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ELEMENTI DI
CHIMICA ORGANICA FISICA
Lulu, 2008
Molteni, Giorgio, 1963-
Elementi di chimica organica fisica
Includes bibliographical references and index.
ID: 4613643
6 Acidi e basi
6.1 Introduzione 168
6.2 Richiami sugli equilibri acido-base in acqua 169
6.3 Acidi e basi più deboli dell’acqua 174
6.4 Acidi più forti di H3O+, basi più forti di OH ¯ 176
6.5 Meccanismo di trasferimento protonico 181
6.6 Effetti del solvente sull’acidità 183
6.7 Nucleofili ed elettrofili 184
6.7.1 Diagrammi di Brønsted 184
6.7.2 Scale di nucleofilicità 186
6.7.2.1 Equazione di Swain-Scott 186
6.7.2.2 Equazione di Ritchie 187
6.7.2.3 Equazione di Edwards 188
6.8 Problemi 189
6.9 Bibliografia 190
7 Utilizzo degli isotopi negli studi meccanicistici
7.1 Introduzione 191
7.2 Effetti cinetici isotopici 191
7.2.1 Effetto cinetico isotopico primario 192
7.2.2 Esempi di effetti cinetici isotopici primari 200
7.2.2.1 Sostituzioni nucleofile al carbonio saturo 200
7.2.2.2 Sostituzioni elettrofile aromatiche 201
7.2.2.3 Eliminazioni 202
7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni 203
7.2.3 Effetto cinetico isotopico secondario 203
7.2.4 Esempi di effetti cinetici isotopici secondari 205
7.2.5 Effetti cinetici isotopici di tipo sterico 206
7.2.6 Effetti isotopici dovuti al solvente 207
7.2.7 Metodo dell’inventario dei protoni 209
7.3 Marcatura isotopica 211
7.3.1 Sostituzioni nucleofile SN2 211
7.3.2 Sostituzioni all’anello aromatico 211
7.3.3 Addizioni nucleofile al doppio legame C=O 213
7.3.4 Eliminazioni 214
7.3.5 Condensazioni 215
7.3.6 Riassestamenti 216
7.4 Problemi 218
7.5 Bibliografia 219
8 Catalisi
8.1 Introduzione 220
8.2 Catalisi acido-base 222
8.2.1 Catalisi acida specifica 222
8.2.2 Catalisi acida generale 224
8.1.3 Legge della catalisi secondo Brønsted 227
8.3 Catalisi enzimatica 229
8.4 Catalisi supramolecolare 229
8.5 Catalisi micellare 234
8.6 Catalisi a trasferimento di fase 237
8.6.1 Catalizzatori a trasferimento di fase 238
8.6.2 Cinetica dei processi a trasferimento di fase 240
8.7 Organocatalisi 242
8.8 Catalisi metallorganica 245
8.8.1 Idrogenazione omogenea di composti insaturi 245
8.8.2 Idrosililazione di composti insaturi 247
8.8.3 Carbonilazione del metanolo 247
8.8.4 Reazione di Heck 248
8.9 Problemi 249
8.10 Bibliografia 250
9 Metodi di attivazione non convenzionali di reazioni organiche
9.1 Introduzione 252
9.2 Microonde 253
9.2.1 Riscaldamento con microonde 253
9.2.2 Effetti specifici delle microonde 256
9.2.3 Esempi di reazioni organiche attivate dalle microonde 257
9.3 Sonochimica 259
9.3.1 Principi generali 260
9.3.2 Effetti degli ultrasuoni sulle reazioni organiche 261
9.3.3 Esempi di reazioni organiche attivate dagli ultrasuoni 262
9.4 Attivazione elettrochimica 264
9.4.1 Fattori termodinamici e cinetici 265
9.4.2 La reazione elettrorganica 267
9.4.3 Ossidazioni anodiche 267
9.4.4 Riduzioni catodiche 270
9.5 Fotochimica 272
9.5.1 Stati eccitati 272
9.5.2 Processi fotolitici 274
9.5.3 Processi fotofisici 275
9.5.4 Processi fotochimici 278
9.5.4.1 Reazioni fotolitiche 278
9.5.4.2 Riassestamenti 279
9.5.4.3 Isomerizzazioni 279
9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno 280
9.5.4.5 Fotodimerizzazioni 280
9.6 Problemi 280
9.7 Bibliografia 281
1.1 Introduzione 1
1.2 Coordinata di reazione 2
1.3 Principi meccanicistici 7
1.4 Bibliografia 16
____________________________________________________________________
1.1 Introduzione
Il meccanismo di una reazione chimica consiste nella descrizione dettagliata,
passaggio per passaggio, attraverso il quale avviene la trasformazione da reagenti a
prodotti. Per prima cosa il meccanismo di una reazione viene ipotizzato, su basi più
possibile ragionevoli, in modo da rendere conto di tutti i fatti sperimentali disponibili.
Qualora vengano alla luce nuove evidenze sperimentali, queste ultime devono trovare
una spiegazione coerente col meccanismo ipotizzato in precedenza. Se i nuovi fatti vi
trovano riscontro il modello proposto per il meccanismo risulta rafforzato, se invece
non sono compatibili occorre rivedere il quadro meccanicistico modificandolo
opportunamente. La conoscenza dettagliata di un meccanismo di reazione implica la
descrizione di tutte le interazioni molecolari che prendono parte al processo reattivo,
nonché di tutte le specie che si formano nel percorso da reagenti a prodotti. Ad
esempio la formazione di intermedi reattivi dev’essere prevista dal meccanismo di
reazione. Allo stesso modo, la conoscenza dell’energia e della velocità con cui evolve
il sistema devono essere note in ogni momento della trasformazione. Da quanto detto
è chiaro che risulta difficile asserire che un meccanismo di reazione sia mai stato
dimostrato in toto. Tuttavia se esso è in grado di spiegare in modo soddisfacente un
buon numero di fatti sperimentali, se si possono fare previsioni basandosi sul
meccanismo ipotizzato trovando conferma nei fatti, ed infine se è coerente con i
meccanismi di altre reazioni correlate, allora si può dire che il meccanismo è ben
provato ed esso può essere annoverato tra le acquisizioni della chimica organica. Allo
stato attuale i numerosissimi testi di chimica organica fondamentale disponibili
presentano una forma grossolana di meccanismo attendibile per una gran quantità di
reazioni. Si tratta della nota rappresentazione per mezzo delle frecce ricurve che
mostrano il movimento delle coppie di elettroni. Sebbene questa formulazione “a
1
frecce” sia molto comoda, ma soprattutto efficace ed intuitiva, non bisogna
dimenticare che si tratta sempre e solo di ipotesi meccanicistiche attendibili, mentre
la definizione rigorosa di un meccanismo di reazione è stata raggiunta solo in casi
rarissimi. In questa sede ci si propone di illustrare le interdipendenze che sussistono
tra reattività e meccanismo di reazione in modo quantitativo o semiquantitativo. Il
perseguimento di questo obiettivo sarà realizzato determinando i parametri cinetici, il
decorso stereochimico, gli effetti isotopici o del mezzo di reazione, le correlazioni
struttura-reattività ed altri argomenti significativi.
∆E
reagenti
prodotti
coordinata di reazione
Questa definizione non è molto soddisfacente dato che per la stragrande maggioranza
delle reazioni organiche è impossibile descrivere rigorosamente tutti i gradi di libertà
posseduti da reagenti e prodotti. Ciò è evidente considerando che un sistema di N
atomi possiede un numero di gradi di libertà vibrazionali pari a 3N-6. Anche una
reazione molto semplice quale la sostituzione nucleofila bimolecolare (SN2) tra il
bromuro di metile e l’anione ioduro, che coinvolge solo 6 atomi,
RC-I
RC-Br
Figura 1.2. Rappresentazione del diagramma dell’energia potenziale per la reazione CH3-Br + I¯.
3
molto più frequentemente dei diagrammi di superficie per via dell’immediatezza
nell’individuazione della barriera energetica che separa i reagenti dallo stato di
transizione. Per la reazione in esame il profilo energetico bidimensionale è infatti
molto semplice e del tutto simile a quello illustrato nella Figura 1.1, dove la barriera
energetica è contrassegnata dal simbolo ∆E≠. E’ di particolare importanza definire in
modo rigoroso il punto di massimo dei profili energetici denominato stato di
transizione, come si è detto pocanzi. Lo stato di transizione rispecchia l’assetto meno
stabile degli atomi o delle specie reagenti nella via verso i prodotti. Benché esso
debba essere necessariamente un’entità molecolare, si tratta di una specie altamente
instabile e non isolabile caratterizzato da un tempo di vita inferiore a quello di una
vibrazione molecolare (10-12 s). L’assetto degli atomi giunti allo stato di transizione
non è dunque rilevabile sperimentalmente, e sulla sua struttura si possono fare
congetture fondate sia sulla struttura dei reagenti che dei prodotti. Alternativamente si
può procedere al calcolo dello stato di transizione con metodi computazionali che
hanno il notevole vantaggio di fornirne la struttura e l’energia a partire da principi
non empirici.
E’ utile, a questo punto, passare in rassegna alcuni tra i tipi dei profili di reazione
bidimensionali che si incontrano più comunemente nello studio dei meccanismi delle
reazioni organiche. Va subito detto che è conveniente esprimere l’energia che
compare in ordinata con la funzione energia libera G, dato che il segno dell’energia
libera di reazione ∆Gr dà indicazioni termodinamiche immediate. Il profilo energetico
più semplice è quello relativo al meccanismo ad uno stadio. In questo caso il
passaggio da reagenti a prodotti è caratterizzato dal valore dell’energia libera di
attivazione ∆G≠, che determina la velocità del processo, e dal ∆Gr che indica se la
reazione è eso- od endoergonica. Nel caso del profilo energetico mostrato nella
Figura 1.3 l’energia libera dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti e si tratta
dunque di un processo esoergonico: ∆Gr = ∆Gprodotti – ∆Greagenti < 0.
∆G
∆Gr
coordinata di reazione
4
G
∆G ∆Gr
coordinata di reazione
Me Me _ Me
H BF4 Et
EtF
+ Et ∆
BF3
Me Me Me Me Me Me
G
∆Gp
I
∆GI
∆Gr
coordinata di reazione
Per una trasformazione esoergonica che decorre attraverso un meccanismo a due stadi
può anche darsi il caso in cui ∆GI≠ sia inferiore a ∆Gp≠, nel qual caso lo stadio lento
della reazione dev’essere quello che conduce dall’intermedio ai prodotti. La velocità
dell’intero processo è allora determinata da questo secondo stadio, come risulta
schematizzato nella Figura 1.6.
∆Gp
I
∆GI
∆Gr
coordinata di reazione
6
1.3 Principi meccanicistici
L’utilizzo e l’interpretazione dei profili energetici bidimensionali si presta ad
introdurre alcuni principi o postulati di fondamentale importanza, dato che essi
esprimono criteri qualitativi in grado di descrivere la reattività degli intermedi, la
distribuzione dei prodotti ottenuta da una reazione e la struttura approssimativa dello
stato di transizione. In questo paragrafo ci si propone di passare in rassegna questi
principi o postulati formulandoli in modo più possibile intuitivo e cercando di
metterne contemporaneamente in rilievo il significato chimico.
7
questo postulato sia d’importanza fondamentale nell’ipotizzare la struttura di uno
stato di transizione a secondo delle caratteristiche termodinamiche della reazione.
Esaminando i profili energetici di due reazioni, una eso- e l’altra endoergonica, ci si
rende conto della validità generale del postulato di Hammond. Nel primo caso,
schematizzato nel profilo energetico a sinistra nella Figura 1.7, lo stato di transizione
ha energia e quindi struttura simile a quella dei reagenti. Per contro, nel caso di una
trasformazione endoergonica (profilo energetico di destra nella Figura 1.7), lo stato di
transione ha energia e struttura simile a quella dei prodotti.
G G
Figura 1.7. Rappresentazione grafica del postulato da Hammond per una reazione esoergonica (a
destra) e di una endoergonica (a sinistra).
Me+
Et+
iPr+
tBu+
R X
coordinata di reazione
Figura 1.8. Profilo di reazione della generazione di carbocationi per eterolisi del legame R-X.
8
Il postulato di Hammond è stato finora illustrato attraverso i consueti diagrammi
bidimensionali nei quali l’energia libera G è funzione della coordinata di reazione.
Con questo tipo di rappresentazione risulta evidente il contenuto energetico di
reagenti, prodotti e stati di transizione coinvolti nel processo reattivo ma, ovviamente,
non è possibile ricavare informazioni sulla variazione delle lunghezze dei legami che
si formano o si rompono durante la reazione. Benché questi ultimi parametri si
possano desumere dalle superfici di energia potenziale del tipo riportato nella Figura
1.2, si preferisce ricorrere ad un tipo di grafico tridimensionale semplificato, nel
quale vengono omesse le linee di livello, noto come diagramma di More O’Ferrall-
Jencks. Nel piano della pagina si trovano le distanze di legame appropriate, che sono
espresse in funzione dell’energia libera il cui asse è perpendicolare al piano della
pagina. In questi diagrammi la coordinata di reazione appare vista dall’alto e per la
generica reazione di sostituzione
l’aspetto del grafico è quello rappresentato nella Figura 1.9. Un processo associativo
puramente SN2 appare come la linea retta a che unisce l’angolo in basso a sinistra
(R-X + Nu¯ ) con quello in alto a destra (R-Nu + X¯ ) in cui la posizione dello stato
di transizione è raffigurata dal punto pieno. L’aspetto peculiare dei diagrammi di
More O’Ferrall-Jencks è legato alla possibilità di mostrare grandezze perpendicolari
alla coordinata di reazione, quali ad esempio le distanze di legame nello stato di
transizione. Qualora un raggruppamento R sia in grado di stabilizzare parzialmente il
carbocatione R+, il processo non segue più il meccanismo SN2 e di conseguenza lo
stato di transizione deve cambiare energia e posizione nel grafico delle distanze di
legame seguendo la linea curva b. Il nuovo stato di transizione è più lasco del
precedente essendo caratterizzato da maggiori distanze R….X ed R….Nu. Un processo
dissociativo descritto dal meccanismo SN1 segue la curva c che prevede l’aumento
della distanza R….X fino alla rottura del legame con formazione del carbocatione R+.
R+ + X - + Nu- R-Nu+ X -
c
b
a
R....X
9
Quali esempi tipici di reazioni che seguono le linee a, b o c si considerino
rispettivamente le seguenti tre sostituzioni nucleofile, nelle quali è evidente la
crescente stabilizzazione dell’incipiente carica positiva nello stato di transizione.
_ _
CH3 Cl + I CH3 l + CI
_ _
+ I + CI
Cl l
_ _
Me2N + I Me2N + CI
Cl l
b
R+ + X - + Nu- R-Nu+ X -
R....X
10
1.3.3 Principio di Bell-Evans-Polanyi
Questo principio sancisce che la barriera di attivazione per una reazione concertata è
inferiore a quella della corrispondente reazione a stadi. Considerando la generica
reazione di sostituzione
A + B-C → A-B + C
A+B+C A+B+C
∆G
A + B-C A-B + C
A1 + B-C → A1-B + C
A2 + B-C → A2-B + C
il corrispondente diagramma di Bell-Evans-Polanyi è schematizzato nella Figura
1.12. Qualora i prodotti A1-B + C siano meno stabili di A2-B + C, il profilo
11
energetico relativo alla seconda reazione ha energia inferiore ed il punto di incrocio,
che esprime la barriera di attivazione, è più somigliante ai reagenti.
An + B + C An + B + C
∆∆G A1-B + C
An + B-C
A2-B + C
12
che si forma più velocemente. Questa situazione si modifica radicalmente se le
reazioni in oggetto sono reversibili e può quindi essere raggiunto un equilibrio. In
questa evenienza si possono distinguere due casi. Nel primo, che prevede
l’interruzione della reazione prima che venga raggiunto l’equilibrio, la reazione è
sotto il controllo cinetico e si ottiene preferenzialmente il prodotto C che si forma più
velocemente. Questo prodotto è detto cineticamente controllato. Se invece si lascia
procedere la reazione fino al raggiungimento dell’equilibrio si ha la formazione
predominante del prodotto B termodinamicamente più stabile. In queste condizioni
infatti il prodotto cinetico C è libero di equilibrare tornando al reagente A mentre il
prodotto B, detto termodinamicamente controllato, deve superare una barriera
energetica più alta per poter riequilibrare ad A.
∆GB
∆GC
Α
C
Β
coordinata di reazione
Figura 1.13. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
competitiva B ← A → C.
Si può anche verificare il caso in cui il prodotto termodinamico B sia anche quello
che si forma più velocemente (∆GB≠ < ∆GC≠). Per questa evenienza, il cui profilo
energetico è illustrato nella Figura 1.14, si ha la formazione largamente
preponderante di B.
∆GC
∆GB
Α
C
Β
coordinata di reazione
Figura 1.14. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
in cui il prodotto termodinamico B è anche quello che si forma più velocemente.
13
Esistono numerosissime reazioni organiche per le quali si può utilmente impiegare il
concetto di controllo cinetico o termodinamico. Un esempio particolarmente
interessante per via delle notevoli implicazioni sintetiche riguarda la formazione di
enolati per trattamento basico dei chetoni corrispondenti. Il 2-metilcicloesanone può
dare luogo alla formazione competitiva di due enolati isomeri. La deprotonazione
nella posizione 6 dell’anello cicloesanico avviene velocemente e porta alla
formazione dell’enolato cinetico meno sostituito. Ciò è dovuto alla accessibilità dei
protoni metilenici, cioè al fatto che i protoni in questa posizione non sono
stericamente ingombrati. Contemporaneamente la deprotonazione nella posizione 2
dell’anello comporta la formazione dell’enolato più sostituito e quindi
termodinamicamente più stabile. Interrompendo la reazione prima del
raggiungimento dell’equilibrio, ovvero operando a temperatura relativamente bassa,
si ha la formazione preponderante dell’enolato cinetico mentre a temperature
superiori o a tempi più lunghi si osserva la formazione dell’enolato termodinamico.
O
enolato cinetico
O
enolato termodinamico
14
il risultato della reazione dipende solo dall’entità delle barriere di attivazione reagenti
→ prodotti e non dalla stabilità relativa degli intermedi di reazione.
I2
I1
P1
P2
coordinata di reazione
Figura 1.15. Profilo energetico che illustra il controllo cinetico e termodinamico per una reazione
in cui il prodotto termodinamico P2 è anche quello che si forma più velocemente.
Br2 Br
+ + Br +
∆ Br
Br
90.4% 9% 0.34% 0.17%
Cl2 Cl
+ + Cl +
∆ Cl
Cl
28% 35% 24% 12%
15
In un ulteriore esempio, che riguarda la reattività dei carbeni con olefine, il metilene è
in grado di discriminare molto meno del difluorocarbene meno reattivo. Tuttavia, a
dispetto della sua immediatezza, il principio di reattività-selettività è tutt’altro che
generale poiché esistono numerosissimi esempi nei quali si manifesta un
comportamento opposto a quello atteso. A titolo di esempio si consideri la reazione di
addizione coniugata su metilenechinoni ad opera di carbanioni. Il carbanione più
reattivo tra quelli esaminati, cioè il nitroetilene, è anche quello che esprime la
maggior selettività.
O NO2 COOEt
O
Ar
EtOOC COOEt O O
O O
1.4 Bibliografia
Tra i numerosi testi a carattere generale che trattano la chimica organica fisica si
segnalano qui i più recenti e completi, la cui lettura costituisce sempre un utilissimo
approfondimento. Esistono diverse tipologie di questi libri di testo a secondo che il
loro orientamento sia di tipo chimico-organico o chimico-fisico.
Fra i libri progettati per un corso annuale caratterizzati da un orientamento di tipo
chimico-organico, ovvero che dedicano la maggior parte dello spazio alla discussione
delle reazioni organiche dal punto di vista meccanicistico, si segnalano i seguenti
testi:
16
Un libro ormai classico, sebbene un pò datato, è il seguente
5. K. B. Wiberg Physical Organic Chemistry John Wiley & Sons, New York,
1964.
6. C. D. Ritchie Physical Organic Chemistry Marcel Dekker, New York, 1990.
17
2
ELEMENTI DI CINETICA CHIMICA
____________________________________________________________________
2.1 Introduzione 18
2.2 Definizioni fondamentali 18
2.3 Equazioni cinetiche 20
2.4 Metodi sperimentali 34
2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura 38
2.6 Dipendenza della velocità dalla pressione 45
2.7 Reazioni intramolecolari 50
2.8 Cinetica chimica applicata ad alcune reazioni organiche 55
2.9 Problemi 63
2.10 Bibliografia 65
2.1 Introduzione
La cinetica chimica si occupa di determinare sperimentalmente la variazione di
concentrazione di reagenti e/o prodotti che si verifica in una reazione chimica
nell’unità di tempo. Queste determinazioni si realizzano previa la conoscenza di
alcuni concetti fondamentali quali la velocità di una reazione chimica, l’ordine
cinetico della reazione e la sua molecolarità. La caratteristica più interessante legata
alla misura della velocità di reazione è la possibilità di trarre informazioni utili nella
definizione del meccanismo della reazione in questione. Si possono infatti
individuare quali molecole interagiscono nello stadio lento della reazione, il che è
essenziale per chiarire la dinamica dell’intero processo, oppure determinare
grandezze d’interesse fondamentale quali i parametri di attivazione.
A+B→C+D
si definisce velocità di reazione la grandezza espressa dall’equazione 2.1, dove con
[A], [B] e [C], [D] si indicano rispettivamente le concentrazioni dei reagenti e dei
prodotti. Il segno meno davanti ai rapporti che si riferiscono ai reagenti significa che
18
la loro concentrazione diminuisce al procedere della reazione; viceversa nel caso dei
prodotti è ovvio l’andamento opposto, che implica un incremento della loro
concentrazione al procedere della reazione.
d[A ] d[B] d[C] d[D]
v=− =− = = equazione 2.1
dt dt dt dt
E’ bene puntualizzare che la velocità di reazione è una grandezza dimensionale.
Qualora le concentrazioni delle specie presenti nella miscela di reazione siano
espresse in termini di molarità, le dimensioni di v risultano mole l-1 s-1. Utilizzando
altre definizioni per la concentrazione (formalità, molalità, ecc.) le unità di misura di
v dovranno variare di conseguenza ma, indipendentemente dal metodo impiegato per
designare la concentrazione delle specie presenti, il significato fisico delle dimensioni
relative alla velocità di reazione resta invariato.
La dipendenza della velocità di reazione dalla concentrazione iniziale dei reagenti
determina la legge cinetica della reazione. Per la generica reazione tra le specie A e
B menzionata sopra, i dati sperimentali permettono di ottenere l’equazione 2.2 nella
quale k è la costante di velocità ed m,n sono i coefficienti con cui compaiono le
concentrazioni dei reagenti.
v = k[A]m [B]n equazione 2.2
Anche k è una grandezza dimensionale ed il suo significato fisico verrà discusso caso
per caso, variando a secondo dell’ordine della reazione. A questo punto è naturale
eguagliare le equazioni 2.1 e 2.2 ottenendo la seguente relazione.
d[A ] d[B] d[C] d[D]
v=− =− = = = k[A ]m [B]n
dt dt dt dt
Gli esponenti m ed n sono definiti come ordini di reazione dei reagenti, mentre la
somma m + n determina l’ordine globale della reazione. Dall’esame dalla generica
reazione chimica finora utilizzata è chiaro che gli ordini di reazione non hanno nulla
a che vedere con i coefficienti stechiometrici che compaiono nella medesima
reazione. E’ bene insistere sul fatto che la determinazione degli ordini di reazione
viene eseguita attraverso una serie di misure sperimentali, alcune delle quali saranno
brevemente illustrate attraverso opportuni esempi nel paragrafo 2.4.
Di diversa natura è la molecolarità di una reazione chimica, che è definita come il
numero di molecole reagenti che prendono parte ad una sola reazione elementare
consistente in un unico passaggio. La maggior parte delle reazioni elementari hanno
molecolarità pari ad uno o a due, sebbene esistano rare reazioni nelle quali tre
molecole collidono simultaneamente dando luogo ad una molecolarità pari a tre.
Dalla definizione data per la molecolarità di una reazione risulta chiaro che essa è
definita solo per reazioni elementari. Per processi costituiti da più stadi non si può
parlare di molecolarità globale, ma solo della molecolarità relativa ad ogni singolo
stadio.
19
Il seguente esempio, che riguarda la decomposizione termica del pentossido di
diazoto, si presta bene a chiarire la differenza tra ordine e molecolarità di una
reazione chimica.
L’equazione stechiometrica della reazione è
2 N2O5 → 4 NO2 + O2
che dice poco o nulla sul suo meccanismo. In effetti l’intero processo è più
complicato di quanto possa apparire da questa semplice relazione stechiometrica.
Da misurazioni cinetiche si deduce la seguente legge di velocità
d[O2]
= k[ N 2 O 5 ]
dt
cioè la reazione è del primo ordine. Raccogliendo ulteriori evidenze sperimentali è
poi stato possibile mettere in luce il seguente meccanismo a tre passaggi
A → prodotti
si ricava una dipendenza della velocità proporzionale alla prima potenza del solo
reagente A, l’equazione cinetica assume la forma
20
d[A]
v=− = k[A]
dt
Questa forma logaritmica dell’equazione cinetica non è altro che una retta passante
per l’origine degli assi cartesiani il cui coefficiente angolare è la costante di velocità k
(Figura 2.1), che in questo caso ha le dimensioni di una frequenza (s-1).
log [A]0
[A]
tan α = k
t
Figura 2.1. Rappresentazione grafica dell’equazione integrata in forma logaritmica per una cinetica
del primo ordine.
[A]
= e −kt
[A]0
[A] 1 -
[A]0
t
Figura 2.2. Dipendenza esponenziale del rapporto [A]/[A]0 in funzione di t.
21
Una volta nota la costante di velocità, la forma integrata dell’equazione cinetica del
primo ordine permette di ricavare in modo assai semplice il tempo che occorre
affinché reagisca una certo ammontare del reagente A. E’ uso comune procedere al
calcolo del tempo di semitrasformazione, definito come tempo necessario affiché la
concentrazione del reagente A diventi la metà di [A]0. Si procede semplicemente
sostituendo [A]0 con 2[A] nell’equazione 2.3 in modo che quest’ultima diventi
d[tBuCl]
t-BuCl + H2O→ t-BuOH + HCl − = k1[tBuCl]
dt
d[tBu 2 O 2 ]
t-Bu-O-O-t-Bu → 2Me2C=O + C2H6 − = k1[tBu 2 O 2 ]
dt
d[A ]
v=− =k
dt
[A]0 - [A] = kt
22
L’esistenza di reazioni di ordine zero mette in evidenza la già discussa indipendenza
dei concetti di ordine e molecolarità. L’ordine di reazione rispetto ad un reagente non
può indicare il numero di molecole che prendono parte ad una reazione elementare in
un singolo stadio perché se così fosse si avrebbe l’assurdo che per reazioni di ordine
zero il reagente, che pure deve trasformarsi in prodotto, non prende parte alla
reazione elementare. La stessa considerazione si applica, naturalmente, in tutti quei
casi in cui l’integrazione dell’equazione cinetica dà luogo ad ordini di reazione
frazionari.
2A → prodotti
d[A]
v=− = k[A] 2
dt
d[A]
−∫ = k ∫ dt
[A]2
1 1
− = kt + equazione 2.4
[A]t [ A ]0
_ 1
[A]t
tan α = k
1
intercetta =
[A]0
t
Figura 2.3. Rappresentazione grafica dell’equazione 2.4.
23
Quale secondo caso si consideri la generica reazione
A + B → prodotti
dove essa mostri un andamento del primo ordine rispetto ad ognuno dei reagenti A e
B, ovvero una cinetica del secondo ordine complessivo. L’equazione generale è del
tipo
d[A]
v=− = k[A] [B]
dt
1 [A]0 [B]
log = kt
[B]0 − [A ]0 [B]0 [A]
che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi cartesiani con pendenza
k([B]0 - [A]0). Le dimensioni della costante di velocità per una reazione del secondo
ordine, che si ricavano facilmente dalla forma integrata delle equazioni cinetiche,
sono concentrazione-1 tempo-1 ossia, nel caso la concentrazione sia espressa in termini
di molarità, k ≡ l mol-1 s-1.
Un gran numero di sostituzioni nucleofile di alogenuri alchilici primari procede
attraverso una cinetica del secondo ordine. Ne è un esempio la reazione tra il bromuro
di metile e l’idrossianione, la cui velocità dipende sia dalla concentrazione del
bromuro alchilico che da quella dell’idrossianione.
d[MeBr]
MeBr + OH¯ → MeOH + Br¯ − = k 2 [MeBr][OH - ]
dt
Lo stesso schema cinetico è seguito da una reazione del tutto diversa come la
iodurazione dell’acetone in ambiente basico, che costituisce il primo passaggio del
saggio di riconoscimento di metilchetoni.
O _ O
OH _
+ I2 I + H2O + I
d[acetone]
− = k 2 [acetone][OH - ]
dt
Quale esempio di reazioni del secondo ordine in uno solo dei reagenti è opportuno
considarare la cicloaddizione secondo Diels-Alder del ciclopentadiene. Di fatto si
tratta della dimerizzazione del reagente promossa termicamente.
24
∆
2
d[C 5 H 6 ]
− = k 2 [C 5 H 6 ] 2
dt
k1 k2
A B C
conc.
[C]
[A]
[B]
t
Figura 2.4. Rappresentazione grafica di una reazione in serie.
25
da cui
d[B]
= k1[A]0 exp(−k1t ) − k 2 [B]
dt
k1[A]0
[ C] = [ A ] 0 − [exp(−k1t ) − exp(k 2 t )] equazione 2.5
k 2 − k1
Nel caso sia k1 >> k2 si può ritenere che exp(-k1t)≅ 0, e l’equazione 2.5 si riduce a
[C] ≅ [A ]0 [1 − exp(k 2 t )]
ovvero un’equazione cinetica del primo ordine relativa allo stadio più lento, cioè
determinato dal valore di k2. In altre parole, poiché lo stadio più veloce non compare
nell’equazione cinetica, l’andamento di una reazione consecutiva che rispetti le
condizioni sopra imposte dipende esclusivamente dal passaggio lento dell’intero
processo.
Dal punto di vista pratico risulta interessante prendere in considerazione lo schema di
una reazione in serie caratterizzata da un primo stadio veloce e reversibile
(preequilibrio), poiché questo è il caso di numerose reazioni organiche.
Come primo esempio si consideri la condensazione benzoinica della benzaldeide, il
cui schema cinetico è così riassunto.
Ph
OH
_ k2 Ph CN
PhCHO + CN Ph + PhCHO
OH
CN O
OH
Ph
CN OH
K= _ v = k2 Ph PhCHO
PhCHO CN CN
OH _
Ph = K PhCHO CN
CN
26
che per sostituzione nell’equazione cinetica dà un’espressione del terzo ordine
complessivo: del secondo ordine rispetto alla benzaldeide e del primo ordine rispetto
all’anione cianuro.
2 _
v = k2 K PhCHO CN
Un trattamento del tutto analogo si applica per il trattamento basico del 2-cloro
etanolo che dà luogo alla formazione dell’ossido di etilene. In questo caso la reazione
è complessivamente del secondo ordine.
_ k1 O _
OH + OH O + Cl
Cl Cl
O
Cl
K= v = k1 Cl O
_
OH OH
Cl
_
OH OH
v = k1K Cl
k1 k2
A B C
k- 1
si può scrivere
d[B]
− = k 2 [B] − k1[A] + k −1[B] ≅ 0
dt
che esprime l’ipotesi dello stato stazionario.
A questo punto, poiché
d[C] k1
= k 2 [B] e [B] = [A ]
dt k 2 + k −1
27
si ha
d[C] kk
= 1 2 [A] equazione 2.6
dt k 2 + k −1
Ma nell’ipotesi che B sia un intermedio reattivo si può correttamente porre k2 >> k-1,
il che significa che il primo stadio dello schema cinetico è quello lento. L’equazione
2.6 si riduce allora a
d[C]
= k1[A]
dt
k1 _ k2
Ph2CHCl Ph2CH + Cl Ph2CHOH + HCl
k-1 H2O
k1k2[Ph2CHCl] k1[Ph2CHCl]
v= _ = _
k2 + k-1 [Cl ] k-1 [Cl ]
1+
k2
v = k1[Ph2CHCl]
28
k1
B
k2
A C
k3
D
d[A ]
- = (k1 + k 2 + k 3 )[A] = k[A ] equazione 2.7
dt
d[B]
= k1[A] ovvero d[B] = k1[A]dt
dt
e dato che per l’equazione 2.7 deve essere [A]dt = -d[A]/k si ottiene
k1
d[B] = − d[A ]
k
k1
[B] - [B]0 = − ([A ] − [A ]0 )
k
k1
[B] = [B]0 + [A ]0 [1 − exp(− kt )]
k
29
una certa reazione mostrando spesso livelli elevatissimi di chemo-, regio- e
stereoselettività. Esistono anche alcuni enzimi caratterizzati da una specificità minore
che agiscono su un numero relativamente ampio di substrati.
Dal punto di vista cinetico lo schema generale di una reazione enzimatica si può
scrivere
k1 k2
E + S ES E + P
k-1 k-2
d[ES]
= k1[E ][S] − k −1[ES] − k 2 [ES]
dt
ovvero
k1[E][S] [E ][S]
[ES] = = equazione 2.9
k −1 + k 2 Km
dove con Km = (k-1 + k2)/k1 si indica la costante di Michaelis. L’equazione 2.9 non è
utile ai fini della descrizione cinetica della reazione enzima-substrato poiché non è
nota la concentrazione [E] dell’enzima al tempo t. Viceversa è nota la concentrazione
[E]0 dell’enzima all’inizio della reazione, ed essendo [E]0 = [E] + [ES] l’equazione
2.9 si può riscrivere come
[E ]0 [S]
[ES] =
K m + [S]
30
Dal punto di vista pratico risulta utile esprimere la velocità V definita come velocità
massima che si ha quando [S] >> Km, cioè V = k2[E]0. L’equazione 2.10 si può quindi
scrivere nella forma
V [S]
v= equazione 2.11
K m + [S]
v
V
V/2
Km [S]
1 Km 1 1
= + equazione di Lineweawer-Burk
v V [S] V
v
v=− Km +V equazione di Eadie
[S]
[S] K m 1
= + [S] equazione di Dixon
v V V
succinico deidrogenasi
O
HO
OH
O
KS k2
E + S ES E + P
+
I
KI
EI
V [S]
v=
[I]
K S (1 + ) + [S]
KI
Si noti l’analogia formale con l’equazione 2.11, dove al posto della costante di
Michaelis compare il termine KS(1 + [I]/KI) detto costante di Michaelis apparente
(Kmapp). Il significato di questa modifica all’equazione 2.11 è che necessita una
maggior concentrazione di [S] per raggiungere la stessa V che si avrebbe in assenza
dell’inibitore. L’effetto di un inibitore competitivo sulla cinetica di una reazione
enzimatica si descrive facilmente utilizzando la trasformazione lineare di
Lineweawer-Burk riportata nella Figura 2.6 (diagramma dei reciproci).
32
enzima con inibitore
1/v
-1/Km 1/[S]
-1/Kmapp
Figura 2.6. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore
competitivo.
V [S]
[ I]
1+
KI
v=
K S + [S]
-1/Km 1/[S]
Figura 2.7. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore non
competitivo.
33
V [S]
[ I]
1+
KI
v=
Ks
+ [S]
[I]
1+
KI
1/v
enzima con inibitore
-1/Km 1/[S]
Figura 2.8. Rappresentazione grafica di una reazione enzimatica in presenza di un inibitore
incompetitivo.
34
- spettroscopici (IR, UV, NMR),
- elettrochimici (misure di conduttanza),
- polarimetrici (se coinvolti reagenti o prodotti dotati di attività ottica).
I metodi fisici presentano il vantaggio di essere di rapida esecuzione e non alterare il
sistema di reazione. Gli svantaggi sono legati al fatto che si basano su leggi che si è
costretti ad adottare con una qualche approssimazione, il che può ingenerare errori
sistematici. Va però detto che le moderne tecniche computerizzate riducono al
minimo l’incidenza di errori sistematici. Alcuni esempi specifici sono riassunti nelle
seguenti sezioni.
v = koss[Cl2CHCOOH][MeOH]
1 Iest
k oss t =
[Cl 2 CHCOOH]0 Ialc
che è l’equazione di una retta passante per l’origine degli assi il cui coefficiente
angolare è la costante di velocità koss.
La spettroscopia IR può essere impiegata con successo nella determinazione delle
costanti di velocità ammesso che reagenti o prodotti presentino almeno una banda di
assorbimento facilmente misurabile in maniera quantitativa. E’ questo il caso della
cicloaddizione intramolecolare di un’azide funzionalizzata a dare il corrispondente
tetrazolo.
N N
N3 N N
O O
N
35
periodicamente durante il corso della reazione. Si valuta quindi in modo quantitativo
il decremento di questa banda di assorbimento della specie reagente. L’equazione
cinetica che si ricava è del primo ordine essendo
log A = -kt
dove con A si indica l’assorbanza della banda caratteristica del gruppo azidico.
La misura periodica e quantitativa dell’assorbanza di bande caratteristiche è utile
anche nel caso della determinazione delle costanti cinetiche tramite le spettroscopie
nel visibile o nell’UV. La bromurazione dell’acetone in ambiente acido
O O
H3O+
+ Br2 Br + HBr
d[Br2 ]
− = k oss [acetone][H 3 O + ]
dt
36
d[estere] d[OH - ]
− =− = k 2 [estere][OH - ]
dt dt
dx x
= k ([estere]0 − x) 2 ovvero = kt
dt [estere]0 ([estere]0 - x)
Ki = Λi[concentrazione]i
x K − Kt
= 0 = [estere]0 kt
([estere]0 - x) K t − K ∞
[saccarosio]0
log = kt
[saccarosio]
Poiché in ogni istante il potere ottico rotatorio della miscela di reazione è dato dalla
somma algebrica dei poteri ottici rotatori di tutte le specie presenti, dopo svariati
passaggi algebrici la legge cinetica si trasforma nella seguente equazione.
α0 −α∞ [saccarosio]0
log = log = kt
αt −α∞ [saccarosio]
Quest’ultima è una retta passante per l’origine degli assi, per cui diagrammando il
primo membro in ordinata contro il tempo in ascisse si ricava il coefficiente angolare
che esprime la costante di velocità.
37
2.5 Dipendenza della velocità dalla temperatura
Nel corso della discussione svolta fino a questo punto si è affermato esplicitamente di
operare sempre a temperatura controllata. Come si è infatti detto, gli esperimenti
cinetici volti alla determinazione degli ordini di reazione vengono realizzati in
ambienti termostatati. Una volta che l’esperimento cinetico abbia messo in luce la
forma dell’equazione cinetica e si sia determinata la costante di velocità k, si può
passare allo studio della dipendenza della velocità di reazione al variare della
temperatura.
Dal punto di vista qualitativo appare abbastanza ovvio che la velocità di una reazione
debba aumentare al crescere della temperatura poiché ad un suo incremento deve
corrispondere un aumento dell’energia cinetica delle molecole e quindi della
possibilità di trasferire efficacemente energia tramite collisioni. Da questa
considerazione fondamentale hanno avuto origine diverse espressioni quantitative che
correlano la velocità di reazione con la variazione di temperatura. Nell’ambito di
questo paragrafo ci si occuperà dapprima di illustrare la fondamentale relazione di
Arrhenius per poi passare, attraverso l’esame tella teoria delle collisioni, alla
descrizione della teoria dello stato attivato che riveste un’importanza notevolissima in
chimica organica.
dove con R si indica la costante universale dei gas e con T la temperatura assoluta.
Con i simboli A e ∆E≠ si indicano rispettivamente il fattore pre-esponenziale o fattore
di frequenza e l’energia di attivazione della reazione.
Dal punto di vista puramente matematico, dall’equazione di Arrhenius risulta subito
evidente che un grafico che riporti log k in ordinata e 1/T in ascissa è una retta avente
intercetta log A e coefficiente angolare ∆E≠/R.
log k
1/T
Figura 2.9. Rappresentazione tipo dell’equazione di Arrhenius.
38
Inoltre, una generica reazione dev’essere tanto più veloce quanto più grande è il suo
fattore pre-esponenziale e quanto minore è la sua energia di attivazione. Il significato
di quest’ultima frase potrà però essere compreso pienamente solo dopo aver
formulato la teoria delle collisioni, sia pure nelle sue linee generali. Per ora è
sufficiente sapere che il valore del fattore pre-esponenziale è legato alla frequenza
delle collisioni che avvengono tra le molecole ed al fatto che solo alcune tra esse,
energeticamente attivate, possono effettivamente dare luogo ad un atto reattivo.
n
T2
T1
velocità
Figura 2.10. Distribuzione delle velocità molecolari in un gas dove T1 > T2.
39
Quando l’energia di collisione tra le molecole interagenti supera una certa soglia
designata col termine di energia di attivazione ed indicata dal simbolo E≠ può
avvenire un urto efficace.
Sulla base di queste semplici considerazioni di carattere qualitativo è possibile
esprimere la velocità della reazione bimolecolare tra A e B attraverso la solita
espressione
v = k2[A][B]
dove
k2 = Z exp(-E≠/RT)
(σ A + σ B ) 2 T
Z=k equazione 2.12
2 µ AB
2 HI → H2 + I2
40
delle collisioni ed in particolare il termine Z calcolato dall’equazione 2.12 riflette
bene i dati sperimentali. E’ evidente che atomi isolati o molecole biatomiche hanno
un numero molto limitato di gradi di libertà. Ma passando alla reazione di Diels-
Alder tra etilene e butadiene il rapporto A/Z è pari a 4·10-5, cioè c’è una discrepanza
enorme tra Z ed il fattore pre-esponenziale di Arrhenius. La complessità dei reagenti
rende impossibile assimilarli a sfere rigide e quindi, oltre al requisito di possedere
un’energia sufficiente, le collisioni tra molecole complesse devono sottostare a
precisi vincoli geometrici. Dal punto di vista del chimico organico è infatti evidente
che la reazione di Diels-Alder menzionata, che pure è estrememente semplice, deve
avvenire nel rispetto dell’opportuna orientazione tra il diene ed il dienofilo. Il fatto
che le orientazioni relative delle molecole al momento dell’atto reattivo siano così
importanti indica che il fattore pre-esponenziale A debba essere legato alla probabilità
che si verifichi l’orientazione richiesta, ovvero deve entrare in gioco la variazione di
entropia che si verifica nel corso della reazione. Questo aspetto, che è trascurato nel
semplice modello qui proposto per la teoria delle collisioni, trova una descrizione
soddisfacente nel prossimo paragrafo riguardante gli elementi della teoria dello stato
di transizione (o teoria dello stato attivato).
A + B → prodotti
(AB)
G
∆G
A+B
prodotti
coordinata di reazione
Figura 2.11. Variazione dell’energia libera G nella reazione A + B → prodotti.
41
dalla perturbazione reciproca delle specie reagenti. Per convenzione si stabilisce che
la durata della vita dello stato di transizione sia inferiore a quella di una vibrazione
molecolare (10-12 s). Benché la struttura dello stato di transizione non sia rilevabile
sperimentalmente, si assume che esso goda di tutte le proprietà di una molecola
comune e, di conseguenza, possa essere trattato come tale.
Un’ulteriore assunzione importante consiste nel fatto che la velocità con cui lo stato
di transizione subisce la trasformazione nei prodotti è sempre uguale
indipendentemente dallo stato di transizione coinvolto. Si tratta quindi di una velocità
assoluta espressa dalla costante k, la cui espressione è derivata dalla termodinamica
statistica
k = κkBT/h
dove con kB si indica la costante di Boltzmann, con T la temperatura assoluta e con h
la costante di Planck. Il simbolo κ indica il coefficiente di trasmissione, un fattore
probabilistico che di norma è difficile da calcolare ma che, fortunatamente, vale 1 per
la grande maggioranza della reazioni in soluzione. Per questo motivo il fattore di
trasmissione sarà trascurato in tutte le equazioni che seguono.
Ammettendo che tra i reagenti e lo stato di transizione si instauri una situazione di
equilibrio seguito da una reazione estremamente veloce ed irreversibile, lo schema
cinetico della generica reazione tra A e B si può scrivere come segue.
K k
A+B (AB) C+D
v = k[(AB)≠]
ed essendo
[(AB)≠ ]
K≠ =
[A ][B]
si ha
v = kK≠[A][B]
Poiché la velocità di reazione v determinata con metodi sperimentali è data da
v = koss[A][B]
eguagliando le ultime due espressioni si arriva all’equazione 2.13.
42
K≠ = exp(-∆G≠/RT) = exp(∆S≠/R) exp(-∆H≠/RT)
ovvero
k BT
k oss = exp(∆S≠ /R)exp(-∆H ≠ /RT) equazione 2.15
h
∆S ≠ ∆H ≠
log k oss = log k + − equazione 2.16
R RT
∆E ≠
log k oss = log A −
RT
∆S≠
log A ≡ log k +
R
dalla quale appare che, come si era anticipato trattando la teoria delle collisioni, il
fattore pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius è in relazione alla variazione di
entropia di attivazione ∆S≠.
Riguardo la natura ed il significato dei parametri di attivazione ∆H≠ e ∆S≠, prima di
tutto vale la pena di notare che la loro determinazione è semplice perché è ricavabile
direttamente dall’equazione 2.16. Quest’ultima è infatti l’equazione di una retta, per
cui diagrammando log koss in funzione di 1/T si ottengono la pendenza ∆H≠/R e
l’intercetta log k + ∆S≠/R.
L’entalpia di attivazione ∆H≠ rappresenta la differenza di energia tra stato di
transizione e reagenti.
Per rendere conto di questa affermazione basta considerare le equazioni di Arrhenius
e quella di Eyring in forma logaritmica.
43
∆E ≠
log k = log A −
RT
k k B ∆S ≠ ∆H ≠
log = log + −
T h R RT
∆E ≠ dlog k
d log k = − d(1/T) ovvero ∆E ≠ = -R
R d(1/T)
∆H ≠ dlog(k/T) dlog k dlog(1/T)
d log(k / T ) = − d(1/T) ovvero ∆H ≠ = −R = −R −R
R d(1/T) d(1/T) d(1/T)
da cui risulta
∆H≠ = ∆E≠ - RT
L’entalpia di attivazione ∆H≠ può assumere solo valori positivi. Questa affermazione
si comprende ammettendo che nello stato di transizione uno o più legami debbano
essere parzialmente rotti, da cui segue che la forza di legame complessiva dello stato
di transizione dev’essere inferiore a quella dei reagenti. Dal punto di vista pratico può
risultare istruttivo confrontare il valore di ∆H≠ ottenuto sperimentalmente con quello
calcolato per un’ipotetica entità molecolare che si prevede abbia una struttura analoga
a quella dello stato di transizione. Per un calcolo di questo genere si deve procedere
col ben noto metodo termodinamico basato sulla legge di Hess. A prescindere dalle
obiettive difficoltà nell’ipotizzare una struttura più possibile somigliante a quella
dello stato di transizione, va detto che i valori dell’entalpia di attivazione calcolati
con questo metodo sono raramente in accordo con i ∆H≠ sperimentali. Risultati di
gran lunga migliori di ottengono calcolando la struttura dello stato di transizione ed i
parametri di attivazione con metodi computazionali. Attualmente ne esistono di
sofisticati che sono in grado di riprodurre con notevole precisione i risultati
sperimentali tipo Arrhenius.
Le deduzioni di carattere meccanicistico che è possibile ottenere dai valori delle
entropie di attivazione ∆S≠ sono assai precise e soprattutto significative poiché
riflettono la variazione del numero di gradi di libertà rotovibrazionali di reagenti e
prodotti. Se nel passaggio da reagenti a stato di transizione si verifica un aumento del
numero dei gradi di libertà rotovibrazionali deve essere ∆S≠ > 0. Per contro, valori
negativi dell’entropia di attivazione si avranno quando il numero di gradi di libertà
rotovibrazionali dei reagenti è superiore a quello dello stato di transizione.
Da quanto detto risulta che per un processo dissociativo, nel quale cioè si verifica un
aumento del numero di molecole passando da reagenti a prodotti, si deve avere
∆S≠ > 0.
A-B → (A…..B)≠ → A+ + B-
44
In questo caso infatti lo stato di transizione deve avere necessariamente un numero di
gradi di libertà superiore a quello del o dei reagenti.
Il caso opposto è rappresentato, ovviamente, dai processi associativi del tipo
A+ + B- → (A…..B)≠ → A-B
per i quali si verifica una perdita di gradi di libertà passando dai reagenti allo stato di
transizione originando un ∆S≠ < 0. La conoscenza del segno di ∆S≠ è molto
importante in campo meccanicistico dato che da determinazioni cinetiche è possibile
risalire al tipo di reazione in esame, sia esso associativo o dissociativo. Inoltre il
valore di ∆S≠ è diagnostico, come si vedrà in seguito, per differenziare le reazioni
intramolecolari da quelle intermolecolari.
⎛ ∂ log K ⎞
- RT⎜⎜ ⎟⎟ = ∆V
⎝ ∂p ⎠T
che rende conto della variazione della costante di equilibrio al variare della pressione.
Questa relazione termodinamica può essere estesa alla descrizione cinetica dei
processi chimici applicando la teoria dello stato di transizione nell’ambito della quale
si assume che la reazione proceda attraverso uno stato di transizione ad alta energia in
equilibrio con i reagenti. L’ultima equazione diventa pertanto
⎛ ∂ log k ⎞
- RT⎜⎜ ⎟⎟ = ∆V ≠ equazione 2.17
⎝ ∂p ⎠T
45
pressione ambiente. Il diagramma di log k in funzione della pressione a temperatura
costante mostra un andamento non sempre lineare, com’è evidente dalla Figura 2.12.
log k0
kp
_
0
1 2 3 p (Kbar)
log k = a + bp + cp2
E’ ora utile considerare alcune proprietà del volume molare parziale VM in quanto le
considerazioni che si possono trarre sono applicabili al volume di attivazione. Il
volume molare parziale VM è una quantità fisica complessa che dipende dal
contributo di tre fattori.
VM = V0 + Ve + Vv
46
V0 è il volume intrinseco del soluto determinato dai raggi di Van der Waals degli
atomi che lo compongono. E’ calcolabile facilmente e con grande precisione grazie
alla disponibilità dei valori dei raggi di Van der Waals. Ve è il volume di
elettrostrizione, che rappresenta la variazione in volume dovuta al tipo di
solvatazione in funzione del solvente. Le molecole o gli ioni del soluto esercitano
forze repulsive nei confronti del solvente su distanze piccole mentre esercitano forze
attrattive per distanze maggiori. In questo modo l’orientazione e la disposizione delle
molecole di solvente possono variare in modo significativo. Se il soluto è di natura
ionica le forze attrattive esercitate nei confronti delle molecole di solvente sono
preponderanti su quelle repulsive, sicché le molecole del solvente risultano contratte
attorno al soluto (fenomeno di elettrostrizione). Il contributo apportato da Ve è
importante e spesso così grande da superare quello dovuto al volume intrinseco V0.
Infine Vv rappresenta l’interazione tra molecole del soluto. Il suo contributo è in
genere abbastanza piccolo da poter essere trascurato.
L’utilizzo combinato del volume di reazione e di quello di attivazione in un
diagramma che esprime il volume molare parziale VM in funzione della coordinata di
reazione consente di tracciare il profilo volumetrico della reazione in luogo del più
familiare profilo energetico (Figura 2.13). Da un grafico di questo tipo si possono
ricavare informazioni di carattere qualitativo sulla posizione dello stato di transizione
nei confronti dei reagenti e/o dei prodotti.
VM
A + B
∆V (A B)
∆VM
A-B
coordinata di reazione
Figura 2.13. Profilo volumetrico della reazione associativa A + B → AB
47
E
∆V
V
coordinata di reazione
Figura 2.14. Profilo energetico/volumetrico della reazione associativa A + B → AB
2.6.1 Cicloaddizioni
Sono stati studiati i profili volumetrici per parecchie reazioni di Diels-Alder; per esse
i valori dei volumi di attivazione sono compresi tra -5 e -50 cm3 mol-1 e sono
generalmente simili ai valori ricavati per i volumi molari parziali. Ciò indica uno
stato di transizione che ha proprietà volumetriche simili a quelle dei prodotti ed a cui
dovrebbe corrispondere un meccanismo di tipo concertato e ciclico.
reagenti
VM
∆V
prodotti
(TS)
coordinata di reazione
Figura 2.15. Profilo volumetrico di una reazione di Diels-Alder.
48
Anche le cicloaddizioni 1,3-dipolari mostrano volumi di attivazione negativi (-20/-35
cm3 mol-1) ma inferiori in valore assoluto a quelli delle reazioni di Diels-Alder. La
ragione è da ricercare nella struttura dello stato di transizione; le cicloaddizioni
1,3-dipolari passano di solito per uno stato di transizione somigliante ai reagenti nel
quale i nuovi legami σ sono formati in minor misura rispetto alle reazioni di Diels-
Alder.
Nelle cicloaddizioni [2+2] si hanno ∆V≠ negativi e di valore assai variabile a secondo
del solvente, il che è compatibile con l’ipotesi che questa classe di cicloaddizioni
proceda attraverso un meccanismo a stadi.
log k
20 40 p (Kbar)
Figura 2.16. Diagramma log k-pressione per la reazione di etanololisi del bromuro di isopropile.
49
2.6.3 Addizioni al carbonile
Le reazioni di addizione al carbonile con meccanismo di addizione-eliminazione sono
processi associativi e sono fortemente accelerate dall’aumento della pressione.
L’idrolisi degli esteri può decorrere attraverso due meccanismi competitivi
caratterizzati da volumi di attivazione di segno opposto. Se la reazione procede col
tipico meccanismo BAc2 si hanno ∆V≠ compresi tra -10 e -20 cm3 mol-1 ed essa è
moderatamente accelerata dall’aumento di pressione.
_
O O O
lento veloce
MeO MeO OH MeO _
OR OR (-ROH) O
_
HO
Se invece l’idrolisi degli esteri può essere assistita dalla presenza di un idrossile in
posizione para il meccanismo della reazione è del tipo E1cb caratterizzato da valori
positivi di ∆V≠ e quindi ostacolato da un aumento di pressione.
O _ O
HO lento
HO O
OR OR
O
H2O
O O HO
veloce
OH
O
COOH
(CH2)n (CH2)n
-H2O
OH O
50
Una reazione intramolecolare è un processo monomolecolare in quanto lo stadio lento
della reazione prevede l’interazione tra le funzionalità A e B presenti nella molecola
A----B. L’equazione che rende conto della velocità di un generico processo
intramolecolare è espressa in termini della costante di velocità kintra le cui dimensioni
sono quelle di una frequenza. Si conviene di indicare con [M] la concentrazione della
specie A----B.
kintra
A-----B C
kdim
A-----B + A-----B -----C-----
nel corso di una qualsiasi reazione intramolecolare c’è sempre competizione con il
corrispondente processo intermolecolare. Si vuole ora rendere conto dell’entità di tale
competizione paragonando vintra con vinter, ovvero con vdim, approssimando kinter ≅ kdim.
Il modo più immediato per determinare il grado di competizione tra un processo
intramolecolare ed il corrispondente processo intermolecolare è quello di valutare il
rapporto vintra/vinter.
51
piccola. Le reazioni intramolecolari vengono infatti condotte ad alta diluizione
oppure si adottano accorgimenti sperimentali che simulano l’alta diluizione.
Utilizzando l’equazione di Eyring si può scrivere il rapporto kintra/kinter nel seguente
modo
k intra ⎡ 1 ⎤
= exp ⎢ (∆G ≠ inter − ∆G ≠ intra )⎥
k inter ⎣ RT ⎦
ovvero
Ph N3 + PhO
N
N N
N3 N N
O O
N
N3 N N
N
Ph
O
Ph O
53
L’applicazione dell’equazione 2.18 chiarisce dal punto di vista quantitativo un altro
importante aspetto delle reazioni intramolecolari; quello legato alla facilità di
formazione di un ciclo a secondo delle sue dimensioni. E’ infatti noto dalla chimica
organica fondamentale che è più facile ottenere anelli a 5 o 6 termini piuttosto che
anelli di dimensioni minori o maggiori. Le massime difficoltà sorgono nella sintesi di
anelli di dimensioni medie, ovvero ad otto o nove termini, e dipendono
essenzialmente da un fattore sterico (entalpico) e da uno probabilistico (entropico).
Lo sviluppo di interazioni destabilizzanti di tipo sterico durante la chiusura di un
anello medio è legata all’insorgere di interazioni transanulari. La differenza
∆H≠intra - ∆H≠inter nell’equazione 2.18 costituisce una buona approssimazione
dell’entità di tali interazioni, che invece sono assenti in un processo intermolecolare.
Per quanto riguarda il fattore entropico, la bassa probabilità d’incontro dei gruppi
reattivi nel dare luogo alla formazione di un ciclo di medie dimensioni riflette il
maggior valore della differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter rispetto a quello osservato nel caso
della formazione di un ciclo a 5 o 6 termini. La relativa facilità di formazione di
anelli di grandi dimensioni è ancora razionalizzabile su base entropica. In questo caso
la differenza ∆S≠intra - ∆S≠inter diviene piccola perché data la grande distanza che
separa i gruppi reattivi la reazione inizia a somigliare ad un processo intermolecolare.
Lo studio semiquantitativo degli aspetti entalpico ed entropico nelle reazioni
intramolecolari è stato realizzato soprattutto nelle reazioni di ciclizzazione di
ω-bromoacidi.
O
base
Br(CH2)nCOOH (CH2)n
O
Nelle Figure 2.17 e 2.18 sono riportati gli andamenti della costante di velocità di
ciclizzazione per questi substrati, nonché i profili entalpici ed entropici che rendono
conto della difficoltà di formazione di anelli medi (n = numero di CH2). Com’è facile
vedere, gli andamenti di questi diagrammi sono in accordo con gli aspetti entalpico
ed entropico delle reazioni di ciclizzazione appena discussi.
log k
inter
1 5 10 15 20 n
54
∆H ∆S
inter inter
1 5 10 15 20 n 1 5 10 15 20 n
_ _
Ph Cl + N3 Ph N3 + Cl
v = k2[PHCH2Cl][N3¯]
55
cm3 mol-1. In questo caso si suppone che la reazione passi attraverso uno stato di
transizione a sviluppo di carica e risulti quindi più solvatato dei reagenti.
+ CH3 −
δ δ +
_
Et3N + CH3CH2I Et3N CH2 I Et4N + I
Dato che il fenomeno della solvatazione può generare qualche confusione, è bene
specificare che uno stato di transizione possiede tanti meno gradi di libertà quanto più
è solvatato, ed il volume di attivazione diminuisce all’aumentare della solvatazione
da parte di solventi polari per l’effetto di elettrostrizione.
Esistono tuttavia casi di sostituzioni nucleofile bimolecolari in cui il segno dei
parametri di attivazione è positivo, ne è un esempio la reazione tra il catione
trietilsolfonio e l’anione bromuro. I valori sperimentali ∆S≠ = 18 cal K-1 mol-1 e
∆V≠ = 32 cm3 mol-1 riflettono il passaggio attraverso uno stato di transizione a
dispersione di carica che risulta quindi meno solvatato dei reagenti.
+ CH3 −
_ δ δ
+
Et2S -CH2CH3 + Br Et2S CH2 Br Et2S + EtBr
Come già si è accennato a proposito della solvolisi degli alogenuri alchilici terziari i
processi puramente dissociativi tipo SN1 comportano la completa ionizzazione del
substrato accompagnata dalla generazione di un intermedio carbocationico. La legge
cinetica è del primo ordine nell’alogenuro e le entropie di attivazione sono positive.
Tutto ciò è compatibile con un meccanismo a stadi in cui la ionizzazione del
substrato costituisce il passaggio lento dell’intero processo. Lo schema cinetico per
una reazione di solvolisi (SOH è il solvente) si può scrivere
k1 _ k2
R X R Cl ROS
k-1 SOH
d[ROS]
v= = k 2 [R + ]
dt
da cui
56
k1[RX ] k1k 2 [RX ]
[R + ] = -
e quindi v=
k 2 + k −1[X ] k 2 + k −1[X - ]
in modo identico a quanto già riportato nel caso dell’idrolisi del cloruro di benzidrile.
Siccome la ionizzazione è lo stadio lento del processo si può scrivere k2 >> k-1 per cui
la velocità risulta semplicemente v = k1[RX] e cioè del primo ordine in RX, come
atteso.
Va detto che i modelli meccanicistici puramente SN1 od SN2 sono da considerare di
tipo piuttosto estremo nel senso che le sostituzioni nucleofile nel loro complesso
mostrano da uno spettro meccanicistico che va dalla completa ionizzazione alla
completa assistenza. In questo contesto si inserisce l’importante nozione di coppia
ionica. Nella chimica organica fondamentale si è abituati a considerare la reazione di
solvolisi di un substrato opportunamente sostituito come un semplice processo di
ionizzazione. Per giustificare questa interpretazione del meccanismo si invoca la
crescente stabilità dei carbocationi intermedi all’aumentare della sostituzione ma di
solito si trascura l’effetto del mezzo di reazione. E’ invece ragionevole supporre che
la ionizzazione di un substrato implichi per prima cosa un equilibrio tra il reagente ed
un carbocatione che è ancora in stretto contatto con il controione; quest’ultima entità
a cariche separate prende il nome di coppia ionica intima. Un secondo equilibrio
conduce alla coppia ionica separata dal solvente, indicata con il simbolo R+║X¯ cui
fa seguito la dissociazione vera e propria in ioni opportunamente solvatati.
ionizzazione _ + _ dissociazione + _
R X R X R X R + X
prodotti prodotti
Me Me H
H H Me SOH H Me
Me Me + H
H Cl H Me H OS OS Me
_
Cl
H
Me
H
Cl Me
57
L’ottenimento dei due prodotti isomeri dovuti alla solvolisi è imputabile alla
delocalizzazione del doppio legame su tre atomi di carbonio contigui che si ha nella
coppia ionica. Ragionevolmente l’attacco da parte del solvente può avvenire in modo
non regioselettivo. E’ invece particolarmente interessante la formazione dell’1-cloro-
3-metil-2-butene, che è un isomero del reagente di partenza, dato che la velocità della
reazione che porta alla sua formazione è maggiore della velocità di solvolisi. Per
giustificare i dati sperimentali si ipotizza il cosiddetto ritorno da coppia ionica, cioè
il processo contrario della ionizzazione. In particolare, nel caso in questione, è più
corretto parlare di ritorno interno perchè ci si riferisce alla ricombinazione di ioni
della coppia ionica intima per formare un legame covalente.
Sono state raccolte anche evidenze stereochimiche dell’intervento delle coppie
ioniche, ed in particolare relativamente al fenomeno di ritorno interno. Un esempio
elegante concerne la saponificazione di esteri para-nitrobenzoici marcati con 18O ed
enantiomericamente puri realizzata in acetone acquoso all’80%. Sperimentalmente si
osservano la racemizzazione della porzione alcolica dell’estere ed il contemporaneo
scrambling dell’ossigeno 18 della porzione carbossilica. Questo comportamento è
dovuto evidentemente al ritorno da coppia ionica costituita da un carbocatione
planare stabilizzato e dall’anione carbossilato. Quest’ultimo, delocalizzando la carica
negativa su entrambi gli ossigeni, rende di fatto indistinguibile la posizione marcata
con 18O. L’attacco nucleofilo del carbossilato su una molecola planare quale il
carbocatione che funge da controione della coppia ionica deve avvenire
necessariamente in modo non stereoselettivo provocando la racemizzazione del
substrato di partenza.
Ph H Ph
O O
4-Cl-C6H4 NO2 4-Cl-C6H4 H NO2
18O 18O
+ _ + _ + _
R X + LiCiO 4 R ClO 4 + Li X
105 k
12
3 6 9
100 x [LiClO4] (M)
Figura 2.19. Diagramma log k in funzione di [ClO4¯] per la reazione di acetolisi di esteri solfonici.
k1 k2 k3
HNO3
+
NO2 + ArH [(ArH)-NO2]+ ArNO2 +
+
BH
k-1 k-2 B
L’espressione della velocità di reazione è variabile a secondo del mezzo nel quale
viene condotta la reazione.
Operando con acido nitrico ed acido solforico concentrati, cioè nelle tipiche
condizioni di nitrazione ad esempio del benzene, si ha una cinetica del secondo
ordine che diventa dello pseudo-primo ordine se la concentrazione di acido nitrico è
abbastanza grande rispetto a quella del substrato aromatico [ArH].
59
v = k[ArH][HNO3]
v = k[ArH]
k 3 K1K 2 [ArH][HNO 3 ]2
v = k 3 [ArH][NO 2 + ] =
[NO 3 - ][H 2 O]
In entrambi i casi discussi si presume che la specie nitrante sia lo ione nitronio NO2+,
che come è noto viene generato in situ per protonazione dell’acido nitrico con acido
solforico o per autoprotolisi dell’acido nitrico in assenza di acidi più forti. Nella
pratica della sintesi organica sono disponibili molti agenti nitranti, ma ai fini della
discussione degli aspetti cinetici della nitrazione è interessante considerare il
comportamento dei sali di nitronio (tetrafluoroborato, esafluorofosfato). Questi
composti sono agenti nitranti estremamente efficaci anche nei confronti di substrati
poco reattivi poiché la concentrazione effettiva della specie NO2+ libera nella miscela
di reazione è particolarmente alta. L’estrema reattività dello ione nitronio libero fa si
che le reazioni realizzate con i suoi sali siano sotto il controllo della diffusione. A
questo proposito è istruttivo esaminare l’andamento della nitrazione dell’
1,2-difeniletano in differenti condizioni di reazione ma con uguale concentrazione dei
differenti agenti nitranti. In acido nitrico acquoso il rapporto tra prodotti mono- e
dinitro sostituiti è 7:1 mentre la nitrazione realizzata con NO2+ BF4¯ è molto più
veloce della precedente ed il rapporto mononitro/dinitro si inverte e diventa 1:3.6. In
quest’ultimo caso la preponderanza di prodotti dinitrati e la maggior quantità di
difeniletano non reagito nella miscela di reazione riflette il fatto che la reazione
avviene prima che sia completato il mescolamento dei reagenti. In altre parole il
difeniletano che si trova in regioni ad alta concentrazione di NO2+ viene per lo più
dinitrato mentre se si trova in regioni con bassa concentrazione di NO2+ viene
mononitrato in modo preponderante.
Il comportamento cinetico delle solfonazioni è piuttosto difficile da esaminare perché
il mezzo di reazione è costituito da acido solforico concentrato. Se le reazioni sono
condotte con oleum l’equazione empirica della velocità è
v = kH0 + k’[SO3]
O* O* O*
R OR1 + R1O BAc2
R OR1 R OH
OH
_
HO
O* O*
+ R1OH SN
R O R1 R O
O O
+ R1O*H
R O* R1 R OH
Esistono poi evidenze stereochimiche molto chiare a sostegno del meccanismo BAc.
Per prima cosa l’idrolisi basica degli esteri procede senza difficoltà anche se R1 è
61
stericamente ingombrato. Inoltre, nel caso in cui R1 sia chirale a configurazione
assoluta definita, l’atomo di carbonio connesso all’ossigeno alcolico ritiene la
configurazione assoluta. Tutte le evidenze sperimentali appena discusse sono a
sostegno dell’ipotesi del meccanismo BAc2 che può quindi essere ritenuto realmente
operante.
Anche l’idrolisi acida di esteri carbossilici mostra una cinetica del second’ordine
espressa da un’equazione identica a quella trovata nel caso dell’idrolisi basica. Il
meccanismo proposto di seguito è coerente con i dati cinetici e con esperimenti di
marcatura isotopica dato che, ancora una volta, quest’ultima viene ritenuta
completamente sull’ossigeno alcolico.
O OH OH O
- H+
+ H+ R O* R1 + R1O*H
R O* R1 R O* R1 R OH
+ H+ OH
H2O
k1 k2 _
B H C C X BH+ C C X + X
k-1
62
k1k 2 [RX ][B]
v=
k -1[BH + ]
Nelle due possibilità meccanicistiche presentate fino ad ora si ritiene che la specie
carbanionica possieda le caratteristiche di un intermedio classico, nel senso che si
suppone debba trattarsi di una specie molto reattiva. Ma in linea di principio è
possibile la formazione di un carbanione stabile, nel qual caso il meccanismo della
reazione (E1a) è caratterizzato dalla decomposizione monomolecolare del carbanione
nel passaggio che determina la velocità di reazione. Perché l’intermedio carbanionico
stabile possa accumularsi durante la reazione è necessario che k1>>k-1, k2 e
l’equazione cinetica generale si semplifica in un’espressione del primo ordine
v = k[RX]
la cui velocità è indipendente dalla concentrazione della base, dato che si suppone
che tutto il substrato sia convertito nella sua base coniugata.
2.9 Problemi
Per la risoluzione dei problemi è solitamente necessaria l’applicazione del metodo dei
minimi quadrati limitato al calcolo di una retta. Tralasciando completamente la sua
dimostrazione si dà qui il sistema di equazioni che si impiega per trovare qual’è la
retta migliore che interpola i dati sperimentali dei problemi.
Per una serie di coppie di dati sperimentali xi, yi, la retta y = ax + b si trova risolvendo
il sistema lineare dato dalle due equazioni
2
a (∑ xi ) + b(∑ xi ) = ∑ xi yi
i i i
a (∑ xi ) + nb = ∑ yi
i i
dove n è il numero delle misure effettuate. Per valutare l’affidabilità della retta
ottenuta come descritto si calcolano le deviazioni standard σa, σb relative ai
coefficienti a, b. Per il calcolo delle deviazioni standard ci si può riferire ad un
manuale di calcolo numerico.
63
NO2 NO2 H
F N COOMe
COOMe
+ Ph
O2N Me NH2 O2N Me Ph
_________________________________________________________________________________
2.5 0 1.0
4.8 5 6.5
7.0 10 7.0
9.0 15 7.6
_________________________________________________________________________________
64
104 k 0.17 1.50 7.00 14.80
T (K) 273 298 317 327.7
2.10 Bibliografia
Oltre ai testi più diffusi e completi di chimica organica fisica già citati nella sezione
bibliografica del capitolo 1, è possibile trarre un gran numero di informazioni utili
dalla consultazione dei seguenti libri di testo dedicati espressamente alla cinetica
chimica.
65
3
TEORIA PERTURBATIVA ED HSAB
____________________________________________________________________
3.1 Introduzione 64
3.2 Teoria perturbativa 66
3.3 Applicazioni della teoria perturbativa 76
3.4 Teoria HSAB 99
3.5 Applicazioni della teoria HSAB 102
3.6 Aspetti quantitativi della teoria HSAB 106
3.7 Problemi 110
3.8 Bibliografia 111
____________________________________________________________________
3.1 Introduzione
Nella rappresentazione grafica dei meccanismi delle reazioni organiche si è soliti
indicare il movimento di coppie elettroniche per mezzo di frecce ricurve. Come si è
detto (cfr. pag 1) questo modo di raffigurare il meccanismo di una reazione è
piuttosto grossolano, benché comodo ed intuitivo, poiché si basa solo sulla
distribuzione della densità di carica dei reagenti. Esistono però altri fattori
determinanti al fine di stabilire il decorso di una reazione in termini della formazione
di alcuni prodotti piuttosto che di altri. Non deve dunque stupire che la
rappresentazione “a frecce” sia talvolta inadatta a rendere conto della formazione di
alcuni prodotti e, quindi, proporre un meccanismo adeguato. In effetti esistono un
gran numero di reazioni, alcune delle quali assai importanti da un punto di vista sia
meccanicistico che sintetico, il cui decorso non può essere giustificato da un
meccanismo basato interamente sull’interazione tra cariche.
A titolo di esempio si consideri la reazione tra ioduro di etile e cianuri di vari metalli.
Se con cianuro di potassio si verifica l’atteso spostamento dello iodio da parte
dell’anione cianuro, il comportamento in presenza di cianuro d’argento è del tutto
diverso dato che si ha la formazione dell’etilisocianuro.
Et-I + KCN → Et-C≡N + KI
Et-I + AgCN → Et-N=C ׃+ AgI
Anche l’alchilazione degli enolati, che procede dando esclusivamente il prodotto
C-alchilato, non può essere prevista facilmente attraverso un meccanismo “a frecce”.
66
O
Me
MeI
O
OMe
Gli usuali meccanismi basati sulle cariche delle specie reagenti non rendono conto
della marcata differenza di reattività che si riscontra nelle reazioni di Diels-Alder tra
butadiene e dienofili diversi quali l’etilene e l’anidride maleica.
lenta
+
O O
veloce
+ O O
O O
OMe
CHO
OMe
CHO
+ OMe
CHO
N COOMe
N
COOMe
N
+
COOMe
N
N
N
Per razionalizzare il decorso di queste e molte altre reazioni si ricorre alla teoria
perturbativa, che analizza le interazioni (perturbazioni, appunto) che si producono a
livello degli orbitali molecolari delle specie reagenti durante la formazione di un
nuovo legame.
67
3.2 Teoria perturbativa
L’interazione tra due orbitali φa, φb produce una perturbazione delle loro energie
iniziali Ea, Eb dando luogo ad una nuova coppia di orbitali φa + λφb, φa + λ*φb dove
compaiono i coefficienti di mescolamento λ, λ*. Se le energie di stabilizzazione ∆E e
di destabilizzazione ∆E* sono tali per cui ∆E > ∆E* ne segue che il mescolamento di
φa, φb produce una coppia di orbitali stabilizzata.
E
φa - λ∗φb
φb ∆E*
φa
∆E
φa + λφb
Come primo passo si procede al calcolo dei coefficienti di mescolamento λ, λ*, che
sono connessi alle energie Ea, Eb dalle relazioni
β a,b β a,b
λ=− , λ* = −
Ea - Eb Eb - Ea
Per maggiore chiarezza è utile analizzare separatamente ognuno dei termini che
compaiono al secondo membro dell’equazione di Klopman-Salem.
68
Termine I.
- ∑a,b (q a + q b ) β a,bSa,b
Termine II.
Q Ql
∑k,l εRk
k,l
E’ detto termine di carica, in quanto è determinato dai valori Qk, Ql che rappresentano
le cariche elettroniche totali sugli atomi k di r ed l di s. Rk,l è la distanza tra gli atomi
k,l ed ε è la costante dielettrica locale. Si può intuire che l’importanza relativa di
questo termine dell’equazione di Klopman-Salem aumenta considerevolmente nelle
reazioni che implicano la presenza o la comparsa di specie cariche.
Termine III.
Rappresenta l’interazione di tutti gli orbitali occupati (occ) di una delle specie
reagenti con tutti gli orbitali non occupati (nocc) dell’altra. Con cra si indica il
coefficiente dell’orbitale atomico φa nell’orbitale molecolare di r, con csb l’analogo
coefficiente per φb di s. Si ricorda che il valore del coefficiente atomico dell’orbitale
molecolare rappresenta una misura approssimata della localizzazione dello stesso
orbitale sulla data posizione atomica. Er ed Es sono le energie degli orbitali
molecolari interagenti di r ed s. Il contributo dato da questo terzo termine alla
69
stabilizzazione energetica espressa dall’equazione di Klopman-Salem aumenta al
diminuire della differenza energetica Er - Es ed all’aumentare dei coefficienti atomici
cra, csb. Queste dipendenze indicano che il contributo energetico espresso dal terzo
termine aumenta tanto più quanto è maggiore la sovrapposizione degli orbitali
interagenti.
A questo punto, poiché le specie reagenti tipicamente impiegate nella chimica
organica possono essere descritte da un numero molto elevato di orbitali molecolari,
occorre stabilire quali di questi orbitali conviene scegliere per studiarne l’interazione.
E’ ragionevole supporre che tra gli orbitali molecolari occupati coinvolti nella
reciproca perturbazione indotta dall’atto reattivo debba essere considerato
principalmente quello a maggior contenuto energetico. Si conviene di indicare quest’
orbitale con l’acronimo HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital). Allo stesso
modo si può supporre che l’intervento più significativo di partecipazione all’atto
reattivo da parte di orbitali non occupati debba essere limitato, o per lo meno dovuto
in maggior misura, a quello di minor contenuto energetico. Anche in questo caso si
conviene di indicare quest’orbitale con un acronimo e precisamente LUMO (Lowest
Unoccupied Molecular Orbital). Gli orbitali HOMO e LUMO sono detti orbitali di
frontiera e di solito sono indicati con l’acronimo FMO (Frontier Molecular Orbitals).
Il passo successivo è quello di stabilire quali coppie di orbitali associate ai due
reagenti si possono perturbare al punto da instaurare un nuovo legame. A questo
proposito si può valutare il diagramma energetico relativo all’interazione HOMO-
HOMO rappresentata dalla Figura 3.2, per la cui costruzione valgono le regole note
dalla Chimica Generale. E’ facile constatare che l’energia di stabilizzazione E1 è
inferiore a quella di destabilizzazione E2; l’interazione HOMO-HOMO è
complessivamente destabilizzante e quindi non produttiva ai fini della reazione.
E2
E1
Esaminando il diagramma energetico proposto nella Figura 3.3, che rende conto
dell’interazione tra l’HOMO di un reagente ed il LUMO dell’altro, si può notare che
70
la perturbazione dei livelli energetici degli orbitali coinvolti è stabilizzante in ragione
dell’energia di stabilizzazione ES.
ES
Quale terzo ed ultimo caso si consideri l’interazione tra il LUMO di uno dei due
reagenti ed un orbitale occupato a contenuto energetico inferiore all’HOMO del
secondo reagente. Se quest’ultimo orbitale è quello energeticamente più prossimo
all’HOMO si conviene di indicarlo con l’acronimo NHOMO (Next to HOMO).
E'S
71
In questo caso l’energia di stabilizzazione E’S è evidentemente inferiore al valore ES
operante nell’interazione HOMO-LUMO. Ne segue che, in linea generale,
l’interazione orbitalica più efficiente, che può cioè condurre alla formazione di un
nuovo legame, si verifica tra l’HOMO di uno dei due reagenti ed il LUMO dell’altro.
In prima approssimazione si possono dunque trascurare tutte le interazioni che non
coinvolgono direttamente la coppia degli orbitali di frontiera.
Va inoltre aggiunta una riflessione importante che concerne un aspetto prettamente
chimico degli orbitali di frontiera. Si è definito l’HOMO di una specie come
l’orbitale occupato a più alta energia; ciò significa che gli elettroni di questo orbitale
sono i più disponibili nella formazione di un nuovo legame. Si può quindi correlare in
modo coerente la definizione di HOMO con la nozione di specie nucleofila, nel senso
che un buon nucleofilo deve possedere un HOMO ad energia relativamente alta per
poter donare facilmente i propri elettroni. D’altra parte la specie accettrice, o
elettrofila, deve possedere un LUMO ad energia relativamente bassa per poter
alloggiare convenientemente gli elettroni che le vengono donati nella formazione di
un nuovo legame.
Queste ultime due constatazioni permettono di semplificare notevolmente
l’equazione di Klopman-Salem poiché, riassumendo,
- il primo termine può essere trascurato,
- il secondo termine si riduce nel tenere conto delle cariche elettroniche della specie
elettrofila (QE) e nucleofila (QN),
- il terzo termine deve tenere conto solo dell’interazione degli orbitali di frontiera
HOMO e LUMO.
A questo punto l’equazione di Klopman-Salem assume la forma
QEQN 2(c E c N β ) 2
∆E = + (equazione 3.1)
εR E HOMO - E LUMO
72
che comportano lo sviluppo di cariche. Si hanno reazioni sotto controllo orbitalico
qualora il termine degli orbitali di frontiera prenda il sopravvento sul termine
Coulombiano dell’equazione 3.1. A questa categoria di reazioni appartengono ad
esempio le reazioni pericicliche, che decorrono tra specie neutre senza sviluppo di
cariche.
E (eV)
-10.55
-14.55
Figura 3.5. Energia dell’orbitale occupato a più alta energia (HOMO) per l’etilene e la formaldeide.
etilene π -10.51
acetilene π -11.40
formaldeide π -14.09
formammide n -10.50
butadiene ψ2 -9.10
acroleina π -10.90
benzene π -9.25
furano π -8.90
piridina π -10.50
___________________________________________________________________
Le energie degli orbitali di frontiera non occupati (LUMO) si possono stimare con
misure dell’affinità elettronica. Anche in questo caso si conviene di designare
l’energia del LUMO con il valore dell’affinità elettronica cambiata di segno. A
differenza dei dati ottenibili dalla spettroscopia PES, le misure di affinità elettronica
sono piuttosto difficili da eseguire e di conseguenza il numero di dati disponibili è
alquanto limitato. Nella Tabella 3.2 sono riportati i valori di affinità elettronica per
alcune semplici molecole organiche.
etilene -0.84
acrilato di metile 0.80
tetracianoetilene 2.89
n-butilviniletere -0.70
stirene -0.55
fenilacetilene -1.25
butadiene -0.32
anidride maleica 1.80
_________________________________________________________________
Per quanto riguarda i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera, si è detto che essi
contribuiscono a determinare la grandezza del termine dell’orbitale di frontiera
dell’equazione 3.1. Anche i coefficienti atomici possono essere calcolati utilizzando
il formalismo della teoria perturbativa ed un esempio interessante è offerto dal
sistema allilico i cui orbitali di frontiera sono illustrati nella Figura 3.6.
74
E
0.5 -0.7070.5
Ψ3 LUMO dell'anione
0.707 -0.707
LUMO del catione
Ψ2
HOMO dell'anione
75
atomico e la costante di accoppiamento del segnale. Per un accoppiamento protone-
carbonio è valida l’equazione di McConnell
aH = QCH ρC
dove aH è la costante di accoppiamento, QCH è una costante dipendente dal tipo di
ibridizzazione dell’atomo di carbonio e ρC è la popolazione di spin dell’atomo di
carbonio.
interazione antilegante
Nu- Cl Cl
76
Anche nelle sostituzioni elettrofile bimolecolari, che nella maggior parte dei casi
decorrono con ritenzione di configurazione, la coppia di orbitali interagenti sono il
LUMO dell’elettrofilo e l’HOMO del nucleofilo. Per la reazione tra un generico
elettrofilo E+ ed il metillitio si possono ancora avere due tipi di attacco: dalla stessa
parte e dalla parte opposta rispetto al metallo. In entrambi i casi la sovrapposizione
dei lobi orbitalici è legante; si deve dunque supporre che l’attacco della specie
elettrofila avvenga dalla stessa parte del metallo per gran parte delle reazioni SE2.
LUMO
E+
interazione legante
interazione legante
E+ Li Li
NO2
40% 58%
77
Questa differenza di comportamento è descritta in modo soddisfacente dai classici
meccanismi “a frecce ricurve” dato che le formule di valenza utilizzate normalmente
sono in grado di rendere conto dell’effetto di stabilizzazione o destabilizzazione della
carica che si forma a livello del catione benzenio intermedio. In questo paragrafo ci si
propone di mostrare come l’esame degli orbitali molecolari delle specie aromatiche
conduce ai medesimi risultati costituendo un approccio alternativo a quello classico
basato sul movimento delle cariche.
Prendendo in esame gli orbitali molecolari π del benzene, si nota che esistono due
orbitali occupati degeneri che possono essere entrambi indicati come HOMO. Ciò è
dovuto alla particolare simmetria del benzene.
E (eV)
+2.98
+0.55 +0.55
LUMO LUMO
-9.65 -9.65
HOMO HOMO
-13.38
78
NO2
E (eV)
NO2 NO2
-0.31
-1.01
-1.11
NO2
NO2
NO2
-10.57
HOMO -10.68
-14.23
L’HOMO dell’anisolo (Figura 3.9) ha energia più alta di quello del benzene; si tratta
dunque di un nucleofilo migliore che dà più facilmente le reazioni di sostituzione
elettrofila. I suoi coefficienti atomici sono localizzati principalmente nelle posizioni
orto, para giustificando la regioselezione osservata sperimentalmente.
OMe
E (eV)
OMe OMe
+2.92
+0.66
+0.55
OMe
OMe
OMe
-8.98
HOMO -9.78
-11.85
79
3.3.3 Cicloaddizioni
Le cicloaddizioni sono reazioni nelle quali si ha la formazione di un anello
carbociclico od eterociclico da precursori aciclici. Nella stragrande maggioranza dei
casi esse avvengono attraverso uno stato di transizione concertato. In una
cicloaddizione il numero dei legami σ aumenta a spese del numero di legami π
preesistenti, ed il numero dei nuovi legami σ che si formano in luogo di tali legami π
suggerisce un criterio utile alla classificazione delle cicloaddizioni nell’ambito delle
reazioni pericicliche. In una cicloaddizione si formano due nuovi legami σ a spese di
due legami π mentre, ad esempio, le reazioni in cui si ha conversione di un legame π
in un legame σ si definiscono reazioni elettrocicliche.
a a a
d d e
[3+2] b + b e/o b (4π+2π)
e e
c c c d
(1,3-dipolari)
a a a
b e b e b f
[4+2] + e/o (4π+2π)
c f c f c e
d d d
(Diels-Alder)
80
Prima di intraprendere la discussione delle cicloaddizioni nell’ambito della teoria
degli orbitali di frontiera, è opportuno soffermarsi sulle energie ed i coefficienti
atomici di semplici etileni monosostituiti. Questi composti sono largamente utilizzati
sia nelle reazioni di Diels-Alder che nelle cicloaddizioni 1,3-dipolari e rivestono
quindi una grande importanza sintetica oltre che meccanicistica. Nel diagramma
rappresentato dalla Figura 3.10 compaiono le energie degli orbitali di frontiera di
alcuni etileni monosostituiti ed i coefficienti atomici relativi a ciascuna posizione del
doppio legame carbonio-carbonio. Prendendo l’etilene quale substrato di riferimento
si nota immediatamente che la presenza di sostituenti elettronattrattori causa un
abbassamento delle energie degli FMO, che sono rappresentate da linee in grassetto.
L’andamento opposto, ovvero un incremento delle energie degli FMO, si osserva in
presenza di sostituenti elettron repulsori. Questo comportamento è prevedibile sulla
base delle considerazioni già formulate e rispecchia la conseguenza prodotta dalla
sostituzione di un atomo d’idrogeno dell’etilene con un altro atomo o gruppo a
richiesta elettronica differente.
NMe2 OMe Me Cl COOMe NO2
E (eV) CH2 CH CH2 CH CH2 CH CH2 CH2 CH2 CH CH2 CH CH2 CH
0.62 -0.69
0 0.54 -0.32
-0.7
0.50 0.20
-8.0
0.61 0.39
-9.1
0.67 0.56
0.44 0.30
-9.9 0.71 0.71
0.43 0.33
-10.5 -10.2
-10.7 0.62 0.60
-11.4
81
essere meglio alloggiati sull’intero edificio molecolare. Al contrario i sostituenti
elettron repulsori fanno aumentare l’energia di questi elettroni causando una
destabilizzazione che si traduce nell’aumento delle energie degli FMO. I valori
numerici dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera sono riportati sopra le linee
in grassetto delle energie. Non deve sorprendere che la somma dei quadrati dei
coefficienti sia diversa dall’unità anche se in tutti i casi vale sempre la condizione di
normalizzazione Σi ci2 = 1. Ad esempio per l’HOMO del propilene si ha 0.672 + 0.562
= 0.49 + 0.31 = 0.80. La spegazione è semplice; gli FMO degli etileni monosostituiti
non sono localizzati solo sul legame C=C ma anche, e in modo significativo, sul
sostituente. Benché il diagramma illustrato dalla Figura 3.10 sia sufficientemente
dettagliato da permettere un’analisi accurata del decorso regiochimico di una
cicloaddizione, è conveniente ricorrere ad una sua versione semplificata che riporti
solo le energie degli etileni raggruppati a secondo del tipo di sostituente (Figura
3.11). Questa semplificazione è dovuta essenzialmente ad una maggiore
immediatezza nella comprensione dei diagrammi d’interazione che saranno discussi
più avanti. Rispetto alle energie degli FMO dell’etilene si distinguono solo tre
tipologie di substrati a secondo del tipo di sostituente. Si conviene d’indicare con Z i
sostituenti elettronattrattori, con X gli elettron repulsori e con C i cosiddetti
sostituenti coniugati, quali ad esempio un ulteriore doppio legame C=C od un gruppo
fenile. Nella Figura 3.11 i coefficienti atomici non sono espressi numericamente ma
resi in modo visivamente più immediato da cerchi di diametro proporzionale al
coefficiente e colore diverso a secondo della fase dell’orbitale. In questo modo però
la loro descrizione è valida solo a livello qualitativo.
X C Z
CH2 CH CH2 CH2 CH2 CH CH2 CH
E (eV) X
+3.0
C
+1.5
Z
+1.0
X
C
-9.0
-9.1
Z
-10.5
-10.9
82
3.3.3.1 Reazioni di Diels-Alder. L’importanza delle reazioni di Diels-Alder nella
sintesi di strutture carbocicliche è ben nota dai corsi di Chimica Organica
fondamentale. A dispetto del loro largo impiego nella sintesi organica la
regioselettività operante nelle reazioni di Diels-Alder ha costituito un enigma per
intere generazioni di chimici organici. Infatti, la regioselettività e le variazioni di
reattività indotte dai sostituenti sul diene e/o sull’alchene non possono essere predette
sulla base dei semplici meccanismi a frecce ricurve. Inoltre la velocità di queste
reazioni è praticamente indipendente dal tipo di solvente, il che ha reso ancor più
difficoltosa la ricerca di un meccanismo plausibile. Mancando un modello adatto alla
razionalizzazione dei risultati sperimentali, le reazioni di Diels-Alder e le
cicloaddizioni 1,3-dipolari erano state definite –piuttosto pessimisticamente- “no
mechanism reactions”, ad indicare l’incapacità dei chimici di comprenderne gli
aspetti meccanicistici.
In questo paragrafo ci si propone di razionalizzare il decorso regiochimico di queste
cicloaddizioni alla luce della teoria dell’orbitale di frontiera. Per affrontare questo
argomento occorre in primo luogo descrivere le energie ed i coefficienti atomici dei
tipici reagenti utilizzati nelle reazioni di Diels-Alder, ovvero dieni ed alcheni. Nel
paragrafo precedente sono stati illustrati i diagrammi relativi agli orbitali di frontiera
degli etileni monosostituiti; gli stessi principi si applicano all’analisi degli FMO dei
dieni. Nelle Figure 3.12 e 3.13 sono riportate per l’appunto le energie ed i coefficienti
atomici approssimati di dieni 1- e 2-sostituiti con atomi o gruppi elettron repulsori,
elettronattrattori e gruppi coniugati. La simbologia è esattamente quella già utilizzata
nella descrizione approssimata degli FMO di etileni monosostituiti (Figura 3.11).
E (eV) X
+2.5
C
+1.0 Z
+0.5
-0.5
X C
Z
-8.5 -8.2
-9.1
-9.5
83
E (eV)
+2.3
+1.0 C
+0.2 Z
-0.3
X
C
-8.2
-8.5 Z
-9.1
-9.3
Trattandosi di reazioni tra specie neutre che procedono attraverso uno stato di
transizione ciclico senza sviluppo di cariche, il decorso delle cicloaddizioni [4+2] è
regolato dal secondo termine dell’equazione 3.1. Si tratta quindi di processi che
avvengono sotto controllo orbitalico. La velocità delle reazioni di Diels-Alder
decresce infatti all’aumentare della differenza EHOMO - ELUMO (Figura 3.14), come ci
si aspetta per processi la cui velocità è regolata dal solo termine relativo agli orbitali
di frontiera. Per la generica reazione di Diels-Alder
Ca
Cb Ce
+
Cc Cf
Cd
84
log k
EHOMO-ELUMO
Figura 3.14. Variazione della velocità di una cicloaddizione [4+2] al variare della differenza
EHOMO - ELUMO.
LUMOd
LUMOd
E (eV) LUMOD LUMOD LUMOD
LUMOd
HOMOd
HOMOd
HOMOD HOMOD HOMOD
HOMOd
Z X
Nel caso della cicloaddizione tra butadiene ed etilene non c’è una differenza
sostanziale tra le energie │HOMOD-LUMOd│ ed │HOMOd-LUMOD│. Il decorso
della reazione è quindi controllato sia dall’HOMO che dal LUMO del diene (reazione
85
HOMOD/LUMOD-controllata). Passando ai dipolarofili elettronpoveri, cioè etileni
monosostituiti da atomi o gruppi elettronattrattori, la differenza │HOMOD-LUMOd│
è minore di quella │HOMOd-LUMOD│. Ciò significa che la reazione è controllata
dall’HOMO del diene (HOMOD-controllo). Passando ai dienofili elettronricchi è
facile vedere che la differenza │LUMOD-HOMOd│ è inferiore a quella │LUMOd-
HOMOD│; la reazione è quindi LUMO-diene controllata (LUMOD-controllo). Il
controllo esercitato da un’orbitale di frontiera diviene pressoché completo quando la
differenza energetica tra le coppie di orbitali interagenti è > 1 eV.
Il passo successivo per stabilire la regioselettività di una reazione di Diels-Alder
consiste nella valutazione dei coefficienti sugli atomi coinvolti nella formazione dei
nuovi legami σ, combinandoli opportunamente in base alle loro grandezze relative.
Un esempio è utile per chiarire questo punto. La reazione tra l’1-carbossibutadiene e
l’acido acrilico procede dando una miscela di cicloaddotti regioisomeri in rapporto
90:10 a favore del cicloesene 1,2-dicarbossi sostituito.
Si deve mettere in evidenza che per questa reazione il meccanismo a frecce ricurve
basato sulle cariche prevede l’ottenimento del prodotto 3,5-dicarbossi sostituito.
L’analoga reazione sui corrispondenti carbossilati dà la miscela equimolecolare dei
due cicloaddotti isomeri.
86
Si deve notare che nel prodotto 1,2-disostituito esiste una repulsione considerevole
dovuta alla prossimità delle due cariche negative delle funzioni carbossilato. E’
quindi evidente che se ci si limitasse a considerazioni di carattere elettrostatico questo
prodotto non dovrebbe formarsi. Il fatto che esso si formi invece nella stessa quantità
dell’altro possibile regioisomero depone a favore della notevole influenza esercitata
dal controllo orbitalico. Considerando che dal punto di vista elettronico la funzione
carbossilato è assimilabile ad un sostituente coniugato (C) si possono costruire le due
interazioni descritte nella seguente Figura. La differenza energetica tra le due
interazioni orbitaliche │HOMOD-LUMOd│ = 9.2 eV, │LUMOD-HOMOd│ = 9.6 eV
è ∆∆E = 0.4 eV; si prevede quindi che entrambe lavorino contemporaneamente
comportando la formazione preferenziale del derivato 1,2-dicarbossi sostituito.
C C
C C
C e Z
C e Z
X
X
87
Un’ulteriore possibilità offerta dall’analisi degli orbitali di frontiera riguarda la
razionalizzazione della reattività. Nell’introduzione a questo capitolo si è accennato
che la reazione tra butadiene ed etilene procede molto più lentamente che con
anidride maleica. In effetti nel primo caso si richiedono condizioni estremamente
severe; la reazione procede in autoclave a 900 atmosfere e 165°C dando dopo 17 ore
il cicloesene in ragione del 78%. Ma l’anidride maleica reagisce col butadiene in 24
ore a 20°C dando quantitativamente il corrispondente cicloaddotto. E’ ovvio che di
fronte ad una disparità di condizioni di reazione tanto evidente un meccanismo basato
solo sull’interazione tra cariche non può essere in grado di rendere conto della
differenza di reattività osservata sperimentalmente. La razionalizzazione di questi
fatti sperimantali può invece essere compresa confrontando gli FMO dell’etilene e
dell’anidride maleica rispetto al butadiene (Figura 3.16). La reazione tra butadiene ed
etilene è HOMOD/LUMOD controllata e le differenze energetiche tra le coppie di
orbitali interagenti valgono 11.5 eV e 10.6 eV. Il LUMO dell’anidride maleica si
colloca a -1.62 eV, un’energia particolarmente bassa dovuta alla presenza di due
gruppi elettronattrattori sul doppio legame etilenico. La reazione diviene così
HOMOD controllata con una differenza energetica pari a soli 7.48 eV. Ciò significa
che l’HOMO del butadiene interagisce molto più fortemente col LUMO dell’anidride
maleica che con quello dell’etilene (∆∆E = 4.02 eV). Ne segue che il secondo
termine dell’equazione 3.1 è più grande e la reazione risulta più veloce.
E (eV)
+1.5 O
+1.0
O
-1.62
-9.1 O
-10.5
O
-12.02
88
3.3.3.2 Cicloaddizioni [2+2]. Nell’ambito di questo tipo di reazioni possono essere
operanti due meccanismi del tutto differenti. Si hanno infatti cicloaddizioni [2+2] che
decorrono sotto controllo orbitalico attraverso un meccanismo concertato ed altre,
controllate dal termine di carica dell’equazione 3.1, che avvengono secondo un
meccanismo a stadi.
Per quanto concerne la prima tipologia di meccanismo gli esempi classici sono
relativi alla formazione dell’anello ciclobutanico per reazione tra cheteni ed alcheni.
Nella Figura 3.17 sono riportate le interazioni orbitaliche chetene-alchene e le energie
degli orbitali di frontiera del chetene. Come si vede, l’approccio tra i due FMO
interagenti avviene secondo un’orientazione “antara”. Questo termine indica che le
due molecole dei reagenti non si avvicinano su piani paralleli o sullo stesso piano ma
su piani inclinati di circa 45° rendendo operativa l’interazione tra l’HOMO
dell’alchene (chetenofilo, HOMOk) e i lobi py e pz del LUMO del chetene (LUMOK).
Il tipo di attacco antara, che potrebbe apparire arduo da realizzare da un punto di vista
geometrico, in questo caso non comporta una distorsione eccessiva degli orbitali ed è
peraltro l’unica possibile in relazione alla loro simmetria. Per quanto riguarda la
collocazione energetica degli orbitali di frontiera del chetene appare evidente che le
cicloaddizioni [2+2] con etileni debbano essere favorite da sostituenti
elettronattrattori sul chetene. L’abbassamento dell’energia del LUMOK indotta da tali
sostituenti favorisce infatti il controllo della cicloaddizione da parte di quest’ultimo
orbitale (LUMOK-controllo).
O
py
C
C
C
pz
C
E (eV)
LUMO O
+0.34
HOMO O
-9.60
89
La regioselettività operante nelle cicloaddizioni [2+2] che decorrono sotto il controllo
del LUMOK si razionalizza confrontando le dimensioni relative dei coefficienti
atomici degli FMO interagenti. Nel seguente Schema si riportano tre esempi di
cicloaddizioni tra il difenilchetene ed alcheni a richiesta elettronica diversa.
Indipendentemente dal fatto che il chetenofilo sia elettronricco od elettronpovero, la
cicloaddizione è sempre controllata dal LUMOK ed avviene sempre con la stessa
regioselettività.
O
O
Ph Ph
Ph
Ph
O
O
O O Ph
B B
Ph
O O
Ph Ph
O
O
Ph
O Ph Ph O
Ph
HOMOk LUMOK
Per quanto riguarda le cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine di carica, si è detto
che esse procedono attraverso un meccanismo a stadi. Ciò è compatibile con
l’esistenza di un sensibile effetto solvente che è invece assente nel caso delle
cicloaddizioni [2+2] controllate dal termine orbitalico dell’equazione 3.1. La
comparsa di intermedi carichi è peraltro tipica di un meccanismo a stadi, come
illustrato a proposito della reazione tra il dimetilchetene e vinilpirrolidine.
O
O O
N + N N
chetene
N O
90
Per concludere la sezione dedicata all’applicazione della teoria dell’orbitale di
frontiera alle cicloaddizioni [2+2] è opportuno considerare le reazioni dei cheteni con
eterochetenofili quali gruppi carbonilici od immine. In genere queste reazioni
decorrono attraverso un meccanismo a stadi che può comportare lo sviluppo di
intermedi carichi. Se dal punto di vista meccanicistico non ci sono particolari novità,
è pur vero che l’interesse di queste reazioni è profondamente connesso al loro
interesse sintetico. Basta rendersi conto che dalla reazione chetene-immina si ottiene
l’anello β-lattamico che è caratteristico di un gran numero di farmaci antibatterici ed
antibiotici.
O
Ph
O
O
Ph
O O
O
Ph
N
Ph Ph
Ph
Ph Ph
Ph Ph
N
O Ph
a b c a b c a b c a b c
b b b b
a c a c a c a c
91
La quasi totalità delle specie 1,3-dipolari appartengono alla categoria degli 1,3-dipoli
con stabilizzazione dell’ottetto in cui ciascuno degli atomi a,b,c raggiunge la
configurazione elettronica stabile (ad ottetto chiuso) propria del gas nobile che lo
segue nel sistema periodico. Questi 1,3-dipoli sono ulteriormente classificabili in due
categorie:
- 1,3-dipoli dotati di un legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi
propargilici/allenilici);
- 1,3-dipoli privi del legame π perpendicolare al sistema allilico (sistemi allilici).
Gli esempi rappresentativi delle principali specie 1,3-dipolari appartenenti a queste
due classi sono mostrati, rispettivamente, nelle Tabelle 3.3 e 3.4.
Betaine di nitrilio
C N C C N C nitrililidi
C N N C N N nitrililimmine
C N O C N O nitrilossidi
C N S C N S nitrilsolfuri
Betaine di diazonio
N N C N N C diazocomposti
N N N N N N azidi
N N O N N O ossido nitroso
__________________________________________________________
In presenza del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli debbono
essere lineari nel loro stato fondamentale (diazoalcani, nitrilossidi), mentre in assenza
del legame π perpendicolare al sistema allilico gli 1,3-dipoli risultano invece piegati
nel loro stato fondamentale (azometinilidi, nitroni, ozono). Un’ulteriore importante
considerazione è connessa alla natura degli atomi a,b,c che compongono la funzione
1,3-dipolare. Essi sono generalmente C, N, O, mentre sono assai meno comuni gli
1,3-dipoli che contengono atomi di elementi del terzo periodo o di periodi successivi.
La denominazione “1,3-dipoli” e l’analogia elettronica con l’allilanione potrebbero
erroneamente lasciar supporre che queste siano specie fortemente polari; in realtà la
92
polarità degli 1,3-dipoli non è particolarmente pronunciata poiché le cariche che
compaiono nelle formule di risonanza non sono localizzate. Ad esempio, se il
diazometano fosse adeguatamente rappresentato dalla sola formula ¯CH2-N+≡N
mostrerebbe un momento dipolare (calcolato) pari a 6.2 D. Il valore sperimentale del
momento dipolare per il diazometano è di 1.50 D; ciò significa che le cariche, nel
diazometano, sono delocalizzate in modo significativo. Queste considerazioni si
possono estendere a tutte le specie 1,3-dipolari.
C N C C N C azometinilidi
C N N C N N azometinimmine
C N O C N O azometinossidi (nitroni)
N N N N N N azaimmine
N N O N N O azossicomposti
O N O O N O nitrocomposti
C O C C O C carbonililidi
C O N C O N carbonilimmine
C O O C O O carbonilossidi
N O N N O N nitrosoimmine
N O O N O O nitroso ossidi
O O O O O O ozono
______________________________________________________________
93
L’effetto dei sostituenti sull’1,3-dipolo influenza le energie degli orbitali di frontiera
a secondo delle sue caratteristiche elettroniche. Gruppi elettronattrattori producono
una diminuzione delle energie degli FMO della specie 1,3-dipolare, mentre gruppi
elettron repulsori ne producono un incremento. Queste influenze sono illustrate nella
Figura 3.19, che mostra l’andamento energetico degli orbitali di frontiera di
benzonitrilossidi sostituiti in posizione 4- sull’anello benzenico.
-1.74
-8.63
-9.03
-9.22 -9.38 -9.41
-10.12
Figura 3.19. Andamento delle energie degli orbitali di frontiera di benzonitrilossidi a formula
4-X-C6H4CNO in funzione del sostituente X.
c b a c b a
HOMO LUMO
Come nel caso delle cicloaddizioni trattate nei paragrafi precedenti, anche la
regioselettività di una cicloaddizione 1,3-dipolare si predice confrontando le
grandezze dei lobi degli orbitali di frontiera coinvolti nella formazione di nuovi
legami σ. La reazione procede nella direzione che consente la maggior
94
sovrapposizione possibile dei lobi degli orbitali di frontiera che hanno i coefficienti
atomici più possibile simili.
Come esempio si possono prendere in considerazione le cicloaddizioni tra il
benzonitrilossido e dipolarofili elettronricchi quali vinileteri od enammine e le
cicloaddizioni tra il benzonitrilossido ed esteri acrilici. Nel primo caso le reazioni
sono completamente regioselettive dato che si forma solo il cicloaddotto 5-sostituito.
Con esteri acrilici le cicloaddizioni sono invece regioselettive a favore dell’isomero
5-sostituito, ma dalla miscela di reazione è possibile isolare anche piccole quantità
(3-5%) del prodotto 4-sostituito.
Ph
Ph N O + X N X X = OR, NR2
O
Ph Ph COOR
Ph N O + COOR N COOR + N
O O
95-97% 3-5%
Questo comportamento è interpretabile sulla base della Figura 3.21, che illustra le
energie ed i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera del benzonitrilossido,
dell’acrilato di metile e di dipolarofili elettronricchi a formula generale CH2=CHX.
0.60 -0.29
CH2 CH
.
0.33 -0 48 0.25
CH2 CH X
COOMe Ph C N O
CH2 CH
0.29 0.22
X
0.44 0.31 -0.60
CH2 CH
COOMe Ph C N O
Figura 3.21. Interazioni tra gli orbitali di frontiera di benzonitrilossido, acrilato di metile e
dipolarofili elettronricchi
95
Inoltre i coefficienti relativi a questa coppia di orbitali di frontiera sono di grandezza
paragonabile sia per la coppia atomo di carbonio del nitrilossido-carbonio terminale
del dipolarofilo che per quella ossigeno del nitrilossido-carbonio interno del
dipolarofilo. Tutte queste circostanze sono concordi nell’indirizzare la cicloaddizione
verso la formazione del solo prodotto 5-sostituito. Così non è per la reazione tra
benzonitrilossido ed esteri acrilici. Innanzitutto il LUMOD controllo del processo non
è netto come nel caso precedente; non si può dunque trascurare l’interazione
HOMOD-LUMOd che conduce alla formazione dell’isomero 4-sostituito. Esaminando
poi la situazione dei coefficienti atomici delle due coppie degli orbitali di frontiera
coinvolti si osserva che:
- per la coppia LUMOD-HOMOd i valori numerici sono assai simili rendendo
possibile l’interazione tra l’atomo di carbonio del nitrilossido e l’atomo di carbonio
interno dell’acrilato, che conduce al cicloaddotto 5-sostituito;
- per la coppia HOMOD-LUMOd l’interazione tra l’atomo di ossigeno del nitrilossido
e l’atomo di carbonio terminale dell’acrilato è la sola possibile e conduce al
cicloaddotto 4-sostituito.
Il comportamento generale delle cicloaddizioni tra nitrilossidi e composti etilenici
monosostituiti è riassunto nella Figura 3.22. Queste cicloaddizioni sono LUMO-
dipolo controllate nel caso di tutti i dipolarofili ad eccezione di quelli fortemente
elettronpoveri.
7.0
8.1 8.9 9.7 10.0
10.4
0.50 0.20
9.5 9.2 9.3
-8.0
0.61 0.39
-9.1
0.67 0.56
0.44 0.31 -0.60 0.44 0.30
-10.0 -9.9 0.71 0.71
-10.2 0.43 0.33
-10.5
-10.7 0.62 0.60
-11.4
Figura 3.22. Energie e coefficienti degli FMO del benzonitrilossido in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
96
Le cicloaddizioni tra nitrilossidi e dipolarofili etilenici 1,2-disostituiti conducono alla
formazione di miscele di isossazoline regioisomere perchè i coefficienti degli orbitali
di frontiera dei dipolarofili possono essere anche molto simili.
Per mettere in evidenza la differenza di comportamento tra le varie specie
1,3-dipolari in funzione delle energie dei loro orbitali di frontiera è utile considerare
gli altri due esponenti delle betaine di nitrilio; nitrililidi e nitrilimmine. La Figura
3.23 mostra le energie ed i coefficienti degli orbitali di frontiera della
benzonitrilmetililide in confronto con alcuni dipolarofili etilenici monostituiti.
Dall’esame della Figura 3.23 si nota che tutte le cicloaddizioni, ad eccezione di quelle
con dipolarofili elettronricchi, avvengono sotto il controllo dell’HOMO della
nitrililide. D’altra parte non sono state finora osservate cicloaddizioni tra nitrililidi e
dipolarofili elettronricchi, il che significa che l’interazione orbitalica governata dal
LUMO dell’1,3-dipolo non è mai veramente importante.
0 0.54 -0.32
8.90 8.40 8.20 7.90
-0.7
-6.40
0.50 0.20
-8.0
0.61 0.39
-9.1
0.67 0.56
0.44 0.30
-9.9 0.71 0.71
-10.2 0.43 0.33
-10.5
-10.7 0.62 0.60
-11.4
Figura 3.23. Energie e coefficienti degli FMO della benzonitrilmetililide in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
Il confronto tra i valori dei coefficienti degli orbitali di frontiera interagenti porta a
concludere che in presenza di dipolarofili elettronpoveri la cicloaddizione HOMO-
dipolo controllata dovrebbe condurre esclusivamente a ∆1-pirroline-2,3-disostituite.
Nel seguente Schema è data una rappresentazione pittorica e piuttosto intuitiva della
menzionata interazione HOMOD-LUMOd.
97
N N
Ph
HOMO Ph C CH2
Z
Z LUMO
-0.5 -0.7
9.3 9.0
-8.0
0.61 0.39
-9.1
0.67 0.56
0.44 0.30
-9.9 0.71 0.71
-10.2 0.43 0.33
-10.5
-10.7 0.62 0.60
-11.4
Figura 3.24. Energie e coefficienti degli FMO della difenilnitrilimmina in confronto con tipici
dipolarofili etilenici monostituiti.
Ph
R
Ph N N Ph N R
N
Ph R = COOEt, Ph, Alchil
98
I valori dei coefficienti atomici degli orbitali di frontiera coinvolti nella
cicloaddizione con dipolarofili elettronricchi lasciano prevedere la formazione di
pirazoline 5-sostituite. In presenza di dipolarofili moderatamente elettronpoveri
l’intervento del LUMO della nitrilimmina non è trascurabile e comporta ancora la
formazione di pirazoline 5-sostituite quali unici regioisomeri. Solo in presenza di
dipolarofili molto elettronpoveri si dovrebbe avere la formazione di pirazoline
4-sostituite, come mostrato di seguito.
N
N
LUMO Ph C N Ph Ph N Ph
X, Z
X, Z
HOMO
N N
HOMO Ph C N Ph Ph N Ph
Z
Z LUMO
99
Tabella 3.5. Acidi duri, basi dure.
__________________________________________________________________________________________________________
Acidi Basi
__________________________________________________________________________________________________________
Alcuni esempi di specie che possono comportarsi come acidi o basi sia duri che
molli, indicati come casi limite, sono riportati nella Tabella 3.6.
Acidi Basi
__________________________________________________________________________________________________________
La definizione di un acido od una base molli è vincolata agli stessi criteri; dunque le
caratteristiche di mollezza che identificano un composto acido o basico sono:
- grande raggio atomico del centro di reazione,
- piccola carica effettiva sul centro di reazione,
- elevata polarizzabilità del centro di reazione.
Un sistema acido o basico molle dispone di un centro reattivo caratterizzato da una
carica poco localizzata e quindi dispersa sugli atomi contigui. E’ facile individuare
come basi molli alcuni sistemi coniugati a carica delocalizzata assai diffusi quali ad
esempio gli anioni allilico o propargilico. Questi ultimi distribuiscono infatti i loro
quattro elettroni π su tre atomi di carbonio contigui.
100
anione allilico CH2 CH CH2 CH2 CH CH2
Alcuni esempi di acidi e basi molli sono elencati nella Tabella 3.7.
Acidi Basi
__________________________________________________________________________________________________________
101
Nel primo caso la differenza EHOMO – ELUMO al secondo termine del secondo membro
dell’equazione 3.1 è grande. Come conseguenza si ha che il termine orbitalico
diventa piccolo, e quindi trascurabile, rispetto al termine Coulombiano. Pertanto, una
reazione tra acidi duri e basi dure si svolge sotto il controllo delle cariche e procede
essenzialmente grazie ad interazioni di tipo elettrostatico.
Le stesse considerazioni applicate agli acidi molli ed alle basi molli portano alla
conclusione che:
- gli acidi molli hanno un LUMO a bassa energia,
- le basi molli hanno un HOMO ad alta energia.
La differenza EHOMO – ELUMO nell’equazione 3.1 è quindi piccola ed il contributo
orbitalico è grande e prevalente sul contributo Coulombiano. Le reazioni tra acidi
molli e basi molli decorrono quindi sotto controllo orbitalico; in particolare
l’interazione principale avviene tra l’HOMO della specie basica ed il LUMO di
quella acida. Nelle reazioni tra specie molli non sono previsti sviluppi di carica
significativi. Poiché al numeratore del secondo termine al secondo membro
dell’equazione 3.1 compaiono i coefficienti atomici degli orbitali di frontiera cE e cN,
si può prevedere che anche il loro valore influenzi il decorso di una reazione tra
specie molli. In effetti, dato che la localizzazione dell’orbitale (non della carica!) su
un sito reattivo è espresso proprio dal maggior valore numerico del coefficiente
dell’orbitale in questione, è prevedibile che una reazione sia favorita da coefficienti
grandi, ovvero da orbitali di frontiera ben localizzati sul sito reattivo. Si ribadisce che
la localizzazione dell’orbitale su un certo sito non si deve confondere con la
localizzazione della carica. Infatti i coefficienti ci nella combinazione lineare
Ψ = Σi ciφi che descrive il generico orbitale molecolare esprimono l’entità relativa del
contributo di ogni orbitale atomico alla funzione d’onda Ψ: maggiore è ci, maggiore è
questo contributo.
Da questa scala risulta dunque che il catione metilico è il meno duro tra gli acidi di
Lewis al carbonio che portano una carica positiva. La sostituzione di uno o più atomi
d’idrogeno del catione metilico con atomi più elettronegativi del carbonio produce
102
specie più dure, mentre per ottenere una specie più molle di CH3+ l’unica opportunità
è legata alla rimozione di un atomo d’idrogeno ottenendo un carbene. Un radicale al
carbonio può comportarsi sia da acido che da base pur rimanendo sempre una specie
molle, il doppio legame etilenico si comporta come una base molle.
Le basi all’ossigeno ed all’azoto sono sempre dure a causa dell’elettronegatività
piuttosto alta degli elementi in questione; in quest’ambito le basi all’ossigeno sono
più dure di quelle all’azoto. Un’eccezione è rappresentata dall’anione idroperossido,
che è molle.
103
questo proposito si deve tenere presente che la durezza della specie alchilante AmX
decresce nell’ordine AmCl > AmBr > AmI.
NaO AmO O
Et + AmX Et + Et
Ph Ph Ph
Am
X = Cl 55 : 45
X = Br 39 : 61
X=I 19 : 81
O OMe
Cl OMe COOEt
NaO
COOEt
O
Cl SMe
SMe
COOMe
Lo stesso tipo di reazione realizzata in presenza di BF3 (acido duro, AD) e ioduro di
litio (base molle, BM) decorre attraverso una doppia interazione duro-duro, molle-
molle.
BD AD
O BF3 O BF3 O
Br (-IBr)
_
AM I
BM
104
3.5.3 Sostituzioni-eliminazioni
Un esempio interessante di queste reazioni è offerto dal comportamento dell’1,2-
dicloroetano nei confronti di diverse specie basiche (nucleofile). Qualora la reazione
venga condotta con tiofenato sodico si ha una doppia reazione di sostituzione
nucleofila al carbonio saturo determinata dall’interazione tra una base molle (il
tiofenato) ed un acido molle (l’alogenuro alchilico). Utilizzando come base un
alcossido viene invece seguito il solo processo di eliminazione con formazione del
cloroetilene. Quest’ultimo comportamento è razionalizzabile invocando l’interazione
tra la base dura alcossido ed il protone metilenico, che è un acido duro.
PhS SPh
PhS
Cl
Cl
RO
Cl
BH3 δ+
BH3 H BH2
R
R R δ−
BH2 B
R R 3
105
PhS CHO
SPh
CHO
OTs O
CN O
CN
OTs
CN
dove ρ(r) e ν(r) sono rispettivamente la densità elettronica ed il potenziale esterno del
sistema, mentre con N si indica il numero totale di elettroni. Nell’approssimazione
alle differenze finite il potenziale chimico si esprime tramite il quoziente
PI + AE
µ=
2
dove con PI ed AE si indicano rispettivamente il potenziale di ionizzazione e
l’affinità elettronica. Da quest’ultima equazione risulta chiaro che il potenziale
chimico assume valori grandi qualora da una molecola sia difficile rimuovere un
elettrone (PI alto) e sia facile aggiungere un elettrone (AE alta).
La definizione quantitativa della durezza η si esprime come derivata parziale del
potenziale chimico rispetto al numero di elettroni, che fisicamente rappresenta la
variazione energetica del potenziale chimico al variare del numero degli elettroni per
una geometria fissa.
106
1 ⎡ ∂µ ⎤ ⎡ ∂2E ⎤
η= ⎢ ⎥ =⎢ 2⎥
2 ⎣ ∂N ⎦ν ( r ) ⎣ ∂N ⎦ν ( r )
107
Una delle applicazioni più rilevanti del principio HSAB nell’ambito della teoria DFT
è dato dalla razionalizzazione quantitativa della regioselettività di reazioni di
cicloaddizione. Questo obiettivo si ottiene correlando i valori delle mollezze
condensate degli atomi interessati alla formazione dei nuovi legami σ. Nel caso delle
cicloaddizioni 1,3-dipolari, ad esempio, si combinano i descrittori s¯ della generica
specie 1,3-dipolare X-Y-Z e quelli s+ della generica specie dipolarofila 1-2 secondo il
seguente Schema. Il valore più alto di mollezza condensata s¯ della specie
1,3-dipolare, che indica il sito più nucleofilo della molecola, si combina con il valore
più alto di mollezza condensata s+ del dipolarofilo che in questo caso funge da
elettrofilo.
_ _ _ _
s s s s
0.3 0.6 0.3 0.6
X Y Z X Y Z
1 2 2 1
0.2 0.4 0.4 0.2
s+ s+ s+ s+
Interazione favorita Interazione sfavorita
s+ s+
1.18 0.89
N N NMe
N
_ _ _ _ _ _ _ _ N R
s s s s s s s s N
1.19 0.21 1.15 0.57 1.06 0.14 1.17 0.44
Me
OH Me Cl F
108
_ _
s s
0.93 0.96
N N NMe CN
N
N
s+ s+ N
0.91 0.35
Me
CN
COOMe
N N
N3
COOMe N N COOMe
N N
∆
+ +
CCl4
R
R R
__________________________________________________________________________________________________________
H 75 (74) 25 (26)
Me 73 (69) 27 (31)
MeO 68 (69) 32 (31)
F 70 (31) 30 (31)
Cl 68 (70) 32 (30)
NO2 55 (54) 45 (46)
__________________________________________________________________________________________________________
109
3.7 Problemi
1. Costruire i diagrammi degli orbitali di frontiera e prevedere quanti e quali
prodotti si ottengono per riscaldamento dei seguenti dieni.
PhSO2
MeO
Ph N N COOMe + OH
OPh
Ph N O +
Ph N N Ph + Ph N Ph
+ Ph Br
Ph N O
Ph
Mo(CO)3 Cr(CO)3 Ag BH2 O BH3
Me
S
Me
Ph NHMe + Cl I
110
3.8 Bibliografia
Il testo classico più consultato dai chimici organici per lo studio dei fondamenti e
delle applicazioni della teoria dell’orbitale di frontiera è il seguente.
1. I. Fleming Frontier Orbitals and Organic Chemical Reactions John Wiley &
Sons, Chichester, 1976.
Altri libri molto interessanti, sebbene più orientati all’esposizione del soggetto dal
punto di vista chimico-fisico (ma comunque non eccessivamente matematizzato),
sono:
2. K. Fukui Theory of Orientation and Stereoselection Springer-Verlag, West
Berlin 1973.
3. A. Streitwieser Molecular Orbital Theory for Organic Chemists, McGraw-Hill,
New York, 1961.
Una classica rassegna sul principio HSAB e soprattutto sulle sue applicazioni in
chimica organica è la seguente.
4. T.-L. Ho Hard Soft Acids Bases (HSAB) Principle and Organic Chemistry
Chemical Reviews, Washington, 1975, 75, 1-20.
111
4
CORRELAZIONI LINEARI DI ENERGIA
LIBERA
____________________________________________________________________
4.1 Introduzione
Fin dal primo corso di chimica organica si acquisisce familiarità con i concetti di
atomi o gruppi elettronattrattori ed elettron repulsori che, come si è illustrato nel
capitolo precedente, sono in grado di produrre una perturbazione nella struttura
molecolare. Questi effetti sono riconducibili a tre tipologie di fenomeni:
- effetti induttivi (I) esercitati dal sostituente in virtù della sua elettronegatività, che si
trasmettono attraverso i legami σ della struttura molecolare;
- effetti di campo (F) che si manifestano in particolarmodo in presenza di sostituenti
carichi. Il campo elettrico prodotto dal sostituente si trasmette nello spazio senza
che vi sia connessione diretta attraverso legami chimici;
- effetti di risonanza o mesomerici (M) esercitati dall’atomo o dal sostituente
attraverso sistemi coniugati, solitamente legami π.
Questi tre effetti trovano vastissime applicazioni in tutti i campi della chimica
organica e sono di sicuro orientamento nella razionalizzazione di un gran numero di
fatti sperimentali.
I chimici organici sono abituati a considerare la reattività relativa di molte serie di
composti in riferimento ad una particolare reazione. A titolo d’esempio si consideri la
reazione di spostamento nucleofilo dell’anione bromuro, promosso dallo ione
etossido, su una serie di bromoalcani. La reattività decresce nell’ordine
112
Br > Br > Br > Br
il che è giustificabile in base a fattori sia elettronici che sterici. E’ chiaro che gli
effetti I ed F rendono conto di questo andamento della reattività solo in modo
qualitativo. In questo capitolo ci si propone di descrivere le relazioni che connettono
la struttura e la reattività da un punto di vista quantitativo.
k
R COOMe + Me3N R COO + NMe4
K
R COOH + H2O R COO + H3O
si trova sperimentalmente che esiste una relazione lineare tra le costanti cinetiche k
inerenti all’idrolisi dei metilesteri R-COOMe e le costanti di equilibrio K relative alla
dissociazione dei corrispondenti acidi R-COOH.
-logkRCOOMe
-logKRCOOH
Figura 4.1. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di metilesteri e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
113
Poiché sia la costante di equilibrio K che la costante cinetica k sono legate alle
rispettive variazioni di energia libera secondo le relazioni
∆G ≠ k T
log k = − + log B
RT h
∆G 0
log K = −
RT
segue che la relazione lineare tra –log k e –log K implica l’esistenza di una relazione
lineare tra l’energia libera di attivazione per l’idrolisi degli esteri ∆G≠ e l’energia
libera standard ∆G0 per la ionizzazione dei corrispondenti acidi RCOOH. A seguito
di quest’ultima dipendenza lineare, i diagrammi del tipo riportato nella Figura 4.1
sono detti correlazioni lineari di energia libera. Poiché sono messe in relazione una
grandezza cinetica ed una termodinamica, gli stessi diagrammi e le relazioni che ne
scaturiscono sono anche denominati relazioni (o correlazioni) extratermodinamiche.
Esistono numerose correlazioni di energia libera del tipo di quella appena descritta.
Ad esempio sussiste un’eccellente relazione lineare tra l’idrolisi basica di benzoati
etilici e la dissociazione dei corrispondenti acidi benzoici, purché ci si limiti a
considerare solo substrati meta- o para- sostituiti.
-logkArCOOEt
p-NO2
m-Br m-NO2
p-Br m-Cl
p-Cl
H m-MeO
p-Me
p-MeO
-logKArCOOH
Figura 4.2. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di etil benzoati e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
114
-logkArCOOEt p-NO2
o-NO2
H o-Cl
p-Me
-logKArCOOH
Figura 4.3. Correlazione tra –log k per l’idrolisi di benzoati etilici e –log K per la dissociazione
degli acidi corrispondenti.
In questi due casi emerge la limitazione più evidente delle correlazioni di energia
libera di composti aromatici: non sussiste una relazione lineare riguardante i composti
orto-sostituiti. Il motivo di questo comportamento è legato all’ingombro sterico negli
intermedi carichi che si generano nello stadio lento della reazione. Questo ingombro
sterico è invece assente nel caso di composti meta- e para-sostituiti. Sempre per
motivi legati all’ingombro sterico non sussistono relazioni lineari tra l’idrolisi di
etilesteri alifatici e le costanti di dissociazione degli acidi corrispondenti. Anche in
questo caso è ragionevole prevedere l’insorgere di una forte repulsione a livello di
intermedio di reazione, come esemplificato dal seguente Schema e testimoniato dal
diagramma in Figura 4.4.
OH OH OH
R R
OH OH OH
O OEt O OEt O OEt
R R
115
-logkRCOOEt MeCH(OH) p-NO2-C6H4
Me
Ph
p-Me-C6H4
-logKRCOOH
Figura 4.4. Correlazione tra –log k per l’idrolisi esteri etilici e –log K per la dissociazione degli
acidi corrispondenti.
Dal punto di vista quantitativo, laddove sussista una relazione lineare tra –log k e
–log K l’espressione generale della retta che interpola i risultati sperimentali si ricava
nel modo seguente. In presenza di un generico sostituente X vale la relazione
log kX = ρlog KX + c
per i composti non sostituiti (X = H) si ha
log kH = ρlog KH + c
nella quale con σX si indica la costante del sostituente mentre con ρ si designa la
costante di reazione.
116
disponibilità delle costanti di dissociazione K per un gran numero di acidi benzoici
meta- e para-sostituiti. Poiché la costante del sostituente si può scrivere nella forma
σX = pKa(H) – pKa(X)
è evidente che il suo valore numerico è costante per un certo sostituente X
indipendentemente dal tipo di reazione in cui è coinvolto il generico derivato
benzenico meta- o para-sostituito. In pratica quindi si utilizzano i valori noti delle
costanti di dissociazione degli opportuni acidi benzoici in acqua a 25°C per ricavare i
corrispondenti valori di σX, ponendo per convenzione σH = 0. Nella Tabella 4.1 sono
riportati i valori di σ per i sostituenti più comuni.
Tabella 4.1. Valori delle costanti del sostituente σ.
_______________________________________________________________
L’esame della Tabella 4.1 mostra che i valori di σX possono essere sia negativi che
positivi a secondo che il sostituente sia rispettivamente elettron repulsore od
elettronattrattore. Si può dunque stabilire una connessione tra la costante del
sostituente e l’effetto induttivo conformemente alle caratteristiche elettroniche del
sostituente.
Nel caso di sostituenti collocati nella posizione meta gli effetti I ed F agiscono
concordemente; si può quindi affermare che i valori σm costituiscono una misura
dell’effetto polare complessivo (induttivo e di campo) esercitato dal sostituente X sul
centro di reazione. Un esempio in questo senso è offerto dalle reazioni di idrolisi
basica di etil benzoati meta-sostituiti. L’idrolisi del substrato nitro-sostituito risulta
63.5 volte più veloce di quella del benzoato di etile. Questo comportamento si
interpreta agevolmente sulla base del fatto che il gruppo nitro, fortemente
elettronattrattore, è in grado esercitare il suo effetto induttivo -I disperdendo
efficacemente l’incipiente carica negativa che si sviluppa in posizione benzilica nello
stato di transizione. Al contrario l’idrolisi basica del meta-metilbenzoato di etile
decorre più lentamente rispetto a quella del benzoato di etile.
117
Anche questo comportamento è coerente con le caratteristiche elettroniche del
sostituente metilico che, esercitando un effetto +I, destabilizza l’incipiente carica
negativa in posizione benzilica nello stato di transizione.
δ− OH
COOEt OH
O OEt
_
δ− δ−OEt
O
OH km,NO2
= 63.5
NO2
kH
NO2
NO2 σm,NO2 = +0.71
δ− OH
COOEt OH
O OEt
_
δ− δ−OEt
O
OH km,Me
= 0.66
Me
kH
Me
Me σm,Me = -0.07
Da queste considerazioni emerge che i valori numerici delle costanti del sostituente
σm esprimono quantitativamente l’entità dell’effetto induttivo esercitato dallo stesso
sostituente. In altri termini il valore σm,NO2 = +0.71 dà la misura di quanto il gruppo
nitro è elettronattrattore rispetto al metile per il quale σm,Me = -0.07.
Per quanto concerne i sostituenti in posizione para-, la Tabella 4.1 mostra che i valori
di σp non solo variano a secondo del sostituente e differiscono dai σm, ma per un dato
sostituente σm e σp possono avere segno diverso. E’ questo il caso del gruppo
metossile, per il quale σm,MeO = +0.12 proprio di un gruppo debolmente
elettronattrattore e σp,MeO = -0.27 tipico di un gruppo elettron repulsore. Questa
apparente contraddizione è facilmente spiegabile considerando che l’ossigeno del
metossile è più elettronegativo del carbonio ed esercita quindi un effetto -I quando si
trova in posizione meta. Il metossile si comporta allora come un sostituente
elettronattrattore (σ > 0). Qualora lo stesso sostituente si trovi in posizione para-,
esso esercita un effetto +M che prevale su quello induttivo -I ed il gruppo metossile si
comporta da sostituente elettron repulsore (σ < 0). Appare chiaro che le costanti del
sostituente σp tengono conto sia degli effetti polari, induttivi e di campo, che degli
effetti mesomerici. Analogamente a quanto detto a proposito delle costanti del
sostituente σm, i valori numerici di σp esprimono in modo quantitativo l’entità degli
effetti induttivi e mesomerici esercitati dallo stesso sostituente.
La velocità d’idrolisi basica dei benzoati d’etile metossi-sostituiti è perfettamente
coerente con questo tipo di analisi. L’estere meta-metossi sostituito reagisce più
velocemente rispetto al benzoato di etile mentre il para-metossibenzoato di etile si
idrolizza più lentamente del substrato non sostituito.
118
δ− OH
COOEt OH
O OEt
_
δ− δ−OEt
O
OH km,MeO > kH
OMe
OMe σm,MeO = +0.12
OMe
δ− OH
COOEt OH
O OEt
_
δ− δ−OEt
O
OH kp,MeO < kH
OMe
OMe
σp,MeO = -0.27
OMe
log(kX/kH) ρ3
ρ2
ρ1
σX
Figura 4.5. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni
caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione positive ρ1, ρ2, ρ3.
119
La costante di reazione ρ costituisce la misura quantitativa della suscettibilità di una
reazione indotta della presenza del sostituente X. Il diagramma mostrato nella Figura
4.5 si riferisce a tre processi caratterizzati da valori positivi della costante di reazione
ρ. La velocità di reazione aumenta all’aumentare del valore σX; le reazioni
caratterizzate da valori positivi di ρ sono tanto più veloci quanto più
elettronattrattore è il sostituente X.
L’andamento opposto si verifica per reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ,
come mostrato nella Figura 4.6: le reazioni caratterizzate da valori negativi di ρ sono
rallentate dalla presenza di sostituenti elettronattrattori.
_
0
log(kX/kH)
ρ1
ρ2
ρ3
σX
Figura 4.6. Rappresentazione grafica dell’equazione di Hammett per tre diverse reazioni
caratterizzate dalle rispettive costanti di reazione negative ρ1, ρ2, ρ3.
Nella Tabella 4.2 sono riportati esempi di reazioni che obbediscono all’equazione di
Hammett.
Reazione ρ
_________________________________________________________________________________________
120
Come reazione standard si sceglie la ionizzazione degli acidi benzoici in acqua a
25°C per analogia con la definizione di σX. Per questo processo la costante di velocità
si assume ρ = 1.00. Il valore di ρ per una data reazione realizzata in condizioni
specificate è indipendente dalla posizione (meta o para) del sostituente sull’anello
benzenico. Inoltre, per una data reazione la presenza di un sostituente ne influenza la
velocità a secondo dello sviluppo o della dispersione di carica che si verifica nello
stato di transizione. Questa constatazione, di per sé ragionevole, permette di mettere
in relazione la costante di reazione ρ con la variazione della carica tra stato di
transizione e reagenti. Valori positivi di ρ implicano il passaggio attraverso uno stato
di transizione con densità elettronica superiore a quella dei reagenti; la velocità della
reazione aumenta quindi in presenza di gruppi elettronattrattori. Valori negativi di ρ
denotano invece uno stato di transizione con densità elettronica inferiore a quella dei
reagenti sicché la reazione è accelerata da gruppi a rilascio elettronico. La costante di
reazione rappresenta dunque una misura della variazione di carica dello stato di
transizione rispetto ai reagenti. Valori grandi di ρ sottintendono una spiccata
variazione di carica mentre valori di ρ inferiori indicano una situazione elettronica
dello stato di transizione simile a quella dei reagenti. Facendo riferimento ad un
anello benzenico sostituito, che è il tipico sistema che obbedisce all’equazione di
Hammett, le cariche dei reagenti e del corrispondente stato di transizione sono in
relazione con ρ come è mostrato in modo riassuntivo nel seguente specchietto.
ρ
6- la carica negativa si sviluppa direttamente sull'anello benzenico
5- o può delocalizzare direttamente
4-
la carica negativa si sviluppa in posizione adiacente o coniugata
3- all'anello benzenico
2-
1-
1) l'anello benzenico è troppo distante dal centro di reazione
0- 2) non ci sono variazioni di carica significative tra reagenti e stato di transizione
-1 -
3) due ρ simili e di segno opposto tendono ad annullarsi
-2 -
la carica positiva si sviluppa in posizione adiacente o coniugata
-3 -
all'anello benzenico
-4 -
121
Per illustrare compiutamente il significato della costante di reazione è opportuno
ricorrere ai seguenti esempi.
4.2.2.1 Equilibri con ρ > 0. Come si è detto, la costante di reazione è per definizione
posta uguale all’unità per la dissociazione degli acidi benzoici in acqua. Questo
valore di ρ è compatibile con lo sviluppo di una parziale carica negativa sull’ossigeno
carbossilico nello stato di transizione. Le costanti di reazione per la dissociazione di
acidi omologhi devono avere valori inferiori all’unità, benché positivi, per via della
maggiore distanza tra l’incipiente carica negativa ed il sostituente X. Si giustificano
quindi il valore ρ = 0.5 per la dissociazione degli acidi arilacetici ed il valore ancora
inferiore (ρ = 0.2) per la dissociazione degli acidi 3-arilpropionici. Se esiste la
possibilità che intervenga coniugazione il valore di ρ aumenta a parità di distanza
carica-sostituente; è questo il caso degli acidi cinnamici sostituiti.
COOH COO
+ H+ ρ = 1.00
X X
COOH COOH
COOH
X X X
ρ = 0.5 ρ = 0.2 ρ = 0.5
OH NH3
X X
ρ = 2.3 ρ = 3.2
4.2.2.2 Reazioni con ρ > 0. L’idrolisi alcalina dei benzoati etilici mostra ρ = 2.6 come
conseguenza della parziale carica negativa all’ossigeno che si sviluppa nello stato di
transizione (vedi pag. 118). Per reazioni che decorrono in più stadi la costante di
reazione ρ è determinata dal passaggio cineticamente determinante, ovvero dal
passaggio lento dell’intero processo. Alcuni esempi significativi comprendono la
reazione di Wittig, le sostituzioni nucleofile aromatiche e le sostituzioni viniliche.
122
CHO X X
COOEt EtOOC EtOOC
lento veloce
Ar3P + Ar3P
ρ = 2.7 Ar3P
O
O
X
X
veloce + Ar3P=O
EtOOC
Br
Br N N
lento veloce
+ HN _
O
NO2 ρ = 4.9 N - Br NO2
X X X
O
Ot-Bu t-BuO
Ar lento Ar veloce Ar
Br + Ot-Bu Br _
Ar ρ = 9.0 Ar
- Br
Ar
H
NO2 NO2
+ lento veloce
+ NO2
ρ = -6.4 -H
+
X X X
Cl lento veloce OH
_ +
- Cl H2O + H
X ρ = -4.5 X X
Si hanno costanti di reazione di segno negativo anche nel caso di reazioni che
comportano la dispersione di una carica negativa nello stato di transizione. Ne è un
esempio l’alchilazione dei fenoli, che risulta accelerata da sostituenti a rilascio
elettronico.
123
Me
O O I OEt
lento H H veloce
+ EtI _
ρ = -1.0 -I
X X X
4.2.2.4 Reazioni con ρ ≈ 0. Le costanti di reazione sono piccole, sia positive che
negative, quando la formazione o la dispersione della carica avviene in una posizione
distante o non coniugata all’anello benzenico sostituito. A titolo di esempio si
consideri la reazione d’idrolisi basica di acidi arilalifatici non coniugati. Un’altra
ragione che comporta valori di ρ piccoli è l’assenza di variazioni di carica
significative tra i reagenti e lo stato di transizione. Le reazioni di Diels-Alder, che
decorrono generalmente sotto il controllo dell’HOMO del diene, avvengono su
reagenti neutri attraverso uno stato di transizione privo di cariche.
COOEt _ COOH
HO
+ H2O + EtOH ρ = +0.5
X X
Ar Ar
O H O
+ O O ρ = -0.6
O H O
Il terzo motivo che implica la comparsa di ρ piccoli è operante nel caso di quelle
reazioni a stadi nelle quali due singoli stadi sono caratterizzati da valori di ρ di segno
opposto. Ciò conduce alla parziale cancellazione delle costanti di reazione. L’idrolisi
acida di benzoati etilici decorre attraverso un meccanismo a cinque stadi nel quale il
primo ed il secondo, più lenti, sono caratterizzati da ρ con segno opposto. Ne risulta
che la costante di reazione per l’intero processo vale solo +0.03.
O OH HO OH
+ +
OEt H OEt H2O OEt H
+
ρ<0 -H
X X lento X
ρ>0
HO OH OH O
O Et OH OH
+
H - EtOH -H
X X X ρtot = +0.03
124
4.2.3 Coniugazione diretta
Si è finora tacitamente assunto che le costanti del sostituente σ siano valide
indipendentemente dalla posizione del centro su cui avviene la reazione rispetto
all’anello benzenico. In realtà la discussione svolta fino a questo punto si è limitata a
sistemi nei quali il centro reattivo, pur essendo legato all’anello benzenico, non è in
grado di mettere in pratica una coniugazione diretta. Ad esempio nell’idrolisi basica
dei benzoati alchilici la carica negativa che si sviluppa a livello dell’intermedio di
reazione non può coniugare direttamente con l’anello aromatico.
OH
O OR
Una situazione assai differente si prospetta nel caso della dissociazione di fenoli
para-sostituiti, nei quali la carica negativa dell’ossigeno fenolico può entrare in
coniugazione diretta con l’anello benzenico.
O O
Z Z
+
a Z COOH + H2O Z COO + H3O
+
b Z OH + H2O Z O + H3O
125
log(KX/KH)a p-NO2
p-CN
p-Br
p-Cl
H p-F
p-Me
log(KX/KH)b
Per ricondursi alla situazione di linearità si definisce una nuova costante del
sostituente σp¯ valida per reazioni che prevedono intermedi in grado di esercitare
coniugazione diretta. Il procedimento operativo che porta alla determinazione di
queste nuove costanti del sostituente si esegue in modo semplice. Basta diagrammare
log(kX/kH) in funzione di σ per fenoli meta-sostituiti, che non sono in grado di
produrre coniugazione diretta. Dalla pendenza della retta che interpola i dati
sperimentali si ricava la costante di reazione ρ valida per la dissociazione di fenoli
meta-sostituiti. Ricordando che il valore di ρ è indipendente dalla posizione (meta o
para) del sostituente sull’anello benzenico (cfr. pag. 119), il passaggio successivo
comporta l’utilizzo di questa ρ nell’equazione di Hammett riguardante la
dissociazione di fenoli para-sostituiti. Si ottengono così le nuove costanti del
sostituente σp¯ valide per sostituenti elettronattrattori. Nella seguente Tabella, a titolo
di confronto, si affiancano i valori di σ già riportati nella Tabella 4.1.
Sostituente σp¯ σp
_________________________________________________________________
126
Cl OH
H2O
-H+
X X X X
p-MeO
log(kX/kH)
p-Me
p-CN
p-NO2
σ
Figura 4.8. Correlazione tra log(kX/kH) in funzione di σ per la solvolisi di 2-aril-2-cloropropani.
Procedendo in modo analogo a quanto fatto nel caso dei fenoli para-sostituiti si
definiscono le costanti del sostituente σp+, che sono valide per gruppi elettron
repulsori.
Sostituente σp+ σp
_________________________________________________________________
Si hanno dunque due serie di costanti del sostituente; i valori σp utilizzabili sia per
sostituenti elettronattrattori che elettron repulsori ed i valori σp- e σp+ validi
127
rispettivamente per sostituenti elettronattrattori ed elettron repulsori. L’utilizzo di una
delle due serie di costanti del sostituente è determinata dalla collocazione del centro
reattivo rispetto all’anello benzenico e, quindi, alla possibilità che possa intervenire
coniugazione diretta. I valori tabulati di σp- e σp+ si ottengono dalle reazioni di
riferimento sopra menzionate; non deve quindi sorprendere che per altri processi in
grado di esercitare coniugazione diretta queste nuove costanti del sostituente non
siano sempre del tutto valide. In effetti lo sviluppo della carica nello stadio lento della
reazione può risultare assai variabile a secondo del tipo di centro reattivo coinvolto.
A titolo d’esempio, l’anione tiofenato è in grado di disperdere la carica negativa
sull’atomo di zolfo più efficacemente di quanto accada nel caso dell’ossigeno
fenolico. In definitiva è plausibile che un certo sostituente in posizione para risponda
in modo diverso alla coniugazione diretta a secondo della localizzazione di carica sul
centro reattivo proprio perché quest’ultima può variare a secondo della natura del
centro reattivo.
128
kX kX
log = ρσ + oppure log = ρσ −
kH kH
− Et −
O δ δ
N O Si OH r = 0.50
O Et Et ρ = +3.52
COOH
129
L’equazione di Swain-Lupton ha la forma
kX
log = fF + rR
kH
dove la costante del sostituente è espressa come somma di due termini; uno di campo
(effetto polare o induttivo, F) ed uno di risonanza, R. In questo modo per il
sostituente X si separano, di fatto, il contributo dato dall’effetto induttivo da quello
dovuto all’effetto di risonanza. Le costanti di reazione sono invece f ed r. I termini F
ed R si possono mettere in relazione con le costanti del sostituente σm, σp di Hammett
e σ+, σ¯ di Yukawa-Tsuno attraverso le seguenti relazioni empiriche
σm = 0.60 F + 0.27 R
σp = 0.56 F + 1.00 R
σ+ = 0.51 F + 1.59 R
σ¯ = 0.75 F + 1.52 R
X F R
_________________________________________________________
130
La decomposizione termica dei sali di arildiazonio a dare i corrispondenti cloruri
arilici
_
N N Cl Cl + N2
X X
non rispetta l’equazione di Hammett come si vede dal diagramma di sinistra riportato
nella Figura 4.9. Il trattamento dei dati sperimentali con i parametri dell’equazione di
Swain-Lupton, proposto nel grafico di destra della Figura 4.9, produce invece
un’eccellente correlazione lineare.
0- 0-
log(kX/kH) log(kX/kH)
-4 - -4 -
-0.5 0.5 -4 fF + rR 0
σp
_
AcO /AcOH
kX
OBs OAc
131
logkX p-MeO
p-Me
m-Me
p-Cl
m-Cl
p-CF3
m-CF3 p-NO2
σX
Figura 4.10. Grafico di logkX in funzione di σ per l’acetolisi dei 3-aril-2-butil brosilati.
L’aumento non lineare della velocità di acetolisi si verifica nel caso di sostituenti
elettron repulsori, poiché in questi casi è possibile l’assistenza interna alla
sostituzione nucleofila con formazione dello ione fenonio ciclico come intermedio. E’
evidente che sostituenti elettronattrattori non possono essere in grado di fornire
l’assistenza necessaria per produrre questo attacco nucleofilo interno.
OMe OMe OMe
_ _
-BsO AcO
lento veloce
OBs OAc
132
In presenza del sostituente metossi- in posizione para sull’anello benzenico si ottiene
solo il diastereoisomero treo, il che è indice di completa assistenza interna
(intramolecolare). Se X = NO2 si ha invece la netta predominanza dell’isomero eritro,
ad indicare che la reazione procede solo per attacco nucleofilo esterno da parte dello
ione acetato.
La velocità d’idrolisi di benzoati etilici in acido solforico al 99.9% non è lineare in
funzione di σX, al contrario di quanto avviene per l’analoga idrolisi condotta in
presenza di acidi diluiti. Questo comportamento è evidentemente dovuto ad un
cambio di meccanismo rispetto a quello già discusso ed operante in queste ultime
condizioni. In presenza di sostituenti elettron repulsori sull’anello benzenico la
velocità d’idrolisi diminuisce all’aumentare di σX e si ha ρ = -3.25. Questa situazione
descrive il ramo lineare sinistro della curva riportata nella Figura 4.11, ed è
compatibile con il meccanismo AAc1 nel quale la carica positiva risulta tanto più
stabilizzata quanto più il sostituente è elettron repulsore.
Ar O lento H2O Ar O -H+ Ar O
Ar C O
OEt OH2 OH
logkX
ρ = -3.25
ρ = 2.0
0 0.7 1.4 σX
Figura 4.11. Grafico di logkX in funzione di σx per l’idrolisi di benzoati etilici in H2SO4 al 99.9%.
133
La ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli mostra il seguente diagramma di
logkX in funzione di σX.
logkX
ρ = -2.51
ρ = 2.67
0 σX
Figura 4.12. Grafico di logkX in funzione di σx per la ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli.
H+ -H2O
veloce lento
OH OH2 Ar
Ar a Ar b
Ar Ar Ar
-H+
lento veloce
H
c Ar Ar d Ar Ar
134
punto di vista dell’ingombro sterico. In effetti questi due stati di transizione
differiscono, oltre che per la carica complessiva, per il numero di protoni presenti
nella struttura, laddove lo stato di transizione derivante dal meccanismo acido-
catalizzato ne prevede due in più. Entrambi gli stati di transizione sono tetraedrici e,
poiché i protoni esercitano un ingombro sterico sufficientemente piccolo da poter
essere trascurato, si può ritenere che ogni effetto di natura sterica possa essere
attribuito al solo sostituente R e sia sostanzialmente identico sia nella reazione acido-
catalizzata che in quella base-catalizzata.
O OH
R C OEt R C OEt
OH OH2
E’ quindi possibile scrivere la seguente equazione che rappresenta i soli effetti polari
dovuti al sostituente R nelle reazioni acido-catalizzate (pedice: a) e base-catalizzate
(pedice: b)
⎛k ⎞ ⎛k ⎞
log⎜⎜ R ⎟⎟ − log⎜⎜ R ⎟⎟ = ρ * σ *
⎝ k0 ⎠ b ⎝ k0 ⎠a
Dato che gli effetti sterici dovuti al sostituente R sono gli stessi indipendentemente
dal tipo di idrolisi (acido- o base-catalizzata) i termini sterici dovuti al sostituente si
cancellano reciprocamente e non compaiono in quest’ultima equazione. Il termine ρ*
indica la suscettibilità della reazione rispetto ai soli effetti polari; vale +2.48 ed è
determinato dalla sottrazione delle rispettive costanti di reazione per l’idrolisi base-
catalizzata (ρ = +2.51) ed acido-catalizzata (ρ = + 0.03). Inoltre si conviene di
adottare il gruppo metilico quale sostituente di riferimento, sicché la costante di
velocità k0 si riferisce all’idrolisi dell’acetato d’etile (R = Me). Eseguendo misure
cinetiche su una serie di esteri alifatici con R ≠ Me si possono calcolare le nuove
costanti del sostituente σ* assumendo che, per definizione, σMe* = 0. Questi valori
σR* si utilizzano nell’equazione di Taft che assume la forma
k
log R = ρ * σ *
k Me
valida per un buon numero di reazioni che coinvolgono derivati alifatici, ad esempio
base
R OH R O
_
R Br + Ph S R SPh + Br
NH2
R O R
+ PhCOCl Ph
NH
135
4.5.2 Parametri sterici
L’equazione di Taft esprime solo l’effetto polare esercitato dal sostituente R. Ciò non
significa che non vi siano effetti sterici operanti durante la reazione ma solo che la
variazione di questi effetti tra stati di transizione e reagenti è piccola. Non deve
quindi sorprendere che, come nel caso dell’equazione di Hammett, si possano
verificare deviazioni dalla linearità dovute ad effetti di tipo sterico qualora non sia più
trascurabile il loro diverso apporto a stati di transizione e reagenti. Per tenere conto
convenientemente di questi effetti si introduce il parametro ES la cui definizione si
regge sull’idrolisi acido-catalizzata di esteri. Si è detto (pag. 124) che per la reazione
acido-catalizzata dei benzoati etilici si ha ρ = + 0.03, il che implica l’indipendenza di
questa reazione dagli effetti polari esercitati dal sostituente X.
O OEt
E’ ragionevole ammettere che anche per gli etilesteri alifatici a formula generale
RCOOEt gli effetti polari dovuti al sostituente debbano essere piccoli come nel caso
dei benzoati etilici e possano pertanto essere trascurati. Qualora si verifichino
variazioni nella velocità d’idrolisi acida di esteri è chiaro che tali variazioni possono
essere imputate solo ad effetti di natura sterica. Il parametro ES si definisce attraverso
la seguente relazione, prendendo R = Me quale sostituente di riferimento.
⎛ k ⎞
E S = log⎜⎜ RCOOEt ⎟⎟
⎝ k MeCOOEt ⎠ acida
Tutti i sostituenti più ingombranti del metile rallentano la reazione d’idrolisi acida,
cioè i valori di ES sono tanto più negativi quanto più ingombrante è il sostituente R
(Tabella 4.6).
Sostituente ES Sostituente ES
_________________________________________________________________
136
uletriore parametro, δ, atto a misurare la suscettibilità di una reazione nei confronti
dei soli effetti sterici. Il valore del parametro δ è posto pari all’unità, per definizione,
nel caso dell’idrolisi acido-catalizzata di esteri. L’equazione che tiene conto degli
effetti polari e sterici assume la forma
kR
log = ρ * σ R * +δE S
k Me
4.6 Problemi
1. Per la reazione
HO
O H+
CH2OH
H2O R
R
si hanno i seguenti dati cinetici
k 16.80 20.17 5.60 11.33
σ* 0 -0.10 +0.60 +0.215
R Me Et Ph PhCH2
Verificare graficamente se è seguita una correlazione lineare di logkR/kMe in
funzione di σ*. In caso affermativo specificare: (1) di quale correlazione si
tratta e (2) calcolare il valore di ρ*.
137
4. Si hanno i seguenti valori di Ka per gli acidi benzoici para-sostituiti con un
alogeno:
KH = 1.74 x 10-5; KF = 2.00 x 10-5; KCl = 2.21 x 10-5;
KBr = 2.24 x 10-5; KI = 2.30 x 10-5
Utilizzando la Tabella dei valori di σ stabilire se viene seguita l’equazione di
Hammett.
5. La seguente reazione
+
H
X N Me X NHMe
NO
non obbedisce all’equazione di Hammett in quanto il diagramma di logk in
funzione di σ non è lineare e mostra l’andamento descritto nella seguente
Figura.
logkX
0 0.5 1.0 σX
Spiegare la variazione di meccanismo in funzione delle caratteristiche
elettroniche del sostituente X.
4.7 Bibliografia
Alcune monografie specialistiche che trattano in modo approfondito le correlazioni
lineari di energia libera sono le seguenti.
138
5
I SOLVENTI
____________________________________________________________________
5.1 Introduzione
La realizzazione delle reazioni organiche copre uno spettro amplissimo di condizioni
sperimentali. Si conoscono processi che decorrono in fase gassosa così come in fase
solida oppure per miscelazione diretta di reagenti liquidi. Ma nella stragrande
maggioranza dei casi le trasformazioni utili ed interessanti in chimica organica sono
condotte in soluzione, cioè le specie reagenti interagiscono in presenza di un
solvente. Il solvente è sempre una specie liquida le cui caratteristiche chimiche e
chimico-fisiche sono da tenere in debita considerazione nelle fasi di separazione e
purificazione dei prodotti di reazione, nell’analisi mediante i comuni metodi
spettroscopici e, naturalmente, nell’adeguata predisposizione di una reazione. In
questo capitolo ci si soffermerà essenzialmente su quest’ultimo punto.
Si prenda in considerazione, a titolo d’esempio, la reazione di trasferimento protonico
tra il 2-fenil propionitrile e lo ione metossido. La velocità di questo semplice
processo dipende in modo eclatante dal solvente impiegato; passando dal metanolo al
dimetilsolfossido la costante di velocità aumenta di nove ordini di grandezza.
Ph CN _ Ph CN
+ MeO + MeOH 9
Me Me kDMSO/ kMeOH = 10
139
Di fronte ad effetti tanto importanti sulla velocità di reazione è evidente che la scelta
del solvente rappresenta un fattore determinante nella messa a punto delle condizioni
sperimentali più opportune. Il ricorso al solvente non è tuttavia dettato solo da
esigenze di tipo cinetico. Le reazioni in fase gassosa sono infatti piuttosto rare nella
pratica della chimica organica perché i reagenti utilizzati comunemente hanno una
volatilità troppo bassa per poter vaporizzare in modo efficace. Inoltre in fase gassosa
si possono realizzare solo reazioni tra specie neutre per le quali non si prevede
sviluppo o dispersione di carica nello stato di transizione. Per quanto riguarda le
reazioni in fase solida, la limitazione principale è legata alla grande difficoltà di
diffusione dei reagenti. Lo stesso problema può presentarsi anche nel caso di reazioni
tra specie liquide, che di solito sono caratterizzate da viscosità piuttosto elevate. Il
ricorso ad un mezzo di reazione è quindi una condizione necessaria affinché la
maggior parte delle reazioni organiche possa avere luogo in tempi sufficientemente
brevi. Dal punto di vista pratico la scelta del solvente si compie in base a diversi
criteri. La stabilità chimica e termica nelle condizioni d’impiego e la buona solubilità
dei reagenti sono fattori determinanti ma non vanno trascurate altre importanti
caratteristiche legate alla tossicità, all’infiammabilità e all’eventuale miscibilità con
altri solventi. Sempre per scopi pratici è conveniente classificare i solventi in base
alle loro proprietà acide o basiche secondo Brønsted. I solventi capaci di produrre
autoprotolisi sono detti anfiprotici; l’acqua ne è il prototipo. Solventi di acidità
paragonabile a quella dell’acqua sono detti neutri, mentre sono classificati
protogenici e protofilici i solventi anfiprotici rispettivamente più acidi e più basici
dell’acqua. I solventi che non sono in grado di autoionizzarsi si dicono aprotici e si
distinguono a loro volta in inerti o dipolari aprotici. Questi ultimi solventi possono
essere protofilici se sono più basici dell’acqua, protofobici se lo sono meno. Questi
criteri di classificazione sono riassunti nella Tabella 5.1.
Classificazione Esempi
_________________________________________________________________________________________________________
140
una soluzione di un soluto gassoso lo si gorgoglia nel solvente appropriato, di solito
fino a saturazione. Se la dissoluzione del soluto avviene spontaneamente essa
dev’essere accompagnata dalla diminuzione di energia libera del sistema. Questa
energia libera, detta di solvatazione, si indica con ∆GS ed è una quantità complessa
costituita da quattro processi fisici:
1 creazione di una cavità nel solvente. Questo fenomeno comporta la riduzione
delle forze intermolecolari solvente-solvente ed è un processo endoergonico
caratterizzato quindi da valori positivi di ∆G;
2 separazione delle molecole di soluto. Anche in questo caso si ha diminuzione od
annullamento delle forze intermolecolari soluto-soluto, il che comporta una
variazione positiva dell’energia libera;
3 introduzione di una molecola di soluto nella cavità del solvente. Si creano nuove
forze intermolecolari solvente-soluto, il processo è esoergonico e comporta
valori negativi di ∆G;
4 entropia di mescolamento soluto-solvente. E’ una quantità positiva che è quindi
accompagnata da ∆G < 0.
I processi 1,2 sono in relazione con il calore latente di evaporazione rispettivamente
del solvente e del soluto. Questa dipendenza è intuitiva; a ∆Hev maggiori deve
corrispondere un lavoro superiore per diminuire od annullare le forze di interazione
intermolecolari. E’ altrettanto intuitivo che al fine di giungere al dissolvimento del
soluto la somma delle energie libere positive dei processi 1,2 debbano essere inferiori
alla somma di quelle negative dei processi 3,4. Qualora solvente e soluto siano specie
chimicamente simili i contributi esoergonici hanno il sopravvento e come risultato si
ha una buona solubilità.
Una volta ottenuta la dissoluzione del soluto occorre tenere conto delle forze
intermolecolari tra lo stesso soluto e le molecole di solvente che lo circondano. Si
vengono a creare degli aggregati soluto-solvente e le forze responsabili della
costituzione di questi aggregati danno luogo al fenomeno della solvatazione. E’
plausibile che la solvatazione non riguardi esclusivamente il primo strato delle
molecole di solvente che circondano il soluto. Ciò è vero particolarmente nel caso di
soluti ionici ed è plausibile che l’intorno del soluto carico, detta regione cibotattica e
caratterizzata dalla disposizione relativamente ordinata delle molecole di solvente, si
possa estendere oltre lo strato interno del solvente, cioè quello direttamente a contatto
col soluto. Il volume occupato dalla regione cibotattica è tanto più grande quanto
meno polarizzabile è il solvente dato che la caduta del potenziale elettrico
determinata dal soluto carico è tanto più rapida quanto più efficacemente può essere
dispersa dal solvente. Come risultato dell’esplicarsi delle forze di solvatazione la
densità della regione cibotattica risulta superiore a quella del solvente libero. Ne
consegue il fenomeno di elettrostrizione del soluto, inteso come riduzione del volume
occupato dal soluto rispetto a quello che occuperebbe in assenza di solvente. In altri
termini l’aumento di densità del solvente indotto dalle forze di solvatazione ha come
effetto la compressione del soluto. L’effetto di tutte le forze di attrazione
intermolecolari produce una pressione interna pari ad alcune migliaia di atmosfere
che agisce su tutte le molecole della fase liquida.
141
5.3 Momento dipolare, costante dielettrica e polarità dei solventi
Fino a questo punto la discussione si è svolta su basi puramente descrittive dato che
lo studio dettagliato di tutte le forze intermolecolari che operano simultaneamente in
seno ad una soluzione è molto complesso. Tuttavia ci si può chiedere quali
caratteristiche fisiche deve possedere una specie covalente, qual’è la maggior parte
dei solventi, per portare in soluzione una specie ionica. Queste caratteristiche si
riassumono in un elevato momento dipolare ed un’elevata costante dielettrica.
Il momento dipolare di una molecola è la somma vettoriale di tutti i singoli dipoli
presenti al suo interno. Ogni legame tra elementi a diversa elettronegatività possiede
un momento di dipolo
µ=rq
Me
Cl
S C S Cl
Cl
Cl
Me
Nella seguente Tabella sono riportati i momenti dipolari di alcuni dei solventi
organici più utilizzati.
142
In questa Tabella fa spicco il valore molto contenuto del momento dipolare dell’
1,4-diossano (µ = 0.45 D), che è dovuto alla somma dei momenti dipolari per la
conformazione non polare a sedia, largamente preponderante, e per quella polare a
barca. I momenti dipolari più elevati si hanno per molecole costituite da eteroatomi
ad elettronegatività molto diversa fra loro, come ad esempio il caso dell’HMPT
(µ = 5.55 D).
O O
O
O
O
P
Me2N NMe2
Me2N
La costante dielettrica del mezzo, εm, è espressa dalla legge di Coulomb, che nel
sistema SI si scrive
1 q 1q 2
F= r1,2
4πε 0 r 3
dove q1, q2 sono cariche elettriche puntiformi, r è la distanza lineare tra q1 e q2, r1,2 è
il raggio vettore che collega q1 e q2 ed ε0 è la permettività dielettrica nel vuoto, che
vale 8.85 ּ 10-12 C2N/m2. Nello studio del mezzo solvente la scala delle costanti
dielettriche ε si basa sul rapporto ε = εm/ε0, per cui la costante dielettrica del vuoto
vale 1.00. La costante dielettrica è indice di quanto la forza di interazione tra le
cariche q1 e q2 è minore nel mezzo solvente rispetto al vuoto. In altri termini ε
esprime la capacità del solvente di schermare le cariche elettriche. E’ infatti evidente
che all’aumentare della costante dielettrica la forza di interazione tra le cariche
diminuisce esistendo tra ε ed F una relazione di proporzionalità inversa.
Nella pratica è molto comune esprimere la polarità del solvente attraverso la sua
costante dielettrica; un solvente è ritenuto tanto più polare quanto maggiore è la sua ε.
143
Le scale eluotrope dei solventi, ad esempio, sono solitamente disposte in ordine
crescente di ε. Questo modo di correlare la costante dielettrica alla polarità del
solvente è però sbagliato sia praticamente che concettualmente. Dal punto di vista
pratico infatti è infatti frequente incontrare reazioni la cui velocità non correla in
alcun modo con la costante dielettrica del solvente. Dal punto di vista concettuale la
costante dielettrica è una grandezza la cui definizione vale per cariche puntiformi e
che, come tale, non può essere in grado di rendere conto di tutte le forze inter- ed
intramolecolari operanti simultaneamente all’interno di un solvente determinandone
la polarità.
144
5.4.1.1 Indice di rifrazione, n. Si tratta di un parametro macroscopico definito
nell’ottica fisica dalla legge di Snell
sin α n 2
=
sin β n 1
fε = (ε - 1)/(2ε + 1)
Ph Ph
Ph N O
Ph Ph
145
quantitativo gli spostamenti solvatocromici e la polarità del solvente è necessario
constatare che la betaina di Dimroth nel suo stato fondamentale ha un momento di
dipolo permanente molto più alto che nello stato eccitato. La somministrazione di un
quanto energetico nel visibile alla betaina di Dimroth produce infatti uno stato
eccitato in cui si ha una parziale dispersione della carica rispetto allo stato
fondamentale.
Ph Ph Ph Ph
hν _
Ph N O Ph δ+ N δ O
Ph Ph Ph Ph
hν2
hν1
S1 S2
Figura 5.1. Livelli energetici della betaina di Dimroth in due solventi,
con il solvente S1 più polare di S2.
146
Tabella 5.4. Valori del parametro di Dimroth, ET (Kcal/mole).
_____________________________________________________________________________________________________
solvente ET solvente ET
_____________________________________________________________________________________________________
COOEt COOEt
_ hν
I I
N N
Me Me
Z = hν = hc/λmax
sia maggiore in solventi polari. Come nel caso del parametro ET anche il parametro Z
di Kosover è espresso in Kcal/mole ed il suo valore aumenta all’aumentare della
polarità del solvente. Fra Z ed ET intercorre la relazione empirica
Z = 1.41 E + 6.92
147
SN 1 _ SOH
Me3C Cl Me3C Cl Me3C OS + HCl SOH = solvente
lento veloce
coppia ionica
kA
log = mYA equazione 5.2
k0
148
dove kA, k0 sono le costanti di velocità relative alla solvolisi di un qualsiasi alogenuro
alchilico, rispettivamente nel solvente A ed in quello di riferimento. La relazione
lineare 5.2 è nota come equazione di Grunwald-Wienstein; in essa compaiono il
parametro del solvente YA che è indice del potere ionizzante del solvente ed il
parametro m relativo all’alogenuro alchilico considerato. Si conviene di assegnare il
valore m = 1 all’alogenuro alchilico di riferimento, cioè il t-butilcloruro. In questo
modo il valore di m può essere inteso come misura della sensibilità della reazione di
solvolisi di un particolare alogenuro alchilico nei confronti del potere ionizzante YA
del solvente.
Non è quindi sorprendente che il valore di m per la solvolisi dell’1-bromo-1-fenil
etano, che decorre attraverso il carbocatione benzilico relativamente stabile, sia più
grande di quello della reazione di riferimento riguardante il t-butilcloruro (Tabella
5.6).
Me Me
_ SOH
Br + HBr
Ph Br Ph Me Ph OS
k +
_
A B A B prodotti
lento
149
5.4.3 Indici di solvatazione
Il processo di solvatazione prevede come primo stadio la creazione di una cavità
all’interno della massa di solvente. Come si è detto (pag. 141), l’energia necessaria
per formare queste cavità è in relazione con l’entalpia di evaporazione del solvente
∆Hev. Per ottenere una misura quantitativa di questa energia si definisce l’energia di
coesione per unità di volume, o densità dell’energia di coesione CED (cohesive
energy density) attraverso la relazione
∆H ev − RT
CED =
M/ρ
dove M è la massa molare del solvente e ρ è la sua densità. Dal punto di vista
dimensionale CED è un’energia per unità di volume e di solito è espressa in cal/cm3.
Fisicamente, valori alti di CED significano che bisogna fornire molta energia al
solvente per annullare le forze di attrazione intermolecolari che vi operano e crearvi
una cavità. E’ intuitivo che ai solventi polari spettino valori di CED piuttosto elevati,
come si può vedere dai dati raccolti nella Tabella 5.7.
Non dovrebbe sorprendere che siano state ottenute relativamente poche correlazioni
lineari fra CED ed il potere solvatante del mezzo di reazione o, se si preferisce, tra
CED e la costante di velocità di una data reazione al variare del solvente. Il motivo
resiede nella limitazione del modello fisico che prende in considerazione solo il
primo dei quattro processi che nel loro complesso costituiscono il fenomeno della
solvatazione (cfr. pag. 141). Risultati migliori si ottengono correlando le costanti
cinetiche di alcune reazioni al variare del solvente con il parametro di solubilità del
solvente δ definito dalla semplice relazione
δ = CED
Anche in questo caso occorre tenere presenti le stesse limitazioni del modello fisico
già descritte a proposito del CED.
150
log k
1.4
CH2Cl2
CS2
CCl4 benzene
1.0
AcOEt
0.6
esano
8 10 12
δ
Figura 5.2. Correlazione tra log k e δ per una reazione di Diels/Alder.
152
dello spostamento chimico al fosforo-31 del complesso Et3P=O-SbCl5 al variare del
solvente. Per convenzione si pone AN = 100 per il complesso sciolto in 1,2-
dicloroetano ed AN = 0 per lo stesso complesso in n-esano. I solventi non polari e
non donatori hanno i valori più bassi di AN mentre ai solventi protici spettano i valori
più alti.
_
HA + SOH A + SOH2
_
A + SOH HA + SO
Le diverse caratteristiche acide o basiche del solvente possono dunque provocare uno
spostamento dell’equilibrio variando, di fatto, l’acidità della specie HA. In generale
l’acidità della specie HA è tanto più pronunciata quanto più è basico il solvente. A
titolo d’esempio si prenda in considerazione l’acidità degli acidi carbossilici che è
fino a 106 volte superiore in acqua che in etanolo, dato che l’acqua è una base più
forte dell’etanolo. Per rendere conto della diminuzione di pKa della specie acida
all’aumentare della basicità del mezzo occorre tenere presente un secondo fattore
importante connesso alla polarità del solvente. Infatti un solvente polare è in grado di
solvatare in modo efficace le specie ioniche prodotte all’equilibrio. Tornando al caso
della ionizzazione degli acidi carbossilici in acqua ed in etanolo, l’acqua è solo 15
volte più basica dell’etanolo, il che non giustifica l’aumento di acidità pari a sei
ordini di grandezza. Questo aumento è razionalizzabile in base all’elevata costante
dielettrica dell’acqua (ε = 78.3) rispetto a quella dell’etanolo (ε = 24.6); è infatti ben
noto che l’acqua è in grado di solvatare molto efficacemente le specie ioniche. Nella
Tabella 5.11 sono riportati i valori di pKa di alcune specie acide al variare del
solvente.
153
Tabella 5.11. Valori di pKa di acidi organici in diversi solventi.
_______________________________________________________________________________
acido pKa
_________________________________________________
+ H2O + H2O
+ acqua 1.00
aq. EtOH (50% acqua) 1.60
X X EtOH 1.96
Gli equilibri tautomerici sono influenzati dalle caratteristiche del solvente in ragione
della sua polarità. Nel caso di composti 1,3-dicarbonilici la possibilità di formare un
enolo stabilizzato dal legame ad idrogeno intramolecolare aumenta in solventi poco
polari dato che la forma 1,3-dicarbonilica è più polare dell’enolo.
H
O R1 O O
R O R R1
154
Al contrario sistemi 1,3-dicarbonilici il cui enolo non può prevedere la formazione di
un legame ad idrogeno intramolecolare vedono quale forma preferita in solventi
polari proprio quella enolica. Ciò è vero nel caso di sistemi ciclici quali i cicloalcan-
3,5-dioni la cui forma dicarbonilica è meno polare di quella enolica.
O O HO O
Altri equilibri tautomerici fortemente influenzati dal solvente sono quelli che
coinvolgono composti ad anello eterociclico funzionalizzato. Nel caso della 2- o
4-idrossi piridina l’equilibrio è spostato verso la forma idrossi- in fase gassosa mentre
in solventi polari predomina il tautomero chetonico.
HO N O N
H
Anche la posizione di altri tipi di equilibrio, noti col termine di equilibri di valenza,
subiscono l’influenza del solvente. Ad esempio il 4,4-difenil-3-butenillitio è in
equilibrio con la corrispondente forma ciclopropanica. Quest’ultima specie a cariche
separate è stabile in THF mentre il composto di alchenillitio è stabile in dietiletere. La
ragione che giustifica questo comportamento è dovuta al fatto che il THF è una base
di Lewis migliore del dietiletere (vedi i numeri AN nella Tabella 5.10) e può quindi
solvatare più efficacemente la forma ciclopropilica fortemente polare più di quanto
non possa fare il dietiletere.
Ph
Ph
Li Li+
Ph Ph
155
5.6 Effetti del solvente sul meccanismo di reazione
La capacità del solvente di influenzare il decorso meccanicistico delle reazioni
organiche può avere luogo in due modi distinti:
1 attraverso effetti statici o di equilibrio, cioè intervenendo sull’energia libera dello
stato di transizione;
2 attraverso effetti dinamici legati alla capacità di riorganizzazione delle molecole di
solvente.
Nel caso 1 giocano un ruolo determinante il differente grado di solvatazione dei
reagenti e dello stato di transizione. E’ plausibile che le reazioni nelle quali lo stato di
transizione è più polare dei reagenti esso risulti meglio solvatato, e quindi
stabilizzato, da solventi polari. Per quanto riguarda il punto 2, la velocità di reazione
può dipendere dalle proprietà macroscopiche del solvente quali densità, viscosità o
pressione interna. Ciò accade nel caso di mezzi fortemente polari che rilassano
lentamente e per i quali è lento il processo di riorientazione delle molecole di
solvente.
E’ altresì evidente che l’aumento di polarità del solvente debba provocare una forte
diminuzione di velocità nelle reazioni in cui la densità di carica dello stato di
transizione è inferiore a quella dei reagenti. Questa situazione è però assai poco
comune nelle reazioni SN 1. L’andamento cinetico delle reazioni SN 2 in funzione
dell’aumento di polarità del solvente è riassunto nel seguente specchietto.
_________________________________________________________________________________________________________
156
_ NR3 δ− δ+ HO
HO + HO NR3 + R3N
k(H2O)/k(EtOH) = 0.001
_ Br δ− δ− HO _
HO + HO Br + Br
k(H2O)/k(EtOH) = 0.2
_ _
N3 + F NO2 N3 NO2 + F
Br2 + 1-pentene
1,4-diossano AcOH MeOH acqua
k(S)/k(CCl4) 51 4860 1.6 ּ 105 1.1 ּ 1010
157
5.6.2 Reazioni pericicliche
Il meccanismo delle reazioni pericicliche è generalmente concertato e decorre a
partire da reagenti neutri attraverso uno stato di transizione ciclico nel quale non si ha
sviluppo o dispersione di carica.
R R R
Me Me
NC CN
+
Me Me CN
CN
___________________________________________________________________________________
EtOOC EtOOC
COOEt
PhCHN2 + N Ph N Ph
N N
H
158
___________________________________________________________________________________
H
Me Me H
Me OEt NC CN k1 OEt
Me k3 Me OEt
+
k-1 NC NC CN
Me NC CN CN
CN CN CN
CN
k3
k2 = k1 k2(MeCN)/k2(CCl4) = 4900
k-1 + k3
159
MeO CH2
O CMe3
∆ prodotti
MeO
O O CMe3 -CO2
O
MeO CH2
O CMe3
O O O
∆
Me Me 2 Me
O O O
L’effetto del solvente è poi piuttosto sensibile nelle reazioni in cui interviene il
trasferimento elettronico da o verso il radicale, con formazione di un intermedio
carico R+ od R¯ e di un radicalcatione (od un radicalanione).
R• + S → R+ + S•¯
R+ + S → R¯ + S•+
160
solvente protico δ+ δ+
Ar N2 Ar+ prodotti
-N2
Ar N2
solvente aprotico δ+ δ+
Ar N N S Ar + S+ prodotti
-N2
5.7 L’acqua
Può risultare sorprendente che fino a questo punto non si siano prese in
considerazione le caratteristiche dell’acqua quale solvente. Infatti, benché l’acqua
non sia un solvente organico, le sue proprietà ed il suo comportamento nei confronti
di molte reazioni organiche sono del tutto peculiari e meritano di essere trattate in un
paragrafo apposito. Ognuno è a conoscenza delle proprietà fisiche fondamentali
dell’acqua e delle circostanze strutturali che le determinano. I punti di congelamento
e di ebollizione, molto elevati in relazione alla massa molecolare, sono una delle
conseguenze dei forti legami ad idrogeno che operano all’interno della massa
acquosa. Gli stessi legami ad idrogeno, unitamente alla presenza di un momento di
dipolo permanente, sono responsabili della struttura dell’acqua che si discosta in
modo netto da quella della maggior parte dei liquidi organici. Se infatti non si può
certo parlare di un motivo strutturale nel caso dei tipici solventi organici, le cui
molecole sono disposte disordinatamente in seno alla massa liquida, l’acqua mostra
alcuni elementi strutturali tipici, benché in rapido equilibrio tra loro. Nel tentativo di
visualizzare la struttura microscopica dell’acqua si può fare riferimento a quella
esagonale del ghiaccio in cui ogni molecola d’acqua compartecipa quattro legami ad
idrogeno con le molecole vicine.
H
H
O
O
H H O H
H
O H
H H
H
O O
H H
Questo aggregato esagonale a bassa entropia e densità dispone di cavità nelle quali i
soluti possono essere inglobati e quindi debitamente solvatati. La struttura dell’acqua
liquida si può immaginare come una sorta di equilibrio tra l’aggregato esagonale
fortemente strutturato e l’acqua libera, che deve possedere un’entropia ed una densità
superiore a quella dell’acqua “strutturata”. Questo equilibrio è influenzato dalla
temperatura, dalla pressione e dall’eventuale presenza di agenti additivi di tipo salino
o covalente. A temperatura e pressione ambiente la diffrazione neutronica ha
mostrato che ogni molecola d’acqua è circondata mediamente da 4.4 altre molecole
nel liquido puro.
Altre proprietà tipiche dei solventi quali la polarità ed il potere solvatante sono
altrettanto singolari nel caso dell’acqua e meritano di essere brevemente discussi. La
161
molecola dell’acqua mostra un valore del momento dipolare pari a 1.77 D,
abbastanza simile a quello posseduto da molecole organiche polari quali metanolo od
acetato d’etile. D’altra parte il valore della costante dielettrica di 78.3 è molto più
elevato di quello della maggior parte dei solventi organici, fatta eccezione per quelli
dipolari aprotici. Ciò implica che l’acqua è in grado di stabilizzare in modo molto
efficiente un gran numero di specie ioniche. L’elevata solubilità di sali sia inorganici
che organici è dovuta alla capacità dell’acqua di solvatare altrettanto efficacemente
sia specie anioniche che cationiche. Passando all’esame dei parametri empirici già
discussi per i solventi organici, l’acqua ha ET = 63.1 Kcal/mole (Z = 94.6 Kcal/mole)
ad indicare la sua elevata polarità rispetto a quella dei comuni solventi organici (cfr.
Tabella 5.4). Il potere ionizzante espresso dal parametro di Grunwald-Wienstein è
parimenti molto elevato, YA = 3.493. Inoltre il valore della tensione superficiale
dell’acqua (72 dine/cm) è conseguenza della sua CED molto alta e pari a 550 cal/cm3
(22000 atm). Ciò induce una tendenza a minimizzare la superficie di contatto tra
l’eventuale soluto idrofobico (organico) e le molecole d’acqua. L’effetto idrofobico
esprime la tendenza manifestata da specie non polari ad aggregarsi in soluzione
acquosa per diminuire la superficie di contatto acqua-soluto idrofobico. Questo
effetto è facilitato dalla contrazione volumetrica dei reagenti lungo la coordinata di
reazione, il che significa che reazioni caratterizzate da volumi di attivazione negativi
sono più sensibili all’effetto idrofobico. E’ facile intuire che l’effetto idrofobico è il
principale responsabile della reattività in fase acquosa di sostanze organiche di per sé
poco solubili in acqua.
162
condotta in acqua si ha k(H2O)/k(iso-ottano) = 30, un valore che è difficilmente
razionalizzabile solo in base alla polarità del solvente. In effetti nelle reazioni di
Diels-Alder condotte in acqua entra in gioco l’effetto idrofobico, che è favorito dal
loro volume di attivazione negativo, tipicamente intorno a -30 cm3/mole.
L’accelerazione subita dalle reazioni di Diels-Alder in acqua è ancora più evidente se
si prende in considerazione la reazione tra il ciclopentadiene ed il 2-butenone, dato
che in questo caso k(H2O)/k(MeOH) = 59. In questo caso l’accelerazione della
reazione in fase acquosa dipende da una variazione favorevole dell’entropia di
attivazione, che risulta meno negativa in acqua che in metanolo (∆∆S≠ = 8.13 cal/K
mole), cui si accompagna un valore dell’entalpia di attivazione praticamente costante.
Riguardo quest’ultima reazione è anche interessante notare che il rapporto tra gli
isomeri endo ed eso varia a secondo del mezzo, raggiungendo il valore massimo
proprio in acqua. La razionalizzazione di questo comportamento si basa ancora sul
valore negativo del volume di attivazione per le reazioni di Diels-Alder. Tra i due
possibili stati di transizione diastereoisomerici che conducono alla formazione della
coppia di isomeri endo ed eso il primo è infatti più compatto ed è quindi favorito
dall’elevata pressione interna dell’acqua espressa dalla sua CED. La maggior polarità
del solvente non è collegabile all’aumento della selettività nei confronti dell’isomero
endo poiché in formammide o in N-metil acetammide, che sono più polari dell’acqua,
il rapporto endo/eso è minore di quello osservato in fase acquosa.
+ +
O O
endo eso
_______________________________________________________
solvente ε endo/eso
_______________________________________________________
iso-ottano 2 70:30
butanolo 17 83:17
acqua 78 88:12
formammide 109 87:13
N-metil acetammide 183 82:18
_______________________________________________________
163
mentre in fase acquosa si ha conversione completa nel cicloaddotto pirazolinico a
temperatura ambiente ed in pochi minuti.
Anche le cicloaddizioni di alcuni nitrilossidi stabili procedono più velocemente in
acqua.
MeOOC
COOEt
Ph N N COOMe + N COOEt
N
Ph
Cl O O
O
N
N O + Cl
Cl O O
Cl
_______________________________________________________
CHCl3 3.9
MeCN 7.1
DMSO 14.0
EtOH 14.6
acqua 55.5
_______________________________________________________
O ∆ O
( )6 ( )6
COONa COONa
164
da ioni e loro combinazioni, sono liquidi a temperatura ambiente. Una definizione
generale dei liquidi ionici è quindi quella che li descrive come sali che hanno punti di
fusione inferiori al punto d’ebollizione dell’acqua. Trattandosi di una definizione
basata esclusivamente sulla temperatura, essa non fornisce alcuna informazione di
tipo chimico, ovvero non specifica la natura degli ioni che costituiscono il liquido
ionico. Dal punto di vista storico il primo liquido ionico è stato descritto nel 1914; si
trattava dell’etilammonio nitrato EtNH3+ NO3¯ a punto di fusione 12°C. La proprietà
fisiche che rendono i liquidi ionici interessanti quali solventi in chimica organica
sono in relazione innanzitutto con la loro polarità, necessariamente molto elevata, ed
il loro buon potere solvente nei confronti di molte specie sia organiche che
inorganiche. Per quanto riguarda misure quantitative della polarità dei liquidi ionici,
per una serie di derivati di alchilammonio sono stati misurati ET compresi tra 60 e 64
Kcal/mole, un valore di entità paragonabile a quello dell’acqua (ET(H2O) = 63.1
Kcal/mole). Poiché sono generalmente formati da ioni scarsamente complessanti, i
liquidi ionici possono essere impiegati quali solventi molto polari e non coordinanti.
Un’altra caratteristica peculiare dei liquidi ionici è che si tratta di specie immiscibili
con la maggior parte dei solventi organici, il che li rende utilizzabili quali componenti
alternativi all’acqua nei sistemi bifasici. Trattandosi di composti costituiti solamente
da ioni, è lecito attendersi che la volatilità dei liquidi ionici sia estremamente bassa;
in effetti essi possono essere impiegati anche in apparecchiature ad alto vuoto. In
seguito sono stati sviluppati liquidi ionici particolarmente resistenti all’azione
dell’acqua contenuta nell’atmosfera, il che ha aperto un capitolo assai interessante
nell’ambito applicativo.
Tra i liquidi ionici più utilizzati negli studi cinetici o meccanicistici si annoverano:
- gli alogenuri di alchilammonio [RnNH4-n]+ X ¯ o di alchilfosfonio [RnPH4-n]+ X ¯
- derivati dei sali di N-alchilpiridinio od N-metil-N-alchilimidazolio
R1
N
N _ N _
X X
R Me
_______________________________________________________________
Et Cl [emin]Cl 77
Et BF4 [emin]BF4 12
Et PF6 [emin]PF6 60
nBu Cl [bmin]Cl 70
_______________________________________________________________
solvente endo/eso
_________________________________________________________
[EtNH3]NO3 87 : 13
[emin]NO3 77 : 23
[bmin]BF4 81 : 19
H2O 88 : 12
_________________________________________________________
5.9 Problemi
1. Per la reazione di sostituzione nucleofila
Ph COOEt
COOEt
Ph N O + N
EtOOC O COOEt
166
4. La velocità della seguente reazione di eliminazione è stata determinata in
funzione del solvente ottenendo i dati riassunti nella Tabella.
Ph Ph
piridina
+ MeOH
OMe
O2N O2N
5.10 Bibliografia
Una monografia specialistica che tratta in modo approfondito tutti gli aspetti inerenti
ai solventi è la seguente.
1. C. Reichardt Solvents and Solvent Effects in Organic Chemistry WCH,
Weinheim, 1988.
167
6
ACIDI E BASI
____________________________________________________________________
6.1 Introduzione
Nel corso di studi in Chimica è difficile imbattersi in un concetto tanto generale
quanto quello di acido o base; non esiste forse un’altra classe di equilibri così
importante come quella che interessa gli acidi e le basi. I concetti fondamentali
relativi a questo argomento sono noti dal corso di Chimica Generale nel quale si tratta
diffusamente degli equilibri in acqua. Il ruolo davvero centrale del concetto di specie
acida o basica, nonché degli equilibri acido-base in soluzione acquosa, è illustrato
anche dallo sviluppo storico che ha accompagnato nel corso del tempo le definizioni
e le teorie atte a descrivere il comportamento delle specie acide e basiche. Dalla
definizione data da Arrhenius, che individua una specie acida in virtù della sua
capacità di ionizzare soluzioni acquose producendo “ioni idrogeno”, si è passati alla
teoria di Brønsted per sfociare infine nella definizione più generale data da Lewis. Un
modello relativamente recente nella classificazione delle specie acide e basiche è
stato discusso nel capitolo 3 a proposito della teoria HSAB dove sono state mostrate
le connessioni con la teoria FMO e, più in generale, con le nozioni di durezza e di
mollezza assolute. Ciò che ci si propone di realizzare nell’ambito del presente
capitolo è l’estensione del concetto di acido o base a soluzioni non acquose,
mostrando come gli equilibri descritti quantitativamente dalla termodinamica delle
soluzioni acquose siano utili nella generalizzazione ad altri sistemi solvente. Un
ulteriore obiettivo è rappresentato dalla descrizione di quelle correlazioni lineari che,
168
mettendo in relazione grandezze termodinamiche e cinetiche, permettono di trarre
informazioni utili sul meccanismo di alcune reazioni organiche.
Acido Base¯ + H+
In questo modo si definisce la coppia coniugata acido-base, nel senso che la specie
“Base¯” corrisponde alla base coniugata della specie “Acido”. E’ opportuno ricordare
che poiché i protoni non possono praticamente esistere allo stato libero in soluzione,
affinché un acido possa cedere protoni è necessaria la presenza di una base capace di
riceverli. Considerando la reazione
Quando l’equilibrio è spostato verso destra l’Acido 1 è più forte della Base 1, dato
che ad un acido più forte corrisponde necessariamente una base coniugata più debole.
L’acqua può comportarsi sia da acido che da base in accordo con le seguenti
equazioni.
H2O H+ + OH ¯
H2O + H+ H3O+
2H2O H3O+ + OH ¯
[H 3O + ][OH - ]
Ka =
[ H 2 O] 2
La frazione di acqua dissociata è sempre molto piccola rispetto al numero totale delle
molecole d’acqua presenti nelle soluzioni diluite, sicché [H2O]2 può ritenersi costante
e si può scrivere [H3O+][OH¯] = Kw, dove con Kw si indica la costante di autoprotolisi
169
dell’acqua il cui valore è pari a 10-14. Affinché possa essere mantenuta
l’elettroneutralità della soluzione si deve avere [H3O+] = [OH¯] = 10-7. Definendo
pH = - Log [H3O+] è evidente che una soluzione acquosa è acida se pH < 7 mentre è
basica se pH > 7. La costante di equilibrio per la reazione
[Base - ][H 3 O + ]
Ka =
[Acido]
ovvero
[Base - ]
pH = pK a + Log
[Acido]
[Base - ][H 3 O + ]
Ka =
[Acido]
cioè
[Acido] (c - [H 3 O + ])
[H 3O + ] = K a = Ka
[Base - ] [H 3 O + ]
da cui
[H3O+]2 = Ka(c-[H3O+]) equazione 6.1
170
[H3O+]2 = cKa
Passando ai logaritmi si ottiene
1 1
pH = pK a + Log c
2 2
che è l’espressione utilizzata nella maggior parte dei casi di interesse pratico. Se
invece l’acido è forte, cioè se è dissociato completamente, la sua concentrazione c è
praticamente uguale ad [H3O+] e si ottiene
pH = -Log c
In modo del tutto analogo, per la dissociazione di una base a concentrazione c si ha
[Acido] [OH − ]
[H 3 O + ] = K a = Ka
[Base - ] (c - [OH − ])
171
Poiché un acido è tanto più forte quanto maggiore è la sua Ka, ovvero quanto minore
è la sua pKa, è evidente che esso è in grado di protonare una qualsiasi base coniugata
di un secondo acido meno forte. Questa constatazione è esemplificata nella Tabella
6.1 nella quale sono riportati alcuni acidi organici in ordine di acidità decrescente. Le
basi coniugate corrispondenti risultano quindi elencate in ordine di basicità crescente
dall’alto verso il basso. Ciò significa che ogni acido elencato nella Tabella 6.1 è in
grado di protonare una qualsiasi delle basi coniugate che lo seguono ma non quelle
che lo precedono. Tutti i valori di pKa raccolti nella Tabella 6.1 sono stati ottenuti in
modo rigoroso attraverso la determinazione della corrispondente costante di
dissociazione acida in soluzione acquosa. Come si può notare da questi valori di pKa
ognuno di questi acidi è più debole dello ione idronio e più forte dell’acqua. Misure
termodinamiche accurate sono possibili solo per acidi di questa forza. Per acidi o basi
molto forti (rispettivamente più forti di [H3O+] ed [OH¯]) o molto deboli (più deboli
dell’acqua) si possono ottenere valori di pKa approssimati, come si discuterà nei
prossimi paragrafi.
L’andamento dei valori di pKa degli acidi elencati nella Tabella 6.1 si presta ad
alcune considerazioni ulteriori piuttosto utili in vista delle loro applicazioni. L’acidità
del gruppo idrossile è influenzata piuttosto fortemente dal tipo di sostituzione. A
questo proposito si prenda come riferimento il valore di pKa del fenolo, che in acqua
si comporta come un acido debole. La sostituzione di uno o più idrogeni dell’anello
172
benzenico con atomi o gruppi a carattere elettronattrattore produce come risultato la
diminuzione del valore di pKa. Questa variazione si giustifica facilmente con la
maggiore stabilizzazione della carica negativa situata sull’ossigeno fenolico, che
viene dispersa efficacemente dal gruppo elettronattrattore attraverso l’anello
benzenico. L’andamento opposto dei valori di pKa si riscontra per sostituzione di uno
o più idrogeni con gruppi elettronrepulsori (Tabella 6.2).
173
Tabella 6.3. Acidità di acidi acetici sostituiti.
___________________________________________________________________________________________
a (H + )a (A1- ) a (H + )a (A -2 )
K(HA1 ) = , K(HA 2 ) =
a (HA1 ) a (HA 2 )
e passando ai logaritmi si ottengono le due equazioni
pKa(HA1) = pH – Log[a(A1¯)/a(HA1)]
pKa(HA2) = pH – Log[a(A2¯)/a(HA2)]
174
Poiché Log K = Log I2 – Log I1 si può scrivere
Log K = pKa(HA2) – pH – pKa(HA1) + pH = pKa(HA2) – pKa(HA1)
Ovvero la costante di equilibrio è data dalla differenza dei valori di pKa delle due
specie acide in soluzione. Misurando la costante di equilibrio si può allora risalire al
valore di pKa di una delle due specie acide posto che per l’altra sia noto il valore di
pKa in acqua. Ad esempio, se è noto il pKa in acqua della specie HA1 è possibile
determinare il valore di pKa dell’acido HA2 anch’esso relativo all’acqua, nonostante
la misurazione sia stata effettuata in un solvente diverso dall’acqua. Un’ulteriore
misurazione di un’altra costante di equilibrio K’, questa volta relativa all’acido HA2 e
ad un nuovo acido debole HA3 il cui pKa in acqua non sia noto, permette di ricavare il
pKa di HA3 in acqua. In questo modo si può costruire una scala di pKa per acidi più
deboli dell’acqua la cui forza si misura in solventi non acquosi ma i cui valori di pKa
risultano comunque riferiti all’acqua quale solvente. Per gli acidi organici al
carbonio, che sono solitamente molto più deboli dell’acqua, questo modo di
procedere permette di ottenere valori di pKa che non sono misurabili direttamente.
Alcuni di questi acidi al carbonio sono elencati nella Tabella 6.5, affiancati ai
rispettivi valori di pKa, in ordine di acidità decrescente.
175
idrogeni del metano con gruppi nitro vede capovolgere questa situazione tanto che il
trinitrometano, pKa = 0.14, è un acido al carbonio forte al pari dell’acido
trifluoroacetico.
176
Il catione BH+ si dissocia a sua volta secondo l’equilibrio
BH+ B + H+
nel quale il protone H+ non deve intendersi libero ma legato ad una molecola di
solvente; questo formalismo semplificato si usa solo per comodità grafica.
La costante Ka relativa a quest’ultimo equilibrio permette di valutare la forza della
base B.
a(H + )a(B) γ (B)[B]
Ka = = a(H + )
a (BH + ) γ (BH + )[BH + ]
Indicando con
γ (B)
h0 = a (H + )
γ (BH + )
si ha
[BH + ]
h0 = K a
[B]
La funzione di acidità H0 è definita come il logaritmo decimale negativo di h0, cioè
H0 = -Log h0, e dunque si ha
[B]
H 0 = pK a + Log equazione 6.2
[BH + ]
Nelle soluzioni acquose diluite i coefficienti di attività sono praticamente uguali
all’unità, da cui h0 = a(H+) e quindi H0 = pH. In questo senso la funzione di acidità H0
costituisce un’estensione della scala di pH applicabile nel caso di soluzioni
concentrate di acidi, siano essi in soluzione acquosa oppure no.
Per la determinazione della funzione di acidità H0 si utilizzano basi B opportune a
pKa nota in grado di fungere da indicatori. Per queste specie il massimo
dell’assorbimento della luce visibile od UV dev’essere situato a lunghezze d’onda
molto diverse da quella relativa alla specie protonata BH+. Le concentrazioni [B] e
[BH+] vengono quindi misurate con metodi colorimetrici o spettrofotometrici e, dato
che pKa di B è nota, si ricava il valore di H0. In pratica quindi la determinazione della
funzione di acidità H0 di una specie fortemente acida HA si esegue aggiungendo alla
soluzione concentrata dell’acido in questione l’indicatore, che viene protonato e per il
quale si determina sperimentalmente il rapporto [B]/[BH+]. Di solito come indicatori
si scelgono delle basi deboli e, poiché ogni indicatore è utilizzabile in un intervallo
piuttosto ristretto delle concentrazioni di HA, è necessario utilizzare una serie di
indicatori per poter costruire il diagramma di H0 in un ambito abbastanza ampio delle
concentrazioni della specie acida. Nella Tabella 6.7 sono riportati alcuni tra gli
indicatori più utilizzati, affiancati al corrispondente valore di pKa.
Potendo utilizzare diversi indicatori nella determinazione della funzione di acidità, si
ottengono funzioni H diverse a secondo della classe chimica cui appartiene
l’indicatore utilizzato. Ad esempio la funzione H0 viene determinata utilizzando come
indicatori ammine primarie opportunamente sostituite all’anello benzenico.
177
Altre funzioni di acidità sono elencate nella Tabella 6.8 accanto al tipo di indicatore
utilizzato per la loro definizione.
Tabella 6.7. Indicatori utilizzati nella determinazione di H0.
___________________________________________________________________________________________
Nella Figura 6.1 è mostrato l’andamento grafico di alcune funzioni di acidità per il
sistema acido solforico-acqua.
H H0m
HR
-12
H0
-10
-8
-6
HA
-4
-2
2
20 40 60 80 100
% H2SO4
Figura 6.1. Andamento di alcune funzioni di acidità per il sistema H2SO4-H2O.
178
Nella Figura 6.2 sono invece diagrammate le rette che si ottengono sperimentalmente
per lo stesso sistema acido dall’equazione 6.2 utilizzando come indicatori (a) la
2-nitroanilina, (b) la 4-cloro-2-nitroanilina e (c) la 2,5-dicloro-4-nitroanilina.
2.0
Log[B]/[BH+] (a)
1.5 (b)
1.0
0.5 (c)
-0.5
-1.0
10 20 30 40 50
% H2SO4
Figura 6.2. Diagramma lineare di Log[B]/[BH+] in funzione della % di acido solforico
per il sistema H2SO4-H2O.
0.24 5 -4.32 60
-0.16 10 -5.54 70
-0.89 20 -6.82 80
-1.54 30 -8.17 90
-2.28 40 -8.74 95
-3.23 50 -10.60 100
___________________________________________________________________________________________
179
più forte dell’anione idrossile. E’ stata infatti costruita la scala H_ valida per le
soluzioni di tetralchilammonio idrossido in solfolano, dimetilsolfossido-acqua ed altri
solventi. La funzione di acidità H_ costituisce l’estensione della scala di pH oltre il
valore 14 in acqua.
Un altro tipo di approccio al problema riguardante soluzioni concentrate di acidi forti
è stato proposto da Bunnett ed Olsen, che hanno derivato la seguente equazione.
[BH + ]
Log + H 0 = φ ( H 0 + Log[H + ]) + pK a
[B]
B + H+ BH+
Base (indicatore) φ
_____________________________________________________________________
2,4,6-(MeO)3-C6H2COMe -0.11
4-NO2-C6H4NH2 0.00
AcOEt +0.40
Me2C=O +0.75
_____________________________________________________________________
Gli acidi più forti dello ione idronio di interesse in chimica organica sono
essenzialmente specie acide elettroneutre, oppure protonate, all’ossigeno o all’azoto.
Non mancano specie elettroneutre quali gli acidi solfonici e persino un acido al
carbonio quale il tricianometano. Alcuni esempi significativi sono riportati nella
Tabella 6.10. I mezzi più protonanti in assoluto sono i cosiddetti “superacidi”, ovvero
BF3, PF5, AsF5 ed SbF5 in HF liquido. Sono superacidi anche l’acido fluorosolfonico
180
FSO3F ed il solfonilclorofluoruro SO2ClF in HF liquido. La forza protonante di
alcuni superacidi è talmente marcata da permettere la reazione con basi estremamente
deboli come il metano, dando la specie pentacoordinata CH5+, o come il benzene. I
pKa dei superacidi sono generalmente inferiori a -20. Acidi più forti dello ione
idronio sono anche i comuni acidi inorganici HCl (pKa = -7), HBr (pKa = -9), HNO3
(pKa = -1.4).
Tabella 6.10. Valori approssimati di pKa di acidi più forti dello ione idronio.
_________________________________________________________________________________________________________
Tra le basi più forti dello ione idrossile se ne annoverano moltissime d’interesse
pratico in chimica organica (Tabella 6.11).
Tabella 6.11. Valori approssimati di pKa di basi più forti dell’anione idrossile.
_________________________________________________________________________________________________________
181
(1) HA + B A-HּּּּּB
(2) A-HּּּּּB Aδ-ּּּּּH-Bδ+
(3) Aδ-ּּּּּH-Bδ+ A¯ + BH+
N H N
(CH2)m
_
(CH2)k X
La notevole basicità del derivato naftalenico è resa possibile dal forte ingombro
sterico dovuto ai doppietti elettronici dei due atomi di azoto che sono forzati a dover
occupare uno spazio contiguo. La protonazione della specie neutra comporta la
182
diminuzione di questa compressione sterica dato che uno dei due doppietti elettronici
viene impegnato nel legame covalente col protone mentre il secondo doppietto
intrattiene con esso un legame ad idrogeno. Nonostante la sua basicità termodinamica
molto alta, il trasferimento protonico dall’1,8-bis-dimetilammino-2,7-dimetossi
naftalene decorre molto lentamente denotando quindi un’acidità cinetica piuttosto
bassa.
Anche il trasferimento protonico che riguarda gli acidi al carbonio decorre
solitamente con velocità inferiori al limite di diffusione. Per questa classe di specie
acide è infatti normalmente preclusa la possibilità di formare legami ad idrogeno.
Nei paragrafi precedenti è emerso che l’effetto livellante esercitato dall’acqua non
permette l’esistenza in soluzione di specie più acide dello ione idronio e più basiche
dell’anione idrossido. Ciò dipende evidentemente dal valore di pKa dell’acqua, che è
pari a 15.75. I valori di pKa misurati in dimetilsolfossido differiscono da quelli
misurati in acqua per più motivi. In primo luogo in dimetilsolfossido si possono
determinare pKa fino a 32 senza che intervengano le complicazioni dovute all’effetto
livellante del solvente, che infatti ha pKa = 35. Dall’esame dei dati raccolti nella
Tabella 6.12 si nota che in alcuni casi, che coincidono con basi coniugate a carica
localizzata, esistono forti differenze tra i pKa determinati in acqua ed in
dimetilsolfossido. Queste differenze sono dovute essenzialmente alla mancanza di
legami ad idrogeno nel caso del solvente organico. Ad esempio l’acqua stessa
manifesta una differenza pari a ben 16.25 unità pK, il metanolo 14.5. Per basi
coniugate a carica delocalizzata le differenze di pKa sono molto inferiori e possono
arrivare ad annullarsi. Ad esempio l’acido picrico, che non intrattiene legami ad
idrogeno significativi in acqua, non mostra differenze di pKa al variare del solvente.
183
6.7 Nucleofili ed elettrofili
Il concetto di specie acida o basica si inquadra nell’ambito più generale di specie
nucleofila ed elettrofila. Il termine “base” si riferisce infatti ad una specie che mostra
affinità nei confronti del protone; la sua basicità è la misura quantitativa di questa
affinità. Per contro una specie nucleofila manifesta affinità nei confronti di qualsiasi
centro reattivo elettrofilo; la nucleofilicità esprime la misura qualitativa o
semiquantitativa di questa affinità. Per chiarire questo punto è opportuno ricorrere ad
un esempio semplice. Nella reazione tra bromoacetato di etile ed n-butillitio,
quest’ultimo reagente si comporta da base deprotonando l’estere in posizione α. Ma
la reazione tra bromoacetato d’etile e sodio azide dà luogo all’azidoacetato d’etile; in
questo caso l’anione azido non si comporta da base ma da nucleofilo attaccando
l’atomo di carbonio in α al gruppo etossicarbonile.
O O
P P
ROH + O ADP + ADPH
RO O
O O
185
Diagrammando Log k in funzione di pKROH si ottiene una retta a pendenza βNu = 0.07
[Figura 6.3 (A)], che significa che la nucleofilicità dell’alcol ha un effetto molto
ridotto sulla velocità di reazione. In questo caso si può pensare che il legame
nucleofilo-substrato sia assai poco sviluppato a livello di stato di transizione.
D’altra parte la velocità d’idrolisi di fosfoanidridi R1OPO2¯¯ in funzione del pKa
mostra βGu = -1.1 ad indicare che la rottura del legame tra fosforo e gruppo uscente è
piuttosto avanzato a livello dello stato di transizione [Figura 6.3 (B)].
Log k Log k
1.0 2
0
0
-2
-1.0 -4
-6
12 14 16 0 2 4 6 8
pKROH pKGu
(A) (B)
Figura 6.3. Diagrammi di Brønsted per l’idrolisi dell’ATP (A) e di fosfoanidridi (B).
Il valore piccolo di βNu e grande di βGu lasciano supporre che il meccanismo d’idrolisi
dell’ATP proceda nel seguente modo dissociativo.
O O O
P _ ROH P
P + ADP + ADPH
O ADP RO O
O O
O O
186
L’equazione di Swain-Scott ha la forma di una retta passante per l’origine
log(kNu/kw) = s n
dove con n si indica la nucleofilicità della specie Nu. Per convenzione n = 0 nel caso
dell’acqua, scelta quale nucleofilo di riferimento.
Come esempio pratico si consideri la seguente reazione di sostituzione nucleofila
Me Me
N OMe NMe2
_ kNu
+ Nu + Nu OMe
O2N O2N
dalla quale si ricava s = 0.26. Questo valore della costante di reazione indica che la
reazione in esame è meno sensibile alla variazione della specie nucleofila attaccante
di circa quattro volte rispetto alla reazione di riferimento. Ciò è compatibile con il
valore di βNu < 1 ottenuto per la stessa reazione, ad indicare che il legame tra il
nucleofilo ed il gruppo metilenico del sale d’ammonio quaternario è poco sviluppato
a livello dello stato di transizione.
Utilizzando l’equazione di Swain-Scott si ricava una scala di nucleofilicità basata sul
parametro n; nella Tabella 6.13 sono riportati i valori di n per alcuni nucleofili.
Tabella 6.13. Scala di nucleofilicità basata sul parametro n.
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo n nucleofilo n
___________________________________________________________________________________________
_ kNu
O2N + Nu O2N Nu
_
BF4
NMe2 NMe2
verde 4-nitromalachite
187
Il parametro di nucleofilicità N+ è espresso dall’equazione di Ritchie
log(kNu/kw) = N+
per la quale si sceglie l’acqua quale nucleofilo di riferimento.
Come nel caso dell’equazione di Swain-Scott è possibile ricavare una scala di
nucleofilicità basata, questa volta, sul parametro N+ (Tabella 6.14).
Tabella 6.14. Scala di nucleofilicità basata sul parametro N+.
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo N+ nucleofilo N+
___________________________________________________________________________________________
nucleofilo EN nucleofilo EN
___________________________________________________________________________________________
188
Si richiama l’attenzione sul fatto che, trattandosi di scale derivate da relazioni
empiriche, le nucleofilicità espresse dai vari parametri considerati non ha validità
assoluta al contrario di quanto accade nel caso dei valori di pKa di specie acide o
basiche determinati in acqua con metodi termodinamici. Le Tabelle 6.13 e 6.15 ne
sono un esempio lampante in quanto vi sono riportate le stesse specie nucleofile che
però seguono un ordine di nucleofilicità differente.
6.8 Problemi
1. La funzione di acidità per l’acido solforico acquoso al 20% vale H0 = -0.89.
Calcolare il grado di dissociazione per le specie A-D in queste condizioni.
NH2 NH2
NO2
pKa = +1.11 pKa = -4.38
NO2 NO2
A B
NH2 COOH
O2N NO2
pKa = -9.29 pKa = -7.26
NO2
C D
3. L’etere etilico a 25°C scioglie il 7% in peso di acido cloridrico gassoso. Una tale
soluzione ha H0 = -6.0. Sapendo che in queste condizioni l’etere etilico protonato
è un acido molto forte che ha pKa = -3.8, calcolare il suo grado di ionizzazione
percentuale.
189
MeONa/MeOH: H_ = -3.68
NaNH2/NH3 (liq.): H_ = -6.70
NaOH (50%): H_ = -7.60
6.9 Bibliografia
Due monografie che trattano in modo assai completo ed autorevole gli aspetti inerenti
all’acidità e la basicità da un punto di vista chimico-organico, sono:
1. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973.
2. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press,
New York, 1985.
Gli aspetti recenti sulle teorie acido-base sono discusse nel libro
3. H. L. Finston, A. C. Rychtman A New View of Current Acid-Base Theories
Wiley, New York, 1982.
Una monografia che tratta le correlazioni lineari discusse nel presente capitolo è
6. A.Williams Free Energy Relationships in Organic and Bio-Organic
Chemistry The Royal Society of Chemistry, Cambridge, 2003.
190
7
UTILIZZO DEGLI ISOTOPI NEGLI STUDI
MECCANICISTICI
____________________________________________________________________
7.1 Introduzione
Nell’ambito di un edificio molecolare, la sostituzione di un atomo con un suo isotopo
costituisce la minima perturbazione strutturale possibile. Ciononostante le
informazioni che si possono dedurre dallo studio della reattività di molecole marcate
sono di grande aiuto nell’elucidazione del quadro meccanicistico realmente operante.
A questo proposito è utile introdurre il duplice aspetto degli effetti prodotti dalla
sostituzione di un atomo con un suo isotopo in una molecola organica. In primo luogo
si studiano le eventuali variazioni di velocità che intervengono nelle reazioni di
molecole marcate e non marcate. In questo caso si considerano i cosiddetti effetti
cinetici isotopici, che saranno discussi nella prima parte di questo capitolo. In
secondo luogo si analizza la distribuzione della marcatura isotopica che si verifica in
seguito alla reazione di una molecola marcata. Questo tipo di studio, che si avvale di
metodi d’indagine non cinetici, sarà trattato nella seconda parte del capitolo.
191
estere cromico in concomitanza con l’ossidazione dell’alcol secondario. Una
questione importante riguarda il momento in cui avviene la rottura del legame C-H
dell’isopropanolo, cioè se essa avviene o meno nello stadio lento della reazione. Per
chiarire questo punto si ricorre a misurazioni cinetiche che interessano sia
l’isopropanolo che il suo derivato Me2CLOH nel quale l’atomo d’idrogeno 1H
(pròzio) è stato rimpiazzato da un suo isotopo indicato con la lettera L.
H OH _ + H O
H
+ HCrO4 + H2O
O Cr OH
O
H O O
+ _
+ base + (baseH) + HCrO3
O Cr OH
O
Poiché la velocità di reazione può cambiare passando dal substrato contenente pròzio
a quello contenente il suo isotopo L, i metodi d’indagine cinetica permettono di
individuare l’effetto cinetico isotopico inteso appunto come variazione della velocità
di reazione di un substrato marcato rispetto allo stesso substrato non marcato. E’
possibile distinguere tre tipi di effetti cinetici isotopici. Se la rottura del legame C-L è
coinvolta direttamente nello stadio lento della reazione, come nel caso delle
sostituzioni nucleofile SN 2, si parla di effetto cinetico isotopico primario indicato di
solito con l’acronimo PKIE (dall’inglese: Primary Kinetic Isotope Effect). Se non
avviene la rottura del legame C-L si parla di effetto cinetico isotopico secondario
(SKIE); ne è un esempio l’addizione nucleofila al carbonile dell’aldeide L3C-CHO.
_ _ + _
δ δ X
X δ
C X C L C PKIE
lento
L
_ O
Nu
L3C CHO L3C SKIE
Nu
Il terzo tipo di effetto cinetico isotopico non dipende dalla posizione dell’isotopo L
rispetto al centro di reazione ma dal solvente in cui la reazione viene condotta. In
questo capitolo gli effetti cinetici isotopici saranno discussi nel modo più possibile
intuitivo evitando la formulazione matematica che, in una trattazione rigorosa, è
piuttosto pesante.
192
h k⎛ 1⎞
En = ⎜n + ⎟ equazione 7.1
2π µ⎝ 2⎠
mA mL
µ=
m A + mL
En
3
2
1
0
A L
Figura 7.1. Diagramma delle energie vibrazionali En in funzione della distanza A-L.
h mA + mH h mA + 1
E 0 (H) = k = k
2π mA mH 2π mA
h mA + mD h mA + 2
E 0 (D) = k = k
2π mA mD 2π 2m A
193
chiaramente in luce che la sostituzione di un atomo di pròzio con un suo isotopo più
pesante ha come effetto quello di abbassare l’energia di punto zero della molecola
biatomica. Poiché di norma la sostituzione isotopica implica gli atomi pròzio e
deuterio, nel seguito del paragrafo ci si riferirà esclusivamente a questo tipo di
sostituzione. Si supponga ora che il legame A-L possa essere stirato fino alla sua
rottura. Paragonando tra loro le parabole che descrivono l’andamento energetico della
molecola proziata e di quella deuterata in funzione della distanza A-L si nota che
l’energia di attivazione necessaria per produrre la rottura del legame A-H è inferiore a
quella occorrente per realizzare lo stesso obiettivo nel caso del legame A-D. Dato che
allora ∆G≠H < ∆G≠D la velocità del processo che conduce alla rottura del legame A-L
dev’essere maggiore nel caso della specie proziata, ovvero kH > kD (Figura 7.2).
En
= =
∆GH ∆GD
E0(H)
E0(D)
Figura 7.2. Confronto fra i ∆G di attivazione per la molecola proziata A-H e deuterata A-D.
194
En
D0(H) D0(D)
E0(H)
E0(D)
∆r
Il fatto più significativo è comunque legato alla diseguaglianza ∆G≠H < ∆G≠D che
implica l’osservazione sperimentale di una variazione di velocità (kH > kD) solo se la
rottura del legame A-L avviene nello stadio lento della reazione. In altri termini
l’effetto cinetico isotopico primario, determinato dalla condizione kH/kD > 1, si
manifesta solo se l’atto reattivo prevede la rottura di un legame connesso
direttamente al centro di reazione, che avviene nello stadio cineticamente
determinante dell’intero processo. Passando alla descrizione delle energie di punto
zero per molecole poliatomiche è ancora possibile considerare un diagramma del tipo
di quello riportato nella Figura 7.2, che fornisce grossomodo gli stessi risultati
commentati a proposito del sistema biatomico A-L.
A questo punto è interessante procedere al calcolo del valore massimo possibile per
l’effetto cinetico isotopico primario nel caso di una generica molecola poliatomica
R-L, dove L può essere H o D. Si considerino anzitutto i valori della masse ridotte
µR-H, µR-L. Poiché in generale mR >> mH, mD si può scrivere
mR mH mR m
µ R -H = = ≈ R =1
mR + mH mR + 1 m R
mR mD 2 mR 2m R
µ R -D = = ≈ =2
mR + mD mR + 2 m R
Dall’equazione 7.1 si ha
ν R -H mD
= = 2
ν R -D mH
e poiché
195
⎛ ∆G ≠ ⎞
k = exp⎜⎜ − ⎟ = exp⎛⎜ − Nhν ⎞⎟
⎟ ⎝ RT ⎠
⎝ RT ⎠
si può scrivere
kD ⎡ Nh(ν R -H − ν R -D ) ⎤ ⎡ Nh(1 − 1 / 2 )ν R -H ⎤
= exp ⎢ ⎥ = exp ⎢ ⎥
kH ⎣ 2RT ⎦ ⎣ 2RT ⎦
Prendendo νR-H = 2900 cm-1, che è un valore tipico per lo stiramento di un legame
C-H alifatico, dall’ultima espressione si ottiene kH/kD = 7.80 a 298 K. Si nota allora
che il valore dell’effetto cinetico isotopico primario dipende solo dalla massa degli
isotopi L, ed il valore massimo pari a 7.80 si riferisce al caso in cui avvenga la rottura
di un solo legame nello stadio lento della reazione. Tuttavia è molto comune riferirsi
a reazioni nelle quali si formano o si rompono simultaneamente più legami nello
stesso passaggio. Soprattutto è comune incontrare reazioni a differente tonalità
termica, ragione per cui è bene esaminare da un punto di vista qualitativo gli effetti
isotopici per un processo esoergonico, uno endoergonico ed uno termoneutro. In base
al postulato di Hammond lo stato di transizione coinvolto in un processo fortemente
esoergonico somiglia ai reagenti, ragion per cui nella reazione in cui un atomo A
provoca lo spostamento di L dal carbonio il legame C-L è poco stirato. Da un punto
di vista puramente descrittivo si può visualizzare lo stato di transizione come segue
← → →
CּּּLּּּּּּA
Considerando il diagramma energetico in funzione della coordinata di reazione si
ravvisa la situazione rappresentata nella Figura 7.4 (A), dalla quale appare evidente
come le differenze energetiche relative ai livelli vibrazionali rispettivamente dello
stato fondamentale e del corrispondente stato di transizione sono piuttosto simili. Ne
segue che essendo ∆G≠H ≈ ∆G≠D l’effetto isotopico primario dev’essere molto piccolo
o nullo. La stessa situazione si ritrova nel caso della reazione fortemente
endoergonica il cui diagramma energetico è rappresentato nella Figura 7.4 (B). Gli
stati di transizione
← → →
CּּּLּּּּּּA
e
← ← →
CּּּּּּּLּּּA
corrispondenti rispettivamente al processo esoergonico ed a quello endoergonico
mostrano entrambi un modo vibrazionale di stiramento non nullo, da cui deriva che
l’energia vibrazionale dipende dalla massa di L. Ma nel caso di una reazione a
tonalità termica nulla o molto piccola, lo stato di transizione risulta posizionato
simmetricamente rispetto ai reagenti ed i prodotti lungo la coordinata di reazione.
Esso è visualizzabile come
196
← →
CּּּּּLּּּּּA
nel quale l’atomo L non prende parte al modo vibrazionale di stiramento. L’energia
vibrazionale dello stato di transizione non dipende dunque dalla posizione di L e si
ravvisa la situazione mostrata nella Figura 7.4 (C). In quest’ultimo caso ∆G≠H < ∆G≠D
e dunque kH/kD > 1. Per uno stato di transizione disposto simmetricamente rispetto a
reagenti e prodotti lungo la coordinata di reazione ci si può aspettare che kH/kD sia
prossimo al valore massimo di 7.80. Per tutti i processi in cui lo stato di transizione
non si colloca esattamente a metà strada tra reagenti e prodotti ci si devono aspettare
valori dell’effetto cinetico isotopico inferiori a 7.80.
G ∆GH G GH
GH
GD
GH GD
GD ∆GH ∆GD
∆GH ∆GD
∆GD
GH
(A) GD ∆GH ∆GD
(B)
∆GH ∆GD
∆GH < ∆GD
GH
GD
(C)
coordinata di reazione
Figura 7.4. Andamento grafico degli effetti cinetici isotopici primari al variare della tonalità
termica del processo reattivo.
Gli effetti cinetici isotopici che riguardano la sostituzione di un atomo di pròzio con
uno di deuterio possono manifestare valori anche considerevolmente superiori a
quello di 7.80 calcolato come massimo. Questo disaccordo col semplice modello
teorico esaminato nel presente paragrafo trova spiegazione nel fatto che sono state
prese in considerazione le sole vibrazioni di stiramento sia a livello fondamentale che
di stato di transizione. Tenendo conto degli altri modi vibrazionali relativi al
197
piegamento dei legami C-H e C-D il valore massimo calcolato kH/kD si aggira intorno
a 48. Nel corso della presente discussione si è pure trascurato un secondo aspetto che
talvolta può assumere un’importanza rilevante nel determinare il valore sperimentale
del rapporto kH/kD. Si tratta della possibilità che intervenga l’effetto tunnell; un
fenomeno quantistico che consente il passaggio di un atomo attraverso la barriera di
attivazione spendendo un’energia inferiore a ∆G≠. Questo effetto è operante quasi
esclusivamente per atomi molto piccoli quali appunto il pròzio, mentre per atomi più
grandi e pesanti quali deuterio o trizio il tunnelling quantistico ha probabilità assai
inferiore di manifestarsi. E’ chiaro che in questo caso la differenza dell’energia libera
di attivazione ∆∆G≠ = ∆GD≠ - ∆GH≠ dev’essere superiore a quella diagrammata nella
Figura 7.2, il che implica un valore kH/kD superiore a quello calcolabile in base al
modello semplificato. Un esempio in tal senso è offerto dalla deprotonazione del
2-nitropropano con piridine 2,6-disostituite, che mostra kH/kD = 24.
198
G H
GD Ph
GH H
H
Ph
∆GH D
∆GD
coordinata di reazione
199
Dato che l’effetto cinetico isotopico primario si manifesta come sola conseguenza
della variazione di massa dell’atomo L, è evidente che il raddoppio della massa
passando da pròzio a deuterio fa in modo che il rapporto kH/kD sia il massimo
possibile in confronto a qualsiasi altra coppia di isotopi. Se l’atomo L è un atomo
pesante, intendendo con questo termine un qualsiasi atomo diverso dal pròzio, il
rapporto tra le masse atomiche dev’essere necessariamente inferiore a 2, il che
implica un valore kL/kL* di poco superiore all’unità. E’ intuitivo che aumentando il
valore della massa atomica di L il valore kL/kL* diventa sempre più prossimo all’unità.
Valori tipici riscontrati per gli effetti cinetici isotopici primari di atomi pesanti sono i
seguenti.
12 14
C/ C 1.092
14
N/15N 1.045
16
O/17O 1.063
32 34
S/ S 1.015
A titolo d’esempio si consideri la decarbossilazione dell’acido 3-fenil-3-osso
propionico marcato al carbonio carbossilico il cui stato di transizione prevede la
rottura del legame –CH2-*COO. Il rapporto tra le costanti di velocità misurate nel
caso degli isotopi 12C e 13C è pari a 12k/13k = 1.040 confermando che l’estrusione di
anidride carbonica avviene nello stadio lento della reazione.
O O _ O
∆ δ + O
C*OOH δ + *CO2
Ph Ph CH2 *C Ph
O H
Dato che l’atomo X che si scinde dando luogo alla formazione di un carbocatione è di
solito un atomo pesante i valori di PKIE sono solitamente compresi tra 1.005 e 1.500
a secondo della sua massa.
200
Anche nel caso di processi SN2 l’effetto cinetico isotopico primario riguarda atomi
pesanti e pertanto i valori sono compresi tra 1.0032 e 1.135.
_ _ + _
Y δ δ δ
C Y C X prodotti
lento
X
+
k1 Eδ E +
+ k2 B +
(b) Ar L + E Ar Ar Ar E + BL
k-1 L veloce L
lento
E
+ B +
(c) Ar L + E Ar Ar E + BL
lento L B
Nel caso fossero realmente operanti i meccanismi contrassegnati con le lettere (a) e
(c), si dovrebbe osservare un effetto cinetico isotopico primario grande e prossimo al
valore teorico di 7.80. Ciò non avviene però nella maggior parte delle delle
sostituzioni elettrofile aromatiche; ad esempio nelle due seguenti reazioni si ha
benzene + HNO3 kH/kD = 1.00
PhNMe2 + Br2 kH/kD = 1.00
ovvero l’effetto cinetico isotopico primario è assente. Per queste tipiche sostituzioni
elettrofile aromatiche i meccanismi SEAr e SE3, corrispondenti rispettivamente ai
percorsi (a) e (c), possono essere scartati proprio sulla base dell’assenza di PKIE. Per
quanto riguarda il meccanismo SE2Ar contrassegnato dalla lettera (b), esso è
compatibile con le misurazioni cinetiche realizzate su molecole marcate solo nel caso
in cui k2 >> k1, k-1. In questo caso infatti il legame C-L non viene scisso nello stadio
lento del processo. Esistono tuttavia alcuni esempi di sostituzioni elettrofile
aromatiche che mostrano un valore kH/kD maggiore di uno. Ne sono esempi
l’ossimercuriazione del benzene e e la solfonazione del bromobenzene.
benzene + (AcO)2Hg kH/kD = 6.00
PhBr + oleum kH/kD = 1.50
201
Nella prima di queste due reazioni si misura kH/kD = 6.00 il che può significare che,
nell’ambito dello schema meccanicistico SE2Ar, k2 è piccola e costituisce lo stadio
lento della reazione, oppure k-1 >> k1. La solfonazione del bromobenzene è un
processo reversibile, sicché k1 ≈ k-1. In questo modo si instaura una situazione di
equilibrio e la velocità del processo è determinata dai passaggi successivi che
implicano la lisi del legame C-L. Un ulteriore esempio di sostituzione elettrofila
aromatica che mostra PKIE non nullo è rappresentato dalla diazocopulazione tra sali
di arildiazonio e naftaleni attivati. L’effetto cinetico isotopico primario di questa
reazione dipende dalla concentrazione della base B. In acqua il passaggio lento è
costituito dall’estrazione dell’atomo L da parte della base, che in questo caso è assai
diluita. Aggiungendo piridina alla miscela di reazione si incrementa la concentrazione
di base e k2 aumenta assumendo un valore simile a quello di k1. Ne segue,
ovviamente, la diminuzione dell’effetto cinetico isotopico primario.
Cl Cl
N N
O3S L N2 O3S L N O3S L N
OH OH OH
k1 B +
+ + BL
k-1 k2
O3S O3S O3S
Cl
L +
+ Me3N L kH/kD = 1.71
202
7.2.2.4 Addizioni elettrofile agli alcheni. La somma di acidi al doppio legame
etilenico decorre attraverso uno stato di transizione che prevede il parziale distacco
del protone nello stadio lento della reazione. Per questo motivo si osservano effetti
cinetici isotopici primari non nulli la cui entità è piuttosto variabile a secondo
dell’acido coinvolto, come è testimoniato dai seguenti esempi.
CH2=CHOR + HCOOL kH/kD = 6.80
+
CH2=CHOR + L3O kH/kD = 2.95
RCH=CHR + LCl kH/kD = 1.80
L Br L OAc
Un esempio di effetto cinetico isotopico secondario di tipo β si osserva nel caso della
solvolisi del 2-bromopropano marcato ai due gruppi metilici, kH/kD = 1.34.
CL3 CL3 CL3 CL3
H2O
H Br H OH
Come si può rilevare dai due esempi proposti, i valori degli effetti cinetici isotopici
secondari sono in genere piuttosto piccoli ma pur sempre valutabili con precisione.
Inoltre è possibile mettere in relazione il carattere carbocationico dell’intermedio che
eventualmente si sviluppa nel corso della reazione con l’entità dell’effetto cinetico
isotopico secondario, il che può costituire un’informazione meccanicistica preziosa.
Per comprendere l’origine dell’effetto cinetico isotopico secondario di tipo α è utile
prendere in considerazione i modi di vibrazione del legame C-L sia nello stato
fondamentale che nello stato di transizione. Dall’analisi teorica dell’effetto cinetico
isotopico si ricava la seguente espressione, che in questa sede è conveniente prendere
come dato di fatto senza fornire una dimostrazione dettagliata.
kH ⎡ 0.1865 ⎤
≈ exp ⎢ ∑ (ν Hi − ν H≠ i )⎥ equazione 7.2
kD ⎣ T i ⎦
L’equazione 7.2 mette in relazione i numeri d’onda relativi alle vibrazioni della
molecola proziata nel suo stato fondamentale e nello stato di transizione. Può apparire
203
sorprendente che il rapporto kH/kD possa essere determinato considerando solo i modi
vibrazionali relativi alla molecola proziata. Una razionalizzazione intuitiva si basa
sulla possibilità che lo stato di transizione possa essere stabilizzato per
iperconiugazione. Qualora questo stato di transizione abbia carattere di carbocatione
è plausibile l’intervento di strutture iperconiugative a carattere isovalente. Per
illustrare il fenomeno dell’iperconiugazione è conveniente considerare il seguente
classico esempio di stabilizzazione iperconiugativa del catione etilico.
+
H H
H C CH2 H C CH2 ecc.
H H
E’ evidente che la lunghezza dei legami C-H del gruppo metilico aumenta proprio
grazie all’intervento dell’iperconiugazione. Ma quanto più il legame è lungo tanto più
la sua costante di forza è minore; l’energia richiesta per provocare una vibrazione
dev’essere dunque minore rispetto a quella richiesta nello stato fondamentale.
L’atomo di deuterio ha poca tendenza a stabilizzare i carbocationi per
iperconiugazione, sicché le energie di punto zero per il legame C-D non subiscono
variazioni significative né allo stato fondamentale né allo stato di transizione.
Visivamente ne risulta un diagramma simile a quello riportato nella Figura 7.6 (pag.
205); si comprende allora come il rapporto kH/kD possa essere espresso in modo
soddisfacente ricorrendo ai soli valori νH e ν≠H. Il valore dell’effetto cinetico isotopico
secondario di tipo α si può prevedere considerando la variazione di ibridizzazione del
centro reattivo. In riferimento all’esempio del 2-bromopropano proziato si
identificano due modi vibrazionali degeneri dovuti al piegamento del legame C-H a
1340 cm-1. Nel caso il meccanismo di acetolisi preveda il passaggio attraverso un
intermedio carbocationico il cui centro reattivo è ibridizzato sp2, occorre tenere conto
della vibrazione di piegamento fuori dal piano del legame C-H, cui spetta numero
d’onda pari ad 800 cm-1. Ammettendo che lo stato di transizione sia sufficientemente
simile all’intermedio carbocationico, il che è plausibile sulla base del postulato di
Hammond, l’argomento al secondo membro dell’equazione 7.2 è positivo. Se ne
conclude che kH/kD > 1 se l’ibridizzazione del centro reattivo subisce un incremento
del carattere s, passando da sp3 a sp2 come accade in questo caso. Qualora kH/kD > 1
l’effetto cinetico isotopico secondario si dice di tipo α normale.
Me Me Me Me _ Me Me
AcO
_ + HBr
L Br L Br L OAc
Sulla base dell’equazione 7.2, e quindi dei modi vibrazionali associati allo stato
fondamentale ed allo stato di transizione, è facile intuire che una variazione
dell’ibridizzazione del centro reattivo a favore di una diminuzione del carattere s
sortisce un effetto cinetico isotopico secondario di tipo α inverso per cui vale la
diseguaglianza kH/kD < 1.
204
Per quanto concerne gli effetti cinetici isotopici di tipo β, la loro origine è stata a
lungo oggetto di controversie. La spiegazione accettata comunemente si basa
sull’iperconiugazione esercitata dal o dai legami C-L nei confronti dell’eventuale
intermedio di reazione carbocationico, dato che l’entità dell’effetto cinetico isotopico
secondario di tipo β è massima quando lo stato di transizione coinvolto nella
trasformazione possiede un notevole carattere di carbocatione. A causa della minor
propensione dei legami C-D ad instaurare il fenomeno dell’iperconiugazione, la
differenza tra le energie vibrazionali relative ai legami C-H e C-D nello stato di
transizione è inferiore rispetto a quella che si riscontra nello stato fondamentale. La
reazione è dunque rallentata per sostituzione di un atomo di pròzio con uno di
deuterio (kH/kD > 1, Figura 7.6).
G GH
GD
∆GH ∆GD
GH
GD ∆GH < ∆GD
coordinata di reazione
Figura 7.6. Diagramma energetico tipico di un effetto cinetico isotopico secondario di tipo β.
L L L
SOH
kH /kD =1.2
Cl L -HCl
L L
OS
L L
SOH
kH /kD =1
L Cl L -HCl
205
O L OH
HCN
kH /kD = 0.83
Ph L Ph CN
L O O
O
O
+ O L L kH /kD = 0.91
L O
Per quanto riguarda gli effetti cinetici isotopici di tipo β, si prendano quali esempi le
reazioni di solvolisi di tipo SN1 su sistemi diidroantracenici pontati. In questi casi la
posizione della marcatura è in grado di influenzare il tipo, diretto od inverso,
dell’effetto cinetico. La posizione di questa marcatura sull’entità dell’effetto
isotopico non è stata del tutto chiarita.
Cl Cl
L L
L
206
L3C L3C
kH /kD = 0.88
CL3 CL3
Br Br
L L
HOOC COOH HOOC COOH kH /kD = 0.84
Br L L Br
[RX - D][SO - H ]
Φ=
[RX - H][SO - D]
In questo caso l’effetto isotopico non è cinetico ma di equilibrio. Talvolta la costante
Φ viene anche definita come rapporto [RX-D]/[RX-H]. Il fattore di frazionamento
207
dipende solo dal tipo di gruppo funzionale X al quale è legato l’atomo L soggetto a
scambio isotopico. Qualora Φ > 1 il prodotto si arricchisce nell’isotopo più pesante;
al contrario un valore di Φ < 1 indica l’arricchimento del prodotto nell’isotopo più
leggero. La maggior parte dei fattori di frazionamento è compresa tra 0.9 ed 1.1, ma
nel caso in cui L = H, D i valori possono anche risultare inferiori a 0.9 e superiori a
1.1. Per un fattore di frazionamento pari a 1.050 l’effetto isotopico di equilibrio
ammonta al 5% [(1.050 – 1.000)100]. Nella Tabella 7.1 sono riportati i valori dei
fattori di frazionamento per alcuni gruppi funzionali comuni. Per quanto riguarda
alcoli ed acidi carbossilici, nelle miscele H2O/D2O si osserva Φ = 1; il substrato
distribuisce statisticamente la marcatura. Questo comportamento è dovuto al fatto che
i modi vibrazionali del gruppo alcolico e della parte idrossilica del gruppo carbossi
sono praticamente identici a quelli dell’acqua. Qualora il protone mobile sia legato ad
un carbonio, un azoto od uno zolfo si osserva Φ < 1 ad indicare la preferenza del
substrato per l’isotopo più leggero. In questi casi, evidentemente, le costanti di forza
relative ai legami X-H sono maggiori in acqua che in D2O.
208
(KH) corrisponde al rapporto tra i prodotti dei fattori di frazionamento relativi ai
prodotti di reazione (Φpi) ed ai reagenti (Φrj).
p
KD
=
∏i Φ ip equazione 7.3
r
KH ∏ j Φ rj
L’estensione dell’equazione 7.3 a processi cinetici richiede di tenere conto dei fattori
di frazionamento Φ≠i relativi ai corrispondenti stati di transizione trattati come
prodotti. Si ottiene l’equazione 7.4, che rappresenta il reciproco dell’effetto cinetico
isotopico definito come kH/kD.
≠
kD
=
∏i Φ i≠ equazione 7.4
r
kH ∏ j Φ rj
7.2.7 Metodo dell’”inventario dei protoni”
Si supponga che una reazione condotta in un solvente protico implichi il
trasferimento di un protone nello stadio lento del processo. Come si è detto nei
paragrafi precedenti, in queste condizioni si verifica un effetto cinetico isotopico
primario. Se la reazione in questione viene realizzata in presenza di un solvente
deuterato SO-D, è plausibile che avvenga uno scambio del tipo
SO-D → SO-H
Tra la costante velocità kn della reazione in esame e la frazione molare di deuterio
presente nella miscela SO-D/SO-H che si va formando nel corso della reazione si
instaura una relazione lineare. Infatti, detta n la frazione molare di deuterio presente
nella specie SO-D, la costante di velocità kn è data da
kn = (1 - n) kH + n kD
Tenendo presente l’equazione 7.4 si ha
kn = (1 - n) kH + n (kD/kH)kH = (1 - n) kH + n Φ kH
kn = kH (1 - n + n Φ) equazione 7.5
Quest’ultima equazione mostra che se la reazione viene condotta nel solvente
proziato puro SO-H si ha n = 0 e quindi kn = kH, mentre se la stessa reazione decorre
nel solvente deuterato puro SO-D si ha n = 1 da cui kn = Φ kH = kD. Ma soprattutto
l’equazione 7.5 si può riscrivere nella forma
kn
= 1 − n + nΦ
kH
che è valida nel caso si verifichi il trasferimento di un protone nello stadio lento del
processo. Qualora si possa verificare il trasferimento contemporaneo di più protoni
quest’ultima equazione diventa
209
kn
= (1 − n + nΦ1 )(1 − n + nΦ 2 )(1 − n + nΦ 3 )...... equazione 7.6
kH
dove ciascun Φi rappresenta il fattore di frazionamento per ciascun protone che viene
trasferito. Qualora si verifichi il trasferimento di un solo protone, il diagramma che
riporta kn/kH in funzione della frazione molare n è lineare. Se vengono trasferiti due
protoni lo stesso diagramma mostra un andamento quadratico e così via. Il termine
“inventario dei protoni”, che è una traduzione diretta del termine inglese “Proton
Inventory”, rappresenta quindi un utile strumento che permette di stabilire quanti
protoni vengono scambiati nello stadio lento della reazione.
La tecnica dell’”inventario dei protoni” ha numerose applicazioni nell’elucidazione di
meccanismi complessi, in particolare nel campo dell’enzimologia. In questo vasto
campo infatti la catalisi enzimatica può implicare lo scambio di più protoni nello
stadio lento del processo. Ad esempio l’enzima ribonucleasi A è in grado di aprire
l’anello fosforato a cinque termini dell’RNA.
Il meccanismo ipotizzato prevede lo spostamento di due protoni nello stadio lento del
processo: un protone dell’acqua attaccato dall’imidazolo legato all’enzima ed un
protone dello ione imidazolio fissato dal gruppo uscente.
RO Base
O
Enz
HN N H O O
P H N NH
O O O
H Enz
kn/kH
n (D2O)
Figura 7.7. Diagramma di kn/kH in funzione di n per l’apertura d’anello del fosfodiestere dell’RNA.
210
7.3 Marcatura isotopica
Tra i metodi impiegati tradizionalmente per l’elucidazione dei meccanismi delle
reazioni organiche riveste particolare importanza la tecnica della marcatura isotopica.
In una prima fase essa consiste nella sintesi di molecole marcate con gli isotopi
opportuni, oppure nello svolgimento delle reazioni in un solvente marcato, ad
esempio D2O. In seguito si svolge lo studio analitico, che consiste nell’individuazione
della marcatura isotopica nel prodotto (o nei prodotti) di reazione. Per via del
carattere introduttivo del presente paragrafo saranno presi in considerazione solo
alcuni studi fondamentali raggruppati per classi di reazione.
+
X
211
deuterio all’anello aromatico confermando la formazione di un intermedio σ
(intermedio di Wheland).
H D
_
AlCl4
Nell’ambito delle sostituzioni elettrofile aromatiche non esistono evidenze dirette che
AlCl3 formi complessi di tipo H+ AlCl3X¯ con gli acidi alogenidrici. Tuttavia
nell’alchilazione secondo Friedel/Crafts è stato dimostrato che gli alogenuri alchilici
reagiscono con gli acidi di Lewis per scambio di bromo radioattivo tra bromuro di
etile e Al*Br3.
Et-Br + Al*Br3 → Et-*Br + BrAl*Br2
E’ noto che la solfonazione del naftalene condotta a 160°C in presenza di acido
solforico concentrato produce una miscela d’equilibrio degli acidi solfonici 1- e 2-
sostituiti.
SO3H
SO3H
+ H2SO4 +
20 : 80
Questo processo è controllato termodinamicamente, come si può dedurre dal
semplice fatto che riscaldando l’acido 1-naftalensolfonico oppure l’acido 2-naftalen
solfonico in acido solforico a 160°C si ottiene in ogni caso la medesima miscela di
equilibrio dei due acidi solfonici. La conversione degli acidi solfonici puri nella
miscela 20 : 80 può procedere, in linea di principio, attraverso due vie differenti: (i)
per isomerizzazione intramolecolare o (ii) per retrosolfonazione seguita da un nuovo
attacco elettrofilo alla posizione adiacente. Per distinguere tra questi due percorsi
meccanicistici è stata eseguita la reazioni in H235SO4. E’ evidente che il percorso (i)
non può comportare l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico al contrario della
via (ii). Sperimentalmente si rileva l’incorporazione di 35S al nucleo naftalenico,
sebbene ad una velocità minore di quella di conversione. Ciò può significare che
entrambi i percorsi (i) e (ii) operano simultaneamente, oppure che la
retrosolfonazione prevista dalla via (ii) è seguita dal ritorno da parte dell’acido
solforico non marcato che avviene più velocemente dell’attacco di H235SO4 che
costituisce il mezzo di reazione; la questione non è ancora stata chiarita.
Nel bilancio complessivo delle reazioni di sostituzione nucleofila aromatica che
procedono attraverso il meccanismo SN1 l’estrusione di azoto è un processo
irreversibile. Tuttavia lo spostamento di azoto dai sali di diazonio è reversibile, come
testimoniato dallo scambio della marcatura isotopica sui sali di benzendiazonio
marcati con 15N.
15 15 15
Ph N N Ph N N Ph N N
212
Tra le sostituzioni nucleofile all’anello aromatico che procedono su substrati non
attivati dalla presenza di gruppi elettronattrattori non si verifica solo ipsosostituzione,
ovvero il nucleofilo attaccante non rimpiazza il gruppo uscente solo nella medesima
posizione. Questo comportamento è spiegato dal meccanismo di eliminazione-
addizione che implica la formazione intermedia di arini, ed è stato elucidato dalla
reazione tra l’1-14C-clorobenzene e la potassio ammide. Questa reazione comporta la
formazione di una miscela equimolecolare di aniline marcate in posizione 1- e 2-.
Cl
14 14
NH2
14 14 14
H2N
+ NH3 +
213
O O O _
R 18OEt
_ 18 _ + Et18O
R 18OEt OEt R OH
_ OH
OH
O
+ Et18OH
R O
7.3.4 Eliminazioni.
Le eliminazioni monomolecolari caratterizzate da un primo passaggio nel quale si ha
ionizzazione irreversibile del substrato di partenza (meccanismo E1CbI) mostrano
l’equazione cinetica del tipo
v = k1[RX][Base]
e da questo punto di vista sono dunque indistinguibili dalle eliminazioni bimolecolari
E2 (cfr. capitolo 2, pag. 62). Per distinguere tra questi due tipi di meccanismo si fa
ricorso alla tecnica della marcatura isotopica illustrata attraverso il seguente esempio.
La deidrobromurazione dell’1-bromo-2-feniletano può decorrere in linea di principio
attraverso entrambi i meccanismi E1CbI ed E2. Eseguendo la reazione in presenza di
etossido di sodio quale base in EtOD si giunge ai seguenti risultati: (i) il substrato di
partenza isolato a metà conversione non contiene deuterio, (ii) lo stirene ottenuto
come prodotto di reazione non contiene deuterio. Si può concludere che la reazione in
oggetto deve decorrere attraverso un meccanismo concertato che non procede
attraverso la formazione di carbanioni intermedi. Se così fosse l’intermedio
carbanionico sarebbe infatti in grado di incorporare deuterio dando luogo alla
formazione di stirene deuterato in posizione 1-.
Ph Ph
_ H C CH2 Br _ C CH2 Br _ Ph CH CH2
EtO EtOH _
Br
H H
EtOD
Ph _ Ph
EtO
D C CH2 Br C CH2 Br _ Ph CD CH2
Br
H D
214
dell’1,2-dideutero-1,2-dibromoetano, il trattamento con anioni ioduro della forma
eritro conduce all’ottenimento del solo 1,2-dideuteroetilene cis. Questa inversione
della stereoselezione non dipende dal modo in cui avviene l’eliminazione ma da un
cambio di meccanismo: nel caso del substrato meno ingombrato avviene infatti
dapprima una sostituzione nucleofila bimolecolare al carbonio saturo ad opera
dell’anione ioduro cui fa seguito l’eliminazione bimolecolare.
_ Me D Me D
Br E2 _
I + IBr + Br
Br D Me
D Me
H D _ H D H D
Br SN2 I I E2 _
+ I2 + Br
Br Br H D
D H H D
_
I
7.3.5 Condensazioni.
Lo studio delle reazioni di condensazione rappresenta uno degli argomenti che ha
ricevuto più attenzione in chimica organica sia a livello sintetico che meccanicistico.
A prescindere dalla classificazione sistematica delle reazioni di condensazione, si
riconosce attualmente il ruolo fondamentale giocato dai carbanioni quali intermedi in
questa classe di reazioni. Nel caso di un chetone provvisto di una sola posizione
enolizzabile si verifica lo scambio pròzio-deuterio qualora il substrato proziato sia
sottoposto a trattamento con DO¯ in D2O. Qualora il substrato di partenza sia
otticamente attivo la velocità di scambio H/D eguaglia quella di racemizzazione. La
perdita di attività ottica del substrato avviene infatti ad ogni rottura del legame C-H
poiché il carbanione risultante è planare ed il successivo attacco da parte della specie
D+ avviene statisticamente su ciascuna delle due facce enantiotopiche.
O
Ph
O _ O
DO D2O
Ph lento Ph
veloce
H O D
(S) (R,S)
Ph
L’effetto cinetico isotopico positivo testimonia inoltre che la rottura del legame C-H
nella formazione del carbanione avviene nello stadio lento del processo reattivo.
La condensazione aldolica dell’acetaldeide procede attraverso due equilibri
fortemente spostati a favore dell’acetaldolo. Il meccanismo prevede due passaggi
215
distinti; la deprotonazione dell’acetaldeide di partenza e la condensazione su una
seconda molecola di aldeide. Eseguendo la reazione in D2O non si rileva
incorporazione di deuterio nell’acetaldeide non reagita. Ciò significa che il passaggio
(B) inerente alla condensazione dev’essere molto più veloce del passaggio inverso
relativo allo stadio di deprotonazione (A), il quale si può quindi assumere
praticamente irreversibile.
O _ O O
OH
H (A) H H
O O OH O
O O H2O
+ H H
H H (B)
O _ O O
OH
Ph Ph OH O Ph + Ph O
veloce Ph lento
H H OH
H
O
Ph + Ph OH
O
7.3.6 Riassestamenti.
Gli alcani, considerati inerti nei confronti dalla maggior parte delle reazioni
organiche, subiscono un riassestamento di tipo carbocationico in presenza di acidi di
Lewis. Questo comportamento si mette in luce trattando l’1-13C-propano con AlBr3.
La miscela finale di reazione contiene due parti di 1-13C-propano ed una di 2-13C-
propano. E’ possibile che questa distribuzione finale della marcatura tragga origine
da un meccanismo che prevede la formazione intermedia di un ciclopropano
protonato.
* AlBr3 *
CH3 CH2 CH3 CH2
H
CH3
CH2 + AlBr3
AlHBr3
H2C CH2 * CH2 CH3
*
216
Tra i riassestamenti all’azoto elettronpovero la trasformazione diretta ossima →
ammide, nota come riassestamento di Beckmann, è stata studiata intensamente sotto
il profilo meccanicistico. Eseguendo la reazione in H218O si osserva incorporazione
dell’18O nell’ammide finale, il che implica la formazione intermedia di un
carbocatione successivamente soggetto all’attacco da parte di una molecola di
solvente. A sostegno di questa ipotesi occorre notare che né l’ossima di partenza né
l’anilide risultante scambiano 18O con il mezzo di reazione.
Ar OH + Ar OH2 18O
H H218O
N N Me C NAr Me
+
Me Me - H2O -H NHAr
L’intervento del solvente è invece escluso nell’ossidazione dei chetoni con peracidi
organici nell’ambito della classica reazione di Baeyer-Villiger. L’ossidazione del
benzofenone marcato con 18O procede con la completa ritenzione della marcatura
all’ossigeno carbonilico dell’estere risultante.
18OH
Ph + Ph
H MeCO3H
18O 18OH Ph Ph _
+
Ph Ph -H - MeCOO
O
OCOMe
18OH 18O
Ph + Ph
OPh -H OPh
Ph _ O D O OH OH O
OH
CDO Ph Ph Ph
O OH O D O D O
217
Qualora le posizioni 2,6 dell’anello benzenico siano occupate da sostituenti diversi
dall’idrogeno la migrazione della catena allilica procede dando fenoli 4-allilsostituiti.
In questi casi si ha una nuova migrazione concertata che, comportando un’ulteriore
inversione della posizione della marcatura, dà origine a prodotti nei quali solo
l’atomo di carbonio terminale risulta marcato.
O O O
* *
*
O O OH
* *
H *
Me Me Me Me
O D D
O D
R2CDOH
(iPrO)2Al CR2 - Me2C=O (iPrO)2Al CR2
(iPrO)2Al CR2 O
O O
7.4 Problemi
1. La velocità d’idrolisi acido-catalizzata del 2-idrossimetilbenzoato di etile è
superiore a quella del benzoato di etile. Sapendo che kO-H/kO-D = 3.5, scrivere il
meccanismo dettagliato dell’idrolisi del 2-idrossimetilbenzoato di etile
giustificando il valore osservato dell’effetto cinetico isotopico.
218
3. Calcolare l’effetto cinetico isotopico primario per la reazione
L
Me _ _
Ph + EtO + EtOL + Br
CH2Br Ph
Sono note le frequenze delle bande IR dovute allo stiramento simmetrico per il
legame C-L: νC-H = 2914 cm-1, νC-D = 2085 cm-1.
O O
_
+ HO + HOL
L3C CL3 L3C CL2
OH O
CrO3
7.5 Bibliografia
La trattazione completa e rigorosa degli effetti cinetici isotopici si trova nelle
seguenti monografie:
1. L. Melander, W. H. Saunders Jr. Reaction Rates of Isotopic Molecules Wiley,
New York, 1980.
2. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973, pag. 226.
Per quanto riguarda la marcatura isotopica nello studio dei meccanismi delle reazioni
organiche è utile consultare le seguenti rassegne:
3. C. Wentrup, in C. F. Bernasconi Investigation of Rates and Mechanisms of
Reactions Wiley, New York, 1986, 4a Edizione, Vol. 1, pag. 613.
4. C. J. Collins Adv. Phys. Org. Chem. 1964, 2, 3.
219
8
CATALISI
____________________________________________________________________
8.1 Introduzione
L’argomento della catalisi in chimica organica è molto vasto ed articolato poiché
esistono numerose tipologie di catalizzatori. La varietà dei composti elemento-
organici utilizzata nella catalisi omogenea ne è un esempio; gli enzimi sono
catalizzatori molto specifici e complessi dal punto di vista strutturale mentre la
diffusissima catalisi acido-base implica l’intervento del semplice protone o dello ione
idrossile in qualità di catalizzatori. Anche le reazioni organiche in grado di trarre
benefici, in termini cinetici, dalla presenza di un catalizzatore sono numerosissime;
ne segue che le reazioni catalizzate rappresentano probabilmente la classe più ampia
di reazioni organiche. A queste considerazioni preliminari e del tutto generali si deve
aggiungere il fatto che il meccanismo di una trasformazione organica non può dirsi
chiarito in modo soddisfacente qualora non sia compreso il ruolo giocato
dall’eventuale catalizzatore. Come regola generale nota dai primi corsi di chimica
organica si ricorda che il catalizzatore non può modificare la posizione d’equilibrio di
una reazione. Utilizzando la terminologia propria della termodinamica classica, le
energie libere dei reagenti e dei prodotti non sono modificate dalla presenza del
catalizzatore, come risulta evidente dall’esame della Figura 8.1. D’altra parte in
presenza di un catalizzatore efficace si osserva un incremento della velocità di
reazione rispetto al corrispondente processo non catalizzato; questo comportamento si
220
deve sempre al fatto che la specie catalitica impone un cammino, lungo la coordinata
di reazione, caratterizzato da un’energia libera di attivazione inferiore rispetto a
quella del processo non catalizzato.
=
∆∆G reazione catalizzata
coordinata di reazione
Figura 8.1. Andamento energetico di una generica reazione endoergonica catalizzata e del
corrispondente processo non catalizzato.
=
reazione catalizzata
∆G
=
∆Gcat
coordinata di reazione
Figura 8.2. Andamento di una generica reazione esoergonica catalizzata e del corrispondente
processo non catalizzato. I due minimi energetici più profondi indicano l’esistenza di una
complessazione catalizzatore-reagenti e catalizzatore-prodotti.
221
8.2 Catalisi acido-base
La classe più ampia tra le reazioni catalizzate implica il trasferimento di un protone o
di uno ione idrossile, il che individua l’insieme delle trasformazioni acido (o base)-
catalizzate. Questo tipo di catalisi si esplica qualora l’acido o la base coniugata del
substrato sia più reattiva della corrispondente specie neutra. A titolo d’esempio si
consideri l’idratazione degli alcheni, che decorre molto più velocemente in presenza
di quantità catalitiche di acido. E’ evidente che il carbocatione che si sviluppa come
intermedio è in grado di agire da elettrofilo molto più efficacemente del doppio
legame neutro.
+
H H2O
H
OH2 OH
H + H
-H
+ k2 +
SH P+ H (lenta)
Si ha allora k1, k-1 >> k2 e quindi v = d[P]/dt = k2 [SH+]. Tenendo presente che il
primo dei due stadi è un processo di equilibrio caratterizzato dalla costante
K = [SH+]/[S][H+] si può scrivere
d[P]/dt = Kk2 [S][H+] = k [S][H+]
La velocità di reazione dipende dalle concentrazioni del substrato e del solvente
protonato, ovvero l’unica specie acida in grado di catalizzare questo tipo di processo
è il solvente protonato. In questo caso si parla di catalisi acida specifica. Se la
reazione viene condotta in acqua la catalisi viene esplicata dallo ione idronio, suo
acido coniugato; la terminologia corrente assegna in questo caso la denominazione di
“catalisi specifica da ione idronio”. Per tutti gli altri solventi vale la denominazione di
“catalisi specifica da ioni lionio”.
E’ d’uso comune rappresentare la velocità di reazione per processi che decorrono in
acqua od in fase acquosa attraverso l’espressione d[P]/dt = koss [S] dove koss = k [H+].
Ponendo quest’ultima eguaglianza in forma logaritmica si ricava
Log koss = Log k - pH
222
che è l’equazione di una retta con pendenza -1. Diagrammando Log koss in funzione
del pH si ottiene il grafico riportato nella Figura 8.3 (a), che mostra come
all’aumentare del pH si ha diminuzione della velocità di reazione. Per una reazione
soggetta a catalisi acida specifica la costante cinetica koss non varia al variare della
concentrazione di una qualsiasi specie acida HA diversa da H+ che, infatti, non
compare nell’espressione della velocità di reazione [Figura 8.3 (b)].
tan α = −1
α
pH = 6
Figura 8.3. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [HA] (b) per una generica reazione
soggetta a catalisi acida specifica in acqua.
Per un processo che avvenga in acqua e sia soggetto a catalisi basica specifica si ha
d[P]/dt = k [S][OH¯] = koss [S] dove koss = k [OH¯] = k Kw/[H+] , e quindi
Log koss = Log k’ + pH
L’andamento grafico di Log koss in funzione del pH è riportato in Figura 8.4 (a) ed è
l’immagine speculare di quello operante nel caso della catalisi acida specifica. A pH
costante, per variazione della concentrazione della base B [Figura 8.4 (b)] la costante
cinetica osservata rimane invariata analogamente a quanto si osserva nel caso delle
reazioni acido-catalizzate.
α
pH = 2
tan α = 1
Figura 8.4. Diagrammi di Log koss in funzione del pH (a) e di [B] (b) per una generica reazione
soggetta a catalisi basica specifica in acqua.
223
8.2.2 Catalisi acida generale
Qualora il trasferimento protonico avvenga completamente o parzialmente nello
stadio lento della reazione essa è soggetta a catalisi acida generale.
Se il protone viene ceduto direttamente dalla specie acida HA al substrato S senza
che avvenga mediazione da parte del solvente, può essere seguito uno schema
cinetico in due stadi dei quali quello lento è rappresentato dal trasferimento
protonico.
k1 + _
HA + S SH + A (lenta)
k-1
+ k2 +
SH P + H (veloce)
In alternativa il trasferimento protonico può avvenire, sempre nello stadio lento,
dando il prodotto protonato PH+ che, in quanto intermedio labile, dà velocemente il
prodotto P.
k1 + _
HA + S PH + A (lenta)
k-1
+ k2 +
PH P + H (veloce)
Dato che Ka = [H+][A¯]/[HA], l’equazione 8.1 si può riscrivere nel modo seguente
224
l’andamento rettilineo a coefficiente angolare nullo della porzione sinistra del grafico.
Qualora il pH sia maggiore di almeno 1 unità rispetto al valore di pKa della specie
acida HA, l’aumento di un’unità pH si traduce nella diminuzione pari a 10 volte del
rapporto [HA]/[A¯]. Se ne deduce che l’andamento di Log koss in funzione del pH è
rappresentato da una retta con pendenza pari a -1, com’è illustrato nella porzione
destra del grafico. Per valori di pH prossimi al pKa di HA, cioè nell’intervallo
pH ≈ pKa ± 1, l’aumento del pH non è in relazione lineare con la diminuzione di
Log koss, come si vede dalla porzione centrale del diagramma. In questo intervallo
non è possibile trascurare la concentrazione degli ioni idrossido ed il mantenimento
della condizione di elettroneutralità implica la seguente relazione quadratica
[H+] = [OH¯] + [A¯] = Kw/[H+] + [A¯]
ovvero
[H+]2 – [A¯][H+] – Kw = 0
per cui la variazione di pH non può essere in relazione lineare con la diminuzione di
Log koss.
Log koss
pKa-1 pK +1 pH
pKa a
Figura 8.5. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione
soggetta a catalisi acida generale.
Per reazioni soggette a catalisi basica generale che decorrono in acqua od in fase
acquosa il diagramma di Log koss in funzione del pH è l’immagine speculare di quello
riportato nella Figura 8.5. In questo caso si ha infatti
d[P] [BH + ]
= k1[S][B] = k1 [S] = k oss [S]
dt K b [H + ]
dove
Log koss = Log (k1/Kb) + Log [BH+] + pH
L’andamento della porzione destra del grafico in Figura 8.6 si spiega sulla base di
quest’ultima equazione. Seguendo considerazioni del tutto simili a quelle appena
esposte nel caso di reazioni soggette a catalisi acida generale si spiegano facilmente
le rimanenti due parti del grafico in questione.
225
Log koss
pH
pKa (BH+)
Figura 8.6. Diagramma di Log koss in funzione del pH per una generica reazione
soggetta a catalisi basica generale.
+ _ k2
SH + A P + HA (lenta)
226
acida sia specifica che generale e la catalisi basica sia specifica che generale.
Tenendo conto che Kw = [H+][OH¯], Ka = [H+][A¯]/[HA] ed indicando con
r = [HA]/[A¯] il rapporto tampone, la costante di velocità k diviene
k = k(r) + (kHA + kA/r) [HA]
Diagrammando k in funzione di [HA] si ottiene il grafico di una retta a pendenza
kHA + kA/r ed intercetta k(r). Eseguendo la stessa reazione in differenti condizioni di
concentrazione relativa delle specie tampone [A¯] ed [HA], cioè al variare di r, si
ricavano i valori di kHA e kA.
Log ka
-0
-0.5
-1.0
α = 0.47
-1.5
227
I grafici del tipo di quello riportato nella Figura 8.7 sono detti diagrammi di Brønsted.
Sul significato del parametro α, il cui valore è compreso tra 0 ed 1, esistono
attualmente due versioni complementari nessuna delle quali è accettata
universalmente. Secondo una prima definizione, il valore di α esprime la sensibilità
della costante di velocità nei confronti delle variazioni strutturali che intervengono
nell’ambito di una serie di reazioni realizzate in presenza di differenti specie acide
HA. Quest’ultima frase è piuttosto generica e non permette di mettere a fuoco in
modo preciso il significato chimico del parametro di Brønsted.
Un secondo modo di affrontare questo problema mette in relazione il valore di α con
il grado di trasferimento protonico che interviene a livello dello stato di transizione
relativo allo stadio lento del processo reattivo. Il valore α = 1 implica che la
variazione di una unità pKa della specie acida HA comporti una variazione pari a 10
volte nel valore della costante di velocità ka. Una situazione di questo tipo si verifica
plausibilmente quando il trasferimento protonico da HA al substrato è avvenuto
completamente a livello dello stato di transizione. Quest’affermazione è ragionevole
sulla base del fatto che la definizione di pKa si riferisce al trasferimento protonico
completo dalla specie acida HA all’acqua, il che chiarisce anche il motivo per cui il
valore massimo di α debba essere 1. All’estremo opposto, ovvero se α = 0, la
reazione è insensibile alla forza della specie acida. In questo caso HA non dona il
proprio protone al substrato nello stadio lento della reazione. Coefficienti di Brønsted
di valore inferiore allo zero non sono possibili. Infatti, in questa situazione un certo
acido esplicherebbe un’attività catalitica minore di un altro acido più debole, il che è
in contrasto con l’idea stessa di catalisi acida intesa come processo che implica
necessariamente il verificarsi di un trasferimento protonico. Sono invece stati
osservati valori di α anomali in quanto superiori all’unità. In questi rari casi il valore
di ka in funzione di – pKa aumenta più rapidamente di quanto si possa prevedere sulla
base dell’equazione 8.3. Questi valori anomali del parametro di Brønsted indicano
che la generica reazione in esame è più sensibile dell’acqua nei confronti della
capacità protonante della specie acida.
Le stesse considerazioni espresse nel caso della catalisi acida si possono applicare
alla catalisi basica dato che
kb = Gb Kbβ
e
Log kb = β Log Kb + c
Si può stabilire il tipo di relazione quantitativa che intercorre tra i parametri di
Brønsted α e β considerando il generico equilibrio acido-base
ka
A B
kb
229
L’interazione ciclodestrina-substrato avviene sulla base del riconoscimento
molecolare, così come accade nel caso della catalisi enzimatica. Le ciclodestrine sono
infatti in grado di operare un riconoscimento selettivo a livello molecolare dato che la
loro cavità interna ha un diametro praticamente costante. Inoltre il processo di
riconoscimento è reversibile, non avviene attraverso la formazione di nuovi legami
covalenti ed è soggetto ad inibizione da parte di molecole che abbiano una maggiore
affinità per la ciclodestrina dello stesso substrato.
Uno dei primi esempi di catalisi supramolecolare operati dall’α-ciclodestrina riguarda
l’idrolisi del 4-t-butilfenilacetato. Il meccanismo di funzionamento di questa reazione
è semplice; la parte idrofobica del substrato viene inclusa nella cavità della
ciclodestrina in modo che il gruppo acetile resti in soluzione acquosa potendo subire
la reazione d’idrolisi. In seguito a questa reazione il 4-t-butilfenolo viene rimosso
dalla cavità della ciclodestrina.
O
t-Bu
230
poliazamacrociclo zinco(II)-complessato e della β-ciclodestrina non legati in modo
covalente, che infatti è più veloce. Ciononostante l’entità della catalisi
supramolecolare operante in questo esempio è notevole in quanto il rapporto tra le
costanti di velocità kcat/knc = 234, dove con knc si indica la costante cinetica per la
reazione d’idrolisi non catalizzata.
H
H
N N
OH O
Zn
N N O
H
NO2
t-Bu
70 : 30
t-Bu
Oltre alle ciclodestrine esistono numerosi altri esempi di molecole sintetizzate
espressamente allo scopo di esplicare catalisi supramolecolare. Il seguente esempio
riporta l’idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina (PNPCC) catalizzato da un
cavitando funzionalizzato con un complesso di tipo zinco (II)-salen a struttura A.
Quest’ultimo sistema riesce ad adottare una conformazione “a vaso” in cui lo
zinco(II) si trova nella posizione opportuna per attivare convenientemente il carbonile
della PNPCC nei confronti delle addizioni nucleofile.
O2N _
O
I
NMe3 (PNPCC)
O O
231
L’idrolisi di PNPCC procede lentamente nelle usuali condizioni di reazioni mentre in
presenza di un equivalente di A la velocità del processo aumenta di 50 volte.
EtCONH NHCOEt
O O
O Et O
EtCONH NHCOEt
Et Et
EtCONH NHCOEt
O Et O
O O
N N
Zn
t-Bu O O tBu
t-Bu t-Bu
O
N
COOH COOH
B
"Mn2O4"
ibuprofene
232
Nell’ambito di questo complesso supramolecolare risultano evidenti il legame ad
idrogeno tra l’ossigeno carbonilico dell’ibuprofene ed il gruppo OH dell’acido di
Kemp, e la prossimità tra la posizione benzilica monosostituita dell’ibubrofene ed
uno degli ossigeni legati al manganese (IV).
O H O
O
O N
O
H O
O H
Mn N N
N
O O
O O O
N
N N Mn
O O
N
O O
N
O N N eso
cat
N O
+
O O O
N
N
O endo
N
O
Zn
cat =
Zn Zn
233
8.5 Catalisi micellare
Le micelle sono aggregati globulari formati da opportune molecole dette surfattanti.
Queste ultime entità sono costituite a loro volta da una regione lipofila o idrofobica
non polare e da una testa idrofila che può essere anionica, cationica o neutra.
(a) (b)
Figura 8.8. (a) Sezione di una generica micella diretta a forma approssimativamente sferica. Le
catene idrofobiche sono contrassegnate dalla linea a zig-zag, i cerchi neri rappresentano
la testa polare del surfattante. (b) Micella inversa.
234
La costituzione di una micella in seno alla fase acquosa comporta una forte
diminuzione dell’entalpia del sistema dovuta a due fattori. In primo luogo la forza di
coesione tra le molecole d’acqua della soluzione impone alle catene idrocarburiche
del surfattante di occupare il minor volume possibile. Questa circostanza opera a
favore della costituzione della fase micellare, che dev’essere accompagnata dalla
disposizione verso l’esterno delle teste polari del surfattante. In questo modo subentra
il secondo fattore di stabilizzazione, dato che solo la parte polare della micella resta a
contatto diretto con la fase acquosa. La diminuzione di entalpia che accompagna la
formazione di una micella è sufficiente a superare i fattori che giocano un ruolo
contro la formazione della stessa micella, ovvero la diminuzione di entropia dovuta
all’organizzazione delle catene idrocarburiche e le forze di repulsione che si
instaurano tra di esse. Un buon numero di reazioni organiche risultano notevolmente
accelerate qualora siano condotte in presenza di micelle, si dice allora che le reazioni
in questione sono soggette a catalisi micellare. Le basi fisiche della catalisi micellare
implicano l’intervento di due fattori. In primo luogo l’energia libera di attivazione del
processo reattivo diminuisce se avviene nella fase micellare, cioè nella porzione
interna ed idrofobica della micella, piuttosto che in acqua. Questo fattore
(∆G≠cat < ∆G≠non cat) è comune a tutti i tipi di catalisi. L’elemento di distinzione della
catalisi micellare è connesso alla localizzazione delle specie reagenti nell’ambito del
volume definito dalla fase micellare. In altri termini le specie reagenti si trovano in
condizioni di concentrazione molto elevata dovendo occupare necessariamente il
piccolo volume dalla porzione idrofobica della micella al contrario di quanto
avverrebbe nella fase acquosa libera nella quale i reagenti risulterebbero dispersi.
Questo effetto di alta concentrazione dei reagenti è il vero responsabile
dell’incremento della velocità di reazione rispetto all’analogo processo condotto in
assenza di micelle. Molte classi di reazioni organiche traggono benefici di carattere
cinetico qualora siano realizzate in presenza di micelle, per questo motivo è
preferibile focalizzare l’attenzione su un esempio specifico piuttosto che seguire una
lunga trattazione per classi di reazione. L’idrolisi basica del 5,5’-ditiobis
(2-nitrobenzoato) (DTNB) decorre in acqua secondo il seguente meccanismo
OOC COO
_
Ar S S Ar + OH Ar S + Ar SOH (lenta)
Ar = NO2
COO
235
che implica la stechiometria complessiva
_
2 Ar S S Ar + 2 OH 3 Ar S + Ar SO2 + 2H+
Questa reazione procede attraverso una cinetica del secondo ordine espressa
dall’equazione
d[DTNB]
− = k 2 [DTNB][OH − ]
dt
la cui costante di velocità vale k2 = 0.54 l mol-1 s-1 a 25°C. Qualora la stessa reazione
sia condotta aggiungendo il surfattante cetiltrimetilammonio bromuro (CTAB)
presente in concentrazione superiori alla sua CMC (3.4ּ10-4 M), si verifica un
incremento della costante di velocità diagrammato nel grafico della Figura 8.9. Si può
notare che detta costante di velocità aumenta ulteriormente all’aumentare del pH
della soluzione acquosa, il che è compatibile con l’espressione piuttosto complessa di
k2 ricavata appositamente per l’idrolisi in presenza di micelle (equazione 8.4)
(k m / V ) K DTNB K OH [DTNB] + k w
k2 = equazione 8.4
(1 + K DTNB [DTNB])(1 + K OH [DTNB])
dove:
km e kw sono rispettivamente la costante di velocità all’interno del volume
micellare e nella fase acquosa,
V è il volume molare parziale del surfattante,
KDTNB e KOH rappresentano rispettivamente le costanti di legame del surfattante e
dell’acqua; si tratta di indici della ripartizione tra la fase acquosa ed il volume
micellare.
k2
3.0
pH = 13.5
2.0
pH = 12.33
1.0
pH = 11.94
236
alcune cicloaddizioni secondo Diels/Alder. In questi casi è stata avanzata una
spiegazione basata sul fatto che la specie dienofila si lega solo sulla superficie della
micella senza penetrare nel volume micellare. Ciò implica che la cicloaddizione
avvenga ancora in ambiente acquoso senza trarre quindi alcun beneficio dalla
presenza della micella.
(3) _
R Br + QCN R CN + Q+ Br fase organica
(2) (4)
interfaccia
(1) _
NaBr + QCN NaCN + Q+ Br fase acquosa
Figura 8.10. Ciclo catalitico a trasferimento di fase per una reazione di sostituzione nucleofila.
237
La specie QCN è meno ionizzata del corrispondente bromuro ed è ugualmente dotata
di una lunga catena alchilica in grado di farla penetrare nella fase organica secondo
l’equilibrio (2), che costituisce il vero e proprio “trasferimento di fase”. All’interno
della fase organica la porzione anionica della specie Q+ CN¯ è poco solvatata e quindi
fortemente nucleofila. Come risultato, nella fase organica avviene rapidamente la
reazione di sostituzione nucleofila (3) che dà il cianuro di n-ottile e rigenera il
bromuro di fosfonio quaternario Q+ Br¯. L’equilibrio (4) regola la ripartizione di
Q+ Br¯ tra la fase organica e quella acquosa completando il ciclo catalitico.
238
a
N
5
4
b
c
2 d
1
0 0.13 0.26
[surfattante]
Figura 8.11. Numero di aggregazione N in funzione della concentrazione di surfattante.
a: C16H33(nBu)3N+ Br¯/benzene, b: C16H33(nBu)3P+ Br¯/benzene,
c: C16H33(nBu)3N+ Br¯/1-bromopropano, d: C16H33(nBu)3P+ Br¯/1-bromopropano.
O
O O O
O O O O
O O
O O O O
O
O BuO(CH2CH2O)3 N (OCH2CH2)3OBu
O O O O
N O O N N N
O O
O O (OCH2CH2)3OBu
N N
239
La complessazione del catione da parte di queste molecole chelanti implica da un lato
la possibilità di sciogliere il complesso metallo-chelante in soluzione organica,
dall’altro l’esaltazione della nucleofilicità dell’anione X¯.
O O
O O O O
+
_ + _
+ K X K X
O O O O
O O
In questo caso non si forma Q+ OH¯ libero di diffondere nella fase organica; il nitrile
viene probabilmente deprotonato all’interfaccia e forma una coppia ionica con il
catione quaternario Q+. Questa coppia ionica diffonde poi nella fase organica e
subisce l’alchilazione. Il meccanismo potrebbe dunque essere
_ + _ CN R
HO Q_X + R X + _
Ph CN Ph CN Q + QX
-H2O -X Ph CN
Ph
(all'interfaccia) (in fase organica)
240
+ _
Q Br
R Br + NaCN R CN + NaBr
241
Se r può considerarsi costante, il che è plausibile dal punto di vista chimico, il
rapporto kKQ0/(r + K) non è che la costante cinetica osservata, per cui l’equazione
della velocità di reazione assume la semplice forma
d[RBr]
= −k oss [RBr ]
dt
che sancisce una cinetica dello pseudo-primo ordine per le reazioni soggette alla
catalisi a trasferimento di fase. Questo comportamento cinetico è stato dedotto
assumendo che l’equilibrio di scambio tra gli anioni nella fase acquosa e quelli
associati al sale quaternario in fase organica sia molto veloce rispetto alla reazione di
sostituzione nucleofila che ha luogo nella fase organica. Questa assunzione non è più
valida qualora il trasferimento di massa attraverso l’interfaccia risulti ritardato, ad
esempio, da un’agitazione troppo scarsa. In assenza di agitazione la reazione di
sostituzione nucleofila non procede mentre con una frequenza di agitazione superiore
a 250 giri/minuto il valore di koss rimane praticamente costante (Figura 8.12). Questo
comportamento è tipico per una reazione che avviene all’interno della fase organica
mentre è noto che per reazioni che hanno luogo all’interfaccia la velocità del processo
risulta direttamente proporzionale alla frequenza di agitazione.
104 koss
2
0
250 giri/min
Figura 8.12. Andamento di koss in funzione della frequenza di agitazione.
8.7 Organocatalisi
L’attività catalitica esplicata da piccole molecole organiche in grado di formare
legami covalenti con il substrato è nota col termine di organocatalisi. La molecola
organica che funge da catalizzatore deve poter legare il substrato dando un
intermedio che sia più reattivo dello stesso substrato nei confronti della
trasformazione che si intende realizzare. Un esempio molto semplice riguarda
l’addizione nucleofila coniugata sull’acroleina in presenza di un’ammina secondaria
in qualità di catalizzatore. Innanzitutto il gruppo aldeidico dell’acroleina reagisce con
l’ammina secondaria presente in quantità catalitiche. A questo punto avviene
l’addizione nucleofila coniugata ad opera del generico nucleofilo Nu¯, che decorre
più velocemente sul sale di imminio che sull’acroleina. In seguito l’ammina
secondaria viene liberata dal sale di imminio per idrolisi completando il ciclo
catalitico.
242
O + H+ H2O
O NH
+
H + _
H2O Nu
Nu
N N
+
H
Nu Nu
La maggiore reattività del sale di imminio rispetto all’acroleina nei confronti delle
specie nucleofile è dovuta alla carica positiva coniugata al doppio legame etilenico
che ne abbassa il livello energetico del LUMO. Poiché l’addizione nucleofila è
controllata dall’HOMO della specie nucleofila ne deriva una una diminuzione
dell’energia E(LUMO) – E(HOMO), rappresentata da ∆E2 (Figura 8.13), rispetto alla
differenza ∆E1 dell’acroleina.
E _
O Nu N
LUMO
LUMO
∆E1
∆E2
HOMO
Figura 8.13. Energie degli orbitali di frontiera dell’acroleina, del nucleofilo e del sale di imminio.
O O
NH NH
Bn N tBu Bn N tBu
+
H
Nu Nu
Bn N
O
244
8.8 Catalisi metallorganica
La catalisi promossa da complessi di metalli di transizione è particolarmente
interessante sia per via delle implicazioni meccanicistiche che per il massiccio
utilizzo che ne viene fatto nella sintesi organica di laboratorio ed industriale. Il campo
della catalisi omogenea è molto vasto dato che sono noti numerosissimi complessi di
metalli di transizione in grado di fungere da catalizzatori; inoltre un gran numero di
reazioni organiche sono facilitate dalla presenza di tali complessi. Poiché in questa
sede l’argomento della catalisi omogenea è limitato ad un solo paragrafo appare
ovvio che vi si può solo accennare molto brevemente. Le sole nozioni necessarie per
la comprensione di questo paragrafo sono quelle relative alla regola dei 18 elettroni
ed ai meccanismi di somma ossidativa ed eliminazione riduttiva. Per via della natura
puramente introduttiva di questa discussione ci si limiterà alla descrizione di pochi
cicli catalitici di particolare rilevanza, privilegiando gli aspetti connessi alla chimica
del centro metallico piuttosto che quelli più propriamente sintetici.
245
H H
Ph3P
III Ph3P III H
Rh H Rh
Cl PPh3
Ph3P
Cl
H2 -H2 β−migrazione
H H
Ph3P
I Ph3P III
Rh Cl Rh
Ph3P Ph3P
Cl
(14 e-) (16 e-)
H H
Nei cicli catalitici che implicano l’intervento di complessi con fosfine terziarie
l’ingombro sterico del legante è molto importante poiché influenza gli equilibri
dissociativi, l’orientazione della complessazione con i leganti insaturi e la stabilità
degli alchilderivati intermedi. Una conseguenza delle interazioni steriche è quella di
rendere possibili idrogenazioni sitoselettive come illustrato nel seguente esempio.
H2
(Ph3P)3RhCl
O O
COOMe COOMe
PPh2
Ph2P O
PPh2
O PPh2
Ph2P
PPh2
DIOP (+)-camphos
Nel campo della sintesi organica uno dei risultati più eclatanti ottenuti
nell’applicazione della catalisi omogenea in presenza di fosfine chirali quali leganti
246
concerne la preparazione della L–DOPA in forma enantiopura per riduzione di
alcheni a formula generale
NHR1
RCH
COOH
β−migrazione
H SiR3 Cl SiR3
IV
Pt H
S + Cl
(14 e-)
247
molto meno drastiche, ovvero a 100°C ed a pressione ambiente. Il ciclo catalitico
prevede la somma ossidativa dello ioduro di metile sul complesso (CO)2RhII2¯ con la
generazione di un nuovo complesso bipiramidale tetragonale. Quali stadi ulteriori si
hanno la β-trasposizione di CO e la successiva addizione di una seconda molecola di
CO. Si genera così un acilcomplesso bipiramidale tetragonale che per eliminazione
riduttiva di ioduro di acetile rigenera il complesso (CO)2RhII2¯.
Me
I I CO MeI I III CO
Rh Rh
I CO I CO
I
(16 e-) (18 e-)
MeCOI
β-trasposizione
COMe COMe
I III CO I III
Rh Rh CO
I CO CO I
I I
(18 e-) (16 e-)
Lo ioduro di acetile così formato si idrolizza assai facilmente ad acido acetico,
MeCOI + H2O → MeCOOH + HI
mentre lo ioduro di metile necessario per l’innesco del ciclo catalitico proviene dalla
reazione
MeOH + HI → MeI + H2O
248
complesso di idruropalladio(II) che comporta la rigenerazione del catalizzatore
(Ph3P)2Pd0.
R X
Ph3P II R
(Ph3P)2Pd0 Pd
Ph3P X
(14 e-) (16 e-)
_
BH+X
R1
B
Ph3P II X Ph3P II X R
Pd Pd
Ph3P H Ph3P H
R1
(16 e-) R
R1 (16 e-)
Al lato pratico la generazione del complesso di Pd0 viene realizzata in situ per azione
della trifenilfosfina su un sale di palladio(II). Un esempio di reazione di Heck è il
seguente.
(AcO)2Pd (1%) S
Br +
S N Ph3P (2%) N
8.9 Problemi
1. “La catalisi acido-base generale si verifica solo: (a) su siti che implicano grandi
variazioni di pK nel corso della reazione, (b) quando il pK del catalizzatore è
intermedio tra i valori iniziali e finali di pK del sito reattivo.” Sulla base di
questa regola, nota come “regola della libido” (W. P. Jencks, 1972) dire se le
seguenti trasformazioni decorrono attraverso catalisi acido-base generale: (a)
idrolisi acido-catalizzata degli esteri di acidi carbossilici, (b) idrolisi acido-
catalizzata di acetali, chetali ed ortoesteri.
249
4. Si consideri l’enolizzazione dell’acetofenone. Scrivere: (a) un meccanismo a
catalisi acida specifica, (b) un meccanismo a catalisi acida generale.
6. Quando una reazione è soggetta sia a catalisi acida generale che a catalisi
basica generale si osserva il seguente andamento “a campana” di log koss in
funzione del pH. Spiegare.
log koss
pH
7. Dimostrare che l’equazione
ka
= K a (α + β )
kb
(pag 228-229) è soddisfatta se α + β = 1.
COOH
4 ּ 104 M 2 ּ 1013 M
8.10 Bibliografia
Tra le monografie che trattano i vari aspetti inerenti alla catalisi risalta la seguente
opera per la sua completezza e la chiarezza espositiva:
1. W. P. Jencks Catalysis in Chemistry and Enzymology Dover Publications, New
York, 1987.
250
Approfondimenti molto utili si trovano anche in:
2. R. P. Bell The Proton in Chemistry Cornell University Press, Ithaca, New York,
1973.
3. R. Stewart The Proton: Applications in Organic Chemistry Academic Press,
New York, 1985.
- catalisi supramolecolare
6. P. W. N. M. van Leeuwen Supramolecular Catalysis Wiley-VCH, Weinheim,
2008.
- organocatalisi
7. A. Berkessel, H. Gröger Asymmetric Organocatalysis Wiley-VCH, Weinheim,
2005.
- catalisi metallorganica
8. J. P. Collman, L. S. Hegedus, J. R. Norton, R. G. Finke Principles and
Applications of Organotransition Metal Chemistry University Science Books,
Mill Valley, 1987.
251
9
METODI DI ATTIVAZIONE NON
CONVENZIONALI DI REAZIONI
ORGANICHE
____________________________________________________________________
9.1 Introduzione
Il decorso delle reazioni organiche può essere facilitato in vari modi, alcuni dei quali
sono stati presi in considerazione nei capitoli precedenti. Gli effetti della temperatura
sono stati discussi nell’ambito dell’equazione di Arrhenius, della teoria delle
collisioni e dello stato attivato. Si è anche detto che l’applicazione di pressioni
dell’ordine di diversi Kbar può migliorare l’andamento di molte reazioni e addirittura
rendere possibili trasformazioni che non avvengono a pressione ambiente. Inoltre si è
constatato che la catalisi in tutte le sue forme è in grado di produrre notevoli vantaggi
di ordine cinetico nei confronti di un’enorme numero di reazioni organiche.
Naturalmente è possibile intervenire su fattori strutturali ed elettronici per migliorare
la reattività di un substrato.
Esistono tuttavia altre forme di attivazione delle reazioni organiche che esulano dai
metodi e dai concetti finora presi in considerazione e possono risultare molto utili ai
fini preparativi, oltre che costituire argomenti di per sé interessanti dal punto di vista
della chimica organica fisica. Seguendo lo stesso criterio adottato nei capitoli
precedenti ci si propone ora di illustrare alcuni degli aspetti più rilevanti nell’utilizzo
delle microonde, degli ultrasuoni e delle attivazioni elettrochimica e fotochimica
enfatizzandone gli aspetti fisici e meccanicistici.
252
9.2 Microonde
Le microonde sono caratterizzate da lunghezze d’onda comprese tra 1 mm ed 1 m cui
corrispondono, rispettivamente, frequenze di 300 e 0.3 GHz. Nell’ambito dello
spettro delle radiazioni elettromagnetiche le microonde si collocano ad energie
piuttosto basse, al di sotto di 28.6 cal/mole. La particolare importanza delle
microonde in chimica organica è legata al rapido riscaldamento del materiale
irradiato, com’è noto dall’esperienza quotidiana legata all’utilizzo dei comuni forni a
microonde per il riscaldamento dei cibi. Nel campo della chimica organica si è soliti
procedere al riscaldamento di una miscela di reazione con apparecchiature che hanno
lo svantaggio di produrre piuttosto lentamente l’aumento della temperatura. Oltretutto
non è raro che durante il riscaldamento, ad esempio con un termomanto, si producano
surriscaldamenti locali che comportano la parziale decomposizione dei reagenti.
Questo inconveniente si elimina irradiando il reattore che contiene la miscela di
reazione con microonde dato che esse non sono assorbite dalle pareti del recipiente e
possono quindi riscaldare solo il solvente ed i reagenti. Servendosi di
un’apparecchiatura ben congegnata l’aumento della temperatura risulta abbastanza
omogeneo in tutta la miscela di reazione.
253
gassosa sono troppo distanti perché si possa dissipare efficacemente energia
attraverso frizioni e collisioni intermolecolari.
Figura 9.1. Rappresentazione pittorica della disposizione dei dipoli molecolari: (a) in un campo
elettrico statico, (b) in un campo elettrico ad alta frequenza,
(c) in un campo elettrico generato da microonde.
T (°C)
120 acqua
100
80
60
40 diossano
20
10 20 30
tempo (min.)
Figura 9.2. Riscaldamento con microonde di acqua e diossano in funzione del tempo.
254
nucleazione presenti sulla superficie riscaldante. Poiché, come si è detto, il recipiente
che contiene il solvente è trasparente alle microonde si ha la mancanza dei siti di
nucleazione, che è accompagnata dal ritardo nell’ebollizione. Nella Tabella 9.1 sono
riassunti i punti di ebollizione di alcuni solventi organici polari a pressione ambiente
con e senza irradiamento da microonde.
Tabella 9.1. Punti di ebollizione di solventi organici polari.
_______________________________________________________________________________________
T (°C)
120 acqua
80
60
40
20
10 20 30
tempo (min.)
Figura 9.3. Riscaldamento con microonde di acqua distillata ed acqua contenente ioni
in funzione del tempo.
Può accadere che due solventi puri di polarità simile irradiati con microonde per un
certo tempo e con la stessa potenza subiscano un aumento di temperatura assai
diverso. Ad esempio l’acetone (ε = 20.56) e l’etanolo (ε = 24.55) dopo 30 minuti
d’irradiamento raggiungono rispettivamente i 52 ed i 105°C. Questo comportamento
255
è razionalizzabile prendendo in considerazione la permettività dielettrica del solvente,
ε’. Essa rappresenta la tendenza di una molecola ad essere polarizzata dal campo
elettrico applicato. Definendo con ε’’ la perdita dielettrica, che quantifica l’efficienza
del materiale dielettrico nel trasformare in calore l’energia delle microonde, si
stabilisce la relazione tan δ = ε”/ε’. Tan δ è il fattore di dispersione del dielettrico, che
indica la capacità del materiale di assorbire l’energia delle microonde convertendola
in energia termica. A parità di costante dielettrica solventi caratterizzati da valori di
tan δ maggiori si riscaldano più rapidamente. Nel caso preso in considerazione i
valori di tan δ per l’etanolo e l’acetone valgono rispettivamente 0.054 e 0.042.
256
come nel caso della reazione di Diels/Alder sopra menzionata tra antracene e
dimetilmalonato. Nell’evenienza che ad un processo concertato partecipino reagenti
relativamente polari si possono invece verificare effetti specifici dovuti
all’irradiamento con microonde. Costituisce un esempio in questo senso la
cicloaddizione 1,3-dipolare tra nitroni e composti fluorurati.
OH Ph COOEt
O H Me
COOEt COOEt + N CF3
F3C F3C
Ph O Me N
O OH
_________________________________________________________________________________________
257
Tipici processi di sostituzione nucleofila quali le reazioni SN 2 tra la 2-cloropiridina e
cloruri alchilici e la reazione di sostituzione nucleofila aromatica tra para-cloro
toluene e piperidina subiscono una forte accelerazione passando dal riscaldamento
tradizionale, indicato col simbolo ∆, all’irradiamento con microonde (MW).
+ R Cl
N Cl N Cl
_
Cl
R
_____________________________________________________________________________
∆ MW
_____________________________________________________________________________
__
COOEt 40 min 165 80
__
COOEt 23 h 165 46
__
CN 40 min 165 56
__
CN 23 h 165 10
_____________________________________________________________________________
Cl
+ Me N
N
Me H
MW: 6 min, a riflusso, 70%. ∆: 16 h, a riflusso, 60%.
Per quanto riguarda le addizioni al carbonile, si considerino le preparazioni di
N-sulfonilimmine o di ∆2-ossazoline. A parità di condizioni, cioè tempi e
temperature, i rendimenti risultano di gran lunga migliori irradiando la miscela di
reazione con microonde.
PhCHO + H2NSO2p-Tol → PhCH=NSO2p-Tol
MW: 6 min, 190°C, 91%. ∆: 6 min, 190°C, 40%.
OH
O
OH Ar N
ArCOOH OH
+ H2N HN
OH OH - H2O Ar
O
OH
OH OH
MW: 10 min, 200°C, 80-95%. ∆: 10 min, 200°C, < 5%.
258
presenza di un catalizzatore a trasferimento di fase; nel caso dell’esterificazione
dell’acido benzoico con il bromuro di n-ottile si opera infatti in presenza di carbonato
di potassio e tetrabutilammonio bromuro. Procedendo all’irradiamento con
microonde non è necessario ricorrere all’impiego del catalizzatore a trasferimento di
fase ed i tempi di reazione risultano molto contenuti.
O K2CO3 O
Ph + n-C8H17Br Ph
OH On-C8H17
MW: 150 s, 145°C, 99%.
Anche la reazione opposta, cioè l’idrolisi basica del benzoato di metile, decorre molto
più velocemente per irradiamento con microonde rispetto alla normale reazione
termica.
Come si è detto, esistono reazioni che non risentono degli effetti prodotti dalle
microonde. Ne è un esempio la reazione di Friedel/Crafts tra il mesitilene ed il
fenilsolfonilcloruro in presenza di FeCl3. In questo caso la mancanza di accelerazione
è imputabile al fatto che la specie reattiva Ph-SO2+ FeCl4¯ forma una coppia ionica
piuttosto lasca come del resto lo stato di transizione implicato nella reazione.
SO2Ph
FeCl3
+ PhSO2Cl
9.3 Sonochimica
La sonochimica studia gli effetti provocati da onde sonore, solitamente ultrasuoni,
sulle reazioni chimiche. Gli ultrasuoni sono onde acustiche di frequenza compresa tra
15 KHz e ≈5 MHz che vengono trasmesse attraverso qualsiasi sostanza, sia essa
solida, liquida o gassosa, purché possieda proprietà elastiche. Quando le vibrazioni
emesse da una sorgente acustica sono trasmesse alle molecole del mezzo, ciascuna di
esse dissipa il suo moto per collisione con le molecole vicine prima di tornare allo
stato iniziale. Ne deriva un movimento continuo di molecole che produce regioni
nelle quali si hanno compressioni e rarefazioni del fluido che si alternano seguendo la
frequenza dell’onda sonora. Nel caso di liquidi e gas l’oscillazione delle molecole
avviene lungo la direzione di propagazione dell’onda sonora producendo onde
longitudinali. Per quanto riguarda il presente paragrafo ci si occuperà solo della
trasmissione delle onde ultrasoniche nei liquidi dato che la stragrande maggioranza
delle reazioni chimiche decorre allo stato liquido. Gli effetti della propagazione di
ultrasuoni a bassa frequenza trovano applicazione nella pulitura ultrasonica,
nell’emulsificazione di sospensioni eterogenee e nell’accelerazione di reazioni
chimiche. Tutte queste applicazioni sono il risultato dell’agitazione meccanica
causata dalle onde ultrasoniche o dalla cavitazione -formazione di piccole bolle-
prodotta nella massa liquida.
259
9.3.1 Principi generali
Applicando un campo acustico ad un liquido la vibrazione causata dall’onda sonora
crea una pressione acustica Pa dipendente dal tempo t tale per cui
Pa = PA sin 2πνt
dove ν è la frequenza dell’onda acustica e PA la sua ampiezza massima. L’intensità
dell’onda acustica, che esprime l’energia trasmessa al secondo per cm2 di liquido, è
espressa da
I = P2A/2ρc
dove ρ è la densità del mezzo e c la velocità di propagazione dell’onda sonora nello
stesso mezzo. L’intensità di un’onda sonora risulta attenuata al procedere del suo
passaggio attraverso un mezzo liquido dato che le molecole del mezzo vibrano sotto
l’influenza dell’onda sonora e dissipano l’energia di questa vibrazione per frizione
sotto forma di calore. Si ha riscaldamento nei siti di compressione mentre nei siti di
rarefazione avviene un raffreddamento. Dato che la compressibilità dei liquidi è
comunque molto piccola il riscaldamento della massa liquida risulta alquanto
modesto. L’energia I convertita in calore è espressa dalla relazione
I = I0exp(-2αl)
dove I rappresenta l’intensità alla distanza l dalla sorgente sonora ed α è il
coefficiente di assorbimento espresso dall’equazione di Kirchoff
2π 2ν 2 ⎡ 4 (γ − 1)k ' ⎤
α= 3 ⎢ b
η + ηs + ⎥
ρc ⎣⎢ 3 C p ⎦⎥
nella quale compaiono la viscosità del fluido ηb e la sua viscosità trasversale ηs, la
conduttività termica del mezzo k’, la sua capacità termica a pressione costante Cp e il
rapporto dei calori specifici γ.
Sotto l’influenza di un’onda di pressione la distanza molecolare media di un liquido
varia seguendo l’oscillazione delle molecole intorno alla loro posizione di equilibrio.
Come si è detto, applicando una pressione sufficientemente alta, in seno alla massa
liquida si creano zone nelle quali la distanza tra le molecole è superiore alla distanza
critica R propria del liquido non perturbato. In queste zone la struttura del liquido
subisce dunque una rarefazione che comporta lo sviluppo di vuoti che prendono il
nome di bolle di cavitazione. Queste entità si formano irradiando la massa liquida con
onde ultrasoniche aventi intensità superiore a 10 W cm-2 ed esistono per un tempo
abbastanza breve pari ad alcuni cicli acustici. Durante la loro esistenza le bolle di
cavitazione si espandono fino ad assumere un raggio circa doppio di quello iniziale,
quindi collassano violentemente dando spesso luogo alla formazione di nuove bolle
di diametro molto inferiore. Nel caso dell’acqua la pressione necessaria per creare
bolle di cavitazione si calcola attraverso la relazione semplificata PC ≈ 2σ/R, dove σ
indica la tensione superficiale dell’acqua. Assumendo R = 10-8 cm si ricava
PC ≈ 10 Kbar, mentre se si assume che le bolle di cavitazione siano riempite da
260
vapore si ottiene PC ≈ 1 Kbar. La temperatura massima TM e la pressione massima PM
raggiunte dalle bolle di cavitazione all’inizio del loro collasso sono espresse dalla
relazioni
⎡ P (γ − 1) ⎤
TM = T0 ⎢ m ⎥
⎣ P ⎦
γ / γ −1
⎡ P (γ − 1) ⎤
PM = P ⎢ m ⎥
⎣ P ⎦
dove T0 è la temperatura ambiente del liquido, γ il rapporto tra i calori specifici
gas/vapore, P è la pressione all’interno della bolla di cavitazione al momento della
sua massima espansione e Pm è la pressione all’interno della massa liquida al
momento del collasso della bolla. Il tempo impiegato per il collasso della bolla di
cavitazione non supera di norma 1/5 del periodo di vibrazione dell’onda acustica ed è
espresso da
I = 0.915 R M / ρ M
dove RM è il raggio massimo raggiunto dalla bolla di cavitazione. Una stima dei
valori TM e PM che ricorrono nella fase finale dell’implosione di una bolla di
cavitazione contenente azoto (γ = 1.33) in acqua a 20°C ed 1 bar dà rispettivamente
valori pari a 4200 K e 975 bar. L’esistenza di queste temperature e pressioni molto
elevate sono alla base della razionalizzazione della maggiore reattività che si osserva
generalmente per irradiamento con gli ultrasuoni. Questo incremento di reattività è
imputabile al maggior numero di collisioni molecolari efficaci ed è quindi in
relazione con il termine pre-esponenziale dell’equazione di Arrhenius.
261
ultrasuoni risultano molto efficienti nell’aumentare la reattività, tanto che in tipiche
reazioni catalizzate a trasferimento di fase si può eliminare il catalizzatore
sostituendolo con l’irradiamento ultrasonico. Tutte queste azioni meccaniche messe
in campo dagli ultrasuoni non sono ovviamente in grado di rendere conto
dell’incremento della velocità di reazione che si osserva nel caso delle reazioni
realizzate in fase omogenea. Alcuni processi quali la frammentazione radicalica degli
alcani o la solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano in solventi alcolici sono promossi dal
collasso delle bolle di cavitazione. Esse contengono vapori del solvente e/o dei
reagenti che nel momento del collasso sono soggetti ad un enorme incremento della
pressione e della temperatura. In queste condizioni estreme sia i vapori del solvente
che dei reagenti possono subire diversi tipi di frammentazione generando specie
molto reattive. L’onda d’urto provocata dal collasso della bolla di cavitazione
provoca inoltre la distruzione locale della struttura del solvente e può quindi
influenzare la reattività alterando la solvatazione delle specie reattive presenti.
Na+
N
262
Nella sintesi di composti di organozinco a partire da alogenuri alchilici e litio si
hanno notevoli vantaggi in termini di tempi di reazione, rispetto ai metodi
tradizionali, irradiando la miscela di reazione con ultrasuoni (us).
ZnBr2
R X + Li R Li R 2Zn
us
us: 20 min. ∆: 2 h.
Dato che gli ultrasuoni promuovono l’estrusione di ossido di carbonio da complessi
ferrocarbonilici secondo la reazione generale
Fe(CO)5 → Fe(CO)5-n + nCO
la sonicazione di Fe2(CO)9 realizzata in benzene in presenza di alchenilepossidi dà
luogo alla formazione di complessi di η3-allilferrocarbonil lattonici.
O
CO O
O O R
Fe2(CO)9 Fe
R
O
us CeIV R
R
O
O
In presenza di litio e rame metallici dispersi come polveri nella miscela di reazione
l’azione degli ultrasuoni a 50 KHz promuove l’addizione coniugata di organocuprati
generati in situ con rese molto interessanti.
O O
Li, Cu
+ BuBr (89%)
us
Bu
Pt/C R3Si
+ R3SiH
30°C, us H
Pd/C, HCOOH
20°C, us
263
litio in polvere con ultrasuoni a 117 W e 50 KHz si ottiene il bifenile con buone rese.
La stessa reazione non ha luogo in condizioni normali.
Zn, CuI R1
R + R1 I R
us
Li
PhBr Ph Ph
us
R M + R M++ disproporzionamento
(R M)++
2 dicatione dimero
_
-e
R M R M+ _
+ -e R+ carbocatione
-M
_ R
-e
R R dimero
R M++ dicatione
264
Una reazione elettrodica diretta implica tre passaggi fondamentali:
(i) trasferimento del substrato dalla soluzione alla superficie elettrodica,
(ii) scambio di elettroni tra substrato ed elettrodo,
(iii) rimozione della specie elettroattiva, cioè un radicalanione od un radicalcatione,
dalla superficie dell’elettrodo.
Il più lento di questi tre stadi determina la velocità dell’intero processo.
Una reazione elettrorganica è omogena od indiretta se il substrato organico non
scambia elettroni direttamente con l’elettrodo ma con qualche specie elettroattiva. In
linea di massima le reazioni elettrorganiche sia dirette che indirette sono processi
irreversibili per cui la formazione dei prodotti è soggetta a controllo cinetico.
E1/2 E
265
Facendo riferimento a due processi di scarica dei quali uno è reversibile e l’altro è
irreversibile, la differenza
∆E½ = E½(rev) + E½(irr)
è in relazione con il ∆∆G0 secondo l’eguaglianza
∆∆G0 = ∆E½
I potenziali di semionda di processi irreversibili non hanno un significato
termodinamico preciso, tuttavia sono molto utilizzati nella pratica dato che sono in
relazione con l’energia di attivazione di processi elettrorganici e delle corrispondenti
costanti di velocità in fase eterogenea.
∆∆G≠ = ∆log k = ∆E½
Nel caso di processi irreversibili il potenziale elettrico effettivo Eeff necessario per far
avvenire una reazione con velocità apprezzabile non è determinato dal rapporto
a(Oss)/a(Rid) che compare nell’equazione di Nerst, che è valida per processi
reversibili. Occorre infatti applicare un potenziale superiore ad E0 di una quantità η
detta sovrapotenziale tale per cui
η = Eeff – E0
La relazione che intercorre tra il sovrapotenziale η e la corrente elettrica osservata i è
espressa dall’equazione di Tafel
⎛ αFη ⎞
i = i0 exp⎜ ⎟
⎝ RT ⎠
nella quale i0 rappresenta la densità di corrente all’equilibrio ed α esprime la frazione
del potenziale elettrodico che sostiene la reazione.
Per quanto riguarda la cinetica del trasferimento elettronico, la velocità di una
reazione elettrodica è espressa implicitamente dalla corrente osservata i
i = i0 {exp(αFη/RT) – exp[(1-α)Fη/RT]}
il sovrapotenziale η costituisce infatti una misura della variazione dell’energia libera
di attivazione riferita al processo di trasferimento elettronico.
Come esempio di un tipico processo irreversibile si consideri la reazione
R + 2H2O + 2e¯ → RH2 + 2OH¯
La velocità complessiva dell’intero processo è determinata dall’intensità della
corrente i relativa al secondo passaggio del meccanismo, che è lento ed irreversibile.
1) R + e¯→ R¯• rapido e reversibile
• =
2) R¯ + e¯→ R lento ed irreversibile
3) R= + 2H2O → RH2 + 2OH¯ rapido ed irreversibile
266
9.4.2 La reazione elettrorganica
Dal punto di vista elettrochimico le molecole organiche sono di solito considerate
specie alquanto complesse che possono reagire in molti modi diversi qualora sia
applicato un dato potenziale elettrico. Nella maggior parte dei casi la reazione
elettrorganica di un substrato si ha solo applicando potenziali elettrici piuttosto
elevati che possono produrre intermedi molto reattivi in grado di dare luogo a
processi collaterali indesiderati. Come regola generale, l’applicazione di potenziali
elevati si riflette in una selettività piuttosto scarsa. Per un processo catodico del tipo
_
v1 P1
e _
R R v2
P2
2CH3 C2H6
267
osserva un brusco incremento del potenziale finché a ≈ 2.3 V ha inizio l’ossidazione
anodica dell’anione acetato che in queste condizioni corrente-potenziale è favorita
cineticamente rispetto allo sviluppo si ossigeno.
E (V)
2.4
reazione di Kolbe
2.2
0 1 2 3
i
Figura 9.5. Diagramma corrente-potenziale per la reazione di Kolbe.
H2O +
CH3 CH3OH + H
Altre formazioni di legami carbonio-carbonio interessanti sono intramolecolari
(E½ = 1.5 V).
OMe OMe
_
-2e
+
-2H
OMe OMe
268
_ _
-e + AcO -e
1) ArH ArH ArHOAc +
ArOAc
-H
_ _
-e + -e ++ AcO
2) ArH ArH ArH +
ArOAc
-H
3) _ AcO
Ar H X ArOAc
+
-H PhCHO
269
_ +
-e + -H
PhNH2 PhNH2 PhNH
base
_
-2e
PhNH NHPh + PhN NPh
-2H
+ H2
H H
_ + E
e E
RCH N RCH N RCH N
Ar Ar
_ N
2e
ArCH N Ar
Br ( )n Br ( )n n = 1, 2
Il gruppo nitro rappresenta una delle funzionalità più versatili nei processi di
riduzione catodica. Si possono ottenere selettivamente tutti i prodotti di riduzione sia
monomeri che dimeri, a secondo delle condizioni elettrolitiche, ovvero operando sul
pH, sul mezzo di reazione e sul flusso di corrente. L’effetto della frequenza di
agitazione del mezzo elettrolitico è ugualmente importante nel determinare la
distribuzione dei prodotti di reazione.
270
NH2
_
2e
Ph N O +
_ + 2H
2e , 2H
-H2O OH
_ + O
6e , 6H
PhNO2 Ph N N Ph + 3H2O
_ +
8e , 8H _ +
-3H2O 2e , 2H Ph NH NH Ph
OH
-H2O
Ph N NH Ph
-H2O Ph N N Ph
_ +
e H
_ _
e
RX R + X R R
_
e
CO2
R RCOO
Cl _
2e +
_ H
-Cl
Cl Cl _
-Cl
CO2 _
2e
+
2H
COO
Cl
271
La prova che questo tipo di riduzioni catodiche possono avvenire via benzino si
ottiene realizzando la reazione in presenza di un opportuno agente in grado di
intrappolare l’intermedio reattivo.
Br _
2e O
_ O
-2Br
Br
9.5 Fotochimica
La stragrande maggioranza delle reazioni organiche decorrono tra molecole che si
trovano nel loro stato energetico fondamentale. Tuttavia un cospicuo numero di
trasformazioni richiedono, per poter avvenire, che uno o più reagenti siano promossi
ad uno stato elettronico eccitato. Lo studio di queste reazioni e dei meccanismi che
descrivono le interazioni di molecole eccitate elettronicamente costituisce l’oggetto
della fotochimica. Nell’ambito di questo paragrafo ci si propone di illustrare
brevemente alcuni dei concetti più importanti nel campo dell’attivazione delle
reazioni organiche con metodi fotochimici, trascurando le applicazioni di tipo
sintetico ed enfatizzando gli aspetti più propriamente meccanicistici.
E
a
E0
V2 stato fondamentale, E
V1
V0
0 distanza internucleare
Figura 9.6. Energia di eccitazione elettronica E0 = hc/λ0 che promuove la transizione
E(V0) → E’(V2) in una generica molecola biatomica.
272
Solo la radiazione elettromagnetica caratterizzata dalla lunghezza d’onda λ0 è in
grado di fornire l’esatta energia E0 capace di provocare la transizione tra stato
fondamentale e stato eccitato. Qualora la lunghezza d’onda della radiazione sia
diversa da λ0 essa non viene assorbita; la sua intensità non viene quindi diminuita
passando attraverso il mezzo. Praticamente in tutte le molecole organiche stabili il
numero degli elettroni è pari ed essi risultano accoppiati nello stato fondamentale in
modo che il loro spin sia opposto in accordo con il principio di Pauli.
L’accoppiamento degli spin elettronici implica che la molecola, nel suo complesso,
sia priva di un momento magnetico elettronico. Questa situazione che descrive uno
stato non magnetico è detta di singoletto e si indica con i simboli S0, S1, S2 per i
diversi stati di singoletto in ordine di energia crescente. Qualora una coppia di
elettroni sia promossa in un orbitale ad alta energia per assorbimento di luce ad
opportuna lunghezza d’onda, l’eccitazione degli elettroni non ne modifica gli spin,
sicché si formano solo stati eccitati di singoletto. Infatti le eccitazioni che implicano
l’inversione di uno spin elettronico non sono permesse dato che un simile processo
comporterebbe una variazione del momento angolare violandone il principio di
conservazione. Negli stati eccitati di singoletto gli elettroni hanno ancora spin opposti
benché presenti in orbitali differenti. Invertendo uno degli spin elettronici lo stato
eccitato di singoletto dà luogo alla transizione verso un nuovo stato eccitato nel quale
gli spin elettronici non sono accoppiati. Si ha quindi uno stato eccitato caratterizzato
da un momento magnetico non nullo, detto di tripletto e contrassegnato dalle lettere
T0, T1, T2 ecc. Nella maggior parte dei casi uno stato di tripletto possiede energia
inferiore a quella del corrispondente stato di singoletto, il che è in accordo con la
regola di Hund. Per quanto riguarda le transizioni tra stato fondamentale e stato
eccitato si può concludere che le transizioni che implicano l’inversione di uno spin
elettronico sono proibite. Ne segue che le transizioni permesse sono
singoletto → singoletto (S → S)
tripletto → tripletto (T → T)
mentre sono proibite le transizioni
singoletto → tripletto (S → T)
tripletto → singoletto (T → S).
Si deve tuttavia aggiungere che le transizioni di spin proibite non lo sono in senso
assoluto ma vanno intese come assai poco probabili. L’eccitazione tra uno stato
fondamentale di singoletto ed uno stato eccitato di tripletto è talmente poco probabile
che in pratica viene osservata assai raramente. Tuttavia in casi particolari determinati
dalla presenza di atomi pesanti possono avvenire anche eccitazioni S → T sebbene
con intensità molto ridotta rispetto alle corrispondenti eccitazioni S → S.
Fino a questo punto si è ritenuto implicitamente di designare la transizione tra stati
elettronici con la simbologia S0 → Sn dove S0 rappresenta lo stato fondamentale di
singoletto ed Sn è uno degli stati di singoletto eccitati. Esistono altri metodi per la
notazione delle transizioni elettroniche. Il più diffuso tra i chimici organici mette in
evidenza gli orbitali coinvolti nella transizione. Ad esempio la promozione di un
elettrone dall’orbitale π dell’etilene all’orbitale π* si contrassegna con 1(π,π*) dove
273
l’apice 1 indica che la transizione avviene tra stati di singoletto. Un tipo di notazione
più completa, in uso tra gli spettroscopisti, si basa sulle proprietà di simmetria delle
molecole coinvolte nella transizione. In questo ambito, ad esempio, la transizione
σ → σ* per l’idrogeno molecolare si indica con la simbologia
1 + 1 +
∑u → ∑g
nella quale l’apice 1 indica che la transizione si realizza tra stati di singoletto, mentre i
pedici u, g si riferiscono alla simmetria dell’orbitale considerato. Nello stato indicato
con Σ il momento angolare intorno all’asse molecolare è nullo, mentre l’apice +
indica che il segno della funzione d’onda è invariante rispetto ad un operatore di
riflessione.
In generale le proprietà degli stati eccitati sono piuttosto difficili da misurare in
quanto è abbastanza ovvio che le loro concentrazioni, come del resto le loro vite
medie, sono molto piccole e rendono ostico il loro studio. Nonostante queste
difficoltà sono stati comunque escogitati esperimenti atti a ricavare informazioni su
alcune proprietà degli stati eccitati. Ad esempio, per quanto riguarda la loro
geometria, sono emerse alcune evidenze alquanto singolari se valutate con gli stessi
criteri con cui si considerano le normali geometrie molecolari. L’acetilene mostra una
geometria trans nello stato 1(π,π*) indicando che i due atomi di carbonio sono
ibridizzati quasi sp2 piuttosto che sp. Anche gli stati eccitati 1(π,π*) e 3(π,π*)
dell’etilene sono caratterizzati da una geometria singolare dato che i protoni geminali
sono tra loro perpendicolari e non coplanari.
H H
H
C C C C
H H
H
La differente geometria degli stati eccitati rispetto a quelli fondamentali è in grado di
alterare alcuni tipici parametri molecolari quali il momento dipolare o l’acidità. Nel
caso della formaldeide lo stato eccitato S1 corrispondente alla transizione n → π* ha
una geometria piramidale caratterizzata dal momento dipolare µ = 1.5 D, inferiore
dunque a quello dello stato fondamentale S0 che è pari a 2.3 D.
H
hν
O H O
H H
µ = 2.3 D µ = 1.5 D
Lo stato eccitato S1 del 2-naftolo ha pKa = 3.1 e risulta quindi molto più acido del
naftolo nello stato fondamentale (pKa = 9.5).
274
l’eccitazione conduce allo stato elettronico eccitato E’ in uno stato vibrazionale molto
elevato, energeticamente superiore alla linea a della Figura 9.6 (pag. 272), la
molecola eccitata si scinde alla prima vibrazione dando luogo al processo di fotolisi.
La fotolisi può verificarsi anche se l’eccitazione dello stato fondamentale conduce ad
uno stato vibrazionale di E’ ad energia inferiore ad a. Dalla Figura 9.6 si può notare
che le distanze internucleari di equilibrio sono maggiori nello stato eccitato E’
rispetto allo stato fondamentale E. Poiché, in base al principio di Franck-Condon,
l’eccitazione di un elettrone avviene molto più velocemente (10-15 s) del tempo
richiesto da una vibrazione molecolare (10-12 s) la distanza internucleare nello stato
eccitato deve rimanere uguale a quella dello stato fondamentale. Ne risulta che il
legame nello stato eccitato è “compresso” dato che si trova ad una distanza
internucleare inferiore alla sua distanza di equilibrio. La liberazione dell’“energia di
compressione” del legame ne può causare la rottura. In alcuni casi, come quello
relativo alla transizione σ → σ* dell’idrogeno molecolare, la curva energetica che
caratterizza lo stato eccitato è del tutto dissociativa (Figura 9.7). Dal punto di vista
fisico questa situazione riflette il fatto che in nessun punto della curva E’ esiste una
distanza alla quale la forza di attrazione internucleare è superiore a quella di
repulsione, sicché il legame è destinato a scindersi.
E'
E0
E
V2
V1
V0
0
distanza internucleare
Figura 9.7. Eccitazione ad uno stato completamente dissociativo E’.
275
dell’ordine di 10-12 s. Considerando la transizione S0 → S2 promossa dall’energia hν2
mostrata nel diagramma di Jablonski (Figura 9.8) si nota che essa comporta
l’occupazione di un livello vibrazionale eccitato dello stato elettronico S2. L’energia
vibrazionale in eccesso viene dissipata raggiungendo il livello vibrazionale più basso
dello stato S2 attraverso una cascata vibrazionale (cv), durante la quale avvengono
piccoli scambi di energia con l’intorno per collisione con le molecole adiacenti.
Attraverso la conversione interna (CI) tra stati eccitati si passa dallo stato S2 al livello
vibrazionale più basso ad un livello vibrazionale eccitato di S1. Una nuova cascata
vibrazionale comporta il raggiungimento dello stato S1 al livello vibrazionale più
basso. A questo punto si può verificare la transizione S1 → S0, cioè il ritorno allo stato
fondamentale, attraverso tre vie distinte: 1) conversione interna ad uno stato
vibrazionale eccitato di S0, 2) emissione diretta di luce ad energia hν(fluor) che
produce il fenomeno della fluorescenza, 3) incrocio intersistema (IIS) allo stato di
tripletto T1 e successiva evoluzione.
cv
CI
S2
cv
CI IIS
S1
cv
IIS
T1
hν2
hν(fluor)
hν1
cv
hν(fosf)
S0
Figura 9.8. Diagramma di Jablonski.
276
La cascata vibrazionale dagli stati vibrazionali eccitati di S0 fino al suo livello
vibrazionale più basso è un processo piuttosto lento perché la quantità di energia da
dissipare per collisione con le molecole adiacenti è solitamente cospicua. Il processo
di decadimento alternativo, ossia la fluorescenza, avviene in ≈ 10-9 s. Quello della
fluorescenza non è un fenomeno molto frequente tranne che per molecole biatomiche
od aromatiche. Esso avviene quasi sempre per decadimento S1 → S0, benché nel caso
dell’azulene e dei suoi derivati si rilevi fluorescenza per decadimento S2 → S0. La
terza via di decadimento da S1, che è di gran lunga la più comune, prevede l’incrocio
intersistema (IIS) verso lo stato di tripletto più stabile (T1), che avviene senza
dispersione di energia. Si deve notare che, benché l’incrocio intersistema S1 → T1 sia
proibito, esso rappresenta l’unico modo in cui alcuni tipi di molecole, tra cui i
benzofenoni, decadono dagli stati eccitati ad S0. Poiché, come si è detto, la
transizione S1 → T1 avviene senza dispersione di energia e lo stato S1 si trova ad
energia più alta di T1 l’incrocio intersistema implica il raggiungimento di livelli
vibrazionali eccitati di T1. Ha dunque luogo una cascata vibrazionale fino a che si
raggiunge il livello vibrazionale più basso dello stato T1. A questo punto il
decadimento T1 → S0 può procedere attraverso due vie: incrocio intersistema verso
uno stato vibrazionale eccitato di S0 oppure emissione di luce ad energia hν(fosf).
Entrambi i processi sono proibiti e sono pertanto molto lenti (10-3-10 s), il che
implica che lo stato T1 debba avere una vita media molto superiore a quella di S1 o S2.
Riguardo la lunghezza d’onda della luce emessa per fosforescenza, essa è superiore a
quella che caratterizza l’emissione per fluorescenza dato che
hν(fluor) > hν(fosf). Tutte le considerazioni espresse in questo paragrafo sono
chiaramente visualizzabili nel diagramma di Jablonski riportato nella Figura 9.8. E’
evidente che all’eccitazione S0 → S1, indicata con hν1 nella Figura 9.8, seguono gli
stessi processi fotofisici appena descritti. Uno schema riassuntivo di tutti questi
processi è mostrato nella Tabella 9.2.
277
esempio semplice riguarda la dimerizzazione del butadiene, che ha luogo irradiando
il substrato con luce a 250 nm. Il butadiene non assorbe la luce a 250 nm, per cui in
assenza di additivi non avviene alcuna reazione. Aggiungendo una quantità catalitica
di biacetile, quest’ultimo viene eccitato allo stato S1 che per incrocio intersistema dà
luogo allo stato T1. Il biacetile allo stato T1 torna allo stato fondamentale trasferendo
la propria energia in eccesso al butadiene che viene promosso allo stato eccitato T1 e
può quindi reagire. Il trasferimento energetico tra la molecola eccitata ed il substrato
avviene nel rispetto della regola di conservazione dello spin totale o regola di
Wigner: gli spin elettronici totali non cambiano dopo il trasferimento energetico.
Indicando la molecola eccitata o fotosensibilizzatore con D ed il substrato con M si
possono quindi avere i seguenti processi
D (T1) + M (S0) → D (S0) + M (T1) trasferimento tripletto-tripletto
D (S1) + M (S0) → D (S0) + M (S1) trasferimento singoletto-singoletto
Entrambi i processi di fotosensibilizzazione sono indispensabili per promuovere allo
stato eccitato substrati che non sono sensibili all’irradiamento diretto. Il trasferimento
tripletto-tripletto è particolarmente utile dato che lo stato T1 del substrato si raggiunge
molto difficilmente per irradiamento diretto dallo stato S0.
9.5.4.1 Reazioni fotolitiche. Aldeidi e chetoni assorbono nella zona compresa tra 230
e 330 nm dando luogo alla transizione n → π* (S0 → S1). La successiva fotolisi
genera specie radicaliche (scissione secondo Norrish del tipo 1). Gli acilradicali
prodotti possono dare luogo ad un’ulteriore scissione con estrusione di CO.
R
hν
O R C O + R
R
R + CO
Altri legami che subiscono facilmente la scissione omolitica per fotolisi sono il
legame O-O degli alchilidroperossidi, il legame Cl-Cl, il legame C-N di azocomposti
alifatici.
278
Le aldeidi danno luogo anche a reazioni di estrusione che non comportano la
formazione di radicali. Questi processi sono noti come scissioni secondo Norrish del
tipo 2 ed avvengono anche su chetoni, esteri, anidridi ed altri composti carbonilici.
R
hν
O R H + CO
H
O O
hν
R R +
H H
H O HO OH O
hν R
R H R H +
H H
hν
R CH3 R CH + H2
9.5.4.3 Isomerizzazioni. Sono processi che avvengono sia nello stato S1 che T1 e
coinvolgono essenzialmente molecole insature che negli stati eccitati adottano una
geometria non planare.
Ph Ph Ph H
hν
H H H Ph
hν
279
9.5.4.4 Estrazione di atomi di idrogeno. Ne costituisce un esempio la riduzione
fotochimica del benzofenone in isopropanolo, che avviene per interazione dello stato
T1 del substrato con il solvente dal quale viene estratto un atomo di idrogeno.
OH OH OH
hν Ph2CO(S1) Ph2CO(T1) Ph C Ph Ph
Ph2CO Ph
OH Ph Ph
O O O O
hν
+
9.6 Problemi
1. Quali previsioni si possono fare sulla variazione del punto di ebollizione di
toluene, etanolo e tetracloruro di carbonio per irradiamento con microonde?
2. Completare le seguenti reazioni e prevedere se possono essere accelerate dalle
microonde.
H2O
tBuCl
CN
∆
N O +
COOEt O
N ∆
+ O
O
_
MeO OH
O NO2 H2O
3. La reazione tra antracene e magnesio in THF avviene solo per irradiamento con
ultrasuoni dando il seguente prodotto metallorganico. Proporre una
razionalizzazione.
280
Mg 3THF
hν + CO
hν
O
O
R
R
hν + N2
N3 N
O
hν
COOMe
MeOH
N2
9.7 Bibliografia
Una monografia recente riguardante le applicazioni delle microonde alla chimica
organica è la seguente.
1. V. Santagada, G. Caliendo, E. Perissutti Le microonde nella sintesi organica
Piccin Editore, Padova, 2008.
Gli aspetti fondamentali della sonochimica sono trattati nelle due eccellenti rassegne:
2. J. P. Lorimer, T. J. Mason Sonochemistry. Part I-The Physical Aspects, Chem.
Soc. Rev. 1987, 16, 239.
3. J. Lindley, T. J. Mason Sonochemistry. Part II-Synthetic Applications, Chem.
Soc. Rev. 1987, 16, 275.
281
I principi fondamentali dell’elettrochimica organica sono trattati in modo
approfondito ma tuttavia accessibile nell’ambito dei seguenti testi:
4. D. K. Kyriacou Modern Electroorganic Chemistry Springer-Verlag, Berlin,
1994.
5. D. K. Kyriacou, D. A. Jannakoudakis Electrocatalysis for Organic Synthesis
Wiley, New York, 1986.
6. S. D. Ross, M. Finkelstein, E. J. Rudd Anodic Oxidation Academic Press, New
York, 1975.
282
COSTANTI FISICHE
_____________________________________________________________________________________________________
283
284
INDICE ANALITICO
Acetolisi del 2-bromopropano marcato, 203, Benzonitrilmetililide, 97
204 Benzonitrilossido, 95
Acetolisi di esteri solfonici, 58 Betaina di Dimroth-Reichardt, 145, 146
Acetone, 24 Betaine di nitrilio, 97
Acetossilazione anodica di areni, 268, 269 Biacetile, 278
Acidi e basi secondo Brønsted, 169, 184 bis-t-Butilperossido, 22
Acidi al carbonio, 175 bis-Trifenilfosfinopalladio(0), 248, 249
Acidi biciclo[2.2.2]ottanocarbossilici, 129 Bolle di cavitazione, 260
Acidi deboli, 170, 171, 174-176 1-Bromo-1-feniletano, 149
Acidi duri, 99-100, 102, 103, 104, 105 Bromurazione dell’acetone, 36
Acidi forti, 170, 171, 172, 176-181 Bromuro di metile, 24
Acidi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105 Calore latente di evaporazione, 141
Acidità cinetica, 183 (+)-Camphos, 246
Acidità degli stati eccitati, 274 Campo elettrico, 253, 254, 255, 256
Acido 1-naftalensolfonico, 212 Carbanioni, 16, 63, 175, 215
Acido 2-naftalensolfonico, 212 Carbocationi, 8, 9, 102, 180, 200, 204, 205,
Acido 3-fenil-3-ossopropionico, 200 217, 222, 268
Acido 3-idrossipropionico, 182 Carbometallazione, 248
Acido di Kemp, 232, 233 Carbonilazione del metanolo, 247
Acido ftalaldeidico, 155 1-Carbossibutadiene, 86
Acido solforico marcato, 212 Cascata vibrazionale, 276, 277
Addizione al carbonile, 258 Catalisi a trasferimento di fase, 237-242
Addizioni di Michael enantioselettive, 243, Catalisi acida generale, 224-227
244 Catalisi acida specifica, 222
Addizioni di Michael, 242 Catalisi acida specifica-basica generale, 226
Affinità elettronica, 74, 106 Catalisi basica generale, 225
Agitazione, 242 Catalisi basica specifica, 223
Alchilazione del fenilacetonitrile, 240 Catalisi metallorganica, 245-249
Alchilazioni di Friedel/Crafts, 212 Catalisi micellare, 234-237, 238
AN, 152 Catalisi omogenea, 245
treo-3-para-Anisil-2-butile, 58 Catalisi specifica da ione idronio, 222
Anodo, 264 Catalisi specifica da ione lionio, 222
3-Aril-2-butilbrosilati, 131 Catalisi supramolecolare, 229-233
1-Aril-2-cloropropani, 126, 128 Catalizzatore di Speier, 247
Arilsolfenilcloruri, 157 Catalizzatore di Wilkinson, 245
Arini, 213 Catalizzatori a trasferimento di fase, 238-240
Assistenza interna, 132 Cationi arenio, 5
Attività di ioni, 174 Catodo, 264
Autoprotolisi dell’acqua, 169 Cavità delle ciclodestrine, 230
Autossidazione del cicloesene, 159 Cavitandi, 232
Basi deboli, 171 Cavitazione, 259
Basi dure, 99-100, 102, 103, 105 CED, 150, 162
Basi forti, 170, 171 Celle elettrolitiche, 264
Basi molli, 100-101, 102, 103, 104, 105 Cetiltrimetilammonio bromuro, 234, 236, 238
Basicità del gruppo uscente, 185 Cetiltrimetilfosfonio bromuro, 238
Basicità termodinamica, 183 Chetene, 89, 279
Bell-Evans-Polanyi, diagramma di, 11,12 Chimica supramolecolare, definizioni, 229
Bell-Evans-Polanyi, principio di, 11,16 Cicli catalitici, 246, 247, 248, 249
Benazaldeidi para-sostituite, 205 Ciclizzazione di ω-bromoacidi, 54
285
Cicloaddizioni [2+2], 49, 89-91 Correlazione nucleofilicità-reattività, 184-185
Cicloaddizioni 1,3-dipolari, 49, 52, 67, 80, Correlazioni extratermodinamiche, 114
91-99, 158, 163, 164, 231, 244, 257 Correlazioni lineari di energia libera, 114
Cicloalcan-3,5-dioni, 155 Corrente elettrica, 264, 265, 266
Ciclodestrine, 229, 230, 231 Costante cinetica osservata, koss, 222-223,
Ciclodisidratazione di 2-fenil-triarilcarbinoli, 225, 242
134 Costante del sostituente, σm, 117, 118, 130
Cinetica della catalisi a trasferimento di fase, Costante del sostituente, σp, 118, 130
240-242 Costante del sostituente, σX, 116-119, 173,
Classificazione dei solventi, 140 174
2-Cloroetanolo, 27 Costante di autoprotolisi dell’acqua, 169
1-Cloro-3-metil-2-butene, 58 Costante di forza, 193, 204, 206
2-Cloropiridina, 258 Costante di Michaelis apparente, 32
Cloruro di t-butile, 22, 148, 149 Costante di Michaelis, 30
CMC, 234 Costante di reazione ρ per l’idrolisi acida di
Coefficiente di assorbimento, 260 benzoati etilici, 124
Coefficiente di mescolamento λ, 68 Costante di reazione ρ per l’idrolisi di acidi
Coefficiente di trasmissione, 42 arilalifatici non coniugati, 124
Coefficienti atomici, 69, 70, 72, 73-75, 78, Costante di reazione ρ per l’idrolisi di
82, 86-90, 94-99, 102 benzoati etilici, 122
Coefficienti di attività, 174, 176 Costante di reazione ρ per la dissociazione di
Collasso delle bolle di cavitazione, 261, 262 acidi 3-arilpropionici, 122
Collisioni anelastiche, 39
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
Collisioni efficaci, 39
acidi arilacetici, 122
Collisioni elastiche, 39
Costante di reazione ρ per la dissociazione di
Complessazione catalizzatore-prodotti, 221
acidi cinnamici, 122
Complessazione catalizzatore-reagente, 221
Complesso di idruropalladio(II), 248 Costante di reazione ρ per la dissociazione di
Complesso di Wilkinson, 245 fenoli, 122
Complesso enzima-substrato, 30 Costante di reazione ρ per la dissociazione di
Complesso enzima-substrato-inibitore, 33 ioni anilinio, 122
Complesso Et3P=O-SbCl5, 153 Costante di reazione ρ per la reazione di
Complesso solvente-BF3, 152 Wittig, 123
Concentrazione micellare critica (CMC), 234, Costante di reazione ρ per reazioni di
236 Diels/Alder, 124
Condensazione aldolica, 215-216 Costante di reazione ρ per reazioni SEAr, 123
Condensazione benzoinica, 26 Costante di reazione ρ per reazioni SNAr, 123
Condizione di elettroneutralità, 225 Costante di reazione ρ per sostituzioni
Condizione di normalizzazione, 75 viniliche, 123
Conducibilità equivalente, 37 Costante di reazione ρ*, 135
Conduttanza, 36, 37 Costante di reazione ρ, 119-124
Coniugazione diretta, 125-128 Costante di velocità globale, 29
Controllo cinetico, 12-14, 15 Costante di velocità, 19
Controllo orbitalico, 86 Costante dielettrica del solvente, 142, 143,
Controllo termodinamico, 12-14, 15 145, 153, 162
Conversione interna tra stati eccitati, 276 Costante dielettrica, 69, 255, 256
Coordinata di reazione, 2, 221 Costanti del sostituente σ-p, 126, 128, 130
Coppia coniugata acido-base, 169, 172 Costanti del sostituente σ*, 135
Coppia ionica intima, 57 Costanti del sostituente σ+p, 127, 128, 130
Coppia ionica separata dal solvente, 57 Criptandi, 182, 239
Coppie ioniche, 57-59, 240, 257, 259 Curtin-Hammett, principio di, 14-15
286
Debromurazione del 2,3-dideutero-2,3- Effetti isotopici di equilibrio, 207
dibromobutano, 214 Effetto cinetico isotopico dovuto ad atomi
Debromurazione dell’1,2-dideutero-1,2- pesanti, 200, 201, 202
dibromoetano, 214 Effetto cinetico isotopico intramolecolare,
Decomposizione dei sali di arendiazonio, 160, 198
161 Effetto cinetico isotopico massimo, 195-196,
Defosforilazione dell’ATP, 185 198
Deidroalogenazione di 2-bromofeniletani, 62 Effetto cinetico isotopico nella bromurazione
Densità dell’energia di coesione, 150, 162 dell’α-deuterotoluene, 198, 199
Descrittori globali, 107 Effetto cinetico isotopico nella clorurazione
Determinazione di H0, 177 del metano, 199
α-Deuterotoluene, 198 Effetto cinetico isotopico primario (PKIE),
DFT, 106 192-203
Diagramma corrente-potenziale, 268 Effetto cinetico isotopico secondario α
Diagramma dei reciproci, 32, 33, 34 inverso, 204, 205, 206
Diagramma di Bell-Evans-Polanyi, 11, 12 Effetto cinetico isotopico secondario α
Diagramma di Jablonski, 276 normale, 204
Diagrammi d’interazione, 85, 88, 95-98 Effetto cinetico isotopico secondario α, 203,
Diagrammi di Brønsted, 184-186, 227 204, 205
Diagrammi di Hammett non lineari, 132-134 Effetto cinetico isotopico secondario β, 203,
Diagrammi di More-O’Ferrall-Jencks, 9 205, 206
Diagrammi Log koss/pH, 223, 225, 226 Effetto cinetico isotopico secondario (SKIE),
Diagrammi perturbazionali, 68, 70, 71 203-206
Diazocopulazione su naftaleni, 202 Effetto cinetico isotopico, 192
Diazometano, 93, 109 Effetto di campo, 112
Dicarbonilrodio(I)diioduro, 247 Effetto idrofobico, 162, 163, 164
1,1-Dicianoetilene, 158 Effetto induttivo, 112
1,2-Dicloroetano, 105, 151, 153 Effetto livellante del solvente, 176, 183
4,4-Difenil-3-butenillitio, 155 Effetto mesomerico (di risonanza), 112
Difenilchetene, 90 Effetto sale speciale, 58
Difenilnitrilimmina, 98 Effetto solvatocromico, 145, 146, 147
Difluorocarbene, 16 Effetto tunnell, 198, 199
Diidrurocomplessi, 245 Elettrodi, 264, 265
Dimedone, 16 Elettrofili duri, 103-104
1,8-bis-Dimetilammino-2,7-dimetossi Elettrofili molli, 103-104
naftalene, 182 Elettrofili, 72
9,10-Dimetilantracene, 158 Elettrofilicità, 184
Dimetilchetene, 90 Elettroidrogenazione di alcheni, 270
2,2-Dimetil-3-idrossipropionaldeide, 105 Elettrostrizione del soluto, 141
DIOP, 246 Eliminazione riduttiva, 245, 247, 248
Dipoli molecolari, 253, 256 Eliminazioni bimolecolari, 62
Disproporzione del tetrafeniletano, 160 Eliminazioni monomolecolari, 214
Distribuzione delle velocità molecolari, 39 Eliminazioni monomolecolari, 62
5,5’-Ditiobis(2-nitrobenzoato), 235 [emin]BF4, 165
DN, 151 Energia di attivazione, 38, 39, 40
DNN, 151 Energia di punto zero, 193, 194, 195, 204,
L-DOPA, 247 206
Durezza η, 106, 107 Energia di stabilizzazione, 68, 70, 72
Effetti cinetici isotopici dovuti al solvente, Energia libera di attivazione, 114
206-209 Energia libera di attivazione, 4, 6, 11, 12, 14,
Effetti cinetici isotopici sterici, 206 194, 198, 199, 221, 235, 256
287
Energia libera di solvatazione, 141 Fattore pre-esponenziale, 38, 39, 40, 43, 256
Energia libera standard, 114 Fenilazide, 53
Energia libera, 4 Fenildiazometano, 158
Energia vibrazionale, 193, 196, 197 2-Fenilpropionitrile, 139
Enolati, 14, 67, 103, 104 Fenossitrietilsilani, 129
Entalpia di attivazione, 43, 44, 52, 53, 69, 163 Ferrocarbonili, 263
Entalpia di evaporazione del solvente, 150 Fluorescenza, 276, 277
Entropia di attivazione, 43, 45, 52, 53, 163, Fosforescenza, 277
217 Fotodimerizzazioni, 280
Enzima Ribonucleasi A, 210 Fotolisi, 274-275
Enzima succinico deidrogenasi, 32 Fotosensibilizzazione, 277, 278
Equazione di Arrhenius, 38, 256 Funzione di acidità H_, 180
Equazione di Brønsted, 185 Funzione di acidità H0, 177-179
Equazione di Bunnett-Olsen, 180 Funzioni di acidità, 176-180
Equazione di Dixon, 31 Funzioni di Fukui, 107
Equazione di Eadie, 31 Geometria degli stati eccitati, 274
Equazione di Edwards, 188 Gradi di libertà vibrazionali, 2
Equazione di Eyring, 43 βGu, 185, 186
Equazione di Grunwald-Wienstein, 149 Hammond, postulato di, 7
Equazione di Hammett, 113-124, 116 HOMO, 70-72, 75, 76, 77, 78, 79, 85-90, 94-
Equazione di Kirchoff, 260 99, 101, 102, 107, 109, 243, 244
Equazione di Klopman-Salem, 68-72, 84, Ibuprofene, 232
101, 102 Idratazione del carbonile, 213
Equazione di Lineweawer-Burk, 31 Idratazione di alcheni, 222
Equazione di McConnell, 76 Idroalchilazione di alchini, 263
Equazione di Michaelis-Menten, 30 Idroborazione di olefine, 105
Equazione di Morse, 194 Idrogenazione sitoselettiva, 246
Equazione di Nerst, 265, 266 Idrolisi acida degli esteri, 62
Equazione di Ritchie, 187 Idrolisi acida del saccarosio, 37
Equazione di Swain-Lupton, 129 Idrolisi basica degli esteri, 61
Equazione di Swain-Scott, 186-187 Idrolisi del 4-nitrofenilacetato, 230
Equazione di Tafel, 266 Idrolisi del 4-t-butilfenilacetato, 230
Equazione di Taft, 134 Idrolisi del bromuro di benzidrile, 28
Equazione di Yukawa-Tsuno, 128 Idrolisi del carbonato della 4-nitrofenilcolina,
Equazioni biparametriche, 128-131 231
Equilibri di valenza, 155 Idrolisi di esteri, 259
Equilibri tautomerici, 154-155 Idrosililazione, 247
Esadeciltributilfosfonio bromuro, 237 Idrosililazione, 263
Esteri marcati, 213 2-Idrossipiridina, 155
Esterificazione dell’acido dicloroacetico, 35 Idrurocomplessi, 247, 248, 249
Esterificazione, 259 Incorporazione di 18O, 213, 217
Etanololisi del bromuro d’isopropile, 49 Incrocio intersistema, 276, 277
Eteri corona, 239, 240 Indicatori, 177, 178, 179, 180
Eterochetenofili, 91 Indice di rifrazione, 145
Etilammonio nitrato, 165 Ingombro sterico, 16
Etilisobuteniletere, 159 Inibizione competitiva, 31
Etilisocianuro, 103 Inibizione enzimatica, 31
4-Etossicarbonil-N-piridinio ioduro, 147 Inibizione incompetitiva, 33
Fase micellare, 234, 235 Inibizione non competitiva, 33
Fattore di frazionamento Φ,207-208, 210 Integrale di risonanza, 68
Fattore di frequenza, 38 Integrale di sovrapposizione, 69
288
Interazione ciclodestrina-substrato, 230 Meccanismo BAc2, 50, 61, 62
Interazioni transanulari, 54 Meccanismo di conduzione, 253
Interfaccia elettrodo-soluzione, 267 Meccanismo di polarizzazione dei dipoli, 253
Interfaccia, 237, 240, 242 Meccanismo E1a, 63
Intermedio di reazione, 5, 6, 7, 14, 27, 28, Meccanismo E1cb, 50
203, 204, 205 Meccanismo E1CbI, 62, 214
Intermedio di Wheland, 212 Meccanismo E1CbR, 62
Inventario dei protoni, 209 Meccanismo E2, 214
2-Iodo ottano, 211 Meccanismo monostadio, 4
Ioduro di acetile, 248 Meccanismo SE2Ar, 201, 202
Ione fenonio ciclico, 132 Meccanismo SE3, 201
Ione idronio, 169-171, 172, 222 Meccanismo SEAr, 201
Iperconiugazione, 204, 205 Metallocarbonili, 247
Ipotesi dello stato stazionario, 27 Metilazide, 108
Isomerizzazioni fotochimiche, 279 2-Metilbutano, 15
∆2-Isossazoline, 258 2-Metilcicloesano, 14
Legami ad idrogeno, 208 2-Metil-2-cloro-3-butene, 57
Legge cinetica, 19 Metilene, 16
Legge della catalisi di Brønsted, 227 Metilenechinoni, 16
Legge di Coulomb, 143 Metodo AM1, 73
Legge di Lambert-Beer, 36 Micelle dirette, 234
LUMO, 70-72, 75, 76, 77, 85-90, 94-99, 101, Micelle inverse, 234
102, 107, 109, 243, 244 Micelle, 234, 235, 236
Marcatura isotopica negli arini, 213 Microonde, 253
Marcatura isotopica nel riassestamento di β-Migrazione di idruro, 245, 247, 248
Beckman, 217 Misure cinetiche, 34-37
Marcatura isotopica nel riassestamento di Molarità efficace, 230
Claisen, 217-218 Molecolarità, 19-20, 23
Marcatura isotopica nel riassestamento di Mollezza condensata s, 107
PhCOCHO, 217 Mollezza S, 107
Marcatura isotopica nell’idratazione del Mollezza, 240
carbonile, 213 Momento dipolare del solvente, 142, 143, 162
Marcatura isotopica nella condensazione Momento dipolare di radicali, 160
aldolica, 215-216 Momento dipolare, 93, 253, 254
Marcatura isotopica nella reazione di Baeyer- n-Esano, 153
Villiger, 217 NHOMO, 71
Marcatura isotopica nella reazione di Nitrazione del nitrobenzene, 77
Cannizzaro, 216 Nitrazione dell’1,2-difeniletano, 60
Marcatura isotopica nella riduzione di Nitrazione dell’anisolo, 77
Meerwein-Ponndorf, 218 Nitrazione di areni, 59-60
Marcatura isotopica nella solfonazione del Nitrito d’argento, 103
naftalene, 212 Nitroetilene, 16
Marcatura isotopica nelle alchilazioni di 2-Nitropropano, 198
Friedel/Crafts, 212 Notazioni per le transizioni elettroniche, 273-
Marcatura isotopica nelle eliminazioni 274
monomolecolari, 214 N-Sulfonilimmine, 258
Marcatura isotopica nelle sostituzioni βNu, 185, 186, 187
elettrofile aromatiche, 211-212 Nucleofili bidentati, 103
ME, 230 Nucleofili duri, 101
Meccanismo AAc1, 133 Nucleofili molli, 101
Meccanismo AAl1, 133 Nucleofili, 72
289
Nucleofilicità, 187, 240 Piperidina, 258
Numero accettore AN, 152 Pirolisi dell’acido iodidrico, 40
Numero donatore DN, 151-152 ∆1-Pirroline-2,3-disostituite, 97
Orbitali di frontiera di benzonitrilossidi, 94 pK dell’acqua, 183
Orbitali di frontiera di butadieni 1-sostituiti, pK di acidi acetici, 173, 174
83 pK di acidi benzoici, 174
Orbitali di frontiera di butadieni 2-sostituiti, pK di del tiofenolo, 173
84 pK di fenoli sostituiti, 172, 173
Orbitali di frontiera di etileni monosostituiti, pK di ioni ammonio, 173
81, 82 pK, 170-171, 172, 173, 174-175, 177, 178-
Orbitali di frontiera, 70-72, 73, 75 180, 181, 183, 186, 224, 225, 227, 228
Orbitali molecolari del benzene, 78 Polarità del solvente, 143, 165
Orbitali molecolari del nitrobenzene, 79 Polarizzazione dei dipoli, 253
Orbitali molecolari dell’anisolo, 79 Polarogramma, 265
Ordine cinetico, 19-20, 23 Poliossietilene(6)ottanolo, 234
Organoborani, 262 Popolazione elettronica, 69
Organocatalisi, 242-244 Postulato di Hammond, 7, 196, 204
Organocuprati, 263 Potenziale chimico, 106
Organozinco, 263 Potenziale di ionizzazione 73, 74, 106
Orientazione antara, 89 Potenziale di semionda, 265, 266, 268, 269
Oscillatore anarmonico, 194 Potenziale elettrico effettivo, 266
Oscillatore armonico, 192, 194 Potenziale elettrodico standard, 265
Ossidazione anodica del toluene, 269 Potenziale elettrodico, 265, 267
Ossidazione anodica dell’alcol benzilico, 269 Potere ionizzante del solvente, 147-149
Ossidazione anodica di ammine, 269, 270 Preequilibrio, 26
Ossidazione anodica, 254, 267-270 Pressione acustica, 260
Ossidazione cromica dell’isopropanolo, 191 Principio della reversibilità microscopica, 7
Ossimercuriazione del benzene, 201, 202 Principio di Bell-Evans-Polanyi, 11, 16
para-Clorotoluene, 258 Principio di Curtin-Hammett, 15
para-Metossifenilperacetato di t-butile, 159 Principio di Franck-Condon, 275
Parametri empirici del solvente, 144 Principio di reattività-selettività, 15-16
Parametro α di Brønsted, 228 Processi concertati, 11
Parametro β di Brønsted, 228 Processi endoergonici, 5,7,8
Parametro φ, 180 Processi esoergonici 4,6,7,8,12
Parametro di Dimroth, 145-147, 162, 165 Processi fotofisici di molecole eccitate, 277
Parametro di Kosover, 147, 162 Processi reversibili, 13
Parametro di nucleofilicità EN, 187 Profilo energetico bidimensionale 2, 4, 6, 8,
Parametro di nucleofilicità n, 187 13, 15
Parametro di nucleofilicità N+, 187 Profilo volumetrico, 47
Parametro di solubilità del solvente δ, 150 1-13C-Propano, 216
Parametro di suscettibilità δ, 137 Radicalanioni, 264, 267, 270
Parametro m, 149 Rapporto tempone, 227
Parametro r, 128, 129 Reattivi di Grignard, 262
Parametro sterico ES, 136 Reattività-selettività, principio di, 15-16
Parametro YA, 148, 149, 162 Reazione di Baeyer-Villiger, 217
Pentacloruro di antimonio, 151 Reazione di Biginelli, 256
Pentossido di diazoto, 20 Reazione di Cannizzaro, 216
Perclorato di litio, 58 Reazione di Diels/Alder, 5, 24, 40, 48, 67, 80,
Permettività relativa, 256 83-88, 151, 158, 162-163, 165, 206, 233, 237,
PES, 73 256
pH, 170, 176, 223, 224, 225, 236, 270 Reazione di Friedel/Crafts, 5, 50, 259
290
Reazione di Heck, 248 Ritorno interno, 58
Reazione di Kolbe, 267, 268 Sali di nitronio, 60
Reazione di Menshutkin, 55 Saponificazione di esteri enantiopuri, 58
Reazione di solfonazione, 60 Scale di nucleofilicità, 186, 189
Reazione iodio-acetone, 226 Scale di pK, 175
Reazione SN1, 8, 9, 49, 56, 126, 149, 156, Scissione di Norrish tipo I, 278
185, 200, 206, 212, 257 Scissione di Norrish tipo II, 279
Reazione SN2, 2, 5, 9, 10, 49, 55, 56, 76, 103, Singoletto, 273-280
132, 149, 156, 157, 185, 186, 201, 211, 237, Siti di nucleazione, 255
238, 240, 257, 258 Sodio dodecilsolfato, 234
Reazioni competitive, 12, 14 Sodio isobenzochinolina, 262
Reazioni di Diels/Alder a domanda inversa, Solfonazione del bromobenzene, 201, 202
87 Solfonazione del naftalene, 212
Reazioni di pseudo-ordine zero, 22 Soluzioni, 140
Reazioni di solvolisi, 49, 56 Solvatazione di anioni nucleofili, 157
Reazioni elettrorganiche dirette, 264, 271 Solvatazione, 16, 56, 141, 154, 156
Reazioni elettrorganiche, 264, 267-272 Solventi anfiprotici, 140
Reazioni elettrorganiche indirette, 265, 271 Solventi, classificazione, 140
Reazioni fotolitiche, 278-279 Solvolisi dei cloruri allilici, 205
Reazioni parallele, 12 Solvolisi del 2-bromopropano marcato, 203
Reazioni SE2, 77 Solvolisi del 2-cloro-2-metilpropano, 262
Reazioni SNAr, 157 Solvolisi di alogenuri allilici, 57-58
Reazioni sotto controllo di carica, 72, 90, 102 Somma di acidi al doppio legame etilenico,
Reazioni sotto controllo orbitalico, 73, 84, 85- 203
90, 94-99, 102 Somma ossidativa, 245, 247, 248
Regione cibotattica, 141 Sonochimica, 259
Regioselettività nelle cicloaddizioni [2+2], 90 Soppressione di ritorno da coppia ionica, 58
Regioselettività nelle cicloaddizioni Sostituzioni elettrofile aromatiche, 211-212
1,3-dipolari, 94-99, 108, 109 Sovrapotenziale, 266
Regioselettività nelle reazioni di Diels/Alder, Sovrariscaldamento, 254
86, 87 Specie elettroattive, 264, 265, 269
Regola di Wigner, 278 Spettroscopia di fotoelettroni, 73
Relazione tra ρ e carica dello stato di Spettroscopia di risonanza elettronica, 75
transizione, 121 Spostamento della marcatura isotopica, 217-
Riassestamenti fotochimici, 279 218
Riassestamento di Beckman, 217 Spostamento solvatocromico, 145, 146, 147
Riassestamento di Claisen in acqua, 164 Spugne protoniche, 182
Riassestamento di Claisen, 217-218 Stadio lento, 6, 20, 191, 195, 196, 200, 209,
Riassestamento di PhCOCHO, 217 210, 224, 226, 228, 266
Riconoscimento molecolare, 230 Stato di transizione, 3, 4, 5, 7, 9, 10, 12, 41-
Riduzione catodica dell’orto-diclorobenzene, 42, 134, 135, 156, 157, 159, 160, 163, 194,
270 196, 198, 203, 204, 205, 206, 217, 218, 221,
Riduzione catodica di alogenuri alchilici, 271 228
Riduzione catodica di immine, 270 Stato eccitato, 272-274
Riduzione catodica di nitroderivati, 270, 271 Struttura esagonale del ghiaccio, 161
Riduzione catodica di olefine, 270 Superacidi, 180-181
Riduzione catodica, 264 Superficie dell’energia potenziale, 3
Riduzione di Meerwein-Ponndorf, 218 Surfattanti, 232, 237, 238
Riduzione fotochimica del benzofenone, 280 Tautomeria anello-catena, 155
Riscaldamento dielettrico, 253 t-Butil cloruro, 148, 149
Ritorno da coppia ionica, 58 Tempo di semitrasformazione, 22
291
Teoria del funzionale densità, 106
Termine di carica (Coulombiano), 69, 72, 102
Termine orbitalico, 69, 72, 102
Tetrabutilammonio ioduro, 238
Tetracianoetilene, 159
Tiofenato di sodio, 105
Transizioni permesse, 273
Transizioni proibite, 273
Trasferimento elettronico, 266
Trasferimento protonico, 139, 181-183, 209,
222, 224, 226, 228
β-Trasposizione di CO, 248
Tripletto, 273-280
Triporfirine cicliche Zn(II) complessate, 233
Ultrasuoni, 259-264
Velocità assoluta, 42
Velocità di inversione, 211
Velocità di racemizzazione, 221, 215
Velocità di reazione, 18
Verde 4-nitromalachite, 187-188
Viscosità, 260
Vita media di specie elettroattive, 267
Volume di attivazione, 45-47, 48-50, 162,
163, 164
Volume di elettrostrizione, 47
Volume intrinseco del soluto, 47
Volume micellare, 234, 236, 237
Volume molare parziale del surfattante, 236
Volume molare parziale, 46
292