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Jeremias J. Strathmann H. Le Lettere A Timoteo e A Tito. Lettera Agli Ebrei PDF
Jeremias J. Strathmann H. Le Lettere A Timoteo e A Tito. Lettera Agli Ebrei PDF
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LE LETTERE A TIMOTEO E A TITO
LA LETTERA AGLI EBREI
NUOVO
TESTAMENTO
COLLABORATORI
VOLUME 9
LE LETTERE A TIMOTEO E A TITO
LA LETTERA AGLI EBREI
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A TIMOTEO E A TITO
LA LETTERA AGLI EBREI
Commento di
}OACHIM }EREMIAS
e
HERMANN STRATHMANN
M. -~-.
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I. Eduard Schweizer
Il Vangelo secondo Marco
2. Julius Schniewind
Il Vangelo secondo Matteo
3. K. H. Rengstorf
Il Vangelo secondo Luca
4. Hermann Strathmann
Il Vangelo secondo Giovanni
5. Gustav Stahlin
Gli Atti degli Apostoli
6. Paul Althaus
La Lettera ai Romani
7. Heinz-Dietrich W endland
Le Lettere ai Corinti
I r . Eduard Lohse
L'apocalisse di Giovanni
LE LETTERE A TIMOTEO E A TITO
Joachim Jeremias
INTRODUZIONE
l'Asia Minore: Paolo investe lui e Tito (Tit. l,5) del servi-
zio gerarchico e li ordina (r Tim. 5,22), e Timoteo deve man-
tenere la disciplina nella chiesa a lui affidata (r Tim. 5,19 s.).
La 2 Tim. gli reca l'estrema preghiera dell'Apostolo prima
di essere messo a morte: «vieni da me più presto che puoi»
(2Tim.4,9 cfr.4,21); evidentemente Paolo gli vuole tra-
smettere in eredità l'opera della sua vita. Dopo il martirio
dell'Apostolo egli prosegue fedelmente il suo lavoro, insieme
ad uno dei principali dottori dell'ambiente paolino, l'ignoto
autore della Lettera agli Ebrei (Hebr. 13,23); è questa l'ul-
tima notizia che abbiamo di lui. La tradizione unanime ne
ha fatto, non senza un fondamento storico, il primo vescovo
di Efeso.
Tito, che sembra essere stato all'incirca coetaneo di Ti-
moteo (Tit. 2,6.7), ci è noto soltanto da quattro Lettere di
Paolo (Gal., 2 Cor., Tit., 2 Tim.) ed è strano che gli Atti
degli Apostoli non parlino di lui. Pagano di nascita (Gal. 2,
3) e convertito da Paolo (Tit. l,4), lo incontriamo per la pri-
ma volta nel 48 (o 49) d.C. come un membro della chiesa
antiochena e accompagnatore di Paolo nel viaggio al concilio
degli Apostoli (Gal. 2,1); era dunque collaboratore di Paolo
già prima di Timoteo. Durante il terzo viaggio è stato latore
ai Corinti della 'lettera delle lacrime', l'ultimatum dell' Apo-
stolo, e con la sua abilità è riuscito a riportare all'obbedienza
quella comunità, che Paolo dava già quasi per perduta (2 Cor.
2,13 ss.; 7,13 ss.; 8,6; 12,17 s.). Latore della seconda Let-
tera ai Corinti, egli ha poi preparato definitivamente la ve-
nuta a Corinto dell'Apostolo (2 Cor. 8,6.16-24). Soltanto
anni dopo lo incontriamo nuovamente (nella Lettera a Tito)
a Creta, dove Paolo lo ha lasciato ad organizzare la giovane
chiesa cretese (Tit. 1,5). Poco prima della morte dell'Apo-
stolo si recò in Dalmazia, evidentemente per incarico di Paolo
( 2 T im. 4, ro). Secondo la tradizione morì a 9 4 anni a Gor-
tina, vescovo dell'isola di Creta.
Ordine di successione delle Lettere. La situazione
I saluti ( r,r-2)
1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per ordine di Dio nostro salvatore e
di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timoteo vero figlio nella fede:
grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro
Signore.
l-2. Al suo fedele collaboratore Timoteo Paolo non ha dav-
vero bisogno di presentarsi come apostolo, cioè come inviato
di Gesù con pieni poteri; se lo fa ciò nonostante, è perché
la Lettera è destinata anche alle comunità, la cui guida è
stata affidata a Timoteo (v. sopra p. 14). Ma il titolo di
'apostolo' non è un titolo onorifico; molto acutamente Paolo
mette in rilievo il suo dovere di obbedienza: la sua missione
si fonda sul comando di Dio e di Gesù Cristo. Se qui Dio,
mutuando il linguaggio veterotestamentario (cfr. Ps. 2 5 ,5;
27,9; Abac. 3,18; Ecclus 51,1; inoltre Le. l,47; Iudae 25),
è chiamato 'nostro salvatore' (cfr. comm. a 2 Tim. l,10) e
Gesù Cristo 'nostra speranza', i due appellativi richiamano
alla redenzione finale, che è cominciata con la venuta di Ge-
sù: come tutta la predicazione evangelica, la predicazione di
Paolo si svolge nella visuale del compimento del mondo,
garantito da Gesù Cristo.
Gli indirizzi delle Lettere pastorali si caratterizzano per
un calore personale, che si esprime nel cordiale «vero figlio
nella fede». Paolo può definire così il suo rapporto con Ti-
moteo, perché ha portato alla fede e successivamente ordi-
nato al suo ufficio ( 2 Tim. l ,6) questo suo fedelissimo colla-
28 I saluti
12 Rendo grazie a colui che mi ha dato forza, Cristo Gesù nostro Si-
gnore, per avermi giudicato fedele e per avermi messo al suo servizio,
13 io che prima fui un bestemmiatore del suo nome (1), un persecuto-
a) Le preghiere (2,1-7)
1 Raccomando, dunque, prima di ogni altra cosa, preghiere, orazioni,
suppliche, azioni di grazie, per tutti gli uomini (1 ), 2 per i sovrani (2)
e tutti coloro che sono costituiti in autorità (3), affinché possiamo con-
durre una vita quieta e tranquilla, con tutta pietà e onestà. 3 Ciò in-
fatti è buono e accetto a Dio nostro salvatore, 4 che vuole che tutti gli
uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. 5 Infatti
«uno è Dio,
uno anche il mediatore tra Dio e gli uomini,
l'uomo Cristo Gesù,
6 che ha dato se stesso a riscatto di tutti»,
b) I diaconi ( 3,8-13)
8Similmente i diaconi siano uomini degni (1), non doppi nel parlare (2),
moderati nell'uso del vino (3), non dediti a guadagni disonesti ( 4 ), 9 ma
serbino il mistero della fede in una coscienza pura (5). 10 Anch'essi
siano prima messi alla prova, e siano ammessi all'ufficio di diaconi
solo se li si troverà senza colpa. 11 Ugualmente le donne siano degne,
non maldicenti, ma sobrie, fedeli in tutto (6 ). 12 I diaconi siano spo-
sati a una sola moglie (7), governino bene i loro figli e la loro ca-
sa (8 ). 13 Coloro che adempiono bene il loro compito, acquistano un
grado onorevole e una grande fiducia nella fede in Cristo Gesù.
Dio lo tenne nascosto [Rom. 16,25 s.; Col. l,26 s.], finché
non ruppe il silenzio in Cristo), cioè fare molta attenzione
a non rendere incredibile con scandali la buona novella.
Nulla è più dannoso alla fede che essere sostenuta da un uomo
non puro dalla coscienza gravata di colpe. Certamente, solo
Dio può misurare la fede di un uomo; tanto più deve essere
scrutinata e sottoposta ad un periodo di prova la condotta
in passato e la dignità morale degli uomini cui deve essere
affidato il compito di fiducia di un diacono. Certe condizioni
sono poste anche alle loro donne (6 ) (è possibile che al v. l l
si parli di diaconesse, cfr. Rom. 16,1-2); infatti, proprio l'at-
tività caritativa è un compito che richiede la collaborazione
delle donne. La moglie di un diacono dev'essere degna; non
deve cadere nel peccato della maldicenza, cui soggiace più
facilmente una donna; deve essere sobria nel giudicare (v.
comm. al v. 2) guardandosi dal falso entusiasmo; sotto ogni
aspetto essere degna di fede. Anche per i diaconi, ai quali
ritorna il v. 12, vale, come per i capi delle comunità, il prin-
cipio che devono essere «sposati ad una sola moglie» (7)
(verosimilmente, v. comm. al v. 2: proibizione di nuove noz-
ze di un divorziato) e che devono dare nella loro casa, spe-
cialmente nell'educazione dei figli, l'esempio di una famiglia
cristiana (8). Se tanto è richiesto altrettanto sarà dato in con-
traccambio; un diacono fedele riceve una grande ricompen-
sa: egli «si acquista un grado onorevole», cioè considera-
zione e fiducia della comunità (si potrebbe anche pensare ai
gradini che portano al trono celeste; l'idea che dei gradini
portino al trono celeste, come ad ogni trono regale, è fer-
mamente ancorata al mondo biblico, la conosciamo, ad esem-
pio, fin dal sogno di Giacobbe della scala che sale fino al
cielo, Gen. 28 ). E egli ottiene <<Una grande fiducia», cioè
(secondo l'uso neotestamentario della parola, che originaria-
mente vuol dire 'schiettezza') la gioia della testimonianza
impavida e della preghiera filiale, e soprattutto la fiducia
davanti a Dio nel giudizio dell'ultimo giorno. Felice chi è
I Tim. 3,r4-r6 49
stato fedele nel suo ministero: egli può guardare consolato
al giudizio di Dio; naturalmente non per i suoi meriti, ma
per la :fiducia nella fede in Cristo Gesù, che ha espiato a suf-
ficienza tutti i peccati che anche il più fedele ha su di sé in
sovrabbondanza.
1-5. Questo brano inizia con una parola profetica dello Spi-
rito Santo. Dio stesso ha annunciato in modo inequivocabile
I Tim. 4,I-5 55
alla comunità, per mezzo delle parole di uomini carismatici,
che negli ultimi tempi l'apostasia farà il suo ingresso nella
comunità. La convinzione che il regno di Dio sarebbe giunto
dopo un periodo di lotte, dolori e apostasie era comune certez-
za della cristianità più antica, ed è espressa frequentemente
nelle parole profetiche ed ammonitrici che avevano un posto
fisso nella primitiva celebrazione cultuale. Nelle parole del
Signore di Mc. r 3 ,2 2 ed in quelle dell'Apostolo di 2 T hess.
2,3.rr-12; Act. 20,29-30; Apoc. 3,ro; r3, abbiamo esempi
del contenuto di tali profezie sul tempo delle apostasie; e
in Act. r r,27-28; r3,r-2; I Cor. 14, esempi di situazioni in
cui si levarono voci profetiche durante il servizio liturgico.
Ma qui l'Apostolo non si attende in un tempo lontano e in-
determinato l'adempimento di queste profezie; infatti, gli
element.i concreti dei vv. 3 e 7 provano che egli parla del pre-
sente della comunità. I settari sono i primi messaggeri del
mondo degli spiriti nemici di Dio, che cercano di distrug-
gere la comunità di Gesù. Come lo Spirito Santo ha preso
dimora nei battezzati nel nome di Gesù Cristo, così hanno
fatto gli spiriti maligni, per la diffusione delle loro dottrine.
'Dottrine diaboliche'? sì! Satana fonda una nuova religione.
Questa è la tentazione degli ultimi tempi. Due sono i segni
che stanno a indicare che gli eretici sono strumenti di forze
sataniche: r. la loro ipocrita e arrogante falsa pietà e 2. i lo-
ro vani sforzi per nascondere, sotto il velo di rigorose pre-
tese ascetiche, nelle loro coscienze il marchio dello schiavo
(invisibile, ma incancellabile): qui si intende parlare della
schiavitù di peccati nascosti, soprattutto (cfr. 6,3-ro) l'egoi-
smo e l'avarizia. Con ciò è pronunciata la più dura sentenza
che si possa immaginare contro i settari e i loro seguaci:
strumenti dei demoni. Ma nello stesso tempo la comunità
è rafforzata per superare le sue miserie interiori: l'apparizio-
ne di questi disturbatori della pace e l'apostasia di alcuni dei
suoi membri non avviene a caso, ma fa parte del piano sal-
vifico di Dio; anzi, l'una e l'altra cosa sono il segno che è
Le pretese ascetiche dei settari
ISTRUZIONI A TIMOTEO
PER LA GUIDA DELLA CHIESA
(4,12-6,2)
nelle parole, nella condotta, nell'amore, nella fede, nella purezza. 13 Fin-
ché non verrò io, dedicati alla lettura (della Scrittura) (1 ), all'esorta-
zione (2) e all'insegnamento (3). 14 Non trascurare il dono di grazia che
62 Timoteo non si lasci mettere in imbarazzo dalla sua giovane età
è in te, che ti è stato dato per intervento profetico, quando sei stato
ordinato con l'imposizione delle mani. 15 Prendi a cuore tutto questo e
dedicati interamente ad esso, affinché i tuoi progressi siano evidenti
agli occhi di tutti. 16 Vigila su di te e sulla dottrina, persevera in que-
ste disposizioni; così facendo, salverai te stesso e coloro che ti ascol-
tano.
dre, tratta i giovani (2) come fratelli, 2 le donne anziane (3) come ma-
dri, le giovani (4 ) come sorelle, in tutta purezza.
9 Una vedova può essere scelta (solo a queste condizioni): (1)non deve
avere meno di sessant'anni; (2) deve essere stata sposata una volta so-
la, 10 (3) e produrre testimonianza che ha fatto opere di carità: che ha
educato figli (1 ), che ha praticato l'ospitalità (2), che ha lavato i pie-
di dei santi (3), che ha alleviato le tribolazioni dei sofferenti (4 ), che
ha compiuto in ogni occasione opere di carità (5). 11 Rifiuta le vedove
giovani, perché quando le assalgono desideri che le allontanano da
Cristo vogliono sposarsi, 12 meritando d'essere condannate perché non
hanno mantenuto la loro prima promessa. 13 Inoltre, non avendo nulla
da fare, prendono ad andare in giro per le case; e non sono soltanto
oziose (1), ma ciarliere (2 ) e indiscrete (3), e fanno discorsi sconvenien-
ti (4). 14 Perciò voglio che le giovani (vedove) si sposino(1), abbiano
figli (2), curino la loro casa (3) e non diano all'avversario alcuna occa-
sione alla maldicenza (4 ). 15 Infatti già qualcuna si è sviata e ha segui-
to Satana. 10 Se una donna credente ha delle vedove (tra i suoi pa-
renti) le assista, perché non sia gravata la comunità, affinché questa
possa provvedere a quelle che veramente sono vedove.
l-2. Ora si passa a parlare degli schiavi (cfr. gli schemi fami-
liari in Col. 3,22-4,1; Eph. 6,5-9; I Petr. 2,18-25), che costi-
tuiscono il sesto gruppo nella comunità (cfr. comm. a 5,3).
Si danno due casi: I . i padroni sono pagani (v. I ) ; 2. sono
cristiani ( v. 2 ). Il padrone pagano non deve avere l'impres-
sione che la libertà dei figli di Dio li renda incapaci di ser-
vire. La conseguenza sarebbe che il padrone pagano parle-
I Tim. 6,I-2
77
rebbe con disprezzo del Dio e della dottrina dei cristiani;
infatti il mondo pagano giudica la fede dei cristiani dalla
loro vita. Il servizio come schiavi deve essere di fatto una
testimonianza del vangelo: questo è il motivo elevato del-
l'etica cristiana della schiavitù, che nobilita anche il servizio
più semplice. Se invece il padrone è un fratello cristiano,
c'è il pericolo che il servo scambi la parità religiosa con
quella sociale, invece di raddoppiare lo zelo nel servizio,
perché è un servizio reso a un fratello. Ma anche i padroni
hanno dei doveri particolari, è cioè quello di un amore fra-
terno nel fare del bene. Per i padroni come per i servi, per
chi è in alto come per chi è in basso, vale sempre lo stesso
principio: confermare la fede nei fatti. In questo non c'è
differenza tra gli uni e gli altri.
PARTE QUINTA
del Signore nostro Gesù Cristo e alla dottrina della nostra fede, 4 è su-
perbo, non comprende nulla, malato di questioni oziose e di litigi ver-
bosi, da cui nascono l'invidia (1 ), la discordia (2), le offese (3), i sospetti
malevoli (4 ), 5 le discussioni (5) di uomini dalla mente corrotta (1), che
privi della verità (2), stimano che la religione sia una fonte di gua-
dagno (3). 6 Certo, la religione è una grande fonte di guadagno per
chi si accontenta di quello che ha. 7 Infatti, nulla abbiamo porta-
to in questo mondo e nulla possiamo portarne via. 8 Siamo dun-
que contenti di avere di che nutrirci e coprirci; 9 poiché coloro che
vogliono diventare ricchi cadono nella tentazione e nell'inganno, in
molte voglie insensate e dannose, che sprofondano gli uomini nella
rovina e nella perdizione. 10 Infatti l'avidità di denaro è la radice di
tutti i mali; e alcuni, che si sono lasciati sedurre da essa, si sono
allontanati dalla fede e si sono lasciati sopraffare da tanti tormenti.
L'indirizzo ( 1,1-2)
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù (inviato) per volontà di Dio per (an-
nunciare la) promessa della vita, (che ci è stata donata) in Cristo Gesù,
2 al carissimo figlio Timoteo: grazia, misericordia, pace da Dio Padre
per le sue bestemmie (I Tim. l ,20) e ora sembra che egli sia
diventato uno dei capi della setta. È molto importante per
la conoscenza dell'eresia, contro cui si battono le Lettere
pastorali, la descrizione che qui viene fatta di uno dei punti
principali della dottrina di questi due uomini. Essi insegna-
no che «la risurrezione è già avvenuta», che cosa si debba
intendere con queste parole lo si può vedere forse dal rac-
conto di Ireneo sullo gnostico samaritano Menandro, un di-
scepolo di Simon Mago (su quest'ultimo v. comm. a Act.
8,20): questo Menandro, contro la fede cristiana nella ri-
surrezione, insegnava che il suo battesimo comunicava la ri-
surrezione e che i suoi discepoli non morirebbero più, ma
resterebbero immortali, senza invecchiare; oppure si può
pensare alla dottrina, di cui parlano gli Atti apocrifi di Paolo
(cap. 14), che la risurrezione avviene nei bambini oppure
attraverso la conoscenza di Dio. Anche nel brano in discus-
sione sembra che si tratti di una spiritualizzazione della dot-
trina sulla risurrezione, che potrebbe essersi richiamata alla
dottrina sul battesimo insegnata da Paolo (cfr. Rom. 6 A;
Col. 2,12; 3,1-4; Eph. 2,6; 5,14). Che questa dottrina aves-
se avuto una grande risonanza è comprensibile, perché suo-
nava male all'orecchio dei pensatori greci la dottrina cristia-
e
na sulla risurrezione ( I or. l 5; Act. l 7 '3 2); per la filosofia
popolare greca, fin da Platone, il corpo era la prigione del-
1' anima e la sede del male: perciò la risurrezione del corpo
era un controsenso per il pensiero greco. L'ostacolo era ri-
mosso con questa interpretazione della dottrina della risur-
rezione. Ma perché Paolo combatte questa dottrina con pa-
role così dure, trattandola da pettegolezzo frivolo, empietà,
incredulità? Perché erano in gioco decisive conoscenze di
fede; se, secondo il pensiero greco, si disprezzava il corpo,
si aprivano le porte all'autoredenzione, che vedeva la via
della salvezza nel distacco ascetico dal corpo (v. comm. a
ITim.4,3), oppure al cattivo uso del corpo (cfr. ICor.6,
12 ss.). Se poi al disprezzo del corpo si univa la fanatica il-
2 Tim. 2,I4-2I
99
lusione di vivere già ora nella pienezza della vita (cfr. I Cor.
4,8 ), ci si veniva a staccare totalmente dalla sequela del Cro-
cifisso e si sostituiva la theologia crucis con una entusiastica
theologia gloriae. Il v. 18 è importante ai fini della datazio-
ne delle Lettere pastorali. La gnosi ha cercato di evitare un
secondo ostacolo intellettuale per la comprensione greca, lo
scandalo della morte sulla croce del Redentore, e lo ha fatto
chiarendo che sulla croce non sarebbe morto il Figlio di Dio,
ma l'uomo Gesù (Cerinto; eretici della prima e della secon-
da Lettera di Giovanni) oppure un corpo apparente (doce-
tismo). Il fatto che questa teoria gnostica non appaia ancora
nelle Lettere pastorali è una prova della loro antichità, che
è confermata anche dai tratti giudaizzanti dell'eresia che esse
combattono (Tit. r,ro ss.; 3,9), che sono caratteristici della
gnosi più antica.
14 Il fabbro Alessandro mi ha fatto del male assai; «il Signore gli ren-
L'indirizzo ( 1,1-4)
1 Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo, (inviato) per (il ser-
vizio della) fede degli eletti di Dio e per (divulgare) la conoscenza
della verità della nostra fede 2 nella speranza della vita eterna, che
Dio, il quale non mente mai, ha promesso (di donare) prima di tutti
i tempi 3 per poi rivelare a tempo debito la sua parola nella predica-
zione, che mi è stata affidata per ordine di Dio, nostro Salvatore,
4 a Tito, suo diletto :figlio nella comune fede. Grazia e pace (sia
lo, che conosciamo da Act. 18,24 ss.; I Cor. 1,12; 3'4 ss. 22;
4,6; 16,12; essi sono raccomandati all'aiuto ed alle cure del-
la comunità. Il modo in cui questa raccomandazione viene
presa ad occasione per esortare Tito ad educare le giovani
comunità in un fattivo amore, in cui non devono stare in-
dietro alle comunità giudaiche della diaspora, è caratteristico
del cristianesimo pratico delle Lettere pastorali. La Lettera
chiude con i saluti e l'invocazione della grazia (scritta di
pugno dal mittente, cfr. pp. 24 s.).
LA LETTERA AGLI EBREI
Hermann Strathmann
INTRODUZIONE
r. Essa appare dal tipo della sua esegesi, da numerosi particolari della stessa e
dall'uso di concetti e formule di ogni genere, che ricordano altre formule analoghe
di Filone d'Alessandria; cfr. ra; 8,I s. 5; IO,I.
La Lettera agli Ebrei: Introduzione r37
di questo argomento senza contare che in 8,4 s. sembra im-
plicita la persistenza del culto giudaico. Piuttosto, dato che
sembra che la persecuzione neroniana sia già lontana, si do-
vrebbe poter datare la lettera intorno all'8o.
INTRODUZIONE
(capp. r-6)
strettissimi con quanto Paolo dice della carne sede del pec-
cato e dei suoi effetti; infatti egli intende dire la stessa cosa
quando parla del peccato come dello stimolo della morte, il
peccato che trova posto e alimento nella carne (I Cor. 15,56;
Rom. 7 ,13 ss.). La figura del diavolo è l'incarnazione meta-
fisica della misteriosa sicurezza della potenza sopraffatrice
del male; è facile per l'autore metterla in tanta evidenza,
perché era corrente nel giudaismo vedere nel diavolo 'l'an-
gelo della morte'. Per la sua invidia è venuta nel mondo la
morte (Sap. 2,24); egli è l'assassino (lo. 8,44), lo stermina-
tore (ICor. lo,10; 5,5). Ora Gesù entra in questa sfera di
dominio della carne e del sangue, del diavolo e della morte,
nella quale si trovano gli uomini. E anch'egli muore. Ma la
sua morte ha il fine e l'effetto sorprendenti di infrangere il
potere del principe della morte. Come, non è detto chiara-
mente; si vuole forse dire che i peccati sono stati estinti e
reso inefficace lo 'stimolo della morte' (ICor. 15,50)? Op-
pure si allude alla discesa di Cristo nel regno dei morti che
non è riuscito a trattenere lui, l'innocente, per cui egli ha
potuto addirittura disputare al principe della morte la sua
preda e tornare vittorioso, alla testa dei liberati, dal regno
dei morti alla vita? 1 • La seconda idea non esclude la prima;
comunque l'autore intende dire che in questo modo è stato
rotto l'incantesimo della paura della morte, come la porta
dell'eterna rovina. Anche se rimane la morte del corpo, è
scomparso il terrore di essa. I tre versetti che seguono dan-
no ancora una giustificazione dell'idea del v. ro, partendo
sempre dalla forma esistenziale dell'uomo. Se si fosse trat-
r. Cfr. Barn. 5,6: «Egli ha preso su di sé quella sofferenza perché doveva apparire
nella carne per disarmare la morte e mostrare la risurrezione dei morti»; inoltre
Od. Sal. (rr secolo) 42,n: «L'inferno mi vide e si infiacchi; la morte sputò me e
molti con me, fui veleno e fiele per essa, scesi fino in fondo ad esso, tanto era
profondo l'abisso. I piedi e la testa gli diventarono senza forza, perché non po-
teva sostenere il mio volto; io creai fra i suoi morti la comunità dei viventi».
Questi passi, e numerosi altri, provano che idee del genere non erano estranee
a quei tempi.
Hebr. 2,8c-I8
l'Egitto mediante Mosè? (1) 17 E contro chi «si è adirato per quaranta
anni»? Non forse contro quelli che avevano peccato e i loro «corpi cad-
dero nel deserto»? 18 E a chi «giurò che non sarebbero entrati nel suo
riposo» se non a quelli che avevano disobbedito? 19 E noi vediamo
che non poterono entrare per la loro incredulità. 1 Temiamo dun-
que che qualcuno di voi, pur rimanendo valida la promessa di «en-
trare nel suo riposo», pensi di essere arrivato tardi. 2 Perché anche
a noi, come a loro, è stata data la buona novella; ma la parola che
avevano udito non giovò loro affatto, perché non restarono in comu-
nione mediante la fede con coloro che l'avevano ascoltata. 3 Infatti
«entriamo nel riposo» noi che abbiamo creduto, secondo quanto egli
ha detto: «così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio ri-
poso», benché 'le opere' fossero compiute sin dalla fondazione del
mondo. 4 Infatti ha detto in qualche parte circa il settimo giorno:
«E Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere». 5 E ancora
in quel punto: «Non entreranno nel mio riposo». 6 Poiché dunque è
acquisito che alcuni vi devono entrare, e quelli cui per primi era
stata data la buona novella non vi sono entrati a causa della loro
disobbedienza, 7 fissa di nuovo un giorno, un 'oggi', dicendo a Da-
vide dopo tanto tempo, come è stato detto (sopra): «Oggi, se udite
la sua voce, non indurite i vostri cuori». 8 Infatti se Gesù ( = Gio-
suè) li avesse portati in questo riposo, non avrebbe parlato in se-
guito di un altro giorno. 9 Resta dunque riservato al popolo di Dio
un riposo al settimo giorno. 10 Giacché chi «è entrato nel suo riposo»
anch'egli «si riposa dalle sue opere», come Dio dalle sue. 11 Affret-
tiamoci dunque a «entrare in quel riposo», affinché nessuno cada
imitando quell'esempio di disobbedienza. 12 Infatti la parola di Dio
è viva e forte e più tagliente di qualsiasi spada a doppio taglio, e
penetra fino alla divisione di anima e spirito, giunture e midolla, e
giudica i pensieri e le intenzioni del cuore. 13 E non c'è nessuna crea-
tura nascosta davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto davanti a
colui al quale dobbiamo rendere conto.
chi è ancora al latte non può ancora capire nulla del parlare nor-
male, perché è un bambino. 14 I cibi solidi, invece, sono per coloro
che sono maturi e, per l'abitudine, hanno i sensi esercitati a discer-
nere il buono dal cattivo. 1 Perciò, lasciando da parte la dottrina ele-
mentare su Cristo, tendiamo a ciò che è maturo, senza tornare sul-
l'insegnamento fondamentale del pentimento dalle opere morte e
della fede in Dio, 2 della dottrina sui battesimi, dell'imposizione delle
mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno. 3 E lo fare-
mo, se Dio lo permetterà. 4 Infatti è impossibile che coloro che sono
stati illuminati una volta, che hanno pure gustato il dono celeste e
sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo, 5 che hanno assaporato
la buona parola di Dio e le forze del mondo venturo, 6 e che tuttavia
sono caduti, siano rinnovati un'altra volta a penitenza, giacché cro-
cifiggono di nuovo per conto loro ed espongono al ludibrio il Figlio
di Dio. 7 Infatti la terra che beve l'acqua che cade spesso su di
essa e che produce piante utili a coloro per i quali è coltivata, partecipa
della benedizione di Dio; 8 ma quella che dà 'spine e rovi' è riprovata
e prossima a essere 'maledetta', e la sua fine è il fuoco. 9 Quanto a
voi, carissimi, anche se vi parliamo cosi, confidiamo che le cose va-
dano meglio e che siate più prossimi alla salvezza. 10 Infatti Dio non
è ingiusto, da dimenticarsi dell'opera vostra e dell'amore di cui avete
dato prova verso il suo nome, voi che avete servito e servite i santi.
11 Ma desideriamo ardentemente che ognuno di voi mostri la stessa
ancora fiducioso che le cose vadano meglio con essi, cioè la be-
nedizione secondo il v. 7 e non la maledizione secondo il v. 8.
Ma questa fiducia non si basa sulla loro capacità di resistenza
(che si sa disgraziatamente fin troppo debole), ma sulla giusti-
zia di Dio. L'autore sa che essi con i fatti hanno dato prova di
amore verso il nome di Dio, servendo i santi che sono di Dio,
cioè i cristiani, e che continuano a farlo. Un esempio di tale
servizio è la colletta di Paolo per i 'santi' di Gerusalemme
(Rom. 15,31); ma questo è soltanto un esempio e di che co-
sa qui si tratti non lo sappiamo. L'accento posto sul fatto
che il servizio di amore è stato compiuto verso il nome di Dio
sta forse ad indicare che i cristiani oggetto di tale servizio si
trovavano in difficoltà a causa della loro confessione di Dio,
cioè erano perseguitati per tale motivo. In ogni caso dev'es-
sersi trattato di prestazioni particolarmente notevoli (che una
comunità così povera come quella di Gerusalemme non sa-
rebbe stata in grado di offrire). Dio non lo può dimenticare.
Ciò non va inteso nel senso comune di 'ricompensa'; la 'ricom-
pensa' consiste nel fatto che egli non permette che essi si gua-
stino nel pericolo dell'apostasia. Se guardasse soltanto alla
fiacchezza della loro fede e della loro speranza, sarebbe peggio;
ma essi sono zelanti delle opere di amore, e Dio vuole venire
in loro aiuto. Ciò non ha niente a che fare con la giustificazio-
ne per le opere; ma c'è qualcosa di consolante nell'idea gene-
rosa che Dio, anche quando la fede e la speranza sono fiacche,
attribuisce tanto valore all'esercizio della carità da non ab-
bandonare gli uomini al loro destino (cfr. I Petr. 4,8; I Io.
3,18 s.). Tuttavia questa condizione è sempre imperfetta e
non può durare a lungo. Donde l'esigenza che ogni membro
della comunità, e non soltanto alcuni di essi, con lo stesso
zelo di cui danno prova nelle opere di carità si abbandonino
alla gioiosa confidenza della speranza. E questa non dev'es-
sere un passeggero impulso sentimentale, ma dev'essere con-
tinua fino alla fine. Se essi non compiono questo sforzo, fini-
ranno per cadere in uno stato di ottusità dello spirito, che li
Hebr. 5,n-6,20 195
ESPOSIZIONE
( 7,r-rn,18)
vv. 8.16.24 s.28 ), secondo lui consegue dal fatto che la Scrit-
tura non dice nulla né della sua nascita né della sua morte;
dunque, ne conclude, non se ne doveva parlare. Egli era ve-
nuto dall'eternità e vi ritornò, come lo stesso Figlio di Dio.
Dio gli aveva dato forma d'un tratto, come mostra il modo di
farlo apparire in Gen. 14 che indicava la sua eternità. Anche il
suo sacerdozio è eterno; è questa una deduzione che già il
poeta di Ps. l 10 sembra abbia tratta da Gen. 14· Perciò non
è casuale neppure il fatto che la Scrittura non faccia i nomi
del padre e della madre e non parli affatto di genealogia:
egli non ne aveva. Eppure era un sacerdote, benché ogni
sacerdote levitico debba innanzi tutto provare la sua di-
scendenza sacerdotale. L'autore non vuole naturalmente di-
re che Melchisedec sia stato una figura storica senza ge-
nitori né antenati; soltanto gli è assolutamente indifferen-
te la questione se si tratti di una figura storica nel senso che
usualmente si dà a tale espressione. Lo interessa soltanto il
modo in cui Dio con le parole della Bibbia, ha disegnato quel-
la figura simbolica. Il secondo dei tratti caratteristici indicati
sopra non viene più utilizzato in seguito; ma non si deve
dedurre che per l'autore sia meno importante: già in l,8-13
si è vista l'importanza che ha per lui la regalità del Figlio e
la legittimità della sua sovranità. Però nel presente contesto,
che tratta della superiorità del sacerdozio di Gesù su quello
levitico, non se ne poteva dedurre nient'altro. Al contrario,
il primo dei tratti caratteristici indicati sopra serve subito
nei vv. 4 ss. come punto di partenza per dimostrare la supe-
riorità del sacerdozio di Melchisedec; ma ciò viene provato
utilizzando nel contempo anche il terzo ed il quarto dei tratti
caratteristici di cui sopra. Secondo il primo, Melchisedec dà
la benedizione e riceve la decima, cioè esercita due dirit-
ti specificatamente sacerdotali (cfr. Num. 6,24 s.; 18,2 l ).
L'importanza della decima riscossa da Melchisedec viene mes-
sa in evidenza contrapponendola al diritto del sacerdozio
levitico di esigere le decime. Il v. 5 è dominato dalla sen-
Hebr. 7,r-28 203
<<nuova» ha reso vecchia la prima. Ora ciò che diventa vecchio e vetu-
sto sta per scomparire.
c
La superiorità del servizio sacerdotale di Gesù ( 9,1-ro,18)
verso la tenda più grande e più perfetta non fatta da mano d'uo-
mo, cioè che non appartiene a questa creazione, 12 e non per mezzo
del sangue di capri e di vitelli, ma per mezzo del suo proprio san-
gue, entrò una volta per tutte nel santuario, avendovi trovato un'e-
terna redenzione. 13 Se infattj il sangue di capri e tori e la cenere di
una vitella aspersa santifica gli impuri dando loro la purezza del
corpo, 14 quanto più il sangue di Cristo, che per uno Spirito eterno si
è offerto immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere
morte perché serviamo il Dio vivente. 15 E perciò egli è garante di una
nuova alleanza affinché, essendo intervenuta la morte per redimere le
trasgressioni della prima alleanza, coloro che sono chiamati ricevano
l'eredità eterna promessa.
15. L'idea centrale dei vv. n-14 era che Cristo ha veramente
purificato le coscienze, oppure (il che per l'autore è la stessa
cosa) che ha reso perfetti secondo la coscienza (v. 9), ha ope-
rato l'eterna redenzione ed assicura il raggiungimento dei
beni futuri. La stessa idea è espressa nuovamente nel v. l 5,
questa volta riprendendo il concetto di Nuova Alleanza da
7,22; 8,6-13. Null'altro che la realtà di questa salvezza (se
non per ognuno, per coloro che vi sono chiamati da Dio)
era il senso della destinazione di Gesù a garante di questo
patto, cui egli era abilitato dalle superiorità di cui si è detto
sopra. È caratteristica l'osservazione nuova sulla morte di
Gesù, inserita nella frase conclusiva del v. l5h. Quando è
detto che la morte ha avuto luogo per redimere le trasgres-
sioni compiute sotto o durante la prima alleanza, cioè per
estinguere la colpa che ne è derivata, il concetto che informa
queste idee sembra discendere dal pensiero sul sacrificio di
riconciliazione compiuto dal sommo sacerdote; ma è strano
che ciò nonostante si parli della morte non come di un sacri-
ficio offerto ma di un fatto che ha avuto luogo. Ma ciò di-
pende dal doppio significato della parola greca per 'alleanza'
La morte di Cristo come sacrificio cruento dell'alleanza
ficate con questi mezzi, ma le realtà celesti dovevano esserlo con sacri-
fici più eccellenti di questi. 24 Infatti Cristo non entrò in un santua-
rio fatto da mano d'uomo, che è soltanto un'immagine di quello vero,
ma nel cielo stesso per apparire ora al cospetto di Dio in nostro
favore; 25 e neppure per offrire se stesso più volte, come il som-
mo sacerdote una volta all'anno entra nel santuario con un sangue
che non è il suo; 26 altrimenti egli avrebbe dovuto soffrire più volte
dalla creazione del mondo: ora invece si è manifestato una volta
per tutte alla fine dei tempi, per abolire il peccato con il suo sacri-
ficio. rt E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, e
che dopo venga il giudizio, 28 così anche Cristo, dopo essersi offerto
una volta «per togliere i peccati di molti», apparirà una seconda volta
Hebr. 9,23-28 229
5-ro. Nel cap. 9 era stato detto ampiamente che, in luogo del-
l'inadeguato ordinamento cultuale veterotestamentario, nella
234 L'ordinamento veterotestamentario abolito da Cristo
LXX. Cristo non può e non vuole sottrarsi alla volontà di Dio
che egli diventi un uomo e si offra in sacrificio, a quella vo-
lontà di Dio che è espressa chiaramente nel rotolo del libro,
cioè nelle profezie dell'Antico Testamento. Ciò che Dio vuo-
le, lo vuole anch'egli. Ma la volontà di Dio non è soltanto po-
sitiva, ma anche negativa: il culto sacrificale in vigore finora
dev'essere abrogato. È vero che ciò è strano, perché il culto
viene compiuto secondo la legge che Dio stesso ha dato. Si
potrebbe quasi dire che si tratti di un avvenimento rivoluzio-
nario; ma è Dio stesso che lo vuole. Anche se un tempo ha
ordinato nella legge il culto sacrificale, quando ha inviato Cri-
sto nel mondo la sua volontà era indirizzata alla redenzione
per mezzo di lui e rigettò pertanto il culto sacrificale. Perciò
Cristo abroga secondo le parole del salmo 'il primo', cioè que-
sto culto sacrificale, per fondare 'il secondo', la volontà di re-
dimere per mezzo di Cristo. Il contenuto di questa volontà è
la nostra santificazione, perciò la nostra elevazione alla comu-
nione con Dio attraverso l'unico sacrificio di Gesù Cristo
(dr. 2,11). Per la prima volta (e poi ancora soltanto in 13,8.
2 l) l'autore usa questo doppio nome, che per lui ha qualcosa
di solenne. Una volta conseguita la santificazione non c'è più
posto per il culto sacrificale di un tempo. Parlando di volon-
tà di Dio viene a perdere ogni significato la stessa domanda,
che potrebbe sorgere dal v. 4, se cioè sia possibile cancellare
i peccati con il sacrificio cruento di Cristo: era la volontà di
Dio, e ciò è sufficiente. Il modo in cui l'autore pone sulle lab-
bra di Cristo queste parole del salmo, senza preoccuparsi mi-
nimamente di dare una giustificazione di questo suo procedi-
mento, e il modo con cui le interpreta, è estremamente ardito.
Nelle sue mani, le parole del salmo diventano per così dire
l'eco di un dramma all'interno di Dio, al cui centro sta la de-
cisione di Dio di procedere alla redenzione per mezzo del-
l'autoimmolazione di Cristo. Il concetto di Dio dell'autore
è di un'ardita vivacità. È il concetto cristiano di Dio.
Il sacrificio di Cristo è veramente irripetibile
DEDUZIONI
( ro,r9-r 2,29)
32Ricordatevi di quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illu-
minati, avete sostenuto una dura lotta dolorosa, 33 ora esposti pub-
blicamente ad obbrobri e tribolazioni, ora compagni di coloro che
erano trattati a questo modo. 34 Infatti avete preso parte alle sof-
ferenze dei prigionieri, e avete accettato con gioia la rapina dei vostri
beni, sapendo di avere una proprietà migliore e duratura. 35 Non per-
dete dunque la vostra fiducia alla quale è riservata una grande
ricompensa. 36 Vi è necessaria la costanza, per compiere la volontà
di Dio e conseguire la promessa. 37 Infatti «ancora un poco, ben poco
tempo: colui che deve venire verrà e non tarderà. 38 Ma il mio giusto
avrà la vita per la fede. Se invece si tira indietro, la mia anima non
si compiace in lui». 39 Noi però non apparteniamo a coloro che si 'ti-
rano indietro' e periscono, ma a coloro che 'credono' e salvano l'anima.
dele colui che aveva fatto la promessa. 12 Perciò da un solo uomo e sul
punto di morire nacquero discendenti «numerosi come le stelle del
cielo e come la sabbia sulla riva del mare, che nessuno può contare».
13 Nella fede sono morti tutti costoro, senza aver ricevuto l'oggetto
tuo nome», 19 perché pensava che Dio può anche risuscitare dai morti.
Percui lo riebbe anche come un simbolo. 20 Per la fede Isacco be-
nedisse Giacobbe e Esaù perfino riguardo al futuro. 21 Per la fede Gia-
cobbe morente benedisse ognuno dei figli di Giuseppe e si prosternò
appoggiato alla punta del suo «bastone». 22 Per la fede Giuseppe in
fin di vita evocò l'esodo dei figli d'Israele e diede istruzioni riguard0
alle sue ossa. 23 Per la fede Mosè, dopo la sua nascita, «fu tenuto na-
scosto per tre mesi» dai suoi genitori, perché «videro» che il bam-
bino era «bello», e non ebbero timore dell'ordine del re. 24 Per la fede
«Mosè, divenuto grande», rifiutò di essere chiamato figlio della figlia
del Faraone, 25 preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio
piuttosto che conoscere le gioie passeggere del peccato, 26 consideran-
do una ricchezza maggiore dei tesori dell'Egitto <:<l'obbrobrio» di Cri-
sto». Egli aveva, infatti, gli occhi fissi alla ricompensa. 27 Per la fede
lasciò l'Egitto senza temere il furore del re; come se vedesse colui
che è invisibile, egli perseverò. 28 Per la fede celebrò la <:<pasqua» e
l'aspersione con il <:<sangue», affinché <:<lo sterminatore» non toccasse
i loro primogeniti. 29 Per la fede essi attraversarono il Mar Rosso
come una terra asciutta. Ma quando gli Egiziani cercarono di farlo,
furono inghiottiti. 30 Per la fede caddero le mura di Gerico. dopo
essere state circondate per sette giorni. 31 Per la fede Raab, la prosti-
tuta, non morì con gli increduli perché aveva accolto pacificamente
gli esploratori. 32 E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se
volessi raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samue-
le e dei profeti, 33 che per la fede sottomisero regni, esercitarono la
giustizia, ottennero il compimento delle promesse, chiusero la bocca
ai leoni, 34 estinsero la violenza del fuoco, sfuggirono al taglio della
spada, trionfarono sulle malattie, divennero eroi in guerra, respin-
sero gli eserciti stranieri. 35 Alcune donne riebbero i loro morti per
Hebr. II,I-40
253
la risurrezione. Altri invece subirono la tortura, rifìutando la libera-
zione, per avere una migliore risurrezione. 36 Altri ancora subirono
la prova delle derisioni e delle battiture, e perfìno delle catene e del
carcere; 37 furono lapidati, segati, uccisi di spada; vagarono ramin-
ghi coperti di pelli di capre e di montoni, bisognosi, oppressi, mal-
trattati; 38 essi, di cui il mondo non era degno, erranti per i deserti,
le montagne, le caverne e gli antri della terra. 39 E tutti costoro, ben-
ché avessero ricevuto una buona testimonianza per la loro fede, non
ottennero i beni promessi, 40 perché Dio aveva previsto una sorte
migliore per noi: essi non dovevano giungere alla perfezione senza
di noi.
4-7. Gli esempi dei primi tempi del mondo riguardano Abe-
le, Enoc e Noè. Per nessuno di essi l'Antico Testamento par-
la di fede. Ad Abele, però, Dio rese testimonianza, in quanto
secondo Gen. 4A guardava con compiacimento i sacrifici che
La fede è l'elemento decisivo nel comportamento dei fedeli
paci per il breve tempo della nostra vita sulla terra, e quan-
tunque certamente qualche volta si sbagliassero. E non vo-
gliamo trarne le conseguenze per il comportamento da tenere
verso colui al quale non soltanto siamo debitori dell'esisten-
za corporale, come ai 'padri secondo la carne', ma che è anche
il 'padre degli spiriti', vale a dire l'origine ultima del nostro
essere spirituale, delle nostre anime? che non si sbaglia nella
scelta dei mezzi per educarci, ma opera veramente per il no-
stro meglio, in quanto persegue il fìne di renderci partecipi
della sua santità e di 'vivere', nel senso che questa parola me-
rita veramente di essere chiamata così, nel senso cioè della
vita eterna? Perché, se i cristiani sono stati già 'santifìcati'
con il sacrifìcio di Cristo ( 10,14.29 ), non lo sono stati per ri-
manere fermi nel loro comportamento morale, come erano
prima, ma anche praticamente per rimuovere i loro peccati e
diventare santi come è santo Dio. E se Dio si serve a tal :fine
del mezzo educativo delle sofferenze, ciò è certamente molto
scomodo per gli uomini, come lo è l'applicazione di ogni mez-
zo educativo, in quanto anche per i cristiani le sofferenze re-
stano tali; ma essi sanno anche apprezzarne il valore positi-
vo: esse sono il mezzo per portarci sempre più (come i frutti
che maturano a poco a poco) a corrispondere alle esigenze di
Dio. Questo è un frutto 'di pace'. La gioia interiore delFuo-
mo aumenta quanto più egli trova nel suo comportamento vo-
litivo la concordanza con la volontà di Dio.
Queste osservazioni sulle sofferenze dei lettori si riferisco-
no in primo luogo alle sofferenze causate dalle persecuzio-
ni alle quali sono sottoposti e che li demoralizzano; e tenen-
do conto di questo fatto già l'elencazione del cap. l r termina
con dei martiri sensazionali. E anche per questo motivo il
cap. 12 comincia con l'accenno all'esempio sublime di Cristo.
Ma queste osservazioni sono anche piene di profonda sag-
gezza e verità per ogni sofferenza umana; infatti per i cristia-
ni in ultima analisi tutto è sofferenza, anche ciò che non è oc-
casionato da un'umana ostilità religiosa, ed è una prova della
State in guardia affinché nessuno si sottragga alla grazia
loro fede. Perciò per essa vale sempre ciò che l'autore ha scrit-
to in principio: volgete lo sguardo a colui che ci ha precedu-
ti come guida della fede e l'ha sostenuta fìno alla meta: Gesù.
State in guardia affinché nessuno si sottragga alla grazia. Ultimi ammo-
nimenti sulla caduta irreparabile e sulle conseguenze fatali
( 12,12-29)
12 Perciò «rafforzate le mani cadenti e raddrizzate le ginocchia vacil-
zia di Dio e della salvezza (cfr. Is. 2); non dunque una zona
del terrore, ma una città accogliente, Gerusalemme, che lo
stesso Dio vivo ha edificato ( cfr. r r ,10 ), naturalmente nel
senso traslato di salvezza celeste (cfr. Gal. 4,26). Degli abi-
tanti della città celeste fanno parte le schiere festose degli
angeli (sul Sinai esse aumentavano ancora la paura, Deut. 33,
2 ); poi, anche se ancora in vita sulla terra ma già iscritti nei
libri del cielo come suoi abitanti (cfr. Le. l0,20; Phil. 4,3;
Apoc. 3,5; 20,12 ), tutti coloro che hanno ottenuto la primo-
genitura in quanto membri della comunità cristiana; poi
Dio stesso che con potere di giudice rende giustizia a tutti
gli oppressi (cfr. Ps. 68,6; Is. 30,18); e ancora le anime dei
giusti che sono già giunti alla meta, dei fedeli morti dell'epo-
ca precristiana (cfr.cap. II) e di quella cristiana; ma soprat-
tutto colui che li ha guidati alla meta (cfr. 10,14), il garante
della Nuova Alleanza, con il suo sangue destinato all'asper-
sione espiatoria, con il quale è entrato nel santuario celeste
per esercitarvi il suo mandato di sommo sacerdote (cfr. 9,12-
26). E questo sangue parla 'meglio' di quello di Abele.
Quello di Abele gridava vendetta ( cfr. r r ,4); il sangue di Ge-
sù, invece, grida perdono! Ma ora tutto dipende da come ci
si pone di fronte alla rivelazione, alla pienezza della salvezza
cristiana. Come si comportarono gli Israeliti? L'autore spiega
il ritirarsi timoroso del popolo come un segno di disobbe-
dienza, quantunque essi avessero detto a Mosè: «Parla tu con
noi, che ti ascolteremo; ma Dio non ci parli, ché non abbia-
mo a morire» (Ex. 20,19 ). La conseguenza di questo rifiuto
di Dio fu il tramonto nel deserto di quella generazione ( cfr.
3,7-19); eppure allora si trattava soltanto di una manifesta-
zione di Dio sulla terra, sul Sinai. Ma adesso egli parla dal
cielo, per mezzo del Figlio, che ci ha mandato di lassù (cfr. r,
2 ). Sarà quindi minore per noi la possibilità di evitare la pu-
nizione, se ci rifiutiamo di dargli scolta? Ciò che è in gioco
qui è il 'regno incrollabile', della cui venuta Dio stesso ha
parlato attraverso al profeta Aggeo. Quella parola è detta una
Hebr. 12,r2-29
273
promessa, quantunque l'autore l'interpreti come annuncio
della catastrofe cosmica della fine dei tempi, la cui misura
supera di gran lunga il terrore sul Sinai perché si estenderà
anche al cielo (cfr. r,rr s.). Ma Dio dice (e questo è decisivo
per l'autore) che ciò avverrà ancora una volta soltanto; ed è
questo il segno del regno incrollabile, del regno celeste della
pienezza che non passerà (cfr. Dan. 7,13), e che noi 'ricevia-
mo'. L'uso del presente da parte dell'autore serve ad espri-
mere il fatto che tale ricevimento è già sicuro, anche se futu-
ro. Ma questa prospettiva ci impegna alla gratitudine, che so-
la ci consente di servire Dio come a lui è gradito. Tutte le e-
sortazioni che si possono fare ai cristiani si riassumono in
questa: siate riconoscenti. L'etica della Lettera agli Ebrei ha
un titolo: «Della gratitudine». Essa naturalmente non signi-
fica confidenza, che anzi non si addice di fronte alla santità
maiestatica, che è uno dei caratteri essenziali del concetto di
Dio, tanto di quello cristiano quanto di quello veterotesta-
mentario (cfr. Deut. 4,24). La coscienza di ciò pervade tutte
le esortazioni della nostra Lettera, cui conferisce la loro so-
lenne severità.
EPILOGO
ESORTAZIONI PARTICOLARI
E CONCLUSIONE PERSONALE
(cap. 13)
grazie ad essa alcuni senza saperlo hanno ospitato degli angeli. 3 Ri-
cordatevi dei carcerati, come se foste carcerati con loro, e di coloro
che sono maltrattati, essendo anche voi ancora in un corpo. 4 Il ma-
trimonio sia onorato da tutti e il letto coniugale sia senza macchia.
Dio giudicherà fornicatori e adulteri. 5 La vostra condotta sia senza
avarizia, contentandovi di ciò che avete oggi: egli stesso infatti ha
detto: «Non ti lascerò né ti abbandonerò». 6 Onde possiamo dire fidu-
ciosi: «li Signore è il mio aiuto; non avrò timore. Cosa potrà farmi
un uomo?». 7 Ricordatevi dei vostri capi che vi hanno esposto la parola
di Dio, e considerando l'esito della loro condotta imitatene la fede.
8 Gesù Cristo è lo stesso ieri ed oggi e in eterno. 9 Non lasciatevi
non può aver parte con Gesù; nella storia della salvezza il suo
culto è stato sostituito dal sacrificio di Gesù. Il paragone non
è naturalmente del tutto esatto; gli animali destinati al sacri-
ficio erano immolati nel Tempio, ed il loro sangue vi era
sparso ad espiazione. Soltanto le carni degli animali morti e-
rano buttate fuori. Al contrario Gesù ha patito ed è morto
'fuori dalla porta'. Inoltre il parallelo non è esatto anche
perché nessuno poteva mangiare delle carni sacrificate nel
giorno dell'espiazione, mentre qui è dato per ammesso che i
cristiani 'mangiano di questo altare'. Ma l'autore passa sopra
a queste inesattezze, proprie di ogni paragone; a lui interessa
soltanto un punto: che il luogo del supplizio di Gesù è situa-
to fuori della porta (cfr. Io. 19,20; Mt. 21,39); coloro i quali
servono nella tenda, vale a dire la comunità cultuale giudaica,
con questo atto hanno mostrato che tra loro e la vitti-
ma espiatrice del Nuovo Testamento non c'è alcuna comu-
nione. L'invito a 'uscire dall'accampamento incontro a lui'
non può perciò significare altro che dev'essere compiuta la
separazione dalla comunità cultuale giudaica, le sue idee e le
sue forme religiose di vita. Il pericolo che viene alla comuni-
tà cristiana dal giudaismo definisce la concreta situazione pa-
storale della Lettera; la separazione dev'essere netta e chiara.
Se poi si è irrisi, ci si fa partecipi dell'obbrobrio di Cristo, co-
me l'ha già fatto Mosè (cfr. u,26). Ma che importa? Su que-
sta terra i cristiani sono pellegrini senza patria, come i pa-
triarchi dell'Antica Alleanza ( cfr. l l ,9-14) e come i patriarchi
indirizzano la loro attesa alla città futura, alla Gerusalemme
che è in alto (Gal. 4,26). Ma se debbono separarsi dalla co-
munità cultuale giudaica, hanno però anche la possibilità e il
dovere di offrire sacrifici a Dio; e l'autore sprona a farlo an-
che se stesso, insieme ai suoi lettori. Questo sacrificio cristia-
no è di due generi. Anzi tutto si tratta di un 'sacrificio di
lode', che non consiste però, come il sacrificio di lode del cul-
to veterotestamentario, in doni commestibili (Lev. 7 ,II ss.),
bensì nella lode del suo nome, che già Osea ( 14,3 LXX) chia-
280 Conclusione personale
mezzo di Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
22Vi prego, fratelli, fate buona accoglienza a questa parola di esor-
tazione. Vi ho scritto infatti in breve. 23 Sappiate che il nostro fra-
tello Timoteo è stato liberato. Se arriverà abbastanza presto, verrò
da voi insieme a lui. 24 Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi
salutano quelli d'Italia. 25 La grazia sia con tutti voi.
Abramo: Hebr. 6,13 ss.; 7,1-IO; u,8 ss. Barnaba: Intr. Hebr.
17-19 battesimo: I Tim. 4,4; 2 Tim. 2,u.18;
alleanza, antica e nuova: Hebr. 7,7.8.20 Tit. 2,12; 3,5 ss.; Hebr. 6,I.2.4; IO,
ss.; 8,6 ss.; 9,I0.15.16 ss. 23 ss.; IO, 22.32
15-18; 13,21 benedizione [augurio di] (triplice): I
amore: I Tim. 6,u, 2 Tim. 2,23 s.; Tim. 1,2; 2 Tim. l,16-18
Hebr. I0,24. - per i fratelli: I Tim.
6,2; 13,I. - di Gesù (Cristo): Hebr. Carne: I Tim. 3,16 'L'inno a Cristo';
2,u.16-18 Hebr. 2,14.15
angeli [dottrina sugli]: Hebr. 1,3.5-14. casa ( = comunità): Hebr. 3,3 ss.14; IO,
5b.6.14; 2,1 ss. 5.16-18 21
anziani, gli (designazione di età e di chiesa, disciplina della - : I Tim. 1,
ministero): I Tim. 5,17-25; 5,17 ss.; 20; 5,19 ss.; Tit. 3,19. guida ddla
Tit. 1,5 - : Intr. I Tim. 4,12-6,2
apostasia dalla fede: I Tim. 4,1 s.; 6,3 città, futura: Hebr. II,IO
ss. IO; 2 Tim. 2,12; Hebr. 3,I0.1I.12. compimento: Intr. Hebr.; Hebr. 7,7.8.
15-19; 6,4.6 ss.; I0,26 ss.; 12.4-12 ss. 11,12.18.19. - del mondo: I Tim. 1,
apparizione di Gesù Cristo: 2 Tim. 1,9 I.17
ascesi: I Tim. 4,2 ss. 7 ss. comunità (di Dio): I Tim. 5,1.2; Hebr.
attesa della fine [giudizio universale]: 4,9. assemblea della - : Hebr. IO,
I Tim. 4,1; 6,14 s.; 2 Tim. l,IO «Ge- 25. esclusione dalla ,.., : I Tim. 1,20;
sù Cristo, nostro Salvatore»; 2,IO; Tit. 3,IO. guida della - : I Tim. 3,1-
3,1 ss.; Hebr. l,I.2a; I0,25; 12,26.27 7; 3,1 ss.; Tit. l,5 ss. ordinamento
autorità~ Stato della ,.., : Intr. Tim. e Tit. nr. 5;
avarizia: Hebr. 13,5 Intr. r Tim. 2,1-3,16; I Tim. 3,15
286 Indice analitico
confessione (~ fede): I Tim. 2,5; 3, (=Cristo): Hebr. l,r.2a.5-14.5 ss. 14;
16 'L'inno a Cristo'; 6,13 s.; Hebr. 2,1ss.5ss.8c; 3,5; 5,4.8; 7,28; 10,29
10,23; 12,4. - di Cristo: 2 Tim. r, Filone di Alessandria: I Tim. l,4;
7 s.; 2,1 ss. 8; Intr. Hebr. 3,1 Hebr. l,3; 4,13; 6,16-18; 7,1-10;
conversione: Hebr. 10,30.32 Hebr. 8,5
coscienza: I Tim. 1,19; 2 Tim. 2,22 futuro (attesa del) ~ attesa della fine
costanza: Hebr. 10,35.38 s.
creazione [ordine della]: I Tim. 4,3 s.;
Gara (corsa): Hebr. 12,1ss.12.13
Hebr. 3,3.4; n,rb.3
cristologia: I Tim. 3,16 'L'inno a Cristo' garante: Hebr. 8,6
croce di Cristo: 2 Tim. 2,18; Hebr. 12, genealogie (elenco delle generazioni):
I Tim. 1,4
2; 13,10
culto ~ liturgia sacrificale. - dell'im- Gerusalemme: Hebr. n,10; 12,22.
peratore (~ imperatore). del celeste: Hebr. 13,14
Tempio (~ Tempio) giudizio di Dio: Hebr. 6,1.2.7.8; ro,
cupidigia: 2 Tim. 2,22; Tit. 2,12; 3,3 25.26 ss. - universale~ attesa della
fine
Decima (riscossione della - , diritto giuramento: Hebr. 6,13 ss.; 7,23-25;
8,6
alla - ): Hebr. 7,5
demoni: I Tim. 4,1 s. giustificazione: I Tim. 3,16 'L'inno a
denaro [avidità di]: r Tim. 6,6 ss. 17 Cristo'; Hebr. 10,38
diacono (ministero diaconale): I Tim. giustlZla: 2 Tim. 4,8; Tit. 3,7; Hebr.
3,8 ss.; 5,3 n,7. - di Dio: Hebr. 6,10
donne (nel servizio liturgico): I Tim. gloria: I Tim. 3,16 'L'inno a Cristo';
2,9 ss.; 3,n; Tit. 2,3 ss. Hebr. 2,9
dualismo, ellenistico: I Tim. 4A glorificazione: I Tim. 3,16 'L'inno a
Cristo'; Hebr. l,2b.3. - di Gesù:
Eresia [eretici]: I Tim. l,3 ss. n; 2, Hebr. r,8.9; 2,9; 8,r.2; 9,23 ss.; 12,
15; Intr. 4,1-n; 4,r ss. 7; 5,23; 6,3 2; 13,21
ss. 20 s.; 2 Tim. 2,14 ss. 26; 3,6 ss.; gnosi, gnostici: I Tim. 4,;; 6,20 s.; 2
4,3.4; Tit. l,10 ss.; 3,9 ss. Tim. 2,16 ss. 26; 3,6 ss.; 4,3.4; Tit.
espiazione (mezzo di - , sacrificio di 1,14 ss.; 3,9 ss.; Intr. Hebr. 7,1 ss.
- ): r Tim. 2,6; Intr. Hebr.; Hebr. Golgotha: Hebr. 13,12
9,7 ss. rrb.12.22; 10,19.26 gratitudine: Hebr. 12,28
etica, cristiano: Tit. 2,12 grazia: I Tim. 6,21; 2 Tim. 2,r; Hebr.
4,16; 13,25. - di Dio: 2 Tim. 1,9;
Favole: I Tim. I,4; 4,7 Tit. 2,rr ss.; 3,3; Hebr. 2,9; 13,9. ,._,
e peccato~
fede: Intr. Tim. e Tit. nr. 6; I Tim.
1,19; 6,n; 2 Tim. l,5; 3,15; Hebr.
4,1 ss.; 6,r.2.12; lo,22 s. 38 s.; II,I Imperatore (culto dell'): 2 Tim. l,IO
ss.; r2 . 2. battaglia della - : I Tim. 'Gesù Cristo, nostro Salvatore'
6.12. confess'one della - : 2 Tim. impudicizia: Hebr. 13,4
4,1; l-lebr.3,1 incredulità: Hebr. 3,12.15-19
fedeltà di Dio e di Cristo: 2 Tim. 2,13; inno: r Tim. 3,16 'L'inno a Cristo'; 6,
l-lebr. 10.23 15 s.
fiducia: Hebr. n,ra.2 insegnamento, istruzione: I Tim. 4,13
Figlio dell'uomo: Hebr. 2,6. - di Dio inte-_·cessione: I Ti111. 2,1 ss.; 4,14 'L'or-
Indice analitico
Indicazioni bibliografiche
I saluti ( 1,1-2)
Parte prima
Difesa dai dottori della legge (1,3-20)
r. Timoteo deve affrontare gli eretici dottori della legge (1,3-u) 29
2. L'esaltazione della misericordia di Gesù Cristo (r,12-17) 32
3. Combatti la buona battaglia (r,18-20) ............ 35
Parte seconda
L'ordinamento della comunità (2,1-3,16)
Parte quarta
Istruzioni a Timoteo per la guida della chiesa (4,12-6,2)
Parte quinta
L'errato e il giusto atteggiamento verso il denaro (6,3-19)
L'indirizzo (1,1-2) 85
I. Esortazione a professare impavidamente la fede (r,3-2,13) 85
I. Rendimento di grazie (r,3-5) . . . . . ............ 85
2. Si deve rendere testimonianza senza paura ( r ,6-14) 85
3. Dolorose esperienze dell'Apostolo, ma anche una esperienza di
fedeltà ( I 'I 5- I 8 ) ....... 9I
4. Sii mio compagno nel dolore (z,r-7) 92
5. La comunione con Cristo nel dolore (2,8-13) 93
II. I settari (2,14-4,8) 96
r. Nessuna discussione inutile ( 2, 14-2 r) ........ 96
2. La via giusta per la conversione degli erranti (2,22-26) 100
3. La degenerazione degli ultimi giorni (3,1-9) . . . . . . . . 101
4. La retta via nella sequela dell'Apostolo (3,10-17) .......... 104
5. Esercita fedelmente il tuo ministero: il mio tempo sta per finire
(4,l-8) .................... ....... 107
III. La situazione personale dell'Apostolo (4,9-r8) 109
Finale della lettera (4,19-22) . . . . . . . . . . . . . . . . . l r3
Indice generale 295
LA LETTERA A TITO
ANTICO TESTAMENTO
NUOVO TESTAMENTO
r. Karl Priimm
Il messaggio della lettera ai Romani
pp. 214, L. r.500
2. J oachim J eremias
Gli agrapha di Gesù
Esaurito
3. Joachim Jeremias
Le parabole di Gesù
seconda edizione italiana riveduta
pp. 304, L. 3.500
4. J. Schildenberger
Realtà storica e generi letterari nell' A. T.
pp. 220, L. 2.000
5. Pietro Dacquino
Bibbia e tradizione
pp. 80, L. 500
6. Tosef Blinzler
Il processo di Gesù
pp. 480, L. 5.000
9. Hugo Rahner
L'homo ludens
pp. 96, L. I.000
10. W. Knevels
Dio è realtà
pp. 308, L. 3.000
Heinrich Schlier
La lettera agli Efesini
traduzione di O. Soffritti
seconda edizione riveduta
pp. 520, L. 7.000
Come protestante ho letto con gioia e insieme con dispiacere il com-
mento di Heinrich Schlier alla Lettera agli Efesini, commento origina-
riamente destinato alla collana del Commentario (protestante) del Me-
yer. Frutto di un lavoro decennale, esso va senza dubbio annoverato
fra i più importanti commenti del nostro secolo e anche per i futuri
esegeti della Lettera agli Ef esini costituirà un limite non facilmente
superabile. ERNST Kii.SEMANN
« Theologische Literaturzeitung»
Joachim Jeremias
Le parabole di Gesù
seconda edizione italiana riveduta
pp. 304, L. 3.500
Rielaborazione accurata di un'opera che è già alla sua sesta edizione.
E davvero essa meritava il successo: tanto è illuminante la descrizio-
ne del contesto cultuale e religioso da cui le parabole evangeliche si
deducono; tanto è sicura l'interpretazione del loro messaggio.
«Il Regno», maggio 1967