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Università degli Studi di Palermo

Facoltà di Ingegneria
Dipartimento di Ingegneria Idraulica ed Applicazioni Ambientali

Corso di "Ingegneria Sanitaria-Ambientale"

TRATTAMENTI BIOLOGICI

a cura di G. Viviani

maggio 2005
G.Viviani
pag.2

INDICE:

1. PREMESSE pag. 1
2. PRINCIPI GENERALI 1
2.1 Elementi di microbiologia 2
2.2 Elementi di biochimica 3
2.3 Confronto fra trattamenti aerobici e anaerobici 5
3. FORMULAZIONE MATEMATICA DEL METABOLISMO BATTERICO 7
3.1 Crescita batterica 8
3.2 Rimozione del substrato 10
3.3 Fattori condizionanti i processi biologici 12
3.3.1 Temperatura 12
3.3.2 Elementi nutritivi 13
3.3.3 Disponibilità di ossigeno 13
4. CARATTERISTICHE IDRODINAMICHE DEI REATTORI BIOLOGICI 14
4.1 Reattore discontinuo (batch) 14
4.2 Reattore continuo con flusso a pistone (plug-flow) 14
4.3 Reattore continuo a miscelazione completa 14
4.4 Confronto fra i differenti tipi di reattore 15
4.5 Sistemi a miscelazione completa senza ricircolo cellulare 17
4.6 Sistemi a miscelazione completa con ricircolo cellulare 20
4.7 Determinazione sperimentale delle costanti cinetiche 22
Esempi n.1-2 23
5. IMPIANTI PER LA RIMOZIONE DEL CARBONIO ORGANICO 32
6. PROCESSO A FANGHI ATTIVI 32
6.1 Generalità sul processo 32
6.2 Dimensionamento razionale del reattore biologico 35
6.3 Dimensionamento semplificato del reattore biologico 36
Esempio n.3 38
6.4 Caratteristiche di sedimentabilità del fango 39
Esempio n.4 40
6.5 Concentrazione della biomassa e ricircolo del fango 41
Esempio n.5 42
6.6 Produzione del fango di supero 43
Esempio n.6 45
6.7 Calcolo dei sistemi di aerazione 46
6.7.1 Fabbisogno di ossigeno 46
Esempi n.7-8 48
6.7.2 Trasferimento di un gas in un liquido 49
Esempi n.9-10 51
6.7.3 Trasferimento dell'ossigeno nella miscela aerata 52
Esempio n.11 54
6.7.4 Calcolo della capacità di ossigenazione 54
6.7.5 Dimensionamento dei dispositivi di aerazione 56
Esempi n.12-13 56
6.8 Dispositivi di aerazione 57
6.8.1 Aerazione superficiale 57
6.8.2 Aerazione per insufflazione 59
Esempio n.14 61
6.8.3 Altri sistemi di aerazione 62
6.8.4 Confronto fra i sistemi di aerazione 62
6.9 Effetti della sedimentazione primaria sul trattamento biologico 78
6.10 Alternative di processo negli impianti a fanghi attivi 79
6.11 Processi a basso, medio e alto carico 79
6.11.1 Processo a basso carico 80
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6.11.2Processo a medio carico 81


6.11.3Processo ad alto carico 82
6.12 Processo con flusso a pistone 82
6.13 Processo a carico distribuito 83
6.14 Processo a contatto e stabilizzazione 83
6.15 Processo pluristadio 83
6.16 Processo a bacino unico 85
6.17 Fosse di ossidazione 85
6.18 Processo ad alimentazione discontinua 86
6.19 Processo a ossigeno puro 86
6.20 Pozzo profondo 88
Esempio n.15 88
7. STAGNI BIOLOGICI 94
7.1 Fattori che influenzano il funzionamento di uno stagno biologico 95
7.1.1 Caratteristiche idrauliche 96
7.1.2 Caratteristiche fisiche 96
7.1.3 Caratteristiche chimiche 97
7.1.4 Caratteristiche biologiche 97
7.1.5 Fotosintesi algale 100
7.2 Caratteristiche operative e criteri di dimensionamento 101
7.2.1 Stagni aerobici 101
7.2.2 Stagni facoltativi 102
7.2.3 Stagni anaerobici 102
7.2.4 Stagni aerati 103
7.3 Caratteristiche costruttive 104
7.4 Produzione dei fanghi 106
7.5 Rendimenti di depurazione e trattamento degli effluenti finali 106
8. LETTI PERCOLATORI 108
8.1 Tipologie impiantistiche 108
8.2 Caratteristiche costruttive 109
8.2.1 Sistemi di alimentazione e distribuzione del liquame 109
8.2.2 Sistemi di drenaggio e aerazione 110
8.2.3 Contenimento laterale 111
8.2.4 Materiali di riempimento 111
8.3 Criteri di dimensionamento 113
8.3.1 Letti percolatori a debole carico 113
8.3.2 Letti percolatori intensivi 114
8.4 Aspetti gestionali 115
9. DISCHI BIOLOGICI 123
9.1 Caratteristiche costruttive 123
9.2 Criteri di dimensionamento 124
9.3 Campi di applicazione ed aspetti operativi 125
10. FILTRI BIOLOGICI SOMMERSI 127
11. PROCESSI MISTI 127
Bibliografia 129
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TRATTAMENTI BIOLOGICI
1. PREMESSE

Nell'ambito degli impianti di depurazione dei reflui di origine urbana, il


ricorso ai trattamenti biologici è usuale, tanto per la rimozione del substrato
carbonioso (espresso in termini di BOD o di COD), quanto per quello dell'azoto,
quanto infine per la stabilizzazione dei fanghi; un'ulteriore applicazione si ha per
la rimozione del fosforo, anche se in questo caso è ancora oggi preferito il
ricorso ai trattamenti fisico-chimici.
Nell'ambito dei trattamenti biologici, è possibile fare distinzione fra
differenti forme di intervento; tale distinzione può risultare funzione tanto del tipo
di substrato che il trattamento consente di rimuovere (carbonio, azoto, fosforo),
quanto della forma in cui la biomassa è presente nel reattore (processi a
biomassa sospesa e adesa), quanto infine del tipo di metabolismo a cui la
biomassa è sottoposta (processi aerobici, anaerobici, anossici).
Appresso si darà una descrizione dei principali processi adoperati,
limitatamente a quelli utilizzati nella linea acque degli impianti di depurazione
per la rimozione del substrato carbonioso; si rimanda a successivi capitoli per i
trattamenti utilizzati per la rimozione di azoto e fosforo e per la linea fanghi.

Le note appresso riportate sono liberamente tratte dalle seguenti


pubblicazioni, che sono state opportunamente modificate e integrate:
a) L. Bonomo: Trattamenti biologici - Processi a fanghi attivi. Istituto di
Ingegneria Sanitaria del Politecnico di Milano;
b) C. Nurizzo: Processi a biomassa fissa: letti percolatori e dischi biologici
(RBC). Istituto di Ingegneria Sanitaria del Politecnico di Milano;
c) C. Nurizzo: Stagni biologici. Istituto di Ingegneria Sanitaria del Politecnico di
Milano.

In particolare, saranno discussi i principali trattamenti biologici in uso:


fanghi attivi, letti percolatori, dischi biologici, stagni biologici. La trattazione di tali
argomenti è fatta precedere da una discussione dei principi generali dei
trattamenti biologici.

2. PRINCIPI GENERALI

E' noto che i fenomeni di autodepurazione naturali sono essenzialmente


di tipo biologico. Attraverso essi il materiale organico biodegradabile subisce
una progressiva azione di demolizione, con formazione di composti via via più
stabili fino alla completa mineralizzazione.
I trattamenti biologici non rappresentano altro che la riproduzione, in
maniera accelerata e in ambiente controllato, dei fenomeni di degradazione
naturale. Peraltro, è talvolta difficile fare una netta distinzione tra le forme di
depurazione naturale e artificiale: ne sono un esempio alcuni metodi di
trattamento biologico, come ad esempio gli stagni biologici, di cui si dirà più
avanti.
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I microrganismi coinvolti in tale azione sono numerosissimi e


appartengono tanto al regno animale (rotiferi, crostacei), quanto a quello
vegetale (muffe, felci), quanto infine a quello dei protisti (alghe, protozoi, funghi,
lieviti, alghe azzurre, batteri, virus). Sono in particolare i batteri ad assumere un
ruolo fondamentale nella depurazione biologica; questi utilizzano il materiale
organico biodegradabile come substrato nutritivo, traendo da esso il materiale
occorrente alla sintesi di nuove cellule e l'energia a tale scopo necessaria.
Le prime applicazioni dei trattamenti biologici possono ricondursi a
parecchi decenni fa. Il primo letto percolatore infatti venne costruito in
Inghilterra sul finire del secolo scorso, mentre un impianto a fanghi attivi venne
per la prima volta messo in esercizio, sempre in Inghilterra, nel 1914. Tuttavia,
nel corso degli anni si è avuto un progressivo miglioramento nella conoscenza
dei fenomeni che ne sono alla base e quindi nei criteri di dimensionamento e
gestione degli impianti.

2.1 Elementi di microbiologia

I batteri sono protisti unicellulari, che si riproducono per scissione binaria


in un tempo (tempo di generazione), variabile tra 0,5 e 100 ore.
Le dimensioni di un singolo batterio sono dell'ordine dei micron; esso si
alimenta solo di sostanze in forma disciolta, le uniche capaci di attraversare la
membrana cellulare; segue quindi che la crescita batterica necessita della
presenza dell'acqua. L'assimilazione dei nutrienti avviene o per trasporto
passivo di tipo osmotico, o per trasporto attivo mediato da enzimi.

Notevoli differenze sono riscontrabili nella forma e dimensione delle varie


specie batteriche: si va infatti da alcune decine a pochi decimi di micron.
La morfologia di una cellula batterica può essere ricondotta a tre forme
(Fig.1):
a) sferica o quasi sferica (cocchi);
b) cilindrica, caratterizzata da un asse minore e uno maggiore (bacilli);
c) cilindrica ricurva, con una sola curvatura (vibrioni), con due curvature (spirilli)
o a elica (spirochete).
Le singole cellule, a seguito della riproduzione, vengono a formare
particolari raggruppamenti, denominati in maniera differente a seconda della
loro forma; in Fig. 1 ne sono riportati alcuni esempi.

Le principali caratteristiche della struttura di un batterio sono riportate in


Fig.2; in effetti occorre dire che solo alcuni degli elementi in essa indicati sono
comuni a tutte le cellule batteriche, mentre altri compaiono soltanto in alcuni
generi e specie (fra questi la capsula). Procedendo dall'esterno all'interno della
cellula, gli elementi di questa sono (Fig.2):
a) flagello e fimbrie: il flagello è un organo di locomozione costituito da delicate
appendici di tipo filamentoso; le fimbrie si ritrovano invece solo in alcuni tipi di
batteri ed hanno la funzione di agevolare l'adesione della cellula;
b) capsula: presente solo in alcuni batteri, è costituita da uno strato di materiale
gelatinoso aderente alla parete cellulare della cellula; essa è composta da
acqua (in gran parte) con un 2% circa di solidi (polisaccaridi, proteine); la
capsula ha in genere una funzione difensiva di natura meccanica,
specialmente nei batteri patogeni;
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c) parete cellulare: costituisce un contenitore rigido che racchiude la cellula; è


composta da materiale polimerico, con struttura piuttosto complessa, la cui
natura caratterizza fortemente i vari tipi di batteri (batteri Gram-positivi e
Gram-negativi);
d) membrana citoplasmatica: costituita da proteine (50-75%) e lipidi (20-35%),
rappresenta il 10% circa del peso secco della cellula; ha una funzione
fondamentale, in quanto regola gli scambi con l'ambiente esterno,
selezionando il passaggio delle sostanze nutritive, dall'esterno all'interno, e
degli enzimi e tossine, in senso inverso;
e) citoplasma: è una soluzione acquosa, in fase di gel, contenente prodotti
organici e inorganici in forma disciolta e numerosi piccoli granuli (inclusioni
cellulari);
f) nucleo: è costituito da una molecola di DNA, nella quale è quindi depositata
l'intera informazione genetica della cellula.

Va osservato che la componente principale di una cellula batterica è


l'acqua, che ne costituisce circa l'80% in peso, e il rimanente 20% di solidi, di
cui il 90% circa è di natura organica (proteine, carboidrati e lipidi) e il 10%
inorganica.
Un'espressione che tiene conto dei rapporti in peso dei principali
componenti di una cellula batterica (non va quindi intesa come una formula
chimica) è C5H7NO2; sono pure presenti in una cellula batterica o meglio,
anche se in tracce, fosforo, zolfo, sodio, calcio, magnesio, potassio, ferro, etc.;
tutte queste componenti costituiscono il protoplasma cellulare
I batteri si trovano in natura ovunque sia presente acqua, che costituisce
un elemento fondamentale per la loro alimentazione, stante la loro possibilità di
sintetizzare soltanto prodotti in forma disciolta.
Fortunatamente però solo una piccola parte dei batteri è patogena, cioè
apportatrice di malattie per gli organismi viventi, mentre la maggioranza è di tipo
banale, tale cioè da non comportare rischi igienici.

I batteri si differenziano anche in funzione della temperatura in cui essi


possono vivere; possono così distinguersi tre classi:
a) b. psicrofili (tra 2 e 20 °C);
b) b. mesofili (tra 20 e 45 °C);
c) b. termofili (tra 45 e 75 °C).
La temperatura ha notevole influenza sulla cinetica del metabolismo
batterico; in genere, i trattamenti biologici si svolgono in campo mesofilo, in cui
la velocità di reazione dei processi metabolici raggiunge un massimo a 31 °C.

2.2 Elementi di biochimica

La crescita dei microrganismi comporta una serie di reazioni chimiche,


globalmente costituenti il metabolismo degli organismi; questo può essere
distinto in due fasi fondamentali, praticamente simultanee: quella di sintesi di
nuova materia cellulare, a partire da molecole semplici, con consumo di energia
(anabolismo), e quella di respirazione, in cui avviene la degradazione delle
sostanze assimilate con produzione di molecole semplici e liberazione di
energia (catabolismo), necessaria per il processo di sintesi.
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Infatti, le reazioni che portano alla formazione di sostanze più complesse,


a partire da sostanze più semplici, sono endotermiche, con consumo quindi di
energia; percontro, quelle che conducono alla formazione di sostanze più
semplici da altre più complesse sono esotermiche, con produzione di energia.
Le prime sono tipiche della fase di sintesi di nuova materia cellulare (fase
assimilativa), mentre le seconde caratterizzano la fase di respirazione (fase
disassimilativa).

E' possibile distinguere i microrganismi in funzione della fonte di nutrienti


utilizzata nella fase anabolica (in particolare di carbonio, che è il principale
composto cellulare) e di quella da cui essi traggono energia nella fase
catabolica.
Vengono definiti autotrofi gli organismi che utilizzano il carbonio
inorganico (CO2), mentre sono eterotrofi quelli che utilizzano il carbonio
organico.
Come fonte di energia, gli organismi possono fare ricorso all'energia
solare, mediante il processo fotosintetico (org. fotosintetici), oppure all'energia
prodotta mediante reazioni di ossido-riduzione di prodotti inorganici, quali
ammoniaca, ferro o zolfo (a. chemioautotrofi); il primo caso è tipico delle alghe.
Ultima possibilità è quella in cui gli organismi traggano l'energia da reazioni di
ossido-riduzione dei composti organici (org. chemiorganotrofi); nel caso in cui
questi siano eterotrofi, si ha allora che i composti organici vengono a costituire
un'unica fonte per l'intero metabolismo degli organismi stessi.

E' noto che i principali elementi nutritivi degli organismi viventi sono
costituiti da carboidrati (zuccheri), proteine e grassi.
I vegetali, organismi autotrofi fotosintetici, sono gli unici in natura capaci
di formare carboidrati, a partire da acqua e CO2, utilizzando l'energia solare
(processo di fotosintesi). Ugualmente, riescono a trarre tutte le sostanze
organiche necessarie al loro metabolismo da sostanze inorganiche semplici.
Per tale motivo, i vegetali sono detti produttori di sostanza organica.
Invece gli organismi eterotrofi, pur potendo sintetizzare carboidrati
proteine e grassi a partire da molecole organiche più semplici, tuttavia non
possono produrre queste ultime dai minerali, così come visto per i vegetali. Essi
quindi utilizzano la sostanza organica già esistente, che viene trasformata parte
in nuova materia cellulare (sintesi), parte in energia e molecole semplici
inorganiche (respirazione); queste ultime vengono così messe a disposizione
dei vegetali. Ciò giustifica che gli organismi eterotrofi vengono detti demolitori.

Di particolare interesse, ai fini della depurazione, è il meccanismo con cui


avviene la fase di respirazione. Secondo le più moderne teorie, essa consta di
reazioni di ossido-riduzione, nelle quali si ha un passaggio di elettroni da un
composto riducente (donatore di elettroni) a uno ossidante (accettore di
elettroni). Gli organismi eterotrofi sono capaci di ossidare le sostanze organiche
(che sono quindi donatori di elettroni), mentre gli autotrofi ossidano prodotti
inorganici, quali ammoniaca, zolfo, ferro, idrogeno molecolare.
L'energia è trasferita dal donatore di elettroni mediante una complessa
serie di reazioni enzimatiche. In particolare, essa è fissata principalmente in un
composto chimico che funge da trasportatore di energia, l'adenosintrifosfato
(ATP), che si forma per aggiunta (fosforilazione) di una molecola di fosforo
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inorganico a partire dall'adenosindifosfato (ADP); viceversa, la defosforilazione


dell'ADP ad ATP implica la liberazione di energia; lo schema complessivo che
ne deriva è il seguente:

ADP + Pinorg + energia → ATP


ATP → ADP + Pinorg + energia

La fase di respirazione può avvenire in presenza di ossigeno disciolto


(metabolismo aerobico), in assenza di questo (metabolismo anaerobico); infine,
di interesse per la depurazione è pure il caso in cui essa avvenga in presenza
di ossigeno combinato con azoto, cioè di nitrati (metabolismo anossico).
I batteri aerobi utilizzano l'ossigeno libero presente nell'acqua, come
accettore di elettroni; in termini qualitativi, la reazione che ne deriva è:

sostanza organica + O 2 + batteri aerobi → nuovi batteri + CO 2 + H2O

I batteri anaerobi invece si sviluppano in assenza di ossigeno libero e


utilizzano come accettore di elettroni l'ossigeno combinato nelle molecole
organiche, il carbonio, l'azoto e lo zolfo. Anche in questo caso, in forma
qualitativa può scriversi:

sostanza organica + batteri anaerobici → nuovi batteri + CO 2 + CH4 + H2O

Tuttavia la suddivisione tra batteri aerobi ed anaerobi non va intesa


rigidamente, dato che la maggior parte dei batteri può comportarsi
indifferentemente come aerobi o come anaerobi, a seconda delle condizioni
ambientali ed in particolare della disponibilità o meno di ossigeno libero. Tali
batteri, detti facoltativi, possono cioè utilizzare entrambi i meccanismi di
ossidazione prima ricordati, utilizzando in ogni caso, fra tutti gli accettori di
elettroni disponibili, quello che consente la massima produzione di energia; da
ciò deriva, che, in presenza di ossigeno libero, tali batteri fanno uso di un
metabolismo aerobico.
La differenza fondamentale tra metabolismo aerobico e anaerobico sta
nelle modalità secondo cui sono condotte le reazioni energetiche di
ossidazione. Nel primo caso infatti le sostanze organiche vengono decomposte
in sostanze più semplici, con produzione di un'elevata quantità di energia. Il
metabolismo anaerobico invece conduce alla formazioni di altre sostanze
organiche, seppure più semplici, ma in tempi maggiori e con una minore
quantità di energia.

2.3 Confronto fra trattamenti aerobici e anaerobici

Le considerazioni svolte consentono di delineare i vantaggi e gli


svantaggi dei trattamenti aerobi e anaerobi. Si vedrà infatti meglio nei
successivi capitoli. in cui vengono approfonditi i trattamenti aerobici e
anaerobici, che a favore dei primi giocano la rapidità del processo e la più
spinta utilizzazione del substrato organico (il che in definitiva significa un miglior
rendimento di depurazione). I trattamenti anaerobi percontro non richiedono
disponibilità di ossigeno libero; pertanto non comportano le spese di energia,
necessarie per l'alimentazione dei dispositivi di aerazione; inoltre, a parità di
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ogni altra circostanza, la velocità di riproduzione dei batteri in ambiente


anaerobico è molto più bassa e quindi i volumi di fango biologico da avviare a
successivo trattamento sono più contenuti.

In definitiva, il ricorso ai processi aerobici appare vantaggioso nel caso di


scarichi contenenti una bassa concentrazione di sostanza organica e con
elevate portate, per via della rapidità e della completezza del processo. I
trattamenti aerobi si esauriscono generalmente nel giro di poche ore e ciò
consente di limitare il volume delle vasche in cui il processo si svolge, mentre le
spese di aerazione (che come si vedrà non dipendono dalle portate in gioco ma
dalla quantità di sostanza organica da trattare e dalla sua biodegradabilità)
restano contenute.
Invece, il trattamento anaerobico può essere conveniente per reflui
caratterizzati da piccole portate ed elevate concentrazioni di sostanza organica.
In questo caso infatti il risparmio di energia consentito dall'assenza di dispositivi
di aerazione è sensibile, mentre l'aumento dei volumi delle vasche non risulta
particolarmente elevato, a causa delle modeste portate in gioco, malgrado i
notevoli tempi di permanenza necessari.
In linea generale, il ricorso ai trattamenti aerobici appare più idoneo, per
reflui aventi valori di BOD non superiori a 2000-3000 mg/l; per concentrazioni
superiori, può invece divenire conveniente il trattamento anaerobico. Segue
quindi che, nel caso dei reflui urbani di origine domestica, i trattamenti biologici
adoperati nella linea acque sono in pratica solo quelli aerobici, nella varie
versioni prima accennate (processi a biomassa sospesa o adesa).
Il ricorso ai trattamenti anaerobici, all'interno della linea acque di un
impianto di depurazione, è tuttavia generalmente limitato, a causa delle
seguenti osservazioni:
a) i reflui con BOD superiori a 2000-3000 mg/l sono poco numerosi e
generalmente reperibili in campo industriale, agroalimentare o zootecnico;
b) in genere il trattamento anaerobico non consente di ottenere da solo un
effluente avente concentrazioni compatibili con gli standard richiesti per lo
scarico in acque superficiali (anche in considerazione degli alti BOD di
partenza): ciò a causa del basso rendimento di depurazione da esso
garantito; per tale motivo, il trattamento anaerobico è spesso previsto come
fase preliminare di depurazione, a cui fa seguito un'ulteriore fase di
trattamento, generalmente aerobica;
c) per effluenti molto concentrati (con BOD superiori ai 10 g/l), la convenienza
del processo anaerobico può venire a cadere di fronte ad altri metodi non
biologici (ad es. l'essiccamento, la concentrazione sotto vuoto,
l'incenerimento, etc);
d) la conoscenza delle problematiche di progetto e gestione dei processi
anaerobici è decisamente più limitata di quelli aerobici.

Invece i trattamenti anaerobici hanno trovato vasta applicazione nella


linea fanghi degli impianti di depurazione, per il trattamento dei reflui di origine
anche domestica. In questo caso infatti, i fanghi da sottoporre a stabilizzazione
sono caratterizzati da portate piccole, ma con elevate concentrazioni di
sostanza organica. In più, la stabilizzazione per essi richiesta è solo parziale;
infatti, il fango stabilizzato ha ancora un elevato contenuto di sostanza organica,
residuo di una degradazione solamente parziale delle molecole presenti
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all'origine. Tali materiali però non presentano più la putrescibilità dei fanghi
freschi, ma vengono a costituire un humus stabile (o meglio, solo lentamente
decomponibile).

3. FORMULAZIONE MATEMATICA DEL METABOLISMO BATTERICO

Un esame qualitativo dei processi che si verificano nel corso dell'attività


metabolica di una cellula batterica può trarsi da una prova in discontinuo
eseguita in laboratorio (prova in batch).
La formulazione matematica appresso riportata fa rigorosamente
riferimento al caso di una coltura pura di un singolo batterio; in effetti tale
situazione non corrisponde alla realtà riscontrabile nelle acque reflue, in cui è
nota la compresenza di numerose specie batteriche; pertanto, gli andamenti
qualitativi e i parametri che saranno richiamati appresso non fanno riferimento a
un singolo batterio, ma saranno considerati rappresentativi del comportamento
medio dell'intera popolazione batterica analizzata.

Si immagini quindi di introdurre una coltura mista di batteri, costituita cioè


da specie diverse, in un recipiente in cui sia contenuto un campione di liquame,
caratterizzato da un'elevata concentrazione di sostanza organica
biodegradabile; inoltre la sua composizione sia tale che non si determini una
situazione di carenza di elementi nutritivi minerali. Ciò comporta che lo sviluppo
delle cellule batteriche sarà limitato solo dalla disponibilità di substrato
carbonioso e non da quella di altri composti inorganici. Il recipiente è isolato
dall'esterno, in modo tale da non avere scambi di batteri o di materia organica
con l'esterno.
In funzione del tempo, è allora possibile distinguere cinque fasi
successive nello sviluppo della concentrazione batterica iniziale xo (Fig.3):
a) fase di acclimatazione: i batteri si adattano alle nuove condizioni,
generalmente differenti da quelle di usuale sviluppo;
b) fase di crescita illimitata: in questa fase, i batteri cominciano a svilupparsi
rapidamente; la concentrazione S del substrato, inizialmente elevata, va
decrescendo, pur rimanendo disponibile in quantità superiore alle necessità
metaboliche dei batteri;
c) fase di crescita limitata: essendo il sistema chiuso, la crescita illimitata non
può continuare indefinitamente, per cui il substrato nutritivo, consumato
senza essere reintegrato, raggiunge concentrazioni via via decrescenti, sino
a valori che finiscono per essere limitanti la crescita batterica;
d) fase stazionaria: in questa fase, i fenomeni di scomparsa, che durante la fase
di crescita illimitata e all'inizio di quella limitata risultavano trascurabili, vanno
acquistando rilevanza sempre maggiore, tale che la crescita netta risulta
nulla (cioè si ha un compenso tra le nuove cellule e quelle morte); di
conseguenza, la concentrazione batterica nel sistema resta costante; la
variazione della concentrazione di substrato è ormai modesta;
e) fase endogena: procedendo nella fase stazionaria, avrà inizio un periodo in
cui la crescita netta risulterà negativa, per via della prevalenza delle cellule
morte su quelle nuove; quindi la concentrazione della biomassa comincia a
diminuire, mentre quella del substrato è trascurabile; in questa fase i
microrganismi, in estrema carenza di substrato, utilizzano il protoplasma
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cellulare dei batteri morti, oltre che il substrato nutritivo accumulato entro le
loro stesse cellule nei periodi di forte disponibilità, prevalentemente sotto
forma di lipidi e di glucidi di riserva.

Come già accennato, in tali considerazioni si è sempre ammesso che


l'elemento limitante fosse costituito dal substrato organico. Considerazioni del
tutto analoghe possono ripetersi per le situazioni, in verità meno frequenti, in cui
la crescita batterica sia condizionata dalla concentrazione di altre sostanze,
quali ad esempio i sali nutritivi minerali (azoto, fosforo, potassio, etc.).
Il processo metabolico, sin qui descritto solo in maniera qualitativa, sarà
appresso affrontato da un punto di vista matematica, sia per quanto riguarda la
crescita batterica, sia per la rimozione del substrato.

3.1 Crescita batterica

Prendendo in esame un sistema chiuso (batch), costituito da un


campione in cui sia presente la sostanza organica (substrato) e la popolazione
batterica (biomassa), si ha che la variazione della massa batterica (o del
numero di batteri) può essere così espressa:

dX dX dX
= ( )crescita - ( )scomparsa = μX - k d X = ( μ − k d )X (1)
dt dt dt

con:
X massa batterica presente al tempo t;
μ velocità di crescita batterica [T-1];
kd velocità di scomparsa batterica[T-1].

Dividendo per il volume del campione preso in esame, si può anche


scrivere:
dx
= (μ − k d ) x (1')
dt

dove x è la concentrazione batterica.


Nell'ipotesi che ci sia un unico fattore limitante per la crescita batterica, μ
può esprimersi con la seguente espressione, dovuta a Monod:

S
μ = μˆ (2)
ks + S

con:
μ̂ velocità di crescita massima, che si ha per concentrazioni di substrato
sufficientemente alte per non costituire fattore limitante per la crescita
batterica;
S concentrazione del substrato;
ks costante di semisaturazione.

La costante di semisaturazione rappresenta quel valore della


concentrazione del substrato, in corrispondenza della quale la velocità di
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crescita batterica μ risulta pari alla metà di quella massima; infatti ponendo μ
=0,5 μ̂ , risulta ks=S.
In Fig.4 è riportato l'andamento di μ in funzione di S; si nota che, al
crescere di S, μ tende a μ̂ in quanto la frazione a secondo membro della (2)
tende all'unità.
Introducendo la (2) nella (1') si ottiene la seguente espressione, nota
come equazione di Monod:

dx S
= (μˆ − kd) x (3)
dt ks + S

Come più volte detto, l'espressione prima ricavata deriva dall'ipotesi che
ci sia un unico fattore limitante la crescita batterica, che in generale è costituito
dalla concentrazione del substrato organico; è tuttavia possibile che si verifichi
una limitazione della crescita dovuta anche ad altri fattori (nutrienti, come
fosforo azoto, disponibilità di ossigeno, etc.).
E' pertanto possibile tenere conto della compresenza di più fattori
limitanti, modificando la (2) nel seguente modo:

S1 S2 Sn
μ = μˆ × × ... × (2' )
k s1 + S1 k s2 + S 2 k sn + Sn
con:
μ̂ velocità di crescita massima;
S1, S2, Sn concentrazioni dei substrati;
ks1, ks1, ksn costanti di semisaturazione.

Limitandoci per semplicità all'analisi della (2), si può osservare che tale
espressione riproduce bene tutte le fasi della crescita batterica, prima descritte
in maniera qualitativa. Fa eccezione la fase iniziale di acclimatazione, sulla cui
durata nulla si può dire, in quanto strettamente dipendente dalla differenza tra le
condizioni di vita dei batteri nella fase antecedente al loro prelievo e in quella
che essi trovano durante la prova in laboratorio.
Con riferimento ancora alla Fig.3 ed escludendo la fase iniziale di
acclimatazione, si osserva quanto segue:
a) fase di crescita illimitata: in questa fase, i batteri cominciano a svilupparsi
rapidamente secondo la (3); la concentrazione S del substrato è elevata
(S>>ks) per cui dalla (2) si ricava che μ può essere assunto pari a μ̂ ; dato
che kd è sempre molto minore di μ̂ , risulta:

dx
≅ μˆ x (4)
dt

come già visto, μ̂ esprime la velocità di crescita batterica in assenza di


elementi limitanti; essa è legata al tempo di generazione, che tuttavia, per
popolazioni eterogenee come quella considerata, perde un preciso
riferimento con la realtà fisica, venendo a costituire la media ponderata tra i
tempi di generazione delle diverse specie che costituiscono la popolazione
G.Viviani
pag.10

batterica presente; il valore di tg può essere ricavata integrando la (4); infatti,


la concentrazione di batteri x all'istante generico t risulta:
⎛ x ⎞
ln⎜⎜ ⎟⎟ = μˆ t (4' )
⎝ o⎠
x
ricordando che per t = tg, x = 2 xo , si ottiene:

ln 2
μˆ = (4' ' )
tg

il valore di μ̂ può essere ricavato sperimentalmente come pendenza della


retta che si ottiene riportando la (4') in scala semilogaritmica, nel piano
ln(x/xo) - t;
b) fase di crescita limitata: in questa fase il substrato raggiunge concentrazioni
tali che non si può più considerare S>>ks; la crescita batterica non segue più
la (4), ma la più generale legge espressa dalla (3); ne consegue un
rallentamento dello sviluppo, caratterizzato da una sempre più marcata
riduzione nel tempo di μ;
c) fase stazionaria: in questa fase, i fenomeni di scomparsa, che durante la fase
di crescita illimitata e all'inizio di quella limitata risultavano trascurabili (kd <<
μ e di μ̂ ), vanno acquistando rilevanza sempre maggiore, tale che μ finisce
per eguagliare kd; di conseguenza, la concentrazione batterica nel sistema
resta costante;
d) fase endogena: procedendo nella fase stazionaria, si avrà che μ < kd, per cui
la concentrazione della biomassa comincia a diminuire.

3.2 Rimozione del substrato

La sostanza organica (substrato) viene utilizzata dai batteri come


materiale di sintesi per le nuove cellule e come fonte di energia per la stessa
sintesi. Così il substrato viene trasformato per via biochimica in materia
organica vivente (nuove cellule) e in prodotti finali stabili, prevalentemente
gassosi.
In tal modo, i batteri trasformano la sostanza organica (non vivente)
presente nei liquami in cataboliti in forma organica e inorganica (non vivente) e
in nuove cellule batteriche (in cui è quindi presente sostanza organica vivente); i
cataboliti e le nuove cellule batteriche costituiscono un "fango organico", ancora
fortemente inquinante per via dell'elevato contenuto in sostanze organiche, che
è però rimovibile in buona parte con processi di natura fisica (sedimentazione).
In definitiva, si viene in tal modo a rimuovere buona parte dell'originario
contenuto organico dei liquami, che, essendo presente in forma non
sedimentabile, non sarebbe possibile eliminare con i processi fisici di
sedimentazione.

Si definisce coefficiente di crescita cellulare Y, il rapporto adimensionale


tra la nuova massa cellulare prodotta e il substrato utilizzato dai batteri per tale
produzione:
(dx / dt)crescita
Y= (5)
dS / dt
G.Viviani
pag.11

Per confronto con la (1), si può scrivere:

dS 1 ⎛ dx ⎞ μ
= ⎜ ⎟ = x=vx (5' )
dt Y ⎝ dt ⎠ crescita Y

avendo indicato con v il rapporto μ/Y, definito come velocità di rimozione del
substrato.

Combinando le espressioni (2) e (5'), può anche scriversi:

dS μˆ S S
= x = v̂ x (5' ' )
dt Y ks + S ks + S

nota come equazione di Michaelis-Menten.

In merito alla velocità di rimozione del substrato, possono svilupparsi


considerazioni analoghe a quelle già discusse a proposito della crescita
batterica per sistemi chiusi, non alimentati dall'esterno (Fig.3). In particolare
risulta:
S
v = v̂ (5' ' ' )
ks + S

L'andamento di v è quindi crescente con S e tende a un valore massimo,


pari a v̂ , che si raggiunge asintoticamente per elevati valori di S; tale
andamento è praticamente analogo a quello già visto per μ, riportato in Fig.4.
Per impianti ad alimentazione continua, una volta raggiunte le
condizioni di regime, si può porre costante la concentrazione batterica (x=cost);
allora, nel caso di alte concentrazioni del substrato (S>>ks), la frazione a
secondo membro della (5'') può essere posta pari a 1; può quindi scriversi:

dS
= v̂ x = k1 (6)
dt

la velocità di rimozione del substrato è quindi costante e indipendente dalla


concentrazione del substrato stesso; in tal caso, si dice che la reazione è di
ordine zero rispetto a S. E' questo un caso che non si verifica frequentemente
nel trattamento biologico delle acque di scarico; l'esempio più significativo si ha
nei processi di denitrificazione, in cui, essendo ks dell'ordine di 0.05÷0.1 mg/l di
NO3, bastano modeste concentrazioni di nitrati per verificare la condizione
S>>ks.
Invece, se S è piccolo rispetto a ks, sempre nel caso di impianti ad
alimentazione continua, in cui si può porre x=cost, si ottiene dalla (5''):

dS S
= v̂ x = k2 S (7)
dt ks
G.Viviani
pag.12

la velocità di rimozione del substrato risulta quindi proporzionale alla


concentrazione del substrato stesso, crescendo linearmente con questa; in tal
caso si dice che la reazione è di primo ordine rispetto a S. Gran parte dei
processi biologici usati per la depurazione delle acque seguono una cinetica di
questo tipo; in particolare, essa è già stata utilizzata per la determinazione del
BOD.

3.3 Fattori condizionanti i processi biologici

La velocità massima di rimozione del substrato v̂ , introdotta nella (5''), è


stata definita come la quantità di substrato eliminabile nell'unità di tempo e per
unità di massa cellulare, in assenza di fattori limitanti; quindi v̂ dipende dalle
caratteristiche del refluo da trattare e aumenta con la sua biodegradabilità.
Si è anche già evidenziato che l'effettivo valore della velocità di rimozione
v risulta generalmente limitata dalla concentrazione del substrato presente ed è
quindi in genere inferiore a v̂ , salvo che per le reazioni di ordine zero.
Oltre alla biodegradabilità e alla concentrazione del substrato organico,
numerosi altri fattori hanno considerevole influenza sull'andamento dei processi
biologici. Essi dipendono dalla composizione dello scarico e dalle condizioni
ambientali in cui si opera; i principali fattori sono la temperatura, la presenza di
elementi nutritivi e, limitatamente ai processi aerobici, la disponibilità di
ossigeno libero.

3.3.1 Temperatura

I processi biologici risentono della temperatura di esercizio; l'incremento


di v̂ (o di v) all'aumentare di T può essere espresso dalla seguente relazione,
ricavabile da quella generale di Vant' Hoff:

v̂ T = v̂ 20 α(T − 20) (8)


con:
v̂ T velocità massima di rimozione del substrato alla temperatura T;
v̂ 20 velocità massima di rimozione del substrato alla temperatura di
riferimento di 20 °C;
T temperatura di esercizio [°C];
α costante caratteristica dei vari processi biologici (Tab.1).

Dall'esame dei valori di α, riportati in Tab.1, si ricava che l'influenza della


temperatura è limitata nel caso dei processi a fanghi attivi, ma diventa sensibile
per i letti percolatori e le lagune aerate (con un raddoppio di v̂ T per un
incremento di temperatura di 9 °C) e soprattutto per i processi di nitrificazione-
denitrificazione, dove il raddoppio si ha per incrementi di 5-6 °C.
La (8) tiene conto soltanto dell'influenza della temperatura sul
metabolismo batterico; altri effetti indiretti sui processi biologici si hanno a
seguito di variazioni della temperatura, come ad esempio sui meccanismi di
trasferimento dell'ossigeno nell'acqua e sui processi di sedimentazione (a causa
delle variazioni di viscosità dell'acqua).

3.3.2 Elementi nutritivi


G.Viviani
pag.13

Come già accennato, la presenza di elementi nutritivi minerali, e in primo


luogo dell'azoto e del fosforo, è indispensabile per un corretto metabolismo
batterico.
La valutazione dei fabbisogni di azoto può essere condotta tenendo
conto dei rapporti in peso dei vari composti costituenti la cellula batterica;
facendo ricorso alla richiamata formulazione empirica C5H7NO2 (come rapporto
ponderale dei principali elementi che la compongono), si ricava che l'azoto
costituisce 12,4% del peso complessivo della cellula; tale percentuale per il
fosforo si riduce a circa il 2%.
Si dimostra che è necessaria una proporzione fra i tre nutrienti così
espressa:
BOD : N : P = 100 : 5 : 1

Il contenuto dei tre nutrienti principali nelle acque reflue di origine


domestica è invece ricavabile dagli apporti pro-capite tipici di tale caso (60
grBOD/abxg, 12 gN/abxg, 2 gP/abxg); si ricava quindi la seguente proporzione
dei tre composti nelle acque reflue:

BOD : N : P = 100 : 20 : 8

Ciò evidenzia che, nel caso dei reflui di origine domestica, non si ha una
carenza dei due nutrienti (azoto e fosforo), che risultano presenti in quantità
superiori a quelle necessarie per la sintesi dell'intero substrato carbonioso.
Analoga osservazione può farsi per i rimanenti nutrienti (sodio, potassio,
calcio, ferro, etc), che, seppure presenti in modeste quantità nei reflui urbani,
risultano pursempre sufficienti per i fabbisogni del metabolismo batterico.
Altrettanto non può dirsi spesso per il trattamento dei reflui provenienti da
talune attività produttive, nei quali la carenza di uno o più nutrienti può
determinare il blocco dello sviluppo batterico.

3.3.3 Disponibilità di ossigeno

Nel caso dei processi aerobici, l'ossigeno disciolto deve essere presente
in concentrazione sufficiente per consentire un normale metabolismo aerobico
(1,5-2 mg/l). Essendo tuttavia la popolazione batterica prevalentemente di tipo
facoltativo (cioè essa si adatta a condizioni aerobiche o anaerobiche),
l'ossigeno disciolto non viene ad assumere un ruolo strettamente limitante
l'attività batterica, salvo che nei processi di nitrificazione, a cui presiede una
biomassa strettamente aerobica, per la quale cioè la disponibilità di ossigeno
disciolto è condizione necessaria per il metabolismo.
Al contrario, la presenza di ossigeno disciolto impedisce lo sviluppo delle
specie batteriche strettamente anaerobiche; ne sono un esempio i batteri
metanigeni.

4 CARATTERISTICHE IDRODINAMICHE DEI REATTORI BIOLOGICI

Un'influenza particolarmente importante nei trattamenti biologici è data


dalle caratteristiche idrodinamiche del reattore in cui le reazioni si evolvono; si
G.Viviani
pag.14

può fare riferimento a tre tipi di reattori ideali, ai quali è possibile assimilare le
situazioni di più frequente impiego nel campo dei trattamenti biologici:

4.1 Reattore discontinuo (batch)

In questo caso, il refluo viene introdotto nel reattore all'istante iniziale e vi


viene mantenuto per tutta la durata della reazione, senza nessuna nuova
alimentazione.
Il tempo di permanenza del refluo nel reattore è quindi uguale per tutte le
particelle ed è pari a quello intercorrente tra l'alimentazione e lo scarico del
reattore stesso.
I processi discontinui sono raramente applicati nella depurazione delle
acque. Trovano impiego in circostanze particolari, come ad esempio nel caso di
volumi di scarico piccoli o fortemente discontinui. Un tipico esempio si ha negli
stagni biologici ad accumulo, utilizzati per il trattamento dei reflui di lavorazioni a
carattere stagionale (zuccherifici, industrie conserviere e simili); in questo caso
il reattore non è del tipo a miscelazione completa. Un reattore discontinuo
completamente miscelato è invece rappresentato dalla cella utilizzata per la
determinazione del BOD con il metodo respirometrico.

4.2 Reattore continuo con flusso a pistone (plug-flow)

In questo tipo di reattore si fa l'ipotesi che la dispersione longitudinale sia


nulla, mentre si ammette una perfetta miscelazione in ogni sezione normale a
tale direzione; tale situazione è praticamente realizzata nel caso di vasche, in
cui la dimensione longitudinale sia prevalente rispetto alle rimanenti due.
L'effluente, alimentato con continuità nella sezione trasversale iniziale
della vasca, viene scaricato nella medesima successione con cui è entrato nel
reattore; durante il percorso, l'elemento di fluido mantiene la sua identità, con
un tempo di permanenza uniforme ed eguale a quello teorico di permanenza
nella vasca, dato tra rapporto tra volume V e portata introdotta q.
Tale comportamento può essere messo in luce introducendo un
tracciante conservativo (cioè non soggetto a fenomeni di trasformazione di
natura fisica, chimica o biochimica) nella corrente entrante (segnale) ed
osservando la concentrazione del tracciante all'uscita (risposta):
a) segnale a gradino (Fig.5a): introducendo il tracciante con una concentrazione
costante C , con inizio al tempo to, si osserva in uscita la medesima
concentrazione a partire dal tempo to + V/q, cioè dopo un intervallo pari al
tempo di attraversamento della vasca;
b) segnale ad impulso (Fig.5b): in questo caso, il tracciante è alimentato per un
tempo t e appare in uscita con la medesima concentrazione di
alimentazione, con un ritardo pari a V/q e sempre per un tempo t .

4.3 Reattore continuo a miscelazione completa

In questo caso le particelle che entrano nella vasca sono disperse in


maniera uniforme in tutto il suo volume, nel quale pertanto non ci sono gradienti
di concentrazione. Ad ogni istante di tempo, la concentrazione di qualunque
composto presente nel reattore è quindi costante e pari a quella nella portata
uscente.
G.Viviani
pag.15

Anche in questo caso, utilizzando un tracciante conservativo, possono


essere esaminati due casi:
a) segnale a gradino (Fig.6a): il reattore viene alimentato con una portata q a
concentrazione Co, a partire dall'istante di tempo to; la concentrazione in
vasca (pari a quella della portata uscente) può essere calcolata mediante
l'equazione di bilancio di massa per il reattore, che esprime la condizione che
la quantità di tracciante entrante nell'unità di tempo deve essere uguale a
quella in uscita più le variazioni che si hanno all'interno della vasca, dovute al
gradiente di concentrazione (Co-C); si può allora scrivere:

dC
qC o = qC + V (9)
dt
con:
q portata entrante e uscente dal reattore;
V volume del reattore;
C concentrazione nella vasca, pari a quella nella portata uscente.

Dalla (9) si ricava:


dC q
= dt (9')
Co − C V
integrando tra l'istante iniziale to e il generico tempo t, si ottiene la seguente
espressione, che è rappresentata graficamente in Fig.6a:

C = Co (1 − e
( )
− t - t o / (V q)
) (9' ' )

b) segnale ad impulso (Fig.6b): in questo caso, la (9) vale solo nell'intervallo t


di alimentazione della vasca, mentre per un tempo successivo a quello di
alimentazione sarà valida una legge di esaurimento, desumibile anche in
questo caso dal bilancio di massa per il reattore:
dC
0 = qC + V (9''')
dt
la cui soluzione è:

C = C1(e
( )
− t − t o − t /(V/q)
) (9iv )

dove C1 è il valore della concentrazione raggiunta nel reattore alla fine


dell'impulso.

4.4 Confronto fra i differenti tipi di reattore

Si è già detto che, tranne eccezioni, il reattore discontinuo ha rare


applicazioni di tipo impiantistico.
Limitando allora l'analisi ai reattori funzionanti in continuo, si può
osservare quanto segue:
a) il reattore plug-flow si limita a traslare nel tempo il segnale, senza ridurne
l'entità, tanto nel caso del gradino, quanto di quello dell'impulso;
b) il reattore a completa miscelazione, nel caso dell'impulso, riduce l'entità del
segnale, in quantità tanto maggiore, quanto minore è la durata del segnale
G.Viviani
pag.16

stesso; invece, nel caso del gradino, tale tipo di reattore si limita a ridurre
l'entità del segnale solo nella fase iniziale di alimentazione del reattore,
finendo per dare una risposta sempre più vicina al segnale stesso.

Tali osservazioni traggono spunto dall'esame del comportamento di un


tracciante conservativo; questa situazione trova pochi riscontri nel caso dei
reflui urbani, per i quali i composti principali sono fortemente soggetti a
fenomeni di trasformazione, di natura fisica, chimica o biochimica, che ne
modificano la concentrazione nel tempo; fanno eccezione taluni composti, per
esempio di natura tossica, la cui presenza in fognatura può essere del tutto
occasionale; tale situazione può allora ricondursi a quella del segnale a impulso
(che infatti rappresenta il caso di uno scarico che avviene per un periodo di
tempo limitato, a confronto con il tempo di permanenza del reattore): in questo
caso allora solo il reattore a completa miscelazione è capace di ridurre la
concentrazione del composto.
Invece si è visto che, nei processi biologici, la rimozione del substrato
segue la cinetica definita dall'equazione di Michaelis-Menten (5''). In particolare,
dall'esame della (5''') si ricava che la velocità di rimozione del substrato è tanto
maggiore, quanto più elevata è la concentrazione del substrato stesso. La
scelta del tipo di reattore ha allora importanti conseguenze nel
dimensionamento del reattore stesso, potendosi fare le seguenti considerazioni:
a) nei reattori a miscelazione completa, la concentrazione del substrato è
uguale in tutta la vasca e pari a quella nella portata scaricata, per cui la
velocità di rimozione risulta proporzionale a tale concentrazione;
b) nei reattori con flusso a pistone, la concentrazione del substrato è variabile
lungo la vasca e in particolare massima nella zona di ingresso e minima in
quella di scarico; così anche la velocità di rimozione risulterà variabile; a
parità di concentrazione del substrato uscente, è facile dedurre che la
velocità di rimozione sarà qui ovunque maggiore di quella ottenibile col
reattore a completa miscelazione, tranne che in prossimità della zona di
uscita, dove le due velocità saranno uguali; è altrettanto facile dedurre che
ciò si ripercuote nelle dimensioni dei due reattori.

Una situazione intermedia, che accoppia i vantaggi di entrambi i tipi di


reattore, può essere ottenuta con impianti pluristadio; in questo caso, si fa uso
di più reattori a miscelazione completa, posti in serie. In ciascuno stadio la
velocità di rimozione del substrato risulta progressivamente decrescente,
passando dallo stadio iniziale a quello finale, in proporzione con la
concentrazione di substrato in uscita da ogni reattore; inoltre essa risulta
superiore (salvo che per lo stadio finale) a quello del reattore monostadio che
assicuri la stessa concentrazione di substrato nell'effluente depurato (in pratica,
questo reattore avrebbe un volume superiore a quello derivante dalla somma
dei volumi dei singoli reattori del pluristadio).

Nel caso della rimozione di substrati caratterizzati da una cinetica di


ordine zero, venendo a mancare la dipendenza della velocità di rimozione della
concentrazione del substrato, i volumi necessari secondo le varie soluzioni
restano gli stessi.
G.Viviani
pag.17

Malgrado le considerazioni sin qui svolte, si osserva che la maggior parte


dei processi biologici viene eseguita in reattori monostadio a miscelazione
completa. I principali motivi di tale scelta sono così sintetizzabili:
a) le vasche monostadio a miscelazione completa garantiscono la dispersione
immediata della portata in arrivo nell'intero volume del reattore, per cui sono
conseguentemente attenuati gli effetti di eventuali presenze accidentali di
sostanze tossiche per la popolazione batterica (cfr. Fig.6b); nel sistema a
pistone, invece, mancando una rapida diluizione, sono più probabili fenomeni
di inibizione batterica;
b) l'adozione di processi pluristadio comporta notevoli complicazioni
impiantistiche, soprattutto nei casi in cui il reattore biologico sia del tipo a
ricircolo cellulare (cioè si adotti lo schema a fanghi attivi) e si voglia fare una
sedimentazione intermedia, fra stadio e stadio; tali complicazioni vengono a
mancare invece nel caso nei reattori senza ricircolo cellulare (p.e. i
lagunaggi), nel qual caso i processi pluristadio trovano vasta applicazione;
c) nel caso di processi pluristadio senza sedimentazione intermedia, la stessa
popolazione batterica passa da uno stadio all'altro, con possibili problemi di
acclimatazione a causa delle differenti condizioni ambientali che così può
trovare; tali difficoltà sono certamente attenuate, nel caso in cui ciascuno
stadio sia caratterizzato da elevati tempi di permanenza idraulica (p.e. nel
caso del lagunaggio);
d) il vantaggio di disporre di impianti pluristadio (o con flusso a pistone) è tanto
maggiore, quanto più marcata è la differenza tra la concentrazione del
substrato nel refluo da trattare e in quello da avviare allo scarico e cioè
quanto maggiore è il rendimento di trattamento che si richiede all'impianto; in
effetti, tale situazione può interessare gli scarichi di talune attività produttive
(agroalimentari, zootecniche, etc.), mentre per quelli di origine domestica tale
differenza è solo di un ordine di grandezza (in pratica si deve passare da
alcune centinaia ad alcune decine di mgBOD/l), per cui l'aumento della
velocità di rimozione (e la corrispondente diminuzione del volume del
reattore) nel passaggio dallo schema a miscelazione completa monostadio a
quella pluristadio o con flusso a pistone, è spesso non così rilevante da
giustificare gli aspetti negativi che essa comporterebbe (aumento di costo,
per i pluristadio, poca inerzia nei confronti dei tossici, per i reattori a pistone).

Data l'importanza dei reattori a miscelazione completa nel campo delle


acque di rifiuto, verrà appresso esaminato il loro comportamento nei processi
biologici, con o senza ricircolo cellulare.

4.5 Sistemi a miscelazione completa senza ricircolo cellulare

Si tratta di uno schema di processo di impiego limitato, ma il cui esame è


utile soprattutto come introduzione ai più diffusi sistemi con ricircolo cellulare. In
ogni caso, esso trova applicazione in alcuni schemi di impianto (lagunaggi).
Secondo tale schema (Fig.7), l'effluente in uscita dal sistema biologico ha
le medesime caratteristiche (in particolare la stessa concentrazione di substrato
e di biomassa) che si riscontrano nel reattore; tali caratteristiche possono
calcolarsi sulla base di un bilancio di massa del reattore stesso.
G.Viviani
pag.18

In regime stazionario, nell'unità di tempo, la massa batterica uscente del


sistema è data dalla somma di quella entrante e di quella prodottasi nel reattore
a seguito delle trasformazioni biologiche:

qx = qx + V( μ − k )x (10)
e o d e
con:
q portata di alimentazione del reattore;
V volume del reattore;
(μ - kd) xe crescita batterica netta, ricavata dalla (1);
xo, xe concentrazioni di biomassa entrante e uscente dal reattore
(quest'ultima uguale a quella nel reattore, per l'ipotesi di
miscelazione completa).

Trascurando il prodotto qxo rispetto agli altri termini (risulta infatti xo<<xe)
e ricordando che V/q è uguale al tempo di permanenza idraulico t, si ricava:

t( μ − k ) = 1 (10')
d

ma per la (5') risulta:


Se
μ = vY = v̂Y
k s + Se

dove Se è la concentrazione di substrato in uscita dal reattore; sostituendo


nella (10'), si ricava:
Se
t(v̂Y − kd) = 1
k s + Se

da tale espressione è possibile ricavare Se:

k s (1 + k d t)
Se = (11)
t (Yv̂ - k d ) − 1

La (11) consente di calcolare la concentrazione di substrato in uscita dal


reattore, quando siano note le costanti cinetiche Y, v̂ , kd e ks e sia stato fissato
il tempo di permanenza idraulica nella vasca.
Si può osservare che il valore di Se, calcolato in base alla (11) risulta
indipendente dalla concentrazione di substrato in ingresso So; ciò costituisce
un'evidente illogicità ed è in contrasto con l'esperienza operativa degli impianti;
il modello proposto non risulta quindi pienamente soddisfacente e può venire
applicato solo per valori di So analoghi a quelli per cui sono state calcolate le
costanti cinetiche (le quali invece, in teoria, non dovrebbero essere influenzate
da So). Per superare tali contraddizioni sono stati recentemente formulati altri
modelli da considerarsi tuttavia ancora allo stadio di proposte.

In modo analogo, può essere ricavata la concentrazione xe della


biomassa nella portata uscente dal reattore; infatti, sempre nell'ipotesi di
situazione stazionaria, può scriversi il bilancio di massa per il substrato,
G.Viviani
pag.19

secondo cui, nell'unità di tempo, il substrato entrante nella vasca è pari a quello
uscente più quello rimosso:

dS
q So = q Se + V (12)
dt

per la (5') risulta:


dS μ
= xe
dt Y

esplicitando rispetto ad xe si ricava:

(So − Se ) Y
xe = (12')
μt

Introducendo nella (12') il valore di μ che si ricava dalla (10'), si può scrivere:

(So − Se ) Y
xe = (13)
1 + kd t

Dalle considerazioni svolte, possono trarsi le seguenti conclusioni per un


sistema completamente miscelato senza ricircolo cellulare:
a) la concentrazione di substrato nella portata uscente dal reattore può essere
ricavata dalla (11); una volta definite le costanti cinetiche ks, kd, Y e v̂ , tale
concentrazione dipende solamente dal tempo di permanenza idraulico nella
vasca e non dalla concentrazione del substrato nella portata entrante;
b) la concentrazione di biomassa nella portata uscente può essere ricavata
dalla (13); tale concentrazione, definite le costanti cinetiche, dipende solo da
t e da So, in quanto Se, che appare nella formula, è a sua volta definito in
funzione delle costanti cinetiche e di t , come si nota dalla (11).

Si definisce rendimento di depurazione η il seguente rapporto:

So − Se
η=
So

esso è quindi indice del comportamento del processo; per confronto con la (11),
si ricava che, per fissato tipo del refluo (note cioè le costanti cinetiche e la
concentrazione So), η risulta funzione solo dal tempo di residenza idraulico t,
che è già stato così definito:
V
t=
q

Si definisce il tempo di residenza cellulare ϑ (o età del fango), il tempo


medio di permanenza in vasca delle cellule batteriche. Esso può venir calcolato
come rapporto tra la biomassa presente nel reattore e quella che si allontana
con l'effluente in uscita; nel caso del reattore senza ricircolo cellulare, risulta:
G.Viviani
pag.20

Vxe
ϑ= =t (14)
qxe

la (14) indica quindi che in questo caso i tempi di residenza, idraulico e


cellulare, coincidono.

Nel caso in cui la rimozione del substrato segue una cinetica del primo
ordine, si può applicare la (7), anzichè l'espressione più generale di Michaelis-
Menten (5''); introducendo tale espressione nella (12), che esprime il bilancio di
massa per il substrato, si ricava:

q So = q Se + V k Se

da cui:
So
Se = (15)
1+ K t

L'uso della (15) è nettamente più semplice di quello della (11), in quanto
essa richiede la determinazione sperimentale della sola costante K, anzichè
delle quattro costanti cinetiche.

4.6 Sistemi a miscelazione completa con ricircolo cellulare.

Lo schema di un impianto con ricircolo cellulare è rappresentato in Fig.8;


in questo caso il reattore biologico è seguito da un'unità di sedimentazione, in
cui la biomassa viene separata dall'effluente trattato (tale separazione è
ovviamente possibile solo se i microrganismi si aggregano in colonie di
consistenza sufficiente a renderli sedimentabili).
Si ottengono così due risultati:
a) la concentrazione di solidi sospesi nella portata uscente dal sistema è
inferiore a quella in uscita dal reattore biologico, a causa della separazione
ottenuta nel sedimentatore;
b) la concentrazione della biomassa nel reattore può essere aumentata, rispetto
al caso trattato al paragrafo precedente, operando un ricircolo dei solidi
separati nel sedimentatore, che sono reintrodotti nel reattore stesso (portata
di ricircolo); l'aumento di tale concentrazione non può procedere oltre certi
limiti, come meglio si dirà appresso.

Per garantire il funzionamento a regime del sistema, una volta raggiunta


la voluta concentrazione di biomassa nel reattore, occorre provvedere
all'estrazione di parte del fango separato nel sedimentatore. L'estrazione di tale
portata (portata di supero) può essere eseguita in due modalità differenti:
a) spillando una portata qs a concentrazione x direttamente dal reattore;
b) derivando una portata qs a concentrazione xr dal circuito di ricircolo (Fig.8).
La seconda soluzione è quella più usuale, in quanto consente di
allontanare dalla linea fanghi una portata minore e più concentrata; tuttavia,
così facendo, le caratteristiche del fango di supero sono fortemente dipendenti
dalle caratteristiche di funzionamento del sedimentatore, circostanza che invece
non si verifica, qualora l'estrazione del fango avvenga direttamente dal reattore
biologico.
G.Viviani
pag.21

Nella trattazione che segue si faranno le seguenti ipotesi semplificative:


a) le trasformazioni biologiche si verificano solo nel reattore e non continuano
nel sedimentatore (come in realtà avviene, sia pure in misura limitata); tale
ipotesi è tuttavia lecita, in quanto si vedrà che, di norma, i tempi di
permanenza della biomassa nel reattore sono di un ordine di grandezza
superiori a quelli nel sedimentatore;
b) la quantità di biomassa presente nel sistema coincide con quella presente
nel reattore (si trascura quindi la biomassa accumulata nella tramoggia del
sedimentatore e nel circuito di ricircolo); anche tale ipotesi è normalmente
verificata.

Il tempo di residenza cellulare, già definito come il tempo medio di


permanenza della biomassa nel sistema, in presenza di ricircolo può essere
calcolato come rapporto tra la biomassa presente nel sistema (pari per l'ipotesi
b) a quella presente nel reattore Vx) e quella allontanata col fango di supero (qs
xr) e con l'effluente chiarificato; tale ultima quantità, pari a (q-qs)xe è
decisamente inferiore alla prima (infatti risulta xe<<xr), per cui appresso verrà
trascurata; risulta quindi:

Vx Vx
ϑ= ≅ (16)
qs xr + (q − qs ) xe qs xr

Dalla (16) si ricava quindi che, nei sistemi con ricircolo, i tempi di
residenza cellulare e idraulica non coincidono, come invece accadeva nel caso
dei sistemi senza ricircolo.

La concentrazione di substrato in uscita, e quindi il rendimento


depurativo del processo, può essere ricavato mediante un bilancio di massa per
l'intero sistema (reattore biologico + sedimentatore) per la biomassa, in maniera
analoga a quanto fatto per ricavare la (10):

q xo + V( μ − k d )x = (q − qs )xe + qs xr (10')

dove x ed xr sono rispettivamente le concentrazioni di biomassa nel reattore e


nel fango di ricircolo.
Trascurando i termini qxo e (q-qs) xe (infatti xo e xe risultano nettamente
inferiori a x e xr) e ricordando la (16), risulta:

ϑ (μ − k d ) = 1 (11')
e quindi:
k s (1 + k d ϑ)
Se = (11' ' )
ϑ (Yv̂ − k d ) − 1

tale espressione è analoga alla (11), in cui però al posto del tempo di residenza
idraulico compare quello cellulare; in questo caso quindi le caratteristiche della
portata scaricata dipendono, oltre che dalle costanti cinetiche, anche dal tempo
di residenza cellulare; esse non dipendono invece dal tempo di residenza
idraulico t.
G.Viviani
pag.22

Il vantaggio di ciò è notevole; infatti, per confronto tra la (14) e la (16), si


nota che, nel caso dei sistemi con ricircolo cellulare, ϑ può essere regolato solo
agendo sul volume del reattore, mentre nel caso in cui si faccia il ricircolo, ϑ
può essere variato pure (e si vedrà più convenientemente) agendo sulla portata
e sulla concentrazione del fango di supero.

4.7 Determinazione sperimentale delle costanti cinetiche

La determinazione delle costanti cinetiche può essere condotta in


laboratorio utilizzando apparecchiature del tipo di quella rappresentata in
Fig.9b.
Si tratta di un piccolo reattore a miscelazione completa, dotato di uno
scomparto di sedimentazione, con fondo opportunamente sagomato in modo da
consentire il ricircolo diretto del fango sedimentato attraverso una fessura di
comunicazione con lo scomparto di aerazione. L'estrazione del fango di supero
viene in genere condotta direttamente dal reattore biologico; ciò consente una
maggiore precisione rispetto all'estrazione di fango dal fondo del sedimentatore,
che è la pratica eseguita negli impianti reali; infatti così la misura non dipende
dal grado di ispessimento raggiunto nel sedimentatore.
Per la determinazione sperimentale di v̂ e ks può farsi riferimento alla
(5'''), che si può riscrivere, elevando entrambi i membri a -1:

1 ks 1 1
= + (21)
v v̂ S e v̂

Così linearizzata, la (21) rappresenta una retta nel piano 1/v, 1/Se, di cui
1/ è l'intercetta sull'asse delle ordinate e ks/ v̂ il coefficiente angolare.

Inoltre, per la (5') risulta:

1 dS
v=
x dt
ed essendo:
dS
V = q (So − Se )
dt
risulta quindi:
q (So − Se )
v= (21')
Vx

Ricordando che V/q = t, si ottiene in definitiva:


1 xt
= (21'')
v So − Se

In pratica, il funzionamento dell'impianto pilota viene condotto facendo


variare, nelle diverse prove, o la concentrazione della biomassa x o il tempo di
detenzione idraulica t nella vasca di aerazione (t può essere variato
semplicemente agendo sulla portata di alimentazione). Conoscendo per
ciascuna prova So, Se, x e t, può ottenersi il corrispondente punto nel piano 1/v;
1/Se. La retta di interpolazione dei punti sperimentali, ricavabile con il metodo
dei minimi quadrati, consente quindi di individuare v̂ e, conseguentemente, ks.
G.Viviani
pag.23

In modo analogo si procede per la determinazione di Y e di kd. La (11') si


può infatti riscrivere nel seguente modo:

1
= Yv − k d (11'')
ϑ
tale espressione rappresenta nel piano 1/ϑ, v una retta di coefficiente angolare
Y e intercetta con l'asse delle ordinate -kd. Per il calcolo sperimentale di ϑ, in
base alla (16), deve essere nota la quantità di fango di supero allontanata ogni
giorno.

ESEMPIO N.1
Problema:

Determinare le costanti cinetiche v̂ e ks di un refluo, mediante l'impianto pilota riportato in


Fig.9b.

Svolgimento:

Nell'impianto pilota, da laboratorio, mantenuto alla temperatura di 20 °C, sono state condotte
cinque diverse prove, mantenendo costante la portata di alimentazione (e quindi il tempo di
detenzione idraulico t) e facendo variare la concentrazione di biomassa in aerazione x.
Per ciascuna prova sono stati rilevati (tabella in Fig.10):
a) la concentrazione di substrato in ingresso So, che presenta leggere variazioni per gli
inevitabili cambiamenti delle caratteristiche del liquame analizzato;
b) la concentrazione di substrato in uscita Se, con grosse variazioni da prova a prova, per i
diversi rendimenti di depurazione conseguiti;
c) la quantità di fango di supero su base secca Xs, estratta ogni giorno al fine di mantenere le
condizioni di regime; la conoscenza di Xs non è strettamente necessaria in questo esempio,
ma è ugualmente eseguita in quanto necessaria per lo svolgimento del successivo Esempio
n.2.

Per ciascuna prova si possono cacolare i valori di 1/v ed 1/Se, riportati in Fig.10.
La retta di interpolazione dei punti sperimentali ha coefficiente angolare ks/ v̂ ed intercetta
sull'asse delle ordinate 1/ v̂ ; tali valori possono essere ricavati col metodo dei minimi quadrati e
valgono:
⎛ 1 ⎞⎛ 1 ⎞ ⎛ 1⎞ ⎛ 1 ⎞
n∑ ⎜ ⎟⎜⎜ ⎟⎟ − ∑ ⎜ ⎟∑ ⎜⎜ ⎟⎟
ks ⎝ v ⎠⎝ S e ⎠ ⎝ v ⎠ ⎝ Se ⎠
= = 41,02 mg/l × giorno
v̂ 2 2
⎛ 1 ⎞ ⎡ ⎛ 1 ⎞⎤
n∑ ⎜⎜ ⎟⎟ − ⎢∑ ⎜⎜ ⎟⎟⎥
⎝ S e ⎠ ⎢
⎣ ⎝ S e ⎠⎥⎦

2
⎛ 1⎞ ⎛ 1 ⎞ ⎛ 1 ⎞ ⎛ 1 ⎞⎛ 1 ⎞
∑ ⎜⎝ v ⎟⎠∑ ⎜⎜ S ⎟⎟ − ∑ ⎜⎜ S ⎟⎟∑ ⎜ ⎟⎜⎜ ⎟⎟
1
= ⎝ e⎠ ⎝ e ⎠ ⎝ v ⎠⎝ S e ⎠ = 0,413 giorni
v̂ 2 2
⎛ 1 ⎞ ⎡ ⎛ 1 ⎞⎤
n∑ ⎜⎜ ⎟⎟ − ⎢∑ ⎜⎜ ⎟⎟⎥
⎝ Se ⎠ ⎢⎣ ⎝ S e ⎠⎥⎦

dove n=5 è il numero di punti sperimentali. Risulta quindi:

v̂ =2,42 giorni-1
G.Viviani
pag.24

ks=41,02x2,42=99,3 mg/l

ESEMPIO N.2
Problema:

Determinare le costanti cinetiche Y e kd dello stesso refluo analizzato nell'esempio n.1,


sapendo che la capacità della vasca di aerazione Vaer è pari a 10 l.

Svolgimento:

Per ogni prova è già stato calcolato il valore di 1/v ed è noto x. E' stata inoltre misurata la
quantità Xs = qs xr di fango di supero giornaliero (riportata nella tabella di Fig.11).
Per ciascuna prova si riportano in Tab.4 e in Fig.10 i valori v e 1/ϑ; quelli di 1/v sono già stati
calcolati nell'esempio precedente, mentre 1/ϑ si calcola mediante la (16) come:

1 Xs
=
ϑ x Vaer

La retta di interpolazione dei punti sperimentali ha coefficiente angolare e intercetta con l'asse
delle ordinate pari a Y e kd; utilizzando il metodo dei minimi quadrati, si ricava:
Y=0,94
kd=0,04 giorni-1
G.Viviani
pag.25

Fig.1 - Forma e disposizione di varie cellule batteriche

Fig.2 - Rappresentazione schematica della struttura della cellula batterica


G.Viviani
pag.26

Fig.3 - Sviluppo della concentrazione batterica in un sistema chiuso,


limitato solo dalla concentrazione di substrato

Fig.4 - Andamento della velocità di crescita batterica μ in funzione della


concentrazione di substrato S
G.Viviani
pag.27

processo α
fanghi attivi 1,02
letti percolatori 1,08
lagune aerate 1,08
nitrificazione 1,12
denitrificazione 1,15

Tab.1 - Valori della costante α per i principali processi biologici

Fig.5 - Risposta di un reattore con flusso a pistone a segnali a gradino (a) e a


impulso (b)

Fig.6 - Risposta di un reattore a miscelazione completa a segnali a gradino (a) e a


impulso (b)
G.Viviani
pag.28

Fig.7 - Sistema a miscelazione completa senza ricircolo cellulare

Fig.8 - Sistema a miscelazione completa con ricircolo cellulare


G.Viviani
pag.29

Fig.9 - Impianti pilota per esperienze di laboratorio su processi biologici aerobici. (a)
senza ricircolo cellulare; (b) con ricircolo cellulare e prelievo del fango di
supero dalla vasca di aerazione
G.Viviani
pag.30

Fig.10 - Procedura di calcolo delle costanti cinetiche v̂ e ks (cfr. Esempio n.1)


G.Viviani
pag.31

Fig.11 - Procedura di calcolo delle costanti cinetiche Y e kd (cfr. Esempio n.2)


G.Viviani
pag.32

5. IMPIANTI PER LA RIMOZIONE DEL CARBONIO ORGANICO

La rimozione del substrato carbonioso di origine organica (valutabile


mediante il BOD) è stata da sempre l'obiettivo primario dei trattamenti biologici;
come accenato in precedenza, tale rimozione avviene all'interno di reattori
biologici, ad opera di una biomassa di natura eterotrofa (cioè che utilizza il
carbonio organico per la sintesi cellulare). Nel caso dei processi a biomassa
sospesa, questa si sviluppa formando fiocchi mantenuti in sospensione nel
reattore; invece, nel caso dei processi a biomassa adesa, essa forma una
pellicola biologica adesa a un supporto solido di riempimento del reattore, che
viene ciclicamente dilavata dal refluo.

I principali esempi di impianti a biomassa sospesa sono quelli a fanghi


attivi (anche se si vedrà che con tale termine vengono comprese numerose
alternative impiantistiche fra loro differenti) e gli stagni biologici (o lagune).
Invece, fra gli impianti a biomassa adesa, vanno ricordati i letti percolatori, i
biodischi e i biorulli (questi ultimi due sono indicati col termine RBC = Rotating
Biological Contactors).

La rimozione del substrato è causata da due fenomeni concomitanti: il


primo è dato dal metabolismo batterico con sintesi di nuova biomassa cellulare,
che comporta la rimozione della componente solubile del substrato. Il secondo
fenomeno, nel caso dei processi a biomassa sospesa, è dato dalla
bioflocculazione, con cui la componente sospesa del substrato, anche non
sedimentabile, viene aggregata all'interno dei fiocchi; invece, nel caso dei
processi a biomassa adesa, alla sintesi del substrato solubile si accoppia
l'adsorbimento di quello sospeso all'interno della pellicola biologica. In entrambi
i tipi di processo, la biomassa così formatasi viene rimossa nella
sedimentazione finale, per separazione o dei fiocchi (nel caso di biomassa
sospesa), oppure della pellicola biologica (nel caso di biomassa adesa).
In definitiva, i trattamenti biologici consentono così, da un lato, la
trasformazione del substrato organico in prodotti stabili, come cataboliti del
metabolismo batterico, dall'altro, l'aggregazione, in fiocchi o pellicole, del
susbtrato (non vivente) sospeso e della biomassa (vivente), già presente nel
refluo o sintetizzata nel corso dei processi metabolici.
La successiva fase di sedimentazione consente la separazione dei
fanghi, in cui si ritrovano, a seconda dei casi, i fiocchi o le pellicole; deriva
ovviamente da ciò tanto l'assoluta necessità di prevedere tale fase a valle di
qualunque tipo di trattamento biologico, quanto l'importanza di garantirne il
corretto funzionamento. Ulteriore conseguenza (pur con qualche eccezione) è
la necessità di sottoporre i fanghi, separati nel sedimentatore, a una ulteriore
fase di stabilizzazione, stante l'elevata percentuale di prodotti organici di cui
questi sono costituiti.

6. PROCESSO A FANGHI ATTIVI

6.1 Generalità sul processo


G.Viviani
pag.33

Il processo a fanghi attivi fu messo a punto nel 1914 in Inghilterra da


Andern e Lockett; il nome che gli fu dato sottolineava l'attività dei fanghi,
ricircolati dal sedimentatore finale in testa al reattore biologico, in cui la
biomassa in essi presente era "attiva" ai fini tanto della metabolizzazione del
substrato organico solubile, quanto della bioflocculazione di quello sospeso.
In effetti, nel corso degli anni con tale termine si è finito per indicare
numerose tipologie d'impianto oppure eguali tipologie, ma condotte con
modalità operative differenti; di tali varianti si dirà meglio appresso.
In ogni caso, come processo a fanghi attivi si definisce un trattamento di
tipo aerobico, condotto mediante una più o meno prolungata aerazione della
miscela aerata presente nel reattore biologico; in questo, la biomassa è
mantenuta sospesa, in forma di fiocchi aventi dimensioni variabili da qualche
centinaio di μ fino a pochi mm; tali fiocchi possono essere rimossi dal liquido
per semplice sedimentazione.
La biomassa è in effetti costituita non sono da batteri, ma anche da
numerosi altri microrganismi (protozoi, metazoi, rotiferi, larve di insetti, vermi,
etc.) legati gli uni agli altri da una catena alimentare. I fiocchi presentano inoltre
un'importante componente di materiale organico inerte e di materiale
inorganico, in conseguenza dei fenomeni di flocculazione e di inglobamento
meccanico che si determinano nei confronti del materiale disperso nel mezzo
liquido.

Nella sua configurazione tradizionale, lo schema di un impianto a fanghi


attivi è quello rappresentato in Fig.12; esso consta di una vasca di aerazione, in
cui, in ambiente aerobico, viene mantenuto il contatto tra la popolazione
batterica preformata e lo scarico da trattare, introdotto con continuità; la miscela
aerata (mixed liquor) in uscita dalla vasca viene inviata alla sedimentazione, in
cui i fiocchi di fango attivo sono separati dall'effluente, che può quindi essere
scaricato; i fanghi accumulati nella tramoggia del sedimentatore vengono in
parte ricircolati nella vasca di aerazione (fango di ricircolo), al fine di mantenere
un'elevata concentrazione della popolazione batterica, e in parte avviati alla
linea fanghi (fanghi di supero), per la necessaria stabilizzazione e
disidratazione.
In pratica, è facile notare che lo schema utilizzato per il processo a fanghi
attivi (almeno nella versione tradizionale rappresentata in Fig.12) è quella di un
reattore a completa miscelazione, con ricircolo cellulare.

Per comprendere l'andamento del processo, risulta utile esaminare la


fase di avviamento dell'impianto. Si faccia l'ipotesi che il refluo entrante nella
vasca di aerazione sia privo di solidi sedimentabili, o perchè già sottoposto a
sedimentazione primaria, o perchè ne sia privo fin dall'origine. Nella fase
iniziale, il substrato organico presente nel refluo non ha la possibilità di essere
metabolizzato in misura considerevole, dato che la popolazione batterica nella
vasca di aerazione è presente in concentrazioni modeste per poter consentire
un elevato rendimento di rimozione del substrato stesso, nel breve tempo di
permanenza dello scarico in vasca (dell'ordine di alcune ore); occorrono infatti
numerosi giorni per ottenere l'autodepurazione naturale di uno scarico organico.
A valle del sedimentatore quindi le caratteristiche dell'effluente non
saranno sensibilmente modificate rispetto a quelle del refluo in ingresso alla
vasca di aerazione; accanto ad una limitata degradazione biologica intervenuta
G.Viviani
pag.34

per effetto della popolazione batterica originariamente presente, si verificano


pure fenomeni di ossidazione chimica, dovuti all'abbondante presenza di
ossigeno, fornito dai sistemi di aerazione, e fenomeni di flocculazione
meccanica di solidi sospesi non sedimentabili, come conseguenza dell'intensa
agitazione avvenuta nell'aerazione. Nella tramoggia del sedimentatore si
raccoglierà quindi una limitata quantità di fango, costituita dalle particelle
flocculate; su di esse tendono a svilupparsi preferenzialmente le colonie
batteriche, che trovano abbondante disponibilità del substrato nutritizio
necessario al loro metabolismo.
Se il fango così raccolto sul fondo del sedimentatore, anzichè essere
avviato alla linea fanghi, viene rimandato nella vasca di aerazione, a mezzo di
un circuito di ricircolo dotato di impianto di sollevamento, la concentrazione di
batteri in vasca potrà aumentare progressivamente.
Per conseguenza, la quantità di fango che si verrà a raccogliere nella
tramoggia del sedimentatore crescerà in continuazione, sia per i fenomeni di
flocculazione meccanica dell'effluente via via introdotto nell'impianto, sia per lo
sviluppo delle colonie batteriche contenute nei fiocchi stessi, sia infine per i
fenomeni di inglobamento di solidi non sedimentabili nei fiocchi già formati.
In tutta la fase di avviamento quindi la popolazione batterica continua a
crescere nel sistema ed in particolare nella vasca di aerazione, fino a
raggiungere i valori voluti per il normale esercizio dell'impianto.
Il periodo di avviamento di un impianto dipende dalle caratteristiche del
substrato e soprattutto dal fatto che nello scarico sia già presente o meno una
popolazione batterica acclimatata; in linea generale si può ammettere che nel
giro di qualche settimana la fase di avviamento sia conclusa. Nella reale
procedura di avviamento di un impianto di depurazione, al fine di ridurre tale
periodo a pochi giorni (o anche meno) è usuale fare ricorso al riempimento della
vasca di aerazione con fango prelevato da altri impianti di depurazione già in
esercizio.

Una volta raggiunte le condizioni di regime (cioè la voluta concentrazione


di batteri nella vasca di aerazione), le modalità di esercizio dell'impianto vanno
modificate; infatti, se non si vuole aumentare la quantità di fango accumulata
nel sedimentatore oltre i limiti prefissati per il corretto esercizio di questo, è
necessario sottrarre al sistema la quantità di fango in eccesso (fango di
supero), le cui caratteristiche fisiche e biologiche risultano per altro del tutto
identiche a quelle del fango di ricircolo. Ciò è possibile estraendo il fango di
supero dalla tramoggia, assieme al fango di ricircolo, oppure dalla vasca di
aerazione (tale soluzione è però poco frequente).

In definitiva quindi l'impianto a fanghi attivi consente di eliminare il


materiale organico biodegradabile (substrato), in forma disciolta o sospesa non
sedimentabile, trasformandolo in parte in materiale inerte (sali disciolti o gas) e
quindi stabile, in parte in fango di supero, separato nel sedimentatore; questo,
di natura prevalentemente organica, necessita in genere di un'ulteriore fase di
stabilizzazione prima di essere smaltito.

Va osservato che, nella pratica, non si fa mai riferimento alla massa ed


alla concentrazione batterica, la cui determinazione richiederebbe metodi
analitici di notevole complessità, non idonei ad un impiego tecnico. Come
G.Viviani
pag.35

misura indiretta della biomassa vengono piuttosto assunti i solidi sospesi volatili
(oppure i solidi sospesi totali, nell'implicita assunzione che ci sia un rapporto
costante tra i solidi sospesi volatili e quelli totali, per i reflui urbani generalmente
pari a 0,7); in effetti però tale assunzione è approssimata, in quanto la massa
cellulare non costituisce una frazione in peso dei solidi sospesi rigidamente
costante, dipendendo oltre che dalle caratteristiche del substrato anche dalle
condizioni in cui si opera il processo.
Pertanto, in tutta la trattazione che segue i simboli X ed x, che indicano
una misura della biomassa, corrispondono rispettivamente a misure di massa e
concentrazione dei solidi sospesi totali.

6.2 Dimensionamento razionale del reattore biologico

Come detto, il trattamento a fanghi attivi consiste in un processo


biologico con ricircolo cellulare; il calcolo del volume del reattore si può quindi
eseguire ricorrendo alla trattazione a questo relativa, riportata al prf.4.6.
In particolare, dal bilancio del substrato per il reattore si ricava la
concentrazione della biomassa in vasca:
(S − S e ) Y
x= o (17 )
μt
si osserva che tale espressione è identica alla (12') ed è ricavabile dalla (12), in
quanto il citato bilancio è formalmente uguale per i due casi dei reattori con e
senza ricircolo cellulare.
Il valore di μ si può ricavare dalla (11'):
μ = + k d (18 )
1
ϑ

Sostituendo il valore di μ così ottenuto nella precedente relazione,


esplicitando il tempo di residenza idraulico e ricordanto che è t=V/q, si ricava:
qY (So − S e ) ϑ
V= (19)
1 + ϑk d x

parimenti, il tempo di residenza cellulare ϑ può essere valutato a partire dalla


(11'):
Se
1
= Yv̂ − kd (20 )
ϑ k s + Se

La procedura da seguire per il calcolo del volume del reattore biologico


può allora essere così sintetizzata:
a) ove non già note, si valutano mediante prove di laboratorio (cfr. prf. 4.7) le
costanti cinetiche ks, kd, Y e v̂ relative al liquame di cui si vuole eseuire il
trattamento;
b) nota la concentrazione di BOD5 del liquame avviato al reattore biologico (So)
e quella del liquame depurato (Se), generalmente fissato in base ai limiti di
legge imposti per la protezione del recapito, si valuta ϑ con la (20);
c) note la portata di alimentazione q, si valuta V mediante la (19).
G.Viviani
pag.36

Quindi, a parità di costanti cinetiche, l'analisi della (19) evidenzia che il


volume del rettore dipende dal tempo di residenza cellulare ϑ.

6.3 Dimensionamento semplificato del reattore biologico

Il calcolo degli impianti a fanghi attivi sulla base della teoria


precedentemente esposta comporta la determinazione sperimentale delle
costanti cinetiche, mediante le prove di laboratorio descritte al prf. 4.7.
Soprattutto nel caso di liquami domestici, la cui composizione è in genere
poco variabile da un caso all'altro, il dimensionamento del reattore biologico può
essere condotto sulla base di criteri empirici, desunti dalle esperienze maturate
sui numerosissimi impianti operanti nel settore. L'applicabilità di tali criteri è
lecita solo per situazioni analoghe a quelle in cui essi sono stati messi a punto;
altrimenti essi possono portare a valutazione errate (per esempio nel caso di
liquami di origine produttiva, caratterizzati da differenti caratteristiche del
substrato, o per temperature di funzionamento del reattore diverse).
I criteri empirici fanno uso di due parametri appresso definiti.

Si definisce carico del fango cf la quantità di sostanza organica


biodegradabile che nell'unità di tempo è messa a disposizione di una quantità
unitaria di biomassa; cf ha pertanto le dimensioni dell'inverso di un tempo e
viene generalmente espresso in kg di BOD applicato al sistema per kg di fango
attivo (su base secca) presente nella vasca di aerazione e per giorno (cioè in
kgBOD/kgSSxgiorno). Risulta quindi:

q So So
cf = = (22)
xV xt
con:
q portata di alimentazione del sistema, in m3/giorno;
So concentrazione della sostanza organica nella portata alimentata, in
kg/m3;
x concentrazione della biomassa nel reattore biologico, in kg/m3;
V volume del reattore biologico, in m3;
t tempo di detenzione idraulico, in giorni.

Si definisce altresì carico volumetrico cv della vasca la quantità di


sostanza organica biodegradabile che nell'unità di tempo è messa a
disposizione per ogni metro cubo di capacità della vasca; cv viene
generalmente espresso in kg di BOD applicati al sistema per m3 di vasca e per
giorno (cioè in kgBOD/m3xgiorno). Risulta pertanto:

q So So
cv = = (22')
V t
quindi cv è legato a cf dalla seguente relazione:

c v = x cf (22'')

In base alla (22), segue che valori di cf bassi esprimono scarsa


disponibilità di substrato per la biomassa, a cui corrisponde un elevato
rendimento di depurazione. I batteri infatti tendono ad utilizzare nel modo più
G.Viviani
pag.37

completo la sostanza organica, disponibile in modesta quantità; inoltre la


produzione di nuove cellule batteriche è ridotta, cosicchè è limitata la quantità di
fango di supero, che deve essere estratta per mantenere nel sistema la voluta
concentrazione batterica (in Fig.3 queste condizioni corrispondono alla zona di
crescita limitata o, per i più bassi valori di cf, a quella di respirazione endogena).
All'aumentare di cf cresce la quantità di fango di supero, mentre il
rendimento di depurazione resta elevato fino a quando non si raggiungono
condizioni per cui il substrato nutritivo introdotto nel sistema supera i fabbisogni
della popolazione batterica presente. Quando ciò avviene, la frazione di
sostanza organica immessa nel reattore, non utilizzata dalla biomassa, viene
scaricata con l'effluente, con una conseguente riduzione del rendimento di
depurazione (è questo il caso della zona di crescita illimitata della Fig.3).
Le considerazioni precedenti sono riassunte nelle curve riportate in
Fig.13, tutte di origine empirica; tali curve, dedotte da differenti autori, sono
state tutte ricavate a partire dall'esame delle caratteristiche dimensionali e di
funzionamento di reali impianti di depurazione per liquami di origine domestica.
L'esame delle curve evidenzia che rimozioni del BOD dell'ordine del 90% sono
conseguibili fino a quando cf non supera 0,5 kgBOD/kgSSxgiorno. Al di sopra di
tale valore il rendimento di depurazione subisce una rapida diminuzione,
particolarmente sensibile soprattutto in condizioni invernali.

Il calcolo del volume della vasca di aerazione può essere allora così
condotto:
a) noti il valore del BOD5 del liquame influente alla vasca e quello del liquame
depurato (anche in questo caso determinabile in base al rispetto dei limiti
fissati per il rispetto del recapito), si puo ricavare il valore del rendimento
richiesto al trattamento biologico, così definito:

So − Se
ηb = (23)
So
b) in base al valore di ηb si può ricavare il corrispondente valore di cf,
utilizzando una delle curve della Fig.13;
c) fissata la concentrazione x dei solidi nella vasca di aerazione (è spesso
indicata col simbolo SSMA = Solidi Sospesi nella Miscela Aerata), si ricava il
valore del carico volumetrico cv mediante la (22'');
d) si può così ricavare il volume della vasca utilizzando la seguente
espressione, ovviamente derivata dalla (22'):
V=
q So
(22' ' ')
cv

L'esame della (22''') evidenzia che, a parità della quantità di substrato


qSo introdotto nel sistema (misurata in kg BOD/giorno), il volume V del reattore
biologico sarà tanto minore, quanto maggiore è il valore assunto per il carico
volumetrico cv. Compatibilmente con le esigenze del processo, conviene quindi
che cv risulti il più possibile elevato, in modo da ridurre al minimo il volume della
vasca di aerazione.
Per la (22''), ciò può ottenersi agendo sia su cf che su x; tuttavia il valore
di cf determina il rendimento di depurazione conseguibile nonchè, come si
vedrà meglio in seguito, la produzione e il grado di stabilità dei fanghi, il
G.Viviani
pag.38

consumo di ossigeno e il livello di nitrificazione. In impianti per liquami


domestici, sulla base delle indicazioni della Fig.13, elevati rendimenti di
depurazione (superiori cioè a 0,85 anche in condizioni invernali) sono
conseguibili per cf dell'ordine di 0,4-0,5 kg BOD/kgSSxgiorno. Nella pratica
tuttavia è bene mantenersi su valori meno elevati, pari a 0,2-0,3
kgBOD/kgSSxgiorno, sia per assicurare al processo un sufficiente margine di
sicurezza, sia per tener conto delle punte giornaliere di carico, sia infine per la
possibilità che scarichi non strettamente domestici possano alterare le
caratteristiche di biodegradabilità del substrato organico.
Anche la scelta del valore di x è limitata; essa deve infatti tener conto
delle caratteristiche di sedimentabilità del fango, che non consentono di
superare determinate concentrazioni per il fango di ricircolo e, di conseguenza,
per la miscela aerata presente nella vasca di aerazione.

Tali considerazioni portano quindi a semplificare ulteriormente la


procedura di progetto prima descritta; infatti, stante gli elevati rendimenti che
valori di cf non superiori a 0,3 kgBOD/kgSSxgiorno riescono a garantire (in
pratica sempre non inferiori al 90%) e che tali valori sono in genere sufficienti
per la depurazione dei reflui di origine domestica, si può saltare il passo a),
fissando direttamente il valore di cf e procedendo così come prima descritto.

Infine va osservato che è possibile legare il carico del fango con le


costanti cinetiche, prima introdotte; infatti, dal bilancio di massa per il substrato
nel reattore biologico risulta:
dS
q (So − Se ) = V = Vxv
dt

dividendo entrambi i membri per qSo, si ricava:


(So − Se ) Vxv txv
= =
So qSo So
introducendo quindi il rendimento di depurazione ηb e ricordando la (22'), in
definitiva si ricava:
v = ηb cf (23')

quindi, a meno del rendimento ηb, cf coincide con la velocità di rimozione del
substrato.
La (23') stabilisce pertanto un legame tra il criterio di dimensionamento
razionale e quello empirico.

ESEMPIO N.3
Problema:

In base al valore di v$ e di ks calcolati nell'Esempio n.1, desumere il carico del fango applicabile
in un processo a fanghi attivi alimentato con BOD = 410 mg/l, in cui si voglia ottenere un BOD
in uscita di 35 mg/l. Si ammetta che la temperatura di esercizio possa scendere fino a 10 °C.

Svolgimento:
Dall'Esempio n.2 si sono ottenuti i seguenti risultati: v̂ = 2,42 giorni-1; ks = 99,3 mg/l. L'effettiva
velocità di rimozione del substrato v, in condizioni di miscelazione completa ed a 20 °C, risulta:
G.Viviani
pag.39

Se 35
v 20 = v$ = 2,42 = 0,63 giorni−1
k s + Se 99,3 + 35

Il valore da applicare nel dimensionamento dell'impianto deve tener conto dell'effettiva


temperatura di esercizio nelle condizioni più critiche (10 °C). Risulta quindi per la (8):
v = v 20 α (T − 20) = 0,63 ⋅ 1,02(10 − 20) = 0,516 kg BOD / kg SS × giorno.

Il rendimento di depurazione al processo deve essere:


S − Se 410 − 35
ηb = o = = 0,914
So 410

Conseguentemente, per la (23'):

c f = v / ηb = 0,516 / 0,914 = 0,565 kg BOD / kg SS × giorno

6.4 Caratteristiche di sedimentabilità del fango

La sedimentabilità dei fanghi biologici può essere valutata attraverso


l'indice di Mohlman, normalmente indicato con la notazione SVI (Sludge Volume
Index), definito come segue.
L'indice di Mohlman è dato dal rapporto tra il volume (in ml) di fango, che
si deposita, in condizioni statiche, sul fondo di un cilindro graduato riempito con
un campione di 1 litro di miscela aerata e lasciato sedimentare per 30', e la
concentrazione (in g) di solidi sospesi contenuti all'origine nel campione di
miscela aerata. Risulta cioè:

VF ⎡ ml ⎤
SVI = (24)
x ⎢⎣ g ⎥⎦
con:
VF volume del fango, in ml/l;
x concentrazione di SS, in g/l.

Da un punto di vista fisico, lo SVI costituisce il volume (in ml) occupato


da 1 g di solidi sospesi (su base secca) della miscela aerata, dopo
sedimentazione statica per 30'; pertanto bassi valori di esso indicano una buona
sedimentabilità del fango, che si concentra in un piccolo volume; invece, valori
elevati corrispondono a un sedimento molto ricco di acqua; tale situazione si
determina se nella popolazione batterica si riscontra una predominanza di
batteri filamentosi, che, pur attivi nell'eliminazione del substrato, presentano
scarsa tendenza alla bioflocculazione; tale fenomeno, noto come rigonfiamento
dei fanghi (bulking), da origine a fiocchi con cattiva sedimentabilità; esso può
essere prodotto da numerose cause, quali bassi valori di cf o di ossigeno
disciolto (non superiori a circa 0,5 mg/l), improvvise variazioni delle condizioni
ambientali (temperatura, pH, salinità, etc.); in ogni caso, il bulking è un
fenomeno di cui ancora oggi non sono del tutto chiare nè le cause, nè i
provvedimenti correttivi atti a limitarne le conseguenze; esso è frequente in tutti
i sistemi biologici a biomassa sospesa, di cui costituiscono forse la causa di
disfunzione più ricorrente.
G.Viviani
pag.40

Fra i fattori che influenzano lo SVI, di particolare interesse appare cf;


infatti si è riscontrato che la migliore sedimentabilità si verifica per cf compreso
tra 0,15 e 0,50 kg BOD/kgSSxgiorno e quindi nel campo di più comune
applicazione dei processi a fanghi attivi (Fig.14). Ciò può spiegarsi con le
considerazioni seguenti:
a) per bassi valori di cf, la popolazione batterica è portata a condizioni prossime
alla respirazione endogena, con conseguente parziale metabolizzazione
delle proteine e dell'acido ribonucleico contenuto nel citoplasma; il residuo
del metabolismo endogeno è prevalentemente costituito dalle membrane
esterne; ciò fa diminuire la capacità di bioflocculazione, contribuendo alla
dispersione dei fiocchi anche in seguito alla sovra-aerazione, tipica di
impianti a basso cf; il fenomeno è talvolta indicato come fanghi a testa di
spillo (pin point);
b) per altri valori di cf, si verifica una predominanza di batteri filamentosi, con i
conseguenti fenomeni di rigonfiamento prima descritti; si osserva che da
questo punto di vista i reattori a miscelazione completa presentano il
vantaggio di un carico del fango costante, mentre, nel caso di flusso a
pistone o di alimentazione discontinua, cf risulta particolarmente elevato in
prossimità dell'ingresso (o nel primo periodo dopo l'alimentazione). Ciò
favorisce uno sviluppo iniziale di batteri filamentosi la cui presenza
difficilmente viene ridotta nel seguito del processo, determinando di
conseguenza una cattiva sedimentabilità del fango.

Si ricorda comunque che il valore dello SVI dipende non solo da cf, ma
anche da altri fattori in precedenza richiamati, non sempre facilmente
prevedibili. In sede progettuale è pertanto opportuno ammettere valori di SVI
più elevati di quelli teorici, il che significa far conto su di una peggiore
sedimentabilità dei fanghi.

ESEMPIO N.4
Problema:

Determinate il valore dello SVI per la miscela aerata di un impianto a fanghi attivi.

Svolgimento:

Dopo aver prelevato un campione di miscela aerata dalla vasca di areazione, si determinano la
concentrazione dei solidi sospesi SS e il volume dei fanghi VF in sedimentazione statica in
cilindro per 30'; risulta:
SS = 3000 mg/l
VF = 360 ml
Lo SVi risulta quindi pari a:
SVI = 360/3 = 120 ml/g

6.5 Concentrazione della biomassa e ricircolo del fango


G.Viviani
pag.41

La stima della concentrazione del fango di ricircolo xr può essere ricavata


a partire dallo SVI, a cui essa può considerarsi correlata. Infatti, se in prima
approssimazione si ammette che xr possa essere assunta pari alla
concentrazione media del fango dopo sedimentazione statica per 30', può
scriversi:
xr × VF = x × 1000 (25)

e, ricordando la (24):

1000 VF 1000
xr = = (26)
VF SVI SVI

In effetti tale relazione va applicata con cautela, in quanto nella realtà, a


parità di caratteristiche di sedimentabilità, il valore di xr varia con le dimensioni
adottate per la sedimentazione finale.

Per definire il valore della concentrazione dei solidi nella miscela aerata
x, si consideri lo schema di Fig.8, in cui è rappresentato un impianto a fanghi
attivi (vasca di aerazione e sedimentatore finale). A regime x è mantenuto
costante ricircolando nella vasca di aerazione il fango separato nel
sedimentatore finale (a meno della frazione eliminata come fango di supero).
Con un bilancio della biomassa nel reattore (biomassa entrante + biomassa
prodotta = biomassa uscente), può scriversi:

dx
q xo + qr xr + V = (q + qr ) x (27)
dt

Trascurando l'apporto di biomassa, presente nel liquame alimentato al


sistema (qxo) e gli effetti della sintesi (V dx/dt), rispetto alla biomassa ricircolata
(qr xr), e risolvendo rispetto ad x, risulta:

qr
x= xr (28)
q + qr

La (28) stabilisce un legame tra x ed xr; il rapporto qr/(q + qr) è sempre


minore dell'unità e tende a 1 quando qr tende a infinito; pertanto x è sempre
minore di xr, a cui può avvicinarsi solo per portate di ricircolo molto elevate
rispetto a quelle di scarico.

Il mantenimento della voluta concentrazione di biomassa x nella vasca di


aerazione si ottiene quindi mediante il ricircolo della portata qr, il cui valore è
facilmente calcolabile a partire dalla (28):

x
qr = q (29)
xr − x

In realtà xr presenta sempre delle variazioni nel corso dell'esercizio


dell'impianto, a causa delle possibili modificazioni delle caratteristiche di
sedimentabilità dei fanghi; in più, l'impossibilità di prevedere con esattezza le
G.Viviani
pag.42

caratteristiche di sedimentabilità dei fanghi non consente di definire con


precisione, in fase di progetto e facendo uso della teoria della sedimentazione
di massa, il valore di xr in funzione del carico di sostanza secca applicato nella
sedimentazione finale; conseguentemente anche qr richiede delle verifiche e
degli adattamenti. E' pertanto opportuno dimensionare con larghezza il circuito
di ricircolo, anche per valori di xr superiori quelli derivanti dalla (29) ed
eventualmente parzializzando la portata con l'inserimento di una perdita di
carico localizzata o con un funzionamento discontinuo asservito ad un
temporizzatore.
Per impianti a fanghi attivi convenzionali, dimensionati per valori del
carico del fango compresi tra 0,15 e 0,40 kgBOD/kgSSxgiorno, xr è bene che
venga previsto non superiore a 8-10 g/l. Conseguentemente, per la (28), x
assume valori di qualche gr/l, in funzione del valore scelto per qr. A tale
riguardo va tenuto presente che la convenienza ad aumentare qr è limitata dal
maggior dimensionamento sia del circuito del ricircolo, sia soprattutto del
sedimentatore finale la cui superficie deve essere calcolata in base alla portata
dei solidi in essa alimentati, pari a (q +qr) x.
Per impianti piccoli e medi, di tipo tradizionale, è usuale prevedere una
portata di ricircolo pari al 100% della portata alimentata; per grossi impianti ci si
limita in genere al 70-80%. Ne derivano valori di x di norma compresi tra 3 e 5
g/l. Di conseguenza, per la (22'') e tenuto conto delle limitazioni imposte a cf, il
carico volumetrico cv risulta pari a 1,0-1,2 kgBOD/m3xgiorno.

ESEMPIO N.5
Problema:

Un impianto è stato dimensionato per un carico volumetrico di 1,2 kgBOD/m3xgiorno e un


carico del fango di 0,3 kgBOD/kgSSxgiorno; la concentrazione di solidi che si vuole mantenere
nella vasca di aerazione è pari a 4 kgSS/m3.
Si vuole conoscere il valore della portata di ricircolo, nell'ipotesi che il fango estratto dal
sedimentatore finale abbia una concentrazione xr pari a 9,5 kgSS/m3.

Svolgimento:

In base alla (29), la portata di ricircolo risulta pari a:


4
qr = q = 0,73 q
9,5 − 4

Tuttavia, il circuito di ricircolo viene dimensionato per una portata massima di ricircolo pari al
100% di quella alimentata; il valore prima calcolato può allora essere ottenuto, ad esempio,
temporizzando il funzionamento delle pompe di ricircolo e facendole funzionare per il 73% del
tempo.
Nel caso in cui la concentrazione del fango di ricircolo si riduca, risultando pari a 7 kgSS/m3,
sempre per la (29) la nuova portata di ricircolo necessaria per mantenere x = 4 kgSS/m3 risulta:
4
qr = q = 1,33 q
7−4

Tale portata di ricircolo non risulta realizzabile, in quanto l'impianto è stato realizzato per qr=q;
ricircolando il massimo valore di portata disponibile, per la (28) la concentrazione massima che
si può mantenere nella vasca di aerazione risulta:
q
x= xr = 3,50 kgSS / m 3
2q
G.Viviani
pag.43

In questo caso, stante che il valore di cv non varia, segue che il minimo valore di cf che può
essere mantenuto in aerazione risulta:
c 1,2
cf = v = = 0,344 kgBOD / kgSS × giorno .
x 3,5

L'esempio dimostra quindi l'opportunità di mantenere criteri prudenziali nella scelta dei
parametri di dimensionamento, in modo da poter assicurare condizioni di processo adeguate ad
un buon livello di depurazione, anche quando la sedimentabilità del fango risulti peggiore di
quanto previsto in sede progettuale.

6.6 Produzione del fango di supero

Come già visto in precedenza, l'estrazione di fango di supero deriva dalla


necessità di mantenere costante nel sistema la concentrazione della biomassa,
una volta raggiunte le condizioni di regime. In un intervallo di tempo, il fango di
supero da eliminare è quindi dato dalla quantità di solidi sospesi prodotto nel
sistema nello stesso intervallo, per effetto della crescita batterica e dei fenomeni
di flocculazione.
La portata ponderale di fango di supero Xs equivale, per la (16), a:

Vx
X s = xr qs = (30)
ϑ

ricordando la definizione del tempo di detenzione cellulare (o età del fango)


data dalla (11'), si ricava:

X s = Vx (Yv − k d ) (31)

Utilizzando la (21') e introducendovi il rendimento di rimozione del


trattamento biologico ηb e ancora indicando con Bb la quantità di substrato
alimentato nell'unità di tempo (Bb=qSo) e con X la biomassa complessivamente
presente nel reattore (X=Vx), si ricava la seguente espressione della velocità di
rimozione del substrato v:

q(So − Se ) (So − Se ) 1
v= = qSo = ηb Bb (32)
X So X X

Sostituendo la (32) nella (31), si ricava la portata ponderale (su base


secca) del fango di supero prodotto nell'unità di tempo:

X s = ηb Y Bb − k d X (33)

Infine, dividendo entrambi i membri della (33) per la quantità di substrato


rimosso ηbBb = q(So - Se), si ricava la quantità di fango di supero specifica,
prodotta nell'unità dio tempo, per unità di substrato rimosso:
G.Viviani
pag.44

Xs k X k
=Y− d = Y− d (34)
ηb Bb ηb Bb v

Va evidenziato che la (34) rappresenta la quantità di fango prodotta per


effetto del metabolismo batterico, e quindi di natura biologica; essa non va
quindi confusa con quella che può prodursi nel sedimentatore finale per via dei
fenomeni di separazione dei solidi sospesi sedimentabili, già presenti nel refluo
a monte del trattamento biologico.

L'esame della (34) evidenzia che, per Yv<kd, essa porta a produzioni di
fango negative (e cioè ad una diminuzione dei solidi sospesi presenti nel
sistema). Tale situazione si può avere per ridotte alimentazioni del substrato, in
cui la produzione di nuovo fango non è sufficiente a compensare i fenomeni di
scomparsa batterica. In reattori batch, ciò corrisponde alla fase endogena; un
esempio di impianti reali, alimentati in continuo, in cui si realizza tale condizione
è data dai digestori aerobici.

Per l'uso della (34) è necessario determinare le costanti cinetiche Y e kd,


secondo la metodologia già illustrata al paragrafo 4.7.
Tuttavia, per i liquami domestici preliminarmente sottoposti a
sedimentazione, in mancanza di determinazioni dirette, sono in genere
utilizzabili i valori seguenti

Y = 1 kgSS/kgBOD
kd = 0,05 giorni-1

Nel caso di impianti dotati di sedimentazione primaria, l'utilizzazione


della (34) con l'inserimento di tali coefficienti porta tuttavia ad una leggera
sottostima del fango di supero prodotto, rispetto ai valori effettivamente
riscontrati; ciò può essere attribuito all'intrappolamento nel fiocco di materiale
inerte sedimentabile, sfuggito alla decantazione primaria. Al fine di compensare
tale sottostima, si può introdurre un coefficiente correttivo, determinato
sperimentalmente, pari a (1,20 − 0,28 c f ) ; tale coefficiente, maggiore di 1, è
funzione del carico del fango, in quanto è intuitivo che la quantità di materiale
inerte vada percentualmente diminuendo, all'aumentare della produzione di
biomassa e quindi di cf. Introducendo il coefficiente correttivo e i due valori
prima indicati per Y e kd, la (34) diventa:

Xs 0,05
= (1,20 − 0,28 c f ) (1 − ) (34')
ηb Bb ηb c f

in tale espressione cf è espresso in kgBOD/kgSSxgiorno e Xs/ηbBb in


kgSS/kgBOD rimosso. La (34') non è applicabile per valori di cf inferiori a 0,1
kgBOD/kgSSxgiorno, nè, per qualunque valore di cf, in assenza di
sedimentazione primaria.
Dalla (34'), assunti per ηb i valori delle curve di Wuhrman di Fig.13, si
ricavano le produzioni specifiche di fango di supero riportate in Tab.2; un loro
esame evidenzia che, per gli usuali rendimenti richiesti, tali produzioni si
aggirano intorno a valori di poco superiori.a 1 kgSS/kgBOD rimosso.
G.Viviani
pag.45

Nel caso di impianti non dotati di sedimentazione primaria (e quindi di


liquami non chiarificati), alla produzione di fango biologico, ricavabile con la
(34), deve assere aggiunta quella dei solidi sospesi di natura inerte presenti nel
liquame grezzo (pari a circa un terzo della quantità complessiva di solidi
sospesi). La produzione di fango di supero può venire allora calcolata mediante
la (34), senza l'introduzione del coefficiente correttivo prima citato e utilizzando i
valori numerici di Y ed kd già assunti per il liquame chiarificato; ad essi va
aggiunta la quantità di solidi dovuta all'intrappolamento del materiale inerte, che
può esserre calcolata separatamente.
Per il caso di impianti non dotati di sedimentazione primaria, risulta
allora:
Xs 0,05 0,33(x o − x e )
= (1 − )+ (34' ' )
ηb Bb ηb c f ηb Bb

dove xo e xe sono rispettivamente le concentrazioni di solidi sospesi nel refluo


grezzo e in quello in uscita dal sedimentatore finale.

In mancanza di più precise determinazioni, la produzione di fango di


supero in impianti privi di decantazione primaria può ricavarsi dalla Tab.2.

Si osserva infine che dalle espressioni (11') e (23') si ricava un legame


tra l'età del fango ed il carico del fango:

1
= ηb cf − 0, 05 (35)
ϑ

in essa si sono introdotti i valori prima richiamati per le costanti Y e kd.


Nel caso invece di reflui domestici già chiarificati, avendo calcolato la
produzione di fango di supero in base alla (34'), si ottiene:
1
= (1,20 − 0,28 cf )( ηb cf − 0,05) (35')
ϑ

dove le unità di misura sono le stesse di quelle già indicate per la (34'); quindi,
in base alle espressioni (35) e (35'), il valore di ϑ risulta decrescente al crescere
di cf.

ESEMPIO N.6
Problema:

In un impianto a fanghi attivi, con sedimentazione primaria, sono alimentati 2550 m3/giorno di
liquame, aventi concentrazione di BOD e di solidi sospesi rispettivamente pari a So = 275
mgBOD/l e xo = 380 mgSS/l. Il carico del fango è cf = 0,25 kgBOD/kgSSxgiorno; le
concentrazioni di BOD e di solidi sospesi nel liquame in uscita sono Se = 30 mgBOD/l e xe = 60
mgSS/l. Si chiede di calcolare la produzione di fango di supero.

Svolgimento:

Il carico organico alimentato all'impianto vale:


G.Viviani
pag.46

Bb = 0,275 x 2550 = 701,25 kg BOD/giorno

Il rendimento di rimozione risulta:


So − Se 275 − 30
ηb = = = 0,89
So 275

La produzione specifica di fango, dovuta alla componente biodegradabile, può essere valutata
mediante la (34):
X's 0,05
= 1− = 0,775 kgSS / kgBOD rimosso
ηb Bb 0,89 ⋅ 0,25

corrispondente a:
X's
X's = ηbBb = 0,775 × 0,89 × 701,25 = 484,18 kgSS / giorno
ηb Bb

La produzione di fango di supero dovuto al materiale inerte, assunto pari al 33% dei solidi
sospesi, vale:
X''s = 0,33 (xo − xe ) q = 269,28 kgSS / giorno

complessivamente quindi risulta:


X s = X's + X''s = 753,46 kgSS / giorno

pari a
Xs 753,46
= = 1,21 kgSS / kgBOD rimosso
ηb Bb 624,75

6.7 Calcolo dei sistemi di aerazione

La quantità di ossigeno da fornire nella vasca di aerazione, al fine di


mantenere le condizioni per il metabolismo aerobico (che si è detto garentito da
almeno 0,5 mg/l di ossigeno disciolto), può essere calcolato a partire, da un
lato, dal fabbisogno di ossigeno necessario per il metabolismo stesso, dall'altro,
dalla capacità di trasferimento di ossigeno da parte del particolare sistema di
aerazione adottato.

6.7.1 Fabbisogno di ossigeno

La quantità di ossigeno consumata dalla popolazione batterica può


essere valutata con l'espressione:

ΔO 2 = a'(So − Se )q + b' Vx (36)


con:
ΔO2 quantità di ossigeno utilizzata nell'unità di tempo;
a' coefficiente adimensionale, detto di respirazione attiva;
b' coefficiente, avente le dimensioni di t-1, detto di respirazione endogena;
G.Viviani
pag.47

Il primo addendo a secondo membro della (36), proporzionale alla


quantità di substrato rimosso, costituisce il consumo dei batteri nelle reazioni di
sintesi, a seguito delle quali viene prodotto nuovo materiale cellulare
(respirazione attiva). Il secondo addendo, proporzionale alla biomassa presente
nel sistema, tiene invece conto della respirazione endogena. Un ulteriore
consumo di ossigeno è legato ai processi di nitrificazione, ove questi
avvengano; in questa fase si farà l'ipotesi che tale fenomeno non si verifichi.

La determinazione dell'ossigeno utilizzato può essere condotta


sperimentalmente in una vasca a fanghi attivi, arrestando i dispositivi di
aerazione e misurando, mediante una sonda, la diminuzione della
concentrazione di ossigeno disciolto che si verifica subito dopo l'arresto. Noto Δ
O2, i coefficienti a' e b' possono essere calcolati riscrivendo la (36) come:

ΔO 2 (S − Se )
= a' o + b' (36')
xV xt

tale espresssione nel piano ΔO2/xV (So - Se)/xt rappresenta una retta di
coefficiente angolare a' e di intercetta con l'asse delle ordinate b'.

In mancanza di determinazioni sperimentali, per liquami domestici alla


temperatura di 20 °C, a' può essere assunto pari a 0,5 e b' pari a 0,10 giorni-1.
Il valore di b' risulta fortemente influenzato dalla temperatura; può infatti
assumersi:
b' = b'20 1,084T-20

dove b' indica il valore della costante alla temperatura generica T e b'20 alla
temperatura di 20 °C. Le variazioni di a' con la temperatura sono invece
trascurabili.
Dividendo la (36) per (So-Se)q=ηbBb e ricordando che (So-Se)/xt=ηbcf, si
ottiene:

ΔO 2 b'
= a' + (37)
ηb Bb ηb c f

tale espressione evidenzia il legame tra il consumo di ossigeno per unità di


BOD rimosso e il carico del fango applicato al sistema. Si osserva che tale
consumo specifico diminuisce all'aumentare di cf; ciò si spiega con il fatto che
per alti valori di cf una più elevata percentuale di materiale, comunque adsorbito
nel fiocco, non viene ossidato nella fase di aerazione, ma è rimosso con i fanghi
di supero (che infatti risultano più ricchi di materiale volatile); esso va essere
eliminato in altre fasi del ciclo di trattamento (digestione aerobica o anaerobica,
processi termici e simili). In Tab.3 sono indicati i valori ricavabili dalla (37) per a'
= 0,5 e b' = 0,1 giorni-1.

Dei due addendi che contribuiscono al consumo di ossigeno, il secondo,


relativo alla respirazione endogena, non subisce variazioni di breve periodo
dato che, con buona approssimazione, la biomassa presente nel sistema può
essere considerata costante. Il termine relativo alla respirazione attiva è invece
G.Viviani
pag.48

proporzionale al substrato biodegradabile rimosso e può subire, nell'arco della


giornata, variazioni anche sensibili rispetto ai valori medi.
Al fine di evitare che, in corrispondenza dei più elevati valori orari di
substrato rimosso, si possano verificare situazioni di carenza di ossigeno
disciolto, con attivazione di metabolismo anaerobico e quindi produzione di gas
maleodoranti, occorre introdurre nella (36) il valore della portata di punta oraria;
per liquami domestici, le punte orarie addotte all'impianto, rispetto alla media
giornaliera, sono tanto maggiori, quanto più piccolo è il centro servito. Per
funzionamento a medio carico del fango, la portata di punta può essere posta
pari a 2 volte quella media giornaliera, nel caso di piccoli e medi centri (fino a
circa 50.000 abitanti) e a 1,8-1,6 volte, per grandi centri (oltre 50.000 abitanti).
Per impianti ad aerazione prolungata (cioè funzionanti a basso carico del
fango) il maggior volume della vasca, e quindi il maggiore tempo di detenzione
idraulico, comporta una maggior disponibilità di ossigeno disciolto nella vasca
di aerazione, con una conseguente più elevata elasticità del sistema a fronte
delle variazioni delle condizioni di alimentazione. Per tale motivo il
dimensionamento dei sistemi di aerazione può essere condotto conteggiando
punte di respirazione attiva inferiori a quelle della portata alimentata (dell'ordine
cioè di 1,5-1,6).

Infine si sottolinea che il fabbisogno di ossigeno qui calcolato deve


essere reso disponibile in forma disciolta, che è l'unica realmente utilizzabile
dalla popolazione batterica per il metabolismo aerobico; pertanto l'ossigeno
introdotto nelle vasche mediante i dispositivi di aerazione deve essere calcolato
tenendo conto dei rendimenti di solubilizzazione e delle quantità che
fuoriescono dal sistema in soluzione nell'effluente depurato.

ESEMPIO N.7
Problema:

Determinare il valore dei coefficienti a' e di b' in un processo a fanghi attivi utilizzato per il
trattamento di un effluente industriale.

Svolgimento:

Per la determinazione di a' e di b' viene utilizzato un impianto pilota, avente un volume di
aerazione V pari a 100 l.
Si effettuano quattro prove, con diversi tempi di permanenza t nella vasca. Le condizioni
operative riscontrate in ciascuna prova sono riassunte nella tabella di Fig.15; viene inoltre
misurata, per tutte le prove, la velocità con cui diminuisce l'ossigeno disciolto nella vasca,
rilevandone la concentrazione all'arresto dei dispositivi di aerazione (O.D.)o, e dopo 30''
(O.D.)1.

Per ciascuna prova sono stati calcolati i valori (So-Se)/xt e ΔO2/xV; la retta di interpolazione dei
valori sperimentali, ottenuta con il metodo dei minimi quadrati, ha l'espressione:

ΔO2/xV = 0,648 (So-Se)/xt + 0,158

conseguentemente risulta a' = 0,648 e b' = 0,158 giorni-1


G.Viviani
pag.49

ESEMPIO N.8
Problema:

Calcolare il fabbisogno di ossigeno in condizioni di punta in un impianto a fanghi attivi,


funzionante con cf = 0,20 kgBOD/kgSSxgiorno, alimentato con una portata q = 15.000
m3/giorno, avente So = 240 mg BOD/l (dopo sedimentazione primaria) ed Se = 35 mg BOD/l. Si
assume a' = 0,5; b' (a 20 °C) = 0,10 giorni-1.
La temperatura estiva è di 18 °C e quella invernale di 10 °C; la punta oraria di carico organico è
pari a 1,6.

Svolgimento:

Risulta:
(b')est = b'20 1,08418-20 = 0,085 giorni-1

(b')inv = b'20 1,08410-20 = 0,044 giorni-1

Il substrato giornalmente rimosso risulta:

ηb Bb = (So-Se) q = 3075 kg BOD/giorno

con una punta oraria, per un coefficiente di 1,6:


η B
ηb Bb = 1,6 b b = 205 kgBOD / ora
24

La biomassa presente Vx si calcola con l'espressione:


B S q
Vx = b = o = 18.000 kgSS
cf cf

Il fabbisogno orario di punta risulta quindi, in condizioni estive:

ΔO2 = a' (So-Se) q + b' Vx = 0,5x205 + 0,085x18.000/24 = 166 kg02/ora

mentre in condizioni invernali risulta:

ΔO2 = 0,5x205 + 0,044x18.000/24 = 135 kg02/ora

6.7.2 Trasferimento di un gas in un liquido

Secondo la legge di Fick, la velocità di trasferimento di un gas in un


liquido è data dall'espressione:

dm
= k g A (c s − c) (38)
dt

dove dm/dt è la massa di gas trasferita nell'unità di tempo, kg il coefficiente di


diffusione del gas, A la superficie di scambio, cs e c le concentrazioni del gas
nel liquido, rispettivamente a saturazione e nelle condizioni reali.
G.Viviani
pag.50

Dividendo per il volume del liquido V e notando che d(m/V)/dt è la


variazione di concentrazione nel tempo dc/dt, la (38) può essere scritta come:

dc
= (k L a) T (c s − c) (38')
dt

in tale espressione, (kLa)T rappresenta il coefficiente globale di trasferimento


alla temperatura T, pari a kgA/V; esso ha dimensioni t-1 e dipende dalle
modalità secondo cui il gas è introdotto nel liquido (turbolenza, miscelazione e
soprattutto superficie specifica di scambio, essendo A inglobata in tale
coefficiente), oltre che dalle caratteristiche del liquido stesso.
Si osserva che, in base alla (38), a parità di ogni altra condizione, la
velocità di trasferimento è proporzionale al deficit, valutato rispetto alla
concetrazione a saturazione nel liquido; la solubilizzazione è cioè tanto più
facile quanto più bassa è la concentrazione del gas disciolto. Il valore della
solubilità a saturazione è calcolabile in base alle leggi di Dalton e di Henry, che
in seguito sono brevemente richiamate.

a) Legge di Dalton: la pressione totale di una miscela di gas è uguale alla


somma delle pressioni parziali dei suoi componenti, essendo queste ultime
definite come la pressione che ciascun componente eserciterebbe se da solo
occupasse l'intero volume della miscela. La legge di Dalton, rigorosamente
valida solo per i gas ideali, può essere applicata alle miscele di gas reali,
sufficientemente lontane da condizioni di condensazione, in pratica per
pressioni di poche atmosfere alle temperature di interesse nel trattamento delle
acque. Per gas in presenza di acqua, o di altri liquidi volatili, occorre anche
tener conto della pressione parziale esercitata dal vapore. In condizioni di
saturazione; essa corrisponde alla tensione di vapore ed è funzione della
temperatura, essendo indipendente dalla natura e dalla pressione del gas. I
valori corrispondenti per il vapor d'acqua sono riassunti in Tab.4. Nell'atmosfera,
la pressione parziale esercitata dal vapor d'acqua è calcolabile dalla
corrispondente tensione di vapore e dall'umidità relativa, intesa come rapporto
tra la presenza reale di vapore e quella a saturazione.

b) Legge di Henry: per gas debolmente solubili, la concentrazione a saturazione


in un liquido è proporzionale alla pressione parziale del gas nella miscela
gassosa sovrastante la soluzione. Detta xg la frazione molare del gas a
saturazione (rapporto tra le moli di gas disciolto e la somma delle moli di gas e
di acqua), risulta

pg = H xg (39)

con:
pg pressione parziale del gas;
H costante di Henry, avente dimensioni di una pressione;
xg frazione molare del gas a saturazione.

La costante H dipende dalla temperatura e dalla natura del liquido e del gas. I
suoi valori, per i casi di pratico interesse, sono riassunti in Tab.5.
La frazione molare xg è esprimibile come:
G.Viviani
pag.51

ng
xg = (40)
nH2O + ng

dove ng e nH2O rappresentano le grammi moli per litro di soluzione,


rispettivamente del gas e dell'acqua. Essendo il peso molecolare dell'acqua
uguale a 18, nH2O vale 1000/18 = 55,6 gmoli/litro. Nel denominatore del termine
frazionario a secondo membro, ng è trascurabile rispetto a nH2O; di
conseguenza risulta:
xg = ng /55,6 (40')

Per il calcolo della solubilità di un gas a saturazione è pertanto necessario


dapprima valutare la sua pressione parziale nella miscela gassosa e
successivamente applicare la (39). Per bassi valori di temperatura, l'effetto della
presenza del vapor d'acqua è senz'altro trascurabile.

ESEMPIO N.9
Problema:

Calcolare la pressione parziale di metano nel gas di un digestore termofilo (T = 50°, p = 1,065
atm), avente la seguente composizione ponderale: CH4 = 0,44, C02 = 0,52, H2S = 0,03,
N2 = 0,01.

Svolgimento:

Alla temperatura di 50 °C, la tensione del vapor d'acqua è di 0,122 atm (Tab.4); la somma delle
pressioni parziali dei diversi costituenti la miscela gassosa vale quindi:

Pg = Σp g = 1,065 − 0,122 = 0,943 atm

Tale pressione va suddivisa in base alla legge di Dalton, che presuppone la conoscenza della
composizione volumetrica della miscela. A tal fine si consideri che il numero n di
grammomolecole di un costituente, contenuto in un peso unitario di miscela secca, vale:

n = (% p)/pm

ove (% p) è la percentuale in peso e pm il peso molecolare del costituente stesso. Per l'ipotesi
di Avogadro, il volume occupato da un gas è proporzionale al numero di grammomolecole. La
percentuale volumetrica di un costituente (% vol) della miscela vale quindi:
(% p) / pm
(% vol) =
Σ (% p) / pm

Ricordando i pesi molecolari dei costituenti (CH4 = 16, C02 = 44, H2S = 34, N2 = 28),
risulta per il metano:
0,44 : 16
(% vol) = = 0,678
0,44 0,52 0,03 0,01
+ + +
16 44 34 28

ed, analogamente, 0,291 per la C02, 0,022 per la H2S, 0,009 per la N2. Infine, per la legge di
Dalton e la legge di Boyle (p.v = cost, a temperatura costante), risulta:

0,678 . pg = 1,00 . pCH4


G.Viviani
pag.52

La pressione parziale di metano pCH4 vale quindi:

pCH4 = 0,678 . 0,943 = 0,639 atm

ESEMPIO N.10
Problema:

Calcolare la solubilità a saturazione dell'ossigeno e dell'azoto in acqua esposta all'aria alla


pressione di 1atm e alla temperatura di 10 °C. Si ammetta, semplificando, che l'aria sia
composta per il 79% da azoto e per il 21% da ossigeno (in volume).

Svolgimento:

Secondo quanto visto al precedente esempio, le pressioni parziali dell'azoto e dell'ossigeno


risultano rispettivamente di 0,79 e di 0,21 atm (avendo trascurato la tensione del vapor d'acqua,
che alla temperatura di 10 °C è dell'ordine di un centesimo di atmosfera).
Le frazioni molari di azoto e di ossigeno a saturazione sono (Tab.5):

pN 0 .79
xN = = = 11,83 × 10 6
HN 6,68 ⋅ 10 4
p 0.21
x0 = 0 = = 6,42 × 10 6
H0 3,27 ⋅ 10 4

La concentrazione a saturazione (in grammimoli per litro), vale quindi per la (40'):

nN = 55,6 . xg = 55,6 . 11,83 . 10-6 = 6,58 . 10-4

n0 = 55,6 . xo = 55,6 . 6,42 . 10-6 = 3,57 . 10-4

Le corrispondenti concentrazioni in mg/l valgono:

CN = nN . pmN = 6,58 . 10-4 . 28 . 10-3 = 18,42 mg/l

C0 = n0 . pm0 = 3,57 . 10-4 . 32 . 10-3 = 11,42 mg/l

6.7.3 Trasferimento dell'ossigeno nella miscela aerata

Nel caso del trasferimento di ossigeno all'interno della miscela aerata,


occorre tener conto delle particolari condizioni in cui il mezzo liquido si trova.
In particolare, il valore della costante H, riportata in Tab.5, è valida per
acqua distillata; in presenza di sali disciolti, la solubilità dell'ossigeno diminuisce
leggermente. Di tale diminuzione si tiene conto con l'introduzione di un
coefficiente β minore di 1, definito come rapporto tra la solubilità in presenza di
sali cs e quello in acqua distillata cs*. Nei casi di pratico interesse β può essere
senz'altro assunto pari ad 1, salvo che in presenza di acqua salmastra o salata
(Tab.6).
Ancora, l'applicazione della legge di Henry per il calcolo della solubilità a
saturazione dell'ossigeno deve tener conto delle variazioni che la pressione
G.Viviani
pag.53

atmosferica subisce, al variare della quota sul livello del mare; con buona
approssimazione si può assumere la seguente legge di variazione:

p = p* (1-0,13 h . 10-3) (40)

dove h è la quota (in m) sul livello del mare, p* e p le pressioni rispettivamente


al livello del mare e alla quota h. L'influenza della quota è senz'altro trascurabile
in situazioni di pianura, mentre può divenire sensibile in località collinari o
montane. A titolo d'esempio, a 1000 m s.l.m. p = 0,87 p*.

Il coefficiente globale di trasferimento (kLa)T, di cui all'equazione (38'), è


soprattutto funzione della superficie di scambio specifica liquido-gas (riferita
cioè all'unità di volume liquido); nel caso che l'aria venga insufflata, essa
dipende pertanto dalle dimensioni delle bolle di gas introdotte. L'influenza della
temperatura (che agisce sia sulla diffusività che sulla viscosità del mezzo) può
essere data dall'espressione:

(k L a) T = (k L a)20 ⋅ 1,024 T − 20 (41)

ove (kLa)20 è il coefficiente di trasferimento alla temperatura di riferimento a 20


°C e (kLa)T a quella generica T.

Effetti meno importanti hanno l'intensità di miscelazione e la geometria


delle vasche.

La natura dei solidi sospesi e disciolti presenti nell'acqua (in particolare il


contenuto di detergenti e di biomassa sospesa) altera, talvolta in modo
sensibile, il trasferimento dell'ossigeno; (kLa)T viene pertanto abitualmente
riferito ad acqua pulita, con l'introduzione di un coefficiente correttivo α per
tener conto della reale natura del liquido da aerare. Risulta cioè:

(k L a) T = α (k L a) T * (42)

essendo (kLa)T* il valore relativo ad acqua pulita. Nel caso di aerazione di


sospensioni di fanghi attivi, α dipende soprattutto dalla concentrazione di
biomassa nella miscela aerata, come rappresentato dalla curva di Fig.16,
ricavata sperimentalmente.

La determinazione sperimentale del coefficiente (kLa)T può essere


effettuata operando in un piccolo bacino, in cui l'acqua (o lo scarico) venga
preliminarmente deossigenata mediante l'introduzione di sostanze riducenti.
Allo scopo può essere usato del solfito di sodio, che, in presenza di un
catalizzatore (cloruro di cobalto), reagisce con l'ossigeno:

Na2 SO 3 + 21 O 2 ⎯ CoC1
⎯⎯ 2
→ Na2 SO 4

Il consumo teorico di solfito di sodio, in base alla stechiometria della


reazione, è di 7,9 g per g di ossigeno (il riducente viene comunque introdotto
G.Viviani
pag.54

con un eccesso del 10-20%); il cloruro di cobalto deve essere presente nella
vasca in concentrazioni di circa 1,5 mg/l.
A deossigenazione avvenuta, si mettono in funzione i dispositivi di
aerazione, misurando nel tempo il progressivo aumento della concentrazione di
ossigeno disciolto (l'eccesso di riducenti introdotti può far si che la
concentrazione si mantenga inizialmente nulla, cominciando ad aumentare solo
dopo che se ne sia completata l'ossidazione). Integrando la (38') tra il tempo t1,
in cui si sia già osservata presenza di ossigeno disciolto con una
concentrazione c1, e il tempo generico t, con una concentrazione c, si ottiene:

cs − c
ln = −(k L a) T (t − t1 ) (38'')
c s − c1

In un piano semilogaritmico, la (38'') rappresenta una retta di coefficiente


angolare -(kLa)T. Per la sua determinazione è pertanto necessario riportare i
valori sperimentali, ottenendone la retta di interpolazione.

ESEMPIO N.11
Problema:

Determinare i valori di (kLa)20 e di α per un sistema di aerazione di uno scarico industriale.

Svolgimento:

Con la procedura descritta si è operato dapprima con acqua pulita e successivamente sullo
scarico industriale, ottenendo nei due casi, in funzione del tempo, le concentrazioni di ossigeno
riportate nella tabella di Fig.17. Le prove sono state svolte alla temperatura di 15 °C, a cui
corrisponde un valore di cs di 10,2 mg/l; si trascurano le piccole differenze di cs per l'acqua e
per lo scarico industriale, dovute alla variazione di solubilità connessa alla diversa salinità.
Assunto come riferimento (tempo t1) i valori di concentrazione c1 riscontrati dopo 5 minuti di
aerazione, si dispongono i dati sperimentali nel piano semilogaritmico di Fig.17; i coefficienti
angolari della retta di interpolazione (a tratteggio per l'acqua pulita e continua per lo scarico
industriale) forniscono rispettivamente (kLa)15 = 3,91 ore-1 e (kLa)15* = 5,24 ore-1. Il valore di
(kL a)20 si calcola mediante la (41):

(kLa)20 = (kLa)15 . 1,02420-15 = 4,39 ore-1

Il coefficiente α vale per la (42):

α = (kLa)15/(kLa)15* = 3,91/ 5,24 = 0,75

6.7.4 Calcolo della capacità di ossigenazione

Viene definita capacità di ossigenazione O.C. (Oxigen Capacity) di un


sistema di aerazione la massa di ossigeno che esso è in grado di trasferire in
soluzione nel liquido, in un tempo unitario e nelle reali condizioni operative.
Dalla (38), indicando con V il volume di liquido interessato dall'azione
dell'aeratore, risulta:
G.Viviani
pag.55

O.C. = (kLa)T (cs-c) V (43)

tale espressione può essere riscritta, con riferimento alle grandezze valide per
acqua pulita e alla temperatura di 20 °C:

O.C. = α (kLa)20* 1,024T-20 (β cs*-c) V (43')

Per uno stesso sistema di aerazione, O.C. assume valori diversi in


funzione delle condizioni operative, risultando influenzato dalle caratteristiche
dello scarico (che determinano α e β), dalla temperatura (da cui dipende cs*),
dalla pressione (da cui dipende pure cs*), dalla concentrazione di ossigeno nel
liquame. E' pertanto opportuno che la capacità di ossigenazione venga riferita a
condizioni normalizzate (condizioni standard), in modo da disporre di indicazioni
ripetibili e tra di loro confrontabili. Le condizioni standard prevedono:
a) acqua pulita (di acquedotto), per la quale α e β risultano unitari;
b) temperatura di 20 °C (alcuni costruttori si riferiscono a prove condotte a
temperature diverse);
c) pressione di 1 atm (760 mm Hg);
d) concentrazione di ossigeno disciolto nulla (c = 0).

In tali condizioni risulta quindi

(O.C.)st = (kLa)20* c* V (43'')

avendo indicato con c* la solubilità a saturazione dell'ossigeno a 20 °C, alla


pressione di 1 atm e per acqua pulita. Confrontando la (43') con la (43''), può
scriversi:
⎡ βc * −c ⎤
O.C. = (O.C.)st ⋅ ⎢α 1,024 T − 20 ( s )⎥ (44)
⎣ c* ⎦

con:
c concentrazione di ossigeno nella vasca nelle condizioni operative;
cs* concentrazione di ossigeno a saturazione relativa ad acqua pulita e alla
temperatura e pressione di reale esercizio;
c* concentrazione di ossigeno a saturazione relativa ad acqua pulita, alla
temperatura di 20 °C e alla pressione di 1 atm; essa vale 9,17 mg/l.

La (44) è rigorosamente applicabile nel caso di aeratori di superficie, per


i quali la diffusione di ossigeno nel liquido avviene per le condizioni di pressione
atmosferica corrispondenti alla localizzazione dell'impianto. Una situazione
differente si ha, a rigore, nei sistemi ad insufflazione, in cui le bolle d'aria sono
introdotte sotto il pelo libero, a una pressione che è più elevata in
corrispondenza degli ugelli dei diffusori e che va man mano diminuendo lungo il
percorso di risalita delle bolle verso la superficie.
In tal caso, cs* assume i valori corrispondenti alla pressione atmosferica
solo sul pelo libero, risultando altrimenti tanto più elevata, quanto maggiore è
l'affondamento dei diffusori. Sono stati proposti metodi di correzione di cs* tra
cui anche semplicemente quello di fare riferimento alla pressione media nella
bolla durante il suo percorso. Si osserva comunque che assumendo per cs* il
G.Viviani
pag.56

valore corrispondente alla pressione atmosferica si opera in modo cautelativo,


ricavandosi con la (44) una capacità di aerazione inferiore a quella reale.
Comunque, per le abituali profondità di insufflazione, tale differenza può essere
trascurata.

6.7.5 Dimensionamento dei dispositivi di aerazione

Il dimensionamento dei dispositivi di aerazione può essere eseguito


eguagliando il fabbisogno di ossigeno nell'ora di punta, calcolato con le
espressioni riportate al prf. 6.7.1, con la capacità di ossigenazione
complessivamente necessaria nelle reali condizioni operative; da questa,
attraverso la (44), si ottiene il corrispondente valore in condizioni standard, che,
per i diversi macchinari, è possibile ricavare dai cataloghi dei costruttori.

In alternativa alla procedura sin qui descritta, è possibile adottare un


metodo di calcolo, valido però per valutazioni di prima approssimazione della
capacità di ossigenazione; in questo caso si assegna direttamente, in base a
valori desunti dell'esperienza, la quantità di ossigeno standard che deve essere
resa disponibile in condizioni di punta in rapporto al BOD medio introdotto (e
non quindi rimosso) nella fase biologica.
Tale rapporto viene indicato con il termine di O.C./load (capacità di
ossigenazione per carico unitario); per i motivi già esposti in precedenza, esso
aumenta al diminuire del carico del fango, secondo le indicazioni di cui alla
Tab.7. Moltiplicando i valori dell'O.C./load per l'apporto medio orario di BOD
nelle 24 ore si ottiene la capacità di aerazione di punta, direttamente riferita a
condizioni standard.
Si osserva tuttavia che tale metodo approssimato può portare a errori,
anche gravi, soprattutto quando le condizioni operative degli impianti si scostino
da quelle di comune impiego per cui sono stati ottenuti i valori empirici di Tab.7.
Esso infatti non tiene conto esplicitamente di aspetti assai importanti del
processo (temperatura di esercizio, entità delle punte di carico, effettivi valori
delle costanti a' e b', reali condizioni di trasferimento dell'ossigeno).
Si sconsiglia quindi l'adozione di tale procedura nel dimensionamento dei
dispositivi di aerazione; essa è stata qui ricordata per il suo diffuso impiego
nella letteratura tecnica e soprattutto nella progettazione degli impianti.

ESEMPIO N.12
Problema:

Un aeratore ha una capacità di ossigenazione standard di 14 kg 02/ora. Calcolare la capacità di


ossigenazione reale in una vasca a fanghi attivi in cui la concentrazione di biomassa x è di 4 g/l,
la concentrazione di ossigeno disciolto di 2 mg/l, la temperatura 10 °C. La vasca si trova a 900
m s.l.m.

Svolgimento:

Dalla Fig.16 si ricava α = 0,86; β può essere assunto unitario. La concentrazione di ossigeno a
saturazione per acqua pulita, a 10 °C ed alla pressione di 1 atm vale 11,42 mg/l (dall'Esempio
n.10). A 900 m s.l.m., per la (40) p = 0,883 atm. Conseguentemente, per la legge di Henry, cs*
= 11,42 . 0,833 = 10,08 mg/l. Dalla (44) si ricava:
G.Viviani
pag.57

⎡ 1× 10,08 − 2 ⎤
O.C. = 14 ⎢0,86 × 1,02410 − 20 ⎥ = 14 × 0,598 = 8,37 kg0 2 /ora
⎣ 9,17 ⎦

ESEMPIO N.13
Problema:

Per la situazione di cui all'Esempio n.8, calcolare con il metodo dell'O.C./load la capacità di
ossigenazione necessaria in condizioni standard.

Svolgimento:

Il carico organico alimentato all'impianto vale:

Bb = So q = 0,240 x 15.000 = 3.000 kg BOD/giorno

con una media oraria pari a:


3.000
Bb = = 125 kgBOD / ora
24

Per cf = 0,2 kgBOD/kgSSxgiorno, può assumersi O.C./load=1,6 kg02/kgBOD.


Conseguentemente risulta:

(O.C.)st = 1,6 x 125 = 200 kg02/ora

6.8 Dispositivi di aerazione

L'alimentazione della voluta portata di ossigeno in vasca di aerazione


può essere eseguita mediante alimentazione di aria, nella quantità
corrispondente a quella dell'ossigeno, oppure fornendo direttamente ossigeno.
Nel primo caso, che è quello più usuale, si può fare ricorso a dispositivi di
aerazione superficiale, in cui in pratica, mediante sistemi meccanici, si agevola
il passaggio dell'aria dall'atmosfera all'acqua, oppure a dispositivi a insufflazione
d'aria, in cui percontro viene insufflata aria in pressione all'interno della massa
d'acqua.

6.8.1 Aerazione superficiale

Nel caso degli aeratori superficiali, il trasferimento di ossigeno avviene


principalmente attraverso la superficie della massa liquida, per effetto del
movimento prodotto da un rotore dotato di idonee pale di agitazione che,
creando una rilevante superficie di contatto tra l'aria e l'acqua, favoriscono la
diffusione dell'ossigeno. A ciò si aggiunge un fenomeno di aspirazione dell'aria
nel liquido, a valle delle pale di agitazione.
Ne deriva un forte arricchimento di ossigeno negli strati superiori della
vasca e la sua successiva dispersione nell'intera massa liquida per effetto della
circolazione prodotta dall'aeratore stesso.
G.Viviani
pag.58

Gli aeratori di superficie si suddividono in tre principali tipologie,


appresso descritte.

a) Aeratori ad asse verticale (turbine): hanno bassa velocità di rotazione e sono


costituiti da un rotore (ruota a palette, cono rovescio alettato e simili),
realizzato in acciaio, leghe leggere o in materiale sintetico (ad esempio
poliestere rinforzato da fibre di vetro) accoppiato al motore attraverso un
riduttore che consente di mantenere basse velocità di rotazione, dell'ordine
cioè di alcune decine di giri al minuto, corrispondente a velocità periferiche
del rotore di 4-6 m/s. Sono abitualmente montati su supporti fissi, costituiti da
passerelle di sostegno; trovano applicazione soprattutto nelle vasche di
aerazione degli impianti a fanghi attivi, in cui la bassa velocità di rotazione
assicura un miglior mantenimento delle dimensioni del fiocco (Fig.18).
Soprattutto nel caso di vasche profonde (altezze superiori a 4 m), tali turbine
possono essere equipaggiate con un cilindro cossiale fisso, installato poco al
di sotto del pelo libero e mantenuto inferiormente in comunicazione con il
resto della vasca. In tale cilindro, per azione della girante, viene a crearsi una
colonna liquida in movimento ascendente. Conseguentemente, alla base del
cilindro si ha un richiamo dalle zone esterne della vasca con positivi effetti sul
livello di miscelazione (Fig.19).

b) Aeratori ad asse verticale veloci: in questo caso si ha un accoppiamento


diretto tra la girante e il motore, con una velocità di rotazione assai più
elevata, rispetto al caso precedente (da 750 a 1500 giri/minuto, a seconda
della polarità del motore). L'eliminazione del riduttore consente una notevole
semplificazione costruttiva; tali turbine sono pertanto preferite per
installazioni galleggianti, soprattutto nel caso di lagunaggio aerato (Fig.20).
Per questo tipo di impianti infatti, come per i digestori aerobici, non esistono
preoccupazioni connesse alla salvaguardia del fiocco. Infatti i fiocchi di fango
attivo presentano una naturale tendenza alla flocculazione; anche nel caso di
rottura del fiocco nella vasca di aerazione di norma intervengono
rapidamente fenomeni di agglomerazione durante la fase di sedimentazione
di massa, senza quindi che il processo risulti nel suo complesso
danneggiato. Per tale motivo si sostiene talvolta l'inutilità di usare turbine
lente anche nelle vasche a fanghi attivi. La rottura del fiocco può tuttavia
risultare pericolosa quando la biomassa presenti una spontanea tendenza
alla de-flocculazione, come spesso si riscontra in presenza di tossici.

c) Aeratori ad asse orizzontale (spazzole): sono costituiti da un albero tubolare


montato in posizione orizzontale, poco al di sopra del pelo libero. Su di esso
sono fissate delle corone di lamelle parzialmente immerse nel liquido durante
la rotazione, così da provocare una violenta agitazione (Fig.21). Si tratta di
un rotore a basso numero di giri con gruppo motoriduttore di azionamento.
Possono essere installati sia longitudinalmente che trasversalmente alle
vasche.

I cataloghi dei costruttori riportano, per i vari tipi di aeratori, la capacità di


ossigenazione in condizioni standard (Fig.22). Per una stessa macchina essa
può essere fatta variare, entro limiti piuttosto ampli, giocando sull'affondamento
delle palette nel liquame. Per una maggiore immersione, cui corrisponde un più
G.Viviani
pag.59

elevato assorbimento di potenza, l'agitazione si fa più intensa ed aumenta


quindi il trasferimento di ossigeno nel liquido.
Tale risultato viene in genere ottenuto mantenendo fissa la posizione del
rotore e variando il pelo libero della vasca mediante uno stramazzo motorizzato
di scarico, il cui posizionamento può essere regolato automaticamente sulla
base delle indicazioni di una sonda di misura dell'ossigeno disciolto (Fig.23).
Tale sistema di regolazione, in teoria molto preciso, incontra spesso delle
difficoltà pratiche per i frequenti fenomeni di staratura delle sonde che possono
verificarsi per effetto della loro esposizione nella miscela aerata. Soprattutto in
piccoli impianti, ove più carente è la gestione, è spesso preferibile programmare
la posizione della soglia, e quindi la quantità di ossigeno fornita, in base alla
misura della portata o mediante dispositivi a tempo che tengano conto delle
prevedibili variazioni giornaliere della richiesta. Assai meno di frequente la
capacità di ossigenazione viene fatta variare agendo sulla velocità di rotazione
della macchina.
Nella scelta dell'aeratore deve anche tenersi conto della necessità di
assicurare ovunque una sufficiente circolazione, con velocità che non scendano
sotto i 20 cm/s. Viene definita potenza specifica la potenza per unità di volume
necessaria allo scopo; essa dipende dalla concentrazione di biomassa sospesa
e diminuisce all'aumentare del volume della vasca di aerazione ed al diminuire
del rapporto tra profondità e larghezza del bacino. In Fig.24 è dato un esempio
di tale dipendenza per uno dei principali tipi di turbina disponibili sul mercato
italiano. Indicativamente essa può essere assunta pari a 20 W/m3.

6.8.2 Aerazione per insufflazione

L'ossigenazione del liquame può anche essere ottenuta per insufflazione


d'aria nella massa liquida. Il rendimento di ossigenazione, inteso come
rapporto tra l'ossigeno solubilizzato (in condizioni standard) e quello insufflato,
dipende allora anche dalle dimensioni delle bolle con cui l'aria è introdotta nella
vasca e dalla profondità di insufflazione (cui sono rispettivamente collegati la
superficie di scambio e il tempo di contatto aria-liquido).
In funzione delle dimensioni delle bolle, si possono distinguere tre
situazioni differenti, appresso descritte.

a) Sistemi a bolle fini: le dimensioni medie delle bolle sono inferiori a 3 mm;
esse sono ottenute per diffusione d'aria attraverso corpi porosi, in materiale
plastico (poliestere espanso ad alta densità, politene poroso e simili) o in
ossidi di alluminio o di silicio sintetizzati in una matrice ceramica. Essi
vengono realizzati in forma di candele o di dischi; in quest'ultimo caso sono
alloggiati in sedi di metallo o di plastica disposte sul fondo della vasca. Ne
sono forniti degli esempi in Fig.25 e 26.
Per un corretto funzionamento è necessario che l'aria, alimentata attraverso
un sistema di tubazioni, sia esente da polvere o da altre impurità che
potrebbero produrre intasamenti. Tale rischio va comunque sempre tenuto
presente, anche per la possibilità che, in caso di arresto dei sistemi di
aerazione, si verifichino accumuli di fango sul fondo. Pertanto, è in genere
opportuno che questo tipo di diffusore venga installato con modalità che ne
consentano una semplice estrazione per le operazioni di ordinaria
manutenzione. Un esempio è dato in Fig.27, in cui un gruppo di diffusori
G.Viviani
pag.60

tubolari è alimentato attraverso due tubazioni a snodo, che ne consentono il


sollevamento senza che sia necessario svuotare la vasca.
Soluzioni analoghe sono possibili anche con diffusori a dischi.

b) Sistemi a bolle medie: le dimensioni medie delle bolle sono comprese tra 3 e
5 mm. Spesso si basano su elementi messi in vibrazione dalla portata d'aria
in uscita, che consentono una ripartizione relativamente buona dell'aria
diffusa, pur alimentata attraverso passaggi di considerevoli dimensioni. La
minor superficie specifica delle bolle comporta rendimenti di ossigenazione
inferiori, rispetto ai sistemi con corpi porosi. Hanno tuttavia il vantaggio di non
richiedere la filtrazione dell'aria e di consentire un funzionamento discontinuo
del sistema di aerazione, fatti questi che li rendono adatti soprattutto nel caso
di piccoli e medi impianti.

c) Sistemi a bolle grosse: in quest'ultimo caso le bolle hanno dimensioni medie


superiori a 5 mm, generalmente ottenute mediante insufflazione attraverso
tubi forati.

In linea indicativa, con riferimento alle condizioni standard, i rendimenti di


ossigenazione, per una profondità di insufflazione di 3 m, possono assumersi
pari a:
a) sistemi a bolle fini 0,14 - 0,20
b) sistemi a bolle medie 0,08 - 0,14
c) sistemi a bolle grosse 0,04 - 0,08

E' comunque sempre opportuno fare riferimento alle curve di rendimento,


direttamente ottenute per ciascun tipo di diffusore; in Fig.28 ne è fornito un
esempio per un diffusore tubolare a bolle fini. All'aumentare della portata d'aria
insufflata la superficie specifica delle bolle tende a diminuire per effetto dei
fenomeni di agglomerazione, che più facilmente si determinano; ciò si traduce
in una diminuzione del rendimento di ossigenazione. Un comportamento
opposto può verificarsi nel caso di sistemi a bolle grosse, ove la maggior
agitazione può favorire una successiva suddivisione delle bolle nella vasca
stessa.
In mancanza di determinazioni dirette, l'influenza della profondità di
insufflazione (h) sulla capacità di ossigenazione di un aeratore può calcolarsi
attraverso la formula:

h
(O.C.)1 = (O.C.)2 ( 1 )0,7 (45)
h2

Le modalità di installazione hanno tuttavia una considerevole influenza


sul rendimento. Con un'idonea collocazione dei diffusori in rapporto alla sezione
della vasca è ad esempio possibile ottenere condizioni di miscelazione atte a
trattenere più a lungo le bolle d'aria a contatto con il liquido, favorendo quindi la
diffusione dell'ossigeno (Fig.29).
Su un principio analogo si basa l'utilizzazione di diffusori a bolle grosse,
ubicati a bassa profondità in vasche dotate di un deflettore sommerso. Si
favorisce così un moto rotatorio del liquido nella sezione, per effetto del
G.Viviani
pag.61

movimento ascendente che viene a determinarsi nella zona di insufflazione a


causa della minor densità della miscela aria-acqua (Fig.30).
Nei sistemi ad insufflazione l'esigenza di assicurare la miscelazione nella
vasca risulta soddisfatta per una portata d'aria di 1,2-1,8 m3/m3 di vasca all'ora.

ESEMPIO N.14
Problema:

In una vasca a fanghi attivi, equipaggiata con i diffusori d'aria di cui alla Fig.27, è necessario
trasferire in condizioni di punta 200 kg02/ora. I diffusori sono installati ad una profondità di 3,5
m; la temperatura del liquido è di 15 °C, con salinità trascurabile. Sono noti:
- i coefficienti α = 0,80 e β = 1;
- la concentrazione di O.D. in vasca, pari a 1,5 mg/l;
- la solubilità dell'ossigeno a 15 °C, pari a 10,15 mg/l.

Si richiede la portata d'aria che deve essere immessa attraverso i diffusori.

Svolgimento:

Un m3 di aria, in condizioni normali, contiene 0,280 kg02. Di essi, in condizioni standard,


vengono solubilizzati per insufflazione ηsx0,280 kg02, essendo ηs il rendimento di
ossigenazione ottenibile dal grafico di Fig.28, in funzione della portata d'aria alimentata per
ciascun diffusore. Fissata quest'ultima in 10 m3/ora, per una profondità di vasca di 3 m, risulta η
s = 0,135. Ad essa corrisponde una capacità di ossigenazione standard unitaria (riferita cioè ad
un diffusore) pari a:

(O.C.)st = 0,280 ηs . 10 = 0,378 kg 02/ora x unità

La capacità di ossigenazione unitaria, in condizioni operative e per l'effettiva profondità di


insufflazione, si calcola, in base alla (44) e alla (45):
⎡ (βc s * −c) ⎤ h1 0,7
(O.C.) = (O.C.) st ⎢α 1,024 T − 20 ⎥( h ) =
⎣ c* ⎦ 2
⎡ 1× 10,15 − 1,5 ⎤ 3,5 0,7
= 0,378 ⎢0,80 × 1,02415 − 20 ⎥( 3,0 ) =
⎣ 9,17 ⎦

= 0,378 × 0,67 × 1,11 = 0,281 kg0 2 / ora × unità

Per il trasferimento di 200 kg 02/ora sono quindi necessari:

200
n= = 712 aeratori
0,281

con una portata complessivamente erogata di 7120 m3 di aria all'ora.

6.8.3 Altri sistemi di aerazione

I sistemi, precedentemente descritti, di aerazione superficiale e per


insufflazione sono quelli normalmente in uso per l'ossigenazione delle acque o
della miscela aerata negli impianti a fanghi attivi. Si ricordano di seguito
G.Viviani
pag.62

brevemente altre tecniche che trovano soprattutto applicazione per esigenze


particolari (trasferimento di elevate quantità di ossigeno, grande profondità di
installazione e simili).

a) Turbine sommerse (Fig.31): l'aria viene insufflata in profondità e qui


suddivisa e dispersa, in bolle grosse, mediante una turbina sommersa con
bassa velocità di rotazione. Il sistema si presta particolarmente a trasferire
grosse quantità di ossigeno (anche molte centinaia di mg/lxora) e risulta
quindi adatto per scarichi aventi BOD assai elevato. Presenta inoltre ottime
possibilità di regolazione della fornitura di ossigeno in funzione delle
richieste.

b) Aeratori statici (bubble gun) (Fig.32): sono costituiti da tubazioni verticali,


ancorate sul fondo della vasca in cui sono internamente incorporati dei
deflettori. Alla base del tubo viene immessa aria compressa che, risalendo
all'interno attraverso i passaggi determinati dai deflettori, si miscela all'acqua
con un elevato contatto interfacciale ed in condizioni di alta turbolenza.
All'interno del tubo, l'acqua aspirata dal fondo risale assieme all'aria ed è
continuamente ricambiata. L'effetto della miscelazione resta comunque meno
intenso rispetto ad altri tipi di aerazione; il sistema risulta pertanto adatto
soprattutto nel caso di lagunaggio aerato (bassa concentrazione di
biomassa); nel caso dei fanghi attivi richiede un'attenta disposizione degli
aeratori. Si ha percontro il vantaggio di assenza di rischi di intasamento nel
sistema di insufflazione (che è operata a bolle relativamente grosse) e della
possibile realizzazione di vasche di considerevole profondità. Un'altra
frequente applicazione di questo sistema di areazione si ha, per impianti di
depurazione di potenzialità medio-grande per l'areazione delle zone
dell'impianto in cui siano temibili fenomeni settici dovuti ad elevati tempi di
detenzione (canalette di alimentazione e scarico delle vasche, pozzetti, etc.)

6.8.4 Confronto fra i sistemi di areazione

Si può ritenere che non sussistano grosse differenze tra le prestazioni


degli aeratori superficiali ed i sistemi ad insufflazione d'aria a bolle fini.
La quantità di ossigeno trasferibile, in condizioni standard, è in entrambi i
casi dell'ordine di 2,0-2,2 kg02/kWh, mentre scende decisamente per
l'aerazione a bolle medie (1,5 kg02/kWh) e per quello a bolle grosse (1,2
kg02/kWh).
A favore degli aeratori superficiali gioca un'indubbia semplicità di
installazione. Il sistema si basa infatti su di un numero limitato di macchine che
non richiedono la rete di adduzione e di distribuzione d'aria e l'elevato numero
di diffusori necessari con l'insufflazione. Anche l'esercizio ne è notevolmente
semplificato, a fronte delle periodiche operazioni di pulizia dei diffusori, che
devono essere programmate per evitarne l'intasamento e il conseguente calo di
prestazioni nel tempo. Percontro i sistemi a insufflazione d'aria garantiscono
una migliore possibilità di regolazione e, se insonorizzati, danno minori problemi
di rumorosità.
Appresso vengono messi a confronto i due sistemi di aerazione citati:
G.Viviani
pag.63

a) Controllo della temperatura della miscela areata: in condizioni invernali,


soprattutto quando siano previsti prolungati tempi di permanenza idraulici
(fanghi attivi a basso carico, digestione aerobica) è possibile che si verifichi
un considerevole abbassamento della temperatura del liquido. Con i sistemi
ad insufflazione la temperatura può essere mantenuta notevolmente più
elevata per effetto della compressione e del conseguente riscaldamento
dell'aria. E' questo un aspetto importante soprattutto quando il processo
biologico risulta molto influenzato dalla temperatura, come ad esempio nel
caso della nitrificazione. In località a clima rigido l'aerazione superficiale può
anche incontrare difficoltà di tipo meccanico, con sviluppo di formazioni di
ghiaccio.

b) Rumorosità: i compressori e le soffianti utilizzati per alimentare i diffusori nei


sistemi ad insufflazione, anche se presentano in genere livelli di rumorosità
maggiori di quelli prodotti dai sistemi superficiali, possono tuttavia essere
insonorizzati mediante istallazione alll'interno di un locale macchine
realizzato con materiale fonoassorbente. Con l'aerazione superficiale il
rumore è invece essenzialmente dovuto allo sciacquio dell'acqua,
violentemente agitata; gli interventi di insonorizzazione sono in questo caso
praticamente impossibili.

c) Formazione di aerosol: la formazione di aerosol, con rischio connesso alla


diffusione di agenti patogeni, è sicuramente assai maggiore con i sistemi ad
aerazione superficiale. Essi sono pertanto da sconsigliare in impianti ubicati
in prossimità di abitazioni o realizzati al chiuso, come talvolta richiesto per
ragioni di inserimento paesaggistico.

d) Maggiore facilità di regolazione della quantità di ossigeno trasferita: nei


sistemi ad insufflazione, in cui l'aria viene sempre fornita attraverso più
compressori o soffianti disposte in parallelo; ciò consente di assicurare una
buona possibilità di regolazione e di disporre comunque di unità di riserva
(basta infatti suddividere la portata d'aria in più unità e prevedere un ulteriore
numero di unità aggiuntive, uguali alle prime.
G.Viviani
pag.64

Fig.12 - Rappresentazione schematica del processo a fanghi attivi

Fig.13 - Curve di rendimento di rimozione del BOD in funzione del carico del fango Cf
G.Viviani
pag.65

Fig.14 - Andamento dell'indice di volume del fango (SVI) in funzione del carico del fango Cf
applicato

Tab.2 - Produzione specifica del fango (in kgSS/kgBOD rimosso)per differenti valori del carico
del fango; la tabella è vaida per liquami di origine domestica
G.Viviani
pag.66

Tab.3 - Consumo di ossigeno in processi a fanghi attivi per liquami


domestici a 20 °C (a'=0,5 e b'=0,1 giorni-1)

Fig.15 - Risultati delle prove sperimentali di cui all'esempio 7


G.Viviani
pag.67

Tab.4 - Valori della tensione di vapore acqueo in funzione della


temperatura

Tab.5 - Valori della costante di Henry, in 104 atm, relativi ad alcuni gas poco solubili in acqua

Tab.6 - Valori del coefficiente β in funzione della salinità, espressa in


gNaCl/l
G.Viviani
pag.68

Fig.16 - Valori del coefficiente α in funzione della concentrazione di


biomassa sospesa nella miscela aerata

Fig.17 - Risultati delle prove sperimentali di cui all'esempio11


G.Viviani
pag.69

Tab.7 - Valori di O.C./load per diversi valori del carico del fango

Fig. 18 - Turbina di aerazione installata in un avasca a fanghi attivi


G.Viviani
pag.70

Fig.19 - Turbina di aerazione munita di cilindro coassiale, al fine di


favorire la miscelazione nella vasca

Fig.20 - Turbina galleggiante a bassa velocità


G.Viviani
pag.71

Fig.21 - Sistema di aerazione ad asse orizzontale (spazzola) (da catalogo Passavant)

Fig.22 - Andamento della capacità di ossigenazione, in funzione della


profondità di immersione della turbina, per spazzole di differente
lunghezza L (da catalogo Passavant)
G.Viviani
pag.72

Fig.23 - Regolazione del livello nella vasca di aerazione a mezzo di stramazzo


mobile. Le posizioni 1 e 2 sono quelle estreme dello stramazzo (da
catalogo Dorr-Oliver)

Fig.24 - Andamento della potenza specifica, necessaria per assicurare la


completa miscelazione della vasca di aerazione, al variare del volume
della vasca e del rapporto tra profondità e larghezza del bacino (da
catalogo Siaf-Koppers)
G.Viviani
pag.73

Fig. 25 - Diffusori a "candele", per l'insufflazione dell'aria in vasche a fanghi attivi. (a)
elemento diffusore; (b) vista d'assieme (1: condotta di adduzione dell'aria
compressa; 2: collettori di distribuzione dell'aria; 3. diffusori dell'aria; 4. arganello per
il sollevamento della rampa di aerazione) (da catalogo Nokia)
G.Viviani
pag.74

Fig.26 - Diffusori a "dischi". (a) elemento diffusore; (b) esempio di rete di distribuzione
dell'aria
G.Viviani
pag.75

Fig.27 - Esempio di installazione di dissufori a candele con sistema a


snodo (da catalogo Nokia)

Fig.28 - Andamento del rendimento di ossigenazione di un sistema


di diffusione a bolle in funzione della portata d'aria erogata,
al variare della profondità d'immersione, in condizioni
standard (da catalogo Ames-Crosta)
G.Viviani
pag.76

Fig.29 - Esempio di installazione di difffusori, atta a prolungare il tempo di


contatto delle bolle d'aia in acqua (da catalogo Cellpox)

Fig.30 - Esempio di installazione di diffusori d'aria a bassa pressione (da


catalogo Inka)
G.Viviani
pag.77

Fig.31 - Sistema misto d'aerazione, costituito da


una turbina sommersa e da
insufflazione d'aria sul fondo

Fig.32 - Aeratore statico (a), con esempio di installazione per una laguna aerata (b) (catalogo
Abeco)
G.Viviani
pag.78

6.9 Effetti della sedimentazione primaria sul trattamento biologico

Occorre fare qualche considerazione sull'opportunità o meno di


prevedere la sedimentazione primaria, a monte del trattamento biologico.

In presenza di una consistente componente organica in forma


sedimentabile, come nel caso di liquami urbani, la sedimentazione primaria
consente la rimozione di una frazione del carico inquinante da avviare al
trattamento a f.a.
Tale risparmio perde molto del suo significato, nell'economia globale del
trattamento, quando la stabilizzazione separata dei fanghi venga condotta per
via biologica aerobica; infatti, gli oneri che tale tipo di stabilizzazione comporta
sono praticamente comparabili con quelli che si avrebbero qualora la stessa
quantità di fango venisse avviata al trattamento a f.a.

Percontro, il ricorso al trattamento anaerobico dei fanghi risulta


conveniente solo per impianti di potenzialità medio-grandi; tuttavia il limite di
convenienza dei due differenti tipi di stabilizzazione non sono definibili con
precisione, data la rapida evoluzione dei costi dell'energia (che si consuma nei
processi aerobici, per via dei sistemi di aerazione, e che si ricava in quelli
anaerobici, dovuta al recupero di biogas ad elevato contenuto di metano).
Nel caso in cui sia conveniente il ricorso alla digestione anaerobica dei
fanghi, si può dimostrare che è conveniente estrarre il fango a monte del
trattamento biologico, mediante la sedimentazione primaria; infatti il fango
primario consente una maggiore produzione di gas biologico, rispetto a quello
secondario, per via della propria composizione (in particolare del maggiore
valore assunto dal rapporto carbonio/azoto). Tutto ciò comporta l'opportunità di
prevedere la sedimentazione primaria, quando si voglia eseguire la digestione
anaerobica del fango.

Per i liquami urbani si può ritenere conveniente l'applicazione del


processo completo (con sedimentazione primaria e digestione anaerobica) per
potenzialità superiori ai 30.000 abitanti serviti. Invece appare maggiormente
conveniente il ricorso allo schema semplificato (senza sedimentazione primaria
e con stabilizzazione aerobica dei fanghi) per potenzialità inferiori a 10.000
abitanti; i maggiori costi di esercizio, dovuti all'elevato consumo d'energia, sono
allora compensati dal minore costo di costruzione dell'intero impianto e dalla
maggiore semplicità di gestione.
Per potenzialità intermedie occorre ovviamente procedere a un'attenta
valutazione economica di caso in caso.

Infine, nel caso di potenzialità molto ridotte (non superiori ai 5.000


abitanti serviti) è molto diffuso il ricorso a impianti a basso carico (di cui si dirà
nel successivo prf.), in cui la fase di digestione aerobica ha modestissime
dimensioni o è perfino assente (per via dell'elevato grado di stabilizzazione già
raggiunto dai fanghi nel reattore a f.a.).

In definitiva, i tre schemi di impianto qui delineati sono così sintetizzabili


(limitatamente alle fasi di sedimentazione, trattamento biologico e digestione dei
fanghi):
G.Viviani
pag.79

potenzialità: linea acque: linea fanghi:


a) medio-grandi sed. primaria + f.a. a medio carico + sed. finale dig. anaerobica
b) medio-piccole f.a. a medio carico + sed. finale dig. aerobica
c) piccole f.a. a basso carico + sed. finale dig. aerobica
(eventuale)

6.10 Alternative di processo negli impianti a f.a.

Lo schema di processo sin qui analizzato (Fig.12) è costituito da un


reattore biologico a miscelazione completa con ricircolo cellulare, seguito da
un'unità di sedimentazione, dalla quale vengono estratti il liquame chiarificato e
il fango.
In effetti, a partire da tale schema, sono stati nel tempo messi a punto
numerose alternative di processo, differenziate dalla soluzione originaria solo
per il valore assunto da taluni parametri di funzionamento (carico del fango),
oppure anche per sostanziali differenze nella tipologia impiantistica
(caratteristiche idrodinamiche, modalità di alimentazione del liquame influente
e/o dell'apporto di ossigeno, etc.). Gli schemi più noti sono:
a) processo a basso carico (ad aerazione prolungata);
b) processo a medio carico (convenzionale);
c) processo ad alto carico;
d) processo con flusso a pistone (plug-flow);
e) processo con carico distribuito (step aeration);
f) processo a contatto e stabilizzazione;
g) processo pluristadio;
h) processo a bacino unico;
i) fosse di ossidazione;
l) processo ad alimentazione discontinua (SBR);
m) processo a ossigeno puro;
n) pozzo profondo.

Appresso si da una breve descrizione di ciascuno di tali schemi; i primi


tre saranno trattati assieme, per via della comune tipologia impiantistica che
essi hanno.

6.11 Processi a basso, medio e alto carico

Dalla trattazione svolta nei precedenti paragrafi è emersa l'importanza


del rapporto tra substrato e biomassa, normalmente espresso attraverso il
carico del fango, che determina il rendimento di depurazione del trattamento
biologico (Fig.13).
La scelta di cf è d'altra parte collegata a quella del carico volumetrico e,
di conseguenza, al volume della vasca di aerazione. Sembrerebbe quindi ovvia
la convenienza di mantenere il valore di cf il più alto possibile, compatibilmente
con il rispetto del rendimento di depurazione desiderato. Tuttavia l'influenza di cf
coinvolge altri aspetti, che si sono man mano esaminati e che è qui opportuno
riassumere.

a) Aumentando la disponibilità di substrato, si accresce la produzione di fango


di supero che deve essere estratto dal sistema per mantenere le condizioni
G.Viviani
pag.80

di regime, secondo quanto espresso dalla (34). Aumenta inoltre la sua


putrescibilità, a causa della rilevante frazione di sostanza organica trattenuta
nel fiocco, ma non ancora metabolizzata dalla popolazione batterica. Solo
per valori di cf molto bassi, e quindi per tempi di detenzione cellulare elevati,
il fango è già sufficientemente stabile per poter essere smaltito, senza
richiedere un ulteriore processo di stabilizzazione.

b) Il consumo di ossigeno dovuto alla respirazione endogena aumenta al


diminuire di cf, come può rilevarsi dalla (36), in conseguenza della maggior
quantità di biomassa presente. Aumentano pertanto i consumi di energia per
l'aerazione.

Quindi, l'adozione di elevati valori di cf, se da un lato consente dei


risparmi nelle spese di costruzione delle vasche di aerazione e nei consumi di
energia, richiede maggiori oneri per la stabilizzazione dei fanghi e rende
comunque più delicata la gestione del processo, a causa dei minori margini di
sicurezza disponibili (per via del bassi tempi di residenza idraulico e cellulare).
In ogni caso, la scelta del valore di cf deve pure tenere in conto la
necessità che il tempo di permanenza idraulica t nella vasca di aerazione sia
tale da garantire un sufficiente effetto di omogeneizzazione di eventuali
composti non biodegradabili contenuti nel refluo in ingresso; per ottenere tale
effetto, t non deve essere inferiore a 1,5-2 ore. La relazione tra t e cf può essere
ricavata mediante la relazione:

V So S
t= = = o (46)
q c v cf ⋅ x
Dal suo esame si ricava che normalmente, per gli usuali valori di So,
sono garantiti tempi di residenza idraulica di alcune ore. Però, quando la
concentrazione So risulta molto bassa, come per taluni effluenti industriali e, in
campo civile, per valori di dotazione idrica elevati in modo anomalo, t può
risultare insufficiente. Allora, in tali casi, la scelta del valore di t diventa
condizione limitante per il dimensionamento della vasca di aerazione (che si
ricava quindi per fissato valore di t , con conseguente diminuzione di quello di
cf).
In funzione del valore assunto per cf, si può fare distinzione fra tre tipi di
processi a f.a., appresso descritti.

6.11.1 Processo a basso carico

Questo processo, detto anche ad aerazione prolungata o ad ossidazione


totale (anche se tale ultima espressione è impropria e utilizzabile solo nel caso
in cui non sia necessaria la stabilizzazione dei fanghi), è caratterizzato da bassi
valori del carico di fango (inferiori a 0,1 kgBOD/kgSSxgiorno).

Il principale vantaggio di tale processo è che la modesta produzione di


fango di supero, conseguente al rallentamento della sintesi cellulare, comporta
una notevole stabilità del fango stesso, che può essere tale da essere avviato
direttamente alla disidratazione, senza una stabilizzazione intermedia; a ciò si
aggiunge una notevole inerzia del reattore nei confronti di possibili variazioni
qualitative e quantitative del refluo (ricorrenti nei piccoli impianti).
G.Viviani
pag.81

Percontro, i bassi valori di cf adottati comportano una grande capacità


delle vasche e un'elevata richiesta di ossigeno per unità di BOD rimosso.

In teoria, per la (34) e in assenza di inerti, la produzione di fango di


supero potrebbe essere del tutto annullata, in corrispondenza di valori di v, e
quindi di cf, sufficientemente bassi. Nella realtà, la presenza di inerti, che
accumulandosi nei fiocchi ne costituiscono la frazione non degradabile e quindi
non utilizzabile nella fase endogena, determina la produzione di quantità non
trascurabili di fango.
Gli impianti ad aerazione prolungata vengono di solito dimensionati per
un valore di cf di 0,08 kgBOD/kgSSxgiorno; esso garantisce un sufficiente livello
di stabilizzazione in condizioni estive. In quelle invernali, il rallentamento
dell'attività biologica dovuto alle basse temperature richiederebbe un'ulteriore
diminuzione di cf, anche fino a 0,05 kgBOD/kgSSxgiorno; tali valori sono
tuttavia raramente utilizzati in sede progettuale, a causa delle considerevoli
dimensioni delle vasche di aerazione che ne deriverebbero; si preferisce
pertanto accettare una stabilizzazione incompleta nel periodo invernale, in cui
peraltro le condizioni climatiche ne rendono meno gravi le conseguenze.

Per contenere i volumi di aerazione, il carico volumetrico può essere


aumentato, mantenendo concentrazioni di biomassa più elevate di quelle in uso
per impianti a medio carico; sono abituali valori di 5-6 kgSS/m3. Di
conseguenza il carico volumetrico è dell'ordine di 0,4-0,5 kgBOD/m3xgiorno.
Concentrazioni maggiori non risultano in genere convenienti, a causa delle
implicazioni che esse avrebbero sul dimensionamento del sedimentatore finale.
Come può calcolarsi dalla (46), i tempi di permanenza idraulica risultano
dell'ordine di almeno 12 ore (più frequentemente tra 16 e 24 ore); ciò consente
notevoli margini di sicurezza, anche quando si verifichino variazioni
considerevoli di portata o di carico nel corso della giornata.

Si osserva che, in aggiunta a quanto già detto al prf. 6.9, nel caso in cui
non sia necessaria una linea di stabilizzazione separata dei fanghi biologici, non
è conveniente effettuare la sedimentazione primaria per evitare la produzione di
fanghi putrescibili.

Un ulteriore vantaggio degli impianti a basso carico è data dallo loro


notevole elasticità di esercizio; infatti, in presenza di forti variazioni stagionali
dei carichi da trattare (quali possono verificarsi per talune industrie o nei centri
turistici), tale processo può anche essere periodicamente trasformato in un
impianto a medio carico (di maggiore potenzialità), aumentando il valore di cf
applicato e rendendo disponibile una fase di stabilizzazione separata del fango,
da far funzionare solamente nei periodi di punta. In modo analogo può essere
concepita una fase di ampliamento di un impianto ad aerazione prolungata, già
esistente.

6.11.2 Processo a medio carico

E' il metodo di trattamento più diffuso per impianti di potenzialità medio-


grandi (infatti è spesso detto convenzionale); viene dimensionato per valori di cf
di 0,2-0,3 kgBOD/kgSSxgiorno, in grado quindi di assicurare un elevato
G.Viviani
pag.82

rendimento di depurazione, con abbondanti margini di sicurezza nei confronti di


punte giornaliere di carico o di temporanee variazioni del livello di
biodegradabilità del substrato.
I fanghi di supero prodotti sono fortemente putrescibili, richiedendo quindi
una successiva fase di stabilizzazione.
Per la descrizione delle sue caratteristiche di funzionamento, vale in
pratica quanto già detto in precedenza sui sistemi a f.a.

6.11.3 Processo ad alto carico

Tale processo è caratterizzato da valori di cf compresi tra 0,5 e 3


kgBOD/kgSSxg; di conseguenza, esso garantisce rendimenti di rimozioni del
BOD non superiori al 60-70%, a fronte del 90 % generalmente raggiungibile coi
sistemi a basso e medio carico; il suo impiego è quindi limitato a una fase di
sgrossatura e va integrato con ulteriori forme di trattamento, a monte o a valle
(p.e. sistemi pluristadio costituiti da più rettori aerobici posti in serie, oppure da
reattori anaerobici seguiti da altri aerobici).

6.12 Processo con flusso a pistone

Fra i processi a biomassa sospesa, si è detto che il sistema a


miscelazione completa (Fig.33a) è, da un punto di vista idrodinamico, quello
generalmente più usato; esso infatti garantisce un effetto volano, nei confronti di
eventuali sostanze non biodegradabili o tossiche presenti nel refluo. Tuttavia,
esso è poco vantaggioso da un punto di vista cinetico, per via della modesta
velocità di rimozione del substrato carbonioso, la quale risulta proporzionale alla
concentrazione del substrato nel refluo effluente dal reattore (per ulteriori
informazioni sulle caratteristiche idrodinamiche delle vasche, si rimanda a
quanto detto nel prf.4).

Il sistema con flusso a pistone (o plug-flow) (Fig.33b) garantisce una


velocità media di rimozione del substrato (e quindi un rendimento di rimozione)
superiore a quella ottenibile con la miscelazione completa (a parità di volume
del reattore); tale velocità risulta infatti variabile fra un valore massimo, in
prossimità della zona di ingresso della vasca, fino a uno minimo, nella zona di
uscita; quest'ultimo valore è pari a quello ovunque raggiunto nel sistema a
miscelazione completa. Tale circostanza ovviamente comporta che sono
sufficienti volumi del reattore inferiori a quelli necessari nel caso di
miscelazione completa, a parità di rendimento di rimozione richiesto.
Tuttavia, i reattori con flusso a pistone presentano il difetto di non
garantire la diluizione di eventuali sostanze tossiche, che vengono così
scaricate con l'effluente a concentrazioni pari a quelle in ingresso, anche se
traslate di un tempo pari a quello di attraversamento del reattore. In più, da un
punto di vista impiantistico, occorre prevedere un sistema di distribuzione
dell'aria che tenga conto della maggiore richiesta di ossigeno in corrispondenza
delle zone iniziali del reattore.

Tale tipo di reattore è poco adoperato, per il trattamento dei reflui di


origine urbana; infatti in tale caso la concentrazione del substrato carbonioso
biodegradabile nel refluo grezzo è superiore a quello del refluo trattato solo di
G.Viviani
pag.83

un ordine di grandezza, per cui la velocità di rimozione risulta di poco inferiore a


quella mediamente ottenibile col flusso a pistone (e quindi modesta è la
riduzione di volume con questo conseguibile, a parità di rendimento di
rimozione). Altrettanto non può dirsi nel caso di reflui di origine produttiva (p.e.
scarichi di attività agroalimentari o zootecniche), in cui tale differenza raggiunge
anche da due a quattro ordini di grandezza, per cui il ricorso a soluzioni a flusso
a pistone può consentire una notevole riduzione delle dimensioni delle vasche.

6.13 Processo a carico distribuito

Il processo a carico distribuito (o step aeration) (Fig.33c) è costituito da


un reattore con flusso a pistone, nel quale però l'influente viene alimentato
progressivamente lungo la vasca, mentre la portata di ricircolo è immessa
totalmente in testa ad essa; in tal modo, si sopperisce al problema prima
evidenziato per i reattori con flusso a pistone, dell'elevata richiesta d'ossigeno
nella zona iniziale del reattore.

6.14 Processo a contatto e stabilizzazione

Tale processo segue lo schema riportato in Fig.33d; in questo caso, lo


scarico da trattare, mescolato al fango di ricircolo, viene aerato in una vasca
(detta di contatto) con un tempo di detenzione di 20-40 minuti e una
concentrazione di biomassa pari a 3-4 kg/m3. Il substrato organico sospeso e
parte di quello in soluzione vengono così rimossi dal liquame per fenomeni di
bioadsorbimento nel fiocco.
Il fango estratto dal sedimentatore viene inviato ad una fase di aerazione
(detta di stabilizzazione), dimensionata per un tempo di detenzione dell'ordine
di 2-5 ore e una concentrazione di biomassa pari a 7-8 kg/m3. Il termine di
stabilizzazione non deve indurre in errore, in quanto in effetti in essa il fango
viene solo riaerato e non stabilizzato; così si completa la degradazione aerobica
della sostanza organica bioadsorbita, con la restituzione di una biomassa
nuovamente disponibile per agire nella fase di contatto.
La capacità complessiva delle due vasche, di contatto e di
stabilizzazione, risulta inferiore a quella dell'unica vasca a f.a. necessaria, a
parità di rendimenti, con un impianto convenzionale.
Il sistema si presenta idoneo al trattamento di reflui ricchi di substrato
organico in forma sospesa e colloidale, particolarmente sensibile alla
bioflocculazione.

6.15 Processo pluristadio

Il processo pluristadio rappresenta una soluzione intermedia, tra quello a


miscelazione completa e quello a pistone; esso è infatti costituito da più reattori
in serie, ciascuno dei quali a miscelazione completa (Fig.33e).
Si è già accennato ai vantaggi che tale soluzione presenta nel caso in cui
la rimozione del substrato segua una cinetica di ordine diverso da zero. Esso
però comporta una complicazione impiantistica, derivante dalla necessità di
prevedere più reattori.
Il ricorso a un processo pluristadio può essere conveniente nel caso di
scarichi industriali, caratterizzati da elevate concentrazioni di substrato organico
G.Viviani
pag.84

biodegradabile. In questo caso è possibile aumentare la velocità di rimozione


del substrato, proporzionale alla concentrazione di questo. Tuttavia, nel
dimensionamento va tenuto conto che le caratteristiche dell'effluente si
modificano da stadio a stadio, con progressiva diminuzione della
biodegradabilità del substrato; le costanti cinetiche vanno quindi determinate
separatamente per ciascuno stadio.
Invece, nel caso in cui la concentrazione di substrato nel refluo da
trattare non sia particolarmente elevata, tipico dei liquami urbani, i trattamenti
bistadio perdono di convenienza, risultando onerosa la realizzazione di più
reattori in serie, in luogo di uno soltanto; in questo caso, qualche applicazione si
ritrova per il trattamento di nitrificazione, ove si voglia favorire la crescita in
maniera separata della biomassa eterotrofa (che rimuove il substrato
carbonioso) e di quella autotrofa (nitrificante).

Al fine di consentire una maggiore elasticità di esercizio, è in genere


opportuno che i diversi stadi su cui si articola il processo siano tra di loro uguali.
Ciò può ottenersi imponendo la condizione che la biomassa presente in ogni
stadio sia uguale (ne deriva infatti il medesimo dimensionamento, sia per i
sedimentatori finali che per le vasche di aerazione, purchè la concentrazione di
biomassa sia la stessa nei diversi stadi).
In tale ipotesi, l'applicazione della (21') al caso di un trattamento bistadio,
privo di sedimentazione dopo lo stadio primario, comporta la seguente
condizione (risulta infatti V1 = V2 e x1 = x2 e quindi V1x1 = V2x2):

q (So − S1 ) q (S1 − Se )
= (47)
v1 v2

dove q è la portata da trattare, So, S1 ed Se rappresentano la concentrazione di


substrato rispettivamente all'ingresso del primo stadio, all'ingresso del secondo
stadio ed allo scarico finale, v1 e v2 le velocità di rimozione del substrato nei
due stadi. Esplicitando i valori di v, mediante la (5'''), risulta:

Se S1
v$2 (So − S1 ) = v$1 (S1 − Se ) (47')
(K s )2 + Se (K s )1 + S1

tale espressione può essere risolta rispetto all'incognita S1, mediante la quale
può essere individuata la condizione che rende eguali i due stadi di trattamento.
I valori delle costanti cinetiche v̂ e Ks vanno determinati
sperimentalmente, su ciascuno degli effluente che alimentano i due stadi; va
osservato che i valori di v̂ 2 e, anche se in misura minore, di (K s )2 dipendono
dal livello di depurazione conseguito nel primo stadio e sono quindi funzione di
S1. Di conseguenza, la loro determinazione andrebbe ripetuta più volte,
secondo tale procedura iterativa: si può iniziare con valori di v̂ 2 e (K s )2 pari a
quelli del primo stadio, determinando così il valore di S1 di primo tentativo
(mediante la (47')); quindi valutare i nuovi valori di v̂ 2 e (K s )2 e quindi di S1
(sempre mediante la (47')) di secondo tentativo; il calcolo procede finchè i valori
di S1 valutato nell'ultimo tentativo è poco differente da quello del tentativo
precedente.
G.Viviani
pag.85

La fase di sedimentazione può essere realizzata a valle di ciascun


reattore (Fig.33e), oppure solo a valle dell'ultimo reattore.

6.16 Processo a bacino unico

Per impianti di dimensioni molto piccole (nel caso di liquami domestici al


di sotto di 1000 abitanti) il processo a basso carico può essere ulteriormente
semplificato, rispetto a quello già descritto in precedenza, con un'ulteriore
economia nelle spese di installazione, che tuttavia questa volta si traduce
anche in una diminuzione di rendimento.
A valle dei pretrattamenti e in assenza di una sedimentazione primaria,
tutto il trattamento depurativo, compresa la sedimentazione finale, è infatti
condotto in un'unica vasca, del tipo rappresentato in Fig.34.
Il funzionamento della vasca, discontinuo e a livello variabile, avviene nel
seguente modo, supponendo di partire dal livello minimo:
a) lo scarico della vasca è chiuso; il liquame in arrivo fa di conseguenza
aumentare il livello in vasca, mentre la turbina è mantenuta in funzione;
b) raggiunto un prefissato livello del pelo libero, la turbina si arresta e la vasca
funge da bacino di sedimentazione, in cui si separano il liquame chiarificato,
nella parte superiore, e il fango, in quella inferiore;
c) dopo circa un'ora, si apre lo scarico della vasca, sempre a turbina ferma,
consentendo così la fuoriuscita del liquame chiarificato, fino a raggiungere
nuovamente il livello minimo; a questo punto, viene nuovamente chiuso lo
scarico e riavviata la turbina, iniziando così un nuovo ciclo.

Per via della posizione variabile del pelo libero, l'aerazione della vasca è
realizzata con una turbina galleggiante (Fig.20), che consente di seguire
l'escursione del livello; non è invece consigliabile il ricorso a sistemi a
insufflazione d'aria, che potrebbero incorrere in frequenti intasamenti,
rimanendo inglobati all'interno del fango sedimentato.
Lo scarico della vasca può essere realizzato con una pompa, o con uno
stramazzo motorizzato o ancora con una valvola a comando automatico.
Il fango depositatosi sul fondo viene allontanato saltuariamente e non
necessita di stabilizzazione.

A parità di cf, il rendimento di depurazione di tale processo è più


modesto, rispetto a quello dei sistemi dotati di sedimentazione finale; infatti va
osservato che, durante l'arresto dei dispositivi di aerazione, il liquame continua
ad essere introdotto nella vasca, subendo in tale fase una semplice
sedimentazione.
La capacità della vasca viene fissata sulla base di valori di cf pari a 0,05-
0,06 kgBOD/kgSSgiorno e cv di 0,30-0,50 kgBOD/m3xgiorno; tale valore va
riferito al volume corrispondente al livello minimo in vasca.

6.17 Fosse di ossidazione

Le fosse di ossidazione (o bacini tipo Pasveer) (Fig.35) sono costituite da


reattori aventi forma in pianta ad anello; in esse il liquame è mantenuto in
movimento a una velocità non inferiore a 0,3 m/s, al fine di evitare fenomeni di
sedimentazione in vasca. A tale scopo sono utilizzati sistemi di aerazione e
G.Viviani
pag.86

miscelazione ad asse orizzontale, a spazzola o a disco (spazzole Kessener,


rotori Mammut) (Fig.21). Le fosse funzionano a basso carico; tale circostanza,
unitamente al flusso pressoché a pistone che in esse si realizza, può
comportare che in vasca si alternino zone aerobiche, in cui si ha nitrificazione, e
zone anossiche, di denitrificazione (Fig.36).

Il funzionamento di una fossa di ossidazione può anche essere del tipo


"a bacino unico", prima descritto. In questo caso, lo scarico del liquame
depurato, il funzionamento degli aeratori e l'estrazione del fango di supero
avvengono in maniera intermittente, secondo un ciclo analogo a quello descritto
al prf. 6.16.

6.18 Processo ad alimentazione discontinua

Nel processo ad alimentazione discontinua (detto pure SBR: sequencing


batch reactor) (Fig.37) le fasi di aerazione e di sedimentazione avvengono in
uno stesso reattore, ma in periodi differenti; in pratica, in successione temporale
si ha il riempimento della vasca; poi, a vasca piena, la fase di reazione, in cui,
interrotta l'alimentazione, ma ad aerazione funzionante, si realizza gran parte
della degradazione del substrato carbonioso; quindi la fase di sedimentazione,
ad aerazione spenta; infine lo scarico dell'effluente chiarificato e quello del
fango sedimentato.
Nel caso in cui la produzione del refluo sia continua nel tempo, occorre
prevedere più vasche in parallelo, al fine di evitare che ciascuna di esse venga
alimentata anche nelle fasi successive alla prima.
Va sottolineata la differenza tra i sistemi SBR e i reattori biologici a
bacino unico, descritti nel prf. 6.16; in quest'ultimo caso infatti l'alimentazione
delle vasche avviene in maniera continua, anche nella fase di reazione, con un
conseguente minor rendimento di trattamento.

6.19 Processo a ossigeno puro

Nei sistemi a ossigeno puro (Fig.38) l'aerobiosi del metabolismo batterico


viene garantito mediante fornitura di ossigeno, anziché di aria come nel caso
dei rimanenti sistemi di trattamento; è in tal modo possibile raggiungere elevate
concentrazioni di ossigeno disciolto in vasca (anche 6 mg/l).
Infatti, operando in un ambiente arricchito di ossigeno è possibile
aumentarne la solubilità in acqua, proporzionalmente alla pressione parziale
applicata. Ad esempio, a 20 °C e alla pressione totale di 1 atm, la solubilità
dell'ossigeno aumenta da 9,3 mg/l in presenza d'aria (pressione parziale = 0,21
atm), ad oltre 44 mg/l in atmosfera di ossigeno puro (pressione parziale = 1
atm).
Nei processi a fanghi attivi ciò consente di mantenere una
concentrazione di ossigeno disciolto nella miscela aerata assai più alta che non
operando con aria, pur assicurando, in base alla (38'), una velocità di
trasferimento dell'ossigeno assai elevata. Ne derivano alcune importanti
conseguenze, appresso sintetizzate.

a) E' facilitata la diffusione dell'ossigeno all'interno del fiocco, che può allora
essere totalmente mantenuto in condizioni aerobiche; tuttavia, in reattori a
G.Viviani
pag.87

miscelazione completa caratterizzati da una bassa concentrazione del


substrato, la diffusione dell'ossigeno nel fiocco è di norma assai più rapida
che non quella del substrato organico, data la considerevole differenza dei
rispettivi pesi molecolari; ciò comporta che l'ossigeno non esercita una
azione limitante sull'attività batterica, in quanto la sua penetrazione nel fiocco
resta comunque maggiore di quella del substrato. Situazione opposta si può
invece avere nel caso di elevate concentrazioni del substrato (p.e. in impianti
pluristadio o a miscelazione completa, ma alimentati da scarichi industriali ad
elevato contenuto organico); in questo caso l'aumento della concentrazione
di ossigeno disciolto nella miscela aerata può evitare che esso diventi
l'elemento limitante dell'intero processo, consentendo di conseguenza un
aumento della velocità di rimozione del substrato.

b) Sono nettamente migliorate le caratteristiche di sedimentabilità dei fiocchi.


Ciò in parte va collegato alle loro maggiori dimensioni, rese possibili dal
minor livello di agitazione che deve essere mantenuto nella vasca per
consentire il trasferimento dell'ossigeno. Ulteriore motivo può essere dato da
una minor presenza di batteri filamentosi nel fiocco, la cui crescita è
maggiore per basse concentrazioni di ossigeno disciolto.

c) L'elevata disponibilità di ossigeno nella vasca di aerazione può consentire di


far fronte ad improvvisi aumenti dei consumi, quali possono determinarsi per
effetto di sovraccarichi organici di breve durata.

L'ossigenazione della miscela viene realizzata in vasche coperte, in cui,


al di sopra del pelo libero, è mantenuta una fase gassosa (con una pressione di
50-100 mm H2O) assai ricca di ossigeno; essa deve essere sottoposta a
periodici sfiati, per evitare un eccessivo arricchimento in azoto (che si libera dal
liquame influente, come conseguenza della diminuita pressione parziale di tale
gas rispetto all'atmosfera esterna) e in anidride carbonica, prodotta dal
metabolismo batterico. Ciò anche per evitare il rischio di un abbassamento del
pH nella fase liquida, dovuto alla solubilizzazione di H2CO3 in equilibrio con la
CO2, in eccesso rispetto all'alcalinità propria del sistema.

L'elevata concentrazione di ossigeno disciolto in aerazione, mantenuta


attorno ai 6 mg/l, consente di mantenere elevati carichi del fango in
alimentazione (da 0,4 fino a 1 kgBOD/kgSSxg).
Date le buone caratteristiche di sedimentabilità, nel ricircolo sono
raggiungibili concentrazioni di biomassa dell'ordine di 15-25 kgSS/m3; anche
con limitati rapporti di ricircolo può quindi aversi in aerazione una miscela molto
più concentrata rispetto agli impianti convenzionali (4-8 kgSS/m3).
E' prudenziale però verificare che il carico volumetrico sia tale da
garantire un sufficiente tempo di detenzione idraulico; per i reflui urbani, i valori
più frequentemente adottati sono dell'ordine di 2-3 kgBOD/m3xgiorno.

I processi ad ossigeno puro si prestano soprattutto al trattamento di


scarichi relativamente concentrati, per i quali possono essere appieno sfruttati i
vantaggi in precedenza ricordati. Trovano pure una buona applicazione quando
esistono problemi di localizzazione connessi a vincoli paesaggistici o a scarsità
di superficie disponibile (le vasche di aerazione e di sedimentazione sono meno
G.Viviani
pag.88

ingombranti; le prime, inoltre, sono coperte) o quando l'effluente da trattare


presenti sensibili variazioni di carico in alimentazione. La maggior complessità
tecnologica, connessa all'approvvigionamento dell'ossigeno ed ai controlli, ne
sconsiglia invece l'adozione nel caso di piccoli impianti.

La fornitura di ossigeno può essere realizzata con uno dei seguenti


metodi:
a) gasdotto, collegante l'impianto di depurazione a un centro esterno di
produzione di ossigeno; ove applicabile, è la soluzione più favorevole per le
economie di scala derivanti dall'utilizzazione di un grosso impianto di
produzione; esso consente la massima flessibilità e richiede la realizzazione
solo di un serbatoio di accumulo con funzione di riserva (avente capacità
corrispondente al fabbisogno di 1-3 giorni) e di una cabina di
decompressione;
b) impianto criogenico, operante per liquefazione dell'aria a bassissima
temperatura e successiva separazione dell'ossigeno dall'azoto per rettifica
(processo Linde); si tratta di un processo di notevole complessità,
convenientemente applicabile solo per grosse produzioni di ossigeno
(almeno 20-30 t/giorno, corrispondenti ai fabbisogni di impianti di
depurazione di potenzialità prossima al milione di persone);
c) impianti a setacci molecolari, costituiti da cristalli sintetici di silicati di
alluminio, in grado di adsorbire selettivamente molecole di diverse
dimensioni, trattenendo in particolare l'azoto, che viene successivamente
rilasciato durante la fase di rigenerazione del letto; il grado di purezza
dell'ossigeno così ottenuto è relativamente basso (90-94%), ma comunque
adeguato al tipo di utilizzazione richiesta in un impianto di depurazione; per
la facilità di controllo e di manutenzione e per la flessibilità di funzionamento,
viene in genere oggi preferito al metodo criogenico (salvo che per impianti di
grandissime dimensioni), trovando campo di applicazione tra 1 e 25 t/giorno
di ossigeno.

6.20 Pozzo profondo

Il sistema a pozzo profondo prevede la realizzazione di un pozzo, avente


profondità anche superiore a 100 m e diametro di alcuni metri; in esso il refluo
compie un moto a "U", per effetto dell'inserimento di un setto centrale (Fig.39a)
o di un una condotta coassiale (Fig.39b); le elevate pressioni idrostatiche
agevolano la solubilità dell'ossigeno, cosicchè si raggiungono rendimenti di
rimozione del BOD anche del 90 %, pur con modesti tempi di detenzione
idraulica.

ESEMPIO N.15
Problema:

Si deve trattare, con un processo a due stadi, uno scarico industriale da un BOD iniziale di 800
mg/l (So) ad un BOD finale di 40 mg/l (Se). Si richiede di individuare la condizione che rende
uguali i due stadi.

Svolgimento:
G.Viviani
pag.89

Mediante prove di laboratorio si sono determinati i valori delle costanti cinetiche. La dipendenza
di v̂ da S, individuata per interpolazione di valori ottenuti su effluenti pretrattati a diverso livello,
è esprimibile da:
v̂ = 0,52 + 0,0018 S

(essendo v̂ espresso in giorni-1 ed S in mg/l); Ks vale 128 mg/l nel primo stadio e 146 mg/l
nel secondo (senza sensibili variazioni in funzione di S1, nell'ambito dei valori di possibile
alimentazione nel secondo stadio).
Risulta quindi:
v̂ 1 = 0,52 + 0,0018 So = 1,96 giorni-1
v̂ 2 = 0,52 + 0,0018 S1 giorni-1
e dalla (7'):
40 S1
(0,52 + 0,0018 S1 ) (800 − S1 ) = 1,96 (S1 − 40)
146 + 40 128 + S1

da cui:
0,002 S13 + 0,925 S12 − 98,55 S = 5840

Risulta quindi S1=5,4 mg/l.

Si osserva che operando su due stadi di uguale capacità, la quantità di substrato rimossa, B, è
molto maggiore nel primario, che non nel secondario. Risulta infatti:
ΔB1 = q (So − S1 ) = 0,6546 q kgBOD / giorno
ΔB 2 = q (S1 − Se ) = 0,1054 q kgBOD / giorno

(avendo espresso q in m3/giorno). Tale risultato si spiega in parte con la migliore


biodegradabilità del substrato alimentato nel primo stadio, ma soprattutto con l'accelerazione
del processo collegata ai più elevati valori di concentrazione di substrato ivi mantenuti. Le
rispettive velocità di rimozione valgono infatti:

S1 145,4
v1 = v̂1 = 1,96 = 1,042 giorni −1
(K s )1 + S1 128 + 145,4
Se 40
v 2 = v̂ 2 = 0,78 = 0,168 giorni −1
(K s )2 + S e 146 + 40
G.Viviani
pag.90

Fig.33 - Alternative impiantistiche per processi a biomassa sospesa con ricircolo cellulare
G.Viviani
pag.91

Fig.34 - Impianto ad aerazione prolungata a bacino unico

Fig.35 - Fossa di osidazione

Fig.36 - Distribuzione delle zone aerobiche e anossiche in processi simultanei di


denitrificazione
G.Viviani
pag.92

Fig.37 - Sistema SBR


G.Viviani
pag.93

Fig.38 - Sistema a ossigeno puro

Fig.39 - Sistema a pozzo profondo: (a) con setto centrale; (b) con tubo coassiale
G.Viviani
pag.94

7. STAGNI BIOLOGICI

Con la denominazione di stagni biologici o di lagune vengono


genericamente indicati particolari tipi di bacini, in cui le acque reflue,
temporaneamente stoccate, subiscono un'azione depuratrice. Le caratteristiche
di tali bacini sono altamente diversificate, in funzione del tipo di metabolismo
che in essi si verifica e delle modalità di riempimento.
In ogni caso, essi hanno in comune una notevole semplicità di
costruzione e gestione; inoltre, si può affermare che il loro funzionamento può
essere ricondotto a quello di un reattore a biomassa sospesa, senza ricircolo
cellulare, di cui si è trattato nei precedenti paragrafi.

La principale classificazione degli stagni è quella In funzione del tipo di


metabolismo prevalente nello stagno, strettamente legato alle sue modalità di
aerazione; il parametro caratterizzante tale classificazione è il carico organico,
espresso in kgBOD/m2xg (c.o. superficiale) o come kgBOD/m3xg (c.o.
volumetrico). Si può allora fare distinzione tra:
a) stagni aerobici: vengono cosi definiti perché il metabolismo batterico che si
instaura al loro interno è di tipo aerobico, sia lungo la colonna d'acqua, sia
all'interno dello strato di fango sedimentato; l'ambiente aerobico viene
mantenuto grazie alla riaerazione atmosferica e, in special modo, all'effetto
fotosintetico; poichè quest'ultimo è strettamente legato alla penetrazione
della luce nella colonna d'acqua, segue che tali stagni hanno una profondità
molto limitata, richiedendo così grandi superfici, maggiori di quelli appresso
citati, a parità di condizioni di alimentazione; a ciò si aggiunge che il tipo di
processo consente di operare con carichi organici modesti;
b) stagni facoltativi: in questo caso, gli effetti della riaerazione atmosferica e
dell'ossigenazione fotosintetica non si risentono nell'intera colonna d'acqua;
di conseguenza, l'azione depuratrice si sviluppa in due modi distinti: negli
strati superiori dello stagno, I'ambiente è ancora aerobico; invece sul fondo,
e quindi negli strati profondi della fase liquida e nei fanghi, il metabolismo è
anaerobico; questi stagni sono caratterizzati da altezze d'invaso superiori a
quelle del caso precedente, anche se operano con carichi organici limitati,
richiedendo pertanto anch'essi notevoli superfici;
c) stagni anaerobici: qui la colonna d'acqua e i fanghi sedimentati sono
interessati da un ambiente prevalentemente anaerobico, risultando
trascurabile lo strato d'acqua superficiale, interessato dai fenomeni di
riaerazione atmosferica; ciò è principalmente dovuto all'elevata profondità di
questo tipo di stagni, che consente di contenere le superfici necessarie;
d) stagni aerati: in questo caso, i bacini, che possono avere anche un'elevata
profondità, sono mantenuti completamente aerobici a mezzo di aerazione
artificiale; a tale scopo sono generalmente adoperate turbine galleggianti,
che possono essere dimensionate anche per mantenere la completa
miscelazione del bacino;
e) stagni ad alto carico (HRAP: High-rate Algal Pond): si tratta di stagni
generalmente aerati, in cui viene agevolata un'elevata produzione di
biomassa algale, mediante miscelazione meccanica; ciò consente di ottenere
elevati rendimenti di depurazione con elevati carichi superficiali e modesti
tempi di detenzione idraulica;
G.Viviani
pag.95

f) stagni di maturazione (o di affinamento): di tipo aerobico o facoltativo, sono


utilizzati per il trattamento terziario di reflui già parzialmente depurati, allo
scopo di ridurre il contenuto di nutrienti e, principalmente, la carica batterica;

Invece, in funzione delle modalità di riempimento, si può fare distinzione


fra:
a) stagni ad accumulo: in questo caso, si ha una prima fase in cui lo stagno
viene riempito, senza derivare da esso alcuna portata; terminata
l'alimentazione dello stagno, ha inizio una seconda fase, avente una durata
pari a un prefissato tempo di detenzione, trascorso il quale lo stagno viene
svuotato; pertanto, la capacità dello stagno viene calcolata per contenere
l'intero volume dello scarico, sversato nel periodo di riempimento, a meno
delle perdite per evaporazione; il campo di impiego degli stagni ad accumulo
è limitato a quei casi in cui lo scarico è discontinuo; essi risultano quindi
adatti a trattare gli effluenti di attività produttive a carattere stagionale,
specialmente se le condizioni climatiche e meteorologiche sono favorevoli;
b) stagni a flusso continuo: in questo caso, tanto la portata entrante, quanto
quella derivata sono continue nel tempo, per cui il funzionamento dello
stagno è solo parzialmente influenzato dalla evaporazione; tale soluzione è
quella piú largamente diffusa, per il trattamento degli scarichi sia civili, sia
industriali;
c) stagni in serie: al fine di sfruttare al meglio le caratteristiche di ciascun tipo di
stagno, differenziato secondo i vari tipi di metabolismo prima descritto, può
risultare spesso opportuno accoppiare in serie più stagni (di solito due o tre);
tipiche soluzioni sono quelle che prevedono un primo stagno anaerobico,
avente funzione di sgrossatura, seguito da un secondo stagno aerobico e,
talvolta, da un terzo stagno, con funzione di finissaggio; ulteriore esempio è
dato dall'accoppiamento in serie/parallelo di più stagni aerobici e facoltativi;
in tutti questi casi, è spesso previsto il ricircolo dei reflui in testa ai primi
stagni della serie, al fine di aumentare in questi la concentrazione delle
biomasse algali e batteriche.

Gli stagni biologici, nelle differenti alternative sin qui brevemente


richiamate, trovano impiego sia per i liquami civili, sia per quelli industriali; in
quest'ultimo campo viene sfruttata appieno la notevole capacità dimostrata dagli
stagni nell'omogeneizzare ed equalizzare gli scarichi aventi caratteristiche
fortemente variabili nel tempo.
Rimane tuttavia il problema, spesso non superabile, delle elevate
superfici necessarie, non sempre disponibili, in ogni caso superiori a quelle
degli altri trattamenti biologici.

7.1 Fattori che influenzano il funzionamento di uno stagno biologico

All'interno di uno stagno biologico si svolgono numerosi fenomeni,


dipendenti dalle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche; in
quest'ultimo caso, un ruolo fondamentale è svolto dai batteri, dalle alghe e dagli
organismi superiori.
Tali fenomeni sono comuni a quelli che si ritrovano negli stagni naturali,
con la fondamentale differenza però che l'attività metabolica che si attua
all'interno di uno stagno biologico, che porta alla demolizione e trasformazione
G.Viviani
pag.96

della materia organica, è nettamente più intensa rispetto a quella di uno stagno
naturale; ciò discende dalla maggiore disponibilità di nutrienti e dalla presenza
quantitativamente più rilevante, e soprattutto più specializzata, di popolazioni
attive in tale senso.

7.1.1 Caratteristiche idrauliche

I fattori idraulici, vale a dire le portate in ingresso e in uscita,


l'evaporazione, I'infiltrazione, la precipitazione meteorica e la percolazione,
hanno importanza sia per definire il tipo di stagno biologico, e il suo volume, sia
per valutare eventuali inconvenienti che possono ripercuotersi nell'ambiente
circostante.
Il bilancio idraulico di uno stagno biologico può essere espresso
mediante la seguente espressione:

dV
Q e + P = Qu ± I + E +
dt
con:
Qe portata entrante
P precipitazione atmosferica
Qu portata uscente
I infiltrazione
E evaporazione
V volume del bacino
t tempo

Il termine I può essere di solito trascurato, in quanto il suo valore è


spesso non significativo, specie se le pareti dello stagno garantiscono un
elevato grado di impermeabilità (possono a tale scopo utilizzarsi rivestimenti
con manti sintetici).
L'esame dell'espressione prima citata conduce ad alcune considerazioni:
a) in condizioni stazionarie (dV/dt=0) e in tempo secco (P=0), si ricava:
Q e = Qu + E
in pratica, le portate alimentate e derivate sono pressoché uguali, a meno
delle perdite per evaporazione;
b) in tempo secco (P=0) e se Qu=0 (stagno ad accumulo), si ricava:
dV
Qe = E +
dt
quindi l'alimentazione dello stagno comporta l'aumento del volume invasato,
a meno della perdita per evaporazione, che nel caso di climi caldi può essere
significativa.

7.1.2 Caratteristiche fisiche

I principali fenomeni fisici che si verificano in uno stagno sono costituiti


dalla sedimentazione e dalla flottazione; gli eventuali effetti di disturbo, dovuti
ad irregolarità della forma del bacino e quindi a campi di velocità orizzontali
variabili lungo la superficie dello stagno, tali da indurre la possibilità di correnti di
corto circuito, sono ampliamente compensati dai lunghi tempi di detenzione,
che sono almeno dell'ordine dei giorni.
G.Viviani
pag.97

Sia la flottazione che la sedimentazione possono essere influenzate dai


parametri biologici; vi è infatti, da un lato, la possibilità di affioramento di alghe,
che può provocare problemi, dall'altro, un miglioramento della sedimentazione
per effetto dei fenomeni di bioflocculazione che intervengono all'interno del
bacino.

Una notevole influenza sul funzionamento di uno stagno hanno sia la


temperatura dell'ambiente esterno, sia quella del liquame; entrambe infatti
accelerano la velocità dei processi biologici.
La temperatura ottimale per il processo fotosintetico si aggira intorno a
20°C, anche se il campo utile varia tra 4 e 35 °C. Bisogna però sottolineare che
i valori più alti di temperatura danno luogo a processi competitivi, per effetto
della predominanza batterica.

7.1.3 Caratteristiche chimiche

I principali nutrienti che interessano uno stagno sono il carbonio, l'azoto e


il fosforo.
I nutrienti sono utilizzati per il metabolismo della biomassa batterica e di
quella vegetale. La prima, di tipo eterotrofo, determina un consumo del carbonio
organico (quindi la riduzione del BOD), oltre che di azoto e fosforo. La seconda,
di tipo autotrofo, utilizza il carbonio inorganico, la cui sorgente principale è la
CO2 (più raramente i bicarbonati); anche in questo caso si rileva un consumo di
azoto e fosforo.
Quindi, il trattamento di lagunaggio consente una rimozione dei carichi
organici contenuti nel refluo, oltre che di azoto e fosforo; in particolare, per
l'azoto notevole importanza assumono i fenomeni di nitrificazione, di
volatilizzazione in atmosfera e di precipitazione (per valori elevati del pH).
Ultima considerazione va quindi fatta sull'opportunità di garantire un
giusto rapporto fra i nutrienti, affinchè questi non costituiscano un fattore
limitante lo sviluppo delle biomasse batteriche e vegetali; è sufficiente un
rapporto C:N:P: pari a 100:5:1, situazione in genere verificata negli scarichi di
origine urbana domestica.

Un condizionamento del funzionamento di uno stagno biologico può


derivare dalla presenza di sostanze tossiche o comunque inibenti lo sviluppo
batterico e/o algale all'interno dello stagno e dal pH.
Quest'ultimo ha importanza in quanto, come avviene per la temperatura,
valori troppo bassi o troppo elevati possono disturbare o ridurre l'efficacia del
ritmo biologico dello stagno, anche se in alcuni casi pH molto elevati possono
provocare un fenomeno di flocculazione e sedimentazione e quindi una depura-
zione della fase liquida.
Per quanto riguarda la presenza di sostanze tossiche nel liquame, pur
essendo notevole la capacità di equalizzazione di uno stagno biologico, è bene
tenere presente la possibilità di accumulo di tali sostanze e provvedere ad una
loro rimozione preventiva, se le concentrazioni risultassero troppo elevate.

7.1.4 Caratteristiche biologiche


G.Viviani
pag.98

La sostanza organica contenuta nel refluo accumulato in uno stagno


biologico è sottoposta a reazioni biochimiche, che portano alla sua
trasformazione in nuova materia cellulare e in cataboliti stabili; la prima,
terminato il proprio ciclo vitale, sedimenta sotto forma di fango.
Questo, una volta depositatosi, viene decomposto dai batteri aerobi, nel
caso in cui sul fondo sia disponibile ossigeno disciolto, subendo una completa
ossidazione; se invece non vi è tale disponibilità, il fango viene decomposto
solo parzialmente in condizioni anaerobiche.
Oltre alla flora batterica di natura aerobica e/o anaerobica, nello stagno
possono essere presenti anche le alghe e i predatori. Le prime traggono
energia dalla luce solare e utilizzano CO2, PO43- e NH3 (prodotti dalla decom-
posizione batterica delle molecole organiche piú complesse), per sintetizzare
nuove cellule algali, con produzione di O2 gassoso come catabolita di rifiuto,
che contribuisce a mantenere l'ambiente liquido in condizioni aerobiche. Gli
organismi predatori fanno invece principalmente parte dello zooplancton,
costituito da piccoli animali che si nutrono di batteri ed alghe, producendo CO2
come catabotita gassoso.
In questo modo si attua un sistema ciclico, attraverso il quale la sostanza
organica biodegradabile viene in parte convertita in materiale organico cellulare
insolubile e sedimentabile e in parte gassificata (Fig.40).

Due sono le fonti di energia presenti in uno stagno: l'energia solare, che
costituisce la fonte maggiore di energia che entra nel sistema; essa in parte
produce calore, in parte è utilizzata dalle cellule algali; la seconda fonte di
energia è costituita dalle sostanze organiche contenute nel liquame, che
vengono in parte utilizzate da batteri, alghe e predatori.
In definitiva, i processi fondamentali che possono avere luogo negli
stagni biologici sono: I'ossidazione aerobica, la decomposizione anaerobica, la
fotosintesi algale e l'azione fagotrofa dei predatori. Tali processi, sintetizzati in
Fig.41, si riscontrano spesso nei processi depurativi sia naturali che artificiali; in
particolare, l'azione fotosintetica algale e quella fagotrofa dei predatori sono
caratteristiche degli stagni biologici.
L'esame della Fig.41 evidenzia che, in base alle caratteristiche della
laguna (profondità, intensità di radiazione solare, etc.) si può avere una
condizione aerobica nell'intera colonna d'acqua ed anche nei sedimenti (laguna
aerobica), oppure solo nello strato superficiale, al di sotto del quale si passa a
condizioni anaerobiche (laguna facoltativa o aerobica, a seconda dell'incidenza
dello strato superficiale sull'intera colonna d'acqua); la figura si riferisce proprio
al caso di una laguna facoltativa.
G.Viviani
pag.99

Fig.40 - Ciclo del metabolismo algale e batterico in uno stagno biologico

Fig.41 - Schema dei principali fenomeni che si verificano in uno stagno


G.Viviani
pag.100

7.1.5 Fotosintesi algale

Le alghe sono organismi fotosintetici, traggono cioè l'energia necessaria


al loro sviluppo dalla luce solare, utilizzando per la sintesi cellulare il carbonio
inorganico (CO2), prodotto prevalentemente dai metabolismo batterico.
Il processo di fotosintesi à così sintetizzabile:

fotos int esi


6 CO 2 + 6H2O ⎯ ⎯⎯⎯⎯→ C 6H12O 6 + 6 O 2

Tale reazione evidenzia la capacità, esclusiva per gli organismi vegetali, di


produrre nuova materia cellulare (glucosio, nel caso dell'esempio) e ossigeno;
in effetti, simultanea all'attività fotosintetica, finalizzata alla cattura di energia
luminosa, si sviluppa l'attività di respirazione, con la quale vengono forniti sia
l'energia chimica, necessaria per il metabolismo della cellula, sia composti
organici da sintetizzare come nuova materia cellulare; questa fase è così
sintetizzabile:
C 6H12O 6 + 6 O 2 → 6 CO 2 + 6H2O

tale reazione comporta quindi un consumo di ossigeno. Nel periodo notturno,


l'attività di fotosintesi si ferma, mentre continua quella di respirazione; tuttavia, il
bilancio giornaliero comporta complessivamente una produzione di ossigeno.

La produzione di ossigeno varia da un minimo invernale di 25


kgO2/haxgiorno a un massimo estivo di 95 kgO2/haxgiorno; a tale produzione
lorda occorre detrarre il consumo per respirazione, stimabile in 30-50
kgO2/haxgiorno; in definitiva, si ricava una produzione netta massima di 45-50
kgO2/haxgiorno; tale valore è fortemente influenzato dall'insolazione (quindi
dalla latitudine) e dalle caratteristiche del refluo invasato, che incidono sulla
profondità di estinzione dell'energia solare, di cui si dirà appresso.

Le condizioni essenziali necessarie all'attuazione del processo


fotosintetico sono: l'illuminazione, la temperatura e le sostanze nutrienti
L'energia solare utile per la fotosintesi ha una lunghezza d'onda
compresa tra 4000 e 7000 A, cioè operante per la maggior parte nel campo del
visibile, che costituisce il 40% circa dell'energia totale trasmessa per radiazione
solare; in colonna d'acqua, l'intensità luminosa si riduce, seguendo la legge di
Lambert-Beer:
Ih = Ioe− kCh
con:
k coefficiente di assorbimento;
C concentrazione algale, in mg/l;
h profondità, in m;
Ii intensità luminosa alla profondità h, in lumen/m2;
Io intensità luminosa in superficie, in lumen/m2.

La profondità di estinzione dell'intensità luminosa (cioè quella alla quale Ii


è circa l'1% di Io) è funzione quindi delle caratteristiche del refluo invasato nella
laguna (da cui dipende k) e dallo sviluppo di biomassa vegetale; la
concentrazione algale è di solito compresa tra 15 e 30 mg/l. Normalmente la
G.Viviani
pag.101

penetrazione della luce non supera 0,7 m di profondità, che si detto essere
quella media delle lagune aerobiche.

7.2 Caratteristiche operative e criteri di dimensionamento

Come si è già accennato in precedenza, gli stagni biologici possono


essere suddivisi in diverse categorie, a seconda delle modalità operative e del
tipo di metabolismo da cui sono interessati.
Ciò comporta la necessità di adoperare criteri differenti, a seconda dei
casi; in particolare, è usuale il ricorso a metodi di natura empirica, in cui viene
fissato il carico organico specifico (per unità di superficie e/o di volume) e da
questo si ricavano le dimensioni dello stagno; fanno eccezione gli stagno aerati,
in cui la miscelazione indotta dai sistemi di aerazione consentono di poter
applicare la teoria di Monod, descritta al prf.3, assimilando lo stagno al caso di
un reattore a completa miscelazione senza ricircolo cellulare.
Appresso si riportano alcuni criteri di dimensionamento degli stagni
aerobici, facoltativi, anaerobici e aerati.

7.2.1 Stagni aerobici

Questo tipo di stagno biologico è caratterizzato dal fatto che esso è


completamente aerobico per l'intera colonna d'acqua e a livello dei sedimenti.
Tali condizioni sono garantite dall'effetto combinato, da un lato, della
riaerazione atmosferica, dall'altro, dall'ossigenazione prodotta dalla fotosintesi
algale. Quest'ultima condizione, che è prevalente rispetto alla prima, richiede la
penetrazione dell'energia luminosa.
Da ciò risulta chiara l'importanza rivestita dalla luce nel funzionamento
dello stagno aerobico e come questo parametro influenzi la profondità del
bacino, dato che la luce deve arrivare fino al fondo dello stagno. La profondità
di questi stagni varia perciò tra 0,20 e 0,70 m e ciò porta evidentemente alla
necessità di superficie molto elevate, anche per tempi di detenzione brevi.

Il dimensionamento degli stagni aerobici si ricava fissando il carico


organico superficiale, pari a 25-30 kgBOD/haxgiorno; oltre tali valori, è probabile
che il funzionamento dello stagno divenga di tipo facoltativo.
I rendimenti di depurazione così raggiungibili sono elevati (anche 95%),
per cui tale tipo di stagno è particolarmente adatto al trattamento di liquami
poco concentrati e al finissaggio di effluenti pretrattati.

Affinché anche i fanghi sedimentati siano sottoposti a una completa


trasformazione aerobica, è opportuno prevedere il periodico rimescolamento dei
reflui invasati nello stagno. Tale operazione viene normalmente eseguita con
frequenza giornaliera, per almeno 3 ore/giorno, ed è effettuata mediante ricir-
colazione della fase liquida a mezzo di pompe a forte portata e bassa
prevalenza, che debbono essere in grado di provocare nello stagno correnti
aventi velocità dell'ordine di 0,50 m/s. A tale velocità i fanghi rientrano in so-
spensione e quindi in intimo contatto con l'ossigeno contenuto nell'ambiente
fortemente aerobico. Questa operazione non provoca danni per ciò che
riguarda la penetrazione della luce, dato che già 15 minuti dopo la fine del
G.Viviani
pag.102

rimescolamento l'80% del fango è già risedimentato, consentendo in tal modo


nuovamente il passaggio della luce.

7.2.2 Stagni facoltativi

Si tratta di stagni biologici a funzionamento misto, e cioè aerobico ed


anaerobico. Infatti negli strati superiori, in cui penetra la luce, la riaerazione
atmosferica e la fotosintesi garantiscono una concentrazione di ossigeno
disciolto sufficiente per il metabolismo aerobico dei batteri; invece negli strati
inferiori, mancando tale condizione, si attiva un metabolismo di tipo anaerobico.
E' chiaro che la zona aerobica risulterà più estesa e più ricca di ossigeno
disciolto durante il giorno e nelle giornate di sole, che non durante la notte
(quando si ha un notevole impoverimento di ossigeno causato dalla modifica
dell'azione clorofilliana delle alghe e dal consumo di O2 da parte dei batteri).
La forte ossigenazione diurna provoca un effetto secondario e cioè
l'aumento del pH, che può raggiungere valori prossimi a 10 nel corso delle ore
pomeridiane, mentre è su valori minimi nelle prime ore del mattino. L'ambiente
basico non porta a particolari conseguenze negative nel processo depurativo;
anzi può contribuire a ridurre il pericolo di eventuali odori molesti provenienti
dalla zona anaerobica, per il fatto che l'idrogeno solforato risulta dissociato già a
pH 8,5.

Gli stagni facoltativi sono dimensionati per carichi organici superficiali Cs


pari a 25-70 kgBOD/haxgiorno; tali valori consentono di operare senza che si
sviluppino odori sgradevoli. Altrimenti è possibile operare anche con carichi
prossimi a 150 kgBOD/haxgiorno.
La loro profondità varia mediamente tra 0,90 e 1,50 m, con tempi di
detenzione che si aggirano in genere tra 20 e 60 giorni.
Il rendimento è elevato, potendosi raggiungere, a regime, rendimenti di
rimozione del BOD anche superiori al 90%.

7.2.3 Stagni anaerobici

Gli stagni biologici di tipo anaerobico hanno lo scopo di degradare e


stabilizzare la materia organica, piuttosto che quello di depurare il liquame; essi
possono pertanto essere paragonati a digestori monostadio, non riscaldati e
non sottoposti a miscelazione. Questa affermazione porta a definire sia le loro
caratteristiche morfologiche, che il loro campo di impiego prevalente.

Si tratta infatti di bacini aventi profondità delI'ordine di alcuni metri (e


quindi con un rapporto area/volume piuttosto basso rispetto agli altri tipi di
stagno) che vengono impiegati prevalentemente per il trattamento dì scarichi
liquidi ad elevato contenuto organico.
Il loro dimensionamento può essere eseguito fissando un carico organico
volumetrico Cv pari a 0.015-0,025 kgBOD/m3xgiorno. La profondità può variare
tra 2,50 e 4,00 m; considerando un valore medio di 3,00 m, si ricava un valore
di carico organico superficiale Cs di 450-750 kgBOD/haxgiorno (quindi molto
superiore a quello dei rimanenti tipi di stagno).
G.Viviani
pag.103

Gli stagni anaerobici possono essere utilizzati sia con funzione di


sgrossatura, a monte di una successiva fase di trattamento generalmente
aerobica, sia come unica fase di depurazione. Nel primo caso, che è il più
diffuso, i tempi di detenzione sono dell'ordine dei giorni, nel secondo dei mesi.
Uno stagno anaerobico, una volta avviato il processo biologico e in
assenza di fattori inibenti, presenta una notevole stabilità di alimentazione, che
gli consente di assorbire bene condizioni anomali di funzionamento, garantendo
rendimenti di rimozione del BOD dell'ordine del 70-80%.

Un problema molto spesso sentito nell'esercizio di stagni biologici di tipo


anaerobico è quello della produzione di odori molesti. Tale fenomeno è dovuto
allo sviluppo di fermentazioni acide, con produzione di idrogeno solforato e di
altre sostanze maleodoranti.

7.2.4 Stagni aerati

Gli stagni aerati si discostano dai tipi prima descritti, in quanto, pur
avendone le caratteristiche fondamentali, il loro funzionamento non è piú basato
su fattori naturali, ma dipende principalmente dall'apporto artificiale di ossigeno.
Si tratta di bacini di elevata profondità, fra 2 e 4 m, in cui la richiesta di
ossigeno è soddisfatta artificialmente, dato che I'azione fotosintetica algale e la
riaerazione atmosferica hanno in questo caso un peso irrilevante.
Il loro funzionamento dipende dal grado di turbolenza e di miscelazione
mantenuto nel bacino, il che consente di operare in modo simile a quello di un
processo ad ossidazione totale senza ricircolo dei fanghi, quindi a debole
concentrazione della biomassa.
L'ossigeno viene fornito preferibilmente mediante turbine, galleggianti o
fisse, che, consentono, oltre che l'aerazione del liquame, anche il suo
rimescolamento, che può essere ritenuto completo per potenze impegnate di
almeno 6 W/m3.
Il rimescolamento del refluo invasato comporta che l'effluente scaricato
sia ricco di solidi sospesi; ciò può essere accettabile, stante che tali solidi sono
costituiti da fanghi già stabili; qualora si voglia un effluente privo di sostanze
sospese, occorre prevederne la sedimentazione; ciò si può ottenere, p.e.,
costituendo un comparto finale dello stagno, separato dal resto di questa
mediante un setto superficiale; i solidi qui sedimentati dovranno essere
periodicamente rimossi.

L'impiego di questi bacini è piú diffuso nel campo dei liquami industriali,
che non di quelli domestici; esso ha dato risultati soddisfacenti, con rendimenti
di rimozione del BOD fino al 90%, tempi di detenzione inferiori a 10 giorni e
carichi organici superficiali Cs dell'ordine di 500 kgBOD/haxgiorno.

Poichè, come già detto, il funzionamento di tale tipo di stagno è


assimilabile a quello di un reattore a completa miscelazione senza ricircolo
cellulare, può applicarsi, per il suo dimensionamento la teoria di Monod; in
particolare, stante la modesta concentrazione di biomassa dovuta all'assenza di
ricircolo, si può adoperare la cinetica di primo ordine, espressa dalla (15), che
per comodità qui si riporta:
G.Viviani
pag.104

So
Se =
1 + Kt
con:
Se concentrazione di BOD nella portata uscente, in mg/l;
So concentrazione di BOD nella portata entrante, in mg/l;
K costante cinetica, in giorni-1;
t tempo di detenzione idraulica, in giorni.

La costante K dipende dalla temperatura T (in °C), secondo


l'espressione:
K = 1, 2 × 1, 085 T − 35 giorni-1
Il calcolo del sistema di aerazione può essere condotto con le stesse
modalità viste per i sistemi a fanghi attivi, calcolando il fabbisogno di ossigeno
mediante la (36).

7.3 Caratteristiche costruttive

Gli stagni biologici sono bacini aventi, a seconda del tipo, profondità
variabile tra poche decine di centimetri fino a qualche metro; la pianta è
generalmente rettangolare o quadrata ad angoli arrotondati. Possono peraltro
riscontrarsi altre forme, dovute alla convenienza di adattare la forma dello
stagno alle condizioni morfometriche del terreno. Questa possibilità di avere
bacini di forma irregolare non riduce però l'efficacia operativa dello stagno biolo-
gico.
La semplicità è una delle caratteristiche degli stagni biologici e pertanto
la loro costruzione non presenta problemi particolari, ma è in ogni caso
opportuno rispettare alcune regole, per evitare possibili inconvenienti nel corso
dell'esercizio.

La superficie laterale dello stagno deve garantire buone caratteristiche di


impermeabilità, al fine di evitare problemi di inquinamento delle falde. Pertanto,
qualora il terreno di base non sia idoneo a tale scopo, può risultare necessario
fare ricorso a tecniche di impermeabilizzazione artificiale (manti in PEAD, PVC,
etc.).
Le sponde devono avere una pendenza interna variabile tra 6:1 e 2:1
(base/altezza); valori di 1:1 sono ammessi solo nel caso di argini cementati; la
pendenza esterna si aggira intorno ad un valore di 3:1; il fatto che all'interno si
preferiscano pendenze piú dolci è giustificato dalla necessità di offrire una
maggiore resistenza all'azione erosiva delle onde. Il moto ondoso infatti, piú
sensibile negli stagni di grande superficie, è comunque già concretamente
rilevabile per superfici dell'ordine dell'ettaro e può provocare in breve tempo
difficoltà, se gli argini non sono stati realizzati correttamente.
Per quanto riguarda le dimensioni degli argini, essi debbono risultare
sopraelevati sul pelo libero di almeno 0,60 m, per stagni aventi superficie
inferiore a 0,5 ha, e di 0,90 m per stagni di superficie maggiore. E' comunque
opportuno che per stagni di grosse dimensioni si considerino altezze sul pelo li-
bero superiori al metro ed in ogni caso commisurate all'altezza presumibile delle
onde che si possono formare.
G.Viviani
pag.105

L'alimentazione degli stagni biologici avviene generalmente a gravità, se


le caratteristiche altimetriche del terreno lo permettono, o mediante l'ausilio di
pompe, aventi normalmente modeste prevalenze.
L'immissione del liquame avviene di norma lontano dagli argini e
generalmente dal centro dello stagno, qualora esso sia di piccole dimensioni
(superficie inferiore a 2 ha). Nel caso di stagni di grande superficie è
consigliabile mantenere una distanza di almeno 50 m dall'argine piú vicino e
tenersi il piú lontano possibile dalla zona di efflusso.
Prescindendo dalla dimensione dello stagno e dalla localizzazione
dell'ingresso, la tubazione di carico può essere sia orizzontale che verticale
(rivolta verso l'alto). Nel primo caso, essa deve essere sollevata di almeno 20
cm dal fondo dello stagno e sotto di essa deve essere prevista una piattaforma
di cemento per evitare erosioni del fondale; nel secondo caso, ferma restando
l'altezza sul fondale, non è però necessaria la piattaforma. Non vi sono
particolari limiti di impiego per ambedue le soluzioni; normalmente la bocca di
carico orizzontale è impiegata nel caso di flusso a gravità, mentre quella
verticale è piú usata qualora a monte sia installato un gruppo di sollevamento.

Le modalità di scarico da uno stagno biologico sono molto semplici e gli


accorgimenti da osservare pochi, ma tali da influenzare il rendimento dello
stagno.
Lo scarico infatti può avvenire in molti modi (mediante uno o piú canali a
pelo libero alimentati da stramazzi, mediante tubazioni sotto il pelo libero
interrate nell'argine, etc.), ma è fondamentale che siano previsti deflettori
immersi (analoghi ai paraschiuma delle normali vasche di sedimentazione), che
hanno la funzione di trattenere tutte le sostanze galleggianti e in particolare le
alghe in superficie.
Oltre alle opere di scarico, utilizzate per l'ordinaria derivazione
dell'effluente trattato, devono esserne previste altre in grado di consentire sia
variazioni di livello, sia lo svuotamento totale dello stagno.

Nella realizzazione di uno stagno biologico, oltre a quelli


precedentemente esposti, vanno presi in considerazione altri accorgimenti, che
per quanto marginali non sono privi di importanza.
Un primo accorgimento è quello di far sì che allo stagno non pervengano
acque, di origine meteorica, attraverso li bordo delle sponde; ciò al fine di
contenere la presenza di detriti solidi e di non modificare i tempi di permanenza
del refluo nello stagno.
E' poi opportuno che lo stagno sia munito di una recinzione continua, con
cancello di accesso e di segnali di preavviso nell'area circostante; infine essi
vanno realizzati a una distanza dalla piú vicina abitazione, che, a seconda dei
casi e del tipo di stagno, può variare da un minimo di 30 m ad un massimo di
300 m, tenendo presente che è conveniente tenere lo stagno sottovento rispetto
al piú vicino centro abitato.
Quest'ultima raccomandazione trae la sua giustificazione non solo dalla
possibilità che lo stagno produca odori molesti, ma anche da quella che esso
divenga sede di popolazioni di insetti, quali mosche, moscerini e zanzare. Tale
situazione deve essere opportunamente controllata mediante irrorazioni di
insetticidi che non inibiscano lo sviluppo biologico oppure mediante creazione di
colture ittiche di specie resistenti, quali carpe e pesci gatto, che si cibano delle
G.Viviani
pag.106

larve degli insetti. Tali allevamenti, sperimentati con successo fin dall'antichità,
sono evidentemente ristretti ai soli stagni aerobici e facoltativi.

Un ultimo accenno merita la possibilità di realizzare più stagni in serie, di


cui si è fatto cenno in premessa; in questo caso, la soluzione piú diffusa è
quella di una linea costituita da 2 o 3 stagni in serie di cui il primo è uno stagno
anaerobico sottoposto a elevato carico organico volumetrico, il secondo uno
stagno facoltativo(o un aerobico) e il terzo, eventuale, sempre aerobico.
In questo modo si possono ottenere risultati soddisfacenti con un minor
dispendio di superficie (data la presenza dello stagno anaerobico), rispetto alla
soluzione costituita da un unico stagno.
Una soluzione concettualmente simile, seppur diversa costruttivamente,
è quella di realizzare un unico stagno la cui parte iniziale sia costituita da una
serie di canali profondi funzionanti anaerobicamente, mentre la seconda è un
normale stagno facoltativo o aerobico.

Oltre alla realizzazione di più stagni in serie, è possibile fare ricorso alla
realizzazione di più vasche in parallelo; tale soluzione si presta bene ad
assorbire forti variazioni nella portata influente (p.e. nel caso di reflui di origine
anche meteorica); in questo caso può essere opportuno collegare
idraulicamente le varie vasche, al fine di aumentare la flessibilità dell'impianto e
facilitare l'eventuale ricircolo dei reflui, che può rivelarsi utile se si effettua tra
stagni diversi, per sopperire a condizioni sfavorevoli, quali carenza di nutrienti e
di alghe, concentrazioni di ossigeno e pH troppo elevati o troppo bassi.

7.4 Produzione dei fanghi

La produzione dei fanghi è dovuta a diversi fattori: la sedimentazione dei


solidi sospesi contenuti nel refluo grezzo e quello dei fiocchi che si producono in
vasca. Alla formazione di questi ultimi contribuisce la bioflocculazione, dovuta
all'inglobamento di solidi organici all'interno dei fiocchi batterici.
I fenomeni di sedimentazione sono agevolati dai lunghi tempi di
detenzione idraulica e dall'assenza di turbolenza, che non si verifica però negli
stagni aerati.
I lunghi tempi di detenzione in gioco negli stagni biologici comportano la
completa stabilizzazione del fango, che non necessita quindi un successivo
trattamento. E' tuttavia opportuno, anche se con frequenza molto bassa (anche
5-10 anni), procedere all'asportazione del fango accumulato sul fondo, che,
seppure già mineralizzato, determina una riduzione del volume utile dello
stagno.

7.5 Rendimenti di depurazione e trattamento degli effluenti finali

Si è prima accennato ai rendimenti di depurazione che i vari tipi di stagni


possono garantire: per il BOD (in forma disciolta), i valori più elevati (superiori al
90%) si ottengono coi sistemi aerobici, aerati e anche facoltativi; rendimenti
minori (mediamente pari al 70%) si hanno con gli stagni anaerobici.
Altrettanto non può dirsi per il BOD in forma sospesa, il cui valore, negli
effluenti da uno stagno, può rimanere elevato per via dl contributo che alla
richiesta di ossigeno può essere data dalla sostanza organica di natura algale,
G.Viviani
pag.107

di cui tale effluente è ricco; ciò peraltro comporta in genere un elevato valore
dei solidi sospesi nello stesso effluente, anche più elevato di quello nel refluo
influente. Tenendo quindi conto della componente sospesa, in genere non è
possibile ottenere rendimenti superiori al 50%, per il BOD, e al 70%, per i solidi.
Fanno eccezione gli stagni anaerobici, in cui lo sviluppo della biomassa algale è
contenuto.
Rendimenti sempre elevati (anche del 99%) si ricavano, per tutti i tipi di
stagno, per la rimozione dei batteri patogeni, uova di elminti, virus, dovuta
all'azione combinata dei raggi UV, dei fagotrofi predatoti, della sedimentazione,
etc.; ciò evidenzia l'idoneità di tale intervento per l'affinamento dei reflui già
trattati.

Un netto miglioramento delle caratteristiche dei reflui effluenti dagli stagni


si può avere sottoponendo questo a un trattamento atto a rimuovere i solidi
sospesi, di natura principalmente algale, in questi contenuti; gli interventi
possibili sono molteplici: sedimentazione, filtrazione, chiariflocculazone,
microstacciatura; tali interventi consentono di sfruttare al meglio l'azione degli
stagni; infatti l'azione depuratrice in questi esplicata, nei confronti del BOD
disciolto, dei nutrienti, dei microrganismi, viene opportunamente completata con
la rimozione della componente sospesa, di natura principalmente algale, che,
per via della natura essenzialmente colloidale, rimane in sospensione anche
negli stagni privi di turbolenza (stagni aerobici e facoltativi).
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8. LETTI PERCOLATORI

Come accennato in precedenza, i letti percolatori costituiscono il


trattamento più diffuso, nell'ambito dei sistemi di depurazione a biomassa
adesa.
Tale tipo di intervento, seppure meno adoperato rispetto a quelli a
biomassa sospesa (in particolare i fanghi attivi), ha egualmente numerosi
esempi di applicazione in campo urbano e industriale, specialmente nell'ambito
degli impianti di ridotta o media potenzialità.
Infatti, come si dirà in seguito, la semplicità e la regolarità di
funzionamento, le limitate necessità di manutenzione e sorveglianza e i
modesti consumi ne consigliano l'uso per tali potenzialità, anche se non
mancano, soprattutto all'estero, esempi di realizzazioni pure per potenzialità
medio-grandi.
In particolare, la diffusione dei letti percolatori è tuttora consistente in
U.S.A., Repubblica Federale Tedesca e, soprattutto, Regno Unito. In Italia,
l'interesse per i letti percolatori rimane ancora complessivamente limitato, fatto
questo non sempre ben giustificabile dal punto di vista tecnico.

Come è noto, il processo a letti percolatori opera la depurazione


biologica per il tramite di colonie batteriche che si sviluppano, in ambiente
aerobico, su appositi materiali di supporto inerti, interessati da un ruscellamento
di liquame (quasi sempre già chiarificato in sedimentazione primaria) avente
caratteristiche tali da non provocare la sommersione (ponding) del supporto
stesso e, quindi, della biomassa. Essa rimane pertanto nel reattore biologico
finchè fenomeni connessi al metabolismo batterico o alle caratteristiche
idrauliche di alimentazione non ne provocano il distacco dal supporto.
La biomassa attiva si presenta sotto forma di pellicola biologica di
considerevole spessore (fino a 3-4 mm in taluni casi) e questo fatto condiziona
in modo rilevante la velocità di trasformazione della sostanza organica. Infatti la
pellicola viene attraversata (penetrazione), dall'esterno verso l'interno, dai
composti in forma solubile costituenti il substrato e dall'ossigeno, e, in senso
inverso, dai cataboliti prodotti dalle reazioni biologiche (Fig.42). Ne consegue
che la velocità di reazione globale (cioè riferita all'intera biomassa distribuita
lungo lo spessore della pellicola) può essere diversa da quella puntuale
all'interno della pellicola, ciò a causa di effetti limitanti sia fisici che biologici
dovuti alla penetrazione della pellicola stessa.
Tale situazione rende difficile la modellizzazione del processo e
soprattutto la pratica utilizzazione dei modelli già proposti (basati sulle cinetiche
di Monod e Michaelis-Menten). Tutto ciò ha fatto sì che i criteri di
dimensionamento siano a tutt'oggi di natura empirica, stante la difficoltà di
ricorrere a criteri razionali, che si è visto invece essere applicabili ai sistemi a
biomassa sospesa.

8.1 Tipologie impiantistiche

Un letto percolatore è costituito da una vasca, di solito di forma cilindrica,


riempita di materiale, di natura inerte o sintetica, che costituisce il supporto per
la pellicola biologica (Figg. 43 e 44).
G.Viviani
pag.109

La vasca è in genere realizzata in calcestruzzo armato ed è priva di


copertura.

La soluzione più tradizionale è costituita dai letti percolatori a debole


carico; essi sono realizzati in genere con riempimento in pietrisco e sono in
grado di fornire un effluente di buona qualità con un solo passaggio del liquame
chiarificato e di produrre basse quantità di fanghi complessivamente stabili.
Lo schema di impianto (Fig.45a) prevede in questo caso l'inserimento del
letto a valle del sedimentatore primario, necessario per evitarne l'occlusione, e
a monte del sedimentatore finale, in cui si separano l'effluente chiarificato dalle
pellicole biologiche.

Una soluzione alternativa è quella costituita dai letti percolatori intensivi


(o con ricircolo); in questo caso, per incrementare il carico organico alimentato,
per unità di volume del letto, senza ridurre il rendimento di depurazione, si
ricorre al ricircolo del liquame già parzialmente depurato biologicamente, che
viene miscelato con il liquame in arrivo al percolatore.
Lo schema di impianto che ne consegue (Fig.45b) prevede quindi anche
in questo caso l'interposizione del letto fra il sedimentatore primario e quello
finale; a ciò si aggiunge il circuito ricircolo del chiarificato in testa al letto
percolatore. Si sottolinea la differenza tra il ricircolo qui eseguito (di refluo
chiarificato) e quello di un sistema a fanghi attivi (di fango sedimentato).

In Fig.46 sono riportati due schemi di funzionamento rispettivamente a


debole carico e con ricircolo; è interessante osservare che nel primo caso
l'impianto non necessita di sollevamenti, grazie all'andamento favorevole del
terreno.

Le prestazioni di un impianto a letti percolatori sono complessivamente


paragonabili a quelle degli altri sistemi biologici di depurazione (evidentemente
in funzione dei carichi volumetrici applicati) e sono ottenute con minor dispendio
di energia rispetto al processo a fanghi attivi, nonostante i maggiori oneri di
sollevamento che si presentano operando su terreni pianeggianti o quando è
previsto il ricircolo.

8.2 Caratteristiche costruttive

Gli aspetti costruttivi di maggiore importanza di un letto percolatore sono:


il sistema di alimentazione e distribuzione del liquame, il sistema di drenaggio e
quello di ventilazione, i materiali di riempimento; importanza minore ha il
contenimento laterale, stante che si riscontrano realizzazioni che ne sono
praticamente prive.

8.2.1 Sistemi di alimentazione e distribuzione del liquame

La distribuzione del liquame viene di norma ottenuta con l'ausilio di un


sistema a bracci (due o, più raramente, quattro), rotanti per reazione idraulica
(Figg. 43 e 44); ciò giustifica l'opportunità di realizzare strutture a pianta
circolare, anche se non mancano esempi di realizzazioni a pianta quadrata.
G.Viviani
pag.110

La rotazione dei bracci è però garantita solo per portate non inferiori al
20-30% di quella media giornaliera, ciò al fine di superare l'attrito degli organi di
rotazione; per ovviare che nelle ore notturne e in tempo secco la rotazione si
fermi, con una possibile sommersione di alcune zone del letto e il
danneggiamento della pellicola biologica nelle zone non irrigate, si devono
prevedere funzionamenti intermittenti regolati da una stazione di sollevamento
o, più spesso, dall'interposizione, tra sedimentatore primario e percolatore, di un
pozzetto di carico, con sifone di cacciata, in grado di fornire per alcuni minuti
ogni mezz'ora una portata superiore alla portata minima di rotazione; altra
soluzione possibile, anche se poco usata, è quella di munire il sistema di
distribuzione di un motore di trascinamento.
Nei letti percolatori ad alto carico, dotati di ricircolo, tale problema
evidentemente non si pone.

Per ottenere una ripartizione quanto più possibile uniforme del liquame, i
bracci di distribuzione sono dotati di luci opportunamente spaziate tra di loro e
spesso munite di piattelli distributori. Le luci devono avere dimensioni tali da
evitare il pericolo di intasamento (di solito si fanno non inferiori al cm); in più, i
bracci devono essere dotati di una luce terminale cieca rimovibile, da utilizzare
per le operazioni di pulizia.

In alternativa ai sistemi di distribuzione rotanti, può farsi ricorso a sistemi


fissi, utilizzabili nel caso degli impianti di piccole dimensioni a riempimento
sintetico (Fig.47).

8.2.2 Sistemi di drenaggio e aerazione

La parte inferiore della struttura del letto deve essere in grado di


garantire:
- il sostegno del materiale di riempimento;
- l'uniforme raccolta del liquame ossidato per evitare parzializzazioni degli strati
profondi del letto;
- il ricambio dell'aria all'interno del letto.

Vengono a tale scopo comunemente utilizzati appositi elementi forati o a


giunti aperti (Fig.48), aventi complessivamente un'area libera superiore al 15%
della superficie del percolatore, ancorati alla struttura di supporto; attraverso
questi il liquame ossidato e le pellicole di spoglio cadono nelle canalette di
raccolta, aventi pendenza pari all'1-2%, che coprono l'intera platea di base e
vengono convogliate al canale di allontanamento (Fig.44); quest'ultimo ha
solitamente giacitura diametrale, mentre non sono opportune soluzioni che
prevedono una canaletta perimetrale, che potrebbe essere sede di deposito di
solidi. Nelle canalette di raccolta, in corrispondenza della sezione di testa,
prossima al perimetro esterno del letto, sono praticati le luci di aerazione del
letto, che consentono, oltre che la sua ventilazione, anche la possibilità di
eseguire interventi di pulizia delle canalette (Fig.44).
Le luci devono essere poste a un livello superiore a quello massimo
raggiungibile dal liquame (di solito pari al 50% dell'altezza massima, nei letti a
debole carico, a 2/3, in quelli intensivi).
G.Viviani
pag.111

L'aerazione del letto è governata dalla differenza tra la temperatura


esterna e quella interna, molto prossima a quella del liquame. D'inverno, la
temperatura interna è superiore a quella esterna, per cui si genera un flusso
ascensionale (infatti l'aria calda interna, più leggera, tende a risalire e a
richiamare aria fredda dall'esterna); viceversa, d'estate si forma un flusso
discendente, per via dell'aria interna più fresca, che tende a discendere e a
richiamare dall'alto l'aria calda esterna.
I sistemi di ventilazione artificiale non sono di norma necessari dal punto
di vista funzionale (già una differenza di temperatura di 2 °C consente un
abbondante rifornimento di ossigeno), tranne che nei casi in cui, per motivi
ambientali (temperature invernali molto rigide) o estetici, venga realizzata una
copertura del letto.

8.2.3 Contenimento laterale

Come si è detto, il tamponamento perimetrale non è sempre richiesto,


anche se tale soluzione non è comune e impone in ogni caso un maggior
diametro del letto rispetto al sistema di distribuzione, per evitare il
ruscellamento esterno del liquame.
Di norma la struttura perimetrale viene realizzata con materiali lapidei o
in getto (fanno eccezione i tamponamenti leggeri dei riempimenti sintetici,
peraltro sempre necessari) con un'altezza tale da proteggere dall'azione del
vento i bracci distributori; per consentire la loro pulizia dovranno essere quindi
previste apposite feritoie perimetrali.

8.2.4 Materiali di riempimento

Come si è in precedenza accennato, i materiali di riempimento utilizzabili


come supporto per la pellicola biologica possono essere di origine sia naturale
che artificiale; mentre i primi vengono impiegati alla rinfusa, per i secondi è
spesso comune l'uso di strutture preformate.

I materiali naturali sono i supporti tradizionalmente usati, di origine


prevalentemente naturale: pietrisco di frantumazione e ghiaie, anche se sono
stati utilizzati materiali quali il coke e certe scorie metallurgiche (Fig.49a).
Le caratteristiche principali a cui devono rispondere questi materiali
sono: la pezzatura, da cui dipendono la superficie specifica As (cioè la
superficie per unità di volume) e il grado di vuoto Gv (cioè il rapporto tra volume
dei vuoti e volume totale), la forma, il tipo di superficie, il grado di impurezze, le
caratteristiche meccaniche e l'inerzia chimica e biologica.

a) Pezzatura
Il materiale prescelto dovrebbe consentire il massimo attecchimento
della pellicola biologica (quindi anche l'impiego di elevati carichi volumetrici) e
contemporaneamente garantire un elevato flusso d'aria e la sicurezza del non
verificarsi di intasamenti; in più la pezzatura dovrebbe essere rigorosamente
omogenea per consentire l'uniforme distribuzione del liquame. Tutte queste
esigenze possono essere difficilmente soddisfatte da parte dei materiali di
riempimento tradizionali, fatta forse eccezione per l'uniformità. Infatti se da un
lato converrebbe ridurre la pezzatura per incrementare la superficie specifica
G.Viviani
pag.112

As, dall'altro la corrispondente riduzione del grado di vuoto Gv porterebbe a


ridurre l'apporto di aria e favorirebbe gli intasamenti del letto.
Viene comunemente accettata perciò una soluzione di compromesso che
prevede l'impiego di dimensioni nominali dell'ordine di 50÷60 mm (da
aumentare a 80÷100 mm per lo strato di fondo ed eventualmente per quello
superficiale).

b) Forma e superficie
La forma ideale è chiaramente quella sferica con superfici lievemente
scabre; sono pertanto da scartare i materiali troppo piatti o allungati che, oltre a
diminuire la superficie specifica, possono impilarsi in modo da parzializzare i
flussi, favorendo gli intasamenti.

c) Grado di impurezze
Il materiale deve essere quanto più possibile libero da impurezze
superficiali (sabbia, argilla, terricci, etc.) che potrebbero provocare problemi di
esercizio; particolare attenzione va data, nei materiali da frantumazione, ai
piccoli detriti tuttora aderenti al materiale e in generale alla pulizia dei mezzi
impiegati per il trasporto.

d) Caratteristiche meccaniche e inerzia chimica e biologica


Il materiale di supporto deve essere in grado di resistere alle
sollecitazioni meccaniche durante il riempimento e l'esercizio e soprattutto non
deve essere attaccato dall'azione combinata del liquame e delle colonie
batteriche; sono pertanto da scartare, ad esempio, i materiali di riempimento
calcarei, scarsamente resistenti in ambienti ricchi di CO2, mentre sono idonei i
pietrischi di materiali vulcanici. La resistenza del materiale a tutte queste
sollecitazioni può essere verificata con una prova ciclica di durabilità, da
effettuarsi in laboratorio su un campione rappresentativo.

I materiali sintetici, come si è già accennato, sono costituiti da diversi


prodotti di polimerizzazione; essi sono realizzati sia per un impiego alla rinfusa
che in strutture organizzate (Fig.49). Le caratteristiche comuni a tali prodotti
sono:
- la superficie specifica spesso più elevata di quella dei supporti tradizionali e il
grado di vuoto sempre molto elevato;
- una notevole leggerezza associata ad una buona resistenza meccanica;
- un'inerzia chimica e biologica sicuramente molto elevate;
- caratteristiche dimensionali costanti.

In Tab.8 sono riportati i dati più caratteristici (peso specifico relativo al


materiale pulito in opera, superficie specifica media e grado di vuoto) di alcuni
materiali di riempimento sintetici; a titolo di paragone sono riportati anche due
materiali naturali.

Il basso peso specifico dei materiali sintetici consente di non superare,


anche ad impianto operante, solitamente un peso specifico di circa 300 kg/m3;
ciò consente di realizzare, facendo ricorso ai materiali a struttura organizzata
autoportante, altezze del letto dell'ordine di 6-7 m, senza dover ricorrere a
supporti di rinforzo intermedio.
G.Viviani
pag.113

Un altro vantaggio connesso con la leggerezza del materiale riguarda le


strutture di supporto e di contenimento laterale, che possono essere molto
leggere; non va però dimenticato che, se da questo punto di vista è possibile
realizzare non trascurabili risparmi sulle spese di impianto, il costo dei materiali
sintetici di riempimento è tuttora piuttosto elevato rispetto a quello dei materiali
naturali.
Va inoltre considerata la possibilità, connessa agli alti gradi di vuoto
disponibili, di ridurre le dimensioni della vasca di sedimentazione primaria, se
non addirittura di sostituirla con una stacciatura (con passanti di 0,75-3 mm).
Un'ultima osservazione deve essere fatta a proposito dell'influenza del
riempimento sulle temperature di esercizio: da questo punto di vista le torri di
percolazione ad alto grado di vuoto sembrano presentare una maggiore
dispersione termica in condizioni di funzionamento invernale, con una certa
influenza sulla velocità di processo.

8.3 Criteri di dimensionamento

Come si è detto in premessa, l'approccio razionale di tipo cinetico, se da


un lato consente una migliore comprensione dei meccanismi di processo,
dall'altro non è ancora elaborato al punto da permettere un dimensionamento
diretto, sufficientemente semplice ed affidabile.
Per tale motivo i criteri di progetto fanno tuttora riferimento a formulazioni
di tipo empirico, derivate da ampie elaborazioni statistiche condotte su impianti
esistenti. Tali formulazioni generalmente conducono alla determinazione del
carico organico specifico da applicare al letto; in particolare, può farsi
distinzione tra:
a) carico idraulico superficiale:
Q
Ci = m3 / m2 × giorno
S
b) carico organico volumetrico:
QSo
Cv = kgBOD / m3 × giorno
V
con:
Ci carico idraulico superficiale
Cv carico organico volumetrico
Q portata del refluo influente, in m3/giorno
So concentrazione di BOD nel refluo influente, in kg/m3
S superficie orizzontale del letto, in m2
V volume del letto, in m3

La procedura generalmente seguita consiste nel determinare il valore di


Cv, necessario per garantire un voluto rendimento di depurazione biologico ηb;
quindi, una volta noto il volume del letto V, si ricava la superficie S di questo,
fissando il carico idraulico superficiale Ci.

8.3.1 Letti percolatori a debole carico

Le espressioni utilizzate più di frequente sono quella del National


Research Council (NRC), impiegata comunemente in USA, e quella di
Schreiber, utilizzata in Europa.
G.Viviani
pag.114

a) Formula NRC:
100
ηb =
1 + k' C v
Tale espressione, in cui k'=0,443, fornisce in genere valori decisamente
prudenziali, soprattutto se il liquame ha temperatura elevata.

b) Formula di Schreiber:
ηb = 0,93 - k'' Cv

Essa è stata ricavata rielaborando i dati di altre formule, tra cui quella
dell'NRC; ponendo k''=0,17, essa conduce a un dimensionamento valido nel
caso di elevata temperatura di esercizio, mentre porta ad un certo
sottodimensionamento se T < 10 °C; in tal caso è opportuno aumentare il
valore di k'' fino a 0,25-0,35, al fine di ottenere un buon rendimento di
depurazione, anche in condizioni sfavorevoli.

Una volta calcolato il volume, si deve verificare la capacità del flusso di


allontanare le pellicole che si distaccano periodicamente dal supporto; tale
risultato viene normalmente ottenuto per Ci = 2÷5 m3/m2xgiorno (il valore più
elevato si riferisce al caso di fognature miste). Fissato il carico idraulico il letto,
si può ricavare la superficie del letto e quindi, noto il volume, la conseguente
altezza; quest'ultima risulta solitamente compresa tra 1,8 e 3 m.

Come si potrà in ogni caso rilevare, per ottenere rendimenti elevati (ηb >
80%) anche in condizioni invernali, occorre applicare carichi organici volumetrici
inferiori (Cv < 0,35 kg BOD5/m3xgiorno) a quelli di un impianto a fanghi attivi a
medio carico, ma confrontabili con quelli di un impianto ad aerazione
prolungata.
La produzione di fanghi è decisamente inferiore, rispetto ai fanghi attivi,
sia in peso che in volume; inoltre essi sono alquanto stabilizzati, non
richiedendosi digestione dei fanghi secondari per Cv < 0,1 kg BOD5/m3xgiorno.

8.3.2 Letti percolatori intensivi

In questo caso, tipico dei letti percolatori a riempimento sintetico, il


ricircolo del liquame già parzialmente depurato biologicamente, miscelato con il
liquame in arrivo al percolatore, determina l'incremento del carico organico
volumetrico; ciò porta a un maggiore sviluppo della pellicola biologica, che deve
perciò essere rimossa più frequentemente, al fine di non provocare fenomeni di
intasamento degli strati inferiori del letto.
Ne consegue la necessità di applicare carichi idraulici superficiali
nettamente più elevati (Ci = 15-35 m3/m2xgiorno in tempo secco); la
produzione di fanghi aumenta e così pure la loro putrescibilità (si richiede
pertanto un processo di stabilizzazione).
Il rapporto di ricircolo r è così definito:
Q
r= r
Q
con:
Qr portata dell'effluente chiarificato ricircolata dal sedimentatore secondario
Q portata dell'influente da sottoporre a trattamento
G.Viviani
pag.115

Si definisce numero di passaggi R la quantità:

R = 1+ r

in pratica esso rappresenta il numero di volte in cui la portata attraversa il letto


percolatore.
Occorre allora tener conto del fatto che, all'aumentare di R, diminuisce la
capacità di biodegradazione del substrato, in quanto, dopo ogni passaggio, nel
refluo sarà presente la frazione di substrato meno biodegradabile. Di ciò si può
tenere conto mediante il numero di passaggi efficace F, definito come quel
numero di passaggi fittizio che determina lo stesso rendimento complessivo di
quello ottenuto in realtà, ma con un rendimento per singolo passaggio costante
e pari a quello del primo passaggio (ovviamente uguale al rendimento che
avrebbe lo stesso letto qualora non avesse ricircolo); il valore di F è stato
ricavato sperimentalmente dal NRC ed è ricavabile con la seguente relazione:

1+ r
F=
(1 + 0,1 × r)2

L'esame di tale espressione evidenzia che F raggiunge un massimo di


circa 2,5 , per valori di R compresi tra 6 e 8; in pratica però non si superano
valori di R di 2-3, al fine di evitare eccessive dimensioni del sedimentatore finale
e dell'impianto di sollevamento intermedio.
Infine, il rendimento globale del letto percolatore ηb è legato a quello ηb,
relativo ad un solo passaggio sul letto dalla relazione:

ηb = 1 − (1 − ηb )F

il dimensionamento del letto procede quindi nel seguente modo:


a) si fissa il rendimento globale ηb , in funzione delle concentrazioni di BOD
nella portata influente e di quella che si vuole garantire per l'effluente;
b) per fissato valore di F, si ricava ηb;
c) si determina, in funzione di ηb, il valore di Cv, adoperando una delle
espressioni prima richiamate; in tal modo si determina il volume del letto; la
superficie si ricava, fissando il carico idraulico.

8.4 Aspetti gestionali

Un impianto a letti percolatori è complessivamente più semplice di uno a


fanghi attivi, in particolare per i sistemi senza ricircolo. Ne consegue che il loro
esercizio è pure molto semplificato, sia per quanto riguarda la manutenzione
ordinaria, sia per i problemi di regolazione e controllo.

Uno dei possibili problemi che possono presentarsi durante l'esercizio di


un impianto a letti percolatori è costituito dalla sommersione (anche parziale)
del letto, dovuta a un cattivo riempimento (pezzatura troppo piccola), o alla
inefficienza (o persino assenza) della sedimentazione primaria, o ancora a un
G.Viviani
pag.116

enorme spoglio della pellicola (p.e. dovuta a fenomeni di tossicità acuta), o


infine al sovraccarico del letto.
I rimedi in tali casi possibili vanno dall'impiego di getti d'acqua sotto forte
pressione, all'esclusione del letto per almeno un giorno per consentirne il
drenaggio, all'uso di massicce dosi di cloro; talora, purtroppo, gli interventi non
sono risolutivi ed è necessario sostituire il riempimento.
I fenomeni di intasamento sono talvolta da imputare, soprattutto nelle
regioni a clima caldo, a sviluppi eccessivi di macrofauna parassita (insetti,
lumache, etc.); in tal caso le soluzioni sono di ricorrere ad elevati tassi di
ricircolazione, alternati con dosaggi di cloro molto forti (oltre 10 mg/l) per alcune
ore.

Altro inconveniente può essere dato dalla presenza di moscerini: tale


inconveniente, prevalentemente estivo, è dovuto allo sviluppo di Psychoda,
favorito da ambienti ad umidità variabile; questi insetti, anche se dotati di un
raggio d'azione limitato, possono causare un certo fastidio. I rimedi più
comunemente applicati utilizzano periodici incrementi del flusso per mantenere
più umido l'ambiente. Nei casi più ostinati si ricorre a dosaggi di cloro ogni 10
giorni circa; tale prassi deve essere attentamente seguita, per evitare di
danneggiare il processo biologico. Attenzione ancora maggiore è richiesta, per il
rischio di danneggiare anche l'effluente, qualora si decida di far ricorso ad
insetticidi.

La produzione di cattivi odori, normalmente impedito da un corretto


sviluppo del processo in campo aerobico, può essere determinato da accumuli
di biomassa; in tal caso, è necessario intervenire operando un'ispezione
straordinaria di tutte le parti del percolatore, seguita da periodici incrementi del
carico idraulico (per ricircolazione) ed eventualmente da clorazione. In alcuni
casi particolari, ad esempio quando l'impianto è inserito all'interno del tessuto
urbano, può essere richiesta, come misura di sicurezza preventiva, la copertura
dei letti, che dovrà essere munita di un sistema artificiale di ventilazione con
deodorizzazione degli effluenti gassosi.

Nel periodo invernale, le basse temperature, oltre a ridurre l'efficienza del


processo, possono provocare gravi problemi di esercizio, connessi alla
formazione di ghiaccio sulla superficie del letto, nei bracci di distribuzione e
nelle vasche di carico. In questi casi conviene ridurre il tasso di ricircolo (il
liquame ricircolato è più freddo), sistemare schermi provvisori antivento e
rimuovere con frequenza le formazioni di ghiaccio.
G.Viviani
pag.117

ESEMPIO N.15
Problema:

Calcolare il rendimento di depurazione di un letto percolatore con ricircolo. Si assumano le


seguenti caratteristiche dimensionali e di alimentazione del l.p.:
- carico organico alimentato Bb=1.200 kgBOD/g
- volume del l.p. V=1.500 m3
- rapporto di ricircolo r=1,5
- F=0,12

Svolgimento:

Il numero di passaggi R è pari a:

R = 1 + r = 2,5
Il numero di passaggi efficace F risulta invece:

1+ r 1 + 1,5
F= = = 1,89
(1 + 0,1× r) 2
(1 + 0,1× 1,5)2

Il carico volumetrico di alimentazione del l.p. è pari a:

Bb 1.200 kgBOD
CV = = = 0,8
V 1.500 m3 g

quindi il rendimento calcolato per 1 passaggio è pari a:

ηb = 0,93 − KC V = 0,93 - 0,28x0,8 = 0,71

il rendimento con R passaggi (F efficaci) è invece pari a:

ηb = 1 − (1 − ηb )F = 1 − (1 − 0,706 ) = 0,90
1,89

Quindi mediante il ricircolo si ottiene l’aumento del rendimento di rimozione del l.p. dal 71 % al
90 %.
G.Viviani
pag.118

Fig.42 - Meccanismi di formazione e distacco della pellicola biologica in un


processo a biomassa adesa (a) e schema dei meccanismi di diffusione nel
film liquido a contatto col materiale di supporto (b)

Fig.43 - Vista assonometrica di un letto percolatore, con sistema di distribuzione a


due bracci (catalogo Dorr-Oliver)
G.Viviani
pag.119

Fig.44 - Pianta e sezione diametrale di un letto percolatore. 1/2: sifone di cacciata;


3: braccio di distribuzione; 4/5: materiale di riempimento; 6: elementi di
fondo; 7:canale centrale di raccolta; 8:canalette laterali di raccolta; 9:
tenditore di registrazione; 10: luci di aerazione (da catalogo Passavant)
G.Viviani
pag.120

Fig.45 - Schemi di impianto con letto percolatore: (a) a basso carico; (b) con
ricircolo dell'effluente chiarificato

Fig.46 - Schemi di installazione di letti percolatori: (a) senza ricircolo; (b) con
ricircolo (da catalogo Passavant)
G.Viviani
pag.121

Fig.47 - Letto percolatore a riempimento sintetico con ricircolo

Fig.48 - Elementi prefabbricati utilizzati per il sistema di drenaggio dei letti


percolatori
G.Viviani
pag.122

Fig.49 - Esempi di materiali utilizzati per il riempimento dei letti percolatori; (a)
inerti; (b) (c) (d) (e) materiali sintetici strutturati )pacchi lamellari); (f)
materiali sintetici alla rinfusa

Fig.50 - Principali caratteristiche dei materiali, naturali e sintetici, utilizzati per il


riempimento dei letti percolatori
G.Viviani
pag.123

9. DISCHI BIOLOGICI

Con tale termine vengono compresi alcuni interventi a biomassa adesa,


in cui questa si forma su di un supporto rotante, che ciclicamente si trova
immerso nel refluo (quindi a contatto con la biomassa), o emerso da questo
(quindi a contatto con l'atmosfera); in pratica, in tal modo la pellicola biologica è
alternativamente interessata dalla diffusione del substrato e da quella
dell'ossigeno (Fig,50).
In effetti tutto ciò può essere realizzato, oltre che con supporti a forma di
dischi (biodischi o dischi biologici propriamente detti), anche con qualunque
altro corpo solido rotante, di forma cilindrica ad asse orizzontale (biorulli),
caratterizzato dall'andamento ciclico prima descritto.
A tale scopo, tutti questi essi sono ormai più correttamente indicati come
RBC (Rotating Biological Contactors).

9.1 Caratteristiche costruttive

Come si è già accennato gli RBC sono costituiti da moduli a dischi o a


struttura preformata in materiale sintetico (PS, PEAD, PP PVC, ecc.), rotanti a
bassa velocità (n = 1÷2 giri/minuto) parzialmente immersi nel liquame; il grado
di immersione può variare tra il 40% dei sistemi propriamente a dischi ed il 60%
dei sistemi a bobina canalizzata (Fig.51).
I diametri di più comune impiego vanno da 2 a 3,5 m. Lo spessore della
biomassa non supera solitamente i 3 mm, con velocità periferiche di rotazione
di circa 0,3 m/s; ciò che porta ad avere presente in vasca una concentrazione di
biomassa che può raggiungere, nei sistemi ad elevata superficie specifica, 50
gSS/l.
Lo schema realizzativo prevalente è quello pluristadio, di norma a 2 o 4
stadi, con alimentazione sia perpendicolare che parallela all'asse di rotazione;
la prima soluzione è preferita nei sistemi più propriamente a dischi, mentre la
seconda è richiesta da quelli a struttura canalizzata longitudinale.
Per quanto concerne i materiali di supporto, le tendenze attuali sono di
fare sempre più riferimento a quelli ad alta resistenza, per ridurre l'ingombro del
supporto e massimizzare la superficie utile di attecchimento; per lo stesso
motivo si va incrementando la diffusione delle strutture preformate (tra l'altro di
più economica realizzazione), che presentano, nei confronti dei dischi veri e
propri, superfici specifiche anche doppie. Sempre meno diffuso è il ricorso ai
dischi in polistirolo, anche per le intrinseche caratteristiche di fragilità del
supporto.
Il sistema di trascinamento consueto dei rulli è quello con la trazione
diretta da motore elettrico tramite motoriduttore, anche se sono prodotti alcuni
particolari tipi di dischi a trazione pneumatica, che utilizzano cioè getti di aria
compressa per far ruotare il rullo, con l'ausilio di appositi deflettori perimetrali;
questo sistema, che ha il vantaggio di fornire un surplus di aria al liquame,
consentendo anche lo sviluppo di una frazione sospesa di biomassa, si è
rilevato complessivamente meno regolare di quello tradizionale e alquanto più
complesso. E' in ogni caso conveniente che ogni rullo sia dotato di un sistema
di rotazione di emergenza, anche manuale, per far fronte a possibili interruzioni
sulla rete elettrica, che provocherebbero danni rilevanti alla biomassa, sia
emersa, che immersa.
G.Viviani
pag.124

Una delle caratteristiche tipiche degli impianti RBC è quella di richiedere


la copertura dei rulli, allo scopo di ridurre gli effetti negativi del funzionamento
invernale, di eliminare la possibilità di dilavamento della pellicola in caso di forti
precipitazioni e di limitare la crescita algale. Vengono realizzate sia coperture
singole, in materiale sintetico o metalliche, che coperture globali dell'insieme dei
rulli; la prima soluzione è sicuramente più economica, non richiedendo sistemi
di ricambio artificiale dell'aria per evitare i problemi connessi alla presenza di
una eccessiva umidità, ma comporta maggiori difficoltà di manutenzione del
rullo.
Per quanto concerne l'allocazione dei rulli all'interno delle vasche, alcuni
aspetti hanno perso importanza rispetto al passato; non viene infatti più
richiesta la separazione tra i diversi stadi in serie e i rulli sono semplicemente
installati in vasche a sviluppo longitudinale.
A monte degli RBC occorre prevedere una sedimentazione di
sgrossatura, che può essere sostituita con una grigliatura molto spinta o una
stacciatura.
La produzione di fanghi è complessivamente limitata (circa 0,6
l/abxgiorno) e ciò ha portato a prendere recentemente in considerazione,
soprattutto per impianti piccoli e medi, la sostituzione della sedimentazione
finale con sistemi di rotostacciatura fine.

A parità di rendimento, l'uso degli RBC richiede un impegno di superficie


inferiore a quello degli altri metodi biologici, sia per quanto concerne la sola fase
biologica (circa il 10% in meno rispetto agli impianti a fanghi attivi), che
soprattutto per l'intero impianto, specie ove si utilizzi la rotostacciatura in luogo
della sedimentazione finale.
Un ulteriore aspetto da considerare è quello della modularità del sistema,
che consente al progettista una certa libertà nell'impostazione del layout di
impianto e nel suo potenziamento nel tempo.

9.2 Criteri di dimensionamento

Come si è già avuto modo di accennare, i criteri comunemente adottati


nella pratica per il dimensionamento degli RBC fanno tuttora riferimento a
formulazioni di carattere empirico.
Esse legano comunemente il carico organico superficiale Cs al
rendimento depurativo richiesto, consentendo di ricavare da questo la superficie
A del supporto.
Normalmente sono disponibili rappresentazioni grafiche del legame fra il
rendimento ηb e il carico organico superficiale Cs, valide per una data
configurazione degli RBC (biodischi, biorulli, più elementi in serie o in parallelo)
e per fissata concentrazione dei reflui trattati.
In prima approssimazione, si può affermare che sono necessari circa 2
m2 per abitante servito, al fine di ottenere un rendimento di circa il 90%.

Nel dimensionamento occorre tenere in conto l'influenza che sul


processo hanno la temperatura di esercizio, il numero di stadi e le punte di
carico organico.
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9.3 Campi di applicazione ed aspetti operativi

Come è noto, il campo di applicazione giudicato ottimale per gli RBC è


quello degli impianti piccoli e medi, anche se esistono impianti di notevoli
dimensioni, sia in Italia che all'estero.

Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente operativi possono


essere fatte le seguenti considerazioni:
- gli oneri di manutenzione sono molto ridotti, richiedendo una limitata presenza
di personale; ciò è possibile poichè, analogamente a quanto avviene per i letti
percolatori, non si hanno problemi di ricircolo dei fanghi, fenomeni di bulking,
schiume, etc.;
- il rendimento depurativo subisce una riduzione, se la concentrazione di solidi
sospesi è rilevante; di ciò bisogna tener conto soprattutto in presenza di apporti
industriali;
- occorre essere sicuri della durata dei materiali di supporto, specie per via della
commercializzazione di numerose nuove soluzioni (tanto per i materiali, quanto
per le tipologie di impianto), su cui non è stata ancora raggiunta una sufficiente
esperienza;
- il sistema a finora dimostrato problemi di manutenzione limitati, se si
eccettuano alcune rotture iniziali dei supporti e, per certo tipi di produzione,
problemi di cedimento degli alberi;
- limitati sono, in campo civile, i casi di malfunzionamento depurativo del
sistema, anche se vengono talora segnalati problemi di difficile aderenza tra
pellicole e supporto, soprattutto in fase di avviamento avanzato.

Fig.50 - Esempio di installazione di dischi biologici (da catalogo Ames-Crosta)


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Fig.51 - Rettori biologici a supporto rotante (RBC): (a) convenzionale; (b) sommerso
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10. FILTRI BIOLOGICI SOMMERSI

I filtri biologici sommersi (o biofiltri), pur non avendo ancora una vasta
applicazione, presentano delle interessanti caratteristiche (non occorre
ricircolare nè i fanghi, nè il chiarificato, non ci sono problemi di bulking), che li
rendono idonei anche per i trattamenti di rimozione dei nutrienti.
Essi possono essere distinti in:
a) filtri biologici sommersi a letto fisso (packed-bed) (Fig.52): in questo caso, il
reattore è riempito con materiale solitamente plastico; il flusso di liquame può
essere ascendente o discendente;
b) filtri biologici sommersi fluidizzati (fluidized-bed): per ovviare alle resistenze
diffusive provocate dalle pellicole biologiche, può farsi ricorso a riempimenti
di piccole dimensioni (di solito sabbia del diametro inferiore al mm), che
viene mantenuta in sospensione grazie all'elevata velocità ascensionale del
refluo alimentato; l'aerazione del liquame può avvenire o con una sua
preossigenazione, o mediante insufflazione d'aria nel reattore.

Fig.52 - Schema di filtro biologico sommerso a letto fisso; (1) e (3): mezzo di
riempimento; (2): griglia di aerazione; (4): accumulo delle acque di
lavaggio; (5): accumulo dei fanghi estratti nel ciclo di lavaggio

11. PROCESSI MISTI

Mediante l'accoppiamento di sistemi aerobici a biomassa sospesa e


adesa, sono stati messi a punto differenti sistemi biologici di trattamento, al fine
di ottenere i principali vantaggi di entrambi i sistemi: resistenza agli incrementi
di carico organico, per i sistemi a biomassa adesa, ed elevata qualità
dell'effluente trattato, per quelli a biomassa sospesa.
Esistono numerosi esempi di applicazione, differenziati dal tipo di reattori
utilizzati e dalla sequenza con cui sono accoppiati; alcuni degli schemi messi a
punto sono riportati in Fig.53.
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Fig.53 - Esempi di processi misti, costituiti con l'accoppamento di letti percolatori


e vasche a fanghi attivi
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Bibliografia:
Eckenfelder W.W. jr. (1993) Tecnologie di trattamento dei reflui industriali. Ed.
Etaslibri.

Masotti L. (1987) Depurazione delle acque. Ed. Calderini, Bologna.

Metcalf & Eddy (1991) Wastewater engineering: treatment, disposal, reuse.


McGraw-Hill Int. Editions.

Negulescu M. (1985) Municipal waste water treatment. Developments in water


science, n.23, Elsevier ed.

Passino R. (1980) La conduzione degli impianti di depurazione delle acque di


scarico. Ed. ESAC, Roma.

Vismara R. (1982) Depurazione biologica. Ed. Hoepli, Milano.

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