FACOLTÀ DI INGEGNERIA
Dipartimento di Chimica e Fisica per l’Ingegneria e per i Materiali
Corso di Laurea in Ingegneria dei Materiali
Tesi di Laurea
CARATTERIZZAZIONE FISICO-
MECCANICA DI POLISTIRENE ESPANSO
PER IL SETTORE ALIMENTARE
Relatore:
Prof. Fabio BIGNOTTI
Correlatore:
Ing. Stefano PANDINI
Laureandi:
GIRARDI Marco
Matr. n. 51604
GRASSINI Carlo
Matr. n. 51547
In d ic e
Introduzione .........................................................................................................1
Parte I
1. Solidi cellulari e polimeri espansi .....................................................................4
Nucleazione..................................................................................................7
Accrescimento ............................................................................................11
Anisotropia..................................................................................................12
Irraggiamento .............................................................................................18
Conduttività totale.......................................................................................19
Fenomeni diffusivi.......................................................................................20
-i-
Indice
Edilizia ........................................................................................................44
Imballaggio .................................................................................................45
Bibliografia .........................................................................................................48
Parte II
1. Introduzione ...................................................................................................52
- ii -
Indice
Bibliografia .........................................................................................................64
Parte III
1. Misure di densità............................................................................................66
1.2 Valutazione dell’effetto della geometria dei provini e della ripetibilità delle
misure di densità ...............................................................................................67
3. Prove di compressione...................................................................................83
- iii -
Indice
4.2 Confronti.................................................................................................102
Bibliografia .......................................................................................................109
Conclusioni ......................................................................................................110
Appendice........................................................................................................110
Ringraziamenti.................................................................................................126
- iv -
Introduzione
Introduzione
-1-
Introduzione
-2-
Parte I
PARTE I
-3-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
1.1 Introduzione
Con il termine “solidi cellulari” si indicano quei materiali costituiti da un insieme
di celle, ovvero spazi contenenti gas delimitati da spigoli ed, eventualmente,
facce solide [1] . Si tratta dunque (generalmente) di sistemi bifasici. La proprietà
più immediata di questa tipologia di materiali è che la loro densità risulta sempre
minore (a volte anche di due ordini di grandezza) rispetto a quella del solido che
ne costituisce la struttura. Tuttavia non basta che un materiale abbia densità
inferiore a quella del solido che lo compone perché si possa parlare di un solido
cellulare: questa proprietà infatti è comune anche ad altre classi di materiali, come
i materiali fibrosi o i feltri. Perché si possa parlare di solidi cellulari le celle devono
essere chiaramente individuabili e ben
delimitate. Materiali contenenti porosità isolate
in un continuo solido non sono da considerarsi
solidi cellulari, sebbene a livello tecnologico la
loro produzione consista spesso nell'arrestare
in anticipo il processo di espansione che
altrimenti porterebbe alla formazione di un
solido cellulare.
-4-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
Ci sono principalmente due modi per formare una schiuma polimerica: si può
introdurre un gas tal quale in soluzione nel polimero, per poi causarne
l’espansione mediante abbassamento di pressione (espansione fisica), oppure il
gas può venire liberato da opportune reazioni chimiche attivate termicamente
(espansione chimica). In entrambi i casi, il risultato è una massa schiumosa che
viene poi indurita, una volta raggiunte le proprietà desiderate (in termini di densità,
dimensioni delle celle ecc.). In genere il prodotto appena formato è instabile: le
celle appena raffreddate si trovano in depressione (a causa del salto di
temperatura), la reticolazione non è ancora completa (nei termoindurenti), nelle
celle è ancora presente l’espandente, ecc. Per questi motivi, segue in genere alla
formatura un periodo detto di maturazione, o stagionatura, durante il quale il
polimero espanso si stabilizza: si riequilibra la pressione tra le celle mediante
fenomeni diffusivi, viene perso l’espandente per diffusione, si completa la
reticolazione, ecc.
-5-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
celle aperte le celle sono tutte intercomunicanti tra loro, attraverso membrane
comunque esistenti alle facce, ma forate più o meno ampiamente. Al contrario,
una struttura a celle chiuse (Figura 3) è caratterizzata dall’aver tutte le celle
indipendenti tra loro, separate da membrane integre ad ogni faccia. Va da sé che
nella pratica si ha quasi sempre a che fare con
strutture intermedie tra questi due estremi, per
cui è presente una certa percentuale di celle
rotte nelle strutture a celle chiuse, esistono
strutture a celle “prevalentemente” aperte, e così
via.
-6-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
Nucleazione
La nucleazione delle bolle di gas nel sistema liquido di partenza è un processo
in cui viene generata una seconda fase all’interno di una fase continua in equilibrio
metastabile. La nucleazione può essere omogenea, quando le bolle si formano
interamente nella fase liquida, o eterogenea, quando le bolle si formano
all’interfaccia con una terza fase (tipicamente solida).
-7-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
Secondo la teoria “classica” della nucleazione [5] , alla formazione di una bolla
di gas in una massa liquida, per nucleazione omogenea, è associata una
variazione di energia libera di Gibbs esprimibile come:
1) ∆G = σ ⋅ A − ( p B − p L ) ⋅ VB + x ⋅ ( µ B − µ L )
4
2) ∆G = 4πR 2 ⋅ σ − πR 3 ⋅ ( p° − p L )
3
Nell’equazione 2 si possono
identificare due termini: un contributo di
Figura 5: Grafico qualitativo dell'energia
libera (con i contributi superficiale e energia libera di superficie che, essendo
volumetrico) di nucleazione in funzione del
positivo, si oppone alla nucleazione e un
raggio della bolla.
contributo negativo di energia libera di
volume, che tende a promuovere la nucleazione. L’espressione di ∆G così scritta
risulta avere un punto di massimo in corrispondenza di un valore di R, detto
raggio critico RC. Per valori del raggio inferiori a RC, le bolle formatesi tendono a
ridisciogliersi nel liquido (in quanto un loro accrescimento è termodinamicamente
sfavorito, poiché comporta aumento di energia libera), mentre per R > Rc la bolla
tende ad accrescersi (in quanto all’accrescimento corrisponde in ogni caso una
diminuzione di energia libera). Il valore del raggio critico si ricava dall’equazione 1,
eguagliando a zero la derivata dell’espressione appena scritta, ovvero imponendo
d(∆G)/dR = 0. Si ricava così:
2σ
3) RC =
p° − p L
-8-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
-9-
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
dove σbl, σsb, σsl sono le tensioni superficiali tra bolla e liquido, bolla e solido e
solido e liquido, rispettivamente (si veda Figura 6). Senza entrare nel merito dei
passaggi analitici necessari
per giungere a queste
conclusioni, è possibile
ricavare un’equazione per il
raggio critico che coincide
con l’equazione 3, ovvero
In realtà, ciò che cambia è la barriera energetica ∆GC, che viene diminuita dalla
presenza della fase solida. In particolare, viene diminuita tanto più quanto più la
tensione superficiale σsl è elevata e quanto minore è la tensione σsb. Gli agenti
nucleanti dunque dovranno essere scelti in maniera tale da non legarsi fortemente
con il liquido ed essere il più affini possibile con il gas, al fine di facilitare la
nucleazione eterogenea.
σ sl − σ bl
5) cos θ =
σ sb
- 10 -
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
Accrescimento
L’accrescimento delle bolle di gas nucleate nel liquido polimerico è un fenomeno
logicamente successivo, ma di fatto contemporaneo e competitivo alla
nucleazione. Infatti, quando una bolla è nucleata stabilmente (ha cioè raggio
uguale o superiore al raggio critico RC), essa inizia subito ad accrescersi per
diffusione del gas dal liquido circostante. Ciò fa sì che si abbia un gradiente di
concentrazione del gas nella zona circostante la bolla in accrescimento: in
particolare, intorno a sé la bolla forma una zona povera di gas, cosa che
sfavorisce in quella zona la nucleazione di nuove bolle. Per questo motivo, se la
velocità di nucleazione è bassa, ben presto l’accrescimento delle bolle già formate
impoverisce il liquido al punto da inibire la nucleazione: in questo modo si forma
una struttura fatta di poche bolle grandi. Viceversa, un’elevata velocità di
nucleazione fa sì che numerosi nuclei si formino prima che le bolle in
accrescimento assorbano troppo gas dal liquido, cosicchè la struttura risultante è
di numerose bolle di piccole dimensioni, che si traduce in un espanso ad alta
densità di celle.
- 11 -
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
esempio dei poliuretani nella fase iniziale dell’espansione, quando ancora il peso
molecolare del polimero è sufficientemente basso da considerare i fenomeni
viscosi quasi trascurabili. Per fusi polimerici termoplastici, o comunque ad alto
peso molecolare, la viscosità del liquido è invece troppo elevata perché si possa
modellizzare la crescita basandosi sulla sola diffusione, e dunque è necessario
ricorrere a modelli assai complessi (per i quali è necessario un approccio di tipo
numerico), in cui si tengano presenti contemporaneamente i contributi diffusivi e
viscosi. Tali modelli non sono oggetto della presente trattazione: si veda [5] per
chiarimenti e ulteriori rimandi bibliografici.
Anisotropia
Molto spesso la struttura dei polimeri espansi è anisotropa, seppure in maniera
limitata (si veda ad esempio Figura 7). Le celle, a meno che non si siano formate
in condizioni di completa libertà di espansione nelle tre dimensioni, non hanno
forma equiassica, ma una direzione si rivela mediamente diversa dalle altre:
questo in genere è causato dal processo tecnologico di espansione. In ogni caso,
l’anisotropia delle celle si ripercuote sull’intero espanso, rendendo le proprietà
meccaniche e fisiche, in generale, diverse a seconda della direzione lungo cui
esse vengono misurate.
- 12 -
Parte I Solidi cellulari e polimeri espansi
Lmax
6) R=
Lmin
Normalmente, negli
espansi tale valore è
Figura 7: Immagine al microscopio ottico di struttura
intorno ad 1.3, ma dipende anisotropica delle celle di un Polistirene espanso.
fortemente dal processo
tecnologico di formatura e di lavorazione dell’espanso.
- 13 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Nel mondo dei polimeri espansi, giocando su questi fattori si possono ottenere
materiali con un ampio spettro di proprietà: da rigidi a flessibili, da galleggianti ad
assorbenti, termoisolanti o isolanti acustici. Densità relative più o meno elevate,
strutture con un numero più o meno alto di celle per unità di volume determinano
le proprietà meccaniche e fisiche le quali, a loro volta, determinano il settore di
impiego del materiale.
2.1 Densità
Una caratteristica comune praticamente a tutti i polimeri espansi, in maggiore o
minore misura, è la leggerezza. La densità apparente o, più semplicemente, la
densità ρf (la “f” a pedice sta per foam, schiuma) di un polimero espanso, è
definita [6] come il rapporto tra la massa di un campione di geometria nota e il suo
volume.
mf
7) ρf =
Vf
- 14 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
ρf
8) φ=
ρp
mf m p + mg /p
m
ρf Vf Vf Vf Vp
9) = = ≈ =
ρ p mp mp / p Vf
m
Vp Vp Vp
Sono propriamente definiti polimeri espansi quelli il cui valore della densità
relativa è uguale o inferiore a 0.3: questo valore corrisponde ad un rapporto tra
dimensione caratteristica delle celle e spessore medio delle pareti di 10 circa. Vale
a dire che, per valori di densità superiori, lo spessore delle pareti è superiore a
1/10 della lunghezza caratteristica delle celle, e in questo caso più che di celle
vere e proprie si deve parlare di porosità isolate, e il materiale è definito un
semiespanso.
ρf t
2
10) = c1
ρp l
ρf t
11) = c2
ρp l
- 15 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Figura 8: Modello di cella cubica per polimero espanso a celle aperte (a) e a
celle chiuse (b)
spessore sia uniforme lungo tutta la superficie delle facce, e che la densità relativa
sia inferiore a 0.2.
- 16 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
2 ρf
13) ks = ⋅ k pol
3 ρ s
essendo la densità relativa uguale alla frazione volumetrica di solido, mentre kpol
è la conduttività termica del polimero compatto. Nel caso diametralmente opposto,
in cui il materiale solido è invece concentrato totalmente nelle nervature (una
struttura a celle aperte ideale, dunque, come in Figura 9-b) la frazione di solido
efficace per la conduzione, orientata cioè nel senso del flusso termico, è solo di
1/3 (4 spigoli su 12). Pertanto risulta:
1 ρf
14) k s = ⋅ k pol
3 ρ s
2 ϕ ρf
15) k s = 0.8 ⋅ − N ⋅ ⋅ k pol
3 3 ρs
- 17 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
La conduttività della miscela gassosa dipende dalla natura dei gas, dalla loro
concentrazione e dalla temperatura, mentre la pressione è sostanzialmente
ininfluente. All’interno delle celle, in genere, non vi è un solo fluido ma una miscela
di gas di diversa natura e diverso peso molecolare. La conduttività complessiva
non è una semplice somma dei contributi dei singoli gas, ma risulta una funzione
più complessa, in ragione delle eventuali interazioni tra le molecole delle diverse
componenti della miscela. In generale, si ha:
n
16) k m = ∑ wi k i
i =1
ρf
17) k g = 1 − k m
ρ s
Irraggiamento
Le pareti cellulari si trasferiscono calore anche mediante irraggiamento. Per
descrivere questo contributo, il modello più semplice è quello di radiazione tra
lastre piane e parallele a temperature T1 e T2 e a distanza ∆x, considerando le
pareti cellulari come corpi grigi. Il contributo radiativo alla conduttività risulta così:
- 18 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
4σ ⋅ ε T1 + T2
3
18) ki = ⋅ ∆x
2−ε 2
- 19 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Fenomeni diffusivi
Per garantire un buon isolamento termico, la conduttività del gas contenuto nelle
celle deve essere molto bassa: questo si ottiene tipicamente con gas ad elevato
peso molecolare, ad esempio triclorofluorometano (TCFM)1. Con il passare del
tempo, però si ha il fenomeno dell’invecchiamento: i gas a bassa conduttività
contenuti nelle celle fuoriescono per processi diffusivi, lasciando il posto all’aria,
che ha invece una conduttività più elevata. Perciò, con il passare del tempo le
proprietà termoisolanti di un espanso tendono a peggiorare.
1
L’uso del TCFM e dei CFC in generale è però ultimamente deprecato, per ragioni di impatto
ambientale. Si tende quindi a sostituirli con gas più compatibili, sebbene meno performanti in
termini di isolamento termico, come gli idroclorofluorocarburi (HCFC) o il pentano. [7] ; [3] .
- 20 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
un espanso è molto minore, in virtù del fatto che la densità, dunque la massa, è
inferiore (di due ordini di grandezza!). Infatti, i polimeri espansi termoisolanti
scambiano pochissimo calore per raggiungere l’equilibrio termico con un corpo
con cui vanno in contatto. Questo è un ulteriore vantaggio nell’impiego degli
espansi per applicazioni termoisolanti.
compatto. Il rapporto tra il modulo della schiuma e il modulo del polimero compatto
risulta essere funzione della frazione volumetrica di polimero, dunque della densità
relativa, secondo l’equazione 19:
- 21 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
ρf
2
Ef
19) ≈
Es ρ s
ρf
2
E Nf
= C1 ⋅ (0.86 ⋅ φ ) ⋅
2
20)
Es ρs
dp p 0 (1 − 2ν f )
21) E Gf = =
dε ρf
(1 − )
ρs
E Mf ρf
22) = C1 (1 − φ ) ⋅
Es ρs
- 22 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Rimandiamo a [8] per una trattazione più approfondita del modello appena
esposto.
Figura 15: Schema delle fasi di una prova di compressione su un generico espanso. a)
struttura non sollecitata; b) fase elastico-lineare; c) collasso strutturale; d) densificazione
Per espansi rigidi con caratteristiche fragili, sia a celle aperte che chiuse, il
collasso avviene quando il momento flettente che agisce sulle nervature (ed
eventualmente sulle facce) supera il limite di rottura: la cella si rompe in modo
fragile e la struttura via via si “sbriciola”. L’effetto del fluido per espansi a celle
chiuse, in questo caso, è solitamente trascurabile.
- 23 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Comportamento a trazione
Similmente al comportamento a compressione, il comportamento a trazione può
essere idealmente suddiviso in tre fasi
(vedi Figura 16):
- 24 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
Per poter essere osservata al SEM, una superficie polimerica (non conduttiva)
- 25 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
- 26 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
- 27 -
Parte I Proprietà dei polimeri espansi
- 28 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
- 29 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
- 30 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
Le applicazioni principali dei poliuretani espansi rigidi sono nel settore edile,
dove viene sfruttata la loro rigidità unitamente alla loro bassa conducibilità termica
(dovuta alla struttura a celle prevalentemente chiuse). Per la stessa ragione sono
largamente impiegate anche negli impianti refrigeranti, sia domestici che
industriali. Le loro caratteristiche di buona adesività le rendono inoltre adatte alla
realizzazione di laminati, ad esempio come nucleo di pannelli “sandwich” dove
sono rivestite da resine poliestere o epossidiche caricate: ne risulta una struttura
leggera, con buona rigidità flessionale e buone proprietà di isolamento termico:
l’utilizzo è largo nel settore aeronautico e dei trasporti.
Le schiume semirigide hanno proprietà intermedie tra quelle delle due famiglie
principali: hanno un grado di reticolazione maggiore delle schiume flessibili che
conferisce loro, a temperature non elevate, una certa rigidità strutturale
unitamente però ad una capacità di recuperare le deformazioni a compressione
marcatamente maggiore di quella delle schiume puramente rigide. Una
applicazione tipica delle schiume semirigide è nell’imbottitura di parti interne degli
autoveicoli (cruscotti, portiere…).
- 31 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
Le novolacche, una volta prodotte, sono stabili, contenendo solo ossidrili, che
non possono reagire alle temperature ordinarie, per cui non tendono a reticolare
spontaneamente; le resoliche invece sono molto più reattive. Infatti, esse
contengono sia gruppi ossidrili che metilolici, i quali tendono a reagire con velocità
più o meno elevata, a seconda del pH
OH
e della temperatura. Ne consegue che
le resine resoliche sono in grado di
HO OH OH
indurire per semplice riscaldamento,
CH2OH CH2OH mentre le novolacche necessitano
OH OH dell’aggiunta di agenti reticolanti, il più
comune dei quali è
CH2OH
OH l’esametilentetrammina. In entrambi i
Figura 23: Struttura chimica di una tipica casi la reticolazione viene effettuata
novolacca (in alto) e di una tipica resolica (in
basso). mediante graduale riscaldamento della
miscela di reazione fino a una temperatura di 160-180°C.
- 32 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
- 33 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
una buona resistenza chimica (fatta eccezione per acidi e basi concentrati).
- 34 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
di tenacità a causa della densità inferiore. Non va dimenticato, inoltre, che il PVC è
un ottimo polimero dal punto di vista della resistenza al fuoco e alla fiamma, in
quanto la presenza di alogeni fa sì che esso abbia proprietà autoestinguenti.
Il PVC rigido espanso è spesso usato in sostituzione del legno: infatti, questo
materiale può essere segato, inchiodato, forato con le medesime attrezzature e
tecnologie tipiche della lavorazione del legno. Il PVC espanso rigido può anche
essere prodotto in modo da
assomigliare al legno
anche esteticamente,
diventando quindi a tutti gli
effetti sostitutivo del legno
per le stesse applicazioni
di questo. In termini di
costo per unità di volume,
la schiuma di PVC è più
cara del legno; tuttavia, se
si considerano fattori quali
Figura 25: Lastre estruse di PVC espanso rigido. [20]
la tendenza a
salvaguardare il patrimonio forestale, i costi di manutenzione e di operazioni di
finitura dei manufatti in legno contrapposti alla elevata durevolezza e alla scarsa
manutenzione richiesta dal PVC, allora anche sotto l’aspetto economico l’impiego
delle schiume rigide di PVC diviene assai vantaggioso.
- 35 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
- 36 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
Polietilene espanso
Le schiume polietileniche si dividono in schiume ad alta densità e a bassa
densità. Lo “spartiacque” tra le due categorie è generalmente fissato per una
densità intorno ai 250 – 300 kg/m3.
Polipropilene espanso
Il PP espanso è entrato piuttosto recentemente nel mercato delle schiume
polimeriche, tuttavia il suo consumo è in continua crescita grazie alle ottime
proprietà meccaniche (in particolare riguardo all’assorbimento di energia) unite a
costi non particolarmente elevati. Per questi e altri motivi, sta gradualmente
sostituendo le schiume polietileniche reticolate in molte applicazioni, tra cui quelle
legate all’industria automobilistica.
- 37 -
Parte I Principali famiglie di polimeri espansi
resistenza all’umidità è molto buona, grazie anche alla struttura a celle chiuse
della schiuma. Ottimo l’assorbimento di energia, il che fa sì che le schiume di PP
siano largamente usate nel settore dell’imballaggio protettivo, in particolare
quando i prodotti da proteggere sono particolarmente delicati, o devono resistere
ad ambienti con condizioni critiche di temperatura o umidità.
Per una vasta panoramica sulle varie tipologie di polimeri espansi, sulle loro
proprietà e applicazioni, si rimanda ai testi citati in bibliografia, in particolare a [3] ,
[7] e [25] .
- 38 -
Parte I Il polistirene espanso
4. Il polistirene espanso
Il polistirene, in
quanto tale, è un
polimero vinilico Figura 27: Formula chimica dello stirene monomero e del
polistirene.
amorfo, rigido,
piuttosto fragile e trasparente. A causa di questa trasparenza si usa riferirsi al
polistirene compatto come “PS cristallo”, sebbene il termine sia improprio,
essendo il polimero amorfo. Viene ottenuto per polimerizzazione radicalica del
vinilbenzene, o stirene (Figura 27). Si presta molto bene alla realizzazione di
blends o copolimeri con ottime proprietà: citiamo qui solo l’ABS (Acrilonitrile-
butadiene-stirene), materiale che presenta un eccellente insieme di caratteristiche,
per cui è molto usato per la realizzazione di oggetti per il mercato di massa.
- 39 -
Parte I Il polistirene espanso
- 40 -
Parte I Il polistirene espanso
Figura 29: Fasi di lavorazione dell'EPS partendo dalle perline di polistirene espandibile. [22]
cellulare; il prodotto della fase di pre-espansione sono delle perline sfuse, la cui
densità è già molto prossima a quella del prodotto finale. All’uscita del pre-
espansore, in genere le perle vengono sottoposte ad essiccamento per eliminare
l’umidità assorbita nell’espansione.
- 41 -
Parte I Il polistirene espanso
- 42 -
Parte I Il polistirene espanso
- 43 -
Parte I Il polistirene espanso
4.4 Applicazioni
Molteplici sono le applicazioni del polistirene espanso, sia sinterizzato che
estruso: tra queste, due settori applicativi sono i più importanti: l’edilizia e
l’imballaggio.
Edilizia
Nell’edilizia, il PS espanso viene utilizzato principalmente come isolante
termico: tuttavia altre caratteristiche quali la resistenza all’umidità, la leggerezza e
- 44 -
Parte I Il polistirene espanso
L’isolamento dei muri può essere ottenuto anche disperdendo perle di EPS
direttamente nel calcestruzzo, formando così una sorta di materiale composito. In
questo modo, lasciando sostanzialmente invariate le buone caratteristiche del
calcestruzzo, si ottengono isolamento acustico e termico e alleggerimento della
struttura. Nello stesso modo si possono isolare solette e sottotetti. Spesso, nei
sottotetti, sono però preferite le lastre di XPS a causa del loro miglior
comportamento all’umidità.
Imballaggio
Parlando di imballaggio, è necessario innanzitutto distinguere l’imballaggio
alimentare dall’imballaggio
protettivo. Nel caso
dell’imballaggio alimentare, non
essendo necessarie particolari
caratteristiche meccaniche,
l’esigenza principale è ridurre al
minimo i costi e la difettosità della
produzione. Per questo, la
soluzione generalmente adottata è
Figura 31: Vassoio in XPS termoformato per l’XPS, in quanto le lastre estruse
imballaggio alimentare.
sono facili da termoformare, con
tecnologie a basso costo, per ottenere vassoi di svariate dimensioni per contenere
- 45 -
Parte I Il polistirene espanso
carne, frutta, verdura, o altro. Per imballaggi alimentari con richieste particolari, si
utilizzano altri polimeri espansi, o altre tecnologie produttive. Per i contenitori del
gelato, ad esempio, dove sono richieste una minore conduttività termica,
tolleranze più ristrette per l’accoppiamento con il coperchio, e una profondità di
imbutitura maggiore, si utilizza tipicamente EPS sinterizzato.
- 46 -
Parte I Il polistirene espanso
Altre applicazioni
Il PS espanso viene utilizzato, oltre che come isolante in edilizia e per
l’imballaggio, anche per molte altre applicazioni “minori”, che però hanno
contribuito a renderlo familiare anche tra i non addetti ai lavori, nella vita di tutti i
giorni. Tra queste, l’utilizzo per il drenaggio nell’agricoltura e nell’orticoltura, come
galleggiante, nei caschi per cicli e motocicli, per pannelli ad uso bacheca in uffici
pubblici, scuole e ospedali, nonché per varia e semplice oggettistica a basso
costo.
- 47 -
Parte I Bibliografia
Bibliografia
- 48 -
Parte I Bibliografia
[17] AA. VV. “La sicurezza industriale nelle attività che impiegano
diisocianati”, Regione Piemonte
- 49 -
Parte I Bibliografia
- 50 -
Parte II
PARTE II
- 51 -
Parte II Introduzione
1. Introduzione
- 52 -
Parte II Materiali e realizzazione provini
Sono state fornite tre tipologie di lastre, nominate SG1L, SG2L, SG3L, la “L”
sta per lastra, sulle quali è indicata la direzione macchina (DM), corrispondente
alla direzione di estrusione della lastra stessa.
- 53 -
Parte II Materiali e realizzazione provini
- 54 -
Parte II Prove sperimentali
3. Prove sperimentali
- 55 -
Parte II Prove sperimentali
- 56 -
Parte II Prove sperimentali
Verificata l’assenza dei due possibili effetti sia nelle lastre, sia nei vassoi (cfr.
parte III – cap. 1) e vista la bassa dispersione dei dati misurati, per la
caratterizzazione degli altri materiali, ci si può limitare ad analizzare solo 3 – 4
campioncini di dimensioni 12 x 12 mm2.
- 57 -
Parte II Prove sperimentali
vassoio;
• Ext (skin esterna) e Int (skin interna): sono le pellicole che delimitano
le superfici estese della lastra o del vassoio, dai due lati.
I campioni sono stati osservati e fotografati a due ingrandimenti, 2.5x e 4x. Per
poter effettuare un’analisi quantitativa delle dimensioni di cella, si è fotografato un
foglio di carta millimetrata, con i due diversi livelli d’ingrandimento, per ottenere
così una taratura della lunghezza sulle foto scattate.
Per la misura della dimensione media delle celle (per i risultati si veda parte III –
cap. 2) si è scelto di operare secondo la normativa già citata ASTM D 3576 – 04
[2] . Questa prevede di tracciare una o più linee, di lunghezza ben definita,
sull’immagine al microscopio del polimero espanso di cui si vuol determinare la
lunghezza caratteristica, e contare il numero di pareti cellulari che detta linea
interseca. La normativa suggerisce di fare in modo che tale numero non sia
inferiore a 20: non riuscendo ad intersecare 20 celle a causa delle dimensioni
- 58 -
Parte II Prove sperimentali
delle fotografie scattate, nel nostro caso sono state tracciate più linee e si sono
eseguiti i calcoli basandosi sulla somma delle intersezioni e sulla lunghezza
complessiva delle varie linee. Tale lunghezza complessiva, divisa per il numero di
intersezioni complessivo con le pareti cellulari, fornisce un valore di corda
cellulare media che, moltiplicato per il fattore correttivo 1.623 (dettato dalla
norma) dà il diametro cellulare medio convenzionale.
Per questi test, ci si è concentrati solo sui materiali SG1 e SG3, sia in lastre che
vassoi, e su SG4, che è sotto forma di vassoi. Questo per avere un confronto tra
due materiali di densità simile (SG1 e SG3), tra due materiali di densità molto
- 59 -
Parte II Prove sperimentali
diverse (SG3 e SG4) e tra lo stesso materiale in forma di lastra e vassoio (SG3L e
SG3V oppure SG1L e SG1V); si vedano le prove di densità in parte III – cap. 1.
- 60 -
Parte II Prove sperimentali
- 61 -
Parte II Prove sperimentali
Per verificare una certa ripetibilità delle prove, sono stati testati 3 provini per
ogni superficie che andiamo a considerare, interna ed esterna. Quindi si ricavano
6 provini dal vassoio e 6 dalla lastra per ogni materiale per entrambe le direzioni.
Per nostra convenzione, la superficie che dà il nome alla singola prova è quella
rivolta verso l’alto, ossia quella che viene premuta dall’appoggio collegato alla
traversa mobile. Pertanto, per esempio, la prova “SG1Ve lunga” corrisponde alla
- 62 -
Parte II Prove sperimentali
flessione del materiale SG1 da vassoio preso lungo la direzione della dimensione
maggiore, con la superficie esterna rivolta verso l’alto (e dunque la superficie
interna posta in trazione dalla prova).
Infine, per verificare che sia la superficie che governa la modalità di rottura a
flessione del provino, si vanno ad effettuare delle prove su campioni intagliati
trasversalmente sul lato in trazione e si osserva il loro comportamento.
- 63 -
Parte II Bibliografia
Bibliografia
[1] ASTM D 1622 – 03, “Standard test method for Apparent Density of
Rigid Cellular Plastics”
[2] ASTM D 3576 – 04, “Standard test method for Cell Size of Rigid
Cellular Plastics”
- 64 -
Parte III
PARTE III
- 65 -
Parte III Misure di densità
1. Misure di densità
In questo capitolo verranno esposti i dati ottenuti relativi alle misure di densità,
grandezza che sappiamo influenzare fortemente le proprietà meccaniche degli
espansi. Dalla loro analisi si cercherà di valutare la ripetibilità di tali prove e si
andranno a confrontare le diverse tipologie di materiale.
- 66 -
Parte III Misure di densità
Anche per SG3V, si può notare il basso valore della deviazione standard. Essa
ci porta alle medesime conclusioni tratte per SG3L: non esiste un effetto di
disomogeneità della densità tra i diversi vassoi di SG3.
Per essere certi che ciò si ripeta in tutti i materiali, bisognerebbe ripetere tale
prove per ognuno di essi. Non avendo a disposizione le lastre di tutti, si prende
SG3 come modello e si ipotizza che anche negli altri materiali la densità sia
omogenea.
- 67 -
Parte III Misure di densità
0.070
1
0.065 2
3
4
0.060
densità (g/cm^3)
5
6
0.055 7
8
9
0.050 10
media 10 (A)
A
0.045
SG3L
0.040
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
n° campione
- 68 -
Parte III Misure di densità
0.070
1
0.065 2
3
4
0.060
densità (g/cm^3)
5
6
0.055 7
8
9
0.050 10
media10 (B)
B
0.045
SG3L
0.040
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
n° campione
- 69 -
Parte III Misure di densità
0.070
1
0.065 2
3
4
0.060
densità (g/cm^3)
5
6
0.055 7
8
9
0.050
10
media10 (C)
0.045 C
SG3L
0.040
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
n° campione
- 70 -
Parte III Misure di densità
- 71 -
Parte III Misure di densità
0.045
1
0.040
2
3
0.035 4
densità (g/cm^3)
5
6
0.030 7
8
0.025 9
10
media10
0.020 SG3V
0.015
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
n° campioni
Valgono per questi risultati relativi a SG3V le stesse considerazioni desunte per
SG3L.
- 72 -
Parte III Misure di densità
0.045
0.040
0.035
0.030 SG1V
densità (g/cm^3)
SG2V
0.025 SG3V
SG4V
0.020
SG5V
0.015 SG6V
SG7V
0.010
0.005
0.000
SG1V SG2V SG3V SG4V SG5V SG6V SG7V
Figura 5: Istogramma delle densità medie con relative deviazioni standard per
tutti i vassoi
Dall’istogramma si vede come tutti i vassoi, fatta eccezione per SG4V, abbiano
più o meno la stessa densità; in particolar modo si vuol far notare la minima
differenza tra le densità di SG1V e SG3V perché verranno poi confrontati e
caratterizzati meccanicamente, a compressione e a flessione. Per ogni tipologia di
vassoio è inoltre evidenziata la deviazione standard sulla densità media: SG2V è
sicuramente il materiale con densità più omogenea, mentre SG6V presenta un
intervallo d’errore maggiore, pur essendo, in termini assoluti, ridotto.
- 73 -
Parte III Misure di densità
0.06
0.05
SG1L
densità (g/cm^3)
0.04 SG1V
0.03 SG2L
SG2V
0.02 SG3L
SG3V
0.01
0.00
SG1L SG1V SG2L SG2V SG3L SG3V
Figura 6: Istogramma di confronto delle densità medie tra vassoio e lastra per SG1,
SG2,SG3
Si può osservare come, per tutti e 3 i tipi di materiali, la densità subisca una
forte riduzione nel passaggio da lastra a vassoio, ossia durante il processo di
termoformatura, che tende ad uniformare i valori di densità. Inoltre, si può
affermare che le differenze di densità, tra un materiale e un altro, sono
maggiormente visibili nello stato di lastra e si attenuano nel confronto tra vassoi,
come si vede nel grafico di Figura 7.
0.06
0.05
densità (g/cm^3)
0.04
SG1
0.03 SG2
SG3
0.02
0.01
0.00
- 74 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
2. Caratterizzazione microstrutturale
Seguendo la norma
ASTM D 3576 – 04 [2] ,
come descritto anche in
parte II – cap. 3.2, si è
calcolato il parametro più
rilevante dal punto di vista
microscopico per la
caratterizzazione di una
schiuma polimerica, Figura 8: Esempio di calcolo della corda media cellulare
secondo norma ASTM D 3576 - 04. La fotografia riguarda il
ovvero il diametro medio materiale SG3L in DM.
apparente delle celle. La
precisazione “apparente” indica che tale misura viene operata «assumendo che
non ci sia una misurabile variazione da punto a punto nel diametro medio cellulare
e che la distribuzione dei diametri cellulari intorno a quello medio sia normale» [2] .
Inoltre, si opera nell’approssimazione che le celle siano descrivibili come elementi
sferici.
- 75 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
E’ inoltre interessante notare come le fotografie relative alla superficie del core
abbiano un profilo maggiormente circolare rispetto alle fotografie relative alle
superfici laterali, per le quali la forma delle celle è più simile a quella di un
ellissoide il cui asse minore è parallelo alla direzione dello spessore della lastra o
del vassoio. Questo rispecchia la tecnologia di produzione: in particolare è un
effetto dello “schiacciamento” delle celle (ovvero della loro inibizione ad
espandersi in completa libertà) in prossimità dei vincoli imposti all’espansione,
cioè della trafila di estrusione (per le lastre) o dello stampo di termoformatura (per i
vassoi). Alla costrizione del materiale in superficie è imputabile anche la
particolare morfologia delle celle relative alla skin del materiale (Figura 12),
assimilabile a “bolle” tondeggianti schiacciate
- 76 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
- 77 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
Figura 12: Immagine della skin Int di SG1L: si noti la forma tondeggiante delle
"celle".
Tabella 9: Misure del diametro medio delle celle per i diversi materiali e le diverse superfici.
* La media è calcolata, non tenendo conto delle skin (Ext e Int), basandosi sui volumi medi
di cella, quindi sui cubi dei diametri medi
[mm] SG1L SG1V SG3L SG3V SG4V
DM 0.294 0.366 0.320 0.434 0.476
TD 0.289 0.427 0.388 0.393 0.492
C 0.402 0.458 0.481 0.487 0.562
Media* 0.337 0.420 0.407 0.441 0.513
- 78 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
0.600
0.500
0.400
DM
Cell size [mm]
TD
0.300 C
EST
0.200 INT
0.100
0.000
Cell size Cell size Cell size Cell size Cell size
SG1L SG1V SG3L SG3V SG4V
Figura 13: Diametri medi apparenti di cella per i diversi materiali esaminati, suddivisi per
materiale.
0.600
0.500
0.400
Cell size [mm]
0.100
0.000
DM TD C EST INT
Figura 14: Diametri medi apparenti di cella per i diversi materiali esaminati, suddivisi per
tipologia di superficie.
- 79 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
0.6
0.55
0.5
0.45
cell size (mm)
DM
0.4
TD
0.35 C
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.02 0.025 0.03 0.035 0.04 0.045 0.05 0.055 0.06
densità (g/cm^3)
Figura 15: Diametro cellulare delle diverse tipologie di superfici in funzione della densità.
Da notare che le dimensioni delle “celle” (che nel caso delle skin sono delle
- 80 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
0.55
0.5
SG1V
0.3
0.25
0.2
0.02 0.025 0.03 0.035 0.04 0.045 0.05 0.055 0.06
densità (g/cm ^3)
Figura 16: Diametro cellulare cubico medio in funzione della densità: non è
presente alcuna correlazione chiaramente individuabile. Le linee tratteggiate
collegano punti che si riferiscono a materiali dello stesso tipo, in forma di lastre
o vassoi.
“bolle” tondeggianti schiacciate, come in Figura 12) sono in tutti i casi, escluso
SG4, diverse tra Int ed Est. Questo è interessante, soprattutto se si considera che
la resistenza del materiale a flessione (vedi cap. 4), profondamente influenzata
dalle proprietà della superficie, risulta diversa a seconda di quale superficie è
sottoposta a trazione. Tuttavia, non si è ancora compresa una vera e propria
correlazione fra resistenza del materiale e dimensioni cellulari della skin.
- 81 -
Parte III Caratterizzazione microstrutturale
Tutto ciò porta ad affermare che la correlazione tra microstruttura e densità del
polimero espanso, che pure esiste (vedi parte I – cap. 2.4), non può essere
ricondotta al solo parametro microstrutturale della dimensione media
cellulare: sicuramente entrano in gioco altri fattori, quali le caratteristiche del
polimero-base, lo spessore delle pareti cellulari e delle nervature, la distribuzione
del materiale tra pareti e nervature, la concentrazione di polimero negli spigoli.
Tutti questi sono parametri che per noi, al momento, risultano di difficile
misurazione.
- 82 -
Parte III Prove di compressione
3. Prove di compressione
3.1 Introduzione
La caratterizzazione del comportamento meccanico dei diversi materiali è stata
effettuata mediante prove di compressione sui materiali in analisi. Da tali prove, si
ottengono delle curve carico-deformazione, dalle quali si possono ricavare
importanti informazioni sul comportamento meccanico a deformazione dei
materiali espansi. La designazione di materiali da analizzare, tra loro distinguibili
per densità e per storia di processo, ci ha permesso inoltre di studiare come le
proprietà meccaniche possano essere influenzate da questi parametri.
1.4
1.2
1
.
Sforzo (MPa)
0.8
SG1V - A
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 17: Tipico andamento di una curva di compressione per polimeri espansi, in
questo caso rappresentato dal materiale SG1 sottoforma di vassoio
- 83 -
Parte III Prove di compressione
Si sono testati con tali prove i materiali SG1, SG3, sia in lastre che vassoi, e
SG4V. Per ognuno di essi si sono presi in esame 3 campioni in modo tale da
verificare la ripetibilità delle prove a compressione ed avere più dati per farne una
media. Inoltre si è scelto di andare ad effettuare ulteriori prove su SG3L e SG3V
per osservare l’evoluzione della microstruttura cellulare con l’avanzare della
compressione.
1.8
1.6
1.4
.
1.2
Sforzo (MPa)
SG1L-A
1
SG1L-B
0.8 SG1L-C
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 18: Curve sforzo deformazione relative ai test di compressione sui campioni di
SG1L
- 84 -
Parte III Prove di compressione
1.6
1.4
1.2
.
1
Sforzo (MPa)
SG1V - A
0.8 SG1V - B
SG1V - C
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 19: Curve sforzo deformazione relative ai test di compressione sui campioni di
SG1V
1.4
1.2
1
.
Sforzo (MPa)
0.8 SG3L - A
SG3L - B
SG3L - C
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 20: Curve sforzo deformazione relative ai test di compressione sui campioni di
SG3L
- 85 -
Parte III Prove di compressione
1.6
1.4
1.2
.
1
Sforzo (MPa)
SG3V- A
0.8 SG3V- B
SG3V- C
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 21: Curve sforzo deformazione relative ai test di compressione sui campioni di
SG3V
1.6
1.4
1.2
.
1
Sforzo(MPa)
SG4V - A
0.8 SG4V - B
SG4V - C
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 22: Curve sforzo deformazione relative ai test di compressione sui campioni di
SG4V
- 86 -
Parte III Prove di compressione
Solo SG1L e SG1V mostrano un discreto accordo fra i risultati ottenuti sui vari
campioni, ma negli altri casi la sovrapposizione delle curve risulta meno marcata,
indicando una certa difficoltà nell’ottenere prove ripetibili. La scarsa ripetibilità,
influenzata sicuramente dall’accuratezza di intaglio dei provini, che devono avere
le facce il più perpendicolari possibili tra loro, può far già intuire il margine di errore
in cui s’incorrerà nell’elaborazione dei dati.
3.3 Confronti
Nel confrontare tra loro le curve sforzo-deformazione dei diversi materiali, si è
scelta per ognuno di essi, la curva più vicina all’andamento medio suggerito dalle
tre come curva più rappresentativa per quel materiale.
In primo luogo sono confrontati tra loro l’andamento delle curve per le due
tipologie di forma, lastra e vassoio, all’interno di una stessa famiglia di materiale
(SG1 ed SG3) in modo da mettere in relazione la storia di processo, e in
particolare la seconda espansione in fase di termoformatura con il comportamento
meccanico dei materiali in analisi.
1.6
SG1L - B
1.4 SG1V - C
1.2
.
1
Sforzo (MPa)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
- 87 -
Parte III Prove di compressione
1.6
SG3L - C
1.4 SG3V - B
1.2
Sforzo (MPa) .
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Dai grafici di Figura 23 e Figura 24, si vede, sia per la famiglia SG1 che per
SG3, la medesima variazione di andamento del comportamento a compressione
nel passaggio da lastra a vassoio. Le curve presentano sia per lastre che per
vassoi i tipici andamenti descritti in precedenza, ma si nota innanzitutto un
maggiore irrigidimento di vassoi nel tratto elastico; inoltre è possibile notare che i
vassoi presentano per valori minori di deformazione l’ingresso nella zona di
collasso strutturale. Il successivo tratto di plateau si estende per i vassoi per valori
di deformazione più elevati rispetto a quelli per cui le lastre presentano l’ingresso
nel tratto di densificazione, mostrando quindi come la curva della lastra sia simile
a quella del vassoio della famiglia corrispondente, ma a parità di sforzo sia
caratterizzata da deformazioni inferiori, eccetto che nella prima zona elastica
lineare.
- 88 -
Parte III Prove di compressione
1.6
SG1L - B
1.4 SG1V - C
SG3L - C
1.2 SG3V - B
SG4V - C
Sforzo (MPa) .
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
- 89 -
Parte III Prove di compressione
0.12
SG1L - B
SG1V - C
0.1 SG3L - C
SG3V - B
SG4V - C
Sforzo (MPa) .
0.08
0.06
0.04
0.02
0
0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12
Deformazione (mm/mm)
Dai grafici di Figura 25 e Figura 26, si osserva come il materiale SG4V abbia un
comportamento paragonabile a quello degli altri vassoi nel primo tratto di curva
che si discosta man mano con l’aumentare del livello di deformazione. Come già
detto in precedenza, per quanto riguarda il modulo elastico, i materiali si
distinguono nelle classi lastre, caratterizzate da modulo elastico inferiore, e vassoi,
caratterizzati da modulo elastico superiore. Andando ad elaborare tali curve si
possono ricavare i valori numerici del modulo elastico, E, e della deformazione
corrispondente al primo gomito, εNL , ossia all’inizio del collasso strutturale.
- 90 -
Parte III Prove di compressione
Come si può vedere in Figura 27, nel nostro caso, essendo un polimero
espanso a celle chiuse, la seconda zona non è un vero plateau, ma tende a
crescere con la deformazione come conseguenza della maggiore pressione creata
nel gas intrappolato nelle celle; tale crescita non è lineare, e di conseguenza non è
facilmente interpolabile con una retta, indicando in tal modo un’ampia zona di
transizione soprattutto tra la seconda e terza zona. Risulta quindi difficile valutare
εD e Ecomp per i diversi materiali, mentre E ed εNL sono di più facile ottenimento.
Per ogni campione di ogni materiale si sono quindi costruite le 3 rette e si sono
calcolati i parametri numerici di cui se ne è poi fatta una media riportata in Tabella
10.
1.4
1.2
1
.
Sforzo (MPa)
0.8 SG1V - A
E
plateau
0.6
Ecomp
0.4
0.2
0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9
Deformazione (mm/mm)
- 91 -
Parte III Prove di compressione
0.14
0.12
0.1
.
Sforzo (MPa)
0.08
SG1V - A
E
0.06
plateau
0.04
0.02
0
0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1 0.12
Deformazione (mm/mm)
Figura 28: Zoom sulla prima parte di curva per visualizzare l’ottenimento del modulo
elastico E e della deformazione di inizio collasso εNL
Tabella 10: Valori delle medie dei 4 parametri per ogni materiale
SG1L SG1V SG3L SG3V SG4V
- 92 -
Parte III Prove di compressione
Dall’analisi dei dati in Tabella 10 si conferma quanto era già stato notato a prima
vista nelle curve dei grafici precedenti, ossia che:
2.4
2
.
SG1V
1.6
Modulo elastico (MPa)
SG3V
SG4V
SG1L
1.2 SG3L
0.8
0.4
Figura 29: Istogramma dei valori misurati di modulo elastico (con relativa dispersione) per
le diverse tipologie di materiale prese in esame
- 93 -
Parte III Prove di compressione
2.4
2.2
.
2.0
Modulo elastico (MPa)
1.8 SG1V
SG3V
1.6
SG4V
SG1L
1.4
SG3L
1.2
1.0
0.8
0.6
0.02 0.025 0.03 0.035 0.04 0.045 0.05 0.055 0.06
Densità (g/cm^3)
Figura 30: Modulo elastico (con relativa dispersione) in funzione della densità per le
diverse tipologie di materiale prese in esame
- 94 -
Parte III Prove di compressione
- 95 -
Parte III Prove di compressione
a b
Figura 33: Morfologia del materiale SG3V prima della compressione (a) e dopo una
deformazione di circa il 90% (b).
- 96 -
Parte III Prove di compressione
1.6
1.4
3
1.2
1
Sforzo (MPa)
SG3L - A
0.8 SG3L - B
SG3L - C
2
0.6
0.4
0.2 1
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 34: Curve di compressione parziali in corrispondenza dei punti critici per SG3L
1.6
3
1.4
1.2
Sforzo (MPa) .
SG3Vcol - A
0.8 SG3Vcol - B
SG3Vcol - C
0.6
2
0.4
0.2
1
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Deformazione (mm/mm)
Figura 35: Curve di compressione parziali in corrispondenza dei punti critici per SG3V
- 97 -
Parte III Prove di compressione
0 1
2 3
Figura 36: Morfologia del materiale SG3L prima della compressione (0), dopo una
deformazione corrispondente al primo (1) e al secondo gomito (2), e dopo una deformazione
di circa il 90% (3).
- 98 -
Parte III Prove di compressione
0 1
2 3
Figura 37: Morfologia del materiale SG3V prima della compressione (0), dopo una
deformazione corrispondente al primo (1) e al secondo gomito (2), e dopo una deformazione
di circa il 90% (3).
- 99 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
4.1 Introduzione
Per valutare il comportamento a rottura dei materiali forniti da Sirap Gema
S.p.A., delle barrette ricavate dalle lastre e dai vassoi sono state sottoposte a
prova di flessione in 3 punti.
- 100 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
0.09
SG3Ve lunga
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.08
0.07
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10
Freccia di deflessione [mm]
0.1
curva A - SG1Li T
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.08
0.07
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
Freccia di deflessione [mm]
Figura 39: Andamenti tipici delle curve sforzo-deflessione per materiali “duttili”,
la curva A, tipica di SG1L superficie interna in direzione trasversale, e la curva
B, tipica di SG1L superficie esterna in direzione trasversale
- 101 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
Sono state effettuate 3 prove per ogni superficie da analizzare, per cui, per
ognuna di esse, il risultato finale sarà simile a quello in Figura 40:
0.1
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.09
0.08
0.07
0.06
0.05
0.04
0.03
Figura 40: Test di flessione in 3 punti per tre campioni di SG1V, superficie
interna
In questo modo si può constatare la ripetibilità delle prove che consente, in sede
di confronto, di scegliere una sola delle curve, possibilmente quella media.
Risultati altrettanto ripetibili sono stati presentati anche per tutte le superfici delle
altre famiglie di materiali.
4.2 Confronti
Per ogni famiglia di materiale testata, si sono confrontate le curve ottenute di
tutte le superfici.
- 102 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
0.1
0.09
0.07
0.06
0.05 SG1Le DM
SG1Li DM
0.04 SG1Le T
SG1Li T
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
Freccia di deflessione [mm]
Però, a differenza delle lastre, queste tre superfici, presentano anisotropia nel
livello delle forze normalizzate; in particolar modo, per pari valore di deflessione, i
campioni di vassoio ricavati in direzione lunga sono caratterizzati da sforzi più
elevati rispetto a quelli ottenuti in direzione corta.
- 103 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
0.1
0.09
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.08
0.07
0.06
SG1Ve lunga
0.05 SG1Vi lunga
SG1Ve corta
0.04
SG1Vi corta
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Freccia di deflessione [mm]
0.12
SG2Le T
SG2Li T
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.1 SG2Le DM
SG2Li DM
0.08
0.06
0.04
0.02
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
Freccia di deflessione [mm]
- 104 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
0.12
SG2Vi corta
SG2Ve corta
SG2Vi lunga
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.1
SG2Ve lunga
0.08
0.06
0.04
0.02
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18
Freccia di deflessione [mm]
- 105 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
0.09
SG3Li DM
0.08 SG3Le DM
SG3Le T
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20
Freccia di deflessione [mm]
0.12
0.1
Forza normalizzata alla sezione [MPa]
0.08
SG3Vi corta
SG3Ve corta
0.06
SG3Vi lunga
SG3Ve lunga
0.04
0.02
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Freccia di deflessione [mm]
- 106 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
Per quanto riguarda le superfici dei vassoi SG3V, si può vedere come gli sforzi
non presentino il picco iniziale e siano più o meno simili per tutte le curve. Si vede
una netta differenza tra le superfici ricavate in direzione corta, che non si
rompono, e le superfici ottenute lungo la direzione maggiore del vassoio, che si
rompono di schianto per valori simili di deflessione.
Il fatto che il materiale SG3V produca meno sfridi degli altri in fase di tranciatura,
soprattutto rispetto a SG1V, può portare alla conclusione che materiali
caratterizzati da rottura fragile abbiano minor tendenza alla produzione di sfridi.
0.08
SG1Le T c/int
SG2Le T c/int
0.06 SG2Li T c/int
SG3Le T c/int
0.05 SG3Li T c/int
0.04
0.03
0.02
0.01
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18
- 107 -
Parte III Caratterizzazione del comportamento a rottura
Ciò prova il fatto che la modalità di rottura a flessione del provino è governata
dalla superficie messa in trazione.
- 108 -
Parte III Bibliografia
Bibliografia
[1] ASTM D 1622 – 03, “Standard test method for Apparent Density of
Rigid Cellular Plastics”
[2] ASTM D 3576 – 04, “Standard test method for Cell Size of Rigid
Cellular Plastics”
- 109 -
Conclusioni
Conclusioni
- 110 -
Conclusioni
- 111 -
Appendice
Appendice
- 112 -
Appendice
- 113 -
Appendice
- 114 -
Appendice
- 115 -
Appendice
- 116 -
Appendice
- 117 -
Appendice
- 118 -
Appendice
- 119 -
Appendice
- 120 -
Appendice
- 121 -
Appendice
- 122 -
Appendice
- 123 -
Appendice
- 124 -
- 125 -
Ringraziamenti
Ringraziamenti
Se stai leggendo questo punto, tu, chiunque tu sia, meriti un “grazie” per aver
sfogliato la nostra tesi.
Grazie agli Azzurri, campioni del mondo che hanno reso più felici le giornate
passate in laboratorio nella calura di luglio.
- 126 -