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La Teoria della Biosistemica Attraverso “Le

Mappe”

dal Prof. Jerome Liss, M.D.

(ringrazio Alessandro Fanuli ed Elisabetta Gia


Folcarelli per aver messo questi cartelloni in
formato sul computer) Le Dimensioni della Vita

Tempo

Libero

Coppia

Salute

Famiglia

Esercizio

Amicizia

Lavoro

La Biosistemica affronta diversi dimensioni della


vita: amore, delusione, solidarietà, alienazione,
successo, fallimento, ecc. “La legge dell’ossigeno”
dice: “Quando l’ossigeno ci manca, questo diventa
il centro della nostra attenzione”.
Quindi, quando succede che ci manca la
soddisfazione in una dimensione della vita –

coppia, amicizia, lavoro, ecc. – questo problema


può catturare la totalità della nostra attenzione. Il
nostro lavoro sulle emozioni, di conseguenza, ci
aiuta a tirare fuori il vissuto profondo –
disperazione, ansietà, paura, rabbia – che sono
generate degli episodi infelici della nostra storia, e
questo può aiutarci a ritornare all’equilibrio.

Insomma, questo disegno ci aiuta a ricordare la


multi-dimensionalità della vita, una cosa che è
facile da dimenticare quando abbiamo sofferto di
una perdita significativa o di un’aggressione
scombussolante in una di queste dimensioni.

Nel lungo termine, quelli che seguono un percorso


evolutivo nella Biosistemica affrontano quasi tutte
queste dimensioni. Frequentemente, dopo il
periodo di lavoro su coppia, famiglia, lavoro,
ecc., la persona comincia a riflettere sul suo modo
di utilizzare
“il Tempo Libero”. Ciò ci rende maggiormente
cosciente rispetto a come migliorare la qualità
della nostra vita e che abbiamo la libertà di farlo.
La Curva Energetica

Questo concetto è centrale alla psicoterapia


Biosistemica. La nostra coscienza su come
funziona il Sistema Nervoso Autonomo (simpatico
– parasimpatico) è iniziata con la ricerca del Prof.
Ernst Gellhorn (1972). Negli anni successivi, le
scoperte di altri ricercatori – Laborit, LeDoux,
Edelman, Ochsner, Porges, ecc. – hanno ampliato
il nostro concetto di Sistema Nervoso Autonomo.
Anche se la sua regolazione è centrata
nell’ipotalamo, altre regioni sotto-corticali sono
integrate: possiamo chiamare il complesso
“Sistema Limbico”. La neurofisiologia serve
quindi per farci comprendere

“la profondità delle emozioni” e i modi di aiutare


la persona infelice Pensiamo che ci sono due
pulsioni fondamentali, il simpatico, che è
“attivante”, distributore di energia, ed il
parasimpatico, che è “recettivo” e rinnova
l’energia.
Quale energia? L’adenosina trifosfata (ATP)
rappresenta la base del combustibile che fa
funzionare tutto il metabolismo del corpo. Durante
l’azione vigorosa, il simpatico è mobilizzato:
aumentano i battiti cardiaci e la pressione
sanguina, diminuisce la peristalsi e la secrezione
degli enzimi digestivi, ecc. Durante il riposo, il
parasimpatico rallenta i processi metabolici
mentre facilita la digestione per favorire il rinnovo
energetico.

Le emozioni seguono gli stessi principi. Le


emozioni “attive” come la rabbia, la frustrazione,
la protesta, ci spingono a muoverci verso uno
scopo. Le emozioni

“recettive” - come la ferita, la tristezza, la


vergogna - ci rallentano, per darci tempo -

talvolta con l’aiuto del pianto – di attuare un ri-


orientamento. Durante l’Ascolto Profondo, il
terapista o il Counselor si domanda: “Quale
pulsione è prevalente in questo momento, il
simpatico o il parasimpatico?” E l’Ascoltatore
prova a seguire la curva energetica che è
sottostante la condivisione. Talvolta un’emozione
comincia come una pulsione (rabbia nel simpatico,
ferita nel parasimpatico), e si osserva “il
rimbalzo” in cui l’altro sistema emerge
spontaneamente. Esempio toccante: Il Protagonista
comincia con la rabbia (simpatico) verso un
genitore deceduto, e rimbalza verso il pianto
dell’amore perduto. Talvolta è il contrario: La
persona comincia condividendo la ferita e la
delusione (parasimpatico) di un rapporto d’amore,
e rimbalza spontaneamente verso la rabbia
(simpatico) di protesta e di rifiuto.

I due tipi di pulsione – simpatico e parasimpatico


– regolano anche due tipi di gioia: la gioia “attiva”
– che si esprime danzando, saltando, giocando
(simpatico) - e, ugualmente, la gioia “ricettiva” del
parasimpatico, espressa tramite dolcezza,
abbracci, carezze, pace. Nel tempo, l’evoluzione
personale tramite la Biosistemica ci permette di
affrontare tutte le forme di dolore – dalla rabbia
alla ferita e la perdita – e tutte le forme di
benessere.
E’ quasi ovvio che ci sono due fasi della
psicoterapia e del counseling; ovvero la prima
fase – che consiste nel condividere, esplorare e
approfondire il problema - e, in un secondo
momento, la fase di affrontare il futuro e
domandarsi, “Che cosa farò?”.

Ma anche se sembra evidente, talvolta un


Ascoltatore può avere confusione. Una confusione
frequente: L’aiutante comincia a dare consigli o,
semplicemente, a domandare “Che cosa si può
fare?” quando l’emozione ed i pensieri del
Protagonista sono ancora coinvolti nel problema.

Un altro tipo di confusione può emergere dalla


situazione opposta. Il Protagonista, dopo
l’elaborazione del problema, comincia a dire:
“Voglio uscire da questa trappola”,

“Sento che devo agire”, “Sono determinato di fare


un cambiamento”. L’Ascoltatore, invece di seguire
l’energia ed il contenuto della costruzione, può
far ritornare il Protagonista al problema con la
domanda “Come è questa ansietà?”, oppure “Puoi
dirmi più sulla tua paura?” Perché questa
confusione? Forse l’Ascoltatore non ha una
chiarezza mentale che distingue la fase di
condividere il problema dalla fase esplorare la
soluzione. Inoltre, mi domando se l’Ascoltatore ha
il bisogno di sentire il problema per capire il suo
ruolo, e non comprende che ha anche il ruolo nella
riflessione riguardo alla soluzione.

Quando conosciamo la dinamica diversa fra i due


momenti, “esplorazione del problema” e
“costruzione della soluzione”, questo errore è
superato. Possiamo mostrare la ricettività e
l’empatia richiesta durante l’ascolto del problema
e, in un secondo momento, la dinamica e la
concretezza necessaria per sviluppare la
soluzione.

Creare soluzioni senza un ascolto sufficiente del


problema può generare, nel Protagonista, un senso
di vuoto. Le soluzioni sembrano “teoriche” e senza
radici nelle emozioni, quindi sono sentite come
“superficiali”. Dall’altro lato, invece, ritornare
indietro al problema, nel momento in cui il
Protagonista è coinvolto a creare una soluzione,
può creare un senso di impotenza: “Giro intorno.
Conosco ora il mio problema nella sua profondità.
Ma mi trovo in un’impasse. Non c’è uscita”.
Episodio – Emozione

Lo scopo di questo disegno è semplice: mostrare


che l’indagine terapeutica può svolgersi intorno a
due tipi di domande. “Che cosa è successo?”, che
apre un indagine sulla situazione, e “Come tu ti
sei sentito?”, che apre un indagine sulle emozioni.

L’esplorazione terapeutica comincia, in genere,


con il paziente che condivide gli elementi con sono
ancora vaghi, non definiti. La situazione
problematica è presentata in modo generale. “Ho
tensioni con mio marito”. “Ho una difficoltà con
mia madre”.

“Non ce la faccio”. Col tempo, e con le domande


precise, offerte del terapista, il paziente definisce
la situazione con maggiore precisione e
concretezza.

Stessa cosa per le emozioni. L’emozione,


all’inizio, è definita vagamente: “Mi sento male”,
“Mi sento giù”, “Mi sento a pezzi”, ecc. Con
un’esplorazione guidata dalla parola chiave, e
facilitata dall’empatia corporea, l’emozione
diventa definita e vissuta con più immediatezza,
precisione e chiarezza.

Molti problemi psicologici vengono da una


scissione fra le emozioni e la percezione degli
avvenimenti. Andare e tornare fra “episodio” ed
“emozione” aiuta a ritrovare le connessioni. La
ruota gira e la persona prende maggiore contatto
con se stessa.
Dall’Astratto alla Concretezza

Spesso le nostre idee cominciano nelle nuvole,


nella vaghezza. L’indagine terapeutica evolve
verso la concretezza.

Ma ci sono due momenti di concretezza. La prima


fase: “Cosa è il problema, concretamente?” La
seconda fase: “Che cosa si può fare,
concretamente?”

E la definizione della concretezza è molto chiara:


“Chi fa o dice che cosa, quando e dove ?” E’
facile dirlo. Ma raggiungerlo richiede tempo e
competenza.

Questo modello si applica alla psicoterapia


individuale, ma anche alla discussione in gruppo.
Quando un gruppo ha un problema e deve
concludere con una soluzione, la logica, guidata
dal Facilitatore, deve seguire questa procedura,
dal problema concreto alla soluzione precisa.
Possono verificarsi molte frustrazioni, durante una
riunione, perché il gruppo può restare bloccato in
una disputa vaga sull’analisi del problema.

Una persona dice: “Stiamo nei guai


perché…..esempio, non abbiamo investito nella
ricerca”. Un altro contesta: “Non, stiamo perdendo
soldi perché non seguiamo i clienti con attenzione
a loro bisogno!”. La disputa gira in un circolo
vizioso.

Che cosa può sbloccare l’impasse della


comunicazione? 1. Dare esempi per ogni analisi.
(Un’analisi è una generalizzazione, e richiede
esempi concreti per chiarire il suo significato e
per valutare la sua “verità”.) 2. Affrontare la
soluzione, cioè, cosa faremo la prossima volta?
Per evitare le dispute inutili, le soluzioni proposte
possono essere dibattute attraverso la domanda
“Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di ogni
soluzione presentata?”

Emozione, Sé-Altro e Azione


Corteccia – Coscienza

INFELICITA’

L’INCONSCIO

SOTTOCORTICALE

Emozione

Sé-Altro

Azione

Amigdala

Ippocampo

Ganglia della Base

“Mi sento molto male!”

“Non mi vogliono bene!”


“Non ce la faccio!”

“Mi sento giù!”

VITALITA’

Nei processi sotto-corticali possiamo distinguere


tre funzioni: emozione, Sé-Altro ed Azione. Ogni
funzione è associata ad un’area sotto-corticale e,
quindi, rappresenta una pulsione profonda che si è
sviluppata durante l’evoluzione delle specie
mammifere ed umane. Emozione: amigdala.
(Ricerca di Joseph LeDoux) Sé-Altro:
hippocampo e giro cingolare. (Ricerca di Larry
Squire e Kenneth Ochsner) Azione: gangli della
ba s e (Ricerca di Gerald Edelman) Quando lo
psicoterapista è chiaro sulla differenza fra queste
tre funzioni, il colloquio può progredire passo
dopo passo, approdando ogni dimensione nel
turno.

Ecco le tre funzioni:


Se il problema è presentato come un’emozione –
paura, rabbia, frustrazione, o solamente “sentirsi
giù” – il primo passo è esplorare questa
dimensione.

Invece, il problema può essere presentato come


una difficoltà fra Sé e l’Altro, come

“Non sento fiducia negli altri” oppure “Non mi


sento accettato nella mia famiglia”. La difficoltà
fra Sé e l’Altro può rappresentare, ugualmente, un
problema fra Sé ed il Mondo: “Non riesco mai, mi
sento un fallimento”. La domanda utile focalizza su
questa dinamica particolare, cioè: “Che cosa
succede in questa relazione fra te e l’altro?”

La questione di az ione si presenta, talvolta,


all’inizio del colloquio. “Mi sento immobilizzato”,
oppure “Non vedo una via di uscita”. Invece, se il
problema di azione non è presentato all’inizio, la
questione di azione può essere affrontata più tardi.
In questo caso, dopo l’esplorazione del problema,
il terapista può domandare: “Che cosa è possibile
come soluzione?” Spesso, la domanda terapeutica
è anche più specifica: “La prossima volta che
questa situazione problematica si presenta, come è
possibile agire?”

Il colloquio terapeutico affronterà, nel tempo, tutte


le tre funzioni. Ma il colloquio procede
gradualmente, passo dopo passo, permettendo ad
ogni dimensione di emergere, a suo turno, di
essere esplorata e, alla fine, di essere integrata con
l’esperienza totale.

Il Sé, l’Altro e la Pulsazione nella Struttura


Grammatica Verbo

Soggetto

Oggetto

Possiamo notare che la struttura grammatica segue


le stesse dimensioni: Il Soggetto =

Il Sé. Il Verbo = l’Emozione e l’Azione.


L’Oggetto = l’Altro.

Anche le Scuole di Psicoterapia seguono la stessa


logica: Il Sé è enfatizzato dalle Scuole basate sul
Self, Identità, Funzioni del Se, ecc. (Hartman,
Kohut) L’Ogge tto è enfatizzato dalla Scuola
Inglese di Relazioni con Oggetto. (Fairbairn,
Gunthrip, Winnicott)

Il Verbo è enfatizzato dalla Scuola Freudiana


basata sulle emozioni e le pulsioni, (Freud, Reich)
ed anche dalla Scuola Comportamentale (Wolpe,
Lazarus) basata sull’azione. Altre Scuole, come la
Scuola Cognitiva, di Immagine Guidate, di Terapia
Razionale, si basano su processi cognitivi della
corteccia, invece che sugli impulsi sotto-corticali.
La loro debolezza è trascurare la profondità di
emozioni, pulsioni e relazioni, quando la loro
tecnica si basa esclusivamente sui processi
cognitivo-corticali.
Parola Chiave, Frase Direzionale

La Parola Chiave è la parola che è caricata


dell’emozione. In ogni frase condivisa dal
paziente, il terapista può identificare una o due
parole che hanno una forza particolare. Esempio:
“E’ stato un dialogo difficile. In un certo momento
mi sono sentito strangolato. Ho voluto partire”.
Parola chiave: “strangolato”.

La Frase Direzionale è la frase che l’Ascoltatore


offre per orientare il protagonista verso il mondo
interiore: “Che cosa ti senti dentro?” “Puoi
descrivere di più questa sensazione?” “Dove nel
corpo provi questa emozione? Talvolta la frase
direzionale si orienta verso l’episodio esterno:
“Cosa era stata detta per farti sentire
“strangolata”?

Insomma la frase direzionale può orientare il


Protagonista verso il mondo interno oppure verso
la situazione esterna. La frase direzionale deve
essere integrata con la parola chiave, altrimenti la
frase di orientamento può sembrare vuota.

La competenza terapeutica non esige solamente la


formulazione della Parola Chiave –

Frase Direzionale, ma l’espressione non-verbale


con cui è detta: tono della voce, ritmo e regolarità
della parola, lunghezza della frase, espressione
della faccia, ecc.

Terapisti e Counselor con anni di esperienza


testimoniano che “l’arte” nell’uso della Parola
Chiave – Frase Direzionale è sempre in
evoluzione con la pratica, talvolta diventando
anche poetica.
Messaggio Dato e Messaggio Ricevuto

Questo disegno aiuta ad evitare la confusione e


l’imprecisione che viene quando trattiamo una
comunicazione come se fosse la stessa cosa per il
mittente ed il ricevente.

Un esempio: Lei dice: “Non mi dici che mi ami”.


Lui si sente male: “Non sono apprezzato”. Se la
comunicazione è trattata come “la stessa cosa” per
colui che dà il messaggio e quello che lo riceve, le
due persone possono litigare sulla questione “E’

una frase giusta o sbagliata?”

Invece, un chiarimento fondamentale viene con


questo disegno. La frase era detta con un
intenzione positiva, da parte del mittente, ma con
un impatto negativo sul ricevente.

Il disegno ci aiuta ad essere cauti e umili quando


analizzando una comunicazione, sapendo che le
nos tr e inte nz ioni non sono sempre realizzate,
come mittente del messaggio. Dall’altro lato,
quando stiamo nella posizione di ricevitore,
possiamo ascoltare un messaggio che esercita un
i mpa t t o negativo, senza essere certi che
l’intenzione era ugualmente negativa.

Il divario fra “intenzione” ed “impatto” mostra che


la comunicazione può rappresentare una ricerca
costante e perenne, per ridurre il gap fra quello
che parla e l’ascoltatore.

Tre Livelli Viscerali

I.

Contatto Sé/Altro

Sentirsi abbastanza equilibrati

Mammiferi

II.

Attaccare – Rabbia
Fuggire - Paura

Rettili

III.

“Tutto è perduto” / Calo interno

Il Sé/Altro scompare

Pesci-Anfibi

Trauma

Livelli II + III: Strategie di Difesa Primordiali La


ricerca del Prof. Steven Porges, dell’Università
dell’Illinois, ha rivelato questi tre livelli dei
nuclei viscerali che regolano l’attività del sistema
digestivo, i polmoni ed il cuore. Questi nuclei,
localizzati nella parte più bassa del cervello, il
midollo, ricevono messaggi dei livelli più alti –
corteccia, giro cingolare, amigdala e ipotalamo – e
mandano messaggi giù per regolare i processi
viscerali del corpo.
Livello I

Il livello più alto - il livello sociale - crea un


equilibrio emotivo e una sensazione positiva.
Questo succede quando la relazione Se-Altro è
vissuto come un sostegno e con fiducia. Chiamato
il VVC, o il Ventral Vagal Complex, questo nucleo
è stato sviluppato nell’ultima parte
dell’evoluzione, quella dei mammiferi, e raggiunge
negli essere umani il livello più alto di sviluppo.

Livello II

Il livello II regola la dinamica “attivante”


(simpatico) quando l’organismo è davanti al
nemico o ad un minaccia. Sviluppatto durante
l’evoluzione dei rettili, secondo Porges, questo
livello prepare gli organi viscerali quando la
creatura deve attaccare il nemico o fuggirlo.
L’amigdala compiuta questa reazione, manda
messaggi giù al nucleo periventricolare
dell’ipotalamo, e da lì i messaggi sono inviati
direttamente agli organi viscerali attraverso il
nervo vago.

Livello III

Il livello III regola la dinamica “ricevante” (*di


ricettivita) (parasimpatico) quando l’organism
vive “una perdita profonda”, come la morte, la
separazione, il fallimento.

L’origine di questa reazione ha cominciato quando


i pesci sono stati attaccati di un nemico troppo
forte e hanno sviluppato la strategia, “fingere
essere morte”. Ma nell’evoluzione, gli animali
hanno utilizzato questa reazione come modo di
conservare l’energia quando c’è una perdita di
qualcosa essenziale. Per noi, gli esseri umani, un
avvenimento soprafaccente può indurre uno stato
di trauma. L’esperienza si incide profondamente
nella memoria e può essere vissuta come un calo
dentro, un dolore continuo, un senso di
framentazione del Se, ed un senso di impotenza e
di isolamento.
Talvolta l’esistenza è sentita come un incubo. Il
lavoro terapeutico spesso deve affrontare le
emozioni di grande profondità. La condivisione di
questa profondità cambiarà il senso di isolamento
verso la coscienza, “Qualcuno può comprendere
quello che vivo”.

Conclusione: Il livello II e livello III, secondo


Porges, rappresentano “Strategie Primordiali di
Difesa”. Da questo punto da vista, il problema
emotivo non rappresenta

“una patologia” o “una malattia” ma, invece un


disregolamento con un’attivazione ecessiva della
difesa primordiale. Lo scopo terapeutico è di
trovare una nuova regolazione di questi circuiti per
diminuire lo stato di allarme e di emergenza.

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