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TESINA DI CHIMICA E

SCIENZA DEI MATERIALI

Materiali Ceramici

Studente: Anastasio Alessio

Corso di Laurea: Ingegneria Informatica

Anno Accademico: 2019/2020

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Sommario:

Materiali ceramici ................................................................................................... 1


Introduzione....................................................................................................... 1
Caratteristiche .................................................................................................... 1
Classificazione .................................................................................................... 3
Silicati ................................................................................................................... 4
Processo di fabbricazione dei materiali ceramici ...................................... 6
Altre materie prime utilizzate ...................................................................... 10
Materiali refrattari ................................................................................................. 11
Introduzione..................................................................................................... 11
Classificazione secondo la costituzione chimico-mineralogica .......... 12
Caratteristiche dei refrattari: ......................................................................... 13
Refrattari silicei ................................................................................................ 14
Refrattari silico-alluminosi ............................................................................ 17
Refrattari alluminosi ....................................................................................... 18
Refrattari basici ................................................................................................ 18
Refrattari neutri e speciali ............................................................................. 18
Vetro ........................................................................................................................... 19
Introduzione..................................................................................................... 19
Composizione .................................................................................................. 19
Viscosità ............................................................................................................ 20
Fabbricazione del vetro ................................................................................. 21
Vetri di sicurezza ............................................................................................. 23
Vetroceramiche ............................................................................................... 23
Cemento.................................................................................................................... 24
Introduzione..................................................................................................... 24
Stadi della produzione del cemento ........................................................... 24
Fabbricazione del cemento Portland ......................................................... 25
Reazioni chimiche in cottura ....................................................................... 26
Moduli del cemento Portland ...................................................................... 27
Costituenti mineralogici ................................................................................ 28
Idratazione del cemento ................................................................................ 28
Fattori che influenzano le caratteristiche del cemento indurito ......... 29
Classificazione dei cementi ........................................................................... 31
Cementi di miscela.......................................................................................... 32
Cause di degrado del calcestruzzo .............................................................. 34
Cemento armato.............................................................................................. 36
Bibliografia e sitografia .......................................................................................................... 37

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MATERIALI CERAMICI

INTRODUZIONE

I materiali ceramici sono stati inventati dall’uomo a partire da circa diecimila anni
fa ma il loro scarso utilizzo ha fatto sì che il termine venisse indicato principalmente
per quei materiali ottenuti per cottura di impasti minerali argillosi.

Recentemente il significato si è esteso a tutti quei materiali inorganici non metallici


duri che, a seguito di un processo di produzione, che in genere comprende la
formatura a freddo e la cottura ad alte temperature, acquisiscono particolari
caratteristiche.

Queste ultime, grazie alle attuali e avanzate tecniche di produzione, permettono in


parte di superare ciò che da sempre è stato il punto debole dei materiali ceramici,
ovvero la loro fragilità.

CARATTERISTICHE

Le caratteristiche dei materiali ceramici sono molteplici. Di seguito vengono


schematizzate le principali:

Porosità. A differenza dei materiali metallici e polimerici che sono compatti, i


materiali ceramici godono di questa proprietà, che li rende permeabili. I pori
possono essere chiusi, essere in esposizione con un’estremità verso l’esterno ( poro
a sacco) o con tutte le estremità (poro passante). La porosità è proporzionale in

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maniera diretta all’assorbimento di acqua e inversa alle caratteristiche meccaniche
e alla resistenza all’abrasione.

Solidi cristallini-amorfi. La struttura chimica dei ceramici può variare da quella


cristallina a quelle amorfa o presentarsi come in parte cristallina e in parte amorfa.

Legame ionico-covalente. Gli elementi metallici e non metallici che compongono i


materiali ceramici sono legati tra loro principalmente da legami ionici e/o covalenti.
L’entità del legame ionico o covalente tra gli atomi di questi composti è importante
poiché determina in un certo modo il tipo di struttura cristallina che si formerà nel
composto ceramico.

Elevata temperatura di fusione. E’ una caratteristica conferita principalmente dai legami


che compongono i materiali ceramici.

Elevato modulo elastico. Questa quantità indica quanto sia difficile la deformazione dei
materiali ceramici, sottoposti a sollecitazioni.

Basso carico di rottura. I materiali ceramici presentano una bassa resistenza alla
deformazione plastica, ciò implica una elevata fragilità.

Elevata durezza. La resistenza alla deformazione permanente di questi materiali


conferisce loro una particolare resistenza all’usura.

Notevole fragilità. Quasi tutti i materiali ceramici sono soggetti a frattura fragile, che
può essere innescata o velocizzata dalla presenza di micro cricche e difetti del
materiale.

Elevata stabilità chimica. In genere i materiali ceramici tendono a conservare la propria


composizione chimica. Ciò è dovuto in parte ai legami forti che uniscono gli
elementi che li compongono.

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CLASSIFICAZIONE

Esistono diverse classificazioni dei materiali ceramici. Una delle più comuni
consente di dividerli tra materiali ceramici tradizionali e avanzati.

I materiali ceramici tradizionali (esempio terrecotte, terraglie, refrattari, abrasivi,


cementi, ceramiche tecniche) sono costituiti principalmente da argilla, silice e
feldspato.

I materiali ceramici avanzati detti anche “new materials” sono dei composti puri
o quasi puri come l’ossido di alluminio, il carburo di silicio o il nitruro di silicio, di
composizione controllata, che consentono di realizzare, con tecnologie innovative,
prodotti con rilevanti caratteristiche strutturali e/o funzionali. Per composizione
controllata si intende che la purezza delle materie prime deve essere di qualità molto
più alta rispetto ai ceramici tradizionali. Talvolta le materie prime sono prodotte di
sintesi.

Un’ulteriore classificazione dei materiali ceramici può essere elaborata in base al


supporto e alle superfici che compongono i materiali ceramici tradizionali.
Distinguiamo quindi:

Ceramici a pasta porosa, che acquisiscono una porosità accentuata, in relazione


al tipo di cottura e al contenuto dell’impasto. Questi a loro volta possono
suddividersi in base al colore della pasta e alla composizione della superficie in
materiali ceramici a pasta colorata non smaltata (terrecotte, refrattari, abrasivi), a
pasta colorata smaltata (faenze, maioliche), a pasta bianca non smaltata (terraglie
forti), a pasta bianca smaltata (terraglie tenere).

Ceramici a pasta non porosa, con bassa porosità e buone doti di impermeabilità
per effetto della saldatura delle particelle ad elevate temperature di cottura. Questi

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a loro volta possono suddividersi in base al colore della pasta e alla composizione
della superficie in materiali ceramici a pasta bianca non smaltata (vitreous), a pasta
bianca smaltata (porcellane), a pasta colorata (gres).

Infine possiamo classificare i materiali ceramici in base ai tre principali settori di


impiego:

Edile. Appartengono a questa suddivisione tutti i cementi, laterizi, piastrelle,


sanitari, tubazioni, vetri utilizzati come leganti, pareti, solai, coperture, rivestimenti,
apparecchi igienici, condutture, finestre ecc.

Domestico. Tutti i materiali ceramici della classe stoviglieria utilizzati appunto


come stoviglie o oggetti ornamentali.

Industriale. Sono materiali refrattari o ceramiche tecniche e avanzate utilizzate


come rivestimenti forni o componenti per elettronica o meccanica.

SILICATI

Molti materiali ceramici contengono dei silicati: strutture formate da ioni di silicio
e di ossigeno legati insieme in modi differenti. Ne sono esempi i materiali che si
trovano in natura come l’argilla, il feldspato e la mica.

Le caratteristiche che conferiscono ai silicati un elevato uso in ambito tecnologico


sono: basso costo, alta reperibilità e proprietà speciali; sono inoltre particolarmente
importanti in relazione a materiali da costruzione quali il vetro, il cemento portland
e i laterizi, o in costruzioni elettroniche, come isolanti.

Alla base di un silicato, sia esso naturale che sintetico, esiste la struttura tetraedrica
(SiO4)4- nella quale il silicio e l’ossigeno sono legati tra di loro da un legame

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essenzialmente covalente. Il silicio, condivide i quattro elettroni del livello più
esterno con i quattro atomi di ossigeno vicini, formando quindi un tetraedro.
Siccome le nubi di elettroni localizzate nei legami covalenti respingono tutte le altre,
invece di trovarsi su un piano, queste tendono ad allontanarsi nelle tre dimensioni
puntando agli angoli opposti di un cubo. Da queste considerazioni emerge che
l’angolo tra i legami è di 109° 5’.

I silicati possono a loro volta unirsi formando diverse strutture; inoltre si deve
considerare il fatto che le strutture formate da silicio e ossigeno presentano una
carica negativa residua che può essere neutralizzata da ioni positivi di metalli. Ciò
giustifica la grande varietà di silicati che si conoscono. I gruppi tetraedrici che si
formano possono essere isolati oppure formare strutture più complesse (a catena,
a strati, in modo tridimensionale). Distinguiamo cinque gruppi:

Nesosilicati. I gruppi SiO44– sono isolati e non concatenati tra loro. La carica della
loro struttura ionica indefinita viene compensata da quella di ioni positivi. Esempi
di nesosilicati sono lo zircone ZrSiO4 olivina (Mg,Fe)2 [SiO4] topazio Al2[(F,OH)2
SiO4].

Sorosilicati. I tetraedri si uniscono a gruppi. Possiamo considerare coppie unite a


due a due per un vertice, in cui si forma lo ione Si2O7 6– (es. emimorfite) oppure
possiamo considerare gruppi uniti a tre, a quattro o a sei, che chiusi ad anello
formano quindi dei ciclosilicati (es. benitoite, berillo).

Inosilicati. Quando i silicati si uniscono formando delle catene allora parliamo di


inosilicati. Le catene possono essere semplici (es. pirosseni) o a nastro e sono unite
da ioni positivi. Le catene possono essere a loro volta doppie come nel caso degli
anfiboli. (es. attinolite, riebeckite).

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Fillosilicati. I silicati possono condividere tre vertici ciascuno dando origine a un
reticolo esagonale piano formando strati (a foglia o lamelle). Fanno parte dei
fillosilicati anche le miche, le quali, grazie alla loro particolare struttura lamellare,
sono usate come isolanti elettrici. Anche le argille contengono fillosilicati sotto
forma di piccole lamelle. Le argille hanno la capacità di assorbire molecole di acqua
diventando pastose e lavorabili, per questo motivo vengono utilizzate nella
fabbricazione di laterizi e ceramiche.

Tectosilicati. Quando i silicati si uniscono per tutti e quattro i vertici, possono


dare origine a strutture reticolari tridimensionali complesse come i tectosilicati.
Impegnando tutti gli atomi di ossigeno in legami covalenti, essi contengono solo
silicio e ossigeno. Sovente il silicio viene sostituito da atomi di alluminio creando
degli squilibri di carica (poiché l’alluminio può formare solo tre legami a differenza
del silicio che ne forma quattro), compensati da ioni positivi. Appartengono al
gruppo dei tectosilicati i feldspati.

PROCESSO DI FABBRICAZIONE DEI MATERIALI CERAMICI

Il processo di fabbricazione dei materiali ceramici comprende diverse fasi, alcune


comuni, altre si differenziano in base al tipo di prodotto che si vuole realizzare.

Preparazione dei materiali. La maggior parte dei prodotti ceramici vengono


realizzati mediante la consolidazione di particelle. Si fa un mescolamento intimo
delle materie prime a seconda delle proprietà richieste per il prodotto ceramico
finale. A questi si aggiungono leganti e lubrificanti che possono essere miscelati ad
umido (circa 30-40% di acqua) o a secco (3-4% di acqua). Talvolta le lavorazioni a
secco e a umido sono combinate insieme. In questo caso le particelle vengono
macinate con acqua e legante fino ad ottenere un impasto fluido che viene

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successivamente essiccato a spruzzo per formare così dei piccoli agglomerati sferici.
Queste operazioni conferiscono quelle caratteristiche idonee alla successiva
formatura.

Formatura. La formatura può generalmente può essere fatta con tre tecniche
diverse: la pressatura se la percentuale di acqua dell’impasto è bassa, il colaggio se la
percentuale è alta, l’estrusione se è intermedia.

- Pressatura. Il materiale, con piccole quantità di lubrificante e/o legante


organico viene compattato in uno stampo e poi espulso. Può essere
unidirezionale o bidirezionale. Si parla invece di pressatura isostatica
quando la polvere ceramica viene introdotta in un contenitore ermetico
(borsa) flessibile, all’interno di fluido idraulico al quale viene applicata una
pressione. Quest’ultima viene applicata in tutte le direzioni e compatta la
polvere facendole assumere la forma del contenitore flessibile. Questa
tecnica viene solitamente utilizzata per i refrattari, i mattoni e laterizi,
isolanti delle candele, utensili in carburo, crogioli e cuscinetti.

- Colaggio. Con la tecnica del colaggio viene preparata una sospensione di


polvere ceramica in un liquido (barbottina). Quest’ultima viene versata in
uno stampo poroso che assorbe parzialmente la porzione liquida della
barbottina. Intanto viene a formarsi uno strato di materiale semi-indurito
sulla superficie dello stampo; quando lo spessore è sufficiente l’argilla
liquida in eccesso viene rimossa dalla cavità (colata per drenaggio). La
colata può continuare fino a riempire completamente la cavità dello stampo
formando una forma solida e senza rimuovere l’argilla in eccesso (colata
solida). Esistono anche altre varianti di questo processo in cui la barbottina
viene modellata sotto pressione o sotto vuoto (colaggio in pressione e a
vuoto).

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- Estrusione. Il materiale ceramico plastico viene estruso attraverso una
matrice di formatura. Viene utilizzata la macchina con estrusore a vite sotto
vuoto, nella quale il materiale viene incanalato attraverso una matrice di
acciaio o lega dura per mezzo di una vite a motore.

Essiccamento. L’essiccamento serve per eliminare l’acqua di impasto per rendere


plastica la materia prima. Esso avviene nella maggior parte dei casi a temperature
inferiori a 200° C e viene eseguito in modo da non provocare variazioni
dimensionali.

Smaltatura. La smaltatura, qualora sia prevista, avviene prima della cottura e


prevede l’applicazione di smalti, miscele di prodotti silici, quindi prodotti di natura
vetrosa. Questo processo non serve solo a conferire qualità estetiche al prodotto,
ma serve anche migliorare alcune caratteristiche quali l’impermeabilità e
l’usurabilità.

Cottura. La cottura è una delle fasi più importanti nella fabbricazione dei materiali
ceramici poiché consente al prodotto di acquisire diverse caratteristiche a seconda
della tipologia utilizzata. Essa può avvenire a seguito dell’essiccamento
dell’impasto, qualora la fabbricazione del prodotto non preveda lo smaltamento;
per i prodotti smaltati, invece, avviene dopo il processo di smaltatura. In alcuni casi
può essere effettuata una prima cottura, che genera ciò che viene definito biscotto,
per poi procedere alla smaltatura e a un’ulteriore cottura. Questo processo genera
appunto prodotti smaltati in bicottura.

La cottura avviene a temperature inferiori di quella di fusione del componente


principale del prodotto e provoca trasformazioni chimiche e fisiche atte ad
aggregare il materiale. La parte liquida che si viene a formare in seguito alla fusione
delle componenti secondarie, solitamente di natura vetrosa e con aspetto amorfo,
fungerà da legante. Le trasformazioni chimiche che avvengono al variare della

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temperatura possono essere riassunte nelle seguenti fasi: perdita di umidità,
deossidrilazione, ossidazione della materia organica, trasformazione del quarzo,
lieve variazione volumetrica, formazione dello spinello, ritiro, formazione di
mullite. In particolare, a partire dai 900°C, si ha la formazione di silico-alluminati
complessi, i quali impartiscono al corpo ceramico le particolari proprietà fisico-
meccaniche. Inoltre, a temperature sufficientemente elevate, in dipendenza della
composizione chimica del sistema in esame, si verifica il fenomeno della
sinterizzazione, ovvero il processo di densificazione di un compatto di polveri, che
comprende la rimozione della porosità tra le particelle di partenza, la coalescenza e
la formazione di forti legami tra particelle adiacenti.

Alcuni prodotti ceramici quali la porcellana, i prodotti strutturali di argilla e alcuni


componenti elettronici contengono una fase vetrosa. Ciò è conseguenza della
comparsa, durante la cottura, di una fase liquida, che favorisce la densificazione del
materiale per effetto dei più rapidi trasporti di materia. Durante il raffreddamento,
tale fase liquida si consolida, formando una matrice vetrosa che lega le particelle
non fuse tra di loro e producendo così una massa impermeabile dotata di notevole
resistenza meccanica.

La cottura avviene in appositi forni a tunnel, nei quali transita il prodotto disposto
su dei carrelli. La temperatura nei tunnel raggiunge il picco massimo al centro e
diminuisce gradualmente verso le estremità. Questo consente al prodotto di
ricevere una cottura graduale, aumentandone quindi la densità e diminuendone la
porosità.

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ALTRE MATERIE PRIME UTILIZZATE

Scelto il materiale di base, che viene chiamato inerte, restano da definire le altre
materie prime impiegate per la formulazione degli impasti. Nella tecnologia di
fabbricazione ceramica si individuano molti componenti importanti alla
realizzazione di un prodotto, al di fuori dell’elemento principale che è l’inerte.
Questi componenti sono individuati e suddivisi in base alla loro funzione principale
in:

-Plastificanti. La funzione plastificante è dovuta alle argille unitamente all’apporto


di acqua che con esse interagisce. La proprietà fondamentale di una argilla è quella
di fissare o di orientare attorno a sé l’acqua in modo da creare un sistema argilla-
acqua opportunamente dosato tale da potersi deformare sotto l’azione di uno
sforzo meccanico conservando la forma assunta al cessare dell’azione deformante,
tale è la plasticità.

-Smagranti. La loro caratteristica è quella di essere privi di plasticità e di non


presentare ritiro dopo cottura, qualità indispensabile per sopperire ai forti ritiri delle
argille e quindi per mantenere l’integrità del pezzo. Lo smagrante principe è la
chamotte che deriva da argilla preventivamente cotta in un forno rotativo a circa
1400°c e poi macinata, e la molochite che proviene invece dalla calcinazione di
caolini a 1500°c. La chamotte ha la funzione di creare una struttura di sostegno
non plastica all’interno del prodotto, aumentando lo sforzo di snervamento.

-Fondenti. Queste provocano la formazione di fase liquida a temperature inferiori


alla normale temperatura eutettica, che sarebbe la temperatura più bassa alla quale
si ha comparsa di fase liquida. Da qui il nome che sta ad indicare la formazione di
eutettici appunto più basso-fondenti. I più usati sono i feldspati, i fosfati ed il
carbonato di calcio ma i più importanti sono i primi.

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MATERIALI REFRATTARI

INTRODUZIONE

I materiali refrattari sono materiali da costruzione generalmente a pasta colorata e


porosa, non rivestiti, atti a sopportare sollecitazioni termiche, meccaniche e
chimiche in ambienti dove si svolgono processi chimico- fisici ad elevata
temperatura. In genere, sono costituiti da una miscela di corpi a carattere cristallino
e di corpi a carattere vetroso aventi una fusione pastosa; pertanto al crescere della
temperatura essi subiscono un rammollimento a causa della fusione progressiva
della fase vetrosa seguita dalla fusione dei componenti cristallini. Il criterio
utilizzato internazionalmente per la definizione dei materiali refrattari si basa sulla
resistenza piroscopica che permette di ordinarli in riferimento alla temperatura di
rammollimento e non di fusione, dato che questi prodotti non hanno un vero
punto di fusione, non essendo corpi cristallini puri.

La normativa UNI 4450 -60 definisce i materiali refrattari come “sostanze non
metalliche le quali, indipendentemente dalla composizione chimica, hanno una
refrattarietà, determinata secondo UNI 4453, non minore di quella di un giroscopio
equivalente a 1500°C.

Queste considerazioni permettono di identificare il settore siderurgico come


settore di maggiore impiego dei refrattari (circa il 60% dell’impiego), seguito a basse
percentuali da altri settori come la vetraria, cementiera, ceramica ecc.

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CLASSIFICAZIONE SECONDO LA COSTITUZIONE CHIMICO-
MINERALOGICA

In base alla natura chimica del refrattario possiamo distinguere:

-Refrattari acidi. Sono materiali in cui è contenuta silice in quantità rilevante; essa ad
alta temperatura può dare reazione chimiche con refrattari basici, con fondenti
basici o con scorie basiche.

Refrattari basici. In questi materiali i costituenti principali sono la calce o la magnesia


o una combinazione di entrambi; ad alta temperatura possono reagire
chimicamente con refrattari acidi, fondenti acidi o scorie acide.

Refrattari neutri. Sono materiali resistenti all’attacco chimico ad alta temperatura da


parte di refrattari o fondenti o di scorie acide e basiche.

Per verificarne il tipo di reazione possiamo considerare l’aggressione in una siviera.


La siviera, utilizzata principalmente nel campo della metallurgia, è un contenitore
costituito esternamente da una camicia metallica e internamente da materiali
refrattari, in cui viene introdotto il bagno metallico sul quale galleggia una scoria.
La parte superficiale della scoria reagirà con la parete refrattaria; qualora il
refrattario sia acido, ad esempio a base silice e la scoria sia basica, ad esempio
costituita da calce, avverrà un’interazione fra questi due ossidi che genererà,
nell’esempio in esame, silicato monocalcico. La silice del refrattario ha una
temperatura di fusione di 1723 gradi, mentre il silicato monocalcico che si è
formato ha una temperatura di fusione di 1544 gradi. L’eutettico che si forma fra i
due composti avrà invece una temperatura di fusione inferiore (1436 gradi).
Questo permetterà una dissoluzione del refrattario che fonderà a temperature ben
inferiori. In conclusione a fronte di una scoria basica è necessario utilizzare un
refrattario basico e viceversa.

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CARATTERISTICHE DEI REFRATTARI:

Secondo la UNI 8129/1980 le caratteristiche che differenziano un refrattario da un


altro sono le seguenti:

-Fisiche. Sono caratteristiche fisiche il Peso specifico (PS), il Peso volumetrico


(PV), la Porosità apparente (PA) e totale (PT), l’Assorbimento d'acqua (AA), la
Permeabilità (PM), la Resistenza all'idratazione e la Granulometria (GR).

-Meccaniche a freddo. Fanno parte di questo gruppo la Resistenza alla


compressione a freddo (RC), il Modulo di rottura a freddo (a flessione) (RF) e
l’Abrasione a freddo (RA).

-Meccaniche a caldo. Sono la Refrattarietà (RP), la Resistenza alla termopressione


(TP), il Modulo di rottura a caldo, la Termofrattura di massa (shock termico) (TF),
la Termofrattura superficiale.

Di questi i parametri più importanti sono la refrattarietà e la resistenza alla


termopressione.

• La refrattarietà (RP), detta anche refrattarietà libera è la temperatura


massima di riscaldamento del materiale senza carico, viene misurata
attraverso la prova dei coni Seger, che consiste nella comparazione,
durante il riscaldamento, del comportamento del refrattario in esame con
dei conetti di materiali con refrattarietà definita.

• La resistenza alla termopressione (TP), detta anche refrattarietà sotto carico


è la temperatura massima di esercizio del refrattario mentre è in pressione
da un carico. La misura viene effettuata con analisi dilatometriche su
un provino sottoposto ad una pressione di 2kg cm2 e riscaldato

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progressivamente. In questo processo di riscaldamento
raggiungeremo dei punti critici a determinate temperature:

Temperatura di inversione: dove il materiale che si dilata all’aumentare della


temperatura inverte la tendenza.

Temperatura di rammollimento: di pochi gradi centigradi superiore alla


temperatura di inversione, in cui il refrattario inizia a cedere alla
pressione e diminuisce l’altezza del materiale.

Temperatura di schiacciamento: temperatura prossima alla fusione del


materiale, in questo punto critico il materiale risulta schiacciato
anche di 20mm, con la perdita della compattezza strutturale della
murata refrattaria.

-Termiche. Ricordiamo la Conduttività termica (CT), la Variazione lineare


permanente (VL), la Variazione volumetrica permanente (VV), la Variazione
lineare temporanee (DT).

-Chimiche. Riguardano la composizione (Silice, allumina, magnesia, ossido ferrico,


biossido ferrico, biossido di titanio, calce, alcali, perdita per calcinazione) e la
resistenza alla corrosione.

REFRATTARI SILICEI

Secondo la norma UNI 4450/1960, i refrattari silicei hanno un titolo di silice


maggiore del 94%. È importante capire il comportamento “a caldo” della silice,
ovvero le caratteristiche al variare della temperatura osservandone il diagramma di
fase.

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Diagramma di fase della silice. Il diagramma di fase della silice può essere
rappresentato sul piano cartesiano con ascissa la temperatura, che va da quella
ambiente a circa 1200° C, e ordinata la tensione di vapore. A temperatura ambiente
la silice si presenta come quarzo β e mantiene questa forma fino ai 573° C, limite
oltre il quale prende la forma di quarzo α, composizione mantenuta fino a 870° C.

È importante notare che fino a questa temperatura le fasi sono reversibili al


raffreddamento. Oltre il limite di 870° C e fino ai 1470°C il quarzo α diventa
tridimite α e le trasformazioni non sono più reversibili: raffreddando la trimite α,
infatti, si ottiene la tridimite β scendendo a 163° C e la tridimite γ al di sotto dei
117° C. Altre trasformazioni irreversibili si hanno a 1470° C in cui la tridimite α
diventa cristobalite α, che raffreddata al di sotto dei 230° C assume la forma di
cristobalite β. Oltre i 1723° C raggiungiamo la temperatura di fusione della silice e
raffreddando la temperatura otterremo un solido amorfo denominato vetro di silce
o silice vetrosa.

Durante le varie fasi, le forme cristalline della silice subiscono dilatazioni in


funzione della temperatura.

Fabbricazione dei refrattari silicei. Le materie prime di partenza da cui si produce


questa classe di materiali sono le quarziti; di queste ne esistono di due tipi, quarziti
franche e quarziti a cemento basale. Le prime sono essenzialmente costituite da
cristalli relativamente grandi di quarzo puro ad immediato contatto gli uni con gli
altri, mentre le seconde sono costituite da cristalli più piccoli immersi in una massa
di fondo, il cosiddetto cemento, costituito da cristalli di quarzo più piccoli e da una
fase mineralizzante costituita da impurezze di varia natura. Proprio per la presenza
di queste impurezze, che facilitano il completamento di alcune trasformazioni S –
S a cui va soggetta la silice, sarebbero da preferirsi le quarziti a cemento basale come
materia prima, ma nella realtà le prime sono reperibili in quantità molto maggiori.

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Sarà, dunque, necessario aggiungere dall’esterno un agente mineralizzante da
miscelare con le quarziti per facilitare la tecnologia produttiva.

La tecnologia produttiva dei refrattari silicei prevede, dopo la macinazione delle


materie prime fino a granulometrie di 2-3 mm di lato, la successiva miscelazione
delle quarziti con una sospensione di latte di calce (idrossido di calcio in acqua),
omogeneizzazione e formatura per pressatura con pressa idraulica fino a 300
kg/cm2. Si passa poi alla fase di essiccamento ed alla cottura vera e propria durante
la quale avvengono le seguenti trasformazioni.

Persa l’acqua di impasto durante l’essiccamento e 100-110°C circa, a 500°C


l’idrossido di calcio subisce calcinazione, perdendo acqua secondo la seguente
reazione: Ca(OH)2 → CaO + H2O A 573°C avviene il polimorfismo di
spostamento del quarzo il quale rimane inalterato in condizioni di metastabilità
anche a temperature superiori a 870°C. Tra i 1000 ed i 1200° C, SiO2 ed CaO
reagiscono, formando una serie di silicati di calcio tra i quali il silicato monocalcico
SiO2CaO (wollastonite). Alla fine di questa fase avremo una miscela formata in
prevalenza da quarzo con il 3-4% di silicato monocalcico. Il vantaggio del silicato
è che insieme al quarzo forma un eutettico a circa 1400° C che dà origine ad un
liquido molto più ricco in silicato monocalcico. Arrivati a 1400°C si forma una fase
liquida a prevalenza di SiO2CaO in cui solubilizza il quarzo. A questo punto,
secondo la termodinamica, in queste condizioni, la fase metastabile a questa
temperatura risulta molto più solubile nel liquido rispetto alla fase stabile alla stessa
temperatura. Ricordando i campi di stabilità del quarzo e della tridimite risulta
evidente che in tali condizioni il quarzo solubilizza nel liquido wollastinitico, con
conseguente rottura dei legami chimici Si-O-Si e riorganizzazione dei tetraedri nella
fase stabile a questa temperatura, la tridimite. Essendo quest’ultima poco solubile,
soprassatura il liquido e precipita permettendo la solubilizzazione di altro quarzo.
Il processo continua fino alla completa solubilizzazione del quarzo. Con questa

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tecnica è possibile facilitare anche il passaggio a cristobalite, ottenendo così una
miscela finale costituita da tridimite/cristobalite interconnesse, mentre il liquido
wollastonitico, al raffreddamento, in parte ricristallizza in silicato, ed in parte va a
formare una fase vetrosa. Il rapporto tra il tenore di tridimite e cristobalite dipende
molto, dal gradiente termico con il quale si regola il riscaldamento sopra i 1300°C:
per alte velocità di riscaldamento prevarrà la cristobalite, mentre per basse velocità
prevarrà la tridimite. È importante notare che al termine del processo produttivo,
il quarzo si è completamente trasformato o in tridimite o in cristobalite, poiché la
trasformazione tridimite/cristobalite è accompagnata da una minore variazione di
volume rispetto alle trasformazioni quarzo/tridimite e quarzo/cristobalite, così
come i polimorfismi di spostamenti delle due forme di alta temperatura hanno una
variazione volumetrica inferiore rispetto alle ultime due.

REFRATTARI SILICO-ALLUMINOSI

Sono materiali refrattari ancora acidi aventi come materia prima le argille (caolinite
in particolare). Il tenore massimo di Al2O3 non supera il 44% (che è quello
sostanzialmente dell’allumina nell’argille). È possibile studiare tali refrattari,
andando a studiare il diagramma di stato silice-allumina, nel quale, in base al tenore
di allumina, è possibile stabilire il tipo di refrattari e le sue caratteristiche. La cottura
di un refrattario silico-alluminoso parte sempre dalla macinazione e miscelazione
delle materie prime, essenzialmente caolinite (plastificante) e chamotte (argilla
torrefatta, con funzione smagrante). Dopo la formatura si esegue la cottura le cui
fasi sono esattamente identiche a quelle di un ceramico tradizionale. Un refrattario
di questo genere ha una refrattarietà sotto carico inferiore rispetto ai refrattari
silicei, ma come questi presenta una buona resistenza agli sbalzi termici e a
differenza di questi presenta un comportamento sotto carico con un collasso meno
improvviso di quelli silicei e che quindi permette di rientrare in condizioni di

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sicurezza se ci si accorge per tempo che si sono superati i limiti di refrattarietà del
manufatto.

REFRATTARI ALLUMINOSI

Il tenore di allumina di questi refrattari va dal 50 al 90% (rispetto al 20/44% dei


silico-alluminosi). Godono di una temperatura di fusione più alta e quindi
caratteristiche di refrattarietà migliori.

REFRATTARI BASICI

I refrattari esaminati in precedenza sono di tipo acido, quindi non opportuni in


ambienti in cui si lavora con sostanza basiche. I refrattari basici sono costituiti da
una base di ossido di Magnesio, il quale ha una temperatura di fusione di circa
2800° C. Il magnesio si trova in minerali a base di carbonati, i quali danno origine
ad un ossido di magnesio polverulento e poroso, quindi estremamente reattivo nei
confronti del vapore acqueo e dell’anidride carbonica, che lo fanno degradare e
retrocedere al prodotto di partenza. Per questo motivo viene utilizzato un ossido
di magnesio chiamato sinter di magnesia ottenuto con un processo, a costi più elevati,
che gli permette di presentarsi come materiale meno poroso e più stabile nei
confronti di vapore acque e anidride carbonica.

REFRATTARI NEUTRI E SPECIALI

Questo tipo di refrattari, come detto in precedenza, non reagisce all’attacco chimico
ad alta temperatura da parte di refrattari o fondenti o di scorie acide e basiche. In
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campo siderurgico sono i cosiddetti refrattari grafitici o di carbone. Sono
caratterizzate da un’altissima temperatura d’impiego (3500° C) e un’elevata
conduttività termica. Il loro limite consiste nel loro utilizzo che risulta possibile solo
in atmosfere riducenti (non ossidative).

VETRO

INTRODUZIONE

I materiali vetrosi sono dei prodotti ottenuti tramite il consolidamento, successivo


alla fase di raffreddamento, ma senza che si verifichi il processo di cristallizzazione.
Il vetro infatti è un materiale amorfo: possiede la caratteristica rigidità dei solidi a
struttura cristallina ma all’interno del materiale solido le molecole cambiano il loro
orientamento in modo casuale.

COMPOSIZIONE

La componente principale del vetro è l’ossido di silicio (SiO2), la cui composizione


è tetraedrica. Unendosi alle altre molecole forma una struttura cristallina bi-
dimensionalmente esagonale. L’angolo che viene a formarsi tra i vari tetraedri in
questa struttura è di norma compreso tra 120 e 180 gradi, ma nella struttura amorfa,
i tetraedri che lo compongono sono uniti angolo-angolo per formare su ampio
raggio un reticolo disordinato. Anche l’ossido di boro (B2O3) forma i vetri. Nei
vetri al borosilicato si a aggiungono ossidi e i triangoli di BO33- possono essere
neutralizzati con cationi alcalini e alcalinoterrosi.

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Esistono alcuni ossidi detti modificatori di reticolo responsabili della rottura del reticolo
vetroso. Possono essere di natura alcalina o alcalinoterrosa e vengono aggiunti per
diminuirne la viscosità e quindi permetterne la lavorazione più agevolmente. In
questo caso gli atomi di ossigeno entrano nel reticolo nei punti di unione dei
tetraedri e lo rompono generando atomi di ossigeno con elettroni non condivisi.
Gli ioni invece non entrano nel reticolo ma rimangono come ioni metallici legati
ionicamente negli interstizi del reticolo.

Esistono ancora altri tipi di ossidi detti ossidi intermediari, come l’allumina (Al2O3),
che non possono formare da soli un reticolo vetroso ma possono unirsi a un altro
preesistente.

VISCOSITA’

Una caratteristica fondamentale de considerare per il vetro è la viscosità. Infatti il


vetro si comporta da liquido viscoso (sottoraffreddato) al di sopra della
temperatura di transizione vetrosa e gli atomi possono scorrere l’uno sopra l’altro
consentendo la deformazione permanente del vetro. Quando la temperatura del
vetro viene gradualmente aumentata al di sopra della sua temperatura di transizione
vetrosa, la viscosità diminuisce e il flusso viscoso viene facilitato. L’effetto della
temperatura sulla viscosità permette di individuare alcuni valori che consentono di
effettuarne facilmente operazioni. Esse sono:

-Punto di lavorabilità. A questa temperatura è possibile fabbricare il vetro.

-Punto di rammollimento. A questa temperatura il vetro scorre per effetto del suo peso
proprio. Un vetro “hard” ha un alto punto di rammollimento al contrario di uno
“soft”.

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-Punto di ricottura. A questa temperatura vengono eliminati gli sforzi interni.

-Punto di deformazione. Al di sotto di questa temperatura il vetro è rigido e il


rilassamento degli sforzi avviene solo a basse velocità. Un vetro “long” ha una
grande differenza di temperatura tra i punti di rammollimento e deformazione e
quindi solidifica più lentamente di uno “short”.

FABBRICAZIONE DEL VETRO

Nella fabbricazione del vetro distinguiamo tre fasi principali:

Fusione: è la fase iniziale, durante la quale, la carica, formata da componenti diversi


tra loro, viene polverizzata e mescolata a rottami di vetro i quali agiscono da
fondenti. Durante la fusione, si verificano l'eliminazione dell'acqua presente nei
componenti di partenza, la dissociazione dei carbonati e dei solfati con sviluppo di
anidride carbonica o solforosa, la formazione di una massa fusa il più possibile
omogenea.
La fusione si conclude con la fase di riposo o di condizionamento, durante la quale
la massa fusa viene raffreddata gradualmente fino alla temperatura di foggiatura o
di formatura.

Formatura: eseguita in diverse modalità, quando il vetro è ancora fluido e si trova


in un campo di temperatura nel quale assume viscosità tale da poter essere lavorato
e da conservare la forma impartita, senza alterazioni. Le tecniche di formatura
possono essere sintetizzate in quattro tipologie:

• Laminazione: consiste nell’immettere la massa vetrosa in un sistema di rulli


rotanti (laminatoi), facendole assumere forme e spessori desiderati.

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• Pressatura: consiste nell’immettere e nel pressare la pasta vetrosa in stampi
predisposti. Esiste una particolare tecnica detta del Float Glass (vetro
galleggiante) che comporta la colata della massa vetrosa su un bagno di
stagno fuso: in questo modo si combinano l’azione della gravità e la
tensione superficiale, dando luogo alla formazione di lastre perfettamente
piane e parallele.

• Soffiatura: può essere artigianale o industriale e consiste nell’insufflare aria


all’interno di una quantità di pasta vetrosa per consentirne di assumere le
forme richieste. Possono essere utilizzati due tipi di procedimento: il
procedimento soffio-soffio prevede che l’alimentatore, attingendo dalla
massa di vetro liquido, formi una goccia di vetro oblunga, che attraverso
uno scivolo arriva nello stampo preparatore. Qui la goccia viene
trasformata nella ‘parison’ grazie all’insufflazione di aria compressa, viene
poi formata l’imboccatura. Infine la goccia pre-formata viene soffiata fino
ad assumere la forma definitiva. Il metodo presso-soffio invece prevede
che le gocce di vetro incandescente scivolino dall’alto nello stampo,
all’interno del quale viene inserito dal basso il pistone di pressatura. Se la
goccia di vetro si trova nella preforma, lo stampo viene chiuso dall’alto con
la base della preforma. Il pistone di pressatura a questo punto si sposta
verso l’alto, formando la ‘parison’ e quindi l’imboccatura. Non appena il
pistone di pressatura viene estratto dalla ‘parison’, quest’ultima viene
trasferita nello stampo finitore. A differenza del procedimento soffio-
soffio, con il metodo presso-soffio l’imboccatura viene formata per ultima.

• Stiramento: avviene genericamente per mezzo di doppi rulli posti su


un’incastellatura.

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Ricottura: consiste in un riscaldamento del vetro fino alla temperatura superiore di
ricottura e serve ad eliminare le torsioni che si generano durante la formatura e che
rendono difficile le operazioni di finitura come, ad esempio, il taglio.

VETRI DI SICUREZZA

Sono dei vetri piani che offrono una maggiore resistenza alle sollecitazioni
meccaniche e/o termiche e godono di minore pericolosità in caso di rottura.
Possono essere divisi in tre categorie: temprati, retinati, stratificati.

• Vetri temprati. Si tratta di un vetro piano trattato termicamente e


chimicamente in modo da indurre, negli strati superficiali, tensioni
permanenti di compressione tali da bilanciare gli stati interni di trazione.
Essi vengono prodotti riscaldando e poi raffreddando la parte superficiale
della lastra.

• Vetri retinati. Trattasi di vetri piani che incorporano una rete metallica (es.
vetro armato).

• Vetri stratificati. Sono costituiti da più lastre di vetro fortemente


compresse, fra le quali viene interposto uno strato di materia plastica.

VETROCERAMICHE

Le vetroceramiche sono costituite da una miscela di sostanze vetrose, quindi non


cristalline e non porose, con sostanze ceramiche, quindi di tipo cristallino e poroso.
Si presentano complessivamente come materiali vetroso-cristallini, ottenuti tramite

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un processo controllato di nucleazione, seguito dall’accrescimento di fasi cristalline,
le quali risultano immerse in una matrice vetrosa.

CEMENTO

INTRODUZIONE

Il cemento è un materiale inorganico finemente macinato che, mescolato con


acqua, forma una pasta che rapprende e indurisce a seguito di radiazione e processi
di idratazione e che, una volta indurita, mantiene la sua resistenza e la sua stabilità
anche a contatto con acqua. Da qui prende il nome di legante idraulico.

La fase di produzione di questi materiali varia dopo la miscelazione e la cottura,


quando il cemento viene finemente macinato e mescolato con il gesso. Per la sua
successiva messa in opera necessiterà di essere mescolato con acqua. Quest’ultima,
appunto, che per altri materiali ceramici era un solo un elemento di impasto, nel
cemento diviene un elemento di reazione.

STADI DELLA PRODUZIONE DEL CEMENTO

Possiamo generalizzare gli stadi della produzione del cemento in uno schema che
porta a una classificazione concettuale delle tipologie di cemento esistenti. La
classificazione dei cementi in base alla norma europea sarà descritta in un’altra
sezione.

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A partire dal clinker, composto da calcare (roccia a base di carbonato di calce) e
argilla (silico-alluminato) possiamo realizzare il cemento Portland, con l’aggiunta di
gesso. Qualora insieme a quest’ultimo materiale, vengano aggiunti pozzolana o
loppa, otterremo rispettivamente il cemento pozzolanico e il cemento altoforno.

Le materie prime che costituiscono il clinker possono essere costituite anche da


calcare e bauxite. Si parla allora di cemento alluminoso, le cui principali
caratteristiche sono il rapidissimo indurimento anche a bassa temperatura e l'elevata
resistenza ai solfati.

Il cemento, diluito con acqua e altri elementi dà origine ad altri materiali tra cui:

• Malta, attraverso l’unione di sabbia;

• Calcestruzzo, con l’aggiunta di particolari elementi denominati aggregati;

• Cemento armato, con l’inserimento di un’armatura metallica nel calcestruzzo.

FABBRICAZIONE DEL CEMENTO PORTLAND

Possiamo riassumere il procedimento generale per la fabbricazione del cemento


Portland come segue:

• Frantumazione grossolana dei prodotti usciti dai silos: materie prime


(argilla e calcare) e materie prime ausiliarie (es. bauxite, ceneri di pirite,
sabbia silicea);

• Essiccazione delle materie prime;

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• Macinazione del materiale crudo nel mulino a sfere (cilindro in acciaio di
diametro 2-4 m, lunghezza 6-12 m, suddiviso in camere contenti sfere di
acciaio di dimensione progressivamente decrescente, 30 giri al minuto);

• La miscela cruda macinata entra nel preriscaldatore;

• Cottura nel forno rotativo (cilindro acciaio lungo 100-150 m, diametro 3-


6 m, rivestito di materiale refrattario, 1-2 giri al minuto). Nella parte più
calda vicino al bruciatore la temperatura è di circa 1450° C. Parte della
carica fonde e parte della carica invece forma il clinker;

• Raffreddamento rapido in aria, all’uscita del forno, per conferire al clinker


la componente vetrosa più reattiva con acqua.

• Aggiunta di gesso biidrato;

• Macinazione in mulino a sfere;

• Stoccaggio per la vendita;

REAZIONI CHIMICHE IN COTTURA

Nella fase di cottura avvengono le principali trasformazioni chimiche dei


componenti.

Raggiunti i 100 °C viene persa l’acqua presente nelle materie prime che
costituiscono la farina.

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A partire dai 450 °C i minerali argillosi si decompongono perdendo acqua di
cristallizzazione formando silice (SiO 2), allumina (Al2O3) e rendendo disponibile
l’ossido di ferro (Fe2O3): Al2O3 · 2SiO2 · 2H2O → Al2O3 + 2SiO2 + 2H2O.

A 900-1000°C il carbonato di calcio del calcare si decompone in ossido di calcio e


anidride carbonica secondo la reazione di calcinazione: CaCO3 → CaO + CO2.

A partire da circa 1000 °C si verificano reazioni tra l’ossido di calcio e gli ossidi
dell’argilla con formazione dei seguenti composti: allumino ferrito tetracalcico
C4AF, alluminato tricalcico C3A e parte del silicato bicalcico C2S;

A circa 1300 °C si realizza la fusione del C4AF e del C3A, continua la formazione
del C2S e, a temperature superiori ai 1350 °C, si ha la formazione del silicato
tricalcico (C3S).

MODULI DEL CEMENTO PORTLAND

La composizione chimica di un cemento e in particolare i rapporti tra la calce e le


varie componenti (silice, allumina, ossido ferrico) possono essere descritti da dei
valori (definiti moduli) come segue:

Modulo idraulico: indica il rapporto tra la calce e la somma di ossido di silice,


allumina e ossido ferrico.

Modulo siliceo: indica il rapporto tra la silice e la somma di allumina e ossido


ferrico.

Modulo dei fondenti: indica il rapporto tra allumina e ossido ferrico.

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Modulo della calce restante: indica il rapporto tra la calce combinata nei silicati e la
silice.

COSTITUENTI MINERALOGICI

I costituenti mineralogici del cemento portland sono:

- Silicato tricalcico (C3S)

- Silicato bicalcico(C2S)

- Alluminato tricalcico(C3A)

- Fase ferrica(C4AF)

Tra i costituenti mineralogici del clinker i più importanti sono i silicati, sia perché
essi sono presenti in percentuale preponderante (dal 75 all’ 80 %), sia perché essi
sono responsabili delle prestazioni meccaniche della pasta di cemento indurita alle
quali, invece, non contribuiscono gli alluminati. Con le formule di Bogue, è
possibile stabilire, conoscendo la composizione chimica del cemento, la
percentuale relativa dei vari costituenti mineralogici.

IDRATAZIONE DEL CEMENTO

Nel processo di idratazione del cemento la maggior parte della percentuale di acqua
funge da reagente chimico ma è necessaria anche un’altra percentuale di acqua per
rendere lavorabile e fluido il composto. Dopo circa 45 minuti dall’inizio
dell’idratazione avviene la fase di presa, in cui si forma una patina gelatinosa

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superficiale e un suo progressivo indurimento causato dall’unione dei diversi
granuli, che aumentano di volume. A seguire, l’aumento di volume dei granuli
interesserà tutta la massa che si irrigidirà (fase di indurimento). Il primo costituente
mineralogico a reagire all’acqua è l’alluminato tricalcico che, insieme al gesso dà
origine alla ettringite o sale di Candlot, un solfo alluminato complesso. Esaurito il
gesso, che è in quantità stechiometrica inferiore all’alluminato tricalcico, l’etringite
contribuisce alla formazione di un monosolfato interagendo con l’alluminato
tricalcico. La fase di idratazione dei silicati, invece, porta alla formazione di silico
alluminato idrato e calce idrata o portlandite. Quest’ultima risulta essere solubile e
quindi può rendere il materiale poroso con conseguente diminuzione delle
caratteristiche meccaniche.

FATTORI CHE INFLUENZANO LE CARATTERISTICHE DEL


CEMENTO INDURITO

Il composto del calcestruzzo può essere suddiviso in tre zone ben distinte: la matrice
cementizia, la zona di transizione e l'aggregato.

In base a queste zone possiamo identificare i fattori che determinano le


caratteristiche meccaniche del calcestruzzo come segue:

- Il tipo di cemento, il rapporto acqua/cemento, la porosità, il grado di


idratazione α e gli additivi della matrice cementizia;

- Il rapporto acqua/cemento, la porosità, il grado di idratazione α e l’interazione


matrice-aggregato della zona di transizione;

- La natura, le dimensioni, la forma e la porosità dell’aggregato.

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Correlazioni con le caratteristiche fisico-meccaniche dei cementi. A influenzare le
caratteristiche fisico-meccaniche dei cementi possono essere diversi fattori, tra cui
la composizione chimica. Ciò che determina maggiore rilevanza, in particolare,
sono le percentuali di costituenti mineralogici, le quali determinano:

- la resistenza alla compressione, che può essere valutata nel tempo per
individuare il comportamento del cemento;

- il calore di idratazione;

Oltre la composizione, a influenzare le caratteristiche meccaniche è anche la


finezza: più è fine la polvere di cemento e maggiore sarà la superficie esposta al
contatto con l’acqua. Per cui, un cemento fine indurirà prima rispetto a uno più
grossolano.

Un’altra correlazione fondamentale con le caratteristiche meccaniche dei cementi


è dettata dal rapporto tra acqua e cemento. Tale rapporto ne determina appunto la
porosità e quindi l’impermeabilità a gas e liquidi. Distinguiamo a tal proposito
diversi casi di porosità:

- Pori interstrati (1-10 mm). Non influiscono sulla resistenza meccanica.

- Pori capillari (10-1000 mm). Sono causati dall’eliminazione dell’acqua di


lavorabilità e sono i principali responsabili del peggioramento delle
caratteristiche meccaniche;

- Microbolle (100 μm-1 mm). Sono formate volutamente al fine di migliorare


alcune caratteristiche, come ad esempio la resistenza al gelo;

- Vuoti con aria (1 mm-4 mm). Sono dovuti ad un non ottimale


posizionamento degli aggregati durante la gettata.

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La porosità del gel ammonta al 28% del volume occupato dalle particelle solide
della pasta cementizia e non può essere sostanzialmente modificata. Al contrario,
la porosità capillare può essere significativamente modificata attraverso il rapporto
acqua/cemento e/o il grado di saturazione α, cioè la frazione di cemento idratato.
La dipendenza della porosità capillare dai due fattori è stata quantificata con la
teoria di Powers:

VP=100 a/c -36.15 α

dove VP è il volume dei pori capillari in litri per ogni 100 kg di cemento. Powers ha
anche elaborato con un suo modello matematico la relazione che lega la resistenza
la Resistenza alla compressione (RC) e la porosità totale (P):

RC= k * (1-P)3

CLASSIFICAZIONE DEI CEMENTI

La norma europea prevede una classificazione del cemento in cinque grandi


famiglie. Il materiale di base comune ad esse è il clinker Portland, un composto di
calcare (roccia a base di carbonato di calce) e argilla (silico-alluminati). In base alle
composizioni distinguiamo:

CEM I Cemento Portland: sono costituiti almeno per il 95% da clinker e in misura
variabile da 0 a 5% da costituenti minori. Sono generalmente utilizzati nella
prefabbricazione di calcestruzzi armati semplici e precompressi.

CEM II Cemento Portland composito: hanno come costituenti principali oltre al


clinker, presente in percentuale variabile dal 65 al 94%, le loppe granulate
d'altoforno (scorie basica da altoforno), la silica fume, le pozzolane, le ceneri

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volanti, scisti calcinati e calcare. Hanno proprietà molto simili a quelle dei CEM I
che li rendono idonei ai più comuni impieghi nella realizzazione di calcestruzzi
armati normali e precompressi, di elementi prefabbricati.

CEM III Cemento d'altoforno: sono costituiti da clinker fino al 64%, e loppa
granulata basica d'alto forno. Questo tipo è articolato in tre sottotipi con contenuti
di loppa variabile dal 36% al 95%. Rispetto al cemento Portland, i CEM III sono
principalmente indicati nelle situazioni in cui il calcestruzzo è soggetto ad ambienti
chimicamente aggressivi e per la realizzazione di opere di grosse dimensioni.

CEM IV Cemento pozzolanico: sono costituiti da clinker tra il 45 e 89%, e


materiale pozzolanico naturale o artificiale. In base alla percentuale di materiale
pozzolanico, variabile dal 11% al 55%, sono articolati in due sottotipi. Il termine
"pozzolana" deriva dal nome da Pozzuoli, località della Campania dove si estraeva
il materiale, destinato, fin dall'antichità, alla produzione malte idrauliche.
Presentano una elevata resistenza all'attacco chimico.

CEM V Cemento composito: sono costituiti da una miscela di clinker, loppa


d'altoforno e pozzolana e sono adatti a realizzare calcestruzzi esposti ad ambienti
mediamente aggressivi quali acqua di mare, acque acide, terreni solfatici, etc.

Esaminiamo ora due tipi di cementi di miscela: il cemento pozzolanico e la loppa


di alto forno granulata.

CEMENTI DI MISCELA

Cemento pozzolanico. La pozzolana è una roccia sedimentaria piroclastica, che


contiene silice libera, silicati e silico-alluminosi, in parte cristallini ed in parte allo
stato amorfo. Ciò caratterizza l’alta reattività tipica della pozzolana. Questo

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materiale viene infatti inserito nei cementi Portland come componente reattivo,
partecipando alle reazioni di idratazione secondo un meccanismo che ne riduce gli
inconvenienti tipici in ordine alla resistenza ad acque dilavanti e ad acque solfate.
Infatti, in un cemento Portland, la calce idrata (CH) può reagire all’anidride
carbonica, dando origine a carbonato, oppure essere solubilizzata da acque lavanti
che ne riducono la resistenza meccanica aumentandone le porosità, oppure reagire
con acque solfatiche, dando origine all’ettringite, che essendo espansivo genera
tensioni interne. La pozzolana interagisce con la calce idrata, originando altrettanto
alluminato di calcio (CAH) e silicato di calcio idrati (CSH), favorendo la riduzione
della calce e la resistenza all’anidride carbonica, alle acque solfatiche e alle acque
dilavanti. La pozzolana influisce, in tempi lunghi, anche sulle caratteristiche
meccaniche del calcestruzzo migliorando la resistenza alla compressione e sul
calore di dilatazione.

Loppa d’altoforno granulata. Materiali che inizialmente erano considerati di


scarto nella produzione di alto forni. Queste scorie, oggi, vengono opportunamente
trattate, con un brusco procedimento di raffreddamento, in modo da renderle
reattive.

Si genera un materiale idraulico latente contenente almeno due terzi di loppa


vetrosa. La loppa a sua volta deve soddisfare i seguenti requisiti per poter essere
utilizzata come componente del cemento:

- La somma di CaO, MgO e SiO2 deve costituire almeno i due terzi della
loppa stessa;

- Il rapporto tra la somma di CaO + MgO e SiO2 deve essere maggiore di 1.

La loppa, come visto per la pozzolana, conferisce un incremento nelle


caratteristiche meccaniche molto evidente in tempi lunghi.

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CAUSE DI DEGRADO DEL CALCESTRUZZO

Possiamo riassumere le principali cause di degrado del calcestruzzo in tre grandi


famiglie:

1. Chimiche: in particolare a contatto con anidride carbonica, solfati, cloruri,


e alcali che causano rispettivamente le seguenti reazioni:

- Carbonatazione, processo dovuto alla permeazione dell’anidride


carbonica all’interno del calcestruzzo. L’idrossido di calco presente si
trasforma in carbonato di calcio mentre il pH del materiale si abbassa,
favorendo il processo di corrosione dell’armatura. La ruggine che si forma
può idratarsi in presenza di umidità, aumentando il proprio volume; questo
fenomeno provoca dapprima il sollevamento, quindi il distacco del
copriferro in corrispondenza dell’armatura.

- L’azione dei solfati che si esplica prevalentemente in ambiente industriale


o inquinato, a contatto con acque marine o selenitose, o per l’errato
impiego di materie prime non idonee. Alcuni componenti del calcestruzzo
possono reagire con gli ioni-solfato, dando origine alla formazione di
ettringite. Questi composti, ben più voluminosi di quelli di partenza,
provocano un degrado progressivo in cui si individuano tre livelli: una
fessurazione diffusa e indifferenziata, la comparsa di rigonfiamenti sulla
superficie, il distacco e lo sfaldamento dello strato corticale.

- L’azione dei cloruri si verifica prevalentemente sulle strutture situate in


ambiente marino o soggette all’uso di Sali disgelanti, ma è possibile anche
quando non siano stati operati controlli sulle materie prime per il
confezionamento del calcestruzzo. Gli ioni-cloruro provocano
direttamente la corrosione dell’armatura.

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- Dilavamento. Avviene sulle strutture soggette a contatto con acque ricche
di anidride carbonica, come ad esempio quelle montane. L’idrossido di
calcio viene trasformato in carbonato, e successivamente in bicarbonato,
sale molto solubile in acqua e quindi facilmente dilavabile. Il degrado si
manifesta con una parziale asportazione della pasta cementizia superficiale,
mentre lascia gli aggregati sostanzialmente inalterati.

2. Fisiche: possiamo individuare per esempio gli effetti dell'inquinamento


atmosferico, le piogge acide e i cicli di gelo e disgelo dell'acqua presente
all'interno delle porosità della matrice cementizia. In quest'ultimo caso il
ghiaccio provoca uno stato tensionale che, con il trascorrere del tempo,
provoca distacchi superficiali e fessurazioni. Possiamo elencare anche gli
incendi come causa fisica di degrado del calcestruzzo.

3. Meccaniche: fenomeni di abrasione, erosione e cavitazione sono dovuti


all’azione di usura esercitata da agenti di tipo diverso; nel primo caso
l’attrito è causato da polveri più dure del calcestruzzo, mentre nei due
successivi è dovuto all’acqua in movimento. Il degrado causato dall’azione
degli urti è dovuto alla caratteristica di fragilità, propria del calcestruzzo.
Esso può subire una vera e propria frantumazione quando è sottoposto a
cariche esplosive, cavitazione o carichi dinamici in genere. L’aumento dei
carichi di esercizio, inoltre, nonché le vibrazioni sismiche possono
provocare il dissesto delle strutture.

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CEMENTO ARMATO

Per opere di grande mole viene spesso utilizzato il cemento armato, un particolare
tipo di cemento ottenuto dall’unione del calcestruzzo con elementi metallici, come
ad esempio tondini di acciaio, disposti opportunamente per creare un’armatura. Il
cemento armato, così costituito, gode di efficienti valori di resistenza alla trazione,
resistenza alla flessione e allungamento.

Nonostante i componenti siano eterogenei, il loro accoppiamento risulta


funzionale per varie ragioni tra cui la forte aderenza che si stabilisce tra loro dovuta
ad azioni fisiche e chimiche e la somiglianza dei coefficienti di dilatazione termica.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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Bagatti, Corradi, Desco, Ropa,
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enti/recupero-del-calcestruzzo-
https://www.aitecweb.com/Il- cause-di-degrado-e-interventi
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cementi.

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