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LEZIONE DEL 27-04-15

MANOVRABILITA’

Gli appunti del prof. Russo-Krauss fanno una rappresentazione esaustiva e schematica della
manovrabilità nel cap.29.

Stiamo parlando del governo di una nave con riferimento alla direzione del moto.

Il primo aspetto della manovrabilità non è, come si può pensare, la capacità di manovrare, ma la
stabilità di rotta,poi c’è la manovrabilità e la capacità evolutiva.

Il moto di una nave è caratterizzato dalla direzione e dalla velocità. Il governo di una nave con
riferimento alla direzione del suo moto riguarda la stabilità di rotta, la manovrabilità e la capacità
evolutiva; il governo di una nave con riferimento alla velocità del suo moto riguarda l’avvio
(problema marginale), l’arresto e la retromarcia. Le esigenze di manovrabilità sono dei limiti di
progetto oggi più sentiti dopo quelli del carico prima ancora di quelli di resistenza e propulsione.

Poiché a bordo di una nave si manovra, cioè si pone in atto un complesso di


operazioni atte a consentire il funzionamento di mezzi specifici per conseguire
operazioni tecniche sia per mantenere la rotta, per compiere una evoluzione, per
avviare o per arrestare il moto della nave e per l’avanzamento in marcia indietro, si
parla spesso di manovrabilità di una nave in luogo di governo della nave.

La stabilità di rotta, cioè l’attitudine di una nave a mantenere la rotta rettilinea (andare dritta), è un
requisito molto importante.
La stabilità di rotta può manifestarsi in tre modi diversi.

Si supponga (figura 1) che una nave, inizialmente in moto rettilineo


uniforme (in mare calmo e privo di correnti ed in assenza di vento), venga deviata
dal suo percorso originale da una causa esterna e momentanea; cessata la detta causa,
se la nave assume:

A - una rotta rettilinea, ma di direzione diversa dalla precedente, si dice che la


nave ha stabilità di rotta rettilinea.
B - una rotta parallela alla precedente, cioè avente la stessa direzione della
precedente; in tale caso si dice che la nave ha stabilità di rotta direzionale.
C - una rotta coincidente (stessa retta d’azione e stessa direzione); in tale caso
si dice che la nave ha stabilità di percorso.

Il caso C comporta necessariamente che, a seguito della causa perturbatrice


del moto, la nave compia alcune oscillazioni (cambiamenti della direzione del moto)
smorzate; mentre per il caso B le dette oscillazioni possono avvenire o meno.
“In pratica posso avere 2 problematiche:
1- deviare dalla rotta e andare da un’altra parte
2- avere una instabilità sulla rotta che però alla fine mantiene la sua direzione (più subdola perché
la condizione 1 è rilevata immediatamente da un gps mentre la 2 un po meno perché il GPS
funziona ad intervalli di tempo).
Quindi potremo avere una nave che fa più strada di ciò che dovrebbe fare e non sta precisamente
nel posto dove dovrebbe essere.”

La stabilità di percorso comporta necessariamente la stabilità di rotta direzionale e di rotta


rettilinea; la stabilità di rotta direzionale comporta necessariamente la stabilità di rotta rettilinea.

Se la stabilità di rotta avviene con timone “alla via” (cioè con angolo zero) bloccato o folle, allora
essa è una qualità intrinseca della nave, cioè dipendente dalla forma e dalla propulsione della
nave; se avviene per intervento del timoniere o dell’autopilota, essa non è una qualità intrinseca
della nave. La stabilità di rotta è importante per la sicurezza ed incide in modo non trascurabile sui
consumi, in particolare per quelle navi che percorrono rotte molto lunghe.

Vediamo quali sono le caratteristiche della nave per assicurare la sua manovrabilità:

La manovrabilità, cioè la prontezza di una nave a rispondere all’azione del


timone per assumere una rotta voluta, diversa da quella precedente, o per ritornare
alla rotta tenuta prima dell’azione di una causa deviante (vento, moto ondoso,
corrente), è un requisito molto importante, soprattutto per quanto riguarda la
sicurezza sia nel procedere in modo deciso e chiaro in acque ristrette sia per evitare
situazioni di pericolo (collisioni) in acque trafficate. Essa non si limita soltanto all’azione del timone
ma anche alla capacità di modificare la velocità.

La capacità evolutiva, cioè la capacità di una nave ad invertire la rotta in uno


specchio d’acqua limitato, anche a velocità non ridotta (anche a v massima), senza subire
sbandamenti pericolosi (vedremo che il brandeggio del timone provoca delle inclinazioni all’esterno
del raggio di curvatura della traiettoria della nave nel caso di navi dislocanti, e all’interno del raggio
di curvatura nel caso di navi plananti e veloci).
E’ di fondamentale importanza sia per le manovre in porto sia per manovre di emergenza per
evitare una collisione o per recuperare una persona caduta in mare.

Abbiamo poi una problematica connessa all’arresto (crash-stop) che è la capacità della nave di
fermarsi rispetto a una rotta rettilinea che stava percorrendo, e la capacità della nave di andare in
retromarcia.
Queste problematiche sono connesse strettamente al tipo di apparato motore oltre che alla nave.
Nel governo della nave entra anche la capacità di accosto e disaccosto cioè accostarsi/staccarsi
ad/da una banchina dove la nave viene ormeggiata. Questa capacità coinvolge anche l’operato di
rimorchiatori il quale operato è un onere estremamente importante per l’armatore soprattutto se
stiamo parlando di nave che abbiano una alta frequenza di trasporto (tutte le navi ro-ro, traghetto
tendono ad avere loro stesse una capacità di accosto e disaccosto in autonomia per non chiedere
rimorchiatori. Le autorità marittime che puntano a far guadagnare le società di rimorchiatori
cercano di imporre queste unità che sono molte volte ferme perché la nave può fare tutto in
autonomia con i suoi sistemi di eliche trasversali, ma queste con l’uso di queste ultime nei porti,
oggi vi sono vari contenziosi e cause legali dovute al fatto che rovinano il fondale e le banchine).

Il problema del governo della nave nell’ambito del progetto è un qualcosa che si deve affrontare
prima (non posso progettare una nave e sperare che tutto vada bene). Quindi il progettista è
costretto a garantire determinate prestazioni che sono identificate in determinate prove che la
nave, o dovrà effettuare,oppure dovrà esserci una documentazione tale da sostenere la non
necessarietà di queste. Tutto ciò vale per navi non veloci cioè quelle che non sono High Speed
Craft i quali devono fare collaudi di manovrabilità con un fascicoletto da compilare.
Quindi essendo lo studio della manovrabilità un fenomeno talmente complesso dobbiamo trovare
dei sistemi abbastanza semplici e veloci coi quali dobbiamo operare con un minimo di margine.
Mentre sulla resistenza e propulsione oggi mi sbilancio con gli strumenti che ho a fare delle
previsioni al decimo di nodo senza difficoltà e attendibili, nel caso della manovrabilità ho bisogno di
un margine.
Vediamo quali sono le prove:
La più importante è la prova a zig-zag perché mi da una precisa idea delle caratteristiche di
manovrabilità della nave, fornisce delle informazioni importantissime al comandante,il quale si
affida a queste al momento in cui deve evitare una collisione, e se va bene questa prova nella
maggioranza dei casi gli enti di classifica la accettano per buona non facendo le prove che
successivamente vedremo.

“Non c’è oggetto più grosso di una nave, con maggiore massa e maggiore inerzia, che venga
manovrato”.

- Prova a zig-zag

In questo diagramma sull’asse delle ascisse vi è il tempo in secondi. Questo diagramma vuole
prescindere dalla velocità della nave, cioè si fa una prova ad una certa velocità (di solito il 90%
della velocità max) e si fa anche in condizioni di pieno carico oppure in condizioni molto prossime
al p.c.
Il diagramma costituito da segmenti di retta è il diagramma rappresentativo degli angoli di barra del
timone (angolo d sul grafico) mentre l’altro curvilineo rappresenta gli angoli di rotta della nave
(angolo psi).
Questa prova si fa o a 10° o a 20°.
La prima cosa che faccio all’istante 0 è dire al timoniere metti il timone a 10°. Quindi il timone che
all’istante 0 ha zero gradi di banda viene messo a 10°.
Mettere il timone a 10° non è un operazione istantanea.
Il moto del timone è proporzionale all’impulso che gli dà il pistone idraulico e quindi l’angolo di
barra ha un andamento lineare per il tempo che serve per portare il timone da 0 a 10°.
A questo punto il timoniere lascia il timone a 10°. Vediamo cosa succede alla nave. Al momento
zero, giro il timone a 10°, e per i primi 2 o 3 secondi la nave non fa nulla cioè continua ad andare
dritta in quanto ha la sua inerzia e non risente ancora dell’azione del timone. Comincia a risentire
dell’azione del timone più tardi. Questa volta il diagramma non è lineare ma ha una concavità
verso il basso. Ciò vuol dire che ho un andamento in cui le forze d’inerzia all’inizio sono prevalenti
rispetto all’azione idrodinamica del timone cioè il timone è come se non ci fosse. Poi anche la nave
si mette a girare e quindi a sua volta queste forze d’inerzia mi potenziano l’azione del timone.
Quindi dopo che ho messo il timone a 10° e ce l’ho lasciato, finalmente la nave arriverà anche lei a
10°. Quindi io ho la rotta-bussola, vedo che la rotta è cambiata di 10° in un certo tempo. In questo
frattempo il timone era rimasto sempre a 10°. Quando ho l’identità tra i 10° del timone letti
dall’angolo di barra e i 10° della nave che leggo sulla bussola, in questo tempo t1 porto il timone a
10° dall’altro lato. Ancora una volta il timone si muoverà in modo lineare, i tempi saranno sempre
gli stessi (se ci avevo messo un certo t per portarlo a 10° da un lato, per portarlo prima a 0° e poi a
10° sull’altro lato ci metterò 2t).
Cosa fa la nave nel frattempo? La nave si era presa l’inerzia della sua accostata, quindi
nonostante io abbia girato il timone dall’altro lato la nave non si sogna neanche di cominciare a
girare dall’altra parte ma continua per un bel po sulla sua direzione fino a che a un certo punto non
prende anche lei ad accostare. Prende anche lei ad accostare, si riporta sulla rotta iniziale e
finalmente comincerà a girare dall’altra parte e quindi avrò in un altre istante (t3) l’identità di -10°
sul timone e -10° sull’angolo di rotta. Ma ci metterà un sacco di tempo per fare tutto ciò e intanto io
sto tenendo sempre il timone sbandato di 10° sul secondo lato di sbandamento.
Allora capite bene quali sono i problemi del comandante:
• Sapere quanto è l’angolo di overshooting cioè quanto la nave mi è uscita fuori rotta nel
momento in cui ho dato un certo comando
• Sapere quanto è questo tempo in cui riesco a passare da questo comando +10° allo stato
-10° di rotta
È chiaro che se ho una certa velocità e so quanto è questo tempo, posso identificare
immediatamente lo spazio che mi serve per accostare da +10° a -10°.
Ovviamente questa prova prosegue, però la curva diventa regolare (i tempi sono sempre gli
stessi).
Si chiama OVERSHOOT questo sopravanzo dell’angolo di rotta.
Si ha, quindi, al tempo t2, un sopravanzo di rotta (overshoot) dato da
sψ1°=ψ2-ψ1.
Situazione analoga si ha nel lasso di tempo tra t3 e t4, e così di seguito.

Lo stesso discorso si potrebbe fare in termini di lunghezza nave.


Vediamo quali sono le prescrizioni che la COLREG (COLlision REGulations), derivante dall’IMO, e
recepite dal RINA.

Applicando un angolo di barra di 10° a sinistra/dritta, la nave, nel momento


in cui la rotta è variata di 10° rispetto a quella iniziale, non deve aver
percorso un tratto superiore a 2.5 volte la lunghezza della nave stessa.

Ciò significa che da 0 a t1 la nave non deve aver percorso 2.5 volte la lunghezza della nave stessa.

(1) Il valore dei primo angolo di “overshoot" nella prova a zig-zag 10°/10°
non deve superare (L/V= lunghezza/velocità):
(a) 10° se L/V è inferiore a 10 secondi;
(b) 20°, se L/V è uguale o superiore a 30 secondi;
(c) [5 + 1/2 (L/V)], in gradi, se L/V è uguale o superiore a 10 secondi ma
inferiore a 30 secondi, in cui L e V sono espresse, rispettivamente, in m e in
m/s.
(2) Il valore del secondo angolo di "overshoot” nella prova a zig-zag 10°/10°
non deve superare i valori dati dal criterio suddetto per il primo angolo di
"overshoot” per più di 15°.
(3) Il valore dei primo angolo di "overshoot" nella prova a zíg-zag 20°/20°
non deve superare 25°.”

Nel caso della prova 10°/10° si considera un overshoot massimo di 15°, mentre nella prova
20°/20° si considera un overshoot massimo di 25°(non il doppio di 15°). Cio fa riflettere un attimo
perche fa capire che nella fase iniziale (della prova 10/10) il valore delle forze d’inerzia è molto
importante quindi ho delle grosse difficoltà a fare girare la nave. Quando gli angoli sono più ampi la
cosa diventa più semplice.
Dopo che ho fatto tutto ciò che ne sarà della mia nave che sto progettando? Come faccio a capire
se ce la farà o non ce la farà?
Nella fase di progetto ci sono delle formule che si applicano molto bene per i tipi di nave molto
uniformi. Se ad es. abbiamo una bulk carrier o una petroliera queste cose vanno a finire molto
bene.
- nella prova a “zeta 10/10”

Per le navi da carico la cosa è un po più generica. Le formule sono date in funzione di coefficienti
statistici-sperimentali (larghezza, lunghezza e coefficiente di finezza). Perché sono importanti
questi 3 coefficienti? Perché il rapporto di snellezza L/B è quello che all’aumentare di esso la nave
manovrerà peggio e il CB anche mi peggiora le cose nel senso che la nave più è piena e tozza
peggio manovra. Queste formule sono di regressione ricavate da prove al vero e dalle prove in
vasca in cui si parlerà più avanti.

Mentre sulla resistenza e propulsione si daranno delle formule precise, i valori delle formule
riportate vanno maggiorati del 20% (fattore di sicurezza che mi fa capire che le formule non fanno
un granchè).
Quindi si verifica che stiamo a posto con queste formule e poi si maggiora del 20% magari anche
un po di più.

Questa immagine seguente è il report di come si presenta un diagramma del genere:

In realtà dal report si nota che la nave non si è comportata molto male perché per lo sbandamento
a -10° del timone la nave ci ha messo per raggiungere -10° dell’angolo di rotta circa 80 secondi. La
nave ha un overshooting che grossomodo vale circa 20° (doveva essere al massimo 15° rispetto
all’angolo di barra e quindi la nave va più che bene). Poi il timone passa a +10° in una ventina di
secondi. La nave passerà a +10° dopo circa 300 secondi (5 minuti).

- prova di evoluzione

In questa prova si mette la barra tutta da una parte all’angolo max dopodiché si misurano delle
distanze e dei tempi:

La figura 4 riporta il percorso di una ipotetica registrazione di una prova di


evoluzione a dritta. Nel percorso compiuto dal baricentro durante una prova di
evoluzione si distinguono le seguenti fasi: di entrata, di manovra (da quando si inizia
a far ruotare il timone fino a che si è raggiunto l’angolo di barra voluto), di
evoluzione (traiettoria curvilinea) e di girazione (traiettoria circolare). Gli elementi
geometrici che caratterizzano una curva di evoluzione sono:
• l’avanzo LA, cioè la distanza, misurata nella direzione della rotta iniziale,
tra il punto A di inizio della manovra ed il punto D nel quale la rotta della
nave è mutata di 90° rispetto a quella iniziale;
• il trasferimento LT, cioè la distanza tra i detti punti A e D misurata in senso
normale alla direzione della rotta iniziale;
• il diametro tattico DT, cioè la distanza, in senso normale alla direzione della
rotta iniziale, tra tale detta rotta e quella (parallela) che vede la nave ruotata di
180° rispetto alla rotta iniziale; in realtà non è un diametro in quanto il percorso da A ad
E non è un arco di circonferenza;
• il diametro di girazione DG, cioè il diametro del cerchio descritto ad
evoluzione stabilizzata.

Se si passa la prova a zig-zag questa non si fa.

Anche qui abbiamo qualche formula di aiuto.


Queste formule sono le uniche risorse che abbiamo (si fa un foglio excel e si mettono dentro) e si
vede se la nostra nave più o meno le passa.

- Prova a spirale

È una prova che praticamente non si fa quasi mai. È una prova simile alla prova zeta (zig-zag). Fa
un lavoro in maniera più continua e meno discreta e poi si tira fuori il seguente diagramma. (rate of
turn=velocità di virata)
Questi diagrammi sono presentati quasi sempre come simmetrici ma raramente lo sono cioè
raramente la nave ha le stesse capacità di accostare a dritta e a sinistra e perciò si fanno le prove.
Perché accade ciò? Poiché la spinta ha una componente assiale, che sta sul piano diametrale, e
una componente radiale la quale ha l’effetto di spostare la nave su un lato. Quindi il timone
impercettibilmente dà sempre un piccolo angolo di barra. Con tutto lo studio che si potrà fare
sull’elica per minimizzare questa componente radiale il timone avrà sempre un minimo effetto di
correzione.

- Prova di arresto

È una prova di grandissima importanza che si fa quando la nave viene collaudata. Cosa vuol dire
prova di arresto? Vuol dire da una rotta rettilinea uniforme alla velocità di crociera, con la nave a
pieno carico, si ferma la nave, arrivando a velocità zero. Si vede quanto tempo e soprattutto
quanto spazio la nave chiede per arrestarsi e,peggio ancora, se la nave continua sulla sua rotta
rettilinea. Questa prova dipende da varie cose. Prima di tutto dipende dalla massa della nave. Il
problema è che nel momento in cui diminuisco la velocità diminuisco anche la resistenza che mi
diminuisce col quadrato della velocità. Quindi questa nave alla fine, quando si dovrebbe fermare,
continua a camminare perché ha anche una resistenza minima e quindi risente ancora della spinta
iniziale del propulsore. Se la nave è dotata di un’elica a passo variabile ho invertito il passo delle
pale. Se la nave è dotata di un motore diesel a 2 tempi posso invertire il senso di rotazione del
motore per fermare la nave che non è una cosa proprio immediata perché devo aspettare che la
nave si fermi completamente. Se ho un invertitore-riduttore, anche qui , dopo che il motore è sceso
di giri e dopo che la nave è cominciata a rallentare un po, posso invertire il senso di rotazione
dell’elica e fare marcia indietro. Per questo tipo di navi che possono invertire il senso di marcia
facilmente (navi con invertitore-riduttore, eliche a passo variabile) l’arresto è abbastanza breve.

Perle navi veloci l’arresto è pure abbastanza breve pur essendo veloci perché hanno una massa
molto più ridotta. Quello che è drammaticamente lungo è l’arresto di una grossa cisterna o una
grossa bulk carrier. Tant’è che nelle prescrizioni dell’ente di classifica lo spazio di arresto non deve
superare 15 volte la lunghezza della nave. Immaginiamo una nave di 300 m, 300x15= 4500 m e
cioè da castel dell’ovo fono all’estremità di capo posillipo.

Vediamo questo diagramma e notiamo che dal momento dell’arresto la nave continua ad avanzare
in frenata e si porta lateralmente (non continua ad andare dritta). L’elica ha una fortissima
componente radiale che mi fa deviare la nave lateralmente che un pochino posso correggere con
l’azione del timone.

La capacità di arresto è molto importante nel caso della caduta di un uomo in mare. Oggi ci sono
per fortuna dei sistemi che permettono una localizzazione gps della persona caduta in mare. Prima
di questo il sistema per recuperare l’uomo in mare era quello di mettere marcia indietro e seguire
la scia. Quindi evitare di andare lateralmente,come mostrato nel diagramma.
Anche qui si dà una formula per il calcolo della distanza di arresto funzione innanzitutto del
dislocamento (cioè la massa). Poi c’è la velocità, la potenza, il diametro dell’elica
Queste sono le caratteristiche di manovrabilità viste finora, strettamente collegate alla forma
della nave (massa, potenza, velocità),per cui nel progetto preliminare, a un certo punto,
appena definite le forme di carena, oramai valutato il dislocamento, prenderemo tutte queste
formule e valuteremo:

- L’overshooting della prova zig-zag


- La distanza di arresto nella prova di arresto
- Le distanze della prova di evoluzione

Se la nostra nave non ha caratteristiche particolarissime (navi strette e lunghe che devono passare
in certi canali) per gli aspetti sopraelencati non ha problemi.

Dopo questo primo approccio alla manovrabilità con la previsione delle caratteristiche per queste
prove standard si passa a parlare di timone.

FORMA E DIMENSIONI DEL TIMONE

Nell’ambito del progetto della nave si parla del timone perché ad un certo punto dobbiamo
confrontarci con l’area del timone la quale entrerà nei calcoli di resistenza al moto in maniera più o
meno importante a seconda del tipo di nave. Per le navi veloci sarà molto importante la resistenza
delle appendici in buona parte costituita dalla resistenza del timone o dei timoni. Per le navi lente il
discorso sarà meno sostanzioso, però comunque molto importante. Quindi tutti gli enti di classifica,
ma anche altre fonti, ci danno formule per l’area proiettata del timone che sono di questo tipo:
Funzione di:

Lpp T= rettangolo che circoscrive il piano di deriva

Ai fini del timone è importante il piano di deriva che è la proiezione sul piano diametrale dell’opera
viva. Più è grande il piano di deriva più è grande l’area del timone.

La seconda formula è abbastanza simile. L’unica differenza è che è presente la velocità al


denominatore.

Il grado di compenso, cioè il rapporto tra la superficie a proravia dell’asse di


rotazione e la superficie totale del timone è di norma contenuto, a seconda dei tipi di
timone, tra 0 e 0.20 per le navi da carico, mentre per le navi passeggeri e militari varia
tra 0.15 e 0.30. La lunghezza della superficie di compenso non deve superare il
35% della lunghezza totale della pala.

Si ricorda che AR è l’area proiettata. Quindi non è l’area che entra nella formula della superficie
bagnata per 2 ragioni:

1. La superficie bagnata è il doppio (metà a dritta e metà a sinistra)


2. C’è una piccola differenza dovuta al fatto che il timone ha un suo spessore quindi la
superficie bagnata è un pochino di più di 2 volte l’area proiettata sul piano diametrale.

Nella seguente tabella si rappresenta l’area proiettata per vari tipi di nave.

È evidente che il peschereccio o il rimorchiatore avranno timoni molto più grossi di una petroliera.
ELICHE TRASVERSALI DI MANOVRA

Le eliche di manovra è un elica intubata in un tubo trasversale, ortogonale al piano diametrale e


serve per dare una spinta in direzione ortogonale al piano diametrale. Può essere sia a prora che a
poppa. Ce ne possono essere più di una. Se ci sta l’elica di manovra essa è dovuta ad un
esigenza di tipo portuale dove la nave deve avere una sua autonomia, una sua capacità di
manovrare autonomamente. L’elica di manovra può servire in casi eccezionali per evitare collisioni
ma fa ben poco poiché funziona se la velocità della nave è minima.

Quello che serve sapere è quanto far grande l’elica di manovra. Per sapere la spinta laterale che
deve fare quest’elica di manovra e quindi quanti kg deve spingere l’elica di manovra, ho una
tabella in cui ho 1kg x tot m2 di opera viva e di opera morta (poiché l’elica di manovra ha 2 tipi di
resistenza da affrontare: quella dell’aria e del vento sull’opera morta, e quella dinamica dell’opera
viva).

La seguente tabella mi consente di dimensionare l’elica di manovra e di prevedere la velocità di


rotazione in gradi/secondi a seconda dei vari tipi di nave.

l
Quello che però mi serve di sapere è anche la velocità di rotazione legata alla lunghezza tra le
perpendicolari e la spinta laterale unitaria dell’elica di manovra.

La presenza di tunnel per spintori trasversali aumenta di poco la resistenza al


moto. Per una nave bulk carrier con un’elica trasversale di manovra a prua (a pieno
carico o in zavorra), l’incremento varia tra 0.3% di RT per V=12 nodi e 0.8 % di RT
per V=16 nodi; per una nave bulk carrier con due eliche trasversali di manovra (una
a prua e l’altra a poppa), l’incremento varia tra 0.4 % di RT (per V=12 nodi) e 1.7 %
di RT (per V=16 nodi) per nave a pieno carico e tra 0.5 % di RT (per V=12 nodi) e
2.0 % di RT (per V=16 nodi) per nave in zavorra.
In prima approssimazione, si può ritenere che 1 HP di potenza del motore sia
in grado di generare 11 kg di spinta. Una stima meno grossolana della potenza può
essere fatta con la formula:
P = K∆ 2/ 3

dove ∆ è il dislocamento in tonnellate e K assume i valori riportati i tabella 4.


Ship manoeuvring comprises
• course keeping
(only in ship‘s longitudinal axis)
• course changing
• track keeping
(important in restricted waters)
• speed changing

In inglese rotta si dice course come direzione. Track invece come rotta in senso di percorso.
Queste sono le specifiche funzionali che entrano in un progetto quando si comincia a parlare di
manovrabilità (tenere la rotta, cambiare rotta, cambiare la velocità).

IMO and owners specify manoeuvrability


Ship owners may add specifications to IMO requirements,
e.g. for tugs, ferries, exploration ships etc.
• Does the ship keep straight course?
• Under what conditions can the ship berth?
• Up to what wind speed to ship speed ratio can the ship
still be kept on all courses?
• Can the ship lay rudder in acceptable time from one side to another?

Cioè:

• È capace la nave di tenere una direzione dritta? Risposta: Con la prova zig-zag
• Entro quali condizioni la nave può ormeggiare?
• Quale rapporto tra velocità del vento/velocità della nave può essere sostenuto in qualunque
direzione? (vi possono essere delle condizioni in cui il vento è molto forte e se preso di
traverso, per es., la nave non può procedere dritta; se preso a 45° da prua la nave magari
ce la fa; se preso perfettamente da prua la nave va dritta perfettamente. Quindi un
diagramma polare della direzione del vento accettabile potrebbe essere di grande utilità)
• Il timone può essere mosso da una banda all’altra in un tempo accettabile?

Queste sono le domande di specifica funzionale.

Manoeuvrability characteristics
• initial turning ability =
„ability to initiate a turn (rather quickly)“= capacità di realizzare un’accostata rapidamente
• sustained turning ability
„ability for sustained (rather high) turning speed“ = capacità di sostenere l’accostata
• yaw checking ability
„ability to stop turning motion (rather quickly)“
• stopping ability
„ability to stop (in rather short distance and time)“
• yaw stability
„ability to move straight ahead at neutral rudder angle“

Manoeuvring equipment
• rudders
• fixed fins (skegs, deadwood)
• jet thrusters
• propellers (incl. cycloidal propellers)
• adjustable ducts for propellers
steering nozzles
• waterjets

Molte navi soprattutto quelle bielica e a fondo piuttosto piatto sono dotate di un qualcosa per
ridurre la capacità di manovrare però allentano di molto la stabilità di rotta. Cioè le navi con fondo
piatto che non hanno niente al centro ma che hanno solo le due eliche laterali sono delle navi
instabili in rotta e soprattutto sono instabili con mare di poppa, il che può rendere la navigazione
sconfortevole ma soprattutto anche pericolosa perché la nave può imbardarsi e poi ingavonarsi.
Quindi c’è un accorgimento detto skeg (pinna) che ci serve a mantenere la direzione.

Vi possono essere anche degli spintori a idrogetto.


Lo skeg o deadwood (il disegno è particolare per far risalire alla parola wood=legno) è una pinna
direzionale. Lo troviamo su tantissime carene specialmente le bieliche. È lo stesso concetto delle
piume della freccia che la stabilizzano.
Facciamo attenzione sui timoni a flap che sono abbastanza diffusi. Essi aumentano molto la
portanza.

Qui abbiamo il timone sospeso e, come si vede nella


figura, al centro fra le 2 eliche c’è uno skeg per non
lasciare la zona centrale completamente piana senza
qualcosa che dia la direzionalità in rotta e qualcosa che
serva ad evitare lo scarroccio quando la nave è in porto
con vento trasversale. Chiaramente lo skeg è una
resistenza al moto.

Questo è un timone con lo skeg o horn.


Questo è un timone a flap.
questo è un rimorchiatore con delle eliche orientabili (steerable). Qual è il vantaggio di passare dal
timone a questo tipo di sistema? Di che cosa ha bisogno il timone e di cosa non ha bisogno questo
sistema? Le eliche orientabili non hanno bisogno che la nave abbia una certa velocità poiché il
flusso dell’elica no riesce a garantire l’efficacia del timone. Non posso avere un timone enorme
perché quando la nave sarà alla velocità di crociera avrei un timone molto ingombrante.

Quindi se sono su una nave che ha bisogno di grandi capacità evolutive a velocità molto basse
(tipicamente un rimorchiatore portuale) l’unica soluzione che ho è quella di operare la manovra
attraverso una settorializzazione della spinta e quindi attraverso una modifica di direzione della
spinta. Non ho più bisogno di una velocità ma orienterò la spinta come mi pare e piace.
Ciò si può fare in tanti modi anche senza far ruotare l’elica:

in questo caso, con minore efficacia, ma comunque con un


certo risultato ruoto soltanto questo mantello kort (nozzle)
mentre l’elica resta fissa.

Il diametro e la forma del mantello è fatto in maniera tale da


essere vicino all’elica. Esso ha una tolleranza minima quando
non è spostato (funziona da mantello puro) e dà un piccolo
vantaggio sulla propulsione. Quando invece ruota per
modificare la direzione della spinta, ha una tolleranza maggiore rispetto all’elica (è un po più
staccato). Allora il mantello mi serve perché oriento questo flusso d’acqua e quindi riesco a far
girare la nave anche in spazi molto ristretti.
Azimut drive (podded drive)

il mantello non è molto efficace se ci serve una nave veramente manovrabile. Per avere ciò o si
utilizzano le eliche orientabili, oppure i propulsori azipod o cicloidali (Voigt-Schneider). Quest’ultimo
mi permette di orientare la spinta sui 360° come voglio. Si usa molto per i rimorchiatori portuali ma
anche per navi oceanografiche della marina. Hanno l’inconveniente di essere un po esposti, non
molto efficienti, però estremamente preziosi per quanto riguarda la manovrabilità.
Il cycloydal rudder promoter è un ibrido tra l’elica e il Voigt-Schneider ed ho un’elica in flusso
assiale che serve per le velocità maggiori proprio per ridurre la parte di potenza che va sul Voigt-
Schneider che è parecchio dispersa e mantenere una parte di potenza con ottimo rendimento e
allo stesso tempo le caratteristiche di manovrabilità di questo sistema.

Qui abbiamo una soluzione che per la manovrabilità è ottimale, e cioè l’idrogetto (waterjet). Si
osservano tre water jet in cui quelli laterali sono dotati di sistemi di orientamento della spinta,
mentre invece quello centrale no il quale si accende solo alla velocità massima (idrogetto booster
= serve per raggiungere la v max). gli altri due servono in velocità di crociera e in manovra.

Il water jet riesce ad orientare la spinta come vuole infatti i traghetti veloci che ci sono a Napoli non
hanno eliche trasversali.

Le eliche trasversali sono rappresentate nella slide seguente. Ve ne sono due vicine e possono
essere sia a poppa che a prora. Chiaramente lo stern truster (elica poppiera) è difficile da
installare a causa dell’interferenza con l’asse dell’elica. Infatti queste eliche direzionali in figura
sono messe più in alto ma creano un sacco di problemi e queste eliche sono piccoline per la
potenza che hanno e se non hanno un battente di acqua adeguato vanno facilmente in
cavitazione.
I sistemi di posizionamento globale utilizzano sia i sistemi di propulsione principale, sia dei piedi
azimutali a volte, sia le eliche trasversali. Queste sono unità particolari che devono tenere il punto
o sono unità che fanno delle operazioni di perforazione e non possono essere ancorate perché i
fondali sono troppo profondi, oppure come nel caso in figura, sono dei supply vessel che operano
vicino a delle piattaforme e devono stare ad una certa distanza senza muoversi. Qual è il problema
di questi sistemi di posizionamento globale? Il loro problema è quello di non avere la possibilità di
correggere il movimento della nave in cui esso avviene. Cioè per tenere la nave ferma nell’ambito
di un paio di metri si deve avere un sistema intelligente in grado di prendere i segnali dall’esterno e
avere una sua biblioteca interna dei RAO (operatori di risposta), caratteristici della risposta della
nave a quelle che sono le sollecitazioni esterne (tipicamente di tipo aerodinamico), e
immediatamente porre in atto le reazioni di spinta correttive. Quindi il sistema è in grado di leggere
le variazioni dello spostamento col tempo, quindi l’inizio del moto della nave e immediatamente
correggere sulla base di un RAO della nave. Quindi non è un sistema causa-effetto. Non è una
correzione passiva nel senso che al movimento della nave avviene una forza e quindi la nave
viene riportata nel suo posto. Per le necessità che ci sono oggi bisogna avere dei sistemi che
siano in grado di anticipare il movimento della nave e riportarla nella posizione iniziale.
(portaerei che sta virando a dritta)

Una delle problematiche che si ha nell’ambito dello studio della manovrabilità è l’effetto del timone
su una nave dal punto di vista delle inclinazioni trasversali. Una portaerei è una nave
abbastanza veloce però ha un baricentro piuttosto basso rispetto a una nave convenzionale (da
crociera). Quindi il fatto che in accostata possano prodursi inclinazioni trasversali di un certo tipo è
di grande interesse.

Da sempre l’ente di classifica pone una prescrizione sull’inclinazione verso l’esterno della
traiettoria di accostata in cui, per le navi passeggeri, si pone un momento sbandante
convenzionale, poiché questa cosa è di difficile valutazione, pari a:

formula non presente negli appunti. (da inserire)

Funzione di:

KG = quota verticale del baricentro dal punto K di intersezione della chiglia col piano diametrale

T/2 = metà immersione

V = velocità

D = diametro in accostata

L = lunghezza della nave

con un limite alle inclinazioni trasversali di 10° che si somma all’addensamento dei passeggeri sul
lato. Cioè il registro per le navi passeggeri pone 2 condizioni:

1. Per l’accosto in velocità


2. Per l’addensamento dei passeggeri su un lato

Queste due condizioni vanno viste in simultanea. Si tiene presente che 10° su una nave
passeggeri è già una inclinazione devastante nel senso che è considerata il limite in cui una
persona riesce a camminare sul ponte inclinato.
L’inclinazione di una imbarcazione planante è
rivolta verso l’interno della curvatura e in modo
anche vistoso.

Perché sulla dislocante l’inclinazione è rivolta


verso l’esterno della curvatura mentre per la
carena planante è rivolta verso l’interno?

Cominciamo a ragionare sulla nave dislocante


dove è più semplice perché vi è una spiegazione
immediata data dalla forza centrifuga che inclina
la nave verso l’esterno. La forza centrifuga è
applicata nel baricentro. Il baricentro è
sicuramente più in alto del centro di resistenza idrodinamica (centro di pressione idrodinamica) ben
documentata dalla serie di spruzzi sotto la nave. Quindi la nave tende a scarrocciare, la pressione
idrodinamica spinge verso l’interno del cerchio di girazione, la forza centrifuga spinge verso
l’esterno. Le due forze sono disallineate e la nave si inclina verso l’esterno.

Vediamo cosa succede al di sotto di una carena planante che sta accostando e vediamo quali
sono le forze in gioco. Nel caso della nave dislocante l’azione del timone è abbastanza trascurabile
rispetto alla forza centrifuga e alle masse che ci sono in gioco. In questo caso abbiamo due
momenti contrastanti. Un primo momento dovuto a una forza di portanza idrodinamica Fp (per
semplicità applicata nello spigolo vivo) che tende ad inclinare la nave verso l’interno della
traiettoria. In figura si nota il timone alla banda e l’imbarcazione che accosta verso destra vista da
poppa.

Ho la forza centrifuga Fc applicata nel baricentro G diretta verso l’esterno della curvatura che
causa il secondo momento. Ho la forza laterale del timone Fl applicata nel centro di pressione del
timone. Ho però una sostanziale forza idrodinamica Fp che considero per semplicità applicata
nello spigolo vivo (si parla di carene in sostentamento idrodinamico quindi normalmente a spigolo
vivo). Questa forza dovuta allo scarroccio dell’imbarcazione ed anche alla sua velocità realizza un
momento rivolto verso l’interno della traiettoria.

Quindi ho la forza centrifuga Fc verso l’esterno, la forza del timone Fl verso l’esterno e la forza di
portanza idrodinamica Fp che è una forza distribuita (risultante delle azioni idrodinamiche sul
fondo) che voglio,per semplicità, considerare concentrata, che spinge verso l’interno.

Il risultato dell’inclinazione mi verrà dato dall’equilibrio di queste 3 forze e 3 momenti.

La forza centrifuga Fc è in realtà molto modesta nel bilancio complessivo perche questa volta la
nave è molto leggera. Quindi questa volta le azioni idrodinamiche sono prevalenti rispetto alle
azioni conseguenti alla Fc. Questa è la grande differenza tra la nave piccola e la nave grande.

Ora il nostro problema è dare una valutazione a questa inclinazione. Voglio valutare l’angolo di
inclinazione che, mentre per la nave dislocante ho una formula dal registro, per la nave planante
ho uno strumento grafico dato dalla figura:

La forza centrifuga applicata nel baricentro è data dalla seguente relazione:

𝑊𝑊𝑣𝑣 2
𝐹𝐹𝐶𝐶 =
𝑔𝑔𝑔𝑔

Dove:

• W è il peso della nave (non si parla più di dislocamento poiché strettamente legato alla
spinta idrostatica)
• v è la velocità
• g è l’accelerazione di gravità
• R è il raggio di girazione
L’equilibrio alla rotazione si svolge intorno ad un centro di rotazione CR che è un punto
abbastanza difficile da definire. Certamente la distanza d da questo centro di rotazione è
importante per scrivere il momento della forza centrifuga:

𝑀𝑀𝐶𝐶 = 𝐹𝐹𝐶𝐶 × 𝑑𝑑

Adesso vediamo qual è la forza sul timone che è Fl

𝐹𝐹𝑙𝑙 = 𝐹𝐹𝑛𝑛 cos 𝛼𝛼

𝐹𝐹𝑛𝑛 = 𝐶𝐶𝐿𝐿 𝐴𝐴𝑅𝑅 𝑉𝑉 2

dove 𝛼𝛼 è l’angolo di barra del timone.

È stato studiato l’equilibrio del timone rispetto al baricentro, sono state prese delle distanze rispetto
al baricentro G della nave come in figura: Il punto C è il centro di pressione mentre il punto A è
l’asse di rotazione del timone.

Per calcolare Fl devo trovare un modo per calcolare Fn. Esso si ricava dalla formula soprascritta in
funzione di:

• CL= coefficiente di portanza del timone


• AR= area proiettata della superficie del timone
• V= velocità

Il timone lo conosco e quindi ne conosco l’area. Mi serve il coefficiente di portanza. Però una volta
che avrò calcolato la forza non mi basterà perché avrò bisogno di conoscere le distanze. Quindi mi
serve anche la posizione di C.

La posizione del centro di pressione C non è costante ma è funzione dell’angolo 𝛼𝛼. Perciò vado sul
diagramma in figura che mi dice tutto in funzione dell’angolo di barra del timone. Mi fornisce il
centro di pressione in percentuale della corda (distanza tra bordo di entrata e bordo di uscita), cioè
per un angolo del timone di 10°, il centro di un timone a profilo alare, è circa il 12-13% della corda
a poppavia del bordo di entrata.

Una volta calcolato dove si trova il centro di pressione occorre calcolare CL per conoscere Fn. Il
coefficiente di portanza è fornito nella parte superiore del diagramma dato in funzione dell’aspect
ratio (rapporto tra le dimensioni del timone) e la velocità. Aspect ratio = 1 significa che un timone è
alto quanto largo. Aspect ratio = 2 è il massimo e significa che il timone è profondo 2 volte (nel
senso poppa prua) quanto è largo.

Quindi so calcolare Fn e quindi anche la forza laterale Fl utile per calcolare il momento.

La resistenza del timone è importante per queste navi, tant’è che è impossibile fare una velocità
massima con un’imbarcazione planante con un piccolo angolo di barra. Come si ha un piccolo
angolo di barra la velocità scende. Ciò si sente molto in una imbarcazione che ha delle piccole
dissimmetrie oppure ha degli errori sull’allineamento delle due linee d’assi.

Il momento MB dovuto alla forza del timone e dalla forza di portanza idrodinamica (in senso orario)
è dato da:

𝐵𝐵𝐶𝐶
𝑀𝑀𝐵𝐵 = 𝐹𝐹𝑙𝑙 ℎ′ + 𝐹𝐹𝑝𝑝
2

𝐵𝐵𝐶𝐶
dove è metà della larghezza tra gli spigoli (Bchine).
2

Questo momento dovrà essere equilibrato dal momento della forza centrifuga.

Il problema è che mentre la forza


centrifuga Fc e la forza sul timone Fl le so
calcolare, la forza di portanza
idrodinamica Fp non la so calcolare.

Allora ho identificato un unico momento


dato da Fl e Fp considerando una forza
fittizia FB:

𝐹𝐹𝐵𝐵 = 𝐹𝐹𝑙𝑙 + 𝐹𝐹𝑝𝑝 = 𝑘𝑘𝐴𝐴𝑅𝑅 𝑉𝑉 2

la quale verrà moltiplicata per il braccio

𝐵𝐵𝐶𝐶
+ ℎ′
2

La FB la esprimo in funzione di:

• Quadrato della velocità


• Area proiettata del timone
• Fattore k determinato da prove al vero e lo trovo nello stesso diagramma di CL visto in
precedenza in funzione del numero di Froude relativo alla larghezza tra gli spigoli 𝐹𝐹𝑁𝑁𝑉𝑉 ed è
un numero di Froude che si usa per le imbarcazioni planante (al posto della “classica”
lunghezza nave L si utilizza la larghezza tra gli spigoli poiché nelle imbarcazioni plananti
cambia l’assetto, il sinkage (immersione),e quindi la lunghezza al galleggiamento L varia
continuamente per cui non si potrebbe fare il numero di Froude con L. L’unica lunghezza
costante è la larghezza tra gli spigoli.

Il momento risultante sarà dato da:


𝑀𝑀𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟 = 𝑀𝑀𝐵𝐵 − 𝑀𝑀𝐶𝐶
𝑀𝑀𝐶𝐶 = 𝐹𝐹𝐶𝐶 × 𝑑𝑑

𝐵𝐵𝐶𝐶 𝐵𝐵𝐶𝐶
𝑀𝑀𝐵𝐵 = 𝐹𝐹𝑙𝑙 ℎ′ + 𝐹𝐹𝑝𝑝 = 𝐹𝐹𝐵𝐵 × � + ℎ′ �
2 2

Normalmente il centro di rotazione si mette sulla linea di galleggiamento (cosa più ragionevole da
farsi).

Le aree dei timoni delle carene plananti sono infinitamente più piccole di quelle delle carene
dislocanti perché per queste ultime la velocità è molto più alta e ci si rassegna ad una cattivissima
manovrabilità in porto alle basse velocità. Questo un pochino lo risolve il fatto che queste navi
sono di solito navi bielica. Quindi dosando con un’ elica in marcia avanti e con un’elica in marcia
indietro, ho due regimi di rotazione diversi, posso migliorare la manovrabilità. Ma ciò nemmeno
tanto, perché se sono navi bielica, sono navi con potenze a bordo molto alte. Si sa che un motore
diesel non è che può andare a 10 giri al minuto cioè ha un minimo che nel caso dei motori diesel
veloci è intorno ai 500-600 giri/min. Allora a 500-600 giri/min ho già dei valori di potenza che sono
eccessivi per le necessità o anche per le modalità di manovra in maniera lenta. Quindi
necessariamente se ho bisogno di una imbarcazione molto manovriera di questo tipo (planante
con grosse potenze) mi devo riferire a dei sistemi di propulsione con dei piedi azimutali o eliche di
manovra, ma non riesco ad usare il motore principale.

La manovrabilità per imbarcazioni veloci, se da un lato pone problemi alle alte velocità in termini di
sicurezza proprio dati dalle caratteristiche di velocità, dall’altro lato pone enormi problemi con le
basse velocità.

Dobbiamo dire che la manovrabilità si particola rizza molto nei confronti della nave che stiamo
considerando. Gli effetti dell’accostata sono assolutamente opposti nel caso di imbarcazioni
plananti e nel caso di navi dislocanti.

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