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Dispense GEODESIA PDF
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E CARTOGRAFIA
Marco Anzidei
INDICE
Parte prima
GEODESIA E TOPOGRAFIA
2. Sistemi di coordinate
2.1 coordinate cartesiane
2.2 coordinate geografiche ellissoidiche
2.3 coordinate geografiche astronomiche
2.4 coordinate geodetiche polari
2.5 coordinate geodetiche ortogonali
2.6 quota
6. Strumenti di misura
6.1 goniometri
6.2 distanziometri
6.2.1 misure dirette
6.2.2 misure indirette
6.2.3 misure elettroniche
6.3 livelli
7. Rilievi planimetrici
7.1 triangolazioni
7.2 trilaterazioni e reti miste
7.3 compensazione delle reti
7.3.1 osservazioni condizionate
7.3.2 osservazioni indirette
7.4 intersezioni
7.5 poligonali
7.6 rilievo di dettaglio
8. rilievi altimetrici
8.1 livellazione trigonometrica
8.2 livellazione geometrica
2
9.4 misure con il sistema GPS
9.4.1 misure di pseudorange
9.4.2 misure di fase
9.5 errori del sistema GPS
9.5.1 errori strumentali
9.5.2 errori di modello
9.5.3 errori di osservazione
9.5.4 criptazione e degradazione intenzionale del segnale
9.5.5 errori ed equazioni di osservazione
9.6 cenno alle tecniche di elaborazione
9.7 metodi di misura
9.8 il sistema di riferimento GPS
9.9 Rilievi GPS
Parte seconda
10. CARTOGRAFIA
13 rappresentazioni equivalemnti
proiezione di Flamsteed
14 rappresentazioni conformi
14.1 proiezione di Mercatore
14.2 proiezione stereografica polare
14.3 proiezione di Gauss
Bibliografia
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Parte prima
GEODESIA E TOPOGRAFIA
Il problema della forma della Terra e della rappresentazione della sua superficie venne intrapreso
fin dall'antichità. Le prime mappe venivano disegnate su terracotta ed erano di ausilio anche per
scopi di navigazione.
Figura 1Pianta zenitale della città di Nippur, Babilonia. Si nota il fiume Eufrate, due canali, il
tempio principale e le mura urbane dotate di torri (1200-1000 a.C.)
Già gli egiziani, circa 1500 anni a.C., ipotizzavano una Terra sferica. Il matematico greco Pitagora,
intorno al 500 a.C. ne era fortemente convinto sebbene altri filosofi avessero opinioni differenti.
Ad es. Talete (625-547 a.C.) concepiva una Terra piatta, come un disco galleggiante in un oceano.
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i moti ed affermò che la Terra ruotava non solo intorno al proprio asse ma anche intorno al Sole. Fu
per primo Aristotele (384-322, a.C.) che intuì la esistenza della forza di gravità, che argomentò
proprio a partire dalla sfericità della Terra.
Secoli dopo (ma solo 500 anni fa circa), Cristoforo Colombo durante le sue navigazioni notò che
presso le foci dell'Orinoco la navigazione era ostacolata dalla corrente contraria del fiume che si
incontrava con la marea oceanica. Per questo pensò che quella zona fosse caratterizzata da una forte
gibbosità della Terra culminante sui monti da dove nasceva l'Orinoco, sui quali si credeva si
trovasse il paradiso terrestre.
Per quanto riguarda la misura della Terra, il primo a misurarla di cui si hanno notizie, fu Eratostene
(276-194 a.C.). Le sue osservazioni posero una pietra miliare nella storia della geodesia. Eratostene,
per stimare le dimensioni della Terra si basò su semplici osservazioni: a mezzogiorno del solstizio
d'estate i raggi del Sole illuminavano il fondo di un pozzo posto a Syene (l'attuale Assuan), che si
trova molto vicina al Tropico del Cancro (fig.4). Dedusse quindi che questi dovevano essere
verticali al luogo di osservazione. Allo stesso momento nella città di Alessandria, che giaceva sullo
stesso meridiano, i raggi del Sole che colpivano un obelisco, producevano un ombra di una certa
lunghezza e formavano di conseguenza un certo angolo con la verticale, qui determinata mediante
un filo a piombo. Eratostene calcolò quindi questo angolo misurando la lunghezza dell'ombra e
trovò che questo valeva 1/50 dell'angolo giro (pari a 7° 12'). Misurò quindi in stadi la distanza che
separava Syene da Assuan, trasformando i giorni di marcia di cammello in distanza (stadi). Trovò
un valore pari a 5.000 stadi da cui poté quindi calcolare il raggio terrestre con l'equazione R=s/ω.
Poichè 5.000 stadi corrispondono a 787,5 km, il raggio terrestre misurato era pari a R=6267 Km.
Questo valore si discosta solo del 2% rispetto al suo valore vero di R=6371 Km, che rappresenta il
raggio medio della Terra, misurato solo nei tempi moderni con sofisticate strumentazioni.
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Figura 4 La osservazione di Eratostene
Migliorate stime sulla sfericità della Terra avvennero solo dopo la scoperta della gravitazione
universale di Newton (1642-1727), quando si iniziò a pensare ad una forma diversa da quella
sferica. La forma solida più adatta a rappresentare la Terra sembrò l'ellissoide di rotazione
schiacciato ai poli. Solo nel 1737 si ebbe una conferma definitiva a tale teoria (fig.5).
a 2 - b2
e2 = ⎯⎯⎯
a2
a 2 - b2
e2 = ⎯⎯⎯
b2
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i parametri dell'ellissoide terrestre sono stati determinati nel tempo più volte, utilizzando metodi
differenti. I più usati sono:
Tabella 1
ellissoide parametri
nome a (metri) α
Bessel (1841) 6 377 397 1:299.2
Clarke (1880) 6 378 243 1:293,5
Helmert (1906) 6 378 140 1:298,3
Hayford (1909), internazionale del 1924 6 378 388 1:297,0
ellissoide internazionale 1971 6 378 160 1:298,247
ellissoide internazionale 1980 6 378 137 1:298,257
Per capire se l'ellissoide di rotazione è il solido che meglio approssima la forma della Terra, si deve
considerare come questa è in realtà e quali sono le sue proprietà fisiche. La Terra è sottoposta ad un
campo di forze, definito come campo gravitazionale terrestre.
Figura 7
7
Se consideriamo un punto P di massa unitaria e di dimensioni puntiformi, posto sulla superficie
terrestre, questo, trascurando l'azione attrattiva delle masse extraterrestri (principalmente Sole e
Luna), è sottoposto a due forze: una di natura statica, l'altra di natura dinamica. La prima è detta di
attrazione gravitazionale, espressa dalla:
m1 x m2
F = G ⎯⎯⎯⎯
r2
Dove:
G = 6,672 x 10-8 cm3 s-2costante di Newton
m1 ed m2 = due masse puntiformi che si attraggono, poste alla distanza di 1 m
Poichè la Terra non può essere considerata puntiforme, la forza F sarà la risultante di tutte le infinite
forze infinitesime dF esercitate sulla massa unitaria posta in P, dalle masse infinitesime dm in cui
può essere scomposta la massa m della Terra:
F= ∫ dF = ∫
T T G 1 x dm
r2
Figura 8
La forza dinamica che si esercita sulla massa unitaria posta in P per effetto della rotazione della
Terra è la forza centrifuga. Questa ha velocità angolare ω, praticamente costante intorno all'asse
polare. Viene espressa dalla relazione:
f = m x ω2 p
avendo m=1 e dove p è la distanza dall'asse di rotazione.
8
Figura 9
Quindi la massa unitaria posta nel punto P è soggetta a due forze F ed f, la cui risultante è una forza
detta forza di gravità che si indica generalmente con g. Poichè in P la massa è unitaria, la forza di
gravità risulta numericamente uguale all'accelerazione di gravità, che è variabile da punto a punto.
Il valore medio della g alle nostre latitudini è: g = 9.81 m s-2.
Figura 10
Le linee di forza del campo di gravità non sono piane ma curve e vengono per questo definite curve
gobbe (fig.11). In ogni punto la direzione della linea di forza della gravità è fornita dal filo a
piombo. Questa, detta verticale, è l'unica direzione che si possa individuare con certezza sulla Terra
ed è di grande importanza in geodesia e topografia perchè a questa fanno riferimento gran parte
delle misure.
9
Figura 11
Le linee gobbe definiscono il campo gravitazionale. Questo ammette un potenziale e quindi delle
superfici equipotenziali che hanno la proprietà di essere in ogni punto normali alla direzione della
gravità, cioè della verticale (fig.12).
Figura 12
Le infine superfici equipotenziali non sono parallele tra loro e la loro equazione si ottiene ponendo
uguale ad una costante il potenziale della gravità, che è la somma del potenziale dell'attrazione e del
potenziale dell'accelerazione centrifuga:
F= ∫ G dm + 1 ω p = cost
T
2 2
r 2
Le superfici equipotenziali ci permettono di definire la forma della Terra. Per comprenderlo basti
pensare al mare come un liquido ideale di densità e temperatura costanti, privo di perturbazioni
dovute a onde, maree e correnti, quindi in quiete e in equilibrio e soggetto solamente alla forza di
gravità. In questo modo la superficie libera del mare costituirebbe una superficie equipotenziale.
Assumiamo ora come superficie ideale della Terra, quella superficie equipotenziale che passa per
un determinato punto corrispondente al livello medio del mare in un certo luogo. Tale superficie si
definisce geoide (fig.13). L'equazione del geoide è data dalla:
F= ∫ G dm
T
r
10
Per risolvere l'integrale è necessario conoscere la distribuzione delle masse all'interno della Terra,
cioè la sua densità in ogni punto, data dalla: dm = ρdV. Questa è però nota solo in modo
approssimativo. Ad es. la densità media della Terra è 5.52 g/cm3 ma quella della crosta è 2.67
g/cm3. Per applicazioni pratiche si possono adottare delle soluzioni approssimative, non rigorose ma
sufficientemente precise. Sono così state calcolate delle superfici di rotazione dette sferoidi.
L'equazione dello sferoide in coordinate cartesiane è complessa, ma l'ellissoide di rotazione, che è
una superficie molto più semplice e avente gli stessi semiassi a e b, si discosta molto poco dallo
sferoide (la massima differenza tra i raggi vettori geocentrici è di circa 20 m). Quindi, sebbene la
superficie di riferimento ideale sia il geoide, questa però non si presta allo scopo perchè non è
esprimibile analiticamente in forma chiusa e quindi non è possibile istituire una geometria su di
essa. Per questo si sostituisce il geoide con lo sferoide di rotazione o meglio ancora con l'ellissoide
di rotazione, di forma più semplice. Quando l'approssimazione lo consente, l'ellissoide può essere
sostituito con la sfera o addirittura con il piano.
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2) SISTEMI DI COORDINATE
12
Figura 17 coordinate geografiche astronomiche (geoidiche).
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La quota costituisce la posizione altimetrica di un punto sulla superficie terrestre sul geoide. Le
coordinate illustrate fin qui, forniscono la posizione planimetrica di un punto. Quella altimetrica è
invece fornita dalla quota H, lunghezza del segmento di linea verticale da P al geoide. Notiamo che
la curvatura delle linee di forza del campo della gravità è molto piccola, per cui il segmento H nelle
applicazioni pratiche, può considerarsi rettilineo. E' possibile passare da un sistema di coordinate
all'altro utilizzando formule.
Al fine di poter descrivere la superficie terrestre in modo matematico, il metodo da seguire é quello
di individuare un insieme finito di punti posti sul terreno e darne la loro posizione in un definito
sistema di coordinate. L'insieme di questi punti costituisce una rete geodetica che ci fornisce una
rappresentazione della superficie fisica della Terra. Questa sarà tanto più dettagliata quanto più alta
sarà la densità dei punti che verranno misurati. Le reti possono essere di tre categorie:
• reti altimetriche o verticali: forniscono una sola coordinata precisa, la quota H rispetto al
geoide. La posizione planimetrica dei punti di osservazione è invece generalmente
approssimativa.
• reti planimetriche orizzontali: forniscono una coppia di coordinate precise, latitudine ϕ e
longitudine ω, mentre la quota associata è generalmente poco precisa.
• reti planoaltimetriche o tridimensionali (3-D): forniscono le tre coordinate latitudine ϕ,
longitudine ω e quota H in maniera precisa.
I punti di osservazione delle reti altimetriche vengono detti caposaldi, tutti gli altri vertici. Le reti
vengono classificate in ordini: le reti del primo ordine sono quelle caratterizzate dalla maggiore
precisione possibile dipendente dalle tecniche di misura adottate e dalla notevole distanza tra i punti
di osservazione (fino a 50-60 km). Quelle del secondo ordine e del terzo ordine, hanno precisioni
sempre più basse e distanza sempre minori.
Reti altimetriche
Le reti altimetriche adottano in genere come superficie di riferimento il geoide per le reti del primo
ordine. La distanza tra i caposaldi è compresa tra 1 e 2 km. La precisione con cui vengono
determinate le quote assolute dei caposaldi è dell'ordine delle decine di cm. Si deve tenere presente
che invece la precisione con cui si vengono determinate le differenze di quota tra coppie di
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caposaldi adiacenti e molto alta (quote relative). Nelle reti del primo ordine è generalmente di 1-2
mm tra punti distanti tra loro 1 km. In tutti i paesi esistono caposaldi di livellazione ed esistono
milioni di punti quotati. In Italia, la rete dell'Istituto Geografico Militare consta di circa 18.000
caposaldi (fig.21).
Reti planimetriche
Per la descrizione delle reti planimetriche, si adotta come superficie di riferimento l'ellissoide per la
rete del primo ordine. In genere, la distanza tra i vertici è di alcune decine di km. Ovviamente la
limitazione per la misura di queste reti è costituita dalla intervisibilità tra i punti di osservazione.
Per questo motivo i vertici delle reti sono frequentemente posti in luoghi rilevati (rilievi naturali,
edifici). Nelle reti degli ordini inferiori le distanze tra i vertici sono minori. La precisione nella
posizione relativa tra i vertici è di circa 10 cm per una distanza di 10 km (esprimibile anche come 1
x 10-6).
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Figura 22 rete geodetica italiana del primo ordine dell'IGM
Reti plano-altimetriche
Una rete plano-altimetrica si ottiene dalla combinazione della posizione planimetrica (latitudine ϕ e
longitudine ω) con quella altimetrica (H) di punti di osservazione appartenenti a reti planimetriche e
altimetriche distinte. Si ottiene quindi una terna di coordinate (ϕ, ω, H) oppure (ϕ, ω,h) o ancora
(X,Y,H) nel sistema geocentrico.
Figura 23 rapporti tra ellissoide, geoide e superficie topografica: h = altezza rispetto all'ellissoide;
H = altezza rispetto al geoide; N = scostamento geoide-ellissoide. h = H+N.
Una rete planoaltimetrica può anche essere misrata utilizzando tecniche geodetiche che permettono
di ricavare tutte e tre le coordinate, come ad es. quelle che possono essere effettuate con tecniche
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spaziali da satelliti artificiali. Tra queste il GPS è quella più utilizzata per la versatilità, precisione e
costi bassi. Inoltre non hanno le limitazioni imposte dalla intervisibilità tra i punti di osservazione.
Figura 24 La rete GPS IGM95. Poiché il GPS fornisce anche un valore di quota, le reti GPS sono
planoaltimetriche
Hj = Hi + Δij
dove Hj è l'altezza rispetto al geoide del punto J e Hi del punto I; Δij è la loro differenza di quota.
Figura 25
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Si deve però tenere presente che le superfici equipotenziali non sono parallele tra loro. Durante un
rilievo la somma dei dislivelli su un percorso chiuso dovrebbe essere zero. A causa degli inevitabili
errori di misura, la somma dei dislivelli misurati sarà diversa da zero anche se disponiamo di misure
sovrabbondanti. Utilizzando metodi di compensazione, si possono correggere gli errori sui dislivelli
misurati affinchè siano rispettate le condizioni teoriche.
Figura 26
Fig. 27
Si può dimostrare che se il triangolo è contenuto in una zona di circa 100 km di raggio, cioè
all'interno del campo sferico e geodetico, questo può essere considerato sferico (campo della
trigonometria sferica). Si può utilizzare il teorema di Legendre che postula: un triangolo sferico i
cui lati l siano piccoli rispetto al raggio R può essere calcolato, a meno di termini in (l/r)4 , come un
triangolo piano aventi i lati uguali a quelli del triangolo sferico rettificati e gli angoli ridotti di un
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terzo dell'eccesso sferico ε = A/R2, dove A = area del triangolo sferico ed R = raggio della sfera
(trigonometria piana).
Figura 28 Triangolo sferico e teorema di Legendre. ρ = raggio del meridiano; N = gran normale
Figura 29 Triangolo piano. Caso di campo piano o topografico per zona di circa 15 km
Anche per le reti planimetriche, se ci sono misure sovrabbondanti, si può operare una
compensazione per stimare gli errori di misura.
I vertici e i caposaldi delle reti devono essere sagnalati in maniera permanente e adeguata. In taluni
casi si possono anche usare dei segnali provvisori per certe operazioni di misura.
Reti altimetriche
Il caposaldo svolge la funzione di materializzare un punto di cui si vuole determinare la quota. Deve
essere progettato in modo che sia possibile appoggiarvi la stadia. I cosiddetti caposaldi orizzontali
sono generalmente posti in pozzetti apribili oppure a muro.
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Figura 30 Tipi di caposaldi della rete di livellazione italiana.
I cosiddetti caposaldi verticali (ausiliari) sono piastrine con una linea incisa o con una mensola che
presenta una calottina sferica. Sono murati su una parete a circa 2 metri di altezza dal suolo (non si
usa la stadia ma un semplice metro o una speciale stadietta a sospensione) in corrispondenza di
edifici.
Figura 31 Caposaldi verticali. Notare la linea incisa o la calottina sferica sulla mensola.
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Reti planimetriche
In zone montuose o in genere rilevate, dove normalmente non occorre sopraelevare il vertice, le reti
presentano pilastrini a centramento forzato. Cioè che gli strumenti di misura e i segnali di
collimazione hanno un alloggiamento fisso, costituito da un foro nella testa del pilastrino o da tre
scanalature a 120°.
Figura 33 Pilastrini della rete geodetica italiana (sezione e pianta). Generalmente alti 120 cm.
Quello a sezione triangolare è in ferro (modello Trombetti)
Nelle zone di pianura dove occorrono vertici sopraelevati, spesso si sfruttano edifici alti come ad es.
campanili. In genere, l'asse del campanile individua la posizione planimetrica, mentre la quota è
riferita al cosiddetto piano di paragone (pp), come per esempio il davanzale di un finestrone. Per i
vertici di minore importanza si possono usare dei centrini a terra. Come segnali provvisori si usano
frequentemente picchetti di legno.
Figura 34 a) campanile b) segnale provvisorio (ad es. croce verniciata, picchetto, ecc.)
5) MONOGRAFIE
i punti delle reti altimetriche e planimetriche (IGM, catasto, geofisiche, ecc.) vengono descritti in
schede monografiche dove, insieme alle coordinate, sono riportate tutte le informazioni utili per
l'individuazione del caposaldo o del vertice. La disponibilità di monografie chiare e ben strutturate,
costituisce un indispensabile complemento alla descrizione delle reti.
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Figura 35 Esempio di monografia
Per auttuare un rilievo della superficie terrestre mediante reti misurabili con tecniche classiche
(terrestri), è necessario effettuare misure di angoli, distanze e dislivelli. Si deve quindi disporre di
strumenti che misurino angoli (goniometri), distanze (distanziometri) e dislivelli (livelli).
Goniometri (o teodoliti)
Sono costituiti da un cannocchiale collimatore provvisto di reticolo, in grado di ruotare intorno ad
un asse orizzontale e ad uno verticale. Può quindi misurare angoli orizzontali e verticali. La misura
viene effettuata leggendo il valore angolare su appositi cerchi graduati. Nei teodoliti elettronici la
misura dell'angolo viene eseguita automaticamente dallo strumento e memorizzati su supporti
magnetici. A volte si distingue tra teodoliti e tacheometri, chiamando teodoliti i goniometri più
precisi, dotati di sistemi di lettura micrometrici (precisione di lettura di circa 0,1"÷ 5") e tacheometri
quelli meno precisi, cioè privi di sistemi micrometrici (precisione di lettura generalmente di 30").
a b
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a b
Distanziometri
La misura di distanze può essere effettuata mediante misura diretta utilizzando:
• triplometri, cordelle, ecc (precisione di alcuni cm/100 m)
• fili di invar (precisione di 1 mm/km)
La misura indiretta delle distanze può essere effettuata utilizzando ildistanziometro anallattico.
Il cannocchiale di un qualunque strumento topografico (teodolite, tacheometro, livello) può essere
dotato di reticolo distanziometrico. Le due tacche superiore e inferiore, definiscono un angolo
parallattico ω, caratteristico dello strumento, che permette di misurare la distanza D misurando
l'intervallo H determinato su una stadia (posta all'altro estremo della distanza da misurare) dai due
trattini distanziometrici.
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Figura 38 Reticolo distanziometrico
Figura 39
H
D = ⎯⎯⎯⎯⎯ = KH generalmente K = 100
2tg ω
2
D = KH sen2 ϕ
Figura 40
24
La misura di distanze mediante distanziometri, sono in parte misure elettroniche (dirette e indirette).
Questo strumento emette un onda luminosa o para-luminosa, con lunghezza d'onda dell'ordine del
micron (1 μm = 10-6 m), particolarmente adatta al trasporto di energia (onda portante). Questa viene
modulata generalmente in ampiezza per ottenere una lunghezza d'onda λ più adatta alla misura
(onda modulante). Generalmente si usa una lunghezza d'onda λ = 10 m. L'onda emessa dallo
strumento viene riflessa da un prisma retrodirettivo e ritorna allo strumento.
La misura viene eseguita automaticamente dal distanziometro, che calcola quante volte η la
semilunghezza d'onda della modulante λ/2 è contenuta nella distanza da misurare D. A questa viene
aggiunta la frazione di semilunghezza d'onda, valutata attraverso la misura dello sfasamento ϕ fra
onda emessa e onda rientrante, quindi:
λ ϕ λ
D = η ⎯⎯ + ⎯⎯ ⎯⎯
2 2π 2
La determinazione di η avviene attraverso l'impiego di due o più valori di λ (λ1, λ2, ...).
Naturalmente esistono problemi connessi con la propagazione dell'onda nell'atmosfera, di cui si
tiene conto per mezzo di opportune correzioni.
La distanza massima operativa può essere anche oltre 50 km, sebbene di solito sia molto inferiore.
La precisione è in genere di 1 cm ± 1 mm/km (ma può variare a seconda delle caratteristiche dello
strumento).
Livelli
Un livello è uno strumento capace di dare una linea di mira orizzontale. Questa è ottenuta per
mezzo di una livella torica collegata al cannocchiale, oppure tramite un compensatore. Quest'ultimo
è un sistema pendolare che assicura automaticamente l'orizzontalità della linea di mira (livello
automatico o autolivello).
25
a b
Ponendo il livello a uguale distanza tra due stadie poste sui due punti A,B fra i quali si vuole
determinare il dislivello e facendo le letture lA ed lB alle due stadie, il dislivello è dato da:
Δ = lA - lB
Il livello si pone nel mezzo per eliminare l'influenza dell'errore di orizzontalità della linea di mira e
altri errori.
7) RILIEVO PLANIMETRICO
Si attua partendo dalle reti planimetriche (anche chiamate trigonometriche o di inquadramento). Si
possono distinguere le seguenti metodologie di rilievo:
Triangolazioni
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Consideriamo ad esempio la triangolazione della rete italiana. Questa è costituita da 4 ordini:
• rete del I ordine, fomata da vertici distanti 50-60 km;
• rete del II ordine, di raffittimento, con vertici posti all'incirca nel baricentro dei triangoli
della rete del I ordine;
• rete del III e IV ordine, di raffittimento, anch'esse con vertici disposti secondo la stessa
geometria precedente, ma al baricentro dei triangoli della rete del II e III ordine.
Figura 44 Esempio di una rete geodetica con vertici del I, II e III ordine
Quando venne realizzata la rete italiana del I ordine (intorno al 1880) non esistevano i moderni
distanziometri elettronici o il GPS. Era quindi difficile ottenere precisioni elevate per la misura
delle distanze dei sui lati, lunghi anche decine di km. Si poteva fare una misura diretta con apparati
ad aste (lunghezza 4 m) oppure con fili di invar lunghi 24 m (l'invar è una lega Fe-Ni con
coefficiente di dilatazione termica di 10-6 ÷ 10-7, quindi di estensibilità estremamente ridotta e per
questo molto preciso). La precisione di questi sistemi è di circa 10-6, cioè di 1 mm/km. Per questo
vennero utilizzate soprattutto le misure angolari avvalendosi di teodoliti di precisione. Vennero
misurate solo 9 basi. Data la grande lunghezza della rete del I ordine, non furono misurati
direttamente i lati della rete, ma basi sensibilmente più corte, dette basi misurate. Da queste,
attraverso piccole reti di triangolazione locale, dette reti di sviluppo della base misurata, si passò ad
altrettanti lati della rete di triangolazione, dette basi calcolate.
Si adottò quindi questa strategia di misura perché era impossibile trovare lati di 50-60 km su terreno
pianeggiante e privo di ostacoli. L'unica zona dove fu possibile misurare le basi più lunghe della
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rete fu quella del Ticino, dove ne venne misurata una di circa 10 km. Date le modalità di misura, le
distanze misurate sono già ridotte all'orizzontale (alla quota media della base), ma devono essere
ridotte al livello del mare secondo la:
R
S = D ⎯⎯⎯
R+H
R= ρN
Figura 46
Per le successive misure angolari furono adottate le tolleranze di 0,6" per la rete del I ordine e di
1,2" per la rete del II ordine.
ω (p-a) (p-b)
tg ⎯⎯ = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯
2 p (p-c)
1
p = ⎯⎯ (a+b+c)
2
S=ωR
28
Figura 47
Osservazioni condizionate
In queste si impone il rispetto di certe condizioni, che sono di tre tipi:
equazioni poligonali: la somma degli angoli interni di un triangolo deve essere 180° (più
eventualmente l'eccesso sferico). Generalmente però non si otterrà 180° a causa degli inevitabili
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errori di misura. Sommando i valori misurati α*, β*, γ*, si può scrivere: α* + β* + γ* = 180° + W,
dove W è l'errore di chiusura.
Figura 48
Si introducono allora delle correzioni Vα, Vβ, Vγ (incognite) da sommare ai valori misurati in modo
da imporre il rispetto dell'equazione di condizione: α* + Vα + β* + Vβ + γ* + Vγ = 180°
cioè Vα + Vβ + Vγ + W = 0
Figura 49
Equazioni laterali: ogni lato in più di quelli necessari a rendere rigida la rete da luogo ad una
equazione (in fig. 46 ad es. posso eliminare un solo lato senza indebolire la rete). Per scrivere
l'equazione si calcola un lato sfruttando triangoli diversi e si eguagliano i due valori, tenendo in
conto i valori misurati più le correzioni incognite.
Equazioni alle basi: per dimensionare una rete basterebbe misurare un solo lato. Ogni lato misurato
in più da luogo ad una equazione che si scrive in maniera analoga a quella laterale.
30
Figura 50
Tra poligonali, laterali e alle basi, avremo scritto tante equazioni di condizione quanto sono le
misure sovrabbondanti, in tante incognite V quanti sono gli elementi misurati. Poichè il numero di
incognite risulta maggiore del numero di equazioni, il sistema non è determinato ma ammette
infinite soluzioni. Per esempio in un triangolo in cui si misurano tre angoli e un lato, si ha una
equazione poligonale Vα + Vβ + Vγ + W = 0.
Si determina la soluzione più plausibile imponendo che le incognite soddisfino oltre alle equazioni
di condizione, anche al principio dei minimi quadrati: Σ ν2 = min. Se le misure hanno lo stesso peso,
quindi la stessa precisione, oppure se Σ p ν2 = min, se hanno pesi diversi. Una volta compensate le
misure, si passa al calcolo delle coordinate.
osservazioni indirette
Si fa un calcolo approssimato delle coordinate sfruttando una parte delle misure eseguite in numero
strettamente necessario e sufficiente. Si introducono poi delle correzioni (incognite) da dare ai
valori approssimati per ottenere quelli più plausibili. Tali correzioni si ricavano imponendo che i
residui di osservazione ν, cioè le differenze tra i valori misurati α*, D* e quelli più plausibili α, D,
che contengono le condizioni incognite, soddisfino al principio dei minimi quadrati: Σ ν2 = min ed Σ
p ν2 = min.
In particolare si possono avere:
equazioni agli angoli αi- αi* = νi
equazioni alle distanze Dij - Dij* = νij
dove αi* e Dij* sono i valori misurati, mentre αi e Dij sono quelli più plausibili, funzioni delle
coordinate approssimate: __ __
Xi, Yi, ...
31
Figura 51
In passato si preferiva il primo metodo, perché da luogo ad un minor numero di equazioni. Oggi si
preferisce il secondo, perché le equazioni sono più facili da scrivere e con gli elaboratori elettronici
si possono risolvere rapidamente sistemi con elevati numero di equazioni.
Oltre al valore più plausibile delle coordinate, è possibile calcolare i parametri dell'ellisse standard
di errore. Questo rappresenta un intorno entro il quale vi è la probabilità (generalmente il 39%, pari
a 1σ, ma anche al 95%, pari a 2σ) che cada la posizione teorica del vertice.
Intersezioni
Risolta così la nostra rete, abbiamo le coordinate dei punti, che nel caso della rete di triangolazione
italiana, sono posti mediamente alla distanza di 5 km (dal I al IV ordine). E' una densità ancora
troppo bassa per passare direttamente al rilievo di dettaglio anche per carte a piccola scala, cioè
<1:25.000. Non conviene raffittire ulteriormente la rete, ma conviene riattaccare punti isolati per
mezzo delle intersezioni, di cui si hanno vari schemi.
Intersezione in avanti
A, B = vertici noti
P = vertice da misurare
α, β = angoli misurati con teodolite
c = note (calcolate)
2n-3=3
(α, β, c)
Figura 52
32
Intersezione laterale
A, B = vertici noti
P = vertice da riattaccare
α, γ = angoli misurati con teodolite
c = note (calcolate)
2n-3=3
(α, γ, c)
Figura 53
A, B, C = vertici noti
P = vertice da riattaccare
α, β = angoli misurati con teodolite
a, b, γ = note (calcolate)
2n-3=5
(α, β, γ, a, b)
Figura 54
Poligonali
33
Con le intersezioni possiamo arrivare ad avere un vertice ogni 2 km circa. Non conviene per
distanze superiori. Si ricorre allora alle poligonali, spezzate con lati di un centinaio di metri, che
congiungono generalmente vertici riattaccati che sono orientate su vertici delle reti trigonometriche.
Figura 55
Gli angoli α sono calcolabili con il tacheometro; le distanze l con il distanziometro elettronico,
anallattico, triplometri,...
Si può verificare che in uno schema come quello in figura 52, ci sono tre misure sovrabbondanti:
quindi la compensazione può essere fatta in modo rigoroso. Si rimanda a testi completi di topografia
per una trattazione estesa del metodo. Le poligonali ora descritte sono dette ordinarie o
tacheometriche. Si possono fare anche poligonali con lati molto più lunghi usando un teodolite
accoppiato ad un distanziometro elettronico. In tal caso si dicono geodimetriche.
Rilievo di dettaglio
Una volta determinate le coordinate dei vertici di poligonale, è facile determinare la posizione dei
punti di dettaglio per mezzo di misure di angoli e distanze. Queste possono essere eseguite con
teodolite e distanziometro elettronico, in dipendenza delle distanze e delle precisioni richieste. La
precisione dei punti di dettaglio dipende infatti dalla scala della carta che si vuole realizzare.
Figura 56
Indicando con 1:n la scala della carta e con ε l'errore di graficismo (generalmente 0.2 mm), la
precisione richiesta per i punti di dettaglio è dato da ε⋅n. Ad esempio, per una carta in scala
1:10.000, la precisione richiesta è di 2 m).
34
8) RILIEVO ALTIMETRICO
Livellazione trigonometrica
La superficie di riferimento è la sfera locale di (raggio = ρ N). La verticale e la normale alla sfera
si suppongono coincidenti. Se voglio determinare il dislivello ΔAB = HB - HA fra A e B, con un
teodolite misuro contemporaneamente gli angoli zenitali reciproci γA e γB. Dove γ è l'angolo tra la
verticale per il punto di stazione e la tangente alla traiettoria luminosa.
Figura 57
Questa, per effetto della rifrazione, è una linea curva che per semplicità si può assimilare ad un arco
di circonferenza di raggio r. E' comunque necessario già conoscere, da misure o da calcoli, la
distanza S tra i due punti e fare una stima approssimata della quota media HM.
HA + HB
Quindi HM = ⎯⎯⎯⎯⎯
2
HM ψA - ψB
HB + HA = S 1 + ⎯⎯⎯ tg ⎯⎯⎯⎯⎯
R 2
si può anche misurare soltanto ψA, ma in tal caso si deve poter stimare il coefficiente di rifrazione
K, definito dalla:
R
K = ⎯⎯
r
Durante le ore del giorno K = 0.12÷ 0.15.
35
La stima di K si può fare con formule oppure utilizzando grafici e tabelle, in funzione dei parametri
atmosferici. Questi ultimi, in particolari valori di temperatura e pressione misurabile a terra con gli
psicrometri. Si ottiene:
HM 1- K
HB + HA = S 1 + ⎯⎯⎯ cot ψA - ⎯⎯⎯ S
R 2R
Per brevi distanze, inferiori a 2 ÷ 3 km e quote medie non molto elevate, si può usare una formula
approssimata:
1-K
HB - HA = S cot ψA + ⎯⎯ S2 (a - b)
2R
dove:
a = altezza strumento
b = altezza mira
Per distanze fino a circa 100 m, la precisione di questo metodo è di circa 1÷ 2 cm/km (misure con
teodolite ed errore sulla distanza di circa 10-5).
Oltre i 10 km non conviene, perchè l'errore tende ad aumentare con il quadrato della distanza e
raggiunge rapidamente valori dell'ordine del metro. La ragione è che per distanze fino a 10 km è
predominante l'errore sulla misura di ψA (termine in S), oltre i 10 km diviene predominante l'errore
della stima di K (termine in S2). Per distanze di poche centinaia di metri, il termine
1-K
⎯⎯ S2
2R
che tiene conto della curvatura della superficie di riferimento e della rifrazione, diventa trascurabile
e si può scrivere semplicemente:
HB - HA = S cot ψA
ciò equivale a considerare la superficie di riferimento piana in assenza di rifrazione. In tal caso si
parla di livellazione tacheometrica. Utilizzando proprio un tacheometro e misurando la distanza con
triplometri, la precisione è di circa 5cm/100 m.
Livellazione geometrica
Mettendo un livello a uguale distanza da due stadie poste su due punti distanti non più di 80-100
metri, ottengo il dislivello come differenza fra lettura indietro e lettura avanti.
ΔAB = li - la
36
Figura 58
Il dislivello così ottenuto è la differenza tra le quote HB e HA, riferite al geoide, purché le superfici
equipotenziali possano essere considerate simmetriche rispetto alla verticale per il punto di stazione.
Se i punti sono distanti più di 100 m, dovrò ripetere successivamente questa operazione. Il dislivello
sarà dato dalla:
ΔAB = Σ li - Σ la
Figura 59
Affinché questo dislivello corrisponda alle differenze tra le due quote HB e HA riferite al geoide,
occorre fare l'ipotesi che le superfici equipotenziali siano parallele. Questa ipotesi è accettabile per
distanze di qualche km, ma che non è corretto applicarle per distanze di centinaia di km (nella
direzione dei meridiani). Si introducono allora diversi tipi di quote, non geometriche: dinamiche,
geopotenziali, ecc. Se si usa un livello di precisione, caratterizzato da una livella a coincidenza o
compensatore di analoga sensibilità (almeno 0,2"), di un micrometro ottico (lamina piano - parallela
posta davanti all'obbiettivo) per letture a coincidenza e di una coppia di stadie invar, si può
realizzare la livellazione geometrica di precisione. Questa è caratterizzata in genere da una
precisione di 1mm/km. I tratti tra caposaldo e caposaldo devono essere misurati in andata (A) e
ritorno (R). La tolleranza, espressa in mm se la distanza D è in km, è data dalla:
A+R<3 D
37
9) IL SISTEMA DI POSIZIONAMENTO SATELLITARE GLOBAL POSITIONING
SYSTEM (GPS)
38
Nonostante tali svantaggi, in molte applicazioni in ambito geodetico il GPS è ormai in grado di
sostituire completamente (o quanto meno di integrare notevolmente) le tecniche di rilievo
tradizionale.
Esso risulta particolarmente indicato per il rilievo periodico di reti geodetiche finalizzate al
controllo delle deformazioni in ambito locale, regionale ed anche continentale.
39
calcolarne le effemeridi e le correzioni degli orologi e di caricarle sulle loro memorie di banda. A
Colorado Springs (U.S.A.) è situata la cosiddetta stazione principale di controllo (MCS), cui
confluiscono e vengono processati tutti i dati registrati nelle MSS. Le GCS costituiscono infine il
40
Esistono oggi svariati tipi di ricevitori che si differenziano per l’uso di una singola o doppia
frequenza, per la strategia adottata nella decodifica del segnale, per la precisione che forniscono nel
posizionamento, per la capacità di memorizzare dati, ecc..
In generale, uno strumento GPS è costituito da:
• un‘antenna ricevente con preamplificatore, che può essere separata o inglobata nel ricevitore;
• un ricevitore, dotato di visore e tastiera per il controllo dell’apparato, con all’interno un
oscillatore di precisione al quarzo;
• una batteria di alimentazione, di norma esterna all’apparato principale;
• una dotazione di cavi per il collegamento dei componenti o di questi ad altre unità;
• un software per la gestione dei processi di acquisizione e di memorizzazione presente su ROM
all’interno dello strumento.
Gli strumenti attualmente in commercio possono essere suddivisi in due categorie alle quali
corrispondono due diverse metodologie operative:
• strumenti in grado di determinare esclusivamente la posizione assoluta del punto (metodo del
point positioning) attraverso misure di pseudorange;
• apparati che oltre allo pseudorange sono in grado di eseguire misure di fase sulle onde portanti
del segnale, consentendo un posizionamento relativo tra più strumenti che hanno acquisito
contemporaneamente (metodo del differential positioning).
Delle differenze tra i due tipi di misure sopra accennati si tratterà più ampiamente nelle pagine
successive.
41
Le due portanti vengono modulate mediante tre codici:
• C/A (Course Acquisition) con frequenza fC/A pari a 1/10 x f0; si ripete ogni millesimo di secondo
ed è diverso per ogni satellite per permetterne l’individuazione.
• P (Precise) con frequenza fP pari a f0; si ripete ogni 267 giorni, periodo che viene suddiviso in
segmenti di 7 giorni, ciascuno assegnato ad un satellite.
• D (Data) con frequenza fD pari a 50 Hz consiste in 1500 bit inviati in 30 s.
I primi due sono detti Pseudo Random Noise (PRN, rumori pseudo-casuali) in quanto realizzati
tramite una sequenza pseudo casuale di +1 e –1. Il terzo è anch’esso un codice binario, ma
strutturato in modo da fornire un ben preciso messaggio: parametri di correzione degli orologi,
effemeridi predette, almanacco e stato di salute dei satelliti, modello ionosferico ed altri indici (n°
settimana GPS, precisione delle effemeridi del satellite, ecc.).
42
ricevitore per poter poi essere utilizzate in sede di elaborazione e consentendo inoltre il
posizionamento in tempo reale.
Vengono inoltre messe a disposizione le cosiddette effemeridi precise (o calcolate), che si basano
sul tracciamento dei satelliti da parte della rete di stazioni permanenti dell’IGS - International GPS
Service. Tali effemeridi hanno una precisione molto superiore rispetto alle precedenti (circa 20 cm),
in quanto non si tratta di orbite predette ma di orbite ricalcolate. Le effemeridi precise sono
disponibili generalmente due settimane dopo la raccolta dei dati e quindi non possono essere
utilizzate per il posizionamento in tempo reale.
dij = ( Xi − X j )2 + ( Y i − Yj )2 + ( Z i − Z j )2 (1)
avendo posto:
d ij = distanza geometrica tra satellite i e ricevitore j;
43
X j ,Y j , Z j = coordinate del ricevitore j (incognite);
Affinchè sia possibile determinare la posizione di quel punto in quello istante è quindi necessario
misurare la distanza tra il punto in questione ed almeno tre satelliti.
Questa misura è effettuata sui codici modulanti le portanti, i quali permettono di determinare il
tempo necessario al segnale per giungere dal satellite alla stazione di ricezione.
Operativamente la misura viene effettuata confrontando il segnale proveniente dal satellite con
quello riprodotto all’interno del ricevitore (fig. 64); si valuta quindi di quanto deve essere traslata la
replica, sull’asse dei tempi, per ottenere l’allineamento con il codice ricevuto (in corrispondenza
della massima correlazione tra i codici). Il ritardo ΔT tra i due codici, il cosiddetto time delay,
rappresenta proprio il tempo che il segnale impiega a coprire la distanza incognita ed è ottenuto
come differenza tra l’origine del tempo di ricezione Tj (letto sull’orologio del ricevitore j) e quella
del tempo di trasmissione Ti (letto sull’orologio del satellite i):
ΔTji = Tj − T i (2)
Indicando con ΔTji l’intervallo temporale necessario al segnale per giungere dal satellite i al
ricevitore j e moltiplicandolo per la velocità di propagazione del segnale c (velocità della luce nel
vuoto), si ottiene una lunghezza che rappresenta lo pseudorange (o pseudo distanza):
p ij = cΔTji (3)
Si parla di pseudorange in quanto la grandezza così determinata è una distanza affetta dall’errore di
sincronismo tra l’orologio del ricevitore e quello del satellite (oltre che da altri errori di minore
entità verranno introdotti in seguito). Infatti l’espressione (3) non può essere considerata corretta
poiché richiederebbe che tutti gli orologi (satelliti e ricevitore) fossero costantemente sincronizzati.
Al contrario, mentre gli orologi dei satelliti si possono ritenere adeguatamente sincronizzati tra loro,
ciò non è valido per il ricevitore (fig. 65).
Codice satellite
44
Viene quindi introdotta nel problema un’ulteriore incognita rappresentata dal difetto di
sincronizzazione (offset) tra i tempi dei due gruppi di orologi:
ρij
ΔTji = (Tj − T i ) = ( t j − t i ) + (dt j − dt i ) = + (dt j − dt i ) (4)
c
in cui:
(dt j − dt i ) = difetto di sincronizzazone tra satellite i e ricevitore j, incognito.
p ij = ( X i − X j ) 2 + ( Y i − Yj ) 2 + ( Z i − Z j ) 2 + c(dt j + dt i ) (5)
essendo:
pij = pseudorange tra satellite i e ricevitore j, misurato;
Ti
Orologi satelliti
i tj
t
Tempo GPS
Tj
Orologio ricevitore
dti dt j
ΔTji = pij / c
ρij / c
Ogni satellite osservato fornisce una equazione del tipo (5) e quindi è possibile determinare la
posizione del ricevitore risolvendo un sistema di almeno 4 equazioni che contengono le sole
45
incognite di posizione e del difetto di sincronizzazione. Tale operazione viene eseguita dal software
del ricevitore in tempo reale, fornendo ad ogni epoca di misura la posizione del ricevitore.
Gli stessi dati possono essere registrati ed elaborati in un secondo tempo così da modellizzare
analiticamente alcune cause di errore e rimuoverle parzialmente. Nel caso in cui siano osservati più
di quattro satelliti è possibile (sia in tempo reale che successivamente) stimare la soluzione secondo
il principio dei minimi quadrati, aumentando l’affidabilità del posizionamento.
Le precisioni massime conseguibili nella misura dello pseudorange dipendono dal codice sul quale
viene effettuata la misura; una regola pratica esprime la precisione come percentuale della
lunghezza d’onda del segnale (0.2 ÷ 1%):
• nel caso del codice C/A (λ≅ 300 m) l’incertezza è dell’ordine dei 0.5 – 3 m
• nel caso del codice P (λ ≅ 30 m) l’incertezza è di circa 0.1 – 0.3 m.
Vedremo però nel seguito che la presenza di altre cause d’errore impedisce generalmente di
raggiungere tali precisioni.
46
• la componente frazionaria consiste nello sfasamento ϕij ( t j ) ( 0 ≤ ϕij ≤ 1 ciclo) tra la fase
dell’onda portante inviata dal satellite all’epoca t j e la fase della copia della portante generata
cicli interi ricevuti dal satellite ed il numero di cicli interi generati dall’oscillatore interno al
ricevitore all’epoca t j rispetto all’epoca iniziale t 0 , equivalente alla variazione del numero
intero di lunghezze d’onda comprese nella distanza satellite-ricevitore tra le suddette epoche.
Se non vi fosse moto relativo tra il satellite ed il ricevitore, il principio della misura della distanza
satellite-ricevitore sarebbe uguale a quello su cui si basa il funzionamento del distanziometro ad
onde elettromagnetiche, quindi il problema si ricondurrebbe direttamente alla determinazione del
numero intero di lunghezze d’onda comprese nella distanza satellite-ricevitore (ambiguità di fase
N).
Si considerino due oscillatori (j, i) posti a distanza costante d che generano onde elettromagnetiche
di uguale frequenza f e si misuri lo sfasamento Φ ij ( t j ) tra le loro fasi in corrispondenza
ONDA OSSERVATA
Cicli
Fase frazionaria φ j ( t j )
i
Variazione dell’ambiguità di
fase ΔN( t 0 , t j )
Tempo (t)
47
τ = tempo di propagazione, ovvero il tempo impiegato dall’onda per percorrere la distanza d;
Φ iJ ( t j ) = fase dell’onda proveniente dall’oscillatore i ricevuta all’epoca t j dall’oscillatore j;
(uguale a Φ i ( t j − τ) ).
e ricordando che:
∂Φ j
=f
∂t
si ottiene:
d
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −fτ = − = −N( t j ) − ϕ j ( t j ) = −N − ϕij (7)
λ
in cui:
λ = lunghezza d’onda
d = distanza tra gli oscillatori
N = numero intero di lunghezze d’onda nella distanza d
ϕij = parte frazionaria dello sfasamento
Va notato che nella (7) l’ambiguità di fase e lo sfasamento rimangono costanti nel tempo, poiché
costante è la distanza d tra gli oscillatori.
Il moto relativo tra satellite e ricevitore fa invece variare nel tempo queste due quantità e quindi è
necessario misurarle continuamente entrambe. In pratica è però impossibile misurare l’ambiguità di
fase N( t j ) ad ogni epoca, mentre si può misurare la sua variazione nel tempo ΔN( t 0 , t j ) ; rimane
allora incognita solo l’ambiguità di fase all’epoca iniziale (ambiguità iniziale di fase N( t 0 ) ) poiché
sussiste la relazione:
N( t j ) = N( t 0 ) + ΔN( t 0 , t j )
Conseguentemente, sempre ipotizzando che non vi siano errori di nessun tipo, l’equazione di
osservazione relativa alla misura di fase risulta:
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t 0 ) − ΔN( t 0 , t j ) − ϕij ( t j ) (8)
Sulla base di quanto detto sopra è possibile considerare le misure di fase sotto due punti di vista
differenti ma equivalenti:
• come misure di distanze (variabili) affette da una ambiguità di fase incognita variabile nel
tempo:
48
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t j ) − ϕij ( t j ) ; (9)
• come misure di differenze di distanze affette da una ambiguità di fase iniziale incognita:
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t 0 ) − [ ΔN( t 0 , t j ) + ϕij ( t j )] . (10)
Φ ij ( t j ) = ϕij ( t j ) + ΔN( t 0 , t j ) ,
Per esplicitare le incognite geometriche nella (11) si procede in modo analogo a quanto fatto per
ricavare la (7) in cui compare la distanza d; si deve però tenere presente che in questo caso il tempo
di propagazione è variabile nel tempo e quindi si ottiene:
Φ ij ( t j ) = Φ j ( t j ) − Φ iJ ( t j ) − N( t 0 ) =
= Φ j ( t j ) − Φ i ( t j − τ( t j )) − N( t 0 ) =
= Φ j ( t j ) − Φ i ( t j ) + fτ( t j ) − N( t 0 ) =
ρ ij ( t j )
= Φ j (t j ) − Φ (t j ) + f
i
− N( t 0 ) (12)
c
I termini Φ j ( t j ) e Φ i ( t j ) sarebbero uguali se si operasse in condizioni ideali, poiché per ipotesi, in
tal caso, gli oscillatori del satellite e del ricevitore dovrebbero essere identici. Come già detto però,
esiste sempre un difetto di sincronizzazione (variabile nel tempo), esprimibile come differenza dei
rispettivi difetti di sincronizzazione al medesimo istante dt i ( t j ) , dt j ( t j ) , rispetto al tempo GPS.
Bisogna quindi introdurre nella (12) il termine relativo agli errori di orologio in termini di fase.
Essendo:
Φ i ( t j ) = Φ( t j ) + d Φ i ( t j )
Φ j ( t j ) = Φ( t j ) + d Φ j ( t j )
con:
Φ( t j ) = fase dell’oscillatore ideale
49
Φ j ( t j ) − Φ i ( t j ) = f (dt j − dt i )
ρij ( t j )
Φ ij ( t j ) = f (dt j − dt i ) + f − N( t 0 ) (13)
c
Nell’equazione di osservazione alla misura di fase compaiono in definitiva la seguenti incognite:
• 3 coordinate incognite del punto di stazione (Xj, Yj, Zj);
• l’incognita dovuta al difetto di sincronizzazione degli orologi (dt j − dt i ) ;
50
• indeterminazione dell’orbita dei satelliti (dρ, presente sia per le effemeridi “broadcast” che per
le “precise”, dovuta alla difficoltà di modellizzare tutte le forze non gravitazionali che
perturbano il moto dei satelliti;
• offset di sincronismo degli orologi dei ricevitori (dtj) e dei satelliti (dti);
• propagazione dei segnali attraverso l’atmosfera; in particolare si distinguono le perturbazioni
dovute alla ionosfera dion, parte ionizzata dell’atmosfera compresa tra i 50 ed i 100 Km di
quota, il cui effetto dipende dalla frequenza del segnale; e quelle dovute alla troposfera, la parte
dell’atmosfera soggetta a variazioni climatiche che va da 0 a 10 Km di quota, il cui effetto dtrop
dipende dal contenuto di umidità, dalla temperatura e dalla pressione.
Tipici delle sole misure di fase sono i biases di ambiguità delle onde portanti.
per ogni coppia ricevitore-satellite. Nel caso si verifichi una interruzione nella ricezione della
fase al tempo t '0 , al momento del “riaggancio” del segnale, al tempo t, la parte frazionaria della
misura di fase è la stessa di quella che si sarebbe ottenuta se non vi fosse stata la discontinuità,
ma il numero intero di cicli Nij ( t '0 , t ) intercorsi tra l’inizio e la fine dell’interruzione viene perso.
E’ proprio Nij ( t '0 , t ) l’entità del cycle slip. Concettualmente, sarebbe necessario introdurre una
nuova ambiguità incognita al tempo t, che riduce la ridondanza delle osservazioni e rende le
procedure di compensazione più laboriose. E’ però possibile nella maggioranza dei casi
identificare e rimuovere i cycle slips mediante un pre-processamento dei dati, attraverso una
sequenza di procedure automatiche, di volta in volta più raffinate.
• Multipath, fenomeno che peggiora il rapporto segnale/rumore, generato dalla contemporanea
ricezione del segnale proveniente direttamente dal satellite e di altri segnali riflessi da superfici
circostanti l’antenna (alberi, edifici, cartelli, ecc.). E’ possibile ridurre l’effetto usando
particolari tipi di antenne.
• Variazione del centro di fase dell’antenna, dovuta al fatto che le antenne non sono in grado di
ricevere i segnali in modo perfettamente isotropo sia azimutalmente che zenitalmente; uno
51
stesso segnale, ricevuto da due antenne di ugual tipo ma orientate diversamente, genera misure
diverse. Il problema può essere ridotto utilizzando antenne dello stesso tipo e orientandole tutte
nella stessa direzione.
ρ ij ( t j ) f
Φ ij ( t j ) =f + f (dt j − dt i ) + (dρ + dion + d trop + de) − N( t 0 ) (fase) (15)
c c
dove:
dti = errore di sincronizzazione del satellite i;
dtj = errore di sincronizzazione del ricevitore j;
dρ = errore dovuto all’incertezza dell’orbita dei satelliti;
dion = errore dovuto all’attraversamento della ionosfera;
dtrop = errore dovuto all’attraversamento della troposfera;
de = errore dovuto al rumore del segnale, al multipath ed alla variazione del centro di fase
dell’antenna.
52
9.6 Cenno alle tecniche di elaborazione
Gli errori accidentali hanno una entità notevolmente inferiore rispetto a quelli sistematici, e
vengono contenuti sia mediante una idonea architettura hardware che con un’opportuna scelta dei
punti di stazione.
Gli errori sistematici possono essere rimossi adottando particolari procedimenti operativi e
combinazioni delle osservazioni, in modo da eliminare alcune delle incognite e giungere alla
soluzione del problema, rendendolo comunque sempre iperdeterminato per aumentare la precisione
e l’affidabilità delle stime. I metodi operativi impiegati (per scopi geodetici di alta precisione)si
riducono in sostanza al calcolo di posizioni relative fra due ricevitori (basi GPS), in cui le
osservazioni vengono processate con i cosiddetti metodi differenziali: eseguendo opportune
differenze tra le osservazioni di fase, si riesce a ridurre o eliminare gli errori sistematici comuni alle
osservazioni coinvolte. In particolare vengono impiegate:
• le differenze singole tra ricevitori,
• le differenze singole tra satelliti,
• le differenze doppie,
• le differenze triple.
La differenza singola tra ricevitori (fig. 67) è la differenza delle misure di fase acquisite da
ricevitori che osservano lo stesso satellite, nello stesso istante; questa osservabile elimina
sostanzialmente i biases dei satelliti (errori degli orologi e di orbita), inoltre per basi corte (inferiori
a 10 – 15 Km), si ha in genere una forte riduzione dei ritardi atmosferici, poiché il segnale
attraversa praticamente la stessa porzione di atmosfera.
Se in maniera analoga si differenziano le osservazioni di un solo ricevitore su due satelliti si ottiene
la singola differenza tra satelliti (fig. 68), che elimina gli errori di orologio relativi al ricevitore. La
doppia differenza (fig. 69) è la differenza tra le misure ottenute da due ricevitori che osservano due
differenti satelliti simultaneamente. In questo caso si eliminano gli errori sistematici dovuti ai
ricevitori ed ai satelliti e se la base è inferiore ai 10 – 15 Km vengono ridotti notevolmente anche gli
errori di propagazione atmosferica. Le differenze doppie, inoltre, consentono la determinazione
delle ambiguità iniziali di fase come numeri interi, ma hanno, per la legge di propagazione della
covarianza, un rumore 2 volte superiore a quello della misura di fase originaria. Si deve poi
sottolineare che, a differenza delle misure originarie e delle singole differenze, le differenze doppie
sono generalmente correlate e ciò complica la loro elaborazione. La tripla differenza (fig. 70) è
ottenuta dalla differenza tra due doppie differenze calcolate in istanti diversi; oltre ad eliminare gli
errori sistematici, come la doppia differenza, essa è indipendente dalle ambiguità iniziali di fase e
consente l’identificazione e la prima correzione dei cycle slips. Per contro, nelle differenze triple si
53
ha un peggioramento della qualità delle misure per l’aumento del rumore pari a 2 2 volte quello
iniziale.
54
Figura 69 – Differenza doppia.
Se la lunghezza delle basi eccede i limiti sopra indicati, è necessario utilizzare ricevitori a doppia
frequenza. Attraverso la combinazione lineare delle frequenze portanti L1 e L2 è possibile ottenere
delle osservabili con caratteristiche particolarmente utili. Tra tutte le possibili combinazioni lineari
ne emergono tre definite convenzionalmente come L3, L4, L5.
55
La combinazione L3 ha lunghezza d’onda nulla e pertanto non risente dell’errore di ritardo
ionosferico, per tale motivo è detta anche iono-free. Il suo utilizzo nella stima dei parametri
incogniti consente di eliminare l’effetto della ionosfera, ma va anche detto che il rumore associato a
questa osservabile è valutabile intorno a 3 volte quello della portante.
La combinazione L4, detta anche geometry-free, risulta indipendente dallo sfasamento del tempo
del ricevitore e dalla geometria (coordinate e orbite) del sistema. Ha la caratteristica di avere
lunghezza d’onda infinita.
La combinazione L5, avendo una lunghezza d’onda pari a 86 cm, è particolarmente adatta alla
risoluzione delle ambiguità ed è chiamata anche wide-line. Ha lo svantaggio di essere caratterizzata
da maggior rumore.
Pseudorange
Tipo di osservabile
Fase
Assoluto
Tipo di posizionamento
Relativo
In tempo reale
Modalità di processamento dei dati
A posteriori
Statico
Modalità del posizionamento
Cinematico
Le misure di fase sono principalmente utilizzate per il rilievo geodetico. Quelle di pseudorange,
avendo una precisione inferiore, sono utilizzate essenzialmente per la navigazione.
Altra fondamentale distinzione è quella tra il posizionamento assoluto e relativo. Nel primo caso
vengono utilizzate le equazioni di osservazione (9) e (10) (essenzialmente solo la (9)) senza
procedere ad alcuna differenziazione; non vengono quindi eliminati gli errori sistematici relativi alle
effemeridi e per questo il metodo è usato prevalentemente nella navigazione con misure di
pseudorange. Al contrario, nel posizionamento relativo, quanto più le basi sono piccole rispetto alla
distanza fra il ricevitore e il satellite, tanto più le cause d’errore comuni ad entrambe le osservabili
(orbite, sincronia orologi, rifrazione atmosferica) tendono ad annullarsi nella differenza.
56
Il posizionamento in tempo reale viene utilizzato esclusivamente per la navigazione, è eseguito
principalmente con misure di pseudorange in modo assoluto o relativo, con una precisione non
molto elevata. Per scopi speciali, quali ad esempio l’atterraggio automatico di velivoli, si preferisce
il posizionamento relativo in tempo reale con misure di fase, che richiedono però particolari
condizioni al contorno riguardanti la geometria satellitare e le caratteristiche dei ricevitori GPS.
Esistono infine procedure statiche e dinamiche. Il metodo statico prevede che il sistema ricevitore-
antenna sia fermo rispetto alla terra durante la ricezione. Il metodo cinematico consiste nello
stazionamento di un ricevitore su di un punto noto, mentre un secondo ricevitore, posizionato su di
un mezzo mobile, registra in continuo.
Le applicazioni geodetiche di alta precisione finalizzate al controllo delle deformazioni, che in
particolare verranno considerate nel seguito, richiedono sempre rilievi in modalità statica con
misure di fase e posizionamento relativo. In tal caso, l’elaborazione dei dati acquisiti viene eseguita
a posteriori, anche perché spesso sono necessarie informazioni (effemeridi precise, parametri per la
correzione degli orologi dei satelliti) non disponibili al momento delle misure.
57
a = 6378137 m (semiasse maggiore)
f = 1/298.257 (schiacciamento)
Il centro e l’asse di rotazione dell’ellissoide coincidono con l’origine e l’asse Z del sistema
cartesiano, quindi le coordinate di un punto possono essere espresse sia in coordinate cartesiane
(X,Y,Z) che in coordinate ellissoidiche (ϕ, λ, h). Il vantaggio di operare con tale sistema a livello
mondiale è la possibilità di esprimere in un unico riferimento gli elementi geodetici e le coordinate
cartografiche in qualunque zona della Terra.
ZWGS8
Meridiano di Centro di massa
Greenwich della terra
Equatore
YWGS
XWGS
58
Per quanto concerne l'altimetria si pone un problema analogo: il GPS fornisce le quote ellissoidiche
rispetto all'ellissoide WGS84, nel sistema nazionale si adottano invece le quote ortometriche,
riferite al mareografo di Genova.
Per maggior chiarezza è bene ricordare le definizioni di quota ortometrica e ellissoidica (fig 72).
Da un punto P della superficie terrestre e' possibile individuare un solo punto corrispondente G del
geoide considerando la linea di forza del campo della gravità passante per P; la lunghezza dell'arco
di linea di forza PG è la quota ortometrica del punto P, indicata con H (fig. 72).
Se dallo stesso punto P si conduce la perpendicolare alla superficie ellissoidica nel punto E, la
lunghezza del segmento PE rappresenta la quota ellissoidica del punto P, indicata con h (fig. 72).
Lo scostamento della superficie geoidica rispetto a quella ellissoidica e' spesso descritto tramite
curve di livello che rappresentano l'ondulazione del geoide (N), definita come differenza tra la
quota geodetica h e la quota ortometrica H (fig. 72):
N=h-H
Da ultimo è importante sottolineare che, nel caso di reti GPS finalizzate al controllo delle
deformazioni, non vi è evidentemente alcuna necessità di trasformare le coordinate nel sistema
nazionale e tutte le analisi possono essere convenientemente svolte in coordinate WGS84.
NORMALE NORMALE
AL GEOIDE δ ALL’ELLISSOIDE
H
N G h SUPERFI
N CIE
GEOIDE
OCEANO E
ELLISSOIDE
59
60
Parte seconda
10) CARTOGRAFIA
La soluzione per le rappresentazioni cartografiche può essere affrontato dal punto di vista
geometrico. Infatti, molte delle rappresentazioni cartografiche più frequentemente utilizzate
possono ottenersi mediante costruzioni geometriche. Da qui il nome di proiezioni che talora
conservano.
61
10.3 Proiezioni per sviluppo
Il centro di proiezione è il centro dell'ellissoide.Il cilindro o il cono, può essere tangente o secante.
Sviluppando poi sul piano il cilindro o il cono, si ottiene la rappresentazione cartografica. Se l'asse
del cilindro o del cono coincide con l'asse terrestre, in questo caso si parla di proiezione diretta. Se
invece l'asse del cilindro è normale all'asse terrestre, si parla di proiezione inversa.
x = x (ϕ, ω) (1)
y = y (ϕ, ω)
62
che stabiliscono una corrispondenza biunivoca tra le coordinate geografiche sull'ellissoide e le
coordinate cartesiane sul piano della rappresentazione. La rappresentazione si trasforma da
numerica a grafica e da luogo perciò ad una carta, quando le coordinate dei punti vengono riportate
sul piano della carta ridotte alla scala 1:n della carta stessa.
Lo studio analitico delle rappresentazioni cartografiche non prende in considerazione l'aspetto
grafico. Ciò premesso, ricordando che l'ellissoide non è una superficie assimilabile ad un piano, si
hanno delle deformazioni. Dobbiamo quindi scegliere le eq.1 in modo da avere deformazioni
accettabili. Possiamo scegliere le (1) in modo da non avere deformazioni angolari, il che equivale a
conservare la similitudine delle figure infinitesime corrispondenti, accettando però che il rapporto di
similitudine sia diverso da punto a punto. Si hanno così le deformazioni isogoniche o conformi.
Figura 77
Figura 78
63
Elemento di base per lo studio delle rappresentazioni cartografiche è il modulo di deformazione
lineare, definito dalla:
dSr
M= ⎯⎯
dSe
Figura 79
se:
x = x (ϕ, ω) (1)
y = y (ϕ, ω)
δx δy
e = (⎯⎯ ) + (⎯⎯ )2
2
δϕ δϕ
δx δx δy δy
f = ⎯⎯ ⎯⎯ + ⎯⎯ ⎯⎯
δϕ δω δϕ δω
δx δy
g = (⎯⎯ ) + (⎯⎯ )2
2
δω δω
si dimostra che:
e f g
M2 = ⎯⎯ cos2 α2 + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
ρ2 ρr r2
64
dove:
Si vede che in generale m varia al variare di α (oltre che del punto). Si potrebbe dimostrare che in
generale a un circoletto infinitesimo con centro in P, corrisponde una ellisse infinitesima con centro
in P'.
La deformazione angolare, per quel punto e quella direzione, è data dalla differenza degli azimut:
δ = α' - α
dσr
M= ⎯⎯
dσe
si dimostra che
eg - f2
M= ⎯⎯⎯⎯
ρr
Figura 80
Tutte queste deformazioni sono presenti nelle carte afilattiche. Se si impone che m non vari con α,
cioè
δm
⎯⎯ = 0
δα
Per passare dalla fase analitica a quella grafica, si riducono gli elementi lineari nel rapporto 1:n che
rappresenta la scala della carta. La scala di una carta è il rapporto tra la lunghezza di un elemento
lineare misurato sul piano della rappresentazione e quella del corrispondente elemento oggettivo
misurato sulla superficie dell'ellissoide. Si deve poi tenere presente che durante la fase analitica, che
precede quella grafica, sono state introdotte delle deformazioni. Se il modulo di deformazione
lineare varia da punto a punto, significa che anche la scala varia. Nelle carte non conformi ciò
avviene anche al variare della direzione.
Tuttavia, se le deformazioni lineari massime, ridotte alla scala della carta, sono inferiori all'errore di
graficismo, pari a circa 0,2 mm, la carta può essere considerata priva di deformazioni lineari. In
questo caso è equidistante e si potrà parlare di scala unica e costante della carta. Questo si ottiene
riducendo in maniera opportuna il campo della rappresentazione, cioè la porzione di ellissoide da
rappresentare.
ponendo
eg - f2
M= ⎯⎯⎯⎯ = 1
ρr
δx δy δy δx
⎯⎯ ⎯⎯ - ⎯⎯ ⎯⎯ = ρ r (4)
δϕ δω δϕ δω
che rappresenta l'equazione generale delle rappresentazioni equivalenti. Per definire una particolare
rappresentazione equivalente, bisogna imporre due condizioni al contorno. Vediamo per esempio la
proiezione di Flamsteed. Questa è una rappresentazione equivalente di interesse storico, che fu
adottata anche dall'IGM per la Carta d'Italia.
66
Figura 81
La zona da rappresentare è definita da una coppia di meridiani e una coppia di paralleli. Gli assi x
ed y sono rispettivamente il meridiano e il parallelo per il punto centrale O.
Le condizioni al contorno sono che
1) i paralleli sono rappresentati da rette parallele all'asse y. Ciò significa che:
x = x ( ϕ)
quindi
dx
⎯⎯ = 0
dω
quindi
dx
⎯⎯ = ρ
dϕ
dy
⎯⎯ = r = N cos ϕ
dω
dx δy
67
⎯⎯ = ρ e ⎯⎯ = N cos ϕ
dϕ δω
si ha:
Deformazioni lineari
1
m = 1 - ⎯⎯ (ω - ω0) sen ϕ sen 2α
2
deformazioni angolari
Imponendo che il modulo di deformazione lineare, il cui quadrato è dato dalla (2):
e f g
m = ⎯⎯ cos α + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
2 2
ρ2 ρr r2
δ m2 e g
⎯⎯ = 0 da cui ⎯⎯ = ⎯⎯ ; f = 0
δα ρ2 r2
Queste condizioni di conformità non sono convenienti. Partendo però da queste e introducendo la
latitudine crescente, il cui differenziale è dato dalla:
ρ
d Φ = ⎯⎯ d ϕ
r
68
1 d2 F
x = F (Φ) - ⎯⎯ ⎯⎯ λ2 + ....
2 dΦ2
dF 1 d3 F
y = ⎯⎯ λ - ⎯⎯ ⎯⎯ + λ3....
dΦ 6 dΦ 3
che rappresentano le equazioni generali delle rappresentazioni conformi sotto forma di sviluppo in
serie. I termini della x contengono le potenze pari di λ, quelli delle y, le potenze dispari.
Si indica con:
Φ = latitudine crescente
λ = longitudine
F = funzione generica
e g
⎯⎯ = ⎯⎯ ; f = 0
ρ2 r2
la eq. (2)
e f g
m = ⎯⎯ cos α + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
2 2
ρ2 ρr r2
diventa (7):
e g
m = ⎯⎯ = ⎯⎯
ρ r
quindi la (3)
e g - f2
M = ⎯⎯⎯⎯ diventa (8): M = m2
ρr
69
14.1 Proiezione di Mercatore
La proiezione di Mercatore è per sviluppo cilindrico diretto. Le condizioni al contorno per cilindro
tangente, sono:
1) sull'asse y, che rappresenta l'equatore (linea di tangenza), deve essere:
dy
m = ⎯⎯ = 1
adλ
da cui: dy = a d λ e y = a λ
Figura 82
y=aλ
dF 1 d3 F
y = ⎯⎯ λ - ⎯⎯ ⎯⎯ λ3 + ... (condizioni di conformità)
dΦ 6 dΦ 3
dF
70
y = ⎯⎯ = a (e derivate successive nulle)
dΦ
e quindi:
ρ
F ( Φ) = a Φ = a ⎯⎯ d ϕ
r
e
ϕ ρ 1 - e sen ϕ ⎯ π π
2
x = F ( Φ) = a ⎯⎯ d ϕ = a l n ⎯⎯⎯⎯⎯⎯ tg ⎯⎯ + ⎯⎯
0 r 1 + e sen ϕ 4 2
y=aλ
ln = logaritmo naturale
e = eccentricità
1 - e2 sen2 ϕ
m = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ (dove M = m2)
cos ϕ
Figura 83
r0
71
⎯⎯
a
Dove r0 è il raggio del parallelo di secanza e le formule di corrispondenza si modificano solo perché
appare r0 = N cos ϕ0 al posto di a:
e
1 - e sen ϕ ⎯ π π
x = N0 cos ϕ l n ⎯⎯⎯⎯⎯⎯ 2 tg ⎯⎯ + ⎯⎯
1 + e sen ϕ 4 2
y = N0 cos ϕ0 λ
1 - e2 sen2 ϕ cos ϕ0
m= ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ ⎯⎯⎯ (dove M = m2)
1 - e2 sen2 ϕ0 cos ϕ
Ovviamente risulta m = 1 sul parallelo di secanza e valori prossimi all'unità in una ristretta fascia
intorno al parallelo di secanza. A seconda delle zone che si vuole rappresentare si sceglierà di un
opportuno parallelo di secanza.
Le carte di proiezione di Mercatore sono universalmente adottate per la navigazione perché la rotta
lossodromica, cioè quella che taglia i meridiani con azimut costante, è facile da seguire con
osservazioni alla bussola ed è rappresentata sulla carta di Mercatore da una linea retta. Diviene
quindi facile determinare l'azimut costante da seguire unendo con una riga il punto di partenza e
quello di arrivo.
ϕ
OP' = 2R tg (45° - ⎯⎯ )
2
ϕ
x = 2R tg (45° - ⎯⎯ ) cos λ
2
ϕ
x = 2R tg (45° - ⎯⎯ ) sen λ
2
72
Facendo il rapporto:
y
⎯⎯ = tg λ
x
Per λ = costante (meridiani), si ottiene y = k x, cioè i meridiani sono linee rette uscenti dall'origine.
Quadrando e sommando si ottiene:
2
ϕ
2 2
x + y = 2R tg (45° ⎯⎯ )
2
x2 + y2 = K2, cioè i paralleli sono circonferenze con centro nell'origine. La proiezione è conforme,
perché si può dimostrare che le formule di corrispondenza soddisfano alle condizioni di conformità
indicate nella (5):
e g
⎯⎯ = ⎯⎯
ρ2 r2
f=0
1
m = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ ; (dove M = m2)
ϕ
2
cos (45° - ⎯⎯ )
2
Si vede che m aumenta allontanandosi dal polo. Per questo motivo la proiezione stereografica
polare si usa per la rappresentazione delle aree poste a latitudini superiori a 80°, quindi i poli.
Figura 84
73
Figura 85
Si tratta di una proiezione per sviluppo cilindrico inverso. Il cilindro può essere tangente o secante.
Le condizioni al contorno per cilindro tangente si possono definire come segue:
Figure 86
1) un meridiano si trasformi in una retta che si assume come asse x, con origine nel punto in cui
interseca la retta immagine dell'equatore, che diventa quindi l'asse y.
Nelle formule di corrispondenza generali si ha y = 0 per λ = 0; se contiamo le longitudini proprio
dal meridiano di tangenza, avremo per questo y = 0 e quindi l'asse x.
dx ϕ
m = ⎯⎯⎯ = 1 da cui dx=ρdϕ e x= ρdϕ
ρdϕ 0
74
ϕ
F ( Φ) = ρdϕ
0
ϕ N
x= ρ d ϕ + ⎯⎯ sen ϕ cos ϕ λ2 + ....
2
0
N
y = N cos ϕ λ + ⎯⎯ cos3 ϕ (1 - tg2 ϕ + e'2 cos2ϕ) λ3 + ...
6
y2
m = 1 + ⎯⎯⎯⎯ (dove M = m2)
2 ρN
Infatti l'azimut αAB di una geodetica AB, si ricava come somma algebrica dell'anomalia θAB,
dell'angolo di riduzione alla corda εAB e della convergenza del meridiano γA:
essendo:
yB - yA
75
θAB = arctg ⎯⎯⎯⎯
xB - xA
λ
γA = arctg {λ sen ϕ [1 - ⎯⎯ cos2 ϕ (1 - tg2 ϕ + e'2 cos2 ϕ]}
2
Per quanto riguarda la lunghezza Se della geodetica AB, bisogna tenere presente che il modulo di
deformazione lineare
y2
m = 1 + ⎯⎯⎯⎯
2ρN
è valido in un punto, cioè per un elemento infinitesimo nell'intorno del punto. Per un elemento
finito bisogna utilizzare il modulo di deformazione lineare per elementi finiti, che si ricava dal
precedente per integrazione:
St y2A + yA yB + yB2
mAB = ⎯⎯ = 1 + ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯
Se 6 ρm Nm
Allora, se di 3 punti A,B,C sull'ellissoide conosco le coordinate gaussiane dei tre punti A'B'C'
coorispondenti sul piano di Gauss, tramite le loro coordinate posso calcolare gli angoli tra le corde,
come differenze di anomalie, e le lunghezze delle corde con il teorema di Pitagora o con la seguente
relazione:
yB - y A xB - xA
Sc = ⎯⎯⎯⎯⎯ = ⎯⎯⎯⎯⎯
senθAB cosθAB
Figura 88
76
Risolto il triangolo delle corde, aggiungendo o togliendo gli angoli di riduzione alla corda, posso
calcolare gli angoli tra le trasformate piane. Questi, per la conformità, sono uguali agli angoli fra le
geodetiche sull'ellissoide. Per quanto riguarda i lati, si dimostra che
St ≡ Sc
St Sc
Se = ⎯⎯⎯ ≡ ⎯⎯⎯
mAB mAB
αAB = θAB + ε AB + γ A
y2
m = 1 + ⎯⎯⎯
2ρN
77
ulteriormente suddivisi in 4 tavolette in scala 1:25.000 (di 5' in latitudine e 7.5' in longitudine),
sempre di 40 cm di lato. La diagonale di un foglio, sia quadrante che tavoletta, è quindi di 560 mm.
Se l'errore di graficismo, come abbiamo già detto in precedenza, è di 0,2 mm, possiamo accettare
una deformazione lineare lungo la diagonale pari a:
0.2
⎯⎯⎯ = 3.57 ⋅ 10-4 ≡ 0.0004
560
Considerando m = costante all'interno del foglio, quadrante o tavoletta, possiamo quindi accettare m
variabile da 0.9996 a 1.0004. E’ evidente allora che il coefficiente K dovrà valere K = 0.9996,
ottenendo così m = 0.9996 al centro del fuso e limitando questo in modo da avere m = 1.0004 ai
bordi. Si può dimostrare che il valore m = 1.0004 si ottiene ai bordi di un fuso di 6°. L’Italia risulta
così coperta soltanto da due fusi (fuso Ovest e fuso Est) che vanno rispettivamente da 6° a 12° Est
di Greenwich (meridiano centrale 9° ≡ asse x) e da 12° a 18° Est di Greenwich (meridiano centrale
15° ≡ asse x). Poiché però è stato conservato il taglio geografico della proiezione di Flamsteed (i
fogli erano tagliati con riferimento al meridiano di Roma Monte Mario: ω = 12° 27’ 08,4”) c’è una
zona di sovrapposizione da 11° 57’ 08,4” a 12° 27’ 08,4”, rappresentata sia nel fuso Ovest che nel
fuso Est (necessaria anche per fare i calcoli geodetici per passare da un fuso all’altro). Inoltre il fuso
Ovest inizia da 6° 27’ 08,4” e il fuso Est termina a 18° 27’ 08,4”.
78
Il taglio geografico è stato conservato perché le carte non sono state rifatte nelle proiezioni da
Gauss, ma è stato riportato solo il nuovo sistema di riferimento come reticolato chilometrico o come
inviti ai bordi. Se le deformazioni sono contenute negli errori di graficismo, la carta in proiezione di
Flamsteed e quella in proiezione di Gauss devono coincidere. Per evitare valori negativi delle
ascisse e confusioni tra i due fusi viene attribuita un’ascissa convenzionale, pari a 1500 km per il
fuso Ovest e 2520 km per il fuso Est. In definitiva le coordinate di Gauss (dette Gauss – Boaga)
della nostra cartografia sono le seguenti:
N = K x km
fuso Ovest
E = (K y + 1500) km
N = K x km
Fuso Est
E = (K y + 2520) km
X ed y sono ottenuti dalle formule di corrispondenza già descritte nella proiezione di Gauss. Per i
calcoli geodetici conviene trasformare all’indietro da N, E a x,y e poi applicare le formule viste.
Ci sono poi anche carte tecniche, come ad es. quelle regionali (CTR), provinciali e comunali, con
scale variabili. In genere queste vanno dall'1:10.000 o 1:5.000 (CTR), alle scale 1:2.000, 1:1000,
1:500 per quelle comunali, tutte inquadrate nel sistema nazionale IGM40. Alcune hanno il taglio
secondo il reticolo cartografico, altre secondo quello geografico IGM. Le nuove carte catastali sono
nel sistema nazionale, sebbene molte siano ancora nel sistema originario Cassini-Soldner.
79
BIBLIOGRAFIA
Anzidei M., Riguzzi F., Galvani A., Pietrantonio G., Casula G. Il primo nucleo di stazioni GPS
permanenti dell'INGV. Quaderni di Geofisica, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia,
Roma, 2004.
Bezoari G., Monti C., Selvini A. Topografia generale con elementi di geodesia. Ed. UTET, 2002
Bezoari G., Selvini A. Manuale di topografia moderna. Città studi edizioni, 2002
Solaini L., Inghilleri G. Topografia. II edizione. Libreria editrice universitaria Levrotto e Bella,
Torino, 1983
Tozzi P. I luoghi degli uomini. La foto aerea e i paesaggi antichi. Compagnia Generale Riprese
Aeree, Libreria Edizioni Cardano, Pavia, 2004
Scalera G. I moti e la forma della Terra. Istituto Nazionale di Geofisica, Roma, 1999
80