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Università degli Studi Modena e Reggio Emilia

Corso di laurea in Ingegneria dei Materiali

Miglioramento prestazionale di
componenti metallici per
il settore alimentare

Candidato: Daniele GERARDI

Relatore: Chiar.mo Prof. Giorgio POLI

Correlatori: Dott. Roberto GIOVANARDI


Dott. Ing. Ramona SOLA

Correlatori esterni: Ing. Alice Nevi (Storci S.p.A.)

Anno Accademico 2008/2009


1. INDICE

1. INDICE .................................................................................................................................. 2

2. INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI ...................................................................... 4

3. CARATTERISTICHE DELL’IMPIANTO STUDIATO .................................................. 6


3.1. VITI DI ESTRUSIONE ALIMENTARE......................................................................... 6
3.2. BOCCHETTA DI CADUTA IMPASTO DALLA VASCA ALL’ESTRUSORE........... 8
3.3. RAPPORTO VOLUMI PRIMA / ULTIMA SPIRA ........................................................ 8
2.4. RIGATURE NEL CILINDRO E LORO IMPORTANZA............................................. 11
2.5. CILINDRO, TESTATA E LORO TERMOSTATAZIONE .......................................... 12

3. IL CONCETTO DI ALIMENTARIETA’ E GLI ACCIAI UTILIZZATI NEL


SETTORE ALIMENTARE ....................................................................................................... 13

4. TRATTAMENTI SULLA VITE: DALLA TEMPRA AD INDUZIONE ...................... 16

5. I MATERIALI ..................................................................................................................... 18
5.2. Gli acciai inossidabili ......................................................................................................... 20

6. TECNICHE SPERIMENTALI .......................................................................................... 22


6.1. ANALISI CHIMICHE ................................................................................................... 22
6.2. ANALISI MICROSCOPICHE ....................................................................................... 23
6.2.1. Analisi superficiale .................................................................................................. 24
6.2.2. Analisi in sezione .................................................................................................... 24
6.3. MICRODUREZZA E PROFILI ..................................................................................... 27
6.4. PROVE TRIBOLOGICHE............................................................................................. 29
6.5. PROVE DI CORROSIONE .......................................................................................... 31
6.5.1. PROVE DI CORROSIONE IN CELLA ELETTROCHIMICA ............................. 32
6.5.1.1. La cella elettrochimica......................................................................................... 32
6.5.1.2. La corrosione negli acciai inossidabili ................................................................ 34
6.5.1.3. Le curve di polarizzazione per acciai inox .......................................................... 35

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6.5.1.4. Le curve di polarizzazione per acciai al carbonio: analisi di Tafel ..................... 37
6.5.1.5. Le soluzioni di prova ........................................................................................... 39
6.5.2. PROVE DI CESSIONE IN ACIDO ACETICO ..................................................... 40

7. RISULTATI SPERIMENTALI E DISCUSSIONE ......................................................... 43


7.1. Acciaio al carbonio 1 ...................................................................................................... 43
7.1.1. Analisi chimiche ...................................................................................................... 43
7.1.2. Microscopie ottiche ................................................................................................. 45
7.1.3. Microdurezza Vickers e profilo............................................................................... 51
7.1.4. Prove tribologiche ................................................................................................... 54
7.1.5. Prove di corrosione.................................................................................................. 71

8. CONCLUSIONI .................................................................................................................. 83

9. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................. 85

10. RINGRAZIAMENTI .......................................................................................................... 86

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2. INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI

Per porsi in condizioni di vantaggio rispetto alla concorrenza, oggigiorno le industrie


concentrano la maggior parte dei loro sforzi nel miglioramento tecnologico e prestazionale dei
loro prodotti. In questo ambito risulta determinante il comportamento in esercizio della
superficie, essendo essa intesa come luogo di separazione e di comunicazione del prodotto con
l’ambiente esterno. Per molte applicazioni, migliorare le proprietà del bulk, oltre ad essere
oneroso, non è neppure sufficiente o necessario, in altri casi invece, possono essere richieste
proprietà diverse tra superficie e bulk.
Scopo di questo lavoro è il miglioramento a usura e a corrosione, attraverso trattamenti
superficiali, di un gruppo di compressione per l’estrusione di pasta alimentare.
Questo lavoro nasce dalla collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e
dell’Ambiente dell’Università di Modena e Reggio Emilia con la Storci S.p.A., leader mondiale
nella produzione di macchine per la pasta.
Nel settore alimentare di fondamentale importanza risulta l’igiene degli impianti e dei materiali
a contatto diretto e prolungato con gli alimenti.
Un materiale che soddisfi i requisiti di igienicità da normativa deve garantire:
— buona resistenza alla corrosione, intesa come inerzia chimica nei confronti delle sostanze
alimentari. Una buona resistenza a corrosione è richiesta per evitare la cessione da parte dei
materiali di elementi tali da modificare le caratteristiche organolettiche dell’alimento o alterarne
le proprietà tossicologiche, per garantire una buona resistenza all'azione di additivi, di
detergenti, di sanificanti utilizzate nelle operazioni di pulizia
— compattezza superficiale: la superficie deve essere priva di porosità; la porosità infatti
rappresenta un notevole ostacolo alla pulizia della superficie e può indurre la proliferazione di
batteri
— buona resistenza agli urti, all’usura e alle sollecitazioni termiche: è necessario che il materiale
non si comprometta disperdendo i propri componenti durante il contatto con gli alimenti
— elevata rimovibilità batterica, su qualunque superficie per tutta la vita in esercizio
dell’impianto

In particolare, in questo lavoro è stata posta l’attenzione al miglioramento della resistenza a


usura e a corrosione della vite di estrusione. Tale obiettivo è perseguibile migliorando le
proprietà della superficie attraverso:

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 Trattamenti termochimici di diffusione:
Carbocementazione, ovvero diffusione di Carbonio nell’acciaio,
Carbonitrurazione, ovvero diffusione di Carbonio e Azoto nell’acciaio,
Nitrurazione, ovvero diffusione di Azoto nell’acciaio, con formazione di nitruri,
Nitrocarburazione, ovvero diffusione di Carbonio e Azoto nell’acciaio, ma a
temperature minori,
Altri, come borurazione, cromizzazione, alluminizzazione,
 Realizzando opportuni rivestimenti superficiali

In questa ricerca sperimentale si partirà dallo stato dell’arte in questi ambiti, e verranno quindi
valutate resistenza a usura e a corrosione di tre tipi di materiali: l’acciaio AISI 420 (materiale
attualmente utilizzato per la costruzione della vite di estrusione) trattato attraverso la tempra ad
induzione, un trattamento termico di indurimento superficiale per riscaldamento a elevate
temperature e successivo raffreddamento rapido, e di due acciai al carbonio, uno dei quali è
utilizzato per la costruzione del cilindro di compressione, mentre l’altro era utilizzato in passato
per la vite, dopo essere sottoposto al trattamento di rivestimento superficiale di cromo.

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PARTE TEORICA

3. CARATTERISTICHE DELL’IMPIANTO STUDIATO

Il gruppo di compressione oggetto di questo studio lavora una miscela di acqua e semola,
miscelata ed estrusa attraverso una vite in acciaio inox AISI 420, all’interno di una camicia in
acciaio C40.
Tra la vite ed il cilindro c’è un gioco molto ridotto, e per un corretto funzionamento
dell’impianto è necessario che la vite ruoti sempre sul proprio asse e che resti inalterato il gioco
inizialmente progettato tra vite e camicia. A questo scopo risulta indispensabile incrementare la
resistenza a usura dei costituenti il gruppo di compressione, infatti un eccessivo gioco tra camicia
e vite è causa di reflusso di materiale durante l’estrusione e di una diminuzione della produttività
dell’impianto.
La semola, debolmente acida, risulta particolarmente abrasiva nei confronti dei due organi e col
tempo, quindi, è causa di usura, aumentando così il gioco tra vite e cilindro. Il cilindro presenta
rigature e scanalature superficiali, per evitare che l’impasto ruoti solidale alla vite e non
procedendo verso la testa di estrusione, oltre che non miscelandosi omogeneamente.
Per le suddette operazioni di igienicità dell’impianto e per evitare di contaminare gli impasti con
residui di altri impasti, sono predisposti periodiche azioni di pulizia dell’impianto eseguite con
sostanze chimiche aggressive (ad esempio il perclorito di sodio).
Per la durabilità dell’impianto e per la qualità del prodotto alimentare risulta di fondamentale
importanza incrementare le prestazioni dei materiali di costruzione a usura e a corrosione.
La velocità di rotazione della vite in esame è di 30rpm (1 rivoluzione ogni 2 secondi). La spira si
compone di 12 avvolgimenti.

3.1. VITI DI ESTRUSIONE ALIMENTARE

Ogni vite di estrusione alimentare è costituita da alcuni componenti fondamentali:


 Vasca impastatrice
 Bocchetta di alimentazione
 Cilindro
 Vite

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Fig. 1: Panoramica della vasca impastatrice

Fig. 2: Bocchetta rettangolare di caduta impasto. Primo piano: le pale di pre-misclelazione. Sfondo: parte
della vite di compressione.

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3.2. BOCCHETTA DI CADUTA IMPASTO DALLA VASCA
ALL’ESTRUSORE

In fase di progettazione occorre prestare particolare attenzione alla posizione della bocchetta di
alimentazione rispetto alla vite di compressione e alla vasca impastatrice. Una eccessiva, infatti,
distanza fra i due organi può causare la formazione di punti morti in cui l’impasto si può
fermare, riducendo il passaggio di alimentazione della vite.
La posizione ideale della bocchetta, che si può osservare in figura 1, si ricava proprio
nell’intersezione tra il semicilindro che costituisce la vasca impastatrice e il cilindro sottostante,
ovvero la camicia che contiene la vite. L’intersezione deve essere tale da ottenere una bocchetta
di alimentazione vite di larghezza inferiore al diametro della vite stessa. In questo modo si evita
la formazione di punti morti assicurando una buona alimentazione alla vite.

3.3. RAPPORTO VOLUMI PRIMA / ULTIMA SPIRA

Nel seguito si analizzano due configurazioni della vite con cui si puo incrementare il rendimento
del sistema di compressione. Per ottenere questo incremento è necessario variare il volume lungo
la vite, e questo può essere fatto in due modi diversi:
1. Aumentando il diametro del nocciolo della vite
2. Riducendo il passo delle spire della vite

a) 1° configurazione

Fig. 3: Parti fondamentali di cui è composta la vite: zona di carico (1), zona con progressiva riduzione del
volume (2), zona terminale a volume costante (3)

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In figura 2 è rappresentata una vite di compressione di ultima generazione. Essa è divisa in 3
zone: zona di carico con volume maggiorato (1), la zona centrale con progressiva riduzione del
volume delle spire (2) e zona finale a volume costante (3).
Per la riduzione del volume è stato progressivamente aumentato il diametro del nocciolo della
vite: procedendo dalla zona 1 alla 3 il passo delle spire rimane costante, aumenta invece il
diametro dell’asse centrale ed il fondo della spira è più arrotondato.
Viti di compressione costruite con questi criteri generalmente garantiscono rispetto alle viti
tradizionali a volume costante un rendimento più elevato, a parità di diametro, di circa il 10 – 12
%.
Di rilevanza non trascurabile è anche il rapporto fra la lunghezza totale della parte utile ed il
diametro della vite. Questo rapporto si colloca fra 7,5 e 8,5 a seconda dei costruttori.
Solitamente in fase di progettazione di una vite di estrusione ad elevato rendimento ci si attiene
ai seguenti parametri:
 Rapporto volumi prima spira/ultima spira
R = 1,26 ÷ 1,00
 Rapporto diametro/lunghezza utile della vite
R = 7,5

Nelle seguenti figure sono rappresentati in dettaglio le variazioni di volume che sono presenti
nella vite:
 Nella prima spira il volume è maggiorato al 126%;
 Nell’ultima spira il volume è del 100%;
 Nella spira che costituisce il miscelatore finale il volume è maggiorato al 160%

Fig. 4: a) Miscelatore finale, b) Ultima spira, c) 1a spira

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b) 2° configurazione

Fig. 5: Vite di estrusione, suddivisa in 2 aree: 1) zona a volume maggiorato, 2) zona a volume ridotto

In figura 5 è rappresentata una vite di compressione di ultima generazione, con riduzione


progressivo del passo delle spire dalla zona di carico, che è a volume maggiorato, fino alla zona
finale a volume costante. In questo caso il criterio utilizzato per la riduzione di volume è quello
dell’accorciamento del passo. Si tratta un sistema più sofisticato del precedente, realizzabile solo
grazie a macchine utensili a controllo numerico.
Con questa soluzione si ha un aumento di rendimento a parità di diametro di circa il 15 %,
rispetto alle viti tradizionali a volume costante. Inoltre la progressiva riduzione del volume
obbliga il prodotto ad un cambiamento di forma che facilita la gramolazione e la compressione
attraverso lo scorrimento reciproco tra le particelle di impasto. In questo modo si aumenta il
peso specifico da 0.75 kg/dm3 a 1,27 kg/dm3.
Questa tecnologia si chiama low shear technology la cui caratteristica principale è la non
alterazione delle proprietà dell’alimento, poiché il ridotto sforzo di taglio imposto all’impasto
non causa pericolosi incrementi di temperatura.
Il rapporto fra la lunghezza totale della parte utile della vite ed il suo diametro si colloca a 7,5
volte il diametro. Una vite troppo lunga snerva il prodotto facendo decadere la qualità, una vite
troppo corta ha difficoltà di estrusione e di gramolazione per cui rimangono dei punti bianchi.
Inoltre il prodotto esce dalla trafila con un comportamento di tipo pulsato.
La parte terminale della vite ha il compito di uniformare la temperatura della pasta. Non bisogna
dimenticare che l’impasto vicino alla superficie del cilindro è più freddo per effetto del
raffreddamento del cilindro, mentre quello a contatto con la vite è più caldo per effetto
dell’attrito fra vite ed impasto.

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2.4. RIGATURE NEL CILINDRO E LORO IMPORTANZA

Fig. 6: Sezione del sistema di compressione

Le rigature del cilindro svolgono un’azione di fondamentale importanza per il corretto


funzionamento del gruppo di compressione, infatti la loro presenza ha molteplici effetti:
- Aumento dell’attrito del cilindro
- Ancoraggio del prodotto
- Azione di gramolazione

Diversamente dalla superficie della vite, liscia e levigata, il cilindro presenta una superficie
grezza per incrementare lo sviluppo di attrito, grazie anche alle rigature, solitamente di forma
rettangolare, realizzate lungo tutta la circonferenza del cilindro.
Il loro numero e frequenza aumenta con l’aumentare del diametro del cilindro.
Lo scopo fondamentale delle rigature è quello di consentire l’avanzamento del prodotto, infatti
se l’attrito sulla superficie del cilindro fosse uguale o minore di quello della vite, il prodotto non
potrebbe avanzare al suo interno, poiché ruoterebbe solidale con la vite.
Il secondo scopo è quello di ottenere l’effetto di gramolazione, ovvero una miscelazione
dell’impasto paragonabile a una lavorazione di tipo manuale; questo è ottenibile solo nel
momento in cui parte dell’ impasto si incastra nelle rigature, inducendo così la rimanente parte
del prodotto a scorrere su se stesso, miscelandosi man mano che avanza.
E’ importante dunque tenere pulite ed efficienti le rigature, effettuando delle periodiche
manutenzioni.

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Inizialmente il gioco fra cilindro e vite di compressione è di pochi decimi di millimetro; con
l’usura questo gioco aumenta e diminuisce anche l’efficacia ed efficienza delle rigature. Quando
questa distanza arriva ad un massimo di 1,25 – 1,5 mm è necessario sostituire sia la vite che il
cilindro.

2.5. CILINDRO, TESTATA E LORO TERMOSTATAZIONE

Fig. 7: Schema di un tipico circuito di termostatazione, della testata (1) e del cilindro (2)

Il cilindro è costantemente raffreddato per assicurarne il corretto funzionamento. Un cilindro


non raffreddato dopo breve tempo non è più in grado di estrudere il prodotto, in quanto
l’aumento di temperatura rende la pasta al suo interno così fluida da girare solidale alla vite,
diminuendo notevolmente la produttività. Una buona temperatura di lavoro del cilindro oscilla
fra i 28 ed i 32 °C.
Per la qualità del prodotto risulta di fondamentale importanza la temperatura di estrusione, infatti
temperature troppo alte altererebbero le proprietà nutrizionali ed organolettiche dell’alimento.
Per tale motivo si effettuano ripetutamente controlli di temperatura sulla testata porta trafila.
Attualmente gli impianti più moderni e sofisticati sono provvisti di un circuito di termostatazione
per il controllo della temperatura di estrusione analoghi ai sistemi applicati al cilindro.
Lo schema rappresentato in figura 6 è uno dei più comuni, e assicura il mantenimento delle
temperature con una precisione di 1° C.

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3. IL CONCETTO DI ALIMENTARIETA’ E GLI ACCIAI
UTILIZZATI NEL SETTORE ALIMENTARE

Da oltre 70 anni l’acciaio inossidabile è utilizzato nella preparazione e nella lavorazione dei
prodotti alimentari principalmente per la sua elevata resistenza alla corrosione e la facilità con
cui tale materiale può essere pulito. Inoltre, gli acciai inossidabili non alterano il sapore dei cibi
con cui sono a contatto e presentano un’ottima resistenza ai disinfettanti e detersivi.
La capacità di passivazione degli acciai inossidabili è dovuta principalmente alla presenza di
cromo nel materiale ed è funzione del tenore di questo elemento, la cui crescente concentrazione
incrementa la resistenza dello strato passivo.
Altri elementi di lega, quali nichel e molibdeno, influiscono sul fenomeno della passività,
favorendo la passivazione e rafforzando la stabilità dello strato passivo.
Il rilascio di cromo e nickel degli acciai inossidabili è in genere trascurabile anche se, in
determinate condizioni, può provocare la contaminazione dei prodotti alimentari. Quando ciò
accade, tali sostanze possono indurre problemi fisiologici nell’organismo come le allergie e
manifestazioni sintomatiche.
Per le problematiche precedentemente esposte, negli ultimi anni si è assistito ad un crescente
interesse a livello mondiale allo studio del comportamento elettrochimico di acciai caratterizzati
dall’assenza di nickel, come gli acciai inossidabili ferritici, largamente diffusi nel settore
alimentare per il loro ridotto contenuto di Ni (inoltre negli ultimi anni è stato registrato un deciso
incremento nel prezzo del Ni, provocando il rialzo del prezzo degli acciai inox austenititici e la
larga diffusione degli acciai inox ferritici).

La legislazione italiana ed europea, nel campo della compatibilità alimentare, stabilisce (Decreto
Ministeriale del 21/03/1973: Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a
venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale) che tutti i materiali
che vengono in contatto con gli alimenti devono essere sottoposti a prove di cessione in
―soluzioni simulanti‖ gli alimenti e in condizioni di prova che dipendono dalle condizioni di
impiego reali.
Infatti, sotto il profilo della cessione di sostanze (o migrazione), si possono avere garanzie
adeguate per l'idoneità di un materiale soltanto stabilendo specifici limiti alla migrazione e
quindi alla contaminazione da essa provocata. Inoltre, se ne deve determinare l'entità con prove
che simulino le condizioni più severe che si possono avere nell'impiego pratico. Nel Decreto

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Ministeriale, partendo da questa tesi, sono state introdotte (e nel tempo aggiornate) norme che
prevedono:
a) lista positiva dei costituenti ammessi per ciascun materiale; caso degli acciai inox;
b) limiti di migrazione specifici accettabili;
c) indicazione delle prove di cessione per ciascun materiale in contatto con alimenti e relativa
metodica.
Uno dei solventi simulanti con cui vengono eseguite queste prove è una soluzione di acido
acetico al 3%. Tale test deve essere eseguito portando la soluzione a 100°C per 30 minuti, e deve
essere ripetuto 3 volte sullo stesso provino. Si valuta quanto Cromo e Nichel (oltre a determinare
la migrazione globale) sono ceduti alla soluzione al termine della terza prova. Gli acciai
inossidabili austenitici, di norma, non hanno problemi a rispettare i limiti di legge; spesso invece
gli acciai inossidabili martensitici cedono alla soluzione un eccessivo contenuto di Cr. Le Curve
potenziodinamiche effettuate in laboratorio con soluzione al 3% di acido acetico a diverse
temperature hanno evidenziato che con l’approssimarsi della temperatura richiesta gli acciai
inossidabili martensitici, in particolare l’AISI 420, si trovano al limite della propria capacità di
passivazione.
Senza addentrarsi nell'esame del decreto in questione riportiamo di seguito la sezione VI
dell’allegato II del Decreto in questione, che descrive i tipi di acciai inossidabili autorizzati
all'impiego in contatto con alimenti. Ciascun tipo viene indicato con la sigla che ne caratterizza
la composizione chimica secondo l'Ente Nazionale Italiano di Unificazione (Norma UNI 6900,
1971) e secondo l'American Iron and Steel Institute (manuale A.I.S.I., revisione 1969)

In tabella 1 sono elencati gli acciai inossidabili utilizzabili nel settore alimentare

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Tabella 1: acciai inox utilizzabili nel settore alimentare
UNI » corrispondente a » A.I.S.I.

202
X12CrNi17 07 » » 301

X10CrNi18 09 » » 302
X10CrNiS18 09 » » 303
» » 303Se
X5CrNi18 10 » » 304
X2CrNi18 11 » » 304L
X8CrNi18 12 » » 305
» » 308
X5CrNiMo17 12 » » 316
X2CrNiMo17 12 » » 316L
X6CrNiMoTi17 12 » » 316 Ti (D.M. 2.6.82)
X6CrNiTi18 11 » » 321
» » 329 (D.M. 4.4.85)
» » 329 N (D.M. 4.4.85)
X6CrNiNb18 11 » » 347
X12Cr13 » » 410
X12CrS13 » » 416
X20Cr13 » » 420
X30Cr13 » » 420
X40Cr14 » » 420
X8Cr17 » » 430
X10CrS17 » » 430 F
X16CrNi16 » » 431
» » 440 (D.M. 6.2.97) Per articoli
destinati a contatto momentaneo a
temperatura ambiente per alimenti
per i quali sono previste prove di
migrazione con i simulanti A e D
S.I.S » corrispondente a » A.I.S.I.
2392 316 N
2319 414
AISI 630

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4. TRATTAMENTI SULLA VITE: LA TEMPRA AD INDUZIONE

Il trattamento di tempra termica consiste nel portare un oggetto in acciaio ad elevata temperatura
(50-70 °C sopra la temperatura di trasformazione di quell’acciaio), mantenendo poi tale
condizione per un tempo sufficiente da avere a ―cuore‖ (la parte interna dell’oggetto più lontana
dalla superficie) una struttura austenitica, e successivamente nel raffreddarlo velocemente
portandolo a temperatura ambiente. Il suo scopo è quello di trasformare superficialmente
l’acciaio indurendolo notevolmente senza alterare lo stato del particolare a cuore. Ciò permette
di incrementare nel prodotto la resistenza all’usura e la tenacità.
La tempra ad induzione si effettua dunque in varie fasi: innanzitutto l’oggetto in acciaio da
trattare viene portato ad alta temperatura per essere austenitizzato. Per fare ciò viene posto un
corpo dotato di buone caratteristiche conduttive dentro un campo magnetico alternato, e questo si
riscalda per effetto Joule grazie alle correnti indotte: questo fenomeno porta la temperatura oltre i
900 °C.
La corrente elettrica alternata ha però la tendenza a distribuirsi dentro un conduttore in modo non
uniforme: la sua densità è maggiore sulla superficie ed inferiore all'interno. A causa di questo
fenomeno, denominato effetto pelle, lo spessore dello strato riscaldato varia con la frequenza
della corrente (ma dipende anche dalla conducibilità elettrica del materiale); industrialmente si
utilizzano generatori a bassa frequenza (inferiore a 5 kHz), media frequenza (da 5 a 30 kHz) e
alta frequenza (200 kHz); lo strato di materiale interessato dal riscaldamento è inversamente
proporzionale alla frequenza generata (bassa frequenza corrisponde a strati più profondi).
Segue la fase di raffreddamento, che può avvenire per immersione o spruzzamento di acqua,
olio, soluzioni saline, metalli fusi, o all’aria (in questo caso l’acciaio si dice autotemprante).
Vi sono poi due modalità di esecuzione della tempra sugli oggetti in acciaio: tempra localizzata e
tempra progressiva.
Nel primo caso l’effetto della tempra è concentrato solo in parti definite dell’oggetto, che sono
funzionali alle applicazioni del medesimo: esempi di tempra localizzata sono lame per forbici o
falciatrici, taglienti di pinze troncatrici, vomeri, denti di ingranaggi e soprattutto pezzi ruotabili
durante il riscaldamento.
La tempra progressiva comporta invece lo scorrimento del pezzo rispetto alla bobina e
immediato raffreddamento della superficie in uscita. Il metodo è usato per guide di bancali, lame
per seghetti, denti di ingranaggi di grandi dimensioni, alberi di trasmissione, steli per attuatori
pneumatici, cuscinetti a rotolamento...

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Ultima fase del processo è il rinvenimento ad induzione, a 160-200 °C.
Per evitare criccature gli acciai sottoponibili a tale trattamento sono gli acciai al carbonio o poco
legati con C = 0,30-0,50% (classificabili negli acciai da bonifica), con una eccezione: se la
tempra deve raggiungere il cuore del pezzo, possono essere usati altri tipi di acciai con maggiore
contenuto di carbonio (ad esempio il 100Cr6 e il 100CrMn4). Inoltre sono preferibili acciai
bonificati, in quanto il trattamento di bonifica permette di ottenere una struttura di partenza con
carburi fini, che si disciolgono presto nell'austenite durante il veloce riscaldamento, e un cuore
tenace; mentre si tende ad escludere gli acciai ricotti, poiché in tale processo si ottengono
carburi grossolani e cuore scarsamente tenace.

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PARTE SPERIMENTALE

5. I MATERIALI

Tutta la preparazione dei campioni ed i relativi trattamenti termici è stata svolta da parte
dell’azienda Storci S.p.A. di Collecchio (PR), che ha fornito i seguenti campioni:
 Acciaio al carbonio 1° tipo (% di C maggiore) ( in ―disco 40 mm‖ e in ―disco 9mm‖)
 Acciaio al carbonio 2° tipo (% di C minore) ( in ―disco 40 mm‖ e in ―disco 9mm‖)
 Acciaio AISI 420B non trattato ( in ―disco 40 mm‖ e in ―disco 9mm‖)
 Acciaio AISI 420B temprato ad induzione ( in ―disco 40 mm‖ e in ―disco 9mm‖)

In figura X mostriamo una foto di ogni campione rappresentativo

Fig. 8: Campioni nello stato di fornitura

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Fig. 9: campioni quotati

Come si vede nella figura 9 i campioni sono costituiti da due tipi di dischi: i primi hanno un
diametro di 40mm ed uno spessore di 5mm, mentre gli ultimi hanno un diametro di 9 mm ed uno
spessore di 5mm.

L’analisi chimica effettuata al quantometro ci ha fornito la composizione degli acciai.

Tabella 2: composizione chimica di tutti gli acciai oggetto di studio

Acciaio 1
Acciaio 2

I due acciai al carbonio, forniti allo stato ricotto per garantirne la massima lavorabilità, sono
acciai che presentano una struttura ferritico-perlitica. Questi materiali si differenziano in prima
battuta per il diverso tenore di carbonio, ed hanno inoltre vari elementi di lega, seppur in basse
percentuali.
L’acciaio al carbonio con tenore di C minore è il materiale di cui è composto il cilindro (con le
rigature interne) del sistema di compressione, e deve garantire una buona resistenza all’usura.
Il secondo acciaio al carbonio è un materiale fornito dall’azienda in quanto utilizzato in passato,
cromato, per la vite di compressione.

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L’AISI 420B è un acciaio inox martensitico, infatti il contenuto di cromo è del 12,5 %, e
possiede vari elementi di lega quali il manganese (1%) e il nichel (0,4%). Tale materiale
possiede una notevole resistenza all’usura e alla corrosione, e si presta inoltre a trattamenti come
la bonifica (tempra + rinvenimento), per incrementare in particolare la resistenza all’usura.
La composizione dell’acciaio AISI 420B temprato ad induzione è la medesima di quello non
trattato, in quanto il trattamento di tempra, come già illustrato, non modifica le caratteristiche
chimiche dell’acciaio ma solo lo stato superficiale.

5.2. Gli acciai inossidabili

Gli acciai inossidabili sono delle leghe a base di ferro, di cromo, di carbonio e anche di altri
elementi quali il nichel, il molibdeno, il manganese, il silicio, il titanio, ecc., che li rendono
particolarmente resistenti sia all’usura che ad alcuni tipi di corrosione. Naturalmente la
percentuale dei diversi elementi produce variazioni differenti nelle caratteristiche dei vari tipi di
acciaio inossidabile: questa caratteristica può quindi essere sfruttata per incrementare
determinate proprietà di questi materiali variandone la composizione chimica
Il termine ―inossidabile‖ che definisce questi acciai indica la capacità di questi ultimi a resistere
in modo eccellente ad un attacco corrosivo. Questa caratteristica di buona resistenza alla
corrosione è dovuta alla proprietà di queste leghe di passivarsi in un ambiente sufficientemente
ossidante (per esempio l’aria) tramite la formazione di una particolare pellicola superficiale di
ossido protettivo. Quando si trova in queste condizioni l’acciaio inossidabile è allo stato
―passivo‖. La pellicola passiva ha anche la capacità di riformarsi quando è lacerata, qualora
l’ambiente circostante sia sufficientemente ossidante e quando l’ossigeno riesca a venire a
contatto con la lega. In questo modo il materiale sottostante è protetto dall’attacco corrosivo.
Gli acciai inossidabili possiedono dunque svariate proprietà: la loro resistenza alla corrosione è
fra le più elevate fra le leghe metalliche, infatti non necessitano di protezioni superficiali grazie a
questa pellicola protettiva; hanno una struttura e una composizione del tutto omogenee e costanti
in ogni punto della superficie e della massa: hanno ottima resistenza meccanica e fisica perché
sono dei veri e propri acciai legati.

In figura 10 si può vedere un confronto di proprietà meccaniche tra le varie classi di acciai inox.

20
Fig. 10: caratteristiche meccaniche principali dei diversi tipi di acciai: resistenza meccanica e resitenza
all’urto

Proprio per le suddette motivazioni, in particolare per la sua elevata resistenza alla corrosione e
la facilità con cui tale materiale può essere pulito, già dalla prima metà del secolo scorso
l’acciaio inossidabile è utilizzato nella preparazione e nella lavorazione dei prodotti
alimentari. Inoltre, gli acciai inossidabili, non alterano il sapore dei cibi con cui sono a contatto
e presentano un’ottima resistenza ai disinfettanti e detersivi.

21
6. TECNICHE SPERIMENTALI

Questo capitolo ha lo scopo di illustrare brevemente le indagini eseguite sui campioni e le


modalità di esecuzione di ciascuna prova.
I quattro tipi di materiali sono stati caratterizzati per analizzarne a fondo le caratteristiche
chimiche e meccaniche, allo scopo di valutare la loro efficienza produttiva e avere una chiara
idea di quali trattamenti si addicono meglio a ciascun materiale in funzione del suo specifico
utilizzo.
Le modalità d’indagine sperimentali adottate sono le seguenti:
1. Analisi chimica: quantometro
2. Analisi microscopiche: preparazione metallografica, microscopia ottica, microscopia
elettronica
3. Microdurezza e profili
4. Prove tribologiche ―pin on disc‖
5. Prove di corrosione

6.1. ANALISI CHIMICHE


Su tutti i campioni, ad eccezione dell’acciaio AISI 420 trattato, sono state eseguite analisi
chimiche mediante uno spettrometro a emissione ottica, o quantometro; sono stati analizzati
perciò tre dischi da 40 mm.
Il quantometro è un apparecchio utilizzato nel settore metallurgico per determinare e
quantificare gli elementi presenti in una lega metallica. In questo studio è stato utilizzato il
modello ARL 3580, ed un analizzatore LECO GDS-750 per una più precisa determinazione del
carbonio. Tramite questo strumento si può conoscere l’esatta composizione chimica dei materiali
eccitandone gli atomi con una sorgente di radiazione esterna e misurando l’intensità delle righe
spettrali presenti nel fascio luminoso emesso dal campione. A livello atomico l’energia raggiante
è rappresentata da un insieme di pacchetti di energia detti fotoni e, in sistemi microscopici
discreti quali elettroni e atomi di una molecola, gli stati energetici sono discreti e quantizzati. Gli
elettroni di atomi e molecole, a temperatura ambiente, occupano i livelli elettronici fondamentali,
ma quando si somministra energia al sistema, per esempio incrementando la temperatura o
irraggiando il materiale, una certa frazione di elettroni possiederà energia sufficiente per superare
il gap energetico che c’è tra un livello energetico e l’altro, e sarà in grado di andare ad occupare

22
questo nuovo livello. Una volta raggiunto il livello che corrisponde allo stato eccitato, gli
elettroni tenderanno spontaneamente a tornare a livelli inferiori, emettendo quantità di energia
sottoforma di radiazione caratterizzata da una determinata lunghezza d’onda, pari alla differenza
energetica tra il livello fondamentale e quello eccitato. Questa differenza dipende dalla struttura
atomica ed è quindi caratteristica per ciascun elemento chimico.

Fig. 11: Livelli energetici

Analizzando le diverse emissioni del campione, lo strumento è in grado di individuare quali


elementi chimici sono presenti nella lega metallica, mentre non sarà in grado di distinguere in
quale morfologia cristallografica tale elemento si trova. Una lega contiene diversi elementi e per
questo produrrà una radiazione composta dalle lunghezze d’onda specifiche di ogni elemento
presente. Queste lunghezze d’onda sono distinte tramite un sistema dispersivo, permettendo allo
spettrometro di determinare quanti elementi sono presenti; inoltre sé possibile misurare anche la
loro percentuale relativa nella lega attraverso l’analisi dell’intensità luminosa che corrisponde ad
ogni lunghezza, poiché questa è funzione della concentrazione dell’elemento.

6.2. ANALISI MICROSCOPICHE


Per analizzare la microstruttura dei campioni è stata effettuata un’analisi metallografica
microscopica. Mediante questo tipo di analisi sono state in evidenza le strutture cristalline dei 4
tipi di materiali, grazie alle quali si è stato possibile risalire alle proprietà meccaniche e
tecnologiche.
Questa indagine si è svolta in due parti:

I. Analisi superficiale (microscopio ottico)


II. Analisi in sezione (microscopio ottico)

23
6.2.1. Analisi superficiale
L’analisi metallografica superficiale è stata eseguita sulle superfici di tre campioni: i due acciai
al carbonio C15 e ST52 e l’acciaio inox AISI 420 non trattato. È da annotare che questa analisi è
stata eseguita sia sui dischi da 40 mm che su quelli da 9 mm, al fine di identificare le eventuali
differenze dovute alle diverse condizioni di lavorazione. Il rilevamento di immagini è avvenuto
mediante il microscopio ottico Leica DMI5000M, con annessa fotocamera digitale Leica
DFC280. L’acquisizione delle immagini è stata effettuata con software PaintShopPro7.

6.2.2. Analisi in sezione


A questo tipo di analisi è stato sottoposto solamente l’acciaio inox AISI 420 temprato ad induzione,
al fine di valutare gli effetti del trattamento sulla microstruttura di bulk. Anche per questo materiale si
è scelto di effettuare la prova sia per il campione ―disco 40 mm‖ che per il ―disco 9 mm‖.
La preparazione dei campioni da esaminare al microscopio ha previsto la seguente sequenza di
operazioni:

1. Troncatura: la troncatura consiste nel prelevare una piccola parte del campione da
esaminare (una sezione perpendicolare allo spessore del materiale), evitando
riscaldamenti e deformazioni che possono causare alterazioni della struttura. Per questa
ragione è stato necessario utilizzare una troncatrice metallografica (REMET LS2)
attrezzata con lama al corindone tipo M, che permettesse di effettuare il taglio con una
velocità di avanzamento della lama molto bassa e raffreddando continuamente il pezzo
mediante getto d’acqua.

2. Impregnazione con resina: dopo aver rimosso accuratamente ogni eventuale detrito
dovuto alla troncatura tramite un lavaggio con acqua distillata, per agevolare le
successive operazioni, le sezioni di materiale tagliate sono state inglobate a caldo in una
resina fenolica nera utilizzando la pressa inglobatrice IPA30.

1. Campione da esaminare
2. Resina fenolica

Fig. 12: rappresentazione schematica dell'inglobamento in resina


24
3. Lappatura: la lappatura ha avuto lo scopo di far scomparire le irregolarità presenti sulla
superficie che è stata poi esaminata al microscopio ottico. Tale lavorazione si è svolta, in
più fasi, su dischi rotanti a umido utilizzando carta abrasiva ai carburi di silicio con
granulometria sempre più fine.

4. Lucidatura: la lucidatura è l’operazione finale che rende speculare la superficie del


campione. È stata effettuata una lucidatura di tipo meccanico, tenendo il campione
aderente a un disco rotante ricoperto da un panno inumidito da una sospensione liquida
contenente polvere abrasiva (diamante a granulometria 6 μm e successivamente 0,5μm).
Per questa operazione è stata utilizzata una lucidatrice metallografica LS2 REMET.

5. Attacco chimico: l’attacco chimico è stato effettuato in diversi modi a seconda dei
campioni: per i due acciai al carbonio è stata utilizzata una soluzione di acido (Nital al
4%, preparato diluendo 4mL di HNO3 concentrato in etanolo), mentre per i campioni in
acciaio inox una soluzione di acqua regia (HNO3conc. 25% v/v + HClconc. 75% v/v). I primi
sono stati immersi nella soluzione per 5 secondi, mentre per gli ultimi dopo un solo
secondo la soluzione ha attaccato fortemente la superficie, rendendo impossibile
distinguerne la microstruttura. Si è scelto dunque di utilizzare un altro reagente: una
𝑚 𝑚
soluzione a base di aciso picrico (acido picrico 8% , acido acetico 10% , acqua
𝑚 𝑚
𝑚 𝑚
distillata 10% , etanolo 72 % ), meno aggressiva per i suddetti materiali, infatti in
𝑚 𝑚

questa prova l’immersione ha avuto una durata di 25 secondi. L’attacco metallografico ha


lo scopo di evidenziare la microstruttura dei campioni sfruttando la differente reattività
chimica in ambiente acido ossidante dei bordi di grano e di eventuali inclusioni/difetti. I
bordi di grano sono particolarmente sensibili all’attacco, perciò in quei punti si forma un
solco in cui la luce del microscopio è riflessa e deviata verso tutte le direzioni e solo una
minima parte arriva all’oculare, per cui si osserva una riga scura che evidenzia il bordo
grano stesso, e di conseguenza la struttura metallografica è chiaramente definita.

6. Osservazione al microscopio elettronico: per valutare meglio la morfologia dei


campioni sono state eseguite micrografie SEM (Scanning Electron Microscopy). Il
microscopio elettronico è caratterizzato da alta profondità di campo (ovvero lo spessore
massimo del campione che può trovarsi a fuoco) e permette di ottenere immagini con
elevata risoluzione, da 10-15X a 100000X. Una parte ristretta della superficie del
campione in esame viene scandita in modo puntuale da un fascio di elettroni che

25
interagisce con la materia e il sistema di generazione abbinato, conoscendo la posizione
del fascio, crea l’immagine del campione.
Tra gli elettroni del fascio che incide sulla superficie del campione si possono distinguere
due gruppi:
 una parte rimbalzano e creano un fascio di elettroni retrodiffusi (backscattered). Essi
sono gli elettroni del fascio incidente che subiscono una serie di riflessioni nei primi
strati del campione (1 mm) e ne riemergono con un’energia uguale o minore a quella
del fascio incidente;
 una parte entra nel campione e possiede energia sufficiente per strappare elettroni da
alcuni atomi presenti. Questi elettroni, prodotti dall’interazione del fascio incidente
con il guscio elettronico degli atomi che compongono il materiale, costituiscono il
fascio di elettroni secondari, con energie da 0 a 500 eV.

Opportuni rivelatori rilevano le radiazioni derivanti dagli effetti che si producono nel
punto d’impatto e, del fascio di radiazioni che si originano, di interesse sono quelle con
lunghezze d’onda tipiche della radiazione X. I segnali rilevati produrranno l’immagine.

Lo strumento utilizzato ha abbinato un sistema EDS (Energy Dispersion Spectroscopy)


che permette di eseguire analisi chimiche puntuali, quindi composizionali, permettendo
di individuare gli elementi presenti, anche se non è in grado di rilevare con esattezza la
presenza degli elementi più leggeri del Be.
L’analisi chimica nella microscopia elettronica si basa sulla misura dell’energia (o della
lunghezza d’onda) e distribuzione dell’intensità del fascio di raggi X generati dagli
elettroni incidenti.

26
Fig. 13: schema di un microscopio elettronico a
scansione

Questa analisi è stata eseguita solo sull’AISI 420 trattato, al fine di evidenziarne meglio la
microstruttura, sia per valutare gli effetti della tempra sulla morfologia del materiale a livello
microscopico.

6.3. MICRODUREZZA E PROFILI

La durezza è definita come la resistenza opposta dalla superficie di un materiale alla scalfitura,
all’abrasione e alla penetrazione.
La definizione operativa della durezza dipende dal metodo di misura adottato e, nel nostro caso,
si parla di indentazione, intendendo con tale termine la resistenza di un materiale alla
penetrazione da parte di un indentatore che applica un carico compressivo sulla superficie.
Tutti i campioni sono stati sottoposti a prova di microdurezza Vickers utilizzando un indentatore
Micro Vickers Hardness Tester digital auto turnet, Wolpert Group.
Questo tipo di prova consiste nel far penetrare nel materiale in esame un penetratore con punta di
diamante a forma di piramide a base quadrata, al quale è applicata una forza F, e nel misurare la
lunghezza media delle diagonali dell’impronta permanente lasciata sul pezzo dopo aver tolto il

27
penetratore. Il carico si applica per il tempo necessario affinché il flusso plastico si arresti,
intorno ai 15 secondi.
𝐹
La microdurezza Vickers si calcola mediante la relazione: HV = 0,1891
𝑑2
[HV] = kg/mm2

Dove F = carico applicato sull’indentatore [N]


d = diagonale dell’impronta [mm]

Il penetratore ha la forma di una piramide retta a base quadrata; l’angolo tra le facce opposte
della piramide deve essere di 136°. In questo tipo di prova la forza può variare da 0,01 a 10N,
inoltre l’impronta è visibile solo con un microscopio, infatti la zona dell’impronta può
interessare anche un solo grano. Un ingrandimento al microscopio di un’impronta ottenuta da
questa prova è osservabile in figura 14.

Fig. 14: Impronta punta Vickers (ingrandimento a 500X)

Anche questo tipo di prova si è svolta in due parti:

I. Analisi superficiale (microscopio ottico):


II. Analisi in sezione (microscopio ottico)

In questo studio, per la determinazione della microdurezza superficiale media, tutte le prove sono
state effettuate impostando nello strumento un carico di 9,8 N. Anche per l’analisi del profilo di
microdurezza, effettuata solo sull’acciaio AISI 420 temprato ad induzione, per valutarne la
profondità efficace di indurimento a seguito del trattamento, è stato utilizzato lo stesso carico,
così da rendere possibile un confronto tra i valori di durezza dei quattro materiali.

28
6.4. PROVE TRIBOLOGICHE

Per determinare le proprietà tribologiche dei materiali, nello specifico il coefficiente di attrito e il
tasso di usura, tutti e quattro i campioni sono stati sottoposti alla prova tribologica ―ball-on-
disc‖. Queste proprietà non sono intrinseche del materiale, ma sono caratteristiche del ―sistema
tribologico”. Il test tribologico è la simulazione in laboratorio del meccanismo di usura, ossia la
riproduzione dei fattori metallurgici e non che lo governano. Le prove di usura prevedono lo
strisciamento o il rotolamento tra due corpi: un corpo mobile (mosso dall’esterno) ed un partner
statico o mobile (pin).

Le grandezze variabili nella prova sono:


a. forma, dimensione e materiale del pin
b. carico normale applicato fra pin e campione, max 10 N
c. distanza complessiva di strisciamento fra pin e campione
d. velocità di rotazione del campione, max 500 giri/min
e. posizione del pin rispetto al campione

Una rappresentazione dello strumento utilizzato è visibile in figura 15.

Fig. 15: Foto dello strumento HIGH TEMPERATURE TRIBOMETER - CSM instrument.

Il tribometro ball-on-disc è quindi utilizzato per effettuare un test tribologico in cui un pin
sferico, opportunamente fissato a un braccio, è premuto, con un carico noto, contro il campione

29
piano posto in rotazione a velocità controllata, ottenendo così un moto di strisciamento relativo
tra pin e campione.
Lo strumento è dotato inoltre di una cella di carico che, durante la prova, registra in tempo reale
la forza tangenziale agente sul braccio su cui è fissato il pin, uguale in modulo alla forza di attrito
esistente tra i due elementi della coppia strisciante. Pertanto, conoscendo il carico applicato, si
determina in tempo reale l’entità del coefficiente di attrito fra il pin e il campione. Lo strumento
registra inoltre, in tempo reale, il progressivo abbassamento del braccio, legato all’usura del
campione e/o del pin, potendo così evidenziare eventuali mutamenti del tasso di usura durante la
prova.
Al termine della prova mediante l’utilizzo di un profilometro ottico (lo strumento utilizzato è
Conscan – CSM instrument, di cui si può vedere una rappresentazione schematica in figura 16),
è stato possibile misurare il volume di materiale asportato nel campione.

Fig. 16 rappresentazione schematica di un profilometro ottico

Con un microscopio ottico, invece, è stato rilevato il diametro dell’impronta rimasta sul pin a
causa dell’usura. Conoscendo quindi il volume di materiale asportato, il carico normale applicato
e la distanza totale di strisciamento, è stato possibile calcolare il tasso di usura medio (espresso
in mm3/N/m), sia del pin che del campione.
È stata utilizzata la seguente formula:

Tasso di usura , dove k = coefficiente d’usura


FN = forza normale applicata
H = durezza Brinnel o Vickers del più tenero
tra i due materiali della coppia strisciante
d = distanza di strisciamento

30
Le condizioni di prova sono elencate nella tabella 1.
Come si evince dalla tabella 1, in questo studio di tesi si è utilizzato un pin di Al2O3 (allumina
sinterizzata), e sono stati sottoposti alla prova tutti e quattro i campioni alle medesime
condizioni, al fine di poterli confrontare in modo diretto. Per ovvi motivi dimensionali sono stati
scelti come campioni solo i dischi 40 mm.

Tabella 3: Condizioni di esecuzione delle prove tribologiche


Condizioni di prova

Geometria pin Al2O3 sferica


Diametro pin [mm] 6
Raggio di strisciamento [mm] 13
Velocità di strisciamento [m/s] 0.2
Carico normale applicato [N] 5
Distanza totale di strisciamento [m] 1000
Velocità acquisizione dati [Hz] 5
Temperatura [°C] 20

6.5. PROVE DI CORROSIONE

Dal punto di vista termodinamico lo stato di ossidazione stabile di quasi tutti i metalli, esclusi
quelli nobili, è quello positivo: essi si presentano, cioè, spesso legati ad altri elementi per
formare ossidi, idrossidi o sali. Quando un metallo è esposto alle comuni condizioni ambientali,
come aria o acqua, si forma un sistema termodinamicamente instabile che tende all’equilibrio
trasformando materia con sviluppo di energia. La maggior parte dei metalli tenderà quindi
spontaneamente a corrodersi reagendo con i mezzi circostanti.
I fenomeni di corrosione quindi portano al degrado dei materiali e possono comprometterne le
funzionalità in esercizio, perciò la resistenza alla corrosione è una proprietà estremamente

31
importante per i materiali oggetto di questo studio di tesi, in quanto questi operano regolarmente
in ambienti corrosivi, e vengono frequentemente sottoposti a lavaggi con sostanze aggressive.
Per valutare il comportamento degli acciai nelle suddette condizioni, che sono caratteristiche del
settore alimentare, erano previsti 2 tipi prove di corrosione:

1. Prova di corrosione accelerata in cella elettrochimica (FLAT CELL)


2. Prova di cessione in acido acetico al 3% a 100°C

6.5.1. PROVE DI CORROSIONE IN CELLA ELETTROCHIMICA

Il comportamento degli acciai entro un certo intervallo di potenziale può essere descritto
andando ad individuare delle zone in cui l’acciaio possiede una diversa stabilità
elettrochimica/termodinamica ossia regioni di potenziale all’interno delle quali possono avvenire
diversi fenomeni chimi ed elettrochimici.

6.5.1.1. La cella elettrochimica

Per valutare tale comportamento ci si basa su prove sperimentali accelerate appositamente ideate
(variando il potenziale in modo continuo): le curve di polarizzazione. Nel presente lavoro queste
prove potenziodinamiche sono state eseguite utilizzando una cella elettrochimica FLAT CELL

K0235 (PAR), rappresentata in figura 17.

1 = Cella elettrolitica
2 = Cavità per elettrodo di riferimento
3 = Piastre di chiusura della cella
4 = Viti di fissaggio
5 = Soluzione aggressiva
E = Elettrodo di lavoro  campioni
CE = Contro-elettrodo (platino)
R = Elettrodo di riferimento (Ag/AgCl/KClsat)

Fig. 17: rappresentazione schematica di una cella elettrolitica

32
La misura si basa sull’applicazione di un potenziale tra un elettrodo di lavoro (working
electrode), costituito dal campione oggetto della prova, e un elettrodo di riferimento, rispetto al
quale si misura il potenziale, in argento cloruro immerso in KCl saturo (sistema elettrochimico
-
Ag/AgCl(s) /Cl(aq) , a potenziale noto e costante). Quindi i valori del potenziale misurati saranno

espressi rispetto a tale elettrodo di riferimento.


Per l’esecuzione della prova è necessario chiudere il circuito: la corrente fluisce tra l’elettrodo di
lavoro e un controelettrodo (counter electrode) inerte (su cui non avvengono processi) costituito
da una griglia in platino.
Eseguendo prove di corrosione potenziodinamiche è necessario misurare la corrente di risposta
del sistema (cioè la corrente che fluisce fra elettrodo di lavoro e counter), ma essendo la corrente
una grandezza estensiva occorre tenere in considerazione la superficie di campione esposta
durante la misura. Mediante la Flat Cell è possibile esporre alla soluzione una porzione di
superficie del campione avente area nota, in particolare 1cm2; i dati di corrente misurati durante
la prova possono quindi essere espressi come densità di corrente [A/cm2] senza dover applicare
ulteriori correzioni.
L’area esposta presenta forma circolare per garantire una uniforme distribuzione della corrente
ed evitare eventuali addensamenti di carica in corrispondenza degli spigoli. Importante è anche
la posizione del campione: il campione viene posizionato in verticale per permettere
l’allontanamento dei prodotti di corrosione, solidi o gassosi, ed evitare così una eventuale
schermatura della superficie che inficerebbe il risultato della prova.
Le prove sono eseguite polarizzando l’elettrodo, ovvero facendo variare in aumento
(polarizzazione catodica) o in diminuzione (polarizzazione anodica) il numero di elettroni,
spostando il sistema dalle condizioni di equilibrio e favorendo così il processo di ossidazione o
di riduzione. In condizioni di circuito aperto viene rilevato il potenziale di riposo (OCP, Open
Circuit Potential), letto sempre facendo riferimento all’elettrodo di riferimento AgCl.
Facendo riferimento alla convenzione europea:
η = E i -Eeq
η>0 (polarizzazione anodica) → 𝑖𝑎 > 𝑖𝑐 ia -ic = iest > 0
η<0 (polarizzazione catodica) → 𝑖𝑎 < 𝑖𝑐 ia -ic = iest < 0
Dove η  sovratensione
Eeq  potenziale assunto dall’elettrodo quando nel
circuito circola i=0
E(i)  potenziale assunto dall’elettrodo quando nel circuito
circola i≠0
Ia  corrente anodica
Ic  corrente catodica
Iest  corrente esterna (misurata nel circuito)

33
6.5.1.2. La corrosione negli acciai inossidabili

Come già visto nel capitolo precedente gli acciai inossidabili hanno sì la capacità di resistere
piuttosto bene ad un attacco corrosivo, ma non sono comunque immuni a qualsiasi fenomeno di
corrosione. Pertanto è necessario sempre analizzare le condizioni in cui un determinato acciaio si
troverà a lavorare, per poter scegliere la lega più appropriata ed evitare problematiche inattese,
considerando anche opportuni accorgimenti nelle lavorazioni, nelle saldature e nelle
installazioni. È sempre molto difficile individuare a priori il comportamento nel tempo di un
metallo se messo in contatto con un determinato ambiente. Infatti sono molti i parametri che
possono dare origine ad un attacco corrosivo:
1. la concentrazione dell’agente aggressivo;
2. la temperatura dell’agente aggressivo;
3. la velocità del fluido sulle pareti del materiale;
4. la finitura superficiale del metallo.

Generalmente i parametri più importanti sono la concentrazione e la temperatura della sostanza


corrosiva; sarebbe pertanto opportuno almeno conoscere da subito questi due valori.
Tra i vari tipi di acciai quelli austenitici sono quelli che offrono una miglior resistenza alla
corrosione presentando un film passivo piuttosto resistente, mentre quelli martensitici offrono in
questo campo una resistenza minore.
Si elencano ora i fenomeni corrosivi che interessano maggiormente gli acciai inossidabili:

 Corrosione caverniforme (Pitting): lo strato passivo si lacera localmente a causa di sostanze


fortemente attivanti, come per esempio i cloruri.
 Corrosione interstiziale: in zone scarsamente ―ossigenate‖ e con presenza di sostanze
aggressive si innesca il fenomeno di corrosione.
 Tenso-corrosione (stress-corrosion): si sviluppano cricche dovute alla contemporanea
azione di tensione meccanica e di aggressione chimica.
 Intergranulare: l’alterazione termica (ad esempio in fase di saldatura); provoca un
impoverimento in cromo ai bordi dei grani che, in presenza di una sostanza corrosiva, può
dare inizio all’attacco.
 Galvanica: nell’accoppiamento tra l’acciaio inossidabile e altri materiali meno nobili, si
possono creare le premesse, perché, in un certo ambiente, questi ultimi subiscano corrosione

34
(può verificarsi anche il fenomeno opposto se l’acciaio inossidabile è accoppiato a metalli
molto più nobili di esso).

6.5.1.3. Le curve di polarizzazione per acciai inox

L’andamento delle curve di polarizzazione è fortemente dipendente dalla composizione della


soluzione elettrolitica utilizzata, dalla temperatura e dalla composizione chimica e microstruttura
del metallo o della lega che si sta considerando. Ciò permette di individuare dall’andamento
della curva il comportamento del materiale e di paragonarlo ad altri.
Le curve di polarizzazione degli acciai inossidabili sono in generale caratterizzate da tre regioni
distinte, come osservabile dalla figura 18.

Fig. 18: curva di polarizzazione per un acciaio inox

Descrizione della curva in figura 18:

 Zona di attività (potenziali attivi): in questa regione l’acciaio inossidabile si comporta come
se fosse un materiale "non passivabile"; quindi partendo da un punto avente potenziale Ecorr
e corrente i0 misurati rispetto ad un elettrodo di riferimento il metallo è attivo e si corrode
formando prodotti solubili. Innalzando il potenziale del campione in rispetto a quello
dell’elettrodo di riferimento, si nota che esso si corrode con velocità sempre maggiore.
Contemporaneamente aumenta anche la densità di corrente. La massima velocità di
corrosione si ha quando la corrente raggiunge il suo valore massimo icr a cui corrisponde un
potenziale Epp.

35
 Zona di passività (potenziali passivi): a potenziali superiori la velocità di corrosione
diminuisce molto velocemente, cosi come la densità di corrente, fino a raggiungere il
minimo in corrispondenza del punto caratterizzato dal potenziale Ep e dalla densità di
corrente ip (praticamente nulla).
Nel campo dei potenziali tra Epp e Ep l’acciaio è in una zona di passività instabile.
A partire da Ep il campione è in stato di passività stabile e la sua velocità di corrosione è
pressoché nulla (ip). A partire dal valore Ep infatti si forma sulla superficie del campione uno
film stabile di protezione che protegge il materiale dalla corrosione.

 Zona di transpassività (potenziali trans passivi): quando il potenziale raggiunge il valore di


Et inizia la zona di transpassività al di sopra del quale l’acciaio comincia a corrodersi
nuovamente ma con correnti di valore via via sempre maggiori. Tale aumento di corrente
avviene anche per variazioni minime di potenziale.

La resistenza di un acciaio alla corrosione è pertanto legata alla sua zona di passività. Pertanto un
acciaio inossidabile sarà utilizzabile al meglio in un ambiente corrosivo se in tale ambiente presenterà
valori di ip e di icr più piccoli possibili ed un campo di potenziali di passivazione molto ampio.
Ovviamente i parametri Ep icr Epp Et dipendono dall’ambiente aggressivo in cui si trova l’acciaio.
Ciò è dovuto al grado di acidità e alla concentrazione del mezzo aggressivo, alla temperatura di
attacco e in generale anche dalla sua pressione.

In questo studio, per i materiali in acciaio inox, le prove sono state eseguite combinando i
seguenti step:
I. Degasaggio per 40 minuti mediante azoto per eliminare l’ossigeno presente in cella per
evitare un’eccessiva passivazione dell’acciaio inossidabile prima di effettuare la prova.
II. Individuazione del potenziale statico (Eo)  misura OC (Open circuit).
III. Polarizzazione anodica a partire dal potenziale statico (Eo) fino ad un valore di Esup + 1,7V.
IV. Scansione di ritorno a partire dal potenziale Esup + 1,7V fino al potenziale di riposo
iniziale del campione Eo.

Tutte le polarizzazioni sono state eseguite applicando una velocità di scansione pari a 0.4 mVs-1.
Il controllo del potenziale e l’acquisizione della corrente sono stati effettuati mediante un
potenziostato programmabile VersaStat 3 (PAR).

36
Per ogni campione, al termine delle prove, si è effettuata una scansione ad alta definizione
mediante lo stereomicroscopio LEICA EZ4D per documentare la morfologia di attacco corrosivo
(corrosione generalizzata o corrosione localizzata) .

6.5.1.4. Le curve di polarizzazione per acciai al carbonio: analisi di


Tafel

Nel caso in cui si avesse a che fare con materiali che non presentano passivazione la curva assume
l’andamento mostrato in figura 19. La velocità di corrosione aumenterebbe con andamento
logaritmico all’aumentare della polarizzazione (potenziale) imposto.

Fig. 19: Curva di polarizzazione generica per un materiale che non presenta passivazione

Anche in questo caso i risultati delle prove condotte sono graficati tracciando curve E-logi.
La velocità di corrosione viene valutata sulla base dell’equazione di Tafel (approssimazione
dell’equazione di Buttler-Volmer per η≪0, η≫0), che esprime la dipendenza lineare tra la
sovratensione η e il logaritmo della densità di corrente:

η = a ± b ∗ logi con a  intercetta asse delle ordinate


b  pendenza di Tafel [mV per decade]

Per individuare le pendenze di Tafel, ovvero la pendenza per la curva di polarizzazione catodica
ed anodica, si procede come di seguito.
Della curva di interesse si isola il tratto anodico con l’obiettivo di individuarne la pendenza.
Come si può osservare dalla figura 20 si possono individuare tre pendenze:

Fig. 20: Pendenza tratti curva di polarizzazione anodica

37
I. in questo tratto le sovratensioni sono troppo basse;
II. il secondo tratto è di interesse;
III. in questa fase il processo corrosivo è sotto controllo diffusivo in quanto la curva tende
a divenire verticale, e l’avanzamento della corrosione è influenzato dai parametri che
controllano la diffusione della specie elettroattriva o dei prodotti di corrosione.
In modo del tutto analogo si procede per la curva catodica.
In Figura 21 sono state tracciate entrambe le rette: la velocità di corrosione icorr e il potenziale di
corrosione Ecorr corrispondono ai valori delle coordinate del punto d’intersezione.
Le curve si intersecano all’incirca a metà dell’intervallo di potenziali corrispondenti alla curva
catodica e alla curva anodica, ovvero ad un potenziale prossimo a quello della spike. (In alcuni
casi l’intersezione si ha in corrispondenza di un potenziale molto diverso: in tale situazione si
ignora il tratto catodico e si assume che la coppia di valori che descrivono le condizioni di
corrosione siano individuati dalle coordinate del punto d’intersezione della retta corrispondente
al potenziale della spike e, nel caso del grafico riportato, della retta II)

Fig. 21: Curva E-logi - intersezione retta II e retta passante Espike

Le prove di polarizzazione per i due acciai al carbonio sono state eseguite combinando i seguenti
step:
I. Individuazione del potenziale statico (Eo)  misura OC (Open circuit).
II. Polarizzazione catodica a partire dal potenziale statico (Eo) fino ad un valore di Einf -
0,4V.
III. Polarizzazione anodica a partire dal potenziale di Einf -0,4V fino ad un valore Esup
+0,4V.
IV. Scansione di ritorno a partire dal potenziale Esup +0,4V fino al potenziale di riposo
iniziale del campione Eo.

38
In questo caso le polarizzazioni sono state eseguite applicando una velocità di scansione pari a
0.2 mVs-1. Il controllo del potenziale e l’acquisizione della corrente sono stati effettuati mediante
lo stesso potenziostato.
L’andamento del potenziale è riportato nel diagramma seguente:

Fig. 22: Andamento del potenziale durante prove di corrosione con flat-cell

È bene segnalare che la lettura del potenziale viene fatta con riferimento al potenziale di
equilibrio; quando in fase di polarizzazione anodica si ripassa per ER può accadere che il
potenziale del campione non sia più nullo: infatti il passaggio per ER avviene dopo un certo
tempo durante il quale il campione ha lavorato, quindi saranno variate le condizioni superficiali.
Per esempio, se superficialmente c’era un film protettivo, questo può aver perso le caratteristiche
protettive.
Anche in questo caso per ogni campione, al termine delle prove, si è effettuata una scansione ad
alta definizione mediante lo stereomicroscopio.

6.5.1.5. Le soluzioni di prova

Per ogni campione sono state effettuate tre prove, la prima utilizzando una soluzione di H 2SO4
1N, la seconda utilizzando una soluzione in NaCl 0,6M (per ogni litro di soluzione sono stati
utilizzati 35g di NaCl, portati a volume con acqua distillata, quindi in percentuale tale
concentrazione equivale a 3,5% m/m) e la terza utilizzando una soluzione di Na2SO4 0,2M (si è
scelta questa molarità attraverso opportuni calcoli di parificazione della forza ionica con la
soluzione di NaCl, ottenendo che per ogni litro di soluzione è stato necessario utilizzare 64,44g
di Na2SO4, portandoli poi a volume in acqua distillata).
In questo modo si è potuto verificare la resistenza a corrosione in tre ambienti diversi: il primo in
ambiente acido (pH < 1), il secondo in ambiente neutro (pH 7) ma in presenza di cloruri,
elementi fortemente corrosivi per gli acciai inox, ed il terzo in ambiente salino neutro.

39
Il diagramma riportato di seguito aiuta a capire meglio la struttura delle prove.

Fig. 23: diagramma che mostra la sequenza di esecuzione delle prove di corrosione in
flat cell

6.5.2. PROVE DI CESSIONE IN ACIDO ACETICO

Il decreto ministeriale del 21/03/1973 disciplina tutti i materiali che possono venire a contatto
con gli alimenti e stabilisce delle precise norme per valutare l’idoneità di tali materiali in questo
ambito. L'idoneità degli oggetti a venire in contatto con gli alimenti deve essere accertata

40
determinando la migrazione specifica e globale dei costituenti del materiale. A questo scopo la
normativa elenca per ciascun tipo di materiale un determinato ―simulante dei prodotti
alimentari‖, con cui questo deve essere posto a contatto per un tempo che simuli i tempi reali di
contatto con l’alimento. Al termine della prova si valuta poi la migrazione: quali e quanti
componenti il materiale ha ceduto alla soluzione simulante. Per questa analisi è necessario
eseguire una spettrofotometria ad assorbimento atomico (ICP).
Per gli oggetti in acciaio inox il simulante da utilizzare è acido acetico al 3% (p/v) in soluzione
acquosa, e le prove si distinguono in due tipi:
1- Per oggetti destinati a contatto prolungato a temperatura ambiente: soluzione acquosa
di acido acetico al 3 per cento, per 10 giorni a 40 °C;
2- Per oggetti destinati ad uso ripetuto, di breve durata a caldo o a temperatura ambiente:
soluzione acquosa di acido acetico al 3 per cento, a 100 °C per 30 minuti; tre
―attacchi‖ successivi, con determinazione della migrazione globale e della migrazione
specifica del cromo e del nichel sul liquido di cessione proveniente dal terzo
―attacco‖.

La migrazione globale e/o parziale può essere quindi calcolata in base alla formula:
𝑀 = (m/a1) ∗ (a2/q)
Dove:
M = migrazione espressa in mg/kg;
m = massa in mg di sostanza ceduta dal campione come risulta dalle prove di migrazione;
a1 = area della superficie in dm2 del campione in contatto durante la prova di migrazione;
a2 = area della superficie in dm2 del materiale o dell'oggetto nelle effettive condizioni di impiego;
q = quantità in g di prodotto alimentare a contatto con il materiale o con l'oggetto nelle effettive condizioni di
impiego.

Se si vuole esprimere la migrazione in mg/dm2 si adotta la formula:


𝑀1 = m/a1
M1 = migrazione espressa in mg/dm2
(m ed a1 hanno lo stesso significato sopra indicato)

Quando la prova è effettuata su un provino in assenza dell'oggetto finito, come nel nostro caso, la
conversione dell'espressione da mg/dm2 in mg/kg può essere ottenuta moltiplicando per 6 il
valore di M1. Quindi la formula nel nostro caso utilizzata è la seguente:

𝑀 = (m/a1) ∗ 6

41
Per gli oggetti in questione i limiti di migrazione specifica sono i seguenti:

Tabella 4: Limiti di migrazione specifica secondo D.M. del 21/03/1973

Elemento ceduto Limite (ppm)


cromo (trivalente) 0,1

nichel 0,1

I campioni sottoposti alla prova di rilascio secondo normativa sono stati quindi l’acciaio inox
420 non trattato e quello temprato ad induzione. Lo scopo era duplice: analizzare in queste
condizioni aggressive il comportamento del materiale AISI 420 TI, che viene attualmente
utilizzato presso l’azienda, valutando quindi gli effetti che comporta il trattamento in questo
ambito, ma soprattutto verificare che la migrazione per questi materiali rientri nei limiti imposti
dal Decreto Ministeriale.
Si è scelto di eseguire solamente la prova in acido acetico a 100°C , in quanto si avvicina di più
alle condizioni di lavorazione.

42
7. RISULTATI SPERIMENTALI E DISCUSSIONE

In questo capitolo verranno illustrati i risultati ottenuti dalle prove descritte nel capitolo
precedente, incentrando l’attenzione sulle differenze ottenute tra i quattro acciai, in particolare
alle modifiche che il trattamento di tempra ad induzione apporta all’acciaio inox utilizzato. Si
evidenzia infatti che lo scopo di questa tesi è lo studio e la caratterizzazione di vari tipi di acciai,
ed in particolare degli effetti della tempra che ha subito uno di questi, al fine di poterli
confrontare e valutare verso quali trattamenti futuri occorrerà orientarsi.
Per i quattro materiali sarà mostrata la caratterizzazione mediante:
- Analisi chimiche
- Micrografie ottiche
- Prove di microdurezza duperficiale (e profilo durezza)
- Prove tribologiche (coeff.attrito, tasso di usura, tracce usura SEM)
- Prove di corrosione : elettrochimiche e di cessione

7.1. Acciaio al carbonio 1

7.1.1. Analisi chimiche

Dalle analisi chimiche effettuate con lo spettrometro ad emissione ottica e con l’analizzatore
LECO è risultato che gli acciai hanno la composizione chimica riportata nelle tabelle seguenti:

Tabella 5: composizione chimica dell’acciaio al carbonio 1


C Mn Si P S Cr Ni Mo Cu Al
Acciaio al 0.190 0.900 0.182 0.015 0.0023 0.110 0.032 0.011 0.030 0.020
carbonio 1

Questo tipo di acciaio si presenta con un tenore di carbonio dello 0,19 percento in peso, e vari
elementi di lega: la quantità di manganese relativamente alto, mentre quella di silicio è bassa per
questo tipo di acciaio. Il tenore di zolfo è relativamente contenuto.

43
Tabella 6: composizione chimica dell’acciaio al carbonio 2
C Mn Si P S Cr Ni Mo Cu Al
Acciaio al 0.152 0.634 0.175 0.010 0.0223 0.075 0.106 0.019 0.215 0.018
carbonio 2

Questo acciaio invece si presenta con tenore di carbonio dello 0,15 in peso, nettamente inferiore
al primo, e possiede gli stessi elementi in lega del primo, con alcune fondamentali differenze: la
percentuale di manganese è più ridotta, la quantità si zolfo è aumentata di un ordine di
grandezza. Questo dato risulterà fondamentale per le prove di corrosione, in quanto la maggiore
presenza di tale elemento determinerà un cambiamento nel comportamento dell’acciaio in tali
condizioni. Altri elementi chimici, come il nichel e il rame, sono contenuti in quantità maggiori
sempre nel secondo acciaio.
Riassumendo, a livello di composizione chimica l’acciaio al carbonio 1 e 2 possiedono elementi
di lega in quantità pressoché confrontabili: nell’acciaio 1 i tenori di C, Mn e Cr superano quelli
dell’acciaio 2, mentre i tenori di S, Ni e Cu sono nettamente inferiori. Per quanto riguarda gli
altri elementi non ci sono sostanziali differenze.

Tabella 7: composizione chimica dell’acciaio inox AISI 420B


C Mn Si P S Cr Ni Mo Cu Al
AISI 420B 0.277 1,061 0.477 0.034 0.004 12,479 0,382 0,071 0,059 0.020

Come si può osservare in tabella la composizione dell’acciaio AISI 420 B è quella tipica di un
acciaio martensitico, infatti possiede una percentuale in peso di carbonio compresa tra lo 0,20 e
lo 0,40, e una percentuale di cromo attorno a 12. La quantità di cromo in realtà dovrebbe essere
intorno al 13 percento in peso per questo tipo di acciai, in quindi questo materiale risulta al
limite, secondo la classificazione degli acciai. L’elemento nichel, invece, in questi acciai non
dovrebbe essere presente, ma non è in quantità molto elevata.
Questo tipo di acciaio, come già detto, usualmente subisce il trattamento di ricottura oppure di
bonifica (tempra e successivo rinvenimento) per aumentarne alcune caratteristiche meccaniche
come la resistenza a trazione e l’allungamento a rottura.

44
7.1.2. Microscopie ottiche

Le seguenti figure mostrano come si presentano i vari acciai a seguito dell’attacco


metallografico. Si ricorda che gli acciai al carbonio sono stati attaccati utilizzando il Nital mentre
gli acciai inox facendo uso di una soluzione a base di acido picrico.

7.1.2.1. Gli acciai al carbonio

In figura 24 si può osservare l’acciaio con maggior tenore di carbonio

Fig. 24: microscopia ottica acciaio al carbonio 1 - ingrandimento 200X

45
Fig. 25: microscopia ottica acciaio al carbonio 1 - ingrandimento 1000X

I grani risultano essere abbastanza arrotondati, inoltre grazie agli ingrandimenti maggiori si
riescono a vedere le lamelle di perlite, che non sembrano disposte in modo compatto e uniforme.
Si aggiungono di seguito altre immagini che mettono in risalto la diversità della struttura nella
parte centrale del pezzo: vi è un’area circolare più scura, che sta ad indicare una maggiore
concentrazione di carbonio (sottoforma di perlite).

Fig. 26: microscopia ottica acciaio al carbonio 1 – zona centrale – in ordine: ingrandimento 50X e 100X

46
In figura 26 si può osservare invece l’acciaio con minor tenore di carbonio

Fig. 27: microscopia ottica acciaio al carbonio 2 - ingrandimento 200X

Già a questo ingrandimento si può osservare come in questo materiale la quantità di carbonio sia
nettamente inferiore al primo (per il confronto si faccia riferimento alla figura 26, che è stata
scattata allo stesso ingrandimento). Ciò è deducibile dal fatto che nella figura 27 sono presenti
meno ―zone scure‖: in queste aree il campione ha una struttura lamellare di tipo perlitico, che
deriva appunto dalla trasformazione del carbonio in fase di raffreddamento.

47
Fig. 28: microscopia ottica acciaio al carbonio 2 - ingrandimento 1000X

Anche in questo acciaio i grani risultano essere arrotondati, e confrontando le immagini a


ingrandimento 200X si può affermare che per il secondo acciaio questi sono leggermente più
piccoli. Grazie agli ingrandimenti maggiori si riescono a vedere le lamelle di perlite, che per
l’acciaio in questione sembrano più uniformi e compatte. Questi dettagli rilevati sulla
microstruttura incideranno moltissimo sulle caratteristiche meccaniche del materiale, come
confermeranno le varie prove sperimentali.

7.1.2.2. Gli acciai inox

Di seguito si riportano le immagini a più ingrandimenti, ottenute a seguito dell’attacco


metallografico, dell’acciaio inox 420 nello stato precedente al trattamento.

48
Fig. 29: microscopia ottica AISI 420 NT - ingrandimento 200X

Fig. 30: microscopia ottica AISI 420 NT - ingrandimento 1000X

La struttura che viene evidenziata dalle microscopie in figura 29 e 30 è quella tipica martensitica.
Tale struttura risulta abbastanza fine e con un buon grado di omogeneità, il che dovrebbe
conferire buone caratteristiche meccaniche come la resilienza.

49
In figura 31 si può osservare invece l’acciaio inox 420 nello stato seguente al trattamento di
tempra ad induzione.

Fig. 31 : microscopia ottica AISI 420 TI - ingrandimento 200X

La microstruttura osservabile in figura 31 è quella tipica della martensite rinvenuta. Questo ci dà


una conferma che il trattamento subito da questo acciaio è tempra e successivo rinvenimento,
ovvero la bonifica.

Fig. 32: microscopia ottica AISI 420 TI - ingrandimento 500X

Da entrambi gli ingrandimenti di figura 31 e 32 appare in risalto una struttura a bande: poiché
l’attacco metallografico è stato eseguito sul pezzo in sezione si intuisce che queste sono dovute

50
alle lavorazioni cui è stato sottoposto il materiale, come per esempio la trafilatura, dal momento
che è stato fornito in forma di dischi.
Per evidenziare meglio tali bandeggiamenti si riporta un’immagine ad ingrandimento inferiore:

Fig. 33: microscopia ottica AISI 420 TI (zona bordo) - ingrandimento 50X

7.1.3. Microdurezza Vickers e profilo

I quattro campioni sono stati sottoposti a prova di durezza Vickers con carico 9,8 N. Sullo stesso
campione sono state effettuate dieci indentazioni in punti distanti tra loro e scelti a caso sulla
superficie. Si riportano di seguito tali valori per ogni tipo di materiale:

7.1.3.1. acciaio al carbonio1

Tabella 8: valori di microdurezza Vickers ottenuti sulla superficie dell’acciaio al C 1

Prova 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
eseguita
HV1 187,7 178,1 174,6 189,7 180,4 192,6 200,8 184 176,6 181

In tabella 4 invece si può osservare l’elaborazione dei dati in tabella 5.

51
Tabella 9: elaborazione dati di microdurezza

HV1Media Dev. St.


184,6 8,159827

Per un acciaio al carbonio questi valori di durezza non sono molto elevati, ma ci si aspettava
questi risultati sapendo che questo materiale era utilizzato per la vite di compressione solamente
dopo essere stato cromato: questo riflette la bassa durezza superficiale di tale acciaio.

7.1.3.2. acciaio al carbonio2

Tabella 10: valori di microdurezza Vickers ottenuti sulla superficie dell’acciaio al C 2

Prova 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
eseguita
HV1 264,2 215,7 232,1 200,6 266,4 257,2 262,9 238,9 224,5 217,1

In tabella 6 invece si può osservare l’elaborazione dei dati in tabella 7.

Tabella 11: elaborazione dati di microdurezza

HV1Media Dev. St.


237,96 23,7

Dai dati emerge immediatamente la netta superiorità, in termini di durezza superficiale,


dell’acciaio con minor tenore di carbonio. Questo è spiegabile avendone potuto osservare la
microstruttura: ai bassi ingrandimenti si osserva che i grani sono più piccoli e di geometria più
uniforme, mentre ad alti ingrandimenti si nota che la struttura perlitica è più uniforme e
compatta. Tali caratteristiche incidono fortemente sulle proprietà meccaniche comportando un
incremento della durezza superficiale.
Secondo la prova di microdurezza quindi per l’acciaio al C 2 il comportamento in esercizio della
superficie è migliore dell’acciaio al C 1.

52
7.1.3.3. Acciaio inox AISI 420 NT

Tabella 12: valori di microdurezza Vickers ottenuti sulla superficie dell’acciaio AISI 420 NT

Prova 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
eseguita
HV1 276,6 319,9 292,3 315,1 320,8 319,3 309,1 272,1 304,3 311,6

In tabella 8 invece si può osservare l’elaborazione dei dati in tabella 9.


Tabella 9: elaborazione dati di microdurezza

HV1Media Dev. St.


304,4 17,7

7.1.3.4. Acciaio inox AISI 420 TI

Come già spiegato nel capitolo precedente, per questo materiale è stato determinata sia la
durezza superficiale che il profilo di microdurezza, al fine di valutare gli effetti del trattamento di
tempra su questa proprietà.

Tabella 13: valori di microdurezza Vickers ottenuti sulla superficie dell’acciaio AISI 420 NT

Prova 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
eseguita
HV1 576,2 672,4 686,7 628,8 587,6 685,8 674,2 620,4 652,4 639,4

In tabella 9 invece si può osservare l’elaborazione dei dati in tabella 10.


Tabella 14: elaborazione dati di microdurezza superficiale

HV1media Dev. St.


642,4 39,3

Si riporta di seguito in figura 34 il profilo ottenuto:

53
Fig. 34: profilo di microdurezza dell'acciaio AISI 420 TI

Proprio come accade in tutti i trattamenti termici di indurimento superficiale, il valore di durezza
massima si ha in appunto in superficie, ed è pari al valore di microdurezza media ottenuto
dall’analisi delle indentazioni superficiali: circa 630 HV. Procedendo dalla superficie verso il
cuore del materiale la microdurezza diminuisce gradualmente fino al valore dell’acciaio non
trattato: infatti si assiste ad un decremento da circa 600 HV1 a circa 450
Analizzando il profilo in figura 34 si può ricavare la profondità di indurimento efficace, ovvero
la distanza dalla superficie in cui si rilevano 100 HV in più rispetto al cuore: 0,5 mm circa;
mentre la profondità di indurimento totale , ovvero la distanza dalla superficie in cui si raggiunge
il valore di durezza del cuore del materiale, risulta essere di 1,2 mm circa.

7.1.4. Prove tribologiche

7.1.4.1. Il coefficiente di attrito

Le prove tribologiche sono state condotte utilizzando un sistema pin-on-disc. Durante questa
prova il tribometro rileva costantemente l’andamento del coefficiente di attrito.
Di seguito si riporta l’andamento di tale coefficiente in funzione della distanza di strisciamento e
del carico applicato.

54
Fig. 35: coefficiente di attrito vs distanza di strisciamento per tutti e quattro gli acciai

Dal grafico in figura 35 si osserva che i due acciai al carbonio hanno un andamento
sovrapponibile, ed in particolare l’acciaio con la percentuale di carbonio maggiore presenta un
coefficiente di attrito di poco superiore. Questo può essere imputato al fatto che, come già
affermato osservando gli ingrandimenti al microscopio ottico, i grani dell’acciaio del 2° tipo
sono più piccoli e di geometria più uniforme, e che la struttura perlitica sia è più uniforme e
compatta. Tali caratteristiche potrebbero essere responsabili di questa, seppur minima, differenza
nel coefficiente di attrito.
Su altri valori del coefficiente di attrito troviamo invece gli acciai AISI 420 trattato e non. Tra
questi due materiali l’andamento è differente e i valori osservabili confermano l’efficacia del
trattamento di tempra sul comportamento in esercizio della superficie: tra i due l’acciaio indurito
superficialmente mostra un coefficiente di attrito decisamente inferiore.
Il confronto tra gli acciai al carbonio e gli acciai inox è però a sfavore di questi ultimi: a parità di
condizioni di prova tali materiali hanno un coefficiente di attrito superiore di quasi un 40
percento. Questa diversità è dovuta alle differenze microstrutturali, infatti è noto che gli acciai
che presentano una struttura martensitica hanno un coefficiente di attrito inferiore a agli acciai di
microstruttura ferritico-perlitica [15] [16].

55
7.1.4.2. Il tasso di usura

Attraverso il profilometro ottico sono state osservate le profondità delle tracce lasciate dalla
prova tribologica su ciascun campione. Per ciascun materiale si è potuto in seguito calcolare
l’area della traccia di usura, utile per il calcolo del tasso di usura del campione. Invece per
calcolare il tasso di usura del pin si è misurato con il microscopio ottico il diametro
dell’impronta di usura presente su di esso.
Si riportano nelle seguenti figure i tassi di usura degli elementi della coppia strisciante: campione
(partner mobile) e pin di allumina (partner statico).

Fig. 36: tasso di usura (wear rate) dei quattro diversi materiali

56
Fig. 37: tasso di usura (wear rate) dei pin di allumina

Dal grafico in figura 37 appare evidente che il materiale che si usura maggiormente è l’acciaio al
carbonio 1, lo stesso che presenta una minore durezza superficiale. Di un ordine di grandezza
inferiore risulta invece il tasso di usura degli altri tre materiali, anche se è da notare l’inaspettato
fatto che emerge dalla figura 37: l’acciaio al carbonio 2 e l’acciaio inox temprato hanno un
comportamento apparentemente paragonabile in termini di coefficiente usura.
La motivazione di questo dato inaspettato si può avere immediatamente osservando la figura 37:
se si analizza il tasso di usura dei pin risulta che quello che ha agito sull’acciaio AISI 420 TI, il
materiale che dalle altre prove è risultato avere un’elevata durezza superificiale, si è consumato
molto di più degli altri, con un ordine di grandezza di differenza.
Questo significa che la superficie molto dura di tale acciao ha fatto si che la sfera di allumina si
usurasse, disperdendo così parti dure nello spazio della traccia di usura. Ciò ha provocato un
cambiamento nel meccanismo di usura, che è mutata in usura di tipo abrasivo, che ha contribuito
ad usurare maggiormente pin e campione, provocando un’elevata profondità dell’area usurata
(anche se più bassa di quella ottenuta dalla medesima prova con lo stesso materiale non trattato).
In tabella vengono mostrate le foto al microscopio ottico dei pin usurati che sono stati utilizzati
per le quattro prove

57
Tabella 15:foto al microscopio ottico dei pin utilizzati nella prova tribologica con i due acciai al carbonio –
ingrandimento 50X

Pin su acciaio al carbonio 1

Pin su acciaio al carbonio 2

58
Tabella 16: foto al microscopio ottico dei pin utilizzati nella prova tribologica con i due acciai inox –
ingrandimento 50X

Pin su AISI 420 NT

Pin su AISI 420 TI

Si può osservare che sulla superficie delle impronte sono presenti delle linee, le quali sono tutte
orientate nella direzione di strisciamento. Nell’impronta del pin che ha agito sull’acciaio trattato
però, a causa degli effetti maggiormente distruttivi dovuti all’innesco del meccanismo di usura
abrasiva, queste linee non sono presenti.

59
7.1.4.3. Le tracce di usura

In questo paragrafo si riportano le microscopie SEM di tutti e quattro i campioni che sono stati
sottoposti alla prova tribologica pin-on-disc per analizzarne le tracce di usura.

7.1.4.3.1. Acciaio al carbonio 1

Le seguenti immagini sono state rilevate con il SEM-SE (elettroni secondari) che permette di
ottenere la morfologia: la traccia di usura si presenta fonda e scavata, sintomo di una bassa
resistenza a usura.

Fig. 38: microscopia SEM-SE : traccia di usura ad ingrandimento maggiore

Fig. 39: microscopia SEM-SE : traccia di usura

60
È poi riportata di seguito l’immagine SEM-BSE (elettroni retrodiffusi) che permette invece di
osservare le variazioni composizionali nel provino: si nota chiaramente la presenza di ossido
nella traccia. Questo conferma che il meccanismo di usura che ha agito è la tribossidazione.

Fig. 40: microscopia SEM-BSE : traccia di usura

Fig. 41: microscopia SEM-BSE : traccia di usura con spettri composizionali

61
Le analisi composizionali segnalate in figura sono riportate di seguito: in ordine gli spettri EDS
1,2,3,4.

Spettro 1
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 28.50
Mn 0.68

spettro2
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 30.54
Si 0.23
Mn 0.67

spettro3
Elemento di interesse Percentuale in peso
O -
Mn 0.95

spettro 4
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 6.81
Mn 1.01

62
7.1.4.3.2. Acciaio al carbonio 2

Le seguenti immagini sono state rilevate con il SEM-SE (elettroni secondari) che permette di
ottenere la morfologia.

Fig. 42: microscopia SEM-SE : traccia di usura

È riportata di seguito l’immagine SEM-BSE (elettroni retrodiffusi) che permette invece di


osservare le variazioni composizionali nel provino: anche in questo caso si nota chiaramente la
presenza di ossido nella traccia. Questo conferma che il meccanismo di usura che ha agito è la
tribossidazione.

Fig. 43: microscopia SEM-BSE : traccia di usura

63
Fig. 44: microscopia SEM-BSE : traccia di usura con spettri composizionali

Le analisi composizionali segnalate in figura sono riportate di seguito: in ordine gli spettri EDS
1,2,3.

spettro 1
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 33.78
Mn 0.39

spettro 2
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 35.73
Mn 0.38

spettro 3
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 30.54
Mn 0.62

64
7.1.4.3.3. Acciaio inox AISI 420 NT

Le seguenti immagini sono state rilevate con il SEM-SE (elettroni secondari) che permette di
ottenere la morfologia : la traccia di usura non si presenta particolarmente scavata.

Fig. 45: microscopia SEM-BSE : traccia di usura

Nella micrografia SEM-SE che segue la morfologia della traccia di usura risulta più chiara: nella
pista si può intravedere la presenza di solchi abbastanza profondi che si sono formati a causa
dell’intrappolamento di alcuni detriti di usura tra i due componenti in strisciamento.

Fig. 46: microscopia SEM-SE a diverso ingrandimento: traccia di usura

65
È riportata di seguito l’immagine SEM-BSE (elettroni retrodiffusi) che permette invece di
osservare le variazioni composizionali nel provino: la pista di usura evidenzia la presenza di
ossido (macchie scure) a dimostrazione che si tratta di usura tribossidativa. L’ossido
(prevalentemente di Fe e di Cr) si accumula ai bordi della pista di usura ed è presente anche
all’interno della traccia.

Fig. 47: microscopia SEM-BSE : traccia di usura

Fig. 48: microscopia SEM-BSE : traccia di usura con spettri composizionali

66
Anche le precedente micrografia SEM-BSE rivela la presenza di ossido ai bordi e all’interno
della traccia, come mostrato anche dagli spettri EDS, riportati in ordine 1,2,3.
spettro 1
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 32.41
Si 0.49
Cr 8.85
Mn 0.67

spettro 2
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 34.46
Cr 8.55
Mn 0.87

spettro 3
Elemento di interesse Percentuale in peso
O 3.69
Si 0.45
Cr 11.61
Mn 1.00

67
7.1.4.3.4. Acciaio inox AISI 420 TI

Le seguenti immagini sono state rilevate con il SEM-SE (elettroni secondari) che permette di
ottenere la morfologia della traccia. Anche in questo caso la traccia è larga circa 1mm e presenta
all’interno solchi profondi causati dall’intrappolamento di detriti di usura duri tra i componenti
della coppia strisciante.

Fig. 49: micrografia SEM-SE della traccia di usura

È riportata di seguito l’immagine SEM-BSE (elettroni retrodiffusi) che permette invece di


osservare le variazioni composizionali nel provino: nella pista di usura si rileva la presenza di
ossido, si tratta quindi di usura tribossidativa. La traccia appare meno ossidata rispetto al 420
NT. Questo fenomeno si può probabilmente spiegare con la maggiore durezza superficiale del
420 TI, che dovrebbe assicurare una migliore resistenza a usura e quindi una minore formazione
di detriti di usura (e quindi di ossido).

68
Fig. 50: microscopia SEM-BSE : traccia di usura

Fig. 51: microscopia SEM-BSE : traccia di usura con spettro composizionale

69
Le analisi composizionali segnalate in figura sono riportate di seguito: unico spettro EDS.

Fig. 52: spettro composizionale 1

70
7.1.5. Prove di corrosione

7.1.5.1. Prove in cella elettrochimica

7.1.5.1.1. Acciai al carbonio: curve di polarizzazione e analisi di Tafel

Nella tabella seguente sono riportati i potenziali di riposo all’inizio di ciascuna prova e a fine
prova, misurati nelle prove di corrosione eseguite sui due acciai al carbonio in Flat Cell.
Tabella 17: potenziali di riposo a inizio prova e a fine prova

Materiale Soluzione di E (inizio prova) E (fine prova)


prova [V] [V]
Acciaio 1 NaCl -0,51 -0,68
Na2SO4 -0,57 -0,72
H2SO4 -0,46 -0,41
Acciaio 2 NaCl -0,61 -0,70
Na2SO4 -0,62 -0,71
H2SO4 -0,49 -0,45

Da questi dati si può avere una prima idea di quali materiali sono più ―nobili‖, cioè resisteranno
meglio alla corrosione: più il valore del potenziale E a riposo è positivo in un materiale e più
questo è nobile.
È bene segnalare che il potenziale dà una tendenza termodinamica alla corrosione: ci dice cioè se
la reazione è energeticamente favorita, ma non dice con che cinetica tale reazione avviene. Per
fare quindi considerazioni sulla resistenza a corrosione dei materiali è sempre meglio analizzare
le curve potenziodinamiche.
Effettivamente l’acciaio 1 ha dei potenziali sempre più nobili (ponendo attenzione maggiore ai
valori di inizio prova) a parità di ambiente rispetto all’acciaio 2, cioè meno negativi: questo è
dovuto principalmente al minore contenuto di zolfo.
L’andamento del potenziale in funzione della corrente per i materiali nelle tre soluzioni si può
osservare nelle seguenti figure:

71
Fig. 53: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai in soluzione NaCl

Come è chiaramente visibile in figura 53, nella soluzione di NaCl si corrode maggiormente
l’acciaio al carbono del 2° tipo, in quanto le correnti di corrosione sono più alte. Questo è dovuto
alla maggior concentrazione di zolfo nella composizione di tale materiale: durante la prova tale
elemento dà luogo a solfuri che vengono assorbiti sulla superficie del metallo e fanno da centri
catalitici per la riduzione dell’H, accelerando il processo catodico. Poiché la velocità del
processo catodico è uguale a quello anodico anche quest’ultimo è accelerato, provocando una
maggiore corrosione nel materiale. Inoltre i prodotti di corrosione che si possono generare in
presenza di zolfo sono più solubili pertanto meno protettivi (ad esempio i solfuri di ferro). Il
passaggio in soluzione di tali solfuri solubili garantisce una ridistribuzione dello ione S- - su tutta
l’area del provino, accentuando di più l’effetto catalitico descritto in precedenza sulla reazione di
riduzione dell’idrogeno.

72
Fig. 54: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai in soluzione Na 2SO4

Come è visibile in figura 54, anche nella soluzione di Na2SO4 si corrode maggiormente l’acciaio
al carbono del 2° tipo. Il motivo è imputabile ancora alla maggior concentrazione di zolfo
presente in tale materiale.

Fig. 55: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai in soluzione H 2SO4

Nella figura 55 si può notare che nella soluzione di H2SO4 è l’acciaio al carbonio del 1° tipo che
si corrode maggiormente. Questa differenza è visibile maggiormente nel ramo catodico, mentre
nella zona anodica le curve sono molto simili.
Si riportano ora in tabella 14 i risultati ottenuti mediante le analisi con il metodo Tafel:

73
Tabella 18: elaborazione dei dati delle curve potenziodinamiche mediante metodo Tafel. Il materiale che
presenta una maggiore tendenza alla corrosione, in ogni tipo di prova, sono evidenziati in rosso.

parametri di Tafel
materiale soluzione Ecorr [V] Jcorr [Acm-2]
ac [V] bc [V/dec] Γc aa [V] ba [V/dec] Γa
-4
Acciaio 1 -0.470 2.65x10 -0.697 -0.0635 0.991 -0.305 0.0461 0.991
H2SO4
Acciaio 2 -0.501 6.90x10-5 -0.815 -0.0755 0.996 -0.272 0.0550 0.997

Acciaio 1 -0.657 9.35x10-6 -0.809 -0.0302 0.982 -0.290 0.0730 0.998


Na2SO4
Acciaio 2 -0.558 1.05x10-5 -0.761 -0.0408 0.980 -0.380 0.0357 0.988

Acciaio 1 -0.486 1.86x10-6 -0.758 -0.0474 0.905 -0.401 0.0149 0.991


NaCl
Acciaio 2 -0.546 7.97x10-6 -1.076 -0.104 0.958 -0.404 0.0278 0.998

Questi dati confermano ciò che si è detto osservando le curve di polarizzazione precedentemente
esposte: l’acciaio al carbonio del 2° tipo presenta una maggiore tendenza a corrodersi
praticamente in tutti gli ambienti di prova.
Riassumendo, negli ambienti meno aggressivi (per questi tipi di materiali) come NaCl e Na2SO4
questa tendenza è molto marcata, mentre il comportamento alla corrosione è simile nell’ambiente
più aggressivo dell’acido solforico. Come già accennato, questo è dovuto al fatto che tale
materiale ha una percentuale in peso di zolfo che è 10 volte superiore a quella dell’altro acciaio,
e questo elemento è causa di una tendenza maggiore alla corrosione. Nell’ambiente di H2SO4
invece, gioca un ruolo fondamentale la reazione catodica di riduzione dell’idrogeno, la quale può
avvenire meglio su un acciaio ricco di cementite come l’acciaio 1, che quindi presenta correnti di
corrosione leggermente più alte in quel tratto. A riprova di ciò si fa notare che i rami anodici
sono praticamente identici, mentre quelli catodici mostrano una differenza che ricalca quanto
appena affermato.

74
7.1.5.1.2. Valutazione della morfologia di attacco corrosivo a seguito delle
prove di polarizzazione

Nella seguente tabella sono state riunite tutte le immagini ottenute dall’osservazione al
microscopio delle morfologie di attacco che risultano dalle prove di corrosione nei tre diversi
ambienti di prova.

Tabella 19: foto allo stereomicroscopio (ingrandimenti a 8X) dell'area interessata all'attacco
corrosivo per i due acciai al carbono nelle tre soluzioni

Ambiente di Acciaio al carbonio 1 Acciaio al carbonio 2


prova
NaCl

Na2SO4

H2SO4

75
7.1.5.1.3. Acciai inossidabili: curve di polarizzazione e analisi dei dati

Nella tabella seguente sono riportati i potenziali di riposo all’inizio di ciascuna prova, dopo 40
minuti di degasaggio e a fine prova, misurati nelle prove di corrosione eseguite sui due acciai
inox in Flat Cell.

Tabella 20: potenziali di riposo a inizio prova, dopo 40 min di degasaggio e a fine prova

Materiale Soluzione di E (inizio prova) E (fine degasaggio) E (fine prova)


prova [V] [V] [V]
AISI 420 NaCl -0,35 -0,53 -0,72
NT Na2SO4 -0,21 -0,50 -0,19
H2SO4 -0,50 -0,45 -0,45
AISI 420 NaCl -0,37 -0,51 -0,61
TI Na2SO4 -0,24 -0,51 -0,39
H2SO4 -0,49 -0,46 -0,45

Come affermato in precedenza, da questi dati si può avere una prima idea di quali materiali sono
più ―nobili‖: più il valore del potenziale E a riposo è positivo in un materiale e più questo è
nobile e tenderà a resistere meglio alla corrosione.
Osservando i dati in tabella X, dunque, si può notare che l’acciaio inox nello stato precedente al
trattamento possiede dei potenziali più nobili (ponendo attenzione maggiore ai valori di inizio
prova), a parità di ambiente, del corrispettivo acciaio trattato, quindi si suppone che si
comporterà meglio negli ambienti corrosivi. È da notare pero che in questo caso tali valori sono
molto vicini tra loro quindi non ci danno sicurezza su quanto appena supposto.
L’andamento del potenziale in funzione della corrente per i materiali nelle tre soluzioni si può
osservare nelle seguenti figure:

76
Fig. 56: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai inox in soluzione
NaCl

Come è chiaramente visibile in figura 56, nella soluzione di NaCl si corrode maggiormente
l’acciaio inox che ha subito il trattamento di tempra, in quanto presenta correnti di corrosione più
elevate. Si può notare che i grafici dei due acciai per questa soluzione seguono lo stesso
andamento, e sia nella parte iniziale che finale della prova le correnti di corrosione dell’acciaio
non trattato superano, seppure di poco, quelle del trattato; la differenza sostanziale tra i due
materiali però, che porta ad affermare che quello che ha subito il trattamento resista peggio alla
corrosione, sta nell’intervallo di passivazione. In questa zona, dove i cloruri rompono il film di
passività creato dalla precedente ossidazione del cromo, l’acciaio AISI 420 TI subisce un pitting
molto superiore all’AISI 420 NT in quanto, per via del trattamento subito, questo acciaio ha a
disposizione meno cromo per formare lo strato superficiale protettivo.

77
Fig. 57: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai inox in soluzione
Na2SO4

In figura 57 è nettamente osservabile le differenza tra le due curve di polarizzazione, infatti


queste sono traslate l’una rispetto all’altra di un valore che sembra costante.
L’acciaio inox temprato ad induzione presenta dunque, in questa soluzione non particolarmente
aggressiva, un comportamento a corrosione peggiore del suo omologo non trattato.

Fig. 58: diagramma del potenziale in funzione del logaritmo della corrente dei due acciai inox in soluzione
H2SO4

78
Anche nell’ambiente dell’acido solforico la differenza tra i due acciai inox è chiaramente visibile
dalle curve del potenziale: le due curve discostano tra loro di alcuni ordini di grandezza.
Per essere precisi il primo tratto del potenziale, fino al primo picco di passivazione, è quasi
identico, ma subito dopo la differenza è notevole, specialmente nel tratto di passivazione di
questi materiali. Questo comportamento è, come nei casi precedenti, imputabile
all’impoverimento di cromo che apporta il trattamento termico sull’acciaio.
Come si nota in figura 58, in questa soluzione sono presenti due picchi di passivazione. Questo è
dovuto all’elemento fosforo, che fa cambiare il comportamento dell’acciaio nella soluzione di
acido solforico: la presenza del P negli acciai inox genera un secondo picco nella curva di
polarizzazione anodica. Si forma infatti uno strato ricco di fosfati sulla superficie ed aumenta il
numero di atomi assorbiti e/o adsorbiti sulla superficie dell’acciaio, provocando la comparsa
appunto di un secondo picco anodico, che è interpretato come una ri-ossidazione degli atomi di
idrogeno. Inoltre il fosforo fa shiftare il potenziale di corrosione verso la parte nobile,
diminuendo la dissoluzione anodica attiva, e abbassando la velocità di corrosione. Quest’ultimo
effetto non si nota nel grafico in figura X poiché i due acciai possiedono la stessa percentuale in
peso di fosforo [5].

Si riportano ora i dati ottenuti dall’analisi delle curve di polarizzazione appena viste e
commentate.
NaCl 3.5%
campioni dati sperimentali
E0 [V] Eattiv1 [V] icr1 [A] Eattiv2 [V] icr2 [A] Epassiv [V] Epitting [V] ΔE [V] imedia [A]
420 NT 0.529 -0.313 5.5∙10 -5
- - -0.244 -0.106 0.138 3.47∙10-5
420 TI 0.506 -0.271 5.2∙10-3 - - -0.217 -0.065 0.152 5.87∙10-4

Na2SO4 0.2N
campioni dati sperimentali
E0 [V] Eattiv1 [V] icr1 [A] Eattiv2 [V] icr2 [A] Epassiv [V] Etranspass [V] ΔE [V] imedia [A]
420 NT -0.499 -0.334 4.10∙10-6 - - 0.109 0.851 0.742 6.02∙10-7
420 TI -0.519 -0.281 5.90∙10-5 - - 0.136 0.862 0.726 4.21∙10-6

79
H2SO4 1N
campioni dati sperimentali
E0 [V] Eattiv1 [V] icr1 [A] Eattiv2 [V] icr2 [A] Epassiv [V] Etranspassiv[V] ΔE [V] imedia [A]
420 NT -0.447 -0.273 0.019 -0.116 0.005 0.369 0.829 0.460 1.15∙10-5
420 TI -0.457 -0.246 0.024 0.092 0.043 0.17 0.954 0.748 6.59∙10-3

Tabella 21: elaborazione dei dati delle curve potenziodinamiche per acciai inox. Il dati del materiale che
presenta una maggiore tendenza alla corrosione, in ogni tipo di prova, è evidenziato in rosso.

Questi dati confermano ciò che si è detto osservando le curve di polarizzazione precedentemente
esposte: l’acciaio inox AISI 420, dopo aver subito il trattamento termico di tempra ad induzione,
presenta una maggiore tendenza a corrodersi in tutti e tre gli ambienti di prova.
La motivazione sta nel fatto che quando un acciaio viene portato ad alta temperatura, tra i 600 e i
900 °C, e permane in queste condizioni per un arco di tempo abbastanza prolungato, tende a
sensibilizzarsi. La sensibilizzazione provoca la precipitazione dei carburi di cromo (del tipo
Cr23C6 ), dove ogni atomo di carbonio di solito si lega a 4 o più atomi ci cromo. Si intuisce allora
che parte del cromo presente nella lega viene ―bloccato‖, non riuscendo più così a creare
quell’ossido protettivo che è solito formare, il quale, come già detto in precedenza, rappresenta la
barriera fondamentale degli acciai inox contro la corrosione.
Il fenomeno appena descritto accade però in modo evidente solo se l’acciaio viene mantenuto a
temperature elevate per molto tempo, come nel caso in cui subisca processi di saldatura. Il
trattamento di tempra ad induzione non richiede un periodo esteso di mantenimento del tempo
del pezzo ad elevata temperatura, perciò non avviene una sensibilizzazione rilevante nel
campione. Nonostante ciò avviene l’impoverimento di cromo in alcune aree, che di solito sono i
bordi grano, dove quindi l’acciaio rimane meno protetto dagli attacchi corrosivi.
Si nota inoltre che l’acciaio AISI 420 oggetto di questo studio non possiede un’elevata quantità
di cromo nella lega (per la classe di acciaio inox a cui appartiene), e questo lo sfavorisce
leggermente nei processi di corrosione.

80
7.1.5.1.4. Valutazione della morfologia di attacco corrosivo a seguito delle
prove di polarizzazione

Nella seguente tabella sono state riunite tutte le immagini ottenute dall’osservazione al
microscopio delle morfologie di attacco che risultano dalle prove di corrosione degli acciai inox
nei tre diversi ambienti di prova.

Tabella 22: foto allo stereomicroscopio (ingrandimenti a 8X) dell'area interessata all'attacco
corrosivo per i due acciai inox nelle tre soluzioni

Ambient AISI 420 NT AISI 420 TI


e di
prova
NaCl

Na2SO4

H2SO4

81
7.1.5.2. Prove di cessione in acido acetico

I campioni di acciaio inox AISI 420 NT e TI sono stati sottoposti alla procedura per valutare il
rilascio di ioni cromo e nichel descritta nel capitolo precedente, che prevedeva tre attacchi
successivi in soluzione acquosa di acido acetico al 3 percento, a 100 °C per 30 minuti.

I risultati forniti dall’analizzatore ICP sono i seguenti:

Tabella 23: calcolo della migrazione specifica di Cr e Ni secondo normativa

Materiale esaminato Elementi da rilevare Risultati Massa Superficie RILASCIO


ICP (mg/l sostanza ceduta(mg) del campione a1 (dm2) (ppm)
AISI 420 Cr 2,87 0,20951 0,027 46,6
TI
Ni 0,27 0,01971 0,027 4,4
AISI 420 Cr 0,85 0,068 0,027 15,1
NT
Ni 0,13 0,0104 0,027 2,3

I risultati ottenuti in merito al rilascio di ioni cromo e nichel da parte degli acciai inossidabili
oggetto di questa tesi sono tutti oltre i limiti consentiti dalla normativa.
Questi dati concordano con il responso delle prove di corrosione eseguite in Flat Cell: gli acciai
oggetto di questo studio non hanno una spiccata resistenza alla corrosione e sono aggredibili
dalle soluzioni acide. Si è già accennato, infatti, che gli acciai inox martensitici sono, tra le varie
classi di acciai inossidabili, quelli che hanno la minor resistenza alla corrosione.
Le condizioni di prova dei suddetti test sono però decisamente molto più severe di quelle in cui
realmente tali materiali si trovano ad operare: sia le soluzioni della cella elettrolitica che, in
particolar modo, la soluzione e la procedura individuata dalla normativa per la determinazione
della migrazione, risultano troppo severe.
In fine, in merito a quest’ultima prova eseguita, la severità delle procedure individuate dal
decreto ministeriale è stata verificata anche da altri autori [12], i quali hanno ottenuto in tale test
risultati che, come nel nostro caso, non permettono di permanere nei limiti imposti.

82
8. CONCLUSIONI

In questo studio sono stati caratterizzati quattro diversi materiali al fine di capire, da un
confronto delle loro caratteristiche principali, quali si addicono meglio alle funzioni che devo
assumere nel sistema di compressione in cui si trovano in esercizio, e quali effetti sull’acciaio
inox utilizzato per la vite di estrusione ha il trattamento a cui è sottoposto attualmente.
I risultati ottenuti dalle prove sperimentali di caratterizzazione dei campioni di acciaio al
carbonio e acciaio inox hanno permesso di sintetizzare le seguenti conclusioni:

Per quanto riguarda la microdurezza superficiale:

 gli acciai al carbonio presentano valori di microdurezza Vickers poco elevati per
garantire elevate prestazioni della superficie in termini di usura, infatti presentano una
struttura ferritico perlitica
 L’acciaio inox AISI 420 NT, presentando microstruttuta prevalentemente martensitica,
esibisce una durezza superficiale medio-alta
 A seguito del trattamento di tempra ad induzione, come da aspettativa, l’acciaio AISI
420 incrementa la sua durezza superficiale per un valore di oltre 600 HV1.

Per quanto riguarda le proprietà tribologiche:

 Il coefficiente di attrito degli acciai al carbonio è inferiore rispetto al coefficiente di


attrito degli acciaio inossidabile trattato e non trattato. Questa diversità deriva dalle
differenze microstrutturali. Infatti è noto che una struttura martensitica presenta
coefficienti di attrito superiori rispetto a una struttura ferritico-perlitica.
 Il trattamento di tempra ad induzione, incrementando il valore di durezza superficiale,
apporta un miglioramento decisivo alla resistenza ad usura dell’acciaio inossidabile
 In ogni traccia di usura si rileva la presenza di ossido che deriva da un usura
prevalentemente tribossidativa.

83
Per quanto riguarda la proprietà di resistenza a corrosione:

 il trattamento di tempra ad induzione comporta un peggioramento limitato della


resistenza a corrosione dell’acciaio inossidabile in ogni ambiente di prova rispetto al
medesimo acciaio non trattato
 le prove di cessione eseguite secondo le modalità descritte dal Decreto Ministeriale del
21/03/1973, mettono in luce che la cessione di cromo e nichel dell’AISI 420 non trattato
e temprato ad induzione è largamente oltre il limite massimo imposto. Come già
evidenziato in letteratura le modalità di prova descritte nel decreto sono particolarmente
severe e non simulano correttamente le condizioni reale di impiego.

A seguito dei risultati emersi dalle prove effettuate si può concludere che:
1. Il trattamento di tempra ad induzione, incrementando decisamente la resistenza ad usura
e alterando di poco la resistenza a corrosione, migliora globalmente le prestazioni
dell’AISI 420 e per questo motivo è adatto per applicazioni nel settore alimentare.
2. Per la camicia occorrerebbe migliorare, mediante trattamenti superficiali, le prestazioni a
usura e a corrosione dell’acciaio al carbonio 2.
3. L’acciaio al carbonio 1 può essere utilizzato per la vite di compressione solo se trattato
superficialmente perché in queste condizioni non risponde ai requisiti minimi di usura e
corrosione per l’applicazione.

84
9. BIBLIOGRAFIA

[1] Cleanability of Stainless Steel in Relation to Chemical Modifications due to Industrial


Cleaning Procedures Used in the Dairy Industry - M.-N. Leclercq-Perlat, J.-P. Tissier, T.
Benezech

[2] Impieghi igienici degli acciai inossidabili nell'industria alimentare - Bruno Roncaglieli
Vinelli

[3] Gli acciai inossidabili e i loro T.T. - M. Boniardi, A. Sironi

[4] Proprietà tribologiche di strati superficiali e rivestimenti nanostrutturati - L. Ceschini, E.


Lanzoni

[5] A correlation between phosphorous impurity in stainless steel and a second anodic current
maximum in H2SO4 -A.A. Hermas, M.S. Morad, K. Ogura

[6] Resistenza alla corrosione atmosferica di acciai inossidabili con diverse finiture
superficiali – T. Bellezze, A. M. Quaranta, G. Roventi, R. Fratesi

[7] Principali prove di usura eseguibili - Ing. Adriano Tavasci

[8] Comportamento attivo-passivo dell’acciaio inossidabile ferritico EN 1.4521 in soluzioni


neutre e acide - S. Boccolari, N. De Cristofaro, V. Paris

[9] Decreto Ministeriale del 21/03/1973 - Ministro della Sanità

[10] Wikipedia, l’enciclopedia libera

[11] Multi-analytical investigation of stainless steel grade AISI 420 in simulated food contact
- G. Herting, D. Lindström, I. Odnevall Wallinder, C. Leygraf

[12] Resistenza degli acciai inossidabili martensitici in soluzione di acido acetico - G.Stella,
F.Astori, P.V. Scolari

[13] Tesi si laurea di Luca Filippetti, Innovazione nei trattamenti superficiali post-saldatura: il
caso dell’acciaio austenitico

[14] Tesi di laurea di Claudia Calzolari, Nuovi trattamenti post-nitrurazione e post-


nitrocarburazione per migliorare la resistenza a usura dell’acciaio X37CrMoV5-1

[15] K.Markev, C.V. Cooper, B.C. Giessen – Surface and Coatings Technology 99 (1998) 229-233
[16] A.Mitsuo, K.Morikawa, M.Kawaguchi, S.Aoki, H. Suzuki – Surface and Coatings Technology 203
(2009) 2584-2586

85
10. RINGRAZIAMENTI

Giunto al termine di questa mia prima esperienza di attività progettuale vorrei riservarmi uno
spazio per dedicare i più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che sento che hanno contribuito, in
modo più o meno diretto, alla realizzazione di questa tesi.
 Vorrei rivolgere il primo ringraziamento al Prof. Giorgio Poli, uomo di scienza e
relatore di questa tesi, che ha sempre seguito l’evoluzione di questo lavoro, rivelandosi in
qualunque momento disponibile a condividere la sua vastissima conoscenza per
commentare i risultati ottenuti e chiarire ogni dubbio;

Ringrazio poi in modo particolare i miei correlatori per avermi accompagnato passo passo in
questa esperienza:
 grazie al prof. Roberto Giovanardi, grande esperto di chimica e lavoratore
organizzatissimo, che ha saputo, con molta pazienza, guidarmi nei laboratori e darmi le
basi sulla corrosione;
 grazie al prof. Paolo Veronesi, persona affabile e di vaste conoscenze, che mi ha
introdotto in questo lavoro e non ha esitato a prestarmi aiuto nei momenti del bisogno;
 uno specialissimo grazie a Ramona Sola, persona sensibile e brillante ricercatrice, che
mi è stata accanto sin dall’inizio insegnandomi ad essere, come lei, concentrato e
metodico in ogni procedura, ma soprattutto che è stata in grado di incoraggiarmi ed
aiutarmi nei momenti di difficoltà;
 un ringraziamento dovuto spetta alla Storci S.p.A., promotrice di questo lavoro di
ricerca.

Nell’ambiente universitario sento di dover ringraziare anche altre persone:


 un grazie al prof. Ercole Soragni, che si è interessato di alcuni dettagli di questo lavoro
ed è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune mie domande;
 grazie ai dottorandi del dipartimento D.I.M.A., che hanno sopportato la mia presenza nei
loro uffici di lavoro a volte anche fino a tarda serata;
 grazie anche a tutti i tecnici di laboratorio che hanno permesso l’utilizzo delle
strumentazioni.

Infine, la riuscita di questo lavoro e molto più, il superamento di tutte le tappe universitarie di
questo cammino triennale e il raggiungimento di questo primo traguardo di laurea sono stati

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possibili soltanto grazie alla mia famiglia ed i miei amici, quindi un enorme grazie dal profondo
del cuore

 alla mia famiglia: a mia mamma, che ha pazientemente sopportato i miei cambiamenti di
umore nel periodo di esami e di scrittura tesi, a mia sorella, che mi ha aiutato
alleggerendo i miei numerosi incarichi famigliari, a mio padre, che ha risposto sempre
tempestivamente ad ogni mia richiesta tecnica, a mia nonna che non ha mai smesso di
incitarmi (e sgridarmi quando mi vedeva con la testa fra le nuvole), e a tutti gli altri che
mi hanno sempre incoraggiato perché credevano in me;
 ai miei amici (Fede, Myky, Vale, Andrea, i Gen e Gim) i quali hanno sempre condiviso
con me le gioie e i momenti difficili di questo lungo percorso;
 a una persona speciale, Marianna, che mi è stata sempre vicino…

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