piastre di rame
collegate con dei cavi ad un conduttimetro. Tra le piastre e i provini sono state interposte
delle spugnette inumidite con acqua per favorire il passaggio di corrente tra le due
superfici parallele del provino. La resistività elettrica è stata ricavata con la relazione:


dove: ρ è la resistività elettrica (Ωm), K è la costante di cella (m) dipendente dalla
geometria del provino, calcolata come il rapporto tra la superficie S interessata dal
passaggio di corrente e la lunghezza L del provino. In Tabella 3.2 si osserva che si sono
ottenuti valori di 61-67 Ωm dopo un mese di stagionatura.
Per valutare le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo confezionato attraverso la
prova di resistenza a compressione, si è fatto riferimento alla norma UNI EN 12390-3.
L’esecuzione delle prove di compressione è avvenuta tramite una pressa idraulica a
controllo di carico automatico a una velocità di carico costante di 0.5 MPa/s. In Tabella
3.2 si osserva che si è misurata una resistenza compressione di circa 50 MPa a 28 giorni
di stagionatura.

3.3 Prove in calcestruzzo


Per valutare il comportamento a corrosione delle armature sono stati confezionati tre
provini armati per ciascuna condizione superficiale delle barre d’armatura. Le condizioni
di corrosione sono state valutate attraverso la misura del potenziale di corrosione (Ecorr) e
della velocità di corrosione (Vcorr) sui provini esposti in diverse condizioni. Sono, inoltre,
state effettuate delle prove di polarizzazione potenziostatica.
3.3.1 Provini
Si sono realizzati provini cilindrici di 110 mm di altezza e diametro pari a 60 mm e 65
mm, rispettivamente per quelli realizzati con barre di diametro pari a 10 mm e 18 mm. In
ognuno, è stata posizionata l’armatura nel centro, oltre a un elettrodo di riferimento e un
controelettrodo (entrambi in titanio attivato) da utilizzare per le misure elettrochimiche.

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La realizzazione dei provini armati ha avuto inizio con la preparazione delle armature
(Figura 3.3a); le estremità delle armature sono state schermate per un tratto pari a 30 mm
in prossimità del contatto elettrico e a 10 mm sull’estremità opposta, in modo da lasciare
scoperto un tratto centrale di 60 mm. La schermatura è stata realizzata con un sottile
strato di malta cementizia modificata con SBR (stirene-butadiene). Una volta trascorse 24
ore per consentire la presa della malta, è stato realizzato il contatto elettrico: ad
un’estremità dell’armatura precedentemente forata, si è collegato tramite rivettatura un
cavo elettrico connesso a un occhiello. Infine, entrambi gli estremi della barra sono stati
isolati con un nastro autoagglomerante in gomma etilenpropilenica (EPR) per una
lunghezza pari al tratto di applicazione della malta (Figura 3.3b).
Successivamente sono stati preparati degli elettrodi interni di riferimento di titanio
attivato. È stata sezionata una piccola porzione di titanio attivato da una rete con maglie
di 3 cm e realizzato il contatto con un cavo elettrico in rame; tale connessione è stata
opportunamente isolata con un nastro in teflon e successivamente rivestita con una guaina
plastica termorestringente. La stabilità del potenziale degli elettrodi è stata verificata
attraverso l’immersione in acqua per 24 ore, durante le quali si è misurato il loro
potenziale rispetto a un elettrodo di riferimento al calomelano (SCE); si sono scartati gli
elettrodi non stabili.
Infine, per consentire l’applicazione della corrente alle armature durante le misure
elettrochimiche, nel cassero si è introdotto un ulteriore elettrodo in titanio attivato, al
quale è stata conferita una forma ad Y, che consentisse, una volta posizionato nel cassero,
di circondare l’armatura senza toccarla (Figura 3.4a). É stato, quindi, interposto un
distanziatore plastico per evitare, durante il getto, un eventuale cortocircuito dovuto al
contatto tra l’armatura e il controelettrodo; inoltre, per conferire una maggiore rigidezza
al controelettrodo, si è preferito avvolgere tra loro due fili di titanio.
Per quanto riguarda il cassero, si è utilizzato un cilindro in PVC (Figura 3.4b) con una un
basamento sempre di PVC di spessore 1 cm appositamente forato per permettere il
posizionamento della barra d’armatura e degli altri elettrodi. La Figura 3.5 mostra un
immagine di provini dopo lo scassero.
3.3.2 Condizioni di stagionatura e di esposizione
I provini armati sono stati scasserati dopo un giorno e sono stati immediatamente inseriti
singolarmente in un sacchetto di plastica, al fine di prevenire l’evaporazione dell’acqua, e
sono stati posizionati all’interno di una camera climatica a temperatura controllata di
23°C in condizione di auto-essiccamento. Successivamente, si è rimosso il sacchetto di
plastica e il provino è stato esposto alla temperatura di 20°C e all’umidità relativa di 80%.
La durata di tale condizione di esposizione differisce per i provini con barre di diametro
pari a 10 mm (circa pari a due mesi) rispetto a quella dei provini con barre di diametro di
18 mm (sei mesi).
Una terza condizione a cui i provini armati sono stati sottoposti è l’immersione in acqua,
a temperatura di 20°C. Per una durata di circa un mese, i provini sono stati posizionati
singolarmente in recipienti, dove successivamente si è aggiunta acqua della rete idrica di
Milano, fino a raggiungere un livello di pochi millimetri al di sotto dell’altezza
complessiva del campione, così da ottenere la saturazione completa e allo stesso tempo
preservare le connessioni con i cavi elettrici.
3.3.3 Prove in condizioni di corrosione libera
Durante le diverse condizioni di esposizione si sono monitorati l’andamento nel tempo
del potenziale di corrosione e della velocità di corrosione delle armature. Le misure di
potenziale sono state effettuate, tramite l’utilizzo di un voltmetro ad alta impedenza,

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rispetto sia all’elettrodo interno di titanio attivato (Figura 3.6), sia ad un elettrodo di
riferimento esterno al calomelano saturo (SCE). Quando si è utilizzato l’elettrodo al
calomelano saturo, durante le prime due condizioni di esposizione, questo è stato
appoggiato sulla superficie del provino previa l’interposizione di una spugna inumidita
allo scopo di migliorare il contatto tra gli elementi (Figura 3.7). Per quanto riguarda la
condizione di immersione, questo è stato inserito nell’acqua nello stesso recipiente del
provino sottoposto a misura.
La velocità di corrosione è stata rilevata indirettamente con il metodo della resistenza di
polarizzazione (Rp, detto anche metodo della polarizzazione lineare); la prova prevede
l’uso di un potenziostato (Figura 3.8) che ha permesso di applicare una corrente esterna
che perturba il potenziale di corrosione libera di ±10 mV. Per effettuare la prova sono
stati previsti i seguenti collegamenti al potenziostato: il primo con l’armatura del provino,
il secondo con l’elettrodo di riferimento in titanio interno al provino ed infine il terzo con
il contro-elettrodo di titanio attivato. La prova è stata effettuata imponendo la variazione
di potenziale ΔE di +10 e quindi -10 mV e rilevando, in entrambi i casi, la densità
corrente di polarizzazione (ipol) dopo 30 secondi. Il rapporto fra ΔE e ipol (detto resistenza
di polarizzazione Rp, (Ω)) è inversamente proporzionale alla velocità di corrosione (icorr)
secondo la seguente espressione:


dove: la costante B è stata considerata pari a 26 mV ed A è la superficie di acciaio a
contatto con il calcestruzzo (m²).
3.3.4 Prove di polarizzazione potenziostatica
Al termine dei periodi sia di auto-essiccamento sia di immersione in acqua, è stata
effettuata una prova di polarizzazione potenziostatica. Si è utilizzato un potenziostato che
ha consentito di portare il potenziale dell’armatura dei provini a +200 mV rispetto a un
elettrodo al calomelano saturo (Fe vs SCE), rilevando la corrente di polarizzazione
durante le 24 ore successive. La prova è stata effettuata singolarmente su ciascun provino,
utilizzando come riferimento per la misura del potenziale l’elettrodo interno di titanio
attivato (Ti), precedentemente calibrato rispetto all’elettrodo di riferimento esterno SCE;
in questo modo si è imposto all’armatura il valore di potenziale rispetto a Ti
corrispondente al +200 mV vs SCE. La corrente di polarizzazione è stata monitorata con
un sistema di acquisizione automatica che ha consentito di rilevare la caduta ohmica su
una resistenza di shunt (Figura 3.9).

3.4 Prove in soluzione


Oltre allo studio del comportamento a corrosione dei provini in calcestruzzo, si sono
effettuate ulteriori prove immergendo le barre d’armatura in una soluzione satura di
Ca(OH)2, in modo da simulare la fase liquida presente nei pori del calcestruzzo alcalino.
3.4.1 Provini e celle di prova
Lo studio è stato condotto su armature con le stesse condizioni superficiali di quelle
utilizzate per il confezionamento dei provini armati. La preparazione delle armature ha
ripercorso le stesse operazioni già descritte nel paragrafo 3.3.1 relativamente ai provini
armati. La sola differenza è la lunghezza di esposizione: in questo caso è stata ridotta a 40
mm, in quanto la protezione dell’estremità in corrispondenza del collegamento elettrico è
stata aumentata a una lunghezza di 50 mm.

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Una prima serie di prove è stata effettuata sulle barre di diametro 18 mm e si è protratta
per circa un anno. Una volta immerse le barre in soluzione in un unico contenitore
(Figura 3.10), questo è stato posizionato in una camera climatica a temperatura di 20°C.
A cadenza mensile è stato controllato il pH con strisce colorimetriche, così da verificare
che le armature si trovassero sempre in una condizione alcalina; occasionalmente è stata
aggiunta una piccola quantità di idrossido di calcio per prevenire la carbonatazione della
soluzione.
Una seconda serie di prove è stata effettuata sulle barre d’armatura di entrambi i diametri
che sono state immerse in una soluzione satura di Ca(OH)2, con un pH di 12.6, e in una
soluzione a pH 13.5 ottenuta aggiungendo NaOH alla soluzione satura di Ca(OH)2.
3.4.2 Misura del potenziale di corrosione
Per le prove di corrosione, nella cella si è posizionato un elettrodo esterno di riferimento
al calomelano saturo (SCE). Le misure di potenziale sono state effettuate rispetto a questo
elettrodo, tramite l’utilizzo di un voltmetro ad alta impedenza.
3.4.3 Prove di polarizzazione potenziostatica
Anche sulle barre immerse in soluzione della prima serie è effettuata una prova di
polarizzazione potenziostatica, imponendo un potenziale di +200 mV rispetto
all’elettrodo al calomelano per 24 ore. Con il sistema di acquisizione dati si è rilevato
l’andamento nel tempo della corrente di polarizzazione.

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Tabella 3.1 - Mix design del calcestruzzo.

Componenti Dosaggio
CEM II/A-L 42.R 400 kg/m³
acqua deionizzata 200 kg/m³
aggregati calcarei 1768 kg/m³
additivo fluidificante 3.2 kg/m³

Tabella 3.2 - Principali proprietà del calcestruzzo fresco e indurito, misurate sulle due
miscele confezionate in occasione della realizzazione dei provini con barre
rispettivamente 10 mm e 18 mm.

Proprietà Getto 10 mm Getto 18 mm


Classe di lavorabilità S4 S4
Densità – 7 giorni 2450 kg/m² 2440 kg/m²
Densità – 28 giorni 2460 kg/m² 2440 kg/m²
Resistività elettrica – 7 giorni 60 Ωm 42 Ωm
Resistività elettrica – 28 giorni 61 Ωm 67 Ωm
Resistenza a compressione – 7 giorni 52 MPa 48 MPa
Resistenza a compressione – 28 giorni 54 MPa 50 MPa

(a) (b)
Figura 3.1 - Campioni di armature inglobate per le analisi metallografiche,
rispettivamente di diametro pari a 18 mm (a) e 10 mm (b).

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Figura 3.2 - Modalità di misura della resistività elettrica su provino cubico di


calcestruzzo.

(a) (b)
Figura 3.3 - Esempio di applicazione della boiacca cementizia sulle porzioni di armatura
di lunghezza totale 100 mm (a) e di armatura completa con il contatto elettrico e la
schermatura delle estremità con nastro autoagglomerante (b); il tratto esposto al
calcestruzzo è lungo 60 mm.

(a) (b)
Figura 3.4 - Vista dall’alto (a) e laterale (b) del cassero con all’interno i vari elettrodi.

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Figura 3.5 – Esempi dei provini armati.

Figura 3.6 - Esempio di misura del potenziale di corrosione dell’armatura rispetto


all’elettrodo di riferimento interno in titanio attivato.

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Figura 3.7 - Esempio di misura del potenziale di corrosione dell’armatura rispetto


all’elettrodo esterno al calomelano saturo (SCE).

Figura 3.8 - Esempio di misura della resistenza di polarizzazione nei provini in


calcestruzzo.

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Figura 3.9 - Camera climatica, potenziostato e sistema di acquisizione dati per le misure
di polarizzazione potenziostatica in calcestruzzo.

Figura 3.10 - Esempio di cella per le prove in soluzione.

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4. Risultati

In questo capitolo si riportano i risultati ottenuti nelle prove sperimentali. Innanzitutto si


descrivono i dati relativi all’osservazione macroscopica e microscopica effettuata sulle
armature, per poi passare alle prove di corrosione condotte nelle differenti condizioni di
esposizione sui provini di calcestruzzo armato e sulle armature immerse in soluzione
alcalina.

4.1 Classificazione visiva del grado di ossidazione delle armature


Nelle Figure 4.1 e 4.2 sono mostrati i tre fasci di armatura ricevuti per ciascuno dei due
diametri (10 mm e 18 mm). Le barre nuove, mai esposte all’aperto, non presentavano
ossidi dovuti a corrosione; considerato che alcune di queste barre sono state
successivamente sottoposte a sabbiatura, da queste barre si sono individuate due tipologie
di condizione superficiale:
- A1: barre mai esposte (nuove);
- A2: barre sulle quali è stato effettuato un trattamento di sabbiatura a metallo bianco.
Per quanto riguarda le armature esposte all’aperto per due tempi diversi, le differenze di
condizione superficiale apparivano evidenti ad occhio nudo sulle barre di diametro 10
mm e, per ciascun periodo di esposizione, lo stato superficiale era sostanzialmente
omogeneo a un’indagine visiva macroscopica, senza l’utilizzo di lenti di ingrandimento
(Figura 4.1). Pertanto si sono definite le seguenti categorie:
- B: barre con basso grado di pre-ossidazione (6 mesi di esposizione);
- C: barre con maggior grado di pre-ossidazione (1 anno di esposizione).
Per le barre di diametro pari a 18 mm si è effettuata una classificazione analoga,
utilizzando la stessa designazione delle categorie di condizioni superficiali. Tuttavia,
all’apertura del fascio corrispondente all’esposizione di durata maggiore (1 anno), si è
osservato che lo stato di ossidazione delle barre non era uniforme. Infatti, sulle barre
poste più internamente nel fascio si è riscontrata una minore estensione dei prodotti di
corrosione rispetto alle barre che occupavano una posizione più esterna e quindi
maggiormente esposte all’aggressività dell’ambiente (Figura 4.3). Si è così ritenuto
opportuno individuare nel gruppo C (a parità di tempo di esposizione) due sottogruppi da
sottoporre alle prove separatamente:
- C-1: barre con grado intermedio di pre-ossidazione (la seconda e la terza barra a partire
dal basso in Figura 4.3);
- C-2: barre con alto grado di pre-ossidazione (le due barre più in alto in Figura 4.3).
Le designazioni appena definite verranno utilizzate in questa relazione per individuare le
diverse tipologie di stato superficiale delle barre. Si osserva che non sono disponibili
indicazioni precise sulle condizioni di conservazione delle armature durante i periodi di
esposizione di 6 mesi e 1 anno; pertanto le tipologie B e C delle barre 10 mm non sono
necessariamente confrontabili con le tipologie B, C-1 e C-2 delle barre 18 mm.

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4.2 Caratterizzazione delle barre


4.2.1 Composizione chimica e proprietà meccaniche
La composizione chimica di ciascuna tipologia di barre, ripresa dal certificato fornito dal
produttore, è riportata nelle Tabelle 4.1 e 4.2. Si osserva che le differenze sono modeste e
tutti gli acciai hanno un carbonio equivalente di 0.38-0.41.
Le caratteristiche meccaniche delle barre, desunte dal certificato di prova n. 37701 del
11/12/2014 del laboratorio prove materiali dell’Università di Brescia, sono confrontate
nelle Figure 4.4 e 4.5, dove sono riportati i valori ottenuti su ogni singola barra (le barre
indicate con la lettera “p” sono state decapate prima della prova). Non si osserva alcun
significativo effetto del decapaggio e si nota, invece, che le barre di tipo A (non esposte)
presentano carichi di snervamento e di rottura inferiori di circa 20-30 MPa rispetto a
quelle di tipo B e C, sia per il diametro da 10 mm sia per quello da 18 mm. Questa
differenza, non sussistendo motivo alcuno perché possa essere attribuita all’effetto
dell’esposizione all’atmosfera, è da ricondurre presumibilmente alla variabilità della
produzione.
4.2.2 Osservazioni macroscopiche
Le Figure 4.6 e 4.7 mostrano in dettaglio una barra di ciascuna delle tipologie individuate.
Da questa prima indagine macroscopica si evidenziano le differenze in termini di stato
superficiale; si nota, infatti, come le barre sottoposte a sabbiatura (A2) presentino una
superficie a metallo bianco, mentre quelle nuove (A1) evidenziano la scura scaglia di
laminazione derivata dal processo di produzione dell’acciaio.
Per le armature pre-ossidate di diametro pari a 10 mm (Figura 4.6), invece, è evidente
come nel campione esposto per un anno (C) l’estensione dello strato di ossidi rosso-bruni
sia maggiore rispetto al campione esposto solo 6 mesi (B), tanto da ricoprirne in modo
pressoché uniforme l’intera superficie.
Per le armature pre-ossidate di 18 mm di diametro di categoria B (Figura 4.7) si ritrova
una condizione superficiale simile a quella delle corrispondenti barre B di diametro
inferiore, ovvero un’ossidazione non uniformemente distribuita ma concentrata
soprattutto in prossimità delle nervature. Nel caso della tipologia C di 18 mm si osserva
un’apparente maggiore estensione dell’ossidazione sulle barre C-2 rispetto alle C-1.
L’osservazione dei campioni è stata poi approfondita con ingrandimenti pari a 6× e 12×,
attraverso l’utilizzo dello stereomicroscopio. A tali ingrandimenti è possibile mettere in
evidenza i dettagli delle nervature, delle massime concentrazioni di ossidi e i difetti
eventualmente presenti. A titolo esemplificativo sono riportati i dettagli delle categorie di
armatura a un ingrandimento di 6× relativamente alle armature di diametro pari a 10 mm
(Figura 4.8) e di diametro pari a 18 mm (Figura 4.9). Queste immagini confermano le
differenze osservate a occhio nudo.
4.2.3 Analisi delle sezioni metallografiche
Per caratterizzare sia la microstruttura sia lo stato superficiale si sono effettuate
osservazione al microscopio ottico su sezioni trasversali di porzioni di barre inglobate in
resina.
In Figura 4.10 sono mostrate, a titolo di esempio, le sezioni di due armature nuove
(condizione A1) rispettivamente di diametro 10 mm e 18 mm. Già a questo ingrandimento
si osservano le diverse microstrutture dell’acciaio nella zona corticale e nel cuore, a
seguito del trattamento termico cui sono state sottoposte le barre. A maggiore
ingrandimento, per quanto riguarda la barra di diametro inferiore, si osserva che il cuore

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(Figura 4.11a) ha una microstruttura ferritico-perlitica, tipica di un acciaio


ipoeutettoidico, mentre il bordo (Figura 4.11b) è caratterizzato da una microstruttura
martensitica rinvenuta dovuta al trattamento termico superficiale effettuato durante il
processo di produzione della barra. Nelle barre con diametro maggiore, invece, il
passaggio dalla microstruttura centrale ferritico-perlitica (Figura 4.12a) a quella corticale
martensitica rinvenuta (Figura 4.12c) avviene in maniera più graduale, con la presenza di
una microstruttura intermedia (Figura 4.12b).
L’osservazione dei bordi delle sezioni metallografiche ha consentito di osservare gli strati
superficiali e stimare gli spessori dei prodotti di corrosione. È molto complesso riuscire a
valutare l’effettivo spessore degli ossidi, in quanto parte degli ossidi superficiali si
possono distaccare durante le fasi di preparazione dei campioni. Tuttavia, nella
preparazione dei campioni metallografici si è cercato di alterare il meno possibile la
superficie ed è quindi possibile effettuare un confronto, almeno indicativo, fra le diverse
tipologie di barre. Nelle Figure 4.13 e 4.14 si riportano delle immagini rappresentative
dell’osservazione al microscopio ottico dei bordi delle sezioni metallografiche delle barre
di diametro rispettivamente 10 mm e 18 mm. Gli stessi campioni sono stati anche
osservati al microscopio elettronico a scansione con elettroni retrodiffusi (modalità back-
scattered, in modo da evidenziare differenze di peso atomico medio); alcune immagini
rappresentative sono riportate nelle Figure 4.15 e 4.16. Infine, in Tabella 4.3 si è riportata
una stima (approssimata e influenzata da una valutazione soggettiva) dei valori minimi,
più rappresentativi e massimi dello spessore degli ossidi rilevati sulle sezioni analizzate
(una sola per ogni tipologia di barra).
Nei campioni nuovi (A1), per entrambi i diametri, si può notare la presenza della scaglia
di laminazione che presenta uno spessore compreso fra 5 μm e 25 μm; la scaglia non
sempre è aderente e si presenta spesso fessurata (Figure 4.15 e 4.16 ).
Nelle barre sottoposte a sabbiatura (tipologia A2) si è rimossa completamente la scaglia;
le immagini al microscopio elettronico a scansione (riportate ad esempio in Figura 4.15
per il campione A2 di diametro 10 mm) mostrano la superficie rugosa e deformata
localmente a seguito dell’urto con le particelle di allumina.
Per quanto concerne i campioni con pre-ossidazione di sei mesi (B), nelle sezioni
metallografiche, si sono rilevati spessore di ossidi simili per le armature dei due diametri,
con un valore minimo di 5-10 μm, un massimo di 60-70 μm e spessori medi indicativi di
20-30 μm (Tabella 4.3). All’immagine con elettroni retrodiffusi del microscopio
elettronico a scansione si osserva la presenza di ossidi caratterizzati da tonalità diverse di
grigio (Figure 4.15 e 4.16 ). In particolare la maggiore parte degli ossidi hanno un colore
grigio più scuro e inglobano dei frammenti con tono grigio più chiaro (analoghi a quelli
osservati sul campione A1), come osservato anche nel riferimento [34]. Questi ultimi
sono probabilmente ossidi a maggiore peso atomico medio e, quindi, caratterizzati da un
maggiore rapporto fra ferro e ossigeno; si può quindi ipotizzare che si tratti di frammenti
di scaglia di laminazione (tipicamente costituita da magnetite, Fe3O4, e wurstite, FeO)
inglobati all’interno degli ossidi prodotti per l’esposizione all’atmosfera.
Le armature esposte per un anno presentano le maggiori differenze. Per le barre di
diametro 10 mm, si osservato uno spessore compreso fra un minimo di circa 30 μm e un
massimo di 90 μm. Nelle armature con diametro pari a 18 mm, gli spessori raggiunti sono
superiori. Inoltre, diversamente da quanto emerso in base alle osservazioni
macroscopiche, gli spessori massimi raggiunti sono dell’ordine di 120 μm sul campione
C-2 e di 200 μm sul campione C-1. Tuttavia, in accordo con l’osservazione a livello
macroscopico, sui campioni B e C-1 i prodotti di corrosione sono prevalentemente
localizzati in particolari punti (solitamente nei pressi delle nervature), mentre per i

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campioni C-2 lo strato di ossidi è più uniformemente distribuito lungo il bordo della
sezione (ad esempio lo spessore minimo rilevato è maggiore per questo campione rispetto
al campione C-1). Pur considerando i limiti delle osservazioni fatte su campioni che
possono essere stati alterati durante la movimentazione e il trasporto, il confronto fra i
campioni C-1 e C-2 delle barre di 18 mm sembra mostrare che dove l’attacco si localizza,
la penetrazione della corrosione è maggiore rispetto a dove si distribuisce più
uniformemente.
Si è osservata, inoltre, in tutte le barre (quindi per entrambi i diametri e per tutte le
condizioni superficiali studiate) la presenza di piccole cricche superficiali, che in genere
non superano la profondità di 100-150 µm, riempite con ossidi (esempi sono mostrati in
alcune delle micrografie di Figura 4.14). Queste cricche superficiali sono presenti anche
nei campioni non esposti a pre-ossidazione e sono da ricondurre alla fase di produzione
delle barre. All’immagine con elettroni retrodiffusi si evidenzia che gli ossidi che le
riempiono hanno una tonalità di grigio tipica della scaglia di laminazione. Gli ossidi
presenti nelle microcricche, essendo ricoperte dal metallo, non sono stati rimossi
nemmeno nei campioni sabbiati.
4.2.4 Analisi sui prodotti di corrosione
Nelle Figure 4.17 e 4.18 sono riportati i risultati delle analisi di diffrazione dei raggi X
(XRD) effettuate sui prodotti di corrosione prelevati dalle armature esposte per un anno,
rispettivamente di 10 mm e di 18 mm di diametro. I grafici sono “disturbati”
probabilmente a causa della scarsa quantità di ruggine che si è potuta prelevare per le
analisi. Nel caso della barra di 10 mm è stato possibile ritrovare i tipici composti
riscontrabili nei prodotti di corrosione dell’acciaio esposto all’atmosfera: magnetite,
akaganeite e lepidocrocite. Sulla barra di diametro maggiore si sono individuati:
magnetite, lepidocrocite e goethite.
Le analisi del contenuto di cloruri hanno mostrato l’assenza di quantità rilevabili di questi
ioni all’interno degli ossidi degli stessi campioni su cui sono state effettuate le analisi
XRD.

4.3 Prove di passivazione in calcestruzzo


La prima fase delle prove di corrosione ha riguardato lo studio della passivazione delle
barre con diverse condizioni superficiali, in seguito al contatto con il calcestruzzo. Nelle
prime ore si è monitorato il solo potenziale di corrosione con l’elettrodo di riferimento di
titanio attivato inserito nel provino. A partire dal primo giorno dopo il getto si sono
misurati sia il potenziale di corrosione sia la velocità di corrosione, quest’ultima con il
metodo della polarizzazione lineare sui provini esposti nel tempo in diverse condizioni
ambientali. Inoltre sono state effettuate, in due diverse condizioni di esposizione, delle
prove di polarizzazione potenziostatica.
4.3.1 Fasi iniziali della passivazione
Sin dai primi momenti dopo il getto si è monitorato con un’acquisizione dati automatica il
potenziale di corrosione dell’armatura di ciascun provino tramite l’elettrodo interno di
titanio attivato; i risultati sono riportati nelle Figure 4.19 e 4.20. La scala logaritmica
dell’asse del tempo consente di evidenziare le variazioni avvenute nelle prime ore,
durante la fase di presa del calcestruzzo e poi nei primi giorni di indurimento (i provini
sono stati collegati all’acquisizione dati subito dopo il getto e, quindi, entro circa 10
minuti dal contatto con il calcestruzzo fresco).

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Armature 10 mm. La Figura 4.19 mostra l’andamento nel tempo del potenziale delle
diverse armature di diametro 10 mm nei primi 10 giorni dopo il getto. Per tutte le
tipologie di armatura si osserva una diminuzione del potenziale nelle prime ore, con un
minimo a circa 7 ore (0.3 giorni), seguita da un progressivo aumento. Con le armature
nuove (A1) e sabbiate (A2), nelle prime misure si sono ottenuti valori di potenziale di
circa -300 mV rispetto all’elettrodo di titanio attivato (Ti). Successivamente si è raggiunto
un minimo di -500/-600 mV vs Ti; quindi il potenziale ha iniziato a crescere,
raggiungendo circa -200 mV vs Ti dopo un giorno e -100 mV vs Ti dopo 10 giorni. Le
armature pre-corrose B e C hanno mostrato un andamento analogo alle precedenti, anche
se i primi valori di potenziale sono stati leggermente superiori (-200 mV vs Ti), così
come i valori minimi raggiunti dopo circa 7 ore (-350/-400 mV vs Ti). Tuttavia, dopo un
giorno e dopo 10 giorni si sono raggiunti valori di potenziale analoghi a quelli delle
armature A1 a A2.
Armature 18 mm. La Figura 4.20 mostra l’andamento nel tempo del potenziale delle
armature di diametro 18 mm. Analogamente alle armature 10 mm, si osserva un
andamento inizialmente decrescente e poi un progressivo aumento. In questo caso, però,
si sono rilevate maggiori differenze tra i provini. Le prime misure di potenziale variano, a
seconda delle tipologia di armatura, tra -350 e -100 mV vs Ti. Anche i valori minimi di
potenziale sono diversi rispetto alle barre 10 mm (non scendono sotto -400 mV vs Ti) e
sono raggiunti in tempi differenti (18-24 ore). Non sembra emergere tuttavia, alcuna
correlazione con lo stato superficiale delle armature. Si osserva, inoltre, che anche per
tutte le tipologie di armature 18 mm si raggiungono dopo 10 giorni valori di potenziale
compresi fra -200 e -100 mV vs SCE.
4.3.2 Condizioni di corrosione libera
A partire dal primo giorno dopo il getto sono state effettuate misure manuali di potenziale
di corrosione (sia rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato sia rispetto a un elettrodo
esterno SCE) e di velocità di corrosione. I risultati di queste misure, condotte prima in
condizioni di auto-essiccamento del provino, poi con esposizione a 80% di umidità
relativa e, infine, con immersione in acqua, sono mostrati in funzione del tempo nelle
Figure 4.21-4.29. In ciascuna figura sono riportati i risultati relativi ai tre provini replicati
realizzati con la stessa tipologia di armature. La parte (a) delle figure riporta il potenziale
dell’armatura misurato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato, la parte (b) il
potenziale di corrosione dell’armature misurato rispetto all’elettrodo di riferimento
esterno al calomelano saturo (SCE), mentre la parte (c) descrive l’andamento della
velocità di corrosione, espressa in mA/m² e misurata con la tecnica elettrochimica della
resistenza di polarizzazione. In ogni grafico l’asse temporale è stato distinto in tre periodi
corrispondenti alle diverse condizioni di esposizione a cui i provini armati sono stati
sottoposti: una prima fase di auto-essiccamento a temperatura costante di 23°C, una
seconda fase relativa all’esposizione dei provini a 20°C e 80% di umidità relativa e,
infine, la condizione di immersione a 20°C, il cui inizio è delineato con la linea verticale
azzurra.
Al termine del periodo di auto-essiccamento e durante il periodo di immersione sono state
effettuate anche prove di polarizzazione potenziostatica nelle quali si è imposto il
potenziale di +200 mV vs SCE all’armatura per 24 ore e si è rilevato l’andamento nel
tempo della corrente di polarizzazione; nelle Figure 4.19-4.29 sono mostrati, attraverso le
linee rosse verticali, i tempi in corrispondenza dei quali sono state effettuate queste
prove; i risultati di queste prove vengono analizzati nel successivo paragrafo 4.3.3.
Armature 10 mm. Le Figure 4.21-4.24 riportano i risultati relativi ai provini armati
confezionati con armature con diametro 10 mm. La parte (a) di queste figure descrive

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l’andamento nel tempo del potenziale dell’acciaio rispetto all’elettrodo interno di


riferimento in titanio attivato. Nei primi 10 giorni si osservano le variazioni già
evidenziate nei primi 10 giorni con il monitoraggio descritto nel paragrafo 4.3.1. Si nota
come l’aumento nel tempo del potenziale delle armature rispetto all’elettrodo di titanio
attivato prosegua per tutto il tempo in cui i provini sono stati conservati in contenitori
isolanti per riprodurre condizioni di auto-essiccamento, fino a raggiungere un valore
sostanzialmente stabile dopo 55 giorni. La armature in tutte le condizioni superficiali (A1,
A2, B e C) raggiungono dopo circa 2 mesi un potenziale di corrosione attorno a -50 mV
vs Ti. Il potenziale si mantiene stabile anche nella successiva esposizione per circa 2 mesi
nella camera climatica con umidità relativa di 80% e temperatura di 20°C. Durante la fase
di immersione in acqua del provino, il potenziale diminuisce e, per tutte le condizioni, si
osservano differenze significative tra i diversi provini replicati. Queste differenze
possono, però, essere dovute anche alla variazione del potenziale dell’elettrodo di
riferimento di titanio attivato preso come riferimento per la misura di potenziale.
Nella parte (b) delle Figure 4.21-4.24 è riportato anche il potenziale misurato con un
elettrodo di riferimento “vero” al calomelano saturo (SCE). Le misure sono state
realizzate appoggiando l’elettrodo SCE sulla superficie superiore del provino, tramite una
spugna intrisa d’acqua, nelle condizioni di auto-essiccamento e 80% UR, mentre
l’elettrodo di riferimento è stato posto nell’acqua quando i provini sono stati immersi.
Con questo tipo di elettrodo si osservano valori simili a quelli rilevati con l’elettrodo di
titanio attivato nel periodo di auto-essiccamento dei provini; si osserva, invece, un
progressivo ulteriore incremento del potenziale nel periodo di esposizione a 80% UR, al
termine del quale tutti i tipi di armature raggiungono valori di potenziale di corrosione di
circa +50 mV vs SCE. Nel periodo di immersione dei provini, le misure rispetto
all’elettrodo SCE tornano ad essere confrontabili con quelle effettuate con gli elettrodi di
titanio attivato. I valori più elevati rilevati con l’elettrodo SCE durante la fase di
asciugatura a 80% UR, che peraltro differiscono di soli 100 mV, potrebbero essere dovuti
alla presenza di contributi di giunzione alla superficie del calcestruzzo secco. Nelle figure
una linea orizzontale blu indica il potenziale di -200 mV vs SCE che in genere viene
preso come limite inferiore per definire le condizioni di passività delle armature. Si
osserva che le armature, indipendentemente dalle condizioni superficiali, a parte il
periodo iniziale, hanno un potenziale superiore a questo valore.
Infine, nella parte (c) delle Figure 4.21-4.24 è riportato l’andamento della velocità di
corrosione, stimata con il metodo elettrochimico della polarizzazione lineare; nei grafici è
mostrato con una linea orizzontale blu il valore di 1 mA/m2 (che corrisponde
approssimativamente a 1 µm/anno di consumo del ferro), in genere utilizzato come limite
superiore per le condizioni di passività delle armature. Nei grafici si osserva come le
misure di velocità di corrosione, a differenza di quelle di potenziale di corrosione, si
differenzino per le diverse tipologie di armature.
Nei provini con armature sabbiate A2 (Figura 4.22c) il primo giorno si è misurata una
velocità di corrosione di circa a 3 mA/m2 (che corrispondono approssimativamente a 3
µm/anno di consumo del ferro). La velocità di corrosione è poi progressivamente
diminuita fino a raggiungere valori pressoché stabili di 0.3-0.4 mA/m2 dopo 55 giorni di
auto-essiccamento. Questi valori sono stati mantenuti nel periodo di esposizione a 80%
UR e si è osservato solo un leggero incremento a 0.5-0.7 mA/m2 nel periodo di
immersione. I tre provini replicati hanno fornito risultati praticamente coincidenti.
I provini con armature “nuove” A1, utilizzate nelle condizioni in cui sono state ricevute
(quindi con scaglia di laminazione), hanno mostrato un andamento della velocità di
corrosione analogo a quello delle armature sabbiate, ma con valori leggermente più
elevati (Figura 4.21c). Nel giorno successivo al getto si sono misurati circa 8 mA/m²,

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diminuiti nel tempo fino a raggiungere circa 0.70 mA/m² al termine del periodo di auto-
essiccamento. Anche in questo caso la velocità di corrosione si è mantenuta costante nella
successiva condizione a 20°C e 80% di umidità relativa, mentre durante il periodo di
immersione ha mostrato un leggero aumento fino a un valore massimo di 1.1 mA/m². I tre
provini replicati hanno confermato lo stesso risultato.
Anche le armature soggette a pre-ossidazione per sei mesi B (Figura 4.23c) e per un anno
C (Figura 4.24c) hanno mostrato andamenti simili della velocità di corrosione; si è però
osservato un ulteriore leggero aumento dei valori assoluti. Dopo un giorno si sono
misurati valori attorno a 10 mA/m2 e successivamente la velocità di corrosione si è
assestata su valori prossimi o leggermente superiori a 1 mA/m2, con piccole differenze in
funzione del tipo di provino e delle condizioni di esposizione.
Per le armature in tutte le condizioni si osserva che in seguito all’effettuazione delle due
prove potenziostatiche non si notano variazioni rilevanti tali da ritenere che la
polarizzazione indotta dalla prova potenziostatica possa aver perturbato le condizioni di
corrosione dei provini.
Armature 18 mm. Le Figure 4.25-4.29 riportano i risultati relativi ai provini armati
confezionati con armature con diametro 18 mm. Anche in questo caso la parte (a) delle
figure descrive l’andamento nel tempo del potenziale dell’acciaio rispetto all’elettrodo
interno di riferimento in titanio attivato, mentre la parte (b) riporta il potenziale misurato
rispetto all’elettrodo di riferimento esterno SCE. Sia pure con leggere differenze, il
potenziale di corrosione delle diverse armature rilevato con in due elettrodi ripercorre
l’andamento già osservato per le armature con diametro 10 mm. Al termine del periodo di
auto-essiccamento si sono raggiunti valori attorno a -100/-50 mV, mentre durante
l’immersione si sono ottenuti valori di 50-100 inferiori; tuttavia senza raggiungere valori
minori di -200 mV vs SCE. Anche in questo caso le misure con l’elettrodo esterno
durante il periodo in cui il calcestruzzo si è asciugato per l’esposizione a 80% UR sono
state più elevate di quelle rispetto all’elettrodo interno.
Per quanto concerne la velocità di corrosione, anche questi provini hanno confermato
notevoli differenze tra le armature con diverso tipo di condizione superficiale. I valori
riscontrati nel giorno successivo al getto sono molto elevati in ciascuna categoria di
provini, e per i provini con pre-ossidazione raggiungono anche valori compresi fra 20 e
30 mA/m². Le differenze, però, emergono anche dal confronto dei valori su cui si
stabilizza la velocità di corrosione durante il periodo di auto-essicamento. I provini con
armature nuove e sabbiate (rispettivamente A1, Figura 4.25c, e A2, Figura 4.26c) si
portano a velocità di corrosione comprese nell’intervallo fra 0.6 e 0.4 mA/m². I provini
con pre-ossidazione di sei mesi (B, Figura 4.27c) si attestano attorno a 1-1.5 mA/m². Per
quanto riguarda le armature con pre-ossidazione di un anno, si sono ottenute velocità di
corrosione con valori di 2.8-5 mA/m2 sui tre provini replicati della tipologia C-1 (Figura
4.28c) e di 1.5-2 mA/m2 sui tre provini replicati della tipologia C-2 (Figura 4.29c). In
questo caso si sono quindi mantenute velocità di corrosione significativamente superiori
allo soglia di 1 mA/m2 sulle armature esposte a pre-ossidazione. Inoltre, queste misure
evidenziano una maggiore velocità di corrosione per le armature di tipo C-1 rispetto alle
armature di tipo C-2.
Nel successivo periodo di esposizione in ambiente asciutto a 80% UR tutte le armature
mantengono i valori raggiunti al termine del periodo di auto-essicamento (con solo una
leggerissima diminuzione). Infine, nel periodo di immersione, si nota un aumento della
velocità di corrosione nelle sole armature delle condizioni A1 e A2, anche se i valori
restano inferiori a 1 mA/m2. Nel caso delle armature con pre-ossidazione (B, C-1 e C-2),

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invece, nel periodo di immersione si sono misurate sostanzialmente le stesse velocità di


corrosione misurate sulla stessa armatura nelle condizioni di esposizione precedenti.
4.3.3 Polarizzazione potenziostatica
Per verificare ulteriormente lo stato di corrosione delle armature e indagare sull’effettivo
raggiungimento di condizioni di passività, oltre alle misure non distruttive descritte nel
paragrafo precedente, in corrispondenza dei giorni indicati con le linee verticale rosse
nelle Figure 4.21-4.29 sono state realizzate due prove di polarizzazione potenziostatica.
In queste prove si è imposto alle armature un potenziale costante di +200 mV vs SCE e si
è rilevata la corrente necessaria per questa polarizzazione in un periodo di 24 ore. Nelle
Figure 4.30 e 4.32 sono mostrati gli andamenti della densità di corrente di polarizzazione
(ottenuta dividendo la corrente assorbita dall’armatura per l’effettiva superficie
dell’acciaio a contatto con il calcestruzzo) durante la serie di prove realizzate al termine
del periodo di auto-essiccamento. Nelle Figure 4.31 e 4.33 sono mostrati gli andamenti
ottenuti durante la serie di prove effettuate sui provini immersi in acqua. Ogni figura si
riferisce a una specifica tipologia di armatura e riporta, con colori diversi, gli andamenti
della densità di corrente ottenuti con i tre provini replicati.
In tutti i grafici si osserva la tipica diminuzione nel tempo della densità di corrente in
funzione del tempo, dovuta alla progressiva polarizzazione dell’acciaio, fino al
raggiungimento di un valore sostanzialmente stabile. Tutti i provini con armature di
diametro 10 mm (Figure 4.30-4.31) hanno evidenziato valori finali di corrente
ampiamente inferiori a 1 mA/m2. Nei provini con armature 18 mm (Figure 4.32-4.33) si
sono raggiunti valori di densità di corrente leggermente superiori rispetto ai provini 10
mm, ma comunque inferiori a 1 mA/m2. Le differenza fra le prove effettuate al termine
del periodo di auto-essiccamento e durante l’immersione in acqua sono modeste.

4.4 Prove in soluzione


La verifica delle condizioni di passivazione delle armature è stata effettuate anche con
prove di immersione in una soluzione alcalina; per simulare in modo approssimativo la
soluzione nei pori del calcestruzzo non carbonatato e privo di cloruri, si è utilizzata una
soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2) caratterizzata da pH di 12.6.
4.4.1 Prima serie
Una prima serie di prove è stata realizzata sulle barre di diametro 18 mm. Una barra per
ogni tipo di condizione superficiale è stata immersa nella soluzione per circa un anno e si
è monitorato il potenziale di corrosione con un elettrodo al calomelano saturo (SCE). Il
pH della soluzione è stato verificato a intervalli mensili e prima dell’inizio di ciascuna
prova elettrochimica e, occasionalmente, si è aggiunto dell’idrossido di calcio per
prevenire la carbonatazione. La cella di prova è stata coperta con un foglio di materiale
plastico per prevenire l’evaporazione.
La Figura 4.34 riporta gli andamenti nel tempo del potenziale di corrosione delle
armature. Si osserva come le armature sabbiata (A2), nuova (A1) e con pre-ossidazione di
sei mesi (B) abbiano raggiunto, nei primi giorni di immersione valori di potenziale di
corrosione superiori o prossimi a -200 mV vs SCE. Tuttavia nei periodi successivi il
potenziale ha mostrato la tendenza a diminuire; questo effetto è probabilmente dovuto al
ridotto apporto di ossigeno nella soluzione. Solo nel periodo finale, quando si è agitata la
soluzione per favorire l’ingresso dell’ossigeno si sono ottenuti nuovamente valori
superiori a -200 mV; anche in questo caso, però, si sono osservate forti oscillazioni, da
ricondurre alle variazioni di contenuto di ossigeno. Nel caso delle armature con pre-

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ossidazione di 1 anno (tipologie C1 e C2) l’andamento del potenziale non ha nemmeno


mostrato la tendenza a crescere (tipica della passivazione in calcestruzzo aerato e
osservata nei provini di calcestruzzi, paragrafo 4.3.2. Per verificare l’eventuale
raggiungimento delle condizioni di passività, al termine del periodo di esposizione
descritto in Figura 4.34 è stata fatta una prova di polarizzazione potenziostatica a +200
mV vs SCE. La Figura 4.35 mostra che la corrente durante le 24 ore della prova ha
raggiunto valori dell’ordine di 1 mA/m2 solo sulle armature di tipologia A1, A2 e B.
Viceversa per le armature di tipo C-1 e C-2 si sono ottenuti valori di densità di corrente
più elevati che sembrerebbero confermare il mancato raggiungimento delle condizioni di
passività.
4.4.2 Seconda serie
Una seconda serie di prove è stata effettuata su tutte le tipologie di armature immerse
nella soluzione alcalina. La Figura 4.36 mostra il potenziale di corrosione delle barre di
diametro 10 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio, con pH 12.6 (la
parte a e la parte b si riferiscono a due celle uguali, realizzate per valutare la
riproducibilità dei risultati). Si osserva come nei primi giorni di immersione le barre in
tutte le condizioni hanno mostrato un’iniziale diminuzione del potenziale fino a valori
attorno a -400/-450 mV vs SCE. Successivamente si è osservata una lenta e progressiva
risalita, ma, a differenza di quanto osservato nei provini in calcestruzzo per diversi giorni
il potenziale è rimasto al di sotto di -250 mV anche dopo 15-25 giorni. La Figura 4.37
mostra il potenziale di corrosione misurato sulle barre di diametro 18 mm immerse nella
soluzione satura di idrossido di calcio. L’andamento nel tempo è analogo a quello
osservato per le barre da 10 mm; solo la barra della tipologia C-1 non sembra mostrare
l’aumento nel tempo del potenziale. Nella Figura 4.38 sono riportati i risultati ottenuti con
le barre di 10 mm immerse in una soluzione a pH 13.3, ottenuta aggiungendo NaOH alla
soluzione satura di Ca(OH)2. In questo caso, che si avvicina maggiormente ai valori di pH
attesi nella soluzione dei pori del calcestruzzo, si osserva un più rapido aumento del
potenziale e, dopo circa 20 giorni, tutte le barre si avvicinano al valore di -200 mV.
Dalle prove in soluzione riportate nelle Figure 4.36-4.38 non emerge alcun effetto della
pre-ossidazione; gli andamenti nel tempo del potenziale di corrosione sono analoghi per
tutte le tipologie di barre.

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Tabella 4.1 – Analisi chimica di tre campioni di armatura di diametro pari a 10 mm


relativamente ai tre differenti fasci disponibili.

A B C
Tipo di barra
Nuove 6 mesi 1 anno
C 0.21 0.19 0.19
Mn 0.77 0.82 0.81
Si 0.21 0.2 0.19
P 0.01 0.02 0.02
S 0.02 0.04 0.04
Cu 0.45 0.59 0.58
Cr 0.07 0.16 0.16
Ni 0.10 0.11 0.11
Mo 0.02 0.02 0.02
Ceq 0.39 0.41 0.40

Tabella 4.2 – Analisi chimica di tre campioni di armatura di diametro pari a 18 mm


relativamente ai tre differenti fasci disponibili.

A B C
Tipo di barra
Nuove 6 mesi 1 anno
C 0.21 0.19 0.2
Mn 0.73 0.8 0.79
Si 0.25 0.19 0.21
P 0.02 0.02 0.02
S 0.04 0.04 0.03
Cu 0.42 0.57 0.49
Cr 0.06 0.12 0.15
Ni 0.09 0.09 0.09
Mo 0.02 0.02 0.03
Ceq 0.38 0.4 0.41

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Tabella 4.3 – Stima indicativa degli spessori di ossidi osservati sulla superficie delle
barre dedotta in base alle osservazioni al microscopio ottico e al microscopio elettronico.

Diametro Tipologia Esposizione Spessore ossidi stimato (µm)


Minimo Medio(a) Massimo(b)
10 mm A1 Nuove 5 15 25
B 6 mesi 5 20 60
C 1 anno 30 50 90
18 mm A1 Nuove 5 15 25
B 6 mesi 10 30 70
C-1 1 anno 20 90 200
C-2 1 anno 40 75 120
(a)
Spessore ritenuto più rappresentativo della sezione analizzata.
(b)
Spessore massimo (escludendo le microcricche riempite di scaglia, attribuite alla fase
di produzione).

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(a) (b) (c)


Figura 4.1 – Apertura dei fasci di armature di diametro pari a 10 mm: A – nuove (a), B -
esposte all’atmosfera per 6 mesi (b) e C - esposte all’atmosfera per un anno (c).

(a) (b) (c)


Figura 4.2 – Apertura dei fasci di armature di diametro pari a 18 mm: A – nuove (a), B -
esposte all’atmosfera per 6 mesi (b) e C - esposte all’atmosfera per un anno (c).

Figura 4.3 – Differenti condizioni superficiali delle armature presenti nel fascio C di 18
mm di diametro.

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600
590

Carico di snervamento (MPa)


580
570
560
550
540
530
520
510
500
1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p
Nuovo 6 mesi 1 anno

(a)
700
690
Carico di rottura (MPa)

680
670
660
650
640
630
620
610
600
1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p
Nuovo 6 mesi 1 anno

(b)
20
18
16
14
12
Agt (%)

10
8
6
4
2
0
1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p 1 1p 2 2p 3 3p
Nuovo 6 mesi 1 anno

(c)
Figura 4.4 – Carico di snervamento (a), carico di rottura (b) e allungamento percentuale
(c) di campioni di armatura di diametro pari a 10 mm relativamente ai tre differenti fasci
disponibili.

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600
590

Carico di snervamento (MPa)


580
570
560
550
540
530
520
510
500
A4
A4p
A5
A5p
A6
A6p
B4
B4p
B5
B5p
B6
B6p
C4
C4p
C5
C5p
C6
C6p
Nuovo 6 mesi 1 anno

(a)
700
690
Carico di rottura (MPa)

680
670
660
650
640
630
620
610
600
A4p

A5p

A6p

B4p

B5p

B6p

C4p

C5p

C6p
A4

A5

A6

B4

B5

B6

C4

C5

C6

Nuovo 6 mesi 1 anno

(b)
20
18
16
14
12
Agt (%)

10
8
6
4
2
0
A4p

A5p

A6p
B4
B4p
B5
B5p
B6
B6p
C4
C4p
C5
C5p
C6
C6p
A4

A5

A6

Nuovo 6 mesi 1 anno

(c)
Figura 4.5 – Carico di snervamento (a), carico di rottura (b) e allungamento percentuale
(c) di campioni di armatura di diametro pari a 18 mm relativamente ai tre differenti fasci
disponibili.

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A1 - Nuova A2 - Sabbiata

B - 6 mesi C - 1 anno

Figura 4.6 - Osservazione visiva delle diverse tipologie superficiali delle armature di
diametro pari a 10 mm.

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A1 - Nuova A2 - Sabbiata

B - 6 mesi C-1 - 1 anno

C-2 - 1 anno
Figura 4.7 - Osservazione visiva delle diverse tipologie superficiali delle armature di
diametro pari a 18 mm.

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A1 - Nuova A2 - Sabbiata

B - 6 mesi C - 1 anno

Figura 4.8 - Osservazione allo stereomicroscopio delle armature di diametro 10 mm.

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A1 – Nuova A2 - Sabbiata

B - 6 mesi C1 - 1 anno

C2 - 1 anno

Figura 4.9 - Osservazione allo stereomicroscopio delle armature di diametro 18 mm.

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(a) (b)
Figura 4.10 - Osservazione della sezione metallografica della barra A1-0 di diametro 10
mm (a) e della barra A1-1 di diametro 18 mm (b).

(a) (b)
Figura 4.11 - Osservazione della microstruttura della barra di armatura A1-0, di diametro
10 mm, relativamente al cuore (a) ed al bordo (b).

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(a)

(b) (c)
Figura 4.12 - Osservazione della microstruttura della barra A1-1, di diametro 18 mm,
relativamente al cuore (a), alla zona 1 intermedia (b) e alla zona 2 corticale (c).

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A1 - Nuova A2 – Sabbiata

B - 6 mesi C - 1 anno
Figura 4.13 - Osservazione al microscopio ottico dei bordi delle sezioni metallografiche
per le armature di diametro 10 mm.

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A1 - Nuova A2 – Sabbiata

B - 6 mesi C1 - 1 anno

C2 - 1 anno
Figura 4.14 - Osservazione al microscopio ottico dei bordi delle sezioni metallografiche
per le armature di diametro 18 mm.

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A1 - Nuova

A2 - Sabbiata

B - 6 mesi

C - 1 anno

Figura 4.15 – Osservazione al microscopio elettronico a scansione, a diversi


ingrandimenti, degli strati superficiali presenti sulle armature di diametro 10 mm.

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A1 - Nuova

B - 6 mesi

C-1 – 1 anno

C-2 - 1 anno

Figura 4.16 – Osservazione al microscopio elettronico a scansione, a diversi


ingrandimenti, degli strati superficiali presenti sulle armature di diametro 18 mm.

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Figura 4.17 - Diffrattogramma dei prodotti di corrosione superficiali per l’armatura di 10


mm di diametro.

Figura 4.18 - Diffrattogramma dei prodotti di corrosione superficiali per l’armatura di 18


mm di diametro.

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0 0
A1-1 A2-1
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


A1-2 A2-2
-100 -100
A1-3 A2-3
-200 -200

-300 -300

-400 -400

-500 -500

-600 -600

-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)

(a) (b)

0 0
B-1 C-1
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

B-2 C-2
-100 -100
B-3 C-3
-200 -200

-300 -300

-400 -400

-500 -500

-600 -600

-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)

(c) (d)

Figura 4.19 - Andamento nel tempo del potenziale delle armature di diametro 10 mm,
rilevato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato nei primi 10 giorni successivi al
getto del calcestruzzo. Barre: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b), pre-corrose per 6 mesi B (c) e
un anno C (d).

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0 0
A1-2 A2-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


A1-3 A2-3
-100 -100
A1-4 A2-4
-200 -200

-300 -300

-400 -400

-500 -500

-600 -600

-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)

(a) (b)
0 0
B-2 C1-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

B-3 Potenziale di corrosione (mV vs Ti) C1-3


-100 -100
B-4 C1-4
-200 -200

-300 -300

-400 -400

-500 -500

-600 -600

-700 -700
0.01 0.1 1 10 0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni) Tempo (giorni)

(c) (d)
0
C2-2
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

C2-3
-100
C2-4
-200

-300

-400

-500

-600

-700
0.01 0.1 1 10
Tempo (giorni)

(e)
Figura 4.20 - Andamento nel tempo del potenziale delle armature di diametro 18 mm,
rilevato rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato nei primi 10 giorni successivi al
getto del calcestruzzo. Barre: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b), pre-corrose per 6 mesi B (c) e
un anno C1 (d) e C2 (e).

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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


(T= 23°C)
150 A1-1

50

-50 A1-2
(a)
-150

potenziostatica
potenziostatica
-250 A1-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione


(T= 23°C)
150 A1-1

50

-50 A1-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica

-250 A1-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

potenziostatica
potenziostatica

A1-1

10

A1-2
(c)
1

A1-3

0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)

Figura 4.21 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A1 per le armature di diametro pari a 10 mm.

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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


(T= 23°C)
150 A2-1

50

-50 A2-2
(a)
-150

potenziostatica
potenziostatica
-250 A2-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione


(T= 23°C)
150 A2-1

50

-50 A2-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica

-250 A2-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

potenziostatica
potenziostatica

A2-1

10

A2-2
(c)
1

A2-3

0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)

Figura 4.22 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A2 per le armature di diametro pari a 10 mm.

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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


(T= 23°C)
150 B-1

50

-50 B-2
(a)

potenziostatica
-150

potenziostatica
-250 B-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione


(T= 23°C)
150 B-1

50

-50 B-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica

-250 B-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

potenziostatica
potenziostatica

B-1

10

B-2
(c)
1

B-3

0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)

Figura 4.23 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione B per le armature di diametro pari a 10 mm.

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250
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


(T= 23°C)
150 C-1

50

-50 C-2
(a)
-150

potenziostatica
potenziostatica
-250 C-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

250
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione


(T= 23°C)
150 C-1

50

-50 C-2
(b)
-150 potenziostatica
potenziostatica

-250 C-3

-350
0 50 100 150
Tempo (giorni)

100
Autoessiccamento U.R.= 80% T= 20°C Immersione
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

potenziostatica
potenziostatica

C-1

10

C-2
(c)
1

C-3

0.1
0 50 100 150
Tempo (giorni)

Figura 4.24 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C per le armature di diametro pari a 10 mm.

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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
essiccamento

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


200 (T= 23°C) A1-2

100

0
A1-3
(a) -100

-200

potenziostatica

potenziostatica
-300 A1-4

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

essiccamento
200 (T= 23°C) A1-2

100

0
A1-3
(b) -100

-200 potenziostatica
potenziostatica

A1-4
-300

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

100
potenziostatica
potenziostatica

Auto- U.R.= 80% T= 23°C


Immersione

essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

A1-2

10

A1-3
(c)
1

A1-4

0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

Figura 4.25 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A1 per le armature di diametro pari a 18 mm.

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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
essiccamento

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


200 (T= 23°C) A2-2

100

0
A2-3
(a) -100

-200

potenziostatica

potenziostatica
-300 A2-4

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

essiccamento
200 (T= 23°C) A2-2

100

0
A2-3
(b) -100

-200 potenziostatica
potenziostatica

A2-4
-300

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

100
potenziostatica
potenziostatica

Auto- U.R.= 80% T= 23°C


Immersione

essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

A2-2

10

A2-3
(c)
1

A2-4

0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

Figura 4.26 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione A2 per le armature di diametro pari a 18 mm.

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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
essiccamento

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


200 (T= 23°C) B-2

100

0
B-3
(a) -100

-200

potenziostatica

potenziostatica
-300 B-4

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

essiccamento
200 (T= 23°C) B-2

100

0
B-3
(b) -100

-200 potenziostatica
potenziostatica

B-4
-300

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

100
potenziostatica
potenziostatica

Auto- U.R.= 80% T= 23°C


Immersione

essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

B-2

10

B-3
(c)
1

B-4

0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

Figura 4.27 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione B per le armature di diametro pari a 18 mm.

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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
essiccamento

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


200 (T= 23°C) C1-2

100

0
C1-3
(a) -100

-200

potenziostatica

potenziostatica
-300 C1-4

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

essiccamento
200 (T= 23°C) C1-2

100

0
C1-3
(b) -100

-200 potenziostatica
potenziostatica

C1-4
-300

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

100
potenziostatica
potenziostatica

Auto- U.R.= 80% T= 23°C


Immersione

essiccamento
Velocità di corrosione (mA/m2)

(T= 23°C) C1-2

10

C1-3
(c)
1

C1-4

0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

Figura 4.28 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C-1 per le armature di diametro 18 mm.

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300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
essiccamento

Potenziale di corrosione (mV vs Ti)


200 (T= 23°C) C2-2

100

0
C2-3
(a) -100

-200

potenziostatica

potenziostatica
-300 C2-4

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

300
Auto- U.R.= 80% T= 23°C

Immersione
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

essiccamento
200 (T= 23°C) C2-2

100

0
C2-3
(b) -100

-200 potenziostatica
potenziostatica

C2-4
-300

-400
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

100
potenziostatica
potenziostatica

Auto- U.R.= 80% T= 23°C


Immersione

essiccamento
(T= 23°C)
Velocità di corrosione (mA/m2)

C2-2

10

C2-3
(c)
1

C2-4

0.1
0 50 100 150 200 250 300 350
Tempo (giorni)

Figura 4.29 - Andamento nel tempo del potenziale dell’armatura rispetto all’elettrodo
interno (Fe vs Ti) (a) e rispetto al calomelano (Fe vs SCE) (b) e della velocità di
corrosione (c) relativamente alla condizione C-2 per le armature di diametro 18 mm.

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10 10
A1-1 A2-1
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)


A1-2 A2-2
A1-3 A2-3

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(a) (b)

10 10
B-1 C-1
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)

B-2 C-2
B-3 C-3

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(c) (d)

Figura 4.30 - Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di


polarizzazione nel corso della prova potenziostatica effettuata dopo la fase di auto-
essiccamento per i provini con armature di diametro pari a 10 mm: nuove A1 (a),
sabbiate A2 (b) e pre-ossidate per sei mesi B (c) e un anno C (d).

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10 10
A1-1 A2-1
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)


A1-2 A2-2
A1-3 A2-3
1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(a) (b)
10 10
B-1 C-1
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)


B-2 C-2
B-3 C-3
1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(c) (d)
Figura 4.31 - Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata durante la fase di immersione per i
provini con armature di diametro pari a 10 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e pre-
ossidate per sei mesi B (c) e un anno C (d).

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10 10
A1-2 A2-2
A1-3 A2-3
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)


A1-4 A2-4

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(a) (b)
10 10
B-2 C1-2
B-3 C1-3
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)

B-4 C1-4

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(c) (d)
10
C2-2
C2-3
Densità di corrente (mA/m2)

C2-4

0.1

0.01
0 6 12 18 24
Tempo (ore)

(e)
Figura 4.32 – Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata dopo la fase di auto-essiccamento
per i provini con armature di diametro pari a 18 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e
pre-ossidate per sei mesi B (c) e un anno C1 (d) e C2 (e).

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10 10
A1-2 A2-2
A1-3 A2-3
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)


A1-4 A2-4

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(a) (b)
10 10
B-2 C1-2
B-3 C1-3
Densità di corrente (mA/m2)

Densità di corrente (mA/m2)

B-4 C1-4

1 1

0.1 0.1

0.01 0.01
0 6 12 18 24 0 6 12 18 24
Tempo (ore) Tempo (ore)

(c) (d)
10
C2-2
C2-3
Densità di corrente (mA/m2)

C2-4

0.1

0.01
0 6 12 18 24
Tempo (ore)

(e)
Figura 4.33 – Andamento della densità di corrente di polarizzazione durante le 24 ore di
polarizzazione della prova potenziostatica effettuata durante la fase di immersione per i
provini con armature di diametro pari a 18 mm: nuove A1 (a), sabbiate A2 (b) e pre-
ossidate per sei mesi B (c) e un anno C1 (d) e C2 (e).

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-100

Potenziale di corrosione (mV vs SCE)


A1-5
-150

-200 A2-5

-250
B-5
-300

-350 C1-5

-400
C2-5
-450
0.1 1 10 100 1000
Tempo (giorni)
Figura 4.34 – Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 18 mm con diverse condizioni superficiali durante la prima serie di prove in
soluzione.

1000
Rebars:

A1-5
100
Densità di corrente (mA/m2)

A2-5

10
B-5

1 C1-5

C2-5
0.1
0 6 12 18 24
Tempo (ore)

Figura 4.35 – Andamento della corrente durante le 24 ore di polarizzazione


potenziostatica a +200 mV vs SCE effettuata sulle armature di diametro 18 mm al
termine della prima serie di prove in soluzione.

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Potenziale di corrosione (mV vs SCE)


-50 A1-5
-100
-150
A2-5
-200
-250
-300 B-5
-350
-400
C-5
-450
-500
0 5 10 15 20 25
Tempo (giorni)
(a)

0
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

-50 A1-6
-100
-150
A2-6
-200
-250
-300 B-6

-350
-400
C-6
-450
-500
0 5 10 15 20
Tempo (giorni)
(b)
Figura 4.36 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 10 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2), nella
seconda serie di prove in soluzione; nei due grafici (a e b) sono mostrati gli andamenti di
due prove ripetute su provini replicati.

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Potenziale di corrosione (mV vs SCE)


-50 A1-6

-100
-150 A2-6

-200
-250 B-6

-300
-350 C1-6

-400
-450 C2-6

-500
0 5 10 15 20
Tempo (giorni)
Figura 4.37 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 18 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2), nella
seconda serie di prove in soluzione.

0
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

A1-7
-100

-200
A2-7

-300

B-7
-400

-500
C-7

-600
0 5 10 15 20 25
Tempo (giorni)
Figura 4.38 - Andamento nel tempo del potenziale di corrosione delle armature di
diametro 10 mm immerse nella soluzione satura di idrossido di calcio (Ca(OH)2) con
aggiunta di NaOH per portare il pH a 13.3, nella seconda serie di prove in soluzione.

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5. Discussione dei risultati

L’analisi della letteratura disponibile, descritta nel Capitolo 2, non ha consentito di


definire un quadro univoco sugli effetti della pre-ossidazione delle barre di armatura sul
loro comportamento a corrosione. Le posizioni degli autori di diversi articoli sono spesso
contrastanti e non sembra esserci consenso sul fatto che gli ossidi prodotti
dall’esposizione atmosferica delle barre d’armatura prima del getto del calcestruzzo (o
persino la stessa scaglia di laminazione) possano o meno compromettere, da un lato, la
capacità dell’acciaio di passivarsi a contatto con l’ambiente alcalino del calcestruzzo e,
dall’altro lato, la resistenza che questo offre alla corrosione una volta che il calcestruzzo
viene carbonatato o contaminato da cloruri. Persino nel caso in cui si esclude la presenza
di cloruri negli ossidi e nel calcestruzzo (oltre che la sua carbonatazione), ci sono alcuni
autori che sostengono che le armature ricoperte da strati di ruggine non siano in grado di
passivarsi.
L’attività sperimentale svolta nell’ambito di questa ricerca ha consentito di approfondire
in condizioni reali, sia per la tipologia di pre-ossidazione sia per l’esposizione in
calcestruzzo, l’effettiva possibilità delle armature di raggiungere condizioni di passività.
In questo capitolo si discutono i risultati ottenuti, analizzando da prima le condizioni
superficiali delle barre dopo diversi tempi di esposizione all’atmosfera. Successivamente
si discutono i risultati delle diverse tipologie di prove che hanno permesso di studiare
parametri elettrochimici relativi alla passivazione delle barre.

5.1 Effetto dell’esposizione atmosferica


Le barre d’armatura studiate in questa ricerca sperimentale sono state fornite in tre
diverse condizioni di conservazione: barre di recente produzione, ricoperte dalla scaglia
di laminazione, barre esposte all’aperto per circa 6 mesi e per circa 1 anno presso uno
stabilimento lontano dalla costa marina. Le analisi chimiche effettuate su alcuni campioni
di ossidi prelevati dalle barre esposte per un anno hanno confermato l’assenza di cloruri
negli ossidi; la pre-ossidazione è, quindi, avvenuta in ambiente non inquinato da questi
ioni.
5.1.1 Correlazione tra tempo di esposizione e ossidazione
Le indagini effettuate per documentare lo stato superficiale delle barre, descritte in
dettaglio nei paragrafi 4.1 e 4.2, permettono di valutare gli effetti dell’esposizione
atmosferica sulle condizioni superficiali delle armature. La Figura 5.1 mostra un
confronto diretto delle diverse barre di diametro 10 mm, riassumendo le osservazioni
visive e le analisi al microscopio elettronico a scansione degli ossidi superficiali; nella
figura è riportata, come riferimento, anche una barra sabbiata. Si osserva come la scaglia
di laminazione, che appare di colore grigio scuro e compatta all’osservazione visiva, in
realtà non è sempre aderente ed è notevolmente fessurata; non costituisce, quindi, uno
strato protettivo uniforme. L’esposizione atmosferica delle barre ha portato alla
formazione sulla loro superficie di ossidi di colore rosso-bruno, il cui spessore è
aumentato in funzione del tempo di esposizione. Una situazione analoga si osserva sulle
barre di diametro 18 mm (Figura 5.2); in questo caso, però le barre esposte per un anno
presentano una situazione più articolata rispetto a quelle di 10 mm. Visivamente si sono
individuate, all’interno dello stesso fascio, barre con estensione degli ossidi notevolmente

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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 88 di 112

diversa, come mostrato in Figura 4.3. Questa circostanza fa rilevare come le condizioni
microclimatiche di esposizione della singola barra possano influenzare significativamente
l’avanzamento della corrosione nel tempo, rendendo difficile una valutazione
complessiva dell’effettivo stato di pre-ossidazione sulla base del solo tempo di
esposizione. Si è, infatti, ipotizzato che le barre più interne del fascio siano state
maggiormente protette rispetto a quelle più esterne. L’analisi microscopica della sezione
delle barre ha, inoltre, evidenziato come lo strato di ossidi effettivamente presente sulle
barre non sia facilmente prevedibile attraverso la sola osservazione visiva. Nelle armature
di diametro 18 mm esposte per un anno, infatti, in base all’osservazione visiva si era
individuata una situazione di pre-ossidazione più estesa sulle barre identificate con la
sigla C-2 rispetto a quelle identificate con la sigla C-1. In realtà l’analisi delle sezioni
metallografiche ha consentito di verificare spessori di ossidi maggiori nelle seconde;
questa osservazione induce a ritenere che nelle zone in cui l’attacco non è esteso a tutta la
barra, la penetrazione della corrosione tenda ad essere maggiore rispetto a dove si
distribuisce più uniformemente. La sola osservazione visiva, che fa affidamento sulla
variazione di colore da grigio scuro della scaglia a rosso-bruno degli ossidi prodotti
dall’esposizione atmosferica, quindi, non è detto che sia rappresentativa dell’effettivo
grado di corrosione della superficie dell’acciaio.
Lo spessore degli ossidi presenti è stato stimato, sia pure in modo approssimativo, su una
sezione di ciascun tipo di barra (Tabella 4.3). La Figura 5.3 riporta l’andamento dello
spessore medio indicativo degli ossidi in funzione del tempo di esposizione e l’intervallo
di variazione. Per entrambi i diametri, la scaglia di laminazione presente sulle barre di
recente produzione ha uno spessore variabile fra 5 e 25 m. L’esposizione atmosferica
per un anno ha portato a spessori massimi di ossidi di circa 100 m sulle barre da 10 mm
e di circa 200 m su quelle da 18 mm (condizione C-1). Per quanto riguarda la
composizione mineralogica degli ossidi (paragrafo 4.2), sono stati rilevati i tipici prodotti
della corrosione atmosferica del ferro (akaganeite, lepidocrocite, goethite) che inglobano
ancora porzioni di magnetite proveniente dalla scaglia (Figure 4.17 e 4.18).
5.1.2 Effetto sulle proprietà meccaniche
Le prove meccaniche effettuate presso l’Università di Brescia hanno mostrato che né la
scaglia né la pre-ossidazione documentata nel paragrafo precedente hanno un’influenza
apprezzabile sulla resistenza e la duttilità delle barre (Figure 4.4 e 4.5). Questi risultati
sono in accordo con le osservazioni microstrutturali che hanno evidenziato un consumo di
metallo trascurabile rispetto alla sezione resistente e l’assenza di attacchi corrosivi
localizzati che potrebbero avere effetti sulla duttilità. Va rilevato che le sezioni
metallografiche hanno messo in evidenza la presenza, su tutte le barre, di piccoli difetti
superficiali in forma di cricche con profondità di qualche centinaio di micrometri. Queste
sono riempite di ossidi che all’analisi con elettroni retrodiffusi mediante microscopio
elettronico a scansione presentano la tonalità di grigio tipica della scaglia di laminazione
(paragrafo 4.2.3); inoltre, sono state osservate anche sulle barre di recente produzione
(non esposte all’atmosfera). Non sono quindi da ricondurre alla pre-ossidazione, ma alla
fase di produzione.

5.2 Effetto della pre-ossidazione sulla passivazione


I risultati delle prove di corrosione descritti nelle Figure 4.21-4.29 hanno permesso di
studiare le condizioni di corrosione delle armature dopo che sono state messe a contatto
con il calcestruzzo. In particolare, utilizzando diverse tecniche elettrochimiche, si sono

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rilevati parametri che consentono di verificare il raggiungimento delle condizioni


passività.
5.2.1 Passivazione iniziale
Nella fase iniziale, subito dopo il getto, i provini sono stati conservati a temperatura
costante di 23°C dentro dei contenitori stagni (in condizioni di auto-essiccamento) per
simulare la stagionatura del calcestruzzo e analizzare l’evoluzione dello stato di
corrosione delle armature attraverso la misura del potenziale di corrosione e della velocità
di corrosione, stimata con il metodo della resistenza di polarizzazione lineare. È noto che
le condizioni di passività delle armature nel calcestruzzo sono caratterizzate da [12]:
- una velocità di corrosione trascurabile, tipicamente inferiore a 1 m/anno che, espressa
in termini di densità di corrente di corrosione, corrisponde a un valore di circa 1
mA/m2;
- un potenziale di corrosione elevato, tipicamente superiore a -200 mV vs SCE.
Come descritto nei paragrafi 4.3.1 e 4.3.2, le armature nei primi giorni dopo il getto sono
in condizioni di attività, caratterizzate da valori di velocità di corrosione maggiori di 1
mA/m2 e potenziali di corrosione inferiori a -200 mV vs SCE. Solo successivamente si
forma il film di passività sulla superficie dell’acciaio che porta la velocità di corrosione a
valori trascurabili. Per studiare questa transizione, si possono considerare le misure
effettuate nel periodo di conservazione dei provini in condizioni di auto-essiccamento
delle Figure 4.21-4.29 (ogni figura si riferisce a tre provini replicati). La Figura 5.4a
mostra, come esempio, il dettaglio dell’andamento nel tempo della velocità di corrosione
di una barra da 10 mm con scaglia di laminazione (provino A-1-1, ripreso dalla Figura
4.21). Dall’analisi di questa curva si può osservare come la velocità di corrosione, che nei
primi giorni dopo il getto ha valori di 7-8 mA/m2, dopo circa 7 giorni diminuisce fino a
portarsi a valori inferiori a 1 mA/m2; questo tempo, indicato come t2, è evidenziato in
figura da una croce rossa. Il raggiungimento di valori di velocità di corrosione inferiori a
1 mA/m2, per questo provino, coincide con un marcato cambio di pendenza della curva
che riporta, in scala logaritmica, l’andamento nel tempo della velocità di corrosione; in
effetti la curva si appiattisce significativamente e la derivata raggiunge valori trascurabili.
Il tempo in corrispondenza al quale la derivata raggiunge valori inferiori a una soglia
empirica fissata a -0.02 (mostrata sull’asse verticale di destra) è stato indicato come t1 ed
evidenziato con un cerchio nero nella figura. Si osserva, infine, in Figura 5.4a come la
velocità di corrosione sia continuata a diminuire, sia pure molto più lentamente, dopo i
tempi t1 e t2, raggiungendo solo dopo diverse settimane un valore di regime di 0.74
mA/m2, calcolato come media dei valori rilevati dopo i primi 30 giorni e indicato in
Figura 5.4a dalla linea tratteggiata verde.
La Figura 5.4b mostra un secondo esempio, relativo a una delle barre da 10 mm esposta a
pre-ossidazione per un anno (provino C-3, ripreso dalla Figura 4.24). In questo caso, il
tempo t1 corrispondente alla variazione della pendenza della curva è di circa 9 giorni,
mentre il tempo t2 a cui si raggiunge una velocità di corrosione inferiore a 1 mA/m2 è
significativamente maggiore (16 giorni). Inoltre, la velocità di corrosione a regime di
queste barre è di 0.94 mA/m2.
Considerando i due esempi appena descritti, per confrontare le condizioni di passivazione
delle barre nelle diverse condizioni superficiali si può fare riferimento ai tempi t1 e t2. Si
può, inoltre, definire un terzo parametro (t3) che individua il tempo in cui il potenziale di
corrosione ha raggiunto un valore superiore a -200 mV vs SCE. Infatti, con riferimento
alle parti b delle Figure 4.21-4.29, che riportano l’andamento nel tempo del potenziale di
corrosione misurato rispetto all’elettrodo di riferimento al calomelano saturo, si può

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individuare, per ogni singolo provino il tempo in cui il potenziale di corrosione supera
questa soglia.
La Figura 5.5 confronta i tempi t1, t2 e t3, per le barre da 10 mm (parte a) e da 18 mm
(parte b) nelle diverse condizioni superficiali (per ogni condizione sono riportati i tre
provini replicati). Si osserva come il criterio basato sul raggiungimento del potenziale di
corrosione superiore a -200 mV vs SCE sia stato raggiunto in un tempo (t3) compreso fra
5 e 8 giorni per quasi tutte le condizioni superficiali. Solo le barre sabbiate per entrambi i
diametri e le armature da 18 mm nella condizione C-1 hanno mostrato un tempo
maggiore (sino a 18 giorni). Questo parametro non sembra indicare la presenza di effetti
significativi della pre-ossidazione. Anche il criterio basato sulla derivata della curva della
velocità di corrosione porta a differenze di tempo (t1) modeste fra le barre nelle diverse
condizioni superficiali; tutte le barre sembrano raggiungere in tempi compresi fra 7 e 18
giorni una condizioni di velocità di corrosione sostanzialmente stabile che potrebbe essere
associata al raggiungimento delle condizioni di passività.
Viceversa, il criterio basato sul raggiungimento di una velocità di corrosione inferiore a 1
mA/m2 (quindi a circa 1 m/anno) mostra notevoli differenze fra le barre sabbiate e con
scaglia e quelle con pre-ossidazione. Per entrambi i diametri, il tempo t2 a cui si è
raggiunto 1 mA/m2 è paragonabile ai tempi t1 e t3 sia per le barre sabbiate sia per quelle
con scaglia di laminazione. Questa osservazione porta a ritenere che i tre criteri definiti in
precedenza, sia pure con piccole differenze, possano essere considerati equivalenti per
valutare il raggiungimento delle condizioni di passività. Nel caso delle barre sottoposte a
pre-ossidazione, invece, il tempo t3 è nettamente maggiore. Ad esempio le barre da 10
mm hanno raggiunto valori di velocità di corrosione inferiori a 1 mA/m2 solo dopo 14-26
giorni con pre-ossidazione di 6 mesi e di 16-59 giorni con pre-ossidazione di un anno.
Nel caso delle barre di diametro 18 mm con pre-ossidazione sia di 6 mesi sia di un anno,
questa condizione non è stata raggiunta nemmeno dopo più di due mesi di contatto con il
calcestruzzo. In effetti, le Figure 4.27-4.29 mostrano che la velocità di corrosione di
queste barre non è mai scesa sotto 1 mA/m2 durante tutto il periodo di prova.
Per valutare le differenze appena osservate, si può fare riferimento ai valori di velocità di
corrosione a cui si sono portate le armature durante il periodo di auto-essiccamento. La
Figura 5.6 riporta, per ciascun tipo di barra, la velocità di corrosione V1 misurata in
corrispondenza del tempo t1 e la velocità di corrosione V2 misurata a regime. Come già
osservato nel caso degli esempi di Figura 5.4, anche per tutte le altre tipologie di barre la
velocità di corrosione a regime raggiunge valori inferiori rispetto a quelli osservati al
tempo t1 (quando l’andamento della velocità di corrosione si stabilizza e la sua derivata
subisce una rapida diminuzione). Tuttavia, anche considerando i valori V2 a regime si
osserva come le armature pre-ossidate presentino valori di velocità di corrosione più
elevati delle barre sabbiate e con scaglia di laminazione. Nel caso delle barre da 10 mm le
velocità di corrosione sono comunque solo poco superiori a 1 mA/m2 anche con la pre-
ossidazione di un anno. Viceversa, con le barre da 18 mm, soprattutto nella condizione C-
1, si raggiungono valori di 4-8 mA/m2 che non possono essere ritenuti trascurabili.
Se questi ultimi valori di velocità di corrosione fossero “reali” si dovrebbe dedurre che la
pre-ossidazione può ostacolare la passivazione delle armature. In realtà, anche con
l’ausilio dei risultati presentati nei paragrafi seguenti si mostrerà come questo risultato sia
probabilmente dovuto a un limite della tecnica con cui è stata misurata la velocità di
corrosione (il metodo della polarizzazione lineare). Un primo elemento utile si può
ricavare dalla Figura 5.7 che confronta il potenziale di corrosione delle armature,
misurato sia al tempo t1 (E1) sia a regime durante l’auto-essiccamento (E2). È noto che
quando le armature si corrodono (e quindi non sono passive) a un aumento della velocità
di corrosione corrisponde una diminuzione del potenziale di corrosione [12]. La Figura

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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 91 di 112

5.7 mostra chiaramente che non c’è alcun effetto della pre-ossidazione sul potenziale di
corrosione delle armature; le armature pre-ossidate hanno potenziali di corrosione
paragonabili a quelle con scaglia di laminazione o sabbiate. Questi risultati sono, quindi,
in disaccordo con le elevate velocità di corrosione rilevate sulle barre pre-ossidate. Anche
i potenziali rilevati sulle armature immerse in soluzioni alcaline (Figure 4.36-4.38) non
hanno evidenziato differenze apprezzabili fra la barre con diverse condizioni superficiali.
5.2.2 Effetto dell’umidità
Per indagare ulteriormente sulle effettive condizioni di passività delle armature, si
possono considerare i risultati delle prove effettuate in diverse condizioni ambientali.
Dopo il periodo di auto-essiccamento, infatti, i provini sono stati esposti dapprima in un
ambiente relativamente asciutto con umidità relativa di 80% e poi sono stati immersi in
acqua (tutte le prove sono state effettuate alla temperatura costante di 20°C). Nel caso di
armature in condizioni di passività, la velocità di corrosione rimane trascurabile
indipendentemente dalle condizioni di umidità del calcestruzzo, mentre quando le
armature sono attive all’aumento dell’umidità del calcestruzzo corrispondono l’aumento
della velocità di corrosione dell’acciaio e la diminuzione del suo potenziale di corrosione.
Le Figure 5.8 e 5.9 confrontano i valori del potenziale di corrosione misurati a regime in
ogni condizione di esposizione, rispettivamente rispetto all’elettrodo interno di titanio
attivato (Ti) e all’elettrodo esterno al calomelano saturo (SCE). Per ogni tipologia di barra
e per ogni condizione ambientale sono riportati tre simboli che corrispondono ai tre
provini replicati (che mostrano sempre una buona riproducibilità dei risultati). Con
entrambi gli elettrodi di riferimento non si sono osservate variazioni significative di
potenziale di corrosione tra le barre con diverso stato superficiale. Le variazioni di
umidità hanno comportato modifiche analoghe su tutti i provini, attribuibili quindi a
effetti non correlati alla pre-ossidazione delle barre. Ad esempio i valori di potenziale
leggermente inferiori misurati su tutte le barre in condizioni di immersione (soprattutto
con l’elettrodo di titanio attivato) sono da attribuire a variazioni nel contenuto di ossigeno
nel calcestruzzo, mentre i valori leggermente più elevati osservati a 80% UR (soprattutto
con l’elettrodo esterno SCE) sono da attribuire a contributi di giunzione sulla superficie
asciutta del calcestruzzo. Pertanto le misure di potenziale, anche in condizioni di umidità
variabile, non evidenziano effetti negativi della pre-ossidazione.
La Figura 5.10 confronta la velocità di corrosione rilevata nelle diverse condizioni di
umidità. Come già osservato in precedenza per le condizioni di auto-essiccamento si
osserva un aumento della velocità di corrosione al crescere del tempo di pre-ossidazione,
con i valori più elevati rilevati sulle barre di diametro 18 mm nella condizione C-1.
Tuttavia, si osserva come le condizioni di umidità a cui sono stati esposti i provini non
abbiano alcun effetto significativo. Proprio sulle barre con pre-ossidazione che danno
velocità di corrosione superiori a 1 mA/m2 non si osserva alcun aumento della velocità di
corrosione passando dall’ambiente asciutto all’immersione in acqua. Questi risultati
supportano ulteriormente l’ipotesi che anche le armature con pre-ossidazione siano in
condizioni di passività.
I motivi per cui si sono rilevate velocità di corrosione elevate sulle armature con pre-
ossidazione possono essere ricondotti alla tecnica della resistenza di polarizzazione
utilizzata, come metodo non distruttivo, per stimare la velocità di corrosione. Alcuni
autori [35, 36] hanno mostrato che questa tecnica può fornire dei risultati non attendibili
e, in particolare, sovrastimare la velocità di corrosione, soprattutto quando questa è
piccola e all’interfaccia acciaio-calcestruzzo siano presenti degli effetti di tipo capacitivo
che deviano dall’andamento capacitivo ideale. Si può ipotizzare che la presenza di ossidi
pre-esistenti sulla superficie delle armature possa alterare la misura della resistenza di

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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 92 di 112

polarizzazione e, quindi, la conseguente stima della velocità di corrosione. A supporto di


questa ipotesi, in Figura 5.11 è stato tracciato l’andamento della velocità di corrosione in
funzione dei valori medio (Fig. 5.11a) e massimo (Fig. 5.11b) di spessore di ossido
stimati in Figura 5.3. Considerando sia il valore medio sia quello massimo, si osserva una
correlazione tra la velocità di corrosione stimata e lo spessore degli ossidi. Si osserva,
inoltre, come la stessa scaglia di laminazione porti a un aumento della velocità di
corrosione stimata rispetto a quella delle barre sabbiate. Si può quindi assumere che il
progressivo aumento dello spessore degli ossidi presenti sulla superficie delle armature,
nonostante queste possano essere passive, determini un aumento della velocità di
corrosione apparente rilevata con il metodo della resistenza di polarizzazione. Un simile
effetto degli ossidi presenti sulle barre è stato ipotizzato anche nel caso delle armature
ripassivate a seguito della rialcalinizzazione elettrochimica [37,38]. Naturalmente
sarebbero necessarie ulteriori prove per confermare queste ipotesi.
5.2.3 Effetto di una polarizzazione anodica
Un ulteriore studio sulle condizioni di passivazione delle armature è stato condotto
realizzando delle prove di polarizzazione potenziostatica. Queste prove elettrochimiche
hanno previsto l’imposizione, attraverso un potenziostato, di un potenziale di +200 mV vs
SCE alle armature per 24 ore e la misura della densità di corrente richiesta per mantenere
questo potenziale (ipol). Le prove sono state eseguite sia al termine del periodo di auto-
essiccamento, sia durante la fase di immersione dei provini. Come mostrato nelle Figure
4.30-4.33, in seguito all’applicazione del potenziale di +200 mV vs SCE la densità di
corrente di polarizzazione subisce un transitorio e poi si assesta su un valore di regime. I
valori di regime di ipol sono mostrati in Figura 5.12; si osserva come per tutte le tipologie
di condizioni superficiali e per entrambe le prove di polarizzazione, la densità di corrente
di polarizzazione abbia valori trascurabili, inferiori a 1 mA/m2. Non si osservano, inoltre,
apprezzabili differenze tra le armature sabbiate, con scaglia di laminazione o pre-ossidate.
Questo emerge anche dall’analisi della Figura 5.13, nella quale gli stessi dati sono stati
tracciati in funzione dello spessore medio (Fig. 5.13a) e massimo (Fig. 5.13b) degli
ossidi.
Per comprendere il significato di questi risultati, si può fare riferimento alla Figura 5.14
che mostra schematicamente la situazione che si genera in seguito alla prova di
polarizzazione su armature in condizioni di passività (a) e attività (b). Ecorr rappresenta il
potenziale di corrosione delle armature, icorr la velocità di corrosione (espressa come
densità di corrente di corrosione in mA/m2 e stimata, in questo lavoro, con il metodo della
resistenza di polarizzazione) e ipol la densità di corrente di polarizzazione quando viene
applicato il potenziale di +200 mV vs SCE. Si osserva in Figura 5.14a come le condizioni
di passività siano caratterizzate da bassi valori sia di icorr sia di ipol (e, come già osservato
in precedenza, elevati valori di Ecorr). Viceversa, la Figura 5.14b evidenzia come le
condizioni di attività siano caratterizzate da elevati valori di icorr e ipol (e bassi valori di
Ecorr). Inoltre, si osserva dalla Figura 5.14b che, in condizioni di attività in seguito ad una
polarizzazione potenziostatica, si misura una ipol molto maggiore di icorr. La Figura 5.15
traccia insieme i risultati delle prove di corrosione libera (Ecorr vs icorr) e delle prove di
polarizzazione potenziostatica (+200 mV vs ipol). Il confronto della Figura 5.15 con la
Figura 5.14 mette chiaramente in luce l’anomalia degli elevati valori di icorr determinati
sulle armature con pre-ossidazione; i valori superiori a 1 mA/m2 rilevati soprattutto sulle
barre da 18 mm esposte per 1 anno non trovano riscontro nei valori di ipol che restano
sempre minori di 1 mA/m2 e, come già evidenziato in Figura 5.13, non hanno alcuna
correlazione con gli ossidi presenti.
L’insieme di tutte le prove elettrochimiche effettuate sui provini di calcestruzzo consente,
quindi, di sostenere che, anche in presenza di pre-ossidazione elevata con spessori di

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ossido fino a 200 m, le armature sono in grado di passivarsi in calcestruzzo alcalino e
non contaminato da cloruri. L’aumento della densità di corrente di corrosione rilevato con
la tecnica della resistenza di polarizzazione (Rp) all’aumentare dello spessore di ossidi
presenti sulla superficie delle barre è da ricondurre agli effetti di questi ossidi sulla misura
stessa che portano a rilevare valori apparenti di Rp (e quindi di icorr) non corrispondenti
alle effettive condizioni elettrochimiche delle armature.

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Figura 5.1 – Confronto dell’aspetto visivo della superficie e degli ossidi osservati al
SEM sulle barre di diametro 10 mm.

Figura 5.2 – Confronto dell’aspetto visivo della superficie e degli ossidi osservati al
SEM sulle barre di diametro 18 mm.

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200

150
Spessore stimato (m)

100

50

0
Sabbiato Scaglia 6 mesi 1 anno

(a)

200

150
Spessore stimato (m)

100

50

0
Sabbiato Scaglia 6 mesi 1 anno (C-2) 1 anno (C-1)

(b)
Figura 5.3 – Stima dello spessore di ossidi in funzione delle condizioni di conservazione
delle barre: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.

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100 0.1
Vcorr P-d 1 mA
Vm deriv 0.05

Velocità di corrosione (mA/m2)


0
10

d(log(Vcorr))
-0.05

-0.1

-0.15
1
-0.2

-0.25

0.1 -0.3
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70
Tempo (giorni)

(a)
100 0.1
Vcorr P-d 1 mA
Vm deriv 0.05
Velocità di corrosione (mA/m2)

0
10

d(log(Vcorr))
-0.05

-0.1

-0.15
1
-0.2

-0.25

0.1 -0.3
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70
Tempo (giorni)

(b)
Figura 5.4 – Esempi di analisi degli andamenti nel tempo della velocità di corrosione
stimata con il metodo della resistenza di polarizzazione (provini: A1-1 (a) e C-3 (b))
durante il periodo di esposizione in condizioni di auto-essiccamento, per la stima del
tempo t1 in cui la derivata del logaritmo della velocità di corrosione diviene trascurabile
(cerchio nero), del tempo t2 a cui si raggiunge una velocità di corrosione inferiore a 1
mA/m2 (croce rossa) e del valore medio a regime della velocità di corrosione (linea
tratteggiata verde).

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65
60
55
50
45 t1
40 t2
Tempo (giorni)

35 t3
30
25
20
15
10
5
0
A1-1

A1-2

A1-3

A2-1

A2-2

A2-3

B-1

B-2

B-3

C-1

C-2

C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno

(a)

70
65
60
55
50 t1
45 t2
Tempo (giorni)

40
t3
35
30
25
20
15
10
5
0
A1-2

A1-3

A1-4

A2-2

A2-3

A2-4

C1-2

C1-3

C1-4

C2-2

C2-3

C2-4
B-2

B-3

B-4

A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.5 – Stima del “tempo di passivazione” valutato come: t1 = tempo in
corrispondenza del quale la derivata del logaritmo della velocità di corrosione diviene
trascurabile; t2 = tempo in corrispondenza del quale la velocità di corrosione scende sotto
1 mA/m2; t3 = tempo in corrispondenza del quale il potenziale di corrosione raggiunge
valori più positivi di -200 mV vs SCE: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.

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10

Velocità di corrosione (mA/m2)


V1

V2
1

0.1
A1-1

A1-2

A1-3

A2-1

A2-2

A2-3

B-1

B-2

B-3

C-1

C-2

C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno

(a)

10
Velocità di corrosione (mA/m2)

V1

V2
1

0.1
A1-2

A1-3

A1-4

A2-2

A2-3

A2-4

C1-2

C1-3

C1-4

C2-2

C2-3

C2-4
B-2

B-3

B-4

A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.6 – Confronto della velocità di corrosione misurata in corrispondenza del tempo
t1 definito in Figura 5.4 (V1) e del valore a regime della velocità di corrosione nel periodo
di esposizione in condizioni di auto-essiccamento (V2): (a) barre da 10 mm, (b) barre da
18 mm.

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100

Potenziale di corrosione (mV vs SCE)


0

E1
-100

E2
-200

-300

-400

-500
A1-1

A1-2

A1-3

A2-1

A2-2

A2-3

B-1

B-2

B-3

C-1

C-2

C-3
A1 A2 B C
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno

(a)

100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

E1
-100

E2
-200

-300

-400

-500
A1-2

A1-3

A1-4

A2-2

A2-3

A2-4

C1-2

C1-3

C1-4

C2-2

C2-3

C2-4
B-2

B-3

B-4

A1 A2 B C/1 C/2
come ricevute sabbiate 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.7 – Confronto del potenziale di corrosione misurato in corrispondenza del
tempo t1 definito in Figura 5.4 (E1) e del valore a regime del potenziale di corrosione nel
periodo di esposizione in condizioni di auto-essiccamento (E2): (a) barre da 10 mm, (b)
barre da 18 mm.

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200

100
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

-100

-200

-300
autoess.

-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno

(a)

200

100
Potenziale di corrosione (mV vs Ti)

-100

-200

-300
autoess.

-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.8 – Confronto del valore a regime del potenziale di corrosione Ecorr (misurato
rispetto all’elettrodo interno di titanio attivato) nei vari ambienti, in funzione delle
condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.

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200

100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

-100

-200

-300
autoess.

-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno

(a)

200

100
Potenziale di corrosione (mV vs SCE)

-100

-200

-300
autoess.

-400 80%U.R.
Immerso
-500
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)

Figura 5.9 – Confronto del valore a regime del potenziale di corrosione Ecorr (misurato
rispetto all’elettrodo esterno al calomelano saturo, SCE) nei vari ambienti, in funzione
delle condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18
mm.

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10

Velocità di corrosione (mA/m2)

autoess.
80%U.R.
Immerso
0.1
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno

(a)

10
Velocità di corrosione (mA/m2)

autoess.
80%U.R.
Immerso
0.1
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.10 – Confronto del valore a regime della velocità di corrosione icorr (stimata con
il metodo della resistenza di polarizzazione) nei vari ambienti, in funzione delle
condizioni superficiali delle barre d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.

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10

Velocità di corrosione (mA/m2)

1
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
Provini immersi 18 mm - 1 anno (C-2)
0.1
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
Spessore medio ossidi (m)

(a)
10
Velocità di corrosione (mA/m2)

1
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
Provini immersi 18 mm - 1 anno (C-2)
0.1
0 50 100 150 200 250
Spessore massimo ossidi (m)

(b)
Figura 5.11 – Correlazione fra la velocità di corrosione icorr (stimata con il metodo della
resistenza di polarizzazione) nella condizione di immersione e la stima dello spessore
medio rappresentativo (a) e massimo (b) degli ossidi.

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10
dopo
autoess.
Densità di corrente (mA/m2) Immerso

0.1

0.01
A2 A1 B C
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno

(a)

10
dopo
autoess.
Densità di corrente (mA/m2)

Immerso

0.1

0.01
A2 A1 B C/1 C/2
Sabbiate Scaglia 6 mesi 1 anno 1 anno

(b)
Figura 5.12 – Confronto del valore a regime della densità di corrente ipol nelle prove di
polarizzazione potenziostatica a +200 mV vs SCE (valore medio delle rilevazioni
effettuate tra 20 e 24 ore) realizzate al termine del periodo di auto-essiccamento e nel
periodo di immersione dei provini, in funzione delle condizioni superficiali delle barre
d’armatura: (a) barre da 10 mm, (b) barre da 18 mm.

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10

Densità di corrente (mA/m2)

0.1
10 mm - Sabbiato 10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi 10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato 18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi 18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
0.01
0 50 100
Spessore medio ossidi (m)

(a)
10
Densità di corrente (mA/m2)

0.1
10 mm - Sabbiato 10 mm - Scaglia
10 mm - 6 mesi 10 mm - 1 anno
18mm - Sabbiato 18 mm - Scaglia
18 mm - 6 mesi 18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
0.01
0 50 100 150 200 250
Spessore massimo ossidi (m)

(b)
Figura 5.13 – Correlazione fra il valore a regime della densità di corrente ipol nelle prove
di polarizzazione potenziostatica a +200 mV vs SCE (valore medio delle rilevazioni
effettuate tra 20 e 24 ore) realizzate nel periodo di immersione dei provini e la stima dello
spessore medio rappresentativo (a) e massimo (b) degli ossidi.

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Studio della passivazione nel calcestruzzo delle armature con pre-ossidazione pag. 106 di 112

Figura 5.14 – Andamento schematico delle curve di polarizzazione di armature passive


(a) e attive (b) con evidenziazione del potenziale di corrosione (Ecorr), della velocità di
corrosione (icorr) e della corrente di polarizzazione a +200 mV (ipol).

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300
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
Potenziale (mV vs SCE) 200 10 mm - 6 mesi
10 mm - 1 anno
100 18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia

0 18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
-100

-200

-300
0.1 1 10
Densità di corrente (mA/m2)

(a)
300
10 mm - Sabbiato
10 mm - Scaglia
200 10 mm - 6 mesi
Potenziale (mV vs SCE)

10 mm - 1 anno
100 18mm - Sabbiato
18 mm - Scaglia

0 18 mm - 6 mesi
18 mm - 1 anno (C-1)
18 mm - 1 anno (C-2)
-100

-200

-300
0.1 1 10
Densità di corrente (mA/m2)

(b)
Figura 5.15 – Confronto del legame tra potenziale e densità di corrente rilevato sulle
armature nelle diverse condizioni superficiali sia durante le prove di polarizzazione
potenziostatica a +200 mV vs SCE (i valori di potenziale nel grafico sono stati
leggermente modificati per poter distinguere i simboli relativi alle barre da 10 mm e da 18
mm) sia con le misure in condizioni di corrosione libera: (a) provini in condizioni di auto-
essiccamento, (b) provini immersi.

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Conclusioni

In questa ricerca si è studiato l’effetto della pre-ossidazione delle barre d’armatura sulla
loro resistenza alla corrosione nel calcestruzzo. Attraverso un’ampia ricerca bibliografica
si è analizzato lo stato dell’arte. In generale, è emerso, da studi compiuti in un arco di
tempo molto ampio, che lo stato di ossidazione superficiale delle armature generatosi
prima che siano introdotte nel calcestruzzo non ha effetti deleteri sull’aderenza al
calcestruzzo, almeno se gli ossidi sono aderenti e le armature sono nervate. Viceversa, per
quanto concerne gli effetti sulla resistenza alla corrosione, in letteratura sono disponibili
studi che giungono a conclusioni contrastanti. Molti autori sostengono che, almeno in
assenza di cloruri (quindi quando l’esposizione atmosferica delle barre avviene lontano
dalle coste marine), le armature siano in grado di passivarsi anche attraverso lo strato
superficiale di ossidi che già le ricopre. Diversi autori, invece, sostengono che le armature
non siano in grado di raggiungere condizioni di passività; questo risultato potrebbe essere
ricondotto alla presenza di cloruri nella ruggine (non dichiarati ufficialmente nella
pubblicazione) che potrebbero avere effetti negativi sulla passivazione, ma alcuni autori
giungono a questa conclusione anche dichiarando l’assenza di contaminazione da cloruri.
Per quanto riguarda l’innesco della corrosione dovuta alla penetrazione di cloruri nel
calcestruzzo durante la vita di servizio, c’è una prevalenza di studi che sostiene un ruolo
negativo della pre-ossidazione; tuttavia c’è anche un numero significativo di studi che
non evidenzia alcun ruolo o, persino, ipotizza un effetto positivo della pre-ossidazione. I
motivi dei diversi punti di vista, spesso, sono però da ricondurre alle differenze nelle
metodologie di prova utilizzate dai vari autori e all’uso di prove accelerate che potrebbero
non essere rappresentative delle situazioni reali.
Le prove sperimentali condotte nell’ambito di questa ricerca hanno permesso di valutare
l’effettiva possibilità delle armature di passivarsi in condizioni analoghe a quelle reali
delle strutture in calcestruzzo armato. Si sono studiate barre d’armatura di diametro 10
mm e 18 mm esposte per 6 mesi e 1 anno all’aperto e in assenza di contaminazione da
cloruri, confrontate con barre di recente produzione (ricoperte da scaglia di laminazione)
e sabbiate.
La caratterizzazione dello stato superficiale delle barre, ha mostrato che la scaglia di
laminazione presente sulle barre di nuova produzione, pur apparendo di colore grigio
scuro e compatta all’osservazione visiva, in realtà non è sempre aderente ed è
notevolmente fessurata; il suo spessore è dell’ordine di 5-25 m. L’esposizione
atmosferica delle barre ha portato alla formazione sulla loro superficie di ossidi di colore
rosso-bruno, di estensione superficiale e di spessore crescenti in funzione del tempo di
esposizione. Dopo un anno di conservazione all’aperto si sono rilevati spessori massimi
di ossidi di circa 100 m sulle barre da 10 mm e di circa 200 m su quelle da 18 mm.
L’analisi della composizione degli ossidi ha rilevato i tipici prodotti della corrosione
atmosferica del ferro (akaganeite, lepidocrocite, goethite) che inglobano ancora porzioni
di magnetite proveniente dalla scaglia.
Nel caso delle barre di diametro 18 mm esposte per un anno si sono individuate,
all’interno dello stesso fascio, barre con estensione degli ossidi notevolmente diversa, a
causa delle diverse condizioni microclimatiche prodotte all’interno del fascio stesso (si è
ipotizzato che le barre più interne del fascio siano state maggiormente protette rispetto a
quelle più esterne). Si è, inoltre, osservato come la sola osservazione visiva, che fa
affidamento sulla variazione di colore da grigio scuro della scaglia a rosso-bruno degli

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ossidi prodotti dall’esposizione atmosferica, non è rappresentativa dell’effettivo grado di


corrosione della superficie dell’acciaio. Nelle armature su cui, in base all’osservazione
visiva, si era individuata una situazione di pre-ossidazione più estesa, attraverso l’analisi
delle sezioni metallografiche si sono osservati spessori di ossidi minori rispetto a quelle
che visivamente presentavano una minore quantità di ossidi di colore rosso-bruno.
Probabilmente questo risultato è la conseguenza del fatto che nelle zone in cui l’attacco
non è esteso a tutta la superficie, la penetrazione della corrosione tende a essere maggiore
rispetto a dove si distribuisce più uniformemente.
L’effetto delle condizioni superficiali delle armature sulla loro capacità di passivarsi è
stato studiato inglobando le barre in provini di calcestruzzo confezionato con un cemento
portland al calcare e rapporto acqua/cemento di 0.5. I provini sono stati mantenuti per un
massimo di circa un anno a 23°C in diverse condizioni di umidità (auto-essiccamento,
ambiente a 80% di umidità relativa e immersione in acqua) e le condizioni di corrosione
dell’acciaio sono state valutate nel tempo con diversi metodi elettrochimici (potenziale di
corrosione, velocità di corrosione, prove di polarizzazione potenziostatica).
L’insieme di tutte le prove elettrochimiche effettuate consente di sostenere che, anche in
presenza di pre-ossidazione con spessori di ossido fino a 200 m, le armature sono in
grado di passivarsi in calcestruzzo alcalino e non contaminato da cloruri. Le misure di
potenziale di corrosione e le prove di polarizzazione potenziostatica hanno, infatti,
mostrato in tutte le condizioni di umidità un comportamento analogo per le barre
sabbiate, con scaglia e con diversi gradi di pre-ossidazione. Come tipicamente avviene
per le condizioni di passività, tutte le barre hanno mostrato potenziali di corrosione
elevati (superiori a -200 mV vs SCE) e indipendenti dalle condizioni di umidità del
calcestruzzo. Analogamente, le prove di polarizzazione potenziostatica hanno mostrato
che anche a un potenziale molto elevato di +200 mV vs SCE, la densità di corrente di
polarizzazione è trascurabile (inferiore a 1 mA/m2). Solo le misure di velocità di
corrosione hanno fornito valori crescenti in funzione dello spessore di ossidi che ricopre
le armature e, nel caso delle barre di diametro 18 mm pre-ossidate per un anno, si sono
raggiunti valori elevati di 4-8 mA/m2 che non possono essere ritenuti trascurabili. Si è,
tuttavia, dimostrato come questi valori non siano reali, anche perché indipendenti dalle
condizioni di umidità del calcestruzzo. L’aumento della velocità di corrosione
all’aumentare dello spessore di ossidi sulla superficie delle barre è da ricondurre agli
effetti degli ossidi stessi sulla misura che portano a rilevare valori apparenti di velocità di
corrosione non corrispondenti alle effettive condizioni elettrochimiche delle armature.
Anche le prove effettuate in soluzioni alcaline simulanti il liquido presente nei pori del
calcestruzzo non hanno evidenziato effetti della pre-ossidazione sul comportamento
elettrochimico delle barre d’armatura. Dalla sperimentazione effettuata non emergono,
quindi, significative differenze tra le condizioni di prova, mostrando come la pre-
ossidazione presente sui materiali non sia pregiudizievole alla passivazione delle barre nel
calcestruzzo.

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