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Relazione finale di tirocinio

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO

SECONDARIO DELLA TOSCANA – SEDE DI PISA

IV CICLO – II ANNO

AREA 4

RELAZIONE FINALE DI TIROCINIO

Supervisore: prof.ssa Patrizia Fornaciari

Specializzando: Barbara Teodori

ANNO ACCADEMICO 2003 – 2004

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Relazione finale di tirocinio

INDICE

Parte I – Classe di concorso 043/A . . . . . p. 3


 1. La scuola media statale “Poggi-Carducci” di Sarzana (SP) . p. 3
- 1. 1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica. . . p. 3
 2. Il tirocinio attivo . . . . . . p. 5
- 2. 1 L’unità didattica di italiano . . . . p. 5
- 2. 2 L’unità didattica di storia. . . . . p. 7
- 2. 3 L’unità didattica di geografia . . . . p. 8

Parte II – Classe di concorso 050/A. . . . . p. 10


 1. L’I. I. S. “Belmesseri” di Pontremoli (MS) e la sezione
associata dell’I. T. C. “Sambuchi” di Fivizzano (MS) . . p. 10
- 1. 1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica. . . p. 10
 2. Il tirocinio attivo . . . . . . p. 12
- 2. 1 L’unità didattica di italiano . . . . p. 12

Parte III – Classe di concorso 051/A . . . . p. 14


 1. L’I. I. S. “L. da Vinci” di Villafranca Lunigiana (MS)
e la sezione di Liceo Scientifico . . . . . p. 14
- 1. 1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica. . . p. 14
 2. Il tirocinio attivo . . . . . . p. 16
- 2. 1 L’unità didattica di latino . . . . p. 16
- 2.2 L’unità didattica di storia . . . . p. 17

Parte IV – Classe di concorso 051/A . . . . p. 19


 1. L’I. I. S. “Montessori” di Carrara (MS) e la sezione
di liceo linguistico . . . . . . p. 19
- 1. 1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica. . . p. 19
 2. Il tirocinio attivo . . . . . . p. 20
- 2. 1 L’unità didattica di storia . . . . p. 20

Parte V – Le supplenze precedenti . . . . . p. 23


 1. L’esperienza di supplenza presso l’I. C. “Fivizzano Primo”
di Fivizzano (MS) . . . . . . p. 23
 2. L’esperienza di supplenza presso l’I. I. S. “L. da Vinci” di
Villafranca Lunigiana (MS) e la sezione di Liceo Scientifico . p. 25

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Avendo svolto attività di supplenza negli anni scolastici precedenti il mio ingresso nella
SSIS (A. A. 2002/2003), in base alla tabella in vigore presso la SSIS Toscana (Criteri e norme per
la valutazione dei crediti per il tirocinio) mi sono stati riconosciuti per il secondo anno di tirocinio
crediti pari a 80 ore su un totale di 160 istituzionali; pertanto ho svolto la differenza tra le seconde e
le prime, cioè 80 ore. Inizialmente la mia supervisore, prof.ssa Patrizia Fornaciari, aveva stabilito
che fossero così suddivise: 5 ore per i necessari incontri, 25 nella 043/A, 30 nella 050/A e, infine, 20
nella 051/A. Il 25 novembre 2003 ho ricevuto, però, un incarico di supplenza per la classe 051/A
che ha reso impossibile il completamento del tirocinio nella classe 050/A (dove ho svolto 13 ore su
30) e nella 051/A (dove ho svolto 16 ore su 20). Considerato che la supplenza sarebbe stata lunga e
che non avrei ottenuto nessun credito per questo periodo di lavoro, la prof.ssa Fornaciari ha
disposto che le 21 ore rimanenti fossero svolte sulle classi in cui sto ancora prestando servizio.

PARTE I – CLASSE DI CONCORSO 043/A

1. LA SCUOLA MEDIA STATALE “POGGI-CARDUCCI” DI SARZANA (SP)

1.1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica


Nata dalla fusione (1997) delle due istituzioni scolastiche “Poggi” e “Carducci”, ha una
sezione staccata a Marinella (SP) ed è costituita da due plessi scolastici attigui siti in centro
Sarzana. Gli alunni iscritti variano annualmente tra le 550 e le 600 unità, per un totale di sei corsi
interi e due parziali (nell’A. S. 2003/2004 le classi I e III G e H). La pianificazione del tempo scuola
prevede corsi a tempo normale, a tempo prolungato, sperimentali (insegnamento di due lingue) e di
lingua francese con inglese opzionale. Gli organi collegiali presenti nella scuola sono: il Consiglio
di classe, il Collegio dei docenti (a cui è demandata l’intera funzione di programmazione e verifica
dell’attività didattica, dal momento che non sono state attivate altre forme di collaborazione e
raccordo fra gli insegnanti), il Consiglio d’Istituto. Esistono due collaboratori del Dirigente e
quattro funzioni-obiettivo.
L’offerta formativa si può così sintetizzare:

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 Finalità generali. La scuola si propone di «promuovere la formazione del preadolescente,


potenziandone le attitudini individuali e valorizzando le diversità»1; in conformità a tale assunto
persegue finalità generali di orientamento, di formazione della persona (come individuo e come
cittadino), di prevenzione di fenomeni di dispersione e di disagio sociale.
 Obiettivi didattici generali. Si dividono in:
 Area affettiva e relazionale. Gli obiettivi sono tre: impegno/interesse,
attenzione/partecipazione, socializzazione
 Area cognitiva. Gli obiettivi sono cinque: acquisizione del metodo di lavoro, sviluppo delle
capacità di comunicazione, logiche, operative, motorie.
 Azione didattica. Si forniscono alcune indicazioni generiche sui criteri dell’azione didattica, sui
metodi, su mezzi e strumenti. Per quanto riguarda la valutazione si insiste sulla necessità di
analizzare attentamente la situazione di partenza e di evidenziare il progressivo avvicinamento
agli obiettivi programmati, tenendo conto degli interessi e delle predisposizioni degli alunni.

La gestione del P.O.F., per quanto riguarda iniziative specifiche, viene ricondotta a diversi
progetti, alcuni in collaborazione con soggetti esterni, altri gestiti dagli insegnanti. I rapporti tra
l’istituto e le famiglie avvengono secondo modalità classiche: un’ora di ricevimento settimanale per
insegnante, un incontro pomeridiano generale per quadrimestre, due col coordinatore in occasione
della consegna della scheda personale dell’alunno. La valutazione del servizio scolastico viene
assolta dagli organi collegiali; studenti, genitori e personale ATA possono apportare indicazioni e
suggerimenti attraverso la compilazione di questionari che prevedono sia una graduazione delle
valutazioni che la possibilità di formulare proposte.

Il tutor
Il professor Paolo Patriarca, con il quale ho svolto il tirocinio biennale, insegna presso la
scuola media “Poggi-Carducci” da otto anni; nell’A. S. in corso ha una cattedra composta da dodici
(12) ore settimanali (italiano, storia, ed. civica, geografia) nella I G, quattro (4) ore (storia e
geografia) nella I H e nelle restanti due (2) ore svolge il servizio di vigilanza a mensa. Alcune delle
sue caratteristiche didattiche e relazionali si trovano nei resoconti delle unità didattiche da me
presentate; altre troveranno spazio all’interno della discussione delle stesse nel presente lavoro.

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P.O.F. dell’A. S. 2003/2004.

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La classe I G
È costituita da 21 alunni (11 maschi e 10 femmine), di cui uno portatore di handicap,
seguito, per 30 su 36 ore settimanali, da un’insegnante di sostegno (18 ore) e da educatrici comunali
(12 ore). La classe è nella sezione che effettua il tempo prolungato di 3 ore il martedì pomeriggio e
altre 3 il giovedì pomeriggio. Nella Programmazione annuale di classe si descrive una buona
situazione di partenza, sia a livello di attenzione, impegno, partecipazione che di abilità di base;
solo tre alunni evidenziano carenze di diverso tipo; poche e generiche sono le informazioni su
finalità, obiettivi, contenuti, strumenti e metodologie, verifica e valutazione. Le programmazioni
disciplinari sono, anch’esse, piuttosto vaghe; gli obiettivi, di tipo strettamente disciplinare, risultano
declinazioni del tutto formali dei Criteri specifici della disciplina previsti dal Documento di
valutazione, cioè si attengono del tutto alla suddivisione e alle diciture che sono presenti nei Diari
personali dei docenti (ad es. per italiano: 1. comprensione della lingua orale; 2. comprensione della
lingua scritta; 3. conoscenza delle funzioni e della struttura della lingua; 4. produzione della lingua
orale; 5. produzione della lingua scritta); i contenuti riportano le principali sezioni dell’indice dei
libri di testo; le metodologie e gli strumenti sono indicati approssimativamente ed elencati senza
alcuna organizzazione interna; manca ogni tipo di riferimento alla scansione temporale dell’attività
didattica. Per quanto concerne poi le metodologie di verifica e valutazione, si ribadisce come
centrale la rilevazione di miglioramenti, anche se minimi, rispetto alla situazione di partenza. Non è
certo una classe con problemi disciplinari, anche se mio marito ha notato che la propensione
“naturale” ad intervenire tutti insieme non era affatto diminuita a marzo rispetto a novembre; anzi,
gli era sembrata aumentata, così come gli sono parse leggermente peggiorata la condotta in classe e
un tantino calato l’interesse, insieme con l’attenzione. Con questi ragazzi ho svolto le unità
didattiche.

2. IL TIROCINIO ATTIVO

2.1 L’unità didattica di italiano


L’esperienza d’applicazione delle 5-VM è stata oltremodo interessante e mi ha spinto a
riflettere sull’importanza di utilizzare strumenti con solide basi scientifiche che siano in grado di
misurare le prestazioni del singolo alunno e della classe e consentano di monitorarne l’evoluzione
nel corso del tempo. Inoltre, trattandosi di abilità di comprensione dei linguaggi nella lettura, la
prova ha per oggetto un sapere che può essere considerato di base e, quindi, interdisciplinare; infatti
è possibile fruire delle 5-VM in tutte le discipline, perfino, come è stato fatto in alcune delle

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applicazioni nella SSIS, in matematica. L’uso di uno strumento di questo tipo rende sì possibile una
progettazione flessibile e facilmente “ri-calibrabile”, ma, per fare in modo che esso possa dispiegare
in tutte le direzioni la sua efficacia, va inserito in un sistema scolastico, o almeno in un sistema-
classe, in cui tutti i docenti condividano le stesse finalità e gli stessi obiettivi; solo così le azioni
didattiche possono diventare specifiche e mirate e si riesce a valutare l’effettiva validità ed efficacia
del proprio operato, inteso come azione del singolo docente e di tutti i gli insegnanti insieme. La
caratteristica della “formatività” di una prova 5-VM va valorizzata al massimo grado, intendendo
per “formatività” non solo il controllo degli apprendimenti, ma anche, e torno a ripeterlo,
soprattutto il controllo dell’operato di chi insegna, una importante forma di autovalutazione della
didattica messa in atto. Per questa ragione il ricorso alle 5-VM ha una senso oltremodo riduttivo se
limitato alla verifica degli obiettivi; tuttavia non mi pare che il modello collaborativo, che un
Consiglio di classe, in special modo nella scuola dell’autonomia, dovrebbe perseguire e ricercare,
sia, nell’attuale situazione, sufficientemente diffuso e condiviso.
Un altro aspetto da valorizzare consiste nel fatto che lo strumento permette di tentare nuovi
approcci didattici, ad esempio di tipo collaborativo, mettendo in gioco il fatto che, all’interno del
gruppo-classe, gli alunni con migliori prestazioni in una delle cinque abilità possono fornire il
proprio contributo al miglioramento degli altri, favorendo in tal modo lo sviluppo di una peer
education.
Sono convinta che le 5-VM possano essere utilizzate con efficacia a livello tanto di scuole
medie inferiori, quanto di scuole medie superiori (in particolar modo nel biennio), avendo cura,
però, di costruire prove di tipo diverso, tendenzialmente separando i singoli linguaggi e
verificandoli su frasi costruite ad hoc nel primo caso (vedi prove allegate alle unità didattiche) e
riferendo, invece, le domande tutte ad un unico testo, non troppo lungo, nel secondo (bastano una
ventina di righe). Una questione sulla quale è necessario riflettere è sicuramente l’elaborazione delle
prove. Nel corso della formulazione della verifica effettuata durante il tirocinio di mio marito, lui ed
io abbiamo proceduto a fatica, imbattendoci in difficoltà piuttosto serie. La prima, più ovvia, stava
(e sta) nella mancanza di dimestichezza con i meccanismi compositivi delle 5-VM, che
presuppongono un’attenzione notevole alle più piccole sfumature dei ogni singola frase che si va a
creare. Da questo punto di vista torna di certo più facile ed economico poter progettare le domande
sulla base di un testo – come ho fatto durante il tirocinio dell’anno scorso, presentando una breve
favola di Leonardo da Vinci e costruendo le varie parti del questionario riferendomi costantemente a
quel testo –. Tuttavia un procedimento del genere, come scritto sopra, è poco raccomandabile per
studenti medi inferiori, soprattutto per le prime due classi, in quanto il grado di difficoltà potrebbe
risultare troppo elevato e la prova perderebbe così qualunque validità.

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Un altro problema è consistito nel formulare una seconda verifica che possedesse un grado
di difficoltà identico alla prima: sapevamo già per esperienza che ciò non è possibile, ma ci siamo
sforzati di ridurre lo scarto al minino. A posteriori, confrontando i risultati con le nostre idee e
aspettative, ci siamo resi conto che probabilmente la frase costruita per le domande della seconda
prova sul linguaggio inferenziale presupponeva qualcosa in più rispetto a quella progettata per la
prima; ma ci siamo anche resi conto che la serie di domande sul linguaggio critico-valutativo, che
pensavamo meno abbordabili nella seconda prova, sono riuscite, nei fatti, adeguate al livello della
classe e assai poco distanti dalla difficoltà della prima prova.
Non mi sono pentita della scelta fatta insieme con Fabrizio di mettere in pratica un
esperimento del genere; non tanto e non solo perché ci ha permesso di familiarizzare con le 5-VM,
strumento assai utile per effettuare verifiche circa le cinque abilità di base nella lettura, quanto
soprattutto perché ci ha fatto entrare in una dimensione diversa nel pensare all’azione di un docente.
Mi spiego meglio. Abbiamo eseguito un lavoro che potremmo definire “d’équipe” intorno
all’attività in classe di un insegnante, un lavoro che ci ha consentito di penetrare e studiare la
didattica, la relazione, la prossemica che il prof. Patriarca esplica in aula. Non so se un’occasione
del genere ci capiterà di nuovo nella nostra (se l’avremo) carriera di professori; comunque una cosa
è certa: la consapevolezza che ora pensiamo di aver raggiunto della funzione docente, delle
modalità di un certo tipo di azione didattica e, in generale, della complessità della trama di relazioni
di ogni genere che si intrecciano determinando situazioni e, talvolta, anche risultati, quella
consapevolezza, crediamo, la dobbiamo in parte a questo esperimento.

2.2 L’unità didattica di storia


Il prof. Patriarca ha un approccio molto tradizionale e “scolastico” e in genere procede con
lezioni di tipo frontale, seguendo passo passo il manuale e non attuando alcuna modifica alla
scansione presente nel libro di testo, neppure nel caso in cui emergano richieste o interessi specifici
degli alunni. Ho seguito, quindi, le sue indicazioni, cercando anche nella mia unità di non
allontanarmi troppo dal libro di testo; nello stesso tempo, però, anche grazie al fatto che
l’argomento si prestava ad essere ampliato, ho tentato di non proporre lezioni frontali vere o
mascherate, ma di dedicare una parte delle attività all’elaborazione di ipotesi e al lavoro di gruppo.
Entrambi gli esperimenti hanno creato un certo disordine, dato che i ragazzi non erano abituati a
rispettare il proprio turno nel prendere la parola, ad intervenire con domante pertinenti e a
collaborare; la confusione, inoltre, infastidiva l’alunno portatore di handicap. Anche la trascrizione
dei termini alla lavagna e la successiva discussione ha mostrato una forte tendenza alla
competizione più che alla collaborazione. Nella divisione in gruppi effettuata nell’ultima lezione,

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per cercare di evitare quanto successo la volta precedente, abbiamo fatto in modo che tre gruppi
venissero seguiti da un insegnante ciascuno (ho “sfruttato” la collaborazione del tutor e
dell’insegnante di sostegno) e l’unico “senza guida” fosse composto dagli alunni che avevano
mostrato maggiore responsabilità. In questo modo è stato possibile lavorare con più tranquillità e
favorire la partecipazione attiva anche degli elementi meno motivati. Riflettendo a posteriori su
quanto avvenuto, credo di poter trarre almeno due conclusioni: da una parte ho sicuramente
sopravvalutato le capacità relazionali di alunni di undici anni; dall’altra avrei dovuto adeguarmi
maggiormente allo stile didattico del tutor, soprattutto considerando la brevità della mia interazione
ed essendo consapevole che, per quanto il prof. Patriarca abbia apprezzato questo mio tentativo,
difficilmente avrà apportato modifiche alla propria metodologia.
Per quanto concerne la verifica finale, ritengo che l’idea di utilizzare un questionario lungo e
complesso nasconda in sé almeno una contraddizione stridente: da un lato l’insegnante vuole
sottoporre agli alunni domande difficili che non tengano conto delle loro effettive capacità;
dall’altro è cosciente del grado di elevata complessità di ciò che sta per presentare e cerca di
ammortizzarlo, fornendo il compito il giorno prima e invitando gli alunni a compiere uno studio
mirato. Operando in tal modo, a mio parere, si finisce per facilitare l’insorgere nello studente di
difficoltà di autovalutazione e auto-orientamento, in quanto non gli è data la chance di affrontare
una verifica adeguata alle sue capacità e nella quale possa mettersi alla prova; quindi l’alunno non
esperisce i propri limiti, le proprie caratteristiche e viene meno anche una parte della funzione
pedagogica e didattica dell’errore. Non penso, perciò, che, potendo scegliere, farei ricorso ad una
prova di verifica di questo tipo; ritengo più opportuno da un lato cercare di valutare i
comportamenti relazionali e le modalità di lavoro di gruppo e, dall’altro, predisporre verifiche
scritte o orali che permettano all’insegnante di valutare se e in che misura gli alunni abbiano
raggiunto gli obiettivi prefissati, la propria azione didattica e la necessità o meno di “ri-calibrarla”.

2.3 Unità didattica di geografia


Realizzata negli stessi giorni di quella di storia, partiva anch’essa dal concetto di migrazione
e avrebbe potuto essere pensata in più stretto collegamento con l’altra. Il desiderio del tutor, però,
era quello di mantenere separate le due discipline, in quanto è necessario, all’inizio della prima
media, dare agli alunni riferimenti precisi e abituarli alla struttura disciplinare della nuova scuola. In
questo caso l’unità ha seguito uno svolgimento più tradizionale; ho fatto prevalentemente ricorso a
lezioni di tipo frontale e l’interazione con gli studenti è stata minore; la discussione finale poteva
essere sfruttata, a mio avviso, come punto di partenza per lo sviluppo di un’altra unità didattica
dedicata soltanto ai problemi attuali dell’intercultura. Inoltre, per dare maggiore completezza e

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profondità all’argomento trattato, avevo previsto la visione del cortometraggio The immigrant
realizzato nel 1917 da Chaplin; il filmato, sia per la brevità che per la comprensibilità delle
immagini, si presta ad essere usato agevolmente anche in una prima media, in quanto mostra in
modo semplice e diretto il viaggio e l’arrivo negli U.S.A. di un immigrante. Ciò non è stato
possibile anche perché il tutor ha ritenuto opportuno dedicare la parte finale della seconda lezione
all’esecuzione da parte degli alunni degli esercizi posti, nel manuale, a fine capitolo; crede, infatti,
che sia molto utile, affinché gli alunni memorizzino quanto trattato, ricorrere a questo tipo di lavoro
al termine della spiegazione. I problemi maggiori incontrati durante lo svolgimento delle lezioni
sono emersi nel momento in cui ho cercato di far comprendere a ragazzi di undici anni il significato
di termini tecnici quali crescita demografica, vita media…; credo che alla fine si siano fatti un’idea
piuttosto vaga di tali indici e che nessuno di loro fosse realmente in grado di raggiungere
l’obiettivo: “Comprendere e sapere utilizzare i termini tecnici legati all’ambito demografico
adoperati e spiegati a lezione”. La cosa che più mi ha stupita è stata che il testo di geografia in
adozione riportava, ad esempio, grafici sul tasso di fecondità, senza fare neppure un accenno nel
testo alla spiegazione di tali termini.
Per quanto riguarda la verifica, ritengo che sia necessario, in particolare in una scuola media
inferiore, utilizzare vari strumenti di valutazione; oltre all’interrogazione orale, è possibile ricorrere
a prove scritte semistrutturate, utilizzando fotografie e cartine; è, inoltre, indispensabile far tesoro
delle informazioni provenienti dagli interventi spontanei e dalle discussioni avvenute in classe,
perché una valutazione deve valorizzare e promuovere la partecipazione, la curiosità, l’interesse, e
non solo lo studio di un pomeriggio o di un paio di giorni.

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PARTE II – CLASSE DI CONCORSO 050/A

1. L’ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE “BELMESSERI” DI PONTREMOLI (MS)


E LA SEZIONE ASSOCIATA I. T. C. “SAMBUCHI” DI FIVIZZANO (MS)

1.1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica


La scuola si distribuisce sul territorio dell’intera Lunigiana ed è la risultante di una
pluriennale politica di accorpamento terminata due anni fa. Le sedi sono poste in quattro comuni
diversi (Pontremoli, Fivizzano, Aulla e Villafranca L.), ciascuna con un istituto diverso
(rispettivamente I.T.C.G., I.T.C., I.T.I. e I.P.C.). Ho svolto il mio tirocinio del secondo anno presso
l’I.T.C. “Sambuchi” di Fivizzano. Sintetizzo il P.O.F. ponendo in evidenza i seguenti punti.
 Cinque i corsi curricolari attivati (per ragionieri, per geometri, per periti meccanici, per
operatore della gestione aziendale e per operatore dell’impresa turistica) e due i bienni post-
qualifica per i diplomati nel triennio dell’I.P.C. (tecnico della gestione aziendale e tecnico
dell’impresa turistica).
 La Programmazione educativa e didattica si articola in obiettivi per l’istruzione tecnica e per
l’istruzione professionale. Qui riassumo solo i primi, che sono suddivisi in educativi e didattici.
a) Per obiettivi educativi s’intendono le crescite personale, relazionale e sociale degli studenti.
L’istituzione scolastica si pone come finalità compiti di educazione dello studente in
rapporto a responsabilità (eseguire mansioni e doveri scolastici), autonomia (saper lavorare
in modo autonomo), autocontrollo (saper controllare le proprie reazioni e rapportarsi agli
altri con senso civico), socializzazione (rispettare le idee altrui ed essere disponibili alla
collaborazione) e, infine, conoscenza del territorio (nel senso ampio di conoscenza
geografica, culturale, ambientale…).
b) Per obiettivi didattici s’intendono l’acquisizione delle conoscenze, lo sviluppo delle
competenze e il potenziamento delle capacità individuali. Sono divise in pertinenti al
biennio (acquisire un corretto metodo di studio, saper comunicare in modo efficace e, infine,
sapere e sapere fare) e pertinenti al triennio (consolidare le abilità di studio, affinare le
capacità espressive, produrre documentazione, costruire modelli, valutare consapevolmente
e, infine, acquisire le competenze necessarie per l’avviamento alla professione).

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 Compito di ogni Consiglio di classe è calare tali obiettivi 2 nella realtà della classe. Durante i
Collegi dei docenti, ma nel P.O.F. ciò non viene detto, si fanno riunioni per aree disciplinari e si
individuano i “nuclei fondanti” delle discipline. Per la valutazione e le verifiche si fa
riferimento, sempre e comunque, ai criteri e alle modalità adottati nel P.O.F.
 Per quel che concerne le verifiche e le valutazioni, si insiste sulla chiarezza degli obiettivi da
riscontrare e dei percorsi posti in opera. Si chiede anche di esplicitare alla classe obiettivi,
tempi, modalità delle verifiche e criteri di attribuzione di punteggi. Le verifiche, formative o
sommative, possono avvalersi di una vasta gamma di tipologie, che vanno dal tema agli
esercizi, dalle interrogazioni “lunghe” alle prove strutturate. La valutazione, essendo
l’espressione di un giudizio che la scuola emette nei confronti del risultato della propria azione
educativa (sono parole del P.O.F.), si fonda sui risultati delle verifiche sommative e
sull’apprezzamento di indicatori significativi (partecipazione, impegno, metodo di studio,
assenze). Tutti questi input si traducono, quindi, insieme col profitto, nella valutazione globale.
Il profitto viene determinato in base ai seguenti indicatori (conoscenze specifiche, competenza
espositiva, competenza organizzativa, competenza applicativa, capacità logiche e di
collegamento e, infine, capacità di discussione e approfondimento), che vengono declinati in
una tabella (che occupa l’intera p. 29) con tanto di voti parziali e di spazio lasciato bianco per il
voto finale3.
 Sono previsti interventi di recupero, sostegno e approfondimento ricorrendo a corsi
pomeridiani, all’utilizzo della sesta ora, alle attività di tutoraggio e di sportello e, infine, al
progetto RASC (ampliamento della flessibilità relativa alle classi scomposte in gruppi).

La sede di Fivizzano consta di un unico corso completo di classi (la sezione A) e di un corso
parallelo (sezione B) che comprende classi formatesi in anni di iscrizioni “particolarmente
abbondanti”. È provvista di laboratorio linguistico, di informatica, di chimica e fisica, di una
palestra, di un’aula di scienze e di una biblioteca. L’edificio in cui si trova è nato come scuola e le
sue aule posseggono i requisiti per poter essere considerate vere e proprie aule scolastiche.

La tutor
La prof.ssa Goberti si trova nell’I.T.C. di Fivizzano da circa un venti anni ed ha lavorato
soprattutto nel triennio. Solo da tre anni, da quando cioè a livello di istituto è stato deciso di
privilegiare, nei limiti del possibile, il curricolo verticale, è anche nel biennio. Quest’anno insegna
2
La confusione che in questo P.O.F. si fa continuamente tra finalità ed obbiettivi è piuttosto imbarazzante!
3
Quasi inutile dire che qui si fa una confusione esiziale (per gli studenti e per qualunque processo educativo e
valutativo) tra punteggio, misura, voto e valutazione.

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italiano e storia nelle classi I e II A, solo italiano nella III A. La mia esperienza con lei è limitata a
13 ore di tirocinio, di cui 10 svolte presso la classe III A, e solo 3 presso la II A.

La classe III A
Composta da 17 studenti (10 femmine e 7 maschi), presenta continuità didattica per
l’italiano sin dal primo anno. La situazione di partenza non denota né casi di particolare gravità, ma
neanche di particolare rilievo positivo. L’esiguità del numero, come riconosce la stessa prof.ssa
Goberti, permette di lavorare in maniera abbastanza rilassata, senza dover continuamente fare i
conti con gli assilli del tempo. Sulle sue metodologie didattiche farò delle osservazioni durante la
relazione dell’unità didattica che ho svolto. Per quel che riguarda gli obiettivi, bisogna dire che la
tutor declina le finalità elaborate nel Percorso educativo e didattico redatto in occasione della prima
riunione (settembre) del Collegio dei docenti per aree disciplinari. Essi, organizzati in base ad una
programmazione disciplinare scandita a moduli bimestrali, concernono le conoscenze correlate agli
argomenti trattati e le capacità espositive, critiche, logiche, di studio e di approfondimento
autonomo graduate rispetto alle tappe del percorso annuale disciplinare. Per quel che concerne le
verifiche e le valutazioni si fa riferimento a quanto stabilito nel P.O.F. I contenuti, come ho già
accennato, sono organizzati secondo una scansione modulare bimestrale, che prevede più verifiche
formative e una sommativa. I moduli sono strutturati per grandi blocchi cronologici: il primo parte
dalle origine e termina con lo Stilnovo; il secondo comprende Dante; il terzo Petrarca e Boccaccio;
il quarto Machiavelli e Ariosto.

2. IL TIROCINIO ATTIVO

2.1 L’unità didattica di italiano


La tutor mi ha fornito precise indicazioni per lo svolgimento dell’unità didattica,
chiedendomi di privilegiare la comprensione e la parafrasi del testo e di limitare i richiami ed i
riferimenti esterni ai soli indispensabili, dal momento che ci troviamo un I.T.C. e gli alunni, ad
inizio triennio, hanno ancora difficoltà a muoversi autonomamente di fronte ad un testo letterario.
Per la realizzazione dell’unità didattica avevo inizialmente pensato di poter costruire un semplice
ipertesto, ma ho ben presto abbandonato l’idea, dato che la prof.ssa Goberti preferiva che la lezione
venisse condotta in classe con modalità tradizionali. Ho cercato di ridurre al minimo, inoltre,
l’analisi retorica e lessicale e di spiegare in modo accurato solo pochi termini scelti e che ritenevo
essenziali per la comprensione del testo. Nel corso della prima lezione ho avvertito delle difficoltà

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nel coinvolgere gli studenti, che stentavano a rispondere alle mie sollecitazioni, quasi fossero
intimoriti, anche se mostravano impegno nel seguire la spiegazione e prendere appunti. Al termine
ho fatto presente tutto ciò alla prof.ssa Goberti, la quale mi ha spiegato che le domande che rivolge
loro durante l’interrogazione orale sono sempre molto precise e tengono in gran considerazione
tutto ciò che è stato detto nel corso della lezione; quella classe, inoltre, si poteva considerare di
buon livello, rispetto alle altre dell’istituto, soprattutto dal punto di vista dell’impegno e
dell’attenzione.
Riflettendo a posteriori sull’azione didattica messa in atto nel corso di questa unità, ritengo
di non poterne dare un giudizio positivo; la Commedia è un testo difficile e complesso che in questo
modo viene svilito, appiattito e ridotto ad una sorta di “palestra” per l’esercizio linguistico. I ragazzi
sono talmente impegnati nel seguire la parafrasi che non riescono a capire ciò che succede; anche la
spiegazione del perché Dante compia tale viaggio rimane per loro astratta e priva di vero
significato; l’apparato di informazioni su figure e personaggi che compaiono nel canto finisce per
appesantire il testo, rendendolo una sorta di evocatore di immagini prive di qualsiasi consistenza
(Enea, figura fondamentale nel canto II, può essere per loro qualcosa di diverso da un puro e
semplice nome?). Non voglio giungere a dire che sia necessario eliminare completamente la lettura
della Commedia, ma certamente un’operazione di questo tipo non le rende un gran servizio! Credo
che l’unica soluzione sia quella di pensare alla progettazione di brevi percorsi tematici che
stimolino l’interesse degli studenti e all’uso di strumenti multimediali, che possano rendere più
facile ed immediata la comprensione e l’analisi del testo.
Non avendo assistito all’interrogazione finale, non sono in grado di poter fare nessuna
valutazione né sul modo in cui viene condotta, né su quali siano i parametri di cui tiene conto la
docente nel formulare la propria valutazione.

PARTE III – CLASSE DI CONCORSO 051/A

13
Relazione finale di tirocinio

1. L’ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE “LEONARDO DA VINCI” DI VILLAFRANCA


LUNIGIANA (MS) E LA SEZIONE DI LICEO SCIENTIFICO

1.1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica


L’Istituto di Istruzione Superiore “Leonardo da Vinci” di Villafranca in Lunigiana (MS) si
articola in quattro licei (scientifico, classico, psico-pedagogico e linguistico) distribuiti su tre
comuni (Villafranca L., Pontremoli e Aulla), con un totale di circa 500 iscritti all’anno, di cui la
metà nello Scientifico; su quest’ultimo concentro l’attenzione, in quanto sede del mio tirocinio
biennale. Iniziando ad illustrare succintamente il P.O.F., bisogna dire che:
 La Lunigiana è terra povera, specialmente se paragonata alle province limitrofe di La Spezia,
Parma, Reggio Emilia e alla Versilia; pesanti sono le carenze strutturali (scuole, ospedali,
strade…).
 I locali dello Scientifico sono ricavati in un antico monastero e risultano insufficienti come
numero e inadeguati come dimensioni; stessa cosa si può affermare per le strutture laboratoriali;
la biblioteca manca e i libri sono allogati in scaffali chiusi e disseminati qua e là.
 Gli organi collegiali sono quelli previsti dalla vigente normativa.
 Esistono cinque funzioni-obiettivo.
 Consta regolarmente di due sezioni: una tradizionale e una con la sperimentazione in
matematica e fisica del P.N.I. A volte si creano classi di una terza sezione.
 Non sono previste, né si effettuano riunioni per compartimenti disciplinari.
 L’offerta formativa si può così sintetizzare:
a) L’Istituto non ha solo le finalità di trasmettere conoscenze e far acquisire abilità e
competenze (saper fare), ma si «orienterà anche verso la promozione di atteggiamenti
motivati e responsabili (saper essere)»4.
b) Al docente compete l’elaborazione della specifica programmazione didattica «sulla base
di uno schema predisposto in relazione alla definizione di contenuti, delle capacità, delle
attitudini, degli atteggiamenti, delle metodologie di controllo e misura, dei criteri di
valutazione e delle modalità di recupero e sostegno»; quindi si attivano le altre
competenze del Consiglio di classe, del Collegio dei docenti e del Consiglio d’istituto.

4
Le citazioni sono attinte dal P.O.F. dell’A.S. 2001-2002, non essendone stata prodotta un’edizione né nel 2002/2003,
né nel 2003/2004.

14
Relazione finale di tirocinio

c) Non esistono finalità comuni, né un elenco di obiettivi comuni a singole discipline o


ambiti disciplinari; lo schema di cui si è scritto al punto b) altro non è che una griglia
vuota suddivisa in spazi dedicati alle usuali nomenclature presenti nelle
programmazioni: obiettivi, contenuti, tempi, metodi, spazi…. Esiste una
programmazione generale di classe, elaborata entro i primi di novembre; tuttavia non
consiste in null’altro che in un centone delle singole programmazioni disciplinari.
d) Il Collegio dei docenti, «nel rispetto pieno del principio inalienabile della libertà
didattica», ha stabilito i seguenti criteri di valutazione che si articolano:
1) «sul piano dei contenuti: organicità, coerenza, pertinenza, esaustività,
padronanza lessicale».
2) «sul piano degli atteggiamenti: frequenza, impegno, attenzione, partecipazione,
socializzazione».
e) Esiste anche una distinzione (opinabile e assai vaga) tra valutazione formativa e
sommativa: la prima consiste nei voti attribuiti a singole prove scritte e orali, la seconda
nei voti attribuiti alla fine di ciascun quadrimestre (o, in caso di studenti particolarmente
carenti, in quelli intermedi). Sono stabiliti anche indicatori della valutazione (quindi non
si distingue tra misurazione e valutazione) secondo una scala che va da “del tutto
insufficiente (1-3)” a “eccellente (9-10)”.
f) Sono stabiliti modi per effettuare il sostegno e il recupero di studenti in particolare
difficoltà e per far fronte al problema della dispersione scolastica: corsi di recupero
(attivabili per un numero cospicuo di studenti afferenti anche a classi parallele),
«sportello dello studente» (tenuto dal docente della classe a suoi alunni che ne facciano
esplicita richiesta) e «attività di recupero in itinere, da attuarsi nel normale orario delle
lezioni a cura del Docente».
g) La gestione del P.O.F., per quanto riguarda iniziative specifiche, viene ricondotta a
diversi progetti, alcuni comuni a tutto l’Istituto, altri propri del Liceo scientifico.

La tutor
La prof.ssa Petriccioli insegna nel biennio del Liceo Scientifico di Villafranca (MS) da oltre
dieci anni; lavora, quindi, ogni anno su una prima ed una seconda, alternando sezione A e sezione B
per par condicio (nell’A. S. 2003-2004, I B e II A). Era la prima volta che svolgeva il compito di
tutor e si è mostrata molto entusiasta nel farmi lavorare sulle classi e nel concedermi ampi spazi.
L’anno precedente, nel corso del tirocinio osservativo, ero stata seguita dalla prof.ssa Ceccarelli,
che, nell’A. S. in corso, non insegna più nell’Istituto, avendo ottenuto il trasferimento in altra sede.

15
Relazione finale di tirocinio

Le classi
La classe I B è composta da 14 alunni, otto femmine e sei maschi, tra cui un ripetente; la
tutor vi insegna latino, storia e geografia. L’analisi della situazione iniziale è positiva: gli studenti
sono attenti e lavorano con impegno e interesse.
La classe II A è composta da 17 alunni, dodici maschi e cinque femmine. La tutor vi insegna
italiano e storia. Anche in questo caso si sostiene che «l’ambiente sereno e veramente stimolante
permette un lavoro proficuo». Le programmazioni disciplinari presentano obiettivi didattici e
formativi che si articolano in sapere (conoscenze, definite seguendo a grandi linee le indicazioni dei
testi adottati), saper fare (competenze e capacità) e saper essere (atteggiamenti, suddivisi in
“dimostrare senso di responsabilità, autocontrollo, capacità di socializzazione”). Sono poi elencate
varie metodologie operative, tipologie di verifiche e criteri di valutazione (sulla base di quella
presente nel P.O.F.), mentre mancano del tutto scansioni temporali.

2. IL TIROCINIO ATTIVO

2.1 L’unità didattica di latino


Al momento della discussione con la tutor sul contenuto e le modalità della mia azione
didattica, le ho chiesto, dato che la programmazione disciplinare prevedeva la trattazione della terza
declinazione, se per caso avesse mai utilizzato le metodologie della didattica breve. La prof.ssa
Petriccioli non solo non le aveva mai adottate ma non le conosceva ed ha quindi voluto approfittare
della mia presenza per impostare in modo nuovo la spiegazione della terza declinazione. La classe
ha risposto molto bene alle sollecitazioni, intervenendo con pertinenza e facilitando il mio compito;
anche nelle fasi del lavoro di gruppo e della discussione ha dimostrato buone capacità comunicative
e di collaborazione, riuscendo a fare emergere senza difficoltà le costanti all’interno dei gruppi di
sostantivi forniti e mostrando buone capacità di analisi del processo di trasformazione lessicale nel
passaggio latino-italiano. Uno degli elementi che ha favorito questa piacevole atmosfera è stato,
sicuramente, la ridotta consistenza numerica della classe che, come ho già detto, è composta da soli
14 alunni. Penso, quindi, che riutilizzerei questa modalità di approccio alla terza declinazione; forse
insisterei di più, attraverso la creazione di alcuni esercizi ad hoc, sul riconoscimento, a partire da
uno qualsiasi dei casi indiretti, del nominativo singolare, visto che tale difficoltà si riscontra
diffusamente tra gli studenti ed è emersa anche nel corso della prova di verifica di questa unità. In
questo caso specifico, tuttavia, ritengo che sia stato un errore l’uso della didattica breve, dal

16
Relazione finale di tirocinio

momento che la mia azione si collocava in un contesto generale in cui l’intero programma era stato
costruito su un approccio di tipo tradizionale. La difficoltà si è rivelata appieno nel momento in cui,
nella fase dell’esercitazione, la tutor, intervenendo, aveva difficoltà a ricorrere ai modelli di
declinazione da me presentati, in quanto era per lei cosa normale fare riferimento a quelli usati da
sempre; ciò metteva a disagio gli alunni e, alla fine, rendeva il nuovo approccio un intralcio
piuttosto che una semplificazione.
Per quel che riguarda la verifica, la prova scritta realizzata in collaborazione con la docente
ha dato risultati buoni: tutti gli alunni, tranne tre, hanno dimostrato di conoscere i modelli di
declinazione proposta; pochi (4) hanno avuto difficoltà a riconoscere e distinguere i sostantivi
afferenti alla terza declinazione; oltre la metà della classe è stata in grado, in quasi tutti i casi, di
concordare aggettivi della prima classe e nomi della terza declinazione, mentre qualche difficoltà in
più si è registrata nel risalire al nominativo singolare. Per quanto riguarda la verifica di fine modulo
programmata dalla tutor, non ho potuto presenziarvi a causa dell’interruzione del tirocinio in
seguito all’incarico di supplenza; dalla lettura della programmazione disciplinare, però avevo
constatato che non esisteva alcuna griglia specifica per la correzione di questo tipo di prova; ho
chiesto, quindi, delucidazioni alla docente la quale mi ha spiegato che da sempre faceva ricorso, per
la correzione delle traduzioni, alla classica segnalazione di errori blu (gravi) ed errori rossi (lievi),
metodo che è stata utilizzato anche in sede di esame finale di latino del primo anno SSIS.

2.2 L’unità didattica di storia


Per quanto riguarda l’insegnamento della storia, la tutor, essendo laureata in Lettere
classiche e avendo sempre insegnato nel biennio, ama molto soffermarsi sulle civiltà antiche, in
particolare greca e romana, e si è mostrata attenta all’uso delle fonti iconografiche e di filmati di
tipo storico. Per la parte attiva del tirocinio il mio intervento in classe si è svolto tenendo presente le
modalità attuate dalla docente: da un lato ho ricercato la lezione dialogata, l’interesse e la
partecipazione degli alunni, dall’altro ho introdotto l’argomento con la visione di un documentario,
ho proseguito con l’analisi di alcune cartine e, infine, ho concluso con un lavoro di gruppo su due
fonti letterarie. La prof.ssa Petriccioli aveva pensato ad una lezione più breve che si concentrasse
sul periodo storico che va dalla sconfitta di Adrianopoli alla formazione dei primi regni romano-
germanici e che desse spazio al sacco di Roma. Quando, però, le ho proposto un ampliamento
dell’argomento, si è mostrata d’accordo, sia perché il documentario televisivo seguiva la stessa
traccia storica (in quanto partiva dall’età di Mario e Silla), sia perché ha trovato interessante
proporre agli studenti alcune pagine della Germania di Tacito. La classe, nonostante non fosse
abituata a lavorare su fonti scritte, ha risposto positivamente all’azione didattica: ha seguito con

17
Relazione finale di tirocinio

interesse il documentario, ha partecipato al lavoro di gruppo con serietà e spirito di collaborazione


ed ha dimostrato buone capacità di analisi e riflessione. Ho riportato queste mie impressioni alla
tutor, la quale mi ha spiegato che la II A è composta da alunni di buon livello e che, in genere, le
classi a prevalenza maschile mostrano maggiore interesse verso la storia. Devo ammettere che
riutilizzerei questa unità senza apportare grosse modifiche; è facile constatare, lavorando
concretamente con una classe, che l’uso del documentario storico catalizza l’attenzione degli alunni
– che sono abituati ad avere continuamente a che fare con stimoli visivi – molto più del libro di
testo e agisce, quindi, positivamente, incentivando l’interesse verso la disciplina. Ho trovato molto
interessante, inoltre, dal momento che si trattava di un liceo scientifico, utilizzare fonti letterarie
latine (benché in traduzione), che hanno permesso di rendere più diretta la conoscenza storica e di
indebolire, seppur parzialmente, la netta frattura disciplinare; non bisogna dimenticare, inoltre, che
l’insegnamento del latino dovrebbe occuparsi non solo della lingua ma anche della civiltà e della
cultura classica.
Anche in questo caso non ho potuto partecipare alla verifica finale, che si è svolta dopo
l’interruzione del mio tirocinio; la docente aveva progettato un’interrogazione orale, anche se, vista
la classe e la modalità di trattamento dell’argomento, si sarebbe potuto pensare ad una diversa
tipologia di verifica che prendesse in esame, da un lato, le capacità di lettura, comprensione ed
analisi delle fonti e, dall’altro, le abilità relazionali e di lavoro di gruppo.

PARTE IV – CLASSE DI CONCORSO 051/A

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Relazione finale di tirocinio

1. L’ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE “MONTESSORI” DI MARINA DI CARRARA


(MS)
E LA SEZIONE DI LICEO LINGUISTICO

1.1 Aspetti generali dell’istituzione scolastica


L’I.I.S. “Montessori” di Carrara è il risultato dell’unione di due scuole diverse: l’Istituto
“Montessori” (un liceo linguistico, pedagogico e sociale) e il Liceo classico “Repetti”. Nel P.O.F.
non si fa alcuna distinzione nelle finalità e negli obiettivi tra le due istituzioni.
Le finalità consistono nell’«Accedere ad un patrimonio di conoscenze e di tradizioni […] sul
quale si è edificata nel corso dei secoli la civiltà occidentale» 5; inoltre l’Istituto intende porre
l’accento sulla comunicazione, «[…] intesa come luogo privilegiato d’incontro di popoli nella
storia, nel tempo e nella società d’oggi».
Gli obiettivi si dividono in:
 Socio-affettivi (mettere in grado l’allievo di raggiungere il pieno sviluppo delle proprie
potenzialità, favorire la giusta stima di sé e sviluppare progressivamente la coscienza etico-
sociale).
 Didattici (ricercare una chiave comune di lettura comune alle varie discipline, garantire
un’equilibrata ricomposizione tra i saperi afferenti alle varie aree e far acquisire rigore di
metodo, capacità d’espressione, contenuti culturali in funzione propedeutica agli studi
universitari e al mondo del lavoro).
Le risorse interne sono costituite da 3 biblioteche, laboratori di lingue, multimediali, di
scienze, chimica e fisica, di informatica, da aule video e da palestre.
Fra i progetti educativi e didattici che l’Istituto, compatibilmente con le proprie risorse
economiche, intende porre in essere, meritano menzione i seguenti: “Orientamento in entrata”,
“Progetto accoglienza”, “Riorientamento”, “Orientamento in uscita” e, infine, “Progetto attività
integrative per il recupero”.
Esistono cinque funzioni-obiettivo.
Nel P.O.F. non esiste alcun riferimento a metodologie didattiche, tipologie di verifiche,
criteri di misurazione e/o valutazione. Non si effettuano riunioni per aree disciplinari, non si
elaborano obiettivi trasversali comuni e ogni docente procede autonomamente alla scelta dei libri di
testo.

5
Tutte le citazioni sono tratte dal P.O.F. per l’A. S. 2003/2004.

19
Relazione finale di tirocinio

La sezione di liceo scientifico è staccata dalla sede centrale e si trova all’interno della zona
scolastica “Marco Polo”, che riunisce un asilo nido, una scuola materna, una elementare, una media
inferiore e il suddetto liceo. Consta di due corsi completi (sezione A e B) e, nell’A. S. 2003-2004, di
altre tre classi: II, III e V C; è provvista di laboratorio linguistico, di informatica, di scienze, di aula
video, di disegno e di una biblioteca.

1.2 La classe V CL
È costituita da 17 alunni, di cui solo tre maschi. La coordinatrice è l’insegnante di Lingua e
letteratura inglese, prof.ssa Vanelli, che ha una continuità quinquennale sulla classe; anche le altre
docenti, comunque, vi lavorano da almeno tre anni. Non presenta problemi né disciplinari, né di
apprendimento; al termine del I quadrimestre quattro studentesse presentavano valutazioni ottime su
tutte le materie e soltanto due avevano diffuse insufficienze. La docente che sostituisco, la prof.ssa
Zampolini, insegna nella classe da tre anni italiano e storia e la definisce come una delle migliori
avute negli ultimi tempi. Per entrambe le materie la programmazione disciplinare è piuttosto vaga e
generica circa gli obiettivi, le metodologie, le verifiche, le valutazioni e le scansioni temporali; dal
punto di vista dei contenuti procede per grandi moduli, suddivisi in unità. L’insegnamento della
letteratura italiana, dopo il primo modulo dedicato a Leopardi, si sviluppa seguendone altri due: uno
dedicato al romanzo tra Ottocento e Novecento (ripartito in 4 unità: Verga, D’Annunzio, Svevo e
Pirandello) ed uno dedicato alla poesia tra Ottocento e Novecento (articolato in 6 unità:
D’Annunzio, Pascoli, Il crepuscolarismo e le avanguardie, Ungaretti, Montale e Saba). Quello della
storia segue, invece, la struttura in moduli e unità presentata nel manuale adottato.

2. IL TIROCINIO ATTIVO

2.2 L’unità didattica di storia


Vorrei precisare, per prima cosa, che la cattedra su cui faccio supplenza presenta aspetti
singolari, dal momento che l’ordinamento curricolare del Liceo linguistico prevede l’insegnamento
obbligatorio del latino solo nel biennio; nel triennio la materia è facoltativa. La suddivisione interna
è fatta in modo tale che vi sia un’unica docente sulla classe 051/A che insegni latino alle quattro
classi del biennio e alle tre del triennio (dal momento che le due sezioni si riducono ad una). La
presenza della terza sezione, però, fa sì che, talvolta, una classe del biennio rimanga scoperta e che
si crei in tal modo un’altra cattedra sulla 051/A. Il mio orario settimanale prevede, pertanto, sette
ore in II CL (4 di italiano e 3 di latino), quattro di italiano nella III CL e, infine, sette nella V CL (5

20
Relazione finale di tirocinio

di italiano e 2 di storia). In accordo con la mia supervisore prof.ssa Formaciari, ho ritenuto utile
riportare in questa relazione un’unità didattica di storia del triennio, visto che avevo già allegato una
unità di latino per il biennio e una di italiano per il triennio, svolte entrambe all’interno delle ore di
tirocinio programmate.
La scelta di dedicare un’intera unità didattica a tale specifico argomento è nata dalla
richiesta concreta da parte degli alunni di delucidazioni riguardo alla situazione attuale della scuola
in Italia. Alcuni studenti si chiedevano il perché dell’importanza attribuita da parte dei diversi
governi alla riforma della scuola e delle difficoltà attuative. Si domandavano, inoltre, quale
significato avesse paragonare la riforma Moratti a quella realizzata ottant’anni fa da Gentile (alcuni
notiziari e giornali avevano definito la riforma Moratti un ritorno alla scuola gentiliana). Partivo,
quindi, da un interesse concreto; la difficoltà maggiore è stata quella di lavorare quasi
esclusivamente su testi storiografici e su documenti, cosa a cui gli studenti non erano assolutamente
abituati (è sufficiente raccontare che la prima volta che li ho invitati a leggere un documento storico
riportato nel manuale sono rimasti stupiti perché in tre anni era la prima volta che utilizzavano
«quelle pagine bordate in rosso»). E’ stato necessario, quindi, seguire il lavoro di gruppo fornendo
indicazioni generali e specifiche, soprattutto per evitare ansie e paure infondate. Gli in generale
alunni hanno mostrato buone capacità di collaborazione e, nell’esposizione dei materiali, rivelato
discrete abilità comunicative. Analizzando a posteriori quanto realizzato, credo di avere forzato un
po’ troppo la mano, in quanto gli studenti non erano ancora pronti ad affrontare un lavoro di questo
tipo; infatti, se alcuni non hanno incontrato difficoltà, anzi sono stati entusiasti di questo nuovo
modo di lavorare, altri, in particolare i più timidi e meno sicuri, hanno sentito sulle loro spalle un
peso troppo grande e, in qualche caso, subìto passivamente l’azione dei compagni.
Per quel che concerne la verifica scritta, essa è stata scelta in base alle esigenze della classe
la quale, trovandosi a pochi mesi dall’Esame di stato, non aveva ancora avuto modo di esercitarsi
con la tipologia della Terza prova stabilita dal Consiglio di classe. È stata quindi progettata per
offrire la possibilità agli studenti di fare pratica anche dal punto di vista organizzativo: in effetti per
alcuni di loro l’esito è stato peggiore rispetto a quelli ottenuti abitualmente con le interrogazioni
orali, l’unico tipo di verifica affrontato fino ad allora per la storia. La domanda che ha presentato
maggiori difficoltà è stata la n. 5, che in realtà era piuttosto complessa e forse necessitava di un
numero maggiore di righe per la risposta. Molto interessante è stato il tentativo di valutare le
modalità relazionali e di lavoro di gruppo; non è stato facile approntare una griglia con indicatori
che non tenessero conto di competenze disciplinari; inoltre, pur rendendomi conto della necessità di
considerare anche questo aspetto nella valutazione, ritengo di essere riuscita ad avere solo un’idea
piuttosto vaga e generica soprattutto dei processi e delle modalità sociali messe in atto dagli alunni

21
Relazione finale di tirocinio

PARTE V – LE SUPPLENZE PRECEDENTI

22
Relazione finale di tirocinio

Nei quatto anni antecedenti l’iscrizione alla SSIS ho avuto numerosi incarichi di supplenza
su tutt’e tre le classi di concorso, in genere per brevi periodi; l’unica supplenza annuale della mia
“carriera” di insegnante l’ho svolta sulla classe di concorso 061/A (Storia dell’arte). Ho pertanto
potuto usufruire del massimo credito concesso, pari alla metà del monte ore, sia per il primo che per
il secondo anno. Dal momento che mi è stato richiesto un brevissimo resoconto di questa mia
esperienza, credo che sia più interessante, invece di trattare di tutti i diversi incarichi, che io mi
soffermi su due che ritengo siano stati significativi, in quanto, grazie alla maggior durata della
supplenza, ho avuto modo di mettere in atto un’azione didattica dotata di un po’ di respiro, per
quanto limitato. Non è questo il luogo per parlare della sconcertante esperienza che affronta
qualsiasi laureato chiamato a fare brevi supplenze, ma è sufficiente ricordare le difficoltà di entrare
in contatto con una classe mai vista prima, di capire come si muoveva l’insegnante sostituito, di
recuperare materiale essenziale per l’attività didattica (registri, testi in adozione, programmazione
disciplinare …); diventa, pertanto, impensabile porre in essere un qualsivoglia progetto didattico se
la durata della supplenza non supera almeno il mese.
Ho scelto, quindi, di soffermarmi sull’incarico di supplenza per la classe di concorso 043/A
svolto presso l’Istituto Comprensivo “Fivizzano Primo” di Fivizzano (MS) nell’A. S. 2000-2001 e
su quello per la classe di concorso 051/A presso l’Istituto di Istruzione Superiore “L. da Vinci”,
sezione di Liceo Scientifico, nell’A. S. 2001-2002.

1. L’esperienza di supplenza presso l’Istituto Comprensivo “Fivizzano primo” di


Fivizzano (MS)
L’incarico di supplenza ha avuto inizio il 2/ marzo 2001 ed è proseguito fino al 6 giugno; la
classe era una II media a tempo pieno dove insegnavo per 15 ore settimanali, di cui 3 ore di
compresenza: 2 con l’insegnante di matematica ed 1 con quello di inglese. La situazione non era
semplice: la classe, infatti, aveva subito un cambio di docente a gennaio, a causa dei trasferimenti
avvenuti nel corso dell’anno scolastico; la professoressa che era subentrata aveva lasciato perplessi,
sin dai primi giorni di supplenza, alunni e genitori, i quali avevano richiesto una visita ispettiva
urgente, in quanto sostenevano che la docente facesse uso di psicofarmaci e non fosse in grado di
svolgere un normale programma scolastico. L’ispettore non trovò niente di meglio che consigliarle
di mettersi in malattia e di rientrare soltanto pochi giorni prima della fine dell’anno scolastico; per
questo motivo terminai la supplenza con quattro giorni d’anticipo rispetto alla fine delle attività
scolastiche e il Dirigente promise ai genitori (cosa che effettivamente avvenne) di far sì che gli
scrutini finali venissero effettuati prima che io me ne dovessi andare per la scadenza del contratto.

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Relazione finale di tirocinio

Mi sono dilungata sull’antefatto perché credo sia l’unico modo per far capire quale fosse la
reale situazione: gli alunni non stavano facendo nulla da quasi due mesi, non solo per le difficoltà
della docente, ma anche perché approfittavano della complessa situazione; i genitori erano sfiduciati
e arrabbiati sia per il trasferimento della prima insegnante che per l’arrivo della seconda; il
Dirigente si trovava in difficoltà nel prendere una decisione che avrebbe compromesso la carriera
della docente, non ancora con contratto a tempo indeterminato. Ho impiegato, pertanto, alcuni
giorni prima di poter iniziare a lavorare con tranquillità e devo dire che i miei colleghi, in
particolare l’insegnante di matematica, mi sono stati di grande aiuto. La classe non presentava gravi
problemi di disciplina, ma dal punto di vista dell’apprendimento gli alunni mostravano numerose
carenze: soltanto 3 dei 16 alunni risultavano pienamente sufficienti in tutte le discipline al termine
del primo quadrimestre; 2 erano i ripetenti e altri 2, gravati da pesanti problemi familiari, si
trovavano sotto il controllo della psicologa della A.S.L., la quale aveva predisposto che fossero
seguiti a casa, nelle ore pomeridiane, da un’educatrice comunale.
Tra le varie attività svolte, la prima che mi viene in mente è legata allo studio della storia.
Mi ero resa conto che gli alunni avevano difficoltà a comprendere e a memorizzare qualsiasi testo
scritto e, in particolare, il manuale di storia e che attuavano modalità di studio mnemonico a
brevissimo raggio. La difficoltà, che ho incontrato spesso nel corso del lavoro di supplenza, viene in
genere etichettata con espressioni del tipo “l’allievo non sa studiare” o “l’allievo non possiede un
metodo di studio”, ma raramente è affrontata ricorrendo a progetti multidisciplinari e ancor più
raramente, spesso per ragioni legate alla mancanza di tempo, all’interno della programmazione
disciplinare. Per cercare di risolvere questo problema, che non avevo mai affrontato in precedenza,
mi documentai e cercai materiale utile; alla fine, decisi di utilizzare alcune indicazioni contenute nel
testo di DE BENI R. – ZAMPERLIN C., Guida allo studio del testo di storia. Strategie metacognitive
per comprendere e ricordare, Erickson, Trento, 1993. Il volume presentava delle strategie
metacognitive per comprendere e ricordare e forniva alcuni strumenti per l’analisi della situazione
iniziale, in cui venivano presi in considerazione non solo la valutazione delle prestazioni e del
metodo personale di studio, ma anche gli stili di attribuzione e quindi l’aspetto emotivo-
motivazionale. Devo dire che ho utilizzato il testo compiendo numerosi tagli e riadattandolo ad un
tempo tanto breve quale era il mio (tre mesi), mentre avrebbe dovuto essere completato nel corso
del triennio di scuola media inferiore. I risultati sono stati discreti; ne hanno tratto vantaggio
soprattutto gli studenti che inizialmente presentavano risultati medio-bassi, mentre l’intervento è
risultato poco efficace sia per il miglioramento degli alunni che possedevano già un metodo di
studio proprio ed abbastanza efficace, sia per il recupero delle situazioni più difficili.

24
Relazione finale di tirocinio

L’altra esperienza che ricordo come stimolante e positiva, è stata la realizzazione di un breve
video per la partecipazione ad un concorso indetto dalla Provincia di Massa Carrara sulla sicurezza
stradale. Le ore di compresenza con l’insegnante di matematica venivano, infatti, utilizzate per la
progettazione e la realizzazione di uno spot pubblicitario della durata di non più di due minuti che
promuovesse la sicurezza stradale. Gli alunni erano entusiasti di prendere parte al concorso (per il
video ebbero una menzione speciale) e parteciparono attivamente alle varie fasi della realizzazione:
collaborare alla creazione di una breve scenetta originale che avesse al centro una situazione di
pericolo stradale, vagliare le diverse idee, fare la scaletta, preparare la sceneggiatura, scegliere i
luoghi in cui realizzare le riprese e, alla fine, passare alla parte operativa vera e propria, nella quale
gli alunni partecipavano attivamente sia come attori che come registi, alternandosi nell’uso della
videocamera. L’adesione al concorso comprendeva anche lezioni, tenute da un esperto di sicurezza
stradale, che promuovevano tale argomento sia attraverso la presentazione delle più diffuse
situazione di pericolo, sia attraverso la spiegazione di norme fondamentali del codice della strada.

2. L’esperienza di supplenza presso la sezione di Liceo Scientifico dell’Istituto di


Istruzione Superiore “L. da Vinci” di Villafranca Lunigiana (MS)
L’incarico di supplenza ha avuto inizio il 5 dicembre 2001 ed è terminato il 5 febbraio 2002;
è stato quindi più breve rispetto a quello presso le scuole medie di Fivizzano, anche se è risultato
assai più faticoso. Le classi su cui insegnavo erano due: una III, composta da 28 alunni ed una V di
20; inizialmente sembrava che il titolare dovesse rientrare con la fine delle vacanze natalizie; poi,
invece, accadde che la sua assenza si protrasse fino al termine del primo quadrimestre. L’insegnante
che io sostituivo era l’unico nel liceo scientifico a lavorare su un curricolo verticale e quindi
entrambe le classi avevano continuità didattica di italiano e latino dal primo anno. Il primo
approccio non fu dei migliori, né con gli studenti, né con l’istituto. Il primo giorno di supplenza
cercai gli strumenti necessari per lavorare (registro, programmazioni disciplinari, di classe,...) nello
stipetto del docente che, però, trovai chiuso a chiave. La ricerca del duplicato, che impegnò una
bidella per una mattinata intera, si rivelò, purtroppo, inutile, dato che dentro il cassettino non c’era
nulla di ciò che cercavo. In realtà, come ho scoperto successivamente, l’insegnante aveva portato
tutto a casa propria; tre giorni dopo ebbi il registro, mentre non riuscii mai a mettere le mani sulle
programmazioni.
Gli alunni, in particolare quelli della V, si mostravano diffidenti, poco disposti al dialogo e
ostentavano una scarsa fiducia nelle mie abilità d’insegnante. Ancora oggi, quando ripenso alle mie
prime lezioni in quella classe non riesco a spiegarmi il loro atteggiamento: forse dipendeva dal fatto

25
Relazione finale di tirocinio

di avere avuto per tanti anni sempre uno stesso docente, forse la differenza tra la sua modalità
didattica e la mia li lasciava dubbiosi. Col passare del tempo le cose migliorarono, ma alcuni di loro
mantennero tale atteggiamento fino al termine del mio periodo di supplenza e cercarono di evitare
le prove di verifica da me predisposte, tentando di mettermi in difficoltà al momento dello scrutinio
finale, che si tenne esattamente il 5 febbraio, ultimo giorno del mio incarico.
Per cercare di venire loro incontro cercai di impostare la mia attività didattica
prevalentemente su lezioni frontali e di seguire una modalità molto tradizionale e molto simile a
quella che ricordavo aver ricevuto proprio in quel liceo. Se fosse possibile tornare indietro credo
che non rifarei questa scelta, ma che cercherei di seguire di più le mie idee e di utilizzare
metodologie didattiche diverse.
Neppure in III l’accoglienza fu entusiasmante, ma la situazione si risolse in breve tempo; il
problema maggiore era legato all’elevato numero di studenti: diventava difficile portare avanti una
lezione dialogata, una discussione, un lavoro di gruppo, in un’aula dagli spazi tanto ridotti e con i
banchi quasi addossati gli uni sugli altri. Il problema non era però soltanto logistico; la classe,
infatti, aveva modalità di relazione molto competitive che si manifestavano quotidianamente,
originate spesso da motivazioni che in apparenza potevano sembrare banali. In particolare la
presenza di almeno tre studenti molto intelligenti e studiosi era fonte di scontro e di incomprensioni,
dato che questi ultimi accusavano la classe di rallentare e compromettere lo svolgimento di un
ampio programma, mentre gli altri, inevitabilmente, si difendevano imputando direttamente a quei
tre le colpe dei propri insuccessi. Quando tentai timidamente di affrontare questo argomento con
alcuni dei miei colleghi del Consiglio di classe, nessuno si mostrò particolarmente preoccupato e
qualcuno di loro addirittura mi disse di credere che un ambiente competitivo può costituire un
fattore favorevole all’apprendimento.
La questione della mancanza di spazio si riproponeva, inoltre, ogniqualvolta si decideva di
sottoporre gli alunni ad una prova scritta; ricordo che fui costretta a sospendere una prova di
traduzione dal latino all’italiano perché non ero in grado di gestire la situazione e fare in modo che
alcuni alunni non copiassero da altri. Fui così costretta a ripetere la prova utilizzando quattro
versioni diverse, distribuite in modo che risultasse assai difficile per quelli a cui era toccato il
medesimo brano il mettersi in contatto e scambiarsi informazioni. Proprio al fine della correzione di
tale prova avevo predisposto – in completa assenza di strumenti di valutazione (non avevo nessuna
programmazione!) – una semplice griglia e l’avevo mostrata agli studenti prima della prova. Mai
prima di allora agli alunni era stato mostrato qualcosa di simile e quando consegnai le prove
corrette, molti di loro si ostinavano a chiedermi se quello segnalato fosse un errore blu oppure uno
rosso e tentavano in questo modo di verificare se il voto fosse “giusto” (partendo dal presupposto

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Relazione finale di tirocinio

che 1 errore blu = 2 errori rossi = 1 voto in meno partendo da 10). Mi resi conto in quel preciso
istante dell’inutilità di quello che avevo fatto – almeno per certi aspetti –, dal momento mi ero illusa
che fosse possibile, nel breve tempo che avevo avuto a disposizione, cambiare un’abitudine così
inveterata. Il fatto di averci provato, comunque, di avere agito seguendo quello che per me era il
modo giusto di lavorare, mi aveva sicuramente reso ai loro occhi una persona credibile ed aveva
facilitato l’instaurarsi di un rapporto di scambio e d’interazione.

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