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collana .

Testi e commenti

GIANFRANCO RAVASI, Il Libro dei Salmi 1; Salmi 1-50


GIANFRANCO RAVASI, 1/ Libro dei Salmi 2. Salmi 51-100
GIANFRANCO RAVASI, Il Libro dei Salmi 3. Salmi 101-150
GIANFRANCO RAVASI, Il Cantico dei cantici. Commento e attualizzazione
HoRACIO SIMIAN-YOFRE, Il deserto degli dèi. Teologia e storia nel libro di Osea
DANIEL LIFSCHITZ, È tempo di cantare. Il grande Salterio. Volume l/a (Salmi 1-50)
DANIEL LIFSCHITZ, È tempo di cantare. Il grande Salterio. Volume 1/b (Salmi 1-50)
DANIEL LIFSCHITZ, È tempo di cantare. Il grande Salterio. Volume Il/a (Salmi 51-1 00)
DANIEL LIFSCHITZ, _È tempo di cantare. Il grande Salterio. Volume 11/b (Salmi 51-1 00)
YvEs SIMOENS, Secondo Giovanni. Una traduzione e un'interpretazione
YvEs SIMOENS, Entrare nell'alleanza. Un'introduzione al Nuovo Testamento
MARIA-LUISA RIGATO, Giovanni: l'enigma il Presbitero il culto il Tempio la cristologia
ANDRÉ WÉNIN, Giuseppe o l'invenzione della· fratellanza
Lettura narrativa e antropologica della Genesi. IV. Gen 37-50
.GIUSEPPE BARBAGLIO - LUIGI COMMISSARI, l Salmi: testo poetico esistenza vissuta
ANDRÉ WÉNIN, Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo
Lettura narrativa e antropologica della Genesi. l. Gen 1,1-12,4
UGo VANNI, Apocalisse, libro della Rivelazione.
Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali
JOHANNES BEUTLER, Le Lettere di Giovanni. Introduzione, versione e commento
YvEs S!MOENS, Apocalisse di Giovanni Apocalisse di Gesù Cristo.
Una traduzione e un'interpretazione
Manuale di esegesi dell'Antico Testamento,
a cura di MICHAELA BAUKS - CHRISTOPHE NIHAN
a cura di
· Michaela Bauks - Christophe Nihan

Manuale di esegesi
dell'Antico Testamento

. ' .

·~·
Titolo originale: Manuel d'exégèse de l' Ancien Testament

Traduzione dal francese: Fabrizio Ficco

i,

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale

© 2008 Editions Labor et Fides, Genève

© 2010 Centro editoriale dehoniano


via N osadella, 6 - 40123 Bologna
www.dehoniane.it
EDB®

!
l.
"ISBN 978-88-10-20657-7

Stampa: Italiatipolitografia, Ferrara 2010


PRESENTAZIONE
DELL'EDIZIONE ITALIANA

Non immaginiamo l'esegeta senza il libro -la Bibbia- da cui apprende tutto.
Ma gli è molto utile avere anche a portata di mano una «cassetta degli attrezzi» co-
me questo manuale. Le «cassette degli attrezzi», si sa, possono aprirsi in maniera
più o meno ampia, e presentare all'operaio o all'artigiano degli strumenti. di tipo
molto diverso. In ambito esegetico, esistono, in italiano, delle introduzioni metodo-
logiche ben fatte e di formato differente. 1 Questo Manuale di esegesi dell'Antico
Testamento possiede come caratteristica propria di iniziare ai binari classici dell'e-
segesi - critica testuale, critica delle forme, storia delle tradizioni e critica della re-
dazione - rivelandone gli sviluppi recenti. La prima e l'ultima di queste discipline,
in particolare, hanno conosciuto delle trasformazioni importanti negli ultimi de-
cenni. Peraltro, ed è questa una delle svolte significative dell'esegesi del XXI sec.,
queste discipline classiche, incentrate sullo sviluppo diacronico dei testi scritturisti-
ci, sono ormai in dialogo con gli approcci detti sincronici, illustrati in questo volu-
me mediante l'approccio narrativo.

Si potrebbe obiettare: la·tnessa in atto dei metodi presentati non è di compe-


tenza esclusiva degli specialisti? Ciò è vero solo in parte. Gli specialisti di oggi so-
no stati gli studenti di ieri, e tutti insieme - studenti, ricercatori, insegnanti - sono
molto avvantaggiati quando una disciplina sceglie di rivelare il suo gioco. Se la Bib-
bia è «essoterica» (si tratta proprio del contrario di «esoterica»), l'esegesi lo è al-
trettanto, e questo libro è al medesimo tempo un lucernario, che permette di ve-
dere gli specialisti a lavoro, e un kit di sapienza pratica trasmessa a una nuova ge-
nerazione di compagni esegeti. ·

Questo manuale è nato sulle rive del lago Lemano; gli autori provengono da
istituzioni accademiche situate in Svizzera, in Germania, in Francia, in Belgio e in
Italia. In questo senso, ed anche in ragione della sua sensibilità alla storia dell'ese-
gesi, potrebbe dirsi «europeo». È un bene che passi a sud delle Alpi, andando in-
contro a una tradizione esegetica particolarmente viva.

JEAN-PIERRE SONNET, S.J.

1 Segnaliamo in particolare, dello stesso editore, H. SIMIAN-YOFRE (a cura di), Metodologia del-
l'Antico Testamento, Studi biblici 25, EDB, Bologna 1994.

5
;,,
:·,
ABBREVIAZIONI

AB Anchor Bible
ADPV Abhandlungen des Deutschen PaHistina-Vereins
AnBib Anacleta Biblica
AS ' Assyriological studies
AT Ancien Testament
ATD Das Alte Testament Deutsch
BEThL Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium
BH Biblia hebraica
BHQ Biblia hebraica quinta
BHS . Biblia hebraica stllttgartensia
BK.AT Biblischer Kommentar Altes Testament
BWANT Beitdige zur Wissenschaft von Alten und Neuen Testament
BZAW Beihefte zur Zeitschrift ftir die alttestamentliche Wissenschaft
BZABR Beihefte zur Zeitschrift flir Altorientalische und Biblische
Rechtsgeschichte
Codex L · Codex Leningradensis (di Leningrado)
D Deuteronomio ·
dtr deuteronomista
FAT Forschungen zum Alten Testament
FOTL The Forms of the Old Testament Literature
FRLANT Forschungen zur Religion und Literatur des Alten un d N eu e n
Testaments
H «Codice di santità»
-HBS Herder biblische Studien
HUBP Hebrew University Bible ProJect
J Yawista
JE Documento jehovista
JPS Jewish Publication Society
JSOT Journal for the Study of the Old Testament
KTU Keilschrifttexe aus U garit
LAPO Littératures anciennes du Proche-Orient
LD Lectio Divina
LXX Settanta
NCBC The New Century Bible Commentary
OBO Orbis Biblicus et Orientalis
OHB Oxford Hebrew Bible

7
OTL Old Testament Library
p Documento sacerdotale
(:
Sam Pentateuco Samaritano
SBL. DS Society of Biblica! Literature. Dissertation Series
SBL.MS- . Society of Biblica! Literature. Monograph Series
SBL. SCS Society of Biblica! Literature. Septuagint and cognate studies
SBL. SS Society of Biblica! Lite:rature. Symposium Series
SBS Stuttgarter Bibelstudien
SD Storia deuteronomista
SVT Supplements to Vetus Testamentum
1!.
TCRPOGA Tnl.vaux du Centre de Recherche sur le Proche-Orient et la
Grèce Antiques
Tg Targum
THAT Theologisches Handworterbuch zum Alten Testament (ed. E.
''
Jenni et Westermann)
ThZ Theologische Zeitschrift
li;
TM Testo Masoretico
TO Targum Onkelos
ThWAT Theologisches Worterbuch zum Alten Testament (ed. G.J. Bot-
terweck, J. Ringgren et H.-J. Fabry)
ThWNT Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament (ed. G. Kit-
tel, G. Friedrich)
.UT · The Ugaritic Textbook (ed. C. Gordon)
UTB Uni-Taschenbiicher
v Vulgata
VTS Vetus Testamentum Supplements
WMANT Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testa-
ment

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PREFAZIONE

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Perché un manuale di esegesi dell'Antico Testamento? Sebbene sia attual-


mente assente dagli scaffali delle librerie francofone, questo genere di opera me-
todologica è indispensabile per l'esegesi biblica. 1
Questo libro è indirizzato prioritariamente agli studenti indotti a lavorare sul-
la Bibbia ebraica, l'Antico Testamento dei cristiani, e, più in generale, a tutte le per-
sone interessate dallo studio critico della Bibbia.
Senza pretendere di esaurire le questioni di cui si tratta, questo manuale mi-
ra a offrire. ai suoi lettori un panorama più ampio possibile, passando in rassegna i
metodi più riconosciuti oggi e presentandoli nei loro sviluppi recenti. Per forza di
cose, questa presentazione approderà solo lateralmente alle questioni che appar-
tengono di fatto all'introduzione generale all'Antico Testamento (il canone; la sto-
ria del testo; gli ambienti di produzione). Tuttavia non è lo scopo principale di un
manuale di questo tipo approfondire tali questioni; su questi punti, ci permettiamo
di rinviare il lettore alle opere disponibili. 2
Quali sono le tappe da seguire per analizzare e interpretare un testo vetero-
testamentario? Da quasi centocinquant'anni, la gamma di operazioni del metodo
critico ha conosciuto uno sviluppo importante e si è considerevolmente differen-
ziata. Questo metodo si basa sull'idea per cui il testo biblico non appartiene alla
letteratura d'autore ma alla letteratura di tradizione, che esige una considerazione
storica a lunga portata, che inglobi vari secoli, come anche delle considerazioni let-
terarie appropriate. Questa comprensione dei testi biblici ne complica la lettura
sotto molti punti di vista, ma conferisce loro, si vedrà, anche un rilievo tra i più si-
gnificativi.
Nel suo scopo d'insieme, questo manuale si dedica da una parte alla presen-
tazione dei principali metodi, che si sono sviluppati nel quadro dello studio critico
della Bibbia; d'altra parte, intende iniziare il lettore in una forma molto concreta
all'applicazione di tali metodi, guidandolo passo passo.

1 L'ultima opera di questo genere in lingua francese è P. GUILLEMOTTE - M. BRISEBOIS, Intro-


duction aux méthodes historico-critiques, Québec 1987. Il testo è stato tradotto in italiano: Introduzione
ai metodi storico-critici, Roma 1990. In realtà in italiano possediamo un'opera più recente e significati-
va: H. SIMIAN-YOFRE (ed.), Metodologia dell'Antico Testamento (Studi biblici 25), Bologna 1994; 42009.
2 Ad es. T. RbMER -J.-D. MACCHI- C. NIHAN (edd.),Introduction à l'Aneien Testament, Labor & .
Fides, Gèneve 2004; l'opera esiste anche in italiano: Guida di lettura dell'Antico Testamento, Bologna
woo. .
9
Il testo della Bibbia e le sue varianti

I fenomeni propri della letteratura di tradizione, nondimeno, possiedono del-


le analogie nella letteratura d'autore. I romanzi di Marcel Proust, per esempio, so-
no molto conosciuti per aver dato origine a un processo complesso: l'autore ag-
giungeva al manoscritto dei suoi romanzi delle pagine sulle quali notava delle va-
rianti, che toccavano sia la lingua come la stessa trama. Dunque viene sollevata una
questione: quale variante costituisce, in fin dei conti, il testo da leggere e da stam-
pare?. Che posto e che significato accordare alle altre versioni che non appaiono
nel libro stampato, ma che sono malgrado tutto in nostro possesso? Sotto certi pun-.
ti di vista, la situazione è paragonabile al quadro dell'Antico Testamento, di cui
possediamo una grande varietà di forme testuali. È possibile che un unico e mede-
simo testo sia stato trasmesso in differenti manoscritti, ma questi talvolta fanno
emergere delle tradizioni differenti. Poiché i manoscritti sono datati per la stra-
grande maggioranza nella nostra era e non nell'era precristiana, spesso non è sem-
plice determinare. quale sia la variante originale; allo stesso modo, spesso non è
possibile contare su un testò unico di partenza. A ciò si aggiungono le traduzioni
antiche, che fanno ugualmente emergere numerose varianti in relazione ai testi
ebraici di cui disponiamo. 3
Tuttavia, nel caso dell'Antico Testamento il problema si pone in maniera ben
più radicale, nella misura in cui i libri veterotestamentari non sono, in generale,
opera di un autore unico e identificabile, ma una letteratura di tradizione. Così, cer-
te tradizioni dell'Antico Testamento sono apparentemente trasmesse a più riprese,
per esempio il rapimento dell'antenata (Gen 12; 20; 26) o l'inseguimento di Davi-
de da parte di Saul (1Sam 24; 26). La stessa storia, situata talvolta in un contesto
differentè, sembra così che sia raccontata più volte. È probabile che queste storie
abbiano conosciuto una preistoria orale, che potrebbe spiegare certe varianti, la cui
ricostruzione tuttavia è strettamente ipotetica. Degli altri testi sono riprodotti in-
tenzionalmente in posti differenti (ad es. il notevole parallelismo tra 2Re 18-20 e
Is 36-39); sembra che delle informazioni ritenute mancanti siano state aggiunte,
dopo esser state prese da un materiale presente in un testo più antico già conser-
vato nell'Antico Testamento. ·

La Bibbia e il canone

L'Antico Testamento, quindi, non è un'opera letteraria composta di getto nel-


la forma in cui la conosciamo, ma una collezione, una biblioteca (ta biblia = «i li-
bri») di testi letterari molto differenti, che «Sono stati deliberatamente riuniti e pre-
sentati a una data comunità come un "canone"», vale a dire come una collezione

3 Cf. ad es. A. SCHENKER- P. Huoo (edd.), L'enfance de la Bible hébrai"que. Histoire du texte de
l'Ancien Testament à la lumière des recherches récentes, Genève 2005.

10
«normativa» destinata a «una comunità religiosa, etnica o culturale che sia pronta
a riconoscerli come tali». 4
Questa biblioteca non ha conosciuto solamente un tempo di collezione e di ri-
maneggiamento dei testi. Ha conosciuto, prima della sua prima redazione lettera-
ria, tutta una storia di trasmissione orale. Si deve riconoscere questo dato, assieme
a un principio, che si pone come punto di partenza della ricerca critica: ogni tappa
della genesi di un testo, prima che quest'ultimo riceva uno statuto canonico, ha la-
sciato delle tracce nel testo stesso. Queste tracce sono importanti per comprende-
re il contesto culturale e religioso nel quale l'Antico Testamento è venuto alla lu-
ce. Ma esse sono ugualmente importanti per la storia della trasmissione dell' Anti-
co Testamento, poiché sono specialmente queste tracce che permettono all'esegeta
di ricostruire le principali tappe della formazione di un testo o di una raccolta. An-
che se è assolutamente ipotetico, se non impossibile, identificare e ricostruire con ·
certezza tutte le tappe che un testo ha percorso, è assolutamente indispensabile al-
la comprensione di un testo tener conto del fatto che molteplici voci e molteplici
stili hanno .contribuito a dargli il suo profilo attuale. I differenti metodi utilizzati
per l'analisi dei testi dal punto di vista della loro forma e del loro contenuto, dal
punto di vista della loro genesi e della storia della loro redazione offrono così un
catalogo di criteri scientificamente provati, che si sforza inoltre di integrare all'in-
terno del metodo storico-critico classico vari aspetti delle scienze letterarie mo-
derne.

L'Antico Testamento
·tra letteratura antica ed esegesi moderna

Negli ultimi anni, è divenuto sempre più evidente come l'analisi e l'interpre-
tazione di ogni testo biblico abbia la necessità di criteri specifici. In effetti, l'inter-
pretazione dei testi biblici implica anzitutto di comprendere e di rispettare la sin-
golarità del testo o della raccolta; è solo su questa base che diviene possibile even-
tualmente dibattere del loro radicamento storico sociale o della storia della loro
formazione. Le differenze tra la maniera in ·cui ci si accosta ai testi biblici e quella
in cui ci si accosta alla letteratura moderna non riguardano solamente l'aspetto del
canone o la storia, spesso complessa, della redazione, ma anche le convenzioni pro-
prie a ogni testo.5 L'analisi dei testi antichi deve necessariamente far giocare dei
criteri che sono loro propri, criteri che devono essere determinati in funzione del-
le particolarità di una tale letteratura antica, e, nel caso che ci inter~ssa, delle par-
ticolarità della letteratura biblica. La posta in gioco ermeneutica per l'esegeta è in
fin dei conti quella di pervenire a creare un legame tra il testo nel suo contesto di
origine e la lettura che ne facciamo oggi.

4 Cf. A. DE PURY, «Il canone dell'Antico Testamento», in RùMER- MACCHI- NIHAN (edd.), Gui-
da di lettura dell'Antico Testamento, Bologna 2007, 13-32.
5 Cf. ad es. J.-L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l'interpretazione dei pri-
mi cinque libri della Bibbia (Collana Biblica), Bologna 2000.

11
Dalla teoria alla pratica

Gli autori di ogni capitolo presentano l'aspetto del metodo che hanno avuto
l'occasione di mettere in atto nei loro lavori. Il lettore troverà alla fine del libro un
«esercizio» di esegesi applicata al testo di Nm 12. Questa esegesi si propone di far
intervenire le differenti tappe metodologiche presentate nell'opera, e permette co-
sì al lettore di assistere alla loro combinazione. Inoltre, gli stessi capitoli teorici si
riferiscono regolarmente al testo di Nm 12, traendo da questo testo degli esempi,
in maniera tale che l'apprendimento teorico é l'apprendimento pratico si realizzi-
no in parallelo.

L'ordine dei capitoli

Si può evidenziare che è difficile dire dove si arresti la storia della redazione,
che conduce al testo canonico, e dove cominci la storia del testo o quella della sua
interpretazione come testo comunitario («storia della recezione; storia degli effet-
ti»). In questo manuale, sono la critica testuale e la critica redazionale ad aprire e
chiudere la presentazione delle differenti tappe applicate al testo. Quest'ordine
adotta una delle sequenze possibili della ricerca esegetica, ma sottolineiamo sin
d'ora che quest'ordine non è in alcun modo esclusivo: se si esclude senza dubbio la
tappa della critica testuale, le tappe che percorre l'esegeta possono articolarsi con
degli ordini differenti, in funzione della finalità data all'atto interpretativo. Nell'a-
nalisi di Nm 12 che si trova alla fine di quest'opera (c. 5), quest'ordine, d'altronde,
è stato leggermente modificato.
Il capitolo sulla storia del testo (J. Joosten) manifesta ciò che ha di proble-
matico il testo alla base della ricerca. Se questo testo è stato per un tempo consi-
derato come evidente .in seguito all'edizione della Bibbia ebraica sulla bàs.~ di un
solo manoscritto del medioevo, l'edizione critica di altri manoscritti e lo studio del-
,
le traduzioni antiche hanno mostrato che le cose sono più complesse di quanto non
apparissero. Iniziare lo studente all'aspetto problematico della nozione di «testo
originale» è quindi uno degli obiettivi di questo studio. D'altronde, poiché la Bib-
bia ebraica edita dalla Deutsche Bibelgesellschaft a Stuttgart (BHS) presenta un
apparato critico, che propone delle altre letture specialmente quando alcuni passi
si rivelano incomprensibili (e un tale apparato si annuncia ancora più ricco nella
Biblia hebraica quinta [BHQ] in corso di pubblicazione), tale iniziazione vuole per-
mettere un uso appropriato della critica testuale. Un'ultima preoccupazione è infi-
ne quella di mostrare che la storia del testo è sempre legata alla storia dell'esege-
si, la cui funzione primaria è di segnalare i passi difficili del testo e di presentare
degli elementi di soluzione per l'interpretazione.
A questo studio segue un'iniziazione all'esegesi detta sincronica, 6 in questo
caso narrativa, in quanto il modo narrativo rappresenta la modalità maggiore del-

6 Nell'uso che se ne fa in questo manuale, l'aggettivo «sincronico» è utilizzato in riferimento allo


stato del testo - e alla sua coerenza - in un momento definito della sua storia redazionale, e special-

12
la comunicazione biblica (J.-P. Sonnet).Ai risultati della ricerca sulla qualità del te-
sto fa così seguito la ricerca sull'arte della sua composizione, secondo dei principi
che rientrano sia nel campo della narratività generale che della narratività biblica. ·
Se il capitolo si focalizza sull'arte narrativa della Bibbia, tratta ugualmente certe
questioni metodologiche complementari - legate al discorso poetico, alle strutture
di composizione e all'implicazione del lettore.
Questo capitolo avrebbe potuto figurare alla fine dell'opera, poiché la «lettu-
ra ravvicinata» (close reading) del testo nella sua forma canonica -la sola che non
sia ipotetica - può davvero costituire il momento conclusivo della ricerca esegeti-
ca (nel suo versante ermeneutico), al termine di un esame della storia del testo, del-
la storia delle sue forme e della storia della sua redazione. Cosciente della genesi
complessa di un testo, l'esegeta è allora ancor più sensibile alParte dei redattori fi-
nali: questi ultimi hanno combinato un materiale composito in una macronarra-
. zione che possiede dei poderosi effetti letterari e teologici. ·
Il terzo capitolo (M. Bauks) esamina gli aspetti dell'analisi delle forme e dei
generi letterari, così come la questione della storia della tradizione. Un tale studio
passa per una pr~sa in considerazione delle forme di espressione tipiche e dei ge-
neri letterari della letteratura ebraica; essa implica anche delle riflessioni sulla sto-
ria dei motivi che entrano nel campo delle tradizioni bibliche e sulle correnti teo-
logiche, così come possono essere identificate nell'Antico Testamento grazie al les-
sico, alla semantica e alla presenza di pattern convenzionali.
Il quarto capitolo (C. Nihan) è consacrato alla storia della redazione, vale a
dire all'analisi della genesi della letteratura biblica, e mostra come comprendere il
cammino di un testo a partire dalla prima fissazione letteraria sino alla sua inclu-
sione in una raccolta autorevole all'interno di una data comunità. In questo senso,
l'analisi redazionale crea un legame tra la storia delle tradizioni e la storia della tra-
smissione dei testi propriamente detta, sforzandosi di tematizzare i problemi e le
poste in gioco metodologiche legate ai fenomeni di riscrittura del testo.
L'ultimo capitolo (T. Romer) contiene alcuni elementi per Pesegesi di Nrill2,
alla quale ci si è riferiti in precedenza. Questa esegesi riprende e sintetizza l'ap-
porto proprio delle tappe metodologiche esposte nei capitoli precedenti, in manie-
ra tale da illustrare molto concretamente il funzionamento complementare di tali
procedure analitiche e interpretative, nella preoccupazione di articolare la teoria e
la prassi.
I diversi capitoli propongono delle piccole bibliografie, per la maggior parte
posizionate all'inizio dei paragrafi, nelle quali si troveranno gli studi citati nel cor-
po del testo così come le opere di riferimento più importanti in lingua francese
(laddove sia possibile presentiamo le traduzioni in italiano). Per una ricerca bi-
bliografica più approfondita, rinviamo i lettori alla bibliografia informatizzata del-
l'Università di Losanna (Bibil: https://www.bibil.net).

Ringraziamo a questo punto i colleghi chè hanno ·partecipato alla «storia re-
dazionale» di quest'opera e hanno permesso che ricevesse i benefici del loro ap-
porto o delle loro riletture, in particolare J.-L. Ska e A. Wénin (esegesi sincronica),

mente nella sua forma detta «finale» o canonica (anche se questa può presentare degli aspetti proble-
matici, vedi il primo capitolo). ·

13
C. Germond e N. Maillard (analisi redazionale, Ginevra), così come C. Grandclère-
Praetorius (assistente di Heidelberg) che ha accompagnato la redazione del· capi-
tolo sulla storia delle forme e delle tradizioni facendo attenzione non soltanto alla
sua correzione linguistica ma anche al suo uso da parte dei nostri futuri lettori.
I curatori ci tengono ancora a ringraziare Muriel Fiillemann (Labor et Fides)
per il suo apporto alla preparazione di quest'opera.

MICHAELA BAUKS
CHRISTOPHE NIHAN

L'editore italiano ringrazia, oltre al traduttore Fabrizio Ficco, p. Jean-Pierre


Sonnet per il consiglio e l'appoggio che ha dato alla pubblicazione del volume (A.R)

14
·capitolo 1
LA CRITICA TESTUALE

JAN ]OOSTEN

La critica testuale come disciplina scientifica è nata in seguito al riconosci-


mento che i testi antichi non sono giunti fino a noi senza aver subito delle altera-
zioni. Non disponiamo, per quanto riguarda i testi letterari antichi, di «autografi»
originali, ma di copie scritte a mano. La trasmissione dei manoscritti ha prodotto ·
dei cambiamenti, che siano accidentali o voluti: una copia manoscritta non è mai
completamente identica al suo modello. La disciplina si applica molto bene sia ai
testi classici che ai testi biblici, all'Antico come al Nuovo Testamento. Nonostante
ciò ogni testo pone dei problemi specifici.
Il punto di partenza sarà dunque la constatazione che «il» testo dell'Antico
Testamento non esiste. Ci troviamo piuttosto di fronte a una pluralità testuale.
Ogni manoscritto antico è differente per certi punti rispetto a tutti gli altri; i ma-
noscritti si raggruppano in «famiglie» testuali, le quali divergono tra loro spesso in
maniera importante. Allo stesso modo, le traduzioni antiche apportano il loro
quantitàtivo di varianti. Una tale pluralità e la sua pertinenza per l'esegesi: l'ese-
gesi può subire delle modifiche a seconda che ci si fondi su di una tradizione te-
stuale o su un'altra.
Tradizionalmente, la critica testuale si è data come obiettivo quello di «iden-
tificare gli errori e correggerli». In questa prospettiva, la pluralità è considerata co-
me secondaria. Tutti i testimoni testuali - manoscritti, traduzioni, citazioni - deri-
vano da un testo unico. Dal confronto delle differenze tra i testimoni, si può spe-
rare di risalire la corrente e stabilire un testo più antico, più vicino all'originale. Gli
elementi di questo testo non si troveranno sempre nel medesimo man~scritto, né
nella stessa famiglia. Il testo ricostruito dalla critica sarà dunque un testo «ecletti-
CO», che prendein prestito da ogni tradizione quello che possiede di meglio, eri-
getta il resto. La critica testuale tradizionale mostra poco rispetto per ciò che non
è giudicato originale. ·
· Dopo una trentina di anni, i ricercatori hanno realizzato tuttavia che l'altera-
zione secondaria non è per forza di minor valore. I cambiamenti testuali non sono
«errori»; e anche gli errori, sul modello del lapsus freudiano, possono avere un sen-
so. Così, le critiche testuali hanno appreso un certo rispetto per la coerenza di ogni
tràdizione testuale, per ogni manoscritto antico. Le-varianti testuali mostrano spes-
so come un passaggio biblico è stato interpretato in un certo ambiente, da una cer-
ta comunità. I testimoni testuali -le traduzioni antiche prima di tutto, ma anche le

15
t~adizioni ebraiche - si rivelano come dei fondamenti per la storia dell'interpreta-
ziOne. ·
· Si è perfino opposta la critica testuale antica alla nuova: questa polemica ge-
:r:era disappunto. Infatti, considerando ogni aspetto, i due approcci si completano.
E attraverso la storia del testo che possiamo sperare di risalire a uno stadio più an-
tico della tradizione; allo stesso tempo, la storia del testo è testimone di una gran-
de ricchezza di interpretazioni. ·
In ciò che segue, presenteremo anzitutto la critica testuale nella sua accezio-
ne tradizionale. In seguito, consacreremo una sezione ai nuovi interrogativi. In pra-
tica, i due approcci si combinano spesso e si compenetrano quasi sempre. Sul pia-
no teorico, tuttavia, è vantaggioso mantenerli distinti.

A. LA RICERCA DEL TESTO ORIGINALE

I frammenti più antichi del testo veterotestamentario risalgono all'inizio del


II secolo a.C. Per dei manoscritti completi, bisogna attendere il IV secolo d.C. per
la traduzione greca, l'XI secolo per i manoscritti ebraici. Gli scritti stessi sono no-
toriamente difficili da datare. È tuttavia ragionevole supporre che la maggior par-
te dei libri dell'Antico Testamento siano stati composti ben prima del II secolo a.C.
Esiste quindi un grande intervallo tra la redazione dei libri e la loro attestazione
più antica. Per uno, due, tre o fino a dieci secoli (secondo le varie ipotesi), i testi so-
no stàti trasmessi per iscritto senza lasciare delle tracce. Bisogna pensare che, du-
rante questo periodo, dei cambiamenti, accidentali o voluti, si siano introdotti nel-
la tradizione manoscritta. Anche il carattere sacro dei testi non li ha potuti preser-
vare da errori umani di trascrizione. Al contrario, il carattere sacrp ha potuto spin-
gere certuni copisti a cambiare il testo, al fine di conformarli agli ideali religiosi del
proprio tempo.
La probabilità teorica che il testo biblico sia stato alterato si conferma grazie
alla divergenza tra i testimoni~ I testi ebraici più antichi ritrovati dopo il 1947 a
Qumran e dintorni, sono diversi tra loro e sono differenti dai testi ebraici del me-
dioevo. Tutti questi manoscritti vengono da un ambiente dove prevaleva il rispetto
per il testo della Scrittura. E nonostante questo ci sono delle differenze. Possiamo
decidere di ignorare questo problema, ma non possiamo ·risolver!o in maniera sem-
plice. Non c'e alcuna ragione di privilegiare una tradizione testuale a discapito di
altre, né, a fortiori, di preferire un manoscritto unico. Gli errori di trascrizione, co-
me gli aggiustamenti dottrinali, hanno potuto colpire il testo masoretico come an-
che il testo di Qumran, il Pentateuco samaritano o il modello ebraico della LXX.
Conviene quindi elaborare un paragone tra i testimoni testuali, fare un in-
ventario delle varianti e selezionare in ogni caso la lezione più antica, per quanto
possa essere identificabile. Talvolta, sarà anche necessario proporre delle emenda-
zioni testuali puramente congetturali. Il «punto di fuga» di questo lavoro è il testo
originale, concettoideale che non corrisponde ad alcuna realtà concreta. Per nu-
merosi libri biblici, le· cose si complicano ancora di più per il fatto che è difficile di-
re dove si fermi la storia della redazione e dove cominci la storia del testo.

16
In ciò che segue, in primo luogo saranno presentati brevemente i principali te~
stimoni del testo: Dopo di ciò, saranno tratteggiate le grandi linee del metodo. In-
fine, si consacrerà una sezione al caso in cui la critica testuale sconfina nell'ambito
della critica della redazione.

1. l testimoni del testo dell'Antico Testamento

1.1. Il testo masoretico

La forma testuale più conosciuta della Bibbia ebraica è quella che è divenu-
ta tradizionale nel giudaismo dopo il I secolo dell'era cristiana circa. Viene chia-
mato normalmente testo masoretico. In senso stretto, questa denominazione si ap-
plica ai manoscritti vocalizzati e provvisti di accenti e note al màrgine; questi ma-
noscritti formano una minoranza. In senso lato, il termine designa il tipo di testo
trasmesso nel giudaismo sino ai nostri giorni, vocalizzato o meno che sia: la mag-
gior parte dei manoscritti «masoretici» non offrono che il testo consonantico. La
«massora», dalla parola ebraica nlb~ (interpretata «tradizione»), ingloba tutto ciò
che si riferisce alla trasmissione del testo ricevuto dagli ebrei: la trascrizione del te-
sto consonantico, l'annotazione delle vocali e degli accenti, l'apparato critico in re-
lazione con l'ortografia e la frequenza delle forme.
Il testo masoretico (TM), in senso lato, è rappresentato da molte migliaia di
manoscritti, i più antiChi dei quali - quelli che sono stati ritrovati nella geniza del
Cairo (vedi l'excursus)- sono frammentari. Attraverso la molteplicità dei mano-
scritti, si rivela una grande omogeneità della tradizione: le varianti che riguardano
il testo consonantico sono minime, quelle che concernono la vocalizzazione o l'ac-
centuazione, poco numerose. Questa unità è dovuta al fatto che il testo biblico ·
adottato dal giudaismo dopo le catastrofi del 70 e del135 d.C. è stato circondato
da una cura assolutamente notevole. In effetti, le scoperte fatte a Qumran hanno
mostrato che il TM trasmette in maniera fedele un tipo di testo che risale almeno
alla fine dell'epoca del secondo Tempio (vedi sotto).
Il TM forma il testo di base di tutte le edizioni esistenti del testo ebraico del-
l'Antico Testamento. La Biblia hebraica stuttgartensia (BHS) e la nuova Biblia he-
braica quinta (BHQ) si fondano sul manoscritto B19A della biblioteca pubblica di
S. Pietroburgo, scritto nel1008 secondo il colofone, e da ciò si comprende la sigla
L (codex Leningradense). L'edizione dell'Università ebraica (HUBP) si fonda sul
codice di Aleppo. Si definisce «diplomatica» l'edizione che riproduce un dato ma-
noscritto con le varianti di altri testimoni relegate nell'apparato critico.
Non c'è dunque alcuna ragione scientifica di preferire il TM a priori a una
qualsiasi altra tradizione. Come nel dominio della critica del Nuovo Testamento, bi-
sognerà un giorno considerare l'abbandono dellextus receptus e la produzione di
un testo critico: è questo il progetto della Oxford Hebrew Biblé (OHB) intrapreso
recentemente da un'équipe internazionale. L'edizione di un testo composto a par-
tire da lezioni prese in differenti testimoni si chiama «edizione eclettica».
· La nostra discussione sul·valore del TM per la critica testuale avvicinerà se-
paratamente il testo consonantico, le vocali e gli altri elementi paratestuali.

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1.1.1. Le consonanti
B. KENNICOIT, Vetus Testamentum hebraicum cum variis lectionibus, Oxford 1776-1780
I-II '
J.B. DE Rossi, Variae lectiones Veteris Testamenti, Parma 1784-1788, I -IV

L'ossatura consonantica forma la parte più anticà del TM. Come è stato già
detto, è straordinariamente omogenea: fra i numerosi manoscritti del TM, scopria-
mo che vi sono relativamente poche varianti che toccano le consonanti. Ciò non si-
gnifica, evidentemente, che manchino tali varianti. Delle collezioni di varianti sono
state editate da Kennicott' e De Rossi. Occasionalmente, si ripercuotono nella
BHS. Fra gli specialisti, godono tuttavia di poca stima. La maggior parte sembra ri-
salire ai copisti medievali.

In ogni caso, sarebbe imprudente appoggiarsi unicamente sulla testimonianza


di qualche manoscritto masoretico per proporre un cambiamento nel testo.
Se il testo consonantico del TM è omogeneo in sé, diverge molto spesso dal
Pentateuco samaritano, dai rotoli biblici di Qumran e dal modello ebraico suppo-
sto dalla LXX. Così, ilTM si delinea'come una corrente testuale fra le altre. Tutta-·
via, il paragone delle tradizioni testuali ha permesso di prendere coscienza del fat-
to che il TM rappresenta, in generale, una tradizione molto affidabile. La sua atte-
stazione tardiva è fortemente relativizzata dalla scoperta dei manoscritti protoma-
soretici a Qumran (ad es. lQisab): questi manoscritti, scritti prima dell'era cristia-
na, offrono un testo consonantico praticamente identico al TM. Si suppone che
questo testo sia quello a cui si era legata un'élite Teligiosa per lo meno dopo il II
secolo a.C. Conservato a Gerusalemme e copiato in maniera accurata, ha finito per
soppiantare tutte le altre correnti testuali in seno al giudaismo palestinese. Dopo
la distruzione del secondo Tempio e la dispersione dei giudei, si è imposto dovun-
que nel giudaismo rabbinico.

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1.1.2. I punti vocalici

È nel V secolo della nostra era o poco dopo, che si sono mostrati i primi sfor-
zi per annotare la vocalizzazione del testo biblico. I primi sistemi sono rudimenta-
li: un punto in alto alla lettera significa che è pronrtnciata con una vocale a (ad es.
ba,~), un punto in basso significa che non si tratta di una vocale piena (ad es. be,
=il)· Sembra che questo principio sia stato inventato dai grammatici siriaci. Con il
passare del tempo, i giudei hanno sviluppato molteplici sistemi sofisticati, che com-
portavano un numero importante di segni. Quattro o cinque sistemi sono cono-
sciuti, ma solo il sistema tiberiano (sviluppato a Tiberiade in Galilea) è ancora in
uso. Gli altri sistemi - babilonesi, palestinese, misto - si incontrano in certi mano-
scritti masoretici ritrovati nella geniza del Cairo. Riposano su una pronuncia leg-
germente differente dell'ebraico. Riflettono grosso modo la stessa tradizione di let-
tura e la medesima interpretazione dei manoscritti tiberiani. La scuola tiberiana
fiorì nel X e nell'XI secolo della nostra era. Il codice di Leningrado è un frutto no-
tevole di questa scuola, il codice di Aleppo un altro (con un sistema leggermente
differente).
La vocalizzazione dei manoscritti masoretici si appoggia su una tradizione di
lettura ad alta voce. I naqdanim- quelli che hanno apportato il niqqud, i punti vo~
calici - si sono sforzati di annotare ciò che capivano dalla bocca dei lettori sinago-
gali. Non è dunque corretto parlare di una «teoria grammaticale dei masoreti»:
Quanto alla tradizione di lettura ad alta voce, è chiaramente composita:

-Per la maggior parte, si tratta di un'autentica tradizione che risale all'epoca


dèl secondo Tempio, almeno. Le prove di autenticità sono molteplici. Molti detta-
gli fonologici e grammaticali non possono essere .conosciuti al medioevo, a meno
che non si disponga di una tradizione. Ad esempio, la distinzione tra sin (Ili) e shin
(w) è sistematicamente notata in maniera corretta, anche se il testo consonantico
·non lo indica (Ili si poteva leggere in due maniere). La differenza tra sin e shin non·
concerne la vocalizzazione, ma il punto che le distingue è stato introdotto nello
stesso processo che mirava a codificare in dettaglio la pronuncia del testo.
Dunque, ci si può generalmente fidare del testo vocalizzato come il riflesso fe-
dele di ciò che gli autori biblici (o piuttosto i redattori finali) hanno voluto espri-.
mere. La vocalizzazione ha meno· autorità del testo consonantico, poiché la tradi-
zione manoscritta è più affidabile della tradizione orale, ma non è neanche priva di
valore. Di sicuro, ciò non lo si deve ritenere per partito preso, dogmaticamente.

- Bisogna tuttavia riconoscere che dei fattori esegetici e teologici hanno po-
tuto influenzare la lettura liturgica. Laddove il nome di Dio era scritto nel testo
(mi1~), si è sostituito nella lettura il nome comune con suffisso, ~~ii~, «mio Signore
(lett. miei signori)». In altri casi, i cambiamenti sono più sottili.

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Questo genere di cambiamento rimane una relativa eccezione. Numerose al-
tre affermazioni che sembrano essere una «porta in faccia» all'ortodossia giudaica
(e cristiana) non hanno subito delle alterazioni. L'interpret<;J:zione poteva incari-
carsi di ristabilire l'ortodossia! · · ·

-Un'altra fonte di cambiamenti nella tradizione di lettura è l'influenza del-


l'ebraico tardivo, dell'aramaico, come dell'arabo. Le lingue che gli ebrei parlava-
no nella vita di tutti i giorni poterono incidere sulla maniera di leggere il testo bi-
blico. Illustriamo questo tipo di figura mediante un altro esempio. Nell'ebraico an-
tico, esisteva un passivo del Qal. Si poteva formare, ad esempio, a partire dal ver-
bo. nR?, «egli prese», un passivo *nR7 (la vocalizzazione è incerta), «fu preso». Nel-
l'evoluzione della lingua ebraica, questo passivo del Qal è scomparso. I lettori del-
la Bibbia, non conoscendo più una forma *nR?, l'hanno sostituita con una forma
più usata, vale a dire il Pual nR7 (ad es. Is 52,5). È dunque il Pual a essere codifi-
cato nel testo vocalizzato. Questo tipo di alterazione mostra, una volta in più, che.
la tradizione orale è più fragile della tradizione scritta.
Nell'insieme riterremo che la vocalizzazione masoretica fornisca una testi-
monianza preziosa che deve essere valutata in maniera critica.

1.1.3. Altri elementi


II testo masoretico è assortito con un apparato scribale che sorpassa di gran
lunga la semplice aggiunta delle vocali. Gli elementi più importanti possono esse-
re evocati brevemente.
La numerazione dei capitoli e dei versetti non si trova in alcun manoscritto ebraico an-
tico. Questi sono degli elementi che sono stati introdotti dopo~ da parte di colti Cri-
stiani nei manoscritti della Vulgata, verso la fine del medioevo. A causa della loro co- .
modità, si sono imposti anche per gli ebrei (ad es., nelle edizioni stampate della Bib-
bia rabbinica a partire dal XVI secolo).

- Gli accenti masoretici

Ogni parola del testo masoretico è provvista di un accento (anche se due pa-
role unite dal maqqeph non ricevono nÒrmalmente che un solo accento). Gli ac-
centi indicano principalmente la sillaba che nella parola ha l'accento. In più, a li-.
vello del versetto, iiltroducono una sorta di interpunzione, che divide il testo in ver-
setti e i versetti in unità a sé stanti. In terzo luogo, gli accenti codificano il ritmo (la

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«cantillazione») e quindi la modalità con cui si poteva cantare il testo biblico. Esi-
stono. molteplici sistemi di .accentazione - babilonese, palestinese, tiberiano - ma
solo il sistema tiberiano, il più elaborato, è ancora in uso oggi.
Come la vocalizzazione, gli accenti poggiano sulla tradizione di lettura. Gli si
accorderà credito con lo stesso criterio usato per la vocàlizzazione e gli si appli-
cheranno le medesime riserve. Nella maggioranza dei casi, l'accentazione si pre-
senta come una guida fedele per un'interpretazione adeguata. Tuttavia, qua e là, gli
·accenti riflettono l'influenza della teologia o dell'esegesi giudaiCa (ad es. Lv 18,28;
Dt 26,5). . .

- I ketiv-qeré

La lettura tradizionale veicola alcuni elementi corrispondenti a un testo con-


sonantico differente dal testo trasmesso per iscritto. In questi casi, il testo masore-
tico aggiunge al testo scritto (il ketiv) le vocali della parola letta, mentre le conso-
nanti della parola letta (il qeré) figurano al margine. I casi di ketiv-qeré sono vari.
Alle volte si tratta di un eufemismo che rimpiazza il testo originale, giudicato trop-
po crudo (ad es. Is 36,12: ketiv K1n, «feci», rimpiazzata dal i1~i~, «sporcizia»); in al-
tri casi si tratta di varianti testuali ,(ad es. Gs 6,13 li~Q, infinito assoluto, rimpiazza-
to dal participio l~in); vi sono anche alcuni esempi di varianti ortografiche (ad es.
in Nm 12,3 1~p11~~p il senso resta lo stesso). Il caso di mn~ letto ~tr~ appartiene alla
categoria dei ketiv-qeré: lo si chiama qeré perpetuum, qeré perpetuo.
Alle volte il ketiv rappresenta il testo originale mentre il qeré è secondario,
ma questa non è la regola generale. Bisogna studiare ogni passo in se stesso.
) ...

-La massora

Nei margini dei manoscritti masoretici completi compaiono delle note testuali
la cui funzione principale è quella di vigilare sulla trascrizione corretta del testo. Si
nota quante volte una parola è attestata nella forma precisa in cui si trova nel ver-
setto concernente. Si segnalano dei passi paralleli. La massora parva (piccola mas-
sora) figura a margine dei manoscritti, a sinistra e a destra. È integralmente ripro-
dotta nella BHS. La massora magna (grande massora) si trova in alto e in basso..
a
La BHS non la riproduce, ma si riferisce essa mediante un insieme di note che fi-
gurano immediatamente sotto il testo. Le note rinviano all'opera di G.E. Weil,Mas-
sorah Gedolah iuxta codicem Leningradensem B19a, 1 dove troviamo il testo inte-
grale.

La geniza del Cairo

Verso la fine del XIX secolo furono scoperti qualcosa come 200.000 frammenti di ma-
noscritti, i più antichi dei quali risalgono al IX secolo a.C., nella geniza- una specie di
deposito per manoscritti danneggiati o inutilizzati- della sinagoga del Cairo. Il grosso
di questa collezione si trova oggi aWUniversità di Cambridge (collezione Taylor-Sche-

l PIB, Roma 1971, l.

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chter), mentre gruppi relativamente importanti hanno trovato il loro cammino verso
altre biblioteche per il mondo. La collezione è estremamente diversificata e compren-
de manoscritti biblici e non biblici in varie lingue (ebraico, aramaico, arabo, greco). So-
lo una minoranza di questi frammenti è stata pubblicata.

1.2. Il Pentateuco samaritano

I samaritani formano una comunità religiosa il cui centro si trova in Nablus


(la Sichem biblica) e le cui origini rimangono molto oscure. Possiedono una ver-
sione della Torah rappresentata da una tradizione manoscritta che risale sirio al XII
secolo a.C. È però nel XVII secolo che il «Pentateuco samaritano» arriva all'at-
tenzione degli studiosi occidentali. Il suo testo è pubblicato per la prima volta nel-
la Polyglotta di Parigi (1629-1654).
Il paragone del Pentateuco samaritano con il TM ha mostrato che esistono
migliaia di divergenze tra i due testi (6000, secondo un conteggio citato spesso, ma
difficile da verificare). Queste differenze riguardano tutte il testo consonantico,
poiché il Pentateuco ·samaritano non è vocalizzato. È importante riconoscere che
tra le varianti del Pentateuco samaritano vi sono varie categorie. Si possono di-
stinguere tre gruppi di varianti. In primo luogo,se ne riconosce un piccolo numero
il cui scopo è di stabilire il punto di vista samaritano contro il punto di vista giu-
daico. Così alla fine del Decalogo, in Es 20 e Dt 5, il Pentateuco samaritano ag-
giunge un «comandamento» che impone la costruzione di un altare sul monte Ga-.
rizim, vicino alla città di Sichem. Si tratta chiaramente di un'alterazione del testo
primitivo che si inscrive all'interno della polemica riguardante il luogo legittimo
per il santuario: Gerusalemme, secondo le pretese giudaiche; il monte Garizim, se-
condo i samaritani.
In secondo luogo, troviamo un gran numero di varianti che caratterizzano il
Pentateuco samaritano come un testo «volgarizzato». L'ortografia è stata regola-
rizzata. In questo modo, il pronome personale di terza persona femminile, ~10,
«lei», nel TM è dovunque scrìtto ~~ii nel Pentateuco samaritano. La forma del TM
è probabilmente primitiva, la forma samaritana è adattata all'ebraico tardivo. Il lin-
guaggio a volte viene semplificato, soprattutto nei passi dove il testo primitivo com-
portava degli arcaismi. Si incontrano ugualmente un gran numero di cambiamenti
che armonizzano il testo della Bibbia. Così, in Nm 12 si trova una lunga aggiunta
dopo il v. 16, che riprende il testo di Dt 1,20-23 e il cui scopo è di armonizzare il
racconto di Numeri con quello del Deuteronomio. Le varianti di questo secondo ti-
po non sono proprie del testo samaritano. Tra i mél.noscritti scoperti a Qumran, si è
identificato un gruppo di testi «presamaritani», che comprendono gli stessi cam-
biamenti linguistici e le stesse aggiunte con il fine di armonizzare (ad es. 4Qpa-
leoExodrn) - ma non i cambiamenti «settari» segnalati sopra. Per esempio, l'ag-
giunta in Nm 12,16 di un passaggio corrispondente a Dt 1,20-23 si è potuta trova-
re ugualmente nei manoscritto 4QNumb: il manoscritto ha delle lacune, ma dopo
aver calcolato lo spazio disponibile, alcune frasi dovevano figurare dopo il v. 16.

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Questi manoscritti qumranici rivelano l'origine del Pentateuco samaritano: si trat- ·
ta di un testo diffuso in seno al giudaismo in epoca ellenistiCa, testo a cui sono sta- .
ti aggiunti alcuni cambiamenti settari durante o dopo il II secolo a.C.
In terzo luogo, il Pentateuco samaritano comprende delle varianti che non pro-
cedono né da un'ideologia, né dalla voìontà di adattare il testo biblico ai bisogni del
popolo. In quest'ultimo gruppo vi sono delle lezioni che sono superiori a quelle del
TM e delle altre che sembrano secondarie. Spesso è anche difficile decidere.

Le tre categorie enumerate - lezioni ideologiche, adattamenti volgarizzanti e


varianti antiche - possono essere distinte sul piano teorico. Nella pratiCa non è
sempre possibile classificare una data variante in una delle categorie.

NB: Il Pentateuco samaritano è accompagnato da una tradizione di lettura trasmessa in


forma orale. Questa è stata conservata e traslitterata da Z. BEN-HAYYIM, The Literary and
Ora[ Tradition of Hebrew and Aramaic amongst the Samaritans,Academy of the Hebrew
Language, 1erusalem 1977, IV, 353-554. Oltre al suo interesse linguistico, questa tradizio-
ne possiede rin'importanza per la critica testuale. Uno studio sistematico dell'apporto po-
tenziale di questa tradizione è proposto da S. ScHORCH, Die Vokale des Gesetzes. Die sa-
maritanischen Lesetradition als Textzeugin der Tora, 1: Das Buch Genesis (BZAW 339),
W. de Gruyter, Berlin 2004 (gli altri volumi verranno pubblicati in seguito).

1.3. l testi ritrovati presso il Mar Morto

Sino al XX secolo il testo ebraico dell'Antico Testamento non era conosciuto


che per dei manoscritti medievali. N el 1902 ci fu la scoperta di un foglio di papiro
che riportava il testo ebraico del Decalogo e l'inizio dello Shema' Israel: il papiro
Nash. Appena mezzo secolo più tardi, a partire dal1947, furono ritrovati un gran
numero di manoscritti ebraici nelle grotte situate presso il sito di Qumran e nei
dintorni (Murabaat, Massada, Nahal Hever). Tutto portò a credere che questi ma-
noscritti facessero parte della «biblioteca» di una comunità essena, insediata a
Qumran.
I manoscritti qumranici sono quasi tutti frammentari. Sui quasi 800 docu-
menti rappresentati, un quarto consiste praticamente in rotoli biblici. Tutti i libri
del canone ebraico sono attestati, eccetto il libro di Ester (cosa che può essere do-
vuta al caso). Si trovano anche delle copie di libri apocrifi, come Tobia o Ben Sira,
o di scritti pseudoepigrafi, come Enoch o il Testamento dei dodici patriarchi. Alcu-
ni libri biblici sembrano essere stati letti più di altri: si sono ritrovate sedici copie.

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della Genesi; venti copie di Isaia- tra cui il famoso manoscritto della grotta 1, uni- ·
co rotolo completo di un libro biblico (1 Qisaa) -, venticinque copie del Deutero-
nomio e trentaquattro copie dei Salmi! Altri libri non sono rappresentati che da al-
cune copie (ad es. Numeri, Giudici, Giobbe) o perfino da una sola (Esdra-Neemia,
Cronache). Tutti questi manoscritti biblici sonoprècedenti al68 a.C., data della di-
struzione del sito. La datazione, grazie al carbonio 14 e ai metodi paleografici, in-
dica che essi sono distribuiti in un periodo che va dal II secolo a.C. al I secolo d.C.
Così, riguardo al TM, i testi di Qumran e dintorni ci avvicinano al testo ebraico ori-
ginale di circa mille anni.
Quando si studiano i testi biblici ritrovati a Qumran, ciò che sorprende è la
loro diversità. Il gruppo più grande di manoscritti rappresenta un testo protoma-
soretico (ad es.lQisab). Ma si trovano ugualmente dei testi imparentati con il Pen-
tateuco samaritano (ad es. 4QNum~) o con il modello ebraico impiegato dai tra-
duttori della LXX (ad es. 4QJerb). Un quinto gruppo di frammenti proviene da ro-
toli scritti secondo una modalità particolare che potrebbe riflettere lo scriptorium
della setta (ad es. lQisaa). Testualmente, i rotoli scritti secondo questa modalità
rappresentano un approccio assai libero al testo biblico: il vocabolario è moder-
nizzato e la sintassi alleggerita, l'ortografia è caratterizzata da numerose conso-
nanti vocaliche (matres lectiqnis). Da ultimo, si trova un certo numero di testi «non
allineati» che rappresentano una famiglia testuale sino a quel momento sconosciu-
ta. È impossibile sapere se,tutti questi testi erano letti nella comunità essena e se
si era coscienti delle varianti testuali.
Il materiale testuale che proviene da Qumran e da qualche altro sito nei pres-
si del Mar Morto occupa un posto di grande rilievo nella critica testuale dell'Anti-
co Testamento. I rotoli del Mar Morto offrono un gran numero di lezioni da prefe-
rire, più vicine al testo originale rispetto al TM. Molte congetture testuali ipotizza-
te prima della scoperta dei rotoli sono state confermate da questi testi. In alcuni ca-
si, specialmente quello di Geremia, il testo di Qumran getta una luce sulla storia
della redazione di un libro biblico (vedi sotto).
È in corso un grande progetto di pubblicazione dell'insieme dei testi biblici ri-
trovati nel deserto di Giuda: Biblia qumranica, edito a Leiden sotto la direzione di
E. Ulrich. Nell'attesa, si deve utilizzare l'edizione della serie Discoveries in the Ju-
daean Desert, Oxford.

1.4. La LXX

La versione greca antica della Bibbia ebraica, chiamata normalmente LXX,


occupa una posizione tutta particolare nella disciplina della critica testuale. Da un
lato, la LXX fa sperare che si possa accedere a una fase dello sviluppo testuale del-
l'Antico Testamento anteriore a quella rappresentata dai manoscritti ebraici di-
sponibili (TM e Qumran). D'altra parte, trattandosi di una traduzione, non si può

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praticamente mai recuperare con certezza la forma testuale ebraica che si riflette
nella LXX.
Una serie di indizi permette di situare la traduzione del Pentateuco ad Ales-·
sandria verso l'inizio dell'era ellenistica, intorno al280 a~C. La finalità della tradu-
zione è materia di dibattito. Alcuni pensano che la Torah servisse da codice giuri-
dico agli ebrei in Egitto: era necessario per i giudici greci poter consultare le leggi
giudaiche. Altri accettano il racconto trasmesso dalla Lettera di Aristea, scritto giu-
daico pseudoepigrafico di data incerta, secondo il quale la LXX doveva soddisfare
la curiosità del re Tolomeo a proposito dei giudei. Altri ancora hanno proposto l'i-
dea per cui il testo greco era destinato prima di tutto, in maniera simile a una tra-
duzione interlineare, all'insegnamento dell'ebraico nelle scuole giu~aiche della dia-
spora:. In ogni caso, la LXX è diventata molto velocemente la «Bibbia» dei giudei
alessandrini, letta nel culto settimanale e studiata nelle scuole - e forse questa è la
sua ragion d'essere originaria.
I libri storici, i profeti e gli scritti sono stati tradotti più tardi e hanno subito
l'influenza del Peritateuco greco, sia nel vocabolario che nelle tecniche di tradu-
zione. Secondo la testimonianza del prologo della versione greca del Siracide, la
Legge, i Profeti e «gli altri» libri esistono in traduzione greca alla fine del II seco-
lo a.C. Alcuni libri, come l'Ecclesiaste, il Cantico ed Esdra-Neèmia, tuttavia, sono
stati tradotti molto più tardi, forse nel II secolo d.C. La maggior parte dei libri del-
la versione greca riflettono uno sfondo alessandrino, ma alcuni scritti possono es-
sere stati tradotti in Palestina (specialmènte il libro di Ester).
I più antichi manoscritti della LXX, tutti parziali e pieni di lacune, risalgono
al IV secolo a.C. I più antichi manoscritti completi risalgono al IV secolo d.C. e
rientrano nella tradizione cristiana. Il giudaismo ha largamente abbandonato la
LXX dopo le guerre giudaiche. Allo stesso tempo, ma senza un legame di causa ed
effetto, è divenuta l'Antico Testamento dei cristiani. Ci è pervenuta proprio grazie
alla sua trasmissione in ambiente cristiano.
La LXX si caratterizza nel suo insierne come una traduzione letterale: a ogni
parola ebraica del testo di base corrisponde una sola parola greca, l'ordine delle
parole è rispettato, le equivalenze lessicali sono costanti, si imitano le locuzioni
ebraiche. Qualche libro, tuttavia, è tradotto liberamente, specialmente Isaia, Giob-
be, Proverbi, Daniele ed Ester. In nessun caso la LXX può essere considerata co-
me il calco di un testo ebraico: la libertà del traduttore resta un fattore di cui si de-
ve tener conto.

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Il lavoro di critica testuale, quindi, in ciò che riguarda la LXX passa sempre per
due tappe. Per ogni variante, si cercherà prima di determinare se sia stata creata dal
traduttore o se risalga al modello ebraico (la Vorlage). Se si sceglie-la seconda opzio-
ne, si tenterà di ricostruire la forma ebraica della ":ariante. Solo in seguito si parago-
nerà la lezione ebraica ricostruita con quella del testo ebraico ricevuto, al fine di de-
terminare quale sia la più antica. Succede talvolta che una divergenza nella LXX va-
da di pari passo con un testo ebraico non masoretico, il Pentateuco samaritano o un
manoscritto di Qumran. In questo caso, la prima fase del lavoro può essere facilitata.
Si stima generalmente, e a ragione, che la LXX veicoli un gran numero di va-
rianti superiori al TM, più vicine al testo primitivo. Questo si deve dapprima al fat-
to che la versione greca è stata fatta in un'epoca che precede la fissazione del te-
sto ebraico dell'Antico Testamento da cui è uscito il TM e al termine della quale il
TM è rimasto praticamente il solo testo ebraico attestato. In secondo luogo, l'ori-
gine egizia ha-potuto contribuire. Evidentemente, il testo ebraico conosciuto nella
periferia, ad Alessandria, non era più del medesimo tipo di quello che si era impo-
sto nel centro del giudaismo, a Gerusalemme. Più in dettaglio, il rapporto tra la
LXX e gli altri testimoni testuali è suscettibile di variare a seconda dei libri. Così,
ad esempio, una variante non sarà valutata nella stessa maniera a seconda che si in.:.
contri in l Samuele o nel libro dei Dodici profeti. In l Samuele, la LXX, Qumran
e il TM sono spesso differenti, mentre nei Dodici, tutti i testimoni conosciuti ap-
partengono alla stessa famiglia testuale.

1.5. La Peshitta

Le altre traduzioni antiche dell'Antico Testamento hanno molta meno im-


portanza della LXX, poiché riflettono tutte un'epoca- dopo le guerre giudaiche
del 70 e del 132 d.C. - in cui il testo masoretico si era già imposto praticamente
dappertutto. La versione siriaca antica dell'Antico Testamento risale alla seconda
metà del II s'ecolo d.C. circa. Si tratta probabilmente di una traduzione giudaica
adottata in seguito dalla Chiesa cristiana d'oriente. La Peshitta è stata certamente
fatta a partire da un testo ebraico, anche se si può constatare, in certi libri, un'in-
fluenza della LXX.
La Peshitta contiene un numero modesto di varianti che si possono attribui-
re alla sua Vorlage. I critici del testo, tuttavia, non si fondano frequentemente sul-
la sola versione siriaca per proporre un cambiamento del testo ebraico.

1.6. l Targum

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Come la Peshitta, i Targum sono delle traduzioni aramaiche dell'Antico Te-
. stamento fatte da ebrei. Nondimeno, a differenza della Peshitta, i Targum sono sta~
ti concepiti sin dall'origine per essere impiegati assieme al testo ebraico. La giu-
stapposizione della traduzione con la sua fonte dona a questa U]}a libertà molto più
grande di quella delle altre traduzioni antiche dell'Antico Testamento.
In un primo tempo, la traduzione tradizionale del testo ebraico in aramaico si
è sviluppata in maniera orale. Le sue origini risalgono, forse, al I secolo a.C. e si tro-
vano certamente in un ambiente palestinese. Il Targum risponde a un bisogno di at-
tualizzazione della Scrittura. Anche in Palestina, dove l'ebraico è ancora parlato,
l'ebraico biblico è divenuto arcaico e necessita di una spiegazione. Inoltre, la reli-
gione giudaica si è evoluta rispetto alla religione della Bibbia ebraica. La traduzio-
ne, allora, si presenta come il mezzo più efficace e più conciso di assortire il testo
biblico intero di un commentario al contempo linguistico e teologico. Il Targum ha
visto le sue origini, probabilmente, nella scuola giudaica. Più tardi il testo è stato
letto nel culto: si leggeva nella sin.agoga un versetto della Torah seguito dal suo Tar-
gum, tre versetti dei profeti seguiti dal Targum. ·
Affondando le loro radici nella tradizione orale, i testi targumici sono molte-
plici. Specialmente per il Pentateuco, si dispone di vari testi: il Targum Onqelos, di
Neofiti, di Pseudo-Jonathan, dei Frammenti e vari testi lacunosi ritrovati nella ge-
niza del Cairo. Per gli altri libri, non esiste, in generale, che un solo Targum. Non
c'è alcun Targum di Daniele né di Esdra-Neemia (senza dubbio perché questi libri
sono scritti parzialmente in aramaico).
ITargum sono stati messi per iscritto tra il II secolo d.C. e l'epoca islamica. La
loro importanza è molto più grande in una prospettiva della storia dell'interpreta- ·
zione che nel quadro della critica testuale in senso stretto. Può succedere, tuttavia,
che il Targum permetta di ricostruire una lezione antica.
Tra i rotoli di Qumran figurano dei frammenti di una traduzione aramaica del
Levitico e del libro di Giobbe. Il rapporto tra questi testi e la tradizione targumi-
ca, codificata molto più tardi, non è stato delucidato. ·
Segnaliamo ancora che esiste una traduzione aramaica antica del Pentateuco
samaritano che si può assimilare ài Targum giudaici.

1.7 .. La Vulgata

Le traduzioni latine più antiche dell'Antico Testamento si fondano sulla


LXX: si è dato loro il nome di Vetus latina. Verso la fine del IV secolo d.C., Giro-
lamo si rende conto delle grandi differenze tra il latino in uso nelle chiese e il te-
sto ebraico letto dai giudei. Egli decide dunque di produrre una nuova traduzione
latina, fondata sul testo originale. Con l'aiuto di studiosi giudaici, conduce il suo
progetto a termine durante· gli anni 390-405 d.C. Dopo un lungo periodo di adat-
tamento, la sua traduzione si impone dappertutto in occidente, al punto di essere
chiamata la· Vulgata, la traduzione comune.
La Vulgata trasmette raramente delle varianti indipendenti. La si consulterà
soprattutto per conoscere l'interpretazione della Bibbia dell'epoca.

27
1.8. Altri testimoni

Oltre ai testimoni enumerati in precedenza, che si devono considerare come


primari, esiste uri gran numero di altri testimoni testuali il cui apporto per la rico-
struzione del testo ebraico è minore. Conviene tuttavia enumerarli e classificarli ra-
pidamente.

1.8.1. Traduzioni antiche della LXX·


Essendo stata adottata come Bibbia della Chiesa cristiana, la LXX è stata tra-
dotta in varie lingue, delle quali le più importanti sono: il latino (vedi sotto), il cop-
to, l'armeno, il siriaco, l'etiope e l'arabo. Le traduzioni sono importanti per stabili-
re il testo della LXX. Figurano quindi nell'apparato critico della grande edizione
della LXX di Gottingen. Per stabilire il testo ebraico, non hanno importanza che
per la loro attestazione di uno stato del testo conservato in alcuni manoscritti gre-
ci della LXX. Questo tipo di situazione si presenta specialmente in rapporto con la
vecchia versione latina.

1.8.2. Revisioni della LXX

In seno al giudaismo, gli scarti importanti tra la LXX e il testo protomasore-


tico hanno condotto, in un primo tempo, alla revisione del testo greco. Si conosco-
no varie revisioni, generalmente sotto forma di frammenti o di citazioni. Le revi-
sioni più importanti sono quelle di Teodozione, Aquila e Simmaco. Tradizional-
mente, sono situate tutte nel II secolo d.C. Nondimenò, l'opera di Teodozione ha
lasciato delle tracce già nel Nuovo Testamento. Inoltre, un rotolo dei Piccoli profe-
ti ritrovato a Nahal Hever, presso il Mar Morto, presenta un testo greco della LXX.
sottoposto a una revisione secondo dei procedimenti vicini a quelli impiegati da
Teodozione. Questo rotolo è datato I secolo a.C. Così, Teodozione potrebbe rap-
presentare una scuola la cui attività si dispiega per un periodo molto lungo. ·
Non esiste alcun testo di queste revisioni (ad eccezione del libro di Daniele,
dove Teodozione è un testo integrale). Le citazioni trasmesse dai padri della Chie-
sa o contenute al margine di certi manoscritti della LXX sono generalmente di
grande valore. Secondo la loro testimonianza, il testo della LXX è stato corretto
laddove non corrispondeva al testo protomasoretico. Le revisioni documentano co:-
sì un momento importante nella storia del testo. È tuttavia molto raro il caso in cui
gli specialisti propongano di ricostruire il testo ebraico originale con l'aiuto delle
revisioni quando non sono sostenute da nessun altro testimone.

28
1.8.3. Citazioni nella letteratura giudaica
Nei rotoli non biblici di Qumran e nella letteratura rabbinica si incontra un
gran numero di citazioni della Bibbia ebraica. Queste citazioni trasmettono spesso
uno stato del testo leggermente irregolare. Meritano allora l'attenzione della criti-
ca testuale. È necessaria tuttavia una certa prudenza: una variante in una citazione
non riflette spesso U:na tradizione testuale; molto più frequentemente deriva dalle
intenzioni dell'autore che cita il versetto biblico. Queste riserve valgono tanto più
per le citazioni in lingua greca (ad es. le citazioni dell' AT nel NT). Concretamente,
la sola edizione critiça del testo dell'Antico Testamento che tiene conto delle cita-
zioni è la HUBP, dove queste sono messe in rapporto in un apparato specifico.

2. Il metodo della critica testuale

La critica ,testuale non è una tecnica che consiste nell'applicazione stretta di


alcune regole. Si tratta di una scienza umana che fa intervenire il giudizio soggetti-
vo. Molto dipendedall'esperienza dello studioso e dal suo buonsenso. L'esercizio
principale della critica testuale è di descrivere degli scenari dell'evoluzione testua-
le. Si tratta di spiegare le differenti lezioni grazie a una ricostruzione della storia
del testo. La variante che si situa più vicino all'inizio di una tale storia sarà consi-
derata come la più antica, quelle che seguono come secondarie. Nondimeno, in uno
scenario differente, l'ordine delle preferenze può essere invertito.
Da ciò non si deve concludere che la critica testuale sia un'impresa futile e ar-
bitraria .. Alcuni scenari sono più persuasivi di altri, perché arrivano a integrare me-
glio l'insieme dei dati testuali. Inoltre, vi sono anche delle regole, la cui funzione è
soprattutto quella di garantire la plausibilità delle ipotesi.
Il principio di base è di studiare le varianti nei loro contesti: la pratica, indot-
ta dalla BHS e dagli apparati critici in generale, e che consiste nel valutare le le-
zioni isolandole, è inadeguata. Nella misura del possibile, bisogna studiare una va-
riante del testo samaritano nel contesto del Pentateuco samaritano, una variant~
della versione greca nel contesto della versione greca, e così via, proprio come bi-
sogna studiare i dati del TM nel loro contesto.

2.1. Le cause dell'evoluzione testuale

È già stato segnalato che la critica testuale si fonda sulla nozione di valuta-
zione testuale: inuna tradizione manoscritta, le copie non sono mai interamente
conformi al modello. La pluralità delle forme testuali attestate risale a una forma
unica che non si è conservata. Le cause della frammentazione sono molteplici. Ne
distinguiamo tre.

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29
1r1:•.
.:.
ll 2.1.1. Gli errori di copiatura

Uno scriba che copia un testo manoscritto, leggendolo o facendoselo dettare


da altri, è suscettibile di errore. Per uno scriba ebreo che copia la Bibbia si posso-
no evocare in particolare le possibilità seguenti.
- Per quanto riguarda le singole consonanti, il copista può scrivere una volta
due consonanti identiche che si seguono (aplografia) o, in senso inverso, può scri-
vere due volte una consonante della sua fonte (dittografia). Può invertire l'ordine
di due consonanti. Può confondere delle consonanti la cui forma è simile (ad es.
waw e yod, dalet e resh, kaph e beth), oppure confondere delle consonanti la cui
pronuncia è simile (ad es. he e aleph, waw e beth). Notiamo ancora che i testi biblici
più antichi hanno conosciuto senza dubbio una fase in cui vennero scritti in un al-
fabeto paleoebraico. In questo alfabeto, esistevano altre possibilità di confusione
(ad es. tra aleph e taw, yod e tsade, nun e pe).
- Per quanto riguarda le parole, il copista può scrivere una volta una serie di
due parole identiche (aplografia) o, in senso inverso, può scrivere due volte una pa-
rola presa dalla fonte (dittografia). Può scindere una parola in due o combinare
due parole distinte in una sola.
-Per quanto riguarda delle unità testuali più grandi, oltre alla possibilità del-
l'aplografia e della dittografia, il copista può saltare da una parola a un'altra iden- ·
tica omettendo ciò che si trova tra le due. Così succede che il copista ometta un
passaggio che comincia con la stessa parola del passaggio seguente (homoiarcton ),
o che ometta un passaggio che termina con la stessa parola del passaggio seguente
(homoioteleuton ).
Questo piccolo catalogo di errori non è esaustivo. Enumera semplicemente
qualche situazione frequente e facilmente immaginabile.

2.1.2. L'influenza dei passi paralleli


Succede molto spesso che un passo biblico sia alterato nel processo della tra-
scrizione a causa dell'influenza esercitata da un altro passo più o meno parallelo. Il
passo che viene influenzato può trovarsi nella stessa pericope, in una pericope vi-
cina o in una pericope più lontana- i copisti conoscono molto bene la loro Bibbia.
È spesso difficile dire se queste alterazioni sono coscienti o meno. In certi casi, il
copista ha voluto adattare il testo a quello di un passo parallelo al fine d~ armoniz-
zare la Scrittura. In altri casi, il copista può aver seguito una formulazione paralle-
la senza rendersi conto che non riproduceva esattamente il suo modello.

2.1.3. I cambiamenti intenzionali


Infine, i copisti possono persino intervenire in maniera cosciente n"elloro te-
sto, grazie a delle alterazioni, delle aggiunte varie, più eccezionalmente grazie a
delle omissioni intenzionali.
Alcune alterazioni sono di natura linguistica. Un copista è capace di moder,.
nizzare una forma arcaica, di rimpiazzare una parola rara con una parola più co-
nosciuta, o. di cambiare leggermente la sintassi del suo modello.

30
-Altri cambiamenti hanno un canittere più espressamente esegetico. Una pa-
rola difficile o inaspettata può essere spiegata grazie a una glossa. In altri casi, il co-
pista può aggiungere un elemento che gli sembra mancare nel contesto.
-Talvolta, la motivazione di un cambiamento testuale sembra essere teologi-
ca. Secondo una tradizione rabbinica, gli scribi avrebbero cambiato il testo biblico
in 18 passi: sono le tiqquné sopherim (correzioni degli scribi). Per esempio in Zc
2,12 il TM ha: «Chi vi tocca, tocca la pupilla dei suoi occhi»; secondo la tradizione,
si tratta di un tiqqun sopherim, dove il testo originale leggeva: «Chi vi tocca, tocca
la pupilla dei miei occhi». La correzione aveva lo scopo di allontanare l'idea che si
potessero toccare le pupille degli occhi di Dio. È difficile determinare l'affidabilità
di questa tradizione. Tra i casi citati, un certo numero non sembra rappresentare dei
casi' reali di cambiamento testuale. Al contrario, esistono degli esempi possibili di
correzioni teologiche che non sono riprese nelle liste ·rabbiniche. -

Questo esempio potrebbe essere classificato come un semplice errore dovuto


alla confusione di yod e waw. Ma è possibile che abbia giocato un ruolo l'interes-
se di tipo teologico. Il Pentateuco samaritano, che qui riflette senza dubbio lo sta-
to del testo più antico, poteva suggerire che ci sia stata un'epoca in cui YHWH non
conosceva Israele. Una tale suggestione poteva attentare alla nozione di anni-
scienza divina. Il TM riflette uno stato del testo secondario in cui la difficoltà teo-
logica è stata scartata grazie a un cambiamento minimo.
Lo scenario che si propone in questo caso è confermato dalla LXX: ànet8ouv-
--res T)--re --rà TtQÒS xuQtov ànò --rfls TJ!lÉQas T)s 8yvroa811 U!ltV, «Voi siete stati ribelli
contro YHWH dal giorno in cui egli si è fatto conoscere a voi». Questa versione si
comprenqe come un'interpretazione di un testo ebraico conforme al Pentateuco
samaritano (a partire dal TM, la LXX rimane inspiegabile ). In maniera analoga, la
traduzione. araba del Pentateuco samaritano legge: «Voi siete stati ribelli contro
YHWH dal giorno in cui è entrato in una relazione di fiducia con voi (mund.u
munéijéitihi 'iyyéikum )».
31
' . . .

Qu~sto tipo di esempio è relativamente poco frequente. In nessun caso biso-


gnerà immaginare una riscrittura sistematica di un passo in base ad alcuni principi
teologici.
A proposito delle correzioni teologiche, si consulterà con profitto l'articolo di
D. Barthélemy, «Les tiqquné sopherim et la critique textuelle de l'Ancien Testa-
ment».2

2.2. Lectio brevior e Jectio difficilior

Due raccomandazioni generali sono spesso date ai giovani critici del testo. Da
una parte, si propone di privilegiare la lezione più corta rispetto a quella più lun-
ga: lectio brevior, potior (una lezione più breve è migliore). D'altra parte, si consi-
glia di adottare la lezione più difficile piuttosto che quelle più facili: lectio diffici-
lior, potior (una lezione più difficile è migliore). Queste regole sono valide, ma do-
mandano un'applicazione intelligente, rispettando la loro logica intrinseca. La lec-
tio brevior e la lectio difficilior non sono preferibili che nella misura in cui spiega-
no rispettivamente la lectio longior e la lectio facilior.
La formula della lectio brevior si fonda sull'idea che è più facile che un copi-
sta faccia un'aggiunta alla sua fonte piuttosto che ne espunga una parte. Questa
idea è certamente corretta. Il testo biblico era considerato sacro: bisognava tra-
smetterlo integralmente senza omettere il benché minimo dettaglio. Si poteva in-
vece considerare di aggiungere qualcosa, ad esempio, per spiegare il senso della
frase, per chiarire il significato di una parola o per armonizzare il passo con un pa-
rallelo. In alcuni casi, delle glosse figurano al margine del manoscritto o tra le ri-
ghe. I copisti posteriori hanno talvolta visto questi elementi supplementari come
facenti parte del testo biblico: è meglio allegare troppo che troppo poco.
D'altra parte; la regola della lectio brevior ha dei limiti manifesti. Quando un
copista, per errore, salta da una parola a un'altra simile (homoiarcton o homoiote-
leuton), produrrà un testo più corto ma secondario. Allo stesso modo, l'errore di
aplografia approda forzatamente a un'omissione. In tali casi la formula non si può
applicare.
Le cose si presentano in maniera simile anche per la seconda formula. L'idea
della regola della lectio difficilior è che un copista più facilmente semplificherà un
testo giudicato difficile, piuttosto che rendere incomprensibile un testo piano e sen-
za asperità. In generale ciò è esatto. Abbiamo già presentato alcune occorrenze in
cui il testo biblico è stato reso piano ed è stato alleggerito per i lettori. Ma un te-
sto difficile può anche essere· il risultato di una corruzione testuale: la confusione
delle consonanti, l'omissione accidentale di una parola, l'armonizzazione meccani-
ca con un passo parallelo possono creare un testo difficile e secondario.
Si potrebbero rimpiazzare le regole evocate con un'altra: la lezione migliore
è quella che spiega le altre lezioni attestate. Spesso, le lezioni secondarie saranno
più lunghe o più semplici della lezione originale, secondo la logica tracciata sopra.
Ma in altri casi è la lezione più lunga che spiega la genesi della breve, la lezione
limpida che spiega l'origine della lezione più oscura.

2 In G. W. ANDERSON et al. (edd.), Congress Volume -Bonn 1962 (SVT 9),Brill, Leiden 1963,285-
304.

32
· 2.3. -Casi in cui si può decidere e casi in cui non si può

La discussione. delle varianti non approda spesso a una decisione netta. Tal-
volta la genesi delle diverse lezioni resta inspiegabile. Si constata semplicemente
che differenti testimoni testuali non sono concordi. Talvolta,· al contrario, si pre-
sentano molteplici spiegazioni, senza che sia possibile risolvere la questione (cf. N m
12,6, Esempio 3). Un gruppo di piccole varianti frequenti -l'aggiunta o l'omissio-
ne di 1, «e»; o di '?j, «tutto», il cambiamento di nome grammaticale, l'aggiunta 6 l'o-
missione di un soggetto esplicito del verbo - non devono essere risolte in ogni si-
tuazione. Spesso, non influiscono molto nell'interpretazione del passo che si sta
studiando.
Quale che sia la ragione dell'impossibilità di decidere,jn tutti ·i casi in cui la
lezione originale non possa essere identificata con una ragionevole certezza, è le-
gittimo appoggiarsi al TM. La preferenza per il TM in caso di dubbio si fonda su
vari elementi: nei casi che si possono risolvere, è spesso il TM a trasmettere la le-
zione più antica; il TM è conosciuto da una tradizione solida e antica; il TM è il te-
sto ebraico più diffuso e meglio conosciuto. Così, nella pratica, il TM è in qualche
· modo una sorta di «testo di base» del lavoro di critica testuale.

2.4. Criteri esterni e interni

In critica testuale, si chiamano criteri esterni quegli elementi oggettivi che qua-
lificano una data lezione. Si tratta specialmente dell'antichità e della quantità di
manoscritti che attestano la lezione, così come della qualità della tradizione che ri-
portano. La distinzione tra testi ebraici e traduzioni, quindi, qualifica oggettiva-
mente una lezione. Un testimone ebraico ha più. autorità di una traduzione; un te-
sto in cui la tradizione risale a un periodo più antico vale più di una tradizione più
recente; l'attestazione di varie tradizioni indipendenti è preferibile all'attestazione
di una sola tradizione. I criteri interni corrispondono a tutti quegli argomenti logi-
ci e di confronto con il contesto che si possono mettere in rapporto con una data
lezione. I criteri interni hanno quasi sempre un carattere soggettivo. Questi due ti-
pi di criteri intervengono nel giudizio della critica testuale.
Nel migliore dei casi, sono concordi: la variante attestata in maniera migliore
(criterio esterno) è preferibile dal punto di vista del contesto e spiega la genesi del-
le altre lezioni (criteri interni). È il caso dell'esempio che si trova in Nm 12,8
(Esempio 1). La lezione il~l~:P è attestata da due manoscritti di Qumran, dal Pen-
tateuco samaritano e dalla LXX, la lezione il~l~~ dal solo TM. I criteri esterni fan""
no dunque pendere la bilancia dal lato della prima lezione: molteplici tradizioni an-
tiche, tra le quali tradizioni ebraiche, lo attestano. I criteri interni confermano l'o-
riginalità della lezione il~l~=il= si inserisce meglio nel contesto; inoltre, si può spie-
gare in che modo la variante testuale del TM ne derivi.
Nondimeno, i criteri esterni e interni si trovano talvolta in conflitto. In questo
caso, la lezione attestata meglio si presenta come secondaria in base a dei criteri in-
terni. O al contrario, la lezione superiore secondo una criteriologia di tipo interno
non è attestata che da una tradizione testuale tardiva.

33
In caso di conflitto tra criteri esterni e interni, molti critici preferiscono ri-
schiare l'errore con il TM. Questo partito preso riflette senz'altro un certo grado di
tradizionalismo. Allo stesso tempo, si tratta di un'opzione raccomandata dalla pru-
denza.

2.5. Le congetture

In generale-la critica del testo si limita alla recensione delle varianti e a una
valutazione di queste. Esistono tuttavia dei passi in cui l'insieme dei testimoni te-
stuali concorda su una lezione che sembra difficilmente difendibile, per varie ra-
gioni. In questo caso, si può proporre una nuova lezione, non attestata.

34
Un certo numero di congetture partono da osservazioni di carattere filologi- .
. co. Alcune parole ebraiche sono state dimenticate nella tradizione e possono esse-
re recuperate mediante il ricorso alle lingue semitiche antiche, come ad esempio
l'accadico e l'ugaritico.
Alcune critiche del testo rifiutano assolutamente di ricorrere a delle conget-
ture. Una tale attitudine è sprovvista di ogni fondamento teorico. È chiaro che il te-
sto dell'Antico Testamento ha potuto subire un cambiamento in maniera che la le-
zione più originale non sia preservata più in nessun luogo. Per ritrovarla, bisogna
allora osare con delle congetture. Nella pratica, anche le congetture più brillanti
spesso riescono a imporsi con difficoltà.

3. La critica testuale· e la storia della redazione

In critica testuale, si discute generalmente una variante alla volta, o tutt'al più
le due o tre varianti che si trovano nel medesimo passaggio. Tuttavia, in alcuni libri
biblici i ricercatori hanno constatato un legame di parentela tra un gran numero di
· varianti. In questo caso, si abbandona evidentemente il dominio della critica te-
stuale pura per giungere a delle questioni di storia della redazione. Si comprende
sempre meglio, e ciò dopo circa una generazione, che il confronto dei testimoni te-
stuali dell'Antico Testamento non conduce solamente alla correzione di una o di
un'altra lezione corrotta nel testo ebraico, ma che talvolta lascia intravedere dei ve-
ri «stati del testo» a livello del libro intero.
Le scoperte a proposito dèllibro di Geremia hanno aperto una via nuova. La
LXX di Geremia passa sotto silenzio un gran numero di elementi del TM. Delle
parole, dei versetti e delle pericopi intere, presenti nel TM, non si ritrovano nel te-
sto greco. In più, l'ordine dei capitoli non è lo stesso nella LXX e nel TM. Le di-
vergenze del testo greco erano state attribuite al traduttore. Ora, tra i rotoli bibli-
ci di Qumran se n'è trovato uno che offre esattamente lo stesso tipo di testo della
LXX (4QGerb). Questa scoperta ha permesso di confermare l'ipotesi secondo la
quale il «testo corto» di Geremia, rappresentato dalla LXX e da 4QGerb, riflette
uno stadio più antico nell'evoluzione del libro rispetto al «testo lungo» del TM e
delle altre versioni.
Dei fenomeni simili sono stati riscontrati nei lìbri di Daniele e dei Re e, in mi-
sura più modesta, nei libri di Ezechiele, di Giosuè e dei Proverbi. Per tutti questi li-
35
bri, è probabile che il modello ebraico deitradut,tori greci rappresenti un'altra edi-
zione rispetto a quella del TM. Chiaramente la priorità storica non appartiene per
forza al testo «egiziano»: in Geremia il modello della LXX è più antico di quello
del TM, ma in altri libri il rapporto può essere inverso.

B. IL TESTO,
SPECCHIO DELLA STORIA DELL'INTERPRETAZIONE

Quando nacque la critica testuale dell'Antico Testamento come disciplina


scientifica, nel XVII secolo, il suo unico obiettivò era di stabilire il testo originale.
Progressivamente, i ricercatori hanno realizzato che questo scopo non poteva es-
sere raggiunto: si può in certi casi arrivare a uno stadio del testo più antico di quel-
lo attestato dai manoscritti, ma il testo originale rimane fuori portata.
Una tale relativizzazione della ricerca del testo originale va di pari passo con
una curiosità a proposito di quei fattori capaci di alterare il testo. Il testo biblico è
vivo. Non evolve solo in base a degli errori meccanici. Alcuni cambiamenti testi-
moniano una presa di posizione teologica o ideologica: gli scribi antichi hanno
adattato il testo alla comprensione che ne avevano. Questi cambiamenti, anche se
secondari, gettano luce sulla ricezione del testo e sul senso che aveva per delle ge-
nerazioni di lettori. Le lectiones faciliores e longiores, a lungo rigettate in nome del-
la ricerca del testo autentico, si rivelano degne di interesse.
Il nuovo approccio critico testuale si delinea soprattutto dopo la seconda
metà del XX secolo, con qualche precursore nel XIX secolo (specialmente
·Abraham Geiger). Questa va di pari passo con un movimento più generale nella ri-
cerca esegetica, che parte da un rinnovato apprezzamento per la storia dell'inter-
pretazione. Al crepuscolo dell'era moderna, i biblisti si interessano di nuovo alle in-
. terpretazioni giudaiche antiche, ai commentari patristici. I primi testimoni del testo
biblico affondano le loro radici nelle stesse epoche e negli stessi ambienti dei pri-
mi esegeti biblici.
Presenteremo brevemente alcuni sviluppi recenti nella disciplina della critica
testuale, che l'hanno trasformata dall'interno arricchendola.

· 1. L'i-nteresse per il fenomeno del Targum

36
I Targum giudaiCi si situano coscientemente nella scia del TM, sono attestati da
una tradizione manoscritta relativamente tardiva e offrono spesso una parafrasi as-
sai debole del testo ebraico. Per tutte queste ragioni, l'apporto dei Targum alla ri-
cerca del testo originale, senza essere inconsistente, è perlomeno molto ristretto.
Al contrario, se si esclude il punto di vista della critica testuale classica, il Tar-
gum si presenta come un fenomeno affascinante. I targumisti reagiscono alle mini-
me asperità del testo con la spiegazione di termini poco conosciuti o con la para-
frasi di una sintassi difficile.

Il Targum armonizza costantemente il testo con il suo contesto prossimo o


lontano. Si vuole trasmettere una comprensione del testo che sia adeguata alla dot-
trina ufficiale. Attualizza il testo introducendo dei riferimenti a degli avvenimenti
o delle idee conosciute dai lettori.

Certamente, le soluzioni proposte dal Targum non corrispondono sempre al


senso originale del testo ebraico. Al contrario, i problemi testuali a cui reagiscono
i targumisti sono reali. Il Targum aiuta l'esegeta a formulare le questioni poste dal
testo.
I Targum incorporano spesso degli elementi leggendari presi dai midrash. Co-
sì, all'inizio del racconto di Nm 12, il Targum Onkelos racconta che Mosè aveva

37
cacciato sua moglie. Si deve consultàre il midrash per capire a che cosa si faccia ri- ·
ferimento: Mosè si era separato dalla moglie per consacrarsi al suo ministero pro-
fetico. Miriam, lungi dal criticare, ha voluto semplicemente mettere in guardia il
fratello dal disobbedire al comandamento «siate fecondi e moltiplicatevi». Come
ha saputo Miriam ciò che succedeva tra Mosè e Zippora? Il midrash racconta che
Miriam si trovava accanto alla cognata nel momento in cui un giovane uomo è ve-
nuto a dire che Eldad e Medad profetizzavano nel campo (Nm 11,27). Zippora
avrebbe esclamato: «Disgrazia per le donne di quella gente!», da cui Miriam avreb-
be dedotto che Mosè non si occupava abbastanza di sua moglie. 3
Questo romanzo non trova alcuna pezza d'appoggio nel testo (cf. tuttavia Es
18,2, il divorzio di Mosè ), ma serve a legare i temi eterogenei che sono giustappo-
sti in questo capitolo, quello della moglie di Mosè e quello della profezia. Allo stes-
so tempo, si arriva a scusare parzialmente Miriam: non ha agito per gelosia, ma per
uno scopo legittimo.

2. Una rivoluzione nell'approccio alla LXX

Al contrario del Targum, la LXX si è rivelata da molto tempo come una fon-
te molto feconda di lezioni potenzialmente più antiche di quelle degli altri testi-
moni testuali. Tuttavia, nella ricerca recente si riscontra una tendenza a sottolinea-
re un altro aspetto della LXX. L'antica traduzione greca spiega la sua fonte, l'a-
datta ai suoi lettori, l'attualizza. In sintesi, la LXX mostra una parentela tipologica
con il Targum. «La Septante, un Targum?» è il titolo di un articolo di Roger Le
Déaut che ha segnato una svolta. Le varianti più interessanti della LXX non sono
le lezioni originali, ma le interpretazioni.

3 Cf. Siphré Bammidbar, ed. H.S. HOROVITZ, Leipzig 1917,98.

38
Le lezioni interpretative sono numerose nella LXX. Alcuni specialisti hanno
tentato di fare un paragone e di inserirle in un sistema. Certuni vorrebbero scrive-
re una «teologia della LXX». Il successo. di una tale impresa non è assicurato. Ogni
libro della Bibbia è stato tradotto da un traduttore differente o da un'équipe. È
dunque difficile generalizzare. Si deve anche notare una differenza importante tra
LXX e Targum: il Targum si sviluppa a lato del TM, mentre la LXX lo vuole rim-
piazzare. I targumisti si possono permettere delle libertà, poiché il testo ebraico è
a disposizione per l'eventuale correzione; i traduttori greci tentano in generale di
fornire ai loro lettori una versione più completa e ·precisa possibile.
Nella recente traduzione commentata della LXX, elaborata nella serie La
Bible d'Alexandrie, si conferisce poca attenzione alla ricerca del testo primitivo.
Tutto lo sforzo di questa impresa si dirige verso la lettura della Bibbia prodotta
dai traduttori e di cui, in molti casi, si notano le amplificazioni nei padri della
Chiesa.

3. Tendenze esegetiche nei rotoli di Qumran

La presenza di elementi esegetici o omiletici in una traduzione non stupisce


più. Ogni traduzione è allo stesso tempo un'interpretazione. Ciò non vale allo stes-
so modo per le tradizioni testuali trasmesse in ebraico: se si tratta di edizioni di un
testo, non ci si attende a priori di trovare degli elementi interpretativi. Nondimeno,
l'esempio del Pentateuco samaritano mostra che un'edizione ebraica può propor-
re una lettura molto orientata del testo. Come si è detto, il Pentateuco samaritano
presenta realmente una versione samaritana della Torah. Il fenomeno solleva la
questione di sapere se altre tradizioni ebraiche non abbiano presentato una ver-
sione particolare del testo. .
A proposito dei rotoli di Qumran, sono stat! ispezionati minuziosamente i te-
sti biblici al fine di trovare delle varianti «settarie», indotte dal sistema teologico
particolare del gruppo che ha prodotto il testo. Il risultato di queste ricerche resta
·molto scarso. Il testo biblico è trasmesso con una grande fedeltà nei rotoli di Qum-
ran, malgrado un certo numero di varianti. I pesharim, «commentari» settari con-
sacrati a certi libri biblici, mostrano l'audacia e l'originalità dell'esegesi qumrania-
na. Ma una tale originalità si esprime nel commentario é non influisce, se non po-
chissimo, sul testo biblico stesso. Alcuni esempi mostrano che la teologia degli seri-
bi poteva comportare qua e là delle modifiche testuali.

39
Dopo la pubblicazione dell'insieme dei manoscritti, terminata di recente, sarà
necessario riprendere questo dossier.

4. Le correzioni degli scribi e la revisione teologica del TM

Infine, la medesima questione si pone in relazione al TM. Non è forse proba-


bile che questo testo sia stato modificato in alcuni passaggi, in accordo con la teo-
logia del gruppo che lo ha trasmesso? Il TM appare nell'epoca del secondo Tem-
pio. Possiamo mostrare che gli sèribi di questa epoca si siano presi delle libertà con
il testo biblico che hanno trasmesso? La risposta a questa domanda pare essere:
«Sì, ma non molto». Dai giorni di Abraham Geiger si è fatto un inventario di un
certo numero di passi, in cui il confronto dei testimoni testuali mostra l'esistenza di
correzioni teologiche nelTM.

40 .
Un altro esempio è stato segnalato in pr:ecedenza (Dt 9,24, Esempio 6). In
questi due casi, il disaccordo dei. testimoni mostra che· il testo è stato riparato in
maniera artigianale. In altre occorrenze, si può sospettare una correzione nono-
stante l'unanimità dei testimoni testuali.

Situazioni come questa rendono testimonianza di un processo che si potreb-


be qualificare, seèondo una formulazione di Bart Ehrman, come «corruzione orto-
dossa della Scrittura». 4 Le religioni del libro sviluppano un rapporto dialettico con
il testo: la comunità credente si conforma alla scrittura, ma allo stesso tempo è ne-
cessario che la Scrittura si conformi alle idee della comunità. Da un altro punto di .
vista, si dirà anche che le correzioni degli scribi mostrano che la recezione e la spie-
gazione della Bibbia cominciano la loro storia testuale, anche a livello del testo
ebraico.
Ciò che non si può provare è che un lavoro sistematico sia stato intrapreso al
fine di allineare il testo ebraicà protomasoretico su un sistema teologico qualsiasi.
Le correzioni apportate testimoniano piuttosto un processo aleatorio più che si-
stematico. Assieme a tali passi corretti, infatti, si trovano dei passi trasmessi così co-
me sono, che presentano i medesimi problemi teologici.

5. Conclusione

Nella nuova prospettiva, che valorizza le lezioni secondarie come dei veri te-
stimoni di una ricezione vivente della Bcrittura, l'impossibilità di decidere molte
questioni di critica testuale.diviene meno imbarazzante. Più che mirare sempre al-
la ricostruzione dell'unico testo originale, ci si arrende all'evidenza di ·una certa
pluralità testuale. Una tale constatazione non è irreconciliabile con la dottrina del-
. l'ispirazione della Scrittura. Ma non è questo il luogo ove affrontare questioni
dogmatiche.

4 B.D. EHRMAN, The Orthodpx Corruption of Scripture, Oxford 1993.

41
.i;..
Sul piano pratico, l'osservazione delle lezioni varianti può attirare l'atten-
zione su un «nodo» nel testo. Quale che sia il testo originale, la semplice esisten-
za di lezioni divergenti può indicare che il passo in questione fa problema. Per l'e-
segeta, questi passi costituiranno spesso il luogo di accesso che gli permetterà di
accostarsi al messaggio profondo e originale del testo. Le scelte che si offrono al .
crìtico del testo corrispondono spesso alle scelte fondamentali che si offrono al-
l'esegeta.

6. Modalità d'impiego

La critica testuale non consiste in «ricette» che è sufficiente applicare alla let-
tera per ottenere successo. Si tratta di un approccio esigente che richiede molta
umiltà e immaginazione.. Si possono tuttavia distinguere varie «fasi». attraverso le
quali il lavoro deve passare, se si vuole sperare che sia fecondo per l'esegesi.

6.1. Analisi e traduzione del testo. di base

In un primo momento, conviene tradurre il TM della pericope scelta, così co-


me appare nella BHS (o in un'altra edizione), con l'ausilio del dizionario, e nei ca-
si più difficili della grammatica. È spesso istruttivo, in questo stadio, paragonare la
propria traduzione «martire» con una o due traduzioni moderne.

6.2. Selezione degli altri testimoni

· Esistono molti testimoni del testo dell'Antico Testamento. Per evitare di per-
dersi, bisogna fare una scelta. Se esiste per la pericope scelta un testimone ebraico
non masoretico, ad esempio un testo di Qumran, bisogna ritenerlo. Nei limiti del
Pentateuco, si può fare un paragone con il Pentateuco samaritano. Quasi sempre
vale la pena di includere la LXX. Altri testimoni possono essere selezionati secon-
do le capacità e il gusto di ciascuno: Vulgata, Peshitta, Targum, revisioni della LXX.
In seguito, conviene analizzare e tradurre gli altri testimoni ritenuti con la me-
desima cura del TM.

6.3. Il confronto dei testimoni


Il centro del lavoro di critica testuale consiste nel confronto dei testimoni. Si
parte dal testo di base, che si paragona parola per parola e frase per frase· concia-
scuno degli altri testimoni. Si tenta di identificare le divergenze: cosa facile quan-
do si tratta di due testimoni scritti in ebraico, più difficile quando i testimoni non
sono nella stessa lingua.

6.4. Spiegazione delle varianti

Si possono mettere da parte le piccole varianti che non hanno alcuna inci-
denza sull'interpretazione del testo: differenze ortografiche, aggiunte di un waw di

42
coordinazione, ecc. Al contrario, le varianti significative devono diventare oggetto .
di una discussione. Bisogna immaginare uno scenario che spieghi come una forma
del testo si sia trasformata in un'altra forma. Si tratta di un errore scribale o di una
modifica cosciente? Nel caso delle traduzioni, la divergenza è dovuta al traduttore
o rivela un diverso modello ebraico? Ricordiamo che non esiste alcuna ragione per
cui si debba privilegiare il TM: anche se costituisce il nostro testo di base, le sue le-
zioni non sono per forza le più antiche.

6.5. Utilizzo dell'apparato critico della BHS (o BHQ)

Dòpo aver percorso le fasi 1-4, si possono paragonare i risultati con l'appara-
to critico della BHS o di un'altra edizione critica, oppure si possono consultare le
note di critica testuale di un commentario. ·

43
Capitolo 2
L'ANALISI NARRATIVA
DEl RACCONTI BIBLICI

JEAN-PIERRE SONNET

Fin dal suo inizio in Gen 1,1- «Quando all'inizio Dio creò il cielo e la ter-
ra ... » -, la Bibbia ebraica introduce il suo lettore in ciò che è la sua modalità
espressiva maggiore: quella narrativa. Questo capitolo vorrebbe essere una breve
introduzione all'arte biblica del racconto e all'approccio critico che ne scaturisce.
Se il racconto della Bibbia si inscrive nella grande tradizione narrativa, mettendo
in atto gli «universali» dello stile narrativo, se ne distingue anche per alcuni tratti
particolari, legati alla singolarità del suo progetto. Prima di caratterizzare il mo-
dello narrativo della Bibbia e di presentare gli elementi costitutivi della sua arte
di raccontare, un'avvertenza farà da eco alla storia dell'approccio detto narrativo
e un cenno sull' «arte composita» della Bibbia offrirà un «raccordo» con l'approc-
cio storico-critico presentato negli altri capitoli di questo manuale. Tuttavia, fin

45
d'ora sottolineiamo che lo stile narrativo, nella Bibbia come altrove, è legato al pa-
rametro temporale: un racconto rappresenta «del tempo» con «del tempo» - esso
racconta azioni che si sonò svolte nel tempo (in un rapporto insieme cronologico
e causale) .e lo fa traD?-it~ un veicolo eminentemente temporale, quello del di-
scorso, nella sua secJI.lenzialità propria. Si capisce quindi quanto la qualifica di
«sincronica» spesso utilizzata per caratterizzare la lettura narrativa è- poco appro-
' !', ·.
l ':_:
..
-.
priata: non c'è niente di più «diacronico» di un racconto, poiché una tale comuni-
cazione racconta azioni che si sono, svolte «attraverso il tempo» (dia-chronos) e
1 questo con l'aiuto di un mezzo linguistico che si distende, esso stesso, in maniera
sequenziale, vale a dire «attraverso il tempo». In maniera interessante, il parame-
l tro temporale che tocca gli altri !lpprocci esposti in questo libro è scrutato qui al-
l'interno della proposta biblica. E del resto il motiv9 per cui questa presentazione
finirà 'con un esame della dimensione storiografica dei racconti della Bibbia. In
quale maniera l'arte della Bibbia di raccontare «storie» si allea con la sua pretesa
di raccontare la «storia»?

1. Storia e preistoria di un metodo

L'apprpccio chiamat? narrativo è allo stesso tempo nuovo e antico nel pano-
rama dell'esegesi biblica. E nuovo nell'assortimento dell'esegesi critica e se ne può ·
comodamente situare l'apparizione con la pubblicazione del libro di Robert Alter,
The Art of Biblica! Narrative (1981), stuqio pioneristico ma rapidamente ricono-
sciuto come punto di riferimento in materia. Alter stesso esprime il suo debito nei
confronti di lavori pubblicati in ebraico a partire dal1968 da Meir Sternberg, lavo-
ri che hanno avuto sbocco nell'opera chiave The Poetics of Biblica! Narrative
(1985). Altri studiosi si erano messi al lavoro nel fratte1p.po,'e particolarmente Jan
Fokkelman (Narrative Art in Genesis, 1975), Jacob Licht, Uriel Simon e Shimon
Bar-Efrat. Questa generazione di esploratori non ha mai mancato di salutare come
precursori Luis Alonso Schokel (1961), Erich Auerbach (1946), Martin Buber e
Franz Rosenzweig (1936) e Hermann Gunkel (1910) (le date segnalano delle pub-
blicazioni chiave).
Il contributo di questi studiosi si è dato sullo sfondo di ciò che Hans W. Frei
ha chiamato Eclipse of Biblica! Narrative. Nel corso del XVIII e del XIX secolo la
«storia» considerata dalla ricerca non era mai la storia narrata, ma quella dei testi
(la storia redazionale) o quella degli avvenimenti (la storicità dei fatti riportati):

46
Il realismo di tipo storico dei racconti biblici, riconosciuto da tutti, al posto di essere
esaminato in se stesso e nelle sue implica~ioni quanto al senso e all'interpretazione, è
stato trasferito sull'interrogativo totalmente differente di sapere se il racconto realista
fosse o meno storico (p: 16).

Come e perché, su questo sfondo, la questione del racconto è tornata con for-
za? In un modo illuminante, alcuni hanno collegato questa svolta nell'esegesi con
gli sviluppi recenti della critica letteraria, e principalmente con il New Criticism,
che si è sviluppato nei paesi anglosassoni negli anni 1930-1950. Nel suo tornare al-
l'opera letteraria nella sua autonomia di «opera d'arte, artefatto», affrancandola
dalla tutela dell'intenzione dell'autore, dalla storia, dalla sociologia o dalla psico-
logia, e nella sua pratica del close reading (la «lettura ravvicinata»), il New Critici-
sm ha senza dubbio preparato la rivoluzione esegetica iniziata dai nostri autori. Si
possono tuttavia riconoscere altre filiazioni, particolarmente rispetto ai formalisti
russi (1914-1930), tramite Roman Jakobson, o anche, nella tradizione neoaristote-
lica (richiamandosi quindi alla Poetica di Aristotele), rispetto a Wayne Booth (The
Rhetoric of Fiction, 1961). Nel contesto europeo, l'eredità di Aristotele e dei for-
malisti russi si è tradotta grazie all'influenza delle narratologie elaborate da Gérard
Genette e Umberto Eco. Ma alcuni esegeti «narrativi» non mancano di ricordare
che la loro pratica si distingue da un'applicazione a senso unico, il cui movimento
sarebbe dai modelli teoretici al corpus biblico. La Scrittura, afferma Sternberg,
«emerge come l'opera più interessante e più magistrale nella tradizione narrativa»
(1985, 518), al punto che, egli sostiene, la Bibbia ha più da insegnare alla teoria let-
teraria in generale che da impararne.
D'altra parte, è importante osservare che gli approcci narrativi contempora-
nei presentano affinità con pratiche antiche nella tradizione interpretativa dd giu-
daismo. Il close reading che le letture moderne fanno intervenire è stato precedu-
to da quello del midrash. Presupponendo l'unità organica delle Scritture, i maestri
del midrash vi identificarono analogie di tutti generi e livelli. Tuttavia, come scrive
Alter,
benché i midrashisti partissero effettivamente dal presupposto dell'unità del testo, es-
si però, in sostanza, pensavano ben poco a esso come a un racconto continuo, come a
una storia che si dipana in forma coerente, nella quale il significato di dati precedenti
viene progressivamente, o addirittura sistematicamente, svelato o arricchito dall'ag-
giunta di dati successivi. Ciò significa, in pratica, che il midrash propone all'esegesi fa-
si specifiche o azioni singole oggetto del racconto, rha non una lettura continua delle
narrazioni bibliche (1990, 22). ·

Fra il midrash e le letture contemporanee, c'è stato un momento della tradi-


zione che ha costituito una tappa intermedia impo.rtante, avviando una svolta ver-
so la lettura narrativa. Si tratta del contributo di Rashi di Troyes (1040-1105) e del-
la scuola che lo seguì, i quali si impegnarono a esporre il senso contestuale (peshat)
della Scrittura. Non è quindi raro vedere delle analisi narrative critiche sfruttare le
intuizioni di un Rashi, Rashbam, Bekhor Shor o di un altro commentatore ebraico
medievale, ripreso nelle Miqra'ot Gedolot.

47
2. Dei testi compositi

Se c'è un'arte della composizione nella Bibbia, e particolarmente a livello del-


la macronarrativa, è certamente «composita», come ha evidenziato per primo Alter.
Il macroracconto che leggiamo è indubbiamente un patchwork di testi e di reda-
zioni di origini diverse. Una dimostrazione extrabiblica di questo fenomeno è for-
nita dall'epopea di Gilgamesh, di cui gli archeologici hanno esumato diverse ver-
sioni successive. Esse fanno assistere all'integrazione di episodi disparati in un in-
sieme progressivamente unificato e ci permettono quindi di immaginare un proces-
so .similare nel caso della letteratura biblica (si veda Tigay). Uno dei fenomeni de-
cisivi della genesi dei testi antichi è descritto da Jean Louis Ska come «legge della
conservazione» (delle fonti); è questa legge che spiega le tensioni che si incontrano
nel patchwork finale; sono «un segno che gli editori-redattori non hanno intera-
mente rifoggiato le unità narrative individuali ricevute dalla tradizione[ ... ]. Gli edi-
tori-redattori si sforzarono di preservare la tradizione per quanto era possibile»
(2005, 10). Il testo antico non viene eliminato, ma è integrato al meglio in base alle
sue esigenze e alle possibilità che offre ai redattori. Occorre quindi divenire molto
più sensibili a ciò che Yairah Amit ha chiamato «the art of editing» nella Bibbia
ebraica. Quest'arte della composizione a partire da materiali precedenti, egli scrive,
è una profonda r"ielaborazione d'insieme, che comprende la selezione dei materiali da
includere, l'organizzazione della sequenza, la foggiatura dei personaggi, la guida del
lettore tramite gli interventi del narratore e l'incorporazione dei suoi giudizi, o tra-
mite dialoghi fra gli eroi del mondo narrato e l'accesso ai loro pensieri, la rielabora-
zione dei dati in conformità a strutture convenziònali come lo schema delle tre o
quattro ripetizioni, lo sviluppo graduale, il chiasmo, l'incorporazione di motivi g~ne­
rici (1999, 309).

Accostati da una certa angolatura (che Sternberg chiama «source oriented»),


gli insiemi narrativi della Bibbia rivelano anzitutto le loro cuciture, segni di una ge-
nesi complessa; accostati sotto un altro aspetto («discourse oriented» ), gli stessi in-
siemi appaiono come totalità dinamiche che integrano le loro parti in un intreccio
(o parecchi intrecci) unificante.
Il confronto con l'epopea di Gilgamesh risulta anche prezioso su questo pun-
to. Come ha mostrato Tigay, i frammenti sumerici, alla base dell'epopea, sono sta-
ti unificati secondo un espediente unitario: la ricerca dell'immortalità da parte del-
l'eroe, Gilgamesh, in seguito alla morte del suo amico Enkidu. D'altra parte, l'in-
tegrazione di materiale diverso nell'intreccio ha fatto intervenire la creazione di in-

48
elusioni (il motivo delle mura della città di Uruk inquadra così l'epopea, «sottoli-
neando la futilità degli sforzi sviluppati nel frattempo nella ricerca dell'immorta-
. lità») o la funzione strutturante di un personaggio: «Sembra che la conversione di
Enkidu nell'amico di Gilgamesh sia stato il cambiamento iniziale tramite cui l'au-
tore dell'epopea ha conferito un'unità ai materiali utilizzati» (pp. 32-33). Fenome-
ni an,aloghi si osservano nel racconto biblico, così ad esempio nell'insieme chiara-
mente composito della storia dell'ascensione di Davide (1Sam 16-2Sam 6): la ri-
cerca regale di Davide unifica la sequenza dei capitoli; la ripresa in inclusione del
motivo dell'unzione di Davide (da parte di Samuele in 1Sam 16,13; da parte degli
anziani di Israele in 2Sam 5,3; si veda anche il riferimento che fa Davide alla sua
scelta- «YHWH mi ha scelto», 2Sam6,21) segnala l'esito della ricerca; l'interven-
to ricorrente di un personaggio contribuisce anche all'unità dell'intreccio: Mikal, fi-
glia di Saul e prima sposa di Davide, ritorna alla ribalta diciotto capitoli dopo la sua
prima apparizione (la promessa di un matrimonio con la figlia del re è stato un mo-
tivo important~ nell'impresa di Davide finda 1Sam 17,25). In 1Sam 19,12 Mikal
salva Davide delia trappola che gli tende Saul, permettendo gli di scendere e di fug-
gire Ji~triJ 1.iif, «dalla finestra>>. In 2Sam 6,16, dopo tante peripezie e dopo le trat-
tative politiche di cui è stata oggetto, la ritroviamo che osserva Davide Ji~triJ i,i;f,
«dalla finestra», disprezzandolo per essersi disonorato nella sua danza davanti al-
l'arca. Fenomeni simili unificano il ciclo di Abramo fra Gen 12 e 22: ricerca di una
discendenza conformemente alla promessa; contrappunto del motivo di Sodoma e
Gomorra in Gen 13,10-13; 14; 18-19; ruolo strutturante dell''Tj~-'17, «Vattene», in
Gen 12,1 e 22,2. Il racconto biblico assicura così la sua coerenza tramite l'integra-
zione di materiali di origine diversa in potenti intrecci unificanti, e segnala la pro-
gressione di questi intrecci grazie ad analogie, segnate dalla riapparizione di moti-
vi e· di espressioni verbali.
Il fenomeno dei doppioni illustra a modo suo la p'Osta in gioco dell'indagine
narrativa. Se i doppioni hanno dato luogo a molteplici ipotesi sulla storia redazio-
nale dei testi, occorre anche interrogarli come fenomeni narrativi, integrati nella di-
namica temporale del racconto: la ripetizione di una scena ha generalmente un'in-
cidenza determinante sullo sviluppo di un intreccio. Sternberg prende a esempio
tre coppie di episodi: Saul è revocato una prima volta in 1Sàm 13 in quanto fonda-
tore della dinastia (vv. 13-14);in 1Sam 15 è personalmente privato della regalità;
Agar, madre di Ismaele, è mandata via a due riprese (Gen 16 e 21,9-21); Esaù è ·
espropriato due volte dal fratello maggiore (Gen 25,29-34 e 27):

Non è per nulla a caso éhe questo triplice doppione si colloca in punti della storia in
cui Dio fa delle scelte che l'umanità potrebbe percepire come arbitrarie, se non ingiu-
ste, tanto vanno contro alle priorità sociali o naturali[ ... ]. Saul ha perso il suo posto
fin dal primo delitto - una debolezza minore del resto; Ismaele ha perso il suo, senza
essere lui stesso colpevole, ed Esaù a causa della complicità tra Rebecca e Giacobbe.
Ma una serie di due permette al racconto di rafforzare, di diversificare ò di equilibra-
re le motivazioni che conducono al rovesciamento, e di prolungare la sua esecuzìone.
Ismaele non è responsabile del cattivo atteggiamento di sua madre, ma è responsabi-
le del suo. Esaù è stato spogliato della benedizione per inganno, ma solo dopo aver
venduto la primogen:itura a Giacobbe per una minestra. Saul, dopo aver ricevuto un
primo avvertimento a proposito dell'ubbidienza, aggrava il suo caso e soffre propor-
zionalmente. Ovunque il raddoppiamento lungo l'asse del tempo amplifica la scelta di-
vina e la fa passare dall'atto al processo- seconda chance inclusa- attenuando il col-
po impartito al non-eletto, dando il colpo per tappe e, se necessario, in ordine ascen-

49
dente: E nel momento in cui il secondo round ha realizzato o condotto a termine la ca-
duta del personaggio, il primo ci aveva già preparati (1990, 89-90).

In poche parole, la narrazione biblica ha fatto di una costrizione (l'origine


composita e la legge della conservazione) l'occasione per una dimostrazione di ar-
te letteraria: una logica narrativa, sequenziale e cumulativa sottende effettivamen-
te i macroracconti biblici. Questa narràtività à grande échelle richiede tuttavia da
parte dei ricercatori (che hanno essenzialmente messo in luce lo stile narrativo de-
gli episodi) una maggiore attenzione critica.

3. Il modello narrativo

3.1. Il narratore

Non sono gli stessi autori della Bibbia, chiunque essi siano stati, ad assicura-
re la narrazione del loro racconto - non ci fanno udire la loro voce o riconoscere i
loro privilegi naturali. Si cerca invano di caratterizzare l'istanza narratrice del rac-
conto biblico a partire da criteri empirici, postulando per esempio autori (che sa-
rebbero stati) testimoni di ciò che raccontano. Nella maggior parte del corpus nar-
rativo della Bibbia (si tratterà più avanti dell'eccezione che costituiscono i libri di
Es dr a e di N eemia) il compito e il privilegio del narrare sono affidati a un'istanza
- quella del narratore - di cui la persona letteraria è da distinguere dall'individua-
lità storica degli autori (e delle scuole redazionali). Del resto, fin dalle sue prime
parole, la Bibbia pone 1a questione del narratore in maniera notevolmente effica-
ce -stabilendo con ciò un contratto di lettura che vale per tutto ciò che segue. Qual
è la voce che regge e guida la narrazione, e riporta: «Quando in principio Dio creò
il cielo e la terra ... »? Questa voce dà prova di privilegi esorbitanti, raccontando
non solo ciò di cui nessun umano è stato testimone (cf. Gb 38,4), ma riferendo an-
che le parole («Sia la luce!») e la percezione di Dio («Dio vide che la luce era co~
sa buona», Gen 1,3-4) nel suo atto creatore. In opere di origine storica così diver-
sa come i libri della Genesi, di Samuele e di Giona, il narratore appare con le stes-
se caratteristiche essenziali, in altre parole come una voce senza viso né nome, che
non si espone mai sotto forma di un «io» o in maniere simili (evita ogni riferimen-
to all;atto di raccontare e non si rivolge mai al suo uditorio), ed esercitando in
ognuno di questi libri i privilegi dell' onniscienza. Il narratore ha così accesso al-
l'interiorità psichica dei personaggi (Abramo «rise e disse in cuor suo: "A uno di
cent'anni può nascere un figlio?"», Gen 17,17; cf. 1Sam 1,11 e Gen 4,1), Dio inclu-
so («YHWH si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo»,

50
Gen 6,6; cf. 1Sam 15,35 e Gen 3,10); o ancora questo narratore riporta, fin dall'ini-
zio del racconto, la qualità morale di un personaggio («Noè era uomo giusto e in-
tegro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio», Gen 6,9); in altre parole, e
per parlare come 1Sam 16,7, egli «guarda il cuore». Tenendosi nell'anonimato del-
le scritture e riscritture, come conviene in ogni letteratura tradizionale, gli «autori
empirici» (Eco) hanno delegato il compito della narrazione a un uriico narratore
provvisto di un'autorità e di privilegi che trascendono i propri.
· Se la convenzione del «narratore onnisciente» è conosciuta da tutta la tradi-
zione letteraria (e per prima cosa nella letteratura antica), essa prende tuttavia nel-
la Bibbia una forma singolare: la «scienza>~ del narratore vi appare abbinata alla
«scienza» del personaggio di Dio che, per primo, è onnisciente. In questo senso, al-
l'inizio del racconto del diluvio in Gen 6,12,

Dio vide la terra ed ecco: [essa era] corrotta (i1çJQtç~), perché ogni uomo aveva cor-
rotto (n,IJt.;iiJ) la sua condotta sulla terra.

La ripresa di un verbo connotato moralmente («essere corrotto») traduce


l'abbinamento fra la visione divina della terra e la prospettiva del narratore, che
esplicita il giudizio divino. Questo abbinamento appare anche in Es 2-3:

Es 2,23-25 Es 3,7

I figli d'Israele gemettero per la loro YHWH disse: «Ho visto la miseria del
schiavitù, alzarono grida di lamento e il mio popolo in Egitto e ho ascoltato il
loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Al- suo grido a causa dei suoi sorveglianti;
lora Dio ascoltò il loro lamento, si ri- conosco infatti le sue sofferenze».
cordò della sua alleanza con Abramo e
Giacobbe. Dio vide la condizione degli
Israeliti; Dio conobbe ...

Partecipando, come per ispirazione profetica, alla «scienza» del personaggio·


. di Dio, il narratore biblico non lo sovrasta con il ,suo sapere. Del resto, il narratore
porta in se stesso un limite essenziale, che dice il suo statuto di narratore: se rac-
.conta la storia con la libertà dell'artista ordinando la presentazione delle cose, sce-
gliendo prospettiva e tempo, egli è tuttavia incapace di far accadere qualsiasi cosa
sul palcoscenico della storia. Il personaggio di Dio è, da parte sua, onnisciente e on-
nipotente (in maniera certo sconcertante): Dio crea il mondo e piega il corso della
storia; fa piovere una pioggia di quaranta giorni e quaranta notti sull'insieme della
terra (Gen 7,4) o anche una pioggia di zolfo e di fuoco su Sodoma e Gomorra (Gen
19,24); egli apre o chiude il grembo delle donne, rendendole feconde o sterili (Gen
20,18; 29,31; 30,22). Di fronte alla potenza del maestro della storia, !'«impotenza»
del narratore è evidente. Raccontando a cose fatte una storia in cui non può cam-
biare nulla, il narratore, per ufficio, non può che raccontare. Ma lo fa con arte pro-
vetta e in vista di certi effetti. Fare riferimento a un tale master of the tale è, con-
cretamente far valere un'intenzione sottintesa alla narrazione ed entrare in un
'
«patto» per orientare il gioco della lettura.
Il narratore è così colui che, quando interviene in base alla propria autorità,
fornisce la versione affidabile della storia - come Dio, del resto, quando parla -,

51
metro in virtù del quale giudicare tutte le altre versioni. Il racconto biblico si pre-
senta infatti come una scacchiera della verità, in cui si mostra tutta la gamma del-
le deformazioni d.el vero, anch~ versioni rimaneggiate e tendenziose, come le pa-
role del serpente m Gen 3,1 («E vero che Dio ha detto: "Non potrete mangiare di
tutti gli alberi del giardino?"»), di menzogne sfrontate, come quella di Caino in
Gen 4,9 («Dove è Abele, tuo fratello?»- «Non lo so»), di false notizie come l'an-
nuncio in 2Sam 13,30 che «Assalonne ha ucciso tutti i figli del re e neppure uno è
scampato», o di versioni «umane, troppo umane», come il motivo dato da Mosè per
la sua non-entrata nella terra di Israele in Dt 31,2 («Io oggi ho centoventi anni; non
posso più andare e venire [alla testa di Israele]»). In ciascuno dei passaggi citati, gli
interventi del narratore, o ancora quelli di Dio, sono quelli che permettono al let-
tore di scovare l'errore o la manipolazione dei fatti (cf. rispettivamente Gen 2,16;
4,8; 2Sam 13,29; Dt 34,7). Due esempi contrastanti illustreranno questa ricerca. In
1Sam 17,28 il giovane Davide, recatosi al fronte dove l'armata di Israele è umilia-
ta giorno dopo giorno da Golia e dalla sua sfida, riceve aspri rimproveri da parte
di Eliab, suo fratello maggiore:

Lo sentì Eliab, suo fratello maggiore, mentre parlava con gli uomini, ed Eliab s'irritò
con Davide e gli disse: «Ma perché sei venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pe-
core nel deserto? Io conosco la tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto per
vedere la battaglia».

Il rimprovero è bruciante, ma il lettore ha ricevuto del narratore un'informa-


zione al v. 20 che gli permette di capire che l'insinuazione formulata da Eliab è
infondata: «Davide si alzò di buon mattino: lasciò il gregge alla cura di un guardia-
no, prese la roba e partì come gli aveva ordinato lesse, e arrivò all'accampamen-
to». Davide ha affidato il suo gregge a chi è proprio un «guardiano» (fa lo stesso al
v. 22 per i bagagli); è dunque lui stesso un pastore affidabile (e questo è un ele-
mento rilevante nella sua traiettoria). Un caso simmetrico si legge in Gen 16,4-5:
quando Sarai si lamenta di Agar presso Abramo, il lettore può chiedersi se non in-
venti un pretesto per cacciare via una rivale più seducente del previsto. Il narrato-
re tuttavia si è prima curato di .legittimare il suo discorso. Sarai è dura, senza dub-
. bio, ma la vèrità si trova dalla sua parte:

Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accotse di essere incinta, la
sua padrona non contò più nulla per lei. Allora Sarai disse ad Abram: «L'offesa a me
fatta ricada su di te! Io ti ho dato in braccio la mia schiava, ma da quando si è accor-
ta d'essere incinta, io non conto più niente per lei. YHWH sia giudice tra me e te!».

Sottolineare il privilegio di onniscienza del narratore biblico richiede però di


far subito osservare che questo è un privilegio che egli è ben lontano dall'esibire a
ogni piè sospinto. In realtà ne fa uso con una selettività drastica, ed è dunque piut-

52
tosto la riservatezza a caratterizzarlo. Poiché conduce la sua narrazione in maniera
minimalista e puntinista, il narratore si mostra in genere estremamente discreto ri-·
spetto alla vita interiore (stati d'animo, motivazioni) dei suoi personaggi, sia uma-
ni che divini, e ciò al fine di impegnare il suo lettore in un gioco continuo di ipote-
si. Lo stesso narratore interviene tuttavia con l'autorità e la «scienza» che gli so-
no proprie, quando occorre e quanto conviene, in modo da rilanciare la narrazione
verso l'effetto ricercato.

3.2. Modo narrativo e modo scenico

Attribuire un'intenzione alla narrazione - così come viene condotta dal


narratore- è percepire che essa nasce da scelte: ciò che è raccontato così si sa-
rebbe potuto raccontare altrimenti; la «storia» raccontata avrebbe potuto dare
luogo a «racconti» infinitamente diversi, sia nella selezione degli elementi che
nella loro distribuzione o nel loro modo di presentazione (ritmo, punto di vista,
ecc.). Queste scelte sono fenomeni che saranno esaminati nel seguito di questa
introduzione. Segnaliamo a questo punto la scelta offerta al narratore di ricor-
rere a una delle due principali modalità di rappresentazione: la modalità narra-
tiva (telling) e la modalità scenica (showing) (la distinzione è stata illustrata nel-
la teoria letteraria moderna da Wayne C. Booth in The Rhetoric of Fiction, ma
ha delle radici aristoteliche, in quanto il telling è lo stile dell'epopea e lo showing
.quello del teatro).
Quando sceglie la modalità narrativa, il narratore riporta le cose mediante un
sommario, un inventario e un commentario, e ciò sia nell'esposizione («C'era nel-
la terra di Uz un uomo chiamato Giobbe ... ») che nelle descrizioni dei personaggi
(« ... nonio integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male», Gb 1,1), o ancora
nei suoi giudizi nel corso dell'azione («In tutto questo Giobbe non peccò con le sue
labbra», Gb 2,10). Quando sceglie la modalità scenica, il narratore «drammatizza»
le cose (nel senso inglese della parola) producendo scene relativamente dettaglia-
te e a un tempo più lento, mettendo il lettore in contatto con l'idiosincrasia dei per-
sonaggi nei loro atti, nei loro comportamenti e (soprattutto) nelle loro parole: .
Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e dis-
se: «Nudo uscii dal seno di mia madre,e nudo vi ritornerò. YHWH ha dato, YHWH ha
tolto, sia benedetto il nome di YHWH!» (Gb 1,20-21).

· Ritrovandosi in un certo senso in prima fila, il lettore registra i colpi, conta i


punti, paragona le versioni dei fatti e, progressivamente, formula lui stesso un giu-
dizio. In un caso come nell'altro, il narratore è evidentemente la fonte della narra-

53
zione; nella modalità narrativa, la conduce ricapitolandola con l'autorità che gli è
propria, mentre nella modalità scenica presenta delle scene da «vedere», cedendo
il passo di fronte ai personaggi che parlano e agiscono.

3.3. Il lettore

In tutti gli effetti creati, il narratore ha di fronte il «narratario», dal quale cer-
ca di ottenere una risposta appropriata. Questo «narratario» è definito lettore im-
plicito (implied reader), vale a dire il lettore postulato o proiettato dal testo, capa-
ce di comprenderne l'intenzione e di rispondere alla sua domanda in maniera ade-
guata. Esso incarna, scrive Wolfgang Iser,
tutte le predisposizioni necessarie perché un'opera letteraria produca il suo effetto-
predisposizioni richieste non da una realtà empirica esterna, ma dal testo stesso. Di
conseguenza, il lettore implicito ha le sue radici solidamènte piantate nella struttura
del testo; è una realtà costruita [dal testo] e non deve essere identificato in alcun mo-
do con un lettore reale qualunque (p. 70).

Non è tanto una persona ma un ruolo, che ogni lettore concreto è invitato a
ricoprire. Nel caso del racconto biblico, molto distante sotto vari aspetti dal nostro
mondo culturale e letterario, le predisposizioni o la competenza di questo lettore
ideale sono, in parte, lontane dall'essere immediatamente le nostre. L'unica rispo-
sta a questo ostacolo è data da un'iniziazione progressiva al «mondo» culturale e
letterario della Bibbia e del vicino oriente antico. Questa iniziazione passa per una
frequentazione «ravvicinata» del corpus scritturistico, poiché il racconto biblico
forma il suo lettore attraverso molteplici situazioni che lo coinvolgono e lo solleci-
tano. Questo avviene specialmente attraverso sviluppi dell'intreccio in cui gli stes-
si personaggi all'interno del mondo narrato sono destinatari (uditori o anche let-
tori) di messaggi decisivi (orali o scritti). Quando Davide sente Natan dirgli: «Sei
tu quest'uomo» (2Sam 12,7), la situazione non può non colpire il lettore, in quan-
to anch'egli ha cercato di decifrare la parabola e/o il caso giuridico sottomesso al
re dal profeta. Allo-stesso modo, i lettori del libro dell'Esodo si ritrovano, per così
dire, «contigui» ai figli di Israele quando Mosè legge il «libro ·dell'alleanza» (Es .
24,7; poiché ha già letto Es 20-23, il lettore conosce parola per parola il contenuto
del libro proClamato da Mosè). Le reazioni degli uni- «Tutto ciò che YHWH ha
detto, lo faremo e lo ascolteremo» (Es 24,7) -troveranno eco nella ricezione e nel-
la risposta degli altri? Testo fondatore, ordinato all'etica della sua ricezione- «Og-
gi ascolterete la sua voce?» (Sal95,7) -,il racconto biblico n~n poteva mancare di
creare tali analogie e di trarne profitto.

3.4. Tre posizioni di lettura

La traiettoria del lettore nel «dramma» della sua lettura si svolge parallela-
mente a .quella dei personaggi nel mondo dell'azione, ma secondo diversi tipi di fi-
gure che il racconto della Bibbia sfrutta efficacemente (cf. Sternberg 1985, 163-
172).

54
3:4.1. Il lettore ne sa più del personaggio

Ciò avviene specialmente nei racconti di apparizione. In Es 3,1-6 il lettore,


istruito dal narratore, sa di primo acchito che è l'angelo di YHWH ad apparire a
Mosè nel roveto (Mosè lo scopre solo al v. 6, quando Dio prende l'iniziativa di ri-
velarsi); allo stesso modo in Gdc 6,11-24 e 13,2-25 solo il lettore sa dall'inizio che
è l'angelo di YHWH a manifestarsi a Gedeone o a Manoach e a sua moglie. Il let-
tore allora è in anticipo rispetto al personaggio, in una situazione tipica di ironia
drammatica, che nasce dal contrasto fra la pèrcezione parziale o erronea di una si-
tuazione da parte di un personaggio e la percezione della situazione reale da par-
te del lettore (percezione talvolta condivisa da altri personaggi). Il fenomeno si os-
serva ugualmente nei racconti di inganno o di dissimulazione, dove il lettore è re-
golarmente in una situazione di superiorità rispetto al personaggio ingannato (co-
sì in Gen 27,18-33; 31,32-35; 38,15-19).

3.4.2. Il personaggio ne sa più del lettore


Qui è il lettore che, spesso il). maniera provvisoria, è sprovvisto di informa-
zioni che non sfuggono al personaggio. In Gen 42,7 perché Giuseppe, riconoscen-
do i suoi fratelli, fa sì che il tiéonoscimento non sia reciproco? In 2Sam 14,3 qual è
il piano di Ioab, dettato alla donna di Teqoa («Poi entra presso il re e parlagli così
e così»)? Ogni volta, il narratore si guarda bene dall'esplicitare le cose (avrebbe
potuto farlo: per convenzione, è onnisciente), in modo da ingaggiare il lettore in
una dinamica di curiosità e di suspense; in molti casi, il lettore si ritrova allora ana-
logicamente associato alla traiettoria di un personaggio (eventualmente collettivo)
privato dello stesso sapere, anche lui in posizione inferiore rispetto a «colui che sa».

3.4.3. Il lettore e il personaggio sono sullo stesso piano


In questo terzo caso, il lettore e il personaggio ricevono insieme la chiave de-
gli enigmi del racconto. Nel racconto del giudizio di Salomone in lRe 3,16-28 il let-
tore, all'inizio, proprio come il te non sa quale delle due donne dica il vero: tengo-
no tutte e due un discorso a specchio che rende impossibile ogni delucidazione. Oc-
corre la messa in scena di un verdetto atroce - «Tagliate in due il figlio vivo e da-
tene una metà all'una e una metà all'altra» (v. 25)- affinché si dichiarda vera ma-
dre. Salomone e il lettore scoprono insieme la verità delle cose.

4. L'intreccio: il montaggio degli avvenimenti

Leggere il racconto della Bibbia significa verificare la perspicacia della Poeti-


ca di Aristotele, la quale colloca nell'intreccio, vale a dire nel «montaggio degli av-
venimenti/delle azioni» (il -rrov Tt:QUYf.tanov crucr-racnç, §§ 6-7), «il principio e l'ani-
ma della tragedia» (e di ogni racconto in generale)(§ 6). L'arte di costituire un in-
treccio, come si vedrà, è essenzialmente legata a fenomeni di configurazione tem-
porale.

55
In una prima tappa, rievochiamo i momenti caratteristici dell'intreccio, spe-
cialmente biblico, rilevando che sono offerti, come ogni elemento narrativo, alla li-
bertà del narratore- libertà di adottare, modificare o ancora diaggirare le con-
venzioni letterarie con l'intento di produrre l'effetto ricercato. Precisiamo anche
che questi momenti si osservano ai diversi livelli della narrazione: nell'unità narra-
tiva per eccellenza che è l'episodio (ad es. il combattimento di Davide e Golia in
1Sam 17), eventualmente suddiviso in scene (ricorrendo quindi al modo scenico o
showing; così le scene della sfida, vv. 4-11; dell'arrivo di Davide sul campo di bat- .
taglia, vv. 20-30; del colloquio con Saul, vv. 31-40; del combattimento a singolar ten-
zone, vv. 41-51); questi momenti dell'intreccio però si osservano anche, in un con-
testo più ampio, a livello del concatenamento degli episodi in cicli (così il ciclo di
Davide [1Sam 16-1Re 2], esso stesso divisibile in due atti [1Sam 16-2Sam 6 e 2Sam
7-1Re 2]), integrati a loro volta all'interno di libri.

4.1. l momenti dell'intreccio

All'inizio di un racconto abbiamo generalmente l'esposizione, «parte iniziale


di un'opera letteraria e specialmente drammatica, dove il narratore fa conoscere le
circostanze e i personaggi dell'azione, i principali fatti che hanno preparato questa
azione» (Petit Robert). Questo è il caso del prologo del libro di Giobbe (Gb 1,1-5),
dove il narratore situa il personaggio di Giobbe: chi è? dove vive? che cosa è soli-
to a fare? L'esposizione finisce con la frase: «Così faceva Giobbe ogni volta» (Gb
1,5). Con la frase: «Un giorno, i figli di Dio· andarono a presentarsi davanti a
YHWH e anche satana andò in mezzo a loro» (Gb 1,6), l'azione comincia. In ita-
liano, la transizione dall'esposizione all'azione è espressa dal passaggio dall'imper-
fetto al passato remoto. In ebraico, l'esposizione è abitualmente espressa da forme
verbali yiqtol o weqatal (frequentative o «iterative» ), mentre l'apparizione di un
wayyiqtol (preceduto o meno da un wayehf, «fu» + indicazione temporale) segnala
il passaggio all'azione (si veda anche 1Sam 1,3-4; 2Re 4,8). Tuttavia, il racconto può
anche cominciare in medias res (secondo l'espressione di Orazio che, nell' Ars poe-
tica, loda Omero di non far cominciare la storia della guerra di Troia ab ovo ma, al
contrario, di precipitare il lettore in medias res, «nel mezzo delle cose, come se fos:..
sero già conosciute»). L'esposizione è allora differita: i dati che contribuiscono al-
l'intelligenza dell'azione sono rivelati nel corso degli episodi. È questo il caso nel
libro di Giona. Giona è mandato da Dio a Ninive fin dal primo versetto del rac-
conto, ma si deve aspettare 1,9 per scoprire le opinioni religiose del profeta invia-
to, 3,3 per saperne di più sulla città dove è mandato e 4,2 per capire come Giona
considera il Dio che lo invia. Il personaggio di Betsabea è allo stesso modo, e in
maniera molto significativa, l'oggetto di un'esposizione differita: è attraverso lo
sguardo di Davide che questa donna, «molto bella», entra nel racconto (1Sam 11,2)
ed è solo al termine dell'indagine ordinata dal re che essa riceve un'identità (v. 3).
L'azione si apre spesso con una fase di complicazione. Si sviluppa una crisi at-
torno a una mancanza (mancanza di acqua nelle t~ppe nel deserto in Es 15,23; 17,1;
Nm 20,2), a un conflitto (Amaleq attacca Israele in Es 17 ,8; Acab dichiara la sua
intenzione di appropriarsi della vigna di Nabot in 1Re 21,2) o a un'altra disgrazia
(l'asservimento dei figli di Israele in Es 1,8-11). La crisi è regolarmente aggravata
(la schiavitù egiziana è resa più pesante in Es 1,13 e 5,6). Il r~cconto biblico co-
struisce volentieri questa fase di complicazione in tappe, spesso costituite da tre o

56
quattro momenti (Gen 8,6-12: dopo il diluvio, Noè manda la colomba a tre riprese;
N m 22,22-34: l'asina di Balaam distingue tre volte ciò che il suo maestro «vedente»
non vede; Gdc 16,4-21: occorrono a Dalila quattro tentativi per scoprire il segreto
di Sansone; 1Sam 3,2-10: le quattro chiamate di Samuele; 2Sam 18,24-27: la vedet-
ta chiama tre volte, e Davide reagisce in ognuna di queste).
Questa traiettoria ascendente conduce fino allo scioglimento, provocato da
un'azione decisiva (la morte dei figli primi nati in Es 12, il fuoco mandato da Dio
in 1Re 18,38, che consuma il sacrificio offerto da Elia, l'intervento di Daniele nel
processo di Susanna in Dn 13,4-6). Lo scioglimento propriamente detto prende
spesso la forma dei due fenomeni descritti da Aristotele nella sua Poetica(§ 11) co-
me i più potenti impulsi dell'azione drammatica: la peripezia e il riconoscimento.
-La peripezia (n8QtnÉT8ta) è il rovesciamento di un aspetto delle cose nel
suo esatto opposto: un personaggio passa dalla felicità all'infelicità (o viceversa),
un accusato è discolpato, una vittima designata è risparmiata, ecc. Aristotele pren-
de l'esempio del messaggero dall'Edipo re di Sofocle, il quale, convinto di annun-
ciare una buona notizia a Edipo, gli rivela invece la sua disgrazia, inducendolo a ca-
pire che ha ucciso suo padre. Una scena molto vicina si legge in 2Sam 18,19-19,1:
il messaggero che torna dal campo di battaglia per annunciare a Davide la morte
di suo figlio Assalonne, usurpatore del trono, è convinto di annunciare al re una no-
tizia che lo rallegrerà. Lo fa precipitare, invece, nel più profondo dei dolori. Le pe-
ripezie o rovesciamenti noil mancano nella Bibbia: in Dn 13 il grido del giovane
Daniele nella folla rovescia la sorte di Susanna, salvandola da una morte sicura sta-
bilendo la sua innocenza (v. 46r In Gen 38,25 è la sorte di Tamar a essere rove-
sciata, mentre in Ger 26,16-19 è quella del profeta Geremia.
- Il riconoscimento (àvayvmQtcnç) è il passaggio dall'ignoranza alla cono-
scenza da parte di uno o parecchi personaggi. La storia di Ulisse nell'Odissea di
Omero si ribalta quando il re di Itaca viene riconosciuto da Euriclea, la vecchia ba-
lia, per la cicatrice che porta alla coscia dopo un incidente di caccia. La scena in
Gen 27,21-23, dove il vecchio !sacco, cieco, palpa suo figlio cadetto Giacobbe che
si fa passare per il maggiore, Esaù, senza poter riconoscere l'usurpatore, è come
un'eco ironica della scena omerica. Il riconoscimento avviene tuttavia alv. 33: al ri-
torno di Esaù, !sacco si accorge tremando che Giacobbe ha ottenuto la benedizio-
ne con l'inganno. Il riconoscimento biblic<;> trova forse la sua scena paradigmatica
in Gen 28, quando Giacobbe esclama al risveglio dal suo sogno: «Certo, YHWH è
in questo luogo e io non lo sapevo!» (Gen 28,16).
Un intreccio costruito attorno a una crisi e alla sua risoluzione è chiamato in-
treccio (o trama) di risoluzione; quando l'intreccio si sviluppa attorno al passaggio
dall'ignoranza alla conoscenza o a un processo di riconoscimento da parte di un
personaggio, è detto di rivelazione. I due fenomeni però sono spesso combinati, e
specialmente nella Bibbia - così nel libro dell'Esodo, dove la liberazione della
schiavitù in Egitto (intreccio di risoluzione, si veda Es 14,30) si abbina a un pro-
cesso di riconoscimento del Dio liberatore (intreccio di rivelazione, si veda Es
14,31). «<l riconoscimento più bello- scrive Aristotele- è quello che è accompa-
gnato da una peripezia, come per esempio quello dell'Edipo» (Poetica 11). Al suo
apice, la storia di Giuseppe' combina un riconoscimento, poiché i fratelli riconosco-
no Giuseppe (Gen.45,1-3), e un rovesciamento, poiché la dichiarazione di Giusep-
pe al v. 3 significa la fine della loro prova.
Il ribaltamento dell'azione, per rovesciamento o per riconoscimento, conduce
all'epilogo. Talvolta questa conclusione viene determinata inequivocabilmente dal-
57
la morte del protagonista, come nella galleria dei patriarchi, dei giudici e dei re, e
nel libro di Giobbe, il cui ultimo versetto annuncia: «Poi Giobbe morì, vecchio e sa-
zio di giorni» (Gb 42,17). In altri casi, la conclusione è ugualmente evidente, poi- ·
ché il personaggio (o i personaggi) lascia la scena dell'azione. Così al termine del-
la rivolta di Seba: «[Ioab] fece suonare la tromba; tutti si dispersero lontano dalla
città e ognuno andò alla propria tenda» (2Sam 20,22). Una variante di questa tec-
nica si osserva quando certi protagonisti sono mandati altrove, come nel racconto
del soggiorno di Abramo e di Sarai in Egitto: «Poi il faraone lo affidò ad alcuni uo-
mini che lo accompagnarono fuori della frontiera insieme con la moglie e tutti i
suoi averi» (Gen 12,20), o nella conclusione dell'episodio della grande assemblea
di Sichem, dove Giosuè aveva convocato tutte le tribù: «Poi Giosuè rimandò il po-
polo, ognuno al proprio territorio» (Gs 24,28).

4.2. Organizzazione dell'intreccio e temporalità

Nella sua opera Laokoon- oder uber die Grenzen der Malerei und Poesie
(Laocoonte- ovvero dei confini della pittura e della poesia,l766), Gotthold E. Les-
sing ha tracciato una linea di demarcazione fra le arti legate al tempo (che si svol-
gono nel tempo), come la letteratura e la musica, e le arti legate allo spazio (chy si
dispiegano nello spazio), come la pittura e la scultura. Nel caso del racconto, il rap-
porto con il tempo si raddoppia: se il medium del linguaggio, ineluttabilmente
iscritto nell'ordine della successione, è eminentemente temporale, le azioni rap-
presentate (nel mondo del racconto) si producono o sono riprodotte anch'ysse nel
tempo. Come si vedrà, i rapporti che si instaurano fra i due ordini (nel medium, nel-
l'azione) sono molteplici ma, in ogni caso, è secondo il ritmo sequenziale della let-
tura, in un dinamismo rivolto al futuro e allo stesso tempo retrospettivo, che il let-
tore costruisce progressivamente il senso del racconto (si veda Perry). Dai vincoli
imposti dalla sequenzialità del discorso il racconto biblico ha tratto un profitto
straordinario, di cui si devono scrutare più da vicino i diversi aspetti.

4.2.1. Tempo narrato e tempo narrante


Il doppio rapporto con il tempo, nell'azione rappresentata e nel medium rap-
presentante, si determina specialmente nel rapporto fra tempo narrato (erziihlte

58
Zeit) e tempo narrante (Erziihlzeit). Il«tempo narrato» corrisponde alla durata de:..
gli eventi nel mondo del racconto: «Cadde la pioggia sulla terra per quaranta gior-
ni e quaranta notti» (Gen 7,12); «[Abramo] si mise in viaggio verso il luogo che
Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel
luogo» (Gen 22,3-4). Il «tempo narrante» è il tempo materiale necessario all'atto
di raccontare; nella maggioranza dei casi, questo è evidentemente più breve del
«tempo narrato». Il «tempo narrante» può tuttavia avvicinarsi al «tempo narrato»
(così nel caso del discorso diretto), perfino anche eccederlo, quando la narrazione,
come sotto l'effetto del rallentatore e in vista di uno scopo ben preciso, si dilunga
su un dato motivo: «Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo
figlio» (Gen 22,10). Nel distendersi così sproporzionatamente, il tempo narrante
traduce l'intensità che si vive nel tempo narrato - e nella coscienza d'Abramo.

4.2.2. Ordine della storia e ordine del racconto


Per aver l~tto romanzi e aver visto finzioni narrative al cinema, sappiamo tut-
ti che una storia può essere raccontata con ordine oppure disordinatq.mente. Il nar-
ratore può sposare da vicino la sequenza cronologica e causale degli eventi che ri-
porta; nella sua libertà di narratore, può anche, e di proposito, presentare le cose in
un ordine diverso: «Avrete il centro di una vita prima del suo inizio, l'inizio dopo
la sua fine, la storia della morte prima di quella della nascita», il tutto per· produr-
re «Un vasto imbroglio» (H. de Balzac, prefazione a Una figlia di Eva). Leggere un
racconto ed entrare nell'intelligenza di una storia è necessariamente ricostituire
nell'immaginazione il corso degli eventi nella loro sequenza cronologica come nel-
la loro concatenazione di causa ed effetto. I formalisti russi hanno chiamato fabu-
la questa ricostituzione dell'ordine (originale) delle cose, che è anche chiamata sto-
ria (S. Chatman: «story»; G. Genette: «histoire»). Quanto alla disposizione dei mo-
tivi che appaiono al lettore nell'opera letteraria compiuta, chiamata sujet dai for-
malisti, non è altro che il racconto (Chatman: «discourse»; Genette: «récit» ).
Negli episodi biblici, non è raro che l'ordine di presentazione dei motivi (nel
racconto) si distacchi dal loro ordine di sopravvenienza nella storia, in man~era ta-
le da mantenere la suspense, approfondire la curiosità e riservare sorprese. E il ca-
so di 1Re 1,5-7:
Intanto Adonia, figlio di Agghit, insuperbito, diceva: «Sarò io il re». Si procurò carri,
cavalli e cinquanta uomini che lo precedessero. Il re suo padre, per non affliggerlo, non
gli disse mai: «Perché ti comporti in questo modo?». Adonia era molto bello; era nato
dopo Assalonne: Si accordò con Ioab, figlio di Zeruia, e con il sacerdote Ebiatar, che
stavano dalla sua parte.

Ordine di presentazione (racconto) Ordine di sopravvenienza (storia o fabula)

A. Ambizione di Adonia 1. Nas.cita D


B. Preparativi 2. Rapporto con il padre c
C. Rapporto al padre 3. Ambizione A
D. Nascita 4/5. Preparativi B
E. Complici 5/4. Complici E

59
·Raccontare disordinatamente è, da una parte, menzionare prima del tempo
un elemento successivo nella storia, creando così un'anticipazione o una pro lessi. Il
fenomeno è osservato in particolare nel caso dei sommari pròlettici, procedura ca-
ratteristica del telling. La Bibbia non conosce il nostro uso dei titoli e sottotitoli, e
spetta dunque al narratore annunciare certi sviluppi mediante un sommario antici-
pativo. In Gen 42,7a il narratore segnala all'attenzione del lettore la scena di rico-
noscimento che sarà sviluppata nel seguito:
7
Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l'estraneo verso di loro, pàrlò du-
ramente e disse: «Da dove siete venuti?». Risposero: ~<Dal paese di Canaan per com-
prare viveri». 8Giuseppe riconobbe dunque i fratelli, mentre essi non lo riconobbero.
9
Si ricordò allora Giuseppe dei sogni che aveva avuti a loro riguardo e disse loro: «Voi
siete spie! Voi siete venuti a vedere i punti scoperti del paese».

Al v. 7a, inoltre, il narratore annuncia di colpo che lo scambio avrà l'aspetto


di una prova: «Parlò duramente [disse cose dure]»; le «cose dure» in questione non
sono quelle che seguono immediatamente nel testo (la domanda: «Da dove siete
venuti?»); esse verranno più avanti nella scena («Voi siete spie!»). Il procedimen-
to del sommario prolettico è uno dei modi caratteristici in cui il racconto sposta la
suspense dal «che cosa?» (che cosa sta per accadere?) al «come?» (come si svol-
gerà ciò che è stato annunciato?). Nella storia di G!usepp\3, si veda anche Gen 27,3;
37,31-22; 37,18b.
Raccontare disordinatamente è, d'altra parte, esplicitare a cose fatte (me-
diante dei flashback o analessi) un elemento che ha giocato un ruolo determinan-
te nell'intreccio già letto. È questo il caso in Gen 20, il secondo episodio in cui
Abramo fa passare sua moglie Sara per sua sorella. Il v. 18, l'ultimo dell'episodio,
rivela un evento che il lettore deve collocare molto più in alto nella fabula. Il nar-
ratore ci insegna, a posteriori e in extremis, che Dio stesso ha inflitto delle disgra-
zie (impotenza e sterilità) ad Abimelech, a sua moglie e alle sue serve; mali da cui
li guarisce· grazie all'intercessione di Abramo: «Abramo pregò Dio e Dio guarì
Abimelech, sua moglie e le sue serve, sì che poterono ancora partorire. Perché
YHWH aveva chiuso ogni seno della casa d' Abimelech, per il fatto di Sara, moglie
d'Abramo» (Gen 20,17-18). È molto interessante che il motivo della disgrazia in-
- flitta da Dio a:ppai(l nella sua posizione «naturale», cronologicamente e dal punto
di vista causale, in Gen 12,17, nel primo episodio in cui Sarai è presentata da Abra-
mo come sua sorella:

Gen 12 [- - - - - - - - -l YHWH colpì con grandi calamità il faraone .. ./- - - - - - - - - - -]


Gen 20 [----------------- ------------l YHWH aveva chiuso ogni seno .. ./]
~ l
(fabula)

4.2.3. Ellissi narrative


_ Ogni racconto nasce da una scelta, e ciò conduce necessariamente alla molti-
plicazione delle omissioni. In un buon numero di queste, e specialmente in quelle
che inquadrano gli episodi, il lettore non è in alcun modo invitato a ricostituire i da-
ti assenti, perché ogni speculazione di questo tipo distoglierebbe la sua attenzione

60
dalla trama narrativa. Il lettore, ad esempio, non cercherà di indagare sui tredici an-
ni che separano la nascita di Ismaele dalla sua circoncisione (Gen 16,16 e 17,24), su
ciò che succedeva durante i momenti di pace tra una crisi nazionale e l'altra nel li-
bro dei Giudici (si veda così l'intervallo fra Gdc 3,11 e 12; 30 e 31) o sui diciassette
primi anni del regno di Giosia (2Re 22,3; cf. però 2Cr 34,3, dove il cronista fa gio-
care il modello dell'«eroe precoce»). Si devono invece distinguere da questi feno-
meni, denominati blanks (bianchi-vuoti), le ellissi (gaps) che, per loro natura, ri-
chiedono da parte del lettore una delucidazione. In Dn 6,17-24 il silenzio del nar-
ratore a proposito della sorte di Daniele sceso nella fossa dei leoni non può man-
care di incuriosire il lettore. Una volta che la fossa viene sigillata, la narrazione si
concentra sulla notte inquieta del re, ed è solo quando esso si precipita, l'indomani
mattina, verso la fossa, che le parole di Daniele permettono di chiarire l'ellissi:
17
Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e si gettasse nella fossa dei leoni. Il re,
rivolto a Daniele, gli disse: «Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!».
18
Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa: il re la sigillò con il suo
anello e con l'anello dei suoi grandi, perché niente fosse mutato sulla sorte di Danie-
le Q. 19Quindi il re ritornò alla reggia, passò la notte digiuno, non gli fu introdotta
alcuna donna e anche il sonno lo abbandonò. 20La mattina dopo il re si alzò di buo-
nora e sullo spuntar del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni. 21 Quando fu vicino,
chiamò: «Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha
potuto salvare dai leoni?». 22Daniele rispose: «Re, vivi per sempre.I 23Jl mio Dio ha
mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun
male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re,
ho commesso alcun ma1r:f>.

L'ellissi si produce regolarmente sul piano delle motivazioni e degli stati di


coscienza dei personaggi. Verso la fine dell'episodio dell'adulterio di Davide con
Betsabea, in 2Sam 12, nella transizione fra i vv. 19 e 20, il lettore si chiede perché
Davide, che ha pregato e digiunato per la guarigione di suo figlio neonato, non sia
in lutto alla sua morte. Anche qui, l'ellissi è chiarita retrospettivamente. Nei vv. 22-
23 Davide rivela a posteriori ai suoi servi (e il narratore al lettore, grazie a lui) le
ragioni profonde di questo cambiamento di comportamento:
19Ma Davide si accorse che i suoi ministri bisbigliavano fra di loro, comprese che il
bambino era morto e disse ai suoi ministri: <<È morto il bambino?». Quelli risposero:
«È morto». 2D(J] Allora Davide si alzò da terra, si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi
andò nella casa di YHWH e vi si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli portassero
il cibo e mangiò~ 21 1 suoi ministri gli dissero: «Che fai? Per il bambino ancora vivo hai
digiunato e pianto e, ora che è morto, ti alzi e mangi!». 22Egli rispose: ~Quando il bam-
bino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: Chi sa? YHWH avrà forse
pietà di me e il bambino resterà vivo. 23 Ma ora che egli è morto, perché digiunare? Pos-
so io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non ritornerà da melj>>.

In certi casi, tuttavia, l'elemento mancante non è fornito in seg1,1ito. Così a


proposito di Urianello' stesso racconto (2Sam 11-12): il marito di Betsabea sapeva
o non sapeva della relazione del re con sua moglie (gli intermediari menzionati in
2Sam 11,5 potevano aver prodotto una fuga di notizie)? Egli non scende in casa
sua quando il re loinvia perché è consapevole oppure perché ignora l'adulterio (vv.
8-13)? Il narratore sostiene abilmente l'ambiguità, si astiene dal pronunciarsi posi-
tivamente e rimanda il lettore alle sue ipotesi.

61
4.2.4. La grande cronologia

Come ha manifestato Sternberg, nella narrazione biblica si può osservare una


doppia strategia, locale e globale (1990, 81-85). Se la Bibbia racconta volentieri le
cose disordinatamente all'interno degli episodi, essa però riporta con ordine la suc-
cessione degli episodi. A livello della narrazione d'insieme, in altre parole a livello
della concatenazione degli episodi, dei cicli e dei libri, l'ordine di presentazione dei
motivi segue, in un mimetisn:w notevole, il loro ordine di sopravvenienza nella sto-
ria e nel mondo biblico: di padre in figlio, dalla nascita alla morte, dalla promessa
al compimento, dalla storia delle origini alla storia patriarcale e da questa alla sto-
ria nazionale, rispettando la sequenza di ognuna delle tappe. Forse questo è stupe-
facente, se si tiene conto che si tratta di un racconto che si apre con la parola «al-
l'inizio» (Gen 1,1) per evocare il principio delle cose? Questa scelta strategica tra-
duce l'ambizione storiografica del racconto in questione (la storiografia fa lega con
l'ordine «naturale») ma anche la sua preoccupazione di raggiungere il suo pubbli-
co più ampio. «A una cultura che si definisce per la sua storia, passata; presente e
futura», scrive Sternberg, «il racconto della storia (the story of history) deve ren-
dersi intelligibile a tutti i membri del pubblico israelita, "uomini, donne, bambini e
l'immigrante che avrai nelle tue porte" (Dt 31,11-12)» (1990, 91). A questo propo-
sito, il macroracconto biblico ha ritenuto il modo di narrazione più ordinato, e
quindi più trasparente e accessibile. L'eccezione alla regola si legge nel Deutero-
nomio, dove Mosè racconta disordinatamente gli episodi dell'uscita dall'Egitto e
della marcia nel deserto, cominciando in medias res con la svolta dall'Oreb (Dt
1,6). L'eccezione conferma nondimeno la regola, perché Mosè ri-racconta allora
una sequenza già conosciuta: «Data la sequenza del canone narrativo della Bibbia,
quando la nostra lettura giunge al Deuteronomio, il percorso storico che Mosè rin-
traccia in maniera irregolare ci è familiare quanto al suo uditorio, ci è anche intel-
ligibile nella sua sequenza, e quindi viene capito a colpo sicuro» (1990, 137-138). .
Tenendo presente questa regola, il racconto lascia anche spazio, con grande in-
gegnosità, ai casi particolari. Il caso della simultaneità sarà esaminato più avanti. A
questo punto, rileviamo con Sternberg che il racconto può «correre avanti» (run-
ning ahead), estendendosi fino alla fine di uno sviluppo, prima di tornare sui propri
passi (1990, 114-123). Nel libro della Genesi, per esempio, la narrazione anticipa il
riferimento alla morte dei padri a un punto del racconto in cui le loro vite, di fatto,
continuano a correre paraUelamente a quelle della loro progenie. Il ruolo più ele-
mentare di questa tecnica è di evidenziare la continuità dell'intreccio di una vita,
quella del padre prima, quella del figlio dopo, per sgombrare in questo modo la stra-
da. Così a proposito di Abramo, la cui morte è raccontata in Gen 25,7-8. Questa
chiusura anticipata rende possibile l'apertura, o di fatto la riapertura, della «storia
[generazioni] d'Isacco» (Gen 25,19) come seguito indipendente. Il narratore ritorna
poi sui suoi passi per raccontare che «Abramo aveva generato !sacco» (Gen 25,19)
e che !sacco sposò Rebecca, e prosegue con la storia della nascita di Esaù e di Gia-
cobbe quando «!sacco aveva sessanta anni» (Gen 25,26)- mentre Abramo, sempre
vivente ma fuori campo, ne ha centosessanta (per Adamo, si veda Gen 5,3-5; per Te-
rach, Gen 11,32; per !sacco, Gen 35,28; Giacobbe è il solo a resistere a questo sche-
ma, per ragioni che gli assomigliano, dal momento che occupa il proscenio fino al-
l'ultimo momento della s1,1a vita e resiste a ogni forma di chiusura anticipata).
In maniera analoga, il narratore racconta tutto di un fiato la settimana della
creazione in Gen l (secondo una modalità essenzialmente narrativa) prima di tor-

62
nare, in un close up che adotta la modalità scenica, sul giorno chiave che è il sesto .
giorno (Gen 2,5-3,24). O ancora, esso va fino alla fine della tavola dei popoli in
Gen 10, prima di tornare sui suoi passi e di raccontare, in un'altra forma di close
up, la costruzione di Babele e della sua torre (Gen 11,1-9), risalendo così all'epoca
di Nimrod (Gen 10,10: «Al principio del suo regno, ci fu Babele») e all'età della di-
versificazione delle lingue (Gen 10,5). Queste costruzioni en tuilage rendono evi-
dente la continuità e la compiutezza di certi sviluppi (l'unità di una vita, l'integra-
lità di una settimana inaugurale, o ancora il carattere esaustivo di una tavola dei
popoli); esse non compromettono la marcia in avanti della «grande cronologia»,
nel suo mimetismo d'insieme.

4.2.5. Simultaneità narrative

Il mondo della Bibbia è un mondo di coesistenze - coesistenza dell'umano e


del divino, ma anche, dal lato umano, coesistenza di protagonisti (e spesso di anta-
gonisti) che evolvono con regolarità in arene distinte (Giuseppe in Egitto, Giacob-
be e i suoi fratelli in Canaan; Davide a Betlemme, i suoi fratelli sul fronte, affron-
tando Golia; Roboamo a Gerusalemme, Geroboamo a Sichem; ecc.). Quando l'a-
zione si sviluppa in arene distinte, gli eventi possono essere simultanei quanto suc-
cessivi. Come rendere però la simultaneità in un medium, il linguaggio, che per-
mette di rendere soltanto una cosa nello stesso tempo? Nel racconto, la concomi-
tanza delle cose può solamente essere espressa attraverso una sequenza. La narra-
zione deve far durare un «punto del tempo», dando spazio adegli sviluppi conco-
mitanti e passando da un'arena dell'azione all'altra (si veda Sternberg 1990, 96-136;
Bar-Efrat, 165-184).
Esprimere attraverso un discorso la simultaneità nell'azione può darsi grazie
a degli indicatori formali. I segnali linguistici più elementari sono le espressioni «in
quel tempo» (cf. Gen 21,22; Dt 10,1.8; 1Re 14,1; 2Re 16,6; 18,16) e «in quei giorni»
(cf. Gdc 18,1; 19,1; 1Sam 28,1; 2Re 20,1), specialmente quando appaiono all'inizio
della frase o dell'episodio. Così l'allacciamento tra il capitolo 37 e il 38 della Q-e-
nesi:
Gen 37: E il padre suo pianse [Giuseppe] e intanto i Madianiti lo vendettero in Egit-
to a Potifar, consigliere del faraone e comandante delle guàrdie.

Gen 38: Ora in quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e si stabilì presso un uo- i'
mo di Adullam, di nome çhira. ·

Vista la sua relativa indeterminazione, la formula «in quel tempo» richiede un


lavoro di interpretazione rispetto all'intersezione delle epoche, tanto più che, nel
caso di Gen 38, la storia inserita di Giuda e Tamar è particolarmente lunga (v. 12:
«passarono molti giorni>~). Il tuilage degli eventi e dei periodi è evidentemente più
preciso quando il narratore fa uso di date, come nell'alternanza caratteristica del li-
bro dei Re. Il narratore esplicita allora a che punto del tempo ·Sincronizzare la sto-
ria che ha già raccontato (così un regno nel nord) e quella che sta per raccontare
(un regno nel sud): «Nell'anno ventesimo di Geroboa:rp.o, re d'Israele, Asa divenne
re su Giuda» (1Re 15,9). La sincronizzazione biblica può tuttavia giocarsi à la se-
conde près, particolarmente nel caso di incontri dal carattere provvidenziale: «Non
aveva ancora finito di parlare (il servitore incaricato della ricerca della fidanzata],

63
quand'ecco Rebecca [... ]che usciva con l'anfora sulla spalla» (Gen 24,15; cf. 29,9 e
Gdc 3,23-24 a proposito di un incontro miracolosamente evitato).
Il narratore può anche far intervenire il fenomeno della «ripresa riassuntiva»
(Wiederaufnahme, resumptive repetition, fenomeno con un duplice aspetto in quan-
to è anche, in certi casi, un indiCe della storia redazionale dei testi). In 2Sam 17,24-
26, per segnalare che l'attraversamento del Giordano da parte di Assalonne (vv.
24b-26) accade durante la -scena dell'àrrivo (v. 24a) e dell'accoglienza di Davìde
Macanaim (vv. 27-29), il narratore menziona un'altra volta l'arrivo del re al v. 27.
Con altre parole, indica in questo modo che questo episodio della fuga di Davide
è il «punto del tempo» che estende mentre trasferisce il lettore nell'accampamen-
to di Assalonne; spetta al lettore di capire che una distanza sicura si è inscritta fra
Davide e i suoi inseguitori, secondo il piano consigliato da Cusai.
24 Davide era giunto a Macanaim,
e Assalonne passò il Giordano con tutti gli Israeliti. 25 Assalonne aveva posto a capo
, dell'esercito Amasa invece di Ioab. Amasa era figlio di un uomo chiamato Itrà l'I-
smaelita, il quale si era unito a Abigal, figlia di lesse e sorella di Zeruia, madre di Ioab.
26Israele e Assalonne si accamparono nel paese di Galaad.

27 Quando Davide fu giunto a Macanaim, Sobi, figlio di Nacàs che era da Rabba, città
degli Ammoniti, Machir, figlio di Ammiel da Lode bar, e Barzillai, il Galaadita di Ro-
ghelim, 28portarono letti e tappeti, coppe e vasi di terracotta, grano, orzo, farina, gra-
no arrostito, fave, lenticchie, 29 miele, latte acido e formaggi di pecora e di vacca, per
Davide e per la sua gente perché mangiassero; infatti dicevano: «Questa gente ha pa-
tito fame, stanchezza e sete nel deserto».

Esprimere mediante un discorso la simultaneità, tuttavia, può anche fare a


meno di ogni segnale formale, poiché sono sufficienti all'intelligenza delle cose, ad
esempio, l'intreccio e le indicazioni di luogo. Un caso di questo genere è rappre-
sentato dalla scena della sfida di Golia nella valle del Terebinto in 1Sam 17. La sce-
na si chiude al v. 11 su una nota sospesa: «Saul e tutto Israele udirono le parole del
Filisteo; ne rimasero colpiti ed ebbero gran paura». La storia è apparentemente
giunta a un punto morto. Senza transizione, nel v. 12 spunta un nome: «Davide era
il figlio ... ». Sarebbe il figlio di lesse l'uomo provvidenziale? Tuttavia Davide è in
quel momento lont-ano dal fronte, occupato a fare la spola fra il palazzo reale e il
gregge del padre a Betlemme (vv. 12-15). Un ritorno al fronte, il tempo di un ver-
setto- «<l Filisteo avanzava mattina e sera; continuò per quaranta giorni a presen-
tarsi» (v. 16) -fa misurare la durata delle cose e l'impasse della storia, prima che
l'iniziativa di lesse al v. 17, mandando Davide a rifornire di viveri i suoi fratelli,
sblocchi le cose. Nelle sue due arene, l'azione è stata concomitante: Davide arriva
sul fronte esattamente prima dell'ultima formulazione della sfida. Il narratore ·ha
abilmente nutrito la suspense spostando il lettore da un teatro all'altro di un'azio-
ne simultanea.
In questi casi, l'arte della narrativa consiste nel fare di una limitazione lingui-
stica (il fatto di poter raccontare una sola cosa nello stesso tempo) un vantaggio
narrativo sotto l'aspetto della suspense o anche del tema, grazie alle analogie e ai
contrasti fra personaggi e situazioni in entrambi i recinti narrativi. Questo si osser-
va nella lotta contro il tempo raccontata in 1Re 1,11-53: mentre a Ein-Roghel, nel-
le vicinanze di Gerusalemme, il banchetto dell'intronizzazione di Adonia è al cul-
mine, nel palazzo di Gerusalemme il partito pro Salomone cerca di superare i gol-

64
pisti in velocità, ricordando a Davide il giuramento che ha fatto (o avrebbe fatto)
a favore di Salomone (vv. 11-40). La simultaneità è resa per forza in sequenza: il let-
tore è trasferito da un campo (vv. 9-10, a Ein-Roghel) all'altro (vv. 11-40, a Geru-
salemme), prima di ritrovarsi a Ein-Roghel (vv. 41-50). La sequenzialità del di-
scorso si accompagna tuttavia a ingegnose passerelle che sottolineano la simulta-
neità dell'azione- e l'ironia dei suoi contrasti. Nel corso dei vv. 11-40 il lettore è te-
nuto informato di ciò che si sta tramando nell'altro campo grazie alle insinuazioni
di Natan e Betsabea (v. 25: «Eccoli a mangiare e a bere con lui e a gridare: Viva il
re Adonia!» ), prima che il clamore che saluta a Gerusalemme la consacrazione di
Salomone- «Viva il re Salomone!»- attraversi lo spazio: «Li sentirono Adonia e i
suoi invitati, che avevano appena finito di mangiare. Ioab, udito il suono della
tromba, chiese: "Che cos'è questo frastuono nella città in tumulto?"» (1Re 1,41).
Trasportato fuori le mura, presso i congiurati, il lettore ha accesso agli sviluppi in-
tra muros grazie all'arrivo di un messaggero presso i convivi di Adonia (che an-
nuncia loro: «Anzi Salomone si è già seduto sul trono del regno», v. 46).

4.2.6. Suspense, curiosità, sorpresa: i tre universali narrativi


Combinati assieme a tanti altri, i fenomeni passati in rassegna concorrono al-
la generazione dei tre dinamismi narrativi: la suspense, la curiosità e la sorpresa,
che forniscono la spinta caratteristica del narrare. Identificare le forme bibliche. di
questi tre «universali» narrativi è capire quanto la Bibbia scommetta sulle virtù del
racconto (si veda Sternberg 1985, 264-320).
La suspense deriva dalla conoscenza imperfetta a proposito di un conflitto (o
di un'altra contingenza) che si profila nel mondo del racconto; essa nasce dalla dif-
fer~nza fra ciò che la narrazione ha già prospettato sulla scena (una sfida, un con-
flitto, una ricerca) e ciò che deve ancora accadere. Di fronte all'ambiguità dell'av-
venire il lettore, diviso fra paura e speranza, formula ipotesi prospettive che costi-
tuiscono scenari alternativi. Così in 1Sam 17: ci sarà qualcuno per rispondere alla
sfida di Golia? Sarà forse Davide? In 1Sam 25: riuscirà Davide a massacrare Nabal
per la sua insolenza e la sua ingratitudine? Potrà forse Abigail fermarlo in tempo?
·La suspense può anche governare cicli interi: potrà Abramo prestarsi al disegno di-
vino della discendenza (Gen 12,2) mentre sua moglie, Sara(ì) è sterile (Gen 11,30)?
Potrà Davide conformarsi all'unzione regale che ha ricevuto mentre un altro «Un-
to» (almeno sulla scena politica, e agli occhi di Davide) è ancora sul trono? Se, nel
contesto biblico, diversi fattori giocano a favore della suspense (non c'è niente co-
me la suspense e l'incertezza rispetto all'esito finale per rendere manifesta la li-
bertà di scelta dei protagonisti), altri giocano contro di lei: una narrazione della sto-
ria intessuta esclusivamente di suspense, a partir€ dai rischi e dai fattori contingenti
del mondo, potrebbe far pensare a un lassismo di~ino, occultando la signoria di
YHWH sulla storia. Se il narratore accentua la suspense, deve anche manifestare
che la storia non sfugge di mano a Dio, anzi che si tratta dell'esàtto contrario; per-
ciò si capisce il ruolo delle anticipazioni divine in Gen 15,13-17; Es 3,17-22; 6,6-8 o
2Sam 17 ,14. Qui come altrove, le rivelazioni anticipative sul «che cosa» della storia
non annullano la suspense: spostano la domanda dal «che cosa» al «come» della
realizzazione effettiva delle cose.
Nel caso della curiosità, le ipotèsi che formuliamo non riguardano più il futu-
ro ma sono retrospettive: un elemento del passato - un avvenimento, una decisio-

65
ne presa, una strategia decisa, ecc. - ci sfugge perché il narratore ha séeho di pas-
sar! o sotto silenzio. Nell'episodio del giudizio di Salomone, in 1Re 3,16-28, il crimi-
ne è già accaduto. Il narratore ha scientemente occultato la verità del dramma con-
sumatosi nella notte. Come Salomone di fronte alle due donne, vogliamo sapere. In
1Sam 16,1-13, quando Samuele è mandato presso lesse e i suoi figli, sappiamo di
- colpo che Dio ha già fatto la sua scelta - «mi sono visto un re fra i suoi figli» (v. 1)
- e noi cerchiamo di interpretarla. Sapendo che non sappiamo, andiamo avanti còn
la mente rivolta verso gli eventi passati che sono stati oggetto di un'ellissi e pro-
viamo a fare delle inferenze. La curiosità è di rigore una componente speciale nel-
la Bibbia: il disegno di Dio soggiace a tutta la storia, e si offre al lettore come un
elemento da decifrare e da riconoscere (l'intervento di Giuseppe in Gen 50,20 è ri-
levante in questo senso; cf. Gdt 9,5-6). -
Nel caso della sorpresa, il narratore disarciona il lettore con una rivelazione
«a cose fatte,», che lo obbliga a rivederle interamente. L'ellissi, in questo caso, vie-
ne fatta furtivamente, all'insaputa del lettore, il quale non sapeva di non sapere.
Questo è il caso di Gen 20,17-18, quando il lettore apprende che «Dio guarì Abi-
melech, sua moglie e le sue serve, sì che poterono ancora partorire. Perché
YHWH aveva chiuso ogni seno della casa d'Abimelech, per il fatto di Sara, mo-
glie d'Abramo». Questa divulgazione differita spinge il lettore a riconsiderare tut-
to l'intreccio (essa proietta in particolare una luce retrospettiva e ironica sul mo-
tivo del v. 4: «Abimelech non si era ancora accostato a [Sara]» ), integrando la
provvidenza di Dio nell'ambito delle cause e degli effetti. Una tale sorpresa go-
verna la lettura dell'episodio di Gen 32-33 in cui Giacobbe ed Esaù si ritrovano
(«Ma Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò; piansero»
[33,4]; Esaù è dunque cambiato completamente nei suoi sentimenti verso il fra-
tello [cf. Gen 27,41], e non lo sapevamo: eravamo completamente assorbiti nel
punto di vista di Giacobbe che temeva l'arrivo di Esaù «con quattrocento uomi-
ni» [32,7; 33,1]). È anche il caso del libro di Giona. Giunto a Gn 4,2, il lettore sco-
pre alla fine ciò che gli era sfuggito: il profeta nutriva dei pregiudizi rispetto alla
misericordia divina fin dall'inizio del dramma («Non era forse questo che dicevo
quand'ero nel mio paese?»).

5. l personaggi

66

l
l

La riservatezza dell'arte narrativa della Bibbia è evidente soprattutto nella


caratterizzazione dei personaggi, molto lontana dal soggettivismo a cui ci ha abi-
tuato la letteratura occidentale (mediante l'espressione dei modi di essere, dei sen-
timenti, dei flussi di pensiero, dei processi di decisione, ecc.). Questo minimalismo
non impedisce alla Bibbia di conferire una profondità sorprendente a molti dei
suoi personaggi. La maestria del racconto biblico a questo proposito si riconosce
dal modo in cui. combina la modalità narrativa (telling) e la modalità scenica
(showing). Il narratore consegna certo al lettore qualche chiave riguardante i di-
versi personaggi (modalità narrativa), ma soprattutto fa di questo lettore un osser-
vatore e un giudice dei personaggi nelle loro opere (modalità scenica).

5.1. La modalità narrativa (telling)

Brevi ritratti accompagnano spesso l'esposizione, o anche intervengono nello


sviluppo dell'azione. Così per Esaù e Giacobbe (Gen 25,25-27), Giuseppe (Gen
37,2-4; 39,6b), Mosè (Nm 12,3; Dt 34,7.10-12), Saul (1Sam 9,2), Davide (1Sam
16,12). Questi ritratti, molto mirati, hanno spesso una funzione prolettica (dianti-
cipazione) nei .racconti dove figurano. In Gdc 3,15-17 la presentazione di Eud co-
me «beniaminita» (figlio della destra) e pure «mancino», e la descrizione di Eglon,
re di Moab, come «Un uomo molto grasso» ( Ji'1~ è inoltre un gioco di parole su '~.p
«vitello»), preparano il gesto dell'eroe: «Allora Eud, allungata la mano sinistra,
trasse il pugnale [nascosto] sulla sua coscia destra e la piantò nel ventre [del re].
Anche l'elsa entrò con la lama; il grasso si rinchiuse intorno alla lama» (Gdc 3,21-
22). I dettagli sull'abbondante capigliatura di Assalonne in 2Sam 14,25-26 prepa-
rano il lettore al racconto della sua morte tragica in 2Sam 18,9: Assalonne muore
con la testa incastrata nella chioma ingarbugliata di un grande terebinto.
Il nome designa il personaggio in quanto soggetto singolare, senza per questo
definirlo in maniera deterministica. Il dono del nome è talvolta accompagnato da
una spiegazione poetico-etimologica di portata prolettica: «E lo chiamò Noè (r:Jj)
dicendò: "Costui ci consolerà (i.:JJ?m:) del nostro lavoro e della fatica delle nostre
mani, a causa del suolo che YHWH ha maledetto"» (Gen 5,29). Questo di fatto su-
scita delle attese - perché la «consolazione» annunciata può rivestire più forme. In
altri casi, la spiegazione etimologica gioca a posteriori e viene a sottolineare l'affi-
nità tra un nome, una persona e un modo di essere. Così nel caso di Giacobbe. La
radice :1p.v è legata al «calcagno»: «Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il
calcagno (:lp.V) di Esaù; fu chiamato Giacobbe (:lpP,~)» (Gen 25,26). Ma il verbo :lp!7
significa anche «insidiare», «soppiantare». Esaù lo riconoscerà lui stesso, non sen-
za amarezza: «Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato (~~~P.V~J) già due
volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedi-
zione!» (Gen 27,36). I nomi degli eroi biblici non sono tutti provvisti di tali com-
menti etimologici (così Aronne e Miriam, Davide e Salomone, Ester) e certi han-
no peraltro un'origine molto enigmatica (Aronne, Davide). Alcuni personaggi illu-
strano altri tratti rispetto a quelli messi in evidenza dall'etimologia del nome (così
Samuele, cf. 1Sam 1,20). In poche parole, che sia provvisto o meno di un'etimolo-

67
gia dichiarata, che dia luogo o meno a giochi di parole durante li racconto, il nome
non esaurisce il personaggio (e ancora meno lo determina) ma contribuisce piut-
tosto a sottolineare il mistero del suo destino personale in un mondo caricato di
promesse e di senso. Questo è particolarmente manifesto allorché il nome del per-
sonaggio è l'oggetto di un cambiamento, a una svolta dell'intreccio (così Abram e
Sarai diventati Abra[ha]mo e Sara in Gen 17,5.15; Giacobbe-Israele in Gen 32,29;
e Osea riceve da Mosè il nome di Giosuè in Nm 13,16).
Oltre al nome e ai tratti fisici, sociologici, sociaii o psicologici, i ritratti com-
portano degli epiteti con cui si formulano dei giudizi morali (da parte del narrato-
re): Giobbe, «uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male» (Gb 1,1; cf.
Gen 6,9). Questi giudizi, formulati all'avvio del racconto, significano forse che tut-
to è già giocato? No, perché se noi conosciamo di colpo il-<<che cosa» a proposito
della qualità morale del personaggio, non sappiamo ancora «come» il personaggio
illustrerà questa qualità nei corsi e ricorsi della storia. È solo al termine della let-
tura del libro di Giobbe, dopo essere stato testimone della sua rivolta, che il letto-
re misura concretamente ciò che integrità e rettitudine, timore di Dio e astensione
del male possano significare.
Certi epiteti accostati ai nomi dei personaggi esprimono in maniera sottile la
loro posizione sulla scacchiera delle relazioni. Presentare Mikal come «figlia di
Saul» (1Sam 18,20.28; 2Sam 3,13; 6,16.20; 21,8) o presentarla come «moglie di Da-
vide» (1Sam 19,11; 25,44) è situarla al centro di «interessi» molto diversi. Il punto
di vista del narratore, del personaggio in questione o di alt:d personaggi è prolun-
gato efficacemente da tali appellativi. Così in 1Sam 6,16: «Mentre l'arca di YHWH
entrava nella città di Davide, Mikal, figlia di Saul [e non "moglie di Davide"],
guardò dalla finestra; vedendo il re Davide [e non "Davide, suo marito"] che salta-
va e danzava dinanzi a YHWH, lo disprezzò in cuor suo» (2Sam 6,16) (si veda qui
sotto il punto di vista).
Nel corso dell'azione il narratore, facendo uso del suo privilegio d'onniscien-
za, può beneficiare il lettore di visuali interiori (inside views), rivelando i senti-
menti, le motivazioni e le intenzioni dei protagonisti. «Esaù serbò rancore a Gia-
·cobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato» (Gen 27,41); (a proposito
di Ruben) «Egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre» (Gen
37,22); «Poi Amnon concepì verso di lei un odio grandissimo: l'odio verso di lei fu
più grande dell'amore con cui l'aveva prima amata» (2Sam 13,15; cf. anche Es 3,6;
1Sam 18,1; 2Sam 12,19). Tuttavia, il narratore permette di accedere ai sentimenti
dei personaggi molto più frequentemente attraverso la presentazione delle parole,
«interne·» o «esterne». Facendo questo, egli sceglie il modo scenico e trasforma il
lettore in osservatore e giudice.

5.2. La modalità scenica (showing)

Se le azioni dei personaggi costituiscono la trama dell'intreccio, traducono an-


che l'essenza dei protagonisti. I comportamenti sulla scena del dramma, i modi di
agire o di reagire, le decisioni prese o meno rivelano il «carattere» delle figure nar-
rative. Per due volte, Saul cerca di inchiodare Davide al muro con un colpo di lan-
cia (1Sam 18,11 e 19,9-10) e questo gesto ripetuto «drammatizza» il voltafaccia dei
sentimenti del re nei confronti del giovane musico: Davide, che polarizza sulla sua
persona l'amore di tutti, Saul compreso (1Sam 16,21; 18,1.7.16), è ormai il bersaglio

68 .
della gelosia del re. La caratterizzazione può anche nascere da un'assenza di azio-
ne: uomo di iniziativa su tanti fronti, Davide manca decisamente di risoluzione al-
lorché affronta i suoi figli (così di fronte ad Amnon e Assalonne in 2Sam 13-14 o
di fronte ad Adonia in 1Re 1). Tuttavia, è nel coordinare il discorso all'azione che
il narratore biblico sfrutta al meglio le risorse del modo scenico.

5.3. Dialoghi

La preferenza biblica per il discorso diretto è tale che il pensiero è quasi in-
variabilmente reso come discorso reale, ovverosia come monologo citato. Questo
monologo interiore ha l'interesse di mettere direttamente il lettore in rapporto con
il pensiero del personaggio, smascherando le intenzioni e i cuori. «Allora Sara rise
dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio
signore è vecchio?"» (Gen 18,12); «Geroboamo disse nel suo cuore: "In questa si-
tuazione il regno potrebbe tornare alla casa di Davide. Se questo popolo verrà a
Gerusalemme per compiervi sacrifici neltempio, il cuore di questo popolo si rivol-
gerà verso il suo signore, verso Roboàmo re di Giuda; mi uccideranno e ritorne-
ranno da Roboamo, re di Giuda"» (1Re 12,26-27; cf. anche Gen 6,7; 8,21; 17,17;
1Sam 27,1; Est 6,6); «Saul aveva detto[= si era detto]:"Non sia contro di lui la mia
mano, ma contro di lui sia la mano dei Filistei"» (1Sam 18,17; a proposito del di-
scorso diretto introdotto dal verbo iD~ come espressione del pensiero del perso-
naggio, cf. anche 1Sam 18,21; 20,26 e Geri 38,11).
La rappresentazione di dialoghi èJa tecnica più significativa (e la più attesta-
ta)· dell'opzione .«scenica» della narrazione biblica. Dio è il primo a parlare nel rac-
conto biblico (Gen 1,3), a parlare all'uomo (Gen 1,28), a entrare in dialogo con lui
(Gen 3,9-10). Lo chiama facendo ricorso al discorso diretto (Gen 12,1) o a seguito
di un dialogo («Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Ecco-
mi!". Riprese: "Non avvicinarti!"», Es 3,4); vari scrittori moderni, nellà stessa si-
tuazione, avrebbero fatto ricorso a forme di introspezione del personaggio umano.
Poiché il racconto biblico gravita attorno a interventi divini che hanno la forma
dell'atto di parola (chiamate, promesse, benedizioni, accuse, comandamenti, di-
chiarazioni di perdono, ecc.), è essenziale che Dio, nella creazione come nella sto-
ria, parli- e in discorso diretto. A seguito della sua analogia con la parola divina (o
della sua interazione con essa), la parola umana gioca un ruolo centrale nell'in-
treccio biblico. «Nella messinscena biblica della condizione umana- scrive Alter:...
ciò che importa prima di ogni altra cosa è il rapporto e confronto dei personaggi
tramite le loro stesse parole» (1990, 111). .
Nella narrazione biblica, l'interazione dei personaggi è sempre anche quella
delle loro parole, in corrispondenza o in contrapposizione rispetto alle azioni stes-
se. La perspicacia del lettore è allora sollecitata. Sta a lui scoprire le mezze verità,
i calcoli cortigiani, le deformazioni affettive, o anche la sincerità degli uni e degli
altri negli·scambi di parola «Vedi: sono con te», annuncia Dio a Giacobbe nel suo
sogno (Gen 28,15); «se Dio è con me ... », si ripete Giacobbe al risveglio (v. 20).
«Va', scendi», ingiunge Dio a Mosè, «perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire
dal paese d'Egitto, si è pervertito» (Es 32,7); «il tuo popolo, che tu hai fatto uscire
dal paese d'Egitto», gli replica Mosè (v. 12). La pratica biblica di limitare le scene
a due personaggi dà origine a dialoghi a volte pieni di contrasti. Basti evocare l'a-
marezza delle recriminazioni di Esaù e il dispetto delle risposte di Isacco dopo che

69
Giacobbe ha sviato la benedizione dei maggiore (Gen 27,34-40); la protesta mora..,
le sbalordita di Giuseppe dopo la brusca proposta della moglie di Potifar - «Cori-
cati con mel» (Gen 39,7-9); il grido scioccato di Saul dopo il discorso appassionato
di Davide fuori della grotta a Engaddi (1Sam 24,9-17).
Ma il racconto ha anche il suo modo di registrare il silenzio dei personaggi.
L'intervento di un personaggio preceduto da 1ì_iN~J («e lui disse») o 1ì_iNnJ («e lei
disse») può essere seguito da un nuovo intervento dello stesso locutore, sempre
preceduto da 1ì_iN~J o 1ì_iNnJ senza che l'interlocutore abbia risposto. Una tale ripe-
tizione significa regolarmente un silenzio teso, pesante e attonito da parte dell'in-
terlocutore: quest'ultimo non dice niente perché si trova a quia,sorpreso o perfino
imbarazzato dalle parole che ha appena sentito; o anche questo silenzio è strategi.:.
co, destinato a spingere l'interlocutore più avanti nel suo cammino verso la verità
(cf. Alter 1990, 210-211). Così in Gen 20,9-11 (altri esempi nel ciclo di Abramo: Gen
15,2-3; 16,10-11; 17,3.9.15; 21,6-7):

Abimelech chiamò Abramo e gli disse: «Che ci hai fatto? E che colpa ho commesso
contro di te, perché tu abbia esposto me e il mio regno a un peccato tanto grande? Tu
hai fatto a mio riguardo azioni che non si fanno». Abimelech disse ad Abramo: «A che
miravi agendo in tal modo?». Rispose Abramo: «<o mi sono detto: certo non vi sarà ti-
mordi Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie».

Se è vero che i personaggi biblici parlano, essi possono anche cantare negli in-
terventi «lirici», dei quali i più importanti sono la benedizione di Giacobbe (Gen
49), il canto del mare (Es 15), gli oracoli di Balaam (Nm 23-24), il cantico e la be-
nedizione di Mosè (Dt 32 e 33), i canti di Debora (Gdc 5) e di Anna (1Sam 2), l'e-
legia di Davide su Saul e Gionata (2Sam 1), il salmo e il testamento di Davide
(2Sam 22 e 23), la preghiera di Giona (Gen 2), la confessione del popolo (Ne 9).
Mettendo in gioco tutte le risorse della poesia ebraica (parallelismo semantico, ef-
fetti di crescendo, metafore prolqngate, ecc.), questi sviluppi lirici forniscono delle
finestre sulla psiche dei personaggi, ma sostengono anche l'intreccio a modo. loro:
tornando poeticamente su un evento già raccontato, i protagonisti dell'azione neri-
velano l'intensità (particolarmente teologica) o anche ne amplificano le ripercus-
sioni a lunga portata (cf. Es 15,17; 1Sam 2,10), che spetta ancora al racconto di
·esplorare prosaicamente (cf. Sonnet 2005).

5.4. Analogie

Le riserve bibliche nella caratterizzazione dei personaggi sono accompagnate


da mi ricorso permanente alle risorse dell'analogia. I rapporti di similitudine e di
contrasto possono essere impostati espressamente all'interno di un episodio (Go-
lia, impacciato nella sua armatura, contribuisce indirettamente alla caratterizzazio-
ne di Davide, libero nei suoi movimenti, 1Sam 17) o di un ciclo (aggredendo Davi-.
de con la sua lancia in 1Sam 18,10-11 e 19,10, Saul diviene figura di Golia redivi-
vus). Queste analogie operano particolarmente a favore di quanto avviene allo
stesso tempo, simultaneamente, dato che il confronto tra contemporanei è sempre
più pungente (così in 1Sam 25,13-22: Davide mette in atto una rappresaglia nel mo-
mento in cui Abigail prende delle misure per neutralizzarla; in 1Sam 30 e 31: Da-
vide è vincitore al sud il. giorno in cui Saul è sconfitto al nord). Questi rapporti gio-
cano però anche su vasta scala. I personaggi biblici sono necessariamente compre-

70
si secondo il loro ordine di apparizione, vale a dire in maniera sequenziale e cu-
mulativa. Più una figura biblica è preceduta da racconti, più questa figura rispon-
de di cjò che la precede, consciamente o inconsciamente. Un personaggio può es-
sere cosciente del fatto che si imbatte in una storia già attestata, così Elia quando
prende la strada per l'Oreb (1Re 19,8-18), o Ioab quando fa della morte di Uria
un'eco di quella di Abimelech (2Sam 11,21 e Gdc 9,51-53). Ma un personaggio può
ugualmente rivisitare inconsciamente una situazione narrativa che lo precede nel
corpus biblico. In questo caso è inabitato a sua insaputa da un personaggio ante-
riore, già familiare al lettore. Sotto molti aspetti, Salomone è in questo senso un
nuovo Adamo, rivisitando «dal punto di vista della corte» il dramma del giardino
(lRe 3,9: discernimento fra bene e male; 1Re 5,4-5: stato-giardino ai due alberi;
· 1Re 5,13: discorso zoologico e botanico; 1Re 8,46: riferimento al peccato di Ada-
mo; 1Re 11: ruolo della donna); o ancora, Giosia riprende in sé molti tratti di Gio-
suè (in rapporto allibro, all'alleanza e alla legge di Mosè [cf. Gs 1,82; 24,25-26 e
2Re 23,1-3.25]). Spetta allora al lettore di registrare e di scrutare gli anelli della sto-
ria, il modo in cui essa sembra ripetersi da una figura all'altra, in variazioni che pos-
sono andare fino all'inversione (cf. Zakovitch). In altre parole, se i personaggi bi-
blici hanno diritto a una presentazione parsimoniosa, si irrobustiscono di analogie
complesse con i loro antenati e contemporanei.

5.5. Un casting inedito

Nella galleria dei suoi personaggi, la Bibbia si distacca dai canoni illustrati in
altre letterature antiche, che distinguevano fra uno «stile elevato» della tragedia e
dell'epopea (i loro nobili eroi dalle prodezze straordinarie, i loro intrighi amorosi o
guerreschi, la loro propensione al sublime) e lo «stile basso», riservato alla comme-
dia e alla satira (gli eroi fanno allora parte del popolo minuto e le loro tribolazioni
si prestano al riso) (cf. Auerbach, 35-60). La Bibbia ignora tali distinzioni: gli. eroi
biblici possono appartenere a tutte le classi sociali (basti pensare ad Agar, serva di
Abramo, a Davide, preso «di dietro al gregge», o alla vedova che implora Eliseo in
2Re 4); non brillano sempre per le loro qualità né si distinguono con le loro virtù.
Le azioni descritte non sono necessariamente eccezionali o straordinarie, e il quo-
tidiano messo in scena è tutto tranne l'occasione di una farsa. E se la Bibbia cono-
sce anche il racconto epico, come quello della conquista di Giosuè o come le pro-
dezze di Sansone (che mescolano tuttavia il burlesco al picaresco ), questi racconti
fanno piuttosto eccezione. In questo la letteratura biblica differisce da quella che il
vicino oriente antico ci ha trasmesso, esaltando i suoi eroi e le sue figure regali. Con
i loro accenti crit~ci verso le classi dirigenti di Israele e di Giuda, i libri biblici «dei
Re» sono ben lontani dagli annali regali mesopotamici ed egiziani, in cui la critica
dei sovrani è semplicemente impensabile. Questa libertà critica è regolarmente rap-
presentata en abyme nell'attitudine di certi personaggi profetici: «Appena lo vide,
Acab disse a Elia: "Sei tu la rovina di Israele!". Quegli rispose: "Io non rovino Israe-
le, ma piuttosto tu insieme con la tua famiglia, perché ayete abbandonato i coman-
di di YHWH e tu hai seguito Baal"» (1Re 18,17-18). Nel loro castinge nei loro rap-
porti, i personaggi biblici rivelano quindi l'intrusione di un principio (teologico)
inedito, sconvolgendo i generi letterari e riordinando i rapporti sociali.
In maniera analoga, i racconti della Bibbia prediligono i personaggi di secon-
do rango - basti pensare a Giuseppe alla corte del faraone, a Daniele alla corte di

71
. .
Babilonia o a Ester, moglie del re di Persia. Se anche non dispongono della poten-
za suprema, sono loro, nella storia raccontata, che risolvono i problemi e innesca-
no le azioni decisive. Ottengono questi risultati non con la forza o in virtù della lo-
ro autorità, ma per la persuasione, l'intelligenza o l'astuzia -le «armi>? degli indivi-
dui e dei gruppi deboli, com'è Israele, circondato da superpotenze. Questi perso-
naggi «catalizzatori» si ritrovano anche negli intrecci «nazionali» o familiari, e spes-
so sotto tratti femminili: in Rt 3 Rut persuade Booz a sposarla durante la scena nel-
l'aia; in 2Re 4,28-30 la sunammita ottiene del profeta Elia che venga di persona a
risuscitare il bambino appena morto; in 2Re 5,2-3 la giovane schiava israelita indi-
ca al generale siriano N aaman la via da seguire per ottenere la guarigione.

5.6. Personaggi in chiaroscuro

Sulla scia di E. M. Foster (Aspects of the Nove l, 1927), l'analisi narrativa distin-
gue volentieri i pers?naggi <<piatti» (flat characters), costruiti attorno a una sola qua-
lità e quindi statici, dai personaggi «rotondi» (round characters), che si segnalano per
la loro complessità: carichi di una pluralità di tratti, essi si evolvono dinamicamen-
te. Come si presentano le cose nella Bibbia? Il racconto biblico evidenzia a colpo si-
curo alcune figure ricche e complesse, particolarmente a causa della loro evoluzio-
ne (e in questo senso davvero «rotondi»). Mosè cambia non solo nel suo rapporto
con la dizione (dapprima «pesante di bocca e pesante di lingua» [Es 4,10], finisce la
sua carriera con discorsi-fiume nel Deuteronomio), ma anche nel suo rapporto con
una missione che distingue a poco a poco la sua sorte da quella del popolo. Le «età»
di Davide sono in particolare quelle della sua evoluzione interiore, come futuro re
e come padre assente, in un itinerario segnato di rovesciamenti imprevedibili, e il
~ramma di Salomone è quello della sua relazione progressivamente pervertita con
·il dono della sapienza. In Gen 37-44 non è un solo personaggio che il lettore vede
trasformarsi, ma due, che passano dai propri interessi al senso di responsabilità fa-
miliare: Giuseppe e Giuda (che ha beneficiato dell'intervento di Tamar). Sono dun-
que «piatti» gli altri personaggi che affiancano queste figure dinamiche o che suc-
cedono a loro? Lamech (Gen 4,23-24), il faraone del racconto dell'esodo (Es 1-14)
e Nabal (1Sam25,3.17.25) fanno apparentemente di tutto per meritare una tale qua-
-lificazione. Resta tuttavia da dire cheJa modalità di esposizione adottata dalla Bib-
bia accorda alla maggioranza dei personaggi un sorprendente rilievo, presentando-
li in una forma di chiaroscuro o sotto una luce intermittente, ben diversa dalla «lu-
ce uguale» che scende sui personaggi omerici (cf. Auerbach, 20). ·

L'idea biblica di concepire il personaggio come (sovente) imprevedibile, per un verso


impenetrabile, che emerge costantemente da una-penombra di ambiguità per immer-
gervisi di nuovo - scrive Alter -manifesta una maggiore affinità con la sensibilità mo-
derna rispetto a quella dell'epica greca. La rivoluzione monoteistica della coscienza ha
profondamente alterato i modi in cui erano pensati sia l'uomo che Dio (L'arte della
narrativa biblica, 158).

Personaggi come Abigail, Amnon, Assalonne o anche Sansone si rivelano


quindi anche loro, al di là di certi tratti dominanti, irriducibili a qualunque tentati-
vo di «appiattimento». Occorre aggiungerlo? Senza dubbio la presentazione bibli-
ca del personaggio (umanò) deve molto alla concezione di un altro personaggio in
chiaroscuro, all'individualità indomabile e misteriosa: il personaggio di Dio.

72
6. Il punto di vista

Dato che mette in relazione degli agenti e delle visioni 'molteplici, spesso in
conflitto, la drammatica biblica trova nel fenomeno del punto di vista una tecnica
letteraria particolarmente preziosa per la sua impresa. Il punto di vista, del resto,
entra in scena fin da Gen 1 nell'affermazione ripetuta del narratore: «Dio vide che
era cosa buona» (Gen 1,4.10.12.18.21.25.31). Se l'identificazione del narratore pas-
sa per la domanda: «Chi racconta?», l'identificazione del punto di vista comprende
domande tipo: «Con quali occhi le cose sono viste e con quali orecchi sono senti-
te?»; «nella coscienza di chi si riflettono?»; «nella prospettiva di chi sono espres-
se?». Nel caso di Gen 1,4- «Dio vide la luce che rera] buona cosa»- il narratore
riporta il punto di vista divino, assumendolo nel proprio discorso (e non in un di-
scorso riportato, come in Gen 2,18: «YHWH Dio disse: "Non è buono che l'uomo
sia solo"»). Facendo questo, il narratore manifesta di condividere la scala di valori
divini: ciò' che Dio percepisce come bene o male è percepito e affermato come ta- .
le dal narratore, Se l'inizio della Genesi mette in scena il primato della prospettiva
divina, costituisce allo stesso tempo un narratore «capace» di questo punto di vista
e «abbinato» a questo. Il lettore, però, scopre fin da Gen 3,6 che il dràmma può gio-
carsi nel clash dei punti di vista- e in particolare attorno a ciò che è «buono»: «La
donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile
per acquistare saggezza» ( Gen 3,6). Che sia quello del narratore, del personaggio
divino o dei personaggi ·umani, il punto di vista è così un elemento associato co-
stantemente alla drammatica biblica.
Niente sfugge al punto di vista del narratore, filtro obbligato della narrazio-
ne. Il narratore però può modulare l.a sua (rap )presentazione delle cose. Rende
talvolta percepibile il proprio punto di vista, in particolare tramite commenti
espliciti («Ora gli uomini di Sodoma erano perversi e grandi peccatori contro
YHWH», Gen 13,13; «Mentre aprivano il cuore alla gioia ecco gli uomini della
città, gente iniqua, circondarono la casa, bussando alla porta», Gdc 19,22), spesso
abbinati al punto di vista divino («Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli oc-
chi di YHWH», 2Sam 11,27); in altre occasioni il narratore presenta le cose in ma-
niera relativamente «esterna»: «l Filistei stavano sul monte da una parte e Israe-
le sul monte dall'altra parte e in mezzo c'era la valle» (1Sam 17,3). Tuttavia, allo
stesso modo di Dio che «vede il cuore» (1Sam 16,7), il narratore può anche rive-
lare, mediante delle visuali interiori (inside views), le disposizioni interiori degli
uni e degli altri: «Mentre l'arca di YHWH entrava nella èittà di Davide, Mikal, fi-
glia di Saul, guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava di-

73
nanzi a YHWH, lo disprezzò in cuor suo» (2Sam 6,16). Facendo questo, il narra-
tore raggiunge ed esprime il punto di vis.ta interno dei personaggio (di cui la fine-
stra di Mikal è la metonimia).
Ogni apparizione di un discorso citato dei vari personaggi, lo sottolineiamo, è
l'occasione di un tale cambiamento di punto di vista. In particolare, è il caso dei
«monologhi interiori» di cui abbiamo trattato in precedenza. Presentendo ciò che
il personaggio dice «nel suo cuore/dentro di sé», il narratore mette il lettore im-
provvisamente di fronte a un punto di vista particolare: «Davide disse nel suo cuo-
re: "Certo un giorno o l'altro perirò per mano di Saul..."» (lSam 27,1; cf. Gen 8,21;
17,17; 18,12; 27,41; Dt 8,17; 1Sam 1,13; 27,1; 1Re 12,26; Est 6,6; ma anche, senza ri-
ferimento al «cuore», Gen 6,7; 28,16-17; Es 2,14; 3,3). I verbi di percezione e di co-
noscenza rappresentano anch'essi un'occasione per fare incursione nella prospet-
tiva del-personaggio. Così in Gen 38, nell'alternanza fra il punto di vista di Tamar
(v. 14 : «Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse
intorno, poi si pose a sedere all'ingresso di Enaim, che è sulla strada verso Timna.
Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma che lei non gli era stata data in
moglie») e di Giuda (v. 15: «Giuda la vide e la credette una prostituta, perché essa
si era coperta la faccia»).
La particella ilP.Dl, «ed ecco», spesso associata a un verbo di percezione, indi-
ca regolarmente (ma non sempre!) un tale cambiamento di prospettiva, introdu-
cendo il lettore nel punto di vista del personaggio. Dopo aver comunicato alletto-
re l'identità del visitatore di Abramo («YHWH apparve a lui alle Querce di Mam-
re, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno», Gen
18,1) il narratore fa vedere ciò che vede Abramo (Gen 18,2; Cf. anche Gen 22,13;
24,63; 31,10; 33,1; 37,25):

Egli alzò gli occhi e vide, ed ecco


[punto di vista interno] tre uomini in piedi presso di lui.

N ella più caratteristica delle sue forme, il fenomeno fa intervenire un verbo


di percezione, la particella ilml e una frase participiale. L'insieme è stato descritto
come un fenomeno di.«percezione indiretta libera»: la percezione del personaggio
viene di fatto ·assunta nel discorso del narratore, come lo manifesta il «presso di
lui» (e non «presso di me») in Gen 18,2.
I sogni dei personaggi biblici sono visioni a cui il lettore è associato «dal di
dentro». Così nel caso del sogno di Giacobbe (Gen 28,12; cf. 37,7.9; 41,1-7):

Fece un sogno ed ecco:


[punta di vista interno] una scala poggiava sulla terra, la sua cima raggiungeva il cielo.

Quando si tratta dell'espressione del punto di vista, il racconto biblico è ca-


pace di sfumature molto sottili. Può far intervenire la differenza fra punto di vista
percettivo e punto di vista riflessivo. È il caso di 2Sam 18, al momento dell'arrivo
dei messaggeri portatori della notizia funesta della morte di Assalonne: il narrato-
re ci trasporta successivamente nello sguardo della sentinella e nella coscienza di
Davide. A tre riprese Davide alterna, mediante un'analisi mentale, le percezioni
che gli trasmette la vedetta: «La sentinella salì sul tetto della porta dal lato del mu-·
ro; alzò gli occhi, guardò, ed ecco un uomo che correva tutto solo. La sentinella
gridò e avvertì il re. Il re disse: "Se è solo, porta una buona notizia"» (2Sam 18,25;
cf. vv. 26 e 27). Il racconto costituisce una sequenza e un intreccio tra un punto di

74
vista sensoriale, ciò che percepisce la sentinella, e uno psicologico, quello del padre
il quale teme l'annuncio della morte del figlìo. · .
Se il narratore adotta una prospettiva interna, è spesso perché vuole associa-
re il lettore all'esperienza del personaggio nei momenti chiave dell'azione. In Gdc
11,34 Iefte torna vittorioso dal campo di battaglia, dopo aver formulato il voto fu-
nesto: «Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima
dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Am-
moniti, sarà per YHWH e io l'offrirò in olocausto» (Gdc 11,30-31). Iefte allora ve-
de ciò che non avrebbe mai voluto vedere: ·

Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua, ed ecco


[punto di vista interno] sua figlia uscirgli incontro, con timpani e danze.

In certi momenti chiave, l'azione vera e propria è come sospesa e il racconto


ci lascia scoprire le cose rifratte nel prisma delle coscienze. È questo il caso in Gdc
4, dove Sisara muore per così dire due volte. Il generale cananeo muore una prima
volta nel corso «esterno» dell'azione (la narrazione della prodezza di Giaele fini-
sce al v. 21 con il verbo «morì»); una seconda volta nello sguardo di Barak: «Egli
entrò da lei, ed ecco: Sisara steso morto con il picchetto nella tempia» (v. 22; cf.
1Sam 30,1-3).

I modi in cui si esprime esplicitamente il punto di vista coesistono, e spesso si


combinano, con il modo implicito, vale a dire il punto di vista raccontato. In tal ca-
so la narrazione segue un personaggio passo dopo passo nei suoi spostamenti e nel-
le sue iniziative: «Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò co-
sì nel luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se
la pose come guanciale e si coricò in quel luogo» (Gen 28,10-11); una tale narra-
zione sbocca tuttavia regolarmente in uri atto percettivo o cognitivo e in una for-
mulazione esplicita del punto di vista: «Fece un sogno, ed ecco: una scala poggiava
sulla terra» (v. 12).
È da osservare che il racconto biblico dà spazio all'espressione di tutti i punti
di vista, e particolarmente a quello degli opponenti. Mentre Platone, nella Repub-
blica, mette i poeti in guardia rispetto all'uso della rappresentazione mimetica del
punto di vista del «cattivo», fonte di possibile empatia e dunque minaccia per la re-
pubblica (III, 395), il narratore biblico a questo proposito non indietreggia davanti
a niente. Ci associa ai calcoli di Geroboamo, che «disse nel suo cuore: "In questa si-
tuazione il regno potrebbe tornare alla casa di Davide ... "» (1Re 12,26) o di Esaù:
«Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacob-
be» (Gen 27,41); abbiamo accesso, principalmente in stile diretto, al punto di vista
menzognero degli uni (il serpente in Gen 3,1.4; Caino in Gen 4,10), idolatra degli al-

75
tri (il popolo in Es 32,4), blasfemo di altri ancora (il gran coppiere assiro in 2Re
18,28-36). Il rischio dell'empatia con i personaggi le cui visuali sono direttamente
espresse non regge davanti all'interesse del confronto con i disegni degli uni e degli
altri. Nella storia che racconta il narratore biblico, occorre esporre il lettore a tutto
ciò che possono tramare i personaggi umani e a tutto ciò che può tramare Dio.
Nelle sue molteplici attestazioni, la tecnica del punto di vista evidenzia che il
processo della scoperta- il passaggio dall'ignoranza a una certa conoscenza (par-
ziale, erronea) o a una migliore conoscenza- si trova nel cuore dei racconti biblici.
Sviluppi complessi o decisivi trovano spesso il loro compimento mediante il rifles-
so nelle coscienze (così la fede dei figli di Israele al momento della presentazione
iniziale di Mosè, in Es 4,31; la loro fede in YHWH e in Mosè una volta attraversa-
to il mare, in Es 14,31; il loro timore davanti a Mosè quando scende della montagna
con il viso raggiante, in Es 34,30). Non si deve dimenticare che un'altra istanza di
scoperta è sempre coinvolta in questa arte di narrare: il lettore. Se il narratore pre-
cisa di tanti personaggi che essi «alzano gli occhi», «sentono», «si dicono nel loro
cuore», «capiscono», capiscono male o non capiscono, è anche in vista del lettore,
per stimolarne così la risposta interpretativa. «Voi avete visto quanto YHWH ha
fatto sotto i vostri occhi, nel paese d'Egitto, al faraone, a tutti i suoi ministri e a tut-
to il suo paese; le prove grandiose che i tuoi occhi hanno visto, i segni e i grandi pro-
digi. Ma fino a oggi YHWH non vi ha dato una mente per comprendere, né occhi
per vedere, né orecchi per udire» (Dt 29,1-3): dietro la seconda generazione alla
quale si indirizza il Mosè deuteronomico si profilano i lettori a venire. Nella sua re-
torica, Mosè tradisce l'intento ultimo dei libri biblici: che il lettore sia quello che ha
un «cuore per riconoscere, occhi per vedere, orecchi per sentire>>.

7. La ripetizione

Nell'arte narrativa della· Bibbia, talmente legata a un rigoroso risparmio dei


mezzi, il fenomeno della ripetizione è molto rilevante (tanto più per i lettori occi-
dentali, avvezzi come siamo a un'arte letteraria allergica alla ripetizione). La pre-
sentazione che segue permetterà di prendere le misure del fenomeno, all'opera ai
diversi livelli della narrazione (si veda Alter 1990, 65-83 e 112-140).

7 .1. La parola chiave (Leitwort)

L'intreccio può essere sostenuto dalla ripetizione di una o di diverse parole


chiavi (Leitwort). La radice verbale i:Jl7, «servire», segna il racconto dell'esodo e
invita a capirlo come passaggio dalla «servitù» (Es 1,13: «Gli Egiziani asservirono
[1i~~:J] i figli d'Israele brutalmente») al «servizio» (3,12: «Quando tu avrai_ fa~t?
uscire il popolo dall'Egitto, servirete [I1i:t.h7tl] Dio su questo monte»). La contmmta

76
del ciclo di Giacobbe fra Gen 25,29-34 e 27,1-40 è sottolineata da un fenomeno di
e.co fra le parole i1l:J~, «diritto di primo genitura», e i1~1~, «benedizione» (cf. in par-
ticolare Gen 27,36). L'incontro di Giacobbe ed Esaù in Gen 32,2-33,16 mette in
campo in maniera insistente la parola Cl,~~. «faccia» e i suoi derivati. Descrivendo
per primo il fenomeno, Martin Buber ha parlato di Leitwortstil; Franz Rosenzweig
gli fa eco scrivendo: «Una storia [biblica] è attrezzata da un concatenamento di pa-
role identiche [... ] . Il senso della narrazione non si chiarisce se non a partire dai se-
gnali che il narratore ha distribuito sulla superficie del suo racconto, come altret-
tanti fanali» (1991, 138).

7.2. Il motivo

La narrazione può anche essere scandita e unificata dalla ricorrenza di un


motivo: un'immagine concreta, una qualità sensoriale, un'azione o un oggetto, as-
. sociati o no alla Leitwort. Le pietre accompagnano così la carriera di Giacobbe: in
Gen 28,11 prende una pietra e ne fa il suo capezzale; al risveglio erige la pietra co-
me memoriale (v.18); in Gen 29,8, al momento dell'incontro con Rachele, Giacob-
be rotola la pietra che ostruisce l'apertura del pozzo; al suo ritorno dalla Mesopo-
tamia, conclude un patto reciproco di non aggressione col suocero Labano ponen-
do al confine un cippo costituito da un mucchio di pietre (Gen 31,45-54), prima di
erigere di nuovo una stele di pietra al suo ritorno a Betel in 35,14. Questo rappor-
to con le pietre sottolinea un tratto particolare del personaggio di Giacobbe, nel
suo misurarsi costantemente con la resistenza delle cose. Quant~ alla figura di San-
sane (Gdc 13-16), essa è associata in maniera allusiva ma insistente al vocabolario
e all'immagine del fuoco, a partire dalla fiamma dell'altare in cui sparisce l'angelo
che annuncia la sua nascita (Gdc 13,20) fino al suo modo di rompere i legacci «co-
me si spezza un filo di stoppa qualora senta il fuoco» (16,9; cf.15,14), passando per
l'incendio delle mietiture dei filistei grazie alle volpi incendiarie (15,5) e il rogo su
cui i filistei bruciano la moglie di Sansone e suo padre come vendetta (15,6)- a tal
punto che il fuoco diventa un'immagine di Sansone, forza cieca che si consuma in-
sieme a tutto ciò che incrocia il suo cammino. Gli attrezzi liturgici del sacerdote di

77
Mika sono elencati quattro volte in Gdc 18 (vv. 14.17.18.20), e non senza ironia ri-
spetto all'utilitarismo sincretista del sacerdote e dei suoi datori di lavoro.

7.3. Il tema

La ripetizione si osserva anche a livello del tema: un'idea che è parte del si-
stema di valori del racconto - sia essa di carattere morale, morale-psicologico, le-
,,ga~e.,_ politico, stor.iografico, teologico - è resa evidente tramite qualche schema ri-
corrente (associato sovente a una o più Leitwort, o a un motivo). Ad esempio: il fa-
vore concesso al più giovane nella Genesi, l'obbedienza opposta alla rivolta nella
marcia nel deserto, il rigetto e l'elezione del re, o ancora la libertà del profeta di
fronte al re nei libri di Samuele e dei Re.

7A. La sequenza di azioni

. Altro fenomeno caratterìstico: quello della sequenza di azioni, che concatena


ripetutamente delle azioni codificate. La sua forma più corrente, tipica dei raccon-
ti popolari, è quella delle-tre (o tre più una) ripetizioni consecutive, segnando cia-
scuna una progressione fino a un mòmento cruciale. Così nelle tre catastrofi che di-
struggono tutti i beni di Giobbe, prima che una quarta faccia perire i figli (Gb 1,13-
19), scandite dalle espressioni stereotipate: «Sono scampato io solo che ti raccontò
questo» e «Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse». Per tre volte l'asina
di Balaam distingue ciò che il suo padrone non vede: l'angelo di YHWH apposta-
to di fronte a lei, su un cammino sempre più stretto. Occorre che Dio apra la boc-
ca all'asina, picchiata a tre riprese, e che apra gli occhi del veggente, perché Balaam
acceda finalmente alla lezione data (Nm 22,22-35) (cf. il triplice invio della colom-
ba in Gen 8,6-12 e il quadruplice tentativo di Dalila in Gdc 16,1-21).

7 .5. La scena tipo

Il fenomeno della scena tipo è senza dubbio quello in cui la ripetizione bibli-
ca si accompagna alle variazioni più raffinate. Come altre letterature tradizionali, i

78
racconti biblici ricorrono a convenzioni letterarie per rendere diverse situazioni ti-
piche (il concetto di «scena tipo» è del resto tratto dagli studi omerici; cf. W. Arend,
Die typischen Szenen bei Homer, 1933). Si tratta di un episodio che, concatenando
in un ordine dato una serie di motivi caratteristici, viene ripetuto in diversi racconti
con delle varianti significative. L'esempio biblico più interessante è quellò dell'in-
contro della futura fidanzata vicino al pozzo. Vi si ritrovano quattro motivi:
a) il giovane eroe all'alba della sua carriera si reca in una terra straniera;
b) presso un pozzo incontra una o più «ragazze» (i1"W~) che vengono ad at-
tingere acqua;
c) uno dei due attinge acqua per l'altro o per abbeverare il bestiame;
d) la ragazza «corre» (y11) o «si affretta» (1i1D) verso casa per annunciare la
visita dello straniero, che è accolto nella famiglia, e la vicenda si conclude con un
matrimonio.
Questo schema narrativo si ritrova in Gen 24; 29,1-14 ed Es 2,15-22 (realizza-
zioni parziali e metamorfosi dello schema si leggono in lSam 9,11-12 e Rt 2; cf. an-
che Gv 4,1-42). In ciascuna delle occorrenze la scena presenta caratteristiche pro-
prie, abbinate al personaggio (o ai personaggi) e all'intreccio in cui figurano. In
Gen 24 è Rebecca, la (futura) fidanzata, a dominare la scena, mentre Isacco rima-
ne sullo sfondo; in Gen 29 l'iniziativa e il punto di vista provengono da Giacobbe,
sempre sulla brecçia; in Es 2 la brevità dell'episodio non impedisce l'inclusione di
una scena di salvataggio - Mosè libera le sette figlie di Reuel (alias Ietro) da pe-
corai importuni. Altre scene tipo sono state identificate: «l'annunciazione della na-
scita dell'eroe alla madre sterile» (Gen 17,15-21; Gdc 13,2-7; 1Sam 1; cf. Le 1,5-25);
«la vocaZione dell'eroe» (Es 3; Gdc 6; 1Sam 3); «il banchetto di investitura regale»
(1Sam 9,22-25; 16,3-5.11; 2Sam 15,9-12; 1Re 1,9-11.18-19.24-25), «le donne che
escono incontro al guerriero vittorioso, cantando e ballando al suono dei tamburi»
(Es 15,20; Gdc 11,34; 1Sam 18,6). Il reperimento delle scene tipo (da distinguere
dalle scene semplicemente ripetute, che si tratti della presentazione di Sara e di
Rebecca da parte di Abramo e Isacco come loro «sorelle» [Gen 12,10-20; 20; 26,1-
14] o di Mosè che colpisce la roccia [Es 17,1-7 e Nm 20,1-13]) rappresenta un con-
tributo originale dell'approccio narrativo alla critica delle forme. In termini pro-
priamente narrativi, il fenomeno illustra la propensione della Bibbia a far giocare .·
analogie in sequenza, anche a lunga distanza.

7.6. Poetica della ripetizione

Il fenomeno della ripetizione manifesta quanto gli autori della Bibbia fossero
convinti della potenza della parola. La Genesi si apre del resto con un'enunciazio-
ne paradigmatica in materia, creatrice di decisive prime impressioni: ,;~-~D;l 1i~ ~n;,
«"Sia hi luce!" e la luce fu» (Gen 1,3). L'efficacia dell'ordine divino è resa dalla ri-
presa delle parole enunciate, precedute da un semplice waw inversivo. Condensa-
to in maniera estrema nel caso della parola creatrice, questo fenomeno si dispiega
narrativamente nel racconto della storia, non senza far intervenire la libertà uma-
na. «Dio disse ad Abramo: "Vattene- '97-l?." [... ]E se ne andò -l?.~1-, Abramo,
come YHWH gli aveva detto» (Gen 12,1.4). La costruzione del santuario nel de-
serto ripropone la sequenza creatrice: «Sia [... ] e fu», coinvolgendo ora la media-
zione umana dell'orefice Bezaleel, al termine delle peripezie legate all'erezione del
vitello d'oro: «"Farai il propiziatorio d'oro puro" [... ].E [Bezaleel] fece il propi-

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ziatorio d'oro puro» (Es 25,17 e 37,6). Ma spesso si inscrive una distorsione nella
ripresR delle parole, e questo fin da Gen 3 con la citazione del comando divino da
parte del serpente. Dio aveva detto: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giar-
dino; ma dell'albero ... » (Gen 2,16); il serpente riformula: «È vero che Dio ha det-
to: "Non potrete mangiare di tutti gli alberi del giardino ... "» (Gen 3,1). La posta
in gioco in queste ripetizioni e riformulazioni è sottolineata da Alter:

Quando l'azione e il parlare di uomini e di donne, visti sempre in qualche fatale mo-
vimento convergente con la direttiva divina o divergente da essa, ci vengono riportati
nella narrativa biblica, la ripetizione pone continuamente le loro esistenze in un'intri-
cata formulazione di parole. Continuamente diventiamo consapevoli del potere delle
parole di far accadere le cose. Dio, uno dei suoi intermediari o un'autorità puramente
umana, parla; l'uomo può ripetere e compiere le parole di rivelazione, ripetere e can-
cellare, ripetere e trasformare; ma c'è sempre il pressante messaggio originale con cui
fare i conti, un messaggio che, nella potenza della sua concreta formulazione verbale,
non può essere dimenticato o ignorato» (1990, 139-140).

Spetta quindi al lettore di individuare le disparità tenui ma significative al-


l'interno delle reiterazioni apparenti, i «nodi» di significazioni nuove che sorgono
nella trama delle unità linguistiche ripetute. L'angelo che annuncia alla moglie di
Manoach la nascita di Sansone precisa: «<l rasoio non passerà sulla sua testa, per-
ché il ragazzo sarà un nazireo di Dio fin dal seno [materno]; egli comincerà a libe-
rare Israele dalle mani dei Filistei» (Gdc 13,5). Ripetendo la cosa a suo marito, la
donna tralascia il riferimento al rasoio e sostituisce alla prospettiva della libera-
zione quella della morte dell'eroe, quadrando l'intreccio in maniera stranamente
premonitoria: «Perché il ragazzo sarà_un nazireo di Dio dill seno fino al gi9rno del-
la sua morte» (v. 7). Al lettore il compito di dar prova di una sagacità raddoppiata
quando due scene intere si ripetono: l'essenziale si gioca nelle variazioni. I due epi-
sodi in cui Mosè percuote la roccia col suo bastone (Es 17,1-7 e Nm 20,1-13) po-
trebbero apparire equivalenti (sull'asse della selezione); mettono in gioco una se-
rie di varianti, il cui senso si chiarisce in sequenza (sull'asse della combinazione):
sono situati l'uno prima e l'altro dopo l'evento delle «parole» del Sinai. Così nel ca-
so dell'ordine divino:in Es 17,6 Dio aveva detto a Mosè: «Percuoteraila roccia»;
in Nm 20,8, dice a Mosè e Aronne: «Parlerete alla roccia»; Mosè però percuote, e
a due riprese (v. 11), preferendo ripetere il gesto che ha già fatto piuttosto che af-
finare il suo ascolto profetico. Lette da vicino, le ripetizioni bibliche manifestano
che la storia, quando è condotta da Dio, pur attraversata da analogie non si ripete.

Excursus: Dinamismo narrativo e strutture di composizione

Il reperimento dei fenomeni di ripetizione nella Bibbia ebraica ha preso una forma si-
stematica negli studi consacrati alle strutture di composizione - simmetriche, concen-
triche o paràllele ~ ch.e sottendono il racconto (come anche il poema, l'oracolo e il di-
scorso). Ricorrenze linguistiche appaiono; a diversi livelli, all'interno delle unità nar-

80
rative e alcuni autori (così Fokkelman, Walsh, Wénin) coordinano il reperimento di
queste strutture, talvolta relativamente sofisticate, alla caratterizzazione dell'articola-
zione narrativa. Nell'episodio della torre di Babele in Gen 11,1-9, Fokkelman ha così
identificato una doppia strutturazione (20-45). Il testo si organizza, da una parte, in
modo parallelò:

A Tutta la terra ... una lingua unica e delle parole uniche (v.1)
B «Orsù! Mattoniamo (nilbena) mattoni ... e cuociamo ... (v. 3)
C costruiamo per noi una città ... (v. 4) ·
D facciamoci un nome ...
E. per non essere dispersi sulla faccia della terra».

A' ~<Un popolo unico e una lingua unica ... per tutti loro ... (v. 6)
B' Orsù! Scendiamo e confondiamo (havah ... nabela) ... » (v. 7)
C' e cessarono di costruire la città (v. 8)
D'si chiamò suo nome: Babele (v. 9)
E' YHWH li disperse sulla faccia di tutta la terra.

Ma lo stesso episodio presenta ugualmente una struttura simmetrica (nel caso specifi-
co una struttura concentrica, cioè che ruota attorno al centro X):

A Tutta la terra era una lingua unica (v. 1)


B si stabilirono là (v. 2)
C dissero l'uomo a suo compagno (v. 3)
D «Orsù! Mattoniamo mattoni (havah ... nilbena)
E costruiamo per noi (v. 4) '
F una città e una torre e sua testa nei cieli ... »
X E YHWH scese per vedere (v. 5)
F' la città e la torre
E' che costruivano i figli d'Adamo
D' «Orsù! Scendiamo e confondiamo (v. 7) (nabela)
C' perché non comprendano più l'uomo la lingua del suo compagno»
(v.7)
B' e YHWH li disperse di là (v. 8)
N YHWH confuse la lingua di tutta la terra (v. 9)

Il riconoscimento delle strutture di composizione è sempre un esercizio euristico be-


nefico, che costringe l'esegeta ad aderire al tessuto linguistico della narrativa nei suoi
limiti. La cultura della scrittura, nell'Israele antico, si è molto probabilmente accom-
pagnata a una pratica dell'organizzazione testuale stretta, con cui si reggeva il ritmo
(temporale) della narrazione in articolazioni diverse (le due onde di un parallelismo;
gli echi sempre più distanti di una simmetria). Non si deve dimenticare tuttavia che
questi rilievi esegetici, nel loro sguardo panoramico, sovrastano il testo come un tutto
offerto nello spazio, mentre l'arte della narrativa è essenzialmente un'arte del tempo.
Un approccio propriamente narrativo chiederà sempre di convertire la strutturazione
spaziale (astratta) in sequenza temporale (concreta), nel dinamismo della lettura, in
cui il lettore va da un punto all'altro (da A a A', o ancora da A a X e da X a N) pas-
sando per tutti i punti intermedi, nella memoria e nell'anticipazione (la percepibilità
degli echi nella lettura e nell'ascolto è quindi un elemento decisivo). In questo per-
corso sequenziale, il lettore fa inoltre intervenire parametri (le voci, il punto di vista,
ecc.) che sono particolarmente decisivi, e talvolta più pertinenti delle semplici ricor-
renze lessicali. ·

81
8. La Storia e le storie

8.1. Parabole e storiografia

La poetica narrativa della Bibbia descritta in queste pagine è rappresentata


nel grande affresco storiografico che si estende dal libro della Genesi al libro dei
Re, ma anche in testi che sono stati talvolta caratterizzati (nella tradizione ebraica
antica, si veda particolarmente b. Baba Bathra 15b) come «parabole» - così i libri
di Giobbe e di Giona. Una stessa arte narrativa caratterizza quindi scritti che ap-
partengono al genere storiografico e scritti che hanno lo statuto di finzione. Con
Sternberg (1985, 23-35) precisiamo a questo punto che il genere storiografico non
si definisce in base al suo valore di verità (e dunque dalla storicità degli avveni-
menti riferiti) ma dalla sua pretesa di verità- pretesa di raccontare la storia; in ma-
niera analoga, la finzione non è un tessuto di invenzioni libere (tanti elementi di
una finzione possono essere tratti dalla storia) ma un discorso letterario che si fa
forte del ricorso all'invenzione libera. Poiché l'insieme Gen-Re sostiene di raccon-
tare la storia di Israele e delle nazioni, delle «generazioni» del cielo e della terra fi-
no all' «anno trentasette della deportazione di Ioiachin, re di Giuda» (2Re 25,27),
esso appartiene al genere storiografico, ricorrendo alle convenzioni della storia-
grafia antica. Le procedure di questa coincidono solo parzialmente con quelle del-
. la storiografia critica; Tucidide ed Erodoto, ad esempio, non esitavano a mettere
sulla bocca dei loro eroi discorsi inventati che i documenti non garantivano ma ren-
devano solamente plausibili (e gli storiografi mesopotamici, ittiti ed egiziani face-
vano lo stesso). La pretesa dell'insieme Gen-Re di raccontare la storia non è sola-
mente compatibile con la cultura antica; essa è anche richiesta dalla teleologia di
questi scritti. Questi libri si rivolgono infatti a un popolo definito dal suo passato,
a cui viene intimato di custodire viva la sua memoria (si veda Dt 5,15; 8,2; 15,15;
16,12; 24,18.22 e i riferimenti al «memoriale» in Es 12,14; 13,9; 17,14). E poiché il
Dio della Bibbia si presenta come l'unico, la storiografia biblica rivendica una si-
mile esclusività. Come ha sottolineato Auerbach in Mimesis, la Bibbia sostiene di
raccontare la storia -l'unica e sola verità che, come Dio stesso, non sopporta alcun
rivale (pp. 16-17). (Parlare così è dare spazio alla pretesa dei libri in questione e
prolungare razionalmente la loro proposta. Una tale prospettiva non dispensa il
lettore moderno dell'inchiesta storico-critica; piuttosto lo impegna in essa, poiché
leggere la Bibbia nella ·modernità è leggerla criticamente in tutte le sue dimensio-
ni, nella sua coerenza interna, nel suo intento generico come nei suoi condiziona-
menti redazionali e storici.)

82
· . La pretesa storiografica della Bibbia si riconosce in due maniere, eterogenee
ma complementari. Da una parte, la Bibbia fa regolarmente appello a documenti
sopravvissuti del passato, in maniera tale da annunciare paradossalmente la storia-
grafia moderna. Costumi del presente sono delucidati (Gen 32,33), nomi e detti in
vigore sono messi in rapporto con la loro origine (1Sam 19,24; 2Sam 5,6-8), monu-
menti ricevono una ragione d'essere assieme alloro ancoraggio nella storia (Dt
3,11; 2Sam 18,18) e si fa appello a documenti scritti quali il libro del Giusto (2Sam
1,17) o gli annali regali («Le altre gesta di Salomone, le sue azioni e la sua sapien-
za, non sono forse descritte nel libro della gesta di Salomone?», 1Re 11,41 e pas-
sim). Qualunque sia il valore dei riferimenti e delle spiegazioni forniti, la loro pre-
senza rafforza la pretesa di verità storica del racconto, ancorando il discorso in
aspetti pubblici e accessibili della realtà. D'altra parte, lo stesso racconto mette in
rilievo aspetti non pubblici e non verificabili della realtà (monologhi interiori, vi-
suali interiori, punti di vista interni, ecc.), e questo grazie al concorso di un narra-
tore onnisciente. La narrazione anonima e onnisciente è certo un segnale di fin-
zione letteraria nel racconto moderno; nella letteratura antica, lo stesso modello è
investito, in quanto veicolo della tradizione immemorabile, di un'autorità sopran-
naturale che contribuisce all'autorità storiografica del racconto.

8.2. Storiografia, teologia e arte del racconto

Il progetto storiografico della Bibbia è simultaneamente un'impresa teologi-


ca: lo sviluppo della storia intrattiene un rapporto permanente con ciò che il nar-
. ratore riferisce o lascia presentire del disegno di Dio. Il punto importante, però, è
osservare che fra questi due parametri- teologico e storiografico -l'arte narrativa
costituisce, nella Bibbia, la mediazione obbligata. Il compimento (iniziato, portato
a termine, eluso, differito) del disegno di Dio nella storia si scopre in altrettante
storie. È nella narrazione dei destini umani che il lettore assiste allo scontro fra di-
segno divino e contingenza della storia. «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e
dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò», ingiunge Dio ad Abra-
mo, «farò di te un grande popolo [... ] e in te si diranno benedette tutte le famiglie
della terra» (Gen 12,2.3). Il lettore deve chiedersi se non ci sia stato un errore di
persona, visto che il narratore ha precisato in precedenza: «La moglie di Abram si
chiamava Sarai[ ... ]. Sarai fu sterile e non aveva figli» (11,29-30). La combinazione
del disegno trascendente con il piano delle contingenze riappare alcuni versetti più
avanti, quando si apprende che anche lo stesso paese promesso è colpito da una
certa forma di sterilità: «Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per
soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paesé» (12,10). Ma è quando la contin-
genza della storia prende la forma degli atti umani che l'arte narrativa della Bib-
bia giunge al massimo grado. Sceso in Egitto a causa della carestia, Abramo si met-
te al sicuro mentre mette sua moglie in pericolo: «Di' dunque che tu sei mia sorel-
la, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te» (12,13). De-
positario della promessa di Dio, Abramo espone Sarai al desiderio (e al seme) di
altri uomini, primo fra tutti il faraone. Riferendosi al saggio di Alter (L'Arte della
narrativa biblica), Paul Ricreur scrive: «Ciò che ha colpito Alter, nei più dramma-
tici di questi racconti, è il fatto che il testo intende comunicare la convinzione che
il disegno divino, sebbene ineluttabile, non si realizza se non tramite ciò che egli
chiama il ricalcitrare umano». Questo confronto del disegno di Dio con le libertà

83
umane capricciose o refrattarie è, aggiunge Ricceur, «una teologia che genera del
narrativo, o meglio, una teologia che ritiene la modalità narrativa come la sua mo-
dalità ermeneutica maggiore» (pp. 18-19): solo un racconto «ben orchestrato» fra
suspensè, curiosità e sorpresa può far presagire ciò che, coniugato a tali contingen-
ze e resistenze, il disegno divino fa nonostante il suo cammino. «Dove è Sara, tua
moglie?» (e non tua sorella), chiederanno i visitatori ad Abramo prima di far sen-
tire alla futura matriarca ciò che il patriarca già sa (Gen 17,19.21): la nascita av-
verrà all'interno della coppia (Gen 18,9). Tante «storie» ben raccontate fra Gen 12
e Gen 18, ma esse, ed esse solo, e non una forma di comunicazione didattica o dog-
matica, fanno scoprire la maniera in cui il disegno originale si avvera e persevera
attraverso le contingenze della storia. L'arte della narrativa biblica mostra forse
tutto il suo spessore negli episodi e cicli che illustrano la «causalità duale» (si veda
Amit): mettendo in primo piano l'autonomia dei personaggi umani, mentre il per-
sonaggio di Dio si è come ritirato dietro le quinte, questi racconti fanno sottilmen-
te capire che nell'intreccio umano progredisce quello di Dio. Sono ad esempio le
iniziative di Assalonne che fanno precipitare sulla casa di Davide il castigo annun-
ciato da Dio (2Sam 12,11-12); e sono le iniziative di Giuseppe che catalizzano nel-
la famiglia di Giacobbe il disegno del Dio che ha «concepito "per il bene"» ciò che
gli uomini avevano «concepito "per il male"» (Gen 50,20). In ogni modo, quando
la libertà umana degli uni e degli altri si coniuga al disegno di Dio, sono necessarie
tante storie per raccontare la Storia.

9. Modalità di impiego

9.1. La temporalità narrativa

- Quali sono i momenti della storia che sono stati selezionati per essere rac-
contati nell'episodio? Sono marcati da «vuoti» (blanks) o da segnali di demarca-
zione temporali (avverbi, complementi di tempo, proposizioni temporali)? Sono
. preceduti da· un sommario narrativo?
-La trama narrativa include delle ellissi? Se sì, queste ultime sono riprese nel
seguito del racconto o restano noli delucidate, offerte a delle ipotesi contradditto-
rie o complementari?
-La storia si racconta nell'ordine cronologico? Include delle anticipazioni (da .
parte del narratore, del personaggio divino, di un profeta o di un altro personaggio).
o delle informazioni divulgate a cose fatte?
-La narrazione segue un intreccio situato in un solo luogo o vi sono degli svi-
luppi che si producono simultaneamente in luoghi differenti che vengono giustap-
posti? Esplicita questo sincronismo (con una formula, una data, una ripetizione che
funge da ricapitolazione)?
-Qual è l'incidenza del ritmo del racconto? Come si fa giocare il rapporto tra
tempo narrante e tempo narrato? Dove questo rapporto si trova con delle modifi-
che?
- Il racconto presenta una dinamica della suspense, di curiosità o ancora di
sorpresa? Combina forse queste dinamiche?

84
9.2. L'intreccio e le sue tappe

-L'intreccio si svolge attorno al capovolgimento di una situazione (trama di ri-


soluzione) o attorno alla scoperta da parte del protagonista principale di un elemen-
to che ignorava '(trama di rivelazione)? L'una e l'altra si articolano forse insieme?
-L'intreccio rispetta la sequenza classica (esposizione -complicazione di una
crisi - azione decisiva - scioglimento - epilogo) o introduce delle varianti in que-
sta sequenza?

9.3. l personaggi

-Come costruisce il narratore i suoi personaggi? Mediante la modalità nar-


rativa (telling), mediante dei ritratti anticipativi, con delle visuali interiori, con dei
commentari o dei giudizi morali? Oppure si basa sulla modalità scenica (showing),
«drammatizzando» i loro comportamenti e citando le loro parole e i loro monolo-
ghi interiori?
-A un tale momento del racconto il lettore, messo al corrente dal narratore,
ne sa più del personaggio? Come interpreta, in tal caso, il personaggio gli indizi che
gli vengono forniti? Oppure è forse il personaggio a saperne più del lettore? Per-
ché il narratore ha interesse a nascondere il gioco del personaggio?
-Che sentimenti (di empatia, perplessità, antipatia) il narratore risveglia nel
lettore a proposito di uno dei suoi personaggi? Come produce questo effetto?
- Che ruolo giocano i personaggi secondari a lato dei protagonisti principali
(catalizzatori, figure che mettono in risalto il protagonista o repoussoirs, comparse)?
- Quali sono i rapporti di analogia (con un predecessore o l'altro, un con-
temporaneo o l'altro) che arricchiscono la comprensione del personaggio?

9.4. Il punto di vista

- Il narratore sceglie di farci vedere le cose a partire dal suo punto di vista o
a partire da un punto di vista di uno dei personaggi? Se il punto di vista è quello
del narratore, ci mostra ciò che possiamo osservare esteriormente o al contrario dà
prova di onniscienza pronunciandosi su ciò che non è accessibile socialmente?
- Se il narratore adotta il punto di vista del personaggio, lo fa riproducendo
le sue parole (e mediante monologhi interiori), dandoci accesso alle sue percezio-
ni o a i suoi pensieri, oppure seguendo, nel corso della narrazione, le sue iniziative
e i suoi spostamenti?

9.5. Le ripetizioni

-Che tipo di ripetizione fa giocare l'episodio (solo interna, oppure in unità


più estese, come quelle del ciclo o del libro)? Vi sono una o più parole 'chiave?
Qualche motivo? Una sequenza di azioni? Una scena tipo?
-Queste ripetizioni danno luogo a delle variazioni? Qual è la loro pertinen-
za nell'intreccio o nella caratterizzazione dei personaggi?
- Se anche un personaggio racconta ciò che il narratore ha già riportato, la
versione dei fatti del personaggio come fa da eco a quella del narratore? Su quale
punto cambia il taglio? Su quale punto se ne distacca?

85
Capitolo 3
ANALISI DELLE FORME E DEl GENERI
E STORIA DELLE TRADIZIONI

MICHAELA BAUKS

Il capitolo 3 è diviso in due parti, la prima delle quali tratta dell'analisi delle
forme e dei generi (A) mentre la seconda si occupa dell'analisi e della storia delle
tradizioni (B).

A. ANALISI DELLE FORME E STORIA DEl GENERI

1. Introduzione

Ogni enunciato ha bisogno di un'organizzazione formale. Questa è costituita


da un quadro formale, proveniente da un sistema prestabilito, a sua volta frutto di
convenzioni linguistiche e letterarie proprie di ogni cultura. Perché riesca una co-
municazione, il locutore deve possedere delle competenze linguistiche necessarie
al riconoscimento delle convenzioni della cultura di riferimento. Di conseguenza, il
lettore o l'uditore ha ugualmente bisogno di conoscere questo sistema per valuta-
re correttamente ciò che viene detto o scritto. Nella letteratura biblica distinguia-
mo soprattutto tre grandi domini del linguaggio, costituiti a partire da convenzioni
e che dominano l'Antico Testamento: il linguaggio cultuale, il linguaggio giuridico
. e il linguaggio della corte. A questi tre domini socioculturali, che conoscono una
struttura ben distinta ed elaborata, si aggiungono alcuni generi narrativi che sono,
in compenso, meno definiti e assai vicini a quelli delle letterature occidentali.
È evidente che le forme letterarie sono inseparabili dalla vita sociale dell'I-
sraele antico e che rappresentano allo stesso tempo le garanzie delle istituzioni sta-
bilite, a cui conferiscono la loro legittimità. Non esistono tuttavia delle grandi bi-
blioteche o dei grandi archivi nella prima metà del primo millennio, ma la produ-
zione letteraria è molto ristretta. In effetti, Israele non ha avuto una cultura scritta,
e la scrittura era riservata alle élite intellettuali e politiche, ovverosia alla corte e al

87
tempio. Il popolo non era alfabetizzato. A partire dall'epoca monarchica; solo gli
scribi e alcuni sacerdoti sapevano leggere e scrivere, qualifiche acquisite nelle rare
scuole. Queste non garantivano solamente l'apprendistato della lettura e della scrit-
tura, ma assicuravano anche un'educazione civile e religiosa dei futuri funzionari.
Questo fenomeno è largamente attestato in Egitto: L'istruzione di Merikare (III
mill.) o L'istruzione di Amenemope (I mill.), che provengono dalla letteratura sa-
pienziale, sono considerate come una possibile fonte del libro dei Proverbi.

Fig. 1- II Calendario di Gezer (X sec. a.C.), un testo scolare che presenta una lista di nomi dei
mesi. Si tratta del più antico testo ebraico ritrovato in Israele (LEMAIRE, Les écoles et la formation de la
Bible, 10s).

1.1. Piccola cronistoria

88
La «storia della critica delle forme e dei generi» è cominciata con Bermann
Gunkel. Questo veterotestamentarista, professore a Halle (Germania) all'inizio del
XX secolo, è l'iniziatore di un intero dominio della ricerca esegetica. Rispondendo
al modello letterario elaborato alcuni anni prima da Julius Wellhausen (cf. c. 4, p.
119ss), ha insistito sulla necessità di non limitarsi esclusivamente alla determina-
zione dei differenti documenti letterari per ricostruire la loro storia redazionale.
Egli cercò di cogliere le tradizioni, le idee, il radicamento sociologico, culturale e
religioso che si trovavano a mont~ di ogni atto di scrittura. Grazie a un canone di
letteratura arricchito dalle scoperte delle tavolette cuneiformi negli archivi della
Mesopotamia antica, l'esegesi disponeva inoltre di un fondo letterario molto più
esteso in relazione ai testi assenti in Palestina. Gunkel fondò così la scuola della
storia delle religioni e del metodo comparativo sottolineando per la prima volta il
grande interesse dell'analisi delle forme. Le sue ricerche riguardarono in un primo
momento i racconti della Genesi e in seguito i Salmi. Dichiarando che «la Genesi
è una collezione di leggende» raccontate accanto al fuoco all'interno delle famiglie
di nomadi, sottolineò che non si doveva rivolgere il proprio interesse solo agli au-
tori che le hanno redatte o alle collezioni di testi. La maggior parte di esse si fon-
. da su dei racconti popolari che si basano a loro volta su delle tradizioni orali che
aiutano a ricostruire la storia preletteraria del Pentateuco (di fatto; della Genesi).
Per Gunkel, l'unità primitiva è la leggenda autonoma, vale a dire un piccolo rac-
conto indipendente (Einzelerziihlung) che è spesso destinato a spiegare l'origine di
un rito, di un luogo o di un gruppo di uomini (con un obiettivo eziologico). Secon-
do lui, «quando furono messe per iscritto, le leggende [ ... ] avevano ima lunga sto-
ria alle spalle» (31910, 289). In relazione alle fonti letterarie del Pentateuco, la sco-
perta dell'oralità dei racconti mette in luce un'epoca importante di tradizioni ine-
renti a esse e permette di dedurre un radicamento del racconto nella tradizione più
antica. Questo radicamento originale è legato a una situazione ben precisa sul pia-
no sociologico ed «evenemenziale». Gunkel enuncia la cel~bre ipotesi secondo la
quale ogni leggenda ha un Sitz im Leben («contesto vitale» o milieu) molto con-
creto. Secondo lui, ogni testo offre mediante la sua forma degli indizi che permet-
tono di ricostruire la sua origine, il suo obiettivo e i suoi primi autori.
Il radicamento primario pone un certo numero di questioni riguardo all'au-
e
tore, al destinatario alla situazione concreta in cui e per cui una leggenda è stata
· enunciata. In compenso, non bisogna confondere questa situazione concreta con
una situazione storica precisa. Gunkel ha piuttosto pensato a una situazione tipo
(culto, rito, diritto, famiglia) o a un contesto istituzionale, più che a una data stori-
ca o a un avvenimento particolare. Oltre all'integrazione dell'aspetto istituzionale,
l'analisi delle forme e dei generi oltrepassa la linea di demarcazione della lettera-
tura. Essa integra ugualmente degli elementi della storia sociale e delle istituzioni,
che sono strettamente affiliati alla storia dei motivi e delle tradizioni. Così l'anali-

89
si delle forme non è solamente una procedura descrittiva dell'analisi letteraria, ma
un ~ontributo sintetico allo studio storico-critico dell'Antico Testamento. Si può
designare la tappa analitica come «critica delle forme» e la tappa sintetica come
«Storia delle forme» (Vieweger). La critica delle forme si muove in due direzioni:
da un lato, restituisce ai racconti il loro diritto di essere una fiction, che segue al-
cuni principi letterari; dall'altro, ammette che si possono anche estrarre da questi
testi delle informazioni che concernono il sottofondo storico. dell'Antico Testa.,
mento. Il neotestamentarista R. Bultmann ha riassunto dicendo che la storia delle
forme vuole completare la critica letteraria (Literarkritik).

Questa ha per scopo di fornire un'immagine della storia dei frammenti isolati di una
tradizione [ ... ].Non consiste qùindi semplicemente nell'identificare e ordinare in dei
generi determinati[ ... ] i frammenti isolati della tradizione. Il suo compito è al contra-
rio di ricostruire· l'origine e la storia di questi frammenti isolati, al fine di chiarire la
storia della tradizione preletteraria (p. 18).

Il cambiamento di paradigma in rapporto alla scuola di Wellhausen consiste


dunque nella scoperta della tappa prelettararia che ogni testo biblico ha conosciu-
to. Attraverso i Salmi, Gunkel ha voluto ricostruire i riti e i concetti religiosi del-
l'antico Israele, e attraverso i racconti patriarcali le condizioni di vita di una società
nomade. Ha ben sottolineato che «il valore storico di quelle figure [quelle della
Genesi] riposa sulla storicità delle condizioni dipinte nelle leggende, il loro valore
religioso e morale sulle idee che questi racconti esprimono» (p. 362), e non sul rea-
lismo e sull'autenticità storica degli avvenimenti descritti. L'approccio doveva ser-
vire a giungere alle radici della cultura dell'Israele antico.
In effetti, è alla fine della sua redazione che una leggenda autonoma diviene
un'unità letteraria, o perfino un testo indipendente, che conosce ancora numerosi
rimaneggiamenti redazionali. A ogni tappa della ricostruzione della storia redazio-
nale, l'esegeta deve porsi le tre seguenti domande: qual è l'autore, chi sono i desti-
natari e qual è la situazione concreta. Innanzi tutto, la figura dell'autore è multipla
poiché ogni intervento nel processo letterario apporta delle connotazioni differen-
ti al testo e alla composizione globale. I testi biblici non conoscono un autore ben
identificato che scrive con il suo nome proprio. Questi fanno parte di una lettera-
tura di tradizione, riproducono delle riflessioni teologiche e dei temi concepiti in
precedenza all'interno di .forme tradizionali. Inoltre, il destinatario non è un indi-
viduo ma un gruppo o una corrente che possiede una comune identità culturale, la
quale dipende dalle trasformazioni della storia politica e sociale. Infine, si pone la
questione del contesto storico (historischer Ort). Il Sitz im Leben deriva dall'ora-
lità di un testo e fa ricorso al milieu socioculturale. La forma che si è cristallizzata
richiede che sia definito il suo contesto storico, ovverosia in quale momento e in
quale epoca il testo è stato redatto e come ha trovato la sua posizione definitiva nel
corpus biblico. Mentre Gunkel si era accontentato di adattare questa metodologia
ai racconti indipendenti considerati come unità fondamentali delle tradizioni ora-
li, i suoi successori hanno allargato il campo di lavoro. Essi hanno utilizzato una
nuova categoria che Georg Fohrer ha chiamato Sitz im Buch («situazione nel li-
bro>>, ossia «funzione nella letteratura»). In relazione alla ricerèa letteraria delle
fonti che rischiava di frazionare il testo biblico, l'analisi delle forme voleva rimet-
tere i frammenti nel loro contesto sociale e culturale. Così ritornava al contenuto e
alle intenzioni dei testi.

90
1·.2. Precisazioni terminologiche

1.2.1. «Forma», «formula» e «genere»

Nel corso degli anni si è formata una vera «nebbia» terminologica, a comin-
ciare proprio dai due termini di base del metodo, «forma» e «genere» (cf. Blum; in
Sweeney- Ben Zvi). Mentre un certo numero di esegeti (Richter) cerca di distin-
guere minuziosamente tra forma, formula e genere letterario, Koch pensa che sia
inutile differenziare precisamente tra genere (Gattung)e forma (Form). «Unge-
. nere non è una forma? O esistono delle forme di unità letterarie che sono altro ri-
spetto a un genere o a una formula? Come può essere?» (cf. Utzschneider- Nit-
sche, 118ss). Se si rimane nel dominio dell'oralità, una distinzione sembra essere
superflua. Ma che cosa succede se applichiamo questo metodo allo studio di un te-
sto considerato come una composizione letteraria e non come un'unità testuale?
Come Koch, John Barton ha proposto una definizione che rinunci a una differen-
ziazione troppo complessa, ma che definisca i due termini evitando un'equivalen-
za e considerando l'uno come un termine più generale dell'altro:
Il genere è un pattem convenzionale, riconoscibile in base ad alcuni criteri formali (sti-
le, costruzione della frase, strutture sintattiche e grammaticali particolari, pattern di
formule ricorrenti) e utilizzato in una società particolare, in contesti sociali che sono·
governati da alcune convenzioni formali (p. 32).

Sembra che, a partire da un testo letterario, sia sufficiente definire la forma


come Koch aveva già fatto dicendo che «Una forma/formula non è altro che un ge-
nere in breve» (p. 6) e se ne deve limitare l'applicazione a un testo preciso.

91
-~---
--~~--

Mi sembra d'altronde indispensabile non separare troppo l'aspetto formale


dallo stesso contenuto, poiché l'uno è inseparabile dall'altro nelle letterature anti-
che. In sintesi, si può dire che un genere letterario si basa su vari elementi formali
che lo distinguono da altri generi dal contesto tematico spesso assai vicino.

1.2.2. «Critica delle forme» e «storia dei generi»

La nebbia terminologica persiste quando ci si accosta alla definizione che pre-


senta il metodo come «critica» oppure come «storia». Si tratta allora di due proce-
dimenti differenti: il termine «critica» evidenzia l'aspetto analitico del procedi-
mento metodologico. Leggendo un testo, si tenta di stabilirne la composizione, gli
elementi formali, prima di entrare nel dettaglio della fase interpretativa. Il termine
«storia» rappresenta l'aspetto sintetico di questo procedimento. Si tratta quindi, a
partire da un dato testo, di paragonare le sue forme e i generi con i loro differenti
utilizzi in seno all'Antico Testamento, al fine di ricostruire la loro evoluzione nel
tempo.
Faccio un esempio: una lettera d'amore (soprattutto la prima dichiarazione!)
scritta su un foglio di carta intestata colpirebbe molto. Il destinatario potrebbe do-
mandarsi se si tratti di uno scherzo, di una spiritosaggine o di una semplice assen-
za di carta semplice ... Continuerebbe a preoccuparsi più della forma che del con-
tenuto («messaggio»): la lettera è stata scritta a mano o al computer? Come è fir-
mata? In seguito cercherebbe probabilmente un indizio nel testo, una spiegazione,
una scusante, prima di andare al cuore del messaggio.
Questo esempio mi sembra provare che, secondo i casi, la forma può essere
più accattivante del contenuto e che questa influenza la comprensione in maniera
non indifferente.

L'obiettivo che si propone la critica (o analisi) delle forme è di identificare in


un'unità testuale una struttura globale, che corrisponda a un genere letterario pre-
ciso. Dopo la prima analisi della forma e dopo aver paragonato la forma con il te-
sto, il lettore può entrare nella fase comparativa. Si conosce· altrove una formula
che riporti un messaggio analogo? Quali sono le differenze tra le varie attestazio-
ni? Vi sono molti punti in comune? Quando si entra in questo processo compara-
tivo, l'aspetto sintetico riceve il testimone. Se c'è un numero sufficiente di attesta-
zioni, si può fare lo schizzo di una storia della forma e del genere paragonando e
classificando gli esempi. Grazie alla datazione relativa dei testi, ottenuta in base al-
la critica delle redazioni (c~ 4), si può così stabilire una cronologia.
-- -~ ---------- ------~--

2. Le forme e i generi dell'Antico Testamento

La presentazione dei generi letterari attestati nell'Antico Testamento può es-


sere fatta in base a due ordini differenti: li si presenta in base al milieu di vita in cui
appaiono originariamente (diritto, culto, corte, famiglia) - tanto vale dire che si se-
gue lo schema istituzionale che Gunkel aveva stabilito - oppure in base al conte-
sto letterario in cui appaiono (prosa, detto e canto secondo Eissfeldt). Ho privile-
giato la seconda organizzazione, poiché la presentazione del contesto sociologico
sarebbe troppo complessa nel quadro di un manuale di esegesi. Thttavia, un gene-
re attribuito a un corpus può essere ugualmente presente in altri contesti: la sua po-
sizione finale in questo manuale dipende allora dal numero di occorrenze.

2.1. l generi principali della narrazione biblica (la Torah, i libri «storici»)

2.1.1. Generi narrativi


La saga, o il racconto narrativo, è un genere tradizionale costituito da una
composizione di episodi attorno a una tematica precisa. La saga non ha come sco-
po prinÌario di informare sullo svolgimento di un avvenimento di ordine storico. Si
interessa piuttosto all'universale umano che in essa si esprime. Crea una continuità
tra il passato e il presente fornendo un'identità alla comunità. La saga può essere
integrata con altri generi come racconti, note, leggende, aneddoti e anche elemen-
ti innici. Spesso differenti saghe sono raggruppate sotto forma di cicli.
Vi sono tre tipi di saga:
- la saga primitiva i-iguarda il principio (creazione e diluvio);
- la saga familiare è la forma classica (cf. Gen 12,10-20 e paralleli) che ri-
guarda gli avvenimenti a proposito della storia del popolo, della tribù, e che com-
prende persino gli itinerari, le genealogie, le grandi fasi della vita umana (nascita,
· matrimonio, procreazione, morte);
-la saga eroica riguarda avvenimenti in relazione alla storia di un popolo e di
personaggi che hanno marcato questa storia. Racconta le loro origini, i loro legami
di famiglia, i loro matrimoni, la loro vocazione, le loro attività, i loro meriti e la lo-
ro morte (Sansone, Gdc 13-16; Davide, Saul, 1Sam 11_.:.2Sam 5).
Gli altri generi narrativi sono: .
-Il resoconto (fr. conte) è una narrazione corta e indipendente che ingloba
due o tre personaggi principali. Le circostanze sono descritte nell'esposizione, che
è seguita dal tema (una tensione, un conflitto) e dalla soluzione (cf. Gen 12,9-13,1).
Ogni racconto sviluppa un intreccio.
93
- La novella è un racconto 'più complesso che comprende vari piccoli tèmi e
tensioni (Giuseppe, Gen 37-47; i libri di Ester e Rut).
- La leggenda funziona senza 'alcun intreccio, né tensione, né finale. Mira in-
vece a presentare il grande valore di una persona o di un'istituzione. Ingloba spes-
so delle eziologie: un hieros logos che spiega l'origine di un luogo santo, di un cul-
to, di un popolo, di un nome, ecc. (cf. Gen 28,10-22). Ha per scopo l'istruzione e l'e-
dificazione.
-Il racconto storico (storiografia) si basa su materiali d'archivio e su censi-
menti con i quali si tenta di creare un documento dal valore oggettivo per l'ammi-
nistrazione. Mentre il racconto isolato è vicino al genere della saga eroica, il rac-
conto storico si svolge in un contesto più largo, forma un insieme narrativo che ri-
guarda un tema di interesse nazionale come la storia dell'ascensione di Davide
(1Sam 16-2Sam 5) o della sua successione al trono (2Sam 9-1Re 2).
- La nota/aneddoto è una piccola informazione che figura ad esempio negli
annali 9 nei racconti storici. L'aneddoto si concentra su una persona (cf. Gen 35,8;
1Sam 21,11-16).
-La fiaba tratta di un mondo fantastico e descrive una situazione statica alfi-
ne di stabilire una morale (Nm 22,22-35).
-L'eziologia mira a offrire una spiegazione dell'origine di un'istituzione, di
un nome, di un costume.
-Il mito tratta anch'esso di un mondo fantastico ma avendo come protagoni-
sti unicamente personaggi divini (cf. Gen 6,1-4).

2.1.2. Forme e generi giuridici


Il linguaggio giuridico comprende delle forme letterarie specifiche (cf. la lista
· di Rendtorff 1990, 152-162):
- Il discorso di accusa (1Re 3,16-28; cf. Is 5,1-7) chiama l'assemblea giuridica
ad arbitrare un conflitto o a decidere in caso di litigio.
. -Il plaidoyer fa seguito al discorso di accusa al fine di difendere l'accusato
(1Re 3,22).
-La confessione dell'accusato si esprime spesso con una sola parola: ad esem-
pio ~IJNC,OQ «ho peccato» (1Sam 26,21; 2Sam 12,13; 19,21). . .
-Il verdetto è costituito spesso da una breve formula: per l'assoluziOne SI usa
i1Q~ p~1~ «tu sei innocente» (Pr 24,24); <<quest'uomo non è punibile con la morte»
(Ger 26,16); «non c'è peccato di sangue che ricada su di lui» (Es 22,1), ecc.; per la
condanna «è un assassino» (Nm 35,16-18.21) o «ha versato sangue» (Lv 17,4b; Gen
9,6).

94 l
l
-------------------~---

I testi legislativi sono organizzati secondo due modelli differenti:


- La sentenza di diritto casistica è introdotta da ,;J e seguita da o~ «quando,
nel caso in cui... se ... » e presenta un caso preciso; cf. Es 22,6: «Quando un uomo
darà del denaro o degli oggetti in custodia al suo prossimo e nella casa di questi
viene commesso un furto, se si ritrova il ladro restituirà il doppio». Questa legge fi-
nisce spesso con la conseguenza giuridica che si divide in due casi sussidiari, caso
1: «Se si ritrova il ladro, restituirà il doppio» e caso 2: «Se il ladro non viene ritro-
vato, il proprietario della casa si avvicinerà a Dio perché si sappia che egli non ha
messo mano sui beni altrui». Questo modello implica dei domini giuridici che rien-
trano nelle competenze della giurisdizione laica locale: diritto degli schiavi, diritto
del sangue, repressione delle ferite corporali, danni al bestiame e al campo, resti-
tuzione di beni e diritto matrimoniale (Alt). Vi sono dei paralleli nel diritto giuri-
dico del vicino oriente antico (cf. il codice di Hammurabi).
-La sentenza di diritto apodittico è differente, poiché non conosce alcun qua-
dro condizionale (cf. Gerstenberger 1965, 51ss ). In effetti è di carattere proibitivo,
all'interno della famiglia o del clan, è formulata come un'interdizione senza che
siano menzionate delle conseguenze giuridiche (cf. il decalogo Es 20 e Dt 5; Es
22,20-21; 23,9; ecc.). In altri casi, sono presentate delle prescrizioni pronunciate da
YHWH, dal re, dal patriarca o da un'altra autorità (Gen 4,15: «Se qualcuno uccide
Caino, questi sarà vendicato sette volte»; cf. Gen 26,11; 31,32; ecc.).
Le due forme di linguaggio giuridico possono essere accostate (cf. il codice
dell'Alleanza, Es 20,22-23,19; Lv 24,15-19; Nm 9,10-14).

2.2. l generi principali della poesia biblica

95
2.2.1. Poesia cultuale

In questa categoria si deve classificare soprattutto il libro dei Salmi e alcune


altre preghiere trasmesse dall'Antico Testamento (Gen 32,10-13; Es 15,1-18.21; Gs
7,7-9; Is 38,10-20; Gn 2).
Si distinguono, dopo Gunkel, tre grandi categorie: i lamenti, i canti d'azione di
grazie (Westermann: «i salmi di lode narrativa») e gli inni (Westermann: «i salmi di
lode descrittiva»).

2.2.1.1. Lamenti o suppliche


I lamenti costituiscono il genere letterario più frequente nei Salmi. Questi so-
no ripartiti in due sottocategorie: i lamenti individuali (Sal 3-7; 11-12; 13; 17; 22;
26-28;31;35;38-39;42-43; 51;54-57;59; 61; 63-70; 71; 86; 88; 102; 109; 120; 130;
140-143 secondo Gunkel- Begrich, 172) e i lamenti collettivi, distinguendo quelli
destinati a un individuo da quelli destinati a un gruppo (ad es. Sal44; 74; 79; 80; 83;
Lam 5; ibid. 117). Lo schema del lamento individuale è il seguente:
-Invocazione (proclamazione di YHWH seguita da un lamento iniziale).
- Descrizione dello sconforto; riassunto iniziale della preghiera.
- Confessione del peccato o asserzione di innocenza.
-Affermazione di fiducia. '
- Lamento con struttura tripartita: il comportamento dei nemici (loro); lo sta-
to di disperazione di colui che si lamenta (io); il comportamento di YHWH e la sua
responsabilità (tu).
- Richiesta.
-Imprecazione contro i nemici; spesso sotto forma di un duplice augurio ri-
guardo al destino dei nemici e a quello dell'or ante.
-Cambiamento di situazione (Stimmungsumschwung) a seguito di un inter-
vento divino o alla certezza dell'esaudimento.
-Promessa di lode, seguita da un canto d'azione di grazie (cf. infra).
Non è indispensabile che tutti gli elementi siano presenti nello stesso salmo.
Tra i vari elementi, la confessione del peccato e l'imprecazione contro i nemici pos-
sono essere assenti (cf. Sal22), a volte il cambiamento di situazione può essere sot-
tinteso (Sal13), altre volte viene detto esplicitamente (Sal 6,9s e ~~Q~.!? in Sal 22,22;
cf. Janowski, 376ss). Ma il piano della composizione è in generale assai netto: la de-
scrizione dello sconforto seguita da una descrizione che apre alla fiducia, una ri-
chiesta e, alla fine, una promessa di lode la quale attesta che l'orante è stato esau-
dito e salvato. La situazione di sconforto può avere delle ragioni molto differenti,
non sempre coerenti. Nella medesima preghiera; l'orante è allo stesso tempo de-
scritto come un perseguitato dai nemici (Sal41,6), un malato (Sal41,5) o qualcuno
che ha ricevuto la punizione per i suoi peccati (Sal 41,5). Le descrizioni dello
sconforto non danno sempre l'impressione di avere di fronte una situazione ben
precisa. Esse sottolineano piuttosto lo stato di disperazione generale in cui si trova
l'orante e da cui Dio lo deve liberare. Inaspettata è la fine di queste preghiere: qua-
si tutte terminano -il Sal88 è una rara eccezione - con una promessa di lode a cui
fa seguito un cambiamento profondo della situazione, che può essere introdotto in
maniera discreta o si può produrre bruscamente. Alcuni lamenti si concludono an-
che con un canto g'azione di grazie il quale sottolinea che l'orante non è rimasto
nella disperazione.

96
I lamenti collettivi riguardano un gran disastro che tocca tutto il popolo e ri-
chiede che tutta la comunità si rivolga al santuario; cf. Sal 44; 74; 79-80; 83; 89 (in
parte) e Lam 5. Questi comprendono anche una sottocategoria: le lamentazioni. Si
tratta di un genere ben attestato dopo l'epoca sumerica, che si occupa di una cata-
strofe politica di grandi dimensioni come la distruzione di una città con tutte le sue
conseguenze (cf. la Lamentazione sulla distrUzione di Ur). Questo genere è impie-
gato nel libro delle «Lamentazioni di Geremia», una raccolta di cinque lamenta-
zioni che si riferiscono alla distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. e all'esilio. È
strutturato come una i1tj~, «Un canto funebre», introdotto da ,ii1 «hoy», ed è orga-
nizzato secondo un metro di cinque sillabe per riga.

2.2.1.2. Lode o canto d'azione di grazie o inno narrativo


Già nel contesto del lamento figurano alcune lodi, alla fine del salmo, sotto
forma di promessa. Il movimento del lamento è diretto verso la lode. Ma- il genere
esiste anche in maniera indipendente. La sua struttura è, secondo la ripartizione di
Gunkel e Begrich, la seguente:
- Invito alla lode.
- Ricordo dello sconforto del passato.
- Lode di YHWH, riconoscimento delle sue azioni salvifiche.
-Formula con cui si offre un sacrificio di tbdah (ì1lin).
- Formula di benedizione.
- Esortazione.
Tipico in questo genere è il legame della lode con un'offerta (cf. Sal30; 32; 41;
66B; 118; 138; Is 38,10-20; Gn 2,3-10; Sir 51,1-12), seguita da un pasto sacro (Sal
22,27). Il genere esiste anche sotto forma collettiva (cf. Sal 66; 67; 124; 129), con una
struttura bipartita: un grido di lode seguito da un breve racconto delle gesta di Dio
(cf. Dt 32,43s; 1Re 8,15.56; 2Mac 15,34; Is 42,10-13; 44,23; 49,13; 52,9). Questa for-
ma collettiva compare a volte nel contesto di una vittoria militare (Es 15,1-19.21;
Gdc 5,1; 1Sam 18,7; Sal 68).

2.2.1.3. Inni o inni descrittivi


Poiché essi hanno prestato il nome al Salterio (0,~1:1-\"1) rappresentano lepre-
ghiere più collegate alla sfera cultuale, poiché si riferiscono direttamente a Dio e
alle sue gesta meravigliose. Essi conoscono due mezzi stilistici tipici: il primo è lo
stile participiale che utilizza dei verbi al participio come qualifiCativi divini (Sal
65,7; 68,7.36; 103,3-6; 104,2-5.10-14; 136,14-17 e nei profeti Am 4,13; 5,8; 9,5-6 come
nel Deutero-Isaia); il secondo è l'utilizzo degli imperativi, frequenti negli inviti al-
la lode con lo scopo di incitare i partecipanti al culto alla lode di YHWH (cf. Es
1~,1.21; Sal22,24-25; 118,1-4.29). Questi imperativi sono spesso seguiti da alcune di-
chiarazioni introdotte da,~ «poiché», tradotto anche «SÌ», in relazione a YHWH e
alle sue gesta in favore di Israele. La struttura dell'inno è la seguente:
- Invocazione di YHWH (Sal 8,2).
- Invito al culto (Sal 22,24-25).
-Lode di YHWH per le sue azioni salvifiche e creatrici (Sal8,3-9).
-Benedizione o dichiarazione di fiducia (cf. Sal33,20-22).
Mentre la maggior parte degli inni sono destinati a essere cantati dall'assem-
blea cultuale, alcuni fanno eccezione, soprattutto quelli dal carattere piuttosto in-
dividuaJe e che si esprimono alla prima persona singolare (Sal8; 104; Es 15,1-18).

97
2:2.1.4. Generi secondari·
Lo stile innico conosce alcuni generi associati, come i canti di Sion (cf. Sal 46;
48; 76; 84; 87; 122; 137) che celebrano la città di Dio assieme a colui che la proteg-
ge. A questi si aggiungono i salmi destinati a YHWH-re (cf. Sal 47; 93; 96-99) che
celebrano la regalità di YHWH con la formula stereotipa: 1~Y i1Ji1,, «YHWH è di-
venuto re». Si aggiungono ugualmente i salmi regali, o salmi del Regno (cf. Sal 2;
18; 20; 21; 45; 46; 48; 76; 84; 87; 89; 110; 122; 132; 144; 147). Si tratta sia di parole pro-
nunciate dal re umano, sia delle parole indirizzate a YHWH in favore di questo re.
Si basano su generi distinti (lamento, canto d'azione di grazie, intercessione) e so-
no destinati a molteplici occasioni. Un'altra forma occasionale è quella della litur-
gia d'ingresso (cf. Sal15; 24,3-6; 118,19-20), che comporta due elementi essenziali:
la richiesta di accesso al santuario seguita dalla risposta del sacerdote che ricorda
le condizioni d'ingresso. Un ultimo gruppo è formato dai salmi sapienziali, i quali
trattano di aspetti molto differenti come la lode della Torah (cf. Sal1; 19B; 119) o
il rapporto tra il giusto e il malvagio (cf. Sal1; 37; 49; 73), temi ricorrenti nella let-
teratura sapienziale. Una caratteristica di questi salmi è la loro forma alfabetica,
detta acrostica (cf. Sal 9-10; 25; 34; 37; 111-112; 119; 145; Lam 1-4; Pr 31,10-31; Gb
9), che introduce ogni versetto con una lettera dell'alfabeto per aiutare la memo-
rizzazione del testo. Questo elemento fornisce una prova che almeno una parte
della poesia detta «cultuale» non era destinata esdusivamente al culto, ma anche
all'educazione e alla meditazione.

2.2.1.5. Forme poetiche


La poesia ebraica non era caratterizzata da uno schema fisso quanto alla ri-
ma. A volte, i salmi sono organizzati sotto forma di strofe (cf. i salmi alfabetici), a
volte sono· divisi in strofe mediante ritornelli che strutturano il testo sia in manie-
ra alternata (cf. Sal 59; 71; 107) sia concentrica (cf. Sal 46; 57; 67; 116). Si possono
anche trovare delle indusioni all'inizio e alla fine del salmo (cf. Sal104,1.35: «Be-
nedici il Signore, anima mia»). In effetti, la forma stilistica primaria della poesia
ebraica è, secondo Bernd Janowski, la «stereometria» (pp. 27-31) sotto forma di pa-
rallelismo dei membri (pardllelismus membro rum). Può comprendere due o anche
tre componenti e può riferirsi nello stesso tempo alla semantica e alla sintassi. Si
possono qistinguere tre forme di base:
- Il parallelismo sinonimico: nel medesimo versetto la prima proposizione è
raddoppiata o triplicata mediante una formulazione equivalente (cf. Sal 6,2:
«YHWH, castigami sènza collera, correggimi senza furore»). In questo caso, il pa-
rallelismo si mostra nell'equivalenza delle funzioni grammaticali e semantiche. Il
gioco dei sinonimi ha un carattere enfatico e affermativo.
-Il parallelismo antitetico: il versetto è composto da due - o tre - proposizio-
ni opposte (cf. Sal 1,6: «Poiché YHWH conosce il cammino dei giusti, ma il cam-
mino dei malvagi si perde»). L'opposizione è anzitutto presentata sul piano sintat-
tico grazie a un'inversione dell'ordine delle parole, o chiasmo; in seguito, sul piano
semantico, dal cambiamento dei protagonisti, Sal 1,6 giusto-malvagio. Il paralleli-
smo riposa sulla presenza negli stichi di un tema principale, Sal 1,6 il cammino.
L'opposizione tra il giusto e il malvagio è una figura retorica ricorrente nella poe-
sia ebraica (cf.Pr; Sal; Gb).
-Alcuni esegeti aggiungono una terza categoria, il parallelismo sintetico. La
sua costruzione è simile ma senza alcun rapporto di equivalenza o di opposizione,

98
poiché il suo scopo è la progressione sul piano sintagmatico (cf. Berlin, 90 e n. 43),
come in Pr 17,2: «Un servitore accorto soppianterà un figlio che fa onta e avrà par-
te all'eredità come i fratellì».

2.2.2. Poesia profana e sapienziale.

La letteratura sapienziale conosce generi molto differenti, tra i quali un gran


numero si ritrova in libri biblici non sapienziali.
-Il~~~' «proverbio», «massima», è la forma di base. Consiste in un enuncia-
to breve con due o tre stichi, di origine popolare, caratterizzato da giochi di tipo lin-
guistico (assonanza, allitterazione, ecc.) e da giochi di parole. Si presenta sotto tre
forme: affermativa (cf. Pr 10,1: «Un figlio saggio fa la gioia di suo padre, ma un fi-
glio stolto è un'afflizione per sua madre»), esortativa (cf. Pr 4,1: «Ascoltate, figli, l'i-
struzione di un padre, siate attenti per conoscere l'intelligenza») o interrogativa (cf.
Pr 6,27-28: «Un uomo porterà del fuoco nella sua tasca senza che i suoi vestiti si in-
fiammino? Un uomo camminerà su delle braci senza bruciarsi i piedi?»). Come nei
salmi, gli stichi di un proverbio possono assumere tre tipi di parallelismo: antiteti-
co (cf. Pr 10,1), sinonimico (cf. Pr 4,1) o sintetico quando il secondo stico riprende
e completa il primo (cf. Pr 17,2). Questi proverbi sono organizzati sotto forma di
piccole raccolte di proverbi che sono state assemblate in quanto cominciano con la
stessa lettera (cf. Pr 11,9-12; 20,7-9; 22,2-4), con la medesima parola (cf. Pr 15,3-
4.16-17) o perché fanno riferimento alla stessa parola chiave (cf. Pr 26,1-12.13-16).
- Il testo di istruzione è un genere didattico di origine orientale (cf. L'inse-
gnamento di Amenop e, di origine egizia, citato da Léveque ). Le caratteristiche for-
mali del discorso del padre-insegnante sono l'esordio, la lezione e la conclusione
(cf. Buehlmann, 520). Questo tipo di discorso si ritrova in Pr 1-9; 22,17-24,22 e nel
Sitacide, e segue un piano molto fisso: comincia con un invito all'ascolto rivolto al
discepolo, come a ricordarsi del valore dell'insegnamento (cf. Pr 1,8-9). Il corpo del
testo si presenta sotto forma di una serie di consigli, di proibizioni e di esortazioni.
Termina con una conclusione generalizzante (cf. Pr 1,31-33).
-Le liste, di carattere enciclopedico, rappresentano il genere scientifico del-
l'epoca. Queste sono state trasmesse sia sotto forma di liste di carattere genealogi-
co (antenati; sacerdoti; cantori) ritrovate nella letteratura narrativa (cf. Gen; 1-
2Cr), sia in liste scientifiche (cf. Gb 28; 36,27-37,13; 38,4-39,30; Sir 42,15~3,33; Sal
104; 148) di cui si trovano alcuni frammenti nella letteratura sapienziale.
-La fiaba fa entrare in scena animali o piante (cf. Gn 2,1.11; 4,6-10; Gdc 9,7-
20).
- La parabola è impiegata soprattutto nel contesto profetico (cf. la parabola
di Natan in 2Sam 12,1-7; il canto della vigna in Is 5,1-7; la parabola del vasaio in
Ger 18; introdotte dalla parola ~~'i in N m 23,7.18; 24,3.15.23). Alle volte comincia-
no con un enigma (cf. Ez 17,2).
-L'allegoria è una serie di metafore che richiedono ognuna un'interpretazio-
ne (Qo 11,9-12,9; Ez 15-17).
-Si aggiungano ancora tutti i vari canti: canti durante il lavoro (cf. Gdc 9,27;
21,21; Is 16,10) o la sentinella (cf. Is 21,11-12); canzoni che invitano a bere (cf. Is
2,1-10; 22,13); canti d'amore (cf. Ct; Sal96); satire (cf. Is 23,15-16; Nm 21,28; Gdc
5,15-17.28-30; Is 37,22-29; 44,12-20) e canti di vittoria (cf. Gdc 5; Es 15; 1Sam 18,7;
Gdc 16,23-24).

99
2.3. l generi principali della letteratura profetica

J.-M. DURAND, Dacuments épistalaires du palais de Mari (LAPO 16-18), Cerf, Paris
1997-2000, tt. I-III.
C. LANOIR, «Des récits de vocation comparés», in Fai et Vie 83(1984), 9-15 (= Cahier bi-
blique 23).
J.-D. MACCHI, «Exode et vocation {Ex 3,1-12)», in ÉTR 71(1996), 67-74.
M. NISSINEN, Praphets and Praphecy in the Ancient Near East (Writings from the An-
cient World 12), SBL, Atlanta, GA 2003.
M.L. RAMLOT, «Prophétisme», in Dictiannaire de la Bible Supp. 8(1972), 943-969.
M.A. SWEENEY, Isaiah 1-39 with an Intraduction ta Praphetic Literature (FOTL 16),
Eerdmans, Grand Rapids, MI 1996,10-30.
F. SMYTH-FLORENTIN et al., «La formule d'appartenance mutuelle. Essai de description
formelle et perspective d'exploitation», in Fai & Vie 74(1975), 74-82 (= Cahier bi-
blique 14).
ID. et al., «Le rfb,procédure d'alliance», in Fai & Vie 74(1975), 66-73 (= Cahier biblique 14).
J. VERMEYLEN, «Les genres littéraires prophétiques», in T. R6MER et al., Intraductian à
l'Ancien Testament, Labor & Fides, Genève 2004,312-317:

Ciò che distingue principalmente la letteratura profetica dalle altre parti del-
l'Antico Testamento è l'attribuzione a un personaggio storico. Anche se questo per-
sonaggio non è considerato come autore del libro, l 'indirizzo ( «soprascritta») di
ogni libro profetico offre al lettore un primo indizio per situare il messaggio nel suo
primo contesto storico. Questa titolatura non presenta solamente il personaggio
profetico e la sua provenienza, ma restituisce il profeta alla sua epoca storica pre-
cisa e a un contesto molto definito.

2.3.1. Il libro profetico


Ogni libro profetico è la collezione di parole-discorsi .di un profeta individua-
le, collezione arrangiata in seguito dai suoi discepoli,. e che segue un piano molto
preciso:
-Indirizzo (soprascritta): il libro è introdotto da una soprascritta che evoca
non soltanto l'origine e l'epoca del profeta, ma anche la maniera («parola», «visio-
ne», ecc.) in cui ha ricevuto il messaggio divino (cf. Is 1,1; Ger 1,1; Ez 1,1-2; ecc. e
Am 1,1: «Parole di Amos, uno dei pastori di Tecoa; ciò che ha visto per Israele, ai
giorni di Ozia, re di Giuda, e ai giorni di Geroboamo, figlio di Ioas, re di Israele, due
anni prima del terremoto»).
- Corpo del testo: i quattro (Is, Ger, Ez, «Libro dei Dodici») o i quindici (Is;
Ger, Ez; Os; Gl; Am; ecc.) libri contenuti nella Bibbia ebraica come corpus profe-
tico delle Scritture sono quasi tutti costruiti con un medesimo progetto: a) giudizio
contro Israele e Giuda (cf. Is 1-12); b) giudizio contro le nazioni-i popoli pagani
(cf. Is 13-27); c) promessa di salvezza per Giuda-Israele e per le nazioni (cf. Is
40-66). .
-Supplementi: comprendono passi liturgici destinati al culto, come ad esem-
pio i salmi di Is 12; 33 e Ab 3; le dossologie di Amos; gli inni in Is 40ss e tutto il li-
bro di Gioele; il poema acrostico di N aum.

2.3.2. I racconti profetici

Si tratta di testi scritti in prosa; tra i quali distinguiamo:


- I racconti di visione costruiti nella maniera seguente: a) annuncio della vi-
sione; b) il racconto introdotto da i1~01 «ed ecco»; c) la visione stessa, basata su del-
le esperienze «evenemenziali», auditive o visive (cf. Is 6; Am 7-9).
~ Le parole profetiche introdotte da i1Ji1; i~ l «parola di YHWH» trasmessa al
popolo o al re dal profeta (cf. Is 8,1.5).
- I gesti simbolici che accompagnano il discorso del profeta (cf. Is 7 ,3; 8,1-4;
Ger 13; 19; Ez 4-5).
-Racconti profetici in terza persona che riguardano il profeta (cf. Am 8,10ss;
Is 36-39; Gn).
- I racconti di vocazione spesso con un carattere autobiografico (cf. Is 6; Ger
l; Ez 1-2; Es 3; 6; Gdc 6). Sono costruiti secondo lo schema seguente {cf. Lanoir;
Macchi):
incontro con Dio;
parola di introduzione;
InVIO 1ll miSSIOne;
obiezione all'invio;
promessa di assistenza divina;
segno a conferma della missione.

2.3.3. Il discorso profetico


La forma più frequente è quella dell'oracolo, che appartiene alla letteratura
poetica. Si tratta di una parola di origine divina che contiene un messaggio desti-
nato al re e al popolo, genere molto attestato nel vicino oriente antico (Mari, Assi-
. ria).
Tre formule caratterizzano gli oracoli:
-La formula del messaggero i14i1~, i~~ i1!zl («così dice YHWH») è l'introdu-
zione più frequente. Identifica YHWH come l'autore del messaggio e colui che lo
enuncia come inviato di Dio («va' e riferisci. .. »).
-Un'altra formula frequente è i14i1~, o~~ («oracolo di YHWH»), che può in-
trodurre o concludere un oracolo.
-Più rara la formula ~~~ «parola profetica» (cf. 2Re 9,25; Is 13,1; Ger 23,33),
che si incontra nel contesto di oracoli di sventura.

2.3.3.1. Due tipi di oracoli


a) L'oracolo di salvezza, probabilmente la versione originale, mira ad assicu-
rare la durata perenne di una dinastia instaurata (cf. 2Sam 7,1-17) e a guidare il re

l nella sua politica perché prenda delle decisioni in accordo con la volontà di Dio (cf.
Is 7). Sebbene la profezia preesilica ne conosca solamente poche attestazioni, l'o-
racolo di salvezza è il genere più diffuso tra i profeti esilici e postesilici. In Is 41,8-
13.14-16; 43,1-4.5-7; 44,1-5 si trova una delle forme più elaborate dell'oracolo di sal-

101
---------- --
-------~

--
vezza, che si indirizza a Israele e gli annuncia la sua restaurazione dopo l'esilio. Lo
schema di base è il s'eguente:
- introduzione; -
-annuncio di salvezza introdotto dalla formula ~,,r~-S~ «non temere»·
T • - '

-motivazione: proposizione nominale «<o (sono) con te l il tuo Dio»; propo-.


sizione verbale «Io ti aiuto ... »;
- conseguenza dell'intervento divino;
- definizione esplicita dello scopo: l'onore di Dio.
L'annuncio o la proclamazione della salvezza mira all'avvenire e non alla_ si-
tuazione presente del gruppo, e ciò in base allo schema seguente:
- ricordo della situazione di angoscia;
-annuncio di salvezza: tramite un dono di Dio e tramite l'intervento divino;
spesso introdotto da p~ «per questo» seguito da una proposizione negativa (-+: yi-
qtol) o da una proposizione positiva (,~~01 +participio) (cf. Is 7,14; 10,24);
- la dichiarazione dello scopo ricercato da YHWH.

b) L'oracolo di sventura, o parola di giudizio, è composto da due parti essen-


ziali:
-un'introduzione seguita dall'esposizione dei rimproveri alla seconda perso-
na, la requisitoria sotto forma interrogativa (cf. 2Sam 2,29-30) o affermativa (cf.
2Sam 12,9b );
-l'annuncio del castigo, la cm~danna, il verdetto: spesso introdotto da p~ «per
questo» (cf. Is 8,5-S;Am 7,16-17).
La parola di giudizio può assumere due forme:
-l'oracolo di minaccia che si divide in fondamento/accusa e predizione;
-l'oracolo di esortazione o reprimenda.

2.3.3.2. Altre forme del discorso profetico


-Il discorso di procedura giudiziaria (:l~!; cf. Smyth-Florentin) vuole mostrare
l'innocenza dellocutore e la colpevolezza del destinatario. Comprende tre parti:
una controversia che offre una descrizione della colpa;
l'accusa della parte avversa;
l'annuncio delle sanzioni o l'offerta della possibilità di un arrangiamento (Is
1,2-20; Os 2,4-15;-Mi 6,1-6; Is 41; 43; 44).
Questo schema di litigio si trova non-soltanto nella letteratura profetica, ma
anche nella liturgia penitenziale (cf. Sal 50-51).
-Il canto funebre (iltP) è spesso introdotto da ,ii! «hoy», «sventura». Si evo-
ca la caduta di Israele anticipandone i funerali. La sentenza di ·morte del destina-
tario viene eseguita quasi immediatamente dopo la semplice enunciazione del can-
to funebre (cf. Am 5-6) che diviene un atto performativo. L'istruzione profetica o
la Torah profetica è caratterizzata dall'invito all'ascolto, che introduce la requisito-
da (cf. Is 1,10-17: «Ascoltate la parola del Signore, grandi di Sodoma, prestate orec-
chio all'istruzione del nostro Dio, popolo di Gomorra ... »).

2.4. Riflessione metodologica

Il problema di tutte queste classificazioni è che la Bibbia stessa definisce ben


pochi generi letterari. Ad esempio, il?;JI;J «preghiera, richiesta», il?DI;J «lode»,
l

102
J
---------- --~---------- ---

::1~1 «procedura giudiziaria», nn~ «ca~to funebre» e I;J~y «detto» sono alcune. delle
rare indicazioni terminologiche di provenienza biblica: Le altre denominazioni so-
no sta~e impr?ntate i~ base alle scienze letterarie moderne per rendere più facili gli
scambi tra gh esegeti. In senso contrario, la terminologia non è assunta come una
convenzione e può variare da una scuola esegetica all'altra. Lo studente è per que-
sto spesso messo a confronto con delle terminologie differenti per designare il me-
desimo fenomeno letterario. Un altro problema è che molti testi biblici apparten-
gono a generi letterari misti. Si è visto ad esempio che la maggior parte dei salmi
comprende delle forme molto differenti attribuite al lamento e alla lode. Allo stes-
so modo, delle azioni di grazie possono avere elementi del lamento. Anche se la
forma ideale di un genere non è attestata che raramente, le categorie tratteggiate
sono indispensabili per la precisione delle forme e dei generi.

3. Regole per la delimitazione delle forme e dei generi


in un testo biblico

3.1. Qualche preliminare

1) L'esegeta si orienta verso la struttura filologica del testo. Cerca delle for-
mule fisse, dei formulari precostituiti che appaiono nel testo studiato, come nei te-
sti vicini, in maniera ricorrente.
2) Spesso queste formule appartengono a un contesto preciso: quadro giuri-
dico o cultuale; linguaggio familiare o letterario; ambiente di corte o familiare. Di
conseguenza, l'esegeta tenta di delimitare l'ambiente di origine a cui appartiene
una forma o una formula.
3) Le forme e le formule costituiscono un genere a parte in_ funzione del con-
testo. Esse appartengono sia alla tipologia narrativa sia a quella poetica. L'esegeta
deve circoscrivere un genere letterario preciso. Posto che ogni cultura abbia svilup-
pato delle forme proprie; bisogna distinguere dei generi tipici che figurano nel cor-
pus letterario a carattere narrativo, poetico, profetico ·e sapienziale. Allo stesso mo-
do, ci sono forme letterarie di tipo giuridico, legislativo o cultuale che sono elabo-
rate nei differenti corpus letterari in una maniera che può risultare indipendente.
4) A volte un genere letterario è privato del suo contesto originale. Un esem-
pio: quando la letteratura profetica utili:(':za la forma della nn~ .Ccanto funebre), in-
troducendo un oracolo mediante un ~;n «hoy», questa gli attribuisce un carattere
anticipatorio. Per conferire una forza maggiore a un oracolo di giudizio, la forma
sottolinea che il giudizio è immediato e ineluttabile senza che il contesto primitivo
e sociale («il funerale») sia presente. Il genere letterario originale è divenuto in
questo contesto letterario una figura retorica.

103
3.2. Modalità di impiego

1) L'esegeta descrive la forma e le strutture veicolate dal testo in uno studio


che prolunga l'analisi sincronica del testo. .

2) Egli definisce la situazione di comunicazione che si riscontra nel testo esa-


minato (autore/locutore, destinatario, situazione).

3) Egli tenta di reperire se vi siano dei testi paralleli nell'Antico Testamento:


-In che contesto/i di comunicazione sono utilizzate le stesse formule, le for-
mulazioni stereotipe, gli stessi generi? Qual è stato il Sitz im Le ben?. A questo pun-
to si definisce la funzione del genere letterario e il suo obiettivo a seconda del con-
testo letterario.
-Possiamo ricostruire una storia del genere? Quali sono state le modifiche e
le evoluzioni di un genere letterario nel corso del tempo? Vi sono più o meno ele-
menti tipici?

4) L'esame dei paralleli si conduce su due livelli:


-Anzitutto, sul piano tematico, si constata che spesso nella Bibbia si trovano
dei racconti paralleli. Si tratta sia di paralleli che rappresentano dei veri e propri
doppioni (cf. 1Re 18-20 e Is 36-38; 2Re 24",18-25,30 e Ger 52; Sal18 e 2Sam 22; le
due versioni del Decalogo Es 20,2-17 e Dt 5,6-21), sia di semplici rìprese tematiche
integrate in un contesto letterario più ampio (cf. Gen 12,1-10 con 20 e 26,1-13), co-
me di riprese che si seguono sotto forma di azioni ripetitive in uno stesso racconto
(cf. Nm 22-24). In questo tipo di occorrenze; bisogna esaminare non soltanto i pa-
ralleli ma anche le differenze inerenti al testo.
- Dopo di ciò, sul piano formale bisogna studiare questi paralleli per sapere
se si trova, assieme all'analogia tematica, anche un'analogia stilistica, detta «gene-
re» del testo, che si basa sulle medesime formule. Queste formule possono:
non essere modificabili: ad esempio la formula del messaggero ilp~, 1~~ il:;
«così dice YHWH» o la formula profetica N'TD-~~ «non temere»;
ammettere delle sostituzioni di uno dei vari elementi: ad esempio la for-
mula di introduzione narrativa ~rr~,l «ci fu» o «e avvenne» può essere rimpiazzata da
m?f ~rr~,l «ci fu in quel tempo» o N!JiliJ o;~~ ~rr~,l «e avvenne in quel giorno». La for-
mula di presentazione di YHWH il~il~, ~~~ «io sono YHWH» (cf. Es 6,2; ecc.) assu-
me, a seconda del contesto letterario, forme differenti. La formula di risposta e di.
reazione viva jìJ «ecco» o ~nrr «eccomi», così come la formula di mutua apparte-
nenza «io sono il loro Dio; Israele è il mio popolo» nel contestò dell'alleanza (cf.
Smyth-Florentin), conosce anch'essa delle varianti;
avere delle formulazioni stereotipe, costruite su una frase che è ripetuta co-
me una sorta di ritornello in un insieme testuale (corpus) o attraverso dei libri dif-
ferenti (cf. il linguaggio deuteronomista);
formare un genere, struttura che raggruppa delle forme simili, che non si
possono precisare se non nel paragone con altri testi che utilizzano le stesse for-
mule e che si riferiscono al medesimo contesto culturale o ambiente di vita (Sitz im
Leben).

104
Nel corso di un'esegesi si pongano le seguenti domande:
a) Come determinare un genere letterario?
-Studio sincronico del testo: quali forme e strutture possiamo reperire?
- Sul piano diacronico: esistono dei testi paragonabili?
- Definizione del genere: vi sono degli altri esempi tra i testi biblici?

b) Come determinare il Sitz im Le ben sul piano orale del testo?


-In che contesto una formula o un genere è stato utilizzato in origine?
-Riflessioni concernenti l'autore, il destinatario e la situazione del messaggio
trasmesso.

B. ANALISI E STORIA DELLE TRADIZIONI

1. Introduzione

Questa tappa metodologica prolunga lo studio delle strutture formali della let-
teratura biblica con quello del contenuto, del messaggio biblico nel suo senso pro-
prio. L'analisi (o «critica») delle tradizioni vuole studiare i differenti motivi e temi
presenti nella Bibbia al fine di organizzarli sistematicamente. È attraverso questa
tappa che l'esegeta si avvicina maggiormente al messaggio teologico della Bibbia,
poiché la sua attenzione si porta sugli stessi concetti. Mentre la critica delle tradi-
zioni mira alla descrizione dei motivi e dei temi che appaiono in un testo parago-
nandoli con altri testi biblici e non biblici (ad es. orientali), la storia delle tradizioni
vuole sistemare le differenti tradizioni in maniera cronologica e concettuale rin-
tracciando la storia delle correnti e delle scuole teologiche che l'analisi fa apparire.
Mettere in prospettiva delle tradizioni che appaiono nella Bibbia suppone la
comprensione profonda di una cultura antica che funzionava secondo dei parame-.
tri diversi dai nostri. Questo compito non è sempre facile e lo studente ha bisogno
diun'iniziazione a una tale cultura. Per comprendere questa difficoltà, proponiamo
un esempio che si basa sulla cultura francese. Nella raccolta di canti Trésors de la
chanson populaire française (1994) G. Massignon commenta «Le temps des ceri-
ses». Questa canzone, afferma l'autrice, «evoca in ognuno di noi il tempo della Co-
mune, tempo di lotta e di speranza, tempo di sangue e di miseria. Tuttavia fu anzi-
tutto una canzone ·d'amore, scritta da Jean-Baptiste Clément a Montmartre nel
1866, e sembrava non ci fosse niente che potesse destinarla a diventare un simbo-
lo delle barricate del1871». Massignon racconta come una serie di fatti dal carat-
tere aneddotico abbia provocato uno slittamento tale da rendere questa canzone
d'amore un inno della Comune. Così, anche se la canzone non smette di trattare
del carattere effimero dell'amore e dei dolori che esso genera, la sua metafora il-
lustra più la passione politica che l'amore umano. Per capire .perché si qualifichi
questa canzone come un canto della Comune, il lettore e l'ascoltatore hanno biso-

105
gno di conoscenze' storiche strettamente connesse con la storia politica e culturale
francese. Succede lo stesso per la lettura della Bibbia. Quando si è letta e si è ana-
lizzato il testo, non è detto che si sia compreso ciò di cui tratta veramente. L'anali-
si e la storia delle tradizioni tentano di mettere in evidenza il contesto culturale ne-
cessario per comprendere il messaggio veicolato dal testo biblico. Spesso nella Bib-
bia possiamo trovare degli slittamenti semantici paragonabili: il Cantico dei canti-
ci, lungo poema d'amore, ha -sconvolto i teologi sin dall'inizio della canonizzazione
del corpus biblico. Perché si è tenuto un tale poema all'interno di una raccolta di
testi religiosi? Dio non vi gioca alcun ruolo, la topografia è vaga così come l'azio-
ne, tanto che potrebbe accadere in una qualsiasi cultura siropalestinese. Ci si può
inoltre d_?mandare a quale quadro istituzionale (Sitz im Leben) appartenga questo
poema. E di provenienza cortigiana (cf. Sal 46, considerato come il canto del ma-
trimonio del re)? Presenta forse un' «antologia di canti di desiderio» prima di smar-
rirsi in quel corpus che Albert de Pury ha designato come un' «antologia ideale del-
la letteratura giudaica» concepita secondo il modello ellenistico (p. 27)? Nella tra-
dizione rabbinica si voleva comprendere il poema come un'allegoria che trattava
dell'amore di Dio per Israele. I padri della Chiesa hanno trasferito questa idea a
quella dell'amore di Cristo per la sua Chiesa. Gli esegeti odierni sono felici che sia
stato trasmesso un testo ebraico di letteratura profana così lungo, un testo davve-
ro unico nel suo genere! Questo caso particolare mostra bene le grandi sfide che
un esegeta àccetta quando tenta di interpretare un testo biblico. A volte egli deve
andare molto lontano nelle sue riflessioni per comprendere la funzione e l'inten-
zione di un testo nel contesto biblico.

1.1. Piccola cronistoria

Il metodo è antico tanto quanto quello dell'analisi delle forme e dei generi
( Gattungs- und Formkritik). Esso è strettamente legato a quest'ultimo poiché si ba-
sa sul principio della comparazione; richiede una lettura intertestuale che metta in
· rapporto i vari testi biblici e non biblici che· sono organizzati attorno al medesimo
tema. Poiché la base testuale dell'Antico Testamento è così ristretta, gli scavi realiz-
zati nei grandi cantieri dei siti archeologici egizi e mesopotamici hanno entusiasma-
to gli esegeti. Gli archivi prima di tutto (qui menziono solo quelli di Mari e di Tell
el-Amarna), ma anche le iscrizioni murarie, gli oggetti e la letteratura trovata dal-
l'Egitto sino alla Mesopotamia hanno allargato l'orizzonte, permettendo di com-
prendere meglio le mentalità e il pensiero dell'oriente antico. Nel medesimo perio-
do in cui si formava la scuola di Wellhausen e la nuova ipotesi documentaria, nac-
que un movimento chiamato Religions-geschichtliche Schule i cui protagonisti furo-
no Hermann Gunkel, Hugo Gressmann e Alfred Jeremias. Senza ridurre la religio-
ne israelita a un semplice sottoprodotto della cultura babilonese, essi si sono se:r;viti
della letteratura, dell'archeologia e della storia orientale per mettere in evidenza la
particolarità della civiltà israelita. La scuola si era prefissata come scopo di supera-
re il fossato storico analizzando le differenze che presentano queste culture in rap-
porto alle nostre esperienze moderne. Alla scuola tedesca si è associato un secondo
movimento, the Ritual Pattern School, di origine scandinava, fondata tra gli altri dal
discepolo di Gunkel, Sigmund Mowinckel, assieme a J.P.E. Pedersen e Ivan Engnell.

106
1.2. Precisazioni terminologiche

1.2.1. Analisi dei motivi e d~i temi


L'analisi delle tradizioni esamina in un primo momento i motivi e i temi che
si trovano in un racconto biblico. I motivi provengono dal mondo delle immagini e
delle metafore. I temi sono dei concetti che riflettono la realtà.
Un motivo tipico del linguaggio poetico è la presentazione di Dio come roc-
cia (ì1~): ad esempio Dt 32,4.15; 1Sam 2,2; 2Sam 22,32; Is 17,10; Sal18,32; 27,5; 28,1;
31,3; 61,3; 62,8; 73,26; 89,27.44; ecc. Il gran numero di passi biblici che descrivono il
rapporto tra Dio e l'uomo mediante questa metafora mostra che si tratta di un con-
cetto prestabilito. Altri motivi sono molto presenti, come ad esempio l'immagine
dei fiori appassiti (cf. Gb 8,12; 14,1-2; Sal103,15-16; cf. anche 1Pt 1,24), dell'ombra
(cf. Sal144,3) o del soffio (cf. Gen 4; Sal144,3; Qo 1,1), che servono come metafo-
ra per la mortalità dell'uomo. La funzione delle metafore dipende dal loro conte-

107
sto. Ad esempio la mortalità dell'uomo può esprimere l'idea della glorificazione di
Dio, lo scetticismo in relazione alla creazione, il cordoglio di frònte a un defunto,
l'ironia di fronte alla condizione umana, ecc.
Lo studio dei campi semantici, molto facili da reperire, permette di mettere in
rilievo l'esistenza di tematiche che toccano trasversalmente diversi libri biblici. II
tema del «giorno di YHWH» si trova in molti libri profetici come annuncio del giu-
dizio divino su Israele (cf. Is 13,6.9; Ez 30,2-3; Gl 1,15; 2,1; Am 5,18; Ab 15; Sof
1,7.10.14; Zc 14,1; MI 3,2-5.19-21). La sterilità di una donna che metterà al mondo
una persona fondamentale per la storia di Israele è un altro esempio (cf. Gen 16,1;
29,31; 1Sam 1,2; cf. Le 1,7). Tuttavia, quest'ultimo motivo è più difficile da reperire
nei testi, poiché l'insieme di termini impiegati per parlare della sterilità di una don-
na è molto ampio e a volte solamente allusivo. In tal caso, il lettore meno avvezzo
alla letteratura biblica è obbligato a informarsi altrove, consultando ad esempio dei
commentari esegetici per trovare tracce di paralleli-esistenti.
I temi e i motivi biblici si rivelano al lettore soprattutto grazie alla semantica.
A seconda della scelta delle parole e dei campi semantici utilizzati, ogni testo co-
struisce il suo universo. E grazie alla semantica, l'esegeta può accostare ogni testo ad
altri testi che contengono i medesimi temi e motivi. Il comparativismo, quindi, si of-
fre come un utensile utile al lavoro, così come le concordanze e i dizionari teologici.
L'esegeta deve reperire già durante l'analisi letteraria e çlella composizione
alcune parole chiave che guidino il lettore nella sua comprensione. Le parole ripe-
tute, i giochi di parole, la ripresa di un tema con termini differenti offrono delle pri-
me indicazioni sul tema trattato in un testo.

1.2.2. Analisi delle tradizioni


In un secondo momento, l'esegeta vuole cogliere le tradizioni caratteristiche
dell'Antico Testamento. Si definisce tradizione biblica l'insieme di motivi e di temi
organizzati in una maniera ben definita. Questi motivi e temi si ritrovano anche in
altri contesti della letteratura biblica e orientale. Sono divenuti dei temi tipici del-
la letteratura biblica, dei paradigmi del pensiero teologico e profano. In seno al ca-
none biblico le differenti tradizioni servono come leitmotiv che possiedono spesso
. delle forme stereotipe.
L'analisi delle forme e l'analisi delle tradizioni sono inscindibili. Queste due
tappe danrio origine al pensiero di una scuola, di una corrente teologica o sociale,
che utilizzano delle tradizioni già forgiate per codificare la loro ideologia. In gene-
rale, una tradizione non è esplicitata. Il suo significato evolve in funzione delle epo-
che e dei contesti letterari. Mediante il comparativismo l'esegeta può ricostruire l'o-
biettivo e la funzione del messaggio trasmesso da una tradizione particolare. Grazie
alle tradizioni, che trasmettono un messaggio teologico o culturale da una genera-
zione all'altra, gli autori biblici hanno dato un rilievo storico alloro pensiero.
In questa tappa, allo stesso modo, il lavoro con le concordanze e. i dizionari
teologici è indispensabile. In effetti, è la semantica che veicola un concetto e per~
mette di distinguere le varie correnti. Queste fanno ricorso alle stesse tradizioni ma
impiegando spesso una terminologia ebraica differente.
Una delle grandi tradizioni dell'Antico Testamento è quella dell'alleanza: Dio
ha concluso un'alleanza_ con Israele e tutta la storia di questo popolo è spiegata tra-
mite l'infedeltà di Israele al suo Dio (cf. 2Re 17,7-23; Ez 16,59) che mette in peri-
colo un tale atto fondatore. La parola chiave ebraica è la nozione di n,··p «allean-

108
za», termina citato 287 volte e praticamente in tutti i libri della Bibbia ebraica. Nel
Pentateuco, in particolare, le sue occorrenze sono numerose e spesso presenti al-
l'interno di campi semantici differenti. Mentre alcuni testi - che si attribuiscono in
generale al documento sacerdotale - designano la stipulazione dell'alleanza con
i::l1r' Hifil + n~1f «far erigere un'alleanza» (cf. Gen 9,9; 17,2), altri testi di prove-
nienza deuteronomista utilizzano n1,:, + n~1f «tagliare un'alleanza» (cf. Gen 15,18).
La seconda espressione è una formula molto più concreta, che viene dal contesto
sacrificale. La terminologia evoca l'idea che, nella cultura orientale, la conclusione
di un'alleanza è spesso stata accompagnata da un atto sacrificale che la convalida-
va (cf. Gen 15; Ger 34,18). La letteratura profetica dell'esilio riprende il tema sot-
to forma di una <<nuova alleanza» (cf. Ger 31,31-34; 33,20s.25s; Ez 16,59-63; 34,25;
37,26), che sarà conclusa quando Israele avrà subito il castigo divino.
Un secondo esempio è quello della tradizione di Sion. Essa è molto attestata
nel genere dei salmi regali, dei quali un certo numero tratta della nozione di Sion
come montagna di Dio (cf. Sal2,6; 78,68; 84,8; 87,5), la più santa delle sue dimore
a Gerusalemme (cf. Sal46,5; 76,3) e la sua cittadella (cf. Sal48,4.12-13). Alcune pa-
role chiave e temi si ripropongono sistematicamente in questo contesto: 'Eljon,
«l'altissimo», YHWH Zeba'oth, «Signore degli eserciti» o «l'Onnipotente», il com-
battimento di YHWH contro i popoli che sono insorti (cf. Sal46,7; 48,2-7). Il tema
di Sion è spesso ripreso nel libro di Isaia (cf. Is 8,18; 14,32; 31,4; o in maniera più
allusiva in Ger 3,17). Al contrario, è completamente assente nel Pentateuco, nei li-
bri che vanno da Gs a 1Sam e nella maggior parte-dei libri profetici.
Un'altra tradizione importante è quella dell'uscita dall'Egitto. L'esodo è de-
scritto in due forme differenti: la prima è quella della cacciata da parte del farao-
ne, che non sopporta più la presenza degli israeliti nel suo paese (cf. Es
12,31-13,17), l'altra è l'idea di una partenza precipitosa degli israeliti inseguiti da-
gli egiziani (cf. Es 14,3-9). In Es 15,1.20-21 appare il «canto di Miriam», breve rias-
sunto dell'esodo e uno dei rari testi considerati da alcuni esegeti relativi all'inizio
del secondo millennio. Questi versetti formano un'inclusione che incornièia il
«cantico di Mosè» o «cantico del mare» (Es 15), che riassume gli avvenimenti del-
l'Esodo descritti in Es 14 sotto forma poetica; ma, curiosamente, non precisa illùo-
go in cui è avvenuto questo atto di liberazione. Solo il contesto suggerisce che si_
debba collegare questa uscita all'Egitto e a un momento storico che diviene la tra-
dizione dell'esodo per eccellenza. Le costruzioni verbali ;rS.v Hifil «far salire dal-
l'Egitto» (cf. 2Sam 7 ,6), N~~ Q al «uscire dall'Egitto» o N~, Hifil «far salire» (cf. 1Rè
8,16) sono quelle usate più frequentemente in questo contesto. La medesima ter-
minologia è riutilizzata nell'attesa di un'altra uscita, quella dall'esilio babilonese.
In questo contesto, alcuni testi profetici parlano di un nuovo esodo (cf. Is 43,16ss;
51,9ss; Ger 16,14-15; 23,7-8; ecc.). Il motivo appare ugualmente nel libro di Osea
(2,17; 11,1; 12,10.14; 13,4).
Per dare una definizione di ciò che è una tradizione, ricorriamo a D.A. Kni-
ght (secondo la traduzione di Harrelson, 25):
1) Una tradizione biblica è ricevuta da altre e trasmessa nuovamente, in par-
ticolare nel passaggio da una generazione alla seguente.
2) Si tratta al contempo di una forma e di un contenuto. Non si può rintrac-
ciare la storia di una tradizione che nella misura in cui ne può essere colta una for-
ma particolare.
3) Una tradizione è la proprietà diretta di un gruppo o di una comunità, vale
a dire ha una funzione diretta per le persone che la trasmettono.
109
4) Una tradizione è viva, si sviluppa, è malleabile; la sua stabilità non è che re-
lativa; può essere modificata e reinterpretata in funzione dei bisogni di quelli che
la trasmettono.
5) Una tradizione è abitualmente orale, ma può anche assumere una forma
scritta se continua a rispondere agli altri criteri già enumerati, in particolare l'atti-
tudine allo sviluppo e all'adattamento. . ·
6) Una tradizione tende a essere cumulativa e agglutinante.

1.3. Storia delle tradizioni

La storia delle tradizioni cerca di presentare l'evoluzione delle differenti tra-


dizioni inerenti all'Antico Testamento secondo un ordine cronologico e sistemati-
co. Da un lato si arriva a re perire dei concetti (alleanza, elezione, esodo, il giusto
sofferente, la regalità di YHWH, ecc.), dall'altro scopriamo che questi concetti non
sono spesso impiegati allo stesso modo. La loro funzione può essere differenziata.
Bisogna ammettere che le tradizioni sono state modificate o adattate alloro con-
testo, e che sono progredite lungo la storia nel corso degli anni e ancora oggi in se-
no a differenti correnti teologiche.

1.3.1. Qualche tema e motivo ricorrente


Riprendiamo l'esempio dell'esodo. Due verbi differenti designano l'usdta:
N~~ e i1S.v. Tutti e due sono molto frequenti. Il primo è utilizzato 1068 volte nel-
l'Antico Testamento, mentre il secondo 888 volte. Nel contesto stesso dell'esodo,
N~~ Qal ricorre poche volte (es. Is 12,41; e nel Deutero-Isaia per il nuovo esodo),
mentre al contrario il suo impiego al Hiphil mostra che il verbo è divenuto una ve-
ra e propria formula, di provenienza deuteronomistica, che si riferisce all'atto sal-
vifico fondatore che YHWH ha compiuto per Israele (cf. Dt 5,6.15; 6,12.21.23; ecc.;
Gdc 2,12; 6,8; 1Re 8,16; 9,9; ecc.). La formula viene ripresa anche nel documento
sacerdotale (cf. Es 6,6s; 7,4s; 12,17.42.51; 14,11; 16,6.32; 29,46; Nm 14,41) e nel co-
.dice di santità (cf. Lv 19,36; ecc.). Nella letteratura profetica, è caro a Ger ed Ez
(cf. Humbert). Il verbo N~~ Hiphil appare in 76 occorrenze mentre i1S.v utilizzato
al Hiphil non compare che 42 volte (cf. Gs 24,17; Gdc 6,13; Ger 2,6; ecc.), la mag-
gior parte delle quali si trova in un contesto liturgico. Si suppone che la costru-
zione con i1~.!1 fosse la più antica e sia stata sostituita a poco a poco con N~~ Hiphil.
Lo studio della frequenza di questi due verbi nel contesto dell'esodo mostra che
sono due verbi più o meno sinonimi, che sono stati utilizzati in epoche e contesti
(Sitz im Leben) differenti. Mentre le grandi scuole teologiche di tipo deuterono-
mistico e sacerdotale, collocate storicamente intorno all'epoca esilica, hanno pre-
ferito il verbo N~~ Hifil per fare riferimento all'esodo nelle parti narrative e legi-
slative del Pentateuco, i testi più antichi e di carattere sacrale hanno privilegiato
l'utilizzo di i1S.v Hifil. Questo termine è tuttavia divenuto, nella letteratura sacer-
dotale ma anche al di là di essa, la formula standard (i1S.v Hifil + i1?i.v) per desi-
gnare l'atto con cui si compiva un olocausto. Un quarto delle occorrenze di i1S.v
Hifil, d'altronde, è inserita in un contesto sacrificale. Possiamo dedurre che lo slit-
tamento intervenuto nella terminologia sia dovuto alla storia semantica dell'e-
braico e non a una divergenza nelle scelte terminologiche in seno alle grandi cor-
renti teologiche.

110
Una variante si spiega dunque grazie a un diverso uso, legato alle differenti
terminologie di una scuola teologica o· di un'altra. Per illustrare questo fenomeno
abbiamo scelto un'altra formula che viene dal contesto dell'esodo: YHWH ti ha
fatto uscire dall'Egitto i1;~~~ .P1.ip~ i1i?!O i;~ «con mano forte e braccio disteso» (cf.
Dt 4,34; 5,15; 7,19; 11,2;26,8; Ger 32,21; Sal136,12; cf. Ez 20,33ss nel contesto di un
nuovo esodo). Si tratta di una formula di origine deuteronomista, che vuole sotto-
lineare la potenza di YHWH nella storia della salvezza. Le altre tradizioni teologi-
che che trattano dell'esodo preferiscono parlare esclusivamente della «mano for-
te» di YHWH (cf. Es 3,19; 6,1; 13,9 e anche Dt 6,21; 7,8; 9,26; Dn 9,15). Sembra che
solamente la letteratura deuteronomistica del Pentateuco abbia utilizzato la me-
tafora del braccio forte nel contesto dell'esodo. Appare ancora nel Salterio, per
esempio, dove sottolinea la potenza divina in un contesto innico (cf. Sal89,14; 98,1;
cf. Es 15,16; ecc.) ma questa volta senza fare esplicitamente menzione dell'esodo.
Un altro tema importante che troviamo in Nm 12, testo scelto come modello
per l'esegesi (c. 5), è quello dell'autorità religiosa del servo (i~.!!} eletto da Dio.
L'analisi letteraria, come anche i motivi e le parole chiavè che appaiono nel
testo, rivelano come il tema centrale sia quello dell'autorità religiosa. Il motivo. del
conflitto è di sapere se questa autorità appartiene esclusivamente a Mosè o se Mi-
riam e Aronne, la tori di funzioni importanti nel popolo, meritano lo stesso rispetto
(cf. Mi 6,4). Il conflitto di partenza serve come detonatore. Abbiamo visto ~he la ri-
sposta data dal testo è chiara. Già la piccola descrizione, modesta, che segue al v. 2
e introduce con vaghezza il vero conflitto, non lascia alcun dubbio al lettore: Mi-
riam e Aronne hanno torto. La modestia di Mosè sembra sollecitare la difesa da
parte di YHWH, che non risponde proprio alle domande del v. 2, ma in maniera più
generale: «Se tra di voi c'è un profeta [... ],io mi faccio conoscere a lui in una vi-
sione, parlo con lui in un sogno». La risposta non dice né sì né no, lascia in sospe-
so la validità delle funzioni dei due locutori. Nel seguito del discorso, al v. 7, Mosè
viene preso da parte. YHWH non dice che Mosè non è un profeta, ma afferma che
egli è qualcosa in più. Dopo di ciò, il discorso allude a tradizioni molto divergenti:
-«Mio servo» (i;!.!! + suff.) è un termine vago, con 800 occorrenze nell'Anti-
co Testamento (DTAT.Ù, 167). Si colloca in un contesto sociale (cf. Es 21,2.32), po-
litico (1Sam 27,5.12; 2Sam 8,2.6.14) o religioso, come in questo caso. È Mosè a es-
sere designato più spesso come il servo di Dio (40 occorrenze): Questo epiteto gli
conferisce una grande autorità (cf. Gs 1,7.13; 8,31.33; ecc.). Un passo come Es 14,31,
la fine del racconto dell'esodo, illustra molto bene il ruolo eminente di Mosè:
«Israele vide con che mano potente YHWH aveva agito contro l'Egitto. Il popolo
temette YHWH, ed ebbe fede in YHWH e in Mosè suo servo». Questa forte valo-
rizzazione di Mosè corrisponde a un passo all'inizio del libro dell'Esodo. Appena
dopo il racconto di vocazione (Es 3 e 6), che termina con la missione divina, viene
attribuito a Mosè un altro titolo onorifico in Es 7,1 (cf. Es 4,16): «Vedi, ti ho stabi-
lito come "dio" (0~0?~) per il faraone e tuo fratello Aronne sarà il tuo profeta
(~~~~)». Mosè è così considerato come qualcosa di più di un profeta, una sorta di
·profeta capo. H. Ringgren (GLATVI,362 [V, 1001]) considera Nm 12,7-8 come il
passo chiave in cui si spiega la designazione ricorrente di Mosè come i~.!?: mentre
YHWH parla con i suoi profeti in visione, lo scambio con Mosè è più immediato,
quasi una comunicazione «bocca a orecchio», fattore che lo qualifica come media-
tore della rivelazione per eccellenza. Ora, il titolo di i~.g è attribuito anche a Da-
vide, re eletto che fonda la dinastia eterna (2Sam 7,5.8; cf. lRe 11,[13.]32) e la cui
opera è messa in relazione con quella di Mosè (1Re 8,53).

111
-' «Egli è affidabile in tutta la mia casa»: si potrebbe dire che con la nozione
di n:~ Mosè sia messo in rapporto con la sfera regale. n:~ «casa» non designa il san- ·
tuario, ma il palazzo, la dimora del re. Mosè, secondo questa costruzione, acquisi-
sce la funzione di sovrintendente del palazzo (cf. 1Re 16,9; 18,3; 2Re 10,5; 18,18.37;
19,2 [par. Is 36,3.22; 37,2]; Is 22,15). È una persona la cui affidabilità è assoluta e
che possiede un'autorità paragonabile a quella del regnante (cf. infra, l'analisi mo-
dello del c. 5).
-La sua affidabilità (F?~~' participio Niphal F~~; cf. DTAT l, 160) corrisponde
all'uso che se ne fa in 1Sam 3,20 («Samuele era accreditato come profeta di
YHWH» ). La costruzione 1~~ Nifal + n:~ ricorda inoltre 1Sam 25,28 (un richiamo
alla dinastia eterna come «una casa stabile» che YHWH ha offerto a Davide). Ma
il passo più decisivo per la comparazione intertestuale dovrebbe essere 1Sam 22,14:
Akimelek risponde al re [Saul]: «C'è in mezzo ai tuoi servitori qualcuno così sicu-
ro come Davide? Egli è il genero del re, è divenuto la tua guardia del corpo, è ono-
rato nella tua casa».

1.3.2. Qual è il «centro» dell'Antico Testamento?


Finalmente, la questione è quella di sapere se vi sia un nucleo comune alla ba-
se di queste numerose tradizioni. In altre parole, chi o che cosa è il centro (die Mit-
te) dell'Antico Testamento? Questa domanda è sorta all'interno del vivace dibatti-
to che si ritrova nelle teologie di Edmond Jacob, Gerhard von Rad, Walther Zim-
merli e Claus Westermann. Walter Harrelson definisce questo nucleo di tradizioni
in maniera molto descrittiva: «YHWH era il Dio del popolo (poco importano i pic-
coli nomi di persona realmente concernenti): egli li accompagnava nei loro sposta-
menti; aveva una cura particolare di coloro che, tra di loro, erano oppressi e mal-
trattati, li conduceva verso un avvénire i cui tratti rimanevano aperti» (p. 33). Il
problema di ogni definizione rimane il carattere riduttivo, poiché un certo numero
di libri biblici tratta una tematica molto differente che non rientra in questa de-
scrizione (cf. Qo; Ct; Gb; ecc.). La polifonia dei racconti biblici e il fatto che il mes-
saggio di certi libri dell'Antico Testamento non sia stato teologico sin dall'inizio,
rende difficile ogni formulazione di un'idea centrale dell'Antico Testamento.

2. Tradizioni e correnti teologiche

2.1. Tradizioni e correnti teologiche nella Bibbia

Il grande merito eli Gerhar~ von Rad nella sua Teologia dell'Antico Testa-
mento è di avere visto il legame tra i differenti temi, le tradizioni teologiche che ap-
paiono nell'.Antico Testamento e la storia dell'Israele antico. Potremmo dire che
questo grande schizzo della teologia dell'Antico Testamento - oggi si parlerebbe
piuttosto di teologie al plurale - è allo stesso tempo una presentazione della storia
letteraria dell'Israele antico. Il suo discepolo Odil Hànnes Steck ha riassunto in un
piccolo articolo l'essenza del concetto generale, e suddiviso la storia letteraria in
delle correnti che sono legate a epoche, regioni e ambienti differenti.

112
EPOCA NORD DI ISRAELE . SUD DI ISRAELE GERUSALEMME
~~o
(J>"i Cio
~ 5.1 n;·
Periodo premonarchico Antiche tradizioni nomadiche: Antiche tradizioni nomadiche: Antiche tradizioni cananaiche c::;-aq
materiali legislativi e cultuali materiali legislativi e cultuali ~- ~ ~ () t'-~


Sino allOOO a.C. ...-._N;:s!:"+> C".~
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Racconti patriarcali intorno Racconti patriarcali intorno .............
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Epoca monarchica: Sapienza: tradizioni cultuali :=: ::r· ~ ~
Davide fino allo scisma alla figura di Giacobbe alla figura di Abramo (?) Q.J-';:s~
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Israele-Giuda fino alla caduta Tradizioni profetiche, Am (?), Tradizioni profetiche, Mi, Is, 0\ ~ ~
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Giuda eredita le tradizioni Formazione di unità letterarie: m,.,... No
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(fine di Giuda) 2. Profeti scrittori, ~
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4. Tradizione cultuale
926/2- 587/6 a.C. e raccolte scritte
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r:>:l r:>:l ):i m E'
Tempo esilico
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Documenti deuteronomisti
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Tradizioni sacerdotali
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587/6-539 a.C. + profetici; P (?) (P?; Ez) e profetiche (Dt-Is) to 0 ;:::;.·
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Tempo postesilico Correnti escatologiche (Gl; Ml) Correnti sacerdotali e teocratiche ~·~z ::::! &.
C,..o:) ~ ::t. ~
(periodo persiano) 539-322 a.C. (P· Ag· Zc· Esd· Ne)
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letteratura esistente, redazione oN • ""'"
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finale e formazione del Canone [8ì::l~~ ~·
(Torah e Profeti) . ~so
Tempo dei Seleucidi Correnti escatologiche (Dn) n;-~ q V:l
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e dei Maccabei + sapienza tramite k~- ~ \)
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312-63 a.C. intermediari sacerdotali: o~~
Qumran; Apocalittica; o(D -~
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Scritti intertestamentari s·o;:s
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Questo schema mostra solo le grandi correnti ripartite secondo la loro ap-
partenenza a un ambiente sociologico (ad es. una scuola teologica) o a un contesto
istituzionale (ad.. es. corte, legislazione, culto, sapienza). Integra inoltre gli aspetti
cronologici e geografici, che mettono le correnti teologiche in rapporto con la mo-
vimentata storia politica e con i differenti prestiti socioculturali che hanno forte- ·
mente influenzato la formazione dell'identità di Israele.
In realtà, il lettore può constatare che le· differenti tradizioni oltrepassano spes-
so il contesto a cui sono collegate. Prendiamo la tradizione di Sion, che è una tradi-
zione esemplare, originaria di Gerusalemme e divenuta un pilastro della teologia
giudaica. La maggior parte delle tracce si trova nel Salterio; ma il libro del profeta
Isaia vi fa spesso riferimento. I titoli tradizionali (Is 1,21.26), la scena teofanica che
si svolge al tempio (Is 6,1-4), la fedeltà alla dinastia davidica (Is 7,9), così come i ri-
ferimenti a Sion stessa (Is 1,27; 28,15.17; 30,2.3), mostrano che il profeta è piena-
mente familiare con le tradizioni di Gerusalemme, mentre altri profeti non vi fanno
alcuna allusi9ne. Sarebbe difficile, tuttavia, classificarlo nella colonna di Gerusa-
lemme poiché al medesimo tempo il libro comprende una struttura di composizio-
ne identica a quella degli altri libri profetici scritturistici. Lo schema semplifica i fat-
ti in una maniera a volte grossolana, ma allo stesso tempo mette in rilievo le grandi
correnti che continuano a esistere sino alla letteratura inter- e neotestamentaria. La
nozione di «corrente di tradizioni» non è che una deduzione sintetica a partire dai
risultati dell'esegesi analitica. Le varie assi presentano nello spazio e nel tempo l'u-
niverso intellettuale che è comune a tutti gli autori e redattori biblici.

2.2. · Tradizioni e correnti extrabibliche

114
Sarebbe pienamente arbitrario limitare alla Palestina il nostro abbozzo delle
tradizioni che hanno influenzato la letteratura biblica, poiché un universo intellet-
tuale non· si ferma alle sue frontiere. Geograficamente, Israele appartiene al vicino
oriente antico. Tanto la storia quanto l'archeologia confermano che le sue relazioni
politiche, commerciali e culturali con i popoli vicini sono state numerose e varie. Il
Cantico dei cantici, ad esempio, è un poema che contiene pochi elementi che si li-
mitano alle tradizioni di Israele. Lo scritto potrebbe provenire da una qualunque re-
gione della Siria-Palestina, se si esclude la lingua, un ebraico tardivo. I ritrovamenti
archeologici fatti in Mesopotamia, per i quali evocavamo già nel capitolo preceden-
te la grande importanza per la ricostruzione dei generi letterari, sono stati allo stes-
so modo fondamentali per la ricostruzione della storia delle idee. I racconti di crea-:
zione e di diluvio ritrovati in Mesopotamia e in Egitto provano che queste tradizio-
ni non sono di origine israelita, ma sono molto più antiche dell'epoca biblica.
Per molto tempo, il fenomeno profetico.è stato ugualmente considerato come
una corrente specifica di Israele. Gli archivi di Mari, datati al XVIII secolo a.C.,
hanno mostrato che il fenomeno è molto più antico (cf. Heintz). Negli archivi dei
re neoassiri Assarhaddon e Assurbanipal (VII sec. a.C.) gli oracoli profetici pre-
sentano forti similitudini con gli oracoli biblici. Così la famosa formula ~J~ìTt,~
«non temere» introduce sia gli oracoli biblici che quelli neoassiri. Alcuni generi
poetici (preghiere, sapienza), legislativi e amministrativi (trattati e contratti) trova-·
no la loro origine nella letteratura orientale.

115
Fig. l -L'iscrizione 'ashcer 'al ha-bayit «colui che è "sulla" casa».

Fig. 2 - Sigillo di un abitante di _Gerusalemme ShR H'R.

Disegni realizzati da U. Zurkinden-Kolberg (Friburgo) in base a N. AVIGAD - B. SASS, Corpus of W est


Semitic Stamp Seals, Jerusalem 1997, n.402 e n. 406; le illustrazioni sono tratte da Uehlinger, 258.

La necessità di paragonare la letteratura biblica con le tradizioni vicine è dun-


que evidente. Tuttavia è necessario porsi la questione metodologica. Helmer Ring-
gren sottolinea un certo numero di domande imprescindibili. «Che cos'è un paral-
lelo, e che uso ne facciamo? Come si è apertola strada nella Bibbia? Qual è il sen-
so all'interno del suo contesto biblico?», e conclude: «Solamente quando ci siamo
assicurati del senso e della funzione originale di un dato parallelo possiamo utiliz-
zarlo per la delucidazione di un passo biblico» (p. 43). In altre parole, un passo
orientale che non può essere restituito al suo contesto originario non può servire
per l'interpretazione del testo biblico. Per evitare che il metodo comparativo si per-
da in un terreno di vaghezza, il lettore deve rispettare il testo e il contesto delle due
tradizioni prese in esame.
Poi, Ringgren descrive alcuni tipi di somiglianza.

l. Dei paralleli linguistici tra le differenti lingue semitiche sono spiegabili sen-
za che questo sia automaticamente una prova dell'influenza diretta di una cultura

116
nei confronti dell'altra. L'etimologia comune può spiegarsi semplicemente grazie
alla simile storia delle lingue e non mediante una storia delle idee identiche (cf.
Barr, 184ss). Se si tratta invece di un campo semantico più ampio o di una desi-
gnazione specifica amplificata da alcune apposizioni, i paralleli divengono molto
più solidi. Is 27,1 introduce una figura chiamata «Leviathan, il serpente sfuggente
[... ],il serpente tortuoso». Nel testo ugaritico KTU I 1.5 1ss (UT 67:I :1-3) trovia-
mo esattamente la stessa figura con i medesimi epiteti; da questo tipo di contatto
realizziamo immediatamente che il testo biblico non fa altro che citare un elemen-
to della letteratura ugaritica senza che si possa determinare se questa mitologia sia
ancora presente nella cultura israelitica, o se si tratta unicamente di una figura re-
torica, di un riferimento.
2. Il suo secondo esempio è tratto dalle grandi epopee mesopotamiche. È lar-
gamente riconosciuto come il racconto del diluvio biblico faccia delle allusioni as-
sai dettagliate alle epopee mesopotamiche ( Gilgamesh, tav. XI e Atrahasis). È an-
che probabile che questa letteratura sia stata conosciuta e accolta in Canaan; gli ar-
cheologi hanno ritrovato perlomeno un frammento di Gilgamesh a Meghiddo, da-
tato XIV-XIII secolo a.C. La ques1ione è sapere come abbia avuto luogo questo
scambio letterario.
3~ Le istituzioni sociali sono in stretto rapporto con l'oriente antico. Ad esem-
pio la forma letteraria delle tradizioni israelitichedell'alleanza mostra delle somi-
glianze evidenti con i trattati ittiti di vassallaggio, così come con i trattati di origi-
ne assira o anche babilonese. Sembra che Israele funzionasse secondo le stesse ·re-
gole e i medesimi quadri degli altri paesi orientali.
4. Una somiglianza formale e strutturale è attestata in un gran numero di for-
mule e generi, presenti nella Bibbia e nella letteratura orientale. Le preghiere, co-
me i salmi di lamento e i shu-fl-lli, «preghiere di scongiuro a mano alzata» di origi-
ne mesopotamica, possiedono una struttura comune: invocazione, descrizione del-
la miseria, richiesta, lode o voto. Abbiamo visto in precedenza che la formula di in-
troduzione di un oracolo («non temere») corrisponde parola per parola a quella
degli oracoli neoassiri, datati più o meno alla stessa epoca.
5. Un altro tipo di parallelo si trova nella possibilità di una vera dipendenza
letteraria. Così il Sal 104 mostra dei paralleli stupefacenti con il grande Inno di
Aton, dell'època di Akhenaton (XV dinastia). Poiché l'egiziano non è una lingua
semitica, la comparazione filologica. non è possibile. Ci si chiede se si tratti di un
riadattamento fedele dell'inno egiziano che il traduttore ebraico aveva sotto gli oc-
chi o se si tratti di alcuni temi e motivi largamente diffusi in tutto il vicino oriente,
dei quali non abbiamo delle tracce che in questi due testi. Si suppone· che il Sal 29
potrebbe allo stesso modo essere stato trasmesso direttamente da U garit, citazio-
ne cananaica del XIV-XIII secolo. Come testo di transizione, si è ultimamente ci-
tato il papiro Amherst. Un altro testo egiziano, l'Insegnamento di Amenemope, è
stato messo in relazione con Pr 22-24.

Tre tipi di fenomeni permettono l'ingresso di questi paralleli nella letteratura


biblica. Bisogna contare anzitutto su un certo numero di temi e motivi che fanno
parte di un universo culturale comune alle differenti culture del vicino oriente an-
tico e che sono dovuti all'eredità semitica, orientale o universale -stupisce che i
miti di creazione e del diluvio si trovino in quasi tutte le culture della terra. Que-
sto primo tipo di somiglianza è molto vago. Un altro fenomeno è quello dell'im-
portazione diretta nel corso della storia di Israele. I contatti commerciali e politici

117
sono stati molto vivaci, e quindi è possibile che alcune tradizioni rappresentino un
prestito dei paesi vicini- fatto ancor più verosimile se una tradizione compare mol- .
to bruscamente. Un'ultima reazione possibile alle importazioni è la polemica, per
lottare contro l'acculturazione. Ad esempio, l'influenza cittadina dei cananei sulle
popolazioni nomadiche è stata costante e di natura complessa. La coesistenza del-
le due forme di vita ha provocato .un gran numèro di adattamenti ma anche di po-
lemiche (cf. la critica costante al culto di Baal).

3.. Regole per il reperimento delle tradizioni


inerenti a un testo biblico

3.1. Alcuni preliminari

l) Le tradizioni, cioè i motivi e i temi, sono presenti a livello semantico. A par-


tire dalle parole chiave, dai campi semantici e, certamente, dalle forme e formule
secondo le quali la terminologia viene organizzata, l'esegeta arriva a ricostruire il
contenuto. ·
2) Egli tenta di restituire questo contenuto al contesto tradizionale, ponendo-
si la questione di sapere in quali altri contesti lo stesso tema è stato trattato.
3) A seguito di questa analisi di tipo intertestuale, bisogna tentare di stabilire
una griglia cronologica. In quale contesto è nata la tradizione, in che momento fu
ripresa, con quale scopo è stata reintrodotta nel testo esaminato?
Si dev~ distinguere allora la Storia delle tradizioni, che tratta dell'uso di una
tradizione all'interno dell'Antico Testamento e delle tradizioni orientali, spesso an-
tecedenti, dalla Storia della recezione. Quest'ultima esamina in quale maniera una
tradizione continui a esistere dopo la canonizzazione dell'Antico Testamento at-
traverso il primo rabbinismo e il primo cristianesim.o sino a .oggi. 1

3.2. Modalità di impiego

l) In una prima tappa, l'esegeta si basa sul lavoro di analisi letteraria nella sua
dimensione sincronica. Dopo aver lavorato sul piano del testo e della sua compo-
sizione, dopo aver reperito la sua struttura, la sua organizzazione formale e il suo
genere, si avvicina al senso stesso delle parole, al contenuto, al messaggio teologi-
co. Tenta di individuare di che cosa tratti il testo, quale sia il suo quadro tematico,
· la sua intenzione. Il quadro tematico è in generale evidente grazie alla terminolo-
gia. Assieme alla forma letteraria e al Sitz im Leben, la terminologia definisce il te- ·
ma globale.
2) In una seconda tappa, l'esegeta esamina la macrostruttura (descrizioni, di-
scorsi, parti narrative, formule giuridiche-cultuali, elementi poetici) prima di indi-
viduare i «sottotemi», paragrafo per paragrafo, così come il testo li presenta.

1 Cf. per la recezione nella letteratura classica lo studio di O. MILLET- P. DE ROBERT, Cùlture bi-
blique, PUF, Paris 2001.

118
l
,[Il
3) L'esegeta cerca quindi q~ali siano le parole chiave e i campi semantici fa-
voriti. ·
4) Analizza in seguito i legami esistenti con altri testi dell'Antico Testamento,
attraverso lo studio della semantica, con l'aiuto di una concordanza e dei diziona-
ri teologici. Il testo fa parte di una o di varie tradizioni?
5) Ci si chiede allora quale sia la tipologia ideale della tradizione individuata.
Può essere utile consultare su questo punto dei commentari esegetici.
6) La questione successiva è quella si sapere come si possa situare nuova-
mente il testo in rapporto agli altri testi che trattano del medesimo tema. Appar-
tengono tutti alla medesima tradizione? Dove il testo studiato tratta il tema con
degli aspetti differenti (una variante)?
7) L'esegeta deve domandarsi quale poté essere il luogo storico della tradi-
zione individuata.
8) Deve quindi domandarsi come situare nuovamente la tradizione stabilita
nello schema delle correnti teologiche dell'Antico Testamento.
9) Poi ci si chiede se la tradizione sia presente anche in altre culture del vici-
no oriente. Può essere utile consultare su questo punto i commentari esegetici o
delle opere di riferimento (cf. Hallo- Sasson).
lO) Infine ci si domanda se la tradizione venga ripresa nel Nuovo Testamen-
to o nella letteratura rabbinica.

119
Capitolo 4
L'ANALISI REDAZIONALE

CHRISTOPHE NIHAN

1. Introduzione

Lo scopo dell'analisi redazionale è di chiarire la preistoria letteraria dei testi


biblici o, per essere più precisi, la storia delle revisioni successive di questi testi. Una
tale tappa parte dall'osservazione che spesso i. libri biblici non sono stati composti
in una volta sola, ma sono piuttosto il prodotto di un processo di riscrittura com-
plesso e sofisticato. Alla stregua di altre grandi opere del vicino oriente antico, co-
me l'epopea di Gilgamesh in Mesopotamia o Il libro dei morti in Egitto, la maggior
parte dei libri che compongono la Bibbia ebraica sono stati continuamente riletti e
amplificati durante la loro trasmissione, in quanto costituiti da una prima versione
che ha dato luogo a diversi rimaneggiamenti successivi. A seconda delle epoche,
nuovi temi vengono introdotti in rapporto alla composizione d'origine, concezioni
anteriori vengono riviste e corrette od attualizzate, ecc. L'epopea di Gilgamesh, per
esempio, prende forma nel III millennio a.C., ma non sarà fissata nella sua versio-
ne «standard» che verso la fine del II millennio; e durante la prima metà del I mil-
lennio a.C. le si aggiungerà ancora una tavoletta -la dodicesima- in cui si raccon-
ta la discesa di Enkidu, il fedele compagno di Gilgamesh, negli inferi per ritrovare
gli strumenti abbandonati dall'eroe.
Un tale processo di revisione e di amplificazione, che testimonia in qualche
modo un certo successo dell'opera nelÌ'antichità., lascia generalmente delle tracce,
e questa osservazione vale ugualmente nel caso delle composizioni bibliche. Ba-
sandosi su tali indicazioni e sforzandosi di interpretarle, l'analisi redazionale cerca,
sul piano ideale, di rintracciare la storia delle redazioni successive di un testo bibli-
co, dalla prima messa per iscritto del testo sino al suo completamento come opera
letteraria. Inoltre, l'analisi redazionale si sforza allo stesso modo di precisare lana-
tura e l'origine di queste revisioni, cercando di caratterizzarne lo stile e il linguag-
gio, il loro fine e il loro contesto storico d'origine. In questo senso, questa parte co-
stituisce una tappa decisiva dell'esegesi storico-critica della Bibbia: anche se il ter-
mine Redaktionskritik non è impiegato che a metà del XX secolo, nondimeno, as-
sieme alla critica testuale, rappresenta la tappa metodologica più antica e più fon-
damentale della critica storica. Essa solleva vari problemi metodologici, i quali ap-
paiono con una chiarezza anche maggiore in particolar modo ai nostri giorni, e che
sarà necessario discutere in seguito in questo capitolo.
Affermando che la critica redazionale riguarda la preistoria letteraria di un te-
sto, abbiamo già stabilito in un certo senso ciò che la distingue dalle altre tappe
principali del metodo storico-critico. L'analisi redazionale si interessa esclusiva-
121
mente della genesi del testo biblico: il suo campo di studi si estende dalle prime tap-
pe della messa per iscritto sino al compimento di questo testo come opera lettera-
ria. All'inizio la critica redazionale non include, di conseguenza, né lo studio delle
eventuali tradizioni orali presenti in un testo, né la storia della trasmissione e del-
· la recezione del testo dopo la fine della sua composizione. Queste due problemati-
che sono l'oggetto della «storia della trasmissione delle tradizioni» (Uberlieferungs-
geschichte) e della critica testuale, che inquadrano in qualche modo la critica reda-
zionale a monte e a valle. Nondimeno, le frontiere sono lontane dall'essere sempre
così chiaramente distinte e i rapporti tra questi tre domini di studio della Bibbia
ebraica sono spesso complessi: ci ritorneremo in seguito in questo stesso capitolo
(cf. infra, § 6).

2. l concetti di «redazione» e di «redattore»

In generale, la «redazione» designa un processo di revisione che non riguarda


solamente il testo biblico isolato, ma un gruppo di testi che formano una composi-
zione coerente - ad esempio, un ciclo narrativo, una collezione di oracoli profetici,
un libro biblico, ma anche molti libri, come nel caso del Pentateuco. (Per i feno-
meni di revisione più limitati, si impiegherà un'altra terminologia: cf. § 4.1.8 e spe-
cialmente la nozione di Fortschreibung). Di conseguenza, il processo di redazione
è distinto all'inizio dalla messa per iscritto di tradizioni trasmesse in origine per via
orale, elemento che rappresenta una tappa anteriore: una volta messe per iscritto,
queste tradizioni costituiscono l'oggetto, man mano che sono ricopiate, di una o va-
rie «redazioni» che modificano il profilo generale di questa tradizione e interven-
gono su alcune parti di queste ultime (principio ermeneutico generale del circolo
tra le parti e il tutto; cf. Kratz, 367).
Perché si possa parlare di «redazione», bisogna inoltre che il processo di re-
visione così identificato presenti delle caratteristiche comuni, sia dal punto di vista
dello stile che del linguaggio e dei temi. Si parlerà così ad esempio di «redazione
deuteronomista» nel libro di Geremia, perché gli esegeti da molto tempo hanno os-
servato che vari passi nel libro riprendono la terminologia e le preoccupazioni del-
la scuola detta «deuteronomista» nella Bibbia ebraica; si parlerà allo stesso modo
di «redazione sacerdotale» nei Numeri, o ancora di una redazione «cronista» (in ri-
ferimento allibro delle Cronache) in Esdra-Neemia. Gli scribi responsabili di que-
ste redazioni sono chiamati «redattori». L'analisi delle differenti redazioni di un li-
bro biblico costituisce «l'analisi redazionale» o «critica delle redazioni» (dal tede-
sco Redaktionskritik; cf. anche l'inglese redaction criticism ). Infine, il tentativo di
provare a ricostruire la genesi redazionale di una composizione biblica è chiamato
«storia della redazione» (Redaktionsgeschichte).
Come le altre tappe del metodo storico-critico, l'analisi redazionale combina
una tappa di analisi e una di sintesi. L'analisi -la critica della redazione propria-
mente detta (Redaktionskritik)- consiste nell'identificare l'intervento di redattori

·122
nel testo biblico, sulla base di differenti indizi che esamineremo nel dettaglio in se-
guito. La tappa sintetica - o «storia della redazione» (Redaktionsgeschichte) - con-
sisterà, da parte sua, nel tentativo di organizzazione dell'insieme di osservazioni
condotte nel quadro della Redaktionskritik in un'interpretazione coerente, che de-
ve allora sboccare sulla ricostruzione della storia redazionale di un dato testo. Ri-
torneremo su questi due momenti nel contesto della presentazione dettagliata del
metodo (§§ 4 e 5).

3. «Redazione» e «redattore» nel dibattito attuale

Prima di introdurre al metodo propriamente detto, bisogna spendere alcune


parole sul dibattito attuale riguardo alla nozione di «redazione» e di «redattore».
Una gran parte di questo dibattito è legata al fatto che questi termini hanno cono-
sciuto gradualmente un'estensione considerevole, causando una certa confusione
che si riflette nella letteratura scientifica odierna.

3.1. La comparsa del concetto di Redaktionskritik


e l'evoluzione della nozione di «redattore» dal XIX secolo

In origine, la nozione di «redattore» era strettamente associata alla critica del


Pentateuco che si sviluppò durante l'illuminismo in Europa, a partire dalla secon-
da metà del XVIII secolo. Il lavoro redazionale designa così essenzialmente un la-
voro di compilazione, che mira ad assemblare i differenti documenti da cui risul-
terà il Pentateuco; e il termine «redattore» è impiegato per distinguere questo la-
voro di compilazione e di edizione dal lavoro del vero «autore», ovverosia dello
scriba che avrebbe creato liberamente una composizione originale. Questo model-
lo, detto «documentario», coesiste con altri modelli durante la prima metà del XIX

123
secolo, e si impone definitivamente sotto l'influsso del lavoro di Abraham Kuenen
e di Julius Wellhausen. Kuenen e Wellhausen divulgano così l'idea secondo la qua-
le il Pentateuco (o piuttosto l'Esateuco, poiché secondo Kuenen e Wellhausen il li-
bro di Giosuè era direttamente collegato, in origine, ai primi cinque libri della Bib-
bia) sarebbe il risultato della combinazione di un documento «jehovista» (JE), di
una prima versione del Deuteronomio (D) e di un documento «sacerdotale» (P) da
parte di vari redattori, che ess.i designano con la sigla «R» e che situano all'epoca
di Esdra. Questi redattori non creano nulla: la trama narrativa dell'Esateuco è for-
nita loro dai documenti JE e P, e il loro lavoro è quello di armonizzare questi rac-
conti paralleli ma distinti in una trama unificata, sia sforzandosi di fondere i passi
paralleli in un solo racconto (così per il racconto_ del diluvio, Gen 6~9, e per .quello
del passaggio del mare, Es 14), sia lasciandoli coesistere l'uno a fianco dell'altro, co-
me nel caso delle due versioni della creazione in Gen 1-3 o del racconto detto del-
le «piaghe d'Egitto» in Es 7-11. ·
Per gli altri libri biblici, l'analogia si applica sino a un certo punto: il redatto-
re è anzitutto responsabile della collazione e del montaggio dei differenti docu-
menti all'origine di questi libri. Nel caso dei libri profetici, si tratterà allora delle
piccole collezioni che comprendono le parole del profeta; nel caso dei libri detti
«storici» (i Profeti anteriori, da Giosuè a 2 Re), si tratterà di différenti documenti
che riportano tradizioni dell'installazione nella terra, l'epoca dei giudici o della mo-
narchia. Nondimeno, i limiti del modello offerto dall'ipotesi documentaria sono pa-
tenti: troppo presto gli studiosi riconoscono che i libri profetici, ad esempio, com-
prendono innumerevoli oracoli che non risalgono al profeta stesso ma sono ag-
giunte tardive, spesso formulate in uno stile e un linguaggio che si ritrova altrove
in questo libro. Bernard Duhm attribuisce così la parte essenziale del libro di Ge-
remia a degli scribi «deuteronomisti» tardivi, la cui attività si estende sino all'epo-
ca maccabaica e che non hanno avuto alcun rapporto con la predicazione origina-
le del profeta Geremia stesso. In questa accezione, i termini «redazione» e «redat-
tore» acquistano così un significato molto più generale, arrivando a designare non
più solo specificamente un lavoro di compilazione, ma più globalmente ogni specie
di revisione di un dato testo che si inscrive nel quadro di una composizione lettera-
ria unitaria. Nondimeno, esiste una similitudine della concezione di redattore svi-
luppata nel qùadro della critica del Pentateuco, similitudine che deve essere com-
presa alla luce dell'atmosfera romantica che circonda le ricerche sulla formazione
della Bibbia ebraica lungo il XIX secolo. Nel caso del Pentateuco come in quello
·dei Profeti, ciò che conta soprattutto è l'origine: le tradizioni più antiche sulle ori-
gini di Israele, sul regno, le parole emesse dal profeta in persona. Il lavoro dei re-
dattori è, nelle situazioni migliori, un lavoro di ripetizione (il redattore è un epigo-
no), di imitazione e di riproduzione, nei casi peggiori una deformazione delle tra-
dizioni originali - come sostiene Duhm, ad esempio, nel caso degli scribi «deutero-
nomisti» a cui attribuisce la maggior parte dd libro di Geremia nella sua forma «fi-
nale» o canonica. Molto spesso, la ricerca sui libri profetici consiste principalmen-
te nell'isolamento e nella ricostruzione delle ipsissima verba dei profeti rispetto al
lavoro redazionale.
Questa tendenza si accentua ancora di più durante la prima metà del XIX se-
colo sotto l'influsso della «critica delle forme e dei generi (Form- und Gattungs-
kritik). Questo metodo, strettamente legato al nome di H. Gunkel, rappresentava
appunto una reazione all'approccio giudicato ancora troppo letterario di Kuenen e
Wellhausen (si veda il capitolo dedicato alle forme e alle tradizioni). Poiché se Kue-

124
nen e Wellhausen si interessano alle tradizioni più antiche dietro il Pentateuco, ciò _
è solo in quanto si tratta di tradizioni già fissate sul piano letterario, sotto forma di
documenti. Gunkel, da parte sua, cerca di risalire alle tradizioni orali presenti die-
tro il Pentateuco. Questo metodo avrà delle conseguenze molto importanti per la
ricerca nel XX secolo: in particolare, favorisce l'idea secondo la quale ia maggior
parte degli sviluppi significativi per la storia religiosa dell'Israele antico hanno avu-
to luogo, in una maniera o in un'altra, allo stadio della trasmissione orale delle tra-
dizioni. La formazione del Pentateuco, ad esempio, è spiegata mediante un amal-
gama graduale delle differenti tradizioni antiche sui patriarchi, sull'esodo, sul Sinai,
sul cammino nel deserto, sulla conquista ecc., secondo un processo già concluso
molto prima che il primo documento del Pentateuco (il documento «jahwista», J)
vedesse la luce nel X o IX secolo (cf. von Rad, Noth). Una tale focalizzazione sul-
l'Uberlieferungsgeschichte (storia della trasmissione delle tradizioni) ha come con-
seguenza che la fissazione letteraria di queste tradizioni in differenti documenti e,
in senso ancor più forte, la compilazione di questi differenti documenti da parte dei
redattori della Torah non interessano se non minimamente gli esegeti.
Questa concezione, tuttavia, si evolve considerevolmente e si trasforma nella
seconda metà del XX secolo. N o n senza ironia Martin N oth, che ha contribuito a
rendere popolare l'approccio della «storia delle tradizioni» per il Pentateuco, darà
u:n impulso fondamentale alla direzione presa dalla ricerca con la sua ipotesi di una
«storia deuteronomista». Essenzialmente, Noth riprende le osservazioni antiche
per cui i libri dei Profeti anteriori ( Gs-2Re) possiedono numerosi passi redatti con
uno stile e un linguaggio che ricorda quello del Deuteronomio. Ma N oth va oltre,
proponendo per la prima volta di spiegare questo fenomeno con l'idea secondo la
quale i libri del Deuteronomio, Giosuè, Giudici, Samuele e Re avrebbero fatto par-
te all'origine di una composizione letteraria autonoma che offriva una spiegazione
religiosa e politica (che si chiama, in termini tecnici, eziologia) della catastrofe del-
la cattura di Gerusalemme da parte dell'armata babilonese nel587 a.C. Per Noth,
è assolutamente chiaro che l'autore di questa storia, il Deuteronomista, sia un com-
pilatore di tradizioni, paragonabile al redattore del Pentateuco; è dunque un «re-
dattore» nel senso classico del termine. Tuttavia, questò redattore non si acconten-
ta di compilare queste tradizioni: le organizza in un Geschichtwerk, un'opera stori-
ca complessa e coerente senza equivalenti fino a quel momento. Inoltre, sempre se-
condo Noth, il Deuteronomista struttura questa narrazione con una serie di di-
scorsi che accompagnano i principali sviluppi della storia di Israele (Gs 23-24;
1Sam 12; 2Re 17), che Noth chiama «capitoli di ricapitolazione» e che sono per-
tanto delle creazioni della mano del Deuteronomista. In questo il Deuteronomista
è molto più che un redattore nel senso tradizionale del termine- come Noth sot-
tolinea esplicitamente. In realtà, il Deuteronomista è per Noth prima di tutto l'au-
tore di un'opera letteraria e di una riflessione teologica originale, includendo non-
dimeno un lavoro «redazionale» in senso classico. Perciò N oth può concludere che
il suo Deuteronomista «non è semplicemente un redattore, ma prima di tutto un
autore (nicht nur ein Redaktor, sondern vor allem ein Autor)».
In maniera molto interessante, si assiste a uno sviluppo simile, da molti punti
di vista, nell'esegesi del Nuovo Testamento. Poco dopo Noth, Willi Marxsen pub-
blica nel 1956 uno-studio importante sulla «storia della redazione del Vangelo di
Marco», studio che riprende e prolunga l'orientamento iniziato con le opere del-
l'esegeta e teologo tedesco Rudolf Bultmann sui vangeli. Come Noth, Marxsen in-
sorge contro la concezione predominante della sua epoca, che vede nella redazio-
125
ne dei vangeli sinottici essenzialmente un lavoro di compilazione e di raffronto a
partire da differenti fonti. Non senza ironia, una tale concezione è in realtà l'ere-
dità dei lavori di Wellhausen sui vangeli sinottici, di cui egli riprende in gran parte
il modello che aveva già sviluppato nel quadro delle sue ricerche sull'Esateuco! Ri-
conoscendo l'importanza della «storia delle forme» (Formgeschichte) applicata ai
vangeli, Marxsen insiste sul fatto che gli autori dei vangeli, anche se hanno utiliz-
zato numerose fonti, nondimeno hanno organizzato le loro fonti in un'opera coe-
rente e originale, e sono di conseguenza qualcosa di più che dei semplici compila-
tori. Per rendere giustizia a questa osservazione, egli propone di distinguere una se-
conda tappa nell'analisi, affianco alla storia delle forme, che consiste nell'analizza-
re il lavoro degli specifici redattori dei vangeli, in altre parole la maniera in cui han-
no arrangiato, interpretato ed eventualmente revisionato le loro fonti. Analoga-
mente alla Formgeschichte, Marxsen propone di chiamare questa tappa Reda-
ktionsgeschichte o «storia della redazione».

3.2. Lo sviluppo dell'analisi redazionale


nella seconda metà del XX secolo: alcune brevi considerazioni

L'opera di Marxsen rappresenta una svolta nella ricerca sui vangeli e avrà un
influsso considerevole sull'esegesi neotestamentaria (su questo sviluppo si veda ad
es. Perrin). Gradualmente, l'interesse per la storia della redazione si impone anche
agli esegeti dell'Antico Testamento durante la seconda metà del XX secolo. Non
potendo presentare questa evoluzione nel dettaglio, ci accontenteremo di fare al-
cuni esempi rappresentativi.

3.2.1. La «storia deuteronomista» (SD)

_ L'ipotesi di una «storia deuteronomista» (SD) sarà accettata pressoché all'u-


nanimità nella gran parte della seconç:la metà del XX secolo. Tuttavia, vari autori
cercheranno di precisare la genesi redazionale di questa storia, distinguendo ad
esempio tra una redazione preesilica e una redazione esilica (scuola di F.M. Cross),
o ancora tra due o tre redazioni esiliche (scuola detta di «Gottingen»; per una sto-
ria della ricerca dettagliata cf. Romer '---de Pury). Oggi l'ipotesi di una SD, nel sen-
so di Noth, è molto più contestata e molti autori rimettono in questione l'idea che
i primi capitoli del Deuteronomio (Dt 1-3) avrebbero formato l'inizio di un'opera
coerente che si estendeva sino alla fine dei libri dei Re (cf. ad es. Frevel). Spesso

126
r questi autori preferiscono tenere in considerazione un modello secondo il quale la
storia delle origini di Israele sino all'esilio cominciava non tanto nel libro del Deu-
teronomio, ma piuttosto nel libro dell'Esodo (Es-2Re) o anche a partire dalla Ge-
l nesi (Gen-2Re; si parla in questi casi di «Enneateuco»; cf. Gertz). Tuttavia, la stra-
grande maggioranza degli studiosi continua ad àmmettere l'esistenza di una o va-
! rie redazioni di tipo «deuteronomista» nei libri di Giosuè sino a 2 Re, redazioni che
hanno giocato un ruolo essenziale nella formazione della collezione dei Profeti an-
teriori; semplicemente, queste redazioni non sono più necessariamente legate a un
l progetto storiografico così preciso come quello che vedeva Noth.

3.2.2. I Profeti posteriori (corpus propheticum) e il Salterio

L'interesse per la storia della redazione è particolarmente manifesto nel ca-


so della ricerca sui profeti. A partire dagli anni '70 del secolo scorso, l'interesse per
la vita del profeta e per il suo discorso diviene sempre più secondario. Al suo po-
sto appaiono molti lavori che si sforzano di trattare nel dettaglio un aspetto della
storia redazionale di un libro profetico, come anche di offrire un modello di in-
sieme per questa storia (cf. ad es. Vermeylen su Is 1-39 o Pohlmann su Ger ed Ez)
o, in maniera più generale, per l'insieme del corpus propheticum (Steck 1991 ). Più
che l'identificazione di un supposto nucleo «autentico», ciò che importa è rintrac-
ciare le principali tappe del processo di trasmissione attraverso il quale questi li-
bri hanno raggiunto la loro forma canonica (su questo sviluppo, si veda in manie-
ra generale Konrad Schmid). Per questo l'esegesi si sforza di identificare le gran-
di redazioni che hanno successivamente dato forma a questi libri e di caratteriz-
zarle dal punto di vista ideologico, vale a dire di caratterizzare le loro principali

127
tendenze religiose e politiche. Inoltre, come già nel caso dei «Capitoli di riflessio-
ne» introdotti dal Deuteronomista secondo Martin Noth, l'attività dei redattori
dei libri profetici non si limita a qualche versetto, ma può includere capitoli inte-
ri. Così ad esempio, secondo Steck (1985), Is 35 sarebbe stato interamente com-
posto da un redattore al momento dell'accostamento del «Primo» e del «Secon-
do» Isaia (Es 1-39* e 40-55*).
Oltre ai tre grandi profeti (Is, Ger ed Ez), il caso dei Dodici piccoli profeti (=
XII) è ancor più impressionante: mentre sino a poco tempo fa l'esegesi si interes-
sava quasi esclusivamente a ogni singolo profeta individualmente (Osea, Gioele,
Amos, ecc.), la ricerca recente si interessa invece, con una certa priorìtà, alla ma-
niera (secondo quali modalità) in cui il corpu$_dei XII si è costituito, cercando di
ricostruire la storia redazionale di questo corpus (cf. Nogalski e, più recentemen-
te, ad es. Wohrle ). L'attenzione degli esegeti si focalizza così su parole gancio o
motivi ricorrenti (come il tema del «giorno di YHWH») nel caso dei XII, che so-
no la testimonianza di una volontà da parte degli scribi, che hanno copiato e tra-
smesso questi testi, di arrangiarli secondo un certo ordine e una certa logica. In
questa prospettiva, il problema di distinguere tra materiale «autentico» e «non au-
tentico» diviene secondario, se non accessorio; la questione centrale diviene piut-
tosto quella di sapere come i redattori successivi hanno voluto che i libri profeti-
ci che tr~smettevano fossero compresi e interpretati dai lettori o ascoltatori della
loro epoca.
La medesima constatazione vale, mutatis mutandis, per altre grandi collezioni
dell'Antico Testamento, come ad esempio quella dei Salmi, o ancora quella dei
Proverbi. Contrariamente alla ricerca antica, la ricerca recente dà una certa prio-
rità non più ai Salmi individuali ma alla costituzione, in varie tappe, del Salterio co-
me antologia che presenta una struttura coerente (cf. Zenger e, più recentemente,
ad es. Marttila). In maniera molto interessante, queste ricerche trovano inoltre ap-
poggio nella tradizione manoscritta, la quale attesta che la maniera di concepire e
di organizzare queste collezioni ha continuato a essere oggetto di un dibattito du-
rante tutta l'epoca del secondo Tempio. Nel caso dei XII, per ·esempio, il TM e la
LXX hanno preservato delle organizzazioni concorrenti dell'ordine dei profeti, le
quali potevano rispondere apparentemente a logiche distinte; uno dei rotoli dei
XII ritrovato a Qumran, 4Q76, in cui questo corpus non è concluso da Malachia ma
da Giona(!), suggerisce che potevano esistere altre forme per organizzare la col-
lezione (su questa questione, si veda in maniera generale l'opera di Jones).

3.2.3. Il Pentateuco

128
Per quanto riguarda il Pentateuco, la messa in questione del modello docu-
mentario tradizionale negli anni '70 (per la storia della ricerca, cf. Romer 1994) ha
chiaramente portato a una revisione della concezione classica del redattore come
di un compilatore di fonti. Molti autori si sono così interessati all'esistenza di even-.
tuali redazioni «deuteronomiste» (o post-deuteronomiste) nel Pentateuco, a moti-
vo dei paralleli evidenti in certi passi della Torah con i Profeti anteriori, da Giosuè
a 2 Re (si veda già Rendtorff e, ad es., Rose e Blum). Più recentemente, la discus-
sione sull'esistenza di uno strato «jahwista» nel Pentateuco ha rilanciato il proble-
ma del «redattore». Per molti autori oggi (si vedano le opere collettive edite da
Gertz, Schmid e Witte, come da Dozeman e Schmid), J non è mai esistito: certa-
mente vi sono, nel Pentateuco, tutta una serie di tradizioni presacertodali (cioè, an-
teriori allo scritto sacerdotale, P, datato classicamente nella seconda metà del VI se-
colo), ma- e questo è il punto essenziale- queste tradizioni non erano ancora com-
binate in un racconto coerente e continuo. Per questi autori, di conseguenza, sarà P
(l'autore sacerdotale) a collegare per la prima volta le tràdizioni dei patriarchi
(Gen 12-50) e quelle dell'Esodo. Se questa ipotesi è giustificata, la creazione di un
«grande racconto delle origini» che procede dalla creazione del mondo (Gen l) fi-
no alla morte di Mosè nelle steppe di Moab (Dt 34) è l'opera degli scribi che han-
no composto il' Pen.tateuco, i quali hanno combinato differenti tradizioni inizial-
mente indipendenti sulle origini dell'umanità, i patriarchi, l'esodo, il soggiorno del
popolo al Sinai, la traversata del deserto e la conquista (per questo sviluppo, si ve-
da lo stato della ricerca in Nihan- Romer). In parallelo, alcuni autori insistono og-
gi sul fatto che potevano esistere altri progetti redazionali affianco a quello del
Pentateuco, durante l'epoca persiana. Per alcuni di loro la redazione della Torah in-
cludeva all'origine il libro di Giosuè, con cui formava di conseguenza un Esateuco
(Romer, Otto, Achenbach). Altri insistono sul fatto che le redazioni che si possono
osservare nel Pentateuco si ritrovano ugualmente nei Profeti anteriori (si vedano
specialmente Schmitt, Schmid, Gertz, ecc.); per questi, i primi redattori della Torah
avevano in vista un insieme letterario molto più ampio, da Gen a 2 Re (Enneateu-
co ). In ogni caso, si osserva oggi un interesse crescente, da parte degli esegeti, per
la redazione dei «grandi insiemi narrativi» (si vedano specialmente i diversi con-
129
tributi nell'opera collettiva edita da Romer e Schmid; da paragonare ad esempio
anche con Kratz).
A dispetto della loro diversità, le differenti ricerche condotte a titolo di «sto-
ria redazionale» nella Torah, nei Profeti o nei Salmi sono una testimonianza del
profondo cambiamento che si è verificato, in qualche decennio, quanto alla· manie-
ra di considerare i redattori. Questi ultimi non sono più percepiti come dei compi-
latori di tradizioni o degli imitatori che cercano di riprodurre il pensiero e lo stile
di un modello eminente; appaiono piuttosto come degli scribi che, nella rielabora-
zione di documenti anteriori, poterono introdurre dei temi nuovi, come anche in-
serire tali documenti in composizioni originali. Quest'ultima osservazione indica
ugualmente che la parete che si era eretta, nellp. prima metà del XX secolo, tra la
«storia delle tradizioni» e la «storia della redazione» (vedi sopra) è ormai in parte
crollata. I grandi temi teologici di uri' opera non sono più necessariamente dati dal-
le fonti (orali o scritte) utilizzate dal redattore; essi possono essere introdotti facil-
mente dal redattore al momento della composizione della prima versione di que-
st'opera, o da un redattore ulteriore durante il processo di trasmissione. In altri ter-
mini, la storia della redazione è d'ora innanzi parte integrante della «storia della
tradizione», nel senso etimologico di questo termine.
Questo stesso cambiamento di percezione è strettamente legato all'evoluzio-
ne della ricerca veterotestamentaria nella seconda metà del XX secolo. Fino a quel
momento, le epoche del primo Tempio e della monarchia erano considerate come
il grande periodo di attività letteraria dell'Israele antico; Gerhard von Rad, ad
esempio, aveva divulgato l'idea che Salomone fosse simile a un sovrano illumina-
to, il quale aveva incoraggiato la produzione di numerose opere letterarie, tra le
quali specialmente l'opera dello «jahwista» (J). Tanto gli scribi del primo Tempio
erano vicini, storicamente parlando, alle grandi tradizioni epiche dell'epoca pre-
monarchica (patriarchi, esodo, conquista), quanto gli scribi del secondo Tempio ap-
parivano invece distanti dalle origini della letteratura biblica. Le scoperte archeo-
logiche, le quali suggeriscono che è improbabile l'esistenza di un;attività letteraria
importante nel piccolo regno di Giuda all'epoca del primo Tempio prima del VII
secolo a.C., rovesciano questo schema: ormai, l'epoca del secondo Tempio- e spe-
cialmente l'epoca della dominazione persiana (achemenide) in Giudea- appare al
. contrario sempre di più come la principale matrice della letteratura biblica. Inol-
tre, la possibilità di ricostruire sistematicamente le tradizioni antiche presenti in
una data opera è vista con maggiore scetticismo. In questo senso non è un caso che
l'interesse crescente degli esegeti per la storia redazionale corrisponda, simulta-
neamente, alla rimessa in causa del metodo detto della «critica delle forme» che,
nella sua forma classica, non è più praticato oggi se non in maniera molto margi-
nale (si veda il capitolo sulla storia delle forme e dei generi in questo volume).

3.3. La «storia della redazione»


secondo la tradizione manoscritta e i paralleli extrabiblici

130
L'analisi redazionale si fonda essenzialmente su dei criteri interni, che saran-
no descritti nel dettaglio nella sezione seguente (§ 4). Nondimeno, in molti casi la
tradizione manoscritta ha conservato la testimonianza della storia redazionale di
alcuni libri biblici (si veda anche il capitolo sulla critica testuale in questo volume).
Il libro di Geremia, ad esempio, si presenta sotto due forme molto differenti nel
TM e nella LXX; la versione del TM è significativamente più lunga di quella della
LXX ed è generalmente considerata come secondaria dagli specialisti in rapporto
alla LXX, la quale risalirebbe a un originale ebraico più breve e più antico. Ciò si-
gnifica che la versione di Geremia conservata nel TM è il risultato di una revisio-
ne che, a un certo stadio della trasmissione di questo rotolo, sviluppa alcuni oraco-
li e ne introduce di nuovi. Inoltre, nella misura in cui numerose aggiunte del TM
presentano un linguaggio e una tendenza teologica simili (ad es. l'insistenza sulla
restaurazione della dinastia davidica), si può legittimamente far risalire la revisio-
ne da cui proviene il TM a una redazione d'insieme che, basandosi sulla versione
breve della LXX, l'ha rielaborata e amplificata (Bogaert, Schenker). Dei fenome-
ni simili di revisione e di amplificazione nel corso della trasmissione dei testi sono
abbondantemente attestati dall'Antico Testamento, sia attra,verso la LXX che tra-
mite i manoscritti biblici ritrovati a Qumran, alcuni papiri greci antichi (ad es. il pa-
piro 967 nel caso di Ezechiele, cf. Lust), così come certi manoscritti palinsesto del-
la Vetus latina (Bogaert).
In realtà, questi processi redazionali non sono limitati alla tradizione biblica:
si incontrano ugualmente nella letteratura extracanonica e più generalmente nella
letteratura del vicino oriente (su questa problematica generale, si veda anche l'ar-
ticolo di Kratz). Per quanto riguarda la letteratqra giudaica extracanonica del se-
condo Tempio, l'esempio più famoso è senza dubbio quello del libro di Enoch .

.l 131
Questa antologia di tradizioni apocalittiche giudaiche dell'epoca del secondo Tem-
pio ci è arrivata gradualmente attraverso differenti manoscritti o frammenti di ma-
noscritti, in aramaico, greco, copto, siriaco ed etiope, senza contare differenti cita-
zioni e riferimenti nella letteratura greca e latina. L'analisi e il confronto di queste
tradizioni manoscritte permettono di ricostruire, in una certa misura, la storia re-
dazionale di questa antologia, le cui parti più antiche sono generalmente identifi-
cate con il libro detto dei «Vegliardi» (JEn 6-36), anch'esso chiaramente composi-
to, come anche conii «Trattato astronomico» (lEn 72-82). Molti esempi simili po-
trebbero essere menzionati, come il «Documento di Damasco», preservato in due
documenti della geniza del Cairo (A e B) e attestato da sette copie differenti in
Qumran 4Q266-272 (su questo punto, si vedaspecialmente Hempel), illibto dei
Giubilei, ecc. Infine, il medesimo fenomeno è attestato in alcune tradizioni lettera-
rie del vicino oriente. Un esempio celebre è quello dell'epopea sumero-accadica di
Gilgamesh: le differenti tavolette che sono state ritrovate attestano che questa epo-
pea, regolarmente copiata tra il III e il I millennio a.C., è stata sviluppata gradual-
mente e amplificata nel corso della sua trasmissione, secondo un processo che è
possibile ricostFuire nelle sue grandi linee, almeno fino a un certo punto (Tigay,
George ). Accanto a questo esempio classico, si potrebbe menzionare la leggenda di
Atrahasis o, per la letteratùra dell'Egitto antico, il Libro dei morti, di cui sono sta-
te ritrovate ugualmente varie versioni che sembrano essere la testimonianza di una
storia redazionale complessa.
Thtti questi esempi sono importanti, nella misura in cui offrono una conferma
indiscutibile dell'esistenza di processi redazionali nell'antichità. Questa osservazio-
ne si scontra particolarmente con le pubblicazioni recenti di Van Seters (2003, 2006;
si veda in particolare la risposta critica di Ska), il quale propone di rigettare il con-
cetto di «redattore» a vantaggio di quello di «autore», senza mai discutere davve-
ro le testimonianze manoscritte di cui si è parlato. In un certo senso, la concezione
attuale della storia della redazione riprende e continua un'intuizione antica, che re-
sta profondamente corretta: l'Antico Testamento non è una letteratura d'autore
(pace Van Seters), nel senso moderno del termine, ma una letteratura di «tradizio-
ne» (Traditionsliteratur), la cui origine deriva da un processo di amplificazione e at-
tualizzazione continua. La storia della redazione non può ricostruire questo pro-
. cesso nei minimi dettagli, ma può nondimeno sforzarsi di identificarne le principa-
li tappe sulla base di alcune indicazioni interne. E questi sono appunto gli elemen-
ti metodologici che stiamo per presentare.

4. Presentazione del metodo: l'analisi

L'osservazione secondo la quale numerosi testi della Bibbia ebraica compor-


tano dei doppioni, delle tensioni, come delle incoerenze e delle contraddizioni in-
terne, è antica tanto quanto la recezione di questi testi. Già gli scribi antichi che
hanno copiato e trasmesso le differenti versioni della Bibbia ebraica (cf. il capito-
lo sulla cfitica testuale) hanno regolarmente cercato di armonizzare queste tensio-
ni dando luce a ciò che la critica testuale chiama lezioni «facilitanti». Allo stesso
'
modo, durante l'epoca del secondo Tempio, la complessità letteraria della Torah ha
generato tutta una letteratura secondaria in parte destinata ad armonizzare, a spie-

132
gare, o ancora a relativizzare una tale complessità. È il caso dei numerosi mano-
scritti ritrovati nelle grotte della comunità di Qumran, davanti al Mar Morto, di cui
l'esempio più famoso è senza dubbio il «rotolo del Tempio»(= llQT). Questo ro~
tolo presenta una revisione della rivelazione di Dio a Mosè sul monte Sinai, che si
· sforza specialmente di integrare sistematicamente le istruzioni parallele del Deu-
teronomio, come in certi casi di Ez 40-48. Dopo la distruzione del secondo Tempio
la discussione sulle tensioni del testo biblico occuperà ugualmente un posto im-
portante nella letteratura rabbinica, così come per i padri della Chiesa e i com-
mentatori cristiani del medioevo. Nondimeno, l'analisi metodologica di queste ten-
sioni così come il tentativo di correlarle alla genesi del testo sono strettamente as-
sociati alla critica storica che si sviluppa particolarmente nei secoli dell'illuminismo
europeo, e che sì applicherà anzitutto all'analisi del Pentateuco.

4.1. l criteri di analisi

In maniera generale, l'esegesi critica della Bibbia ha sviluppato e reso raffr


nata una criteriologia che si basa su vari indizi e segnali che suggeriscono la pre-
senza di un lavoro redazionale all'interno di un testo. Presenteremo una breve ras-
segna dei principali criteri elaborati dall'esegesi storico-critica, accompagnati da al-
. .
cum esempi.

4.1.1. Presenza di due tradizioni parallele

In molti casi vi sono all'interno dello stesso libro due tradizioni simili. Più
spesso, si tratta di due racconti, come nel caso dei due racconti del diluvio.in G~n
6-9; ma si può trattare ugualmente di testi legali, oracoli profetici, ecc. Ad esempio,
la Torah ha preservato due versioni del Decalogo, Es 20 e Dt 5, che sono notevol-
mente vicine anche se vi sono alcune differenze, specialmente in ciò che concerne

133
-··-·~----

la giustìficazione del sabato: In Ez sì trova due volte un oracolo simile in cui si ac-
cusa Gerusalemme dì essere stata idolatra, paragonando la città a una donna infe-
dele. La presenza di due tradizioni parallele all'interno di un libro è un forte indi-
zio che suggerisce che un tale libro è stato oggetto di revisioni. Due tipi di situa-
zione si possono ravvisare: si può trattare di due tradizioni indipendenti in origine,
che un redattore ha più tardi cercato di combinare in un medesimo documento; op-
pure una delle due tradizioni è costituita dalla mano del redattore il quale, inte-
grando alla sua composizione la tradizione originale, cerca di proporne una revi-
sio:p.e componendo una tradizione «alternativa».

4.1.2. Doppioni e tecnica del Wiederaufnahme

134
Questa nozione è vicina a quella di «tradizione parallela», ma è al contempo
più completa e più precisa. Si parla di «doppioni» quando due passi di un testo bi-
blico sono formulati in maniera quasi identica; si può trattare di due passi molto
brevi o, al contrario, considerevolmente più lunghi. In senso stretto, i due racconti
di creazione in Gen 1-3, ad esempio, non rappresentano un caso di doppione, la lo-
ro tematica non è veramente identica (la prospettiva del secondo racconto è mol-
to più «antropocentrica»), il linguaggio e le concezioni espresse sono fondamen-
talmente distinti; per questo motivo si parla piuttosto di una «tradizione parallela».
Nondimeno, è vero che la distinzione tra «doppione» e «tradizione parallela» è a
volte difficile da mantenere; le due versioni del Decalogo rappresentano un ottimo
esempiO.
Il doppione è ugualmente un indizio importante per l'analisi redazionale. Dal
punto di vista della storia redazionale di un testo il doppione può avere molteplici
funzioni. Ad esempio, un redattore può cercare di reduplicare un passaggio più an-
tico per correggerlo in maniera sottile introducendo delle sfumature in più. Si trat-
ta di una tecnica molto apprezzata, specialmente nelle collezioni legali del Penta-
teuco.

È interessante notare che questi due passi si trovano in due parti del Leviti-
co che sono attribuite a redazioni differenti: il codice «sacerdotale» (P) da un la-

135
to, in Lv 1-16; e il «codice di santità» (H) dall'altro,Lv 17-26.1 paralleli sono ta-
li che gli esegeti sono generalmente d'accordo nell'affermare che un passo dipen-
de dall'altro. Se si considera (con la maggioranza degli esegeti oggi) che Lv 19,5-
8 dipende da Lv 7,16-18, si può notare allora che il redattore che ha composto Lv
19 riproduce Lv 7· per introdurre due elementi nuovi. Innanzi tutto, giustifica la
sanzione già adottata nella prima versione: il colpevole deve «portare la sua col-
pa» (1i~ ~IL'J: un'espressione tecnica che designa una tipologia precisa di castigo che
non può essere espiato) perché ha «profanato ciò che era consacrato a YHWH»,
spiegazione assente in Lv 7. Inoltre, il redattore del capitolo 19 irrigidisce la san-
zione: il colpevole deve non solo «portare la sua colpa», ma sarà inoltre «elimina-
to dalla sua parentela»- anche in questo caso,, un'espressione tecnica per un certo
tipo di castigo, che non era indicato in Lv 7. Se al contrario si pensa che sia il re-
dattore del Lv a ispirarsi a Lv 19, si può vedere quanto il suo scopo principale sia,
. da una parte, introdurre la distinzione tra due forme di sacrificio o~~~~ n~t (lo n~r.
«votivo» e lo n~! «spontaneo») e, d'altra parte, precisare perché il sacrificio di pa-
ce consumato il terzo giorno non può più essere gradito («sarà divenuto della car-
ne avariata»).

Un altro uso importante ad opera dei redattori corrisponde alla tecnica reda.:.
zionale designata dagli esegeti sotto il nome di Wiederaufnahme, o «ripresa ripeti-
tiva» (si veda specialme:t;1te Kuhl; anche Levinson). La Wiederaufnahme è tipica-
mente una tecnica di amplificazione: il redattore riproduce un brano del docu-
mento su cui lavora al fine di introdurre uno sviluppo nuovo tra i due passi paral-
leli. La Wiederaufnahme costituisce, di conseguenza, un caso particolare di dop-
pione: la ripetizione di un dato brano forma un «quadro» redazionale all'interno
del quale un nuovo sviluppo può· essere introdotto. Questa tecnica redazionale è
molto frequente nell'Antico Testamento; è anche, verosimilmente, una delle tecni-
che favorite dai redattori. La si trova specialmente nei testi narrativi e nelle colle-
zioni di leggi, ma la si può incontrare anche in altri tipi di testi: oracoli profetici, sal-
mi, proverbi, ecc.

136
Si noti, di passaggio, conie la ripetizione degli elementi di 6,10-13 in 6,26-3 sia
ancora una volta l'occasione per il redattore di introdurre alcuni motivi nuovi. Ad
esempio, secondo 6,26,.Mosè e Aronne non hanno semplicemente ricevuto l'ordi-
ne di far uscire Israele dall'Egitto, come afferma 6,11.13, ma di far uscire gli israe-
liti «secondo le loro schiere» (oç~~~-'?.\!). Questa precisazione può sembrare un
dettaglio, ma introduce in realtà un tema che sarà ripreso e sviluppato dal segui-
to del racconto dell'esodo, secondo il quale Israele era già organizzato come
un'armata al momento dell'esodo. Cf. ad esempio Es 12,41: «E dopo quattrocen-
totrenta anni, in quel giorno preciso [cioè la notte.di Pasqua], tutte le schiere di
YHWH (ir'l;i; ni~~~-Z,~) uscirono dal paese d'Egitto».
Qual è il senso di questo modo di procedere? In realtà, la ripetizione dell'o-
biezione di Mosè in Es 6,30 ha una funzione molto precisa. Tra le due obiezioni un ·
redattore inserisce un lungo sviluppo, in cui si presenta la genealogia di Levi, l'an-.
tenato di Mosè e di Aronne, e, più in generale, della dinastia sacerdotale; in ma-
niera significativa questa genealogia comincia proprio dopo 6,13 in 6,14 e termina
proprio prima di 6,26-30, in 6,25. L'introduzione di questa genealogia ha una fun-
zione ben precisa nel contesto del racconto del Pentateuco, poiché presenta in mo-
do particolare molti dei discendenti di Levi che saranno menzionati più tardi, che
giocheranno cioè un ruolo decisivo, come Eleazaro, uno dei figli di Aronne che suc-
cederà a suo padre in qualità di gran sacerdote secondo il racconto di Numeri (cf.
Nm 20,22-26; e 27,12-23). Inoltre, la genealogia di Levi termina con Pincas, figlio di
Eleazaro, ultima grande figura sacerdotale secondo il racconto delle origini di
Israele (Nm 25,6-15). Vi è solo il fatto che l'introduzione di questa genealogia in ta-
le posizione solleva un problema, poiché si inserisce tra l'obiezione di Mosè in 6,12
e la risposta di YHWH in 7,1-5. La ripetizione di questa obiezione in 6,30- e, più
in generale, la ripresa libera dell'insieme di 6,10-13 in 6,26-30- permette di risol-
vere questa difficoltà, ristabilendo la sequenza narrativa primitiva. Detto altrimen-
ti, la Wiederaufnahme di 6,12 in 6,30 inquadra e giustifica l'interpolazione della ge-
nealogia di Levi in 6,14-25, presentando in qualche modo quest'ultima come una
parentesi nel racconto sacerdotale dell'esodo.
137
Qui abbiamo un caso di doppione particolarmente sottile. Da una parte, la ri-
petizione di 27,2-3 in 27 ,4.8 serve a modificare la localizzazione delle pietre erette
per ordine di YHWH. Questa reinterpretazione sarà allora una fonte di confusio-
ne continua per la tradizione successiva. Eusebio di Cesarea, nel suo Onomastikon
(IV sec. a.C.), sarà testimone di una tradizione per cui i monti Ebal e Garizim, che
si trovano vicino a S~chem (attuale Nablus), in origine erano in realtà prossimi al
Giordano! D'altra parte, nondimeno, la ripetizione dei vv. 2-3 nei vv.·4 e 8 ha una
funzione ~upplementare: inquadra un'aggiunta, i vv. 5-7, che dà istruzione di co- .
struire un altare sul monte Ebal/Garizim. In questo senso, questa ripetizione è
ugualmente, e simultaneamente, un caso particolare di Wiederaufnahme. Se si ag-
giunge che lo sviluppo così introdotto riguardo alla costruzione dell'altare non è
formulato liberamente ma riprende esso stesso, invertendolo, il linguaggio e la for-
mulazione di un 'altro passo biblico in Es 20,24-26, la legge sull'altare che introdu-
ce il «codice dell'alleanza» in Es 20-23 inserendo un'allusione ai differenti passi nel
Deuteronomio che menzionano la gioia del popolo riunito davanti all'altare di
YHWH (Dt 12,12.18; 16,11), si avrà un'idea del grado di sofisticazione dei proces-
si e delle tecniche redazionali impiegate da alcuni scribi. ..

138
4.1.3. Tensioni e contraddizioni interne
Si tratta di un altro èriterio più rilevante dell'analisi redazionale, ma che è più
difficile da impiegare sotto certi aspetti. Innumerevoli testi nell'Antico Testamen-
to presentano contraddizioni interne o tensioni logiche. Ad esempio, secondo 1Sam
15,35 Saul e Samuele non devono più rivedersi sino alla loro morte, mentre in
19,18-24 sono di nuovo a confronto. Secondo Es 6,3 Dio non si è rivelato con il no-
me personaie «YHWH» prima di Mosè; ma secondo Gen 5,26l'umanità comincia
a venerare YHWH con il suo nome prima dello stesso diluvio! Secondo Dt 31,2
Mosè, al momento della sua morte, era profondamente colpito dalla vecchiaia; non
poteva più «né tenersi in piedi, né camminare» (v. 2a); ma 34,7b ci presenta una vi-
sione assolutamente differente: malgrado l'età avanzata, «la sua vista non era di-
minuita e la sua vitalità non l'aveva lasciato». Si potrebbero facilmente moltiplica-
re gli esempi dello stesso tipo. È innegabile che in molti casi queste contraddizioni
sono l'indizio sia di tradizioni differenti assemblate da un redattore, sia della pre-
senza di redazioni concorrenti all'interno della stessa opera. La divergenza nelle
concezioni della rivelazione del nome divino, per esempio, è un argomento classi.,.
co per identificare le due principali fonti del Pentateuco. In particolare, l'idea per
cui YHWH si sarebbe rivelato come tale a Mosè per la prima volta nella storia del-
l'umanità è caratteristica del documento «sacerdotale» nel Pentateuco.

139
Nondimeno, l'uso di questo criterio solleva molte difficoltà metodologiche.
Ne menziono brevemente tre.
a) La tensione può far parte integrante della logica di un testo, specialmente
nel caso dei racconti. Secondo Es 40,34-35 Mosè non può entrare nel santuario mo-
bile che è stato appena costruito dagli israeliti ai piedi del monte Sinai, perché que-
st'ultimo è «pieno della gloria (ii:!~) di YHWH»; ma secondo Lv 9,23 Mosè è im-
provvisamente autorizzato a entrare nel santuario in compagnia di Aronne. La ten-
. sione tra questi due passi serve, in realtà, a sottolineare lo sviluppo narrativo che
prende piede tra Es 40 e'Lv 9: con la rivelazione da parte di Dio a Mosè delle istru-
zioni per i sacrifici (Lv 1-7), la consacrazione dei primi sacerdoti (Lv 8) e l'inau-
gurazione del culto sacrificale (Lv 9), una forma di comunicazione si è ormai sta-
bilita tra YHWH e Israele. Di conseguenza, Mosè e Aronne sono ormai autorizza-
ti ad avvicinarsi alla divinità. Interpretare questa tensione come un indizio di due
redazioni differenti, in Es e in Lv, significa oltrepassare senza comprendere la logi-
ca narrativa dello scritto sacerdotale.
b) Inoltre bisogna sempre tener conto del contesto letterario ed enunciativo
proprio dei due passi che sembrano contraddirsi. A esempio, un errore spesso corri-
messo dagli esegeti è di non tener conto del piano discorsivo: in altre parole, è ne-
cessario sapere chi parla. Così, nell'esempio menzionato in precedenza a proposi-
to della salute di Mosè al momento della sua morte, si noterà che in Dt 31,2 è Mo-
sè a parlare, mentre in pt 34,7 è il narratore del Pentateuco. Di conseguenza, più
che un indizio di due redazioni distinte potrebbe trattarsi di una maniera, per il
narratore, di suggerire che Mosè ha deliberatamente esagerato la sua decadenza fi-

140
sica per giustificare!' abbandono della sua carica prima di aver condotto il popolo
nella terra promessa.
c) Infine, come lettori moderni, noi corriamo sempre il rischio di sopravvalu-
tare alcune tensioni, dimenticando che la cultura in cui i testi biblici hanno visto la
luce è profondamente differente dalla nostra, e che ciò che ci sembra una contrad-
dizione non lo era necessariamente per gli ascoltatori e i lettori di tali racconti.
Quest'ultima precisazione non significa chiaramente che si debba rinunciare al-
l'applicazione del procedimento tipico del metodo storico critico all'Antico Testa-
mento", come sostiene oggi la maggior parte degli esegeti conservatori; indica sem-
plicemente che le osservazioni che si reggono su contraddizioni interne al testo de-
vono sempre essere valutate còn una certa prudenza. L'ideale sarebbe confermare
questo tipo di osservazioni con altri indizi, come la presenza di doppioni o il cam-
biamento di stile e di linguaggio (cf. § seguente).

4.1.4. Cambiamento di stile e/o di linguaggio


Questo criterio è ugualmente centrale; presenta inoltre il vantaggio di essere
più formale del precedente. In molti casi le differenze di stile e di linguaggio in seno
a un medesimo libro sono evidenti, anche per degli ebraisti dilettanti. Il documento
sacerdotale si distingue, all'interno del Pentateuco, per il suo lessico, la sua sintassi,
così come per certe particolarità stilistiche quale l'uso abbondante delle liste (ge-
nealogie, cronologie, liste di sacrifici, ecc.). Allo stesso modo il linguaggio della scuo-
la deuteronomista nei Profeti anteriori è facilmente identificabile con espressioni ca-
ratteristiche come «ascoltare/non ascoltare la voce di YHWH», «fare il bene/il male
agli occhi di YHWH», <<custodire il comando/i comandi di YHWH», ecc. La stessa
constatazione vale per altri libri o altre collezioni; lo stile del Secondo Isaia (Is
40--c-55), ad esempio, è molto differente da quello del Primo Isaia (cc. 1-39).

141
Questa osservazione può essere interpretata in varie maniere. Tradizional-
mente, gli esegeti hanno considerato Lv 11,43-45 come appartenente in origine al
cosiddetto «codice di santità» in Lv 17-26, e che questo frammento sarebbe stato
spostato in seguito dal redattore del Pentateuco come esortazione finale della tora
di Lv 11. Oggi gli esegeti tendono a preferire un'altra spiegazione: questo passo sa-
rebbe stato aggiunto, con alcuni altri (cf. ad es. Es 12,14-20; 12,43-49; 31,12-17; Lv
16,29-34a; ecc.), da una redazione che riproduce lo stile e il linguaggio del cosid-
detto «codice di santità» in Lv 17-26. Questa redazione completa certe leggi «sa-
-cerdotali» (P) importanti, come la Pasqua in Es 12 o il grande rituale di purifica-
zione del santuario in Lv 16, per armonizzarli con la teologia del codice di santità.
In tutti i casi, queste due spiegazioni si accordano su un punto essenziale: il cam-
biamento di registro stilistico e dellinguaggioimprovviso che appare in Lv 11,43-
45 è un indizio molto chiaro del carattere secondario di questo brano all'interno di
Lv 11 e, più in generale, del documento sacerdotale.
Oggi il criterio stilistico è privilegiato da certi esegeti nella misura in cui è il
più formale, e quindi il meglio controllabile da un punto di vista metodologico ri-
spetto ai criteri di ordine tematico, come le contraddizioni interne a un testo. Que-
sta osservazione è pertinente sino a un certo punto (si vedano le precedenti preci-
sazioni nel§ 3). Nondimeno, sarebbe falso voler separare completamente il crite-
rio dello stile dalle osservazioni che riguardano il contenuto. Al contrario, diffe-
renze stilistiche sono molto spesso strettamente legate a divergenze teologiche fon-
damentali, come si vede già nel fatto che P non impiega mai, ad esempio, la for-
mula n.,l~ n1:J (cf. Esempio 5). Inoltre il criterio stilistico non sarebbe più da im-
piegare in maniera assoluta. Da una parte, i cambiamenti di stile e/o di linguaggio

142
all'interno di un testo possono essere allo stesso modo comandati da considerazio-
ni di ordine interno: cambiamento di soggetto, cambiamento di registrO narrativo o
discorsivo, ecc. D'altra parte, proprio come gli autori moderni, gli scribi antichi non
erano vincolati a un'omogeneità stilistica totale. Nei testi tardivi, in particolare, si
osserva molto spesso una grande varietà di stili e di linguaggi: i redattori si ispira-
no liberamente a differenti tradizioni letterarie, che essi combinano con uno spiri-
to di sintesi. Riguardo a tali testi, l'applicazione del criterio stilistico diviene fre-
quentemente difficile, se non impossibile.

4.1.5. Cambiamento di genere letterario


Questo criterio è in voga da molto tempo, sotto l'influsso della «critica delle
forme»- e a uno sguardo attento rappresenta di fatto un'importazione della Form-
geschichte all'interno dell'analisi redazionale -,sebbene oggi venga visto sempre
con maggior sospetto; In teoria la presenza in un testo di un passo che esibisce un
genere letterario distinto- ad esempio, la presenza di un inno o di un testo poeti-
co all'interno di un racconto - può segnalare che questo elemento del testo sia sta-
. to introdotto da un redattore. Nondimeno, in senso ancora più esteso rispetto al ca-
so del criterio stilistico (cf. sopra§ 4.1.4), un tale cambiamento di registro può spie-
garsi mediante considerazioni interne, e questo criterio deve essere applicato con
prudenza. Saremo attenti, allora, a considerare altri fattori, come il linguaggio del
passo incriminato così come la sua relazione con l'insieme della pericope in cui si
trova inserito.

143
4.1.6. Nuovi sviluppi all'interno di un testo
Può accadere che un redattore corregga un testo introducendo un nuovo svi-
luppo. Spesso questi sviluppi non hanno che un rapporto superficiale con il resto
del testo e riflettono visibilmente altre preoccupazioni o altre problematiche. Inol-
tre essi sonò a volte introdotti da formule che sottolineano il loro aspetto di sup-
plementi a ciò che precede: «X disse ancora» o «X parlò una seconda volta», ecc.
L'inserzione di tali sviluppi da parte di un redattore è abbondantemente illustrata
dai manoscritti esistenti. Nondimeno, questo criterio è spesso difficile da control-
lare, nella misura in cui l'autore di un testo non è obbligato a limitarsi a un tema
unico ma può anche trattare di temi secondari, se non di annessi. Al di fuori di quei
casi in cui un passo presenta un evidente carattere. di supplemento, questo criterio
va maneggiato con prudenza. Anche in questo caso l'ideale sarebbe combinarlo
con altri indizi, come il cambiamento di linguaggio.

144
Ma, come mostra immediatamente questa tabella, Gen 22,15-18, riprendendo
e amplificando altri passi del ciclo di Abramo, introduce un elemento nuovo: ormai
la promessa di una discendenza numeròsa è riletta in funzione al racconto che pre~
cede. È perché (cf. 1~t$ :!p.V., v. 18b) Abramo ha «ascoltato la voce» di YHWH, ac-
cettando di condurre suo figlio !sacco al sacrificio, che Dio lo ha scelto come ante-
nato di una discendenza innumerevole- nozione senza parallelo sino a questo pun-
to nel ciclo di Abramo. In questo senso, l'interpolazione dei vv. 15-18 legittima l'in-
troduzione del racconto del sacrificio di !sacco all'interno del ciclo di Abramo,
reinterpretando il tema centrale del ciclo - la promessa di una discendenza - alla
luce di questo racconto.

4.1. 7. Interruzione di un testo


Sono frequenti nell'Antico Testamento i passi, i quali possono essere della mi-
sura di un versetto o di un capitolo, che interrompono il corso di un racconto o di
· un discorso introducendo un intermezzo senza rapporto con il resto del testo, ma
che il redattore ha desiderato introdurre in questo punto per una ragione o per
un'altra.

145
L'ampiezza dei fenomeni di interruzione può variare considerevolmente, poi-
ché può trattarsi di un solo versetto come di molti capitoli.

Si noterà, anche in questo caso, che in assenza di indizi formali questo crite-
rio rimane necessariamente molto soggettivo, poiché si basa in definitiva su una
certa concezione, da parte dell'esegeta, della coerenza d'insieme di un racconto, di
un discorso o di un libro (nell'esempio menzionato, la coerenza narrativa del ciclo
di Giuseppe in Gen 37-50). Bisogna quindi trattarlo con una certa prudenza.

4.1.8. Aggiunte isolate. Glosse e Fortschreibungen

146
I due ultimi criteri che restano da presentare non rientrano più nel campo dei_
processi di redazione in senso stretto. Essi indicano piuttosto la presenza di ag-
giunte isolate, che non sono più, di conseguenza, legate a una revisione d'insieme
di un libro o di una collezione, come nel caso, in principio, del lavoro redazionale.
-La glossa. Si chiama «glossa» un breve commento aggiunto da uno scriba in-
caricato di trasmettere il testo. Questo commentario può avere diverse funzioni.
Ad esempio, il copista può cercare di chiarire un aspetto oscuro del ·testo. Così in
1Sam 9,9 uno scriba ha tenuto a precisare che il veggente consultato da Saul per ri-
trovare le àsine perdute di suo padre è in realtà un profeta: «Una volta, in Israele,
quando qualcuno andava a consultare Dio diceva: "Andiamo dal veggente (i1~1)".
Perché il "profeta (~~:;:l~)" di oggi lo si chiamava un tempo "veggente (i1~1)"». L'au-
tore di una glossa può anche cercare di specificare con garbo o anche correggere
un elemento giudicato teologicamente forte. In 1Sam 15,11 YHWH dichiara che si
«pente» di aver scelto Saul come re (cf. anche 15,35); ma al v. 29 si legge: «Lo Splen-
dore di Israele non si smentisce né si pente, perché non è un uomo e non ha di che
pentirsi». Si tratta molto chiaramente di una glossa tardiva, introdotta dal redatto-
re che deve essere rimasto scandalizzato dall'idea che YHWH potesse sbagliarsi, e
dunque pentirsi. In generale, anche se la glossa ha una portata limitata, rappresen-
ta un elemento interessante dal punto di vista della storia della trasmissione di un
testo nella misura in cui riflette spesso la preoccupazione dei copisti di attualizza-
re il testo che essi riproducono. In questo senso la glossa anticipa, sotto certi punti
di vista, un tipo di esegesi che si incontra nella tradizione dei commentari giudaici
più tardivi, ad esempio nei Targum.
-La nozione di «Fortschreibung». Questa nozione, difficile da rendere in ita-
liano (si potrebbe~tradurre, in maniera approssimativa, con la nozione di «ri-scrit-
tura» ),·è stata introdotta da Walther Zimmerli nel suo commentario allibro di Eze-
chiele. Zimmerli utilizza questa nozione per designare tutta una serìe di passaggi
secondari, in seno allibro, che riprendono, sviluppano e amplificano l'oracolo-pro-
fetico situato immediatamente prima. Queste aggiunte, secondo Zimmerli, sono
troppo eterogenee per essere assegnate a una redazione d'insieme del libro; esse
testimoniano piuttosto una preoccupazione permanente di reinterpretazione e di
attualizzazione dei Profeti anteriori all'interno dello stesso ambiente o di una stes-
sa scuola (per Zimmerli, la scuola dei discepoli di Ezechiele). In seguito, il concet-
to di Fortschreibung è stato a volte inteso in forma più estesa. Ad esempio, alcuni
esegeti lo impiegano, nel caso dei codici legali del Pentateuco, per designare la d-
scrittura di una legge anteriore, come in alcuni casi di certe leggi del Dt da leggere
in rapporto con il «codice di Alleanza» (Lohfink). In questa accezione specifica la
Fortschreibung può allora essere parte di una redazione in senso proprio. Si vede
così, ancora una volta, che la distinzione tra redazione in senso stretto e amplifica-
zione di segmenti dei testi isolati non è sempre assoluta, e che sotto certi punti di vi- ·
sta si tratta soprattutto di una distinzione euristica.

Finora abbiamo introdotto e presentato i principali criteri che, sul piano me-
todologico, sono impiegati per la critica redazionale nel corso del suo lavoro di. ri-
costruzione della preistoria letteraria del testo. Ci restano solo da seguire le princi-
pali tappe del lavoro di critica redazionale, considerando in ordine la fase dell'a-
nalisi propriamente detta, e poi quella della sintesi.

147
4.2. La tappa dell'analisi

Il lavoro di analisi consiste, per l'esegeta, nell'esaminare accuratamente l'o-


mogeneità letteraria della pericope che studia alla luce dei criteri presentati in pre-
cedenza, come anche la natura del lavoro redazionale eventualmente presente in
questa pericope.
Praticamente l'esegeta comincia domandandosi se uno dei criteri menzionati
si applichi alla pericope studiata. Se non è così, la pericope può essere considerata
···- come letterariamente omogenea: non è sta~a ogg~tto di un processo di rielabora-
zione redazionale. Se al contrario si applica uno dei criteri, il testo non è omoge-
neo ma composito: in origine, due (o più) segmenti di questo testo non erano col-
legati e sono stati combinati da uno o più redattori. Nondimeno, tracce del lavoro
di sutura operata dai redattori sono ancora percettibili nel testo, e sono proprio
queste tracce che offrono un punto di partenza all'analisi redazionale.

Pericope nella sua forma finale


...................
··················•···················
······································
·····•································
·········•················•·······•···
······································
·····•································
•.••.....••..•••...
······································
.!} ~
Sutura Sutura·
redazionale
(esempio: l redazionale
l
Wiederaufnahme)

~ ~
...................
~
···························-~.·.······
···········•·•························
·································-·.-..
111111111111111111111
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
········•·•·········•·················
•..................
···············•······················ l l
Segmenti isolabili grazie all'analisi redazionale

Una volta che un testo sia stato identificato come composito e che i suoi prin-
cipali segmenti siano stati riconosciuti, l'analisi si dovrà sforzare di esaminare questi
segmenti in maniera individuale, cercando in special modo di determinare l'estensio-
ne e la natura di tali segmenti. Dove comincia e dove termina ogni segmento? E a
che cosa assomiglia questo segmento quando è considerato in se stesso? In partico-
lare, esso forma per caso un testo autonomo e coerente? Se è così, si può avere a che
fare con un documento anteriore ripreso dal redattore (cf.§ 5). Se al contrario que-
sto segmento non può essere compreso indipendentemente dal suo contesto lettera-
rio immediato, si ha necessariamente a che fare con un supplemento introdotto da
uno scriba in un testo già esistente. Se questo supplemento può essere messo in re-
lazione con altri supplementi dello stesso tipo presenti nella pericope studiata e/o
nell'insieme letterario di cui fa parte la pericope, si tratta di un'aggiunta redazionale
che mette in evidenza una redazione d'insieme; in caso contrario, si tratta di un'ag-
giunta isolata, tipo una glossa o Fortschreibung (cf. § 4.1.8).

148
Esempio di un risultatO possibile al termine di un lavoro di critica redazionale
(nel caso di un testo narrativo).
Racconto còmposito nella sua forma «finale»: 27,706 mm

Analisi dei differenti segmenti che costituiscono il racconto mediante la criti-


ca redazionale.

Altro racconto
autonomo, introdotto
da Wiederaufnahme

Supplemento
redazionale
l. Glossa Supplemento
redazionale

Racconto continuo Racconto Racconto

Una volta che questo lavoro di analisi è terminato, si tratta allora di cercare
di ricostruire l'ordine cronologico secondo il quale questi differenti elementi del te-
sto sono stati collegati gli uni agli altri - in altre parole: ricostruire la storia reda-
zionale del testo. È a questo punto che l'esegeta passa dal lavoro di analisi pro-
priamente detto a quello di sintesi.

· 5. Presentazione del metodo: la sintesi

149
La tappa di sintesi consiste nel rintracciare la storia redazionale di una data
pericope sulla base dei risultati ottenuti durante la tappa analitica. In particolare
l'esegeta deve cercare di rispondere alle quattro domande seguenti, in quest'ordì-
ne:
1. Secondo quale processo la pericope studiata ha raggiunto la sua forma fi-
nale? ·
2. Qual era lo scopo perseguito dal redattore o dai redattori che sono inter-
venuti nel processo di redazione?
3. Le differenti redazioni identificate possono essere rapportate a delle gran-
di redazioni che sono state tradizionalmente identificate nell'insieme letterario al-
l'interno del quale si inscrive la pericope studiata?
4. In generale, il contributo specifico del redattore o dei redattori nella peri-
cape studiata ci fornisce delle indicazioni sul contesto storico di queste redazioni?
Trattiamo brevemente di queste quattro domande l'una dopo l'altra.

5.1. Per determinare la natura del processo redazionale in gioco nel caso di un
testo che è stato evidentemente rielaborato, si tratta anzitutto di valutare la natu-
ra delle differenti parti della pericope isolata mediante l'analisi. Due grandi mo-
delli si possono considerare: il modello «documentario» e il modello dei «supple-
menti».

5.1.1. Nel primo caso, la pericope studiata si compone di due (o più) docu-
menti che erano indipendenti in origine e che sono stati assemblati da un redatto-
re. Questi documenti possono esser stati fusi nel testo attuale, oppure possono es-
sere stati semplicemente giustapposti dal redattore.

Modello 1: modello «documentario»

111111111111111111111

Fig. 1- Fusione di due o più documenti. Esempio: il racconto del diluvio di Gen 6-9.

111111111111111111111
lllllllllllllllllllll
Fig. 2- Giustapposizione di due documenti. Es.: i due racconti di creazione, Gen 1-3.

150
L'esempio più conosciuto di questo tipo di lavoro redazionale è certamente la
formazione del Pentateuco secondo l'ipotesi detta «documentaria». Ma un model-
lo simile è stato considerato ugualmente per molti altri libri dell'Antico Testamen-
to. Si tratta allo stesso modo del modello che considera l'ipotesi della «storia deu-
teronomista» per la formazione dei libri di Giosuè sino a 2 Re; secondo questa ipo-
tesi, questi libri sarebbero stati composti da uno o più redattori deuteronomisti sul-
la base di una serie di documenti più antichi. I libri di Samuele, ad esempio, risul-
terebbero in particolar modo dalla combinazione di differenti tradizioni su Saul in
1Sam 9-15, di una «storia dell'ascensione di Davide» (1Sam 16-2Sam 5) e di un
«racconto della successione di Davide» (2Sam 9-20). Ugualmente, gli esegeti han-
no in genere postulato che la prima versione dei libri profetici risalirebbe a un «re-
dattore» (che poteva essere il profeta stesso o uno dei discepoli) che si sarebbe in-
caricato di raccogliere differenti oracoli profetici e di editarli insieme su di un ro-
tolo che portava il nome del profeta. ·

5.1.2. Secondo tipo di situazione: un redattore rielabora un documento già esi-


stente per inserirvi elementi nuovi. Perché si possa parlare realmente di «redazio-
ne», in questo caso bisogna che questi differenti elementi secondari non siano sem-
plicemente delle aggiunte secondarie, ma facciano parte di una revisione d'insieme;
in altre parole, devono presentare sufficienti similitudini sul piano del linguaggio e
della tematica, in modo che sia possibile attribuirle a un medesimo redattore. In ca-
so contrario non si parlerà di «redazione» ma piuttosto di «glossa» o di Fortschrei-
bung (cf. §§ 4.8 e 4.9). Come è già stato sottolineato (cf. ad es. § 4.7), la misura di
tali inserzioni può variare considerevolmente, poiché si può trattare di pochi ver-
setti come di vari capitoli. Inoltre il materiale aggiunto dal redattore può essere sta-
to composto molto bene da quest'ultimo; ma il redattore può ugualmente aver ri-
preso una tradizione anteriore, sotto forma orale o scritta, che cerca di introdurre
in un documento già esistente.

151
Modello 2: modello dei «supplementi»

Aggiunta. Altro documento, Aggiunta


del redattore inserito dal redattore del redattore

Documento base Documento base Documento base

Fig. 3 - Redazione di un documento già esistente, che introduce nuovi elementi che posso-
no a) essere della mano del redattore o b) riprendere una o più tradizioni anteriori.

Questo secondo modello è quello che viene generalmente considerato dagli


esegeti per la formazione dei libri biblici che hanno conosciuto un processo reda-
zionale importante: una prima versione del libro (la sua prima «messa per iscritto>>,
se si preferisce) è gradualmente completata da una serie di redazioni successive
finché il libro raggiunge la sua forma detta «finale». Tra la prima versione e l'ulti-
ma, la struttura generale e l'intenzione di un dato libro possono variare considere-
volmente a seconda del caso; come dimostrano d'altronde le due recensioni del te-
sto di Geremia conservate nel TM e nella LXX.

152
Aggiunte introdotte dalla redazione <<pro-gola» in Ez 1-24 Supplemeti introdotti
dalla redazione <<pro-gola>>,
ritorno dall'esilio

...... ~ ~ ~ ~ ~
......
......
.......
.........
....... ..............
.........
....•.....
.........
......... ..
..
.......
......
.....
...... ............
..••...••...
.........
.........
.........
............

Ez 1-24*: collezione di oracoli di giudizio Ez 33-39*:


attribuiti al profeta Ezechiele oracoli di salvezza l
restaurazione per
Giuda ed Israele

Fig. 4- La redazione del libro di Ezechiele da parte della redazione «pro-goléi», favorevo-
le alla comunità che ritorna dall'esilio.

N ella forma canonica del libro di Ezechiele, i capitoli 25-32, tra Ez 1-24 e .
33-39, formano un insieme considerevolmente omogeneo poiché contengono esclu-
sivamente degli oracoli di giudizio non più contro Israele e Giuda, ma contro le na-
zioni vicine a Israele. Inoltre Ez 24, l'ultimo capitolo della collezione di oracoli di
giudizio contro Giuda e Gerusalemme, termina con l'annuncio di un avvenimento-
la venuta di un messaggero a Babilonia che annuncia la caduta di Gerusalemme (cf.
24,25-27)- il cui compimento è raccontato nel capitolo 33 (cf. 33,21-22). Si può quin-
di ritenere, come fanno molti autori, che la collezione degli oracoli contro le nazio-
ni sia stata inserita tra Ez 1-24* ed Ez 33-39* a uno stadio più tardivo, poiché in-
terrompe la transizione originale tra i capitoli 24 e 33. Il redattore responsabile del-
l'inserzione di questa collezione reinterpreta così lo schema bipartito imposto, all'o-
rigine, dalla prima redazione del libro di Ezechiele (giudizio di Israele e Giuda- sal-
vezza di Israele e Giuda) per trasformarlo in uno schema tripartito: giudizio di Israe-
le- giudizio .delle nazioni- salvezza di Israele. Questo nuovo sviluppo è tutt'altro
che insignificante. Si ritrova la medesima struttura tripartita in altri libri biblici (Is

153
1:_39; Ger LXX; Sof); a volte viene detto schema «proto-apocalittièo», perché sug-
gerisce che la salvezza di Israele dipende dal giudizio di altre nazioni- un tema cen-
trale in certe tradizioni apocalittiche. In altre parole, il redattore responsabile del-
l'inserzione della collezione di oracoli contro le nazioni in Ez 25-32 cerca di riorga-
nizzare il libro di Ezechiele per farlo concordare con questo schema. È chiaro che
lo scriba che inserisce Ez 25-32 non ha «inventato» tutti gli oracoli contro le nazio-
ni contenuti in questa collezione; vari indizi, specialmente a livello linguistico, sug--
geriscono che la maggior parte di questi oracoli erano in origine indipendenti; inol-
tre è possibile che questi oracoli siano stati per prima cosa assemblati in una picco-
la collezione, che è stata in seguito ripresa e rielaborata dal redattore che l'ha inse-
rita nel libro di Ezechiele. Si ottiene dunque lo schema seguente:

Oracoli contro Oracoli contro Oracoli contro


le nazioni le nazioni le nazioni

Prima collezione
di Oracoli

Redazione
«prato-apocalittica»
di Ezechiele,
responsabile
d eli 'inserzione
della collezione
Redazione «pro-gola» Redazione «pro-gola»
in Ezechiele in Ezechiele

11111111111111111111111111111
Ez 1-24*: giudizio Ez 25-32: oracoli Ez 33-39*: salvezza di Israele e
di Israele e Giuda contro le nazioni Giuda

Fig. 5- Redazione del libro di Ezechiele secondo lo schema «tri-partito» o «prato-apoca-


littico».

154
Questo esempio di un modello possibile per la formazione del libro di Eze-
chiele (o piuttosto, di una parte del libro, i cc. 1-39) è ugualmente interessante nel-
la misura in cui mette in luce la diversità e· la complessità delle tecniche impiegate
dai redattori della ~ibbia ebraica. Ad esempio, secondo questo modello la reda-
zione «pro-gola» (cf. fig. 4) rivede un documento già esistente per quanto riguarda
i capitoli 1-24, accontentandosi di intervenire puntualmente in questo documento;
al contrario, questa redazione compone più o meno liberamente una prima versio-
ne dei capitoli 33-39 che giustappone alla collezione di oracoli di giudizio contro
Giuda e Israele. Il procedimento considerato nel caso della redazione «tripartita»
o «prato-apocalittica» del libro (cf. fig. 5) è ancora distinto, e combina anche vari
tipi di attività redazionali distinte.

5.2. Una volta che l'esegeta ha determinato la natura del processo redaziona-
le in gioco nella pericope che studia, deve cercare di identificare l'intenzione dei re-
dattori che hanno rielaborato la pericope. Qui l'esegeta cerca di determinare il per-
ché del lavoro redazionale, dopo avere determinato il come. In altre parole, con
quale scopo, a che fine questi redattori hanno rielaborato documenti già esistenti?
Per questo l'esegeta deve decidere: a) qual è il tenore generale delle aggiunte at-
tribuite a una data redazione; b) in che cosa queste aggiunte modificano e reinter-
pretano la Vorlage, la base testuale che il redattore rielabora. Prendiamo come
esempio, relativamente semplice, il caso in cui un redattore riveda un documento
anteriore per inserirvi differenti elementi nuovi. In un primo tempo l'esegeta si
concentra su questi supplementi al testo primitivo. In particolare, cerca di identifi-
care delle tematiche ricorrenti all'interno di questi supplementi, che riflettano gli
interessi e le preoccupazioni dei redattori. In un secondo tempo egli deve analiz-
zare con maggiore finezza la relazione che questi supplementi intrattengono con il
loro contesto letterario immediato, cercando, anche in questo caso, di individuare
delle tendenze. Questi supplementi appoggiano, sviluppano, amplificano o, al con-
trario, correggono e rivedono un documento? Rispondendo a questi due quesiti,
l'esegeta si sforzerà successivamente di ricostruire l'intenzione che animava il re'"
dattore quando ha riscritto e trasformato il documento di base.
Nel caso della redazione pro-gola che è stata appena discussa, ad esempio, il
redattore pro-gola riprende, amplificando, una collezione più antica di oracoli di
·giudizio (Ez 1-24); allo stesso tempo modifica considerevolmente il significato ag-
giungendo un'altra collezione di oracoli (Ez 33-39) che, da parte sua, oltrepassa la
problematica del giudizio per aprire a una prospettiva di salvezza per Israele dopo
l'esilio. La tendenza del redattore pro-gola in rapporto alla sua «fonte» (la colle-
zione di oracoli di giudizio che edita) può essere quindi caratterizzata come ambi-
valente: questo redattore avvalora il giudizio pronunciato còntro Giuda e Israele
riprendendolo a modo suo (e anche amplificandolo), ma ne attenua anche il teno-
re, segnalando che questo giudizio prepara in realtà un periodo di restaurazione.
Nel caso in cui un secondo redattore intervenga in seguito per correggere il
lavoro del primo, la stessa questione si pone di nuovo.

5.3. In un terzo momento l'esegeta si sforza di circoscrivere il profilo lettera-


rio di una data redazione. Prendiamo il caso di un esegeta che lavori su una peri-
cape e che identifichi in questa pericope il lavoro di un redattore. Questa redazio-
ne può essere identificata con una delle altre grandi redazioni dell'Antico Testa-
mento? Si parla ad esempio di una «redazione sacerdotale» nel libro di Giosuè,

l
155
perché gli esegeti hanno da molto tempo osservato che la seconda metà del libro
(cc. 13-24) presenta numerose similitudini con il.documento detto <<sacerdotale»
nel Pentateuco. Allo stesso modo, si parla frequentemente di «redazione deutero-
nomista» nei libri profetici, perché certi passaggi di questi libri presentano effetti-
vamente delle affinità con la letteratura deuteronomista in Gs-2Re. Questa que-.
stione è importante, perché permette di situare una data redazione in seno alla sto-
ria letteraria dell'Antico Testamento. Rispondere a questa domanda presuppone
uno studio accurato del linguaggio e dei temi di una data redazione, per gettare lu-
ce sui paralleli tra questa redazione e altre redazioni dell'Antico Testamento. Il pri-
mo strumento di lavoro da utilizzare sarà evidentemente la concordanza; ma l'ese-
geta troverà ugualmente delle risorse utili nei commentari, così come in certe ope-
re specializzate che offrano delle liste di termini e di espressioni proprie di una
scuola redazionale nell'Antico Testamento.

Questo tipo di indagine presenta nondimeno vari scogli sul piano metodolo-
gico, ai quali è necessario prestare assolutamente attenzione.
- In particolare, l'esegeta deve essere attento a evitare la trappola di non
mettere in evidenza che i paralleli tra la redazione che analizza e altre redazioni
dell'Antico Testamento. Questa tendenza conduce sfortunatamente a numerosi ec-
cessi. Il caso delle cosiddette «redazioni deuteronomiste» nei libri profetici, men-
zionate in precedenza, è particolarmente eloquente a questo riguardo. Se questa
ipotesi è giustificata per alcuni libri (in particolare Ger, Os, Mi), per molti altri è
chiaramente errata. In Ezechiele, ad esempio (ma la stessa constatazione vale, mu-
tatis mutandis, per Is, Sof o Zc), si ha effettivamente a che fare con delle redazioni
che possono fare ricorso occasionalmente al linguaggio della scuola deuteronomi-
sta. Ma questo ·linguaggio è combinato a volte con una fraseologia che non è asso-
lutamente deuteronomista (si veda ad es. il caso di un testo come Ez 20); soprat-
tutto, la teologia di questi libri è molto differente da quella della scuola deutero-
nomista, se non del tutto ostile a quest'ultima. Così, per i redattori di Ezechiele è
. evidente che YHWH ritornerà ad abitare nel suo santuario al ritorno dall'esilio (cf.
Ez 37,26-27; 43,4-5!), mentre per i redattori deuteronomisti di questa epoca
YHWH risiede «nei cieli» e il tempio non è altro che un luogo di preghiera, come
afferma esplicitamente la «preghiera di Salomone» in l Re 8,22-53 (cf. anche, ad es.,
Is 66,1). La posta in gioco dell'esegesi non è di armonizzare le divergenze per far
rientrare i testi in quadri prestabìliti, ma al contrario di mettere in luce le specifi-
cità di ogni testo come anche le somiglianze tra questi ultimi, e ciò al fine di rico-
struire il dibattito (intellettuale, religioso, politico) a causa del quale e nel quale si
è costruito l'Antico Testamento.
- Inoltre (e questo punto è in parte legato al precedente), quando procede a
questo tipo di paragone, l'esegeta non·si deve limitare a delle osservazioni riguar-
do al linguaggio o riguardo alla teologia, come succede troppo spesso, ma deve cer-
care al contrario di conciliare queste due dimensioni. Molti passi di Gs 13-24 pos-
sono anche essere stati redatti con uno stile vicino a quello della scuola «sacerdo-
tale», nondimeno la teologia di questi passi è spesso molto differente da quella del
documento sacerdotale in Genesi e in Esodo, specialmente in ciò che concerne la
questione della terra. Allo stesso modo, lo stile deuteronomista può essere stato co-

156
piato e imitato fino a un'epoca tarda. Lo ritroviamo ad esempio nella preghiera di
Neemia in Ne 9, nelle numerose aggiunte del libro di Geremia secondo la recen-
sione del TM, così come in certi manoscritti ritrovati a Qumran; eppure, viste le
preoccupazioni specifiche di questi testi, si esiterà a definirli come «deuteronomi-
sti» in senso stretto.

5.4. Infine, in un'ultima tappa l'esegeta si deve sforzare di precisare il conte-


sto storico in cui una data redazione è nata. In effetti ogni redazione è suscettibile,
quanto meno in linea di principio, di offrire indizi sull'epoca a cui risale. Alcuni di
questi indizi sono relativamente evidenti: ad esempio, i redattori deuteronomisti
che concludono la «storia deuteronomista» con il racconto di 2Re 25 presuppon-
gono la cattura di Gerusalemme da parte dell'armata neobabilonese nel587; stori-
camente essi si situano di conseguenza necessariamente dopo quest'ultima.
Altri indizi sono più sottili. Tali indizi possono risaltare in base al linguaggio
dei testi: la presenza di aramaismi, ad esempio, non si ritrova.che in testi che risal-
gono al più tardi all'epoca neobabilonese (ad es. il libro di.Ezechiele). Essi posso-
no fare appello a certe realtà socio-storiche presupposte dal testo. Così l'equipag-
giamento di Golia descritto in 1Sam 17 è tipicamente quello di un mercenario gre-
co impiegato al servizio delle grandi armate del vicino oriente. L'autore giudaico di
questo testo deve aver visto quei mercenari da vicip.o, cosa che è praticamente im-
possibile prima del VII secolo a.C., quando i re di Giuda (in particolare Manasse e
Giosia) ebbero per la prima volta i mezzi per assicurarsi i servizi di tali mercenari.
Questa osservazione implica, di conseguenza, che il redattore che ha inserito il rac-
conto della lotta tra Davide e Golia nel «racconto dell'ascesa di Davide» non può
essere situato prima del VII secolo. Un'altra fonte di informazione sull'origine di
un testo, delicata da trattare ma nonostante ciò molto importante, riguarda le tra-
dizioni letterarie presupposte dal testo (ciò che chiamiamo altresì la cronologia re-
lativa). Si può trattare di tradizioni bibliche; così i libri delle Cronache sembrano
presupporre l'esistenza del Pentateuco, o in ogni caso di una prima versione di que-
sto: di conseguenza questi libri non possono essere datati prima della fine dell'e-
poca persiana o dell'inizio di quella ellenistica. Ma può trattarsi ugualmente di tra-
dizioni extrabibliche. Ad esempio, il Deuteronomio primitivo presuppone sistema-
ticamente i trattati ·di vassallaggio assiri. Questa osservazione suggerisce che una
prima versione del Dt è potuta nascere nell'epoca neoassira; ciò indica, in ogni ca-
so, che il Dt non può essere più antico dell'epoca neoassira. Infine, un'altra fonte
di indizi risiede nella possibilità, almeno in certe situazioni, di spiegare la tendenza
·teologica o politica di una redazione in un contesto storico preciso. L'insistenza sul-
la collina del tempio di Gerusalemme (Sion) come centro del pellegrinaggio per
tutte le nazioni in molti testi profetici (cf. Is 60,1-16; 2,2-4 l Mi 4,1-3; Zc 8,20-23;
ecc.), ad esempio, fa presumere evidentemente un contesto storico in cui il tempio
di Gerusalemme è sul punto di essere ricostruito, oppure è già stato ricostruito.
Chiaramente questo tipo di analisi presuppone spesso conoscenze storiche,
letterarie e filologiche che lo studente non necessariamente possiede. Invece egli
troverà facilmente numerose osservazioni sul contesto storico possibile di una re-
dazione nella letteratura secondaria (commentari biblici, articoli e opere specializ-
zate). Starà a lui, in seguito, valutare criticamente il valore di queste osservazioni,
ritenendo quelle che paiono più verosimili e aggiungendo eventualmente le pro-
prie. In generale lo studente porrà attenzione ai temi principali, concetti e parole
chiave del testo che analizza; molto spesso essi contengono già numerose indica-
157
zioni sul contesto storico dì questo testo! Ricordiamo infin~ che esistono numero-
se opere sulla storia di Israele e di Giuda in cui lo studente può facilmente sele-
zionare, a partire dall'indice, quelle pagine che riguardano un'epoca o una situa-
zione storica precisa su cui desidera documentarsi.
Al termine di questo lavoro l'esegeta deve essere capace, idealmente, di rico-
struire la storia redazionale del testo. Combinando i risultati ottenuti nelle quattro
tappe descritte, egli può così descrivere il processo redazionale in base al quale il
testo che studia ha raggiunto la sua forma attuale; lo scopo del redattore o dei re-
dattori responsabili di questo processo; le scuole a cui questi redattori sono even-
tualmente affiliati o le principali tradizioni letterarie a cui si ispirano; e, infine, il
contesto storico generale in cui questo processo si inscrive.
Il risultato così ottenuto offre una prima immagine, provvisoria, del redatto-
re o dei redattori responsabili della formazione di un testo. Questa prima immagi-
ne può essere in seguito affinata, o anche rivista, sollevando nuove questioni. In
particolare, si può cercare di precisare, a partire dalle indicazioni fornite dal testo,
la localizzazione sociologica di un redattore: si tratta di uno scriba della corte re-
gale? È vicino al milieu del tempio o a certi circoli profetici? Come questi aspetti
si riflettono nel testo studiato? Come permettono di comprendere meglio la ten-
denza generale di questo testo? E così via. Si può ugualmente cercare di definire i
destinatari potenziali a cui il redattore si rivolge: nel caso di un testo di epoca per-
siana indirizzato a «Israele», ad esempio, si tratta esclusivamente degli abitanti del-
la Giudea? Oppure di una parte soltanto di questi abitanti (cf. il caso dei libri di
Esdra e Neemia)? O si tratta al contrario dei giudei della Giudea e della Samaria?
E che cosa si può dire dei giudei della diaspora? L'analisi dei destinatari è un ap-
proccio praticato da molto tempo nel Nuovo Testamento, ma che sfortunatamente
non è ancora applicato sistematicamente nell'Antico. Anche se questa questione è
spesso più difficile da decidere nel caso dell'Antico Testamento rispetto al Nuovo,
non è meno essenziale. Infine, ci si può interrogare allo stesso modo sul rapporto
che un redattore poteva intrattenere con le correnti ideologiche e le tradizioni let-
terarie della sua epoca; sfruttando le osservazioni fatte nella terza tappa del nostro
studio (identificazione del profilo letterario di una redazione, cf. § 5.3). Ad esem-
pio, il redattore che inserisce Ez 20 nel libro di Ezechiele conosce chiaramente le
· tradizioni «sacerdotale» e «deuteronomista» del Pentateuco, ma come si situa in
rapporto a queste ultime? Perché racconta la storia dell'esodo e del cammino di
Israele nel deserto senza menzionare Mosè (!),figura centrale del Pentateuco~ né
la sosta del popolo al monte Sinai? Tali interrogativi devono pen:ilettere di com-
prendere meglio il modo in cui un redattore si inserisce nei dibattiti della sua epo-
ca: quali sono i fronti polemici a cui reagisce e quali le risposte che propone alle
domande o alle inquietudini del suo tempo.

6. Per concludere. Problemi e poste in gioco metodologiche


dell'analisi redazionale oggi

L'evoluzione dell'analisi redazionale, soprattutto da alcuni decenni (cf. § 3),


ha messo in evidenza certe difficoltà metodologiche su cui è importante che lo stu-
dente sia sensibilizzato. Termineremo dunque questo capitolo sottolineando tre

158
aspetti del metodo, che oggi sollevano un certo numero di problemi e che doman-
dano assolutamente di essere studiati meglio.

6~ 1. Redazioni e fenomeni di revisione nell'antichità

Per definizione, l'analisi redazionale postula una storia della trasmissione e


della formazione del testo che funziona secondo un principio che si potrebbe defi-
nire di amplificazione. Chiaramente, ogni nuovo redattore dovrebbe trasmettere in
maniera più o meno fedele il documento che eredita, inserendovi il proprio contri-
buto. Un tale postulato non è stravagante; come è stato sottolineato nel§ 3 di que-
sto capitolo, è espressamente attestato nei manoscritti biblici ed extrabiblici, così
come in certi documenti del vicino e del medio oriente. Nonostante ciò, alcuni
esempi dimostrano ugualmente che sarebbe ingenuo generalizzare questo princi-
pio di amplificazione. Il caso del TM di Geremia dimostra che i redattori tardivi re-
sponsabili di questa versione del libro poterono organizzare certi oracoli secondo
l'ordine a loro più consono, anche a rischio di sconvolgere in maniera significativa
la struttura d'insieme del libro. Similmente, l'evoluzione dell'epopea di Gilgamesh,
sulla base delle differenti tavolette che sono state ritrovate, illustra abbondante-
mente le libertà che certi copisti si sono potuti permettere con il testo ricevuto, an-
che se questa evoluzione obbedisce nell'insieme alla legge dell'amplificazione
menzionata prima. È necessario che abbandoniamo definitivamente l'idea - tipica
del XIX secolo- secondo la quale l'analisi avrebbe i mezzi per ricostruire lo svi-
luppo di un testo nei suoi minimi dettagli.
Ciò che rimane alla portata dell'analisi redazionale, e che costituisce il suo ve-
ro compito, è identificare i principali indizi suscettibili di riflettere il lavoro reda-
zionale di cui un dato testo è stato oggetto e, su questa base, tentare di ricostruire
le grandi tappe della storia letteraria di questo testo. È d'altronde ciò che dimostra,
alla sua maniera, un esperto americano nel caso dell'epopea di Gilgamesh (cf. Ti-
gay), secondo il quale, se si fosse cercato di ricostruire lo sviluppo redazionale di
questa epopea sulla base degli indizi forniti dalle copie più tardive, sarebbe stato
probabilmente possibile ricostruire una parte di questo sviluppo; ma in nessun ca-
so sarebbe stato possibile restituire la storia letteraria di questa epopea così come
è stato possibile ricostruirla a partire dalle differenti copie che sono state ritrova-
te. Questo non implica che l'analisi redazionale sia divenuta oggi una tappa secon-
daria o accessoria del metodo storico-critico. Rappresenta al contrario una proce-
dura essenziale per permetterei di risalire a monte rispetto allo stato testuale di cui
sono testimoni i più antichi manoscritti dell'Antico Testamento. Nondimeno, si
tratta di una tappa metodo logica che rimane necessariamente speculativa e che de-
ve essere applicata con una certa prudenza e con il maggior rigore metodologico
possibile.

159
6.2. Analisi redazionale ed «esegesi intrabiblica».
Tra «storia della redazione» e «storia del canone biblico»

L'«esegesi intrabiblica» (innerbiblical exegesis) designa un metodo relativa-


mente recente nelle scienze bibliche, essenzialmente ispirato ai lavori di Michael
Fishbane e James Kugel; oggi è particolarmente rappresentato nei lavori di Ber-
nard Levinson. Questo approccio si interessa in special modo al fenomeno della re-
cezione dei testi biblici in seno alla Bibbia ebraica stessa o, in maniera più precisa,
alla maniera in cui una parte importante della letteratura biblica si è costituita in
base alla recezione e alla revisione di testi più antichi preservati anch'essi nel ca-
none biblico. In questo senso, l'esegesi intrabiblica riprende e prolunga un'intui-
zione già espressa dagli antichi commentatori della Bibbia ebraica, dai rabbini si-
no ai riformati passando attraverso i padri della Chiesa, secondo la quale «la Scrit-
tura interpreta se stessa» (Lutero); ma lo fa all'interno di una metodologia svilup-
pata, dalla seconda metà del XVIII secolo, dall'analisi storico-critica della Bibbia.
Su questo piano, l'esegesi intrabiblica condivide numerosi presupposti con l'anali-
si redazionale, specialmente l'idea che sia possibile - e anche necessario - chiarire
sistematicamente i fenomeni della recezione distinguendo sul piano diacronico tra
un testo «primario» e il testo «secondo». Tuttavia l'esegesi intrabiblica rimane allo
stesso tempo distinta dalla Redaktionsgeschichte. Contrariamente all'analisi reda-
zionale, non vuole interpretare l'insieme del processo redazionale della Bibbia
ebraica, ma parte piuttosto dall'osservazione mediante la quale tutta una parte del
canone biblico si è costituito a partire dalla ricezione di testi più antichi, i quali so-
no stati ugualmente canonizzati, per cercare così di chiarire meglio la natura di
questo processo di trasmissione e le sue poste in gioco.
In particolare, l'attenzione conferita ai fenomeni di «esegesi intrabiblica» in-
frange la rigida distinzione tra «canone» ed «esegesi»: l'esegesi (interpretazione di
una tradizione ricevuta come autoritaria) non comincia con la chiusura del cano-
ne, è al contrario già all'opera nella formazione del canone (si veda specialmente
Levinson, così come lo studio di Sonnet). In questo senso traditum (il contenuto
trasmesso dalla tradizione) e traditio (il processo di trasmissione stesso) nella let-
teratura biblica intrattengono un rapporto piuttosto indissociabile e complesso. La
legge della centralizzazione cultuale in Dt 12, ad esempio, riprende molto chiara-
mente il linguaggio e la formulazione della legge sull'altare di Es 20,24-26; la qua-
le tuttavia autorizza e anche convalida il principio di una pluralità dei luoghi di cul-
to! Questo processo di reinterpretazione accompagna continuamente, in una certa
maniera, tutta la storia della formazione del canone biblico. In particolare quando
un testo è stato redatto ispirandosi a un testo più antico, non per rimpiazzarlo sem-
.Plicemente ma piuttosto per completarlo o rivisitado, la relazione tra il testo che è

160
fonte e il testo ricettore diviene autenticamente dialettica. In effetti il testo ricettore
non si comprende senza il testo fonte e rimane indissolubilmente legato a esso, an-
che nel caso in cui riveda e corregga radicalmente quest'ultimo; al contrario, il te-
sto fonte vede allo stesso tempo la sua autorità riconosciuta dal testo recettore, an-
che se, per altri versi, la natura stessa di questa recezione implica una reinterpreta-
zione e una riformulazione del testo fonte. È così, ad esempio, che la promessa fa t~
ta a Davide di una dinastia eterna (2Sam 7) viene ripresa e reinterpretata, dopo l'e-
silio, nel libro (rotolo) di Isaia: questa promessa rimane, ma viene ormai trasferita
sul popolo, come segnala specialmente Is 55,3 (dove YHWH afferma: «lo conclu-·
derò per voi un'alleanza eterna: sì, io manterrò i benefici di Davide!»), così come
molti altri passi del libro legati al capitolo 55.
In questo senso, la tappa metodologica dell'esegesi intrabiblica si situa all'in-
terno dell'articolazione tra la storia della redazione dei testi biblici e la storia del ca-
none, e permette in special modo di sollevare il problema del legame tra la forma-
zione dei testi biblici e il riconoscimento, da parte della comunità del secondoTem-
pio, del loro carattere «autoritativo» o normativa, considerando un processo che
non è mai semplice né lineare. Allo stesso tempo, nella misura in cui molti dei fe-
nomeni di recezione identificati dagli esperti di esegesi intrabiblica hanno paralle-
li stringenti nella letteratura giudaica del secondo Tempio (rotolo del Tempio, Giu-
bilei; ecc.) così come nella letteratura rabbinica (senza parlare del Nuovo Testa-
mento), questa tappa metodologica invita ugualmente a rimettere in questione
ogni opposizione semplicista tra letteratura «canonica» e «extracanonica», e ad ap-
prezzare meglio, al contrario, i legami tra questi due corpus.

6.3. L'analisi redazionale tra ~<storia delle tradizioni» e «critica testuale»

Un'altra notevole difficoltà riguarda il posto assegnato tradizionalmente al-


l'analisi redazionale. Come è stato già detto all'inizio di questo capitolo, l'analisi re-
dazionale, poiché si interessa alla storia letteraria del testo, si situa - secondo lo
schema classico del metodo storico-critico __: tra la storia delle tradizioni, da una
parte, e la critica testuale, dall'altra. La concezione soggiacente- che si trova an-
cora nella maggior parte dei manuali recenti (cf. ad es. Utzschneider- Nitsche)- è
che l'analisi redazionale ricostruisca lo sviluppo del testo a partire dalla sua prima
messa per iscritto fino alla sua forma «finale», che corrisponde grosso modo allo
stato più antico di un testo come può essere ricostruito a partire dalla critica te-
stuale. Non solo, come si è visto, è dubbio il fatto che l'analisi redazionale possa ri- ·
costruire la storia del testo in maniera così precisa e dettagliata; ma oltre a ciò una
tale concezione dell'articolazione tra storia redazionale, storia delle tradizioni e
storia della trasmissione dei manoscritti è assolutamente problematica (si vedano
in questo volume i capitoli sulla critica testuale e sulla storia delle tradizioni).
Come dimostrato da innumerevoli esempi tra i manoscritti dell'Antico Testa-
mento, la nozione stessa di «forma finale» è difficile da trattare; ponendo maggio-

161
re attenzione, rappresenta piuttosto un'astrazione imposta dagli esegeti alla diver-
sità e alla complessità dei testimoni testuali (cf. ·anche Blum). In realtà, sino alla fi-
ne dell'epoca del secondo Tempio (e anche oltre), esiste una grande pluralità di re-
censioni per la maggior parte, se non per la totalità, dei libri biblici. Senza dubbio
non è che nel I secolo a.C. che si compie lo sforzo, probabilmente ad opera dei sa-
cerdoti del tempio di Gerusalemme, di pubblicare e far circolare un'editio princeps
(edizione di riferimento) dei principali libri del canone (cf. Tov) -la quale non cor-
risponde in alcuna maniera al canone biblico attuale. In· alcuni casi, nondimeno, le
differenti tradizioni testuali a nostra disposizione suggeriscono che, verso il III o il
II secolo a.C., la struttura generale di un libro biblico è fissata e non si modifica più
(cf. ad es. il Levitico), anche se i manoscritti presentano numerose differenze nei
dettagli; per «forma finale» si può allora designare questa macrostruttura «canoni-
ca» dei libri biblici. In altrì casi, tuttavia, le recensioni a nostra disposizione testi-
moniano che l'organizzazione d'insieme di alcuni libri non è chiaramente stabilita
verso la fine dell'epoca ellenistica, ma esistono al contrario varie versioni che pre-
sentano macrostrutture differenti. È il caso delle due recensioni del libro di Gere-
mia, ma anche del libro di Ezechiele secondo il papiro 967 (appoggiato da un pa-
linsesto della Vetus latina) e secondo il TM, dei libri dei Re, ecc. Evidentemente,
non si può sempre cercare di stabilire quale di queste recensioni sia la più antica e,
tramite ciò, determinare quale di questi principi ·di organizzazione del libro sia ori-
ginale e quale derivato. Ma in ogni caso, questa osservazione infrange la dicotomia
classica tra storia redazionale e storia della trasmissione del testo - o quella che si è
avuto per molto tempo l'abitudine di chiamare la «critica alta» e la «critica bassa».
In realtà, come mostrano questi esempi, il processo di rielaborazione redazionale
non si arresta necessariamente con la prima pubblicazione di uno «stato finale» del
testo- se si intende con questo la struttura generale di un libro biblico come è at-
testato da uno dei più antichi testimoni testuali a nòstra disposizione. Questa os-
servazione non significa che bisogna rigettare completamente la nozione di «forma
finale»; in realtà questa nozione conserva una funzione euristica (cf. anche su que-
sto punto Blum). Al contrario, questa implica che, in numerosi casi, l'analisi reda-
zionale e la critica testuale sono ormai inseparabili e devono essere applicate con-
temporaneamente.
Il caso del rapporto tra la storia redazionale e la «storia delle tradizioni» non
è meno complicato. Come si è già sottolineato nel § 3 di questo capitolo, nel XX
secolo l'analisi redazionale è stata dominata per molto tempo dalla concezione,
ereditata dalla «critica delle forme», secondo la quale i grandi testi dell'Antico Te-
stamento avrebbero conosciuto una storia preletteraria importante, se è vero che i
temi principali della maggior parte dei libri biblici risalirebbe in realtà a delle tra-
dizioni orali (epopee e racconti di fondazione per i testi del Pentateuco, oracoli in-
dividuali per i testi profetici, i:~~mi cantati dai fedeli nel tempio per i Salmi, ecc.). Og-
gi questa concezione è largamente rimessa in discussione, se non completamente
abbandonata. Senza negare che vi siano delle tradizioni orali dietro una parte dei
testi dell'Antico Testamento, la maggioranza degli esegeti riconosce che esse sono
molto difficili da ricos.truire: di fatto, la maggior parte delle grandi ipotesi classiche
legate all'esistenza di tali tradizioni si sono progressivamente rivelate prive di pro-
ve (si può pensare, ad esempio, alla teoria una volta così popolare di Sigmund
Mowinckel sui «salmi del Regno», i quali sarebbero in relazione con un festival an-
nuale di «incoronazione di YHWH»). Non solamente i criteri per postulare l'esi-
stenza (o, rispettivamente, la non esistenza) di una tradiz.ione orale dietro un testo

162
letterario sono carenti, ma gli studi etnologici riguardo alle società tradizionali in
cui la cultura è essenzialmente orale suggeriscono che tali tradizioni possono evol-
vere considerevolmente e modificarsi da una generazione all'altra. In altri termini,
è completamente illusorio pensare che si potrebbero ricostruire tradizioni del X se-
colo a.C. sulla base di testi che datano VI o V secolo. Inoltre, questa osservazione
ha infranto, da due o tre decenni, la dicotomia classica tra «storia delle tradizioni»
e «storia redazionale». Come dice a giusto titolo Kratz, la posta in gioco più im-
portante dei lavori recenti di analisi redazionale è stata, al contrario, di cercare di
«riconciliare» questi due approcci. La distinzione tra «tradizione» e «redazione» ri-
mane utile, nella misura in cui permette di chiarificare il processo redazionale in
gioco in numerosi testi. Tuttavia si tratta di una distinzione ormai di ordine stretta-
mente tecnico, e non più un giudizio di valore che oppone la profondità storica e
teologica delle tradizioni al lavoro di imitazione da parte dei redattori. Come si è
visto, la storia delle redazioni successive di un testo prolunga la storia delle tradi-
zioni, sviluppando certi temi e introducendone di nuovi. In questo senso la storia
delle redazioni è, anch'essa, parte integrante della storia delle tradizioni; o forse sa-
rebbe più giusto dire che è nella storia redazionale che si realizza e si compie la sto-
ria delle tradizioni che costituiscono l'Antico Testamento.

7. Modalità di impiego

7 .1. Analisi

l. Reperimento delle tensioni: a partire dal testo stabilito dalla critica testua-
le (c. l di quest'opera) e seguendo la criterìologia proposta nel§ 4.1, quali sono i
criteri che si applicano alla pericope studiata? Questi criteri sono di ordine formale
(ad es. differenze nella terminologia impiegata, nello stile, genere letterario) o piut-
tosto tematico (còntraddizioni, incoerenze, rotture tematiche, ecc.)? Forse si verifi-
cano le due cose insieme?
2. Controperizia: le osservazioni che suggeriscono che la pericope sia compo-
sta possono essere spiegate in altro modo (vale a dire, senza dover postulare che la
pericope sia oggetto di un lavoro di revisione)? Ad esempio, evidenti contraddi-
zioni in un racconto o in un discorso, cambiamenti di stile o anche di genere lette-
rario possono spiegarsi anche mediante il cambiamento dei registri di enunciazio-
ne (chi parla?), in base a delle convenzioni discorsive proprie dell'antichità, per la
logica narrativa propria dell'insieme letterario in cui la pericope studiata si inseri-
sce, ecc. (cf.§ 4.1.3)? Quando una tensione può essere spiegata in due maniere dif-
ferenti (cioè come indizio di un lavoro redazionale o in maniera contestuale), qual
è la spiegazione che sembra essere la più logica e la più soddisfacente?

163
3. Identificazione dell'estensione di una redazione: se dopo la controperizia il
carattere composito della pericope viene confermato, quale segmento della perico-
pe deve essere messo in relazione con la tensione osservata (cf. § 4.2)? Ad esempio:
se si ha a che fare con due tradizioni parallele (cf.§ 4.1.1), qual è l'estensione di
ognuna di queste due tradizioni? Se si ha a che fare con un doppione(§ 4.1.2), qua-
le parte del testo è inclusa in questo doppione? Se si osserva un nuovo sviluppo in
seno al testo, che cosa sembra sia stato introdotto come secondario(§ 4.1.6), dove
comincia e dove finisce questo sviluppo? E così via.

7 .2. Sintesi

Una volta che la tappa analitica è conclusa, la tappa sintetica si sforza di ri-
spondere essenzialmente a quattro questioni (generalmente nell'ordine che segue).
Queste quattro questioni, così come le poste in gioco metodologiche, sono descrit-
te e commentate in dettaglio nel§ 5.

1. Ricostruzione del processo redazionale. Secondo quale processo la perico-


pe studiata ha raggiunto la sua forma finale? Si possono presentare essenziahnen-
te due situazioni differenti(§ 5.1). Il redattore ha lavorato a partire da due (o più)
documenti indipendenti, che in seguito ha fuso o semplicemente giustapposto (mo-
dello detto «documentario»)? Oppure ha lavorato nuovamente su un documento
già esistente per inserirvi nuovi elementi (modello detto dei «supplementi»)? At-
tenzione, certi processi redazionali particolarmente complessi possono combinare
molto bene queste due procedure (cf. gli esempi in§ 5.1).
2. Finalità del processo redazionale. Qual era lo scopo perseguito dal redatto-
re o dai redattori che sono intervenuti nel processo di redazione(§ 5.2)? Secondo
quale(i) prospettiva(e) questi redattori hanno rielaborato i documenti a loro di-
. sposizione e quali sono le tendenze dominanti che caratterizzano il lavoro di tali re-
dattori? Il lavoro redazionale mira piuttosto a prolungare la tendenza generale del
documento su cui si opera la revisione, o al contrario a modificarla se non addirit-
tura a correggerla? Perché?
3. Tipologia redazionale. Il linguaggio impiegato da un redattore può essere
rapportato ad altre grandi redazioni che sono state tradizionahnente identificate
nell'insieme letterario in cui la pericope studiata si inscrive (cf.§ 5.3)? Concreta-
mente, il linguaggio del redattore contiene ad esempio elementi caratteristici delle
redazioni deuteronomiste e sacerdotali? Quali? Al contrario, questo linguaggio
contiene degli elementi atipici (ad es. un mélange tra terminologia deuteronomista
e linguaggio dei Salmi; o ancora: termini che non appartengono ad altre parti del-
l'Antico Testamento[= hapax legomena])? Se sì, quali?
4. Contesto storico e sociologico dei processi redazionali. Vi sono, nel lavoro
del redattore, indizi specifici del contesto storico in cui egli ha lavorato (ad es. allu-
sioni ad avvenimenti specifici; descrizioni di realtà che possono essere datate con
una certa precìsione, ecc.; cf. § 5.4)? Allo stesso modo, le tradizioni a disposizione
del redattore permettono di situare storicamente meglio il testo («cronologia rela-

164
tiva»)? Chi sono i destinatari del redattore? Se si tratta di un testo ·che contiene el e:...
menti polemici, chi sono gli oppositori? Infine, qual è la localizzazione sociologica
più verosimile del redattore stesso? Si tratta di uno scrioa di palazzo o del tempio
o, al contrario, di una persona in rivolta contro queste istituzioni? In che cosa que-
sta localizzazione ci permette di comprendere meglio lo scopo perseguito da que-
sto redattore nel rielaborare un documento anteriore?

165
r
Capitolo 5
ELEMENTI PER L'ANALISI DI NUMERI 12

JAN JOOSTEN E THOMAS ROMER

A. TRADUZIONE E CRITICA TESTUALE (J. JOOSTEN)

1. Traduzione

1. E aMiriam, con Aronnea, bparlò controb Mosè a causa della donna cushitac che ave-
va presa; in effetti, aveva preso una donna cushita.
2. E dissero: «YHWH aparla forse solo cona Mosè? Non bparla anche conb noi?». E
YHWHlo udì.
3. Ora, aquest'uomo, Mosèa, era molto umile, più di btutti gli uominib (che vivono) sul-
la faccia della terra.
4. E improvvisamente YHWH disse a Mosè, ad Aronne e a Miriam: «Uscitea tutti e tre
verso la tenda dell'incontro». E uscironoa tutti e tre.
. 5. E YHWH discese in una colonna di nube e si mantenne all'ingresso della tenda.
Chiamò Aronne e Miriam che uscironoa entrambi.
6. E disse: «Ascoltate le mie parole. Se uno dei vostri profeti è (profeta) di YHWH, io
YHWH mi faccioa conoscere a lui in una visione, io parloa con lui in un sognob.
7. Non è così per il mio servo Mosè. aEgli ha la mia fiduciaa in tutta la mia casa.
8. Bocca a bocca io parlo con lui, con una vistaa piena e senza enigmi. Ed egli con-
templa la forma di YHWH. Perché dunque non avete avuto timore di parlare· contro
il mio servo, contro Mosè?».
9.YHWH entrò in collera contro di loro e se ne andò.
10. E quando la nube si era ritirata, ecco che Miriam era stata colpita dalla lebbraa, era
come la neve. Aronne si girò verso di lei ed ecco, era lebbrosa.
11. E Aronne disse a Mosè: «Di grazia, mio signore, anon ci imputare di peccatoa per-
ché bnoi abbiamo agito con stoltezza, sì abbiamo peccatob.
12. Che non sia come il bambino nato morto la cui carne è a metà consumata quando
esce dal seno di sua madre».
13. E allora Mosè gridò verso YHWH: «Dio, ti prego, guariscila!».
14. E YHWH disse a Mosè: «Sea fosse stato suo padre a sputarle in viso, non sarebbe
in onta per sette giorni? Che sia esclusa dal campo per sette giorni. Dopo potrà esse-
re reintegratab».
15. Miriam fu esclusa fuori dall'accampamento per sette giorni. Ma il popolo non partì
finché Miriam non fu reintegrata.
16. Dopo che il popolo aveva levato le tende da Caserot, si accamparono nel deserto
di Paran.

167
2. Note sulla traduzione

1. a-a Il testo ebraico offre una costruzione speciale con il verbo alla terza per-
sona femminile ·singolare seguito da due nomi propri che rappresentano il sogget-
to. Le versioni antiche riproducono questa situazione, cosa che le traduzioni italia-
ne non fanno (cf. la traduzione CEI 2008: «Maria e Aronne parlarono ... »). La co-
struzione è tuttavia funzionale in quanto indica che l'istigatrice dell'azione è Mi-
fiam (èf. v. 10). · ·
b-b La locuzione ebraica f 1:::!1, alla lettera «parlare in», si trova in due signifi-
cati differenti in Nm 12. Nei vv. l e 8 il significato è «parlare contro, criticare»: la
preposizione designa qui la persona contro la quale si parla (cf. anche N m 21,5.7;
Gb 19,18; Sal50,20; 78,19). Nei vv. 2 e 6 il significato è diverso: la preposizione siri-
ferisce alla persona a cui si dirigori.o le parole.
c Il termine cushita rinvia a un abitante del paese denominato Cush. Si tratta
a priori dell'Etiopia o, in senso più ampio, dell'Africa subsahariana.

2. a-a f 1:::!1 è impiegato in N m 12,2.2.6.8; 2Sam 23,2; l Re 22,28 = 2Cr 18,27; Os


1,2; Ab 2,1; Zc 1,9; ecc. con Dio come soggetto e un profeta (in 2Sam 23,2 Davide
si presenta come un profeta) come complemento. La preposizione consueta per in-
trodurre l'interlocutore è ~~'«verso, a», mentre la preposizione f denota una con-
versazione più intima, più intensa. In certi contesti la costruzione potrebbe riferir-
si al ruolo di mediatore del profeta; la traduzione «parlare attraverso» è allora pos-
sibile (ed è in particolare la soluzione scelta dalla Bibbia CEI 2008). Per la nostra
traduzione preferiamo, come nell'originale francese, la preposizione «con».

3. a-a In ebraico: i1ifjb ;. il.h~Ol· Questa maniera di riferirsi a uno dei personaggi
del racconto per descriverne un tratto caratteristico si trova anche in Es 11,3 ( «que-
st'uomo, Mosè, era molto grande ... »); Gdc 17,5 e lRe 11,28. .
b-b II gruppo CI"J~çl ~:;:, potrebbe essere tradotto: «l'insieme degli uomini»; il
nome CI"J~ funziona come un collettivo: «l'umanità».

4. a Il verbo «Uscire» implica in questo caso «Uscire dall'accampamento israe-


lita». Nm 12 si collega a un piccolo numero di altri testi del Pentateuco che situa-
no la tenda dell'incontro fuori dall'accampamento (cf. Es 33,7; N m 11,16 [cf. v. 26];
Dt 31,14).

5. a In questo versetto il verbo «uscire» significa «uscire dalla tenda». Chi vo-
leva consultare il Signore usciva fuori dall'accampamento, entrava nella tenda eri-
ceveva l'oracolo in una colonna di nube che si teneva all'entrata della tenda (cf. per
lo scenario Es 33,9; Dt 31,15).

6. a-a Si vedano le considerazioni a proposito della critica testuale.


L'imperfetto ·ebraico (yiqtol) esprime qui il presente abituale, come anche
b
nei versetti seguenti.

7. a-a Alla lettera: «è fedele, fidato», participio Niphal di F~K Si può tradurre
anche: «egli è solido» (cf. Is 7,9); cf. infra.

168
8. aIl termine che designa la «Vista» ( il~l~) è distinto dal .termine «Visione»
( il~l~) che si trova al v. 6.

10. a La traduzione di «lebbra» per l'ebraico m.11~ è tradizionale. Si tratta di


una malattia della pelle, ma senza dubbio non si tratta di ciò che viene definito
«lebbra» dalla medicina odierna (malattia di Hansen).

11. a-a Alla lettera: «non ci caricare di un peccato»; l'espressione è unica e la


sua interpretazione è difficile.
b-b N o n è chiaro se Aronne riconosce due carenze, la follia e il peccato, o so-
lamente una, ossia il peccato che è una follia.

14. a La congiunzione che introduce una condizione manca nel testo ebraico.
L'ebraico biblico tuttavia presenta alle volte frasi condizionali senza congiunzioni
(ad es. Gb 7,20; 2Re 5,13).
·bAlla lettera: «raccolta».

3. Critica testuale

Le abbreviazioni utilizzate sono quelle della BHS e servono unicamente per


la critica testuale:
M= il testo masoretico (= TM); S = il Pentateuco samaritano ( = Sam); G = la
Settanta ( = LXX); P = la Peshitta siriaca; V = la Vulgata latina; TO = il Targum
Onkelos.

3. Ketiv 1J.V; Qeré 1~J,..v: si tratta di una semplice questione ortografica.

4. M «YHWH disse a Mosè, ad Aronne e a Miriam»; G «YHWH disse aMo-


sè, a Miriam e ad Aronne».
La LXX mantiene Miriam e Aronne nell'ordine dato al v. l, mentre il TM ri-
stabilisce qui l'ordine «normale». È difficile determinare quale delle due versioni
si avvicini più al testo primitivo. 1

6. a-a M alla lettera: «se c'è un vostro profeta, YHWH, in una visione a iui mi
faccio conoscere». Questa frase è difficile e le versioni antiche semplificano il te-
sto, ognuna a modo suo: G «se c'è uno dei vostri profeti per il Signore ... »; V «Se
qualcuno tra voi è profeta del Signore»; PeTO aggiungono un pronome persona-
le di prima persona singolare davanti al nome di Dio «(se c'è per voi un profeta),
io, il Signore». 2 ·
3
a M ecc. «io mi faccio co-p.oscere»; S «egli s'è fatto conoscere».

1 Cf. supra, JoosTEN, p. 25 , esempio 4 con alcune spiegazioni. . . . . . . .


2 Cf. supra, JoosTEN, p. 23, ~sempio 3, e p. 37, esempio 9 con alcune sp1egaz10m e nfless1om n-
guardanti questo versetto.
3 Cf. supra, JoosTEN, p. 23, esempio 3.

169
8. Mmss,4 4QNumb, 4QLev-Numa, S, G, P, TO i!NìD::l «con una vista piena»; la
maggioranza dei manoscritti di M (seguiti dalla V) rimpiazza la preposizione «in»
con la congiunzione «e», ilNìD1.5
Il senso del TM non è chiaro.
V organizza la sintassi in altro modo: «non è mediante degli enigmi o delle fi-
gure che egli vede il Signore».

9. Manca nel Codice leningradense il maqqeph tra ìtn e =-]~.Si tratta proba-
bilmente di un errore scribale.

12. Secondo alcune fonti rabbiniche, il testo ebraico ha subito in questo


versetto una «Correzione scribale» (tiqqun soferim ). Il testo primitivo sarebbe:
1:ntv::1 ~~n ~:JN~1 1.1DN on;D mN~::l ìtVN nD:J ~iln N.1-~N «Che non sia come il bambino
nato morto quando esce dal seno di riostra madre, la nostra carne è consumata a
metà».
Quale che sia l'affidabilità della tradizione sulle «correzioni degli scribi» in
generale, gli specialisti sono d'accordo nel rigettare il presente caso. È poco proba-
bile che un testo ebraico con pronomi di prima persona plurale sia mai esistito.
L'inclusione di questo caso nella lista delle «correzioni» si basa su un errore (Lie-
berman).6

13. BHS propone ~~«non», al posto di~~ «Dio». Si tratta di una congetty.ra
che non si basa su alcuna lezione attestata.

16. S, per armonizzare il racconto con il parallelo in Deuteronomio, aggiunge


alcune frasi tratte da Dt 1,20-23a (lo stesso fenomeno è attestato in 4QNumb).

4. Suggerimenti esegetici nelle versioni

l. L'equivalente diTO per «cushita» è «bella». Questa traduzione rinvia a un


midrash conosciuto secondo il quale Mosè, per consacrarsi al suo ministero profe-
tico, si sarebbe separato da sua moglie Zippora (la bella in questione). Il midrash
giunge così a collegare il tema della moglie di Mosè a quello della profezia, che
sarà il motivo delle questioni nel versetto seguente.

3. Contro tutte le altre versioni antiche, il Targum samaritano traduce la pa-


rola ebraica 1~.1)? («umile») con due parole che significano «potente, forte» (Zc 9,9);
cf. Ben-Hayyim.

5. Il TO sostituisce il verbo «discendere» con «rivelarsi», per ragioni teologi-


che: Dio è dovunque, come potrebbe «discendere»?

4 E Ibn Ezra, comnientàrio ad loc.


5 Per quanto riguarda le varianti del M cf. supra, JoosTEN, p. 18, esempio l con alcune spiegazioni.
6 Cf. supra, JoosTEN, p. 34, esempio 7 con alcune spiegazioni.

170
7. Il TO sostituisce «la mia casa» con «il mio popolo»: il Targum Neofiti con
«il mondo intero che io ho creato».

8. G (seguito da P) traduce la parola i1{i~~ «forma», con ù6~a «gloria>>, senza


dubbio per ragioni teologiche. In effetti «nessun uomo che vede Dio può rimane-
re in vita» (Es 33,20). In queste stesse versioni, il verbo «vedere» viene messo al
passato («egli ha visto la gloria del Signore»). La visione di Dio non è per Mosè un
processo abituale, ma un avvenimento unico (fatto che rinvia al medesimo passo in
Es 33,18ss).

10. Nel TO la parola «lebbrosa» è anzitutto tradotta con «bianca» e in segui-:-


to con «esclusa»: fintanto che il sacerdote, Aronne, non ha constatato la lebbra si
tratta di un semplice biancore della pelle; dopo aver accertato la lebbra, la perso..,
na è esclusa dall'accampamento.? Il midrash spiega tuttavia che Aronne non pote-
va ricoprire il ruolo di sacerdote nei confronti di sua sorella: è Dio stesso che di-
chiara Miriam impura, che la esclude e che la dichiara nuovamente pura (Sifre).

12. L'inclusione del presente versetto tra i tiqquné soferim non riflette una tra-
dizione antica. Tuttavia il caso è interessante. Secondo il Siphré Zuta, citato da Lie-
berman, Rabbi Eleazar figlio di Simone aveva dedotto da questo versetto che,
quando si deve dire qualcosa di sgradevole su se stessi, conviene formulare come
se si trattasse di qualcun altro. Questa tradizione, insieme all'idea della «correzio-
ne degli scribi» che ne deriva, fanno intravedere un duplice livello nel discorso di
Aronne. La carne e il seno materno sono elementi che funzionano all'interno del-
l'immagine del bambino nato morto (non c'è quindi alcun tiqqun); allo stesso tem-
po, queste due nozioni possono agire su Mosè ricordandogli che Miriam è carne
della sua carne, che è uscita dallo stesso seno materno (da cui l'idea di Rabbi Elea-
zar).8

13. Nel Targum Neofiti la preghiera di Mosè è molto più lunga. La concisione
di Mosè nel TM stona, senza che se ne possa altresì dare una ragione.

5. Bibliografia

7 Cf. supra, JooSTEN, p. 18, esempio 1 con alcune spiegazioni.


8 Cf. supra, JOOSTEN, p. 34, esempio 7 e LIEBERMAN, Hellenism, 32-33.

171
B. Nm 12: STRUTTURA, CONTESTO,
FORMA, REDAZIONE (T. ROMER)

1. Analisi sincronica

1.1. Contesto
Nm 12,1-15 fa parte, nel libro dei Numeri, di un insieme che si potrebbe chia-
mare ciclo delle ribellioni. Questo insieme comprende Nm 11,1-20,13; termina con
la «ribellione» di Mosè e di Aronne che ha come conseguenza l'interdizione dei
due protagonisti dall'ingresso nella terra promessa. Si può osservare che questo ci-
clo è organizzato in forma concentrica.

11,1-3: prologo, che funge da riassunto riguardo le ribellioni a venire; etimologia di Taberà.
(fame- Mosè se la prende con Dio) 11,4-35: ribellione contro la manna- due azioni di
YHWH: effusione dello Spirito sui 70 anziani per scaricare Mosè. Invio_deHe quaglie in-
teso però come manifestazione della collera di YHWH.Etimologia di Qibrot-Taabà. Iti-
nerario.
(messa in discussione dell'autorità di Mosè) 12,1-16: ribellione di Miriam e
Aronne contro l'autorità di Mosè. Lo statuto eccezionale di Mosè viene -confer-
mato da YHWH. Miriam è colpita dalla lebbra. Itinerario da Caseròt a Paran.
(messa in discussione dell'esodo) 13-14: ribellione contro la conqui-
sta del paese; questo racconto costituisce il centro del ciclo. La sto-
ria delle spie, l'invio di una spia per tribù. Ritorno dopo quaranta
giorni e rapporto: il paese è occupato da un popolo troppo forte.
Reazione del popolo, che desidera· tornare in Egitto. Attitudine
esemplare di Giosuè e Caleb. Sanzione immediata: la generazione
del deserto non vedrà la terra (eccetto Giosuè e Caleb) e morirà nel
deserto dove dovrà abitare per 40 anni. Vano tentativo di conquista
da parte del popolo.
15: INTERLUDIO. Regole cultuali per la vita nel paese, offerte vegetali, ri-
tuale per l'espiazione di colpe involontarie, violazione del sabato e frange sui
vestiti:
(messa in discussione dell'autorità di Mosè e di Aronne) 16,1-17,5: ribellione
di Core; Datan e Abiràm contro l'autorità di Mosè e il sacerdozio di Aronne
(da parte dei !eviti). Castigo di YHWH (Core inghiottito; fuoco su Datane
Abiràm) 17,6ss: ribellione del popolo contro Mosè e Aronne. Collera di
YHWH. Piaga che provoca 14.700 vittime. Scelta del sacerdozio di Aronne
confermata (il suo bastone fiorisce).
18-19: INTERLUDI0,9 in cui si regola lo statuto e il reddito dei leviti (18). ·
Preparazione di un rito di purificazione con il sangue e le ceneri di una gioven- ·
ca rossa.
(sete- Dio se la prende con Mosè e Aronne) 20,1-13: lamentazione del popolo a causa
della mancanza di acqua. L'acqua sgorgata dalla roccia di Meriba. Questa pericope sta-
bilisce un'altra frattura: Mosè e Aronne non saranno autorizzati a entrare nella terra
promessa.

9 Si osservi che i due interludi inquadrano dei testi in cui viene messa in discussione l'autorità sa-
cerdotale.

172
Per quanto riguarda il contesto immediato, N m 12 si situa immediatamente
dopo la storia delle quaglie e del dono dello spirito di Mosè agli anziani di Israele
(11,4-34); questa narrazione è essa stessa preceduta da un «racconto-riassunto»
delle ribellioni a venire. Nm 12, d'altronde, segue in maniera stretta lo schema trat-
teggiato in 11,1-3 (cf. sopra). Nm 11,4ss combina il racconto di un lamento del po-
polo .in relazione con il cibo, assieme a un lamento. di Mosè per il peso della re-
sponsabilità, vera e propria messa in discussione del suo ruolo. In Nm 12 si descri-
ve ancora una volta la confutazione del ruolo di Mosè; ma in tale occasione questo
accade da parte di due membri della sua stessa famiglia: Miriam e Aronne. N m 11
e Nm 12 sono collegati anche in base al tema della profezia che viene affrontato
mettendolo in relazione con la vicenda di Mosè. Mentre Aronne era assente nel
racconto precedente, in questo caso appare ma come oppositore di Mosè; nel rac-
conto che segue Nm 12 (Nm 13-14) Mosè e Aronne sono solidali e vengono en-
trambi minacciati dal popolo. Nm 11,4-31 ha dei racconti paralleli («doppioni») in
Es 16 (fame del popolo/quaglie), e in Es 18 e Dt 1,9-18 (sovraccarico di Mosè); per
Nm 13-14 si trova un racconto parallelo anche in Dt 1,19-46. Nm 12 si distingue
dalle narrazioni appartenenti al suo contesto immediato per il fatto che non ha
doppioni in Es o in Dt.

1.2. Delimitazione

La delimitazione del racconto non pone alcun problema. Esso comincia in


12,1 con l'introduzione di un nuovo personaggio (Miriam) e termina al V; 15 con
l'ultima menzione di questo personaggio, che non appare più in seguito. 10 Tuttavia
è difficile comprendere questa unità come un racconto primitivo indipendente, al-
la maniera di Gunkel e dei suoi Einzelerziihlungen. L'ouverture 1~1!;11 vuole inserì-
vere il racconto come un seguito della narrazione precedente. Nm 12,1-15 è inqua-
drato da due informazioni riguardo a degli itinerari (11,35; 12,16) che fanno della
narrazione un episodio accaduto durante la migrazione dei figli di Israele attra-
verso il deserto.
11,35: «<l popolo aveva levato le tende da Qibrot-Taabà in direzione di Case-
rot. Erano a Caserot».
12,16: «Dopo che il popolo aveva levato le tende da Caserot, si accamparono
nel deserto di Paran» .11
Bisogna quindi ritenere 12,1-15 come una pericope a sé stante per l'esegesi
(in alternativa si potrà anche scegliere 11,35-12,16, cosa che richiederebbe delle ri-
cerche sugli itinerari nel libro dei Numeri e nel Pentateuco ).

1.3. Struttura

Si può osservare che N m 12 segue, grosso modo, la struttura dei racconti di ri-
bellione in Nm 11-20 come appare nell'introduzione in 11,1-3. Una tale strùttura
comporta gli elementi seguenti:

1°Cf. supra, SONNET, pp. 58ss. .


11 Secondo 10,29 Israele si trova apparentemente già nel deserto di Paran. 12,16 può essere com-
preso come una Wiederaufnahme, un tentativo di presentare i racconti di Nm 11 e 12 in maniera tale da
risultare anteriori all'arrivo del popolo nel deserto di Paran.

173
a) il popolo si lamenta: la;
b) YHWH ascolta, si adira, punisce: l b;
c) il popolo chiama Mosè: 2a;
d) Mosè intercede: 2bl;
e) l'intercessione porta frutto: 2b2;
f) informazione eziologica: 3.

A parte l'ultimo elemento, Nm 12,1-15 rivela una struttura simile:


a) Miriam e Aronne si lamentano: l;
b) YHWH ascolta, si adira e punisce: 2.9-10;
c) Aronne chiama Mosè: 11-12;
d) Mosè intercede: 13;
e) l'intercessione porta frutto: 14-15.

Si noti che i vv. 3-8 non rientrano in questo schema, osservazione che potrà di-
mostrarsi interessante a livello diacronico.
Per ottenere una struttura più dettagliata del racconto, d interesseremo delle
parole chiave così come dei cambiamenti di locutore, di discorso e di azione, ecc. Si
osserva così, mediante un'attenta lettura del testo ebraico (si possono ad es. sotto-
lineare le parole frequenti con colori differenti), che la radice i::Jì accompagnata
dalla preposizione ~ appare sei volte tra i vv. 1 e 8; a questa si aggiunga la menzio-
ne del sostantivo che si riferisce alle parole di YHWH al v. 6, dato che porta a set-
te le occorrenze di questa radice. 12 A partire dal v. 9 questa radice è totalmente as-
sente, elemento che conferma una cesura dal v. 9 il quale termina con il discorso di
YHWH. Nella seconda parte del racconto si osserva una terminologia che avvici-
na questi versetti specialmente alle prescrizioni del Levitico, come !ii~ «esser col-
pito dalla lebbra», n~~n «peccato», ilO «essere escluso». 13 Questa terminologia è
assente nella prima parte della narrazione.
Si può allora proporre una struttura come quella che segue:

l Miriam (e Aronne) parla contro Mosè a causa della donna cushita ::J i::Jì («parlare

2a «Essi» dissero(domanda): .
YHWH parla forse solo con/attraverso Mosè, ::J i::Jì («parlare a/attraverso»)

2b.4-5 Reazione di YHWH (ascolto, chiamata, discesa)


(3 commentario del narratore su Mosè)
6-8a Poema di YHWH sui profeti e su Mosè
(profeta:) Io parlo con lui in un sogno :J i::Jì («parlare a/attraverso»)
(Mosè:) Io parlo con lui bocca a bocca :J i:Jì («parlare a/attraverso»)
(domanda:) Perché voi parlate contro Mosè :J i::Jì («parlare contro, criticare»)

12 Cf. supra, SoNNET, p. 76.


13 Per dei riferimenti si consulterà una concordanza elettronica o cartacea. Per ottenere infor-
mazioni più precise su una radice, si consulteranno: Dizionario teologico dell'Antico Testamento, a cura
di E. JENNI- C. WESTERMANN (THAT, versione italiana), Marietti, Milano 1982 o Grande Lessico del-
l'Antico Testamento, a cura di G.J. BOTTERWECK -H. RINGGREN- H.-J. FABRY (Th WAT, versione ita-
liana), Paideia, Brescia 1988-.

174
9 Partenza di YHWH

10-15 Punizione e reintegrazione di Miriam


10 Constatazione della sanzione da parte ·di Aronne («lebbrosa», quindi impura)
11-12 Intercessione domandata da Aronne a Mosè
13 Intercessione di Mosè
14 Esaudimento dell'intercessione da parte di YHWH, esclusione limitata
15 Conclusione: esclusione e reintegrazione

Questa struttura mostra che ci troviamo davanti a una narrazione che combi-
na due tematiche: un primo episodio, che comprende il v. 1 e i vv. 10-15, narra di
una critica di Miriam (il verbo si trova alla terza persona femm. sing.) nei confron-
ti di Mosè a causa della moglie cushita. Questo episodio prosegue con una sanzio-
ne· (vv.10-15) di Miriam che «corrisponde» alla critica da lei formulata. Come han-
no già notato i rabbini, Miriam che critica Mosè a causa di una donna nera diviene
bianca come la neve; è solo grazie all'intercessione di Mosè (Aronne non può che
constatare la punizione e domandare a Mosè di intercedere) che YHWH limita il
castigo di Miriam a un tempo definito. Miriam, che aveva tenuto un discorso di
esclusione, deve essa stessa fare esperienza di un allontanamento prima di essere
reintegrata. 14
Il secondo racconto (vv. 2-9) parte da una domanda di Aronne e di Miriam (al
v. 2 il verbo si trova alla terza persona masch. pl.): YHWH parla esclusivamente a
Mosè o attraverso di lui? La questione riguarda la posizione e il ruolo di Mosè in
rapporto a quelli dei due protagonisti che rappresentano in apparenza i profeti (Mi-
riam) e i sacerdoti (Aronne). YHWH risponde a questa domanda con l'affermazio-
ne della superiorità di Mosè in rapporto ai profeti, e replica infine alla domanda ini-
ziale con un'altra· domanda: Perché non avete avuto paura di parlare contro il mio
servo Mosè? Questa osservazione che combina i due temi, vale a dire la critica al
matrimonio di Mosè con una donna cushita e la contestazione da parte di Miriàm e
Aronne del ruolo esclusivo di Mosè, può avere conseguenze sul piano diacronico.

1.4. La costruzione della narrazione 15

Il narratore si trova in questa storia chiaramente affianco a Mosè e lo quali-


fica al v. 3 come il più umile fra tutti gli esseri umani (Ol~) che si trovano sulla fac-
cia della terra (i1ì?l~). Questo versetto riflette quella che viene definita l'anni-
scienza del narratore, il quale sa paragonare Mosè a tutti gli uomini della terra e fa
coincidere il suo punto di vista a quello di YHWH.
Si possono allo stesso modo osservare delle costruzioni ironiche al fine di sot-
tolineare la superiorità di Mosè in rapporto a Miriam e Aronne. Quando Aronne
si rivolge a Miriam colpita dalla lebbra, fa una constatazione che implica, secondo
il Levitico, che la personà colpita venga portata «dal sacerdote Aronne o da uno
dei sacerdoti suoi figli», così da procedere a un esame (Lv 13,1 e passim). 16 In que-

14 Cf. supra, SONNET, pp. 75 e 77s.


15 Cf. supra, SONNET, p. 53s.
16 Cf. supra, SoNNET, p. 75.

175
sto caso Aronne non ha l'autorità di ai:munciare il passo successivo, ma deve rivol-
gersi a Mosè che, in un certo senso, egli identifica con Dio chiamandolo «mio Si-
gnore»-(~~'1~) e domandandogli di non tener conto dei suoi peccati. Quanto aMo-
sè, egli si rivolge a Dio per domandare la guarigione di Miriam. Così la narrazione
stabilisce chiaramente la seguente gerarchia: Mosè - Aronne (che dipende da Mo-
sè)- Miriam (che dipende da Mosè e Aronne).

2. Genere(i) letterario(i)

Nm 12 è senza dubbio un racconto (basta osservare la concatenazione delle


forme narrative, wayyiqtol), che si potrebbe qualificare come un racconto di ribel-
lione il quale segue, come si è già notato, lo schema proposto dall'autore di Nm
11,1-3. Questa affermazione non permette tuttavia di dedurre un Sitz im Leben. È
molto verosimile che questo racconto non si fondi su una tradizione orale ma sia
stato composto d'emblée per il suo «Sitz nella letteratura»; 17 sul piano storico-so-
ciale, non è il genere che ci servirà per individuare l'ambiente di produzione, ben-
sì il conflitto che esso sembra riflettere: la questione dei matrimoni con donne stra-
niere, i conflitti di potere che mettono in opposizione ambienti differenti (profeti-
co, sacerdotale, laico ... ). .
A livello formale; si può notare che la narrazione è intervallata da una sorta
di poema; il curatore della BHS ha semplificato il compito del reperimento orga-
nizzando i vv. 6-8 in forma poetica come nel caso dei Salmi.
Questo po~ma rivela d'altronde una struttura chiastica che è uno strumento
stilistico frequente nella BH e in altri testi del vicino oriente antico. Se si prescin-
de dall'introduzione («Ascoltate le mie parole») e dalla conclusione («perché osa-
te criticare il mio servo Mosè?» ), si può ricavare la struttura seguente:

A Se uno dei vostri profeti è (profeta) di YHWH


B Io mi faccio conoscere a lui in una visione ì1~1~
T :-
I PROFETI
C In un sogno, io parlo con lui :J i:Ji
D Non così per Mosè, mio servo
D'Su tutta la mia casa è stabilito
C'Bocca a bocca, io parlo con lui :J i:Ji
B' Mediante una vista piena, e non con enigmi i1~l~ MOSÈ
A: Contempla la forma di YHWH

Si tratta di un poema di paragone che vuole sottolineare la superiorità di Mo-


sè rispetto ai profeti di YHWH «ordinari». La prima parte descrive le modalità con
cui YHWH comunica con i suoi profeti, D e D' sono la cerniera dove il poema pas-
sa dai profeti a Mosè; dopo di ciò, la seconda parte tratta della maniera in cui
YHWH si rivolge a Mosè, con un'intimità senza eguali. Di tali testi poetici di pa-
ragone se ne trovano anche nel Deutero-Isaia (cf. Is 45,26-28 che paragona l'azio-

17 Cf. supra, BAUKS, p. 90.

176
ne devastatrice di YHWH di fronte ai nemici di Israele al momento della restau-
razione di Gerusalemme e di Giuda da parte di Ciro, servo di YHWH) e nei Salmi
(ad es. Sal92,7-16, il quale con un chiasmo paragona la sorte degli infedeli e quel-
la dei giusti).
Teoricamente, si potrebbe immaginare che Nm 12,6-8 sia stato in origine un
poema indipendente, orale, riguardante la superiorità di Mosè rispetto ai profeti;
ma questa considerazione rimane molto speculativa. Nulla impedisce all'autore di
12,2-8 di optare per un genere differente al fine di mettere in rilievo la risposta di
YHWH; avrebbe potuto ispirarsi per questo ai discorsi divini che troviamo spe-
cialmente nel Dèutero-Isaia. È d'altronde molto frequente il caso in cui l'autore di
un racconto imiti altri generi letterari per i bisogni che sorgono dalla narrazione.
Così, l'angelo di YHWH utilizza in Gen 16 il genere letterario dell'oracolo di una
nascita per annunciare ad Agar il destino eccezionale di Ismaele. La soluzione più
«economica» è dunque quella di immaginare che l'autore dei vv. 2-8 abbia compo-
sto egli stesso il suo testo (si può avanzare come argomento supplementare per
questa scelta il fatto che il poema utilizza l'espressione :l 1:::!1 proprio come l'in-
sieme di Nm 12,1-8).
I vv. 11-14 costituiscono una duplice intercessione. All'inizio Aronne si rivol-
ge a Mosè e si scusa, per sé e per Miriam, di essere entrato in conflitto con lui (v. ·
11). Il v.12 comprende una domanda di ristabilimento sotto forma negativa che sol-
lecita, con una metafora paragonabile al linguaggio dei Salmi (cf. Sal 22,15ss ), la
guarigione di Miriam. La reazione di Mosè è immediata: domanda a YHWH la
guarigione per Miriam (v. 13). La risposta divina è formulata sotto forma di con-
cessione: mediante una seconda metafora, YHWH sottolinea anzitutto l'ampiezza
dello scandalo e la necessità della sanzione (v.14a). In seguito pronuncia il verdet-
to (v. 14ba):18 egli riduce la durata della pena a un tempo limitato - come d'al-.
tronde è anche prescritto nei testi legislativi- e annuncia la reintegrazione di Mi-
riam, sottintendendo la riparazione (v. 14bb).

3. Analisi diacronica

L'analisi sincronica ha già evidenziato la.combinazione di due temi: la supe-


riorità di Mosè rispetto ai profeti, la punizione di Miriam che aveva criticato Mosè
a causa di una donna cushita. Questo potrebbe essere un indizio della combinazio-
ne di due racconti di provenienza differente; per decidere rispetto a tale questione,
bisogna raccogliere il maggior numero possibile di osservazioni di «critica lettera-
ria» nel senso diacronico.
Per fare questo, seguiamo i criteri enumerati nel capitolo sulla critica reda-
zionale, per verificare se si applicano o meno a questa pericope.

18 Cf. supra, BAUKS, pp. 94 e 102.

177
3.1. Doppioni l ripetizioni

Alcuni commentatori vedono un doppione nel fatto che il racconto presenta


due volte la partenza di YHWH al v. 9 (se ne va, 1Si1), e al v.lOa (la nube si ritira,
ì10). Ciò non costituisce un vero doppione: il v. 10 può essere compreso come una
precisazione del v. 9 (tanto più che YHWH discende nella nube al v. 5); inoltre, il
verbo del v. 10 è al qatal, si tratta quindi di un commentario alla narrazione che
possiamo tradurre con un piuccheperfetto, che introduce la scoperta della sanzio-
ne di Miriam.
Si può anche rilevare che l'infezione della pelle di Miriam viene menzionata
due volte. Al v lOa: .:1~~~ jn.!1"1~~ mm\«ed ecco era lebbrosa come la neve», e al v.
lOb:\rl.ìll~~ mrr11 o:lY-S~ 1iO~ r~~J «Aronne si voltò verso di lei ed ecco, era leb-
brosa». Ma non si tratta di un doppione propriamente detto. Il v. lOa offre anzitut-
to al lettore un:informazione generale sulla punizione, il v. lOb riprende il filo nar-
rativo raccontando come Aronne si sia reso conto dell'impurità di Miriam e come
debba rivolgersi a Mosè per trovare una soluzione al problema.

3.2. Contraddizioni l tensioni

. Il testo non contiene delle vere contraddizioni. Si noterà tuttavia che al v. l è


Miriam a parlare, mentre al v. 2 abbiamo la terza persona plurale maschile. Allo
stesso modo, il motivo della critica del v. l è la donna cushita di Mosè, mentre il v.
2 solleva la questione sulla convinzione che YHWH parli esclusivamente a (e at-
traverso) Mosè.
Al v. 4 YHWH si rivolge a Mosè, Aronne è Miriam e chiede loro di dirigersi
alla tenda dell'incontro; al v. 5, al contrario, chiama solamente Aronne e Miriam. È
la manifestazione di una tensione? No, poiché al v. 4 si tratta di convocare tutti i
protagonisti del conflitto, mentre il discorso che segue a partire dal v. 5 non ri-
guarda altri se non coloro che hanno criticato Mosè, Aronne e Miriam.

3.3. Cambio di stile l di linguaggio

Basti ricordare un'osservazione fatta al momento di stabilire la struttura: i vv.


1-8 sono marcati dall'espressione chiave :J ì:Jì che è assente nel seguito del rac-
conto, mentre dal v. 10 in poi si fanno strada delle espressioni di tipo piuttosto sa-
cerdotale, come ad esempio l1ì::; «esser colpito dalla lebbra» e ì.:\0 «essere escluso»,
che sono assenti nella prima parte del racconto.
A ciò si può aggiungere un argomento di tipo statistico:19 la lunghezza media
delle proposizioni nei vv. l e 10-15 è di 5,3 parole, mentre nei vv. 2-9 è di 3,73 pa-
role (3,6 se non contiamo il v. 3). L'autore dei vv. l e 10-15 sembra costruirè frasi
più lunghe di quello dei vv. 2-9.
Infine sipuò notare un cambiamento che riguarda il nome divino: per tutto il
racconto il Dio di Israele è designato con il tetragramma, a eccezione dell'inter-
cessione di Mosè dove troviamo «El» (v.13). Questo cambiamento non permette

19 A proposito di questo metodo cf. KNAUF, Ismael, 28-29. Una proposizione non è identica a un
versetto; per la struttura delle proposizioni cf. JoDoN, Grammaire, 466ss.

178
ancora delle· conclusioni diacroniche; sarà forse l'analisi delle tradizioni a poter
spiegare tale fenomeno.

3.4. Cambiamento di genere letterario

L'analisi del genere letter~rio ha mostrato che i vv. 6-8 costituiscono un poe-
ma integrato nella narrazione. E tuttavia impossibile postulare un racconto primi-
tivo senza questi versetti, poiché in tal caso non ci sarebbe alcuna risposta da par-
te di YHWH in relazione alla domanda del v. 2. Tutt'al più si può immaginare che
l'autore dei vv. 2-9* (almeno) avrebbe conosciuto e utilizzato per la sua storia un
poema su Mosè. Ma anche questo è difficile da sostenere, poiché il poema ha la
conformazione di un discorso divino, elemento che rende poco plausibile che pos-
sa aver circolato in maniera indipendente (si può chiaramente speculare sulla pos-
sibilità che in principio questo poema parlasse di YHWH alla terza persona, ma
non vi è alcun indizio a favore di questo presupposto).

3.5. Nuovi sviluppi

Questo punto si confonde con alcune osservazioni fatte sotto la rubrica «ten-
sioni». Si può in effetti considerare il v. 9 come una prima conclusione: YHWH ha
risposto alla domanda sul ruolo di Mosè nella mediazione della parola divina. Il v.
10, che si ricollega al v. 9 mediante un piuccheperfetto, introduce un nuovo tema:
la «lebbra» di Miriam, che non ha nulla a che vedere con i vv. 2-9 ma che può es-
sere collegata al v. l.

3.6. Interruzioni

Il v. 2b racconta che YHWH ascolta la domanda posta al v. 2a, e il v. 4 conti-


nua a mostrare la reazione divina: YHWH convoca i protagonisti del conflitto. Tra
il v. 2a e il v. 4 vi è una sorta di commento riguardo a Mosè che interrompe le rea-
zioni divine: «Ora quest'uomo, Mosè, era molto umile (1~J,_.v), più di tutti gli esseri
umani sulla faccia della terra».
Questo inciso può essere considerato in effetti come un'aggiunta a un testo
più antico. Il termine 1J.!1 non appare in tutto il Pentateuco che in questa occasione;
è frequentemente attestato, al contrario, al plurale (i «poveri») nei Salmi, nei qua-
li indica apparentemente un gruppo che si sente particolarmente vicino a YHWH.
L'autore di questo inciso voleva senza dubbio fare di Mosè l'antenato di questo
gruppo degli anawim. Nel contesto dei Numeri, l'umiltà di Mosè potrebbe anche
costituire un correttivo rispetto alla descrizione di un Mosè che si adira con
YHWH in 11,11-15. Allo stesso modo l'espressione «l'uomo Mosè» è singolare in
tutta la BH (si potrebbe eventualmente paragonare a Es 32,1.23, anche se la co-
struzione grammaticale è diversa: «Mosè, l'uomo che ci ha fatto uscire ... »). Nel
contesto di Nm 12 si può comprendere questa espressione come una correzione a
un Mosè che è stato quasi divinizzato ai vv. 6-8. Anche se egli può vedere la it~~~J;"l
di YHWH, rimane un uomo (si potrebbe allo stesso modo opporre l'espressione
itll!b ~h~ì)l, «l'uomo Mosè», alla designazione di Mosè come o~;j?~çr-id~~ utilizzata in
testi tardivi come Gs 14,6; Sal 90,1; Esd 3,2; ecc.).

> 179
3.7. Glosse

Si potrebbe considerare in primo luogo la menzione «e/con Aronne»· al v. 1


come una glòssa, poiché il verbo è al femminile singolare e la sanzione raccontata
nei vv.10ss riguarda unicamente Miriam. Questa scelta tuttavia non si impone: esi-
stono altri casi in cui nella BH il verbo preposto seguito da due soggetti può tro-
varsi al singolare (Joiion, § 150q), e i vv. 10ss gettano una luce a dir poco ambigua
anche su Aronne, in quanto anch'egli confessa una colpa.
La posizione difficile del tetragramma del v. '6a potrebbe far pensare alla glos-
sa di uno scriba, cori l'intento di precisare che il profeta di cui si parla è chiara-
mente un profeta inviato da YHWH (cf. a questo proposito la critica testuale).

3.8. Fortschreibung

Questo concetto non si applica all'analisi diacronica di Nm 12; forse potrem-


mo chiederci se la questione del ruolo di Mosè in relazione ai profeti funzioni co-
me una Fortschreibung correttiva di questo tema, già trattato nel capitolo 11.

3.9. Wiederaufnahme

Non si trova all'interno di Nm 12 una tale ripresa (Wiederaufnahme); si po-


trebbe tuttavia considerare la menzione del deserto di Paran in 12,16 come una ri-
presa di 10,26, in cui si dice che dopo la partenza dal Sinai la nube si trova nel de-
serto di Paran. Ciò potrebbe condurci verso alcune considerazioni sulla formazione
dei Numeri che oltrepassano il quadro dell'esegesi di Nm 12. Poiché l'invio degli
esploratori in 13,3 si fa a partire dal deserto di Paran, si può immaginare che questo
racconto avesse costituito in un primo periodo il seguito della partenza dal Sinai e
dell'arrivo al Paran;in un secondo momento si sarebbero inseriti Nm 11-12; 12,16
avrebbe la funzione di facilitare questa inserzione mediante la menzione di Paran.

3.10. Formulazione di un'ipotesi

Se si tenta di fare una sintesi delle osservazioni fatte, si arriva alla seguente
conclusione: sul piano diacronico si possono distinguere i due racconti seguenti: i
vv. 1 e 2ss trattano di due argomenti differenti; il filo del v. 1, che è incentrato su
Miriam, viene ripreso a partire dal v. 10. Si può anche considerare che il v. 3 sia
un'inserzione ulteriore per impedire una «divinizzazione» di Mosè e per farne l'an-
. tenato dei «poveri di YHWH».
Si avrebbero, grosso modo, i seguenti insiemi:

A vv. 1.10-15
B vv. 2.4-9
C v.3.

Questa ripartizione si basa su un certo consenso tra gli interpreti, anche se


l'attribuzione dei vari versetti può variare.
Un consenso esegetico, tuttavia, non è un argomento in sé ben fondato per
un'ipotesi. In ogni esegesi sin devono reperire degli argomenti a partire dal testo

180
stesso. La consultazione dei commentari e delle monografie è indispensabile; non
dispensa tuttavia dalla necessità di esporre gli argomenti in favore dell'ipotesi che
si vuole difendere. Sia ben chi'aro, questi argomenti possono essere una semplice ri-
presa dei lavori di alcuni specialisti. Quanto a Nm 12,1-15 si potrebbe anche argo-
mentare in favore dell'attribuzione a un unico autore della costruzione di un rac-
conto composto da due fili narrativi, e questo a maggior ragione poiché abbiamo a
che fare con un testo tardivo: questi poteva conoscere la maggior parte delle tradi-
zioni riunite nella Bibbia (cf. in questo senso le riflessioni di Noth, 82-83 e più re-
centemente Rapp, anche se in questo autore non troviamo una vera discussione del
problema). Nondimeno, le differenti particolarità che dividono A e B parlano in fa-
vore di una differenziazione diacronica.
La questione ora è di cercare di sapere quale di questi insiemi sia il più anti-
co e come si sia giunti al testo di Nm 12 nella sua forma «finale»: per giustapposi-
zione di due documenti indipendenti o mediante un lavoro di complemento.
Nell'approccio storico critico di Nm 12, entrambe le teorie sono state difese.

3.10.1. Modello documentario


Questa posizione è stata difesa soprattutto nel quadro della teoria. documen-
taria applicata all'insieme del Pentateuco. Ecco alcuni esempi:
De Vaux: un primo racconto probabilmente jahwista, contenente le critìche di
Miriam contro Mosè a proposito della donna cushita e un racconto che narra le cri-
tiche di Aronne e Miriam contro Mosè, sono stati legati da un redattore elohista.
Scharbert: J (vv. 1.9.10b-15) ed E (vv. 2-9) sono stati combinati dal redattore
JE Gehowista) che si è accontentato di aggiungere il v. 10a come «malta» (NB:
Sharbert attribuisce il v. 9 ai due documenti).
Davies (che si allinea a Fritz): J: vv.1.9a.10az.13-15; «fonte indeterminata»: vv.
2-5a.6-8.9b.10a1.11. Il compilatore avrebbe introdotto Aronne nel racconto J per
armonizzare meglio le due narrazioni.
I problemi che pone questo modello sono legati in generale alla messa in di-
scussione della teoria documentaria per spiegare la formazione del Pentateuco.
L'esistenza del documento «elohista» oggi non viene postulata che da un'esigua
minoranza; è per questo che molti ricercatori che lavorano ancora con questo pa-
radigma preferiscono parlare di un documento J e di un altro documento di pro-
venienza sconosciuta. Ma anche l'attribuzione del primo documento a J è questio-
ne delicata, poiché i vv. 10ss sembrano presupporre e imitare lo stile sacerdotale.
Inoltre, come si deve immaginare un documento di cui non si può identificare la
provenienza? La teoria dei due documenti indipendenti non si impone; ciò si vede
anche dalle pubblicazioni recenti, in cui la maggioranza opta per il modello di tipo
redazionale.

3.1 0.2. Modello redazionale


L'idea di base è che un primo racconto sarebbe stato editato da un redattore
ulteriore il quale avrebbe ampliato, se non modificato, il precedente con l'aggiun-
ta di una· nuova tematica. All'interno di questo modello sono possibili molteplici
varianti:

181
a) il testo A è stato ampliato da un redattore con l'aggiunta di B;
b) il testo B è stato ampliato da un redattore aggiungendo A. ·

Per quanto riguarda a) si può identificare A con lo jahwista come fanno al-
cuni esegeti (Seebass; L. Schmidt pensa al jehowista) e attribuire B a una redazio-
ne (L. Schmidt: «Pentateuchredaktion»); l'altra possibilità è quella di partire dall'i-
dea che l'insieme A possieda una funzione redazionale; questa prima redazione sa-
rebbe in seguito stata rivista da una seconda redazione (B) (così Achenbach, che
attribuisce la narrazione sul matrimonio misto di Mosè: v. 1 [senza Aron-
ne].2b.9a.10a2.13-15 alla «redazione dell'Esateuco», la quale avrebbe integrato una
tradizione su una moglie straniera di Mosè e la tematica dello statuto eccezionale
di Mosè; vv. 2a.3-8.9b.10a1b.11,.12 a una «redazione del Pentateuco» ). Quasi tutti i
commentatori partono dall'idea che il racconto della donna cushita preceda il te-
ma della relazione tra Mosè e i profeti. L'argomento principale risiede nel fatto che
solo il v. 1 offre un'introduzione completa a una storia, contrariamente al v. 2 che
non menziona i protagonisti; di conseguenza i vv. 2ss sarebbero stati aggiunti in se-
guito. Questa tesi parte dall'idea che la critica diacronica permette di ricostruire in-
teramente il testo primitivo, presupponendo che il redattore avesse un rispetto as-
soluto per il testo che editava. Ora, questa idea non è convincente: «redazione» può
anche significare modifica, se non soppressione di un testo anteriore. 20 Inoltre, per
ricostruire un testo completo riguardo alla critica di Miriam e alla sua pena, si do-
vrebbero dare dei «colpi» al testo che non possono fondarsi su alcun argomento
diacronico. Così Achenbach (con altri) postula che il v. 2b ( «YHWH ascoltò») fac-
cia parte del testo di base, mentre non ritiene che vi sia alcuna ragione per fare una
differenza sul piano diacronico tra il v. 2a e il v. 2b; la sua distinzione tra i vv. 11-12
e i vv. 13-15 non si basa più su osservazioni diacroniche, ma deriva dall'idea che il
racconto primario non parlava che di Miriam; e poiché nei vv. 11-12 Aronne si in-
clude tra i colpevoli, questi versetti non possono appartenere alla narrazione pri-
mitiva. Se invece si considera che il tema del matrimonio misto si innesta sul tema
trattato nei vv. 2-8 (dove Aronne e Miriam appaiono entrambi), non vi è alcuna ra-
gione di fare una differenza tra i vv. 11-12 da un lato e i vv. 12-15 dall'altro. Un al-
tro argomento è in favore dell'anteriorità di B: il suo legame con il capitolo prece-
dente. Nm 11 racconta di come YHWH distribuisca lo spirito di Mosè agli anziani
del popolo, che divengono così profeti; questo dono profetico è talmente potente
da influire sugli altri. In risposta alle proteste di Giosuè, il quale vuole che la pro-
fezia rimanga un fenomeno limitato, Mosè risponde con il desiderio che tutto il po-
polo di YHWH possa divenire un popolo di profeti (11,29). Nm 12,2-8 può allora·
comprendersi come un correttivo di questa visione; anzitutto si ristabilisce l'idea
che i profeti appartengono a un gruppo ristretto, e poi si mostra che Mosè è molto
al di sopra di questi profeti. Quindi esiste una connessione tematica tra Nm 11 e
Nm 12,2ss, mentre la storia della moglie straniera appare in maniera piuttosto inat-
tesa. Si potrebbe dunque, contro il parere della maggioranza, immaginare che N m
11 sia stato completato in un primo momento da Nm 12,2ss. Un secondo redattore
avrebbe allora approfittato di questo testo, che insiste sull'autorità assoluta di Mo-
sè, per legittimare attraverso Mosè i matrimoni misti. Si può allora immaginare che

°Cf. supra, NIHAN, pp. 144s.


2

182
questo racconto dovesse contenere in origine al v. 2 i nomi di Aronne e di ·Miriam.
Il redattore avrebbe fatto ricorso in 12,1 all'espressione :l 1::l1 per rafforzare il le-
game con i vv. 2-9.

3.10.3. Riassunto

Si può optare sia per il modello seguito dalla maggioranza:

l.
Miriam critica il matrimonio misto di Mosè e viene punita
vv.l.10-15* rosso modo

(9)10-15* (grosso modo)

O immaginare lo scenario seguente:

1.
Fortschreibung correttivo del tema della profezia (cf. Nm 11): vv. 2.4-9

2.
Inquadramento ad opera di un secondo redattore:
vv. 2.4-9

3.
Aggiunta del v. 3:
r---, r-----,
v.1
1L _ _ _J1 l vv. 10-15 l
L-----l

Le due opzioni diacroniche sono plausibili; a ogni modo, i due temi ci condu-
cono a un contesto letterario e storico-sociale che richiede una datazione di A e B
. ..
m epoca persiana.

4. Il contesto letterario e storico

4.1. Contesto letterario e storico-sociale di Nm 12,2.4-9

Come è già stato sottolineato, questi versetti rispondono a Nm 11 che pro-


viene da un milieu profetico carismatico (per maggiori dettagli, cf. Romer) e che
cerca di legittimare l'ideale escatologico di un «popolo di profeti». I vv. 2-9 cerca-

183
no di modificare questa visione introducendo un interrogativo di Aronne, che rap:-
presenta il potere sacerdotale, e di Miriam, che rappresenta i profeti, riguardo al-
la mediazione della parola divina. La domanda del v. 2 ha un duplice significato:
può riferirsi ai destinatari della parola divina, ma può anche riguardare i mediato-
ri di questa parola. La risposta divina che si esprime in un poema ricorda il lin-
guaggio deuteronomista: l'appello all'ascolto della parola di YHWH si trova fre-
quentemente in contesti deuteronomistici, e la designazione di Mosè come «servo
di YHWH» è una specificità dei redattori della storia dtr. Ma non si può attribui-
re questo testo a una «composizione D» (Blum) o a testi dtr del Pentateuco rela-
tivamente antichi. Per la concezione dtr tradizionale, Mosè è il primo di una serie
di profeti che YHWH invierà man mano al suo popolo. Qui si tratta invece di di-
stinguere Mosè dagli altri.profeti, con i quali YHWH non si mette in contatto che
tramite sogni e visioni. Con Mosè YHWH comunica «bocca a bocca» (i19-Z,~ i19),21
espressione che non si trova altrove nella BH (n~[ ... ] ,,~-0.!? ,,~in Ger 32,4 e 34,3,
che significa «senza intermediario», sarebbe il parallelo più vicino); ciò esprime lo
stesso concetto del «faccia a faccia» di Es 33,11 e Dt 34,10. Questi versetti appar-
tengono, secondo il parere della maggioranza degli esegeti, a una «redazione del
Pentateuco» che insiste sull'incomparabilità di Mosè e sulla distanza qualitativa
tra Mosè e i Nebiim. Questa incomparabilità è ancora sottolineata in Nm 12,8 dal
fatto che Mosè, contrariamente ai profeti; vede la i1~1~~ («apparenza, forma») di
YHWH. Questo versetto precisa, se non corregge, Dt 4,12-15 per quanto riguarda
Mosè. Se il popolo non ha vist~ alcuna i1~1~~ al momento della rivelazione divina,
non è lo stesso per Mosè il quale si trova in contatto immediato con Dio, in un rap-
porto a cui nessun altro uomo può accedere. Il senso esatto di un termine così ra-
ro (eccetto Dt 4, solo in Es 20,4 Il Dt 5,8; Sal17,15; Gb 4,16) è difficile da precisa-
re. A partire dal Sal17,15 si può pensare a una statua di YHWH esistente nel pri-
moTempio. Sebbene quindi il Pentateuco insista sull'invisibilità di YHWH almo-
mento della rivelazione (cf. anche Es 33,20}, Nm 12,8 vuole fare in modo che la vi-
cinanza di YHWH e Mosè sia la più stretta possibile. Il v. 7 va nella stessa direzio-
ne, ì~~ è un titolo onorifico che appare frequentemente in contesti regali. L'e-
spressione f + n,.~ «nella casa» si riferisce all'intendente del palazzo, che può av-
vicinarsi al re e in qualche maniera è un suo confidente. Il rilievo di Dario I a Per-
. sepoli mostra l'accesso privilegiato dell'intendente al cospetto del grande re (Ueh-
linger).22 Descrivendo Mosè come l'intendente di YHWH, il. testo insiste sul fatto
che Mosè ne è l'interlocutore privilegiato; egli sorpassa il potere profetico e senza
dubbio anche il potere sacerdotale. Ora, malgrado il testo metta in scena Aronne
e Miriam, la risposta esplicita di YHWH non riguarda che la relazione tra i profe- .
ti e Mosè. Questo si può spiegare in base al rapporto con il problema maggiore che
era stato posto da Nm 11 *:una profezia «democratizzata». Il redattore ha inte-
grato Aronne per mostrare almeno in filigrana che Mosè non oltrepassa solamen-
te i profeti ma anche il potere sacerdotale. Se si accetta la tesi di Crtisemann, in ba-
se alla quale il Pentateuco è un compromesso tra ambienti laici e sacerdotali che
'condividÒno la. loro diffidenza nei confronti degli ambienti profetici, si può anche

21 Questa espressione è- senz'altro uno dei punti culminanti di tutto il racconto; cf. supra, SONNET,
p. 76s.
22 Cf. supra, BAUKS, p. 115.

184
spiegare perché l'autore di N m 12,2-9* non volesse prendersela direttamente con-
Aronne. -
Si può dunque attribuire Nm 12,2-9* a una «redazione del Pentateuco» (cf. in
questo senso Schmidt e Achenbach), nel senso che si tratta di una redazione che,
all'epoca di Esdra verso il400 a.C., vuole delimitare l'estensione della Torah. Que-
sta redazione edita un Proto-Pentateuco che resta aperto a numerose aggiunte. Si
può mettere in rapporto il conflitto dietro Nm 12,2-9 con l'informazione di Ne 6,14,
che menziona una profetessa e altri profeti che si sarebbero opposti a Neemia. Se
gli ambienti che hanno prodotto i libri di Esdra e Neemia sono da mettere in rela-
zione con quelli che hanno editato la Torah, si può vedere dietro Nm 12 il riflesso
di un'opposizione profetica a fare della Legge l'unico medium di accesso alla vo-
lontà divina. Questo conflitto termina nel IV secolo a.C. con la vittoria degli am-
bienti sacerdotali e protorabbinici («dtr») che trasformano la profezia vivente nel-
la profezia del libro (Lange ). _ ·
Per riassumere: Nm 12,2-9 deve essere situato verso la fine del V secolo a.C.
nel quadro dell'edizione di un Proto-Pentateuco.

4.2. Contesto letterario e storico-social·e di Nm 12,1 e 10-15

La disapprovazione per il matrimonio di Mosè con una donna straniera fa


spontaneamente pensare alla questione dei «matrimoni misti» che furono combat-
tuti dai redattori del Deuteronomio (7,1-6) e dei libri di Esdra e Neemia.
Per la tradizione giudaica, come per gli esegeti storico-critici che vogliono at-
tribuire Nm 12,1 a uno jahwista di epoca regale, questa osservazione solleva un pro-
blema. Si è dunque tentato (e lo si continua a fare) di identificare la donna cushita
con Zippora, la moglie madianita di Mosè (per le speculazioni del Targum si veda -
De Vaux, 158; Seebass, 68). Ci si è basati specialmente su Ab 3,7, dove si menziona
una tribù di Cushan che parè situata in Madian, e si è così concluso che la donna cu-
shita in Nm 12,1 designerebbe una donna di Cushan (Noth, De Vaux). Ora, in tutte
le altre attestazioni della BH Cush designa l'Etiopia, e il testo è formulato in ma-
niera tale da far pensare a un matrimonio recente. Inoltre esistono, al di fuori della
Bibbia, tradizioni riguardo ai legami di Mosè con l'Etiopia (cf. il paragrafo sulla sto-
ria delle tradizioni) le quali possono spiegare la notizia stupefacente di un matri-
monio di Mosè con una donna etiope. Il contesto geografico fa pensare alla diaspo-
ra giudaica insediatasi a Elefantina (Syène) proprio vicino al paese di Cush (Dieb-
ner, cf. anche l'identificazione di questa diaspora con il paese di Cush in Sof 3,10).
Può dunque trattarsi di una questione importante per la diaspora egizia, la quale
senza dubbio conosceva la prassi dei matrimoni misti (cf. in questo senso la storia di
Giuseppe; Gen 41,45-52), a cui si vuole dare in questo testo una legittimazione rac-
contando di un matrimonio misto di Mosè. Miriam rappresenta in questo contesto
l'ambiente profetico nazionalista, che oppone la salvezza di Israele alla disgrazia
delle nazioni (cf. gli oracoli contro le nazioni dei libri profetici). Si deve allora si-
! tuare il v. 1 e ciò che segue (vv. 2-9) nel contesto dei conflitti di identità del giudai-
smo dell'epoca persiana. L'autore/redattore dei vv.1.10ss si ispira, contrariamente ai
! vv. 2ss, al linguaggio sacerdotale, conosce i testi P e li utilizza alla sua maniera per
mostrare che il potere sacerdotale si deve sottomettere ugualmente a Mosè.
l I vv. 10-15 sono particolarmente vicini al vocabolario sacerdotale, la descri-
zione della malattia di Miriam come n!i1~ rinvia a testi sulle malattie della pelle in
- -T

185
l
Lv 13-14. Nel Pentateuco il sostantivo si trova solo in Lv13-14 e una volta in Dt
24,8, che si presenta come «ricordo» dell'episodio di Nm 12 (cf. la storia delle tra-
dizioni). La constatazione dell'impurità di Miriam da parte di Aronne segue esat-
tamente lo schema di Lv 13-14 riguardo alla constatazione dell'infezione: waw con-
secutivo+ verbo che esprime l'esame+ ìiJjiJ +constatazione. Il parallelo letterario
più vicino a Nm 12,10b si trova nella constatazione della lebbra del re Ozia in 2Cr
26,20 (questa frase è assente dal racconto parallelo di 2Re 15):

l7l~i? ~ii1-miJ1 [ .. .]- i!J~;çr 10!) 1i1;1w 1~7~ 1~?J 2Cr 26,20
ìl.lll~i? i1~.iJ1 o:l~-~~ 1itJ~ 1~~.1 Nm 12,10

Nelle prescrizioni del Levitico è il sacerdote che decide, dopo la constatazio-


ne, il percorso' da seguire. Qui (v. 11) egli si sottomette a Mosè con un'espressione
di reverenza: ~~i~ ~:;l. Questa formula è spesso utilizzata quando l'uomo si rivolge
a Dio, e si ha quasi l'impressione che Aronne tratti Mosè come se fosse Dio (in ciò
si ritrova, come nei vv. 6-7, l'insistenza sull'incomparabilità di quest'ultimo) e in-
cluda se stesso nel «peccato» (ìl~~lJ molto frequente in Lv). L'intercessione di Mo-
sè, la sola parola pronunciata da lui nel racconto, è breve e un po' sorprendente per
l'utilizzo del nome divino «El» (cf. anche la critica testuale). Questo impiego (fre-
quente nel D t -Is) si può spiegare con la stretta associazione tra El e la radice r-p-'
(attestata a Ugarit, cf. la storia delle tradizioni), e il termine permette anche di da-
re all'intercessione una forma ritmata:

'el- na' - repha' - na' - lah


l l
Si può anche immaginare che l'impiego del nome divino El sia il segno di una
certa apertura (come «El Shadday» nei testi sacerdotali; o ancora «elohim» nella
storia di Giuseppe). È dunque grazie a questa intercessione che Miriam, dopo un
isolamento di sette giorni (Lv 13), può essere reintegrata nella comunità. L'allusio-
ne a un padre che sputa in faccia a sua figlia non è attestata nella BH, si può para-
gonare il testo a Dt 25,9 dove si sputa sul viso di colui che rifiuta di sposare la co-
gnata (è di nuovo un contesto di matrimonio; si potrebbe dire che Miriam viene
punita per essersi opposta al matrimonio di Mosè, come è punito colui che rifiuta
di osservare la legge delle virato in Dt 25). Miriam, che all'inizio della storia aveva
un atteggiamento di esclusione, deve fare in prima persona l'esperienza dell'esclu- ·
sione (la radice 1.:10 appare spesso anche in Lv 13-14).
Per riassumere: si possono situare i vv. 1.10-15 nel contesto del dibattito sui
matrimoni misti. Più precisamente, la menzione della donna cushita fa pensare al-
la diaspora giudaica di Elefantina. L'autore di questi versetti esalta un atteggia-
mento di apertura contro il profetismo nazionalista e il clero, legittimando matri-
mòni con donne straniere per merito dello stesso Mosè. Ispirandosi ai vv. 2-9*,
mostra allo stesso modo che il potere sacerdotale ha anche bisogno della media-
zione mosaica. Questi versetti sono stati scritti probabilmente all'inizio del IV se- .
colo (forse sono contemporanei all'inserzione della storia di Giuseppe nel Penta-
teuco).

186
4.3. Il contesto letterario e storico-sociale di Nm 12,3

Se questo versetto non faceva parte dell'insieme di 12,2-9 (cf. in questo ·senso
Achenbach), si deve considerare come facente parte di un'ultima redazione par-
ziale del testo il cui scopo era di fare di Mosè l'antico fondatore degli anawim. È
possibile che esistesse nella Gerusalemme dell'epoca persiana ed ellenistica un
gruppo che si designava con questo titolo (sempre al plurale, Nm 12,3 è la sola oc-
correnza al singolare); secondo alcuni specialisti dei Salmi, si potrebbe attribuire a
questo gruppo la redazione di certi Salmi nello spirito della «pietà della povertà»
(cf. Sal9,13Q; 10,12Q.17; 22,27; 25,9; 34,3; 37,11; 69,33; 76,10; 147,6; 149,4).

5. Storia delle tradizioni

Anche se non possiamo ricostruire le tradizioni narrative orali che gli autori
o. redattori di Nm 12 avrebbero utilizzato, è evidente che essi conoscevano delle
tradizioni su Miriam, sulla donna cushita, su «El Rofe», ecc.
La storia delle tradizioni tenta di descrivere il più precisamente possibile la fi-
sionomia delle tradizioni utilizzate al momento della costruzione del testo.

5.1. Miriam

La donna appare sette volte nella BH. In Es 15,20-21 ella celebra con altre
donne la disfatta dell'armata egizia. In questo testo è chiamata profetessa e sorel-
la di Aronne. Nella genealogia (post)sacerdotale, Nm 26,59, appare anche come so-
rella di Mosè e Aronne; in 1Cr 5,29 viene enumerata con Mosè e Aronne tra i «fi-
gli» di Amran (il maschile può includere il femminile). La triade Mosè, Aronne e
Miriam appare ancora in Mi 6,4, in cui si parla di tre «guide» che YHWH ha inviato
al suo popolo. La sola narrazione che mette in scena Miriam si trova in Nm 12.
Questo testo non precisa le relazioni fra i tre protagonisti; se si tratta di un testo
recente, si può immaginare che l'autore pensi a un legame di famiglia fra i tre per-
sonaggi. Dt 24,8-9 sembra menzionare il medesimo episodio: la «lebbra» di Miriam
quando il popolo è in cammino dopo essersene andato dall'Egitto. Si può immagi-
nare che questo testo riassuma N m 12; ma una soluzione alternativa è ugualmente
possibile: Dt 24 non fa alcuna allusione alla ragione di questa lebbra, poiché viene
menzionata per esortare i destinatari a conformarsi alle prescrizioni dei sacerdoti-
leviti. Si può quindi immaginare che l'autore di Nm 12,1.10-15 abbia ripreso que-
sto motivo da Dt 24,9 e lo abbia messo in relazione con il tema della donna stra-
niera. N m 20,1 racconta la morte di Miriam che, come Aronne e Mosè, deve mori-
re fuori dalla terra promessa.
Si riscontra che i testi che menzionano Miriam si situano probabilmente in
epoca postesilica. Non è da escludere, tuttavia, che dietro questa figura si nascon-
da una tradizione più antica su una profetessa che aveva accompagnato Mosè (e
Aronne). Come i loro nomi, così anche il nome di Miriam è probabilmente di ori-
gine egizia e significa «la prediletta». È quindi possibile che il legame tra Miriam e
Mosè sia assai antico e che lei fosse in effetti un'importante profetessa che i redat-
tori dell'epoca del secondo Tempio non hanno troppo apprezzato (Uehlinger). Il
187
testo di Ne 6, già menzionato, mostra che in epoca persiana vi erano conflitti tra gli
ambienti profetici e gli ambienti responsabili dell'edizione di Esd-Ne, che sono sen-
za dubbio da accostare all'ambiente degli editori della Torah.

5.2. La tradizione della moglie cushita di Mosè

La questione dei «matrimoni misti» costituisce uno dei problemi maggiori per
il giudaismo nascente. Gli ambienti che hanno prodotto i testi dtr di epoca persia-
na (Dt 7; 9) e quelli dei libri di Esdra e Neemia si oppongono con veemenza al ma-
trimonio con donne straniere. Ora, la storia di Mosè si trova in opposizione con
questa idea, poiché egli appare come marito di due donne straniere: Zippora, la
madianita e la donna cushita di Nm 12,1. L'idea di un legame tra Mosè e i madia-
niti fa senz'altro parte delle tradizioni antiche a questo riguardo (Knauf, 1988). Le
cose si presentano in maniera assai diversa in Nm 12,1. Come abbiamo visto, si è
spesso voluto identificare questa donna con Zippora. Ma la formulazione del testo
non lascia alcun dubbio che si tratti di un matrimonio recente e la menzione di una
donna cushita ha senso nel contesto della diaspora egiziana. Flavio Giuseppe rac-
.conta la storia di un matrimonio tra Mosè e una principessa etiope. Non si vede co-
me Giuseppe abbia potuto inventare questa storia di sana pianta solamente per
spiegare Nm 12,1. Lo scenario contrario è più plausibile. Nm 12,1 riflette una tra-
dizione che gli ultimi redattori del Pentateuco non potevano ignorare completa-
mente. Artapan, che come Flavio Giuseppe racconta la tradizione di una campagna
etiope di Mosè, non menziona tuttavia questo matrimonio (cf. per maggiori detta-
gli Runnalls e Romer). Alcuni autori pensano che Artapan abbia omesso questo
episodio perché non gli conveniva; data la sua attitudine liberale, che ricorda i ro-
manzi bibhci della diaspora, questa idea non è troppo soddisfacente. Si dovrebbe
considerare piuttosto che questo motivo venga censurato da Alessandro Polyhistor
che, come in altre parti, sembra accorciare il racconto di Artapan.
Probabìlmente è nella colonia giudaica di Elefantina che si deve cercare l'ori-
gine della storia della donna etiope di Mosè, che forse si basa anche sul ricordo del-
l'episodio di certi faraoni che presero in sposa donne etiopi come simbolo della lo-
ro dominazione nel paese di Cush. Nm 12,1 non è quindi il punto di partenza di que-
.. sta tradizione, bensì un riflesso (il Targum Pseudo-Jonathan di N m 12 parla più espli-
citamente di una regina etiope): Nm 12,1.10-15 legittima i matrimoni misti, come la
tradizione su cui si basa. La grande popolarità di questo tema nelle leggende giu-
.daiche del medioevo conferma che questa tradizione conveniva al contesto di un
giudaismo della diaspora, mentre la tradizione rabbinica non l'apprezzava affatto.

S ..3. «El Rofe»

La combinazione dell'appellativo divino El con la radice r-p-' può far pensa-


re alla ripresa di una tradizione sul grande Dio guaritore El. Un legame tra «gua-
rire» ed El si trova anche in Os 11,3-9. Questa tradizione sulla funzione terapeuti-
ca del grande dio cananaico è attestata nei testiugaritici, specialmente nell'epopea
di Keret (Rouillard); è continuata sino all'epoca ellenistica, come mostra il nome.
Raffaele dato a un angelo nel libro di Tobia. Esiste un testo nel Pe·ntateuco che
sembra voler rivendicare esplicitamente questa funzione: «Sono lo, YHWH, colui
che ti guarisce ('Tj~E;Ji il1,i1; ~~~)» (Es 15,26).

188
5A. La «tenda» (i.V.i~ ~QN)

Nei testi sacerdotali in Es e Lv la «tenda dell'incontro» (i.V.i~ ~QN) indica un


santuario mobile (che prefigura il tempio di Gerusalemme) nel quale risiede la
«gloria» di YHWH durante il soggiorno degli israeliti nel deserto; secondo la con-
cezione degli autori sacerdotali, questa tenda si trova in mezzo all'accampamento.
Or.a, in un certo numero di testi non sacerdotali «la tenda» si trova all'esterno del-
l'accampamento; YHWH non è costantemente presente in essa, ma discende per
essere consultato o manifestare la sua volontà. Si è spesso considerato che in que-
sti casi si fosse in presenza di una tradizione più antica che rifletterebbe una teo-
logia dell'apparizione (Erscheinungstheologie, cf. ad es. Es 33,7-11) contrariamente
alla teologia della presenza permanente (Priisenztheologie) nei testi sacerdotali. È
chiaro che abbiamo a che fare con due concezioni differenti, ma è meno evidente
che dei testi come Nm 11 o 12 riflettano una tradizione antica; sembra piuttosto
che presuppongano la visione sacerdotale e tentino di correggerla, insistendo sul
fatto che nessun santuario può essere considerato l'abitazione permanente di
YHWH. 23

5.5. Mosè, «primo ministro» di YHWH

. L'analisi letteraria, così come i motivi e le parole chiave che appaiono in que-
sto testo, rivelano che il tema centrale è quello dell'autorità religiosa.
Con l'espressione «egli ha la mia fiducia in tutta la mia casa» Mosè viene ac-
costato alla sfera della regalità,24 in quanto è paragonato a un intendente di palaz-
zo (cf. 1Re 16,9; 18,3; 2Re 10,5; 18,18.37; 19,2 [parai. Is 36,2.22; 37,2]; Is 22,15). Si
tratta di una persona la cui affidabilità è assoluta e che ha un'autorità paragonabi-
le a quella del reggente.
La sua affidabilità (Ft~~' part. 1~~ Niphal) corrisponde all'uso fatto in 1Sam
3,20 («Samuele era accreditato come profeta di YHWH» ). La costruzione 1~~
Niphal +n,.~ ricorda anche 1Sam 25,28 (un'allusione alla dinastia eterna «casa sta-
bile», che YHWH ha offerto a Davide). Ma il passo più decisivo per il paragone in-'
tertestuale25 dovrebbe essere lSam 22,14: «Akimelek risponde al re: "C'è per caso
in mezzo a tutti i tuoi servi (·;rl:t~r~:t=?) qualcuno sicuro come Davide? Egli è il
genero del re, è divenuto la tua guardia del corpo, ed è onorato nella tua casa
( '9~?~~ Ìf=?~l) "». .
I termini i~,v. e n~.~ mettono il personaggio di Mosè in relazione a un conte-
26

.sto regale paragonandolo a un alto ministro che nel vicino oriente antico è il con-
fidente del re, e che - fatto importante nel nostro contesto - è anche colui che re-
gola il diritto di accesso al sovrano e gli dà prova di estrema lealtà. Questa funzio-
ne esisteva anche in Israele, come mostrano i sigilli di epoca monarchica che men-
zionano «colui che è sulla casa» (n,:li1 ~.tJ itli~) e il «servo del re» (l~~i1 i:l.tJ; cf. p.
126s).

l
'l
l'li 23
24
25
Per i dettagli, cf. NIHAN, From Priestly Torah, 40-48.
Cf. RbMER, in BZ 47(2003), 494s.
Cf. LEVINE, Numbers 1-20,342. ,
26 Cf. UEHLINGER, «Hat YHWH», 240-242, 258; cf. LEVINE, Numbers 1-20,342.

189

J
6. Riassunto

L'analisi di Nm 12 rivela che lo scopo degli autori di questo testo è di fare di


Mosè un personaggio assolutamente eccezionale, che nessun uomo può eguagliare.
In ciò il testo si avvicina in modo particolare al finale del Pentateuco (Dt 34,10-12),
che si può attribuire a una «redazione del Pentateuco». Questo testo riunisce due.
conflitti attorno alla figura di Mosè: quello dei matrimoni misti (cf. Esd 9 e Ne 10)
e quello che riguarda la gerarchia delle autorità sacerdotali e profetiche rispetto al-
l'ambiente «laico» degli scribi che si identificano con Mosè. È possibile che questi
due temi siano stati all'inizio indipendenti l'uno dall'altro. Essi riflettono probabil-
mente dei conflitti all'interno del giudaismo nascente a metà dell'epoca persiana.

7. Bibliografia

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ti

ll~ 191
GLOSSARIO

Il lettore troverà in questo glossario una breve definizione dei principali termini tecnici che
potrebbero porgli dei problemi di comprensione. Questo glossario offre solo un aiuto alla lettura e
non sostituisce la consultazione di dizionari o di opere specializzate.

Acrostico: poema in cui le iniziali di ogni versetto, lette in senso verticale, com~
pongono un insieme significativo (nell'Antico Te'stamento si tratta in genera-
le dell'alfabeto).
Alleanza (berft): il termine ebraico berft, tradotto generalmente con «alleanza», in-
dica un trattato, specialmente di vassallaggio. Il Deuteronomio e i libri che si
ispirano a questa ideologia esprimono con questo termine la relazione che
YHWH stabilisce con Israele, suo popòlo. Nella tradizione sacerdotale l'im-
piego di questa nozione non è più legato alla rivelazione della Legge a Israe-
le, come nel Deuteronomio, ma designa un'alleanza conclusa con i patriarchi
di Israele (Gen 17) e con l'insieme dell'umanità (Gen 9).
Allegoria: metafora sviluppata in un racconto, nella quale le varie immagini rap-
presentano ciascuna un concetto o un'idea specifica; cf. ad es. testi come Gdc
9; Ez 16; 23. Le tradizioni giudaiche·e cristiane hanno sviluppato ugualmente
una lettura allegorica della Bibbia (talvolta indicata con il termine di allego-
resi), che cerca in genere di superare il senso letterale del testo per interpre-
tare quest'ultimo in senso figurato o simbolico.
Analessi: ogni evocazione di un avvenimento che, nella storia raccontata, si è svol-
to in un momento precedente rispetto a quello della narrazione (così in Gen
20,18 il narratore rivela che un intervento divino in favore di Sara ha fatto
cambiare il corso delle cose). Vedi anche «prolessi».
Apocalittica: genere letterario che consiste nella rivelazione di segreti concernenti
la fine dei tempi e la periodizzazione della storia; prèsentata come di origine
divina e trasmessa attraverso la mediazione di uomini venerabili del passato,
questa rivelazione è comunicata sotto forma di visioni, di viaggi celesti, o tra-
mite il messaggio di angeli interpreti. Questo genere letterario è caratterizza-
to inoltre dalla messa in scena grandiosa e immaginifica di avvenimenti a ve-
nire, così come attraverso il ricorso frequente alla pse1.1donimia. Per estensio-
ne, il qualificativo è talvolta applicato anche agli ambienti di produzione di
questo genere letterario.

l
Chiasmo: inversione dell'ordine delle parole in proposizioni parallele o opposte.
Diaspora: termine che designa sino ai nostri giorni le comunità giudaiche stabilite
fuori dal paese dopo l'esilio.
Diritto apodittico: sentenza giuridica di carattere proibitivo che formula un'inter-
dizione senza menzionare le conseguenze in caso di trasgressione.
Diritto casuistico: la messa per iscritto di un caso giuridico preciso, il quale specifi-
ca alla fine le conseguenze derivanti dalla trasgressione.
Dodekaprophéton: espressione greca che identifica l'insieme dei libri dei dodici
piccoli profeti, generalmente considerati dalla tradizione antica come ele-
menti che formavano un solo rotolo.
193
El: nome della divinità principale dei pantheon della Siria-Palestina. Alcuni testi
della Bibbia ebraica lo utilizzano tuttavia come nome generico per indicare
una divinità.
Ellissi narrativa: omissione volontaria, da parte del narratore, di un elemento della
catena cronologica e causale degli eventi (ad es. la sorte di Daniele nella fos-
sa dei leoni in Dn 6,18), in maniera tale da «intrigare» il lettore. Si deve di-
stinguere questo procedimento dal semplice blanc (così il passaggio sotto si-
lenzio dei primi diciassette anni del regno di Giosia in 2Re 22), che non ri-
chiede da parte sua uno sforzo di comprensione da parte del lettore.
Elohim: lett. «dio» o «dèi». Questo nome generico è spesso utilizzato per indicare
il Dio di Israele nella Bibbia ebraica.
Epigrafia: studio delle iscrizioni su materiali solidi (pietra, metallo, argilla). Nel ca-
so dell'Israele antico, lo studio di queste iscrizioni allarga la nostra conoscen-
za della storia economica, politica e religiosa dell'Israele antico offrendo un
complemento e un correttivo alle tradizioni preservate nella Bibbia ebraic~.
Escatologia: lett. «discorso sulla fine». L'escatologia designa le speculazioni o le
speranze sulla fine del tempo presente; il discorso escatologico include spes-
so l'attesa della venuta di un'era di salvezza.
Esposizione: parte del racconto che fornisce al lettore gli elementi necessari alla
comprensione dell'azione (dove? quando? chi?). L'esposizione può figurare
in blocco all'inizio del racconto (così in Gb 1,1-5) o essere differita, distri-
buendola poco a poco nella storia (così nel libro di Giona).
Esseni: giudei membri di comunità organizzate, di tipo settario, che vivono sia in
quartieri particolari di una città o di un villaggio, sia in un ambiente di tipo
monacale stabilito nel deserto (Qumran). Gli esseni si caratterizzano per una
spiritualità legata a una stretta osservanza delle regole di purità, così come
per unà teologia nettamente dualista.
Exapla: cf. p. 28.
Formgeschichte: lett. «storia delle forme»: studio delle forme e dei generi letterari
attestati nel corpus biblico.
Form- und Gattungskritik: lett. «critica delle forme e dei generi»: analisi delle for-
me e dei generi presenti in un solo testo.
. Formula del messaggero: l'espressione «Così parla YHWH» è l'introduzione più
frequente degli oracoli profetici, allo scopo di identificare YHWH come il ve-
ro autore del messaggio che trasmette il profeta. Nondimeno, esistono altre
formule.
Fortschreibung: espressione tedesca che si potrebbe tradurre approssimativamen-
te' con «scrittura continua». In esegesi, questa nozione è utilizzata per desi-
gnare un processo redazionale mediante il quale testi biblici sono stati com-
pletati e riattualizzati da scribi che sono intervenuti in certi punti del testo, ma
che non avevano più necessariamente in mente una revisione di quest'ultimo
nel suo insieme.
Gola: Dalla radice g-l-h, «scoprire, essere deportato». Indica gli esiliati giudei a Ba-
bilonia (597-587) e per estensione tutte le comunità giudaiche che vivono frio- ·
ri dal paese.
Horeb: cf. Sinai.
Iconografia: al di fuori dei testi biblici, gli esegeti si servono dei testimoni icono-
grafici trasmessi da sigilli, iscrizioni murarie, statuette, ecc. per completare le
loro conoscenze sulle tradizioni (socio )culturali e religiose di Israele.

194
Interpolazione: nel dominio della critica biblicà, questa espressione fa riferimento
all'inserzione di un segmento testuale, di lunghezza più o meno importante,
all'interno di un testo già esistente.
Literarkritik: metodo esegetico, da non confondersi con la «critica letteraria», che
designa un metodo sincronico. La Literarkritik si fonda sulle tensioni, con-
traddizioni, cambiamenti di stile, fratture rispetto al genere letterario o ai te-
mi all'interno di un testo, allo scopo di ricostruire il nucleo originale di que-
st'ultimo, o ancora, i documenti individuali che sarebbero stati compilati per
dare origine al testo. La Redaktionskritik si interessa come la Literarkritik al-
le redazioni successive che hanno dato al testo la sua forma «finale»; la Re-
daktionsgeschichte tenta inoltre di ricostruire la cronologia di queste redazio-
ni.
LXX: cf. Settanta.
Masoreti: nome dato agli esperti che hanno fissato il testo della Bibbia ebraica (si
veda il primo capitolo sulla storia del testo dell'Antico Testamento, in questo
volume).
Midrash: commentario o riscrittura di un testo anteriore: l'etimologia sembra risa-
lire alla radice darash, che significa «cercare» (sottinteso, il senso). La tecnica
del midrash si sviluppa soprattutto in epoca rabbinica, ma le sue origini si tro-
vano già nella Bibbia ebraica stessa. Ad esempio, i titoli dati a certi. salmi at-
tribuiti a Davide riflettono un lavoro di tipo midrashico dei racconti di 1-2 Sa-
muele.
Mise en abyme: espressione impiegata principalmente in analisi letteraria, la quale
identifica un procedimento consistente nell'integrare in un'opera un elemen-
to che funziona come specchio dell'opera intera, oppure che offre un riassun-.
to sotto forma di prolessi o di conclusione.
Monoteismo: dottrina o convinzione secondo la quale esiste un solo Dio che regge
l'insieme dell'universo. La nozione di monoteismo deve essere distinta dal
concetto di monolatria, la quale designa la venerazione di un dio unico da
parte di un gruppo sociale o etnico, venerazione che non esclude tuttavia l'e-
sistenza di altre divinità. Il Deuteronomio primitivo era senza dubbio marca-
.to da un'ideologia monolatrica, che raccomandava la venerazione esclusiva di
YHWH.
Oracolo: parola di Dio trasmessa, spesso, a un profeta che deve annunciare la sal-
vezza o la sventura a un destinatario preciso.
Ostracon (pl. ostraca): frammento di coccio che serviva come supporto per la scrit-
tura.
P: abbreviazione per i testi provenienti dall'ambiente sacerdotale, e per estensione
per gli autori di questi testi (vedi documento sacerdotale, storiografia sacer-
dotale).
Parallelismo dei membri: mezzo stilistico tipico della poesia ebraica che mette in
relazione due (o tre) componenti sul piano sintattico o semantico («stereo- ·
metria»).
Primo/secondo Tempio: l'epoca del «primo Tempio» si estende in teoria dalla co-
struzione del tempio di Gerusalemme al suo assedio da parte dell'armata
neobabilonese nel587 a.C. Anche se la questione dell'origine esatta del tem-
pio di Gerusalemme rimane tuttora aperta, questa espressione è utilizzata in
senso generale per identificare l'epoca della monarchia in Giuda. L'epoca del
«secondo Tempio» designa il periodo che si estende dalla ricostruzione del
195
tempio di Gerusalemme nel 520-515 a.C. sino alla sua distruzione da parte
dell'armata romana nel 70 d.C.
Prolessi (prolettico ): ogni evocazione di un avvenimento che avrà luogo più tardi
nella storia raccontata. Così in Gen 15,13-16 l'annuncio ad Abramo della
schiavitù futura del suo popolo in Egitto.
Pseudoepigrafia: procedimento letterario che consiste nello scrivere con un nome
preso in prestito. L'autore fittizio è generalmente un personaggio importante
della tradizione. Il procedimento verte a porre lo scritto sotto l'autorità del
personaggio adottato; costituisce una pratica corrente nell'antichità.
Qatal-yiqtol: espressione che indica le due coniugazioni principali dell'ebraico bi-
blico, spesso chiamate anche perfetto e imperfetto.
Qumran: sito in prossimità del Mar Morto, che ha ospitato dal II secolo a.C. al I se-
colo d.C. una comunità in rotta con il tempio di Gerusalemme. Il sito di Qum-
ran è divenuto celebre per la scoperta di grotte contenenti numerosi mano-
scritti del testo biblico, che rappresentano le versioni più antiche che posse-
diamo di quest'ultimo in ebraico, così come di altri ~critti che esprimono le
credenze specifiche della comunità.
Redaktionskritik: vedi Literarkritik.
Samaritani: termine che identifica all'inizio gli abitanti dell'antico regno del nord.
Dall'epoca persiana i samaritani hanno riconosciuto il Pentateuco come un li-
bro ispirato e lo hanno interpretato come un testo che legittimava· il loro san-
tuario sul monte Garizim e non il tempio di Gerusalemme. Durante tutto il
periodo del secondo Tempio numerosi conflitti si verificarono tra giudei e sa-
maritani, sfociati nella definitiva separazione delle due comunità all'epoca
asmonea.
Secondo Tempio: vedi primo Tempio.
Settanta: traduzione greca della Bibbia ebraica (si veda in questo volume il primo
capitolo su critica testuale e storia del testo).
Sinai: secondo il racconto biblico, montagna sulla quale Mosè riceve la rivelazione
della Legge. Altre tradizioni, in particolare il libro del Deuteronomio, indica-
no questa montagna con il nome Oreb.
Sion: montagna di Dio identificata con il monte del tempio di Gerusalemme.
-Sitz im Leben - Sitz im Buch: il primo termine, «assise nella vita» o «ambiente di ·
vita», vuole definire il radicamento del genere o dei generi di un racconto in-
dipendente in una situazione socioculturale concreta (di carattere cultuale,
giuridica, familiare, di corte, ecc.). Il secondo termine, che significa letteral-
mente «assise nel libro», esamina il radìcamento del racconto all'interno del
suo contesto letterario più largo.
Tenda dell'incontro: espressione utilizzata specialmente nella letteratura sacerdo-
tale e che designa, secondo le tradizioni del cammino di Israele nel deserto e
al Sinai, un santuario mobile nel quale YHWH si fa interpellare ·da Mosè e dai
sacerdoti.
Teoria (o ipotesi) documentaria: teoria che riceve la sua formulazione standard
nell'opera di J. Wellhausen e che spiega la formazione del Pentateuco (Torah)
con la messa in comune (compilazione) di tre o quattro documenti distinti: il
«jehowista» (JE, che è datato IXNIII secolo a.C. ma è la fusione di due do-
cumenti più antichi: il «jahwista» e l'«elohista»), il Deuteronomio (abbrevia-
to D e che, nella sua prima versione, risale all'epoca di Giosia) e il documen:
to «sacerdotale» (P, dell'epoca postesilica).

196
TM: abbreviazione per il te'sto masoretico.
Tradizione: temi e motivi letterari (e teologici) propri di un popolo o di una comu-
nità, trasmessi da una generazione alla successiva (vedi anche «storia delle
tradizioni»).
Ugarit: città-stato portuaria sulla costa sira, davanti a Cipro, nella seconda metà del
II millennio a.C. Gli scavi di Ras-Shamra hanno permesso di portare alla lu-
ce una quantità di documenti, in particolare racconti mitologici e archivi, che
costituiscono una delle nostre principali fonti di informazione sulla civiltà. si-
ro-palestinese, e specialmente sulla venerazione del dio del temporale, Baal,
che è figura assimilabile al Dio dell'Antico Testamento in origine.
Vetus latina (vecchia versione latina): nome dato alle prime traduzioni latine del
testo biblico prima della traduzione di Girolamo, che diventerà la Vulgata (si
veda il primo capitolo sulla storia del·testo dell'Antico Testamento, in questo
volume).
Vorlage: espressione tedesca che indica in esegesi un documento servito come ba-
se a un redattore o a un traduttore. Ad esempio, la Vorlage della LXX di Ge-
remia identifica il testo ebraico, differente dal testo masoretico, a partire dal
quale i traduttori greci hanno lavorato. ·
Vulgata: vedi Vetus latina.
Wiederaufnahme: lett. «ripresa» di una parola o di un'espressione. Tecnica lettera-
ria utilizzata spesso dai redattori o dai glossatori biblici, e che consiste nel-
l'inserimento di un'aggiunta redazionale inquadrandola con la ripetizione di
una parte o di tutto il versetto che precede l'inserzione. Talvolta funziona an-
che come segnale di simultaneità tra gli eventi inquadrati dalla ripetizione e
gli eventi del racconto-quadro (così in 2Sam 17,24.27).
YHWH: trascrizione delle quattro consonanti (o tetragramma) che compongono il
nome proprio del Dio di Israele. In origine questo nome si pronunciava sen-
za dubbio Yahu (e non Yahvé, secondo la restituzione dell'esegesi moderna);
dal III secolo a.C., tuttavia, i giudei non lo hanno più pronunciato, sostituen-
dolo con le espressioni Ha-shem (il Nome) o Adonay (Signore). Quest'ultima
pratica è già attestata dalla LXX, che ha sostituito YHWH conKyrios (Si-
gnore); la maggior parte delle traduzioni della Bibbia adotta la medesima so-
stituzione.

197
INDICE GENERALE

PRESENTAZIONE DELL'EDIZIONE ITALIANA


(Jean-Pierre Sonnet) ................................................................................. . p. 5

ABBREVIAZIONI ................................................................................. . » 7
PREFAZIONE
(Michaela Bauks- Christophe Nihan) ................................................... . » 9
Il testo della Bibbia e le sue varianti ............................................. . » 10
La Bibbia e il canone ..................................................................... . » 10
L'Antico Testamento
tra letteratura antica ed esegesi moderna ..................................... . » 11
Dalla teoria alla pratica ................................................................ .. » 12
L' or d'In e d e1. capito
. l'1 ....................................................................... . » 12

CAPITOLO l
LA CRITICA TESTUALE
(fan Joosten) ............................................................................................. . » 15
A. LA RICERCA DEL TESTO ORIGINALE ................................. . » 16
l. I testimoni del testo dell'Antico Testamento ......................... . » 17
2. Il metodo della critica testuale ................................................. . » 29
3. La critica testuale e la storia della redazione ......................... . » 35

B. IL TESTO, SPECCHIO DELLA STORIA


DELL'INTERPRETAZIONE ·········c······················································· » 36
l. L'interesse per il fenomeno del Targum ................................. . » 36
c 2. Una rivoluzione nell'approccio alla LXX ............................... . » 38
;

3. Tendenze esegetiche nei rotoli di Qumran ............................. . » 39


4. Le correzioni degli scribi e la revisione teologica del TM ..... . » 40
5. Conclusione .................................................................................. c » 41
6. Modalità d'impiego ........................................................ ;............ . » 42

199
CAPITOL02
U ANALISI NARRATIVA DEI RACCONTI BIBLiCI
(Jean-Pierre Sonnet) ................................................................................. . p. 45
l . Stona
. e preistona
· . . d.1 un me t o d o ............................................... . » 46
2. Dei testi compositi ..................................................................... . » 48
3. Il modello narrativo .................................................................. . » 50
4 . L'.m t reccw.
. · 1·1 montaggiO
. d eg1·1 avvemmenti
. . ............................. . » 55
5. I personaggi ............................................................................... . » 66
6. Il punto di vista ........................................................................... . » 73
7 . L a ripetizione
. . . ............................................................................. . » 76
8. La Storia e le storie ................................................................... . » 82
9. Modalità di impiego .. :................................................................ . » 84

CAPITOL03
ANALISI DELLE FORME E DEI GENERI
E STORIA DELLE TRADIZIONI
(Michaela Bauks) .................................................... :................................ . » 87

A. ANALISI DELLE FORME E STORIA DEI GENERI ............. . » 87


. l. Introduzione ............................................................................... . » 87
2. Le forme e i generi dell'Antico Testamento ........................... . » 93
3. Regole per la delimitazione delle forme e dei generi
in un testo biblico ........-............................................................... . » 103

_ B. ANALISI~ STORIA DELLE TRADIZIONI ............................... . » 105


l. Introduzione .. .-............................................................................ . » 105
2. Tradizioni e correnti teologiche ............................................... . » 112
3. Regole per il reperimento delle tradizioni
inerenti a un testo biblico ......................................................... . » 118

CAPITOL04
U ANALISI REDAZIONALE
(Christophe Nihan) ......................................_. ............................................ . » 121
l. Introduzione .................................... _........................................... . » 121
2. I concetti di «redé!.zione» e di «redattore» ............................... . » 122
3. «Redazione» e «redattore» nel dibattito attuale ................... . » 123
4. Presentazione del metodo: l'analisi ......................................... . » 132

200
5. Presentazione del metodo: la sintesi ........................ ~: ............... . p. 149
6. Per concludere. Problemi e poste in gioco metodologiche
dell'analisi redazionale oggi ..................................................... . » 158
7. Modalità di impiego ................................................................... . » 163

CAPITOLO 5
ELEMENTI PER L'ANALISI DI NUMERI 12 ................................. . » 167

A. TRADUZIONE E CRITICA TESTUALE


(fan Joosten) .............................................................................................. » 167
1. Traduzione ................................................................................. . » 167
2. Note sulla traduzione ................................................................ .. » 168
3. Critica testuale ........................................................................... . » 169
4. Suggerimenti esegetici nelle versioni ....................................... . » 170
5. Bibliografia ................................................................................. . » 171

B. Nm 12: STRUTTURA, CONTESTO, FORMA, REDAZIONE


(Thomas Romer) ........................................................................................ » 172
1. Analisi sincronica ....................................................................... . » 172
2. Genere( i) letterario(i) ................................................................ · » 176
3. Analisi diacronica ....................................................................... . » 177
4. Il contesto letterario e storico .................................................. .. » 183
5. Storia delle tradizioni ................................................................. . » 187
6. Riassunto ................. ,..................................................................... · » 190
7. Bibliografia ................................................................................. . » 190

GLOSSARIO ........................................................................................... . » 193

~ .
..

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