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APPUNTI DI GEODESIA, TOPOGRAFIA

E CARTOGRAFIA

Insegnamento di Tecniche Geodetiche e Cartografiche


Corso di Laurea in Scienze Geo-Topo-Cartografiche
Estimative Edilizie e Territoriali
Università della Calabria
Arcavacata, Cosenza

anno accademico 2010-2011

Marco Anzidei
INDICE

Parte prima
GEODESIA E TOPOGRAFIA

1. forma della Terra e superficie di riferimento

2. Sistemi di coordinate
2.1 coordinate cartesiane
2.2 coordinate geografiche ellissoidiche
2.3 coordinate geografiche astronomiche
2.4 coordinate geodetiche polari
2.5 coordinate geodetiche ortogonali
2.6 quota

3. descrizione della Terra per mezzo delle reti


3.1 reti altimetriche
3.2 reti planimetriche
3.3 reti plano-altimetriche

4. materializzazione delle reti


4.1 reti altimetriche
4.2 reti planimetriche

5. Monografie delle reti

6. Strumenti di misura
6.1 goniometri
6.2 distanziometri
6.2.1 misure dirette
6.2.2 misure indirette
6.2.3 misure elettroniche
6.3 livelli

7. Rilievi planimetrici
7.1 triangolazioni
7.2 trilaterazioni e reti miste
7.3 compensazione delle reti
7.3.1 osservazioni condizionate
7.3.2 osservazioni indirette
7.4 intersezioni
7.5 poligonali
7.6 rilievo di dettaglio
8. rilievi altimetrici
8.1 livellazione trigonometrica
8.2 livellazione geometrica

9. Il sistema Global Positioning System


9.1 le componenti del sistema
9.2 il segnale GPS
9.3 effemeridi trasmesse ed effemeridi precise

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9.4 misure con il sistema GPS
9.4.1 misure di pseudorange
9.4.2 misure di fase
9.5 errori del sistema GPS
9.5.1 errori strumentali
9.5.2 errori di modello
9.5.3 errori di osservazione
9.5.4 criptazione e degradazione intenzionale del segnale
9.5.5 errori ed equazioni di osservazione
9.6 cenno alle tecniche di elaborazione
9.7 metodi di misura
9.8 il sistema di riferimento GPS
9.9 Rilievi GPS

Parte seconda
10. CARTOGRAFIA

10.1. classificazione geometriche delle rappresentazioni cartografiche


10.1.2 proiezioni prospettiche
10.1.3 proiezioni per sviluppo

11 classificazione delle rappresentazioni cartografiche dal punto di vista delle deformazioni


rappresentazione isogoniche o conformi
rappresentazione equivalenti
rappresentazione afilattiche
deformazione lineare
deformazione angolare
deformazione superficiale

12 la scala e l'approssimazione grafica della carta

13 rappresentazioni equivalemnti
proiezione di Flamsteed

14 rappresentazioni conformi
14.1 proiezione di Mercatore
14.2 proiezione stereografica polare
14.3 proiezione di Gauss

Bibliografia

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Parte prima
GEODESIA E TOPOGRAFIA

1) Forma della Terra e superficie di riferimento

Il problema della forma della Terra e della rappresentazione della sua superficie venne intrapreso
fin dall'antichità. Le prime mappe venivano disegnate su terracotta ed erano di ausilio anche per
scopi di navigazione.

Figura 1Pianta zenitale della città di Nippur, Babilonia. Si nota il fiume Eufrate, due canali, il
tempio principale e le mura urbane dotate di torri (1200-1000 a.C.)

Già gli egiziani, circa 1500 anni a.C., ipotizzavano una Terra sferica. Il matematico greco Pitagora,
intorno al 500 a.C. ne era fortemente convinto sebbene altri filosofi avessero opinioni differenti.
Ad es. Talete (625-547 a.C.) concepiva una Terra piatta, come un disco galleggiante in un oceano.

Figura 2 a) la Terra piatta nella concezione di Omero b) la Terra cilindrica di Anassimandro di


Mileto (610 - 546 a. C.)

Aristarco (310-250 a.C.) ipotizzò un sistema planetario eliocentrico, anticipando il modello


formulato molto tempo dopo dall'astronomo Keplero. Anassagora (500-428 a.C.) estese l'ipotesi
della sfericità non solo alla Terra, ma anche al Sole e alla Luna. Eracleide (388-315 a. C.) ne studiò

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i moti ed affermò che la Terra ruotava non solo intorno al proprio asse ma anche intorno al Sole. Fu
per primo Aristotele (384-322, a.C.) che intuì la esistenza della forza di gravità, che argomentò
proprio a partire dalla sfericità della Terra.
Secoli dopo (ma solo 500 anni fa circa), Cristoforo Colombo durante le sue navigazioni notò che
presso le foci dell'Orinoco la navigazione era ostacolata dalla corrente contraria del fiume che si
incontrava con la marea oceanica. Per questo pensò che quella zona fosse caratterizzata da una forte
gibbosità della Terra culminante sui monti da dove nasceva l'Orinoco, sui quali si credeva si
trovasse il paradiso terrestre.

Figura 3 La Terra secondo Cristoforo Colombo

Per quanto riguarda la misura della Terra, il primo a misurarla di cui si hanno notizie, fu Eratostene
(276-194 a.C.). Le sue osservazioni posero una pietra miliare nella storia della geodesia. Eratostene,
per stimare le dimensioni della Terra si basò su semplici osservazioni: a mezzogiorno del solstizio
d'estate i raggi del Sole illuminavano il fondo di un pozzo posto a Syene (l'attuale Assuan), che si
trova molto vicina al Tropico del Cancro (fig.4). Dedusse quindi che questi dovevano essere
verticali al luogo di osservazione. Allo stesso momento nella città di Alessandria, che giaceva sullo
stesso meridiano, i raggi del Sole che colpivano un obelisco, producevano un ombra di una certa
lunghezza e formavano di conseguenza un certo angolo con la verticale, qui determinata mediante
un filo a piombo. Eratostene calcolò quindi questo angolo misurando la lunghezza dell'ombra e
trovò che questo valeva 1/50 dell'angolo giro (pari a 7° 12'). Misurò quindi in stadi la distanza che
separava Syene da Assuan, trasformando i giorni di marcia di cammello in distanza (stadi). Trovò
un valore pari a 5.000 stadi da cui poté quindi calcolare il raggio terrestre con l'equazione R=s/ω.
Poichè 5.000 stadi corrispondono a 787,5 km, il raggio terrestre misurato era pari a R=6267 Km.
Questo valore si discosta solo del 2% rispetto al suo valore vero di R=6371 Km, che rappresenta il
raggio medio della Terra, misurato solo nei tempi moderni con sofisticate strumentazioni.

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Figura 4 La osservazione di Eratostene

Migliorate stime sulla sfericità della Terra avvennero solo dopo la scoperta della gravitazione
universale di Newton (1642-1727), quando si iniziò a pensare ad una forma diversa da quella
sferica. La forma solida più adatta a rappresentare la Terra sembrò l'ellissoide di rotazione
schiacciato ai poli. Solo nel 1737 si ebbe una conferma definitiva a tale teoria (fig.5).

Figura 5 L'ellisoide di rotazione

Un ellissoide di rotazione è definito da un semiasse maggiore a e da un semiasse minore b, oppure


dal semiasse maggiore che da la dimensione e da un parametro adimensionale che da la forma.
Quest'ultimo può essere lo schiacciamento α, definito come
a-b
α= ⎯⎯
a

oppure la prima eccentricità e2 definita come:

a 2 - b2
e2 = ⎯⎯⎯
a2

oppure la seconda eccentricità e'2 definita come:

a 2 - b2
e2 = ⎯⎯⎯
b2

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i parametri dell'ellissoide terrestre sono stati determinati nel tempo più volte, utilizzando metodi
differenti. I più usati sono:

Tabella 1
ellissoide parametri
nome a (metri) α
Bessel (1841) 6 377 397 1:299.2
Clarke (1880) 6 378 243 1:293,5
Helmert (1906) 6 378 140 1:298,3
Hayford (1909), internazionale del 1924 6 378 388 1:297,0
ellissoide internazionale 1971 6 378 160 1:298,247
ellissoide internazionale 1980 6 378 137 1:298,257

Figura 6 Distribuzione degli ellissoidi nel mondo

Per capire se l'ellissoide di rotazione è il solido che meglio approssima la forma della Terra, si deve
considerare come questa è in realtà e quali sono le sue proprietà fisiche. La Terra è sottoposta ad un
campo di forze, definito come campo gravitazionale terrestre.

Figura 7

7
Se consideriamo un punto P di massa unitaria e di dimensioni puntiformi, posto sulla superficie
terrestre, questo, trascurando l'azione attrattiva delle masse extraterrestri (principalmente Sole e
Luna), è sottoposto a due forze: una di natura statica, l'altra di natura dinamica. La prima è detta di
attrazione gravitazionale, espressa dalla:

m1 x m2
F = G ⎯⎯⎯⎯
r2

Dove:
G = 6,672 x 10-8 cm3 s-2costante di Newton
m1 ed m2 = due masse puntiformi che si attraggono, poste alla distanza di 1 m

Poichè la Terra non può essere considerata puntiforme, la forza F sarà la risultante di tutte le infinite
forze infinitesime dF esercitate sulla massa unitaria posta in P, dalle masse infinitesime dm in cui
può essere scomposta la massa m della Terra:

F= ∫ dF = ∫
T T G 1 x dm
r2

Figura 8

La forza dinamica che si esercita sulla massa unitaria posta in P per effetto della rotazione della
Terra è la forza centrifuga. Questa ha velocità angolare ω, praticamente costante intorno all'asse
polare. Viene espressa dalla relazione:
f = m x ω2 p
avendo m=1 e dove p è la distanza dall'asse di rotazione.

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Figura 9

Quindi la massa unitaria posta nel punto P è soggetta a due forze F ed f, la cui risultante è una forza
detta forza di gravità che si indica generalmente con g. Poichè in P la massa è unitaria, la forza di
gravità risulta numericamente uguale all'accelerazione di gravità, che è variabile da punto a punto.
Il valore medio della g alle nostre latitudini è: g = 9.81 m s-2.

Figura 10

Le linee di forza del campo di gravità non sono piane ma curve e vengono per questo definite curve
gobbe (fig.11). In ogni punto la direzione della linea di forza della gravità è fornita dal filo a
piombo. Questa, detta verticale, è l'unica direzione che si possa individuare con certezza sulla Terra
ed è di grande importanza in geodesia e topografia perchè a questa fanno riferimento gran parte
delle misure.

9
Figura 11

Le linee gobbe definiscono il campo gravitazionale. Questo ammette un potenziale e quindi delle
superfici equipotenziali che hanno la proprietà di essere in ogni punto normali alla direzione della
gravità, cioè della verticale (fig.12).

Figura 12

Le infine superfici equipotenziali non sono parallele tra loro e la loro equazione si ottiene ponendo
uguale ad una costante il potenziale della gravità, che è la somma del potenziale dell'attrazione e del
potenziale dell'accelerazione centrifuga:

F= ∫ G dm + 1 ω p = cost
T
2 2

r 2

Le superfici equipotenziali ci permettono di definire la forma della Terra. Per comprenderlo basti
pensare al mare come un liquido ideale di densità e temperatura costanti, privo di perturbazioni
dovute a onde, maree e correnti, quindi in quiete e in equilibrio e soggetto solamente alla forza di
gravità. In questo modo la superficie libera del mare costituirebbe una superficie equipotenziale.
Assumiamo ora come superficie ideale della Terra, quella superficie equipotenziale che passa per
un determinato punto corrispondente al livello medio del mare in un certo luogo. Tale superficie si
definisce geoide (fig.13). L'equazione del geoide è data dalla:

F= ∫ G dm
T
r

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Per risolvere l'integrale è necessario conoscere la distribuzione delle masse all'interno della Terra,
cioè la sua densità in ogni punto, data dalla: dm = ρdV. Questa è però nota solo in modo
approssimativo. Ad es. la densità media della Terra è 5.52 g/cm3 ma quella della crosta è 2.67
g/cm3. Per applicazioni pratiche si possono adottare delle soluzioni approssimative, non rigorose ma
sufficientemente precise. Sono così state calcolate delle superfici di rotazione dette sferoidi.
L'equazione dello sferoide in coordinate cartesiane è complessa, ma l'ellissoide di rotazione, che è
una superficie molto più semplice e avente gli stessi semiassi a e b, si discosta molto poco dallo
sferoide (la massima differenza tra i raggi vettori geocentrici è di circa 20 m). Quindi, sebbene la
superficie di riferimento ideale sia il geoide, questa però non si presta allo scopo perchè non è
esprimibile analiticamente in forma chiusa e quindi non è possibile istituire una geometria su di
essa. Per questo si sostituisce il geoide con lo sferoide di rotazione o meglio ancora con l'ellissoide
di rotazione, di forma più semplice. Quando l'approssimazione lo consente, l'ellissoide può essere
sostituito con la sfera o addirittura con il piano.

Figura 13L'ellissoide e il geoide si discostano dalla superficie reale del terreno

Figura 14 Andamento del geoide in Italia

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2) SISTEMI DI COORDINATE

i sistemi di coordinate si possono suddividere come segue:

sistemi generali costituiti dalle:


• coordinate cartesiane (geocentriche)
• coordinate geografiche (ellissoidiche o astronomiche)

sistemi locali costituiti dalle:


• coordinate geodetiche polari
• coordinate geodetiche ortogonali

Figura 15 coordinate cartesiane (geocentriche)

Figura 16 coordinate geografiche ellissoidiche

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Figura 17 coordinate geografiche astronomiche (geoidiche).

Figura 18 coordinate geodetiche polari. Il punto P è individuato sull'ellissoide rispetto all'origine


O, dall'azimut α e dalla lunghezza S della geodetica OP. La geodetica è la linea di minore
lunghezza che congiunge due punti ed è generalmente una curva gobba. Sul piano le geodetiche
sono linee rette, mentre sulla sfera sono archi di cerchio massimo. Quindi, i meridiani sono
geodetiche mentre i paralleli no, ad eccezione dell'equatore (perché ϕ = 0). L'azimut è l'angolo tra
la tangente al meridiano e la tangente alla geodetica.

Figura 19 coordinate geodetiche ortogonali. Il punto P è individuato sull'ellissoide rispetto


all'origine O, dall'arco di geodetica Y=PP', normale al meridiano passante per O e dall'arco di
meridiano X = OP'

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La quota costituisce la posizione altimetrica di un punto sulla superficie terrestre sul geoide. Le
coordinate illustrate fin qui, forniscono la posizione planimetrica di un punto. Quella altimetrica è
invece fornita dalla quota H, lunghezza del segmento di linea verticale da P al geoide. Notiamo che
la curvatura delle linee di forza del campo della gravità è molto piccola, per cui il segmento H nelle
applicazioni pratiche, può considerarsi rettilineo. E' possibile passare da un sistema di coordinate
all'altro utilizzando formule.

Figura 20 Quota, superficie geoidica e topografica

3) DESCRIZIONE DELLA TERRA PER MEZZO DELLE RETI

Al fine di poter descrivere la superficie terrestre in modo matematico, il metodo da seguire é quello
di individuare un insieme finito di punti posti sul terreno e darne la loro posizione in un definito
sistema di coordinate. L'insieme di questi punti costituisce una rete geodetica che ci fornisce una
rappresentazione della superficie fisica della Terra. Questa sarà tanto più dettagliata quanto più alta
sarà la densità dei punti che verranno misurati. Le reti possono essere di tre categorie:
• reti altimetriche o verticali: forniscono una sola coordinata precisa, la quota H rispetto al
geoide. La posizione planimetrica dei punti di osservazione è invece generalmente
approssimativa.
• reti planimetriche orizzontali: forniscono una coppia di coordinate precise, latitudine ϕ e
longitudine ω, mentre la quota associata è generalmente poco precisa.
• reti planoaltimetriche o tridimensionali (3-D): forniscono le tre coordinate latitudine ϕ,
longitudine ω e quota H in maniera precisa.

I punti di osservazione delle reti altimetriche vengono detti caposaldi, tutti gli altri vertici. Le reti
vengono classificate in ordini: le reti del primo ordine sono quelle caratterizzate dalla maggiore
precisione possibile dipendente dalle tecniche di misura adottate e dalla notevole distanza tra i punti
di osservazione (fino a 50-60 km). Quelle del secondo ordine e del terzo ordine, hanno precisioni
sempre più basse e distanza sempre minori.

Reti altimetriche
Le reti altimetriche adottano in genere come superficie di riferimento il geoide per le reti del primo
ordine. La distanza tra i caposaldi è compresa tra 1 e 2 km. La precisione con cui vengono
determinate le quote assolute dei caposaldi è dell'ordine delle decine di cm. Si deve tenere presente
che invece la precisione con cui si vengono determinate le differenze di quota tra coppie di

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caposaldi adiacenti e molto alta (quote relative). Nelle reti del primo ordine è generalmente di 1-2
mm tra punti distanti tra loro 1 km. In tutti i paesi esistono caposaldi di livellazione ed esistono
milioni di punti quotati. In Italia, la rete dell'Istituto Geografico Militare consta di circa 18.000
caposaldi (fig.21).

Figura 21 rete di livellazione italiana dell'Istituto Geografico Militare (IGM)

Reti planimetriche
Per la descrizione delle reti planimetriche, si adotta come superficie di riferimento l'ellissoide per la
rete del primo ordine. In genere, la distanza tra i vertici è di alcune decine di km. Ovviamente la
limitazione per la misura di queste reti è costituita dalla intervisibilità tra i punti di osservazione.
Per questo motivo i vertici delle reti sono frequentemente posti in luoghi rilevati (rilievi naturali,
edifici). Nelle reti degli ordini inferiori le distanze tra i vertici sono minori. La precisione nella
posizione relativa tra i vertici è di circa 10 cm per una distanza di 10 km (esprimibile anche come 1
x 10-6).

15
Figura 22 rete geodetica italiana del primo ordine dell'IGM

Reti plano-altimetriche
Una rete plano-altimetrica si ottiene dalla combinazione della posizione planimetrica (latitudine ϕ e
longitudine ω) con quella altimetrica (H) di punti di osservazione appartenenti a reti planimetriche e
altimetriche distinte. Si ottiene quindi una terna di coordinate (ϕ, ω, H) oppure (ϕ, ω,h) o ancora
(X,Y,H) nel sistema geocentrico.

Figura 23 rapporti tra ellissoide, geoide e superficie topografica: h = altezza rispetto all'ellissoide;
H = altezza rispetto al geoide; N = scostamento geoide-ellissoide. h = H+N.

Una rete planoaltimetrica può anche essere misrata utilizzando tecniche geodetiche che permettono
di ricavare tutte e tre le coordinate, come ad es. quelle che possono essere effettuate con tecniche

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spaziali da satelliti artificiali. Tra queste il GPS è quella più utilizzata per la versatilità, precisione e
costi bassi. Inoltre non hanno le limitazioni imposte dalla intervisibilità tra i punti di osservazione.

Figura 24 La rete GPS IGM95. Poiché il GPS fornisce anche un valore di quota, le reti GPS sono
planoaltimetriche

Risoluzione delle reti altimetriche


La risoluzione delle reti altimetriche si effettua misurando i dislivelli e calcolando di conseguenza le
quote.

Hj = Hi + Δij
dove Hj è l'altezza rispetto al geoide del punto J e Hi del punto I; Δij è la loro differenza di quota.

Figura 25

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Si deve però tenere presente che le superfici equipotenziali non sono parallele tra loro. Durante un
rilievo la somma dei dislivelli su un percorso chiuso dovrebbe essere zero. A causa degli inevitabili
errori di misura, la somma dei dislivelli misurati sarà diversa da zero anche se disponiamo di misure
sovrabbondanti. Utilizzando metodi di compensazione, si possono correggere gli errori sui dislivelli
misurati affinchè siano rispettate le condizioni teoriche.

Figura 26

Δab + Δbc + Δca = 0

Risoluzione delle reti planimetriche


La risoluzione delle reti planimetriche si basa sulla risoluzione di triangoli sull'ellissoide, di cui
siano misurati angoli e distanze in numero sufficiente. Gli angoli misurati sulla superficie fisica
possono essere considerati come angoli tra fra geodetiche sull'ellissoide e le correzioni possono
essere trascurabili per reti di limitate estensioni. Le distanze misurate sulla superficie fisica devono
poi essere ridotte all'ellissoide.

Fig. 27

Si può dimostrare che se il triangolo è contenuto in una zona di circa 100 km di raggio, cioè
all'interno del campo sferico e geodetico, questo può essere considerato sferico (campo della
trigonometria sferica). Si può utilizzare il teorema di Legendre che postula: un triangolo sferico i
cui lati l siano piccoli rispetto al raggio R può essere calcolato, a meno di termini in (l/r)4 , come un
triangolo piano aventi i lati uguali a quelli del triangolo sferico rettificati e gli angoli ridotti di un

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terzo dell'eccesso sferico ε = A/R2, dove A = area del triangolo sferico ed R = raggio della sfera
(trigonometria piana).

Figura 28 Triangolo sferico e teorema di Legendre. ρ = raggio del meridiano; N = gran normale

Se poi il triangolo ellissoidico è contenuto in una zona di 15 km di raggio (campo piano o


topografico), il triangolo stesso può essere considerato piano (trigonometria piana).

Figura 29 Triangolo piano. Caso di campo piano o topografico per zona di circa 15 km

Anche per le reti planimetriche, se ci sono misure sovrabbondanti, si può operare una
compensazione per stimare gli errori di misura.

4) SEGNALAZIONE DEI PUNTI DELLE RETI

I vertici e i caposaldi delle reti devono essere sagnalati in maniera permanente e adeguata. In taluni
casi si possono anche usare dei segnali provvisori per certe operazioni di misura.

Reti altimetriche
Il caposaldo svolge la funzione di materializzare un punto di cui si vuole determinare la quota. Deve
essere progettato in modo che sia possibile appoggiarvi la stadia. I cosiddetti caposaldi orizzontali
sono generalmente posti in pozzetti apribili oppure a muro.

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Figura 30 Tipi di caposaldi della rete di livellazione italiana.

I cosiddetti caposaldi verticali (ausiliari) sono piastrine con una linea incisa o con una mensola che
presenta una calottina sferica. Sono murati su una parete a circa 2 metri di altezza dal suolo (non si
usa la stadia ma un semplice metro o una speciale stadietta a sospensione) in corrispondenza di
edifici.

Figura 31 Caposaldi verticali. Notare la linea incisa o la calottina sferica sulla mensola.

Per la misura di punti intermedi si usa la cosiddetta piastra (segnale provvisorio).

Figura 32 Piastra per punti intermedi

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Reti planimetriche
In zone montuose o in genere rilevate, dove normalmente non occorre sopraelevare il vertice, le reti
presentano pilastrini a centramento forzato. Cioè che gli strumenti di misura e i segnali di
collimazione hanno un alloggiamento fisso, costituito da un foro nella testa del pilastrino o da tre
scanalature a 120°.

Figura 33 Pilastrini della rete geodetica italiana (sezione e pianta). Generalmente alti 120 cm.
Quello a sezione triangolare è in ferro (modello Trombetti)

Nelle zone di pianura dove occorrono vertici sopraelevati, spesso si sfruttano edifici alti come ad es.
campanili. In genere, l'asse del campanile individua la posizione planimetrica, mentre la quota è
riferita al cosiddetto piano di paragone (pp), come per esempio il davanzale di un finestrone. Per i
vertici di minore importanza si possono usare dei centrini a terra. Come segnali provvisori si usano
frequentemente picchetti di legno.

Figura 34 a) campanile b) segnale provvisorio (ad es. croce verniciata, picchetto, ecc.)

5) MONOGRAFIE

i punti delle reti altimetriche e planimetriche (IGM, catasto, geofisiche, ecc.) vengono descritti in
schede monografiche dove, insieme alle coordinate, sono riportate tutte le informazioni utili per
l'individuazione del caposaldo o del vertice. La disponibilità di monografie chiare e ben strutturate,
costituisce un indispensabile complemento alla descrizione delle reti.

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Figura 35 Esempio di monografia

6)STRUMENTI DI MISURA (TERRESTRI)

Per auttuare un rilievo della superficie terrestre mediante reti misurabili con tecniche classiche
(terrestri), è necessario effettuare misure di angoli, distanze e dislivelli. Si deve quindi disporre di
strumenti che misurino angoli (goniometri), distanze (distanziometri) e dislivelli (livelli).

Goniometri (o teodoliti)
Sono costituiti da un cannocchiale collimatore provvisto di reticolo, in grado di ruotare intorno ad
un asse orizzontale e ad uno verticale. Può quindi misurare angoli orizzontali e verticali. La misura
viene effettuata leggendo il valore angolare su appositi cerchi graduati. Nei teodoliti elettronici la
misura dell'angolo viene eseguita automaticamente dallo strumento e memorizzati su supporti
magnetici. A volte si distingue tra teodoliti e tacheometri, chiamando teodoliti i goniometri più
precisi, dotati di sistemi di lettura micrometrici (precisione di lettura di circa 0,1"÷ 5") e tacheometri
quelli meno precisi, cioè privi di sistemi micrometrici (precisione di lettura generalmente di 30").

a b

Figura 36 a) Tricuspide con viti micrometriche e b) schema del piombo ottico

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a b

Figura 36 a) teodolite Wild T16 b) schema costruttivo

Distanziometri
La misura di distanze può essere effettuata mediante misura diretta utilizzando:
• triplometri, cordelle, ecc (precisione di alcuni cm/100 m)
• fili di invar (precisione di 1 mm/km)

Figura 37 Misura con filo in invar

La misura indiretta delle distanze può essere effettuata utilizzando ildistanziometro anallattico.
Il cannocchiale di un qualunque strumento topografico (teodolite, tacheometro, livello) può essere
dotato di reticolo distanziometrico. Le due tacche superiore e inferiore, definiscono un angolo
parallattico ω, caratteristico dello strumento, che permette di misurare la distanza D misurando
l'intervallo H determinato su una stadia (posta all'altro estremo della distanza da misurare) dai due
trattini distanziometrici.

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Figura 38 Reticolo distanziometrico

Figura 39

H
D = ⎯⎯⎯⎯⎯ = KH generalmente K = 100
2tg ω
2

Se la linea di mira è inclinata si deve tenere conto dell'angolo zenitale ϕ, quindi:

D = KH sen2 ϕ

la distanza operativa massima è di 100÷150 m e la precisione è di ∼20 cm

Figura 40

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La misura di distanze mediante distanziometri, sono in parte misure elettroniche (dirette e indirette).
Questo strumento emette un onda luminosa o para-luminosa, con lunghezza d'onda dell'ordine del
micron (1 μm = 10-6 m), particolarmente adatta al trasporto di energia (onda portante). Questa viene
modulata generalmente in ampiezza per ottenere una lunghezza d'onda λ più adatta alla misura
(onda modulante). Generalmente si usa una lunghezza d'onda λ = 10 m. L'onda emessa dallo
strumento viene riflessa da un prisma retrodirettivo e ritorna allo strumento.

Figura 41 a) distanziometro b) teodolite robotizzato

La misura viene eseguita automaticamente dal distanziometro, che calcola quante volte η la
semilunghezza d'onda della modulante λ/2 è contenuta nella distanza da misurare D. A questa viene
aggiunta la frazione di semilunghezza d'onda, valutata attraverso la misura dello sfasamento ϕ fra
onda emessa e onda rientrante, quindi:

λ ϕ λ
D = η ⎯⎯ + ⎯⎯ ⎯⎯
2 2π 2

La determinazione di η avviene attraverso l'impiego di due o più valori di λ (λ1, λ2, ...).
Naturalmente esistono problemi connessi con la propagazione dell'onda nell'atmosfera, di cui si
tiene conto per mezzo di opportune correzioni.
La distanza massima operativa può essere anche oltre 50 km, sebbene di solito sia molto inferiore.
La precisione è in genere di 1 cm ± 1 mm/km (ma può variare a seconda delle caratteristiche dello
strumento).

Livelli
Un livello è uno strumento capace di dare una linea di mira orizzontale. Questa è ottenuta per
mezzo di una livella torica collegata al cannocchiale, oppure tramite un compensatore. Quest'ultimo
è un sistema pendolare che assicura automaticamente l'orizzontalità della linea di mira (livello
automatico o autolivello).

25
a b

Figura 42 a) livello digitale b) schema di livello ottico Askania

Ponendo il livello a uguale distanza tra due stadie poste sui due punti A,B fra i quali si vuole
determinare il dislivello e facendo le letture lA ed lB alle due stadie, il dislivello è dato da:

Δ = lA - lB

Figura 43 a) livellazione b) Stadia in invar

Il livello si pone nel mezzo per eliminare l'influenza dell'errore di orizzontalità della linea di mira e
altri errori.

7) RILIEVO PLANIMETRICO
Si attua partendo dalle reti planimetriche (anche chiamate trigonometriche o di inquadramento). Si
possono distinguere le seguenti metodologie di rilievo:

• triangolazioni: si misurano solo angoli e almeno un lato


• trilaterazioni: si misurano solo lati
• reti miste: si misurano sia angoli che lati

Triangolazioni

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Consideriamo ad esempio la triangolazione della rete italiana. Questa è costituita da 4 ordini:
• rete del I ordine, fomata da vertici distanti 50-60 km;
• rete del II ordine, di raffittimento, con vertici posti all'incirca nel baricentro dei triangoli
della rete del I ordine;
• rete del III e IV ordine, di raffittimento, anch'esse con vertici disposti secondo la stessa
geometria precedente, ma al baricentro dei triangoli della rete del II e III ordine.

Figura 44 Esempio di una rete geodetica con vertici del I, II e III ordine

Quando venne realizzata la rete italiana del I ordine (intorno al 1880) non esistevano i moderni
distanziometri elettronici o il GPS. Era quindi difficile ottenere precisioni elevate per la misura
delle distanze dei sui lati, lunghi anche decine di km. Si poteva fare una misura diretta con apparati
ad aste (lunghezza 4 m) oppure con fili di invar lunghi 24 m (l'invar è una lega Fe-Ni con
coefficiente di dilatazione termica di 10-6 ÷ 10-7, quindi di estensibilità estremamente ridotta e per
questo molto preciso). La precisione di questi sistemi è di circa 10-6, cioè di 1 mm/km. Per questo
vennero utilizzate soprattutto le misure angolari avvalendosi di teodoliti di precisione. Vennero
misurate solo 9 basi. Data la grande lunghezza della rete del I ordine, non furono misurati
direttamente i lati della rete, ma basi sensibilmente più corte, dette basi misurate. Da queste,
attraverso piccole reti di triangolazione locale, dette reti di sviluppo della base misurata, si passò ad
altrettanti lati della rete di triangolazione, dette basi calcolate.

Figura 45 AB = base misurata; A'B' = base calcolata

Si adottò quindi questa strategia di misura perché era impossibile trovare lati di 50-60 km su terreno
pianeggiante e privo di ostacoli. L'unica zona dove fu possibile misurare le basi più lunghe della

27
rete fu quella del Ticino, dove ne venne misurata una di circa 10 km. Date le modalità di misura, le
distanze misurate sono già ridotte all'orizzontale (alla quota media della base), ma devono essere
ridotte al livello del mare secondo la:

R
S = D ⎯⎯⎯
R+H

R= ρN

Figura 46

Per le successive misure angolari furono adottate le tolleranze di 0,6" per la rete del I ordine e di
1,2" per la rete del II ordine.

Trilaterazioni e reti miste


La differenza sostanziale è che in questi casi la misura delle distanze deve essere attuata con
apparati elettronici. La precisione che si ottiene è un poco inferiore rispetto a quella raggiungibile
usando i fili in invar, ma le misure sono più agevoli e veloci. Si possono infatti misurare anche lati
fino a 50 km in giornate di eccezionale limpidezza. Per la riduzione al livello del mare, si può
applicare la formula di Briggs:

ω (p-a) (p-b)
tg ⎯⎯ = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯
2 p (p-c)

dove a = R + H1, b = R + H2, C = D,

1
p = ⎯⎯ (a+b+c)
2

ricavato ω si ricava quindi S, dato dalla:

S=ωR

28
Figura 47

Cenni sulla compensazione


Durante le misure si possono commettere inevitabilmente errori di osservazione. Questi, che
possono avere entità differenti e possono essere dovuti a differenti cause, inducono delle anomalie
nel risultato della misura stessa. Così, osservazioni apparentemente identiche possono produrre
risultati simili ma diversi, che non soddisfano le condizioni teoriche aspettate. Gli errori possono
essere in genere di tre categorie: grossolani, sistematici e accidentali. In particolare, gli ultimi
possono essere causati da numerosi fattori aleatori indipendenti, come ad es. errori dell'osservatore,
della strumentazione, oppure causate dalle condizioni ambientali al momento dei rilievi. La
compensazione permette di evidenziare e studiare le fluttuazioni accidentali delle osservazioni ed è
possibile solo se si dispone di un numero sufficiente di misure, generalmente superiore alle
necessità matematiche della soluzione. Potremo quindi estrarre dall'insieme delle misure eseguite
un unico valore che possa essere assunto come rappresentativo di tutta la popolazione delle misure e
quindi della grandezza misurata. Si potrà quindi:
• determinare un solo valore rappresentativo dell'insieme da scegliere come misura univoca
della grandezza;
• stimare la precisione delle misure;
• stimare la precisione del risultato;
• scegliere quali misure possano essere accettate e quali rigettate.
La soluzione è possibile quando l'insieme dei valori ottenuti ripetendo più volte la misura possa
essere considerato come l'insieme dei valori di una variabile aleatoria di cui si possa determinare la
probabilità.
Quindi la compensazione è possibile solo se gli elementi misurati (lati o angoli) sono in numero
sovrabbondante. In una rete planimetrica di n vertici sono 2n-3 le misure strettamente necessarie e
sufficienti, quindi le misure in più si definiscono sovrabbondanti. Per esempio in un triangolo 2n-3
= 3, sono 3 gli elementi necessari e sufficienti (fra cui almeno un lato). Se ne misuro 4, di
conseguenza ottengo una misura sovrabbondante (scelta da adottare). Per la compensazione si
possono eseguire due metodi:
• osservazioni condizionate
• osservazioni indirette

Osservazioni condizionate
In queste si impone il rispetto di certe condizioni, che sono di tre tipi:
equazioni poligonali: la somma degli angoli interni di un triangolo deve essere 180° (più
eventualmente l'eccesso sferico). Generalmente però non si otterrà 180° a causa degli inevitabili

29
errori di misura. Sommando i valori misurati α*, β*, γ*, si può scrivere: α* + β* + γ* = 180° + W,
dove W è l'errore di chiusura.

Figura 48

Si introducono allora delle correzioni Vα, Vβ, Vγ (incognite) da sommare ai valori misurati in modo
da imporre il rispetto dell'equazione di condizione: α* + Vα + β* + Vβ + γ* + Vγ = 180°
cioè Vα + Vβ + Vγ + W = 0

Figura 49

Equazioni laterali: ogni lato in più di quelli necessari a rendere rigida la rete da luogo ad una
equazione (in fig. 46 ad es. posso eliminare un solo lato senza indebolire la rete). Per scrivere
l'equazione si calcola un lato sfruttando triangoli diversi e si eguagliano i due valori, tenendo in
conto i valori misurati più le correzioni incognite.

Equazioni alle basi: per dimensionare una rete basterebbe misurare un solo lato. Ogni lato misurato
in più da luogo ad una equazione che si scrive in maniera analoga a quella laterale.

30
Figura 50

Tra poligonali, laterali e alle basi, avremo scritto tante equazioni di condizione quanto sono le
misure sovrabbondanti, in tante incognite V quanti sono gli elementi misurati. Poichè il numero di
incognite risulta maggiore del numero di equazioni, il sistema non è determinato ma ammette
infinite soluzioni. Per esempio in un triangolo in cui si misurano tre angoli e un lato, si ha una
equazione poligonale Vα + Vβ + Vγ + W = 0.
Si determina la soluzione più plausibile imponendo che le incognite soddisfino oltre alle equazioni
di condizione, anche al principio dei minimi quadrati: Σ ν2 = min. Se le misure hanno lo stesso peso,
quindi la stessa precisione, oppure se Σ p ν2 = min, se hanno pesi diversi. Una volta compensate le
misure, si passa al calcolo delle coordinate.

osservazioni indirette
Si fa un calcolo approssimato delle coordinate sfruttando una parte delle misure eseguite in numero
strettamente necessario e sufficiente. Si introducono poi delle correzioni (incognite) da dare ai
valori approssimati per ottenere quelli più plausibili. Tali correzioni si ricavano imponendo che i
residui di osservazione ν, cioè le differenze tra i valori misurati α*, D* e quelli più plausibili α, D,
che contengono le condizioni incognite, soddisfino al principio dei minimi quadrati: Σ ν2 = min ed Σ
p ν2 = min.
In particolare si possono avere:
equazioni agli angoli αi- αi* = νi
equazioni alle distanze Dij - Dij* = νij
dove αi* e Dij* sono i valori misurati, mentre αi e Dij sono quelli più plausibili, funzioni delle
coordinate approssimate: __ __
Xi, Yi, ...

e delle loro correzioni più plausibili:


δXi, δYi, ...

In tutto si hanno tante equazioni quanti sono gli elementi misurati.

31
Figura 51

In passato si preferiva il primo metodo, perché da luogo ad un minor numero di equazioni. Oggi si
preferisce il secondo, perché le equazioni sono più facili da scrivere e con gli elaboratori elettronici
si possono risolvere rapidamente sistemi con elevati numero di equazioni.
Oltre al valore più plausibile delle coordinate, è possibile calcolare i parametri dell'ellisse standard
di errore. Questo rappresenta un intorno entro il quale vi è la probabilità (generalmente il 39%, pari
a 1σ, ma anche al 95%, pari a 2σ) che cada la posizione teorica del vertice.

Intersezioni
Risolta così la nostra rete, abbiamo le coordinate dei punti, che nel caso della rete di triangolazione
italiana, sono posti mediamente alla distanza di 5 km (dal I al IV ordine). E' una densità ancora
troppo bassa per passare direttamente al rilievo di dettaglio anche per carte a piccola scala, cioè
<1:25.000. Non conviene raffittire ulteriormente la rete, ma conviene riattaccare punti isolati per
mezzo delle intersezioni, di cui si hanno vari schemi.

Intersezione in avanti

A, B = vertici noti
P = vertice da misurare
α, β = angoli misurati con teodolite
c = note (calcolate)

2n-3=3
(α, β, c)

Figura 52

32
Intersezione laterale

A, B = vertici noti
P = vertice da riattaccare
α, γ = angoli misurati con teodolite
c = note (calcolate)

2n-3=3
(α, γ, c)

Figura 53

Intersezione indietro (Pothenot)

A, B, C = vertici noti
P = vertice da riattaccare
α, β = angoli misurati con teodolite
a, b, γ = note (calcolate)

2n-3=5
(α, β, γ, a, b)

Figura 54

Poligonali

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Con le intersezioni possiamo arrivare ad avere un vertice ogni 2 km circa. Non conviene per
distanze superiori. Si ricorre allora alle poligonali, spezzate con lati di un centinaio di metri, che
congiungono generalmente vertici riattaccati che sono orientate su vertici delle reti trigonometriche.

Figura 55

A, B = vertici trigonometrici noti


P1, Pn = vertici riattaccati noti
P2, P3, ... = vertici di poligonale incogniti

Gli angoli α sono calcolabili con il tacheometro; le distanze l con il distanziometro elettronico,
anallattico, triplometri,...
Si può verificare che in uno schema come quello in figura 52, ci sono tre misure sovrabbondanti:
quindi la compensazione può essere fatta in modo rigoroso. Si rimanda a testi completi di topografia
per una trattazione estesa del metodo. Le poligonali ora descritte sono dette ordinarie o
tacheometriche. Si possono fare anche poligonali con lati molto più lunghi usando un teodolite
accoppiato ad un distanziometro elettronico. In tal caso si dicono geodimetriche.

Rilievo di dettaglio
Una volta determinate le coordinate dei vertici di poligonale, è facile determinare la posizione dei
punti di dettaglio per mezzo di misure di angoli e distanze. Queste possono essere eseguite con
teodolite e distanziometro elettronico, in dipendenza delle distanze e delle precisioni richieste. La
precisione dei punti di dettaglio dipende infatti dalla scala della carta che si vuole realizzare.

Figura 56

Indicando con 1:n la scala della carta e con ε l'errore di graficismo (generalmente 0.2 mm), la
precisione richiesta per i punti di dettaglio è dato da ε⋅n. Ad esempio, per una carta in scala
1:10.000, la precisione richiesta è di 2 m).

34
8) RILIEVO ALTIMETRICO

I metodi di interesse geodetico - topografico sono praticamente soltanto due:


• livellazione trigonometrica
• livellazione geometrica

Livellazione trigonometrica
La superficie di riferimento è la sfera locale di (raggio = ρ N). La verticale e la normale alla sfera
si suppongono coincidenti. Se voglio determinare il dislivello ΔAB = HB - HA fra A e B, con un
teodolite misuro contemporaneamente gli angoli zenitali reciproci γA e γB. Dove γ è l'angolo tra la
verticale per il punto di stazione e la tangente alla traiettoria luminosa.

Figura 57

Questa, per effetto della rifrazione, è una linea curva che per semplicità si può assimilare ad un arco
di circonferenza di raggio r. E' comunque necessario già conoscere, da misure o da calcoli, la
distanza S tra i due punti e fare una stima approssimata della quota media HM.

HA + HB
Quindi HM = ⎯⎯⎯⎯⎯
2

Il dislivello è da dato dalla:

HM ψA - ψB
HB + HA = S 1 + ⎯⎯⎯ tg ⎯⎯⎯⎯⎯
R 2

si può anche misurare soltanto ψA, ma in tal caso si deve poter stimare il coefficiente di rifrazione
K, definito dalla:

R
K = ⎯⎯
r
Durante le ore del giorno K = 0.12÷ 0.15.

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La stima di K si può fare con formule oppure utilizzando grafici e tabelle, in funzione dei parametri
atmosferici. Questi ultimi, in particolari valori di temperatura e pressione misurabile a terra con gli
psicrometri. Si ottiene:

HM 1- K
HB + HA = S 1 + ⎯⎯⎯ cot ψA - ⎯⎯⎯ S
R 2R

Per brevi distanze, inferiori a 2 ÷ 3 km e quote medie non molto elevate, si può usare una formula
approssimata:

1-K
HB - HA = S cot ψA + ⎯⎯ S2 (a - b)
2R

dove:
a = altezza strumento
b = altezza mira

Per distanze fino a circa 100 m, la precisione di questo metodo è di circa 1÷ 2 cm/km (misure con
teodolite ed errore sulla distanza di circa 10-5).
Oltre i 10 km non conviene, perchè l'errore tende ad aumentare con il quadrato della distanza e
raggiunge rapidamente valori dell'ordine del metro. La ragione è che per distanze fino a 10 km è
predominante l'errore sulla misura di ψA (termine in S), oltre i 10 km diviene predominante l'errore
della stima di K (termine in S2). Per distanze di poche centinaia di metri, il termine

1-K
⎯⎯ S2
2R

che tiene conto della curvatura della superficie di riferimento e della rifrazione, diventa trascurabile
e si può scrivere semplicemente:

HB - HA = S cot ψA

ciò equivale a considerare la superficie di riferimento piana in assenza di rifrazione. In tal caso si
parla di livellazione tacheometrica. Utilizzando proprio un tacheometro e misurando la distanza con
triplometri, la precisione è di circa 5cm/100 m.

Livellazione geometrica
Mettendo un livello a uguale distanza da due stadie poste su due punti distanti non più di 80-100
metri, ottengo il dislivello come differenza fra lettura indietro e lettura avanti.

ΔAB = li - la

36
Figura 58

Il dislivello così ottenuto è la differenza tra le quote HB e HA, riferite al geoide, purché le superfici
equipotenziali possano essere considerate simmetriche rispetto alla verticale per il punto di stazione.
Se i punti sono distanti più di 100 m, dovrò ripetere successivamente questa operazione. Il dislivello
sarà dato dalla:

ΔAB = Σ li - Σ la

Figura 59

Affinché questo dislivello corrisponda alle differenze tra le due quote HB e HA riferite al geoide,
occorre fare l'ipotesi che le superfici equipotenziali siano parallele. Questa ipotesi è accettabile per
distanze di qualche km, ma che non è corretto applicarle per distanze di centinaia di km (nella
direzione dei meridiani). Si introducono allora diversi tipi di quote, non geometriche: dinamiche,
geopotenziali, ecc. Se si usa un livello di precisione, caratterizzato da una livella a coincidenza o
compensatore di analoga sensibilità (almeno 0,2"), di un micrometro ottico (lamina piano - parallela
posta davanti all'obbiettivo) per letture a coincidenza e di una coppia di stadie invar, si può
realizzare la livellazione geometrica di precisione. Questa è caratterizzata in genere da una
precisione di 1mm/km. I tratti tra caposaldo e caposaldo devono essere misurati in andata (A) e
ritorno (R). La tolleranza, espressa in mm se la distanza D è in km, è data dalla:

A+R<3 D

37
9) IL SISTEMA DI POSIZIONAMENTO SATELLITARE GLOBAL POSITIONING
SYSTEM (GPS)

Il NAVSTAR/GPS (NAVigation Satellite Time And Ranging / Global Positioning System) è un


sistema di posizionamento globale basato sull’emissione, da parte di una costellazione di satelliti
artificiali, di segnali complessi che permettono di ricavare informazioni relative al tempo ed alle
distanze tra satelliti e ricevitore. Attraverso la ricezione e l’interpretazione di tali segnali, mediante
apposita strumentazione, è possibile realizzare un posizionamento tridimensionale (anche in tempo
reale) in un sistema di riferimento cartesiano geocentrico.
Nato da un progetto statunitense per scopi militari, il GPS è stato concesso, per le sue vastissime
potenzialità applicative, agli usi civili nella prima metà degli anni ’80 e si è rapidamente diffuso in
vari campi di applicazione: terrestre (rilievi a varie scale, monitoraggio di deformazioni,
posizionamento in tempo reale di veicoli), marino (rilievi batimetrici, studi oceanografici sulla
direzione delle correnti, posizionamento di imbarcazioni in tempo reale, ecc.), aereo e spaziale
(rilievi fotogrammetrici senza punti di appoggio, posizionamento in tempo reale di velivoli e di altri
satelliti artificiali, ecc).
Nell’ambito di un rilievo geodetico, i vantaggi offerti da un tale sistema di misura sono:
• la semplicità di esecuzione delle misure;
• la precisione dei risultati che un lavoro ben eseguito può fornire e la rapidità del rilievo: al
giorno d’oggi si riescono a raggiungere ed in alcune applicazioni a superare le precisioni
ottenibili con le migliori strumentazioni terrestri, impiegando minor tempo sia per le sessioni di
misura che per l’elaborazione dati;
• la non necessaria intervisibilità tra i punti e l’inesistenza di limiti massimi di distanza;
• l’unicità del sistema di riferimento per la planimetria e per l’altimetria.
• la possibilità di lavorare di notte o in presenza di condizioni meteorologiche sfavorevoli
(pioggia o foschia), che renderebbero molto difficile o impossibile il ricorso a metodologie
classiche.
Gli svantaggi:
• la necessità della visibilità dei satelliti che limita i rilievi solo all’aperto e la sensibilità a disturbi
elettromagnetici;
• la disuniforme precisione in planimetria (maggiore), ed in quota (minore);
• la necessità di occupare i vertici da rilevare, che esclude la possibilità di utilizzo per alcune
tipologie di vertici (vertici materializzati da assi di campanili, spigoli di muri, ecc.);
• la diversità tra il sistema di riferimento GPS e quello geodetico nazionale.

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Nonostante tali svantaggi, in molte applicazioni in ambito geodetico il GPS è ormai in grado di
sostituire completamente (o quanto meno di integrare notevolmente) le tecniche di rilievo
tradizionale.
Esso risulta particolarmente indicato per il rilievo periodico di reti geodetiche finalizzate al
controllo delle deformazioni in ambito locale, regionale ed anche continentale.

9.1 Le componenti del sistema


Il sistema GPS può considerarsi suddiviso in tre segmenti:
• il segmento spaziale;
• il segmento di controllo;
• il segmento di utilizzo.
Il segmento spaziale è costituito da una costellazione di 24 satelliti (fig. 60), più due di scorta,
disposti su 6 piani orbitali distanziati di 60° in ascensione retta ed inclinati di 55° rispetto
all’equatore celeste (fig. 61). Il raggio dell’orbita è pari a circa 26.000 Km, con un periodo di
rivoluzione di 12 ore siderali.
La particolare geometria della costellazione
garantisce che da ogni punto della terra siano
sempre visibili almeno 4 satelliti.
Le principali funzioni del segmento spaziale sono
quelle di trasmettere varie informazioni agli
utilizzatori attraverso l’invio di diversi tipi di
segnali, di ricevere e memorizzare le informazioni
provenienti dal segmento di controllo e permettere a
quest’ultimo di eseguire le opportune correzioni
d’orbita attraverso razzi di manovra; infine la
capacità di mantenere un segnale di tempo molto
accurato utilizzando quattro oscillatori atomici (due
al cesio e due al rubidio) collocati a bordo di
Figura 60 Esempio di satellite GPS.
ciascun satellite.
Il segmento di controllo è costituito da cinque stazioni a terra, quasi equispaziate lungo la linea
equatoriale (fig. 62), la cui posizione risulta nota con grande precisione. In base alle funzioni svolte
vengono classificate come Monitor Station (MSS), Master Control Station (MCS) e Ground
Control Station (GCS). La loro funzione principale è il continuo tracciamento dei satelliti al fine di

39
calcolarne le effemeridi e le correzioni degli orologi e di caricarle sulle loro memorie di banda. A
Colorado Springs (U.S.A.) è situata la cosiddetta stazione principale di controllo (MCS), cui
confluiscono e vengono processati tutti i dati registrati nelle MSS. Le GCS costituiscono infine il

Figura 61: Disposizione orbitale dei satelliti GPS

Figura 62 Ubicazione delle stazioni del segmento di controllo

collegamento tra MCS e segmento spaziale, trasmettendo ai satelliti le istruzioni e i messaggi


prodotti dalle elaborazioni della MCS che andranno poi a costituire una parte essenziale del segnale
inviato dal satellite.
Il segmento utente è costituito da tutti gli utenti civili e militari dotati essenzialmente di un
ricevitore in grado di ricevere, decodificare ed elaborare il segnale ricevuto. Tale strumentazione,
come tutti gli apparecchi elettronici in generale, ha subito nel corso degli ultimi anni una rapida
evoluzione che ha permesso in poco tempo una drastica riduzione dell’ingombro, del peso e del
consumo di energia e contemporaneamente un aumento delle prestazioni: si è passati da apparati
delle dimensioni di una valigia e del peso di alcune decine di kg ad apparecchi compatti e leggeri.

40
Esistono oggi svariati tipi di ricevitori che si differenziano per l’uso di una singola o doppia
frequenza, per la strategia adottata nella decodifica del segnale, per la precisione che forniscono nel
posizionamento, per la capacità di memorizzare dati, ecc..
In generale, uno strumento GPS è costituito da:
• un‘antenna ricevente con preamplificatore, che può essere separata o inglobata nel ricevitore;
• un ricevitore, dotato di visore e tastiera per il controllo dell’apparato, con all’interno un
oscillatore di precisione al quarzo;
• una batteria di alimentazione, di norma esterna all’apparato principale;
• una dotazione di cavi per il collegamento dei componenti o di questi ad altre unità;
• un software per la gestione dei processi di acquisizione e di memorizzazione presente su ROM
all’interno dello strumento.
Gli strumenti attualmente in commercio possono essere suddivisi in due categorie alle quali
corrispondono due diverse metodologie operative:
• strumenti in grado di determinare esclusivamente la posizione assoluta del punto (metodo del
point positioning) attraverso misure di pseudorange;
• apparati che oltre allo pseudorange sono in grado di eseguire misure di fase sulle onde portanti
del segnale, consentendo un posizionamento relativo tra più strumenti che hanno acquisito
contemporaneamente (metodo del differential positioning).
Delle differenze tra i due tipi di misure sopra accennati si tratterà più ampiamente nelle pagine
successive.

9.2 Il segnale GPS


E’ un segnale complesso, composto dalla sovrapposizione di più onde (fig. 63):
PORTANTI + CODICI + MESSAGGIO
Gli oscillatori a bordo di ogni satellite forniscono un segnale elettromagnetico continuo con
frequenza fondamentale f0 pari a 10.23 MHz; a partire da f0 si ottengono le frequenze multiple o
sottomultiple delle onde costituenti il segnale.
Il sistema utilizza due diverse portanti:
• L1 con frequenza fL1 pari a 154 x f0 =1575.42 MHz e lunghezza d’onda λL1 ≅ 19 cm
• L2 con frequenza fL2 pari a 120 x f0 =1227.60 MHz e lunghezza d’onda λL2 ≅ 24 cm
poiché le perturbazioni dovute alla propagazione del segnale nella ionosfera variano in funzione
della frequenza del segnale stesso e quindi utilizzando due frequenze si possono valutare ed
eliminare gli effetti ionosferici.

41
Le due portanti vengono modulate mediante tre codici:
• C/A (Course Acquisition) con frequenza fC/A pari a 1/10 x f0; si ripete ogni millesimo di secondo
ed è diverso per ogni satellite per permetterne l’individuazione.
• P (Precise) con frequenza fP pari a f0; si ripete ogni 267 giorni, periodo che viene suddiviso in
segmenti di 7 giorni, ciascuno assegnato ad un satellite.
• D (Data) con frequenza fD pari a 50 Hz consiste in 1500 bit inviati in 30 s.
I primi due sono detti Pseudo Random Noise (PRN, rumori pseudo-casuali) in quanto realizzati
tramite una sequenza pseudo casuale di +1 e –1. Il terzo è anch’esso un codice binario, ma
strutturato in modo da fornire un ben preciso messaggio: parametri di correzione degli orologi,
effemeridi predette, almanacco e stato di salute dei satelliti, modello ionosferico ed altri indici (n°
settimana GPS, precisione delle effemeridi del satellite, ecc.).

9.3 Effemeridi trasmesse ed effemeridi precise


Si distinguono due tipi di effemeridi:
• le effemeridi trasmesse (tramite il messaggio navigazionale D);
• le effemeridi precise;

Figura 63 – Struttura del segnale GPS

che si differenziano in base alla precisione che sono in grado di offrire.


Le effemeridi trasmesse (o broadcast ephemerides) sono quelle calcolate dal segmento di controllo
sulla base delle orbite precedentemente compiute dallo stesso satellite: i dati raccolti nell’ultima
settimana vengono compensati col metodo dei minimi quadrati e viene determinata una prima stima
della traiettoria (effemeridi di riferimento) con errori dell’ordine del centinaio di metri. Poi, a
intervalli di 12-24 ore vengono trasmesse le correzioni da apportare alle effemeridi di riferimento
calcolate sulle ultime orbite compiute dal satellite. Così corrette le effemeridi trasmesse hanno
errori dell’ordine dei 5-10 m. Le informazioni sulle effemeridi trasmesse vengono memorizzate dal

42
ricevitore per poter poi essere utilizzate in sede di elaborazione e consentendo inoltre il
posizionamento in tempo reale.
Vengono inoltre messe a disposizione le cosiddette effemeridi precise (o calcolate), che si basano
sul tracciamento dei satelliti da parte della rete di stazioni permanenti dell’IGS - International GPS
Service. Tali effemeridi hanno una precisione molto superiore rispetto alle precedenti (circa 20 cm),
in quanto non si tratta di orbite predette ma di orbite ricalcolate. Le effemeridi precise sono
disponibili generalmente due settimane dopo la raccolta dei dati e quindi non possono essere
utilizzate per il posizionamento in tempo reale.

9.4 Misure con il sistema GPS


Il segnale inviato dai satelliti viene captato dal ricevitore il quale ne effettua una replica al suo
interno. L’operazione impegna il ricevitore per qualche istante dopo l’accensione e consiste nel
riprodurre col proprio oscillatore un segnale simile a quello ricevuto, che si differenzia da
quest’ultimo per uno sfasamento lungo l’asse dei tempi. Per questa operazione, ad ogni satellite
collegato viene riservato un differente canale all’interno del ricevitore.
A questo punto possono essere eseguite due differenti misure sul segnale GPS:
• misure di pseudorange (effettuate sui codici PRN modulanti la portante);
• misure di fase (effettuate sulle portanti demodulate),
Entrambe hanno lo stesso contenuto geometrico (distanza ricevitore-satellite), ma precisioni
diverse. Inoltre soltanto le prime forniscono senza particolari elaborazioni risultati in tempo reale,
con la possibilità di utilizzo a livello navigazionale.
La distanza così determinata è da intendersi tra i due estremi individuati fisicamente dal centro di
fase dell’antenna del ricevitore e dal centro di fase dell'antenna del satellite.

9.4.1 Misure di pseudorange


Assumendo come nota in ogni istante la posizione dei satelliti nello spazio, rispetto ad un prefissato
sistema di riferimento cartesiano (detto WGS84 e discusso nel seguito), un qualsiasi punto nello
stesso sistema di riferimento avrà coordinate esprimibili mediante un sistema di tre equazioni del
tipo:

dij = ( Xi − X j )2 + ( Y i − Yj )2 + ( Z i − Z j )2 (1)

avendo posto:
d ij = distanza geometrica tra satellite i e ricevitore j;

X i ,Y i , Z i = coordinate dell’i-esimo satellite (con i = 1, 2, 3);

43
X j ,Y j , Z j = coordinate del ricevitore j (incognite);

Affinchè sia possibile determinare la posizione di quel punto in quello istante è quindi necessario
misurare la distanza tra il punto in questione ed almeno tre satelliti.
Questa misura è effettuata sui codici modulanti le portanti, i quali permettono di determinare il
tempo necessario al segnale per giungere dal satellite alla stazione di ricezione.
Operativamente la misura viene effettuata confrontando il segnale proveniente dal satellite con
quello riprodotto all’interno del ricevitore (fig. 64); si valuta quindi di quanto deve essere traslata la
replica, sull’asse dei tempi, per ottenere l’allineamento con il codice ricevuto (in corrispondenza
della massima correlazione tra i codici). Il ritardo ΔT tra i due codici, il cosiddetto time delay,
rappresenta proprio il tempo che il segnale impiega a coprire la distanza incognita ed è ottenuto
come differenza tra l’origine del tempo di ricezione Tj (letto sull’orologio del ricevitore j) e quella
del tempo di trasmissione Ti (letto sull’orologio del satellite i):

ΔTji = Tj − T i (2)

Indicando con ΔTji l’intervallo temporale necessario al segnale per giungere dal satellite i al

ricevitore j e moltiplicandolo per la velocità di propagazione del segnale c (velocità della luce nel
vuoto), si ottiene una lunghezza che rappresenta lo pseudorange (o pseudo distanza):
p ij = cΔTji (3)

Si parla di pseudorange in quanto la grandezza così determinata è una distanza affetta dall’errore di
sincronismo tra l’orologio del ricevitore e quello del satellite (oltre che da altri errori di minore
entità verranno introdotti in seguito). Infatti l’espressione (3) non può essere considerata corretta
poiché richiederebbe che tutti gli orologi (satelliti e ricevitore) fossero costantemente sincronizzati.
Al contrario, mentre gli orologi dei satelliti si possono ritenere adeguatamente sincronizzati tra loro,
ciò non è valido per il ricevitore (fig. 65).

Codice satellite

Replica codice nel


ricevitore
ΔTji Spostamento sull’asse dei
tempi per allineare i codici
Figura 64 – Misura di pseudorange.

44
Viene quindi introdotta nel problema un’ulteriore incognita rappresentata dal difetto di
sincronizzazione (offset) tra i tempi dei due gruppi di orologi:
ρij
ΔTji = (Tj − T i ) = ( t j − t i ) + (dt j − dt i ) = + (dt j − dt i ) (4)
c
in cui:
(dt j − dt i ) = difetto di sincronizzazone tra satellite i e ricevitore j, incognito.

L’incognita aggiuntiva richiede perciò l’osservazione di un quarto satellite. Il sistema di equazioni


(1), riscritto assumendo come grandezza osservabile la pseudodistanza, diventa quindi:

p ij = ( X i − X j ) 2 + ( Y i − Yj ) 2 + ( Z i − Z j ) 2 + c(dt j + dt i ) (5)

essendo:
pij = pseudorange tra satellite i e ricevitore j, misurato;

Ti

Orologi satelliti
i tj
t

Tempo GPS
Tj

Orologio ricevitore
dti dt j

ΔTji = pij / c

ρij / c

Figura 65 – Difetti di sincronismo del ricevitore e dei satelliti rispetto al tempo


generale GPS.

c = velocità di propagazione del segnale, nota;


dti = offset di tempo del satellite i, noto dal messaggio navigazionale D;
dtj = offset di tempo del ricevitore j, incognito;
X i ,Y i , Z i = coordinate dell’i-esimo satellite, note dal messaggio navigazionale D;
X j ,Y j , Z j = coordinate del ricevitore j, incognite;

Ogni satellite osservato fornisce una equazione del tipo (5) e quindi è possibile determinare la
posizione del ricevitore risolvendo un sistema di almeno 4 equazioni che contengono le sole

45
incognite di posizione e del difetto di sincronizzazione. Tale operazione viene eseguita dal software
del ricevitore in tempo reale, fornendo ad ogni epoca di misura la posizione del ricevitore.
Gli stessi dati possono essere registrati ed elaborati in un secondo tempo così da modellizzare
analiticamente alcune cause di errore e rimuoverle parzialmente. Nel caso in cui siano osservati più
di quattro satelliti è possibile (sia in tempo reale che successivamente) stimare la soluzione secondo
il principio dei minimi quadrati, aumentando l’affidabilità del posizionamento.
Le precisioni massime conseguibili nella misura dello pseudorange dipendono dal codice sul quale
viene effettuata la misura; una regola pratica esprime la precisione come percentuale della
lunghezza d’onda del segnale (0.2 ÷ 1%):
• nel caso del codice C/A (λ≅ 300 m) l’incertezza è dell’ordine dei 0.5 – 3 m
• nel caso del codice P (λ ≅ 30 m) l’incertezza è di circa 0.1 – 0.3 m.
Vedremo però nel seguito che la presenza di altre cause d’errore impedisce generalmente di
raggiungere tali precisioni.

9.4.2 Misure di fase


Le misure di fase si effettuano sull’onda portante demodulata dai codici; l’osservazione è costituita
dalla differenza tra la fase dell’onda portante ricevuta e la fase di un’onda di riferimento generata
all’interno del ricevitore, all’istante della ricezione.
Il principio operativo risulta essenzialmente analogo a quello utilizzato per i codici: in entrambi i
casi si giunge infatti alla determinazione della distanza considerando lo sfasamento tra due onde
ma, mentre per lo pseudorange la grandezza misurata è una differenza di tempo, in questo caso si
tratta proprio di una differenza di fase.
La misura di fase è costituita da due componenti, una frazionaria e l’altra intera (fig. 66):

46
• la componente frazionaria consiste nello sfasamento ϕij ( t j ) ( 0 ≤ ϕij ≤ 1 ciclo) tra la fase

dell’onda portante inviata dal satellite all’epoca t j e la fase della copia della portante generata

dall’oscillatore interno al ricevitore alla stessa epoca;


• la componente intera è rappresentata dalla variazione della differenza ΔN( t 0 , t j ) tra il numero di

cicli interi ricevuti dal satellite ed il numero di cicli interi generati dall’oscillatore interno al
ricevitore all’epoca t j rispetto all’epoca iniziale t 0 , equivalente alla variazione del numero

intero di lunghezze d’onda comprese nella distanza satellite-ricevitore tra le suddette epoche.
Se non vi fosse moto relativo tra il satellite ed il ricevitore, il principio della misura della distanza
satellite-ricevitore sarebbe uguale a quello su cui si basa il funzionamento del distanziometro ad
onde elettromagnetiche, quindi il problema si ricondurrebbe direttamente alla determinazione del
numero intero di lunghezze d’onda comprese nella distanza satellite-ricevitore (ambiguità di fase
N).
Si considerino due oscillatori (j, i) posti a distanza costante d che generano onde elettromagnetiche
di uguale frequenza f e si misuri lo sfasamento Φ ij ( t j ) tra le loro fasi in corrispondenza

dell’oscillatore j all’epoca di ricezione t j ; ipotizzando di operare in condizioni ideali (senza errori

di orologio e di rifrazione) è possibile scrivere la seguente relazione:


Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = Φ i ( t j − τ) − Φ j ( t j ) = Φ j ( t j − τ) − Φ j ( t j ) (6)

ONDA OSSERVATA

Cicli

Fase frazionaria φ j ( t j )
i

Variazione dell’ambiguità di
fase ΔN( t 0 , t j )

Ambiguità di fase iniziale N( t 0 )

Tempo (t)

Figura 66 – Misure di fase.


essendo:
t j = epoca di ricezione del segnale all’oscillatore j;

47
τ = tempo di propagazione, ovvero il tempo impiegato dall’onda per percorrere la distanza d;
Φ iJ ( t j ) = fase dell’onda proveniente dall’oscillatore i ricevuta all’epoca t j dall’oscillatore j;

Φ Ki ( t j − τ) = fase dell’onda trasmessa dall’oscillatore i all’epoca t j − τ (uguale a Φ iJ ( t j ) );

Φ j ( t j − τ) = fase dell’onda generata dall’oscillatore j all’epoca t j − τ

(uguale a Φ i ( t j − τ) ).

Sviluppando in serie di Taylor il termine Φ j ( t j − τ) in un intorno dell’epoca t j fino al primo ordine

e ricordando che:
∂Φ j
=f
∂t
si ottiene:
d
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −fτ = − = −N( t j ) − ϕ j ( t j ) = −N − ϕij (7)
λ
in cui:
λ = lunghezza d’onda
d = distanza tra gli oscillatori
N = numero intero di lunghezze d’onda nella distanza d
ϕij = parte frazionaria dello sfasamento

Va notato che nella (7) l’ambiguità di fase e lo sfasamento rimangono costanti nel tempo, poiché
costante è la distanza d tra gli oscillatori.
Il moto relativo tra satellite e ricevitore fa invece variare nel tempo queste due quantità e quindi è
necessario misurarle continuamente entrambe. In pratica è però impossibile misurare l’ambiguità di
fase N( t j ) ad ogni epoca, mentre si può misurare la sua variazione nel tempo ΔN( t 0 , t j ) ; rimane

allora incognita solo l’ambiguità di fase all’epoca iniziale (ambiguità iniziale di fase N( t 0 ) ) poiché

sussiste la relazione:
N( t j ) = N( t 0 ) + ΔN( t 0 , t j )

Conseguentemente, sempre ipotizzando che non vi siano errori di nessun tipo, l’equazione di
osservazione relativa alla misura di fase risulta:
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t 0 ) − ΔN( t 0 , t j ) − ϕij ( t j ) (8)

Sulla base di quanto detto sopra è possibile considerare le misure di fase sotto due punti di vista
differenti ma equivalenti:
• come misure di distanze (variabili) affette da una ambiguità di fase incognita variabile nel
tempo:
48
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t j ) − ϕij ( t j ) ; (9)

• come misure di differenze di distanze affette da una ambiguità di fase iniziale incognita:
Φ iJ ( t j ) − Φ j ( t j ) = −N( t 0 ) − [ ΔN( t 0 , t j ) + ϕij ( t j )] . (10)

Nel seguito si sceglie la forma (10) per separare le quantità misurate


ΔN( t 0 , t j ) e ϕij ( t j ) dai parametri Φ iJ ( t j ) , Φ j ( t j ) , N( t 0 ) e si pone:

Φ ij ( t j ) = ϕij ( t j ) + ΔN( t 0 , t j ) ,

cosicché l’equazione di osservazione (8) diventa:


Φ ij ( t j ) = Φ j ( t j ) − Φ iJ ( t j ) − N( t 0 ) . (11)

Per esplicitare le incognite geometriche nella (11) si procede in modo analogo a quanto fatto per
ricavare la (7) in cui compare la distanza d; si deve però tenere presente che in questo caso il tempo
di propagazione è variabile nel tempo e quindi si ottiene:
Φ ij ( t j ) = Φ j ( t j ) − Φ iJ ( t j ) − N( t 0 ) =

= Φ j ( t j ) − Φ i ( t j − τ( t j )) − N( t 0 ) =

= Φ j ( t j ) − Φ i ( t j ) + fτ( t j ) − N( t 0 ) =

ρ ij ( t j )
= Φ j (t j ) − Φ (t j ) + f
i
− N( t 0 ) (12)
c
I termini Φ j ( t j ) e Φ i ( t j ) sarebbero uguali se si operasse in condizioni ideali, poiché per ipotesi, in

tal caso, gli oscillatori del satellite e del ricevitore dovrebbero essere identici. Come già detto però,
esiste sempre un difetto di sincronizzazione (variabile nel tempo), esprimibile come differenza dei
rispettivi difetti di sincronizzazione al medesimo istante dt i ( t j ) , dt j ( t j ) , rispetto al tempo GPS.

Bisogna quindi introdurre nella (12) il termine relativo agli errori di orologio in termini di fase.
Essendo:
Φ i ( t j ) = Φ( t j ) + d Φ i ( t j )

Φ j ( t j ) = Φ( t j ) + d Φ j ( t j )

con:
Φ( t j ) = fase dell’oscillatore ideale

dΦ Ki ( t j ) = fdt i (difetto di sincronizzazione del satellite all’epoca di ricezione)

dΦ j ( t j ) = fdt j (difetto di sincronizzazione del ricevitore all’epoca di ricezione)

Differenziando le due espressioni si ottiene:

49
Φ j ( t j ) − Φ i ( t j ) = f (dt j − dt i )

e quindi la (12) diventa:

ρij ( t j )
Φ ij ( t j ) = f (dt j − dt i ) + f − N( t 0 ) (13)
c
Nell’equazione di osservazione alla misura di fase compaiono in definitiva la seguenti incognite:
• 3 coordinate incognite del punto di stazione (Xj, Yj, Zj);
• l’incognita dovuta al difetto di sincronizzazione degli orologi (dt j − dt i ) ;

• l’incognita di ambiguità iniziale N(T0 ) (numero intero).


Si vedrà in seguito che in realtà nell’equazione (13) debbono essere considerate ulteriori incognite
che renderanno necessario adottare particolari combinazioni lineari delle equazioni medesime.
Anche nella misura di fase la precisione massima conseguibile può essere espressa empiricamente
come percentuale della lunghezza d’onda del segnale (0.5 ÷ 1%), quindi un incertezza dell’ordine
dei 1 ÷ 2 mm (essendo λL1 ≅ 19 cm e λL2 ≅ 24 cm).

9.5 Errori del sistema GPS


Le misure GPS sono affette da un notevole numero di errori di varia natura, classificabili come:
a) puri errori strumentali;
b) errori di modello (biases);
c) errori di osservazione;
d) degradazione intenzionale del segnale.
Tutti gli errori possono essere quantificati in termini di effetto sulla distanza satellite-ricevitore. Gli
errori b, c, e d sono notevolmente superiori ai primi e la loro entità impedisce di raggiungere le
massime potenzialità del sistema citate precedentemente e, per tale motivo, essi vanno eliminati o
quantomeno minimizzati.

9.5.1 Errori strumentali


Sono dovuti alla precisione intrinseca che l’apparecchiatura è in grado di fornire nelle misure di
pseudorange e di fase; se ne può tenere conto empiricamente considerandoli come frazione (0.2 ÷
1%) della lunghezza d’onda utilizzata.

9.5.2 Errori di modello (biases)


Sono errori sistematici, comuni sia a misure di pseudorange che di fase e possono essere
riconducibili a:

50
• indeterminazione dell’orbita dei satelliti (dρ, presente sia per le effemeridi “broadcast” che per
le “precise”, dovuta alla difficoltà di modellizzare tutte le forze non gravitazionali che
perturbano il moto dei satelliti;
• offset di sincronismo degli orologi dei ricevitori (dtj) e dei satelliti (dti);
• propagazione dei segnali attraverso l’atmosfera; in particolare si distinguono le perturbazioni
dovute alla ionosfera dion, parte ionizzata dell’atmosfera compresa tra i 50 ed i 100 Km di
quota, il cui effetto dipende dalla frequenza del segnale; e quelle dovute alla troposfera, la parte
dell’atmosfera soggetta a variazioni climatiche che va da 0 a 10 Km di quota, il cui effetto dtrop
dipende dal contenuto di umidità, dalla temperatura e dalla pressione.
Tipici delle sole misure di fase sono i biases di ambiguità delle onde portanti.

9.5.3 Errori di osservazione


Sono errori di natura accidentale che si verificano nell’acquisizione del segnale da parte del
ricevitore. Alcuni di questi errori non sono del tutto eliminabili, ma minimizzabili attraverso l’uso
di tecniche e procedure appropriate. Comprendono:
• Cicle slips (salti di ciclo), dovuti all’elevata rumorosità del segnale o a temporanee ostruzioni
della linea di vista ricevitore-satellite. Fintanto che le onde portanti sono ricevute senza
interruzioni durante una sessione di osservazione, si genera una sola ambiguità incognita Nij ( t 0 )

per ogni coppia ricevitore-satellite. Nel caso si verifichi una interruzione nella ricezione della
fase al tempo t '0 , al momento del “riaggancio” del segnale, al tempo t, la parte frazionaria della
misura di fase è la stessa di quella che si sarebbe ottenuta se non vi fosse stata la discontinuità,
ma il numero intero di cicli Nij ( t '0 , t ) intercorsi tra l’inizio e la fine dell’interruzione viene perso.

E’ proprio Nij ( t '0 , t ) l’entità del cycle slip. Concettualmente, sarebbe necessario introdurre una

nuova ambiguità incognita al tempo t, che riduce la ridondanza delle osservazioni e rende le
procedure di compensazione più laboriose. E’ però possibile nella maggioranza dei casi
identificare e rimuovere i cycle slips mediante un pre-processamento dei dati, attraverso una
sequenza di procedure automatiche, di volta in volta più raffinate.
• Multipath, fenomeno che peggiora il rapporto segnale/rumore, generato dalla contemporanea
ricezione del segnale proveniente direttamente dal satellite e di altri segnali riflessi da superfici
circostanti l’antenna (alberi, edifici, cartelli, ecc.). E’ possibile ridurre l’effetto usando
particolari tipi di antenne.
• Variazione del centro di fase dell’antenna, dovuta al fatto che le antenne non sono in grado di
ricevere i segnali in modo perfettamente isotropo sia azimutalmente che zenitalmente; uno

51
stesso segnale, ricevuto da due antenne di ugual tipo ma orientate diversamente, genera misure
diverse. Il problema può essere ridotto utilizzando antenne dello stesso tipo e orientandole tutte
nella stessa direzione.

9.5.4 Criptazione e degradazione intenzionale del segnale


Il Dipartimento della Difesa degli U.S.A., che gestisce il funzionamento del GPS, si riserva la
possibilità dell’uso esclusivo o della degradazione in qualunque momento del segnale GPS.
Ciò può essere realizzato in due diversi modi:
• mediante il cosiddetto Anti-Spoofing (AS), che consiste nella sovrapposizione di un ulteriore
codice pseudo-casuale incognito al codice P, che prende così il nome di codice Y. Con tale
espediente si rende impossibile il posizionamento di precisione agli utilizzatori non militari.
• mediante la modalità Selective Availability (SA), che consiste in una degradazione delle
informazioni contenute nel messaggio navigazionale D (deterioramento delle effemeridi
trasmesse e dei parametri per la correzione degli orologi dei satelliti).

9.5.5 Errori ed equazioni di osservazione


Le equazioni di osservazione (5) e (13) rappresentano i modelli puramente geometrici delle misure
di pseudo-range e di fase. Dalle considerazioni fatte nel presente paragrafo si rende necessario
completare tali espressioni, introducendo i termini relativi agli errori sistematici (biases).
Le equazioni possono essere così riscritte:
p ij = dij + c(dt j − dt i ) + dρ + dion + d trop + de (pseudorange) (14)

ρ ij ( t j ) f
Φ ij ( t j ) =f + f (dt j − dt i ) + (dρ + dion + d trop + de) − N( t 0 ) (fase) (15)
c c
dove:
dti = errore di sincronizzazione del satellite i;
dtj = errore di sincronizzazione del ricevitore j;
dρ = errore dovuto all’incertezza dell’orbita dei satelliti;
dion = errore dovuto all’attraversamento della ionosfera;
dtrop = errore dovuto all’attraversamento della troposfera;
de = errore dovuto al rumore del segnale, al multipath ed alla variazione del centro di fase
dell’antenna.

52
9.6 Cenno alle tecniche di elaborazione
Gli errori accidentali hanno una entità notevolmente inferiore rispetto a quelli sistematici, e
vengono contenuti sia mediante una idonea architettura hardware che con un’opportuna scelta dei
punti di stazione.
Gli errori sistematici possono essere rimossi adottando particolari procedimenti operativi e
combinazioni delle osservazioni, in modo da eliminare alcune delle incognite e giungere alla
soluzione del problema, rendendolo comunque sempre iperdeterminato per aumentare la precisione
e l’affidabilità delle stime. I metodi operativi impiegati (per scopi geodetici di alta precisione)si
riducono in sostanza al calcolo di posizioni relative fra due ricevitori (basi GPS), in cui le
osservazioni vengono processate con i cosiddetti metodi differenziali: eseguendo opportune
differenze tra le osservazioni di fase, si riesce a ridurre o eliminare gli errori sistematici comuni alle
osservazioni coinvolte. In particolare vengono impiegate:
• le differenze singole tra ricevitori,
• le differenze singole tra satelliti,
• le differenze doppie,
• le differenze triple.
La differenza singola tra ricevitori (fig. 67) è la differenza delle misure di fase acquisite da
ricevitori che osservano lo stesso satellite, nello stesso istante; questa osservabile elimina
sostanzialmente i biases dei satelliti (errori degli orologi e di orbita), inoltre per basi corte (inferiori
a 10 – 15 Km), si ha in genere una forte riduzione dei ritardi atmosferici, poiché il segnale
attraversa praticamente la stessa porzione di atmosfera.
Se in maniera analoga si differenziano le osservazioni di un solo ricevitore su due satelliti si ottiene
la singola differenza tra satelliti (fig. 68), che elimina gli errori di orologio relativi al ricevitore. La
doppia differenza (fig. 69) è la differenza tra le misure ottenute da due ricevitori che osservano due
differenti satelliti simultaneamente. In questo caso si eliminano gli errori sistematici dovuti ai
ricevitori ed ai satelliti e se la base è inferiore ai 10 – 15 Km vengono ridotti notevolmente anche gli
errori di propagazione atmosferica. Le differenze doppie, inoltre, consentono la determinazione
delle ambiguità iniziali di fase come numeri interi, ma hanno, per la legge di propagazione della
covarianza, un rumore 2 volte superiore a quello della misura di fase originaria. Si deve poi
sottolineare che, a differenza delle misure originarie e delle singole differenze, le differenze doppie
sono generalmente correlate e ciò complica la loro elaborazione. La tripla differenza (fig. 70) è
ottenuta dalla differenza tra due doppie differenze calcolate in istanti diversi; oltre ad eliminare gli
errori sistematici, come la doppia differenza, essa è indipendente dalle ambiguità iniziali di fase e
consente l’identificazione e la prima correzione dei cycle slips. Per contro, nelle differenze triple si

53
ha un peggioramento della qualità delle misure per l’aumento del rumore pari a 2 2 volte quello
iniziale.

Figura 67 – Differenza singola fra ricevitori.

Figura 68 – Differenza singola fra satelliti.

54
Figura 69 – Differenza doppia.

Figura 70 – Differenza tripla

Se la lunghezza delle basi eccede i limiti sopra indicati, è necessario utilizzare ricevitori a doppia
frequenza. Attraverso la combinazione lineare delle frequenze portanti L1 e L2 è possibile ottenere
delle osservabili con caratteristiche particolarmente utili. Tra tutte le possibili combinazioni lineari
ne emergono tre definite convenzionalmente come L3, L4, L5.

55
La combinazione L3 ha lunghezza d’onda nulla e pertanto non risente dell’errore di ritardo
ionosferico, per tale motivo è detta anche iono-free. Il suo utilizzo nella stima dei parametri
incogniti consente di eliminare l’effetto della ionosfera, ma va anche detto che il rumore associato a
questa osservabile è valutabile intorno a 3 volte quello della portante.
La combinazione L4, detta anche geometry-free, risulta indipendente dallo sfasamento del tempo
del ricevitore e dalla geometria (coordinate e orbite) del sistema. Ha la caratteristica di avere
lunghezza d’onda infinita.
La combinazione L5, avendo una lunghezza d’onda pari a 86 cm, è particolarmente adatta alla
risoluzione delle ambiguità ed è chiamata anche wide-line. Ha lo svantaggio di essere caratterizzata
da maggior rumore.

9.7 Metodi di misura


Il GPS è un sistema molto flessibile e consente diversi tipi di rilievo in funzione di esigenze, tempi,
costi e precisione. In generale un rilievo GPS è caratterizzato da diversi fattori (tab. 2).

Pseudorange
Tipo di osservabile
Fase
Assoluto
Tipo di posizionamento
Relativo
In tempo reale
Modalità di processamento dei dati
A posteriori
Statico
Modalità del posizionamento
Cinematico

Tabella 2 – Principali caratteristiche di un rilievo GPS.

Le misure di fase sono principalmente utilizzate per il rilievo geodetico. Quelle di pseudorange,
avendo una precisione inferiore, sono utilizzate essenzialmente per la navigazione.
Altra fondamentale distinzione è quella tra il posizionamento assoluto e relativo. Nel primo caso
vengono utilizzate le equazioni di osservazione (9) e (10) (essenzialmente solo la (9)) senza
procedere ad alcuna differenziazione; non vengono quindi eliminati gli errori sistematici relativi alle
effemeridi e per questo il metodo è usato prevalentemente nella navigazione con misure di
pseudorange. Al contrario, nel posizionamento relativo, quanto più le basi sono piccole rispetto alla
distanza fra il ricevitore e il satellite, tanto più le cause d’errore comuni ad entrambe le osservabili
(orbite, sincronia orologi, rifrazione atmosferica) tendono ad annullarsi nella differenza.

56
Il posizionamento in tempo reale viene utilizzato esclusivamente per la navigazione, è eseguito
principalmente con misure di pseudorange in modo assoluto o relativo, con una precisione non
molto elevata. Per scopi speciali, quali ad esempio l’atterraggio automatico di velivoli, si preferisce
il posizionamento relativo in tempo reale con misure di fase, che richiedono però particolari
condizioni al contorno riguardanti la geometria satellitare e le caratteristiche dei ricevitori GPS.
Esistono infine procedure statiche e dinamiche. Il metodo statico prevede che il sistema ricevitore-
antenna sia fermo rispetto alla terra durante la ricezione. Il metodo cinematico consiste nello
stazionamento di un ricevitore su di un punto noto, mentre un secondo ricevitore, posizionato su di
un mezzo mobile, registra in continuo.
Le applicazioni geodetiche di alta precisione finalizzate al controllo delle deformazioni, che in
particolare verranno considerate nel seguito, richiedono sempre rilievi in modalità statica con
misure di fase e posizionamento relativo. In tal caso, l’elaborazione dei dati acquisiti viene eseguita
a posteriori, anche perché spesso sono necessarie informazioni (effemeridi precise, parametri per la
correzione degli orologi dei satelliti) non disponibili al momento delle misure.

9.8 Il sistema di riferimento GPS


L’output finale di un rilievo effettuato col metodo GPS consiste nelle coordinate tridimensionali di
punti sulla superficie terrestre, in un sistema di riferimento cartesiano geocentrico, fisso rispetto alla
terra, che viene convenzionalmente indicato con il nome di WGS84 (World Geodetic System). Tale
sistema è stato definito dal Dipartimento della Difesa degli U.S.A. nel 1984 sulla base di dati
geodetici disponibili fino a quel momento.
Le caratteristiche del sistema WGS84 sono (fig. 71):
• origine nel centro di massa della terra;
• asse Z parallelo alla direzione dell’asse di rotazione convenzionale terrestre al 1984;
• asse X generato dall’intersezione del piano equatoriale ortogonale all’asse z, con il piano
meridiano di Greenwich;
• asse Y che completa la terna cartesiana destrorsa. Al sistema è associato un ellissoide
geocentrico definito dai seguenti parametri:

57
a = 6378137 m (semiasse maggiore)
f = 1/298.257 (schiacciamento)

Il centro e l’asse di rotazione dell’ellissoide coincidono con l’origine e l’asse Z del sistema
cartesiano, quindi le coordinate di un punto possono essere espresse sia in coordinate cartesiane
(X,Y,Z) che in coordinate ellissoidiche (ϕ, λ, h). Il vantaggio di operare con tale sistema a livello
mondiale è la possibilità di esprimere in un unico riferimento gli elementi geodetici e le coordinate
cartografiche in qualunque zona della Terra.

ZWGS8
Meridiano di Centro di massa
Greenwich della terra

Equatore

YWGS
XWGS

Figura 71 – Il sistema di riferimento WGS 84

Il GPS pertanto utilizza un unico sistema di riferimento tridimensionale, a differenza di quanto


avviene nelle misure con metodi geodetici terrestri. In questo caso, infatti, le coordinate
“planimetriche” (ϕ, λ) sono riferite ad un ellissoide nazionale, mentre la quota è riferita al geoide
(quota ortometrica H). Più in dettaglio, il sistema geodetico nazionale ROMA40 (e l’associato
sistema cartografico nazionale Gauss-Boaga) utilizza come ellissoide di riferimento quello di
Hayford, i cui parametri caratteristici sono:
a = 6378388 m (semiasse maggiore)
f = 1/297 (schiacciamento)
Tale ellissoide è orientato nel punto trigonometrico del Iº ordine di Roma-Monte Mario con azimut
ellissoidico della direzione verso il punto trigonometrico del Iº ordine di Monte Soratte pari a 6º 35’
00.88”.
E' quindi evidente che un punto sulla superficie terrestre avra' coordinate ellissoidiche (λ, ϕ) diverse
nei due sistemi di riferimento.

58
Per quanto concerne l'altimetria si pone un problema analogo: il GPS fornisce le quote ellissoidiche
rispetto all'ellissoide WGS84, nel sistema nazionale si adottano invece le quote ortometriche,
riferite al mareografo di Genova.
Per maggior chiarezza è bene ricordare le definizioni di quota ortometrica e ellissoidica (fig 72).
Da un punto P della superficie terrestre e' possibile individuare un solo punto corrispondente G del
geoide considerando la linea di forza del campo della gravità passante per P; la lunghezza dell'arco
di linea di forza PG è la quota ortometrica del punto P, indicata con H (fig. 72).
Se dallo stesso punto P si conduce la perpendicolare alla superficie ellissoidica nel punto E, la
lunghezza del segmento PE rappresenta la quota ellissoidica del punto P, indicata con h (fig. 72).
Lo scostamento della superficie geoidica rispetto a quella ellissoidica e' spesso descritto tramite
curve di livello che rappresentano l'ondulazione del geoide (N), definita come differenza tra la
quota geodetica h e la quota ortometrica H (fig. 72):
N=h-H
Da ultimo è importante sottolineare che, nel caso di reti GPS finalizzate al controllo delle
deformazioni, non vi è evidentemente alcuna necessità di trasformare le coordinate nel sistema
nazionale e tutte le analisi possono essere convenientemente svolte in coordinate WGS84.

NORMALE NORMALE
AL GEOIDE δ ALL’ELLISSOIDE

H
N G h SUPERFI
N CIE
GEOIDE
OCEANO E

ELLISSOIDE

Figura 72 –Quota ortometrica e quota ellissoidica.

9.9 Rilievi GPS


Una rete GPS che deve essere misurata richiede una adeguata pianificazione delle operazioni di
campagna. A parte i dettagli tecnici e di calcolo che non discutiamo in questa sede, una rete GPS ha
bisogno di disporre di osservazioni sovrabbondanti, al fine di ottenere un calcolo che soddisfi i
criteri statistici. Nella pagina seguente si riassume con una scheda, una regola generale per la
misura di una ipotetica rete consistente in 10 stazioni.

59
60
Parte seconda
10) CARTOGRAFIA

Un rilievo effettuato utilizzando le metodologie precedentemente descritte, ci permette di


rappresentare la superficie terrestre sull'ellissoide. Con la carta rappresentiamo l'ellissoide sul piano.
Rappresentare un ellissoide sul piano non è un problema di facile soluzione in quanto l'ellissoide
non è assimilabile ne a un piano ne a una sfera, quindi si hanno inevitabilmente delle deformazioni
quando viene rappresentato. Lo studio delle rappresentazioni cartografiche è in sostanza lo studio
delle deformazioni che si hanno nella rappresentazione dell'ellissoide sul piano.

10.1) CLASSIFICAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE DAL


PUNTO DI VISTA GEOMETRICO

La soluzione per le rappresentazioni cartografiche può essere affrontato dal punto di vista
geometrico. Infatti, molte delle rappresentazioni cartografiche più frequentemente utilizzate
possono ottenersi mediante costruzioni geometriche. Da qui il nome di proiezioni che talora
conservano.

10.2 Proiezioni prospettiche

Figura 73 (Proiezione ortografica)

Figura 74 a) proiezione scenografica, b) proiezione stereografica, c) proiezione centrografica

61
10.3 Proiezioni per sviluppo

Figura 75 a) cilindrico, b) conico

Il centro di proiezione è il centro dell'ellissoide.Il cilindro o il cono, può essere tangente o secante.
Sviluppando poi sul piano il cilindro o il cono, si ottiene la rappresentazione cartografica. Se l'asse
del cilindro o del cono coincide con l'asse terrestre, in questo caso si parla di proiezione diretta. Se
invece l'asse del cilindro è normale all'asse terrestre, si parla di proiezione inversa.

Figura 76 a) diretta, b) inversa

11) CLASSIFICAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE DAL


PUNTO DI VISTA DELLE DEFORMAZIONI

L'aspetto geometrico delle rappresentazioni cartografiche ha un interesse limitato, in quanto il loro


studio deve essere affrontato per via analitica, determinando le formule di corrispondenza (o
equazioni della rappresentazione), si ha:

x = x (ϕ, ω) (1)
y = y (ϕ, ω)

62
che stabiliscono una corrispondenza biunivoca tra le coordinate geografiche sull'ellissoide e le
coordinate cartesiane sul piano della rappresentazione. La rappresentazione si trasforma da
numerica a grafica e da luogo perciò ad una carta, quando le coordinate dei punti vengono riportate
sul piano della carta ridotte alla scala 1:n della carta stessa.
Lo studio analitico delle rappresentazioni cartografiche non prende in considerazione l'aspetto
grafico. Ciò premesso, ricordando che l'ellissoide non è una superficie assimilabile ad un piano, si
hanno delle deformazioni. Dobbiamo quindi scegliere le eq.1 in modo da avere deformazioni
accettabili. Possiamo scegliere le (1) in modo da non avere deformazioni angolari, il che equivale a
conservare la similitudine delle figure infinitesime corrispondenti, accettando però che il rapporto di
similitudine sia diverso da punto a punto. Si hanno così le deformazioni isogoniche o conformi.

Figura 77

Ad un angolo α corrisponde lo stesso angolo α fra le direzioni omologhe; a un circoletto


infinitesimo, corrisponde un circoletto infinitesimo. La forma è simile, ma il rapporto varia da punto
a punto.
Possiamo rinunciare alla similitudine, imponendo però che il rapporto fra le aree di due figure
infinitesime corrispondenti si mantenga costante per ogni punto della supeficie. In questo caso
abbiamo le rappresentazioni equivalenti.

Figura 78

Ad un angolo α corrisponde un angolo α' ≠ α. Ad un circoletto infinitesimo corrisponde un ellisse


infinitesima. La forma varia, ma il rapporto delle aree è costante in ogni punto.
Notiamo che una rappresentazione non può essere contemporaneamente conforme ed equivalente
perchè non indurrebbe nessuna deformazione e sarebbe quindi possibile solo per le superfici
assimilabili al piano, quindi non sull'ellissoide.
Si può rinunciare alla perfetta conservazione degli elementi angolari o superficiali, ma si deve
cercare di mantenere in limiti accettabili tutte le deformazioni. Si parla in tal caso di
rappresentazioni afilattiche.

63
Elemento di base per lo studio delle rappresentazioni cartografiche è il modulo di deformazione
lineare, definito dalla:

dSr
M= ⎯⎯
dSe

Figura 79

se:

x = x (ϕ, ω) (1)
y = y (ϕ, ω)

sono le equazioni della rappresentazione e posto

δx δy
e = (⎯⎯ ) + (⎯⎯ )2
2

δϕ δϕ

δx δx δy δy
f = ⎯⎯ ⎯⎯ + ⎯⎯ ⎯⎯
δϕ δω δϕ δω

δx δy
g = (⎯⎯ ) + (⎯⎯ )2
2

δω δω

si dimostra che:

e f g
M2 = ⎯⎯ cos2 α2 + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
ρ2 ρr r2

64
dove:

ρ = raggio di curvatura del meridiano in P


r = raggio di curvatura del parallelo per P (dove r = N cos ϕ)
α = azimut dell'elemento dSe in P

Si vede che in generale m varia al variare di α (oltre che del punto). Si potrebbe dimostrare che in
generale a un circoletto infinitesimo con centro in P, corrisponde una ellisse infinitesima con centro
in P'.

La deformazione angolare, per quel punto e quella direzione, è data dalla differenza degli azimut:

δ = α' - α

il modulo di deformazione superficiale è definito dalla:

dσr
M= ⎯⎯
dσe

si dimostra che

eg - f2
M= ⎯⎯⎯⎯
ρr

Figura 80

Tutte queste deformazioni sono presenti nelle carte afilattiche. Se si impone che m non vari con α,
cioè

δm
⎯⎯ = 0
δα

si ottengono le equazioni generali delle rappresentazioni conformi. Se si impone invece


M = costante
si ottengono le equazioni generali delle rappresentazioni equivalenti. Le equazioni generali non
sono sufficienti per definire una particolare rappresentazione conforme o equivalente: sono infatti
65
equazioni differenziali alle derivate parziali, per la cui soluzione occorre fissare due condizioni al
contorno, che individuano una particolare rappresentazione conforme o equivalente.

12) LA SCALA E L'APPROSSIMAZIONE GRAFICA DELLA CARTA

Per passare dalla fase analitica a quella grafica, si riducono gli elementi lineari nel rapporto 1:n che
rappresenta la scala della carta. La scala di una carta è il rapporto tra la lunghezza di un elemento
lineare misurato sul piano della rappresentazione e quella del corrispondente elemento oggettivo
misurato sulla superficie dell'ellissoide. Si deve poi tenere presente che durante la fase analitica, che
precede quella grafica, sono state introdotte delle deformazioni. Se il modulo di deformazione
lineare varia da punto a punto, significa che anche la scala varia. Nelle carte non conformi ciò
avviene anche al variare della direzione.
Tuttavia, se le deformazioni lineari massime, ridotte alla scala della carta, sono inferiori all'errore di
graficismo, pari a circa 0,2 mm, la carta può essere considerata priva di deformazioni lineari. In
questo caso è equidistante e si potrà parlare di scala unica e costante della carta. Questo si ottiene
riducendo in maniera opportuna il campo della rappresentazione, cioè la porzione di ellissoide da
rappresentare.

A seconda della scala le carte si possono classificare come segue:


a piccola scala
• carte geografiche n ≥ 1.000.000
• carte corografiche 1.000.000 ≥ n ≥100.000
a grande scala
• carte topografiche a piccola scala 100.000 ≥ n ≥ 25.000
• carte topografiche a media scala 25.000 ≥ n ≥ 5.000
• carte topografiche a grande scala (piante o mappe) 5.000 ≥ n

13) RAPPRESENTAZIONI EQUIVALENTI

ponendo

eg - f2
M= ⎯⎯⎯⎯ = 1
ρr

e facendo i calcoli, si ricava:

δx δy δy δx
⎯⎯ ⎯⎯ - ⎯⎯ ⎯⎯ = ρ r (4)
δϕ δω δϕ δω

che rappresenta l'equazione generale delle rappresentazioni equivalenti. Per definire una particolare
rappresentazione equivalente, bisogna imporre due condizioni al contorno. Vediamo per esempio la
proiezione di Flamsteed. Questa è una rappresentazione equivalente di interesse storico, che fu
adottata anche dall'IGM per la Carta d'Italia.

66
Figura 81

La zona da rappresentare è definita da una coppia di meridiani e una coppia di paralleli. Gli assi x
ed y sono rispettivamente il meridiano e il parallelo per il punto centrale O.
Le condizioni al contorno sono che
1) i paralleli sono rappresentati da rette parallele all'asse y. Ciò significa che:

x = x ( ϕ)

quindi

dx
⎯⎯ = 0

2) la rappresentazione sia equidistante (cioè m = 1) lungo l'asse x. Questo significa che:

elemento infinitesimo di asse x dx


m = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ = ⎯⎯⎯⎯ = 1
elemento infinitesimo di meridiano ρdϕ

quindi

dx
⎯⎯ = ρ

Sostituendo questi valori nella (4), si ha:

dy
⎯⎯ = r = N cos ϕ

Formule di corrispondenza. dalle:

dx δy

67
⎯⎯ = ρ e ⎯⎯ = N cos ϕ
dϕ δω

si ha:

x= ρ d ϕ≡ ρm (ϕ - ϕ0) ; y = N cos ϕ (ω - ω0)


ϕ0

Deformazioni lineari
1
m = 1 - ⎯⎯ (ω - ω0) sen ϕ sen 2α
2

deformazioni angolari

δ = α' - α = (ω - ω0) senϕ sen2α

Non ci sono ovviamente deformazioni superficiali.

14) RAPPRESENTAZIONI CONFORMI

Imponendo che il modulo di deformazione lineare, il cui quadrato è dato dalla (2):

e f g
m = ⎯⎯ cos α + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
2 2

ρ2 ρr r2

e che non vari con α, si ha:

δ m2 e g
⎯⎯ = 0 da cui ⎯⎯ = ⎯⎯ ; f = 0
δα ρ2 r2

Queste condizioni di conformità non sono convenienti. Partendo però da queste e introducendo la
latitudine crescente, il cui differenziale è dato dalla:

ρ
d Φ = ⎯⎯ d ϕ
r

si giunge a dimostrare che qualunque rappresentazione conforme dell'ellissoide sul piano ha


equazioni del tipo (6):

68
1 d2 F
x = F (Φ) - ⎯⎯ ⎯⎯ λ2 + ....
2 dΦ2

dF 1 d3 F
y = ⎯⎯ λ - ⎯⎯ ⎯⎯ + λ3....
dΦ 6 dΦ 3

che rappresentano le equazioni generali delle rappresentazioni conformi sotto forma di sviluppo in
serie. I termini della x contengono le potenze pari di λ, quelli delle y, le potenze dispari.
Si indica con:

Φ = latitudine crescente

λ = longitudine

F = funzione generica

Le condizioni al contorno consentiranno di definire la funzione F (Φ) e quindi una particolare


rappresentazione conforme.
E' interessante osservare che per condizioni di conformità si ha (5):

e g
⎯⎯ = ⎯⎯ ; f = 0
ρ2 r2

la eq. (2)

e f g
m = ⎯⎯ cos α + 2 ⎯⎯ sen α cos α + ⎯⎯ sen2 α
2 2

ρ2 ρr r2

diventa (7):

e g
m = ⎯⎯ = ⎯⎯
ρ r

quindi la (3)

e g - f2
M = ⎯⎯⎯⎯ diventa (8): M = m2
ρr

Ovviamente non ci sono deformazioni angolari.

La maggior parte delle rappresentazioni cartografiche di interesse pratico sono conformi.

69
14.1 Proiezione di Mercatore

La proiezione di Mercatore è per sviluppo cilindrico diretto. Le condizioni al contorno per cilindro
tangente, sono:
1) sull'asse y, che rappresenta l'equatore (linea di tangenza), deve essere:

dy
m = ⎯⎯ = 1
adλ

da cui: dy = a d λ e y = a λ

Figura 82

2) i meridiani devono risultare rette parallele all'asse x ed equidistanti a parità di differenza di


longitudine; questo significa che la y di un qualsiasi punto di longitudine λ deve essere uguale alla
lunghezza dell'arco di equatore corrispondente:

y=aλ

per la conformità i paralleli dovranno risultare rette parallele all'asse y.


Entrambe le condizioni al contorno conducono alla y = a λ, che infatti è sufficiente a definire la
funzione F (Φ).
Se deve essere:

dF 1 d3 F
y = ⎯⎯ λ - ⎯⎯ ⎯⎯ λ3 + ... (condizioni di conformità)
dΦ 6 dΦ 3

y=aλ (condizioni al contorno)

dovrà anche essere:

dF

70
y = ⎯⎯ = a (e derivate successive nulle)

e quindi:

ρ
F ( Φ) = a Φ = a ⎯⎯ d ϕ
r

pertanto le formule di corrispondenza sono:

e
ϕ ρ 1 - e sen ϕ ⎯ π π
2
x = F ( Φ) = a ⎯⎯ d ϕ = a l n ⎯⎯⎯⎯⎯⎯ tg ⎯⎯ + ⎯⎯
0 r 1 + e sen ϕ 4 2

y=aλ

ln = logaritmo naturale
e = eccentricità

Le deformazioni sono date dalla:

1 - e2 sen2 ϕ
m = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ (dove M = m2)
cos ϕ

Le deformazioni aumentano molto allontanandosi dall'equatore e diventano rapidamente


inaccettabili per qualsiasi carta. Si può allora usare la proiezione di Mercatore a cilindro secante.

Figura 83

Si nota come il reticolato chilometrico si riduca nel rapporto

r0

71
⎯⎯
a

Dove r0 è il raggio del parallelo di secanza e le formule di corrispondenza si modificano solo perché
appare r0 = N cos ϕ0 al posto di a:

e
1 - e sen ϕ ⎯ π π
x = N0 cos ϕ l n ⎯⎯⎯⎯⎯⎯ 2 tg ⎯⎯ + ⎯⎯
1 + e sen ϕ 4 2

y = N0 cos ϕ0 λ

Le deformazioni sono date dalla:

1 - e2 sen2 ϕ cos ϕ0
m= ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ ⎯⎯⎯ (dove M = m2)
1 - e2 sen2 ϕ0 cos ϕ

Ovviamente risulta m = 1 sul parallelo di secanza e valori prossimi all'unità in una ristretta fascia
intorno al parallelo di secanza. A seconda delle zone che si vuole rappresentare si sceglierà di un
opportuno parallelo di secanza.
Le carte di proiezione di Mercatore sono universalmente adottate per la navigazione perché la rotta
lossodromica, cioè quella che taglia i meridiani con azimut costante, è facile da seguire con
osservazioni alla bussola ed è rappresentata sulla carta di Mercatore da una linea retta. Diviene
quindi facile determinare l'azimut costante da seguire unendo con una riga il punto di partenza e
quello di arrivo.

14.2 Proiezione stereografica polare


Questo tipo di proiezione viene usata per la rappresentazione delle zone circumpolari. La superficie
di riferimento è la sfera perché in queste zone l'ellissoide è molto più simile a questo che altrove. Al
limite nei poli l'ellissoide degenera in una sfera, essendo ρ = N.
I punti della sfera vengono proiettati sul piano tangente in un polo, dal polo opposto.
Le formule di corrispondenza si possono ricavare per via geometrica:

ϕ
OP' = 2R tg (45° - ⎯⎯ )
2

ϕ
x = 2R tg (45° - ⎯⎯ ) cos λ
2

ϕ
x = 2R tg (45° - ⎯⎯ ) sen λ
2

72
Facendo il rapporto:

y
⎯⎯ = tg λ
x

Per λ = costante (meridiani), si ottiene y = k x, cioè i meridiani sono linee rette uscenti dall'origine.
Quadrando e sommando si ottiene:
2
ϕ
2 2
x + y = 2R tg (45° ⎯⎯ )
2

Per ϕ = costante (paralleli) si ottiene:

x2 + y2 = K2, cioè i paralleli sono circonferenze con centro nell'origine. La proiezione è conforme,
perché si può dimostrare che le formule di corrispondenza soddisfano alle condizioni di conformità
indicate nella (5):

e g
⎯⎯ = ⎯⎯
ρ2 r2

f=0

Le deformazioni sono date dalla:

1
m = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ ; (dove M = m2)
ϕ
2
cos (45° - ⎯⎯ )
2
Si vede che m aumenta allontanandosi dal polo. Per questo motivo la proiezione stereografica
polare si usa per la rappresentazione delle aree poste a latitudini superiori a 80°, quindi i poli.

Figura 84

73
Figura 85

14.3 Proiezione di Gauss

Si tratta di una proiezione per sviluppo cilindrico inverso. Il cilindro può essere tangente o secante.
Le condizioni al contorno per cilindro tangente si possono definire come segue:

Figure 86

1) un meridiano si trasformi in una retta che si assume come asse x, con origine nel punto in cui
interseca la retta immagine dell'equatore, che diventa quindi l'asse y.
Nelle formule di corrispondenza generali si ha y = 0 per λ = 0; se contiamo le longitudini proprio
dal meridiano di tangenza, avremo per questo y = 0 e quindi l'asse x.

2) la rappresentazione sia equidistante (m = 1) sull'asse x, corrispondente al meridiano di tangenza;


dovrà quindi essere:

dx ϕ
m = ⎯⎯⎯ = 1 da cui dx=ρdϕ e x= ρdϕ
ρdϕ 0

d'altra parte, per il meridiano di tangenza λ = 0, deve essere x = F (Φ)

uguagliando le due espressioni, si ha:

74
ϕ
F ( Φ) = ρdϕ
0

Si possono questo punto calcolare tutte le derivate di F e si ottengono così le formule di


corrispondenza:

ϕ N
x= ρ d ϕ + ⎯⎯ sen ϕ cos ϕ λ2 + ....
2
0
N
y = N cos ϕ λ + ⎯⎯ cos3 ϕ (1 - tg2 ϕ + e'2 cos2ϕ) λ3 + ...
6

notiamo che i coefficienti dei vari termini sono funzioni soltanto di ϕ.

Le deformazioni sono date dalla:

y2
m = 1 + ⎯⎯⎯⎯ (dove M = m2)
2 ρN

La rappresentazione di Gauss è molto vantaggiosa perché permette di risolvere con grande


semplicità le figure ellissoidiche sul piano della rappresentazione.

Figura 87 St è la trasformata piana della geodetica

Infatti l'azimut αAB di una geodetica AB, si ricava come somma algebrica dell'anomalia θAB,
dell'angolo di riduzione alla corda εAB e della convergenza del meridiano γA:

αAB = θAB + εAB + γA

essendo:

yB - yA

75
θAB = arctg ⎯⎯⎯⎯
xB - xA

(xB - xA) (2 yA + yB)


ε AB = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯
6 ρ Nm

λ
γA = arctg {λ sen ϕ [1 - ⎯⎯ cos2 ϕ (1 - tg2 ϕ + e'2 cos2 ϕ]}
2

Per quanto riguarda la lunghezza Se della geodetica AB, bisogna tenere presente che il modulo di
deformazione lineare

y2
m = 1 + ⎯⎯⎯⎯
2ρN

è valido in un punto, cioè per un elemento infinitesimo nell'intorno del punto. Per un elemento
finito bisogna utilizzare il modulo di deformazione lineare per elementi finiti, che si ricava dal
precedente per integrazione:

St y2A + yA yB + yB2
mAB = ⎯⎯ = 1 + ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯
Se 6 ρm Nm

Allora, se di 3 punti A,B,C sull'ellissoide conosco le coordinate gaussiane dei tre punti A'B'C'
coorispondenti sul piano di Gauss, tramite le loro coordinate posso calcolare gli angoli tra le corde,
come differenze di anomalie, e le lunghezze delle corde con il teorema di Pitagora o con la seguente
relazione:

yB - y A xB - xA
Sc = ⎯⎯⎯⎯⎯ = ⎯⎯⎯⎯⎯
senθAB cosθAB

Figura 88

76
Risolto il triangolo delle corde, aggiungendo o togliendo gli angoli di riduzione alla corda, posso
calcolare gli angoli tra le trasformate piane. Questi, per la conformità, sono uguali agli angoli fra le
geodetiche sull'ellissoide. Per quanto riguarda i lati, si dimostra che

St ≡ Sc

Da St si passa a Se dividendo per mAB:

St Sc
Se = ⎯⎯⎯ ≡ ⎯⎯⎯
mAB mAB

Anche il calcolo dell'azimut è semplice:

αAB = θAB + ε AB + γ A

In conclusione, se di un triangolo ellissoidico si conoscono le coordinate gaussiane dei vertici, è


molto più semplice risolvere il triangolo sul piano di Gauss con la trigonometria piana e poi passare
a quello ellissoidico, anziché risolvere direttamente il triangolo ellissoidico con la trigonometrria
ellissoidica. Questo è uno dei notevoli vantaggi offerti dalla proiezione di Gauss.
Ricordando l'espressione del modulo di deformazione lineare:

y2
m = 1 + ⎯⎯⎯
2ρN

si vede che le deformazioni aumentano rapidamente allontanandosi dal meridiano centrale di


tangenza. Questo impone una forte limitazione nell'estensione dei fusi rappresentabili in un unico
sistema di riferimento. Come per la proiezione di Mercatore, si può ricorrere anche in questo caso a
una proiezione per cilindro secante. In questo modo otterremo un modulo di deformazione lineare
minore di 1 (cioè una contrazione) all'interno delle linee di secanza e maggiore di 1 (cioè una
dilatazione) all'esterno. Ciò ci consente, a parità di deformazione massima, di ampliare l'estensione
del fuso.
Quindi le formule di corrispondenza di una tale rappresentazione si otterranno da quelle viste prima,
moltiplicando per un opportuno coefficiente di riduzione K, cioè un fattore di scala. Ne consegue
che anche il modulo di deformazione lineare m risulterà moltiplicato per il medesimo coefficiente
K.
A tale proposito, prendiamo la Carta d'Italia dell'IGM. Essa è costituita da 284 fogli in scala
1:100.000, che comprendono una zona estesa 20' in latitudine e 30' in longitudine e che venne per la
prima volta rappresentata con la proiezione di Flamsteed. Attualmente è inquadrata nel Sistema
Nazionale detto anche Monte Mario. E' così definita:
• sistema geodetico di riferimento con ellissoide internazionale orientato a Roma, presso
l'Osservatorio Astronomico di Roma Monte Marioa, 1940;
• rete di inquadramento costituita dalla triangolazione IGM, con coordinate all'epoca 1940;
• ricalcoli successivi di porzioni di rete e rappresentazione nel sistema Gauss - Boaga;
• taglio delreticolato geografico nel Sistema Europeo ED50 (European Datum 1950), con
rappresentazione UTM. La trasformazione di coordinate da Gauss Boaga a UTM può essere
eseguita solo con formule empiriche, valide per zone limitate.
I fogli sono dei quadrati di 40 cm di lato. Questi vengono poi suddivisi in 4 quadranti in scala
1:50.000 (di 10' in latitudine e 15' in longitudine), ancora di 40 cm di lato. I quadranti sono poi

77
ulteriormente suddivisi in 4 tavolette in scala 1:25.000 (di 5' in latitudine e 7.5' in longitudine),
sempre di 40 cm di lato. La diagonale di un foglio, sia quadrante che tavoletta, è quindi di 560 mm.

Figura 89 Foglio al 100.000 con suddivisione in quadranti (I-IV) e tavolette

Se l'errore di graficismo, come abbiamo già detto in precedenza, è di 0,2 mm, possiamo accettare
una deformazione lineare lungo la diagonale pari a:

0.2
⎯⎯⎯ = 3.57 ⋅ 10-4 ≡ 0.0004
560

Considerando m = costante all'interno del foglio, quadrante o tavoletta, possiamo quindi accettare m
variabile da 0.9996 a 1.0004. E’ evidente allora che il coefficiente K dovrà valere K = 0.9996,
ottenendo così m = 0.9996 al centro del fuso e limitando questo in modo da avere m = 1.0004 ai
bordi. Si può dimostrare che il valore m = 1.0004 si ottiene ai bordi di un fuso di 6°. L’Italia risulta
così coperta soltanto da due fusi (fuso Ovest e fuso Est) che vanno rispettivamente da 6° a 12° Est
di Greenwich (meridiano centrale 9° ≡ asse x) e da 12° a 18° Est di Greenwich (meridiano centrale
15° ≡ asse x). Poiché però è stato conservato il taglio geografico della proiezione di Flamsteed (i
fogli erano tagliati con riferimento al meridiano di Roma Monte Mario: ω = 12° 27’ 08,4”) c’è una
zona di sovrapposizione da 11° 57’ 08,4” a 12° 27’ 08,4”, rappresentata sia nel fuso Ovest che nel
fuso Est (necessaria anche per fare i calcoli geodetici per passare da un fuso all’altro). Inoltre il fuso
Ovest inizia da 6° 27’ 08,4” e il fuso Est termina a 18° 27’ 08,4”.

Figura 90 Fusi Est ed Ovest da Roma Monte Mario

78
Il taglio geografico è stato conservato perché le carte non sono state rifatte nelle proiezioni da
Gauss, ma è stato riportato solo il nuovo sistema di riferimento come reticolato chilometrico o come
inviti ai bordi. Se le deformazioni sono contenute negli errori di graficismo, la carta in proiezione di
Flamsteed e quella in proiezione di Gauss devono coincidere. Per evitare valori negativi delle
ascisse e confusioni tra i due fusi viene attribuita un’ascissa convenzionale, pari a 1500 km per il
fuso Ovest e 2520 km per il fuso Est. In definitiva le coordinate di Gauss (dette Gauss – Boaga)
della nostra cartografia sono le seguenti:

N = K x km
fuso Ovest
E = (K y + 1500) km

N = K x km
Fuso Est
E = (K y + 2520) km

X ed y sono ottenuti dalle formule di corrispondenza già descritte nella proiezione di Gauss. Per i
calcoli geodetici conviene trasformare all’indietro da N, E a x,y e poi applicare le formule viste.

Ci sono poi anche carte tecniche, come ad es. quelle regionali (CTR), provinciali e comunali, con
scale variabili. In genere queste vanno dall'1:10.000 o 1:5.000 (CTR), alle scale 1:2.000, 1:1000,
1:500 per quelle comunali, tutte inquadrate nel sistema nazionale IGM40. Alcune hanno il taglio
secondo il reticolo cartografico, altre secondo quello geografico IGM. Le nuove carte catastali sono
nel sistema nazionale, sebbene molte siano ancora nel sistema originario Cassini-Soldner.

79
BIBLIOGRAFIA

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permanenti dell'INGV. Quaderni di Geofisica, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia,
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Folloni G. Principi di Topografia Patron Editore, Bologna, 1982

Solaini L., Inghilleri G. Topografia. II edizione. Libreria editrice universitaria Levrotto e Bella,
Torino, 1983

Tozzi P. I luoghi degli uomini. La foto aerea e i paesaggi antichi. Compagnia Generale Riprese
Aeree, Libreria Edizioni Cardano, Pavia, 2004

Scalera G. I moti e la forma della Terra. Istituto Nazionale di Geofisica, Roma, 1999

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