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Lavorare Stanca Pavese Cesare PDF
Lavorare Stanca Pavese Cesare PDF
Note al testo:
1 C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Milano 1981, ed. Euroclub, pag. 13
2 C. PAVESE, Poesie edite ed inedite, Milano 1980, ed. Euroclub
3 C. PAVESE, op. cit. pag. 105-106
LO STILE
CIAU MASINO
Questa raccolta di racconti si articola su due filoni: il primo è
quello dell'intellettuale Masino, intellettuale in senso lato;
l'altro riguarda la vita dell'operaio Masin. Masino e Masin: due
nomi così simili ma non uguali; non a caso il primo intellettuale,
scrittore di canzonette ritmate a blues - già qui Pavese aveva ben
chiaro il suo sogno americano - si realizza a livello personale,
vive spensieratamente, passa le serate nelle osterie con gli
amici; insomma, Masino riesce addirittura ad ottenere
l'autorizzazione per andare in America (che è sempre stato il
sogno di Pavese, che non riuscirà mai a realizzare) . Masin, al
contrario, operaio, è una figura triste, dall'inizio alla fine; la
storia di un fallimento, antiteticamente a quella di Masino, che è
tutta un realizzarsi. La vita di Masino è simbolica di tutto ciò a
cui Pavese tendeva. Masin, invece, per contrasto, rappresenta
l'impossibilità dell'operaio di inserirsi in una vita che non sia
contrassegnata sempre da una lotta continua e senza speranza.
Masin è un fallito; a lui manca qualcosa che Masino possiede: il
riuscire nella vita. Non a caso, infatti, Masin è un nome
dialettale, paesano, mentre Masino è un nome italiano. Il dialetto
entra in evidenza, anche perché Masin nella raccolta risulta più
importante di Masino, più significativo, per il fatto che nasce da
un'autentica invenzione letteraria, mentre per Masino, Pavese
aveva dei modelli ben precisi. Vorrei citare alcune tra le
disavventure accadute a Masin, che reputo importanti e di
piacevole lettura: la prima disavventura capitata a Masin è quella
di un tema - si era iscritto alle scuole serali per uscire dal suo
ghetto psicologico e sociale - su Pietro Micca, che egli svolge in
modo irriverente per il sottofondo politico che lo anima:
irridendo Pietro Micca, Masin irride gli ideali di patria, gli
ideali della società patriottico-borghese e per questa ragione
viene espulso da scuola. Il titolo del tema era il seguente:
Note al testo
1 C:PAVESE, Racconti, Torino, ed. Einaudi, pagg. 24-25
IL CARCERE
Negli scritti giovanili e soprattutto in Ciau Masino, Pavese ha
bruciato molte delle storie e delle infatuazioni che altrimenti lo
avbrebbero, forse, accompagnato per tutta la vita. Quando uscì Il
carcere, pubblicato insieme a La casa in collina in Prima che il
gallo canti, alla critica sembrò strano, dato che insieme ai
racconti Pavese aveva inserito le date di compilazione dei singoli
racconti, (Il carcere '38/39; La casa in collina '47/48) che un
piccolo capolavoro quale fu definito Il carcere fosse scaturito
dalla penna di uno scrittore con così poca esperienza. Pavese
rispose che le date erano effettivamente quelle e che non gli era
costata nessuna fatica la produzione del racconto. Il Pavese in
prosa, se escludiamo Ciau Masino, comincia dal 1936 e dal '31
abbiamo il lavoro saggistico e di traduzione sulla letteratura
americana. E' vero che Pavese non scrive racconti e romanzi, ma in
fondo è abbastanza giustificato, in questo periodo, dal fatto che
da un lato abbiamo il periodo più ricco di Lavorare stanca e
dall'altro abbiamo il forte impegno nelle traduzioni e nei saggi
sulla letteratura americana. Cioè è vero che Pavese non scrive
racconti e romanzi, ma tutte le sue forze sono concentrate in
questa ricerca che darà frutti più precisi in seguito. Nel '36,
infatti, Pavese sente ormai che l'idea della poesia-racconto viene
ad essere un qualche cosa di sperimentato al massimo, viene in
sostanza ad essere un approccio letterario ormai meccanico e, a
quel punto, allora il discorso si allarga naturalmente e dalla
poesia si sfocia nel racconto. (...) "i racconti che Pavese
comincia a scrivere nel '36 sono a loro volta degli esperimenti
che portano avanti il lavoro iniziato con Lavorare stanca, ma che
di per sè già costituiscono come un'esperienza precisa e valida di
per sè. Quindi documento, è vero, di un trapasso tecnico dalla
poesia alla prosa, ma anche un documento di un lavoro letterario
non casuale, non occasionale, non estraneo al lavoro di Pavese.
Questi racconti, a partire da Terra d'esilio, del '36, sono tutti
perfettamente inseriti nell'opera di Pavese.". (...) "In fondo,
Pavese non scrive racconti per scrivere racconti, come spesso
capita a molti scrittori. Non dimentichiamoci che allora le
condizioni storiche e letterarie erano ben diverse: scrivere sulla
terza pagina di un giornale, significava scegliere una determinata
tendenza letteraria. Allora, tra il '30 e il '40, prima si
scriveva un racconto, poi si pensava a pubblicarlo. E quindi,
proprio per questo, i racconti acquistano nell'ambito dell'opera
pavesiana un pregio e un peso letterario tutt'altro che
indifferente, perché sono il documento di una ricerca condotta
giorno per giorno nell'ambito della ricerca letteraria.".1
Note al testo:
1, 2 e 3 PAUTASSO, Dispense di storia della letteratura italiana, Milano,
Istituto universitario di lingue moderne.
4 C.PAVESE, Prima che il gallo canti, Il carcere, Torino 1959, ed. Einaudi, pag.
9
5 C.PAVESE, op. cit., pag. 16
LA SPIAGGIA
Abbandoniamo La bella estate per passare al romanzo che, cronologicamente, chiude quello che
potrebbe essere considerato il periodo giovanile di Pavese: La spiaggia. Qui egli ha lasciato da parte
i suoi villani, i suoi operai, i suoi sabbiatori, ecc..., cioè tutta quella serie di personaggi che
popolavano il mondo di Lavorare stanca e Paesi tuoi, per cercare di scoprire com'era fatta l'altra
faccia della società. Così facendo, si era gettato nel mondo della borghesia, per vedere cosa
pensavano, cosa dicevano, coloro che passavano le vacanze al mare piuttosto che sul Po. Pavese si è
trasformato nel ruolo di narratore, registrando i fatti di cui sono protagonisti i personaggi de La
spiaggia: Doro, sua moglie Clelia, Guido e Berti. Questi i quattro personaggi attorno a cui ruota la
vicenda narrata. In questo romanzo, Pavese, si limita a narrare oggettivamente i fatti come
avvengono, senza allusioni alcune e soprattuto escludendo i simboli. Il narratore, dovrebbe
trascorrere le vacanze nella casa al mare di Doro e Clelia. Prima di partire, però, Doro gli chiede di
accompagnarlo in un viaggio nelle Langhe. In quel momento il matrimonio di Doro e Clelia è in
crisi e per Doro un viaggio nelle Langhe significa un ritorno alle origini, mentre per il narratore è
solo un'occasione per ascoltare l'amico, stare un po' con lui in un momento così difficile. Dopo il
viaggio nelle Langhe arrivano al mare. Qui entrano in gioco tutti e quattro i personaggi:
l'affascinante ambiguità di Clelia, di cui Berti, giovane studente, s'innamora; la ritrosia di Doro; la
saggezza di Guido, il solito compagno di spiaggia. Berti è il tipico personaggio pavesiano:
scontento, insicuro, che sta per affrontare la vita, che è ancora nella felice condizione di ragazzo -
qui si vede un'affinità con Ginia de La tenda. Quindi Pavese registra i vari discorsi che questo
gruppo borghese fa sulla spiaggia. Questi discorsi riescono a far capire la vita che è in corso. I
personaggi riescono a dare una dimensione reale a ciò che si racconta. Il romanzo si chiude con il
rientro a Torino e, mentre Berti è deluso di come sono andate le cose, Clelia troverà invece nella
maternità quell'appagamento che finora le era sempre mancato. In questo contrasto si trova tutto
Pavese, con le sue delusioni, con le sue amarezze, con le sue gioie. Dopo questo romanzo si ha un
periodo di silenzio che coincide con la guerra e, tra La spiaggia e il romanzo che segue, Il
compagno, vi è un altro libro, che è l'unica raccolta di racconti che Pavese abbia pubblicato mentre
era in vita, Feria d'agosto, che esce alla fine del '45 e che raccoglie una piccola parte dei racconti di
Pavese. Non è però il solito libro che raccoglie dei racconti, che spesso un autore pubblica, piuttosto
è un libro, o meglio, un romanzo a più sfaccettature e rappresenta qualche cosa di più proprio per il
modo con cui Pavese l'ha costruito. Non bisogna dimenticare che Pavese aveva in disparte Il carcere
e La tenda, che non aveva ancora pubblicati per inserirli poi nei due volumi, Prima che il gallo canti
e La bella estate, per i motivi già citati nella lettera a Cecchi.1 Infatti possiamo considerare Feria
d'agosto come un esperimento con cui Pavese ha posto le basi per la comprensione della sua ricerca
affidata ai racconti. Questo libro si suddivide in tre parti: la prima, intitolata Il mare, ha come
obiettivo della ricerca il tentativo dei personaggi che compaiono di arrivare al mare. Pavese stesso
considerava in modo particolare il mare, come ad esempio, ne Il carcere, dove esso rappresentava
una parte importante nella vita di Stefano. E' rappresentato anche qui l'elemento mitico, così come è
mito anche la città, soggetto della seconda parte del libro. Di qui la contrapposizione tra la città e la
campagna. La città è vista come la scoperta di un mondo nuovo, un mondo da penetrare, da
conoscere, da dominare. Nella terza parte troviamo, invece, La vigna, ed ecco che ci troviamo
immersi nella campagna, nel mondo contadino, in quel mondo che Pavese considerava veramente
suo. La campagna non è solo il luogo dove si coltiva il grano o la vite, dove ci sono le cascine
anzichè le case o le fabbriche come in città, ma rappresenta il luogo dove si ripete ritualmente una
serie di fatti, di avvenimenti, nei quali si ritrova il senso antico della vita. Feria d'agosto, come già
detto, fa da ponte tra La spiaggia e Il compagno, ma vale di per sè, dato che Pavese fissa in questi
racconti i punti essenziali della sua tematica e della sua visione culturale delle cose. Pavese non ha
mai dato molta importanza ai suoi racconti, dato che molti rimasero inediti fino alla sua morte, ma
Feria d'agosto, forse per la divisione in tre parti che evidenzia in modo particolare le tematiche
dell'autore, fu pubblicato. In Feria d'agosto - da ricordare che è stato scritto durante la guerra, dal
'40 al '45 - bisogna tener conto anche della sua riflessione poetica, dove acquista un'importanza
notevole la teoria del ricordo, del riconoscere, collegata al mito dell'infanzia. In pratica, Pavese,
diceva che quello che si è visto da bambini rimane nella mente e, quando viene ricordato, in quel
momento viene veramente conosciuto. Quindi ricordare e riconoscere significano in realtà
conoscere. L'infanzia è il primo approccio con la realtà delle cose, non è altro che un
immagazzinare esperienza, che poi emergerà in seguito ed allora la conoscenza è raggiunta. Di qui
nasce la sua poetica del ritorno alle origini, del ricordo contadino, che non sono fatti tecnici, ma un
vero e proprio modo di conoscere la realtà. Ora per Pavese inizia un duro periodo di vita con se
stesso: la guerra continua ed alcuni suoi amici, tra cui Antonicelli, che era presidente del Comitato
di Liberazione, Mila, Giolitti, non esitano a partire per le montagne, affiancando la lotta partigiana.
Pavese no; si rifugia durante tutto il periodo della guerra nelle Langhe. In questo periodo, in cui
avveniva la grande tragedia della guerra civile, Pavese, solo, chiuso nel suo mondo, veniva sempre
più maturando quei temi che abbiamo incontrato poi in Feria d'agosto e che troveranno
un'enunciazione ben più precisa ne I dialoghi con Leucò, che usciranno nel '47 e che Pavese
considerava la sua opera più importante. In breve: mentre questo atroce dramma coinvolgeva tutti,
Pavese si chiuse in se stesso, ad osservare, a darne un'interpretazione tutta sua. A colpo d'occhio il
non aver partecipato alla Resistenza potrebbe costituire un motivo di critica e di accusa di viltà. Ma
ognuno di noi ha un suo temperamento, che non si può ignorare; c'è chi è portato per la lotta e chi,
invece, alla partecipazione fisica a certi avvenimenti non riesce a dare un senso. Ma in fin dei conti
Pavese, sia pur indirettamente, ha partecipato anch'egli alla Resistenza, col portare avanti quelle
esigenze di libertà che erano di tutti. Le ha portate avanti da scrittore.
Note al testo:
IL COMPAGNO
Il compagno, dei due libri era certo il più facile. E' la storia di un giovane torinese, Pablo, che passa
il suo tempo tra un'osteria e l'altra, suonando la chitarra. Da qui nascono gli incontri che egli fa con
donne e uomini; ma la vicenda prende ben presto la sua strada, che si snoda attorno al rapporto con
Linda, la ragazza di Amelio, il quale durante un viaggio in motocicletta ha un incidente e resta
paralizzato (come nel racconto Fedeltà, scritto nel '38). La figura di Amelio compare in primo piano
all'inizio, poi sembra lasciata ad un destino ormai privo di senso. Ma ecco che Amelio diventa il
punto di riferimento di tutta la storia: egli svolgeva un'attività politica ben precisa, a cui Pablo non
pensava e dalla quale poi Linda, che gli si è fatta amica, vorrebbe tenerlo distante. L'ambiente è
quello popolare e proletario delle borgate torinesi, su cui s'innesta una certa curiosità che Pavese
aveva per l'avanspettacolo. Ad un certo punto, infatti, s'inserisce nella vicenda un amico di Linda,
Lubrani, impresario teatrale, che fa conoscere a Pablo qualche attore e gli fa scoprire la vita
notturna del dopo teatro. Pablo continua a tirare avanti la propria vita senza uno scopo preciso, pur
tendando di uscirne: fa il camionista, cerca in qualche modo di trovare quel senso, soprattuto per
poter vivere con Linda. Nella seconda parte, Pavese sposta la vicenda a Roma, dove Pablo si
trasferisce dopo la rottura con Linda. Si fa nuovi amici, ha una nuova donna che ha ereditato dal
marito, morto, un negozio da ciclista. Ma soprattutto Pablo si accosta alla politica. Il romanzo
cambia subito tono: da quella che era la descrizione dell'ambiente torinese, ora diventa la
cospirazione politica nella periferia romana. Però per Pavese l'ambiente torinese era più importante
dell'ambiente della capitale dove ha inserito la tematica principale del libro - e lo si riscontra anche
durante la lettura del testo - in modo che la prima parte risulta narrativamente più importante della
seconda parte romana. Evidentemente a Pavese manca, in quest'ultima parte, quella possibilità di
resa espressiva che gli offriva Torino. Al capoluogo piemontese era chiaramente più legato e, per
esso, sentiva un interesse ben preciso, mentre per Roma, l'esposizione dei fatti risulta solo molto
descrittiva. Quindi Il compagno,il romanzo politicamente più impegnato di Pavese, a mio avviso
non risulta essere fra le sue opere più importanti, proprio per le discordanze e gli squilibri sopra
scritti. Ma leggendo il compagno si resta tuttavia colpiti per come Pavese sia riuscito a raccontare la
cospirazione politica senza entrare in un ambito mitico ed eroico, bensì raccontandola
minuziosamente, entrando anche nei minimi particolari. Una vita vista al di là del mito e della
retorica. Effettivamente, nella cospirazione, si è sempre pensato all'eroe, a colui che saziava di gesta
eroiche tutta la storia. Qui, invece, ci troviamo di fronte a dei personaggi che non hanno nulla di
eroicamente degno di considerazione, nessuna dimensione storica intellettuale: sono degli operai i
quali, a modo loro, cercano di dare alla loro attività politica un senso preciso.
IL DIAVOLO SULLE COLLINE
Il romanzo che segue cronologicamente I dialoghi con Leucò è La casa in collina, che però
abbiamo già incontrato per ragioni di confronto col romanzo che, insieme ad esso, compone il libro
Prima che il gallo canti. E' Il diavolo sulle colline il romanzo che segue e viene inserito nel libro
La bella estate. Narra di tre giovani studenti torinesi: Oreste, Pieretto e il narratore, che passano il
loro tempo, soprattutto quello notturno, a vagare per la città sulla collina - ancora tema evidente il
motivo della collina, che per Pavese è un modo di vivere. Questi giovani conversano molto, parlano
di temi comuni ai giovani e che fanno parte della loro vita. Una sera incontrano sulla collina una
macchina, con un uomo all'interno che sembra svenuto o addirittura morto. Quest'uomo, Poli - che
diventerà il vero protagonista del racconto - è in preda ad una crisi provocata da un eccesso di
sostanze stupefacenti. Poli diventerà molto importante in quanto farà sorgere ai giovani, con la sua
vita, il dubbio che possa esistere una vita diversa da quella che essi conducono. Con l'arrivo
dell'estate i tre giovani vanno in casa di Oreste nelle Langhe. Accanto alla casa di Oreste c'è quella
di Poli e, inevitabilmente, finiscono col ritrovarsi. A Torino i ragazzi incontrarono l'amante di Poli,
che poi si uccise, mentre qui incontrano la moglie. Le giornate passate in compagnia di Poli sono
giornate in cui le conversazioni toccano i temi scottanti della vita e della morte, ma soprattutto è il
problema della droga il problema chiave. Poli lascia capire come grazie alla droga l'uomo possa
acquistare una lucidità ed una capacità di giudizio che altrimenti non avrebbe. Oreste, che si era
innamorato della moglie di Poli, Gabriella, deve lasciarla perché, nonostante tutto, ella è ancora
innamorata del marito. Poli, in seguito, avrà una crisi ancora più acuta e il romanzo si chiuderà col
ritorno dei tre ragazzi a Torino. Qui la narrazione è tutta impostata sulla conversazione e sul
dialogo, lasciando poche concessioni alle descrizioni. Il paesaggio, però, non è estraneo al corso
della narrazione perché si fonde col gioco dei personaggi, diventando esso stesso un protagonista ed
un elemento essenziale della vicenda. Abbiamo notato come Pavese sia passato da uno stile di
narrazione-monologo, caratterizzata in Paesi tuoi e, in parte, anche ne Il compagno, al dialogo di
questi ultimi libri; passaggio che cominciava a profilarsi ne La spiaggia e che arriva alla
maturazione attraverso i racconti, proprio con Il diavolo sulle colline.
LA LUNA E I FALÒ
In La luna e i falò, opera conclusiva dell'attività di Pavese, troviamo raccolti i temi che abbiamo
trovato, passo passo, in tutta l'opera pavesiana; abbiamo il tema del ritorno: il protagonista ritorna a
S.Stefano Belbo, da dove era partito ancora ragazzo per recarsi in America, dove si è arricchito e
ora può permettersi una vita agiata. Non è più il ragazzino che veniva mandato a lavorare nei campi,
ma è qualcuno oggi che potrebbe essere a sua volta padrone. Altro tema tipico pavesiano è il
ritornare con la mente a quella che è stata la vita da ragazzo, però vista alla luce dei nuovi tempi e si
tramuta in una ricerca dell'identità del protagonista con il mondo che, oggi, davanti a se, vede
ovviamente cambiato. Tutto è cambiato sotto il profilo storico: c'è stata la guerra, la Resistenza, ma
è cambiato soprattutto perché è cambiato lui. In La luna e i falò, Pavese è riuscito a sintetizzare
tutti gli schemi che aveva in precedenza sperimentato. È riuscito a racchiudere anche i suoi miti: il
mito della città e della campagna, della fuga e del ritorno e anche, chiaramente, il mito
dell'America, ormai tipico dei libri di Pavese, in quanto resta solo un sogno, perché in America non
c'è mai andato e non ci andrà mai. Poi ci sono tutti i suoi odii, i suoi interessi, la sua curiosità di
conoscere e di capire la vita contadina. Abbiamo insomma il raggiungimento di una perfezione di
stile, perché la sintesi di cui sopra non si attua solo nei contenuti, ma soprattutto nello stile. E
questo, Pavese lo sapeva? Ne era cosciente o è un fatto casuale? Difficile dirlo, ma a mio parere
sembra abbastanza chiaro che Pavese avesse in mente, a questo punto, un disegno ben articolato del
suo operato, in modo da poter raggiungere quella perfezione stilistica, che per anni era andato
cercando. Ad esempio, il dialetto. Il dialetto in La luna e i falò, si fonde così bene con la lingua in
modo da non trovare alcun distacco. Questo era stato uno degli esperimenti di Pavese e ora, alla
conclusione del suo operato, è giunto a quel perfetto impasto tanto cercato. Il dialogo non è così ben
evidenziato come abbiamo visto in Tra donne sole, comunque i dialoghi tra Nuto, l'amico d'infanzia
del narratore ed il narratore stesso, sono però molto significativi, per come riescono a tornare con la
mente al passato con un dialogo attivato al presente, ad esempio come il ragazzino Cinto, nel quale
il protagonista vede se stesso in tenera età. Infine il tempo, che sappiamo per l'opera pavesiana aver
molta importanza. Qui il tempo non è solo il ricordo del protagonista, ma fa da contrasto alle
vicende narrate e si fonde con il paesaggio. Tempo che ha un suo ritmo ben preciso, ma che diventa
frenetico col precipitare degli eventi, i tragici avvenimenti della guerra, della Resistenza, di alcuni
di questi personaggi che, con la morte, determinano il decadere, non solo dell'uomo, ma dell'intera
società. La morte, elemento anch'esso tipico dei romanzi di Pavese, esplode, qui, nelle pagine finali
de La luna e i falò con la stessa violenza con cui esplode nella parte finale di Paesi tuoi. Qui vi è
una scena drammatica, come nel caso di Gisella di Paesi tuoi,in cui un personaggio, Valino, compie
l'eccidio della propria famiglia e dà fuoco alla casa. Accanto a questo c'è la morte di Irene e Santina,
due delle ragazze che il protagonista aveva conosciuto da bambino ed è questo il trascorrere del
tempo. Il trascorrere della vita, che viene annientato dal ritmo inarrestabile della realtà che brucia
ogni cosa che trova sul proprio cammino. A mio parere, questo è il libro più bello di Pavese, sia per
la riuscita compattezza delle varie situazioni, per il suo risultare scorrevole, sia perché studiando
tutto l'operato di Pavese ci si sente sollevati vedendo come un uomo sia riuscito a dire tutto quello
che aveva da dire, non dicendolo e basta, ma facendo notare come sia difficile comunicare,
soprattutto con sè stessi, tanto che sono stati necessari anni di sperimentazione, sia di stile del
comunicare, sia di contenuti, che hanno reso Pavese cosciente di sè stesso e del suo modo di vivere.
In questo libro, Pavese è riuscito a trasformare ogni cosa, ogni evento, ogni personaggio in mito e in
simbolo, che era poi l'obiettivo a cui egli tendeva. A questo punto Pavese, dopo essere riuscito ad
avere veramente uno stile, dopo averli consumati tutti adoperandoli, forse, ha chiuso anche la sua
capacità d'inventare ancora uno stile. Arrivato alla perfezione con La luna e i falò, l'esperienza si è
chiusa. Chissà, forse non sarebbe più stato in grado di mettere a punto nuovi stili. In questo senso
La luna e i falò, a mio parere, è l'opera conclusiva; non per il fatto che non abbia più scritto perché
è morto, ma proprio perché non aveva più niente da inventare. Se non fosse morto, sarebbe rimasto
un Pavese che sarebbe riuscito solo a concepire nuove edizioni di La luna e i falò. In pratica, se
non si fosse suicidato l'uomo Pavese, si sarebbe suicidato lo scrittore Pavese, in quanto avrebbe
avuto coscienza di essere al limite estremo, di aver detto cioè, tutto quello che aveva da dire.
Il 27 agosto 1950, in una camera d'albergo a Torino, Cesare Pavese si tolse la vita. Lasciò scritto a
penna sulla prima pagina de I dialoghi con Leucò:
"Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.".1
Con ciò egli ci lascia a questa vita che, a mio parere, va vissuta per quanto ridicola e senza senso
possa sembrare, ma lasciandoci rimanda a noi ciò che a lui era stato mandato da anni d'esperienza:
il riuscire a comunicare con gli altri. C'è da ricordare, inoltre, che Pavese, con le sue opere e le sue
pene è forse riuscito a farci comprendere come nel mondo, così visse la solitudine.
Note al testo:
1 OGGI, Trent'anni della nostra vita, Milano 1977, ed. Rizzoli, pag. 22