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tardo-arcaica
La funzione Funzione primaria della poesia è l᾽ἔπαινος, la «lode»: lode del dio nelle varie
di ἔπαινος: forme di canto cultuale che abbiamo già visto (vedi capitolo IV, par. «Le forme
fra individualità…
della poesia melica», pp. 000-000) e lode del singolo uomo come vincitore in una
gara atletica (epinicio), come defunto oggetto di ricordo (thrênos), come com-
mensale che si segnala per la sua munificenza o bellezza (scolio).
…e collettività Ma, soprattutto quando un’ode sia eseguita in uno spazio pubblico (templi, sa-
celli, piazza), la lode viene a coinvolgere sia la famiglia del committente, sia
l’intera collettività cittadina, e dunque un pubblico sentito come comunità che
ritrova nei valori e nei miti proposti nel canto un momento di immedesimazione
e di identità.
676 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
ἁ Μοῖσα γὰρ οὐ φιλοκερδής antistrofe I Perché la Musa a quel tempo non era
πω τότ’ ἦν οὐδ’ ἐργάτις· né avida né mercenaria:
Οὐδ’ ἐπέρναντο γλυκεῖ- e da Tersicore non eran vendute
αι μελιφθόγγου ποτὶ Τερψιχόρας le dolci mielate canzoni
ἀργυρωθεῖσαι πρόσωπα μαλθακόφωνοι ἀοιδαί. dal volto d’argento e dalla tenera voce.
νῦν δ’ ἐφίητι ‹τὸ› τὠργείου φυλάξαι Ora invece essa impone d’osservare
Ῥῆμ’ ἀλαθείας ‹ –› ἄγχιστα βαῖνον, 10 quel detto, che il vero rasenta, dell’Argivo
«Contro il consenso unanime degli antichi cui evidentemente aderiva anche Cal-
limaco, alcuni studiosi obiettano che Pindaro stesso componeva su committenza
retribuita e che dunque non appare verisimile nell’enunciato “Musa ... amante del
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
guadagno ... mercenaria” (Μοῖσα ... φιλοκερδής ... ἐργάτις) il riferimento a Si-
monide che aveva inaugurato, a differenza dei poeti del passato, la nuova prassi di
pattuire i compensi con i committenti. Ma Pindaro tiene a sottolineare che il contratto
con il committente non lo subordina sino al punto di prostituirsi, venendo meno alla
sua coerenza ideologica, di “cozzare contro la menzogna”, rinunciando al vero. Un
comportamento del tutto diverso da quello di Simonide, spregiudicato e pronto, per
l’avidità di denaro, a variare il discorso, sino al punto, per esempio, di elogiare le mule
come “figlie delle cavalle dal piè di tempesta” (fr. 515 PMG). L’allusione a Si-
monide è tanto più verisimile in quanto proprio Simonide aveva già cantato
la medesima vittoria di Senocrate di Agrigento alla quale si riferisce Pindaro
in questo carme, che non è un epinicio in senso stretto, ma piuttosto una
epistola indirizzata al giovane Trasibulo, figlio di Senocrate».
(B. Gentili, Poesie e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari, Laterza 1984,
225s.)
Busto di Pindaro, copia romana da un originale della metà del V secolo a.C. Napoli,
Museo Archeologico Nazionale.
POETA, COMMITTENTE, PUBBLICO 677
La struttura Il triangolo comunicativo stabilitosi fra poeta, committente e uditorio viene me-
e i componenti diato da un coro, che negli epinici assume la forma del κῶμος, cioè del «corteo
del canto
festivo» costituito in prima istanza dagli amici e dai famigliari del vincitore. Il
poeta tenderà a identificare il proprio ruolo in quello di un «ospite» (ξένος) che
compie il suo viaggio per recarsi presso il laudando e in quella parte dell’ode che
Wolfgang Schadewaldt ha definito come il «programma», generalmente all’ini-
zio del componimento, declinerà la genealogia del vincitore e i dati dell’occasio-
ne, indicando il luogo degli agoni e il tipo di gara.
Motivi generali e Inoltre, pur attingendo costantemente a un sistema di valori legato alla tradizione
riferimenti contestuali aristocratica e pertanto fondato sui motivi della valentia agonistica, della liberali-
e individuali
tà, della disciplina etica come autocontrollo e senso del limite, della lealtà e della
pietas, dovrà variare temi e accenti in relazione alla personalità del celebrato (fa
molta differenza, evidentemente, che costui sia un aristocratico di Egina o un
tiranno siciliano), al contesto in cui ha luogo la festa, al tipo di cerimonia, ai miti
e ai riti legati alle tradizioni di una determinata comunità.
Coralità L’ode corale è concepita «per le orecchie e gli occhi di un uditorio: per la sfera
e autonomia poetica emotiva della sua psiche dove albergano istanze e pulsioni che il poeta condivi-
de e che spetterà a lui stimolare (illudere, deludere, controllare), oltre che per il
piano razionale della sua mente, cui comunque i contenuti perverranno attraverso
una logica mnemonico-associativa. [...]
Il pubblico della performance può essere esaminato sotto molti aspetti: in quanto
pubblico “di ascoltatori”, come soggetto quindi di una speciale psicologia poeti-
ca; in quanto pubblico “variabile”, che esigeva di volta in volta approcci preor-
dinatamente nuovi, nell’ambito tuttavia di una costante poetica dell’esecuzione
orale; come infine “quel” pubblico – quello dell’epinicio e non del peana o del
partenio, e però interconnesso col festeggiato destinatario del canto –, e come
pubblico di parenti amici e concittadini, più ampio e ufficiale della “comunità”
di Saffo o della “consorteria” di Alceo: un pubblico, insomma, che vive e con-
divide col committente un orizzonte d’attesa formale e contenutistico, e che è
Le occasioni Talora, specialmente se si trattava di canti brevi, composti nel giro di poche ore,
e i modi del canto l’epinicio poteva essere eseguito sul luogo stesso della vittoria, alla sera, dal
κῶμος degli amici che avevano accompagnato il vincitore, ma più spesso era
intonato in una cerimonia solenne al momento del ritorno in patria, in una piazza
o presso un tempio o dinanzi alla casa del festeggiato o anche al suo interno,
nell’ambito di una riunione simposiale.
In questo secondo caso sul luogo della vittoria ci si poteva limitare a un breve
inno tradizionale come, per Olimpia, era quello che la tradizione attribuiva ad
Archiloco, ripetuto per tre volte in onore di Eracle, mitico fondatore dei giochi:
al grido «Tenella», una sequenza di suoni che intende mimare gli accordi dela
cetra, venivano celebrati Eracle e Iolao, suo nipote e fido scudiero, oltre che pri-
mo olimpionico (fr. 324 West):
Non era, però, esclusa l’eventualità che uno stesso poeta (come è il caso delle
Olimpiche X e XI di Pindaro, per Agesidamo di Locri) componesse per la me-
desima vittoria due odi, una più breve, destinata a un’esecuzione immediata sul
luogo della vittoria, l’altra più ampia e complessa, in occasione del ritorno in
patria del vincitore.
Luogo di intensa comunicazione collettiva e di riconversione dei valori della
guerra (coraggio, preparazione, astuzia) nelle forme mimetiche dello sport, i
grandi agoni panellenici erano il mo-
mento privilegiato per l’esibizione di
exploit aristocratici di fronte a una
platea eterogenea e multiforme e per
un’interazione fra atletismo e arte che
si manifestava, oltre che nella compo-
sizione di odi trionfali, nella presenza
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
MEMORIA LETTERARIA
I giochi olimpici
I giochi atletici più antichi sembrano essere stati quelli dell’Olimpiade, che risalivano secondo la tradizio-
ne più accreditata al 776 a.C. e avevano luogo ogni quattro anni, un mese dopo il solstizio d’estate, a Pisa
nell’Elide (Peloponneso), ed erano così chiamati da uno degli attributi di Zeus (Zeus Olimpio).
Il programma sportivo
All’interno della cornice sacra le gare sportive, distribuite fra il secondo e il
quarto giorno, erano: la corsa a piedi su varie distanze (192, 384 metri e fondo),
l’oplitodromia (corsa in armi sulla distanza dei 384 metri), la lotta, il pugilato, il
pancrazio, il pentathlon (corsa, lotta, lancio del disco, salto in lungo, lancio del
giavellotto), corse di bighe e quadrighe, corse a cavallo. Vi erano inoltre gare
particolari riservate ai ragazzi fra i dodici e i diciotto anni (corsa dei 192 metri
[«stadio»], lotta e pugilato). La corsa delle quadrighe, che inaugurava le gare,
apriva i giochi nella forma più spettacolare, mentre toccava alla corsa oplitica il
L’auriga di Delfi (VI-V secolo a.C.), la celebre statua compito di chiuderli. All’origine dei giochi l’unica competizione sarebbe stata la
in bronzo ritrovata nella città sacra al dio Apollo.
corsa sulla distanza di uno «stadio».
Dell’intero gruppo che comprendeva, oltre al giova-
ne con le briglie, i cavalli e la biga, è rimasto solo
l’auriga. La tregua olimpica e il «ritiro agonistico» degli atleti
Alcuni mesi prima dell’inizio dei giochi araldi chiamati σπονδοφόροι («pacie-
ri») partivano dall’Elide e percorrevano tutta la Grecia annunciando la data d’ini-
zio dei giochi e invitando a parteciparvi (la relativa tregua d’armi avrebbe avuto inizio un mese prima per
terminare un mese dopo lo svolgimento dei giochi).
Gli atleti, che dovevano essere di stirpe greca, di condizione libera e non aver subito alcuna condanna,
dopo un lungo tirocinio preliminare giungevano ad Olimpia un mese prima per allenarsi e sostenere poi un
esame di ammissione alle gare.
I giochi pitici
I giochi pitici, anch’essi panellenici e quadriennali, erano celebrati a Pito (Delfi) in onore di Apollo.
Origine e fondazione
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Secondo una leggenda locale erano stati fondati dal dio stesso dopo l’uccisione del serpente Pi-
tone (figura di quel culto pre-ellenico della Terra che era stato sostituito da quello apollineo),
ma un’altra tradizione ne riconduceva l’origine a Diomede.
Il pugilatore in riposo, statua in bronzo del I secolo a.C. rinvenuta a Roma che mostra un muscoloso
atleta seduto che si tiene le mani avvolte nei «guantoni». Queste fasce di cuoio dovevano non
tanto ammorbidire (come i nostri guanti) quanto rendere più micidiali i cazzotti che i pugili si
scambiavano.
POETA, COMMITTENTE, PUBBLICO 681
dell’Anfizionia delfica: da allora in poi furono celebrati con cadenza quadriennale nel terzo anno di ogni
Olimpiade (fra agosto e settembre). Benché i concorsi poetici e musicali continuassero ad occupare un
ruolo centrale, furono introdotte gare atletiche e ippiche, anche se il carattere impervio del sito non
consentiva la presenza di un ippodromo (perciò le gare equestri si disputavano nella plana sottostante
di Crisa). I vincitori («pitionici») ricevevano in premio una corona d’alloro colto nella valle di Tempe e
avevano il diritto di porre la propria statua nel recinto del santuario delfico. Solo una delle odi Pitiche di
Pindaro (la XII) celebra una vittoria (quella dell’agrigentino Mida nel 490 a.C.) non riportata in una gara
atletica bensì in un agone con l’aulo.
I giochi nemei
Origine e fondazione
I giochi nemei furono istituiti secondo una tradizione da Eracle dopo la sua vittoria sul leone nemeo,
secondo un’altra da Adrasto e Anfiarao in onore di Ofelte, figlio del re di Nemea, ucciso da un serpente (la
nutrice di Ofelte, Ipsipile, l’aveva lasciato solo sull’erba dei prati per indicare ai guerrieri argivi in marcia
contro Tebe la sorgente più vicina: subito un serpente lo aveva avvolto nelle sue spire uccidendolo col suo
morso).
I giochi istmici
I giochi istmici erano celebrati ogni due anni verso la fine di aprile presso il santuario di Posidone sull’istmo
di Corinto (a ovest dell’attuale canale, di fronte al golfo saronico). Lo stadio fu costruito nel 584-581 a.C.,
quando i Corinzi riorganizzarono gli agoni (che erano stati sospesi dal tiranno Cipselo).
Origine e fondazione
A istituire le Istmie sarebbero stati Elio e Posidone al momento di dividersi il dominio dell’Istmo, oppure
Sisifo per onorare Melicerte annegato
in mare con la madre Ino, oppure
ancora Teseo. Comprendevano
Simonide
La vita
Un moderno poeta
itinerante S imonide (Σιμωνίδης) figlio di Leoprepe nacque nell’isola di Ceo (nelle Cicla-
di) e visse all’incirca fra il 556 e il 466 a.C. conducendo la vita itineran-
te del poeta professionista e diventando ben presto noto specialmente come
compositore di epinici: fu a Egina, a Eretria, nel 520 a Caristo in Eubea per
l’olimpionico Glauco e prima del 514 ad Atene, ospite di Ipparco, figlio di
Pisistrato, per la cui figlia Archedice compose un epicedio (ad Atene dovette
incontrare Anacreonte e Laso di Ermione). Poi fu ospite degli Scopadi, a
Crannone in Tessaglia, celebrandone con epinici le vittorie in gare ippiche
con il carro.
Aneddotica Dell’aneddotica sorta in margine a tale soggiorno l’episodio più celebre (ricorda-
e mnemotecnica to da Callimaco nel III libro degli Aitia, fr. 64 Pfeiffer) riguarda un’ode composta
per il principe Scopas, dove uno spazio molto ampio era riservato ai Dioscuri,
tanto che il poeta avrebbe ricevuto dal committente solo metà del compenso
pattuito, con l’invito a farsi pagare l’altra metà dai Dioscuri. Senonché qualche
tempo dopo, in occasione di un convito, un servo lo chiamò fuori dicendogli che
due giovani erano venuti a cercarlo. Uscito dalla sala, Simonide non trovò nes-
suno, ma proprio in quel momento il tetto della sala dove si svolgeva il convito
crollò, provocando la morte di Scopas e degli altri convitati: il poeta capì allora
che i due personaggi di cui aveva parlato il servo erano i Dioscuri, intervenuti al
momento giusto a saldare il loro debito.
In tale occasione inoltre, giovandosi di quella mnemotecnica di cui fu considera-
to inventore, sarebbe stato in grado di identificare tutte le vittime ricordando la
disposizione dei singoli convitati.
di questo evento luttuoso. Affiora in esso quel tema dell’imprevedibilità del fu-
L’epitafio per i caduti Scampato dunque al crollo del palazzo che sterminò la famiglia dei protettori
di Maratona tessali, sappiamo che verso il 500 tornò ad Atene, dove si trovava anche nel
490, quando sconfisse Eschilo nella gara su chi dovesse comporre l’epitafio per
i caduti a Maratona, e in seguito contribuì alla celebrazione delle battaglie per
l’indipendenza greca componendo elegie, carmi lirici, epigrammi.
Epigrammi, elegie Fra gli epigrammi tramandati a suo nome solo quello per l’indovino Megistia,
ed encomi ricordato come simonideo da Erodoto (VII 228), si può considerare sicuramente
per i caduti delle
guerre antipersiane autentico. Lo riportiamo all’interno del contesto erodoteo, che, ricordando altre
due iscrizioni commemorative per i Peloponnesiaci caduti alle Termopili, offre
un breve ma significativo specimen di questa produzione legata alla grande lotta
di resistenza contro i Persiani:
228, 1 In onore di questi che furono sepolti sul posto stesso dove erano caduti e
di quelli che erano morti prima che partissero gli alleati congedati da Leonida è
stata incisa un’iscrizione che dice così:
Contro trecento miriadi qui combatterono un giorno
quattro migliaia di uomini del Peloponneso.
2 Questa iscrizione è stata posta per tutti; per gli Spartani in particolare è stata
composta quest’altra:
O straniero, annunzia agli Spartani che qui
riposiamo in ossequio alle loro norme.
3 L’iscrizione per l’indovino è invece la seguente:
Questa è la tomba di Megistia illustre, che un giorno i Medi
T4 Delle elegie legate alle lotte anti-persiane si sono recuperati, grazie a un for-
tunato ritrovamento papiraceo pubblicato nel 1992, resti che si riferiscono
alla battaglia dell’Artemisio (frr. 1-4 West2) e soprattutto un brano di discreta
ampiezza (fr. 11 West2) da un componimento dedicato alla battaglia di Platea
(vv. 7-34).
684 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Le opere
I resti di una copiosa
attività D ella sua copiosa attività poetica, di cui ignoriamo la precisa estensione e
divisione in libri, sono sopravvissuti fino a noi frammenti che testimoniano
una produzione copiosa: epinici, thrênoi (per i quali fu specialmente apprez-
zato dagli antichi, cfr. Catullo 38, 8 maestius lacrimis Simonideis), Κατευχαί
(«Auguri» o «Imprecazioni»), un ditirambo, probabilmente peani (attestati dal-
la Suda) se, come pare probabile, contengono testi simonidei i frustoli apparte-
nenti a P. Oxy. 2430 (= 519 PMG); infine carmi elegiaci di carattere celebrati-
vo (come già abbiamo visto per l’elegia sulla battaglia di Platea) e simposiale
(frr. 19-33 West2). Nell’Antologia Palatina compaiono poi sotto il suo nome
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
I tratti Simonide riflette nella sua poesia la crisi o la rimeditazione dei valori tradizio-
del professionismo… nali, e già gli antichi videro nel suo uso dell’epinicio una cosciente applicazione
dei nuovi rapporti che legavano il professionista del canto al suo patrono. Così
Aristotele, nel III libro della Retorica (1405b24), riporta l’aneddoto secondo cui,
quando Anassila tiranno di Reggio gli offrì un modesto compenso perché cele-
brasse la sua vittoria con le mule, il poeta in un primo tempo rifiutò, adducendo
come pretesto lo scarso prestigio degli animali, ma quando il tiranno aumentò
l’offerta cantò (fr. 515 PMG):
Χαίρετ᾽ ἀελλοπόδων θύγατρες ἵππων
Salve, o figlie di cavalle dai piedi rapidi come tempesta.
SIMONIDE 685
Un’enfasi scherzosa sembra trapelare da un passo superstite di un epinicio per
Glauco di Caristo, vincitore nel pugilato, dove il confronto, a tutto vantaggio di
Glauco, con uno dei Dioscuri e con Eracle: «... né la forza di Polluce / avrebbe
potuto opporsi alle sue braccia / né il ferrigno figlio di Alcmena» (509 PMG) do-
veva costituire una nota scherzosa dato che Glauco aveva trionfato nella catego-
ria dei ragazzi, mentre un’irrisione burlesca si coglie nel gioco di parole per cui,
per celebrare il successo nella lotta di Crio di Egina, si dice che «Kriós (Κριός
= «Montone») onorevolmente fu tosato (ἐπέξατο)» nei ludi nemei (507 PMG).
…e relativismo etico Professionismo disinvolto e sprezzatura brillante si accordano con un’altra carat-
teristica della fisionomia intellettuale di Simonide: un relativismo etico coeren-
temente perseguito sulla base di un nuovo modello di uomo come essere limitato
da una serie di condizionamenti (sete di guadagno, passioni amorose, ambizioni)
che circoscrivono la stessa ricerca della virtù a una via percorribile «fin dove è
possibile» (541, 1-14 PMG):
... (il Tempo?) discrimina ciò che è bello e ciò che è brutto; ma se
qualcuno dice [cose false] una bocca senza porta
portando [in giro], il fumo è vano e
l’oro non si contamina,
5 [e] la verità trionfa,
[ma] a pochi [la divinità] concede di raggiungere il successo
[fino in] fondo, ché non è agevole [che uno sia] valente:
contro il suo volere gli fanno violenza
[o] l’invincibile sete di guadagno o dell’astuta
10 Afrodite l’assillo prepotente
e le fiorenti ambizioni.
Ma [se uno] nel corso della sua vita la santità
(...) il sentiero...
(...) fin dove è possibile...
L’encomio a Scopas e Se è difficile diventare compiutamente «valenti» dal momento che la realtà
l’impossibilità esterna può costringere un individuo ad agire contro il suo volere, un criterio di
è di non compiere volontariamente il male, perché compierlo tradizionale dell’“uomo valente”. Ci troviamo di fronte a uno di
involontariamente è pur sempre possibile, e conoscere almeno quegli esempi di biasimo indiretto (parabiasimo) formalizzati
la giustizia utile alla società. All’etica dei valori assoluti (va- da Eveno di Paro. Un’abile polemica nella quale il poeta tende a
lentia, successo, ricchezza), patrimonio di uomini particolar- sottolineare che egli non vuole in alcun modo svolgere il ruolo
mente dotati dalla natura e illuminati dalla grazia divina, il po- del maldicente, perché non è amante del biasimo: anzi egli è
eta oppone quella dei valori relativi, meno eroici e più umani, portato a lodare chiunque non faccia il male volontariamente.
che dal piano estetico-agonale discendono su quello più vasto Un atteggiamento più didattico che polemico nei confronti del
dell’impegno etico-sociale dell’uomo di fronte alla comunità. suo ospite e committente. Più che una poetica dell’ideale [...]
All’uomo-eroe pindarico Simonide oppone l’uomo odissiaco, i versi dell’encomio enucleano una poetica dell’antideale: se
che non sia “troppo sprovveduto” per affrontare tutti i pericoli l’uomo esemplare e perfetto, del tutto immune dal biasimo, è
e i rischi del vivere tra gli uomini. Questa etica del reale, pessi- una mera utopia, sarà difficile, se non impossibile, tessere un
mistica nel pensiero, ma ottimistica nella volontà, che tendeva elogio che non comporti un atteggiamento critico verso i valori
a smitizzare i più elevati valori etico-religiosi delle aristocrazie tradizionali, e quindi una pur minima punta di biasimo. Pro-
arcaiche ormai in declino, era nutrita anch’essa di un ideale prio in nome di questa poetica, che potremmo definire della
non meno elevato e più rispondente alla nuova realtà storica, lode impura, si giustificano gli spunti burleschi e parodici che
l’ideale del cittadino democratico che opera nel rispetto della emergono nell’epinicio di Simonide, un genere poetico per sua
giustizia e nell’interesse della città». natura encomiastico».
PINDARO 687
Il patetismo Segno di una duttile varietà di risorse è il fatto che lo stesso poeta che ci appare così
e la φαντασία fervidamente didattico e raziocinante nei carmi che abbiamo appena ricordato si ri-
vela altrove intensamente patetico, di un patetismo teso alla rievocazione icastica-
mente efficace nelle immagini come nel ritmo. Anzi, ci appare teorizzatore di una
capacità di immedesimazione mimetica nell’angoscia e nel dolore umani allorché,
secondo la testimonianza di Plutarco (De gloria Atheniensium 3, 346f), definiva la
poesia come «pittura parlante». Una tensione immaginifica (una φαντασία) loda-
ta anche dall’autore del trattato Del sublime (15, 7), che, subito dopo aver elogiato
Sofocle per questa qualità in relazione alla morte di Edipo nell’Edipo a Colono e
all’apparizione dell’ombra di Achille al di sopra del suo tumulo sepolcrale nella
perduta Polissena, dichiara che forse quest’ultima visione non era mai stata rievo-
cata da nessuno in modo più incisivo di come aveva saputo fare Simonide.
Nulla ci resta di questo episodio, ma possediamo un brano sulla vicenda di Da-
nae e Perseo (543 PMG) che sembra rispondere a queste caratteristiche dell’arte
T3 simonidea.
Pindaro
P oeta fra i più ammirati e studiati, ma quanto mai difficile e talora mal com-
preso, Pindaro è l’espressione più alta dei valori di un mondo aristocratico
ormai al tramonto. Della sua vasta produzione corale è sopravvissuta pressoché
integra la raccolta degli epinici, nei quali la celebrazione dell’atleta e della sua
ἀρετή, lungi dal ridursi al mero resoconto dell’evento sportivo, si trasfigura nel-
la rappresentazione di significati trascendenti ed esemplari: «contrariamente agli
autori epici, – osserva J. De Romilly – Pindaro non racconta mai, ma evoca con
immagini sfavillanti, non necessariamente collegate in un ordine riconoscibile e
questa evocazioni rivelano sempre o un’indicazione sul senso del mondo, o un
avvertimento e un consiglio». I valori che propone sono assoluti e universali,
La vita
I dati
P indaro nacque a Cinoscefale in Beozia, presso Tebe, in un anno in cui si ce-
lebravano le feste pitiche, come il poeta stesso ricorda nel fr. 193 Maehler:
... la quadriennale festa celebrata
con processione di buoi, in cui per la prima volta
fui deposto con amore nelle fasce d’infante.
[Tr. di R. Sevieri]
Origini e leggende L’origine nobiliare di Pindaro non è sicura, ma che appartenesse a famiglia di
rango elevato è comunque suggerito dal fatto che durante la prima giovinezza
dovette essere inviato ad Atene dal padre per ricevervi un’accurata educazione
nella musica e nella poesia.
In Atene fu forse in contatto
Per saperne di più con Laso di Ermione (vedi ap-
Si è spesso dedotto per Pindaro un’origine aristocratica, dal profondimento p. 000) e col
ramo degli Egidi, in base a un passo della Pitica V in cui
il coro rievoca l’istituzione delle feste Carnee a Cirene,
musico Agatocle, del quale fu
ma il «noi» dell’enunciato si riferisce con ogni probabi- discepolo anche il teorico mu-
lità non tanto al poeta, quanto piuttosto ai componenti sicale Damone.
del coro, ossia i cittadini di Cirene, colonia di Tera, a Assai dubbia è la notizia, pro-
sua volta popolata da Egidi provenienti da Sparta (vv.
74-81): babilmente di matrice cam-
… di là (scil. da Sparta) discesi gli Egidi miei padri,
panilistica, che lo fa allievo
giunsero Tera delle poetesse beotiche Corin-
per volere dei numi, na e Mirtide, e numerosi gli
ma li guidava un destino; aneddoti fioriti sulla sua figu-
di là prendemmo il rito del banchetto
solidale, opulento di vittime, ra, come quello secondo cui,
e nel convito in tuo onore, quando era ancora fanciullo,
Apollo Carneo, veneriamo uno sciame di api gli avrebbe
la ben costrutta città di Cirene.
deposto il miele sulla bocca
[Tr. di B. Gentili]
mentre dormiva.
Approfondimento
La Tebe di Pindaro
Tebe era la città forse più famosa e celebrata di tutto il mondo greco: era una miniera di miti e di memo-
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
rie. Del resto anche Esiodo, suo conterraneo, due secoli prima aveva raccontato, nella Teogonia, come
erano nati tutti gli dei e, nel Catalogo delle donne, come erano nati tutti gli eroi.
Dell’antico splendore non sopravviveva però qua-
si nulla al tempo di Pindaro. Negli ultimi decenni
del secolo VI a.C. Tebe era solo una città periferi-
ca, lontana dal mare, con una cultura stagnante
e conservatrice, aliena da avventure migratorie,
estranea ai rivolgimenti che durante il secolo VII
a.C. travolsero altrove i regimi aristocratici. Uni-
co segno di vitalità: una forte volontà di riscossa,
che la spingeva proprio in quegli anni a espande-
re il suo dominio sugli altri centri della Beozia, a
guerreggiare con Atene per il confine meridiona-
le, ad allearsi con Sparta, con Calcide e, nel 506
a.C. con Egina in funzione antiateniese.
[G.A. Privitera]
PINDARO 689
Gli esordi L’esordio poetico di Pindaro fu molto precoce: aveva appena vent’anni, nel
e le prime tournée 498, quando gli fu commissionato l’epinicio più antico a noi noto, la Pitica X
in onore di Ippocle di Pelinna, in Tessaglia, dove aveva già operato Simonide.
Evidentemente già noto e apprezzato anche al di fuori del proprio ambito lo-
cale, vide negli anni successivi crescere ulteriormente il proprio prestigio e si
spostò di frequente sia in Grecia, a Delfi (Peana VI), a Egina (in particolare
la Nemea VII: 485?), sia soprattutto in Occidente: nel 490, l’anno della prima
guerra persiana, lo troviamo ad Agrigento a celebrare Senocrate, fratello del
futuro tiranno Terone, vincitore col carro (Pitica VI), e l’auleta Mida, anch’egli
agrigentino (Pitica XII).
Fra Tebe e Atene Durante le guerre persiane Pindaro si trovò compromesso nella politica neutrale
e a tratti filo-persiana della sua città (e di alcune famiglie tebane in particolare),
salvo poi, a guerra conclusa, celebrare Atene come «baluardo della Grecia», in
un ditirambo di cui è tramandato un frammento (76 Maehler):
O splendida e cinta di viole e celebrata nei canti,
baluardo della Grecia,
Atene gloriosa, roccaforte divina.
e rievocare la vittoria dell’Artemisio, del 480 nel corso della II guerra persiana,
come il luogo
dove i figli degli Ateniesi gettarono un luminoso
basamento di libertà (fr. 77 Maehler).
Questo elogio di Atene gli avrebbe causato una multa di 1000 dracme da parte
dei Tebani, ma gli Ateniesi lo avrebbero risarcito con la prossenia e con un alto
compenso.
Il soggiorno in Sicilia Negli anni successivi, Pindaro evase dalla difficile situazione in Grecia al-
lacciando o rinnovando rapporti con committenti siciliani e recandosi poi in
La rivalità con In Sicilia entrò in concorrenza col più anziano Simonide e con Bacchilide, al
Simonide e Bacchilide punto che già nell’antichità si vedeva un’allusione polemica proprio contro
la coppia dei poeti di Ceo, nell’espressione ἄκραντα γαρύετον (si noti il
duale!) «quei due gracchiano a vuoto», riferita ai corvi in gara con l’aquila,
nel finale dell’Olimpica II (v. 87).
Tale identificazione è probabilmente erronea, certo è, comunque, che la con-
690 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
correnza dovette essere particolarmente accesa, soprattutto con Bacchilide:
basti pensare che la vittoria olimpica di Ierone del 476 fu celebrata sia da
Pindaro nell’Olimpica I, sia da Bacchilide nell’Epinicio V.
Coi proventi del soggiorno presso i tiranni siciliani avrebbe costruito nei pressi
della sua casa tebana quel santuario in onore della Madre degli dèi e di Pan che
è menzionato da Pausania (IX 25, 3), ma anche questa tradizione riposa proba-
bilmente su una forzata esegesi di un passo della Pitica III (vv. 77-9) in cui il
poeta dice a Ierone, a cui non ha potuto portare la guarigione dalla malattia che
lo affliggeva:
Ma io voglio invocare
la Madre, la dea augusta,
che fanciulle presso il mio vestibolo
cantano spesso di notte con Pan.
Il ritorno in Grecia È difficile poter seguire nel tempo – date le incertezze cronologiche sull’ese-
cuzione delle singole odi – lo sviluppo dei contatti di Pindaro coi suoi diversi
committenti, ma verso il 465, soprattutto con la morte di Ierone (466), dovet-
tero venir meno i rapporti con la Sicilia. Lo vediamo così comporre odi per
vincitori di Tebe (ad es. Erodoto nell’Istmica I), di Corinto, di Argo, di Rodi,
di Cirene e soprattutto di Egina, l’isola dorica «signora di navi» con cui Pinda-
ro intrattenne le relazioni più intense e più continue, oltre a una serie di canti
cultuali per feste celebrate a Tebe, Delfi, Argo, Atene, Abdera, Nasso, Delo,
Paro, Dodona, ecc.
L’ultimo scritto Non si conosce la data della sua morte, da collocarsi comunque dopo il 446,
e il silenzio che è la data dell’ultima ode a noi nota, la Pitica VIII; secondo una tra-
dizione aneddotica di dubbia attendibilità sarebbe morto ad Argo, accanto
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Le opere
Il catalogo
degli antichi L a Vita Ambrosiana riporta il catalogo dei libri che costituiscono il corpus pin-
darico secondo una ripartizione di remota ascendenza platonica, che distin-
gue fra canti in onore degli dèi, canti in onore di uomini e dèi, e canti in onore
di soli uomini: abbiamo così un libro di Inni, un libro di Peani, due libri di
Ditirambi, due libri di Prosodî, due libri di Partenî più un enigmatico «libro
separato» parimenti di Partenî, due libri di Iporchemi, un libro di Encomî, un
PINDARO 691
libro di Thrênoi e quattro libri di Epinici (in una biografia contenuta in P. Oxy.
2438 l’ordine è proposto in modo diverso, ma senza sostanziali differenze in
quanto al numero dei libri).
I libri tràditi Di questo corpus sono sopravvissuti, oltre a numerosi frammenti (circa 350), i
quattro libri degli epinici, i canti per celebrare le vittorie negli agoni panellenici,
conservati dalla tradizione medievale e suddivisi in relazione ai luoghi delle gare
di cui il poeta celebra la vittoria:
I libro: 14 odi Olimpiche, fanno riferimento ai giochi in onore di Zeus che si
svolgevano ogni quattro anni a Olimpia, nell’Elide.
II libro: 12 odi Pitiche, nel contesto delle gare che si svolgevano a Delfi in
onore di Apollo Pizio, con cadenza quadriennale.
III libro: 11 odi Nemee, che tuttavia, secondo l’ordinamento gerarchico delle
feste, in origine si trovavano alla fine della raccolta degli epinici,
come si deduce anche dalle composizioni estranee che vi furono ag-
gregate; si riferiscono alle gare in onore di Zeus, che si svolgevano
ogni due anni a Nemea, nell’Argolide.
IV libro: 8 odi Istmiche, che nell’edizione alessandrina dovevano essere in
numero superiore a quelle effettivamente superstiti, come mostrano
l’inizio di una nona ode istmica e altri frammenti; sono riferite al con-
testo degli agoni in onore di Poseidone che si svolgevano ogni due
anni a Corinto.
Temi In tutti, comunque, ricorrono alcuni temi tradizionali che creano un reticolo di
e forme ricorrenti riferimenti corrispondenti alle attese dell’uditorio: accenni alla vittoria e al ca-
rattere della gara; elogio del vincitore (valente, liberale, assennato, giusto), della
sua famiglia e della sua città; sottolineatura del ruolo del poeta e del suo rapporto
di amicizia e di ospitalità (φιλία e ξενία) col festeggiato; preghiere e accenni
agli dèi che presiedevano ai singoli agoni o che erano onorati nella patria del
personaggio celebrato; allusioni a leggende locali e a miti relativi alla fonda-
zione delle festività agonali; consigli e ammonimenti a chi ha riportato l’ambito
successo perché conservi la coscienza dei limiti della condizione umana e della
precarietà della sorte; richiamo all’invidia (φθόνος) che insidia la fortuna dei
valenti, e così via.
692 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
I tre cardini Pur nell’ampia gamma di soluzioni compositive, nell’intreccio e nella varietà dei
strutturali del canto temi e delle occasioni, tre sono i cardini attorno ai quali si organizza la struttura
del canto: l’attualità, la riflessione, il mito.
Poeta e coro
V ediamo dunque di visualizzare la performance delle odi pindariche, sia epini-
ci che canti per il culto, muovendo dai dati salienti offerti dai testi.
Frequente è la sottolineatura della presenza di un accompagnamento strumentale,
affidato alla sola lira (strumento a corda), al solo aulo (strumento a fiato) o a un
abbinamento «concertato» di lira e aulo che, secondo la tradizione, sarebbe stato
sperimentato per la prima volta nell’ambito della scuola di Epigono di Ambracia,
vissuto a Sicione nel VI secolo a.C.
694 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
(a destra) Musa che accorda due cithareis. Interno di una coppa attica a
fondo bianco del “Pittore di Esiodo” proveniente da Eretria (470-460 a.C.).
Parigi, Musée du Louvre.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
PINDARO 695
prio essere la «cetra» in uso al tempo di Pindaro. stimoni ritengono Terpandro «inventore» dei canti simposiali).
A un altro strumento a corde, il βάρβιτος, Pindaro allude in un Se la φόρμιγξ, nota fin dai tempi micenei è lo strumento dori-
encomio a Ierone di Siracusa (fr. 124d), con il verbo βαρβι[τί] co per eccellenza, l’αὐλός «il flauto» è lo strumento nazionale
ξαι, in un passo probabilmente di elogio nei confronti di Ter- dei Beoti: le canne di loto beotiche erano particolarmente ri-
pandro di Lesbo (VII secolo a.C.) che del βάρβιτος sarebbe nomate per la fabbricazione dei flauti, specie di quelli di suono
l’inventore. Traendo ispirazione dalla πηκτίς lidia (uno stru- più acuto usati per accompagnare i parteni. Sugli strumenti a
mento a venti corde che si suonava senza plettro, semplice- fiato le testimonianze non sono particolarmente numerose: si
mente pizzicando le corde con le dita), Terpandro avrebbe ri- possono per lo meno citare gli αὐλίσκοι, auli brevi, cui Pinda-
cavato uno strumento dalle corde più lunghe della lira e quindi ro allude nel Partenio II 14 si allude ad auli brevi [αὐλίσκοι],
anche dall’intonazione più bassa, che diventerà strumento pri- mentre in fr. 107b, 2 si fa riferimento a una varietà di aulo
vilegiato del simposio (forse per questo motivo gli antichi te- detto «molosso» su cui modulare un’aria musicale cretese.
Il «modo» (ἁρμονία) Non di rado si ricorda anche il genere di ritmo e di musica scelto per la singola
ode: troviamo l’austero modo «dorico» per l’Olimpica III (cfr. vv. 4-6), il mae-
stoso modo «eolico», già prediletto da Laso di Ermione, per Olimpica I, Pitica
III, Nemea III, il delicato e morbido modo «lidio» per le Olimpiche V e XIV,
quello «locrese» per un carme di genere incerto che ne rievoca l’inventore, Se-
nocrito di Locri (fr. 140b Maehler).
La melodia (νόμος) Al «modo» (individuato dalla gamma musicale o ἁρμονία) si abbina talora una
specifica melodia (νόμος), come quella «equestre» (νόμος ἵππιος) per l’Olimpi-
ca I o quella detta «di Castore» (τὸ Καστόρειον) a cui si fa riferimento in Pitica
II 69.
I coreuti I coreuti che eseguono l’epinicio non costituiscono propriamente un χορός del ti-
po che troviamo per i canti cultuali, ma conservano sempre l’aggancio con quella
forma di corteo giubilante (κῶμος) costituito dagli amici del vincitore che, col
capo cinto di corone, lo scortano in un movimento processionale verso un sacello
o un altare oppure verso la sua casa. Il κῶμος degli epinici è sempre costituito da
elementi maschili, in genere uomini adulti, talora ragazzi.
Se processionale è per natura il movimento del κῶμος, non si possono affatto
escludere evoluzioni circolari di danza, specialmente intorno a un altare, una
volta che il corteo aveva raggiunto la sua meta. La processionalità, d’altra parte,
non è esclusiva degli epinici, ma poteva intervenire anche nei canti cultuali: per
quel che riguarda il culto di Apollo, ad esempio, è attestata l’esistenza del παιὰν
προσοδιακός, «peana processionale» (da uno scolio all’Istmica I), inoltre sicu-
ramente processionale si prospetta il Partenio II, come dimostrano le didascalie
interne (cfr. vv. 66 ss. «Padre di Damena, con passo tranquillo ora guidami nel
cammino»), e più in generale sembra conformarsi all’andamento della marcia
Il coro si autorappresenta
Il coro dei canti epinici offre di sé, all’interno del canto, νέων, Istmica VIII 1 ὦ νέοι e anche Bacchilide VI 9 νεανίαι
la rappresentazione di un corteo (κῶμος) che procede in e XIII 190 μέλπετ᾽, ὦ νέοι.
marcia, accompagnando il vincitore: di qui anche il mo-
dulo di preghiera, per cui il κῶμος invoca la divinità per-
ché voglia «accoglierlo» presso di sé: cfr. Olimpica IV 9
Οὐλυμπιονίκαν δέξαι Χαρίτων θ᾽ ἕκατι τόνδε κῶμον
«(O Zeus), in virtù delle Cariti accogli questo corteo olim-
pico»), Olimpica VIII 9 s. ἀλλ᾽ ὦ Πίσας εὔδενδρον ἐπ᾽
Ἀλφεῷ ἄλσος,/ τόνδε κῶμον καὶ στεφανοφορίαν
δέξαι «Tu ora, bosco bello di alberi di Pisa presso l’Alfeo,
accogli questo corteo e la processione di serti», Olimpica
XIV 16 ἰδοῖσα τόνδε κῶμον ἐπ᾽ εὐμενεῖ τύχᾳ κοῦφα
βιβῶντα «(ascolta, o Talia,) guardando questo corteo che
per sorte propizia avanza a passo leggero») (T2) ecc. Che
si tratti di elementi maschili, spesso giovani, è confermato,
ad esempio, in Pitica V 103 νέων, Nemea III 5 νεανίων e 66
PINDARO 697
il modulo che viene definito dell’adventus, per cui l’«io» dichiara di «essere
venuto» presso il vincitore o presso un luogo sacro e che troviamo, oltre che in
epinici, anche in canti di culto.
Il poeta «regista»… Nei confronti del κῶμος dell’epinicio così come del χορός cultuale, il ruolo
del poeta si configura come quello tradizionale del «maestro» o «istruttore»
(διδάσκαλος / χοροδιδάσκαλος), ma egli può occasionalmente venir meno a
questa funzione inviando il proprio carme anziché recarsi personalmente sul po-
sto ad istruire i coreuti: in tal caso deve servirsi di un latore del messaggio po-
etico (del resto, abbiamo già visto anche in ambito monodico che alcune odi di
Alceo si proponevano come «epistole poetiche»).
… o mittente Sarà allora questo latore a fungere da διδάσκαλος, come è il caso del Nicasippo
di carmi «affidati» nominato nella chiusa della Istmica II, vv. 47 s.:
Distribuisci queste mie parole, o Nicasippo, quando
giungerai presso il mio ospite onorato.
Parole chiav e
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Il modulo dell’adventus
C.O. Pavese ha definito “modulo dell’adventus” quel XIV 17 s. Ἀσώπιχον … ἀείδων ἔμολον «sono venu-
procedimento che si riscontra nella poesia corale quan- to a cantare Asopico». Il modulo dell’adventus non è
do l’«io» esplicita la movenza lineare della processione estraneo neanche ai canti cultuali, particolarmente a
con espressioni del tipo «ἔμολον» o «κατέβαν», «so- quelli in onore di Apollo e di Dioniso, come Peana VI 14
no giunto». Negli epinici si vedano ad esempio Olim- ss. κατέβαν ... ἄλσος Ἀ-/πόλλωνος «sono venuto al
pica VII 13 s. σὺν Διαγόρᾳ κατέβαν, τὰν ποντίαν bosco di Apollo» e fr. 75, 10 ss. Maehler τὸν Βρόμιον
ὑμνέων παῖδ᾽ Ἀφροδίτας «insieme con Diagora sono ... μελπόμενος ... ἔμολον «sono venuto a cantare Bro-
venuto a cantare la figlia marina di Afrodite»; Olimpica mio».
698 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
E Pausania (IX 16, 1) ricorda che Pindaro «inviò» (ἀπέπεμπε) un inno per Am-
mone al santuario del dio nell’oasi di Siwa (analogamente, in Bacchilide, ap-
partengono a questa categoria definita dagli scoliasti pindarici come del μέλος
ἀποστολικόν l’epinicio V e i frammenti di carmi conviviali per il principe ma-
cedone Alessandro figlio di Aminta, e per Ierone.
Regia e immaginazione
La trasformazione
poetica dei dati
oggettivi
I dati oggettivi (“pragmatici”) della performance vengono tuttavia riplasmati
dal poeta, una volta che siano stati richiamati all’interno dell’ode. I modi e
le prospettive non intendono delineare una fotografia dell’evento reale, quanto
invece, come in parte abbiamo già osservato nel caso di Alcmane, creare una
composita fantasmagoria in cui i referenti oggettivi divengono parte di un tessuto
artistico. Questa creazione giustappone o rovescia le scansioni della festa, fonde
l’immaginario col vissuto, alterna l’evocazione con la δεῖξις (cioè – secondo la
definizione di W. Rösler – con l’«indicazione», l’ostentatio ad oculos di ciò che
è fisicamente presente all’uditorio).
La poetica
Poetica e poesia
S e assai frequenti sono i riferimenti di Pindaro al proprio mestiere di poeta, è
immetodico estrapolarli dai loro contesti per costruire un identikit dell’esteti-
ca pindarica: le dichiarazioni di poetica non sono tessere disperse di un mosaico
che contenga gli articoli di un manifesto programmatico. Per quanto tali affer-
Parole chiav e
Beoti e la «scrofa beotica»
Come riferisce Plutarco nel trattato De esu carnium motivazione di questa espressione di scherno è con ogni
(995e), gli Ateniesi erano soliti deridere i Beoti con probabilità connessa con l’etnia dei più antichi abitatori
questo appellativo, considerandoli «grassi, ottusi e in- della Beozia, gli Hyantes, il cui nome veniva etimologi-
genui soprattutto a causa della loro ghiottoneria». La camente ricondotto a ὗς, «scrofa».
PINDARO 701
mazioni possano riflettere personali e meditate opinioni sul ruolo del canto, sui
rapporti fra il cantore professionista e il committente, sulla tradizione letteraria
anteriore, sul repertorio tematico dell’epinicio e così via, rappresentano innanzi
tutto elementi integranti del discorso poetico, in una congiunzione indissolubile
di poetica e poesia. Così, ad esempio, le immagini agonistiche relative all’«io»
poetico come auriga o come arciere o come lottatore hanno il compito di ac-
costare la figura del poeta a quella del vincitore, ribadendo una solidarietà già
espressa nel vincolo di «ospitalità» e di «amicizia», mentre la non meno frequen-
te configurazione dell’ode come una bevanda canora (cfr. ad es. Olimpica VII 1
ss., Nemea III 76 ss., Istmica VI 1-9), pur suscettibile di proporsi come un topos
convenzionale, rimanda a quel rapporto conviviale che il poeta intrattiene col suo
ospite e che talora viene esplicitamente sottolineato, come nel quadro dei poeti
riuniti intorno alla «mensa ospitale» di Ierone di Olimpica I 16 s.
Immagini A sua volta l’identificazione del canto come un viaggio per mare e del poeta
e forme del canto come un nocchiero offre all’«io» lirico il destro per marcare, anche con formule
di interruzione o apostrofi a se stesso, le stazioni del proprio percorso o, in un
caso, diventa il pretesto per contrapporre la mobilità della parola alla staticità dei
prodotti di altri professionisti dell’arte (Nemea V 1-5):
scultore non sono, da fare statue sulla base erette
e per eterno chete.
Sul primo cargo
o in barca snella, dolce canto, va’
da Egina, divulga
che Pitea il forte, figlio di Lampone,
vinceva il serto del pancrazio a Nemea.
[Tr. di F.M. Pontani]
Certo, emergono alcune note predilette: la natura proteiforme del canto, quell’ar-
te della variazione inesauribile o ποικιλία (un monito, anche, per chi ricerchi
meccaniche soluzioni al problema dell’unità) che fa assimilare il canto stesso,
oltre che a una bevanda, al miele, alle ghirlande, alla voce del vento, alle frecce,
Bersagli polemici Di qui, da parte di Pindaro, un’esaltazione di sé e una serie di gesti polemici
e ideali poetici difficilmente riducibili, secondo la prassi degli antichi commentatori, a personali
polemiche coi due poeti di Ceo.
In particolare, il duale γαρύετον riferito a κόρακες («corvi») nell’Olimpica II
probabilmente non designa due corvi determinati sotto cui si celerebbero Simo-
nide e Bacchilide, bensì una generica «coppia di corvi», secondo un abito corren-
te per cui corvi e cornacchie sono immaginati in coppia (vv. 83-88):
Molti veloci
dardi sotto il mio braccio
ho dentro la faretra, voci
chiare a chi intende, e in tutto esigono
interpreti. Saggio è chi molto sa
di natura, gli addottrinati gracchiano
a vuoto ciarle sfrontate: un paio di corvi
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Il mito
A d eccezione di pochi carmi (Olimpiche XI, XII e XIV e la Pitica VII), al
centro dell’ode è un episodio mitico, ispirato da elementi legati all’occasione
festiva, come il luogo della vittoria, o a circostanze biografiche del vincitore, del-
la sua famiglia o della sua città, ed esso viene presentato in forma di paradigma
eroico dei valori e delle aspirazioni dell’aristocrazia coeva.
La funzione di filtro Nel mondo del mito l’«io» narrante si inoltra con la coscienza del proprio ruo-
dell’io narrante lo di «timoniere» o «auriga» di un viaggio che egli può avviare, interrompere,
concludere secondo criteri di opportunità (καιρός) stabiliti di volta in volta in
sintonia con le attese del suo uditorio. Mira, infatti, a quella giusta dose di infor-
mazioni che sia in grado di suscitare nostalgia delle antiche gesta senza procu-
rare la sazietà (κόρος) che consegue alla ridondanza o alla prolissità. Insomma
una specie di etica narrativa parallela allo scrupolo per cui il poeta si astiene
dichiaratamente da tratti indecorosi o potenzialmente empi delle antiche storie,
che potrebbero gettare infamia su un eroe o una divinità. È il caso dell’Olimpi-
ca I, dove rigetta (vv. 46 ss.) la versione secondo la quale Tantalo, re di Sipilo,
per verificare l’onniscienza degli dèi, da lui invitati a banchetto, avrebbe loro
imbandito le carni del proprio figlioletto Pelope, o della Nemea V, dove il dato
infamante dell’uccisione di Foco da parte dei fratellastri non viene contestato,
ma deliberatamente taciuto (vv. 14, 16-18):
Ho ritegno di dire
cosa grave, rischiata contro il giusto,
…
non ogni chiara verità guadagna
se mostra il viso,
e il silenzio sovente
è la più saggia idea.
[Tr. di F.M. Pontani]
T1 Come emblema del procedere narrativo di Pindaro può essere assunto il caso di
quella Olimpica VI (di cui abbiamo già richiamato due passi), dove il mito tocca
dell’origine della famiglia sacerdotale degli Iamidi, a cui apparteneva il vincitore
Egesia di Stinfalo (vedi antologia).
L’intervento Dal confronto fra due luoghi del Peana VI e della Nemea VII, entrambi dedicati
pindarico alla visita di Neottolemo a Delfi dopo il suo ritorno da Troia, possiamo riscon-
nel Peana VI…
trare con particolare evidenza la libertà con cui il lirico corale, non meno del
704 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
rapsodo e del citarodo, modella il taglio narrativo di volta in volta prescelto a
seconda del contesto entro il quale il canto avrebbe dovuto essere eseguito: que-
sto si osserva non solo nella selezione di una variante piuttosto che di un’altra
dello stesso mito, ma nella diversa enfasi assegnata ai singoli momenti di una
medesima narrazione.
Iniziamo l’esame col più antico (e presumibilmente giovanile) Peana VI, com-
posto su committenza dei cittadini di Delfi e destinato ad essere eseguito presso il
santuario di Apollo nell’ambito di una «teossenia» (un banchetto sacro offerto al
dio) in memoria della sua funzione di risanatore da pestilenze e carestie. La nar-
razione pone in primo piano l’empietà del figlio di Achille che, dopo aver ucciso
il vecchio Priamo rifugiatosi sull’altare domestico, viene giustamente punito da
Apollo con la morte allorché, venuto a Delfi, entra in contrasto coi sacerdoti del
luogo (vv. 105-120):
105 ... ma non più la cara madre
vide né, fra i paterni campi,
i cavalli dei Mirmidoni,
incitando la schiera dal cimiero di bronzo.
Presso il Tomaro, alla terra molossia (scil. l’Epiro)
110 arrivò ma non sfuggiva né ai venti
né al dio lungisaettante dall’ampia faretra (Apollo)
ché il dio giurò
che colui che il vecchio Priamo,
balzato sull’altare domestico,
115 trucidato aveva né lieto alla sua casa
sarebbe tornato né alla vecchiaia della vita
sarebbe giunto. Lui coi servi
a lite venuto per gli infiniti
onori il dio lo uccise nel suo
120 recinto, presso il vasto ombelico del mondo.
Resta vaga nel racconto la motivazione della lite che scoppia fra Neottolemo
e i ministri del santuario. Non è chiaro se gli «infiniti onori» alludano alle
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
carni delle vittime da distribuire dopo il sacrificio o ai tesori del tempio, tan-
to che – secondo un’antica tradizione – gli Egineti avrebbero rimproverato a
Pindaro di aver offeso la memoria di Neottolemo, uno dei loro maggiori eroi
locali. Egli avrebbe infatti alluso alla versione (di cui è traccia nell’Andromaca
e nell’Oreste di Euripide) secondo la quale egli si sarebbe recato al santuario
di Apollo per chiedere al dio un risarcimento per la morte del padre Achille,
ucciso proprio da Apollo che aveva assunto le sembianze di Paride (come è
ricordato ai vv. 79 s. dello stesso Peana VI); e Pindaro, nella Nemea VII, si
sarebbe difeso da questa accusa precisando di aver voluto intendere, anche nel
peana, che la rissa col clero delfico era stata provocata dalla spartizione delle
carni sacrificali.
Per alcuni questo dibattito fra il poeta e gli Egineti riposerebbe su qualche fonda-
autoschediasma mento reale; per altri, invece, costituirebbe solo un’invenzione erudita, un «au-
toschediasma», escogitata per dare un fondo biografico al tono apologetico mani-
PINDARO 705
festato da Pindaro ai vv. 102-104 della Nemea VII: «Mai il mio cuore ammetterà/
di aver dilaniato Neottolemo con inflessibili/ parole».
In ogni caso è evidente che in questo epinicio, composto per un vincitore egineta
(il giovane Sogene) forse a breve distanza dal Peana VI, la stessa vicenda è ri-
evocata ai vv. 34-47 con segno preciso e puntuale motivazione (una rissa per le
carni). A gloria del figlio di Achille e degli Eacidi egineti, questa rissa viene poi
prospettata come aition del culto di cui era oggetto Neottolemo a Delfi proprio
come nume tutelare di una giusta distribuzione delle carni sacrificali in occasione
delle ecatombi per gli eroi, nell’ambito di una teossenia in cui Apollo li invitava
a banchetto presso di sé:
... E giace
entro le zolle pitiche Neottòlemo,
35 poi che distrusse la città di Priamo
che fu travaglio ai Greci.
Salpò, fallì l’approdo a Sciro, giunse
a Efira coi suoi, che si sviarono.
Uomini e dèi
La preservazione
degli ideali nobiliari A bbiamo già accennato ad alcuni valori essenziali di quel sistema mentale che
pervade gli epinici pindarici e che veniva incontro alle aspirazioni o alle
velleità dei principeschi committenti del poeta: un’aura tesa alla preservazione
degli ideali nobiliari e alla salvaguardia di una εὐνομία che altro non significava
se non la cristallizzazione delle strutture politiche e sociali esistenti contro i ri-
schi della stasis e del cambiamento. Così nel preludio della tarda Pitica VIII (del
446) viene invocata Ἡσυχία, personificazione della quiete sociale, come colei
che fa grandi le città e «tiene le chiavi dei consigli e delle guerre», mentre in un
706 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
iporchema iporchema per i Tebani il poeta esorta i concittadini (fr. 109 Maehler) a fondare
il bene pubblico sulla tranquillità (ἐν εὐδίᾳ) estirpando dall’animo la «discordia
colma di rancori (στάσιν ... ἐπίκοπον), prodiga di povertà, malvagia nutrice di
giovani».
Elementi E tuttavia, pur nell’ambito di un idoleggiamento fuori dal tempo di quello che J.
di dissonanza Burckhardt ha definito l’«uomo agonale», affiorano, nella delineazione del rap-
porto fra uomini e dèi (ed eroi), sollecitudini e notazioni non dissonanti ma nondi-
meno eccentriche rispetto alle ambizioni di un cosmo armoniosamente ordinato.
Certo, gli dèi garantiscono l’ordine della città, Apollo è il grande nume civilizza-
tore che ha trasmesso agli uomini le arti della medicina, della musica, della pro-
fezia e non meno civilizzatore appare Eracle, l’ἥρως θεός che (Nemea III 22-26)
... domò
fiere immani nel pelago
e solitario investigò maree
di lagune,
25 calando al punto della svolta, e «terra,
terra» svelava.
[Tr. di F.M. Pontani]
Eracle, super- Ma le imprese dello stesso Eracle (un super-policeman dell’universo, secondo la
policeman pungente definizione di E.G. Turner) sono documento di un νόμος βασιλεύς (fr.
oltre la legge
169a Maehler), di una «legge sovrana» di uomini e dèi, che opera tramite la vio-
lenza. Eracle infatti viola le norme tradizionali della convivenza umana sia nel
caso del furto delle vacche di Gerione e dell’uccisione di costui (ne abbiamo visto
la versione stesicorea) sia in occasione del rapimento delle cavalle antropofaghe
di Diomede figlio di Enialio e re dei Bistoni: un episodio nel cui ambito Eracle
non solo sopprime l’innocente guardiano delle cavalle ma affronta un avversario
di cui Pindaro riconosce apertamente che lottava «non per insaziabilità ma secon-
do virtù» (v. 15 οὐ κό]ρῳ ἀλλ᾽ ἀρετᾷ) a difesa dei propri beni. Neppure Eracle
combatte per brama di possesso – esegue gli ordini di Euristeo, a cui è costretto a
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
obbedire per volontà divina –, ma in ogni caso la violenza che egli mette in atto è
un comportamento che ha bisogno di essere «giustificato» da una norma superiore
agli stessi dèi: essa infatti (vv. 3 s.) ἄγει δικαιῶν τὸ βιαιότατον/ ὑπερτάτα χερί
(«guida, giustificandola, anche l’azione più violenta/ con mano suprema»).
…e quella umana Un movimento proemiale del tutto simile al movimento clausolare della Pitica
VIII, dove il tema già archilocheo – e più razionalisticamente riproposto da Simo-
nide – della precarietà della condizione umana in quanto soggetta, esternamente
e internamente, ai multiformi cambiamenti della sorte, si fissa nell’immagine
dell’uomo come «sogno di un’ombra» (una sorta di vanificazione di secondo
grado) che può essere riscattato solo da una luce inviata dagli dèi (vv. 95-97):
Effimeri! Che cos’è qualcuno? Che cos’è nessuno? Sogno di un’ombra
l’uomo. Ma quando splendore divino discende,
fulgida luce arride agli umani e dolce esistenza.
La molla del tempo Sia pure episodicamente, del resto, non è solo una dolente meditazione sull’uo-
e della storia mo ma un perplesso ripiegamento di fronte alla storia e agli errori commessi nel
reagire ai suoi eventi che incrina la serenità del messaggio pindarico, come in
quella Istmica VIII che, composta all’indomani della vittoriosa resistenza anti-
persiana, riecheggia il senso di colpa dell’aristocratico tebano che aveva visto la
sua città assediata dal generale spartano Pausania con la richiesta di consegna-
Predilezioni espressive
Il dispiegarsi
dello stile pindarico N on è impossibile, ed è stato fatto nel 1921 da F. Dornseiff nel suo pregevole
Pindars Stil, anatomizzare la dizione pindarica nel suo lessico, nella sua
sintassi, nelle sue metafore. Molto più problematico risulta cogliere il dispiegarsi
di questi procedimenti nel tessuto variopinto della singola ode e del singolo con-
testo: seguire il poeta nello svolgere un’immagine da un’altra e nell’interazione
insistita fra il tenore argomentativo e il livello metaforico, nel trapasso a volte
brusco a volte puntigliosamente marcato (dominano le espansioni relative) fra i
singoli temi ed episodi, nelle anticipazioni e nei ritorni all’indietro, negli stacchi
di tono fra il grandioso e il proverbiale, fra la salita vertiginosa e l’arresto im-
provviso, fra la schermaglia polemica e l’apertura cordiale.
Immagini, nessi Costanti e variabili di cui almeno un presentimento può essere offerto da questa
peregrini o cerebrali? pertinente esemplificazione di F.M. Pontani: «Il concepire pindarico è caratte-
rizzato dalla concretezza icastica: essa è già evidente nell’aggettivazione. Può
accadere di notare, come in Bacchilide, una certa esuberanza non necessitata o
una ricercatezza che distrae (l’«intonso» Febo di Pitica III 20 = Istmica I 8); ma
l’aspetto convenzionale è per lo più riscattato da un’aggiunta visiva o uditiva
dell’epiteto al sostantivo, e gli arricchimenti e illuminazioni di suggestività si
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
presentano quasi a ogni passo: Semele «con la sua cesarie lunga», Olimpica II
39; la gloria «morbida», Olimpica V 15 = Istmica I 69; il vitto «vuoto», Olimpica
II 97, e così all’infinito.
Sorprendente è la capacità di portare su un piano d’immagini concrete e corpose
l’astratto o l’imponderabile: l’inno s’avvolge attorno alle menti (Olimpica I 10),
gli errori pendono attorno all’anima (Olimpica VII 36), la fama nel letto dorme e
svegliata rifulge (Istmica IV 32 sg.), l’invidia scaglia una pietra dura (Olimpica
VIII 71), il cuore tira per mano indietro (Nemea XI 52); e ancora: i «flussi di pru-
denza» (Nemea XI 74), le canzoni con la faccia argentata (Istmica II 14).
L’efficacia La parola più efficace è spesso sostituita alla più banale e attesa. Pronte insidie,
della singola parola il barocchismo e l’ermetismo insieme. Esempi del primo: la pioggia, l’impietoso
stuolo avventizio di mugghiante nube (Pitica VI 10 sg.) o il vincitore che cade
sulle ginocchia dell’aurea Nice (Istmica II 39 sg.).
PINDARO 709
Quanto all’ermetismo, pur escludendo nel poeta ogni intento di creare una poesia
iniziatica da trobar clus, non ci si può sottrarre talora all’impressione d’un cere-
Ermetismo o vette
dell’arte?
trobar clus bralismo volontaristico: le designazioni di Siracusa come «rifiato d’Alfeo» ecc.,
in Nemea I 1 sgg., finiscono col perdere il loro valore icastico per i sottintesi che
vi si addensano. D’altra parte taluni “ardiri” dovuti alla contrazione e alla den-
sità dell’immagine vanno considerati, anzi che limiti, vette dell’arte pindarica.
Accanto a un’essenzialità ottenuta coi mezzi più semplici, c’è un librarsi della
parola (anche una sola) e della frase a un’assoluta purezza che si congiunge alla
densità suggestiva».
Peani destinati L’apporto dei papiri rende talora significativi, specialmente in relazione ai peani,
a più vasto pubblico i resti di quei canti legati al culto degli dèi e degli eroi che Pindaro era solito
comporre per committenza di una polis o di un genos per conto della comunità in
cui tale genos era inserito. Data la loro funzione, tali composizioni comportavano
uno scenario pubblico e un uditorio che nel caso di feste come quelle celebrate a
Delo e a Delfi in onore di Apollo potevano raggiungere una dimensione panel-
lenica.
Di qui deriva, generalmente, una dizione meno aspra e compressa, soprattutto
nello sviluppo delle sequenze mitico-narrative, e una frequente sottolineatura
delle scansioni rituali della cerimonia.
Thrênoi e σκόλια Frammenti significativi abbiamo anche dei canti corali intonati in onore di defunti
(thrênoi) e di quelli monodici destinati all’intrattenimento simposiale (σκόλια),
Inno a Zeus Fra gli Inni abbiamo resti importanti soprattutto di un grande inno a Zeus per i
Tebani (frr. 29-35c). Dopo un preambolo in cui l’«io» si chiede chi fra una selva
di figure legate a Tebe egli debba invocare (il modulo compare anche al principio
dell’Istmica VII) si rievocavano le nozze di Cadmo e Armonia, nel contesto delle
quali le Muse avevano celebrato l’unione di Zeus con Temi e lo splendore delle
opere realizzate dal dio supremo. Forse entro la stessa rievocazione delle Muse
compariva un’apostrofe a Delo in quanto sede della nascita di Apollo e di Arte-
710 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
mide, e il modo con cui l’isola appare invocata nel fr. 33c Maehler sottolineava
la concordia e la specularità fra mondo umano e mondo divino:
Salve, o fondata dagli dèi, per i figli di Leto
dai riccioli lucenti il più amoroso virgulto,
figlia del mare, del vasto mondo
immobile prodigio, tu che i mortali
5 chiamano Delo e i beati sull’Olimpo
astro che appare da lungi della terra scura...
Peana I Nel Peana I per i Tebani, l’annuncio del ritorno del giorno della festa e la pre-
ghiera al dio perché gratifichi la gente in festa, offrendo i fiori di una moderata
εὐνομία, sono preceduti da un invito collettivo affinché (vv. 1-3)
prima di giungere alla soglia dolorosa di vecchiezza
ombreggi ognuno di letizia,
con moderazione, un animo scevro da rancori...
Letizia festiva e armonia civile sono viste come manifestazioni di una medesima
condizione positiva che consente e incoraggia l’epifania divina.
Peana VI Il Peana VI, per i Delfî, è fra i meglio conservati: l’«io» – che qui, a differenza
che nel Peana II e nel Peana IV, si identifica col poeta – dichiara di aver udite
orfane di danze e di canti le acque della Castalia (la fonte che sgorgava non lungi
dall’inizio della Via Sacra) e di essere venuto a soccorrere con la sua arte Pito
(l’antico nome di Delfi) e i suoi cittadini. Segue un’ampia lacuna, dopo la quale
troviamo un’invocazione alle Muse perché rammemorino al poeta l’origine delle
Teossenie, la festa a cui gli dèi partecipavano come convitati: un’origine che
risaliva al tempo in cui tutta la Grecia era stata colpita da una grave carestia,
superata grazie all’iniziativa dei Delfî, che su consiglio della Pizia avevano sup-
plicato Eaco, figlio di Zeus e della ninfa Egina, di intercedere presso il padre. Di
qui, attraverso una transizione in gran parte inghiottita dalle lacune, si passa alla
funzione svolta da Apollo nella guerra troiana e all’uccisione di Neottolemo a
Delfi da parte dei sacerdoti del dio, con una versione non diversa ma diversamen-
te articolata rispetto a quella che Pindaro avrebbe offerto nella Nemea VII (v. p.
000). Poi, nella terza strofe, si apre all’improvviso un caldo elogio di Egina e del-
la sua potenza marittima, donde si passa alla rievocazione dell’unione fra Zeus e
la ninfa eponima (figlia di Asopo) e quindi alla figura di Eaco (nato appunto da
Zeus e da Egina) e alle virtù degli Eacidi. L’ode si conclude – in un movimento
molto significativo per l’inserimento della figura del poeta entro il contesto fun-
zionale del peana come canto della salute (ὑγίεια) – con un’invocazione agli dèi
perché adombrino di corone di florida salute la gente in festa e con un’esortazio-
ne al dio Peana perché «accolga» spesso anche in futuro il poeta:
175 ... e [dire]
le infinite virtù degli Eacidi fragorosi
Peana VII Il Peana VII, anch’esso di carattere processionale, fu eseguito per i Tebani in
occasione di una cerimonia in onore di Apollo presso il seggio oracolare beotico
dello Ptoion, collocato su una terrazza naturale sormontata da una vetta tricuspi-
de: il movimento di avvicinamento allo spiazzo antistante il penetrale del dio è
descritto nell’attacco secondo il modulo dell’adventus che già conosciamo dagli
epinici (vv. 1-4):
Al penetrale del dio, veridico
datore di arcani responsi,
[eccomi giunto] e alla splendida corte
di Melia [figlia] di Oceano....
Peana VIIb Il Peana VIIb, per la πανήγυρις di Delo, era dedicato al tema dell’unione di
Zeus con Latona e contiene uno dei brani più suggestivi, ma purtroppo lacu-
noso, della poetica pindarica, che sarà ripreso da Callimaco nel prologo degli
Aitia. Vi si paragona la poesia epigonale di chi ripete senza originalità le storie
dell’epica a un percorso lungo la «molto battuta carreggiata di Omero» (v. 11
Ὁμήρου [πολύτρι]π̣τον κατ᾽ ἀμαξιτόν): ma non è nell’imitazione degli altri
poeti, quanto piuttosto nel rinnovarsi di un contatto con le Muse che il vero poeta
può sottrarsi alla “cecità” della condizione umana (vv. 18-20):
Cieche sono le menti degli uomini,
se uno senza le Muse d’Elicona
cerca [...] la via profonda della sapienza.
Peana VIII Il Peana VIII, aperto da un’allocuzione ai «profeti gloriosi di Apollo», ripercorre
la storia dei templi succedutisi sul luogo del santuario delfico, dal primo costruito
con rami d’alloro portati da Tempe fino almeno al quarto, edificato da Trofonio
e Agamede: ciò che ci è rimasto riguarda quasi esclusivamente il terzo tempio,
edificato in bronzo ma con figure femminili in oro appese al suo fastigio: si tratta
delle Κηληδόνες, le «Fascinatrici», che sul modello delle Sirene facevano di-
menticare ai pellegrini, con la magia del canto, la via del ritorno.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Peana IX Il Peana IX, per una supplica (λιτανεύω al v. 38) dei Tebani presso il santuario
dell’Ismenio in occasione di un’eclissi di sole del 463 (o del 478), si apre con la
sbigottita invocazione alla luce del sole (che sarà riecheggiata da Sofocle nell’at-
tacco della parodo dell’Antigone) e prosegue con una serie di smarrite domande
su imminenti cataclismi naturali, ma si rasserena nella rievocazione della nascita
del profeta Tenero dall’unione di Apollo con la ninfa Melia.
Ditirambi Fra i Ditirambi spicca il II, che rappresenta «una celebrazione dionisiaca della
quale sono protagonisti gli dèi stessi, paradigma e riflesso di quella terrena (le
Agrionie tebane) alla quale il canto era destinato. Il raccordo fra il proemio e la
sezione narrativa è costituito da un richiamo alla funzione del poeta come inter-
prete delle Muse (vv. 23 ss.): il canto del poeta è il punto in cui passato e presen-
te, piano mitico-divino e piano umano convergono, poiché nel canto si realizza
PINDARO 713
la compiuta fusione fra la realtà attuale della festa che si celebra nel mondo degli
uomini e l’avvenimento divino che ne costituisce il fondamento e il modello»
(R. Sevieri).
Interessante anche il fr. 75 Maehler, dove si invocano le divinità olimpie perché
si rechino alla piazza ateniese dove sorgeva il loro altare comune. Nel Ditirambo
III, e verosimilmente nel fr. 78 Maehler, ricorreva il motivo della cessazione di
guerre e contese.
Diversamente che in Bacchilide, dove il ditirambo ha ormai assunto un anda-
mento esclusivamente narrativo, in Pindaro sono frequenti i richiami alla festa e
al suo contesto religioso, al ruolo che il poeta e il coro assumono al suo interno,
talora anche al luogo in cui l’esecuzione si svolge.
Partenî: il II Mentre scarsissimi sono i resti dei Prosodî, un ritrovamento papiraceo (P. Oxy.
659) ci ha restituito qualcosa del libro dei Partenî, di cui, in particolare, è conser-
vato ampio tratto del Partenio II (fr. 94b Maehler). Il carme prende occasione da
una processione di ragazze che ogni otto anni muoveva verso il vicino santuario
tebano dell’Ismenio recando ad Apollo rami d’alloro in segno di supplica. Come
dafneforia apprendiamo da testimoni antichi, questa dafneforia era guidata da un fanciullo
che avesse entrambi i genitori in vita; seguiva il parente a lui più prossimo, che
reggeva un pesante ramo d’ulivo coronato di rami d’alloro e altri ornamenti,
detto κοπώ. Dietro veniva poi il dafneforo, che impugnava a sua volta un ramo
d’alloro, e infine il coro delle vergini.
Dopo aver invocato l’epifania di Apollo, il canto pindarico dichiara l’intento
di celebrare la famiglia di Eolada e di suo figlio Pagonda, il quale a sua volta
sta accompagnando il figlio adolescente Agasicle (che nell’occasione rive-
ste con ogni probabilità la funzione di dafneforo). L’avvio del movimento
processionale è collocato nella parte centrale del carme, al quinto (o sesto)
sistema strofico, con l’invito ad aprire la processione rivolto al «padre di
Damena», ossia a Pagonda, padre al contempo di Agasicle e di Damena, la
fanciulla che riveste il ruolo di corega. Viene ricordata anche Andesistrota, la
maestra (a meno che non si tratti del nome della madre) che addestrò Damena
È interessante rilevare nel carme che, pur nell’ambito di una festa pubblica che
coinvolgeva l’intera comunità tebana, Pindaro concentra l’encomio sulle impre-
se agonali e civili di un singolo gruppo familiare. Si tratta di quello degli ari-
stocratici committenti, al quale il poeta fa pervenire anche il proprio augurio di
ricevere in futuro nuove committenze attraverso una dichiarazione di poetica
714 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
(vv. 76-78) che sarà riformulata in termini analoghi da Callimaco nella chiusa
del suo Inno ad Apollo:
ora che voi due [avete attinto] nettare alla mia fonte,
quando avrete sete non presso [acqua] salmastra
andate...
Iporchemi Nell’ambito degli sparuti resti degli Iporchemi sono da rilevare il largo uso di
cretici, secondo una prassi che doveva essere caratteristica del genere e, nel fr.
107ab Maehler (ma l’attribuzione a Pindaro non è certa), il forte richiamo mime-
tico ai movimenti di danza eseguiti dai coreuti (vv. 1-3): «Nelle tue evoluzioni
imita col piede che in gara si slancia cavallo pelasgo o cagna di Amicla...».
Encomî I resti degli Encomî, titolo sotto cui vennero inclusi dagli alessandrini i carmi
conviviali (σκόλια), da un lato comprendono alcuni componimenti, come il fr.
123 Maehler (per Teosseno di Tenedo) e il fr. 124ab Maehler (per Trasibulo di
Agrigento), che si inseriscono nella tradizione della lirica omoerotica arcaica
(intensa, nel fr. 123 Maehler, la descrizione dell’effetto prodotto dai «raggi» che
emanano dallo sguardo di Teosseno); dall’altro presentano un brano stravagante,
qual è il fr. 122 Maehler, composto per accompagnare l’offerta, da parte di Seno-
fonte di Corinto, di un gruppo di prostitute sacre al tempio di Afrodite: Pindaro
assolve il compito con un tocco umoristico di finto imbarazzo allorché si chiede
«che cosa diranno di lui» i «signori dell’Istmo» vedendolo «scoprire un tal prin-
cipio di dolce carme conviviale per pubbliche donne».
Thrênoi Infine i thrênoi contengono, nel fr. 129 Maehler, quella rievocazione della vita
dei beati nell’al di là che abbiamo già citato insieme con l’analogo brano della
Olimpica II, mentre nel fr. 133
Maehler (citato nel paragrafo
sull’orfismo del capitolo IX,
«La sapienza dei Presocratici»)
troviamo, con l’allusione al mito
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Bacchilide
La vita
B acchilide (Βακχυλίδης), figlio di Midone (o Midilo) e di una sorella di Simo-
nide, nacque a Iulide nell’isola di Ceo verso il 517 a.C. La tradizione antica
testimonia di suoi soggiorni in varie città e presso le corti dei più importanti si-
gnori del tempo: in Tessaglia (dove forse si recò intorno al 495), in Macedonia
(dove appare già noto prima del 490 con un carme simposiale in onore di Ales-
sandro figlio di Aminta), ad Atene, a Egina e soprattutto presso Ierone a Siracu-
sa, all’incirca fra il 475 e il 468, dove fu in diretta competizione con Pindaro. Se-
condo Plutarco (De exilio 14, 605c) dovette subire, per motivi a noi sconosciuti,
l’esilio, circostanza che sembrerebbe confermata dal fatto che nel 468 gli abitanti
di Ceo commissionarono a Pindaro e non al poeta loro concittadino Bacchilide
il compito di comporre un peana destinato al santuario di Delo. Riprese comun-
que a comporre odi per i successi dei concittadini, fra cui le ultime sicuramente
databili sono gli epinici VI e VII, entrambi per Lacone, vincitore nello stadio ad
Olimpia nel 452. Dopo questa data si perdono le sue tracce.
I ritrovamenti L’acquisizione più importante risale al 1896: da due rotoli, trovati in una tomba
Una possibile Delle composizioni bacchilidee ora note alcune sono collocabili cronologica-
sistemazione mente con una certa sicurezza: l’epinicio XIII, composto per la vittoria nemea
cronologica
nel pancrazio dell’egineta Pitea (per il quale Pindaro compose la Nemea V), è da
porre verso il 485; gli epinici dedicati a Ierone celebrano rispettivamente: il V la
sua vittoria olimpica col cavallo montato nel 476 (che Pindaro cantò nell’Olimpi-
ca I), inviato da Ceo al tiranno dal poeta; il IV la vittoria pitica, forse nella corsa
delle quadrighe nel 470 (per cui Pindaro scrisse la Pitica I); il III quella olimpica
per lo stesso tipo di gara nel 468. L’encomio dedicato al medesimo Ierone (fr.
20C Snell-Maehler) è da porre intorno al 470.
Gli epinici
La struttura
G li epinici presentano una struttura analoga a quelli pindarici – con al centro
narrazioni mitiche spesso ampie, i cui nessi con l’occasione dell’ode non
appaiono sempre facilmente rintracciabili – ma con un rilievo assai più ridotto
assegnato all’occasione festiva e ai modi della performance. E il mito stesso ces-
sa di proporsi come autorevole paradigma di valori e si fa occasione di incursioni
nel meraviglioso o nel patetico, vestiti entrambi dei colori di un’immaginazione
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Patetismo e magia Così in una delle odi più vivacemente animate da elementi soggettivi, l’epini-
nell’Epinicio V cio V, il racconto vive del singolare intreccio fra patetismo e magia insito nel-
la vicenda che il suo stesso protagonista, Meleagro, narra a Eracle incontrato
T1 nell’Ade (dove questi era sceso per catturare il cane Cerbero).
Lo stile La narrazione di Bacchilide vive della ricerca della bella immagine e della
«compiaciuto» parola raffinata, del suono carezzevole e di un pathos che si stempera nel pia-
cere del racconto; c’è un affollarsi di memorie verbali secondo una poetica
che rinuncia a un’altera originalità per riconoscere, come già abbiamo visto
toccando della poetica pindarica, che «l’uno dall’altro è sapiente/ nel passato
BACCHILIDE 717
come nel presente» (fr. 5, 1 s. Snell-Maehler). C’è in Bacchilide qualcosa di
pre-ellenistico, un’opzione a favore della “letteratura” che va di pari passo con
l’assenza di qualsiasi velleità a porsi come poeta-vate (egli preferisce definirsi,
nel carme III 97 s., μελιγλώσσου …/ Κηΐας ἀηδόνος «usignolo di Ceo dalla
voce di miele»); una soluzione riduttiva, rispetto alla gamma di risorse offerte
da Pindaro, ma anche la garanzia, sul piano “commerciale”, di un’arte dal volto
facilmente riconoscibile.
La sceneggiatura della vicenda di Creso E questa “maniera” è riscontrabile an-
che nella sceneggiatura di una vicenda storica, come quella che coinvolge Creso
T2 di Lidia.
Ditirambi o peani? Per alcune di queste composizioni (carmi XVI e XVII), data la presenza di in-
vocazioni ad Apollo (cfr. XVI 8-12, XVII 130-132), è stata avanzata non senza
fondamento l’ipotesi che si trattasse di peani. Tuttavia l’inclusione di simili com-
ponimenti fra i ditirambi si potrebbe giustificare con la connessione di questo
genere lirico anche con feste dedicate ad altre divinità, in particolare proprio ad
Apollo: si avrebbe allora, ed è l’ipotesi per cui propendiamo, una sorta di precoce
contaminazione dei generi, un fenomeno che solo la poesia ellenistica dispieghe-
rà con sistematica consapevolezza.
Carme XVIII Peculiare, tra queste odi, si presenta la forma del carme XVIII, un dialogo in
quattro strofe fra Egeo re di Atene e un coro ateniese: nel primo scambio dialo-
gico vengono descritti l’appressarsi alla città e le azioni prodigiose di un ignoto
giovinetto che si rivelerà essere Teseo (vv. 1-30):
1. Egeo.
2. Legava i passanti a un pino che poi lasciava di scatto.
3. Posidone.
4. Località sul golfo saronico.
5. Presso Megara, scagliava con un calcio giù dalle rupi che da lui sarebbero state dette «scironidi» chiunque
gli venisse a tiro.
LIRICI MINORI FRA VI E V SECOLO 719
ha serrato la lizza a Cercíone6;
Procruste7 il maglio duro
che fu di Polipèmene ha deposto,
contro il più forte.
30 Quale mai sarà l’esito? Ho paura.
[Tr. di F.M. Pontani]
Una tale articolazione ha sollevato una serie di discussioni sugli eventuali rap-
porti fra un’ode di questo tipo e la tragedia: se, in particolare, in una simile com-
posizione si debba vedere un esempio del ditirambo da cui, secondo Aristotele,
sarebbe derivata la tragedia, o se, come parrebbe più plausibile, si debba imma-
ginare che la forma dell’ode sia stata influenzata dalle coeve rappresentazioni
drammatiche (per i rapporti fra ditirambo e problema dell’origine della tragedia,
vedi II volume, «Origini e primordi del teatro», p. 000).
Carme XVII All’interno del gruppo dei «ditirambi» il risultato più alto è raggiunto nel carme
T3 XVII, che si affianca agli epinici III e V come documento esemplare dell’arte
bacchilidea.
Rievocando la leggenda dei sette giovani e delle sette vergini inviati come tributo
al Minotauro, e del contrasto fra Teseo e il re di Creta Minosse, Bacchilide la-
scia sullo sfondo l’elemento religioso (ridotto a qualche convenzionale richiamo
didattico) per indulgere a un gusto descrittivo che risolve le tensioni interne alla
fabula nel ritmo festoso di una ballata.
Mirtide
M irtide (Μυρτίς) nacque ad Antedone (sulla costa settentrionale della Beozia)
e fu contemporanea di Pindaro.
La testimonianza In alcuni versi di Corinna viene rimproverata per la presunzione che l’avrebbe
di Corinna spinta a scendere in gara con Pindaro, di cui, secondo la Suda, sarebbe stata ma-
estra (664a PMG):
Μέμφομη δὲ κὴ λιγουρὰν
Μουρτίδ᾽ ἱώνγ᾽ ὅτι βανὰ φοῦ-
σ᾽ ἔβα Πινδάροι πὸτ ἔριν. .
Corinna
Le testimonianze
e le leggende… S aghe locali compaiono anche in Corinna (Κόριννα), parimenti di origine be-
otica (non si sa se nata a Tanagra o a Tespie o a Tebe) e ritenuta dagli anti-
chi contemporanea più anziana di
Pindaro, col quale è connessa in
varie leggende. Compose carmi
lirici (riuniti dagli alessandrini in
almeno cinque libri) per lo più di
carattere narrativo, come emerge
dai titoli conservati (Beoto, Sette
contro Tebe, Eunomia) e dalle te-
stimonianze antiche.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
La poetessa Corinna.
LIRICI MINORI FRA VI E V SECOLO 721
…e i ritrovamenti Grazie a un papiro di Berlino (nr. 284 = 654 PMG) pubblicato nel 1907 e poi a
papiracei un papiro di Ossirinco (nr. 2370 = 655 PMG) reso noto nel 1956 siamo in grado
di leggere frammenti di una certa estensione.
Possediamo fra l’altro (655 PMG) la parte iniziale del componimento che presu-
mibilmente apriva una raccolta dei carmi della poetessa: da esso ricaviamo che
Corinna dava almeno ad alcune delle sue poesie il nome di ϝεροῖα, un vocabolo
riconducibile alla radice ϝερ (cfr. lat. verbum) e dunque denotante «storie», «rac-
conti» (b, 1-5):
Ἐπί με Τερψιχόρα [
καλὰ ϝεροῖ᾽ ἀισομ[έναν
Ταναγρίδεσσι λε[υκοπέπλυς
μέγα δ᾽ ἐμῆς γέγ[αθε πόλις
λιγουροκω[τί]λυ[ς ἐνοπῆς
Terpsicore mi [spinge]
a cantare bei racconti
per le Tanagresi [dai candidi pepli,]
e [la città] molto gode dei miei
canti sonoramente garruli.
Figlie di Asopo Nel secondo brano (654, a col. III PMG) troviamo un dialogo fra Asopo, in ansia
per la sorte delle figlie, e l’indovino Acrefene, che rassicura il dio fluviale circa il
722 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
futuro delle figlie e gli narra la storia del santuario oracolare di Apollo sul monte
Ptoo, presso Tebe.
Entrambe le composizioni si articolano in brevi strofe caratterizzate dal sus-
seguirsi degli stessi cola (cinque dimetri ionici a minore chiusi dalla sequen-
za – – – – nel primo caso, dimetri coriambici nel secondo).
Oreste Un altro papiro (P.S.I. 1174 = 690 PMG) ci ha conservato il titolo (Oreste) e
l’inizio di un’altra composizione (la cui attribuzione a Corinna è però solo pro-
babile), per la quale si è pensato a un collegamento con una festa primaverile
presso l’Ismenio.
Il testo tramandato dai papiri è redatto nell’ortografia beotica riformata del
IV-III secolo a.C., e questo dato, abbinato al fatto che le prime menzioni della
poetessa non sono anteriori al I secolo a.C., indusse D. Page a proporre una col-
locazione di Corinna nel II secolo a.C. (e inoltre personificazioni come quelle
di Elicona, Citerone e Asopo non sembrano avere paralleli anteriori all’Inno
a Delo di Callimaco). Sembra difficile d’altra parte che l’aneddotica – certa-
mente molto anteriore alle fonti che la riportano, quali Plutarco e Pausania –
che collegava la poetessa (l’antiqua Corinna di Properzio II 3, 21) a Pindaro
potesse trasformare in una coetanea di quest’ultimo una figura vissuta più di
tre secoli dopo.
Altre poetesse
Telesilla
A ll’Argolide ci riporta un’altra figura di poetessa, quella Telesilla (Τελέσιλλα)
di Argo che sarebbe vissuta nella prima metà del V secolo a.C. e che avrebbe
composto partenî e inni, di cui uno dedicato alla Grande Madre (se è autentico
quello trovato a Epidauro [IG IV I2 131] e a lei ascritto da Paul Maas: si tratta
del fragm. adespotum 935 PMG, composto di cola in serie che da lei si denomi-
narono «telesillei»: x – – –).
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Simonide
T. 1 Frammento Il frammento doveva costituire l’inizio di un lamento funebre (θρῆνος) com-
521 Page posto da Simonide in occasione del crollo del soffitto che travolse la famiglia
degli Scopadi, in Tessaglia, presso i quali il poeta era ospite. Affiora qui il tema
dell’imprevedibilità del futuro, λόγος ἀρχαῖος che si ritroverà con frequenza
nella tragedia attica e in Erodoto. Icastica e originale è la similitudine con il
volo della mosca, a richiamare la possibilità di un rapido capovolgersi della
sorte.
1-4 Ἄνθρωπος ἐών ... μετάστασις: anche se il poeta si riferisce a uno speci- 554 N. 2 πολλὰς γ᾽ ὁ δαίμων τοῦ βίου
«Tu che sei (ἐών = ὤν) uomo non dire fico evento. - αὔριον: «domani» manca μεταστάσεις/ ἔδωκεν ἡμῖν μεταβολάς
mai che cosa avverrà (γίνεται, ionismo = nella seconda delle citazioni di Stobeo e τε τῆς τύχης «la divinità ci ha dato molti
γίγνεται: presente con funzione di futu- perciò è omesso dal Page: senonché «l’in- mutamenti di vita e cambiamenti di sorte».
ro) domani né, vedendo un uomo fortuna- certezza del domani qui si lamenta, non - τανυπτερύγου: variazione dell’epiteto
to, per quanto (ὅσσον = ὅσον) tempo (lo) l’incapacità di intendere il reale» (Marzul- omerico ταυπτέρυξ; cfr. Alcmane, fr. 89,
sarà (ἔσσεται = ἔσται): perché neppure il lo); vedi anche scheda critica. - ἰδών: fra 6 Davies, p. 000). - οὕτως: la posposizione
volo di una mosca dalle ali distese (è) co- ἄνδρα e ἰδών c’è iato apparente (ϝιδ-). - dell’avverbio οὕτως genera un forte effetto
sì rapido». - φάσῃς: la seconda persona μετάστασις: (cfr. μεθίστημι), propr. il patetico.
individua il «tu» gnomico/generalizzante, «mutamento di posto», cfr. Euripide, fr.
724 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Immagine topiche
L’imprevedibilità del destino umano
Il tema della precarietà imprevedibile del destino umano è un topos che già Sofocle definiva λόγος
ἀρχαῖος in apertura di Trachinie (vv. 1-3):
Λόγος μέν ἐστ’ ἀρχαῖος ἀνθρώπων φανεὶς C’è un antico detto fra gli uomini
ὡς οὐκ ἂν αἰῶν’ ἐκμάθοις βροτῶν, πρὶν ἂν che non puoi sapere la vita di un uomo, prima
θάνῃ τις, οὔτ’ εἰ χρηστὸς οὔτ’ εἴ τῳ κακός. che muoia, se è stata favorevole o sfortunata.
Il tema torna, in un passo di difficile lettura, ma chiaro nel suo significato complessivo, nei versi finali
dell’Edipo Re (vv. 1528-1530):
Ὥστε θνητὸν ὄντ’ ἐκείνην τὴν τελευταίαν ἰδεῖν
ἡμέραν ἐπισκοποῦντα μηδέν’ ὀλβίζειν, πρὶν ἂν
τέρμα τοῦ βίου περάσῃ μηδὲν ἀλγεινὸν παθών.
Cosicché, quando consideri un essere mortale guarda il giorno
ultimo: non ritenere nessuno felice, prima che non abbia
compiuto il percorso senza aver sofferto alcun male
Un riferimento più vicino al frammento di Simonide che stiamo esaminando, in cui si sottolinea la
precarietà della condizione umana, vista l’incertezza del giorno di domani, è presente in Edipo a Colono
567-568:
Ἔξοιδ’ ἀνὴρ ὢν χὤτι τῆς ἐς αὔριον Sono ben consapervole di essere uomo e che del giorno
οὐδὲν πλέον μοι σοῦ μέτεστιν ἡμέρας. di domani non ho più potere di quanto ne abbia tu.
Si veda a questo proposito in Orazio la raccomandazione a Taliarco: quid sit futurum cras fuge quae-
rere «evita di indagare che succederà domani» (Carmina I 9, 13) e, con altra prospettiva, nel Nuovo
Testamento, μὴ οὖν μεριμνήσητε εἰς τὴν αὔριον, ἡ γὰρ αὔριον μεριμνήσει ἑαυτῆς· ἀρκετὸν τῇ
ἡμέρᾳ ἡ κακία αὐτῆς, che nella Vulgata risulta essere: nolite ergo solliciti esse in crastinum. Crastinus
enim dies sollicitus erit sibi ipsi; sufficit diei malitia sua (Mt. 6, 34).
Il tema ha avuto particolare fortuna in ambito tragico: lo troviamo sviluppato in maniera più ampia, ma
anche più generica, ancora in Sofocle, fr. 646 Radt (vedi anche, con maggior stringatezza aforistica,
fr. 662 Radt: μήπω μέγ᾽ εἴπῃς, πρὶν τελευτήσαντ᾽ ἴδῃς «non parlare in modo orgoglioso, prima
di aver visto la fine»):
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Per una ricognizione ancora più ampia del topos presso i tragici, si possono esaminare alcuni passi di
Euripide: Andromaca 100-02; Troiane 509-10; Ifigenia in Aulide 161-63. Fondamentale, per la storia del
motivo, il logos di Creso e Solone raccontato da Erodoto in I 30 (vedi p. 000).
SIMONIDE 725
T. 2 Frammento Il frammento contiene una parte dell’epitafio per i morti alle Termopili, la batta-
531 Page glia della seconda guerra persiana, in cui gli Spartani comandati dal re Leonida,
con il loro eroico sacrificio frenarono l’avanzata nemica. Composta in versi lirici,
l’encomio forse veniva eseguito in occasione della cerimonia commemorativa
celebrata annualmente a Sparta.
Metro: 1 ipponatteo
2 trimetro trocaico
3 prosodiaco + enoplio
4 ibiceo + spondeo
5 gliconeo + giambo //
6 prosodiaco + dim. giambico
7 hemiepes I + dim. giambico
8 prosodiaco + reiziano giambico
5 ferecrateo + ?
Fonte: Diodoro Siculo XI 11, 6 (vv. 1-9) Arsenio, p. 342 Walz (vv. 1-9).
1-3 Τῶν ἐν Θερμοπύλαις θανόντων bello (καλός, sulla linea di Tirteo 10, 1) μνῆστις) e il compianto (si è fatto) elogio».
... ἔπαινος: «Dei morti alle Termopili glo- quel destino e altare quella tomba e piut- - Θερμοπύλαις: le Termopili, il passo tra
riosa (è) quella sorte (ἁ τύχα = ἡ τύχη), tosto che lamenti (vi è) ricordo (μνᾶστις = il monte Callidromo e il golfo Maliaco, at-
traverso il quale si entrava nella Grecia cen-
trale. - πότμος: il «destino di morte», come
talora in Omero, cfr. ad es. Iliade XVI 857 =
Immagine topiche XXII 363, Odissea XIV 274. - βωμὸς δ’ ὁ
Il tempo che tutto oscura τάφος: Leopardi, nella canzone All’Italia ri-
prende l’espressione parafrasando: «la vostra
Il verbo (ἀ)μαυρόω è riferito agli effetti del tempo anche in Sofocle, fr. 954 Radt tomba è un’ara». La tomba sarà venerata co-
me un altare in seguito alla eroizzazione dei
χρόνος ἀμαυροῖ πάντα e in Callimaco, fr. 202, 67 Pf. μαυρώσει χρ[ό]νος; il
morti: cfr. Eschilo, Coefore 106 αἰδουμένη
passo sarà riecheggiato da Orazio, Carmina III 30, 1-5 σοι βωμὸν ὣς τύμβον πατρός [sono parole
forico, come segno di disfacimento e usura, κλέος: «Questo recinto sacro di uomini va- alle Termopili, ma altrove; Pausania III 14,
anche in Teognide 452 s. «né mai si attac- lorosi ha scelto come custode (οἰκέταν [= 1 ricorda un tempietto spartano dedicato a
ca alla mia pelle scuro verderame né muffa -την], propr. lo schiavo addetto alla cura Leonida. - μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας:
(εὐρώς), ma serba inalterata la purezza del della casa) la gloria dell’Ellade, e ne è te- «che cosa testimoni Leonida in particolare
suo fiore». - πανδαμάτωρ: epiteto omerico stimone anche Leonida, re di Sparta, che ha – osserva Marzullo – non sapremmo dire: il
del sonno, cfr. Iliade XXIV 5 e Odissea IX lasciato grande fregio di virtù e fama peren- richiamo, con ogni sua articolazione, appare
373: qualifica il tempo anche in Bacchilide ne». - ὅδε σηκός: l’ὅδε deittico segnala la generico e convenzionale»: forse l’accento
13, 205 s. ὅ τε πανδαμάτωρ χρόνος. concreta presenza del σηκός nel momento batte sul contrasto Ellade/Sparta, nel senso
dell’esecuzione: si deve trattare – v. Anali- che il valore di Leonida si pone come vanto
6-9 Ἀνδρῶν ἀγαθῶν ... ἀέναόν τε si del testo – di un santuario edificato non non solo di Sparta ma di tutta la Grecia.
Metro: molto problematico: non sappiamo neppure se il brano facesse interamente parte di un’unica
… ὅτε λάρνακι
ἐν δαιδαλέᾳ
ἄνεμός τε μιν πνέων
κινηθεῖσά τε λίμνα δείματι
1-7 ὅτε λάρνακι ... εἶπέν τ(ε): le gote umide gettava intorno il suo (φίλαν vita di Meleagro; δαιδάλεος è epiteto tra-
«… quando nella cassa costruita con arte = φίλην, possessivo) braccio e disse». - dizionale di armi e altri oggetti di pregiata
il vento che soffiava (le raffiche del ven- λάρνακι ἐν δαιδαλέᾳ: il nesso ricorre fattura. - λίμνα (= -νη): con questa stessa
to) e il mare agitato prostravano lei (μιν = anche in Bacchilide 5, 140 s. δαιδαλέας/ accezione («mare») il termine, che in gene-
αὐτήν, correzione di F.W. Schneidewin ἐκ λάρνακος a proposito della cassa do- re significa «lago», compare già in Iliade
per μήν della tradizione) per la paura, con ve è racchiuso il tizzone a cui è legata la XXIV 79, e cfr. anche Sofocle, Trachinie
728 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
5 ἔρειπεν, οὐκ ἀδιάντοισι παρειαῖς
ἀμφί τε Περσέι βάλλε φίλαν χέρα
εἶπέν τ᾽· «Ὦ τέκος οἷον ἔχω πόνον·
σὺ δ᾽ ἀωτεῖς, γαλαθηνῷ
δ᾽ ἤθεϊ κνώσσεις
10 ἐν ἀτερπέι δούρατι χαλκεογόμ-
φῳ δὲ νυκτὶ λάμπεις,
κυανέῳ δνόφῳ ταθείς·
ἅλμαν δ᾽ ὕπερθε τεᾶν κομᾶν
βαθεῖαν παριόντος
15 κύματος οὐκ ἀλέγεις, οὐδ᾽ ἀνέμου
φθόγγον, πορφυρέᾳ
κείμενος ἐν χλανίδι, πρόσωπον καλόν.
Εἰ δέ τοι δεινὸν τό γε δεινὸν ἦν,
καί κεν ἐμῶν ῥημάτων
20 λεπτὸν ὑπεῖχες οὖας.
Κέλομαι δ᾽, εὗδε βρέφος,
εὑδέτω δὲ πόντος, εὑδέτω δ᾽ ἄμετρον κακόν·
μεταβουλία δέ τις φανείη,
Ζεῦ πάτερ, ἐκ σέο·
636 Μηλίδα πὰρ λίμναν. - ἔρειπεν (= «dormendo (κνώσσουσα) nelle porte dei similmente un vocativo (B. Marzullo)
ἤρ-): «prostrava» concordato al singolare sogni». - δούρατι: δόρυ è sineddoche per piuttosto che acc. di relazione, cfr. Euri-
con il più vicino dei due elementi (vento «imbarcazione», cfr. Pindaro, Pitica IV pide, Medea 1071 s. ὦ … φίλτατον …
e mare); l’impf. sottolinea la continuità, o 27 ἐννάλιον δόρυ, ecc. - χαλκεογόμφῳ πρόσωπον.
l’iterazione, della paura di Danae. - οὐκ … νυκτί: il testo tràdito è stato sospettato
ἀδιάντοισι παρειαῖς: (cfr. διαίνω) dat. e variamente alterato, ma l’ardito proce- 18-27 Εἰ δέ τοι ... σύγγνωθί μοι:
di modo. - ἀμφί … βάλλε: tmesi. - χέρα dimento analogico per cui viene riferito «Ma se per te (τοι = σοι) fosse (ἦν: pro-
εἶπεν: lo iato è solo apparente (ϝειπ-). alla notte un epiteto che sul piano refe- tasi dell’irrealtà) pauroso (δεινόν) ciò
renziale si connette alla cassa, non può che è davvero (γε) pauroso, allora (καί
7-12 «Ὦ τέκος … ταθείς: «“O figlio, scandalizzare in un poeta incline anche enfatico) porgeresti l’orecchio (οὖας =
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
quale pena ho! Ma tu dormi e con la tua altrove a nessi e immagini audaci, cfr. vv. οὖς) delicato alle mie parole. Ma, ti prego
tenera indole riposi nel legno senza gioia 8 s. γαλαθηνῷ ... ἤθεϊ e fr. 600, dov’è (Κέλομαι, incidentale), dormi, piccolo, e
e risplendi (λάμπεις è correzione di F. detto che il «vento (πνοιά) viene a tatua- dorma il mare e dorma l’immensa sventura,
Nietzsche per il tràdito λαμπεῖ) nella not- re il mare», εἶσ᾽ ἅλα στίζουσα πνοιά. e appaia un mutamento di pensiero, o Zeus
te dai chiodi di bronzo, disteso nella tene- - ταθείς: (τείνω) è correzione di F.W. padre, da te (σέο = σοῦ); ma per il fatto
bra cupa». - τέκος: equivalente aulico di Schneidewin per ταδ᾽ εις della tradizione che (ὅττι = ὅτι, ma si può tradurre «se»,
τέκνον. - ἀωτεῖς: correzione di Casau- di Dionisio. «se è vero che») formulo un voto audace e
bon per i corrotti αὐταῖς o αὖτε della tra- lontano dal giusto, a me perdona!”». - κεν
dizione dei testimoni; cfr. Iliade X 159 τί 13-17 ἅλμαν δ(έ) … πρόσωπον κα- (= ἄν) … ὑπεῖχες: apodosi dell’irreal-
πάννυχον ὕπνον ἀωτεῖς; «perché dormi λόν: «e l’acqua del flutto che trascorre alta tà; il gen. ῥημάτων si spiega in quanto
tutta la notte?», Odissea X 548 ἀωτεῖτε sopra le tue (τεᾶν = σῶν) chiome (κομᾶν ὑπεῖχες οὖας è sentito come equivalente
γλυκὺν ὕπνον «dormite un dolce son- = κομῶν) non curi né il sibilo del vento, di ὑπήκουες). - βρέφος: qui per la prima
no». - γαλαθηνῷ: propr. «lattante» (cfr. sdraiato su panno purpureo, o bel viso». volta riferito a esseri umani. - εὐδέτω δὲ
γάλα e θάω «succhio»), cfr. fr. 553, 2 - ἅλμαν (= -μην): «acqua salsa», emen- πόντος: cfr. Eschilo, Agamennone 565 s.
γαλαθηνὸν τέκνον. - ἤθεϊ: congettura di damento di Th. Bergk per αὐλέαν (PV) εὖτε πόντος ἐν μεσημβριναῖς/ κοίταις
Th. Bergk basata sulla tradizione di Dioni- o αὐλαίαν (M) tràditi; ἄχναν «schiuma» ἀκύμων νηνέμοις εὕδοι πεσών «quando il
sio, che ha γαλαθηνωδει θει (codd. PV) o propone D. Page. - βαθεῖαν: cfr. Pindaro, mare nei suoi giacigli meridiani senza on-
γαλαθηνώδει****, mentre quella di Ate- Nemea IV 36 βαθεῖα ποντία ἅλμα; al- de, privi di vento, si placa». - εὑδέτω …
neo ha γαλαθηνῷ δ᾽ ἤτορι. - κνώσσεις: tri leggono βαθειᾶν (= βαθειῶν), riferito κακόν: cfr. Euripide, Supplici 1147 οὔπω
sinonimo di ἀωτεῖς, cfr. Odissea IV a κομᾶν, cfr. Semonide 7, 65 s. χαίτην κακὸν τόδ᾽ εὔδει. - μεταβουλία: hapax
809 κνώσσουσ᾽ ἐν ὀνειρείῃσι πύλῃσιν ... βαθεῖαν. - πρόσωπον καλόν: vero- coniato sul modello di ἀβουλία, εὐβουλία
SIMONIDE 729
25 ὅττι δὲ θαρσαλέον ἔπος εὔχομαι
ἢ νόσφι δίκας,
σύγγνωθί μοι …»
ecc. - θαρσαλέον: (con allungamento seguente ϝεπ-) cfr. l’omerico θαρσαλέως vato dal Wilamowitz da κνοφι del codice
metrico della sillaba finale per contatto col ἀγορεύειν. - καὶ νόσφι: felicemente rica- Guelferbitano di Dionisio.
T. 4 Frammento 11, Delle elegie legate alle lotte antipersiane si sono recuperati, grazie a un fortu-
7-34 West 2
nato ritrovamento papiraceo (l’editio princeps del papiro si deve a P. Parsons in
The Oxyrhynchus Papyri, LIX, London 1992, 28-36), resti che si riferiscono alla
battaglia dell’Artemisio (fr. 1-4 West2) e, soprattutto, un brano di discreta am-
piezza da un componimento dedicato alla battaglia di Platea, in Beozia, del 479
a.C.; nello scontro le forze peloponnesiache al comando dei reggenti spartani
Pausania ed Eurianatte e con l’appoggio di opliti ateniesi sconfissero le forze,
almeno doppie nel numero, dei Persiani guidati da Mardonio, luogotenente di
7-12 Οὐ δή τίς ... Δί̣ κ̣ [ ης: «Nessun venne guidata al bersaglio da Apollo). reso da Paride) con i figli di Priamo (i Tro-
mortale effimero da sé ti (il poeta si ri- … Sdegnate (si fa verosimilmente ri- iani in generale) a causa di Alessandro
volge ad Achille) domò, ma soccombe- ferimento ad Atena ed Hera, irate con (Paride) dissennato perché … lo abbatté
sti colpito dal braccio di Apollo (Achil- i Troiani per essere uscite sconfitte nei il carro di Dike».
le fu ucciso da Paride, la cui freccia confronti di Afrodite dal famoso giudizio
730 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Τοὶ δὲ πόλι]ν πέρσαντες ἀοίδιμον [οἴκαδ᾽ ἵ]κοντο
Τρ]ώων̣ ἁγέμαχοι Δαναοί,
15 οἷσι κατ᾽ ἀθά]ν̣ατον κέχυται κλέος ἀν̣[δρὸς] ἕκητι
ὃς παρ᾽ ἰοπ]λοκάμων δέξατο Πιερίδ[ων
πᾶσαν ἀλη]θείην, καὶ ἐπώνυμον ὁπ̣[λοτέρ]οισιν
ποίησ᾽ ἡμ]ι̣θέων ὠκύμορον γενεή̣[ν.
Ἀλλὰ σὺ μὲ]ν νῦν χαῖρε, θεᾶς ἐρικυ[δέος
20 κούρης εἰν[αλίου Νηρέως· αὐτὰρ ἐγώ̣
κικλῄσκω] σ᾽ ἐπίκουρον ἐμοί, π[ολυώνυμ]ε Μοῦσα,
εἴ πέρ γ᾽ ἀν]θρώπων εὐχομένῳ[ν μέλεαι·
ἔντυνο]ν̣ καὶ τόνδ[ε μελ]ί̣φρονα κ[όσμον ἀο]ιδῆς
ἡμετ]έ̣ρης, ἵνα τις [μνή]σ̣ε̣τ̣α̣ι̣ ὕ̣[στερον –
25 ἀνδρῶ]ν, οἳ Σπάρτ[ῃ δούλιον ἦμαρ
] ἀμ̣υν[ ] [..] ]ω̣[
οὐδ᾽ ἀρε]τ̣ῆς ἐλάθ[οντο ]ν οὐρανομ̣[ήκ]η̣ς,
καὶ κλέος ἀ]ν̣θρώ̣π̣ω̣ν̣ [ἔσσετ]α̣ι̣ ἀθάνατο‹ν›
οἳ μὲν ἄρ᾽Εὐ]ρώτ̣αν κα[ὶ Σπάρτη]ς ἄστυ λιπόντες
30 ὤρμησαν] Ζηνὸς παισὶ σὺν ἱπποδάμοις,
Τυνδαρίδα]ι̣ς ἥρωσι καὶ εὐρυβίῃ Μενελάῳ
13-18 Τοί δέ ... ὠκύμορον γενεή̣ν : 458: un dato che asseconda la transizione l’ottimo figlio del divino Cleombroto». -
«Ed essi, distrutta la città celebrata nei all’apostrofe ad Achille che subito segue. Νηρέος: uno dei cinque figli di Ponto e di
canti, tornarono in patria, … dei Troiani - ἐπώνυμον: non può valere «famoso» o Gaia secondo Esiodo, Teogonia 233 ss. -
i capi bellicosi dei Danai, sui quali si è sim. perché significa costantemente «su π̣[ολυώνυμ]ε: «dai molti nomi», nel senso
riversata fama immortale in virtù di un uo- cui c’è il nome di», «soprannominato» – della pluralità di epiteti delle Muse: Pieri-
mo che dalle Muse di Pieria (cfr. la nota cfr. ἀνώνυμος – e dunque va interpretato di, Olimpiche, Eliconiadi ecc.; estraneo ad
a Solone, fr. 13, 2 a p. 000) dai riccioli di in stretta relazione con ἡμιθέων, nel senso Omero, l’epiteto ricorre in riferimento ad
viola ricevette ogni rivelazione (il nesso che gli eroi della guerra troiana furono con- Ades nell’inno «omerico» A Demetra, 18
ricorre parimenti in principio di esame- siderati in blocco «semidei», cfr. Iliade XII Κρόνου πολυώνυμος υἱός e compare an-
tro in Odissea XI 507 πᾶσαν ἀληθείην 23 ἡμιθέων γένος ἀνδρῶν e soprattutto che, in relazione a Nike, in Bacchilide, epi-
μυθήσομαι), e fece sì che la loro stirpe dal Esiodo, Erga 159 s. Ἀνδρῶν ἡρώων θεῖον gr. 1, 1. - μελ]ί̣φρονα κ[όσμον ἀο]ιδῆς:
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
breve destino avesse fra i posteri il nome di γένος, οἳ καλέονται/ ἡμίθεοι. se l’integrazione è corretta, l’espressione
stirpe dei semidei». - ἀοίδιμον: Simonide presuppone una prospettiva artigianale
riferisce alla città di Troia un aggettivo che 19-34 Ἀλλὰ σὺ μέν … Παυσανίης: dell’attività poetica che non trova termini
in Omero ricorre una sola volta, in Iliade «Ma a te ora salve, figlio di una dea di confronto nell’epica più antica quanto
VI 358 ἀοίδιμοι ἐσσομένοισι, in boc- gloriosissima, nata da Nereo marino: io invece nella lirica, vedi la nota a Solo-
ca a Elena che medita sulla propria sorte ti invoco perché tu mi assista, Musa dai ne, fr. 1, 2. - οὐδ᾽ ἀρε]τ̣ῆς ἐλάθ[οντο:
sventurata che la renderà appunto celebre molti nomi, se mai ti prendi cura degli cfr. Iliade XI 313 λελάσμεθα θούριδος
presso i posteri; la coincidenza suggerisce uomini quando pregano: appresta anche ἀλκῆς. - οὐρανομ̣[ήκ]η̣ς: in Odissea V
che anche qui, dicendo Troia «celebrata nei questo dolce ornamento del nostro can- 239 οὐρανομήκης era riferito a un abe-
canti», il poeta si riferisca alla tradizione to perché in futuro qualcuno si ricordi te, ma questo di Simonide, quale che sia
epica successiva, non alla celebrità di Troia (μνήσεται, congiuntivo a vocale breve) il sostantivo esatto che lo precedeva in
al momento della guerra. - ἁγέμαχοι (= di guerrieri che, stornando da Sparta il lacuna, sembra il più antico uso dell’epi-
ἡγέμαχοι): è un hapax, in precedenza re- giorno della schiavitù … né si scorda- teto in chiave metaforica, per il quale
gistrato solo dai lessicografi. - ἰόπλοκος: rono della virtù … alto fino al cielo, e cfr. Aristofane, Nuvole 357 οὐρανομήκη
ἰοπλόκαμος, «dai riccioli viola» è epite- immortale sarà la gloria di uomini che, …φωνήν e 459 κλέος οὐρανόμηκης. -
to estraneo all’epica ma ricorre più volte avendo lasciato l’Eurota (il fiume princi- Τυνδαρίδα]ι̣ ς ἥρωσι: i Dioscuri, nati
nella lirica corale: cfr. Simonide, fr. 555, pale della Laconia) e la città di Sparta, come Elena dall’unione di Zeus con Leda
3 per le figlie di Atlante, e Pindaro, Pitica balzarono insieme con i figli di Zeus do- ma il cui padre putativo era Tindaro; però
I 1 e Istmica VII 23, per le stesse Muse. matori di cavalli, gli eroi Tindaridi e con in alcune versioni solo Polluce è figlio di
- ὠκύμορον: ὠκύμορος è in primo luo- Menelao possente, … condottieri della cit- Zeus, mentre Castore è figlio di Tindaro. -
go Achille, cfr. Iliade I 417 e XVIII 95 e tà paterna (Sparta), e li guidava Pausania, εὐρυβίῃ: prima di Simonide questo epite-
SIMONIDE 731
πατ]ρ̣ῴης ἡγεμόνες π[ό]λεος,
τοὺς δ᾽ υἱὸς θείοιο Κλεο]μ̣β̣[ρ]ότ̣ου ἔξ__[α]γ᾽ ἄριστ[ος
]αγ̣.. Παυσανίης.
to è attestato con sicurezza solo in Esiodo, - Κλεο]μ̣β̣[ρ]ότ̣ου ... Παυσανίης: cfr. a Pausania figlio di Cleombroto di guidare
Teogonia 931 Τρίτων εὐρυβίης. - θείοιο: Erodoto IX 10, 1-3: «… mentre era an- la spedizione. […] Pausania si scelse come
già nell’Odissea – cfr. IV 621 e 691 e XVI cora notte fecero uscire 5000 Spartiati compagno Eurianatte figlio di Dorieo, che
335 – θεῖος è epiteto assegnato ai sovrani (mettendo in assetto di guerra anche sette apparteneva alla medesima casata».
in quanto il loro potere discende da Zeus. iloti per ciascuno di essi), dando incarico
Pindaro
T. 1 Olimpica VI L’Olimpica VI (vedi paragrafo «Performance e regia») celebra la vittoria nella
(vv. 28-73) corsa col carro trainato da mule conseguita da Agesia, un siracusano di origine
arcade, della stirpe illustre degli Iamidi, che a Olimpia erano sacerdoti ereditari
di un altare dove si traevano oracoli. Nella sezione centrale dedicata al mito,
l’ode ripercorre le origini eroiche del genos del vincitore, in una successione
articolata di vicende, che partono dall’unione di Posidone con la ninfa fluviale
Pitane (figlia del fiume Eurota ed eponima di un villaggio spartano), da cui na-
scerà Evadne, che era ancora fanciulla quando «gustò le prime carezze di Afrodi-
te» insieme con Apollo, con il quale concepì Iamo. Per tenere nascosta al padre
Epito la gravidanza, la fanciulla fuggì dal palazzo reale per rifugiarsi sui monti,
dove diede la luce il bambino e lo abbandonò in mezzo a «cespugli impenetra-
bili», inondato «dai raggi fulvi e vermigli delle viole». A confermare l’origine
divina del fanciullo e presagirne le facoltà di profeta, accorsero due serpenti
che lo nutrirono col miele. Giunto poi nel vigore dell’età, Iamo scese lungo il
corso dell’Alfeo e invocò l’avo Posidone e il padre Apollo, ottenendo il dono di
comprendere la voce divina e di fondare una dinastia dei profeti, gli Iamidi, da
cui discende anche Agesia.
29 (Pitane): la ninfa Pitane, figlia del 33 all’eroe: si tratta di Epito, padre 36 occultare fino in fondo: Evadne
fiume Eurota era eponima di un villaggio di Evadne e re di Fesana, nell’Arcadia non poté tenere nascosta al padre la pro-
presso Sparta; l’Eurota è il fiume principa- meridionale, sulla riva sinistra dell’Al- pria gravidanza fino al termine della ge-
le della Laconia. feo. stazione.
PINDARO 733
40 e la brocca d’argento fra la boscaglia scura
e partoriva un bimbo dalla mente divina. Il Chiomadoro
le pose accanto Ilitia
la mite e le Moire.
40 la brocca d’argento: ellissi narrativa dovuta «alla membrana nittitante di colo- 56 delle viole: si dovrebbe trattare, dato
da parte di Pindaro: evidentemente la fan- re bluastro che copre talvolta l’occhio del il colore, della viola del pensiero. Il fiore
ciulla era andata ad attingere acqua a una serpente, analoga a quella della civetta, che della viola, ἴον, è uno dei due termini che
fonte. deve il suo nome (γλαύξ) appunto al colore spiegano il nome del fanciullo, Iamo, che è
γλαυκός degli occhi». altresì collegato con il «veleno (ἰός) inno-
41 il Chiomadoro: Apollo. cuo delle api», ossia il miele.
47 il re: Epito.
42 Ilitia: è la dea del parto, associata al- 58 L’aggettivo «dall’aurea corona» ri-
le Moire anche in Nemea VII 1. 52 quelli: i cortigiani che vivevano a ferito a Hebe/Giovinezza è già esiodeo.
palazzo negano di avere visto il neonato,
46 serpenti dagli occhi azzurri: come per paura di ritorsioni nei suoi confronti da 59 l’arciere: Apollo.
nota P. Giannini, l’indicazione cromatica è parte del nonno (Epito).
734 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Limpida gli rispose, cercandolo, la voce del padre: «Sorgi,
figlio, muovi sulla traccia della mia voce
fino all’ospite contrada».
Giunsero all’erta
roccia dell’alto Cronio,
65 ove il dio gli porse doppio tesoro
di divinazione: udire la voce
ignara di menzogna e poi,
venuto Eracle
ardito, il sacro, virgulto dell’Alcide, e istituite
in onore del padre la festa gremita di folla
e le norme solenni dei giochi,
70 installare – fu l’ordine –
66 la voce ignara di menzogna: la voce è figlio (virgulto) di Anfitrione, chiamato si praticava l’empiromanzia, una pratica ora-
stessa di Apollo. Alcide perché figlio di Alceo. colare basata sull’osservazione delle lingue di
fiamma sprigionate dalle vittime ardenti e dalle
68 il sacro virgulto dell’Alcide: Eracle 70 un oracolo: al sommo dell’altare di Zeus incisioni praticate nella pelle degli animali.
le ἐπεί «quando» al v. 47 e al v. 57, il nesso relativo-temporale ἐξ dette al figlio appena nato il nome di Iamo in relazione alle viole
οὗ «da quel tempo» al v. 71. Ma fra i singoli quadri intercorrono (ἴα) in mezzo a cui fu posato, ma il gioco etimologico viene an-
tratti congiuntivi che suggeriscono le linee di un insieme: Pita- ticipato nel «veleno (ἰός) innocente» costituito dal miele con cui
ne era stata sedotta da Posidone così come Evadne è sedotta da Iamo fu nutrito da due serpenti (la cui natura di animali ctonî
Apollo, sì che la nascita segreta di Iamo è prefigurata in forma ab- connessi alla divinazione rimanda a sua volta al profetico destino
breviata da quella di sua madre Evadne e il motivo del nascondere del bimbo).
viene marcato da κρύψε «celò» 31, οὐδ᾽ ἔλαθε ... Κλέπτοισα Infine il tema del contrasto fra oscurità e luce si ripropone in una
«non poté occultare sino in fondo» 36, κέκρυπτο «giaceva na- transizione dall’adolescenza alla maturità che si compie lungo un
scosto» 54; e parimenti occulta e segreta (quanto, per contrasto, itinerario «dalla bassura dell’Alpheiós all’alto Krónion, dal buio
«ignara del falso») è l’arte profetica che Iamo, divenuto adulto, notturno alla rocca battuta dal sole (così, da ἅλιος, in un’ode ric-
riceve in dono ad Olimpia dal padre Apollo. ca di etimologie, Pindaro avrà inteso l’omerico ἠλίβατος; solita-
Anche una venatura di colore può servire al poeta per accordare un mente: “erto, scosceso”)» e che «traduce in termini anche geogra-
quadro all’altro: lo scarlatto (φοινικόκροκον «dalla trama scar- fici il definitivo distacco dell’eroe dalla condizione precariamente
latta» 39) della fascia deposta in terra da Evadne al momento del allusiva dell’infanzia (venne alla luce, v. 44, ma in una macchia
parto, opposto all’argenteo della brocca e al verde scuro della bo- oscura, v. 40; è nel bosco impenetrabile, v. 54, ma inondato dai
scaglia (λόχμας ὑπὸ κυανέας 40), si rinnova nel purpureo misto raggi, v. 55), verso lo stabile spiegamento delle sue doti divine,
al giallo fiammante (ξανθαῖσι καὶ παμπορφύροις 55) dei raggi preludio alla durevolezza splendente della stirpe (vv. 71 ss.)» (L.
che emanano dalle viole e inondano il tenero corpo del piccolo Lehnus).
PINDARO 735
T. 2 Composta probabilmente nel 488 a.C. e quindi una delle odi più antiche a noi
Olimpica XIV
pervenute, l’Olimpica XIV è dedicata ad Asopico, un giovane proveniente da Or-
comeno, nella Beozia nord-occidentale, presso le rive della palude Copaide, vin-
citore nella corsa dello stadio per la categoria dei ragazzi. Strutturata come un
inno alle Cariti e composta da una sola coppia strofe/antistrofe, l’ode appartiene
al gruppo di epinici cantati dopo il ritorno in patria del vincitore, anzi viene
esplicitamente immaginata come esecuzione processionale da parte del corteo
(κῶμον 16) che muove verso il tempio delle Cariti di Orcomeno per dedicare la
corona che Asopico ha conquistato ad Olimpia (strettamente confrontabile è
l’esordio dell’Olimpica IV, per Psaumide di Camarina).
1-5 Καφισίων ὑδάτων ... εὔχομαι: e per Atene (Nemea IV 17; Istmica II 20; di ogni azione in cielo, disposti i loro seggi
«Voi che abitate una contrada dai bei pu- fr. 76, 1). - Ἐρχομενοῦ: Ἐρχ- è l’antica accanto ad Apollo Pizio dall’arco d’oro, ono-
13-20 Ὦ πότνι᾽ Ἀγλαΐα ... σεῦ participio con valore finale: il modulo ri- no,/ venendo onorati, lavoro ai poeti» (tr.
ἕκατι: «O veneranda Aglaia, o Eufrosine corre anche altrove sia negli epinici che di G.A. Privitera).
che hai a cuore la musica, e tu, o Talia che nei canti cultuali, cfr. Olimpica VII 13
ami la musica, figlie del più potente degli s. κατέβαν ... ὑμνεύων, Nemea I 19 s. 20-24 Μελαντειχέα ... χαῖταν:
dèi porgetemi ora ascolto vedendo questo ἔσταν ... καλὰ μελπόμενος, Peana VI «Ora, o Eco, va’ alla casa dalle nere mura
corteo che avanza con passo leggero in oc- 9 s., fr. 75, 11 s. μελπόμενος … ἔμο- (μελαντειχέα = -χῆ, hapax) di Persefo-
casione del fortunato evento: infatti sono λον. - Λυδῷ … τρόπῳ: cfr. Olimpica V ne (Φερ- = Περ-) portando (φέροισα =
venuto per cantare nel modo lidio Asopi- 19 Λυδίοις ἀπύων ἐν αὐλοῖς «cantando φέρουσα) al padre l’annuncio glorioso,
co, con la mia arte, poiché la (ἀ = ἡ) città negli auli di Lidia»; fra i modi musicali affinché vedendo (ἰδοῖσα = ἰδοῦσα) Cle-
dei Minii è vincitrice ad Olimpia grazie a quello “lidio” si configurava come legge- odamo (appunto il padre di Asopico), tu
te (σεῦ = σοῦ)». - Ἀγλαΐα … Εὐφρο- ro ed elegante, particolarmente idoneo a gli dica del figlio che presso le vallate il-
σύνα … Θαλία: sia i nomi delle Cari- un vincitore giovanissimo come Asopico. lustri di Pisa si (οἱ = ἑαυτῷ) incoronò la
ti che la loro genealogia come figlie di - σεῦ ἕκατι: «grazie a te» con un fulmi- giovane chioma con le ali dei premi glorio-
Zeus si accordano con Esiodo, Teogonia neo passaggio dalla terza alla seconda per- si». - Ἀχοῖ = Ἠχοῖ: è la più antica perso-
907 ss. - ἐπακοοῖτε: = ἐπη-, da ἐπήκο- sona (già rilevato dallo scolio 27d: πρὸς nificazione dell’eco. - υἱόν: prolessi del
ος, cfr. ἀκούω. - κοῦφα βιβῶντα: «che αὐτὸν λέγει τὸν νικηφόρον «si rivolge sostantivo, in luogo di εἴπῃς ὅτι υἱός.
procede con passo leggero» è modellato proprio al vincitore»), il coro si rivolge ad - νέαν … χαίταν: costituisce il centro
sull’omerico κοῦφα ποσὶ προβιβάς di Asopico, grazie alla cui vittoria la città dei dell’immagine, come è sottolineato anche
Iliade XIII 158, e cfr. Pindaro, Partenio Minii (Orcomeno) è vincitrice olimpica: dal forte stacco tra sostantivo e attributo.
II 66 s. Δαμαίνας πάτερ, ἡσύχῳ νῦν è noto che quando l’araldo annunciava il - κυδίμων ἀέθλων πτεροῖσι: le corone
ποδὶ/ στείχων ἁγέο «padre di Damena, vincitore, proclamava anche il nome del sono equiparate ad ali, come in Pitica IX
ora con passo quieto/ tu procedendo gui- padre e la città di origine. - μελέταις: 125 πολλὰ δὲ πρόσθεν πτερὰ δέξατο
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
dami» (vedi p. 000); l’epinicio doveva es- cfr. Nemea VI 54 e Istmica V 28 μελέταν νίκας «prima aveva colto molte ali di vit-
sere intonato mentre il corteo si dirigeva δὲ σοφισταῖς/ Διὸς ἕκατι πρόσβαλον toria».
verso il santuario delle Cariti. - ἀείδων: σεβιζόμενοι «per volere di Zeus offriro-
T. 3 Quando Ierone vinse nel 470 a.C. con la quadriga a Delfi era all’apice della sua
Pitica I
potenza: Siracusa era la più potente città greca d’Occidente, anche in seguito
alla vittoria che aveva ottenuto due anni prima sui cartaginesi di Amilcare ad
Imera (a dire il vero, all’epoca il comandante supremo era Gelone, il fratello di
Ierone, a cui Ierone appunto succederà di lì a poco, dopo la sua morte).
Il piano di ripopolamento della Sicilia attraverso l’espulsione di antichi abitanti
e l’immissione di coloni dorici, soprattutto nelle ex colonie calcidesi, aveva por-
tato ad un grande numero di città governate secondo gli ordinamenti dorici e si
iscrive in questo quadro la fondazione di Etna (476-475), cui Ierone metteva a
capo, dopo Cromio, il figlio Dinomene.
È per questo che Ierone volle dare alla sua vittoria rinomanza, dando l’incarico
di celebrarla tanto a Pindaro, quanto a Bacchilide (è il suo Epinicio IV). Già
sei anni prima, per celebrare la vittoria olimpica con il corsiero, Ierone aveva
commissionato un carme a Pindaro (Olimpica I) e uno a Bacchilide (Epinicio V),
ma questa volta la destinazione dei due componimenti risulta diversa: il breve
carme di Bacchilide sarà stato eseguito a Delfi, subito dopo la vittoria, mentre
la monumentale ode pindarica si colloca nel quadro di una grandiosa cerimonia
pubblica ad Etna, scelta per magnificare le sorti della nuova fondazione e del suo
reggente Dinomene. A ciò Ierone assegnava grande importanza, tanto è vero che
[Prima triade] All’inizio dell’ode Pindaro non parla della cetra legno dalla gialla fiamma; e poi comincia il gemere e l’infuriare delle Naiadi,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
che egli stesso prende in mano (come in Olimpica I 18), né invoca che agitano la testa nella frenesia; poi si desta il lampo che tutto vince, fuoco
la Musa perché gli stia accanto; ma celebra con un inno alla cetra soffiando, e la lancia di Ares; e l’egida a difesa di Pallade risuona del sibilo di
«d’oro» (divina, celeste) nelle mani di Apollo, il dio della musica e mille serpenti. Rapida giunge Artemide, colei che solitaria dimora, la stirpe dei
nello stesso tempo dei giochi pitici, e il coro delle Muse sull’Olim- leoni nell’ estasi bacchica aggiogando... Bromio contempla rapito la danza delle
po. La rappresentazione corale che ora viene allestita è così ricon- donne e le orde delle fiere ...
dotta alla sua fonte originaria, alla «musica stessa», per dirla con
Platone; oppure, per restare nei termini usati da Pindaro, a quelle
potenze cui la cetra appartiene «di diritto». Il potere della cetra di Il testo del papiro (pubblicato nel 1919), confrontato con l’epini-
Apollo si manifesta nel fatto che le sue armonie rappacificano le cio precedente, conferma nel modo migliore la teoria di Friedrich
forze selvagge del mondo degli dèi: il fuoco del lampo si spegne e Nietzsche (pubblicata nel 1872) sulla doppia natura della musica
il dio della guerra depone la sua lancia e gode di un sonno tranquil- greca. Secondo Nietzsche un’unica arte, quella dionisiaca, con-
lo. D’altro genere e d’altro effetto è la musica dionisiaca, e si serve duce le energie vitali selvagge, e nello stesso tempo divine, ad
di strumenti diversi. Quando le sue sonorità eccitanti si levano nel uno scaricamento liberatorio: così, stando al ditirambo di Pindaro,
cielo, la folgore e la guerra con la sua lancia partecipano alla danza nella sfrenata festa di Dioniso anche la folgore di Zeus e la lancia
estatica. Pindaro ha descritto anche questo, in un ditirambo che un del dio «Guerra» (Ares) si scatenano in una danza selvaggia; ma
papiro ci ha restituito. Il contrasto con l’ode pitica è così istruttivo, nell’altro genere di musica, quello apollineo, il suono della cetra
che possiamo farne seguire i versi (fr. 70 b, 5 Snell): di Apollo spegne, secondo l’ode pitica di Pindaro, il fuoco eterno
della folgore, mentre Ares sprofonda in un sonno sereno e lascia in
… Sappiamo come i figli del cielo sotto lo scettro di Zeus (sull’Olimpo) celebri- riposo la lancia atroce, perché questa cetra «ammalia le armi e le
no la sacra festa di Bromio (Dioniso). Ha inizio col rullare dei tamburi per la anime degli dèi con l’arte del figlio di Latona e delle Muse». Che
Grande Madre (Cibele); e quindi scrosciano le nacchere e le fiaccole ardenti di qui, al termine dell’antistrofe, com’era avvenuto all’inizio, venga-
PINDARO 739
epodo I Ma tutti coloro che non son cari a Zeus sono turbati dalle voci
delle vergini Pieridi (le Muse), tutti, sulla terra e nel mare crudele,
e colui che giace nel deserto Tartaro, nemico degli dei,
Tifone dalle cento teste; lui che un tempo
crebbe in una caverna dei molti nomi, in Cilicia, ma a cui ora
le scogliere recinte di flutti innanzi a Cuma e l’isola di Sicilia gravano
sull’arruffato petto; un pilastro celeste lo opprime,
l’Etna coperto di bianco, che nutre
perenne la gelida neve;
no nuovamente nominati Apollo e le Muse, è indice, nello stile di Tifone aveva un tempo combattuto con Zeus per il dominio del
Pindaro, che la scena è ormai perfetta e conclusa. mondo. Zeus aveva abbattuto Tifone con la folgore, e sul nemico
Ad essa segue, secondo la genuina maniera arcaica, una contro- vinto aveva accatastato l’Etna e le Pitecuse (isole presso Cuma,
immagine. Quel che rallegra e placa gli esseri celesti, irrita ed oggi Ischia e Procida).
eccita i loro avversari. Secondo la leggenda un mostro di nome
epodo II nella gara delle quadrighe. A chi salpa sul mare la prima gioia è
quando all’inizio del viaggio una brezza favorevole giunge,
poiché ciò gli dà fiducia
che anche al termine un felice ritorno gli sia donato. In ugual senso
[Seconda triade] Da cosa la leggenda traesse origine, lo vedia- le Pitecuse, le «scogliere recinte di flutti innanzi a Cuma», aveva-
mo in Pindaro: si interpretavano i fenomeni vulcanici e i terremoti no potentemente manifestato la loro natura vulcanica. Il mito di
come il respiro infuocato e gli spasimi di un mostro infernale che Pindaro ha dunque in questo caso un significato attuale; ma nello
giaceva sotto la montagna e le isole. Un’eruzione dell’Etna era stesso tempo esso consente di trasferire il discorso alla città di Et-
avvenuta poco prima che Pindaro componesse la sua ode; e anche na. Il dio della montagna troneggia sul nemico vinto e torturato;
740 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
anche questa felice coincidenza porta con sé la speranza
che essa (la città di Etna) avrà in futuro gloria di corone e di cavalli
e acquisterà nome per i lieti suoni di festa.
Febo licio, signore di Delo,
cui anche la fonte Castalia sul Parnaso è cara,
possa il tuo volere appagare questo desiderio
e a questa terra di grandi uomini far dono!
e dall’immagine ammonitrice, nella funzione che essa assume per sull’Etna. La vittoria riportata da Ierone nei giochi pitici era un
coloro che «non sono amati da Zeus», nasce nel capovolgimento promettente inizio; e ora si invoca Apollo, che l’ha concessa, af-
una fervida preghiera a Zeus: «Possiamo noi trovare compiacenza finché doni alla città gloria e uomini eccellenti.
innanzi a te» – noi, e in particolare gli abitanti della nuova città
strofe III Ché dagli dei giungono le possibilità degli umani meriti (aretai),
sia che qualcuno abbia in dono la saggezza, sia la forza
delle braccia o il potere della parola. Quanto a me,
se ho intenzione di lodare
quell’uomo (Ierone), ho fiducia
che il mio giavellotto dalle guance di bronzo, se la mia
arte lo scaglia, non devii dalla traiettoria,
ma che io, lanciandolo lontano, superi gli avversari.
Possa a lui (Ierone) allo stesso modo ogni tempo futuro
concedere benedizione, godimento di beni e
oblio del dolore!
antistrofe III Possa egli ricordarsi di grandi battaglie in guerra, nelle quali
resisteva con animo tenace, al tempo in cui essi (Ierone e i suoi)
per volere degli dei trovarono onore
come non ne toccò l’uguale tra i Greci,
splendido coronamento di ricchezza. E ora e a lui, come Filottete,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
[Terza triade] Il nome «Ierone» è già comparso, ma quel che ora altri uomini, perché di fatto nessun greco può misurarsi, per po-
segue è innanzi tutto una devota massima sull’origine divina di tere e grandezza, con Ierone. Nella magnificazione del re viene
tutti i doni che toccano agli uomini, prima che il talento del po- ora inserita, com’è d’uso, un’espressione di «scongiuro»: «Pos-
eta si disponga a celebrare «quell’uomo» secondo il dovuto. Dal sa così restare per tutto il tempo a venire»; si dà quindi voce a
momento che Pindaro esegue questo lancio, il giavellotto «dalle speranze e preoccupazioni attuali: «e possa Ierone dimenticare le
guance di bronzo» della sua parola volerà più lontano, senza de- sue sofferenze! Possa ricordarsi di gloriose vittorie ottenute con
viare dalla verità, di quanto non possano altri aedi che celebrano il tenace perseverare. Anche ora egli deve fare appello a grande
PINDARO 741
debole nel passo per il corpo ferito; ma così era predestinato.
Come lui, possa il dio rinfrancare Ierone
nel tempo che si avvicina, e quel che desidera renderglielo facile.
O Musa, lascia che io ti preghi di levare la tua voce
anche di fronte a Dinomene, a compenso della vittoria
dei quattro cavalli;
pure di questi è gioia la corona che il padre suo porta.
Facci dunque trovare per il re di Etna
un canto d’amicizia,
fermezza, poiché è sceso nuovamente in campo, benché colpito da personale di Ierone. Possa toccare al re, come un tempo a Filottete,
una malattia. Come un tempo i più illustri principi greci davanti a guarigione e successo!».
Troia ottennero l’aiuto di Filottete ferito, perché senza di lui non Il poeta si rivolge ora al giovane Dinomene per esprimergli, in
potevano assolvere al loro compito, così ora uomini orgogliosi (al- quanto figlio del vincitore pitico e re di Etna, un augurio di felicità.
tri sovrani siciliani?) si sono visti costretti a chiedere l’intervento
antistrofe IV Zeus che tutto compi, fa’ che sempre in futuro lungo
l’acque dell’Amena (a Etna)
[Quarta triade] Pindaro celebra l’ordinamento statale dorico che dall’esterno. Questo augurio ci riconduce a Ierone, poiché questi
Ierone aveva imposto alla nuova comunità di Etna, e ricorda la aveva inflitto una sconfitta decisiva ai due più pericolosi nemici
creazione dello stato spartano in Laconia, modello per tutte le del suo regno. Nel 480 i «Fenici» (Cartaginesi), che tentavano di
costituzioni doriche. Il poeta spera nella pace tra i cittadini della estendersi verso oriente dalle loro colonie nella Sicilia occidentale,
recente e ben ordinata comunità, e prega che non vi siano attacchi furono battuti presso il fiume Imera da Ierone e da suo fratello
742 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
epodo IV dove essi soffrirono lutti, sconfitti dal duce siracusano
che la loro gioventù dalle rapide navi nel mare gettava,
la Grecia liberando da pesante schiavitù. Parlerei
di Salamina, se volessi meritare come ricompensa
la riconoscenza
degli Ateniesi; a Sparta parlerei della battaglia sul Citerone (Platea),
dove i Medi caddero, i guerrieri dall’arco ricurvo:
ma dalle sponde del mormorante
Imera io colgo la lode per i figli di Dinomene (Ierone e i suoi fratelli),
che essi per il loro valore (aretè) acquistarono
quando abbatterono i loro nemici.
Gelone (il loro padre si chiamava ugualmente Dinomene); e sei bare che volevano sottomettere la Grecia: Salamina (nel 480) e
anni più tardi, quattro prima della data di composizione dell’ode Platea (479). Il poeta forma in questo modo una sequenza di tre
di Pindaro, la flotta di Ierone aveva infranto, in una battaglia nei membri nella quale vengono ordinate, l’una dopo l’altra, le gesta
pressi di Cuma (vicino a Napoli), la supremazia dei «Tirreni» belliche degli Ateniesi, degli Spartani e dei Siracusani. Sequenze
(Etruschi) sul Mar Tirreno. Pindaro celebra prima la vittoria di come questa sono tipiche dello stile di Pindaro; la loro funzione è
Cuma; e quando decide di occuparsi di quella dell’Imera, si rifà di indicare che determinati valori superiori si corrispondono l’un
da lontano. Egli cita innanzitutto due altre battaglie dell’ultimo l’altro, ognuno nel suo specifico ambito di validità. Si è convenuto
decennio nelle quali, come nel caso precedente, i soldati greci di chiamare questa figura stilistica, in conformità con una figura
avevano respinto sul mare e in terra l’attacco di popolazioni bar- analoga che era popolare nel medioevo, Priamel.
antistrofe V Se anche solo una minima cosa non ti riesce, grande diventerà,
perché da te viene; su molti comandi, molti fidati testimoni
per cose di entrambe le specie si trovano.
Resta nella disposizione generosa che ti anima,
[Quinta triade] Ora Pindaro interrompe la lode delle gesta di Iero- viene in generale discusso il delicato rapporto tra un condottiero
ne perché un eccesso di esaltazione può produrre facilmente negli ambizioso e il suo popolo. Pindaro si rivolge ora al giovane re di
ascoltatori l’effetto di trasformare in malevolenza l’ammirazione Etna con un appello diretto, e con le parole ammonitrici: «Non ri-
per coloro che sono oggetto della lode stessa. Quando la superiore nunciare alla magnificenza!» risponde alla domanda inespressa se
grandezza di un principe si imprime con troppa forza (κόρος) nel- valga la pena esporsi alla solitaria altezza battuta dai freddi venti
la coscienza dei sudditi, risulta indebolito in ognuno lo slancio del- di una malevola invidia. Che gloria e invidia siano inseparabili,
le speranze personali, e nel silenzio l’invidia si deposita gravando Pindaro lo indica molto seriamente in altre odi: «La fortuna si
sugli animi. Secondo la maniera arcaica, lo sviluppo di pensiero conquista altrettanta invidia» (Pitica XI 29); «Su ogni uomo pesa
si è allontanato dall’occasione specifica che lo aveva suscitato; l’invidia della sua grandezza (aretè); ma la testa di chi non ha
di moderazione nel lodare, da qui in avanti, non si parla più, ma nulla è celata sotto un nero silenzio» (fr. 104 c, 8). O si è grandi
PINDARO 743
e se da te dipende godere a lungo di una fama gradita, non
limitare meschinamente le tue spese
entro confini angusti.
Come un marinaio, lasca la vela
affinché si riempia di vento. Non ti illuda, amico, l’acquisto
del momento: la gloria splendente
che dopo di noi resta
e gravati dal peso dell’invidia, o privi d’importanza e dimenticati ospitali», cioè gli onorari, dovuti al poeta), non è che un acquisto
già in vita. A partire da queste considerazioni, i circoli aristocratici momentaneo; alla lunga si dimostra una perdita, poiché implica
dell’epoca coniarono il proverbio di cui Pindaro fa qui uso: «Me- una rinuncia alla fama postuma. La parola del poeta e il canto
glio l’invidia che il compianto». Subito si pone però l’altra inevi- dell’aedo concedono alla natura dell’uomo una durata che va al
tabile domanda: «Come può comportarsi un re di fronte all’invidia di là della morte fisica. Come modello di indulgente magnanimità
che vorrebbe rovesciarlo?». In riposta, Pindaro fornisce quattro viene citato il re di Lidia Creso, e per contrasto gli viene posto
insegnamenti: «Sii giusto» (iustitia fundamentum regnorum); «di’ accanto il crudele tiranno Falaride. D’ora in poi Pindaro innalza
la verità»; «sii consapevole della tua posizione esposta anche nelle l’idea dell’ingresso nell’immortalità, il cui strumento è la poesia,
piccole cose»; e infine: «sii generoso». Sull’ultimo avvertimento ad immagine tangibile. All’inizio dell’ode abbiamo visto Apollo
Pindaro si sofferma più a lungo. Anche altrove ricorre in lui l’idea suonare la cetra d’oro; ora, alla fine, ci viene mostrato come nobili,
che un grande, se vuol smorzare l’invidia, deve principescamente delicati fanciulli (traspare qui, per Pindaro e il suo pubblico, una
dividere con altri la propria fortuna: un’ospitalità priva di barriere sfumatura erotica) trascorressero lietamente le loro ore suonando
è «acqua sul fumo di coloro che sono invidiosi della nobiltà»; con la cetra, e come essi accogliessero nella comunità evocata dalla
«fumo» si intende un’invidia che brucia senza fiamma, che non musica i grandi e buoni uomini del passato e li onorassero con
amico. Ed è appunto il motivo del «rifiuto» che genera la scelta dei miti che
occupano la prima parte dell’ode. Egli sarebbe venuto – afferma il poeta – se
avesse potuto recare a Ierone la buona salute: di qui il richiamo iniziale, nel
quadro di un’ipotesi irrealizzabile, a Chirone, il mitico centauro filantropo, e
di qui la rievocazione della vicenda di Asclepio, che Apollo miracolosamente
salva dal rogo su cui viene arsa la madre Coronide, ma che poi Zeus incene-
risce col fulmine per aver tentato di spingere la propria arte medica al punto
di resuscitare i morti. Esempio di ὕβρις punita, quello di Asclepio, così come
di ὕβρις si era macchiata la madre Coronide, che dopo essersi unita ad Apollo
non aveva atteso il tempo delle legittime nozze, ma si era congiunta, di na-
scosto al padre, a un uomo straniero.
1-7 Ἤθελον … ἀλκτῆρα νούσων: ... λαχνήεντας. - ἀνδρῶν φίλον: Chiro- tare (Asclepio) al termine» della gravi-
«Vorrei che Chirone figlio di Filira, se è op- ne anche altrove in Pindaro è presentato danza: per questo uso pregnante di τελέω
portuno innalzare una preghiera comune come maestro degli uomini: cfr. Pitica IV cfr. Euripide, Baccanti 99 s. ἔτεκεν δ᾽
con la nostra lingua, fosse in vita, lui or- 102 ss., Nemea III 53 ss. - οἷος ἐών [= ἁνίκα Μοῖραι/ τέλεσαν ταυρόκερων
mai defunto, figlio di Crono nato da Urano, ὤν]: cioè «tali essendo le sue qualità». - θεόν «lo generò, dio dalle corna di toro,
lui dal vasto regno, e (vorrei) che regnasse ἥμερον: «benevolo», questa accezione quando le Moire compirono il termine». -
nelle vallate del Pelio (monte della Tessa- – «gentle, kind» (Slater) – dell’agg. an- Ἐλειθυίᾳ: la dea protettrice del parto, il
glia), fiera silvestre che aveva una mente che in Nemea VIII 3 e Olimpica XIII 2. cui nome è attestato già su una tavoletta
amica agli uomini, quale essendo un tem- - τέκτονα: la medicina è sentita, al pari in Lineare B di Cnosso. - ματροπόλῳ:
po educò (θρέψεν = ἔθρεψεν) Asclepio, della poesia (cfr. v. 113), come attività (= μη-) è un hapax (da μήτηρ + *kwol-,
benevolo artefice di un sollievo dal dolore artigianale. - νωδυνίας: (νή + ὀδύνη) cfr. lat. colo). - Φλεγύα: = Φλεγύου: la
che rinvigorisce le membra, eroe stornato- forse neoconiazione pindarica sulla base genealogia segue Esiodo, fr. 60, 4 M.-W.
re di morbi (νούσων = νόσων) d’ogni sor- dell’agg. νώδυνος, usato in Nemea VIII Φλεγύαο διογνήτοιο θύγατρα; a sua
ta (παντοδαπᾶν = -πῶν)». - Ἤθελον 40, cfr. Teocrito XVII 63 νωδυνίαν ... volta Flegia è figlio di Ares ed eponimo
12-23 Ἁ δ᾽ ἀποφλαυρίξαισα ... ἀ- è capitato (πάθον = ἔπαθον). È gente vicenda di Coronide: cfr. fr. 60, 3 M.-
κράντοις ἐλπίσιν: «Ma ella, disprez- stoltissima fra gli uomini, chiunque di- W. Φοίβῳ ἀκερσεκόμῃ. - νυμφιδίαν:
zandola per uno smarrimento dell’animo, sprezzando ciò che è familiare (ἐπιχώρια conservato da Gentili contro il νυμφίαν
acconsentì a un’altra unione di nascosto “cose del luogo”) mira alle cose lontane, moscopuleo accolto da molti editori, va
al padre dopo essersi congiunta in pre- andando a caccia di vane illusioni con spe- considerato trisillabo per consonantiz-
cedenza a Febo dalla chioma intonsa e, ranze irrealizzabili». - ἀποφλαυρίξαισά zazione dello i di -δίαν. - ἅλικες οἷα
pur portando (φέροισα = φέρουσα) il νιν = ἀποφλαυρίξασα αὐτόν, sc. τὸν παρθένοι: οἷα è in libero riferimento
puro seme del dio, non attese che venis- χόλον, «l’ira» dei figli di Zeus: il verbo col maschile ὑμεναίων. - ὑποκουρί-
se la (il tempo della) mensa nuziale né il (da ἀπό + φλαῦρος) è di probabile conio ζεσθ(αι): «modulare» il verbo denota
canto degli imenei vari di suoni, quali le pindarico; ricompare in Erodoto I 86, 5. propriamente il rivolgere facezie e motti
compagne, le vergini coetanee (ἅλικες = - ἀμπλακίαισι: plurale generalizzante. scherzosi o lascivi nel corso dei canti in-
ἥλικες), amano (φιλέοισιν = φιλοῦσιν) - ἀκερσεκόμᾳ: (= -μῃ, ἀ- priv. + tema tonati dinanzi al talamo, appunto gli «epi-
modulare con canzoni vespertine; ma si verbale di κείρω + κόμη) epiteto ricor- talami». - τῶν ἀπεόντων: (= ἀπόντων);
innamorò di cose lontane, come (οἷα, rente per Apollo in Pindaro, ma usato il genere grammaticale però è ambiguo,
“quali sono le cose che”) a molti (altri) già da Esiodo proprio nell’ambito della potendo ἀπεόντων intendersi sia come
neutro, sullo stesso piano di τὰ πόρσω
al v. 22, sia come maschile, con plurale
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
straniero Ischi. - ἀμαιμακέτῳ: l’agget- allora Apollo disse (ἔειπεν = εἶπεν): “Non na nel punto in cui era stata inizialmente an-
tivo deriva da ἀ- intensivo e tema verbale più sopporterò (τλάσομαι = τλήσομαι) con ticipata (vv. 8 ss.), e con trapasso immediato
di μαιμάω «infurio» ma viene spesso sen- l’anima di lasciar perire (ὀλέσσαι = ὀλέσαι) si giunge a un tema, l’apprendimento della
tito dai poeti come equivalente di ἄμαχος. la mia prole di morte miserrima insieme con medicina da parte di Asclepio, anch’esso
- ἕτερος: lett. «altro», con accezione eu- la dura rovina della madre”. Così diceva, e al anticipato nella parte iniziale dell’ode (si
femistica negativa, come in Nemea VIII 3. - primo (cioè, con uno solo) passo raggiunto il confronti πόρε ... διδάξαι con θρέψεν 5).
πολλάν ... ὕλαν: (-λήν ... -λην), con studiata figlio lo strappò (ἅρπασε = ἥρπ-) al cadave- Altri casi di questo «metodo circolare» ri-
collocazione di aggettivo e nome ai margini re, e la pira bruciando divideva per lui la sua corda Bowra, 310 s.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
«congenite» per distinguerle dalle ferite mo». - σοφία: allude alla scienza: la bre- l’opposizione fra ciò che è «vicino», «a porta-
provocate dall’esterno. - θερινῷ πυρί: ve gnome funge da trapasso fra le due se- ta di mano», e ciò che è «lontano», «vietato».
forse, come già intendeva lo scoliaste, si quenze della storia di Asclepio. - χρυσὸς
allude alla febbre, πυρετός. - χειμῶνι: in- ἐν χερσὶν φανείς: l’oro che gli veniva 61-71 Μή, φίλα ψυχά ... θαυμαστὸς
teso dallo scolio come ῥιγοπύρετον, feb- offerto: c’è una quasi-personificazione del πατήρ: «No, anima mia, non ambire a una
bre con brividi. - μαλακαῖς ἐπαοιδαῖς: metallo, posto in primo piano come agen- vita immortale, ma sfrutta le risorse prati-
questo aspetto magico della medicina ar- te principale della vicenda. - ἀγάνορι (= cabili. Ma se ancora il savio Chirone abitas-
caica è documentato in Odissea XIX 457 ἀγήνορι) μισθῷ: cfr. Pitica X 18 ἀγάνορα se il suo antro (cfr. vv. 1-4) e se i nostri
s. ἐπαοιδῇ δ᾽ αἷμα κελαινόν/ ἔσχεθον «e πλοῦτον. - ἁλωκότα = ἑαλωκότα (ἁλί- (ἁμέτεροι = ἡμ-) canti dalla voce di miele a
fermarono il nero sangue col canto magico», σκομαι): ἐκ θανάτου si lega senz’altro a lui (οἱ = αὐτῷ) potessero produrre nell’ani-
prepara la via per tornare all’attualità e al Aretusa, rievocata anche nell’esordio del- Qui termina la sequenza di tipo ipotetico,
proprio rapporto col committente. L’invito la Nemea I. - πραΰς … οὐ φθονέων … tanto più enfatica quanto meno realistica.
è di non aspirare a una vita immortale, co- θαυμαστὸς πατήρ: riecheggiamento del-
me colui che aveva offerto l’oro ad Ascle- la propaganda del regime di Ierone, testo a 77-83 Ἀλλ᾽ ἐπεύξασθαι ... τρέψα-
pio. - ἄντλει: il verbo ἀντλέω denota legittimare il proprio ruolo di tyrannos. ντες ἔξω: «Ma io voglio pregare la Madre,
propriamente l’azione di svuotare l’acqua la dea veneranda che (τάν = τήν, relativo)
della sentina. - ἔμπρακτον μαχανάν: (= 72-76 Τῷ μέν ... περάσαις: «Se fos- presso il mio vestibolo spesso (θαμά) insie-
μηχανήν), «le vie del possibile» (Gentili): si venuto recando a lui (τῷ = αὐτῷ) un me con Pan vergini celebrano di notte con
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
per l’uso del sostantivo, o di suoi derivati, duplice favore, l’aurea salute e un coro, le danze. Ma se tu, o Ierone, sai (ἐπίστᾳ
in relazione all’attività poetica cfr. Nemea gloria (αἴγλαν = -λην «splendore») per = ἐπίστασαι) intendere (συνέμεν [=
VII 22, Istmica IV 2, Peana VIIb, 15-17. - le corone degli agoni pitici che (τούς, re- συνιέναι] μανθάνων, «comprendere ri-
μελιγάρυες (= -γήρυες) ὕμνοι: il nesso lativo) primeggiando Ferenico un giorno conoscendo») il giusto senso (κορυφάν
è quasi formulare in Pindaro, cfr. Olimpica a Cirra vinse (ἕλεν = εἷλεν), sarei venuto [= -φήν], «la cima», «la somma») delle
XI 4 e Istmica II 3, e per μελίγαρυς cfr. (ἐξικόμαν κε = -μην ἄν), io lo dichiaro mie parole precedenti (λόγων ... προτέ-
anche Nemea III s. μελιγαρύων ... κώμων (φαμί = φημί, incidentale), come luce più ρων), allora tu sai (questo): per ciascun
e Peana V 47 σὺν μελιγάρυι ... ὀμφᾷ. - brillante da lontano di un astro nel cielo, bene (ἐσλόν = ἐσθλόν) gli immortali as-
τίθεν: III pl. dell’impf. = ἐτίθεσαν. - κεν varcando (περάσαις = περάσας) il mare segnano (δαίνονται «distribuiscono») ai
… πίθον = ἄν ... ἔπιθον, ma col valore profondo». - ὑγίειαν … χρυσέαν: Pin- mortali due (σύνδυο «due insieme», «una
transitivo normalmente proprio dell’aor. I. daro mostra una speciale predilezione per coppia di») disgrazie. Perciò (ὦν = οὖν)
- πατέρος: sott: υἱόν, «chiamato (κεκλη- l’oro, e «aureo» viene spesso usato da lui non gli stolti ma i valenti le (τὰ μέν, sc.
μένον) figlio del padre (Zeus)» la perifrasi nel senso di «magnifico», «splendido», cfr. τὰ πήματα) sanno sopportare con dignità
indica Apollo, figlio di Zeus, che è padre Olimpica I 41; VIII 51; XI 13; Pitica IV 4 (κόσμῳ, dat. di modo), mettendo in mostra
per antonomasia. - κεν … μόλον = ἄν ... ecc. - κῶμον: il corteo festivo che celebra le cose belle». - Ματρί = Μητρί: la Gran-
ἔμολον: dunque il poeta non è venuto, e la vittoria. - Φερένικος: il destriero prefe- de Madre degli dèi identificata già dal VII
l’ode sembra pertanto appartenere al ge- rito da Ierone: cfr. Olimpica I 18. - Κίρρᾳ: sec. a.C. dai Greci d’Asia minore con la fri-
nere degli ἀποστολικά, «carmi inviati», le corse equestri si svolgevano, per i giochi gia Cibele, a sua volta assimilata nel V sec.
al pari di Pitica II, Istmica II e Nemea III. pitici, nell’ippodromo della piana di Crisa, sia con Rea, specialmente nel culto, sia, nel
- Ἀρέθοισαν = Ἀρέθουσαν, cioè all’iso- presso il borgo di Cirra, al di sotto del diru- mito, con Demetra. - παρ᾽ ἐμὸν πρόθυ-
la siracusana di Ortigia, sede della fonte po del Parnaso dove sorgeva Delfi. ρον: dunque in una zona di Tebe prossi-
PINDARO 751
Πανὶ μέλπονται θαμά
σεμνὰν θεὸν ἐννύχιαι.
80 Εἰ δὲ λόγων συνέμεν κορυφάν, Ἱέρων,
ὀρθὰν ἐπίστᾳ, μανθάνων οἶσθα προτέρων
ἓν παρ’ ἐσλὸν πήματα σύνδυο δαίονται βροτοῖς
ἀθάνατοι. Τὰ μὲν ὦν
οὐ δύνανται νήπιοι κόσμῳ φέρειν,
ἀλλ’ ἀγαθοί, τὰ καλὰ τρέψαντες ἔξω.
ma alla casa del poeta. - σὺν Πανί: il dio κοῦραι: ninfe o Cariti, come nel citato fr. propiziazione della Madre; la notizia dello
arcadico che funge da paredro della Grande 95, o comunque figure del corteggio di Pan, scolio 137b secondo cui Pindaro, dopo aver
Madre e quindi è con lei oggetto di culto. - qui viste impegnate in un’azione cultuale di visto in sogno la Grande Madre, avrebbe
edificato un tempietto in onore di lei e di
Pan, e parimenti l’ipotesi che identificava
queste κοῦραι, in alternativa alle ninfe, con
Per saperne di più le figlie del poeta Protomaca ed Eumetide,
fanno parte della «leggenda» pindarica. - τὰ
καλὰ τρέψαντες ἔξω: lett.: «volgendo
Le nozze di Peleo e di Teti in Pindaro e la sorte della verso l’esterno»; forse l’immagine è tratta
figlia di Cadmo dai mantelli, che possono essere «rovescia-
ti» quando una faccia comincia a sporcarsi.
Una rievocazione rituale probabilmente connessa alle nozze di Peleo e di Teti era nel In questa antistrofe l’ἀλλά iniziale segna un
*Peana XV, il cui esordio [vv. 1-8] può essere così ricostruito: forte stacco fra tutta la sezione precedente e
Τῷδ’ ἐν ἄματι τερπνῷ In questo giorno gioioso la nuova sezione, dedicata non più a ipote-
ἵπποι μὲν ἀθάναται le cavalle immortali si irrealizzabili ma a un desiderio possibile:
cfr. ἐπεύξασθαι ... ἐθέλω 77 con ἤθελον
Ποσειδᾶνος ἄγοντ’ Αἰακ[ίδα Θέτιν, di Posidone conducono al figlio ... κε ... εὔξασθαι 1 s. Inoltre, insisten-
édi Eaco Teti, do sulla propria intenzione di celebrare un
Νηρεὺς δ’ ὁ γέρων ἕπετα[ι· e segue il vecchio Nereo; culto tebano in onore di Cibele e Pan (pre-
πατὴρ δὲ Κρονίων μολ[οῦσιν e il padre Cronide, sumibilmente componendo un carme che
accompagnasse l’esecuzione delle danze
πρὸς ὄμμα βαλὼν χερὶ [δείκνυσιν lanciando il suo sguardo a coloro che
orgiastiche destinate a propiziare la guari-
[arrivano, gione di Ierone) anziché varcare il mare per
τράπεζαν θεῶν ἐπ’ ἀμβ[ροσίαν indica loro la mensa immortale degli venire a Siracusa, Pindaro recupera il moti-
[dèi … vo dell’opposizione fra vicino (accessibile)
e lontano (irrealizzabile), e a questa tematica
La sorte delle figlie di Cadmo, connessa al tema dell’alternanza delle fortune umane, viene associata una considerazione pessimi-
- Λαγέταν: da λαός e ἄγω, è parola ra- nia 916 Μοῦσαι χρυσάμπυκες. - ἐν ὄρει: smo implicito con l’ἔστασε ὀρθούς del v.
ra, usata altrove da Pindaro per fondato- si tratta del monte Pelio in Tessaglia, sede 53, che qualificava le cure somministrate
ri mitici di città o di dinastie – Olimpica delle nozze di Peleo con Teti. - γᾶμεν = da Asclepio. - ἐρήμωσαν: «resero solo», il
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
I 89; Pitica IV 107 e X 31 – ma attestata ἔγημεν: sulle nozze fra Cadmo e Armonia, verbo è costruito col doppio accusativo, co-
già in miceneo nella forma rawaketa: «si cfr. Ditirambo II 27 ss. - βοῶπιν: epiteto me ἀφαιρέομαι. - Θυώνᾳ: nome rituale di
direbbe che il poeta innalzi a dignità eroi- tradizionale di Hera. Semele, madre di Dioniso, la quarta figlia
ca Ierone, che con la fondazione di Etna di Cadmo, connesso con θύω «infurio»,
avrebbe ottenuto per il figlio un regno (cfr. 93-99 καὶ θεοὶ ... Θυώνᾳ: «E gli dèi dunque la Baccante.
Pitica I 60) e per sé gli onori di un eroe» banchettarono presso entrambi, ed essi vi-
(B. Gentili). - τύραννον: il termine, usato dero (ἴδον = εἶδον) i sovrani figli di Crono 100-107 Τοῦ δὲ παῖς ... ἕπηται: «Il
da Pindaro solo qui e probabilmente in fr. (Zeus, Posidone, ecc.) sui seggi d’oro e ne figlio (Achille) dell’altro, quello che unico
169, 35 ]τυρανν[, è evidentemente privo di ricevettero i doni nuziali; e grazie (χάριν, aveva partorito a Ftia Teti immortale, aven-
connotazioni negative, come spesso anche con funzione di preposizione causale) a do lasciato (ἀπό ... λιπών, tmesi) la vita
nella tragedia. - εἴ τιν᾽ ἀνθρώπων: tipica Zeus dopo essere sfuggiti ai precedenti tra- (ψυχάν = -χήν) in guerra per le frecce (di
formula encomiastica: cfr. ad es. Bacchili- vagli risollevarono il cuore. Poi però, col tem- Paride), suscitò il cordoglio dei Danai arso
de 5, 4 s. τῶν γε νῦν/ αἴ τις ἐπιχθονίων po, l’uno (Cadmo) le tre figlie (Ino, Agave, dal rogo. Ma se un mortale possiede con la
«se mai qualcun altro fra gli uomini di og- Autonoe) lo privarono per acute sventure sua mente la via della verità, deve godere
gi ». - Κάδμῳ: il fondatore di Tebe: Pe- di una parte di letizia, ma Zeus padre venne della sua fortuna quando ha successo per
leo a Cadmo sono citati in coppia anche in (ἤλυθεν = ἦλθεν) al letto amabile di Tiona volere degli dèi. Ma i soffi dei venti che vo-
Olimpica II 78 Πηλεύς τε καὶ Κάδμος ἐν dalle candide braccia». - ἐκ προτέρων … lano in alto (spirano) con alterne direzioni.
τοῖσιν (fra coloro che abitano le Isole dei καμάτων: fa riferimento, in particolare, La prosperità degli uomini non dura a lungo,
Beati) ἀλέγονται. - χρυσαμπύκων … al fatto che sia Cadmo che Peleo patirono (almeno) quella che ci accompagni col suo
Μοισᾶν: «le Muse dall’aureo diadema», l’esilio. - ἔστασαν ὀρθάν = ἔστησαν pieno peso abbondante (πολύς) e con corso
espressione già presente in Esiodo, Teogo- ὀρθήν, «posero diritto»: c’è un paralleli- propizio (εὖ)». - Τοῦ δέ: in antitesi a τὸν
PINDARO 753
ἐκ Δαναῶν γόον. Εἰ δὲ νόῳ τις ἔχει
θνατῶν ἀλαθείας ὁδόν, χρὴ πρὸς μακάρων
τυγχάνοντ’ εὖ πασχέμεν. Ἄλλοτε δ’ ἀλλοῖαι πνοαί
105 ὑψιπετᾶν ἀνέμων.
Ὄλβος {δ’} οὐκ ἐς μακρὸν ἀνδρῶν ἔρχεται
ὃς πολὺς εὖ τ’ ἂν ἐπιβρίσαις ἕπηται.
μέν del v. 97. - τυγχάνοντ’(α): acc. ma- ἐπιβρίσαις = -σας (ἐπιβρίθω) «cadendo χανάν. - ἁβρόν: per questa accezione cfr.
schile riferito a τινά ricavabile dal τίς di v. pesantemente»: probabilmente nella scelta Istmica 1, 50 κῦδος ἁβρόν. - εὑρέσθαι
103; per τυγχάνω col valore di εὐτυχέω del verbo ha giocato l’intenzione di prose- κεν (= ἄν), apodosi del periodo ipotetico
cfr. Nemea VII 11 εἰ δὲ τύχῃ τις ἔρδων guire la metafora del vento, cfr. Teofrasto, della possibilità. - πρόσω: è ripreso, ma
e 55. - πρὸς μακάρων … εὖ πασχέμεν de ventis 34, Quinto Smirneo ΙΙΙ 225 s. con segno positivo, il motivo toccato al v.
= εὖ πάσχειν: la sentenza rielabora spun- 22 con παπταίνει τὰ πρόσω. - φάτις:
ti già affacciatisi nell’ode – cfr. vv. 59 s. 107-115 Σμικρός ... εὐμαρές: «Sarò «figure mitiche» (Pontani); φάτῑς è acc.
e 82 s. – sull’opportunità di sfruttare le (ἔσσομαι = ἔσομαι) piccolo (umile) nel pl. - κελαδεννῶν: epiteto delle Cariti
occasioni e le fortune a portata di mano. piccolo (quando le mie fortune sono mo- in Pitica IX 89. - ἅρμοσαν = ἥρμοσαν
- ὑψιπετᾶν = -τῶν: Pindaro trasferisce deste), grande nel grande e onorerò il de- (ἁρμόζω «adatto», «connetto»): la poesia
ai venti un epiteto che ricorre altrove per mone che mi protegge ogni volta nell’animo si configura come «messa in ordine», di-
l’aquila, cfr. Iliade XII 201 αἰετὸς ὑψι- servendolo secondo le mie risorse. Ma se un sposizione delle parti, e, impiegando il ter-
πέτης e Sofocle, fr. 476, 1 Radt γενοίμαν dio mi porgesse fastosa ricchezza, spero di mine τέκτων già usato al v. 6 a proposito
αἰετὸς ὑψιπέτας. La metafora dei venti, trovare gloria eccelsa in futuro. Conosciamo di Asclepio e della sua arte medica, Pin-
per sottolineare l’instabilità della condi- Nestore e il licio Sarpedone, nomi famosi daro istituisce un implicito confronto fra
zione umana, è ricorrente in Pindaro: cfr. fra gli uomini, grazie ai versi melodiosi che medicina e poesia (per τέκτων in ambito
ad es. Olimpica VII 94 s. ἐν δὲ μιᾷ μοίρᾳ artefici esperti composero, ché la virtù du- di mousiké cfr. Nemea III 4 s. μελιγαρύων
sioni irrealizzabili» (v. 23); analogamente, la pretesa di Asclepio di 114) dai poeti, valgono ben più – in quanto datori di immortalità
resuscitare i morti suggerisce la massima per cui dobbiamo cercare – dei mezzi propri della medicina (e anche qui il contrasto è sot-
ciò che è πὰρ ποδός, consapevoli del nostro destino di uomini (vv. tolineato dal ricorrere di una parola-chiave, τέκτων «artigiano»).
59 s.). Si tratta di un omogeneo complesso tematico che permette Una posizione, quella di Pindaro, che lo pone sulla linea della sag-
a Pindaro di annodare la parte mitica al successivo encomio con- gezza delfica del «conosci te stesso (i tuoi limiti)», cfr. in partico-
solatorio, al cui interno risuonano accenti analoghi: ogni bene è lare v. 60 γνόντα τὸ πὰρ ποδός, οἵας εἰμὲν αἴσας: di qui egli
compensato da due mali (v. 81); occorre sfruttare e ostentare solo deriva il sostanziale rifiuto di una via razionalistica nell’impostare
τὰ καλά (v. 83), perché la fortuna, quanto più è prospera, tanto il tema della condizione umana. Un’amplificazione della gnomica
meno è duratura (v. 106). E la morale indirizzata al committente tradizione piuttosto che un autentico interesse verso la pratica me-
viene applicata dal poeta anche a se stesso: egli sfrutterà fino in dica (della quale tuttavia i vv. 47 ss. offrono un suggestivo quadro
fondo i propri mezzi (si osservi il ricorrere di μαχανά al v. 62 e al v. documentario) nel momento in cui essa già tendeva ad affrancarsi
109), ma tali mezzi, le parole melodiose strutturate (cfr. ἅρμοσαν dalla magia e dalla superstizione.
T. 5 Nemea III L’ode, composta in onore del giovane pancratiaste Aristoclide dell’isola di Egina, si
(1-19) apre con la preghiera alla Musa perché si rechi a Egina, nella patria del vincitore, dove
– nella piazza detta «dei Mirmidoni», a ricordo dei più antichi colonizzatori dell’isola
– i giovani egineti che compongono il κῶμος, che proprio ora hanno cominciato a
intonare il canto, sono in attesa della sua voce presso la fontana Asopide («presso
l’acqua/ dell’Asopo ti aspettano giovinetti artefici/ di dolci canzoni trionfali»).
Come nel partenio di Alcmane per Astimelusa, il carme presente è immaginato come
un dono che i coreuti ancora agognano di ricevere dalla Musa: rispetto a questo rap-
porto Musa/coreuti il poeta si configura come un mediatore, in quanto la dea è sup-
plicata di accordare copia di canto tramite l’arte del poeta («tu offrine copioso dalla
mia arte»). Inoltre, precisamente come nel caso dell’Olimpica VI, ciò che propria-
mente alla Musa viene chiesto è di dare avvio («intona» ἄρχε 10) non a un epinicio,
ma a un inno per una divinità, in questo caso Zeus (il «re del nubilo cielo»): sarà poi
compito del poeta «combinare» (κοινάσομαι 12) questo inno alle voci delicate dei
coreuti («delicate» perché si tratta di un gruppo costituito da adolescenti) e alla lira
che le deve accompagnare (e di fatto già le sta accompagnando).
Dossier
Bacchilide
T. 1 Epinicio V, Meleagro narra la celebre vicenda della caccia al cinghiale calidonio a Eracle, che
vv. 124-162 lo ha incontrato, nella sua discesa nell’Ade. Dopo la conquista del cinghiale che
infestava la sua patria Calidone, Meleagro aveva ucciso involontariamente, nel
corso della contesa con i Cureti per il possesso delle spoglie dell’animale, due
fratelli di sua madre Altea; allora costei, per vendicarsi, getta nel fuoco il tizzone
a cui è legata la vita del figlio.
T. 2 Epinicio III, Con non diversa maniera artistica rispetto al precedente racconto di Meleagro,
vv. 23-62 Bacchilide si cimenta anche nel suo più audace esperimento narrativo, la sce-
neggiatura di una vicenda legata a personaggi storicamente esistiti, con la rie-
vocazione del miracoloso salvataggio del re di Lidia Creso, insieme con la sposa
e le figlie, dal rogo su cui stava per ardere dopo la conquista di Sardi ad opera
di Ciro:
T. 3 Nel carme XVII, il ditirambo cui il papiro attribuisce il titolo I giovani o Teseo,
Carme XVII
Teseo e Minosse sono sulla nave che trasporta a Creta i sette giovani e le set-
te fanciulle da dare in pasto all’orrendo Minotauro. Una libertà che Minosse si
prende con una delle fanciulle innesca la contesa con Teseo: i due si sfidano ad
esibire le rispettive paternità divine.
Su richiesta di Minosse, Zeus fa balenare per il figlio la folgore nel cielo sereno,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
mentre Teseo recupera l’anello gettato in mare dall’avversario dopo una lunga
immersione negli abissi marini, dimostrando così la protezione del padre Posi-
done.
Il riferimento finale al coro dei Cei chiarisce la cornice culturale, rappresentata
dalle feste apollinee di Delo, luogo dove il mito voleva che Teseo avesse sosta-
to dopo avere salvato i giovinetti e ucciso il Minotauro. A ricordo dell’impresa
avvenivano, durante le Delie, esecuzioni corali e danze di fanciulli in onore di
Apollo.
Metro: come l’Olimpica II di Pindaro, questo carme appare costruito per cola fondamentalmente
giambici ma con inclusioni di altre componenti (ad es. di tipo docmiaco e trocaico); il gioco
delle soluzioni rende un’interpretazione univoca estremamente problematica, se non alea-
toria.
Fonte: P. British Museum 46; P. Oxy. 1091 (vv. 47-78, 91 s.).
BACCHILIDE 761
strofe I Κυανόπρῳρα μὲν ναῦς μενέκτυ[πον
Θησέα δὶς ἑπτ[ά] τ’ ἀγλαοὺς ἄγουσα
κούρους Ἰαόνω[ν
Κρητικὸν τάμνε{ν} πέλαγος·
5 τηλαυγέϊ γὰρ [ἐν] φάρεϊ
βορήϊαι πίτνο[ν] αὖραι
κλυτᾶς ἕκατι π [ε]λεμαίγιδος Ἀθάν[ας·
κνίσεν τε Μίνωϊ κέαρ
ἱμεράμπυκος θεᾶς
10 Κύπριδος [ἁ]γν̣ὰ δῶρα·
χεῖρα δ’ οὐ[κέτι] παρθενικᾶς
ἄτερθ’ ἐράτ υ εν, θίγεν
δὲ λευκᾶν παρηΐδων·
βόασ έ τ’ Ἐρίβοια χαλκο-
1-7 Il componimento si apre con l’immagi- to con le vele nere, promettendo al padre punsero a Minosse il cuore i doni veneran-
ne sinistra della prua scura della nave che, Egeo di sostituirle con vele bianche in di di Cipride, la dea dal diadema seducente,
sospinta dal vento del Nord, solca veloce il caso di successo: la dimenticanza del noc- e non più riusciva a trattenere (ἐράτυεν =
mare alla volta di Creta, con a bordo Te- chiero avrebbe poi provocato il suicidio di ἐρήτυεν, l’impf. è attestato sempre senza
seo e i quattordici giovani ateniesi destina- Egeo. - π̣[ε]λεμαίγιδος: «che brandisce aumento) la mano lontano da una vergine,
ti alle fauci del Minotauro. Con effetto di l’egida», la terrificante protezione fran- e ne toccò (θίγεν = ἔθιγεν, da θιγγάνω) le
forte contrasto coloristico, allo scuro della giata, posta sullo scudo, con l’emblema candide (λευκᾶν = λευκῶν) gote: ed Eri-
nave è accostato il bianco della vela, che della Gorgone; l’epiteto (cfr. πελαμίζω e bea gridò invocando il discendente di Pan-
«risplende da lontano», con una correzio- αἰγίς), integrato da Wackernagel e Hou- dione dalla corazza di bronzo». - κνίσεν =
ne ottimistica confermata immediatamente sman, è un hapax che presuppone l’ome- ἔκνισεν (κνίζω): il verbo ha qui connota-
dopo dalla provvidenziale presenza di Ate- rico σακέσπαλος, e cfr. Pindaro, *Peana zione erotica come in Euripide, Medea 568,
na (v. 7), che garantisce assistenza a Teseo XIII(a), 13 θυιαίγιδ(α), Ps.-Esiodo, Scudo Erodoto VI 62, ecc.; si noti il passaggio
e ai giovani che sono in sua compagnia. 343 s. Ἀθήνη/ αἰγίδ᾽ ἀνασσείσασα, ecc. dagli imperfetti – τάμνε, πίτνον – all’ao-
risto per introdurre la narrazione dell’epi-
1-7 Κυανόρῳρα μέν … Ἀθάν[ας: 8-16 La potenza irresistibile di Afrodite sodio. - ἱμεράμπυκος: hapax ispirato alla
«La nave dalla prua cerulea solcava (τάμνε spinge però Minosse a toccare le candide benda di Afrodite, che suscita incoercibile
= ἔτεμνε) il mare cretico portando l’intre- guance di una vergine ateniese, di nome desiderio (ἄμπυξ è la benda o diadema
pido Teseo e i due volte sette splendidi figli Eribea, che si ribella all’oltraggio gridan- per trattenere i capelli). - παρθενικᾶς =
degli Ioni: infatti i soffi di Borea cadevano do e sollecitando l’intervento di Teseo. παρθενικῆς = παρθένου, cfr. nota ad Alc-
(πίτνον = ἔπιτνον, ἔπιπτον) sulla ve- mane 3, 72, p. 000. - βόασε = ἐβόησε: per
Pindaro, Pitica VI 36 βόασε παῖδα ὅν, mente è graffiata dal terrore» e 161 καί (Ὅ τι, compl. oggetto di κατένευσε e di
Teocrito XVII 60 Εἰλείθυιαν ἐβώσατο. με καρδίαν ἀμύσσει φροντίς «e un pen- ῥέπει) l’onnipossente destino voluto dagli
- Π]ανδίονος: Egeo, il padre putativo di siero mi lacera il cuore». - εἶρεν: forma dèi per noi (ἄμμι, eolismo = ἡμῖν) abbia
Teseo, era figlio di Pandione, ottavo re di d’impf. di εἴρω usata da Omero solo alla disposto e la bilancia di Dike sancisca noi lo
Atene nella serie mitica, nipote di Eretteo I persona; cfr. v. 74. - ὄσιον: predicativo; adempiremo come sorte destinata, allorché
e figlio e successore del secondo Cecrope. propr. ὅσιος indica ciò che è sancito dalla giunga, ma tu frena (κάτεχε, che ripren-
- χαλκοθώρα[κα: l’epiteto ricorre anche legge divina. - κυβερνᾷς φρενῶν: per la de ἴσχε del v. 23) il grave proposito. Se da
nello stesso Bacchilide in XI 123 e poi in metafora cfr. Pindaro, fr. 214, 3 s. Ἐλπίς, una parte (καί, correlativo a καί di v. 33) la
Sofocle, Aiace 179. ἃ μάλιστα θνατῶν πολύστροφον γνώ-/ nobile figlia di Fenice (Europa) dall’amabile
μαν κυβερνᾷ «la Speranza, che governa la nome (ἐρατώνυμος, hapax), unitasi nel ta-
16-23 Mosso da sdegno istintivo, con un’ir- mente degli uomini più di ogni altra cosa», lamo a Zeus sotto la vetta dell’Ida (cretese),
ruenza e un senso di giustizia tipici del suo Eschilo, Persiani 767, Agamennone 802. - generò (τέκεν = ἔτεκεν) te fortissimo fra
carattere eroico, Teseo interviene a difesa μεγάλαυχον: correzione di Kenyon per i mortali, d’altra parte (ἀλλὰ καί) la figlia
della giovane che sta subendo sopruso, ri- μεγαλοῦχον del papiro: lo stesso nesso del ricco Pitteo (Etra) generò me, essendosi
chiamando Minosse all’autocontrollo (la con βίαν in Filico, Inno a Demetra 28 μεγ] unita al marino Posidone, e le Nereidi dai
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
metafora marinaresca che egli utilizza avrà άλαυχόν τε Βίαν, e cfr. anche Pindaro, Pi- capelli di viola le (οἱ = αὐτῇ) donarono un
ampia fortuna, soprattutto in ambito tragico). tica VIII, 15 βία δὲ μεγάλαυχον ἔσφαλεν aureo velo. Pertanto, condottiero dei Cno-
ἐν χρόνῳ «col tempo la forza fa cadere an- sii (di Cnosso, cretesi), ti esorto a frenare
16-23 βόασέ τ᾽ Ἐρίβοια … ἥρως che chi è arrogante», Eschilo, Persiani 532 (ἐρύκεν = ἐρύκειν) l’arroganza foriera di
βίαν: «e Teseo vide, e roteò torvo (μέλαν, s. Περσῶν/ τῶν μεγαλαύχων. molti gemiti: infatti io non vorrei (più) vede-
predicativo) l’occhio sotto i sopraccigli, e re l’amabile luce divina dell’Aurora (Ἀοῦς =
cruda pena gli (οἱ = αὐτῷ) graffiò il cuo- 24-46 Teseo intima a Minosse di placare Ἠοῦς) qualora tu forzassi contro il suo vole-
re, e diceva: “Figlio di Zeus eccelso, non l’animo, rispettando i principi di giustizia re (ἀέκοντα = ἄκοντα) qualcuno dei gio-
più secondo giustizia tu piloti l’animo en- determinati dal fato. L’eroe ateniese esalta vani: prima (che ciò avvenga) mostreremo
tro il tuo (τεᾶν = σῶν) cuore: frena, eroe, poi le proprie origini divine, quasi a sfida la forza delle mani, e la divinità giudicherà
l’arrogante violenza». - ἴδεν = εἶδεν, in con il re cretese: Teseo aveva infatti come l’esito”». - παγκρατής: epiteto di divi-
posizione simmetrica rispetto a βόασε padre Poseidone, il dio del mare, unitosi nità, specialmente di Zeus, frequente nei
14. - δίνασεν = ἐδίνησεν, riferito al a Etra (la «figlia del ricco Pitteo»), men- poeti tragici. - ἐκ θεῶν μοῖρα: cfr. Odis-
movimento degli occhi, cfr. Iliade XVII tre Minosse faceva risalire i propri natali sea III 269 μοῖρα θεῶν e XI 292 θεοῦ ...
680, Pindaro, Peana XX 13, Euripide, nientemeno che all’unione di Zeus con Eu- Μοῖρα. - ῥέπει: «abbassa», «inclina», cfr.
Oreste 1458 δίνασεν ὄμμα. - ἄμυξεν = ropa (la «nobile figlia di Fenice»). Postosi Eschilo, Agamennone 250 s. Δίκα δὲ τοῖς
ἤμυξεν «graffiò» (ἀμύσσω): la metafora sullo stesso piano del suo interlocutore, μὲν παθοῦ-/ σιν μαθεῖν ἐπιρρέπει, «la
sembra modellata su Iliade I 243 σὺ δ᾽ Teseo dichiara di non essere disposto a tol- Giustizia a chi ha sofferto offre come con-
ἔνδοθι θυμὸν ἀμύξεις «tu ti roderai den- lerare soprusi nei confronti dei più deboli. trappeso l’apprendimento». - κρόταφον:
tro l’animo» e viene ripresa da Eschilo, «tempia», cfr. Eschilo, Prometeo 721
Persiani 116 φρὴν ἀμύσσεται φόβῳ «la 24-46 Ὅ τι μ[έ]ν ... κρινεῖ: «Ciò che κροτάφων ὑπ᾽ αὐτῶν (del Caucaso). -
BACCHILIDE 763
μιγεῖσα Φοίνικος ἐρα-
τώνυμος κόρα βροτῶν
φέρτα τ ον, ἀλλὰ κἀμὲ
Πιτθ[έ]ος θυγάτηρ ἀφνεοῦ
35 πλαθεῖσα ποντίῳ τέκεν
Ποσειδᾶνι, χρύσεόν
τέ οἱ δόσαν ἰόπλοκοι κά-
λυμμα Νηρηΐδες.
Τῶ σε, πολέμαρχε Κνωσίων,
40 κέλομαι πολύστονον
ἐρύκεν ὕβριν· οὐ γὰρ ἂν θέλοι-
μ’ ἀμβρότον ἐραννὸν Ἀο[ῦς]
ἰδεῖν φάος, ἐπεί τιν’ ἠϊθέ[ων]
σὺ δαμάσειας ἀέκον-
45 τα· πρόσθε χειρῶν βίαν
δε[ί]ξομεν· τὰ δ’ ἐπιόντα δα[ίμω]ν κρινεῖ».
πλαθεῖσα: da πλάθω = πελασθεῖσα da già nota a Omero e riconosciuta dai gram- valleresche. - τά ... ἐπιόντα: (ἔπειμι), «le
πελάζω «avvicinarsi»: è verbo eufemisti- matici antichi, ad es. da Apollonio Discolo, cose che verranno».
co del linguaggio erotico. - Ποσειδᾶνι = de adverbiis 199, 2. - πολέμαρχε: «con-
Ποσειδῶνι: cfr. v. 15, dove Teseo è detto dottiero», cfr. στραταγέταν 121: in questo 47-66 La sfida è lanciata: di fronte allo
discendente di Pandione e quindi, implicita- caso il termine ha significato etimologico e sbigottimento dei marinai, Minosse (il «ge-
mente, figlio di Egeo; la duplice paternità, a non specifico (ad Atene il polemarco era il nero di Helios») chiede a Zeus il segno vi-
parte il modulo consueto per cui a un padre terzo dei nove arconti); in senso non tecni- sibile di una «folgore impetuosa» a ciel se-
putativo umano viene associato un padre co il termine, precedentemente inattestato, reno che comprovi la propria ascendenza
divino naturale, trae forse origine dal fat- compare anche in Eschilo, Sette 828 e Co- divina; analogamente sfida Teseo a dimo-
to che in origine Egeo (cfr. αἶγες «flutti») efore 1072. - δε[ί]ξομεν: «mostreremo» strare di essere figlio di Posidone, tuffan-
doveva rappresentare un nome alternativo io e tu: si tratta di una formula di sfida; il dosi in mare per recuperare un anello che
o un epiteto di Posidone. - ἰόπλοκοι: «dai futuro in luogo del congiuntivo esortativo Minosse stesso aveva lanciato in acqua.
capelli di viola» cfr. Alceo 384 ἰόπλοκ᾽ rappresenta una forma cortese di invito, che
- τάφον = ἔταφον, forma aoristica esem- de. - φύτευσεν = ἐφύτευσεν «piantò»: il se (segni) visibili a tutti, e scagliò la folgore
plata sul perfetto τέθηπα, attestata anche verbo è riferito qui eccezionalmente all’at- (ἄστραψε = ἤστραψε), ed egli, l’eroe in-
in Pindaro, Pitica IV 95 e in Eschilo, Per- to generativo della madre. - Ποσειδᾶνι = trepido, avendo visto il prodigio gradito al
siani 1000; Omero conosce solo il partici- Ποσειδῶνι: «l’unione di Etra e Posidone suo animo, tese (πέτασσε = ἐπέτασε, da
pio ταφών. - ὑπεράφανον (= ὑπερη-): è rispecchiata sintatticamente dalla giu- πετάννυμι) la mano verso l’etere glorioso
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
ordinariamente l’aggettivo è usato con stapposizione degli aggettivi Τροιζηνία e diceva (εἶρεν, cfr. v. 20): “Teseo, tu vedi
connotazione squalificante, «superbo», σεισίχθονι e dei nomi Αἴθρα Ποσειδᾶνι» questi doni palesi di Zeus a me, e dunque tu
«insolente»; con accezione positiva, prima (D.E. Gerber). - δικών: da ἔδικον, forma balza nel mare dal cupo fremito, e Posido-
di Bacchilide, in Ibico 282, 16 s. ἀρετὰν/ aoristica senza presente, attestata anche in ne (tuo) padre, il sovrano Cronide, ti (τοι
ὑπεράφανον. - χόλωσεν = ἐχόλωσεν, Pindaro e in tragedia). - ἀναξιβρέντας: = σοι) accorderà (τελεῖ, futuro) gloria ec-
transitivo, come in Esiodo, Teogonia 568 «signore del tuono» hapax, riferito a Zeus celsa nel mondo ricco di alberi”. Così disse,
ἐχόλωσε δέ μιν φίλον ἦτορ. Il sogg. (cfr. ἄναξ e βροντή). e a lui non si piegava indietro l’animo, ma
sottinteso è nuovamente ἥρως del v. 47, stando ritto sulle tavole ben connesse spic-
valendo la frase τάφον … θάρσος come 67-89 Zeus ascolta la preghiera e invia un cò il balzo, e il sacro recinto marino lo (νιν
un inciso parentetico. - Ἁλίου = Ἡλίου: fulmine a ciel sereno, rendendo onore al fi- = αὐτόν) accolse (δέξατο = ἐδέξατο, da
Minosse è detto «genero (γαμβρός) di glio Minosse. Quest’ultimo allora ribadisce δέκομαι o δέχομαι) di buon grado. E stu-
Helios» perché ne aveva sposato la figlia la sfida a Teseo e l’eroe ateniese si getta pì (τάφεν, cfr. v. 48) dall’intimo del cuore
Pasifae. - ὕφαινε: «tesseva» per il nesso prontamente in mare per recuperare l’anel- (κέαρ, acc. di relazione) il figlio di Zeus e
metaforico con μῆτιν «piano astuto» cfr. lo, mentre la nave, per ordine di Minosse, ordinò di tenere (ἴσχεν = ἴσχειν, ἔχειν)
Iliade VII 324 = IX 93 ὑφαίνειν ἤρχετο «tiene il vento» proseguendo la rotta. lungo il vento la nave (νᾶα = νῆα = ναῦν)
μῆτιν. - Ζεῦ πάτερ: «l’appellativo di rito costruita con arte, ma il destino preparava
diventa attuale nella bocca di Minosse, che 67-89 Κλύε ... ἐπόρσυν᾽ ὁδόν: «E una via diversa». - Μίνω̆ϊ = , con ab-
è realmente figlio di Zeus» (G. Monaco). - Zeus possente (μεγασθενής, cfr. v. 52) breviamento di ω e con ῑ (cfr. ad es. Iliade
νύμ[φα / Φοίνισσα: Europa, cfr. vv. 29 ascoltò (κλύε = ἔκλυε) la preghiera irre- I 283 Ἀχιλλῆῑ = ). - τιμάν = -μήν;
ss. - Τροιζηνία … Αἴθρα: Pitteo, padre prensibile e procurò a Minosse onore eccel- per il nesso con φυτεύω cfr. Pindaro, Pi-
di Etra, era sovrano di Trezene, in Argoli- so, volendo produrre per il proprio figlio co- tica IV 69 τιμαὶ φύτευθεν, Istmica VI
BACCHILIDE 765
70 παιδὶ πανδερκέα θέμεν,
ἄστραψέ θ’· ὁ δὲ θυμάρμενον
ἰδὼν τέρας χέρας πέτασσε
κλυτὰν ἐς αἰθέρα μενεπτόλεμος ἥρως
εἶρέν τε· «Θησεῦ, τάδ᾽ ἐμὰ
75 μὲν βλέπεις σαφῆ Διὸς
δῶρα· σὺ δ’ ὄρνυ’ ἐς βα-
ρύβρομον πέλαγος· Κρονί[δας
δέ τοι πατὴρ ἄναξ τελεῖ
Ποσειδὰν ὑπέρτατον
80 κλέος χθόνα κατ’ εὔδενδρον».
Ὣς εἶπε· τῷ δ’ οὐ πάλιν
θυμὸς ἀνεκάμπτετ’, ἀλλ’ εὐ-
πάκτων ἐπ’ ἰκρίων
σταθεὶς ὄρουσε, πόντιόν τέ νιν
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85 δέξατο θελημὸν ἄλσος. Secondo chiarimento
Τάφεν δὲ Διὸς υἱὸς ἔνδοθεν metrico
κέαρ, κέλευσέ τε κατ’ οὖ- Si è ipotizzata al v. 93 la lacuna di una
sillaba lunga dopo ἠϊθέων, supplita
ρον ἴσχεν εὐδαίδαλον con πᾶν (F. Kenyon) o con νέων (Q.
νᾶα· Μοῖρα δ’ ἑτέραν ἐπόρσυν’ ὁδόν. Cataudella), ma la sequenza cretico +
cretico in luogo di cretico + giambo di
forma ai vv. 4, 27 e 70
antistrofe II Ἵετο δ’ ὠκύπομπον δόρυ· σόει rientra nella prassi di cui si è detto a
proposito del v. 38.
91 νιν βορεὰς ἐξόπιν πνέουσ’ ἀήτα·
12 φυτεύει δόξαν. - πανδερκέα: «vi- (G. Monaco). - κατ᾽ οὖρον: cioè col ven- = ἔθορεν, δα θρῴσκω) in mare, e giù dagli
sibili a tutti» (πᾶν e δέρκομαι); qui con to in poppa, per allontanarsi il più possibi- occhi di giglio versavano lacrime aspettan-
funzione passiva. - μενεπτόλεμος: «che le dal punto in cui Teseo si era immerso e dosi grave fatalità. Ma i delfini abitatori del
resiste nella lotta»: l’epiteto, già omeri- così provocarne la morte. - εὐδαίδαλον: mare portavano (φέρον = ἔφερον) rapi-
co – cfr. Iliade XIX 48 ecc. – ricorre an- di un tempio in fr. 15, 3; cfr. λάρνακι/ ἐν damente il grande Teseo alla casa (δόμον,
toccato al v. 6. - τρέσσαν = ἔτρεσαν, Εἶδέν τε: dopo l’inciso parentetico dei vv. sopra le chiome crespe gli pose un serto irre-
ha come soggetto γένος, con costruzione 103-108 il soggetto torna ad essere Teseo. prensibile (perfetto, bellissimo), che (τόν,
a senso. - λειρίων: «dagli occhi di giglio» - ἐρατοῖσιν (= -τοῖς) … δόμοις: dat. di relativo) ombreggiato (ἐρεμνόν «scuro») di
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
epiteto omerico (nella forma λειριόεις) del- stato in luogo. - βοῶπιν: epiteto tradizio- rose a lei (οἱ = αὐτῇ) un tempo, nel giorno
la carne (Iliade XIII 830) e della voce (Ilia- nale di Hera. - νιν = αὐτόν: ἀμφιβάλλω delle nozze, aveva donato Afrodite ingan-
de III 142), e cfr. Esiodo, Teogonia 41 ὀπὶ è costruito, come già in Omero, col doppio natrice. Nulla (è) incredibile per gli uomini
λειριοέσσῃ, Apollonio Rodio IV 903 ὄπα acc. - ἀϊόνα = ἠϊόνα: l’unica testimonianza assennati di ciò che vogliono gli dèi: appar-
λείριον. - δάκρυ χέον (= ἔχεον): nesso sul termine è Esichio s. v. εἴλυμα· τὸ τοῦ ve (φάνη = ἐφάνη) presso la nave dalla
omerico assai frequente. - ἐπιδέγμενοι: ἀρότρου περιόν· καὶ τὸ ἱμάτιον καὶ ἡ poppa sottile (λεπτόπρυμνον, hapax):
partc. perfetto atematico di ἐπιδέκομαι / ἀϊών: si tratterebbe dunque di un εἴλυμα ahi, in quali ansie prostrò il condottiero
ἐπιδέχομαι. - ἁλιναιέται: da ἅλς e ναίω, «copertura» o più precisamente di una sorta (στραταγέταν = στρατη-) cnosio (cfr. v.
è emendamento del Palmer per ἐν ἁλὶ di mantello; si potrebbe pensare a una sciar- 39) quando emerse non bagnato (ἀδίαντος,
ναιέται del papiro, cfr. Ἁλίπλους. - σέλας pa frangiata (B. Gentili). cfr. Simonide 543, 5) dal mare, meraviglia
ὧτε πυρός:«bagliore come di fuoco» (ὥτε per tutti (πάντεσσι = πᾶσι), e brillavano
= ὥστε) c’è nello scenario una parados- 113-132 Anfitrite congeda Teseo con intorno alle sue membra i doni degli dèi, e
sale, favolosa mistione di acqua e fuoco. splendidi doni ospitali e quando l’eroe mi- colme di letizia (σὺν εὐθύμιᾳ) improvvisa
- δίνηντο = ἐδίνηντο, impf. dell’eolico racolosamente riemerge dalle acque, cari- le vergini (κοῦραι = κόραι) dagli splendidi
δίνημι = δινέω. - χρυσεόπλοκοι: «rica- co dei doni divini, è accolto dallo stupore seggi lanciarono un grido, e ne riecheggiò
mate d’oro» hapax (cfr. χρυσέος e πλέκω). incredulo di Minosse e dall’urlo liberato- il mare, e i giovani da presso intonarono il
- ὑγροῖσι = ὑγροῖς, l’«umidità» implica rio delle fanciulle, cui si unisce il canto del peana con amabile voce. O Delio, rallegrato
una connotazione di fluidità e agilità per la peana intonato dai giovani ateniesi suoi nel cuore dai cori di Ceo concedi una sor-
quale cfr. Pindaro, Pitica I 9 ὑγρὸν νῶτον compagni di viaggio. te di felicità inviata dagli dèi». - οὔλαις:
αἰωρεῖ (detto dell’aquila), Senofonte, Equi- riferito alle chiome anche in Odissea VI
tazione I 6 ὑγρὰ ... σκέλη (di un cavallo). - 113-132 κόμαισί τ(ε) ... τύχαν: «e 231 = XXIII 158 οὔλας ἧκε κόμας. -
BACCHILIDE 767
115 τόν ποτέ οἱ ἐν γάμῳ
δῶκε δόλιος Ἀφροδίτα ῥόδοις ἐρεμνόν.
Ἄπιστον ὅ τι δαίμονες
θέλωσιν οὐδὲν φρενοάραις βροτοῖς·
νᾶα πάρα λεπτόπρυμνον φάνη· φεῦ,
120 οἵαισιν ἐν φροντίσι Κνώσιον
ἔσχασεν στραταγέταν, ἐπεὶ
μόλ’ ἀδίαντος ἐξ ἁλὸς
θαῦμα πάντεσσι, λάμ-
πε δ’ ἀμφὶ γυίοις θεῶν δῶρ’, ἀγλαό-
125 θρονοί τε κοῦραι σὺν εὐ-
φρενοάραις: (cfr. φρήν e ἀραρίσκω) = ἔμολε, da βλώσκω. - νεοκτίτῳ: compagnerebbero l’eroe; ma certamente
dativo del punto di vista. - νᾶα πάρα: (cfr. νέος e κτίζω) = νεοκτίστῳ. - σὺν εὐθυμίᾳ νεοκτίτῳ meglio si adatta
anastrofe = παρὰ ναῦν. - ἔσχασεν: ἀγλαόθρονοι: il confronto con Pindaro, alle ragazze ateniesi, «prima sbigottite,
questa accezione di σχάζω, il cui valore Nemea IV 65 ὑψιθρόνων … Νηρεΐδων, cioè ἄθυμοι, dalla sparizione di Teseo
di base è “incido”, “apro”, compare an- ha talora indotto a riconoscere anche (cfr. vv. 92 ss.) e ora rianimate, cioè
che in Pindaro, Nemea IV 64. - μόλ(ε) qui un riferimento alle Nereidi che ac- εὔθυμοι, dalla sua ricomparsa» (G. Mo-
Immagini topiche
Per chi ha senno, non c’è nulla di incredibile
Una sentenza pregnante accompagna il riaffiorare a galla di Teseo dopo il viaggio nelle profondità del mare (vv. 117-18)
Ἄπιστον ὅ τι δαίμονες Nulla è incredibile per gli uomini
θέλωσιν οὐδὲν φρενοάραις βροτοῖς assennati di ciò che vogliono gli dei.
Lo stesso concetto, espresso in termini molto simili, si trova anche in III 57 s. ἄπιστον οὐδέν, ὅ τι θ[εῶν μέ]ριμνα/ τεύχει
«nulla è incredibile, di ciò che compie la cura divina», e sembra riecheggiare nella formulazione Archiloco, nel frammento in cui
commenta il fenomeno dell’ecclissi di sole (122, 1-3 vedi p. 000):
Χρημάτων ἄελπτον οὐδέν ἐστιν οὐδ’ ἀπώμοτον Non c’è nessuna cosa inattesa né impossibile
οὐδὲ θαυμάσιον, ἐπειδὴ Ζεὺς πατὴρ Ὀλυμπίων né stupefacente, da quando Zeus, il padre degli dèi d’Olimpo,
L’imprevedibilità dell’intervento divino, che riesce a trovare una via d’uscita contraria alle aspettative umane, è γνώμη conclusiva,
così come in Bacchilide, anche in alcuni drammi di Euripide: di cui, secondo la tradizione, si concludono – in modo pressoché
identico – cinque tragedie (Alcesti, Medea, Andromaca, Elena e Baccanti):
Πολλαὶ μορφαὶ τῶν δαιμονίων, Molte forme assume il destino,
πολλὰ δ’ ἀέλπτως κραίνουσι θεοί· molti eventi gli dei compiono contro ogni speranza:
καὶ τὰ δοκηθέντ’ οὐκ ἐτελέσθη, e ciò che ci si aspettava non si avvera,
τῶν δ’ ἀδοκήτων πόρον ηὗρε θεός. e il dio trova la strada per l’inatteso.
Τοιόνδ’ ἀπέβη τόδε πρᾶγμα. Così si è chiusa questa vicenda.
768 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
θυμίᾳ νεοκτίτῳ
ὠλόλυξαν, ἔ-
κλαγεν δὲ πόντος· ἠίθεοι δ’ ἐγγύθεν
νέοι παιάνιξαν ἐρατᾷ ὀπί.
130 Δάλιε, χοροῖσι Κηΐων
φρένα ἰανθεὶς
ὄπαζε θεόπομπον ἐσθλῶν τύχαν.
naco). - ὠλόλυξαν: (ὀλολύζω) «ulula- 1 ἐρατᾶν ... ἀοιδᾶν e 140b, 17 αὐλῶν ... del mito intonato dai giovani ateniesi fosse
rono»: l’ὀλολυγή è un grido alto e forte, ἐρατὸν μέλος. - Δάλιε (= Δήλιε): epiteto in connessione implicita – proponendosi
femminile, connesso nel rito al momento di Apollo, in quanto dio nato e onorato a come «canto nel canto» – col peana attuale,
dell’abbattimento della vittima sacrificale, Delo. Poiché ad Apollo è appunto sacro il appunto il carme presente eseguito da un
ma spesso, come qui, semplice espressione peana, e peani venivano eseguiti in agoni coro di concittadini del poeta. - ἐσθλῶν:
di esultanza. - παιάνιξαν = ἐπαιάνισαν: musicali nelle feste che si svolgevano a De- neutro, cfr. IV 20 μοῖρα[ν] ἐ̣σ̣θλῶν, Pin-
i giovani intonano il peana quale canto di lo (τὰ Ἀπολλώνια per i Delî, τὰ Δήλια per daro, Olimpica XIII 115 τύχαν τερπνῶν
vittoria. - ἐρατᾷ: l’agg. è riferito al can- gli altri greci) in onore del dio e della sorel- γλυκεῖαν. - θεόπομπον: cfr. Pindaro, Pi-
to o alla musica anche in Pindaro, fr. 124, la Artemide, si è supposto che il παιάνιξαν tica IV 69 θεόπομποι ... τιμαί.
battute dei personaggi; l’esuberante aggettivazione, domina- tivazione inducono piuttosto a un confronto con Stesicoro, dal
ta dall’uso di epiteti composti (dove omerismi, neoconiazioni quale per altro la tecnica bacchilidea decisamente si discosta
e aggettivi tipici della lirica corale tendono comunque a un per la preziosa levità che solleva il racconto a spettacolo edo-
risultato di morbido descrittivismo): sono tutti elementi che nistico.