Sei sulla pagina 1di 20

Generalità sulle strutture aerospaziali e sui laminati compositi

Le esigenze di leggerezza e di elevata resistenza specifica delle strutture aerospaziali implicano


l’utilizzo di strutture sottili con costruzione sandwich e/o in materiale composito. Ciò serve a
migliorare le prestazioni dei veicoli nonché ad aumentarne il carico pagante. Le strutture
aerospaziali sono sostanzialmente di tipo piastra (flat shell) o guscio (shell) e vengono rinforzate da
inserti (stiffeners) che consentono di aumentarne la rigidezza e quindi la capacità di sopportare
carichi (load-carrying capability). Le strutture sono costruite assemblando una serie di segmenti
detti pannelli. La Figura 1 mostra un pannello cilindrico rinforzato da inserti disposti in direzione
assiale (stringers) e in direzione circonferenziale (rings). La porzione di pannello compresa tra due
stringers e due rings adiacenti viene detta mantello (skin).

Figura 1 – Schematizzazione di un tipico pannello per applicazioni aerospaziali

La Figura 2 mostra invece un pannello a costruzione sandwich in cui sono riconoscibili le facce
(facesheets) e il core a nido d’ape (honeycomb core) costituito da una serie di celle esagonali. Si
nota che gli spessori delle facesheets e del core sono molto piccoli rispetto alle altre due dimensioni.

y tc=0.002 inch
W - direction

x s

L - direction

Figura 2 – Schema di una tipica costruzione sandwich


Il core è di solito fatto in titanio mentre le facesheets possono essere in leghe metalliche o in
materiale composito. Il sandwich è presenta un’elevata resistenza a flessione grazie allo spessore
del core che può essere 10-20 volte quello delle facesheets. Queste ultime, a loro volta, garantiscono
la resistenza a carichi agenti nel piano X-Y.
In generale, le costruzioni in materiali compositi sono da preferirsi a quelle in lega metallica perché
i materiali compositi hanno un minore peso specifico. Ad esempio, la graphite-epoxy nota come
IM7/977-2 pesa solo 0.057 lb/in 3 rispetto a 0.1 lb/in3 dell’alluminio e 0.16 lb/in 3 del titanio (N.B. 1
lb/in3  2750 kg/m3). In particolare, poi, le costruzioni sandwich sono particolarmente indicate
quando ci sono problemi di isolamento termico della struttura (p.e. mantenimento delle temperature
criogeniche dei propellenti nella fase di lancio ed abbandono dell’atmosfera terrestre, sollecitazioni
termiche dovute all’elevata velocità di crociera oppure alla formazione di plasma al rientro
nell’atmosfera terrestre). In tal caso, un adeguato spessore del core fa insorgere un gradiente
termico tra le due facesheets con un conseguente risparmio sui sistemi di protezione termica.
Una generica struttura in materiale composito può essere schematizzata come un insieme di strati
(layers) disposti uno sull’altro. Ogni layer consiste in una lamina comprendente una serie di fibre
tutte orientate di un angolo k rispetto ad una direzione principale d. Pertanto, l’insieme dei layers
costituenti la struttura prende anche il nome di laminato composito (composite laminate). La Figura
3 mostra il sistema di riferimento locale adottato per il k mo layer. Si nota che il sistema di
riferimento è consistente con le notazioni nelle Figure 1 e 2.

k yk

xk

Figura 1 – Sistema di riferimento locale per il generico layer

I laminati compositi vengono di solito indicati con la seguente notazione:

[,n/ ,n/ ,n/k,nk/…/ n,nn] (1)


La sequenza dei k,nk viene detta lay-up del laminato. Gli N termini indicati con k (k=1,…,N)
rappresentano le orientazioni delle fibre comprese nel laminato mentre nk è il numero di fibre
orientate a k. Ad esempio, la notazione [453/0/90] indica che il laminato è composto da cinque
strati tre dei quali includono fibre orientate a 45° mentre gli altri due sono orientati a 0° e 90°.
In generale, si utilizzano fibre orientate a 45°, 0° e 90°. Le prime garantiscono la cosiddetta in-
plane stiffness, cioè la capacità del laminato a sopportare la combinazione di carichi agenti nel
piano X-Y. Le fibre 0° e 90° rispettivamente forniscono rigidezza in direzione assiale ed in
direzione trasversale.
Un laminato si dice simmetrico quando presenta un numero pari di layers: ciascuna coppia di layers
ha la stessa orientazione ed è disposta simmetricamente rispetto alla superficie media del laminato.
Un esempio di laminato simmetrico è [+45/903/-45/03/-45/903/45].
Un laminato si dice bilanciato se il numero di layers orientati a 45° è uguale al numero di layers
orientati a –45°. Un esempio di laminato bilanciato è quello quasi-isotropo [45 n/0m/-45p/90q] ove
n=p.
Un laminato si dice di tipo angle-ply quando è costituito da un numero pari di fibre orientate a .
In sostanza vi sono n coppie di strati ciascuno dei quali comprende due lamine rispettivamente
orientate a + e –. Ad esempio, laminati angle-ply sono utilizzati nella costruzione dello skin dei
serbatoi di propellente liquido per RLV (Reusable Launch Vehicles). Nel caso di un RLV, lo skin
deve essere spesso almeno 12 plies (cioè 0.06 pollici) per evitare che l’idrogeno liquido possa
permeare. Un laminato che si adatta sia al tipo di carico sia agli stress termici che insorgono a causa
delle temperature criogeniche (intorno a -250 °C) in cui opera il tank è quello con le fibre orientate
a 65. Poiché il laminato deve avere 12 layers, la costruzione utilizzata viene denotata come [65]6.
Da quanto detto sulle caratteristiche dei differenti laminati si comprende che la scelta del lay-up da
utilizzare dipende dal tipo di carico che deve essere sopportato dal laminato. Ad esempio, lo skin
includerà fibre orientate a 90° se deve resistere alla pressione di un fluido a contatto con esso. Gli
stringers includeranno fibre a 0° se devono sopportare una significativa frazione del carico assiale. I
laminati angle-ply sono un ragionevole compromesso tra la rigidezza trasversale, assiale, in-plane e
presentano buona resistenza al thermal mismatch, cioè all’insorgenza di stress all’interfaccia skin-
stiffeners a causa delle differenti deformazioni che hanno fibre a contatto ma con orientazione
diversa. Particolare attenzione deve essere, quindi, posta nella fabbricazione e messa in opera di
componenti in materiale composito poiché l’orientazione effettiva delle fibre potrebbe essere
diversa di quella di progetto. Anche lievi differenze possono giocare un ruolo molto importante in
termini di decadimento della resistenza strutturale del laminato.
La Figura 4 riassume i principali tipi di carichi che possono essere applicati ad una struttura
aerospaziale.

Figura 4 – Tipi di carichi agenti su una struttura sottile

Sono riconoscibili le forze assiali e trasversali N x ed Ny ed le forze di taglio N xy agenti nel piano X-
Y. Le conseguenti tensioni x, y exy danno luogo ai momenti flettenti Mx, My ed Mxy. I momenti
sono intesi come applicati ai bordi della piastra.
Se si trascurano i carichi denotati con Qx ed Qy che risultano dall’azione delle tensioni xz e yz si
può scrivere la seguente relazione matriciale:

 N  A B   
      C  e (2)
M   B D 

ove C è la matrice costitutiva di ordine 6 composta dalle sottomatrici 3 x 3 [A], [D] e [B]. Le tre
sottomatrici includono, rispettivamente, i termini di rigidezza assiale, flessionale e di coupling. In
generale, si sceglie il lay-up del laminato in maniera tale che non vi sia coupling (p.e. cambi di
curvatura introdotti da semplici sforzi assiali). Tale scopo può essere raggiunto utilizzando laminati
simmetrici e bilanciati.
Il vettore dei carichi nell’LHS della Eq. (2) comprende due sotto-vettori N ed M definiti come:

N M   N x

N y N xy M x M y M xy 


(3)
Analogamente, il vettore delle deformazioni e comprende i due sotto-vettori    e  definiti
come:

     x  y  xy  x  y  xy 

(4)

ove i termini  x ed  y sono rispettivamente gli stretching nelle direzioni assiale e trasversale,  xy è

il termine di scorrimento mentre  x ,  y ed  xy sono i cambi in curvatura introdotti dai momenti


flettenti e dal momento torcente.
I campi di spostamento di un qualsiasi punto P(x,y,z) della piastra vengono inclusi nel vettore
u,v,w che ha come componenti gli spostamenti in-plane u e v e lo spostamento w fuori dal piano.
Le corrispondenti deformazioni sono calcolate come:

u
x 
x
v
y 
y
u v
 xy  
y x
2w
x  
x 2
2w
y  
y 2
2w
 xy  2
xy

(5)

Dato lo spessore piccolo della piastra, si ipotizza che gli spostamenti u(x,y,z) e v(x,y,z) nel generico
punto P della piastra siano dati dalla somma degli spostamenti u°(x,y) e v°(x,y) del punto del piano
medio della piastra posto in corrispondenza di (x,y) e di termini proporzionali alla distanza del
punto P dal piano medio. Cioè, se si pone l’origine del riferimento nel piano medio, si scrive:

u ( x , y, z)  u o ( x , y)  z  F1 ( x , y)
(6)
v( x , y, z)  v o ( x , y)  z  F2 ( x , y)

ove F1(x,y) ed F2(x,y) sono due funzioni differenziabili nelle variabili x ed y.


Nell’ulteriore ipotesi che le deformazioni xz ed yz siano nulle dato il piccolo spessore della piastra,
si scrive che:
 u ( x , y, z ) w ( x , y ) u o ( x , y ) w ( x , y )
 xz  z

x

z
 F1 ( x , y) 
x


 v ( x , y, z ) w ( x , y ) v o ( x , y) w ( x , y )
    F2 ( x , y) 
 yz
 z y z y

(7)

Le relazioni (7) vengono riscritte come:

 w ( x , y)
 xz  F1 ( x , y ) 
 x
 0
 w ( x , y )
  F2 ( x , y )   0

 yz y

(8)

da cui si ricava:

 w ( x , y )
F1 ( x , y )  
 x

F2 ( x , y )   w ( x , y )

 y

(9)

Le relazioni (9) sono poi sostituite nelle relazioni (6). Quindi, risulta che:

 w ( x , y )
 u ( x , y, z )  u o ( x , y )  z 
 x

 v ( x , y, z )  v o ( x , y )  z  w ( x , y )

 y

(10)

Dalle espressioni (10) si possono ricavare le deformazioni x, y ed xy. Si ha:

 u ( x , y, z ) u o ( x , y )  2 w ( x , y)
 x    z 
 x x x 2

 v ( x , y, z ) v o ( x , y )  2 w ( x , y)
 y    z 
 y y yx
 u ( x , y, z ) v ( x , y, z ) u o
( x , y)  2
w ( x , y) v o ( x , y )  2
w ( x , y)
     z    z 


xy
y x y yx x xy

(11)
L’ultima delle espressioni (11) può essere riordinata come:

 u o
( x , y)  2
w ( x , y)
 x   z 
 x x 2

 v o
( x , y)  2
w ( x , y)
 y   z 
 y yx
 u o
( x , y) v o
( x , y)  2
w ( x , y)
    2z 


xy
y x xy

(12)

Ma i termini indipendenti da z contenuti nelle somme negli LHS delle espressioni (12) altro non
sono che le deformazioni xo, yo ed xyo dei punti del piano medio. Cioè, si scrive:
  2
w ( x , y)
  o
x  x  z 
 x 2

  2
w ( x , y)
  o
y  y  z 
 yx
  2
w ( x , y)
  o
  2z 


xy xy
xy

(13)

Infine, sostituendo nelle espressioni (13) i termini di curvatura dati dalle ultime tre equazioni (5) si
ricava:

 x   x o  z   x

 y   y  z   y

o

 xy   xy  z   xy
o
(14)

Le (14) consentono di calcolare le deformazioni in piano per qualsiasi punto della superficie della
piastra in funzione delle deformazioni del piano medio della piastra e dei cambi di curvatura della
piastra stessa.
Analisi di instabilità

Il sottile spessore dei pannelli utilizzati nella costruzione di strutture aerospaziali obbliga il
progettista a tenere nel massimo conto i fenomeni di instabilità elastica che possono insorgere
durante il funzionamento dei vari componenti. L’analisi di instabilità mira a stabilire la frazione dei
carichi applicati (buckling loads) che possono provocare l’insorgere del fenomeno d’instabilità e si
basa su formulazioni molto complesse che assumono l’esistenza di un campo di spostamenti
ub(x,y) , vb (x,y) , wb (x,y)  ove l’indice b è relativo alla configurazione instabile. Tale campo di
spostamenti descrive la deformata associata al comportamento instabile della struttura. A livello
macroscopico, il buckling è dovuto al fatto che l’energia di deformazione associata agli spostamenti
u(x,y) e v(x,y) nel piano X-Y che sarebbero indotti dai carichi applicati N x, Ny ed Nxy si trasforma in
energia di deformazione flessionale associata agli spostamenti w(x,y) fuori dal piano. In sostanza, vi
è una fase di pre-buckling in cui la struttura viene progressivamente deformata dai carichi applicati
Nxo, Nyo ed Nxyo fino a che non si verifica il suddetto trasferimento di energia. La forma finale della
superficie del pannello dopo che si verifica l’instabilità si definisce buckling pattern.
Lo stato di carico risultante Nxb, Nyb ed Nxyb viene determinato mediante le Eqq. (2-4) scritte in
corrispondenza delle deformazioni eb. (l’apice b è relativo allo stato di buckling). Le equazioni (2-4)
vengono quindi riscritte come:

N 
 A B  

b b



b 
 

 b  Ce b
(2
M 
  B D  
 

mod)

 N M    N
b b b
x N by N bxy M bx M by M bxy 
 (3 mod)

 b  b    bx  by  bxy  bx  by  bxy 


 (4 mod)

Il campo di spostamenti ub,vb,wb viene di solito scelto in modo da soddisfare alle condizioni al
contorno costituite dai vincoli imposti al pannello in esame. In generale, il pannello viene
considerato appoggiato-appoggiato in direzione assiale mentre può essere appoggiato o incastrato in
direzione circonferenziale. Per pannelli piani si utilizza un campo di spostamenti dato da:


u
b
 A   m 1 sin ( n 1 y  m 1 x ) 



 v
b
 B   n 1 sin ( n 1 y  m 1 x ) 


 w b
 C   cos( n 1 y  m 1 x )  c


(15)
Invece, per pannelli curvi si pone:

u b

 A  n 2
2
m 1si n ( n 1 y  m1 x )  n 1
2
m 2 si n ( n 2 y


v
b
 B   n 2 sin ( n 1 y  m1 x )  n 1 sin ( n 2 y  m 2 x )


w b
  C   cos (n 1 y  m1 x )  c os(n 2 y  m 2 x )

(16)

ove n1, n2, m1 ed m2 sono dei parametri funzione dei numeri n ed m di buckling half-waves,
rispettivamente in direzione x ed y. Le half-waves coincidono col numero di creste e di valli del
buckling pattern. Un esempio di buckling pattern è presentato in Figura 5 per un pannello piano con
tre stringers a forma di T. Si nota che n=m=2

Figura 5 – Buckled shape per un pannello piano con stringers a T

I campi di spostamento (15-16) sono relativamente semplici e sono esprimibili in forma chiusa. Vi
possono essere però dei casi in cui il campo di spostamento deve necessariamente essere espresso
mediante una serie di funzioni (p.e. se il laminato non è bilanciato o presenta forte anisotropia. Un
caso molto studiato in letteratura è il laminato simmetrico del tipo [0/90] ns dove la sequenza 0/90 è
ripetuta n volte).
I termini A, B e C sono invece le ampiezze incognite del buckling pattern che si devono
determinare con l’analisi di instabilità. Dal punto di vista numerico, l’analisi consiste nel
determinare le ampiezze A, B e C per mezzo del principio del potenziale totale U-W ove U è
l’energia di deformazione associata al buckling pattern e W è il lavoro che i carichi in-plane
compiono durante la fase di post-buckling. L’energia di deformazione U viene calcolata come:

1 y max x max b T
U
2 o o
(e ) [C]e b  dxdy (17)

Il lavoro W compiuto dalle forze in-plane Nxo, Nyo ed Nxyo in corrispondenza di spostamenti fuori
dal piano è dato da:
1 y max x max  o w b w b 
2 2
 w b   w b 
W  o  N x     N oy     2  N oxy    dxdy (18)
2 o  x   y  x y 
 

La relazione (18) viene ricavata in base alla considerazione che il lavoro che le forze in piano
compiono quando si ha uno spostamento w fuori dal piano viene espresso come:

     dxdy
ymax x max o '
W
o o
 
N x  x  N oy  'y  N oxy  'xy (19)

Poiché le deformazioni x’, y’ ed xy’ del piano medio sono associate all’analisi in regime di larghe
deformazioni, le x’, y’ ed xy’ stesse vengono derivate dal tensore di Green che esprime la misura
di deformazione in funzione del gradiente di spostamento. Il tensore di Green è indicato con [D] ed
è definito come:

[D] = [[H]T + [H] + [H]T[H] ] /2 (20)

Il tensore [H] rappresenta il gradiente di spostamento definito come:

 u u u 
 x y z 
 
v v v
[H] =  
 (21)
x y z
 w w w 
 
 x y z 

Per larghe deformazioni, risulta:

 u 1  u 
2
 v 
2
 w 
2

 x           
 x 2  x
   x   x  


 v 1  u 
2
 v 
2
 w 
2 
 y   
 
  
 
    
 y 2  y   y   z  
 

 v u  u u v v w w 
    x   
 xy
x y  y x y x y 

(22)

L’espressione (18) si ottiene sostituendo le (22) nella (19) e trascurando i termini relativi agli
spostamenti u e v poiché la configurazione di buckling è associata a larghe deformazioni prodotte
da spostamenti fuori dal piano.
Le deformazioni associate al buckling pattern vengono determinate derivando i campi di
spostamento rappresentati dalle relazioni (15). Si ha:
u b
 bx 
x
vb
 by 
y
u b v b
 bxy  
y x
2w b
 bx  
x 2
2wb
 by  
y 2
2w b
 bxy  2
xy

(23)

Le risultanti Nxo, Nyo ed Nxyo dei carichi in-plane nella fase di pre-buckling sono invece:

N o
x  N x , pre  N x ,e


N
o
y  N y , pre  N y ,e

N

o
xy  N xy , pre  N xy ,e

(24)

ove il pedice “pre” si riferisce a quei carichi che non producono instabilità elastica ma
rappresentano un fissato stato di pre-stress. Ad esempio, in un pannello cilindrico di raggio R e
sottoposto ad pressione interna p vi saranno due risultanti Nx,pre ed Ny,pre rispettivamente pari a pR/2
e pR.
Il pedice “e” è invece relativo ai carichi che danno luogo ad instabilità (p.e. la spinta idrostatica
agente sull’involucro di un sommergibile o la flessione prodotta sui tanks dei propellenti liquidi dai
boosters e dall’orbiter). È quindi utile determinare il parametro  che rappresenta la frazione di
carico esterno a cui interviene l’instabilità. Al fine di evitare inconvenienti numerici, è conveniente
talvolta introdurre un carico unitario di tipo “e” anche se i carichi esterni sono solo di tipo “pre”.
Ciò serve ad evitare problemi di overflow o di divisione per zero.
Si comprende che determinare il parametro  equivale a risolvere un problema agli autovalori.
Infatti, sostituendo le Eqq. (15-16, 23-24) nelle espressioni (17-18), si ricava la seguente
espressione del potenziale totale U-W:

 a 11 a 12 a 13  A 
 
U  W  A B C a 21 a 23 a 23  B   val. staz
a 31 a 32 a 33  C 
 

(25)
ove A, B e C sono le ampiezze delle componenti di spostamento da determinare. Gli elementi a ij
sono funzione dell’autovalore , dei parametri geometrici della struttura, dei coefficienti della
matrice costitutiva C, delle condizioni di carico e dei numeri m ed n di half-waves. L’espressione
dei coefficienti aij cambia a seconda del tipo teoria dei gusci laminati applicata. Poiché il potenziale
totale deve assumere un valore stazionario, gli autovalori sono determinati uguagliando a zero il
determinante della matrice [aij] nel RHS dell’espressione (25). Poiché vi possono essere più
autovalori, il carico critico viene scelto come quello corrispondente all’autovalore di modulo
minimo. In pratica, si calcola il valore di  per ogni coppia di valori di (m,n) e se ne sceglie infine
il valore minimo.
In funzione dei valori di xmax ed ymax si possono calcolare i differenti tipi di buckling che interessano
i diversi segmenti della struttura. Ad esempio, se x max ed ymax sono rispettivamente uguali alle
dimensioni a e b del pannello (vedi Figura 1), il carico critico calcolato sarà quello di instabilità
totale (global buckling). Se, invece, xmax ed ymax coincidono rispettivamente con il passo dei rings e
degli stringers, il carico critico sarà quello di instabilità locale (local buckling). Infine, il buckling
tra due rings o tra due stringers (semi-general instability) può essere analizzato imponendo
rispettivamente ymax=b o xmax=a. La Figura 6 riassume i tipi di instabilità che si manifestano più
frequentemente. Si osserva che il numero di onde è maggiore nel caso dell’instabilità locale che in
quella globale.

Global buckling

Local skin buckling

Stiffener buckling

Stiffener rolling

Figura 6 – Buckling patterns per i differenti tipi di instabilità

Una formulazione più generale della (25) è rappresentata dal metodo di Ritz. In tale metodo, si
impone che il potenziale totale =U-W abbia un punto stazionario. Il potenziale  viene espresso
come funzione dei campi di spostamento uo(x,y) e vo(x,y) della superficie medio del guscio e dello
spostamento fuori dal piano w(x,y). La condizione di stazionarietà viene espressa come:

( uo(x,y), vo(x,y), w(x,y) ) = 0


(26)

Il campo di spostamento soluzione del sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali (26)
viene cercato nella seguente forma:

 N1 M1
u o ( x , y )

   A nm U nm (x, y)
n 1 m  1
 N 2 M 2

v
o
( x , y)    B nm Vn m ( x , y)
 n 1 m  1
 N3 M3
 w ( x , y)
    C nm Wnm ( x, y)
 n  1 m 1

(27)

dove Anm, Bnm, Cnm sono dei coefficienti incogniti. Le funzioni Unm(x,y), Vnm(x,y) e Wnm(x,y) sono
funzioni note e sono di solito scelte nella forma a variabili separate Xn(x).Ym(Y). Le funzioni
Unm(x,y), Vnm(x,y) e Wnm(x,y) sono tali da soddisfare le condizioni al contorno e devono essere
continue almeno fino all’ordine delle derivate delle corrispondenti equazioni differenziali.
Sostituendo le relazioni (27) nelle espressioni dell’energia di deformazione U e del lavoro W
compiuto delle forze in-plane sotto la deflessione w si riconduce la condizione di stazionarietà (26)
alla formulazione di un problema di minimizzazione che ha come variabili i coefficienti incogniti
Anm, Bnm, Cnm. In particolare, il potenziale totale  diviene una funzione soltanto dei coefficienti
incogniti Anm, Bnm, Cnm e la condizione di stazionarietà si riduce a:


0 n  1, 2,..., N 1

A nm m  1, 2,..., M 1


0 n  1, 2,..., N 2
 (28)
B nm m  1, 2,..., M 2


0 n  1, 2,..., N 3

C nm m  1, 2,..., M 3

Le relazioni (28) si riducono ad un sistema lineare omogeneo nei coefficienti incogniti Anm, Bnm,
Cnm. Al fine di trovare una soluzione non banale, si impone uguale a zero il determinante della
matrice dei coefficienti Anm, Bnm, Cnm. Poiché il determinante dei coefficienti del sistema (28)
dipende del carico critico  (introdotto dalle risultanti Nxo, Nyo ed Nxyo) e dei numeri di half-waves n
ed m, si ritorna alla formulazione (25).
Un’interessante applicazione di quanto esposto sin qui è l’Ottimizzazione Strutturale. In tale sede si
cerca di dimensionare i componente aerospaziali in modo da minimizzarne il peso una volta scelto
il tipo di materiale. Si considerano come variabili di ottimizzazione una serie di grandezze
geometriche come il passo degli stiffeners (stringers e rings), le dimensioni delle sezioni trasversali
degli stiffeners stessi, nonché lo spessore e l’orientazione dei plies che costituiscono il lay-up della
struttura. Poiché lo spessore dei plies deve essere un multiplo intero di un certo valore (p.e. 0.005 in
per applicazioni di tipo Space Shuttle) l’ottimizzazione strutturale di una struttura in composito è un
complesso problema a variabili miste intere-reali. Si impongono poi vincoli sui valori di tensione e
di spostamento ammissibili e sui carichi critici di instabilità. Gli autovalori vengono ricalcolati
ogni volta che il vettore delle variabili di ottimizzazione viene perturbato e confrontati con dei
coefficienti di sicurezza amm scelti dal progettista in base al tipo di struttura da dimensionare. Ad
esempio, se l’analisi di instabilità rivela che amm, il vincolo sul carico critico viene considerato
violato ed il vettore delle variabili deve essere modificato.
Infine, si noti che un codice agli elementi finiti non è in grado di distinguere i vari tipi di instabilità
e fornisce un carico critico che riassume ciò che avviene nei diversi segmenti della struttura anche a
causa delle possibili interazioni tra i vari modi. Programmi ad hoc come PANDA2 (sviluppato alla
Lockheed & Martin Missiles and Space Corporation) e VICONOPT (sviluppato alla NASA)
includono una varietà di modelli che consentono al progettista di capire quali segmenti della
struttura sono realmente critici e quindi di rinforzarli sottraendo materiale ad altri segmenti non
critici. PANDA2, VICONOPT e altri codici simili si basano su modelli semplificati ma al tempo
stesso sufficientemente rigorosi e sono particolarmente vantaggiosi nel caso dell’ottimizzazione
strutturale poiché consentono di effettuare le migliaia di analisi strutturali necessarie ad esplorare lo
spazio di design ad un costo computazionale diversi ordini di grandezza inferiore ad una singola
analisi FEM. Tuttavia, bisogna limitare l’uso di codici tipo PANDA2 o VICONOPT alla fase di
design preliminare. Infatti, i modelli approssimati usati da programmi ad hoc costringono a
considerare dei vincoli aggiuntivi che garantiscano che il design ottenuto sia sufficientemente
conservativo. Ciò va bene se i vincoli aggiuntivi non diventano poi quelli che governano il processo
di ottimizzazione.

Fattori di correzione dei carichi critici ed analisi non lineare


I carichi critici calcolati mediante le formulazioni esposte nella precedente sezione devono essere
ridotti per tenere conto di una serie di fenomeni che possono significativamente influenzare il
comportamento meccanico di una struttura sottile e quindi la sua sensibilità al buckling. In sostanza,
gli autovalori critici  vengono ridotti per mezzo di fattori di knockdown K al fine di garantire che il
design ottenuto sia sufficientemente conservativo. Tra i principali fenomeni che rendono necessario
introdurre tali fattori di riduzione si ricordano:
1. Valore dei coefficienti di rigidezza utilizzati nella matrice costitutiva [C];
2. Effetto delle deformazioni dovute a sforzi di taglio out-of-plane;
3. Effetto delle imperfezioni di forma.

Effetto del valore dei coefficienti di rigidezza


Al fine di semplificare la soluzione numerica del problema agli autovalori si utilizza la tecnica dello
smearing (“spalmata”) che consiste nel considerare una rigidezza mediata tra le rigidezze dei vari
segmenti del pannello rinforzato che si vuole analizzare. In sostanza, è come se si sostituissero gli
stiffeners incorporandoli nello skin del quale viene calcolata una rigidezza equivalente. Un tale
approccio è sufficientemente conservativo quando il buckling pattern è caratterizzato da onde in
direzione circonferenziale che sono sufficientemente lunghe rispetto al passo degli stringers. In
sostanza, ogni half-wave del buckling pattern deve contenere almeno 2.5 stiffeners. Nel caso questa
condizione non sia verificata, il carico critico viene ridotto mediante un fattore che dipende
linearmente dal rapporto C44/CS44 tra le rigidezze flessionali in direzione assiale calcolate
considerando prima il mantello senza stringers e poi introducendo lo smearing.

Effetto del taglio


Lo sforzo di taglio out-of-plane agisce perpendicolarmente al piano X-Y. Per determinare un fattore
di knockdown che tenga nel debito conto la diminuzione di rigidezza dovuta alle deformazioni
prodotte da questo tipo di sforzo, si deve ricorrere ad un coefficiente di rigidezza opportunamente
integrato. A tal fine, si ipotizza che il pannello si comporti nella stessa maniera della trave di
Timoshenko (che differisce dal classico modello di Bernoulli poiché include anche l’effetto delle
deformazioni tangenziali di scorrimento dovute al taglio oltre che alla deformazione assiale dovuta
allo sforzo normale e al cambio di curvatura indotto dal momento flettente). In questa ipotesi,
l’espressione che fornisce il valore del fattore di riduzione è:

1
K
n  N Euler (29)
1
t eff G eff
ove K è il fattore di riduzione calcolato per una colonna, n è un fattore di forma che dipende dalla
forma della sezione trasversale della trave, N Euler è lo stress critico determinato mediante la teoria di
Kirchhoff, teff è l’effettivo spessore del pannello e G eff è la rigidezza al taglio out-of-plane. Nel caso
di un laminato composito formato da N layers, la rigidezza equivalente Geff è calcolata come:

t eff
G eff  Nlayers
ti (30)

i 1 G xz ,i

dove ti e Gxz,i sono rispettivamente lo spessore ed la rigidezza a taglio out-of-plane dell’i mo layer
misurata nel sistema di coordinate locale.
Per un regime di sollecitazione biassiale con o senza taglio out-of-plane, le tre componenti di carico
in-plane interagiscono nel seguente modo:

2 2 2
 Nx   Ny   N xy 
      1 (31)
N   N y,cr   N xy,cr 
 x ,cr     

ove i termini Nx,cr, Ny,cr ed Nxy,cr sono i carichi critici per ciascuna delle tre componenti.
Il valore del fattore di riduzione Kshear che tiene conto dell’azione del taglio out-of-plane può quindi
essere espresso come:

1  K x  2  1  K y  2  1  K xy  2  1  K shear  2 (32)

ove i termini Kx e Ky sono rispettivamente i fattori di knockdown in presenza di soli sforzi di


compressione lungo l’asse x o l’asse y mentre il termine K xy è il fattore di knockdown in presenza
del solo taglio in-plane Nxy. I tre fattori vengono calcolati mediante l’espressione (29) ponendo N Euler
rispettivamente uguale allo sforzo assiale per Kx, allo sforzo agente in direzione y per Ky e allo
sforzo di taglio per Kxy.

Effetto delle imperfezioni


Le imperfezioni di forma (shape imperfections) influenzano significativamente il comportamento
meccanico di una struttura sottile. In generale, le imperfezioni riducono il raggio di curvatura e
fanno quindi diminuire i carichi critici d’instabilità. Inoltre, poiché i carichi applicati alla struttura
diventano eccentrici, insorgono campi di tensione che si sommano a quelli di progetto con
conseguente ridistribuzione degli stress agenti nella fase di pre-buckling. Infine, l’ampiezza delle
imperfezioni inizialmente presenti nella struttura cresce durante la fase di carico a causa dell’azione
delle risultanti applicate.
In fase di design, il progettista deve introdurre nell’analisi di instabilità dei valori delle imperfezioni
che siano consistenti con i processi di fabbricazione di cui si dispone. Di solito l’ampiezza delle
imperfezioni viene fissata in base all’esperienza o attingendo da database tecnologici. Ad esempio,
le strutture dei razzi vengono progettate ipotizzando che le imperfezioni abbiano delle dimensioni
pari a circa lo 0.5% del raggio di curvatura e/o a circa il 10% dello spessore del mantello. In realtà è
praticamente impossibile “indovinare” a priori la forma, dimensione e distribuzione delle
imperfezioni. Perciò si ricorre sempre più frequentemente a modelli stocastici che però introducono
ulteriori complicazioni nel già difficile processo del dimensionamento di una struttura sottile.
Per un pannello curvo esistono quattro tipi diversi di imperfezioni: globale, locale, inter-ring e di
ovalizzazione. L’imperfezione locale è caratterizzata da un pattern la cui lunghezza d’onda è molto
minore che nel caso di imperfezioni globali. Di solito, l’imperfezione locale interessa il mantello
della struttura. Ad esempio, nel caso del sandwich l’imperfezione locale coincide con l’ondulazione
(waviness) delle facesheets. L’imperfezione inter-ring è localizzata nella porzione di struttura
limitata da due rings adiacenti. Infine, l’imperfezione di ovalizzazione caratterizza lo scostamento
dalla forma circolare di una data sezione una volta che questa sia divenuta ellittica sotto l’azione dei
carichi applicati. Per un pannello piano l’imperfezione globale viene intesa come un inarcamento
della superficie del pannello stesso (si veda la Figura 7).

Figura 7 – Imperfezione globale per un pannello piano

L’effetto delle imperfezioni è tenuto in conto mediante dei fattori di riduzione ki definiti come:

 imp,i
Ki  (i=1,2,3) (33)
 perf ,i

ove i parametri imp,i e perf,i sono gli autovalori critici determinati rispettivamente per il pannello
imperfetto e per il pannello senza imperfezioni. Il pedice i si riferisce ai tre tipi di imperfezioni che
si possono considerare: globale, locale ed inter-ring.
Poiché una distribuzione di imperfezioni corrisponde di fatto ad una funzione di spostamento out-
of-plane, si è soliti modellare le imperfezioni mediante una funzione wimp(x,y). Questa funzione può
essere assunta come il pattern del modo di buckling calcolato per il pannello perfetto. Se tale
modello è caratterizzato da un numero di half-waves N ed M rispettivamente in direzione assiale e
circonferenziale, il campo di spostamenti wimp(x,y) assume le seguenti forme analitiche:

w imp ( x , y)  w o  sin (ny)  sin m( x  cy) (34 a)

per pannelli sviluppati maggiormente in direzione assiale, oppure:

w imp ( x, y)  w o  sin  n ( y  dx )  sin ( mx ) (34 b)

per pannelli sviluppati maggiormente in direzione circonferenziale.


I termini indicati con n ed m sono rispettivamente dati da N / dimy ed N / dimx ove N ed M
sono i numeri di buckling half-waves in direzione assiale e circonferenziale sulle lunghezze dim y e
dimx relative a qualsiasi porzione considerata del pannello. Infine, c, d sono le inclinazioni delle
linee che costituiscono il pattern di buckling.
Le espressioni (34 a-b) sono delle funzioni armoniche dipendenti da (x,y) e dal numero di half-
waves che si devono determinare mentre l’ampiezza wo è quella ipotizzata in sede di progetto e
cambia a seconda del tipo di imperfezione considerata. Tali funzioni armoniche vengono sommate
alla funzione di spostamento wb(x,y) (vedi Eqq. (15-16)) che viene quindi riscritta sotto la nuova
forma di wbimp (x,y) = wb (x,y) + wimp (x,y). Le derivate prime rispetto ad x ed y della nuova funzione
di spostamento wbimp vengono quindi inserite nella espressione (18) che fornisce il lavoro W dei
carichi in-plane durante la fase di pre-buckling. Le derivate seconde delle espressioni (34 a-b)
permettono di calcolare i cambi di curvature x, y e xy e quindi gli stress addizionali. Per mezzo
delle equazioni costitutive si determina poi come si ridistribuiscono le tensioni nei vari segmenti
della struttura. L’integrazione delle tensioni fornisce i valori delle risultanti N x, Ny,Nxy, Mx, My ed
Mxy agenti sul pannello imperfetto.
Si noti che utilizzare delle imperfezioni di ampiezza costante può produrre dei designs troppo
conservativi. Per questo motivo, l’ampiezza wo deve essere ridotta se risulta maggiore del valore
che si stima possa essere rilevato mediante un’ispezione della struttura una volta in opera. Infatti, a
parità di ampiezza wo, un’imperfezione avente un pattern con bassa lunghezza d’onda potrà essere
rilevata più facilmente che un’imperfezione caratterizzata da un’elevata lunghezza d’onda perché la
zona interessata dall’imperfezione sarà caratterizzata dall’avere una maggiore curvatura.
Infine, la sensibilità alle imperfezioni di una struttura in materiale composito dipende in larga
misura dal tipo di lay-up utilizzato.

Analisi non lineare


Nell’analisi ad elementi finiti, l’effetto che le imperfezioni hanno sul carico critico viene catturato
per mezzo di un’analisi non lineare in cui alla struttura viene fornita una configurazione pre-
deformata corrispondente ad una combinazione dei modi di buckling della struttura perfetta. In
sostanza, si conduce dapprima un’analisi lineare della struttura perfetta e si determinano quindi i
primi h fattori di carico critico. Per ciascun autovalore p (p=1,…,h) si determina il corrispondente
autovettore che rappresenta il campo di spostamento in corrispondenza della pma configurazione
instabile. Una combinazione lineare dei campi di spostamento relativi ai primi h modi viene
imposta come pre-deformazione al modello per l’analisi non lineare da compiersi successivamente.
Poiché ogni autovettore è definito in forma ma non in ampiezza, si sceglie un valore w o di ampiezza
che è di solito una frazione dello spessore s dello skin della struttura da analizzare. Ad esempio,
NASTRAN consente di condurre una analisi non lineare dove la configurazione iniziale del
generico punto P è data dalla terna di coordinate x’,y’,z’ espresse come:
 h
x k ' 

x k  c  s   u k ,p

 p  1

 h

y k '  y k  c  s   v k ,p
 p  1
 h
z
 k '  z k  c  s   w k ,p

 p  1

(35)

Nelle espressioni (35), il valore del coefficiente c viene definito dall’utente. Le terne u k,p, vk,p e wk,p
sono gli spostamenti del nodo kmo in corrispondenza del pmo autovettore.
In generale, l’analisi non lineare deve essere condotta ogni volta che si vuole catturare il
comportamento della struttura in regime di post-buckling, cioè quando è stato sorpassato il limite di
biforcazione. In tale caso, il comportamento della struttura è altamente non lineare poiché la sua
rigidezza varia con l’ampiezza dello spostamento modale. Una volta che insorge il local buckling,
con deformazione locale dello skin, si ha una ridistribuzione delle tensioni sugli stiffeners (in
particolare sugli stringers se il carico è assiale) con il risultato che possono insorgere meccanismi di
instabilità globale e instabilità dei vari segmenti degli stiffeners con conseguente collasso della
struttura molto prima del carico ultimo (per carico ultimo si intende il carico massimo, di solito
pari a G volte il carico nominale No, dove G è tipicamente intorno ad 1.4) per cui viene progettata
la struttura. Inoltre i vari modi di instabilità possono interagire tra loro. Per questo motivo, imporre
come pre-deformazione la buckled shape corrispondente al punto di biforcazione permette di tenere
conto della redistribuzione delle tensioni che si verifica durante la fase di pre-buckling (in senso
lato, un attimo prima che la struttura oltrepassi il carico limite di biforcazione). Si noti, infine, che il
carico limite di biforcazione di una struttura può essere ottenuto anche con un’analisi non lineare se
la variazione di rigidezza viene espressa in funzione dell’ampiezza della deformazione di pre-
buckling.

Potrebbero piacerti anche