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La lirica corale

tardo-arcaica

Poeta, committente, pubblico


Il poeta
professionista T ra la fine del VI e la prima metà del V secolo a.C. nello sviluppo della poesia
corale si determina, a partire da Simonide di Ceo e soprattutto nell’ambito di
quel genere dell’epinicio che abbiamo visto affacciarsi con Ibico, un nuovo rap-
porto fra poeta, «committente» e pubblico.
Il canto viene richiesto, «commissionato» da un privato, generalmente un aristo-
cratico o un tiranno, o da una polis (nel caso di una pubblica festività che non
sia essa stessa promossa e finanziata, come spesso accade, da un principe o da
un genos aristocratico) nei modi di una precisa transazione economica che fa del
poeta un professionista pronto a recarsi personalmente sul luogo della festa ad
istruire il coro che eseguirà il brano richiesto oppure ad inviare il suo componi-
mento tramite un latore che fungerà in sua vece da regista della cerimonia e da

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istruttore dei coreuti (χοροδιδάσκαλος).

La funzione Funzione primaria della poesia è l᾽ἔπαινος, la «lode»: lode del dio nelle varie
di ἔπαινος: forme di canto cultuale che abbiamo già visto (vedi capitolo IV, par. «Le forme
fra individualità…
della poesia melica», pp. 000-000) e lode del singolo uomo come vincitore in una
gara atletica (epinicio), come defunto oggetto di ricordo (thrênos), come com-
mensale che si segnala per la sua munificenza o bellezza (scolio).

…e collettività Ma, soprattutto quando un’ode sia eseguita in uno spazio pubblico (templi, sa-
celli, piazza), la lode viene a coinvolgere sia la famiglia del committente, sia
l’intera collettività cittadina, e dunque un pubblico sentito come comunità che
ritrova nei valori e nei miti proposti nel canto un momento di immedesimazione
e di identità.
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MEMORIA LETTERARIA La nostalgica testimonianza di Pindaro


Pindaro offre un quadro suggestivo del nuovo panorama della performance professionistica allorché,
nell’Istmica II, si atteggia a nostalgico vagheggiatore del buon tempo antico, quando la lode sorgeva
spontanea alle labbra dei cantori, mentre nel momento attuale è il denaro (χρήματα, χρήματ᾽ ἀνήρ) il
principale stimolo alla creazione, da parte di una Musa diventata «avida di guadagno» (φιλοκερδής) e
mercenaria (ἐργάτις). In termini non dissimili si esprimerà in età ellenistica Callimaco in un suo giam-
bo (fr. 222 Pfeiffer): «non mercenaria nutro/ la Musa, diversamente dalla ceia progenie di Ilico» (con
l’espressione «ceia progenie di Ilico» allude a Simonide: gli Ilichidi erano una nobile famiglia di Ceo).
Ed ecco il testo pindarico (Istmica II 1-11)

Οἱ μὲν πάλαι, ὦ Θρασύβουλε, strofe I O Trasibùlo, anticamente


φῶτες, οἳ χρυσαμπύκων gli uomini che accompagnati dalla lira
ἐς δίφρον Μοισᾶν ἔβαι- gloriosa salivano sul carro
νον κλυτᾷ φόρμιγγι συναντόμενοι, delle Muse dall’aurea benda
ῥίμφα παιδείους ἐτόξευον μελιγάρυας ὕμνους, subito scoccavano dolcissimi inni ai ragazzi,
ὅστις ἐὼν καλὸς εἶχεν Ἀφ'ροδίτας per chi era bello ed aveva la dolce maturità
εὐθρόνου μνάστειραν ἁδίσταν ὀπώραν. 5 dell’estate che suscita la regale Afrodite.

ἁ Μοῖσα γὰρ οὐ φιλοκερδής antistrofe I Perché la Musa a quel tempo non era
πω τότ’ ἦν οὐδ’ ἐργάτις· né avida né mercenaria:
Οὐδ’ ἐπέρναντο γλυκεῖ- e da Tersicore non eran vendute
αι μελιφθόγγου ποτὶ Τερψιχόρας le dolci mielate canzoni
ἀργυρωθεῖσαι πρόσωπα μαλθακόφωνοι ἀοιδαί. dal volto d’argento e dalla tenera voce.
νῦν δ’ ἐφίητι ‹τὸ› τὠργείου φυλάξαι Ora invece essa impone d’osservare
Ῥῆμ’ ἀλαθείας ‹ –› ἄγχιστα βαῖνον, 10 quel detto, che il vero rasenta, dell’Argivo

’χρήματα χρήματ’ ἀνήρ’ epodo I che a un tempo lasciato da averi e da amici


ὃς φᾶ κτεάνων θ’ ἅμα λειφθεὶς καὶ φίλων. esclamò: «Ricchezze, ricchezze, ecco l’uomo!».
[Tr. di G.A. Privitera]

«Contro il consenso unanime degli antichi cui evidentemente aderiva anche Cal-
limaco, alcuni studiosi obiettano che Pindaro stesso componeva su committenza
retribuita e che dunque non appare verisimile nell’enunciato “Musa ... amante del
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guadagno ... mercenaria” (Μοῖσα ... φιλοκερδής ... ἐργάτις) il riferimento a Si-
monide che aveva inaugurato, a differenza dei poeti del passato, la nuova prassi di
pattuire i compensi con i committenti. Ma Pindaro tiene a sottolineare che il contratto
con il committente non lo subordina sino al punto di prostituirsi, venendo meno alla
sua coerenza ideologica, di “cozzare contro la menzogna”, rinunciando al vero. Un
comportamento del tutto diverso da quello di Simonide, spregiudicato e pronto, per
l’avidità di denaro, a variare il discorso, sino al punto, per esempio, di elogiare le mule
come “figlie delle cavalle dal piè di tempesta” (fr. 515 PMG). L’allusione a Si-
monide è tanto più verisimile in quanto proprio Simonide aveva già cantato
la medesima vittoria di Senocrate di Agrigento alla quale si riferisce Pindaro
in questo carme, che non è un epinicio in senso stretto, ma piuttosto una
epistola indirizzata al giovane Trasibulo, figlio di Senocrate».
(B. Gentili, Poesie e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari, Laterza 1984,
225s.)

Busto di Pindaro, copia romana da un originale della metà del V secolo a.C. Napoli,
Museo Archeologico Nazionale.
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La struttura Il triangolo comunicativo stabilitosi fra poeta, committente e uditorio viene me-
e i componenti diato da un coro, che negli epinici assume la forma del κῶμος, cioè del «corteo
del canto
festivo» costituito in prima istanza dagli amici e dai famigliari del vincitore. Il
poeta tenderà a identificare il proprio ruolo in quello di un «ospite» (ξένος) che
compie il suo viaggio per recarsi presso il laudando e in quella parte dell’ode che
Wolfgang Schadewaldt ha definito come il «programma», generalmente all’ini-
zio del componimento, declinerà la genealogia del vincitore e i dati dell’occasio-
ne, indicando il luogo degli agoni e il tipo di gara.

Motivi generali e Inoltre, pur attingendo costantemente a un sistema di valori legato alla tradizione
riferimenti contestuali aristocratica e pertanto fondato sui motivi della valentia agonistica, della liberali-
e individuali
tà, della disciplina etica come autocontrollo e senso del limite, della lealtà e della
pietas, dovrà variare temi e accenti in relazione alla personalità del celebrato (fa
molta differenza, evidentemente, che costui sia un aristocratico di Egina o un
tiranno siciliano), al contesto in cui ha luogo la festa, al tipo di cerimonia, ai miti
e ai riti legati alle tradizioni di una determinata comunità.

Coralità L’ode corale è concepita «per le orecchie e gli occhi di un uditorio: per la sfera
e autonomia poetica emotiva della sua psiche dove albergano istanze e pulsioni che il poeta condivi-
de e che spetterà a lui stimolare (illudere, deludere, controllare), oltre che per il
piano razionale della sua mente, cui comunque i contenuti perverranno attraverso
una logica mnemonico-associativa. [...]
Il pubblico della performance può essere esaminato sotto molti aspetti: in quanto
pubblico “di ascoltatori”, come soggetto quindi di una speciale psicologia poeti-
ca; in quanto pubblico “variabile”, che esigeva di volta in volta approcci preor-
dinatamente nuovi, nell’ambito tuttavia di una costante poetica dell’esecuzione
orale; come infine “quel” pubblico – quello dell’epinicio e non del peana o del
partenio, e però interconnesso col festeggiato destinatario del canto –, e come
pubblico di parenti amici e concittadini, più ampio e ufficiale della “comunità”
di Saffo o della “consorteria” di Alceo: un pubblico, insomma, che vive e con-
divide col committente un orizzonte d’attesa formale e contenutistico, e che è

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sempre l’elemento di sfondo, l’orizzonte degli eventi in cui si situa l’autonomia
del poeta» (L. Lehnus).

Agoni sportivi ed epinicio


’epinicio (ἐπινίκοιον μέλος «canto per la vittoria») si ricollega ai grandi ludi
Cronisti sportivi
e imprese epiche
epinicio
L panellenici e anche a gare di minore importanza e di interesse locale (ad Ate-
ne, Epidauro, Egina, Pellene in Acaia ecc.), e non di rado lo scenario agonale
viene richiamato per rapidi tratti nella rievocazione della vittoria: ad esempio la
corrente dell’Alfeo e il colle di Crono ad Olimpia o le rocce scoscese di Delfi; il
gesto atletico stesso che ha portato alla vittoria è risolto in istantanee essenziali:
lo slancio del destriero, la tensione del lottatore, la velocità del giovane che taglia
il traguardo, ecc.
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Le occasioni Talora, specialmente se si trattava di canti brevi, composti nel giro di poche ore,
e i modi del canto l’epinicio poteva essere eseguito sul luogo stesso della vittoria, alla sera, dal
κῶμος degli amici che avevano accompagnato il vincitore, ma più spesso era
intonato in una cerimonia solenne al momento del ritorno in patria, in una piazza
o presso un tempio o dinanzi alla casa del festeggiato o anche al suo interno,
nell’ambito di una riunione simposiale.
In questo secondo caso sul luogo della vittoria ci si poteva limitare a un breve
inno tradizionale come, per Olimpia, era quello che la tradizione attribuiva ad
Archiloco, ripetuto per tre volte in onore di Eracle, mitico fondatore dei giochi:
al grido «Tenella», una sequenza di suoni che intende mimare gli accordi dela
cetra, venivano celebrati Eracle e Iolao, suo nipote e fido scudiero, oltre che pri-
mo olimpionico (fr. 324 West):

Τήνελλα καλλίνικε, Tenella per il vincitore,


χαῖρε ἄναξ Ἡράκλεις, salve, Eracle sovrano,
αὐτός τε καιόλαος, αἰχμητὰ δύο. a te e a Iolao, guerrieri entrambi!

Non era, però, esclusa l’eventualità che uno stesso poeta (come è il caso delle
Olimpiche X e XI di Pindaro, per Agesidamo di Locri) componesse per la me-
desima vittoria due odi, una più breve, destinata a un’esecuzione immediata sul
luogo della vittoria, l’altra più ampia e complessa, in occasione del ritorno in
patria del vincitore.
Luogo di intensa comunicazione collettiva e di riconversione dei valori della
guerra (coraggio, preparazione, astuzia) nelle forme mimetiche dello sport, i
grandi agoni panellenici erano il mo-
mento privilegiato per l’esibizione di
exploit aristocratici di fronte a una
platea eterogenea e multiforme e per
un’interazione fra atletismo e arte che
si manifestava, oltre che nella compo-
sizione di odi trionfali, nella presenza
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entro il programma della festa anche


di gare musicali con la cetra e con
l’aulo.

Particolare di un’anfora con corridori.


Omero nell’Iliade descrive così una gara di corsa fra gli
Achei: «Stettero fermi in prima fila; Achille segnò la
meta. Passato il segno, la loro corsa divenne serrata, e
subito allora fu in testa il figlio di Peleo, dietro gli volava
Odisseo glorioso, vicinissimo... Sopra la testa gli versava
il suo fiato Odisseo glorioso, correndo sempre con furia;
e tutti gli Achei acclamavano all’ansioso di vincere e lo
incitavano».
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MEMORIA LETTERARIA

Le grandi feste panelleniche

I giochi olimpici

I giochi atletici più antichi sembrano essere stati quelli dell’Olimpiade, che risalivano secondo la tradizio-
ne più accreditata al 776 a.C. e avevano luogo ogni quattro anni, un mese dopo il solstizio d’estate, a Pisa
nell’Elide (Peloponneso), ed erano così chiamati da uno degli attributi di Zeus (Zeus Olimpio).

La tradizione pindarica: giochi funebri in onore di Pelope o fondazione di Eracle


Sull’origine dei giochi circolavano varie e talora contraddittorie tradizioni mitiche. Ai giochi fu-
nebri in onore di Pelope accenna già Pindaro, nell’Olimpica I (ed é storicamente credibile che
l’organizzazione periodica dei giochi si fosse innestata su gare anteriori connesse al culto di
un eroe), mentre nella Olimpica III e nella Olimpica X emerge una versione che attribuiva ad
Eracle l’istituzione e l’organizzazione dei primi agoni: dopo aver delimitato l’Altis, il recinto
sacro intorno al luogo in cui sorgeva il tumulo di Pelope, e aver innalzato dodici altari alle
divinità del pantheon olimpico, Eracle avrebbe creato l’ἄλσος, il boschetto di oleastri da cui
provenivano le fronde per le corone dei vincitori, consacrando tutto il complesso cultuale
al padre Zeus.

La tradizione elea: l’eroe Ossilo e la riorganizzazione di Ifito


La tradizione elea attribuiva invece l’istituzione della prima Olimpiade all’eroe etolico Ossilo,
mentre Pausania (V 4, 5) fa riferimento alla riorganizzazione dei giochi ad opera di Ifito,
discendente di Ossilo, che avrebbe sancito la prima tregua sacra durante la guerra con lo
A Sparta anche le ragazze dovevano spartano Licurgo, trasformando in competizione pacifica la contesa armata.
mantenere un corpo sano.
Gli impianti sportivi
G l i i m p i a n t i sportivi - dapprima limitati allo stadio e all’ippodromo, a cui si aggiunsero col tempo il
ginnasio e la palestra (destinati agli allenamenti) - sorgevano in un’area attigua al recinto sacro delI’Altis.
Il programma dei giochi subì una serie di variazioni e noi possiamo ricostruirlo con qualche certezza, an-
che per Ia discordanza delle fonti sui periodi anteriori, solo a partire dall’inizio del V secolo a.C., quando
raggiunsero la loro organizzazione classica.

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Bassorilievo che mostra due at-
leti impegnati nella lotta.
Come da regolamento i lotta-
tori parteciperanno alla com-
petizione completamente nudi.
«Fare ginnastica», «fare eserci-
zi ginnici» è una consuetudine
che viene dai Greci che eserci-
tavano i giovani nelle palestre
(gymnazein) e questo verbo
derivava a sua volta da gymnos,
ossia nudo: l’esercizio ginnico
si praticava «nudi», cioè «sen-
za armi», a corpo nudo.
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II calendario «liturgico» dei giochi
La durata era allora di cinque o sei giorni. Nel primo giorno si pronunciava un
solenne giuramento davanti all’altare di Zeus protettore dei giuramenti: atleti e
allenatori si impegnavano a rispettare lealmente le regole, mentre i giudici (gli
«Ellanodici») giuravano che avrebbero giudicato con imparzialità sulle ammis-
sioni alle gare e sugli esiti delle prove. La mattina del terzo giorno era dedicata
a varie cerimonie religiose, al culmine delle quali si consumava un solenne sacri-
ficio di cento buoi davanti al grande altare di Zeus. Il quinto giorno aveva luogo
una solenne processione prima dell’incoronazione degli atleti vincitori con la
corona di oleastro (portato da Eracle dal paese degli Iperborei) e di un banchetto
nel pritaneo per tutti i vincitori, con nuovi sacrifici e offerte di ringraziamento.

Il programma sportivo
All’interno della cornice sacra le gare sportive, distribuite fra il secondo e il
quarto giorno, erano: la corsa a piedi su varie distanze (192, 384 metri e fondo),
l’oplitodromia (corsa in armi sulla distanza dei 384 metri), la lotta, il pugilato, il
pancrazio, il pentathlon (corsa, lotta, lancio del disco, salto in lungo, lancio del
giavellotto), corse di bighe e quadrighe, corse a cavallo. Vi erano inoltre gare
particolari riservate ai ragazzi fra i dodici e i diciotto anni (corsa dei 192 metri
[«stadio»], lotta e pugilato). La corsa delle quadrighe, che inaugurava le gare,
apriva i giochi nella forma più spettacolare, mentre toccava alla corsa oplitica il
L’auriga di Delfi (VI-V secolo a.C.), la celebre statua compito di chiuderli. All’origine dei giochi l’unica competizione sarebbe stata la
in bronzo ritrovata nella città sacra al dio Apollo.
corsa sulla distanza di uno «stadio».
Dell’intero gruppo che comprendeva, oltre al giova-
ne con le briglie, i cavalli e la biga, è rimasto solo
l’auriga. La tregua olimpica e il «ritiro agonistico» degli atleti
Alcuni mesi prima dell’inizio dei giochi araldi chiamati σπονδοφόροι («pacie-
ri») partivano dall’Elide e percorrevano tutta la Grecia annunciando la data d’ini-
zio dei giochi e invitando a parteciparvi (la relativa tregua d’armi avrebbe avuto inizio un mese prima per
terminare un mese dopo lo svolgimento dei giochi).
Gli atleti, che dovevano essere di stirpe greca, di condizione libera e non aver subito alcuna condanna,
dopo un lungo tirocinio preliminare giungevano ad Olimpia un mese prima per allenarsi e sostenere poi un
esame di ammissione alle gare.

I giochi pitici

I giochi pitici, anch’essi panellenici e quadriennali, erano celebrati a Pito (Delfi) in onore di Apollo.

Origine e fondazione
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Secondo una leggenda locale erano stati fondati dal dio stesso dopo l’uccisione del serpente Pi-
tone (figura di quel culto pre-ellenico della Terra che era stato sostituito da quello apollineo),
ma un’altra tradizione ne riconduceva l’origine a Diomede.

Gare musicali: nomos pythikos


Inizialmente si trattava solo di gare musicali, che avevano luogo con la cadenza di otto anni
e consistevano nell’esecuzione di un inno in onore di Apollo (νόμος Πυθικός), accompa-
gnato da un’azione mimica che intendeva ripetere le fasi della lotta fra il dio e il drago.

Riorganizzazione nel 582 a.C. e accostamento delle gare sportive


Ma gli agoni furono riorganizzati dopo la conclusione della prima guerra sacra
per il controllo del santuario nel 582 a.C. e posti sotto la direzione del concilio

Il pugilatore in riposo, statua in bronzo del I secolo a.C. rinvenuta a Roma che mostra un muscoloso
atleta seduto che si tiene le mani avvolte nei «guantoni». Queste fasce di cuoio dovevano non
tanto ammorbidire (come i nostri guanti) quanto rendere più micidiali i cazzotti che i pugili si
scambiavano.
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dell’Anfizionia delfica: da allora in poi furono celebrati con cadenza quadriennale nel terzo anno di ogni
Olimpiade (fra agosto e settembre). Benché i concorsi poetici e musicali continuassero ad occupare un
ruolo centrale, furono introdotte gare atletiche e ippiche, anche se il carattere impervio del sito non
consentiva la presenza di un ippodromo (perciò le gare equestri si disputavano nella plana sottostante
di Crisa). I vincitori («pitionici») ricevevano in premio una corona d’alloro colto nella valle di Tempe e
avevano il diritto di porre la propria statua nel recinto del santuario delfico. Solo una delle odi Pitiche di
Pindaro (la XII) celebra una vittoria (quella dell’agrigentino Mida nel 490 a.C.) non riportata in una gara
atletica bensì in un agone con l’aulo.

I giochi nemei
Origine e fondazione
I giochi nemei furono istituiti secondo una tradizione da Eracle dopo la sua vittoria sul leone nemeo,
secondo un’altra da Adrasto e Anfiarao in onore di Ofelte, figlio del re di Nemea, ucciso da un serpente (la
nutrice di Ofelte, Ipsipile, l’aveva lasciato solo sull’erba dei prati per indicare ai guerrieri argivi in marcia
contro Tebe la sorgente più vicina: subito un serpente lo aveva avvolto nelle sue spire uccidendolo col suo
morso).

Panellenici dal 573 a.C.


A noi noti a partire dal 573 a.C. (allorché assunsero carattere panellenico), i giochi nemei erano celebrati
nella tarda estate ogni due anni (il secondo e il quarto di ogni Olimpiade) e avevano luogo presso il san-
tuario di Zeus Nemeo, non lungi da Sicione, nella valle di Nemea (Peloponneso settentrionale), dapprima
presieduti dalla città di Cleone, in seguito da Argo. Comprendevano agoni atletici e ippici a cui, in epoca
ellenistica, si sarebbero aggiunti agoni musicali. Il premio per i vincitori era costituito da una corona di
apio fresco.

I giochi istmici
I giochi istmici erano celebrati ogni due anni verso la fine di aprile presso il santuario di Posidone sull’istmo
di Corinto (a ovest dell’attuale canale, di fronte al golfo saronico). Lo stadio fu costruito nel 584-581 a.C.,
quando i Corinzi riorganizzarono gli agoni (che erano stati sospesi dal tiranno Cipselo).

Origine e fondazione
A istituire le Istmie sarebbero stati Elio e Posidone al momento di dividersi il dominio dell’Istmo, oppure
Sisifo per onorare Melicerte annegato
in mare con la madre Ino, oppure
ancora Teseo. Comprendevano

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gare equestri (carro, corsiero),
atletiche («stadio», corsa dop-
pia, corsa lunga, corsa in ar-
mi, lotta, pugilato, pentatlon,
pancrazio) e musicali (citaro-
dia, aulodia, auletica). Il vin-
citore riceveva originariamente
una corona di pino, ma dal 475
a.C. essa fu sostituita da una di
apio secco.

La corsa con la quadriga, dipinta su


un’anfora a figure nere attribuita a
Kleophrades (primi decenni del V se-
colo a.C. Corredo funebre dell’atleta di
Taranto. Taranto, Museo Archeologico
Nazionale.
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Simonide
La vita
Un moderno poeta
itinerante S imonide (Σιμωνίδης) figlio di Leoprepe nacque nell’isola di Ceo (nelle Cicla-
di) e visse all’incirca fra il 556 e il 466 a.C. conducendo la vita itineran-
te del poeta professionista e diventando ben presto noto specialmente come
compositore di epinici: fu a Egina, a Eretria, nel 520 a Caristo in Eubea per
l’olimpionico Glauco e prima del 514 ad Atene, ospite di Ipparco, figlio di
Pisistrato, per la cui figlia Archedice compose un epicedio (ad Atene dovette
incontrare Anacreonte e Laso di Ermione). Poi fu ospite degli Scopadi, a
Crannone in Tessaglia, celebrandone con epinici le vittorie in gare ippiche
con il carro.

Aneddotica Dell’aneddotica sorta in margine a tale soggiorno l’episodio più celebre (ricorda-
e mnemotecnica to da Callimaco nel III libro degli Aitia, fr. 64 Pfeiffer) riguarda un’ode composta
per il principe Scopas, dove uno spazio molto ampio era riservato ai Dioscuri,
tanto che il poeta avrebbe ricevuto dal committente solo metà del compenso
pattuito, con l’invito a farsi pagare l’altra metà dai Dioscuri. Senonché qualche
tempo dopo, in occasione di un convito, un servo lo chiamò fuori dicendogli che
due giovani erano venuti a cercarlo. Uscito dalla sala, Simonide non trovò nes-
suno, ma proprio in quel momento il tetto della sala dove si svolgeva il convito
crollò, provocando la morte di Scopas e degli altri convitati: il poeta capì allora
che i due personaggi di cui aveva parlato il servo erano i Dioscuri, intervenuti al
momento giusto a saldare il loro debito.
In tale occasione inoltre, giovandosi di quella mnemotecnica di cui fu considera-
to inventore, sarebbe stato in grado di identificare tutte le vittime ricordando la
disposizione dei singoli convitati.

T1 Possediamo (fr. 521 PMG) l’incipit di un thrênos composto forse in occasione


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di questo evento luttuoso. Affiora in esso quel tema dell’imprevedibilità del fu-

Per saperne di più


Laso di Ermione
Coetaneo di Simonide, Laso (Λᾶσος) dovette giocare un ruolo un componimento sulla morte dei figli di Niobe e a un inno A
di spicco nella cultura musicale ateniese del VI secolo. Avrebbe Demetra elaborato secondo l’armonia eolica (che stava a metà
introdotto ad Atene, presso la corte di Ipparco (tiranno dal tra basso e tenore). Inoltre sarebbe stato il primo autore di
527 al 514), la rappresentazione agonale dei ditirambi, che poi un trattato di teoria musicale: in esso avrebbe individuato nel
sarà accolta dalla nascente democrazia come elemento fisso suono, nel ritmo e nella parola gli elementi fondamentali del-
nel programma delle Dionisie cittadine. Gli si attribuivano il la μουσική e avrebbe discusso le caratteristiche delle diverse
singolare esperimento di un carme «asigmatico» (in cui non ἁρμονίαι o gamme musicali e i loro nessi coi singoli generi
compariva mai il suono sibilante) intitolato Centauri, oltre a poetici.
SIMONIDE 683
turo che tornerà con frequenza nella tragedia attica: ma la banalità del motivo
(definito λόγος ἀρχαῖος nel primo verso delle Trachinie di Sofocle) è riscattata
dall’icastico, originale paragone con l’umile insetto:
Tu che sei uomo non dir mai che avverrà
domani né, vedendo un uomo fortunato, quanto a lungo tale sarà:
così rapido neppure di mosca alata
è il moto.

L’epitafio per i caduti Scampato dunque al crollo del palazzo che sterminò la famiglia dei protettori
di Maratona tessali, sappiamo che verso il 500 tornò ad Atene, dove si trovava anche nel
490, quando sconfisse Eschilo nella gara su chi dovesse comporre l’epitafio per
i caduti a Maratona, e in seguito contribuì alla celebrazione delle battaglie per
l’indipendenza greca componendo elegie, carmi lirici, epigrammi.

Epigrammi, elegie Fra gli epigrammi tramandati a suo nome solo quello per l’indovino Megistia,
ed encomi ricordato come simonideo da Erodoto (VII 228), si può considerare sicuramente
per i caduti delle
guerre antipersiane autentico. Lo riportiamo all’interno del contesto erodoteo, che, ricordando altre
due iscrizioni commemorative per i Peloponnesiaci caduti alle Termopili, offre
un breve ma significativo specimen di questa produzione legata alla grande lotta
di resistenza contro i Persiani:
228, 1 In onore di questi che furono sepolti sul posto stesso dove erano caduti e
di quelli che erano morti prima che partissero gli alleati congedati da Leonida è
stata incisa un’iscrizione che dice così:
Contro trecento miriadi qui combatterono un giorno
quattro migliaia di uomini del Peloponneso.
2 Questa iscrizione è stata posta per tutti; per gli Spartani in particolare è stata
composta quest’altra:
O straniero, annunzia agli Spartani che qui
riposiamo in ossequio alle loro norme.
3 L’iscrizione per l’indovino è invece la seguente:
Questa è la tomba di Megistia illustre, che un giorno i Medi

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


uccisero dopo aver varcato il fiume Spercheo,
dell’indovino che allora, pur conoscendo le Parche incombenti,
non tollerò di abbandonare i condottieri di Sparta.
4 Sono gli Anfizioni che li hanno onorati con iscrizioni e con stele, ad eccezione
di quella dell’indovino Megistia, che fu fatta scolpire in segno di amicizia da
Simonide figlio di Leoprepe.

T2 Agli Spartani caduti alle Termopili si riferisce anche un frammento di encomio


conservato da Diodoro Siculo (fr. 531 PMG).

T4 Delle elegie legate alle lotte anti-persiane si sono recuperati, grazie a un for-
tunato ritrovamento papiraceo pubblicato nel 1992, resti che si riferiscono
alla battaglia dell’Artemisio (frr. 1-4 West2) e soprattutto un brano di discreta
ampiezza (fr. 11 West2) da un componimento dedicato alla battaglia di Platea
(vv. 7-34).
684 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

L’amicizia Durante il soggiorno ad Atene Simonide dovette stringere rapporti di amicizia


con Temistocle con Temistocle e certamente polemizzò col poeta Timocreonte di Ialiso (Rodi),
denigratore dello stesso Temistocle. Forse già durante il primo, e senza dubbio
durante il secondo di questi soggiorni ateniesi, partecipò ad agoni ditirambici, nei
quali, come ricorda egli stesso in un epigramma, riportò 56 vittorie (77 Diehl):
Tori cogliesti, Simonide, e tripodi, sei più cinquanta,
prima d’offrire questo quadro in voto.
Tante le volte che tu, maestro di cori virili,
salisti il carro fulgido di Nice.
[Tr. di F.M. Pontani]

Soggiorno Intorno al 476 fu ospite a Siracusa di Ierone e ne favorì la riconciliazione col


e morte a Siracusa tiranno di Agrigento Terone. I rapporti fra Ierone e il poeta, che si dovette ado-
perare perché a Siracusa fosse invitato anche il nipote Bacchilide, fornirono lo
spunto a una serie di aneddoti che ispireranno a Senofonte la composizione del
dialogo Ierone.
Infine, dopo la morte di Ierone, si trasferì ad Agrigento, dove morì novantenne
intorno al 466.

Le opere
I resti di una copiosa
attività D ella sua copiosa attività poetica, di cui ignoriamo la precisa estensione e
divisione in libri, sono sopravvissuti fino a noi frammenti che testimoniano
una produzione copiosa: epinici, thrênoi (per i quali fu specialmente apprez-
zato dagli antichi, cfr. Catullo 38, 8 maestius lacrimis Simonideis), Κατευχαί
(«Auguri» o «Imprecazioni»), un ditirambo, probabilmente peani (attestati dal-
la Suda) se, come pare probabile, contengono testi simonidei i frustoli apparte-
nenti a P. Oxy. 2430 (= 519 PMG); infine carmi elegiaci di carattere celebrati-
vo (come già abbiamo visto per l’elegia sulla battaglia di Platea) e simposiale
(frr. 19-33 West2). Nell’Antologia Palatina compaiono poi sotto il suo nome
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

un’ottantina di epigrammi la cui autenticità, con l’eccezione di pochissimi casi,


è però assai dubbia.

I tratti Simonide riflette nella sua poesia la crisi o la rimeditazione dei valori tradizio-
del professionismo… nali, e già gli antichi videro nel suo uso dell’epinicio una cosciente applicazione
dei nuovi rapporti che legavano il professionista del canto al suo patrono. Così
Aristotele, nel III libro della Retorica (1405b24), riporta l’aneddoto secondo cui,
quando Anassila tiranno di Reggio gli offrì un modesto compenso perché cele-
brasse la sua vittoria con le mule, il poeta in un primo tempo rifiutò, adducendo
come pretesto lo scarso prestigio degli animali, ma quando il tiranno aumentò
l’offerta cantò (fr. 515 PMG):
Χαίρετ᾽ ἀελλοπόδων θύγατρες ἵππων
Salve, o figlie di cavalle dai piedi rapidi come tempesta.
SIMONIDE 685
Un’enfasi scherzosa sembra trapelare da un passo superstite di un epinicio per
Glauco di Caristo, vincitore nel pugilato, dove il confronto, a tutto vantaggio di
Glauco, con uno dei Dioscuri e con Eracle: «... né la forza di Polluce / avrebbe
potuto opporsi alle sue braccia / né il ferrigno figlio di Alcmena» (509 PMG) do-
veva costituire una nota scherzosa dato che Glauco aveva trionfato nella catego-
ria dei ragazzi, mentre un’irrisione burlesca si coglie nel gioco di parole per cui,
per celebrare il successo nella lotta di Crio di Egina, si dice che «Kriós (Κριός
= «Montone») onorevolmente fu tosato (ἐπέξατο)» nei ludi nemei (507 PMG).

…e relativismo etico Professionismo disinvolto e sprezzatura brillante si accordano con un’altra carat-
teristica della fisionomia intellettuale di Simonide: un relativismo etico coeren-
temente perseguito sulla base di un nuovo modello di uomo come essere limitato
da una serie di condizionamenti (sete di guadagno, passioni amorose, ambizioni)
che circoscrivono la stessa ricerca della virtù a una via percorribile «fin dove è
possibile» (541, 1-14 PMG):
... (il Tempo?) discrimina ciò che è bello e ciò che è brutto; ma se
qualcuno dice [cose false] una bocca senza porta
portando [in giro], il fumo è vano e
l’oro non si contamina,
5 [e] la verità trionfa,
[ma] a pochi [la divinità] concede di raggiungere il successo
[fino in] fondo, ché non è agevole [che uno sia] valente:
contro il suo volere gli fanno violenza
[o] l’invincibile sete di guadagno o dell’astuta
10 Afrodite l’assillo prepotente
e le fiorenti ambizioni.
Ma [se uno] nel corso della sua vita la santità
(...) il sentiero...
(...) fin dove è possibile...

L’encomio a Scopas e Se è difficile diventare compiutamente «valenti» dal momento che la realtà
l’impossibilità esterna può costringere un individuo ad agire contro il suo volere, un criterio di

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


di essere uomo
perfetto giudizio a misura d’uomo potrà pur sempre far riferimento ai realistici margini
d’azione dell’individuo e il poeta – com’è detto nell’encomio a Scopas (542
PMG) – cesserà di farsi cantore della virtù assoluta (perfetta valentia dell’uomo
«quadrato», cioè simmetricamente costruito come i κοῦροι delle statue coeve) e
loderà invece chi non commetta volontariamente azioni riprovevoli:
Essere uomo valente in piena verità
è difficile, nelle braccia e nei piedi e nella mente
quadrato, foggiato senza pecca.
...
Né a me quel motto di Pittaco suona
intonato, pur se da uomo sapiente
profferito: diceva che è difficile esser valenti.
Solo un dio potrebbe avere un tal privilegio, ma un uomo non
15 può essere che inetto
686 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
se disgrazia irreparabile lo vince.
Nel successo ognuno è valente,
inetto nella cattiva sorte ...
20 ...
E dunque non cercherò ciò che è impossibile
che sia né a vana
irrealizzabile illusione affiderò la mia porzione di esistenza:
trovare un uomo senza macchia fra quanti dell’ampia
25 terra gustiamo il frutto;
ma se lo trovassi ve lo annuncerò.
Io lodo e ammiro chiunque
non compia di sua scelta
azione riprovevole: contro l’inevitabile
30 non lottano neppure gli dèi.
...
[A me basta che uno non sia malvagio]
né troppo sprovveduto e conosca
35 la giustizia che giova alla città,
un uomo integro: io non lo
biasimerò: degli stolti
infinita è la genia. Un esempio tipico di kouros, la statua di un ragazzo dalle
proporzioni tanto ideali quanto «statiche», conosciuto
Tutto è bello, ciò a cui come «Apollo Strangford». Il marmo risale al 510-500 a.C.,
40 non si mesce il vizio. lo stesso periodo a cui appartiene l’encomio di Scopas di
Simonide, e proviene, forse dall’isola di Anafi. Londra,
British Museum.

Analisi del testo


«La soluzione che il poeta prospetta sulla possibilità di essere Del resto – aggiunge lo stesso Gentili – «il tema della valentia
un uomo davvero valente in senso aristocratico e agonale è – umana, affrontato nel carme a Scopas, è solo un momento di
nota B. Gentili – sostanzialmente negativa. Non solo è difficile un più ampio dibattito cui Simonide dedicò la sua attività di
essere valente nel corpo e nel senno, ma persino impossibi- sophós, che, nell’impostazione dei problemi morali, già chia-
le: l’uomo è per natura un essere fragile e debole costretto a ramente preludeva alle posizioni più avanzate della cultura
lottare con la necessità cui lo costringono il vivere sociale e sofistica. Il tono polemico, che caratterizza il carme, non è di-
gli impulsi interni della sua stessa natura. Quello che importa retto a Scopas, ma all’insegnamento di Pittaco relativo all’idea
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

è di non compiere volontariamente il male, perché compierlo tradizionale dell’“uomo valente”. Ci troviamo di fronte a uno di
involontariamente è pur sempre possibile, e conoscere almeno quegli esempi di biasimo indiretto (parabiasimo) formalizzati
la giustizia utile alla società. All’etica dei valori assoluti (va- da Eveno di Paro. Un’abile polemica nella quale il poeta tende a
lentia, successo, ricchezza), patrimonio di uomini particolar- sottolineare che egli non vuole in alcun modo svolgere il ruolo
mente dotati dalla natura e illuminati dalla grazia divina, il po- del maldicente, perché non è amante del biasimo: anzi egli è
eta oppone quella dei valori relativi, meno eroici e più umani, portato a lodare chiunque non faccia il male volontariamente.
che dal piano estetico-agonale discendono su quello più vasto Un atteggiamento più didattico che polemico nei confronti del
dell’impegno etico-sociale dell’uomo di fronte alla comunità. suo ospite e committente. Più che una poetica dell’ideale [...]
All’uomo-eroe pindarico Simonide oppone l’uomo odissiaco, i versi dell’encomio enucleano una poetica dell’antideale: se
che non sia “troppo sprovveduto” per affrontare tutti i pericoli l’uomo esemplare e perfetto, del tutto immune dal biasimo, è
e i rischi del vivere tra gli uomini. Questa etica del reale, pessi- una mera utopia, sarà difficile, se non impossibile, tessere un
mistica nel pensiero, ma ottimistica nella volontà, che tendeva elogio che non comporti un atteggiamento critico verso i valori
a smitizzare i più elevati valori etico-religiosi delle aristocrazie tradizionali, e quindi una pur minima punta di biasimo. Pro-
arcaiche ormai in declino, era nutrita anch’essa di un ideale prio in nome di questa poetica, che potremmo definire della
non meno elevato e più rispondente alla nuova realtà storica, lode impura, si giustificano gli spunti burleschi e parodici che
l’ideale del cittadino democratico che opera nel rispetto della emergono nell’epinicio di Simonide, un genere poetico per sua
giustizia e nell’interesse della città». natura encomiastico».
PINDARO 687
Il patetismo Segno di una duttile varietà di risorse è il fatto che lo stesso poeta che ci appare così
e la φαντασία fervidamente didattico e raziocinante nei carmi che abbiamo appena ricordato si ri-
vela altrove intensamente patetico, di un patetismo teso alla rievocazione icastica-
mente efficace nelle immagini come nel ritmo. Anzi, ci appare teorizzatore di una
capacità di immedesimazione mimetica nell’angoscia e nel dolore umani allorché,
secondo la testimonianza di Plutarco (De gloria Atheniensium 3, 346f), definiva la
poesia come «pittura parlante». Una tensione immaginifica (una φαντασία) loda-
ta anche dall’autore del trattato Del sublime (15, 7), che, subito dopo aver elogiato
Sofocle per questa qualità in relazione alla morte di Edipo nell’Edipo a Colono e
all’apparizione dell’ombra di Achille al di sopra del suo tumulo sepolcrale nella
perduta Polissena, dichiara che forse quest’ultima visione non era mai stata rievo-
cata da nessuno in modo più incisivo di come aveva saputo fare Simonide.
Nulla ci resta di questo episodio, ma possediamo un brano sulla vicenda di Da-
nae e Perseo (543 PMG) che sembra rispondere a queste caratteristiche dell’arte
T3 simonidea.

Pindaro
P oeta fra i più ammirati e studiati, ma quanto mai difficile e talora mal com-
preso, Pindaro è l’espressione più alta dei valori di un mondo aristocratico
ormai al tramonto. Della sua vasta produzione corale è sopravvissuta pressoché
integra la raccolta degli epinici, nei quali la celebrazione dell’atleta e della sua
ἀρετή, lungi dal ridursi al mero resoconto dell’evento sportivo, si trasfigura nel-
la rappresentazione di significati trascendenti ed esemplari: «contrariamente agli
autori epici, – osserva J. De Romilly – Pindaro non racconta mai, ma evoca con
immagini sfavillanti, non necessariamente collegate in un ordine riconoscibile e
questa evocazioni rivelano sempre o un’indicazione sul senso del mondo, o un
avvertimento e un consiglio». I valori che propone sono assoluti e universali,

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


nettamente contrapposti al relativismo disincantato del più anziano Simonide.

La vita
I dati
P indaro nacque a Cinoscefale in Beozia, presso Tebe, in un anno in cui si ce-
lebravano le feste pitiche, come il poeta stesso ricorda nel fr. 193 Maehler:
... la quadriennale festa celebrata
con processione di buoi, in cui per la prima volta
fui deposto con amore nelle fasce d’infante.
[Tr. di R. Sevieri]

Incrociando questo dato con l’informazione della Suda, che fa riferimento


all’Olimpiade 65a (520-517), l’anno più probabile della nascita del poeta è il 518
688 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
a.C., che concorda anche con la tradizione che fissava comunque l’acme della
sua vita al tempo della spedizione di Serse (480).

Origini e leggende L’origine nobiliare di Pindaro non è sicura, ma che appartenesse a famiglia di
rango elevato è comunque suggerito dal fatto che durante la prima giovinezza
dovette essere inviato ad Atene dal padre per ricevervi un’accurata educazione
nella musica e nella poesia.
In Atene fu forse in contatto
Per saperne di più con Laso di Ermione (vedi ap-
Si è spesso dedotto per Pindaro un’origine aristocratica, dal profondimento p. 000) e col
ramo degli Egidi, in base a un passo della Pitica V in cui
il coro rievoca l’istituzione delle feste Carnee a Cirene,
musico Agatocle, del quale fu
ma il «noi» dell’enunciato si riferisce con ogni probabi- discepolo anche il teorico mu-
lità non tanto al poeta, quanto piuttosto ai componenti sicale Damone.
del coro, ossia i cittadini di Cirene, colonia di Tera, a Assai dubbia è la notizia, pro-
sua volta popolata da Egidi provenienti da Sparta (vv.
74-81): babilmente di matrice cam-
… di là (scil. da Sparta) discesi gli Egidi miei padri,
panilistica, che lo fa allievo
giunsero Tera delle poetesse beotiche Corin-
per volere dei numi, na e Mirtide, e numerosi gli
ma li guidava un destino; aneddoti fioriti sulla sua figu-
di là prendemmo il rito del banchetto
solidale, opulento di vittime, ra, come quello secondo cui,
e nel convito in tuo onore, quando era ancora fanciullo,
Apollo Carneo, veneriamo uno sciame di api gli avrebbe
la ben costrutta città di Cirene.
deposto il miele sulla bocca
[Tr. di B. Gentili]
mentre dormiva.

Approfondimento
La Tebe di Pindaro
Tebe era la città forse più famosa e celebrata di tutto il mondo greco: era una miniera di miti e di memo-
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

rie. Del resto anche Esiodo, suo conterraneo, due secoli prima aveva raccontato, nella Teogonia, come
erano nati tutti gli dei e, nel Catalogo delle donne, come erano nati tutti gli eroi.
Dell’antico splendore non sopravviveva però qua-
si nulla al tempo di Pindaro. Negli ultimi decenni
del secolo VI a.C. Tebe era solo una città periferi-
ca, lontana dal mare, con una cultura stagnante
e conservatrice, aliena da avventure migratorie,
estranea ai rivolgimenti che durante il secolo VII
a.C. travolsero altrove i regimi aristocratici. Uni-
co segno di vitalità: una forte volontà di riscossa,
che la spingeva proprio in quegli anni a espande-
re il suo dominio sugli altri centri della Beozia, a
guerreggiare con Atene per il confine meridiona-
le, ad allearsi con Sparta, con Calcide e, nel 506
a.C. con Egina in funzione antiateniese.
[G.A. Privitera]
PINDARO 689
Gli esordi L’esordio poetico di Pindaro fu molto precoce: aveva appena vent’anni, nel
e le prime tournée 498, quando gli fu commissionato l’epinicio più antico a noi noto, la Pitica X
in onore di Ippocle di Pelinna, in Tessaglia, dove aveva già operato Simonide.
Evidentemente già noto e apprezzato anche al di fuori del proprio ambito lo-
cale, vide negli anni successivi crescere ulteriormente il proprio prestigio e si
spostò di frequente sia in Grecia, a Delfi (Peana VI), a Egina (in particolare
la Nemea VII: 485?), sia soprattutto in Occidente: nel 490, l’anno della prima
guerra persiana, lo troviamo ad Agrigento a celebrare Senocrate, fratello del
futuro tiranno Terone, vincitore col carro (Pitica VI), e l’auleta Mida, anch’egli
agrigentino (Pitica XII).

Fra Tebe e Atene Durante le guerre persiane Pindaro si trovò compromesso nella politica neutrale
e a tratti filo-persiana della sua città (e di alcune famiglie tebane in particolare),
salvo poi, a guerra conclusa, celebrare Atene come «baluardo della Grecia», in
un ditirambo di cui è tramandato un frammento (76 Maehler):
O splendida e cinta di viole e celebrata nei canti,
baluardo della Grecia,
Atene gloriosa, roccaforte divina.

e rievocare la vittoria dell’Artemisio, del 480 nel corso della II guerra persiana,
come il luogo
dove i figli degli Ateniesi gettarono un luminoso
basamento di libertà (fr. 77 Maehler).

Questo elogio di Atene gli avrebbe causato una multa di 1000 dracme da parte
dei Tebani, ma gli Ateniesi lo avrebbero risarcito con la prossenia e con un alto
compenso.

Il soggiorno in Sicilia Negli anni successivi, Pindaro evase dalla difficile situazione in Grecia al-
lacciando o rinnovando rapporti con committenti siciliani e recandosi poi in

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Sicilia, dove si può supporre che soggiornasse all’incirca dal 476 al 474. È
questa la grande stagione delle odi della maturità: a Siracusa presso la corte
del tiranno Ierone compose l’Olimpica I e qualche anno più tardi – dopo il
ritorno in Grecia – la Pitica I (470), in occasione delle celebrazioni per la
fondazione della città di Etna (a cui partecipò anche Eschilo con le Etnee); fu
poi ad Agrigento presso la corte di Terone, che gli commissionò le Olimpiche
II e III.

La rivalità con In Sicilia entrò in concorrenza col più anziano Simonide e con Bacchilide, al
Simonide e Bacchilide punto che già nell’antichità si vedeva un’allusione polemica proprio contro
la coppia dei poeti di Ceo, nell’espressione ἄκραντα γαρύετον (si noti il
duale!) «quei due gracchiano a vuoto», riferita ai corvi in gara con l’aquila,
nel finale dell’Olimpica II (v. 87).
Tale identificazione è probabilmente erronea, certo è, comunque, che la con-
690 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
correnza dovette essere particolarmente accesa, soprattutto con Bacchilide:
basti pensare che la vittoria olimpica di Ierone del 476 fu celebrata sia da
Pindaro nell’Olimpica I, sia da Bacchilide nell’Epinicio V.
Coi proventi del soggiorno presso i tiranni siciliani avrebbe costruito nei pressi
della sua casa tebana quel santuario in onore della Madre degli dèi e di Pan che
è menzionato da Pausania (IX 25, 3), ma anche questa tradizione riposa proba-
bilmente su una forzata esegesi di un passo della Pitica III (vv. 77-9) in cui il
poeta dice a Ierone, a cui non ha potuto portare la guarigione dalla malattia che
lo affliggeva:
Ma io voglio invocare
la Madre, la dea augusta,
che fanciulle presso il mio vestibolo
cantano spesso di notte con Pan.

Nel contesto, κοῦραι «fanciulle» potrebbe denotare in astratto anche «figlie»,


e dunque le figlie del poeta, ma qui doveva avere come referente le ninfe, a cui
frequentemente Pan risulta associato nel culto.

Il ritorno in Grecia È difficile poter seguire nel tempo – date le incertezze cronologiche sull’ese-
cuzione delle singole odi – lo sviluppo dei contatti di Pindaro coi suoi diversi
committenti, ma verso il 465, soprattutto con la morte di Ierone (466), dovet-
tero venir meno i rapporti con la Sicilia. Lo vediamo così comporre odi per
vincitori di Tebe (ad es. Erodoto nell’Istmica I), di Corinto, di Argo, di Rodi,
di Cirene e soprattutto di Egina, l’isola dorica «signora di navi» con cui Pinda-
ro intrattenne le relazioni più intense e più continue, oltre a una serie di canti
cultuali per feste celebrate a Tebe, Delfi, Argo, Atene, Abdera, Nasso, Delo,
Paro, Dodona, ecc.

L’ultimo scritto Non si conosce la data della sua morte, da collocarsi comunque dopo il 446,
e il silenzio che è la data dell’ultima ode a noi nota, la Pitica VIII; secondo una tra-
dizione aneddotica di dubbia attendibilità sarebbe morto ad Argo, accanto
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

all’amato Teosseno di Tenedo, per il quale compose un carme erotico di cui


ci resta un brano che sembra in effetti un componimento della vecchiaia (fr.
123 Maehler).

Le opere
Il catalogo
degli antichi L a Vita Ambrosiana riporta il catalogo dei libri che costituiscono il corpus pin-
darico secondo una ripartizione di remota ascendenza platonica, che distin-
gue fra canti in onore degli dèi, canti in onore di uomini e dèi, e canti in onore
di soli uomini: abbiamo così un libro di Inni, un libro di Peani, due libri di
Ditirambi, due libri di Prosodî, due libri di Partenî più un enigmatico «libro
separato» parimenti di Partenî, due libri di Iporchemi, un libro di Encomî, un
PINDARO 691
libro di Thrênoi e quattro libri di Epinici (in una biografia contenuta in P. Oxy.
2438 l’ordine è proposto in modo diverso, ma senza sostanziali differenze in
quanto al numero dei libri).

I libri tràditi Di questo corpus sono sopravvissuti, oltre a numerosi frammenti (circa 350), i
quattro libri degli epinici, i canti per celebrare le vittorie negli agoni panellenici,
conservati dalla tradizione medievale e suddivisi in relazione ai luoghi delle gare
di cui il poeta celebra la vittoria:
I libro: 14 odi Olimpiche, fanno riferimento ai giochi in onore di Zeus che si
svolgevano ogni quattro anni a Olimpia, nell’Elide.
II libro: 12 odi Pitiche, nel contesto delle gare che si svolgevano a Delfi in
onore di Apollo Pizio, con cadenza quadriennale.
III libro: 11 odi Nemee, che tuttavia, secondo l’ordinamento gerarchico delle
feste, in origine si trovavano alla fine della raccolta degli epinici,
come si deduce anche dalle composizioni estranee che vi furono ag-
gregate; si riferiscono alle gare in onore di Zeus, che si svolgevano
ogni due anni a Nemea, nell’Argolide.
IV libro: 8 odi Istmiche, che nell’edizione alessandrina dovevano essere in
numero superiore a quelle effettivamente superstiti, come mostrano
l’inizio di una nona ode istmica e altri frammenti; sono riferite al con-
testo degli agoni in onore di Poseidone che si svolgevano ogni due
anni a Corinto.

La struttura dell’epinicio pindarico


G li epinici sono generalmente di struttura triadica (strofe, antistrofe, epodo),
di lunghezza assai variabile: si va da una sola triade alle tredici della Piti-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


ca IV; alcuni non presentano questa struttura, ma un’unica strofe ripetuta più
volte.

Temi In tutti, comunque, ricorrono alcuni temi tradizionali che creano un reticolo di
e forme ricorrenti riferimenti corrispondenti alle attese dell’uditorio: accenni alla vittoria e al ca-
rattere della gara; elogio del vincitore (valente, liberale, assennato, giusto), della
sua famiglia e della sua città; sottolineatura del ruolo del poeta e del suo rapporto
di amicizia e di ospitalità (φιλία e ξενία) col festeggiato; preghiere e accenni
agli dèi che presiedevano ai singoli agoni o che erano onorati nella patria del
personaggio celebrato; allusioni a leggende locali e a miti relativi alla fonda-
zione delle festività agonali; consigli e ammonimenti a chi ha riportato l’ambito
successo perché conservi la coscienza dei limiti della condizione umana e della
precarietà della sorte; richiamo all’invidia (φθόνος) che insidia la fortuna dei
valenti, e così via.
692 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

I tre cardini Pur nell’ampia gamma di soluzioni compositive, nell’intreccio e nella varietà dei
strutturali del canto temi e delle occasioni, tre sono i cardini attorno ai quali si organizza la struttura
del canto: l’attualità, la riflessione, il mito.

L’attualità. L’evento sportivo di cui è celebrata la vittoria costituisce il


καιρός, l’occasione del canto, che però – singolarmente – non attrae l’at-
tenzione del poeta: ben lungi da porsi come cronista dell’evento, egli vuole
invece interpretarne il significato. Il luogo, lo svolgersi della gara, l’affollarsi
degli spettatori e le reazioni dei “tifosi”, la cerimonia della premiazione, l’ac-
coglienza in patria del vincitore sono elementi sottesi che rimangono impli-
citi, senza mai svilupparsi in una descrizione distesa: il poeta li coglie solo di
scorcio, attraverso accenni fulminei, volti ad esaltare soprattutto il momento
luminoso della vittoria, quello scatto (καιρός) finale esclusivo nel quale,
attraverso la vittoria, si manifesta l’ἀρετά dell’atleta.
L’attualità si traduce in elogio del vincitore e della sua famiglia, poiché la
superiorità dimostrata nel momento della vittoria è segno di doti innate: si
tratta di una virtù che è tale “per natura” (φυᾷ), quindi congenita, in quanto
dono divino che si tramanda nel genos.

Il mito. La concezione aristocratica, secondo cui l’ἀρετά è espressione di una


benevolenza divina ereditaria induce un immediato collegamento fra il presen-
te e il passato, fra le virtù del vincitore e quelle stesse virtù che si sono manife-
state presso i suoi antenati, o che comunque caratterizzano la sua patria (talora
anche il luogo in cui si celebra l’agone).
voli pindarici Con procedimento tipicamente ellittico (i cosiddetti « voli pindarici»), che
sacrifica le transizioni logiche per indagare il significato più intimo del mi-
to, Pindaro sviluppa la trama mitica di scorcio, scegliendo di volta in volta
l’angolatura più adatta al contesto. Ne risultano eluse la completezza e la
continuità del narrare, per privilegiare la profondità della riflessione, che
intende spiegare le relazioni diacroniche che intercorrono fra il piano umano
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

e divino, scartando quelle varianti mitiche ritenute sconvenienti: il mito è


vagliato e depurato da qualsiasi elemento che possa contaminare l’immagine
assoluta della divinità, secondo il criterio per cui «uomo non dica se non bene
dei celesti: minore la colpa» (Olimpica I 35). Per un maggior approfondimen-
to, vedi oltre.

La riflessione. Elemento di raccordo fra attualità e mito, o anche fra i singoli


episodi della narrazione mitica, è la riflessione morale (γνώμη): espressioni di
carattere sentenzioso si alternano alla narrazione per chiarire il significato e la
portata di determinati passaggi concettuali, per anticipare il significato di uno
svolgimento narrativo o per evidenziare il valore universale di una legge divina
esemplificata dalla narrazione mitica. La γνώμη è quindi sempre coerente con
la narrazione, «rendendo esplicito il legame fra il racconto mitico e il vincitore-
committente» (L.E. Rossi).
PINDARO 693

Per saperne di più


L’unità del carme pindarico
La moderna critica pindarica si è a lungo affaticata – specialmen- ne, almeno tendenzialmente oggettiva, che la lettura di un’ode
te a partire dalla grande edizione di August Böckh (1811-1821) pindarica comporta la messa in luce di tre piani di riferimento:
– su un problema che, a quanto si evince dai ricchi commentari
a) il piano sintagmatico, ossia il percorso o appunto «sintassi»
preservati negli scholia vetera, lasciava sostanzialmente indiffe-
del testo come successione di temi, immagini, episodi orga-
renti i critici antichi, ossia il problema dell’unità dell’epinicio.
nizzati secondo quella «retorica», studiata da Bundy, che ha
Questa è stata ricercata volta a volta in un’idea fondamentale (L.
come fine la lode del vincitore. Si tratta cioè di cogliere quei
Dissen), in un’immagine o in un complesso di immagini (le in-
nodi strutturali del canto encomiastico che lo definiscono, in
terpretazioni simboliste di G. Norwood), nella ripetizione a bre-
un’accezione più ampia di quella proposta da Schadewaldt, co-
ve o a lunga distanza di determinati elementi verbali o iconici,
me discorso programmatico che il poeta svolge coerentemente
spesso con effetto di composizione anulare (D.C. Young) oppure,
dal principio alla fine per assolvere al suo istituzionale ufficio
in termini allargati all’ideologia in cui il poeta era immerso e
di laudator. In questo ambito il lettore può anche imbattersi
alla cornice della festa in cui ciascuna ode veniva eseguita, nella
in soluzioni e sviluppi che oggi ci appaiono oscuri non perché
Gedankenwelt, ossia il mondo di idee e di valori che il poeta se-
rispondano a intenzioni ermetiche, ma perché riposano su mo-
lezionava ed enfatizzava per la singola occasione (H. Fränkel) e
duli specifici della poesia greca arcaica a cui la mentalità del
nel rapporto ogni volta concretamente determinato che legava
committente e del pubblico era molto allenata;
poeta, committente e uditorio (B. Gentili, P. Angeli Bernardini).
Per altro verso W. Schadewaldt (1928) accertava la duplice ar- b) il piano paradigmatico, in relazione al quale il testo non si pro-
ticolazione dell’epinicio in una struttura che prevedeva: pone più come un «discorso» in divenire, ma come un modello,
un luogo d’incontro fra linee compositive, immagini, temi, valori
a) «programma», dove il poeta assolve quello che chiama il che emergendo e definendosi solo gradualmente manifestano da
suo «debito» (χρέος) nel confronto del committente, nel qua- ultimo la struttura profonda della singola ode: i rimandi a distan-
le sono enumerati i dati oggettivi che il poeta deve elencare in za fra parole-chiave sottolineano il ricorrere dei temi dominanti;
onore del vincitore; l’omogeneità delle immagini e delle metafore profila una coeren-
b) ornamentazione del programma attraverso episodi mitici e za estetico-visuale che favorisce la percezione e la memorizzazio-
temi encomiastici che hanno uno sviluppo spesso molto ampio. ne dell’ode nella sua unitarietà; i parallelismi fra attualità e mito
integrano gli inserti narrativi nel tessuto generale dell’ode;
Nel 1962 Elroy W. Bundy imprimeva una nuova svolta agli studi c) il piano performativo, in cui rientrano sia i rapporti fra poeta
pindarici trattando l’epinicio come una «retorica preretorica», e committente, il contesto festivo, l’orizzonte politico e cultuale
che costruisce un percorso nel cui ambito anche gli elementi della polis che è teatro della celebrazione, sia l’attività del poeta
eccentrici o negativi assumono il ruolo di foil, di tratto che per come regista della festa in cui l’epinicio viene eseguito: Pinda-
contrasto prepara o commenta il tema dominante. In questo ro – a differenza di Bacchilide, che si mostra assai parco se non
contesto, i moduli del «preambolo», della gradazione di moti- reticente sui dati della festa – non è solo il poeta ma il «maestro
vi, della digressione, dell’interruzione, della sentenza coope- di cerimonia» dell’occasione celebrativa. Né si tratta di una realtà
rano in ultima istanza all’obiettivo primario del carme: quella esterna, da ricostruire con pazienza erudita, ma di dati e riferi-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


lode che è ad un tempo encomio di un determinato vincitore ed menti che il testo esibisce talora con enfasi, offrendo occasional-
encomio dei valori affidati all’archivio dei miti. mente – come se si trattasse di una rappresentazione teatrale – le
Se non è facile orientarsi nella selva di indirizzi della critica pin- «didascalie», vere e proprie indicazioni sceniche, stage directions,
darica, una chiarificazione può forse venire dalla considerazio- relative all’esecuzione musicale e coreografica di un carme.

Poeta e coro
V ediamo dunque di visualizzare la performance delle odi pindariche, sia epini-
ci che canti per il culto, muovendo dai dati salienti offerti dai testi.
Frequente è la sottolineatura della presenza di un accompagnamento strumentale,
affidato alla sola lira (strumento a corda), al solo aulo (strumento a fiato) o a un
abbinamento «concertato» di lira e aulo che, secondo la tradizione, sarebbe stato
sperimentato per la prima volta nell’ambito della scuola di Epigono di Ambracia,
vissuto a Sicione nel VI secolo a.C.
694 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

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Strumenti musicali all’epoca di Pindaro
La gamma degli strumenti musicali citati nei canti di Pinda-
ro è circoscritta a strumenti a corda (varie tipologie di lire)
e strumenti a fiato (auli), spesso abbinati in “concertato”: il
loro abbinamento (ἔναυλος κίθαρσις) e l’uso di ὑπαυλεῖν
τῇ κιθάρᾳ, rari fino a qualche decennio prima, rappresentano
la norma in Pindaro. Non compaiono invece strumenti a per-
cussione, se non κρόταλα (sonagli) e τύπανα (timpani), non
collegati però alla performance musicale, ma citati in associa-
zione al culto della Grande Madre (fr. 70b, 10).
Per quanto riguarda gli strumenti a corda, Pindaro sembra usare
senza distinzione tecnica i termini φόρμιγξ, λύρα e κίθαρις,
pur dimostrando una netta preferenza per il primo termine. La
φόρμιγξ a sette corde, invenzione di Apollo e strumento degli
aedi, già nell’inno omerico A Ermes non è distinta dalla λύρα,
mentre le testimonianze archeologiche dall’età micenea in poi
sembrano rinviare a due tipi diversi di strumento: la φόρμιγξ,
forma più antica della λύρα, appartiene alla famiglia delle «ce-
tre», in cui i bracci sono la continuazione della cassa armoni-
ca, mentre la λύρα aveva come cassa di risonanza un guscio
di tartaruga al quale erano applicati i bracci. Evoluzione della
φόρμιγξ è la κίθαρις (cetra da concerto), che potrebbe pro-

(sotto) Apollo, al centro del bassorilievo, suona la cetra mentre Marsia, lo


sfidante, elabora la sua melodia all’aulos. Intorno le Muse e altre divinità,
tra cui Atena, seguono la contesa musicale, il cui esito tragico è leggibile
all’estrema destra: Marsia vi è infatti raffigurato appeso, con le mani lega-
te, in attesa di essere scuoiato. Pannello di un sarcofago romano della fine
del II secolo d.C. Parigi, Musée du Louvre]

(a destra) Musa che accorda due cithareis. Interno di una coppa attica a
fondo bianco del “Pittore di Esiodo” proveniente da Eretria (470-460 a.C.).
Parigi, Musée du Louvre.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
PINDARO 695

prio essere la «cetra» in uso al tempo di Pindaro. stimoni ritengono Terpandro «inventore» dei canti simposiali).
A un altro strumento a corde, il βάρβιτος, Pindaro allude in un Se la φόρμιγξ, nota fin dai tempi micenei è lo strumento dori-
encomio a Ierone di Siracusa (fr. 124d), con il verbo βαρβι[τί] co per eccellenza, l’αὐλός «il flauto» è lo strumento nazionale
ξαι, in un passo probabilmente di elogio nei confronti di Ter- dei Beoti: le canne di loto beotiche erano particolarmente ri-
pandro di Lesbo (VII secolo a.C.) che del βάρβιτος sarebbe nomate per la fabbricazione dei flauti, specie di quelli di suono
l’inventore. Traendo ispirazione dalla πηκτίς lidia (uno stru- più acuto usati per accompagnare i parteni. Sugli strumenti a
mento a venti corde che si suonava senza plettro, semplice- fiato le testimonianze non sono particolarmente numerose: si
mente pizzicando le corde con le dita), Terpandro avrebbe ri- possono per lo meno citare gli αὐλίσκοι, auli brevi, cui Pinda-
cavato uno strumento dalle corde più lunghe della lira e quindi ro allude nel Partenio II 14 si allude ad auli brevi [αὐλίσκοι],
anche dall’intonazione più bassa, che diventerà strumento pri- mentre in fr. 107b, 2 si fa riferimento a una varietà di aulo
vilegiato del simposio (forse per questo motivo gli antichi te- detto «molosso» su cui modulare un’aria musicale cretese.

(a lato) Eros alato che suona un barbyton. Parigi,


Musée du Louvre.

(sotto) Ricostruzione di una phorminx.

in basso a sinistra) Apollo coronato d’alloro o di mir-


to, con una cythara nella sinistra, versa una libagio-
ne con la destra. Davanti a lui un uccello nero (pica,
corvo ?). Kylix attica a fondo bianco del 460 a.C.,
proveniente da Delfi. Museo Archeologico di Delfi.

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


696 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Il «modo» (ἁρμονία) Non di rado si ricorda anche il genere di ritmo e di musica scelto per la singola
ode: troviamo l’austero modo «dorico» per l’Olimpica III (cfr. vv. 4-6), il mae-
stoso modo «eolico», già prediletto da Laso di Ermione, per Olimpica I, Pitica
III, Nemea III, il delicato e morbido modo «lidio» per le Olimpiche V e XIV,
quello «locrese» per un carme di genere incerto che ne rievoca l’inventore, Se-
nocrito di Locri (fr. 140b Maehler).

La melodia (νόμος) Al «modo» (individuato dalla gamma musicale o ἁρμονία) si abbina talora una
specifica melodia (νόμος), come quella «equestre» (νόμος ἵππιος) per l’Olimpi-
ca I o quella detta «di Castore» (τὸ Καστόρειον) a cui si fa riferimento in Pitica
II 69.

I coreuti I coreuti che eseguono l’epinicio non costituiscono propriamente un χορός del ti-
po che troviamo per i canti cultuali, ma conservano sempre l’aggancio con quella
forma di corteo giubilante (κῶμος) costituito dagli amici del vincitore che, col
capo cinto di corone, lo scortano in un movimento processionale verso un sacello
o un altare oppure verso la sua casa. Il κῶμος degli epinici è sempre costituito da
elementi maschili, in genere uomini adulti, talora ragazzi.
Se processionale è per natura il movimento del κῶμος, non si possono affatto
escludere evoluzioni circolari di danza, specialmente intorno a un altare, una
volta che il corteo aveva raggiunto la sua meta. La processionalità, d’altra parte,
non è esclusiva degli epinici, ma poteva intervenire anche nei canti cultuali: per
quel che riguarda il culto di Apollo, ad esempio, è attestata l’esistenza del παιὰν
προσοδιακός, «peana processionale» (da uno scolio all’Istmica I), inoltre sicu-
ramente processionale si prospetta il Partenio II, come dimostrano le didascalie
interne (cfr. vv. 66 ss. «Padre di Damena, con passo tranquillo ora guidami nel
cammino»), e più in generale sembra conformarsi all’andamento della marcia

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LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Il coro si autorappresenta
Il coro dei canti epinici offre di sé, all’interno del canto, νέων, Istmica VIII 1 ὦ νέοι e anche Bacchilide VI 9 νεανίαι
la rappresentazione di un corteo (κῶμος) che procede in e XIII 190 μέλπετ᾽, ὦ νέοι.
marcia, accompagnando il vincitore: di qui anche il mo-
dulo di preghiera, per cui il κῶμος invoca la divinità per-
ché voglia «accoglierlo» presso di sé: cfr. Olimpica IV 9
Οὐλυμπιονίκαν δέξαι Χαρίτων θ᾽ ἕκατι τόνδε κῶμον
«(O Zeus), in virtù delle Cariti accogli questo corteo olim-
pico»), Olimpica VIII 9 s. ἀλλ᾽ ὦ Πίσας εὔδενδρον ἐπ᾽
Ἀλφεῷ ἄλσος,/ τόνδε κῶμον καὶ στεφανοφορίαν
δέξαι «Tu ora, bosco bello di alberi di Pisa presso l’Alfeo,
accogli questo corteo e la processione di serti», Olimpica
XIV 16 ἰδοῖσα τόνδε κῶμον ἐπ᾽ εὐμενεῖ τύχᾳ κοῦφα
βιβῶντα «(ascolta, o Talia,) guardando questo corteo che
per sorte propizia avanza a passo leggero») (T2) ecc. Che
si tratti di elementi maschili, spesso giovani, è confermato,
ad esempio, in Pitica V 103 νέων, Nemea III 5 νεανίων e 66
PINDARO 697
il modulo che viene definito dell’adventus, per cui l’«io» dichiara di «essere
venuto» presso il vincitore o presso un luogo sacro e che troviamo, oltre che in
epinici, anche in canti di culto.

Il poeta «regista»… Nei confronti del κῶμος dell’epinicio così come del χορός cultuale, il ruolo
del poeta si configura come quello tradizionale del «maestro» o «istruttore»
(διδάσκαλος / χοροδιδάσκαλος), ma egli può occasionalmente venir meno a
questa funzione inviando il proprio carme anziché recarsi personalmente sul po-
sto ad istruire i coreuti: in tal caso deve servirsi di un latore del messaggio po-
etico (del resto, abbiamo già visto anche in ambito monodico che alcune odi di
Alceo si proponevano come «epistole poetiche»).

… o mittente Sarà allora questo latore a fungere da διδάσκαλος, come è il caso del Nicasippo
di carmi «affidati» nominato nella chiusa della Istmica II, vv. 47 s.:
Distribuisci queste mie parole, o Nicasippo, quando
giungerai presso il mio ospite onorato.

e dell’Ainéas ricordato al v. 88 dell’Olimpica VI.


Carmi “affidati” sono indubbiamente anche la Pitica II, cfr. vv. 67-69: «Questo
canto è mandato (πέμπεται) attraverso il mare come merce fenicia»; la Pitica
III, dove i vv. 73-76 dichiarano l’assenza del poeta; la Nemea III, cfr. vv. 76-78:
«Questo miele io ti mando (πέμπω) mescolato con candido latte…», nonché,
fra le composizioni non epinicie, il carme conviviale indirizzato a Trasibulo di
Agrigento, di cui ci resta l’esordio (fr. 124a.b Maehler):
O Trasibulo, di amabili canti questo
veicolo ti mando per il dopocena ...

Parole chiav e
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Il modulo dell’adventus
C.O. Pavese ha definito “modulo dell’adventus” quel XIV 17 s. Ἀσώπιχον … ἀείδων ἔμολον «sono venu-
procedimento che si riscontra nella poesia corale quan- to a cantare Asopico». Il modulo dell’adventus non è
do l’«io» esplicita la movenza lineare della processione estraneo neanche ai canti cultuali, particolarmente a
con espressioni del tipo «ἔμολον» o «κατέβαν», «so- quelli in onore di Apollo e di Dioniso, come Peana VI 14
no giunto». Negli epinici si vedano ad esempio Olim- ss. κατέβαν ... ἄλσος Ἀ-/πόλλωνος «sono venuto al
pica VII 13 s. σὺν Διαγόρᾳ κατέβαν, τὰν ποντίαν bosco di Apollo» e fr. 75, 10 ss. Maehler τὸν Βρόμιον
ὑμνέων παῖδ᾽ Ἀφροδίτας «insieme con Diagora sono ... μελπόμενος ... ἔμολον «sono venuto a cantare Bro-
venuto a cantare la figlia marina di Afrodite»; Olimpica mio».
698 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
E Pausania (IX 16, 1) ricorda che Pindaro «inviò» (ἀπέπεμπε) un inno per Am-
mone al santuario del dio nell’oasi di Siwa (analogamente, in Bacchilide, ap-
partengono a questa categoria definita dagli scoliasti pindarici come del μέλος
ἀποστολικόν l’epinicio V e i frammenti di carmi conviviali per il principe ma-
cedone Alessandro figlio di Aminta, e per Ierone.

Regia e immaginazione
La trasformazione
poetica dei dati
oggettivi
I dati oggettivi (“pragmatici”) della performance vengono tuttavia riplasmati
dal poeta, una volta che siano stati richiamati all’interno dell’ode. I modi e
le prospettive non intendono delineare una fotografia dell’evento reale, quanto
invece, come in parte abbiamo già osservato nel caso di Alcmane, creare una
composita fantasmagoria in cui i referenti oggettivi divengono parte di un tessuto
artistico. Questa creazione giustappone o rovescia le scansioni della festa, fonde
l’immaginario col vissuto, alterna l’evocazione con la δεῖξις (cioè – secondo la
definizione di W. Rösler – con l’«indicazione», l’ostentatio ad oculos di ciò che
è fisicamente presente all’uditorio).

L’esempio Si tratta di un procedimento articolato e complesso, nell’intreccio variegato dei


dell’Olimpica VI piani rappresentativi. Vediamo un esempio dall’Olimpica VI, un’ode composta
da Pindaro nel 472 o nel 468 a.C. per il siracusano Agesia, appartenente al pre-
stigioso genos sacerdotale degli Iamidi. L’ode celebra la vittoria col carro tirato
da mule e venne eseguita nella cittadina arcade di Stinfalo da un coro locale
preparato (come abbiamo già ricordato) da un istruttore delegato da Pindaro di
nome Ainéa.
Leggiamo, al principio della seconda triade, l’esortazione a Finti, auriga del vin-
citore, a cui il poeta chiede di aggiogare le mule per poter raggiungere Pitane
(presso Sparta), il sobborgo che prende nome dalla ninfa, figlia del fiume spar-
tano Eurota, da cui era nata Euadna madre di Iamo, a sua volta progenitore del
festeggiato. Quello che il poeta intende compiere verso Pitane è ovviamente un
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

viaggio metaforico, frutto dell’immaginazione poetica, teso a celebrare il vin-


citore attraverso la rievocazione del mito fondatore del genos degli Iamidi (vv.
22-28):
Presto, Finti, aggioga
per me il vigore delle mule,
perché su incontaminato sentiero
spingiamo subito il carro ed io giunga di quegli uomini
alla stirpe. Meglio fra tutte
sanno spingersi per questa via
esse che in Olimpia vinsero
corone, e dunque si spalanchino
le porte dei canti:
lungo il corso dell’Eurota
oggi è tempo di giungere a Pitane.
PINDARO 699
Poiché le mule che hanno tirato il carro di Agesia hanno ottenuto le corone della
vittoria (e questo in accordo col dato oggettivo per cui, durante il corteo festivo,
si usava incoronare di serti floreali non solo il vincitore e i suoi amici ma il carro
stesso della gara), ora esse diventano, con un audace trapasso dal reale all’imma-
ginario, le mule che guidano il carro della poesia: dunque il loro auriga Finti deve
aggiogarle non più per una gara di corsa, ma per consentire al poeta di recarsi
anche T1 (col suo discorso poetico) presso la ninfa Pitane.
Le mule, la vittoria, la loro corsa, le corone sono attratte nella sfera della poesia e
della sua esecuzione, così come le porte delle stalle dove le mule avevano atteso
l’inizio della gara si trasformano, secondo una metafora che incontriamo anche
in Bacchilide (fr. 5, 3 s. Snell-Maehler), nelle «porte dei canti».
L’ode è evidentemente in corso di rappresentazione ma il poeta, poiché questa
sezione costituisce un preludio all’avvio della parte mitica che si snoderà a par-
tire dal v. 29 e che sarà dedicata alla nascita di Iamo, si esprime come se il suo
“viaggio” poetico dovesse ancora cominciare.
Più oltre, un po’ dopo la conclusione della sequenza mitica, il poeta presenta se
stesso come soggiogato da un’ispirazione che lo spinge d’improvviso alla com-
posizione di un carme (vv. 82-87):
Ho sentore di avere sulla lingua una cote sonora,
che a me proteso si appressa con soffi fluenti.
Madre di mia madre
è la Stinfalide Metopa fiorente,

che generò Tebe


sferzatrice di cavalli: acqua dolcissima
da lei berrò tessendo per genti guerriere
un inno screziato...

Analisi del testo


Pindaro si dichiara «figlio» della sua terra tebana, e dunque solitamente impiegata per affilare attrezzi da taglio, essa viene

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


discendente di quella ninfa «acquorea» di nome Tebe che, ad assimilare implicitamente la lingua del poeta a uno stru-
secondo una leggenda locale, era nata dal fiume Asopo e da mento che aspetta di essere affilato (dunque a una spada o a
un’altra ninfa, Metopa, nativa di Stinfalo. È appunto la natura un coltello): si pensi a Eteocle nei Sette contro Tebe di Eschilo
acquatica delle ninfe (personificazioni di sorgenti) a favorire la che, una volta presa la decisione di affrontare personalmente
scelta dell’immagine, anche altrove ricorrente, della bevanda il fratello, si dichiara τεθηγμένος, «affilato» (v. 715) o alla
canora che il poeta intende degustare nell’immediato futuro, γλῶσσα τεθηγμένη, la «lingua affilata» che il coro riconosce
disinvoltamente trascurando il fatto che l’ode è già stata in in Aiace al v. 584 dell’Aiace di Sofocle; ma, allungando il tiro,
buona parte eseguita. si può richiamare anche la requisitoria contro un ricco empio e
Questo flusso sonoro si definisce come «soffi di bella cor- potente nel Salmo 52 (4: «La tua lingua è come lama affilata»)
rente», col ricorso, per «soffi», a un termine (πνοαί) che o l’accusa, nel Salmo 55, contro coloro (22) le cui parole sem-
nell’ambito dell’esecuzione troviamo altrove riferito al suono brano «molli più che olio» ma sono in realtà «spade affilate»; e
degli auli (cfr. Nemea III 79 ἐν πνοαῖσιν αὐλῶν), come se si confronti anche Salmo 140, 4: «Fanno aguzza la loro lingua
l’ispirazione che il poeta avverte in sé e che gli si presenta come quella di un serpente». Un elemento della cultura mate-
come «una cote sonora sulla lingua» fosse suscitata solo ora riale viene recuperato in contesti lontani e indipendenti – la
dal suono di quegli auli che erano soliti modulare il preludio Grecia del V secolo a.C. e i cantori d’Israele – come fattore de-
strumentale degli epinici. notativo (qualificante o squalificante) di una possibilità limite
Quanto alla «cote sonora» (λιγυρᾶς ἀκόνας), la pietra dura (estrema intensità e incisività) dell’espressione orale.
700 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Analoghi fenomeni di manipolazione e ricreazione del contesto celebrativo pos-
T5 siamo riscontrare nell’esordio della Nemea III.
I versi dedicati al tema dell’ispirazione sono seguiti dall’invito del poeta al suo
«regista» Ainéas perché inciti i suoi «compagni», cioè i membri del κῶμος, a da-
re inizio all’esecuzione con un inno a Era Parthenía (la dea Era venerata presso
il monte Partenio), che era oggetto di culto speciale a Stinfalo (vv. 87 ss.):
Adesso sprona i compagni,
Aineas, prima a celebrare
Era Partenia,
poi a capire se con parole veraci scansiamo
l’antica censura, «scrofa beotica».

La poetica
Poetica e poesia
S e assai frequenti sono i riferimenti di Pindaro al proprio mestiere di poeta, è
immetodico estrapolarli dai loro contesti per costruire un identikit dell’esteti-
ca pindarica: le dichiarazioni di poetica non sono tessere disperse di un mosaico
che contenga gli articoli di un manifesto programmatico. Per quanto tali affer-

Analisi del testo


Era abituale inneggiare a un dio al principio di un epinicio op- (dove si prega la Musa di intonare un inno in onore di Zeus: vv.
pure eseguire un inno come primo momento della celebrazione 10-11), l’enunciazione dell’invito a intonare un inno non viene
del vincitore, e al principio della Nemea II Pindaro stesso rievo- affatto seguita dalla sua realizzazione, ma resta un’attesa de-
ca come termine di confronto la consuetudine dei rapsodi, che lusa: è un rimando apparentemente centripeto (al canto stesso
solevano far precedere la recita di un brano narrativo eroico da in corso di svolgimento), in realtà centrifugo (a un momento
un «inno» in esametri in onore di una divinità. La peculiarità festivo che doveva aver preceduto l’esecuzione dell’ode).
del passo però sta nel fatto che, al pari che nella Nemea III
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Parole chiav e
Beoti e la «scrofa beotica»
Come riferisce Plutarco nel trattato De esu carnium motivazione di questa espressione di scherno è con ogni
(995e), gli Ateniesi erano soliti deridere i Beoti con probabilità connessa con l’etnia dei più antichi abitatori
questo appellativo, considerandoli «grassi, ottusi e in- della Beozia, gli Hyantes, il cui nome veniva etimologi-
genui soprattutto a causa della loro ghiottoneria». La camente ricondotto a ὗς, «scrofa».
PINDARO 701
mazioni possano riflettere personali e meditate opinioni sul ruolo del canto, sui
rapporti fra il cantore professionista e il committente, sulla tradizione letteraria
anteriore, sul repertorio tematico dell’epinicio e così via, rappresentano innanzi
tutto elementi integranti del discorso poetico, in una congiunzione indissolubile
di poetica e poesia. Così, ad esempio, le immagini agonistiche relative all’«io»
poetico come auriga o come arciere o come lottatore hanno il compito di ac-
costare la figura del poeta a quella del vincitore, ribadendo una solidarietà già
espressa nel vincolo di «ospitalità» e di «amicizia», mentre la non meno frequen-
te configurazione dell’ode come una bevanda canora (cfr. ad es. Olimpica VII 1
ss., Nemea III 76 ss., Istmica VI 1-9), pur suscettibile di proporsi come un topos
convenzionale, rimanda a quel rapporto conviviale che il poeta intrattiene col suo
ospite e che talora viene esplicitamente sottolineato, come nel quadro dei poeti
riuniti intorno alla «mensa ospitale» di Ierone di Olimpica I 16 s.

Immagini A sua volta l’identificazione del canto come un viaggio per mare e del poeta
e forme del canto come un nocchiero offre all’«io» lirico il destro per marcare, anche con formule
di interruzione o apostrofi a se stesso, le stazioni del proprio percorso o, in un
caso, diventa il pretesto per contrapporre la mobilità della parola alla staticità dei
prodotti di altri professionisti dell’arte (Nemea V 1-5):
scultore non sono, da fare statue sulla base erette
e per eterno chete.
Sul primo cargo
o in barca snella, dolce canto, va’
da Egina, divulga
che Pitea il forte, figlio di Lampone,
vinceva il serto del pancrazio a Nemea.
[Tr. di F.M. Pontani]

Certo, emergono alcune note predilette: la natura proteiforme del canto, quell’ar-
te della variazione inesauribile o ποικιλία (un monito, anche, per chi ricerchi
meccaniche soluzioni al problema dell’unità) che fa assimilare il canto stesso,
oltre che a una bevanda, al miele, alle ghirlande, alla voce del vento, alle frecce,

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


ai giavellotti; un rapporto ambiguo con la Musa, ora dispensatrice di ispirazione
(cfr. Olimpica VII 7, dove il nettare versato dal poeta è detto «dono delle Muse»,
e Peana VII b, 15-17: «Prego Mnemosyne, la figlia dal bel peplo di Urano, e le
sue figlie di donarmi le risorse del canto»), ora semplice coadiutrice del composi-
tore (Olimpica III 4, cfr. Simonide, fr. 11, 21 West2) che, pur montando sul carro
delle Muse, si dichiara autonomo εὑρεσιεπής («trovatore di versi», Olimpica IX
80); e un rapporto similmente ambivalente verso i propri predecessori, tanto che
il poeta può da un lato atteggiarsi a cantore delle antiche storie, pronto a seguire
la «carreggiata» degli antichi (Nemea VI 53 s.: «Ecco la carreggiata che gli an-
tichi trovarono: la seguo anch’io con zelo»), dall’altro raccomandare a se stesso
(Olimpica IX 47-49):
per loro una via sonante di versi:
loda il vino vecchio, ma i fiori di canti
nuovi.
702 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Così Omero può essere accusato, in Nemea VII 22 s., di aver cinto di «menzo-
gne» (ψεύδεσι) e di «risorse alate» (ποτανᾷ μαχανᾷ) la figura di Odisseo o
viceversa essere lodato, in Istmica IV 37-39, per aver riscattato il valore di Aiace:
Omero gli ha reso l’onore tra gli uomini,
ed esaltandone tutto il valore insegnò a cantarlo
ai posteri sullo scettro dei versi divini.
[Tr. di G.A. Privitera]

Ambiguità e oscillazioni indubbiamente consapevoli e in realtà inevitabili per un


professionista della parola che, pur pienamente integrato nell’orbita “commer-
ciale” che ormai regolava i rapporti fra intellettuale (poeta o artista figurativo) e
committente, non rinunciava a rilanciare un’immagine del cantore come legato
da vincoli religiosi, quasi «oracolari», con le fonti della propria ispirazione: cfr.
Peana VI 6 ἀοίδιμον Πιερίδων προφάταν «celebrato profeta delle Muse di Pie-
ria»; fr. 75, 13 Maehler ὥστε μάντιν «come un indovino»; fr. 94a, 5 s. μάντις
ὡς ... ἱεραπόλος «come un indovino che attende a riti sacri»; fr. 150 Maehler
μαντεύεο, Μοῖσα, προφατεύσω δ᾽ ἐγώ «vaticina, o Musa, ed io profeterò».

Bersagli polemici Di qui, da parte di Pindaro, un’esaltazione di sé e una serie di gesti polemici
e ideali poetici difficilmente riducibili, secondo la prassi degli antichi commentatori, a personali
polemiche coi due poeti di Ceo.
In particolare, il duale γαρύετον riferito a κόρακες («corvi») nell’Olimpica II
probabilmente non designa due corvi determinati sotto cui si celerebbero Simo-
nide e Bacchilide, bensì una generica «coppia di corvi», secondo un abito corren-
te per cui corvi e cornacchie sono immaginati in coppia (vv. 83-88):
Molti veloci
dardi sotto il mio braccio
ho dentro la faretra, voci
chiare a chi intende, e in tutto esigono
interpreti. Saggio è chi molto sa
di natura, gli addottrinati gracchiano
a vuoto ciarle sfrontate: un paio di corvi
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

contro il divino uccello di Zeus.


[Tr. di L. Lehnus]

E tuttavia, su un piano meno biografistico e personalizzato, l’individuare, quali


destinatari dei propri «dardi», i συνετοί («competenti» che sanno intendere il
suo messaggio) e il rivendicare una σοφία assimilata per natura (φυᾷ) in op-
posizione a un «sapere» acquisito con l’apprendimento (μαθόντες: si pensi alla
πολυμαθίη condannata da Eraclito) sottintendono il rifiuto di quella riduzione
dell’arte a competenza laica e artigianale che Simonide aveva profilato e che non
a caso trova riscontro in una dichiarazione di Bacchilide (fr. 5 Snell-Maehler):
L’uno dall’altro è sapiente
nel passato come nel presente, ché non è facile
trovare le porte di versi
mai pronunciati.
PINDARO 703

Il mito
A d eccezione di pochi carmi (Olimpiche XI, XII e XIV e la Pitica VII), al
centro dell’ode è un episodio mitico, ispirato da elementi legati all’occasione
festiva, come il luogo della vittoria, o a circostanze biografiche del vincitore, del-
la sua famiglia o della sua città, ed esso viene presentato in forma di paradigma
eroico dei valori e delle aspirazioni dell’aristocrazia coeva.

La funzione di filtro Nel mondo del mito l’«io» narrante si inoltra con la coscienza del proprio ruo-
dell’io narrante lo di «timoniere» o «auriga» di un viaggio che egli può avviare, interrompere,
concludere secondo criteri di opportunità (καιρός) stabiliti di volta in volta in
sintonia con le attese del suo uditorio. Mira, infatti, a quella giusta dose di infor-
mazioni che sia in grado di suscitare nostalgia delle antiche gesta senza procu-
rare la sazietà (κόρος) che consegue alla ridondanza o alla prolissità. Insomma
una specie di etica narrativa parallela allo scrupolo per cui il poeta si astiene
dichiaratamente da tratti indecorosi o potenzialmente empi delle antiche storie,
che potrebbero gettare infamia su un eroe o una divinità. È il caso dell’Olimpi-
ca I, dove rigetta (vv. 46 ss.) la versione secondo la quale Tantalo, re di Sipilo,
per verificare l’onniscienza degli dèi, da lui invitati a banchetto, avrebbe loro
imbandito le carni del proprio figlioletto Pelope, o della Nemea V, dove il dato
infamante dell’uccisione di Foco da parte dei fratellastri non viene contestato,
ma deliberatamente taciuto (vv. 14, 16-18):
Ho ritegno di dire
cosa grave, rischiata contro il giusto,

non ogni chiara verità guadagna
se mostra il viso,
e il silenzio sovente
è la più saggia idea.
[Tr. di F.M. Pontani]

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Gli impulsi alla «verità» e al «silenzio», alla memoria e all’amnesia (deliberata
soppressione di elementi tradizionali) definiscono i poli da cui si sprigionano le
scintille del narrare pindarico, i suoi scorci e i suoi trapassi, le soste e i rilanci,
le analessi e le anticipazioni, le divagazioni e i ritorni sulla pista principale della
storia.

T1 Come emblema del procedere narrativo di Pindaro può essere assunto il caso di
quella Olimpica VI (di cui abbiamo già richiamato due passi), dove il mito tocca
dell’origine della famiglia sacerdotale degli Iamidi, a cui apparteneva il vincitore
Egesia di Stinfalo (vedi antologia).

L’intervento Dal confronto fra due luoghi del Peana VI e della Nemea VII, entrambi dedicati
pindarico alla visita di Neottolemo a Delfi dopo il suo ritorno da Troia, possiamo riscon-
nel Peana VI…
trare con particolare evidenza la libertà con cui il lirico corale, non meno del
704 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
rapsodo e del citarodo, modella il taglio narrativo di volta in volta prescelto a
seconda del contesto entro il quale il canto avrebbe dovuto essere eseguito: que-
sto si osserva non solo nella selezione di una variante piuttosto che di un’altra
dello stesso mito, ma nella diversa enfasi assegnata ai singoli momenti di una
medesima narrazione.
Iniziamo l’esame col più antico (e presumibilmente giovanile) Peana VI, com-
posto su committenza dei cittadini di Delfi e destinato ad essere eseguito presso il
santuario di Apollo nell’ambito di una «teossenia» (un banchetto sacro offerto al
dio) in memoria della sua funzione di risanatore da pestilenze e carestie. La nar-
razione pone in primo piano l’empietà del figlio di Achille che, dopo aver ucciso
il vecchio Priamo rifugiatosi sull’altare domestico, viene giustamente punito da
Apollo con la morte allorché, venuto a Delfi, entra in contrasto coi sacerdoti del
luogo (vv. 105-120):
105 ... ma non più la cara madre
vide né, fra i paterni campi,
i cavalli dei Mirmidoni,
incitando la schiera dal cimiero di bronzo.
Presso il Tomaro, alla terra molossia (scil. l’Epiro)
110 arrivò ma non sfuggiva né ai venti
né al dio lungisaettante dall’ampia faretra (Apollo)
ché il dio giurò
che colui che il vecchio Priamo,
balzato sull’altare domestico,
115 trucidato aveva né lieto alla sua casa
sarebbe tornato né alla vecchiaia della vita
sarebbe giunto. Lui coi servi
a lite venuto per gli infiniti
onori il dio lo uccise nel suo
120 recinto, presso il vasto ombelico del mondo.

Resta vaga nel racconto la motivazione della lite che scoppia fra Neottolemo
e i ministri del santuario. Non è chiaro se gli «infiniti onori» alludano alle
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

carni delle vittime da distribuire dopo il sacrificio o ai tesori del tempio, tan-
to che – secondo un’antica tradizione – gli Egineti avrebbero rimproverato a
Pindaro di aver offeso la memoria di Neottolemo, uno dei loro maggiori eroi
locali. Egli avrebbe infatti alluso alla versione (di cui è traccia nell’Andromaca
e nell’Oreste di Euripide) secondo la quale egli si sarebbe recato al santuario
di Apollo per chiedere al dio un risarcimento per la morte del padre Achille,
ucciso proprio da Apollo che aveva assunto le sembianze di Paride (come è
ricordato ai vv. 79 s. dello stesso Peana VI); e Pindaro, nella Nemea VII, si
sarebbe difeso da questa accusa precisando di aver voluto intendere, anche nel
peana, che la rissa col clero delfico era stata provocata dalla spartizione delle
carni sacrificali.
Per alcuni questo dibattito fra il poeta e gli Egineti riposerebbe su qualche fonda-
autoschediasma mento reale; per altri, invece, costituirebbe solo un’invenzione erudita, un «au-
toschediasma», escogitata per dare un fondo biografico al tono apologetico mani-
PINDARO 705
festato da Pindaro ai vv. 102-104 della Nemea VII: «Mai il mio cuore ammetterà/
di aver dilaniato Neottolemo con inflessibili/ parole».
In ogni caso è evidente che in questo epinicio, composto per un vincitore egineta
(il giovane Sogene) forse a breve distanza dal Peana VI, la stessa vicenda è ri-
evocata ai vv. 34-47 con segno preciso e puntuale motivazione (una rissa per le
carni). A gloria del figlio di Achille e degli Eacidi egineti, questa rissa viene poi
prospettata come aition del culto di cui era oggetto Neottolemo a Delfi proprio
come nume tutelare di una giusta distribuzione delle carni sacrificali in occasione
delle ecatombi per gli eroi, nell’ambito di una teossenia in cui Apollo li invitava
a banchetto presso di sé:

... E giace
entro le zolle pitiche Neottòlemo,
35 poi che distrusse la città di Priamo
che fu travaglio ai Greci.
Salpò, fallì l’approdo a Sciro, giunse
a Efira coi suoi, che si sviarono.

epodo I Regnò sulla Molossia un tempo


corto, ma quel diritto
40 alla stirpe restava. Andò dal dio
con primizie di spoglie troiane:
nacque una rissa per le carni,
lo trafisse taluno di coltello.

strofe III Grave il cruccio dei Delfii ospitali.


Ma lui pagò
verso il destino il debito. Era scritto
45 che dei principi Eàcidi
uno vivesse nel recinto antico
presso il solido tempio
e tutelasse il rito nelle pompe
degli eroi, dove cadono ecatombi.

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


[Tr. di F.M. Pontani]

Uomini e dèi
La preservazione
degli ideali nobiliari A bbiamo già accennato ad alcuni valori essenziali di quel sistema mentale che
pervade gli epinici pindarici e che veniva incontro alle aspirazioni o alle
velleità dei principeschi committenti del poeta: un’aura tesa alla preservazione
degli ideali nobiliari e alla salvaguardia di una εὐνομία che altro non significava
se non la cristallizzazione delle strutture politiche e sociali esistenti contro i ri-
schi della stasis e del cambiamento. Così nel preludio della tarda Pitica VIII (del
446) viene invocata Ἡσυχία, personificazione della quiete sociale, come colei
che fa grandi le città e «tiene le chiavi dei consigli e delle guerre», mentre in un
706 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

iporchema iporchema per i Tebani il poeta esorta i concittadini (fr. 109 Maehler) a fondare
il bene pubblico sulla tranquillità (ἐν εὐδίᾳ) estirpando dall’animo la «discordia
colma di rancori (στάσιν ... ἐπίκοπον), prodiga di povertà, malvagia nutrice di
giovani».

Elementi E tuttavia, pur nell’ambito di un idoleggiamento fuori dal tempo di quello che J.
di dissonanza Burckhardt ha definito l’«uomo agonale», affiorano, nella delineazione del rap-
porto fra uomini e dèi (ed eroi), sollecitudini e notazioni non dissonanti ma nondi-
meno eccentriche rispetto alle ambizioni di un cosmo armoniosamente ordinato.
Certo, gli dèi garantiscono l’ordine della città, Apollo è il grande nume civilizza-
tore che ha trasmesso agli uomini le arti della medicina, della musica, della pro-
fezia e non meno civilizzatore appare Eracle, l’ἥρως θεός che (Nemea III 22-26)
... domò
fiere immani nel pelago
e solitario investigò maree
di lagune,
25 calando al punto della svolta, e «terra,
terra» svelava.
[Tr. di F.M. Pontani]

Eracle, super- Ma le imprese dello stesso Eracle (un super-policeman dell’universo, secondo la
policeman pungente definizione di E.G. Turner) sono documento di un νόμος βασιλεύς (fr.
oltre la legge
169a Maehler), di una «legge sovrana» di uomini e dèi, che opera tramite la vio-
lenza. Eracle infatti viola le norme tradizionali della convivenza umana sia nel
caso del furto delle vacche di Gerione e dell’uccisione di costui (ne abbiamo visto
la versione stesicorea) sia in occasione del rapimento delle cavalle antropofaghe
di Diomede figlio di Enialio e re dei Bistoni: un episodio nel cui ambito Eracle
non solo sopprime l’innocente guardiano delle cavalle ma affronta un avversario
di cui Pindaro riconosce apertamente che lottava «non per insaziabilità ma secon-
do virtù» (v. 15 οὐ κό]ρῳ ἀλλ᾽ ἀρετᾷ) a difesa dei propri beni. Neppure Eracle
combatte per brama di possesso – esegue gli ordini di Euristeo, a cui è costretto a
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

obbedire per volontà divina –, ma in ogni caso la violenza che egli mette in atto è
un comportamento che ha bisogno di essere «giustificato» da una norma superiore
agli stessi dèi: essa infatti (vv. 3 s.) ἄγει δικαιῶν τὸ βιαιότατον/ ὑπερτάτα χερί
(«guida, giustificandola, anche l’azione più violenta/ con mano suprema»).

La condizione È la spia di un riconoscimento, da parte di Pindaro, di un mondo divino sottratto ai


divina… parametri dell’umano, a cui l’individuo può solo avvicinarsi in qualche misura con
le prove di virtù ma senza mai sottrarsi a un senso di precarietà legato all’ignoranza
del futuro e alla coscienza di una forza che può ridursi al nulla (Nemea VI 1-6):
strofe I È una la stirpe degli umani e degli dèi, la madre
è una, onde la vita agli uni e agli altri spira.
La potenza divarica: nulla
di qua; di là l’immota sede, il cielo
di bronzo. Ma la mente vasta, forse, o l’indole
PINDARO 707
5 ai celesti ci assimila, ignari
di che pista segnò
la sorte
alla corsa diurna o nelle notti.
[Tr. di F.M. Pontani]

…e quella umana Un movimento proemiale del tutto simile al movimento clausolare della Pitica
VIII, dove il tema già archilocheo – e più razionalisticamente riproposto da Simo-
nide – della precarietà della condizione umana in quanto soggetta, esternamente
e internamente, ai multiformi cambiamenti della sorte, si fissa nell’immagine
dell’uomo come «sogno di un’ombra» (una sorta di vanificazione di secondo
grado) che può essere riscattato solo da una luce inviata dagli dèi (vv. 95-97):
Effimeri! Che cos’è qualcuno? Che cos’è nessuno? Sogno di un’ombra
l’uomo. Ma quando splendore divino discende,
fulgida luce arride agli umani e dolce esistenza.

«Qualcuno»/«nessuno»: due situazioni limite fra cui oscilla la vita umana in


quella sua dimensione di «effimera» labilità che insidia lo stesso «uomo agona-
le» in quanto esposto alle alternative del successo e della sconfitta. A fronte di
questa labilità la luce mandata dagli dèi – un’αἴγλα che è lo «splendore» del suc-
cesso ma anche del canto che consegna quel successo alla fama – è una certezza
che si àncora al giorno della vittoria e all’eco che ne seguirà al ritorno in patria
dell’atleta ma che non può salvare l’agonista, né l’uomo in generale, dal flusso
cangiante del tempo.

La molla del tempo Sia pure episodicamente, del resto, non è solo una dolente meditazione sull’uo-
e della storia mo ma un perplesso ripiegamento di fronte alla storia e agli errori commessi nel
reagire ai suoi eventi che incrina la serenità del messaggio pindarico, come in
quella Istmica VIII che, composta all’indomani della vittoriosa resistenza anti-
persiana, riecheggia il senso di colpa dell’aristocratico tebano che aveva visto la
sua città assediata dal generale spartano Pausania con la richiesta di consegna-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


re gli elementi filopersiani. La salvezza dal pericolo persiano può allora essere
paragonata alla liberazione da un travaglio simile alla pietra di Tantalo senza
suscitare nell’«io» lirico né aperta esultanza né confidenza nel futuro quanto un
perplesso rifugiarsi nel conforto del carpe diem (vv. 12-15):
strofe II A me però la paura dei pericoli corsi
arrestò la forte tensione: meglio
sempre guardare
al presente, perché pende ingannevole
sugli uomini il tempo
15 voltando il corso della loro esistenza.
[Tr. di G.A. Privitera]

Pindaro sembra insomma leggere, attraverso un filtro avveduto, dentro l’attualità


storica ed etico-religiosa del suo tempo. Se è vero che anche i momenti più pen-
708 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
sosi ed eccentrici della sua visione del mondo si lasciano da ultimo ricondurre
al binario istituzionale del singolo genere (lode del vincitore, lode del defunto e
consolazione dei parenti, lode del dio apportatore di salute ecc.) e del singolo car-
me, non si può considerare indifferente o strumentale la selezione di determinati
aspetti legati alla storia politica o alle aspirazioni interiori del suo tempo. Anzi,
essi formano un fascio di interessi che, proprio perché non immediatamente le-
gati al «programma» del canto, esprimono preoccupazioni che fanno di Pindaro,
oltre che il celebratore dei fasti nobiliari, l’esploratore di zone ancora oscure
della vita umana e del precario rapporto che lega gli «effimeri» agli dèi.

Predilezioni espressive
Il dispiegarsi
dello stile pindarico N on è impossibile, ed è stato fatto nel 1921 da F. Dornseiff nel suo pregevole
Pindars Stil, anatomizzare la dizione pindarica nel suo lessico, nella sua
sintassi, nelle sue metafore. Molto più problematico risulta cogliere il dispiegarsi
di questi procedimenti nel tessuto variopinto della singola ode e del singolo con-
testo: seguire il poeta nello svolgere un’immagine da un’altra e nell’interazione
insistita fra il tenore argomentativo e il livello metaforico, nel trapasso a volte
brusco a volte puntigliosamente marcato (dominano le espansioni relative) fra i
singoli temi ed episodi, nelle anticipazioni e nei ritorni all’indietro, negli stacchi
di tono fra il grandioso e il proverbiale, fra la salita vertiginosa e l’arresto im-
provviso, fra la schermaglia polemica e l’apertura cordiale.

Immagini, nessi Costanti e variabili di cui almeno un presentimento può essere offerto da questa
peregrini o cerebrali? pertinente esemplificazione di F.M. Pontani: «Il concepire pindarico è caratte-
rizzato dalla concretezza icastica: essa è già evidente nell’aggettivazione. Può
accadere di notare, come in Bacchilide, una certa esuberanza non necessitata o
una ricercatezza che distrae (l’«intonso» Febo di Pitica III 20 = Istmica I 8); ma
l’aspetto convenzionale è per lo più riscattato da un’aggiunta visiva o uditiva
dell’epiteto al sostantivo, e gli arricchimenti e illuminazioni di suggestività si
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

presentano quasi a ogni passo: Semele «con la sua cesarie lunga», Olimpica II
39; la gloria «morbida», Olimpica V 15 = Istmica I 69; il vitto «vuoto», Olimpica
II 97, e così all’infinito.
Sorprendente è la capacità di portare su un piano d’immagini concrete e corpose
l’astratto o l’imponderabile: l’inno s’avvolge attorno alle menti (Olimpica I 10),
gli errori pendono attorno all’anima (Olimpica VII 36), la fama nel letto dorme e
svegliata rifulge (Istmica IV 32 sg.), l’invidia scaglia una pietra dura (Olimpica
VIII 71), il cuore tira per mano indietro (Nemea XI 52); e ancora: i «flussi di pru-
denza» (Nemea XI 74), le canzoni con la faccia argentata (Istmica II 14).

L’efficacia La parola più efficace è spesso sostituita alla più banale e attesa. Pronte insidie,
della singola parola il barocchismo e l’ermetismo insieme. Esempi del primo: la pioggia, l’impietoso
stuolo avventizio di mugghiante nube (Pitica VI 10 sg.) o il vincitore che cade
sulle ginocchia dell’aurea Nice (Istmica II 39 sg.).
PINDARO 709
Quanto all’ermetismo, pur escludendo nel poeta ogni intento di creare una poesia
iniziatica da trobar clus, non ci si può sottrarre talora all’impressione d’un cere-
Ermetismo o vette
dell’arte?
trobar clus bralismo volontaristico: le designazioni di Siracusa come «rifiato d’Alfeo» ecc.,
in Nemea I 1 sgg., finiscono col perdere il loro valore icastico per i sottintesi che
vi si addensano. D’altra parte taluni “ardiri” dovuti alla contrazione e alla den-
sità dell’immagine vanno considerati, anzi che limiti, vette dell’arte pindarica.
Accanto a un’essenzialità ottenuta coi mezzi più semplici, c’è un librarsi della
parola (anche una sola) e della frase a un’assoluta purezza che si congiunge alla
densità suggestiva».

I frammenti: canti cultuali, scolî, thrênoi


L a produzione di Pindaro legata agli agoni sportivi copre, come abbiamo già
detto, solo quattro (gli unici trasmessi dalla tradizione manoscritta medioeva-
le) dei 17 libri dell’edizione alessandrina.

Peani destinati L’apporto dei papiri rende talora significativi, specialmente in relazione ai peani,
a più vasto pubblico i resti di quei canti legati al culto degli dèi e degli eroi che Pindaro era solito
comporre per committenza di una polis o di un genos per conto della comunità in
cui tale genos era inserito. Data la loro funzione, tali composizioni comportavano
uno scenario pubblico e un uditorio che nel caso di feste come quelle celebrate a
Delo e a Delfi in onore di Apollo potevano raggiungere una dimensione panel-
lenica.
Di qui deriva, generalmente, una dizione meno aspra e compressa, soprattutto
nello sviluppo delle sequenze mitico-narrative, e una frequente sottolineatura
delle scansioni rituali della cerimonia.

Thrênoi e σκόλια Frammenti significativi abbiamo anche dei canti corali intonati in onore di defunti
(thrênoi) e di quelli monodici destinati all’intrattenimento simposiale (σκόλια),

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


i primi caratterizzati da accenti consolatori e da prospettive escatologiche che
abbiamo già richiamato, i secondi da toni erotici di talora intensa coloritura.
Ecco dunque una panoramica dei frammenti pindarici secondo quell’ordine della
Vita Ambrosiana che è poi quello seguito nelle moderne raccolte dei frammenti
(e in particolare nelle due più recenti, curate rispettivamente di A. Turyn e, sulla
scia di B. Snell, da H. Maehler).

Inno a Zeus Fra gli Inni abbiamo resti importanti soprattutto di un grande inno a Zeus per i
Tebani (frr. 29-35c). Dopo un preambolo in cui l’«io» si chiede chi fra una selva
di figure legate a Tebe egli debba invocare (il modulo compare anche al principio
dell’Istmica VII) si rievocavano le nozze di Cadmo e Armonia, nel contesto delle
quali le Muse avevano celebrato l’unione di Zeus con Temi e lo splendore delle
opere realizzate dal dio supremo. Forse entro la stessa rievocazione delle Muse
compariva un’apostrofe a Delo in quanto sede della nascita di Apollo e di Arte-
710 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
mide, e il modo con cui l’isola appare invocata nel fr. 33c Maehler sottolineava
la concordia e la specularità fra mondo umano e mondo divino:
Salve, o fondata dagli dèi, per i figli di Leto
dai riccioli lucenti il più amoroso virgulto,
figlia del mare, del vasto mondo
immobile prodigio, tu che i mortali
5 chiamano Delo e i beati sull’Olimpo
astro che appare da lungi della terra scura...

Significativo, tra i frammenti degl’Inni, anche il fr. 43 Maehler, dove è ripor-


tata l’esortazione di Anfiarao al figlio Anfiloco a imitare il comportamento del
polipo, che adatta il colore della pelle alla roccia a cui si accosta (sulla linea di
«Teognide» 213 ss., v. p. 000).
Gran parte dei resti dei Peani ci sono stati trasmessi da P. Oxy. 841, a cui più di
recente si sono aggiunti i contributi di altri papiri.

Peana I Nel Peana I per i Tebani, l’annuncio del ritorno del giorno della festa e la pre-
ghiera al dio perché gratifichi la gente in festa, offrendo i fiori di una moderata
εὐνομία, sono preceduti da un invito collettivo affinché (vv. 1-3)
prima di giungere alla soglia dolorosa di vecchiezza
ombreggi ognuno di letizia,
con moderazione, un animo scevro da rancori...

Letizia festiva e armonia civile sono viste come manifestazioni di una medesima
condizione positiva che consente e incoraggia l’epifania divina.

Peana II Il Peana II fu composto da Pindaro su committenza della città ionica di Abdera,


sulla costa tracia. L’«io» lirico si identifica con gli abitanti di questa colonia della
città di Teo, dal momento che ai vv. 24 s., con una movenza che compare anche
nel Peana IV, si dice:
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

...io abito [questa]


terra tracia ricca di viti e
fiorente di frutti.

Aperto da un’apostrofe all’eroe locale Abdero, figlio di Posidone e della naiade


Tronia, e amato da Eracle, il componimento si chiude su una rinnovata invoca-
zione all’eroe eponimo perché sostenga la propria città nella lotta che si annuncia
imminente coi nemici (popolazioni tracie dell’entroterra), mentre il nocciolo del
carme, ricorrendo alla storia invece che al mito, rievoca gli alterni successi e
insuccessi che hanno contraddistinto le vicende degli avi. L’esecuzione doveva
avere un andamento processionale che muoveva dal sacello dell’eroe per arrivare
al tempio di Apollo e di Afrodite e far ritorno al punto di partenza: lo schema
della composizione anulare, con le apostrofi iniziale e finale ad Abdero, doveva
dunque assumere una funzione «pragmatica», sottolineando la prima e l’ultima
delle stazioni toccate dai coreuti/cittadini.
PINDARO 711
Peana IV Come committenti del Peana IV appaiono gli abitanti di Cartea, nell’isola di
Ceo, che dichiarano di abitare uno «scoglio» (σκόπελον 21) che tuttavia non
scambierebbero con la favolosa Babilonia, e come esempi di moderazione ri-
chiamano le vicende dell’indovino Melampo, il quale, pur di non abbandonare
la patria, rinunciò a regnare in Argo, e di Euxantio, che rifiutò il dominio sulla
settima parte dell’isola di Creta.

Peana VI Il Peana VI, per i Delfî, è fra i meglio conservati: l’«io» – che qui, a differenza
che nel Peana II e nel Peana IV, si identifica col poeta – dichiara di aver udite
orfane di danze e di canti le acque della Castalia (la fonte che sgorgava non lungi
dall’inizio della Via Sacra) e di essere venuto a soccorrere con la sua arte Pito
(l’antico nome di Delfi) e i suoi cittadini. Segue un’ampia lacuna, dopo la quale
troviamo un’invocazione alle Muse perché rammemorino al poeta l’origine delle
Teossenie, la festa a cui gli dèi partecipavano come convitati: un’origine che
risaliva al tempo in cui tutta la Grecia era stata colpita da una grave carestia,
superata grazie all’iniziativa dei Delfî, che su consiglio della Pizia avevano sup-
plicato Eaco, figlio di Zeus e della ninfa Egina, di intercedere presso il padre. Di
qui, attraverso una transizione in gran parte inghiottita dalle lacune, si passa alla
funzione svolta da Apollo nella guerra troiana e all’uccisione di Neottolemo a
Delfi da parte dei sacerdoti del dio, con una versione non diversa ma diversamen-
te articolata rispetto a quella che Pindaro avrebbe offerto nella Nemea VII (v. p.
000). Poi, nella terza strofe, si apre all’improvviso un caldo elogio di Egina e del-
la sua potenza marittima, donde si passa alla rievocazione dell’unione fra Zeus e
la ninfa eponima (figlia di Asopo) e quindi alla figura di Eaco (nato appunto da
Zeus e da Egina) e alle virtù degli Eacidi. L’ode si conclude – in un movimento
molto significativo per l’inserimento della figura del poeta entro il contesto fun-
zionale del peana come canto della salute (ὑγίεια) – con un’invocazione agli dèi
perché adombrino di corone di florida salute la gente in festa e con un’esortazio-
ne al dio Peana perché «accolga» spesso anche in futuro il poeta:
175 ... e [dire]
le infinite virtù degli Eacidi fragorosi

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


con la lancia: amate
la [loro] città patria,
am[ate] questa gente
180 in festa e con corone ombratela
di floridissima salute. Tu, o Peana,
accogli spesso colui che delle Muse ha in sorte
i [canti] rituali.

La prospettiva eginetica che si dischiude nell’ultimo sistema strofico ha fatto


supporre che il componimento fosse stato commissionato a Pindaro appunto da-
gli Egineti, ma l’elogio dell’isola non impone questa conclusione dal momento
che il nesso fra la celebrazione delle Teossenie e i richiami a Egina e alle sue fi-
gure mitiche era offerto dal personaggio di Eaco e dalla intercessione da lui svol-
ta un giorno presso Zeus per la fine della carestia che opprimeva la Grecia intera.
712 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Peana VII Il Peana VII, anch’esso di carattere processionale, fu eseguito per i Tebani in
occasione di una cerimonia in onore di Apollo presso il seggio oracolare beotico
dello Ptoion, collocato su una terrazza naturale sormontata da una vetta tricuspi-
de: il movimento di avvicinamento allo spiazzo antistante il penetrale del dio è
descritto nell’attacco secondo il modulo dell’adventus che già conosciamo dagli
epinici (vv. 1-4):
Al penetrale del dio, veridico
datore di arcani responsi,
[eccomi giunto] e alla splendida corte
di Melia [figlia] di Oceano....

Peana VIIb Il Peana VIIb, per la πανήγυρις di Delo, era dedicato al tema dell’unione di
Zeus con Latona e contiene uno dei brani più suggestivi, ma purtroppo lacu-
noso, della poetica pindarica, che sarà ripreso da Callimaco nel prologo degli
Aitia. Vi si paragona la poesia epigonale di chi ripete senza originalità le storie
dell’epica a un percorso lungo la «molto battuta carreggiata di Omero» (v. 11
Ὁμήρου [πολύτρι]π̣τον κατ᾽ ἀμαξιτόν): ma non è nell’imitazione degli altri
poeti, quanto piuttosto nel rinnovarsi di un contatto con le Muse che il vero poeta
può sottrarsi alla “cecità” della condizione umana (vv. 18-20):
Cieche sono le menti degli uomini,
se uno senza le Muse d’Elicona
cerca [...] la via profonda della sapienza.

Peana VIII Il Peana VIII, aperto da un’allocuzione ai «profeti gloriosi di Apollo», ripercorre
la storia dei templi succedutisi sul luogo del santuario delfico, dal primo costruito
con rami d’alloro portati da Tempe fino almeno al quarto, edificato da Trofonio
e Agamede: ciò che ci è rimasto riguarda quasi esclusivamente il terzo tempio,
edificato in bronzo ma con figure femminili in oro appese al suo fastigio: si tratta
delle Κηληδόνες, le «Fascinatrici», che sul modello delle Sirene facevano di-
menticare ai pellegrini, con la magia del canto, la via del ritorno.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Peana IX Il Peana IX, per una supplica (λιτανεύω al v. 38) dei Tebani presso il santuario
dell’Ismenio in occasione di un’eclissi di sole del 463 (o del 478), si apre con la
sbigottita invocazione alla luce del sole (che sarà riecheggiata da Sofocle nell’at-
tacco della parodo dell’Antigone) e prosegue con una serie di smarrite domande
su imminenti cataclismi naturali, ma si rasserena nella rievocazione della nascita
del profeta Tenero dall’unione di Apollo con la ninfa Melia.

Ditirambi Fra i Ditirambi spicca il II, che rappresenta «una celebrazione dionisiaca della
quale sono protagonisti gli dèi stessi, paradigma e riflesso di quella terrena (le
Agrionie tebane) alla quale il canto era destinato. Il raccordo fra il proemio e la
sezione narrativa è costituito da un richiamo alla funzione del poeta come inter-
prete delle Muse (vv. 23 ss.): il canto del poeta è il punto in cui passato e presen-
te, piano mitico-divino e piano umano convergono, poiché nel canto si realizza
PINDARO 713
la compiuta fusione fra la realtà attuale della festa che si celebra nel mondo degli
uomini e l’avvenimento divino che ne costituisce il fondamento e il modello»
(R. Sevieri).
Interessante anche il fr. 75 Maehler, dove si invocano le divinità olimpie perché
si rechino alla piazza ateniese dove sorgeva il loro altare comune. Nel Ditirambo
III, e verosimilmente nel fr. 78 Maehler, ricorreva il motivo della cessazione di
guerre e contese.
Diversamente che in Bacchilide, dove il ditirambo ha ormai assunto un anda-
mento esclusivamente narrativo, in Pindaro sono frequenti i richiami alla festa e
al suo contesto religioso, al ruolo che il poeta e il coro assumono al suo interno,
talora anche al luogo in cui l’esecuzione si svolge.

Partenî: il II Mentre scarsissimi sono i resti dei Prosodî, un ritrovamento papiraceo (P. Oxy.
659) ci ha restituito qualcosa del libro dei Partenî, di cui, in particolare, è conser-
vato ampio tratto del Partenio II (fr. 94b Maehler). Il carme prende occasione da
una processione di ragazze che ogni otto anni muoveva verso il vicino santuario
tebano dell’Ismenio recando ad Apollo rami d’alloro in segno di supplica. Come
dafneforia apprendiamo da testimoni antichi, questa dafneforia era guidata da un fanciullo
che avesse entrambi i genitori in vita; seguiva il parente a lui più prossimo, che
reggeva un pesante ramo d’ulivo coronato di rami d’alloro e altri ornamenti,
detto κοπώ. Dietro veniva poi il dafneforo, che impugnava a sua volta un ramo
d’alloro, e infine il coro delle vergini.
Dopo aver invocato l’epifania di Apollo, il canto pindarico dichiara l’intento
di celebrare la famiglia di Eolada e di suo figlio Pagonda, il quale a sua volta
sta accompagnando il figlio adolescente Agasicle (che nell’occasione rive-
ste con ogni probabilità la funzione di dafneforo). L’avvio del movimento
processionale è collocato nella parte centrale del carme, al quinto (o sesto)
sistema strofico, con l’invito ad aprire la processione rivolto al «padre di
Damena», ossia a Pagonda, padre al contempo di Agasicle e di Damena, la
fanciulla che riveste il ruolo di corega. Viene ricordata anche Andesistrota, la
maestra (a meno che non si tratti del nome della madre) che addestrò Damena

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


(vv. 66-72):
Padre di Damena, ora con passo quieto
tu procedendo guidami: lieta ti seguirà
nel cammino per prima la figlia,
vicino all’alloro dalle foglie leggiadre
70 avanzando coi calzari,
lei che Andesistrota
allenò con consigli...

È interessante rilevare nel carme che, pur nell’ambito di una festa pubblica che
coinvolgeva l’intera comunità tebana, Pindaro concentra l’encomio sulle impre-
se agonali e civili di un singolo gruppo familiare. Si tratta di quello degli ari-
stocratici committenti, al quale il poeta fa pervenire anche il proprio augurio di
ricevere in futuro nuove committenze attraverso una dichiarazione di poetica
714 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
(vv. 76-78) che sarà riformulata in termini analoghi da Callimaco nella chiusa
del suo Inno ad Apollo:
ora che voi due [avete attinto] nettare alla mia fonte,
quando avrete sete non presso [acqua] salmastra
andate...

Iporchemi Nell’ambito degli sparuti resti degli Iporchemi sono da rilevare il largo uso di
cretici, secondo una prassi che doveva essere caratteristica del genere e, nel fr.
107ab Maehler (ma l’attribuzione a Pindaro non è certa), il forte richiamo mime-
tico ai movimenti di danza eseguiti dai coreuti (vv. 1-3): «Nelle tue evoluzioni
imita col piede che in gara si slancia cavallo pelasgo o cagna di Amicla...».

Encomî I resti degli Encomî, titolo sotto cui vennero inclusi dagli alessandrini i carmi
conviviali (σκόλια), da un lato comprendono alcuni componimenti, come il fr.
123 Maehler (per Teosseno di Tenedo) e il fr. 124ab Maehler (per Trasibulo di
Agrigento), che si inseriscono nella tradizione della lirica omoerotica arcaica
(intensa, nel fr. 123 Maehler, la descrizione dell’effetto prodotto dai «raggi» che
emanano dallo sguardo di Teosseno); dall’altro presentano un brano stravagante,
qual è il fr. 122 Maehler, composto per accompagnare l’offerta, da parte di Seno-
fonte di Corinto, di un gruppo di prostitute sacre al tempio di Afrodite: Pindaro
assolve il compito con un tocco umoristico di finto imbarazzo allorché si chiede
«che cosa diranno di lui» i «signori dell’Istmo» vedendolo «scoprire un tal prin-
cipio di dolce carme conviviale per pubbliche donne».

Thrênoi Infine i thrênoi contengono, nel fr. 129 Maehler, quella rievocazione della vita
dei beati nell’al di là che abbiamo già citato insieme con l’analogo brano della
Olimpica II, mentre nel fr. 133
Maehler (citato nel paragrafo
sull’orfismo del capitolo IX,
«La sapienza dei Presocratici»)
troviamo, con l’allusione al mito
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

dei Titani e di Dioniso-Zagreo,


un incontro di Pindaro, forse
condizionato dagli interessi dei
committenti, con una prospetti-
va caratteristica della teologia
orfica. Da segnalare, nel fr. 128c
Maehler, la più antica definizio-
ne delle aree funzionali dei sin-
goli generi letterari: i peani ven-
lino gono contrapposti ai ditirambi,
imeneo e poi peani e ditirambi insieme
ialemo
ai thrênoi, a loro volta distinti
in sottogeneri (« lino», « ime-
Orfeo, Euridice ed Ermes. neo», «ialemo»).
BACCHILIDE 715

Bacchilide
La vita
B acchilide (Βακχυλίδης), figlio di Midone (o Midilo) e di una sorella di Simo-
nide, nacque a Iulide nell’isola di Ceo verso il 517 a.C. La tradizione antica
testimonia di suoi soggiorni in varie città e presso le corti dei più importanti si-
gnori del tempo: in Tessaglia (dove forse si recò intorno al 495), in Macedonia
(dove appare già noto prima del 490 con un carme simposiale in onore di Ales-
sandro figlio di Aminta), ad Atene, a Egina e soprattutto presso Ierone a Siracu-
sa, all’incirca fra il 475 e il 468, dove fu in diretta competizione con Pindaro. Se-
condo Plutarco (De exilio 14, 605c) dovette subire, per motivi a noi sconosciuti,
l’esilio, circostanza che sembrerebbe confermata dal fatto che nel 468 gli abitanti
di Ceo commissionarono a Pindaro e non al poeta loro concittadino Bacchilide
il compito di comporre un peana destinato al santuario di Delo. Riprese comun-
que a comporre odi per i successi dei concittadini, fra cui le ultime sicuramente
databili sono gli epinici VI e VII, entrambi per Lacone, vincitore nello stadio ad
Olimpia nel 452. Dopo questa data si perdono le sue tracce.

Il catalogo delle opere perdute


D ell’opera bacchilidea, che dovette essere divisa dai grammatici alessandrini in
nove libri (sei di composizioni destinate al culto – ditirambi, peani, inni, pro-
sodî, partenî, iporchemi –, tre di odi indirizzate a uomini: epinici, encomî, carmi
erotici) ben poco era noto attraverso citazioni antiche fino ad alcune fortunate
scoperte papiracee che datano a partire dalla fine del XIX secolo.

I ritrovamenti L’acquisizione più importante risale al 1896: da due rotoli, trovati in una tomba

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


papiracei a Meir e acquistati dal British Museum (dove furono catalogati come P. British
Museum 46), si sono recuperati i resti di venti componimenti, pubblicati l’anno
successivo da F.G. Kenyon. Si tratta di 14 epinici, disposti in un ordine che
non rispecchia né quello tradizionale degli analoghi componimenti pindarici
(secondo il luogo di vittoria), né quello con cui dovevano essere ordinati gli
epinici simonidei (per tipo di gara), e di 6 composizioni, ordinate alfabetica-
mente secondo il titolo, che gli alessandrini avevano classificato come diti-
rambi. Tale definizione risulta confermata, oltre che da occasionali citazioni
indirette, anche dalla linguetta (σίλλυβος «etichetta») apposta, a indicazione
del contenuto, a un altro rotolo papiraceo (P. Oxy. 1091) che contiene resti di
uno di questi carmi.
Altre acquisizioni papiracee hanno portato sia a nuove testimonianze su epinici
e ditirambi sia all’acquisizione di nuovi seppur esigui resti dai peani e dagli en-
comî.
716 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Una possibile Delle composizioni bacchilidee ora note alcune sono collocabili cronologica-
sistemazione mente con una certa sicurezza: l’epinicio XIII, composto per la vittoria nemea
cronologica
nel pancrazio dell’egineta Pitea (per il quale Pindaro compose la Nemea V), è da
porre verso il 485; gli epinici dedicati a Ierone celebrano rispettivamente: il V la
sua vittoria olimpica col cavallo montato nel 476 (che Pindaro cantò nell’Olimpi-
ca I), inviato da Ceo al tiranno dal poeta; il IV la vittoria pitica, forse nella corsa
delle quadrighe nel 470 (per cui Pindaro scrisse la Pitica I); il III quella olimpica
per lo stesso tipo di gara nel 468. L’encomio dedicato al medesimo Ierone (fr.
20C Snell-Maehler) è da porre intorno al 470.

Il confronto A un adeguato apprezzamento dell’arte di Bacchilide ha nuociuto, fin dall’anti-


con Pindaro chità, il confronto con Pindaro. Dalla tensione concettuale e dalla audacia espres-
siva del poeta tebano Bacchilide è indubbiamente lontano anche se con lui con-
divide una serie di temi e di motivi, in larga parte eredità della tradizione della
lirica corale, quali la minaccia dell’invidia, la liberalità del vincitore, il buon uso
della ricchezza, l’amicizia e l’ospitalità che legano poeta e committente. L’auto-
re del trattato Del sublime (33) poneva, però, Bacchilide accanto a Ione di Chio
fra gli artisti «privi di cadute e costantemente ricercati sul piano dell’eleganza
formale» (ἀδιάπτωτοι καὶ ἐν τῷ γλαφυρῷ πάντη κεκαλλιγραφημένοι) in
contrapposizione all’impeto ardente ma non privo di cedimenti improvvisi carat-
teristico di poeti come Pindaro e Sofocle.

Gli epinici
La struttura
G li epinici presentano una struttura analoga a quelli pindarici – con al centro
narrazioni mitiche spesso ampie, i cui nessi con l’occasione dell’ode non
appaiono sempre facilmente rintracciabili – ma con un rilievo assai più ridotto
assegnato all’occasione festiva e ai modi della performance. E il mito stesso ces-
sa di proporsi come autorevole paradigma di valori e si fa occasione di incursioni
nel meraviglioso o nel patetico, vestiti entrambi dei colori di un’immaginazione
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

tanto epidermica quanto sottilmente edonistica nella capacità di restituire con


calligrafica attenzione il singolo dettaglio scenografico o la specifica vibrazione
psicologica.

Patetismo e magia Così in una delle odi più vivacemente animate da elementi soggettivi, l’epini-
nell’Epinicio V cio V, il racconto vive del singolare intreccio fra patetismo e magia insito nel-
la vicenda che il suo stesso protagonista, Meleagro, narra a Eracle incontrato
T1 nell’Ade (dove questi era sceso per catturare il cane Cerbero).

Lo stile La narrazione di Bacchilide vive della ricerca della bella immagine e della
«compiaciuto» parola raffinata, del suono carezzevole e di un pathos che si stempera nel pia-
cere del racconto; c’è un affollarsi di memorie verbali secondo una poetica
che rinuncia a un’altera originalità per riconoscere, come già abbiamo visto
toccando della poetica pindarica, che «l’uno dall’altro è sapiente/ nel passato
BACCHILIDE 717
come nel presente» (fr. 5, 1 s. Snell-Maehler). C’è in Bacchilide qualcosa di
pre-ellenistico, un’opzione a favore della “letteratura” che va di pari passo con
l’assenza di qualsiasi velleità a porsi come poeta-vate (egli preferisce definirsi,
nel carme III 97 s., μελιγλώσσου …/ Κηΐας ἀηδόνος «usignolo di Ceo dalla
voce di miele»); una soluzione riduttiva, rispetto alla gamma di risorse offerte
da Pindaro, ma anche la garanzia, sul piano “commerciale”, di un’arte dal volto
facilmente riconoscibile.
La sceneggiatura della vicenda di Creso E questa “maniera” è riscontrabile an-
che nella sceneggiatura di una vicenda storica, come quella che coinvolge Creso
T2 di Lidia.

Le altre composizioni tramandate


come ditirambi
P er le composizioni tramandateci come ditirambi è problematica l’appartenen-
za a tale genere corale, in quanto si tratta di odi puramente narrative nella qua-
si si riscontra la totale assenza, in contrasto coi ditirambi pindarici, della figura
di Dioniso e di temi ad essa collegati. D’altronde il ditirambo subì ben presto una
evoluzione: da canto corale in onore di Dioniso (soprattutto nella festa ateniese
delle Grandi Dionisie, dove si svolgeva un importante agone ditirambico) diven-
ne compatibile con altre divinità come Apollo e Atena, fino a «laicizzarsi» e a
rappresentare in generale il «canto corale della città» (Cingano). Genere narra-
tivo per eccellenza verrà definito il ditirambo da Platone (Rep. III 394c) e anche
gli stessi dotti alessandrini dimostrano incertezze o dissensi sull’assegnazione di
un determinato componimento al genere ditirambico.

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Parole chiav e
Il ditirambo
Polemiche sulla definizione del genere del «ditirambo» in considerazione del suo contenuto narrativo, mentre
sono sorte già nell’antichità, presso gli studiosi ales- Callimaco lo ritenenva un peana, per la presenza dell’in-
sandrini: così sappiamo, dalla testimonianza di P. Oxy. teriezione ἰή. L’anonimo grammatico che riferisce la di-
2368, che Aristarco di Samotracia classificava come di- scussione si schiera a favore di Aristarco osservando [rr.
tirambo il carme bacchilideo da lui intitolato Cassandra, 8-19] che l’uso di ἰή «è comune anche al ditirambo».
718 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Ditirambi o peani? Per alcune di queste composizioni (carmi XVI e XVII), data la presenza di in-
vocazioni ad Apollo (cfr. XVI 8-12, XVII 130-132), è stata avanzata non senza
fondamento l’ipotesi che si trattasse di peani. Tuttavia l’inclusione di simili com-
ponimenti fra i ditirambi si potrebbe giustificare con la connessione di questo
genere lirico anche con feste dedicate ad altre divinità, in particolare proprio ad
Apollo: si avrebbe allora, ed è l’ipotesi per cui propendiamo, una sorta di precoce
contaminazione dei generi, un fenomeno che solo la poesia ellenistica dispieghe-
rà con sistematica consapevolezza.

Carme XVIII Peculiare, tra queste odi, si presenta la forma del carme XVIII, un dialogo in
quattro strofe fra Egeo re di Atene e un coro ateniese: nel primo scambio dialo-
gico vengono descritti l’appressarsi alla città e le azioni prodigiose di un ignoto
giovinetto che si rivelerà essere Teseo (vv. 1-30):

strofe I Coro – Sire d’Atene sacra,


re degli Ioni dalla vita morbida,
quali nuove? Il metallo della tromba
perché squilla la diana di guerra?
5 Gira intorno al confine
di questa terra, con avverse truppe,
un capo di sventura.
O forse ladri subdoli
forzano guardia di pastori, e mandrie
10 trascinano di pecore?
O che cosa ti lacera il cuore?
Parla: ché più d’ogni altro
hai presidio di validi mortali
– s’io non m’inganno –
15 figliolo di Pandíone e di Creusa1.

strofe II Egeo – Ecco la nuova: a piedi


è giunto per la via lunga dell’Istmo,
un nunzio gesta dice, inenarrabili,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

d’un eroe: del più forte degli uomini


20 ha fatto scempio, Sini2
tracotante, figliolo del Liteo
nume che scrolla il mondo3;
e la scrofa che stermina
là nelle valli di Cremmione4 ha spenta,
25 e Scirone5 che impazza;

1. Egeo.
2. Legava i passanti a un pino che poi lasciava di scatto.
3. Posidone.
4. Località sul golfo saronico.
5. Presso Megara, scagliava con un calcio giù dalle rupi che da lui sarebbero state dette «scironidi» chiunque
gli venisse a tiro.
LIRICI MINORI FRA VI E V SECOLO 719
ha serrato la lizza a Cercíone6;
Procruste7 il maglio duro
che fu di Polipèmene ha deposto,
contro il più forte.
30 Quale mai sarà l’esito? Ho paura.
[Tr. di F.M. Pontani]

Una tale articolazione ha sollevato una serie di discussioni sugli eventuali rap-
porti fra un’ode di questo tipo e la tragedia: se, in particolare, in una simile com-
posizione si debba vedere un esempio del ditirambo da cui, secondo Aristotele,
sarebbe derivata la tragedia, o se, come parrebbe più plausibile, si debba imma-
ginare che la forma dell’ode sia stata influenzata dalle coeve rappresentazioni
drammatiche (per i rapporti fra ditirambo e problema dell’origine della tragedia,
vedi II volume, «Origini e primordi del teatro», p. 000).

Carme XVII All’interno del gruppo dei «ditirambi» il risultato più alto è raggiunto nel carme
T3 XVII, che si affianca agli epinici III e V come documento esemplare dell’arte
bacchilidea.
Rievocando la leggenda dei sette giovani e delle sette vergini inviati come tributo
al Minotauro, e del contrasto fra Teseo e il re di Creta Minosse, Bacchilide la-
scia sullo sfondo l’elemento religioso (ridotto a qualche convenzionale richiamo
didattico) per indulgere a un gusto descrittivo che risolve le tensioni interne alla
fabula nel ritmo festoso di una ballata.

Lirici minori fra VI e V secolo


F ra VI e V secolo troviamo in ambito lirico alcune poetesse di cui ci restano
scarsi frammenti ma da cui emergono alcune significative tendenze della pro-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


duzione del tempo.

Mirtide
M irtide (Μυρτίς) nacque ad Antedone (sulla costa settentrionale della Beozia)
e fu contemporanea di Pindaro.

6. Sfidava i passanti alla lotta, poi li uccideva.


7. Col maglio ereditato dal padre Polipemone mutilava chiunque incontrasse per «adattarlo» al letto che da
lui si sarebbe detto «di Procuste».
720 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

La testimonianza In alcuni versi di Corinna viene rimproverata per la presunzione che l’avrebbe
di Corinna spinta a scendere in gara con Pindaro, di cui, secondo la Suda, sarebbe stata ma-
estra (664a PMG):
Μέμφομη δὲ κὴ λιγουρὰν
Μουρτίδ᾽ ἱώνγ᾽ ὅτι βανὰ φοῦ-
σ᾽ ἔβα Πινδάροι πὸτ ἔριν. .

Biasimo anche la canora Mirtide,


perché, pur donna,
scese in gara con Pindaro.

Se questa competizione poetica risponda a verità o sia un’invenzione biogra-


fistica è difficile decidere. Nessun frammento della sua opera ci è pervenuto.
Cantò leggende locali come l’amore di Ocna per l’eroe di Tanagra Eunosto.

Corinna
Le testimonianze
e le leggende… S aghe locali compaiono anche in Corinna (Κόριννα), parimenti di origine be-
otica (non si sa se nata a Tanagra o a Tespie o a Tebe) e ritenuta dagli anti-
chi contemporanea più anziana di
Pindaro, col quale è connessa in
varie leggende. Compose carmi
lirici (riuniti dagli alessandrini in
almeno cinque libri) per lo più di
carattere narrativo, come emerge
dai titoli conservati (Beoto, Sette
contro Tebe, Eunomia) e dalle te-
stimonianze antiche.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

La poetessa Corinna.
LIRICI MINORI FRA VI E V SECOLO 721

Analisi del testo


«Se – ha osservato G. Burzacchini – pubblico dichiarato Nelle candide Ταναγρίδες saranno piuttosto da riconoscere le
della poetessa è l’intera città, appare evidente che l’espres- esecutrici del canto, ovviamente corale».
sione dei vv. 2 s. non andrà intesa – come tante volte si è Dunque Corinna dovette comporre, come Alcmane e come
fatto – nel senso che solo le donne di Tanagra costituisco- Pindaro, dei παρθένια (e cfr. 690, 12 PMG ].υ̣ν χορὸς ἀν
no le fruitrici dei carmi in quanto audience: un pubblico ἑπτάπουλον̣[, col nesso fra gruppo corale e città di Tebe),
esclusivamente femminile non ha alcuna giustificazione anche se questo non esclude la possibile alternanza di compo-
plausibile. sizioni per cori e per esecuzioni solistiche.

…e i ritrovamenti Grazie a un papiro di Berlino (nr. 284 = 654 PMG) pubblicato nel 1907 e poi a
papiracei un papiro di Ossirinco (nr. 2370 = 655 PMG) reso noto nel 1956 siamo in grado
di leggere frammenti di una certa estensione.
Possediamo fra l’altro (655 PMG) la parte iniziale del componimento che presu-
mibilmente apriva una raccolta dei carmi della poetessa: da esso ricaviamo che
Corinna dava almeno ad alcune delle sue poesie il nome di ϝεροῖα, un vocabolo
riconducibile alla radice ϝερ (cfr. lat. verbum) e dunque denotante «storie», «rac-
conti» (b, 1-5):
Ἐπί με Τερψιχόρα [
καλὰ ϝεροῖ᾽ ἀισομ[έναν
Ταναγρίδεσσι λε[υκοπέπλυς
μέγα δ᾽ ἐμῆς γέγ[αθε πόλις
λιγουροκω[τί]λυ[ς ἐνοπῆς

Terpsicore mi [spinge]
a cantare bei racconti
per le Tanagresi [dai candidi pepli,]
e [la città] molto gode dei miei
canti sonoramente garruli.

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Contesa fra Molto interessanti riescono i due brani conservati dal papiro di Berlino, tratti
il Citerone e l’Elicona rispettivamente dalla Contesa fra il Citerone e l’Elicona e dalle Figlie di
Asopo.
Il primo (654, a col. I PMG) si riferisce alla conclusione del canto del Cite-
rone, con la rievocazione dell’inganno di Rea ai danni di Crono per evitare al
piccolo Zeus di essere divorato dal padre (cfr. Esiodo, Teogonia 453-500). A
questo punto le Muse che presiedono alla gara ordinano ai Beoti di deporre il
voto in urne dorate, ed esce vincitore il Citerone. Il vinto Elicona, sconfitto,
sembra reagire (il testo diventa qui molto lacunoso) scagliando in aria un
masso.

Figlie di Asopo Nel secondo brano (654, a col. III PMG) troviamo un dialogo fra Asopo, in ansia
per la sorte delle figlie, e l’indovino Acrefene, che rassicura il dio fluviale circa il
722 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
futuro delle figlie e gli narra la storia del santuario oracolare di Apollo sul monte
Ptoo, presso Tebe.
Entrambe le composizioni si articolano in brevi strofe caratterizzate dal sus-
seguirsi degli stessi cola (cinque dimetri ionici a minore chiusi dalla sequen-
za   – –   –  –  nel primo caso, dimetri coriambici nel secondo).

Oreste Un altro papiro (P.S.I. 1174 = 690 PMG) ci ha conservato il titolo (Oreste) e
l’inizio di un’altra composizione (la cui attribuzione a Corinna è però solo pro-
babile), per la quale si è pensato a un collegamento con una festa primaverile
presso l’Ismenio.
Il testo tramandato dai papiri è redatto nell’ortografia beotica riformata del
IV-III secolo a.C., e questo dato, abbinato al fatto che le prime menzioni della
poetessa non sono anteriori al I secolo a.C., indusse D. Page a proporre una col-
locazione di Corinna nel II secolo a.C. (e inoltre personificazioni come quelle
di Elicona, Citerone e Asopo non sembrano avere paralleli anteriori all’Inno
a Delo di Callimaco). Sembra difficile d’altra parte che l’aneddotica – certa-
mente molto anteriore alle fonti che la riportano, quali Plutarco e Pausania –
che collegava la poetessa (l’antiqua Corinna di Properzio II 3, 21) a Pindaro
potesse trasformare in una coetanea di quest’ultimo una figura vissuta più di
tre secoli dopo.

Altre poetesse
Telesilla
A ll’Argolide ci riporta un’altra figura di poetessa, quella Telesilla (Τελέσιλλα)
di Argo che sarebbe vissuta nella prima metà del V secolo a.C. e che avrebbe
composto partenî e inni, di cui uno dedicato alla Grande Madre (se è autentico
quello trovato a Epidauro [IG IV I2 131] e a lei ascritto da Paul Maas: si tratta
del fragm. adespotum 935 PMG, composto di cola in serie che da lei si denomi-
narono «telesillei»: x –   –  –).
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Secondo la tradizione indusse le concittadine ad armarsi per respingere gli Spar-


tani che, guidati da Cleomene I, erano in procinto di invadere Argo.

Prassilla Di area peloponnesiaca fu anche Prassilla (Πράξιλλα) di Sicione, fiorita verso


la metà del V secolo a.C. Dovette comporre ditirambi (di uno di essi intitolato
Achille viene citato un verso: 748 PMG), carmi conviviali (749 e 750 PMG, che
ritroviamo fra i cosiddetti «scolî attici» della silloge di Ateneo), inni. Appunto
da un inno per Adone proviene il più ampio frammento superstite (747 PMG),
tre esametri in cui il defunto nume della vegetazione, a cui era stato chiesto che
cosa nell’oltretomba rimpiangesse di più bello, risponde nominando, oltre al sole
e alla luna, fichi maturi, mele e pere.
Prassilla legò anch’ella, come Telesilla, il suo nome a un particolare tipo di verso
(cfr. 754 PMG ), costituito dalla serie –   –   –   –  – .
La lirica corale
tardo-arcaica

Simonide
T. 1 Frammento Il frammento doveva costituire l’inizio di un lamento funebre (θρῆνος) com-
521 Page posto da Simonide in occasione del crollo del soffitto che travolse la famiglia
degli Scopadi, in Tessaglia, presso i quali il poeta era ospite. Affiora qui il tema
dell’imprevedibilità del futuro, λόγος ἀρχαῖος che si ritroverà con frequenza
nella tragedia attica e in Erodoto. Icastica e originale è la similitudine con il
volo della mosca, a richiamare la possibilità di un rapido capovolgersi della
sorte.

Metro: colometria problematica; si può pensare a:


asclepiadeo maggiore acefalo                //
cretico + ascl. magg. acefalo                   //
dimetro anapestico 
monometro anapestico + ? …
Fonte: Stobeo IV 41, 9 (vv. 1-4) e IV 41, 62 (vv. 1-2); scolio a Iliade VII 76 in P. Oxy. 1087 col. I 30
(v.3).

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Ἄνθρωπος ἐὼν μή ποτε φάσῃς ὅ τι γίνεται
αὔριον, μηδ’ ἄνδρα ἰδὼν ὄλβιον ὅσσον χρόνον ἔσσεται·
ὠκεῖα γὰρ οὐδὲ τανυπτερύγου
μυίας οὕτως ἁ μετάστασις.

1-4 Ἄνθρωπος ἐών ... μετάστασις: anche se il poeta si riferisce a uno speci- 554 N. 2 πολλὰς γ᾽ ὁ δαίμων τοῦ βίου
«Tu che sei (ἐών = ὤν) uomo non dire fico evento. - αὔριον: «domani» manca μεταστάσεις/ ἔδωκεν ἡμῖν μεταβολάς
mai che cosa avverrà (γίνεται, ionismo = nella seconda delle citazioni di Stobeo e τε τῆς τύχης «la divinità ci ha dato molti
γίγνεται: presente con funzione di futu- perciò è omesso dal Page: senonché «l’in- mutamenti di vita e cambiamenti di sorte».
ro) domani né, vedendo un uomo fortuna- certezza del domani qui si lamenta, non - τανυπτερύγου: variazione dell’epiteto
to, per quanto (ὅσσον = ὅσον) tempo (lo) l’incapacità di intendere il reale» (Marzul- omerico ταυπτέρυξ; cfr. Alcmane, fr. 89,
sarà (ἔσσεται = ἔσται): perché neppure il lo); vedi anche scheda critica. - ἰδών: fra 6 Davies, p. 000). - οὕτως: la posposizione
volo di una mosca dalle ali distese (è) co- ἄνδρα e ἰδών c’è iato apparente (ϝιδ-). - dell’avverbio οὕτως genera un forte effetto
sì rapido». - φάσῃς: la seconda persona μετάστασις: (cfr. μεθίστημι), propr. il patetico.
individua il «tu» gnomico/generalizzante, «mutamento di posto», cfr. Euripide, fr.
724 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Immagine topiche
L’imprevedibilità del destino umano
Il tema della precarietà imprevedibile del destino umano è un topos che già Sofocle definiva λόγος
ἀρχαῖος in apertura di Trachinie (vv. 1-3):
Λόγος μέν ἐστ’ ἀρχαῖος ἀνθρώπων φανεὶς C’è un antico detto fra gli uomini
ὡς οὐκ ἂν αἰῶν’ ἐκμάθοις βροτῶν, πρὶν ἂν che non puoi sapere la vita di un uomo, prima
θάνῃ τις, οὔτ’ εἰ χρηστὸς οὔτ’ εἴ τῳ κακός. che muoia, se è stata favorevole o sfortunata.

Il tema torna, in un passo di difficile lettura, ma chiaro nel suo significato complessivo, nei versi finali
dell’Edipo Re (vv. 1528-1530):
Ὥστε θνητὸν ὄντ’ ἐκείνην τὴν τελευταίαν ἰδεῖν
ἡμέραν ἐπισκοποῦντα μηδέν’ ὀλβίζειν, πρὶν ἂν
τέρμα τοῦ βίου περάσῃ μηδὲν ἀλγεινὸν παθών.
Cosicché, quando consideri un essere mortale guarda il giorno
ultimo: non ritenere nessuno felice, prima che non abbia
compiuto il percorso senza aver sofferto alcun male

Un riferimento più vicino al frammento di Simonide che stiamo esaminando, in cui si sottolinea la
precarietà della condizione umana, vista l’incertezza del giorno di domani, è presente in Edipo a Colono
567-568:
Ἔξοιδ’ ἀνὴρ ὢν χὤτι τῆς ἐς αὔριον Sono ben consapervole di essere uomo e che del giorno
οὐδὲν πλέον μοι σοῦ μέτεστιν ἡμέρας. di domani non ho più potere di quanto ne abbia tu.

Si veda a questo proposito in Orazio la raccomandazione a Taliarco: quid sit futurum cras fuge quae-
rere «evita di indagare che succederà domani» (Carmina I 9, 13) e, con altra prospettiva, nel Nuovo
Testamento, μὴ οὖν μεριμνήσητε εἰς τὴν αὔριον, ἡ γὰρ αὔριον μεριμνήσει ἑαυτῆς· ἀρκετὸν τῇ
ἡμέρᾳ ἡ κακία αὐτῆς, che nella Vulgata risulta essere: nolite ergo solliciti esse in crastinum. Crastinus
enim dies sollicitus erit sibi ipsi; sufficit diei malitia sua (Mt. 6, 34).
Il tema ha avuto particolare fortuna in ambito tragico: lo troviamo sviluppato in maniera più ampia, ma
anche più generica, ancora in Sofocle, fr. 646 Radt (vedi anche, con maggior stringatezza aforistica,
fr. 662 Radt: μήπω μέγ᾽ εἴπῃς, πρὶν τελευτήσαντ᾽ ἴδῃς «non parlare in modo orgoglioso, prima
di aver visto la fine»):
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Οὐ χρή ποτ’ εὖ πράσσοντος ὀλβίσαι τύχας


ἀνδρός, πρὶν αὐτῷ παντελῶς ἤδη βίος
διεκπεραθῇ καὶ τελευτήσῃ δρόμον.
Ἐν γὰρ βραχεῖ καθεῖλε κὠλίγῳ χρόνῳ
πάμπλουτον ὄλβον δαίμονος κακοῦ δόσις,
ὅταν μεταστῇ καὶ θεοῖς δοκῇ τάδε.
Non si deve mai magnificare il destino di un uomo
fortunato, prima che la sua vita non sia totalmente
compiuta e abbia terminato la corsa.
Infatti in un breve, piccolo tempo l’intervento
di un demone malevolo distrugge una fortuna grandiosa,
quando ci sia un mutamento e agli dei sembri giusto.

Per una ricognizione ancora più ampia del topos presso i tragici, si possono esaminare alcuni passi di
Euripide: Andromaca 100-02; Troiane 509-10; Ifigenia in Aulide 161-63. Fondamentale, per la storia del
motivo, il logos di Creso e Solone raccontato da Erodoto in I 30 (vedi p. 000).
SIMONIDE 725
T. 2 Frammento Il frammento contiene una parte dell’epitafio per i morti alle Termopili, la batta-
531 Page glia della seconda guerra persiana, in cui gli Spartani comandati dal re Leonida,
con il loro eroico sacrificio frenarono l’avanzata nemica. Composta in versi lirici,
l’encomio forse veniva eseguito in occasione della cerimonia commemorativa
celebrata annualmente a Sparta.

Metro: 1 ipponatteo         
2 trimetro trocaico 
3 prosodiaco + enoplio 
4 ibiceo + spondeo 
5 gliconeo + giambo             //
6 prosodiaco + dim. giambico 
7 hemiepes I + dim. giambico 
8 prosodiaco + reiziano giambico 
5 ferecrateo + ? 
Fonte: Diodoro Siculo XI 11, 6 (vv. 1-9) Arsenio, p. 342 Walz (vv. 1-9).

Τῶν ἐν Θερμοπύλαις θανόντων


εὐκλεὴς μὲν ἁ τύχα, καλὸς δ’ ὁ πότμος,
βωμὸς δ’ ὁ τάφος, πρὸ γόων δὲ μνᾶστις, ὁ δ’ οἶκτος ἔπαινος·
ἐντάφιον δὲ τοιοῦτον οὔτ’ εὐρὼς

1-3 Τῶν ἐν Θερμοπύλαις θανόντων bello (καλός, sulla linea di Tirteo 10, 1) μνῆστις) e il compianto (si è fatto) elogio».
... ἔπαινος: «Dei morti alle Termopili glo- quel destino e altare quella tomba e piut- - Θερμοπύλαις: le Termopili, il passo tra
riosa (è) quella sorte (ἁ τύχα = ἡ τύχη), tosto che lamenti (vi è) ricordo (μνᾶστις = il monte Callidromo e il golfo Maliaco, at-
traverso il quale si entrava nella Grecia cen-
trale. - πότμος: il «destino di morte», come
talora in Omero, cfr. ad es. Iliade XVI 857 =
Immagine topiche XXII 363, Odissea XIV 274. - βωμὸς δ’ ὁ
Il tempo che tutto oscura τάφος: Leopardi, nella canzone All’Italia ri-
prende l’espressione parafrasando: «la vostra
Il verbo (ἀ)μαυρόω è riferito agli effetti del tempo anche in Sofocle, fr. 954 Radt tomba è un’ara». La tomba sarà venerata co-
me un altare in seguito alla eroizzazione dei
χρόνος ἀμαυροῖ πάντα e in Callimaco, fr. 202, 67 Pf. μαυρώσει χρ[ό]νος; il
morti: cfr. Eschilo, Coefore 106 αἰδουμένη
passo sarà riecheggiato da Orazio, Carmina III 30, 1-5 σοι βωμὸν ὣς τύμβον πατρός [sono parole

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


exegi monumentum aere perennius/ regalique situ pyramidum altius,/ quod non imber edax, non del coro delle vergini portatrici di libagio-
Aquilo inpotens/ possit diruere aut innumerabilis/ annorum series et fuga temporum ni] «onorando come un altare la tomba di
tuo padre». - πρὸ γόων: è correzione di
più immortale del bronzo ho lasciato un ricordo,/ che s’alza più delle piramidi Eichstädt [1797] per il tràdito προγόνων;
reali,/ e non potrà distruggerlo morso di pioggia,/ violenza di venti o l’incessante in questo caso πρό indica preferenza. - ὁ δ᾽
catena/ degli anni a venire, il dileguarsi del tempo» οἶκτος ἔπαινος: «il compianto (è) un elo-
gio»; il concetto diventerà un topos dei λόγοι
[Tr. di M. Ramous]
ἐπιτάφιοι (vedi vol. II, p. 000): cfr. Plato-
ne, Menesseno 246a-248d, Iperide, Epitafio
Orazio, con caratteristico procedimento di poeta doctus, contamina il nostro passo 42 οὐ γὰρ θρήνων ἄξια πεπόνθασι, ἀλλ᾽
con Pindaro, Pitica VI 10-14: ἐπαίνων μεγάλων πεποιήκασι «infatti
non hanno subito una sorte degna di lamen-
… τὸν οὔτε χειμέριος ὄμβρος, ἐπακτὸς ἐλθών/ ἐριβρόμου νεφέλας/ ti, quanto piuttosto hanno compiuto imprese
στρατὸς ἀμείλιχος, οὔτ’ ἄνεμος ἐς μυχούς/ ἁλὸς ἄξοισι παμφόρῳ degne di grandi elogi».
χεράδει/ τυπτόμενον
4-5 ἐντάφιον δέ ... χρόνος: «Infatti
(tesoro d’inni) che né pioggia invernale,/ immite esercito invasore di nube tonan- (δέ, con funzione esplicativa) tale sudario
te,/ né il vento potranno mai sospingere/ negli abissi del mare, sotto i colpi/ di (ἐντάφιον, agg. neutro sostantivato) né la
una congerie di melma e di sassi muffa né il tempo che tutto doma (lo) oscu-
[Tr. di B. Gentili] reranno». - τοιοῦτον: cioè intessuto di
gloria, ricordo, elogio. - εὐρώς: l’uso meta-
726 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
5 οὔθ’ ὁ πανδαμάτωρ ἀμαυρώσει χρόνος.
Ἀνδρῶν ἀγαθῶν ὅδε σηκὸς οἰκέταν εὐδοξίαν
Ἑλλάδος εἵλετο· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας,
Σπάρτας βασιλεύς, ἀρετᾶς μέγαν λελοιπὼς
κόσμον ἀέναόν τε κλέος.

forico, come segno di disfacimento e usura, κλέος: «Questo recinto sacro di uomini va- alle Termopili, ma altrove; Pausania III 14,
anche in Teognide 452 s. «né mai si attac- lorosi ha scelto come custode (οἰκέταν [= 1 ricorda un tempietto spartano dedicato a
ca alla mia pelle scuro verderame né muffa -την], propr. lo schiavo addetto alla cura Leonida. - μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας:
(εὐρώς), ma serba inalterata la purezza del della casa) la gloria dell’Ellade, e ne è te- «che cosa testimoni Leonida in particolare
suo fiore». - πανδαμάτωρ: epiteto omerico stimone anche Leonida, re di Sparta, che ha – osserva Marzullo – non sapremmo dire: il
del sonno, cfr. Iliade XXIV 5 e Odissea IX lasciato grande fregio di virtù e fama peren- richiamo, con ogni sua articolazione, appare
373: qualifica il tempo anche in Bacchilide ne». - ὅδε σηκός: l’ὅδε deittico segnala la generico e convenzionale»: forse l’accento
13, 205 s. ὅ τε πανδαμάτωρ χρόνος. concreta presenza del σηκός nel momento batte sul contrasto Ellade/Sparta, nel senso
dell’esecuzione: si deve trattare – v. Anali- che il valore di Leonida si pone come vanto
6-9 Ἀνδρῶν ἀγαθῶν ... ἀέναόν τε si del testo – di un santuario edificato non non solo di Sparta ma di tutta la Grecia.

Analisi del testo


Del celeberrimo carme, imitato anche dal giovane Leopardi di altare; la gloria dell’Ellade attende al culto del loro recinto)
nella Canzone all’Italia, tutto si discute: dall’autenticità all’oc- sembra sottintendere un processo di eroizzazione, altrimenti
casione, dal genere poetico all’ideologia. Difficilmente esso ben attestato in relazione ai caduti delle guerre persiane.
sarà stato cantato sul luogo del glorioso evento: lo esclude lo Non poco ha sconcertato anche lo stile, in cui sono state rav-
stesso ἐν Θερμοπύλαισι iniziale in luogo di un ἐνθάδε «qui» visate anticipazioni della retorica sofistica: non altro anzi che
o simm. Ma neppure trova serio appoggio nel testo la fortunata «una esercitazione retorica (lo stile «gorgiano» vi trionfa gof-
ipotesi di Wilamowitz (1913), che facendo pausa dopo ἀνδρῶν famente)» sarebbe il brano per B. Marzullo; ma pur se scon-
ἀγαθῶν 6 anziché dopo χρόνος in fine di v. 5 (così da connet- certano varie singolarità, la studiata serie di antitesi ai vv. 2
tere il genitivo ἀνδρῶν a ἐντάφιον del v. 4), interpretava il s., piuttosto che presupporre le isocolie e i paradossi gorgiani,
brano come parte di un lamento funebre (θρῆνος) dedicato ad sembra rispecchiare la predilezione della poesia arcaica per
altri morti, nel quale pertanto il valore dei caduti alle Termo- cola nominali paratatticamente allineati. E quanto alla dimen-
pili, e in particolare di Leonida, sarebbe stato introdotto come sione effettivamente stereotipa assunta dall’ἀρετή nell’elogio
motivo consolatorio. Più coerente con l’articolazione sintatti- di Leonida, di per sé sorprendente in un poeta teso altrove alla
ca del brano sembra piuttosto l’ipotesi di C.M. Bowra (1933), conquista di un’etica relativistica basata proprio sulla ridefi-
che lo riferiva ai morti delle Termopili, celebrati tuttavia presso nizione del concetto di ἀρετή (cfr. frr. 522; 541; 542; 579),
un recinto sacro situato altrove, verisimilmente a Sparta, in anche tale tratto andrà correlato alla specifica occasione e alle
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

occasione di pubbliche onoranze commemorative. Entro tale istanze dei committenti.


contesto di esecuzione ben si comprenderebbe l’accento posto Con tutto ciò, sembra difficile negare che la fama del carme
sul ricordo (μνᾶστις) e sul carattere di «encomio» anziché di è largamente sproporzionata ai suoi pregi: il disegno nitido e
«cordoglio funebre (γόος) assunto dalla celebrazione. E l’in- fermo delle opposizioni iniziali si stempera nell’enfasi di ma-
sistenza sulla sacralità dei caduti (la tomba assume funzione niera del susseguente elogio.

Rifletti sul testo


1 2
SIMONIDE 727
T. 3 Frammento Anche per il legame con il simposio o con la festa en plein air la lirica arcaica
543 Page tocca di rado, a differenza dell’epica, temi legati ad affetti domestici, privati.
L’amore materno, in particolare, si affaccia solo nell’ambito del mito, ciò che
avviene con grande intensità nel lamento di Danae di Simonide (un brano che
alcuni ritengono appartenesse a un threnos).
Esempio emblematico di quanto l’occasione e il genere determinassero temi e
modalità espressive del canto lirico, vediamo come un poeta che altrove ci appa-
re o come il celebratore delle gesta compiute dai Greci nella lotta antipersiana
o come un intellettuale fervidamente didattico e raziocinante in grado a elabo-
rare una nuova nozione di virtù (ἀρετή), in questa rievocazione della vicenda
di Danae e del figlioletto Perseo ricorre invece a corde fortemente patetiche,
confermando quella capacità di immedesimazione mimetica nell’angoscia e nel
dolore umani che gli veniva concordemente riconosciuta dai testimoni antichi.
Nulla ci resta di questo episodio, ma appunto il brano dedicato alla vicenda di
Danae e Perseo sembra rispondere a queste caratteristiche dell’arte simonidea:
il padre Acrisio aveva dapprima imprigionato Danae in una torre (un oracolo gli
aveva predetto la morte per mano di un figlio di lei) e poi l’aveva gettata in mare
in una cassa insieme col figlioletto Perseo dopo che Zeus, invaghitosi della fan-
ciulla, era penetrato nella torre sotto forma di pioggia d’oro rendendola madre.
Secondo la tradizione più diffusa, l’arca contenente madre e figlio, spinta dalla
corrente, approda a Serifo; qui i due sono raccolti da Ditti, fratello di Polidette,
re dell’isola, che li porta nella sua casa e li tiene con sé. Molti anni dopo Polidet-
te cercherà di causare la rovina di Perseo, ostacolo ai suoi progetti amorosi nei
confronti della madre Danae, inviandolo a catturare Medusa. Ma Perseo riuscirà
nell’impresa e tornerà con la testa della Gorgone, con cui pietrificherà sia il re
che Ditti. Danae andrà allora presso la madre ad Argo, mentre Perseo, recatosi
ai giochi di Larissa, vi ucciderà involontariamente, lanciando un disco, il nonno
Acrisio e darà così compimento all’oracolo. Nel quadro di questa vicenda Simo-
nide costruisce un brano di singolare bellezza.

Metro: molto problematico: non sappiamo neppure se il brano facesse interamente parte di un’unica

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


stanza. Si segue sostanzialmente la colometria del Page (a parte i vv. 10 s.).
Fonte: Dionisio di Alicarnasso, de compositione verborum 26 (vv. 1-27); Ateneo IX 396e (vv. 7 ὦ τέκος
– 9 κνώσσεις).

… ὅτε λάρνακι
ἐν δαιδαλέᾳ
ἄνεμός τε μιν πνέων
κινηθεῖσά τε λίμνα δείματι

1-7 ὅτε λάρνακι ... εἶπέν τ(ε): le gote umide gettava intorno il suo (φίλαν vita di Meleagro; δαιδάλεος è epiteto tra-
«… quando nella cassa costruita con arte = φίλην, possessivo) braccio e disse». - dizionale di armi e altri oggetti di pregiata
il vento che soffiava (le raffiche del ven- λάρνακι ἐν δαιδαλέᾳ: il nesso ricorre fattura. - λίμνα (= -νη): con questa stessa
to) e il mare agitato prostravano lei (μιν = anche in Bacchilide 5, 140 s. δαιδαλέας/ accezione («mare») il termine, che in gene-
αὐτήν, correzione di F.W. Schneidewin ἐκ λάρνακος a proposito della cassa do- re significa «lago», compare già in Iliade
per μήν della tradizione) per la paura, con ve è racchiuso il tizzone a cui è legata la XXIV 79, e cfr. anche Sofocle, Trachinie
728 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
5 ἔρειπεν, οὐκ ἀδιάντοισι παρειαῖς
ἀμφί τε Περσέι βάλλε φίλαν χέρα
εἶπέν τ᾽· «Ὦ τέκος οἷον ἔχω πόνον·
σὺ δ᾽ ἀωτεῖς, γαλαθηνῷ
δ᾽ ἤθεϊ κνώσσεις
10 ἐν ἀτερπέι δούρατι χαλκεογόμ-
φῳ δὲ νυκτὶ λάμπεις,
κυανέῳ δνόφῳ ταθείς·
ἅλμαν δ᾽ ὕπερθε τεᾶν κομᾶν
βαθεῖαν παριόντος
15 κύματος οὐκ ἀλέγεις, οὐδ᾽ ἀνέμου
φθόγγον, πορφυρέᾳ
κείμενος ἐν χλανίδι, πρόσωπον καλόν.
Εἰ δέ τοι δεινὸν τό γε δεινὸν ἦν,
καί κεν ἐμῶν ῥημάτων
20 λεπτὸν ὑπεῖχες οὖας.
Κέλομαι δ᾽, εὗδε βρέφος,
εὑδέτω δὲ πόντος, εὑδέτω δ᾽ ἄμετρον κακόν·
μεταβουλία δέ τις φανείη,
Ζεῦ πάτερ, ἐκ σέο·

636 Μηλίδα πὰρ λίμναν. - ἔρειπεν (= «dormendo (κνώσσουσα) nelle porte dei similmente un vocativo (B. Marzullo)
ἤρ-): «prostrava» concordato al singolare sogni». - δούρατι: δόρυ è sineddoche per piuttosto che acc. di relazione, cfr. Euri-
con il più vicino dei due elementi (vento «imbarcazione», cfr. Pindaro, Pitica IV pide, Medea 1071 s. ὦ … φίλτατον …
e mare); l’impf. sottolinea la continuità, o 27 ἐννάλιον δόρυ, ecc. - χαλκεογόμφῳ πρόσωπον.
l’iterazione, della paura di Danae. - οὐκ … νυκτί: il testo tràdito è stato sospettato
ἀδιάντοισι παρειαῖς: (cfr. διαίνω) dat. e variamente alterato, ma l’ardito proce- 18-27 Εἰ δέ τοι ... σύγγνωθί μοι:
di modo. - ἀμφί … βάλλε: tmesi. - χέρα dimento analogico per cui viene riferito «Ma se per te (τοι = σοι) fosse (ἦν: pro-
εἶπεν: lo iato è solo apparente (ϝειπ-). alla notte un epiteto che sul piano refe- tasi dell’irrealtà) pauroso (δεινόν) ciò
renziale si connette alla cassa, non può che è davvero (γε) pauroso, allora (καί
7-12 «Ὦ τέκος … ταθείς: «“O figlio, scandalizzare in un poeta incline anche enfatico) porgeresti l’orecchio (οὖας =
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

quale pena ho! Ma tu dormi e con la tua altrove a nessi e immagini audaci, cfr. vv. οὖς) delicato alle mie parole. Ma, ti prego
tenera indole riposi nel legno senza gioia 8 s. γαλαθηνῷ ... ἤθεϊ e fr. 600, dov’è (Κέλομαι, incidentale), dormi, piccolo, e
e risplendi (λάμπεις è correzione di F. detto che il «vento (πνοιά) viene a tatua- dorma il mare e dorma l’immensa sventura,
Nietzsche per il tràdito λαμπεῖ) nella not- re il mare», εἶσ᾽ ἅλα στίζουσα πνοιά. e appaia un mutamento di pensiero, o Zeus
te dai chiodi di bronzo, disteso nella tene- - ταθείς: (τείνω) è correzione di F.W. padre, da te (σέο = σοῦ); ma per il fatto
bra cupa». - τέκος: equivalente aulico di Schneidewin per ταδ᾽ εις della tradizione che (ὅττι = ὅτι, ma si può tradurre «se»,
τέκνον. - ἀωτεῖς: correzione di Casau- di Dionisio. «se è vero che») formulo un voto audace e
bon per i corrotti αὐταῖς o αὖτε della tra- lontano dal giusto, a me perdona!”». - κεν
dizione dei testimoni; cfr. Iliade X 159 τί 13-17 ἅλμαν δ(έ) … πρόσωπον κα- (= ἄν) … ὑπεῖχες: apodosi dell’irreal-
πάννυχον ὕπνον ἀωτεῖς; «perché dormi λόν: «e l’acqua del flutto che trascorre alta tà; il gen. ῥημάτων si spiega in quanto
tutta la notte?», Odissea X 548 ἀωτεῖτε sopra le tue (τεᾶν = σῶν) chiome (κομᾶν ὑπεῖχες οὖας è sentito come equivalente
γλυκὺν ὕπνον «dormite un dolce son- = κομῶν) non curi né il sibilo del vento, di ὑπήκουες). - βρέφος: qui per la prima
no». - γαλαθηνῷ: propr. «lattante» (cfr. sdraiato su panno purpureo, o bel viso». volta riferito a esseri umani. - εὐδέτω δὲ
γάλα e θάω «succhio»), cfr. fr. 553, 2 - ἅλμαν (= -μην): «acqua salsa», emen- πόντος: cfr. Eschilo, Agamennone 565 s.
γαλαθηνὸν τέκνον. - ἤθεϊ: congettura di damento di Th. Bergk per αὐλέαν (PV) εὖτε πόντος ἐν μεσημβριναῖς/ κοίταις
Th. Bergk basata sulla tradizione di Dioni- o αὐλαίαν (M) tràditi; ἄχναν «schiuma» ἀκύμων νηνέμοις εὕδοι πεσών «quando il
sio, che ha γαλαθηνωδει θει (codd. PV) o propone D. Page. - βαθεῖαν: cfr. Pindaro, mare nei suoi giacigli meridiani senza on-
γαλαθηνώδει****, mentre quella di Ate- Nemea IV 36 βαθεῖα ποντία ἅλμα; al- de, privi di vento, si placa». - εὑδέτω …
neo ha γαλαθηνῷ δ᾽ ἤτορι. - κνώσσεις: tri leggono βαθειᾶν (= βαθειῶν), riferito κακόν: cfr. Euripide, Supplici 1147 οὔπω
sinonimo di ἀωτεῖς, cfr. Odissea IV a κομᾶν, cfr. Semonide 7, 65 s. χαίτην κακὸν τόδ᾽ εὔδει. - μεταβουλία: hapax
809 κνώσσουσ᾽ ἐν ὀνειρείῃσι πύλῃσιν ... βαθεῖαν. - πρόσωπον καλόν: vero- coniato sul modello di ἀβουλία, εὐβουλία
SIMONIDE 729
25 ὅττι δὲ θαρσαλέον ἔπος εὔχομαι
ἢ νόσφι δίκας,
σύγγνωθί μοι …»

ecc. - θαρσαλέον: (con allungamento seguente ϝεπ-) cfr. l’omerico θαρσαλέως vato dal Wilamowitz da κνοφι del codice
metrico della sillaba finale per contatto col ἀγορεύειν. - καὶ νόσφι: felicemente rica- Guelferbitano di Dionisio.

Analisi del testo


Il fuoco del racconto è incentrato sull’ansia del- (οὐκ ἀδιάντοισι 5, γαλαθηνῷ 8, ἀτερπέι 10,
la madre, espressa nella forma drammatizzata di λεπτόν 20, ἄμετρον 22, θαρσαλέον 25). Nello
un’allocuzione al figlio, che avvolto in un manto stesso tempo, esse appaiono controbilanciate da
purpureo riposa inconsapevole tra la furia delle un insieme di procedimenti – dal sapiente chia-
acque. Le sottolineature emotive emergono nella roscuro (lo splendore del bimbo, la tenebra buia,
intensa gestualità (il prostrarsi per la paura, l’ab- il panno purpureo) al gusto per termini e nessi
braccio al figlio), nella vibrazione delle esclama- ricercati (il «legno triste» e specialmente la «not-
zioni e delle apostrofi e in tratti espressivi quali te dai chiodi di bronzo») – che fissano l’effusione
l’anafora (vv. 21 s. εὗδε … εὑδέτω … εὑδέτω) sentimentale in quadri di preziosa icasticità.
e l’aggettivazione fortemente «emozionale»

T. 4 Frammento 11, Delle elegie legate alle lotte antipersiane si sono recuperati, grazie a un fortu-
7-34 West 2
nato ritrovamento papiraceo (l’editio princeps del papiro si deve a P. Parsons in
The Oxyrhynchus Papyri, LIX, London 1992, 28-36), resti che si riferiscono alla
battaglia dell’Artemisio (fr. 1-4 West2) e, soprattutto, un brano di discreta am-
piezza da un componimento dedicato alla battaglia di Platea, in Beozia, del 479
a.C.; nello scontro le forze peloponnesiache al comando dei reggenti spartani
Pausania ed Eurianatte e con l’appoggio di opliti ateniesi sconfissero le forze,
almeno doppie nel numero, dei Persiani guidati da Mardonio, luogotenente di

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Serse, che cadde sul campo.

Metro: distici elegiaci. Οὐ δή τίς σ᾽ ἐδ]ά̣μασσεν ἐφ̣[ημέριος βροτὸς αὐτός,


Fonte: P. Oxy. 3965. ἀλλ᾽ ὑπ᾽ Ἀπόλλ]ωνος χειρὶ [τυπεὶς ἐδάμης.
]σ̣εουσαπ.[ ]στ[
10 Πρ]ι̣άμου παισὶ χ̣[αλεπτ]όμ̣[εναι
εἵνεκ᾽ Ἀλεξά]ν̣δ̣ρ̣ο̣ιο κακόφρ[ονο]ς, ὡσ.σ̣.[
].θείης ἅρμα καθεῖλε Δί̣κ̣[ης.

7-12 Οὐ δή τίς ... Δί̣ κ̣ [ ης: «Nessun venne guidata al bersaglio da Apollo). reso da Paride) con i figli di Priamo (i Tro-
mortale effimero da sé ti (il poeta si ri- … Sdegnate (si fa verosimilmente ri- iani in generale) a causa di Alessandro
volge ad Achille) domò, ma soccombe- ferimento ad Atena ed Hera, irate con (Paride) dissennato perché … lo abbatté
sti colpito dal braccio di Apollo (Achil- i Troiani per essere uscite sconfitte nei il carro di Dike».
le fu ucciso da Paride, la cui freccia confronti di Afrodite dal famoso giudizio
730 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Τοὶ δὲ πόλι]ν πέρσαντες ἀοίδιμον [οἴκαδ᾽ ἵ]κοντο
Τρ]ώων̣ ἁγέμαχοι Δαναοί,
15 οἷσι κατ᾽ ἀθά]ν̣ατον κέχυται κλέος ἀν̣[δρὸς] ἕκητι
ὃς παρ᾽ ἰοπ]λοκάμων δέξατο Πιερίδ[ων
πᾶσαν ἀλη]θείην, καὶ ἐπώνυμον ὁπ̣[λοτέρ]οισιν
ποίησ᾽ ἡμ]ι̣θέων ὠκύμορον γενεή̣[ν.
Ἀλλὰ σὺ μὲ]ν νῦν χαῖρε, θεᾶς ἐρικυ[δέος
20 κούρης εἰν[αλίου Νηρέως· αὐτὰρ ἐγώ̣
κικλῄσκω] σ᾽ ἐπίκουρον ἐμοί, π[ολυώνυμ]ε Μοῦσα,
εἴ πέρ γ᾽ ἀν]θρώπων εὐχομένῳ[ν μέλεαι·
ἔντυνο]ν̣ καὶ τόνδ[ε μελ]ί̣φρονα κ[όσμον ἀο]ιδῆς
ἡμετ]έ̣ρης, ἵνα τις [μνή]σ̣ε̣τ̣α̣ι̣ ὕ̣[στερον – 
25 ἀνδρῶ]ν, οἳ Σπάρτ[ῃ δούλιον ἦμαρ
] ἀμ̣υν[ ] [..] ]ω̣[
οὐδ᾽ ἀρε]τ̣ῆς ἐλάθ[οντο ]ν οὐρανομ̣[ήκ]η̣ς,
καὶ κλέος ἀ]ν̣θρώ̣π̣ω̣ν̣ [ἔσσετ]α̣ι̣ ἀθάνατο‹ν›
οἳ μὲν ἄρ᾽Εὐ]ρώτ̣αν κα[ὶ Σπάρτη]ς ἄστυ λιπόντες
30 ὤρμησαν] Ζηνὸς παισὶ σὺν ἱπποδάμοις,
Τυνδαρίδα]ι̣ς ἥρωσι καὶ εὐρυβίῃ Μενελάῳ

13-18 Τοί δέ ... ὠκύμορον γενεή̣ν : 458: un dato che asseconda la transizione l’ottimo figlio del divino Cleombroto». -
«Ed essi, distrutta la città celebrata nei all’apostrofe ad Achille che subito segue. Νηρέος: uno dei cinque figli di Ponto e di
canti, tornarono in patria, … dei Troiani - ἐπώνυμον: non può valere «famoso» o Gaia secondo Esiodo, Teogonia 233 ss. -
i capi bellicosi dei Danai, sui quali si è sim. perché significa costantemente «su π̣[ολυώνυμ]ε: «dai molti nomi», nel senso
riversata fama immortale in virtù di un uo- cui c’è il nome di», «soprannominato» – della pluralità di epiteti delle Muse: Pieri-
mo che dalle Muse di Pieria (cfr. la nota cfr. ἀνώνυμος – e dunque va interpretato di, Olimpiche, Eliconiadi ecc.; estraneo ad
a Solone, fr. 13, 2 a p. 000) dai riccioli di in stretta relazione con ἡμιθέων, nel senso Omero, l’epiteto ricorre in riferimento ad
viola ricevette ogni rivelazione (il nesso che gli eroi della guerra troiana furono con- Ades nell’inno «omerico» A Demetra, 18
ricorre parimenti in principio di esame- siderati in blocco «semidei», cfr. Iliade XII Κρόνου πολυώνυμος υἱός e compare an-
tro in Odissea XI 507 πᾶσαν ἀληθείην 23 ἡμιθέων γένος ἀνδρῶν e soprattutto che, in relazione a Nike, in Bacchilide, epi-
μυθήσομαι), e fece sì che la loro stirpe dal Esiodo, Erga 159 s. Ἀνδρῶν ἡρώων θεῖον gr. 1, 1. - μελ]ί̣φρονα κ[όσμον ἀο]ιδῆς:
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

breve destino avesse fra i posteri il nome di γένος, οἳ καλέονται/ ἡμίθεοι. se l’integrazione è corretta, l’espressione
stirpe dei semidei». - ἀοίδιμον: Simonide presuppone una prospettiva artigianale
riferisce alla città di Troia un aggettivo che 19-34 Ἀλλὰ σὺ μέν … Παυσανίης: dell’attività poetica che non trova termini
in Omero ricorre una sola volta, in Iliade «Ma a te ora salve, figlio di una dea di confronto nell’epica più antica quanto
VI 358 ἀοίδιμοι ἐσσομένοισι, in boc- gloriosissima, nata da Nereo marino: io invece nella lirica, vedi la nota a Solo-
ca a Elena che medita sulla propria sorte ti invoco perché tu mi assista, Musa dai ne, fr. 1, 2. - οὐδ᾽ ἀρε]τ̣ῆς ἐλάθ[οντο:
sventurata che la renderà appunto celebre molti nomi, se mai ti prendi cura degli cfr. Iliade XI 313 λελάσμεθα θούριδος
presso i posteri; la coincidenza suggerisce uomini quando pregano: appresta anche ἀλκῆς. - οὐρανομ̣[ήκ]η̣ς: in Odissea V
che anche qui, dicendo Troia «celebrata nei questo dolce ornamento del nostro can- 239 οὐρανομήκης era riferito a un abe-
canti», il poeta si riferisca alla tradizione to perché in futuro qualcuno si ricordi te, ma questo di Simonide, quale che sia
epica successiva, non alla celebrità di Troia (μνήσεται, congiuntivo a vocale breve) il sostantivo esatto che lo precedeva in
al momento della guerra. - ἁγέμαχοι (= di guerrieri che, stornando da Sparta il lacuna, sembra il più antico uso dell’epi-
ἡγέμαχοι): è un hapax, in precedenza re- giorno della schiavitù … né si scorda- teto in chiave metaforica, per il quale
gistrato solo dai lessicografi. - ἰόπλοκος: rono della virtù … alto fino al cielo, e cfr. Aristofane, Nuvole 357 οὐρανομήκη
ἰοπλόκαμος, «dai riccioli viola» è epite- immortale sarà la gloria di uomini che, …φωνήν e 459 κλέος οὐρανόμηκης. -
to estraneo all’epica ma ricorre più volte avendo lasciato l’Eurota (il fiume princi- Τυνδαρίδα]ι̣ ς ἥρωσι: i Dioscuri, nati
nella lirica corale: cfr. Simonide, fr. 555, pale della Laconia) e la città di Sparta, come Elena dall’unione di Zeus con Leda
3 per le figlie di Atlante, e Pindaro, Pitica balzarono insieme con i figli di Zeus do- ma il cui padre putativo era Tindaro; però
I 1 e Istmica VII 23, per le stesse Muse. matori di cavalli, gli eroi Tindaridi e con in alcune versioni solo Polluce è figlio di
- ὠκύμορον: ὠκύμορος è in primo luo- Menelao possente, … condottieri della cit- Zeus, mentre Castore è figlio di Tindaro. -
go Achille, cfr. Iliade I 417 e XVIII 95 e tà paterna (Sparta), e li guidava Pausania, εὐρυβίῃ: prima di Simonide questo epite-
SIMONIDE 731
πατ]ρ̣ῴης ἡγεμόνες π[ό]λεος,
τοὺς δ᾽ υἱὸς θείοιο Κλεο]μ̣β̣[ρ]ότ̣ου ἔξ__[α]γ᾽ ἄριστ[ος
]αγ̣.. Παυσανίης.

to è attestato con sicurezza solo in Esiodo, - Κλεο]μ̣β̣[ρ]ότ̣ου ... Παυσανίης: cfr. a Pausania figlio di Cleombroto di guidare
Teogonia 931 Τρίτων εὐρυβίης. - θείοιο: Erodoto IX 10, 1-3: «… mentre era an- la spedizione. […] Pausania si scelse come
già nell’Odissea – cfr. IV 621 e 691 e XVI cora notte fecero uscire 5000 Spartiati compagno Eurianatte figlio di Dorieo, che
335 – θεῖος è epiteto assegnato ai sovrani (mettendo in assetto di guerra anche sette apparteneva alla medesima casata».
in quanto il loro potere discende da Zeus. iloti per ciascuno di essi), dando incarico

Analisi del testo


L’evidente parallelismo fra la «gloria immortale» (ἀθά]νατον Dunque una serie di procedimenti intesi a recuperare la tradi-
… κλέος 15) dei Danai che espugnarono Troia e «la gloria im- zione epica come tuttora dotata di una possibile attualità in
mortale» (κλέος … ἀθάνατον 28) degli Spartani che hanno quanto galleria di figure esemplari (Achille ma anche Patroclo,
combattuto a Platea sottolinea quella simmetria fra il lontano a cui si riferivano i lacunosissimi vv. 1-6). E tuttavia, anche
passato eroico dei «semidei» e il recentissimo passato delle all’interno di questa analogia fra passato e attualità, emerge
guerre per la libertà della Grecia; l’intera struttura del brano è una sostanziale differenza fra la poetica omerica e la nuova
così orientata attraverso la mediazione di un saluto ad Achille poetica del cantore elegiaco delle gesta antipersiane: se Omero
che, ai vv. 19 s., ripete il movimento caratteristico dell’inno accolse tutta la «rivelazione» del passato dalle Muse di Pieria
rapsodico (cfr. in particolare l’inno «omerico» Ad Apollo, vv. (la quasi certa integrazione πᾶσαν ἀλη]θείην comporta del
545 s.: «E dunque salve anche a te, figlio di Zeus e di Latona: resto un calco letterale di Odissea XI 507), Simonide invoca la
io mi ricorderò di te e di un altro canto») con cui il cantore Musa non più come colei che canta o dice ciò che sa, ma solo
soleva passare dall’«inno»/proemio alla recita di un brano del come «alleata» (ἐπίκουρον 21) nel costruire il dolce orna-
repertorio rapsodico. mento di una canzone che il poeta può dichiarare sua perso-
Anche formalmente la rievocazione della gloria degli eroi troia- nale creazione (ἡμετ]έ̣ρης 24), proprio come Timoteo nei suoi
ni e l’elogio di Achille (che solo la forza di un dio, Apollo, poté Persiani invocherà Peana quale ἐπίκουρος dei suoi canti per-
abbattere guidando al bersaglio la freccia scoccata da Paride) ché assecondi una «musa di nuova foggia (νεοτευχῆ)» (cfr. fr.
si viene a prospettare come preludio alla celebrazione di una 791, 202-5 PMG); e anche Pindaro, a principio della Olimpica
«virtù» che non è consistita nell’espugnare una città straniera III, ricorda (v. 4) che la Musa gli «fu accanto» (παρέστα)
ma nello stornare il «giorno della schiavitù» da Sparta e dalla quando egli personalmente «trovò» (εὑροντι) uno stile ful-
Grecia. E se la gloria dei Danai si è «riversata» nel mondo per gido di novità da accordare al ritmo dorico (non diversamente
merito di Omero, è implicito che di Omero Simonide intende si esprimerà Apollonio Rodio nel proemio del III libro delle Ar-
rinnovare in altro ambito il ruolo e l’autorità. gonautiche).

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Rifletti sul testo
1 2
732 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Pindaro
T. 1 Olimpica VI L’Olimpica VI (vedi paragrafo «Performance e regia») celebra la vittoria nella
(vv. 28-73) corsa col carro trainato da mule conseguita da Agesia, un siracusano di origine
arcade, della stirpe illustre degli Iamidi, che a Olimpia erano sacerdoti ereditari
di un altare dove si traevano oracoli. Nella sezione centrale dedicata al mito,
l’ode ripercorre le origini eroiche del genos del vincitore, in una successione
articolata di vicende, che partono dall’unione di Posidone con la ninfa fluviale
Pitane (figlia del fiume Eurota ed eponima di un villaggio spartano), da cui na-
scerà Evadne, che era ancora fanciulla quando «gustò le prime carezze di Afrodi-
te» insieme con Apollo, con il quale concepì Iamo. Per tenere nascosta al padre
Epito la gravidanza, la fanciulla fuggì dal palazzo reale per rifugiarsi sui monti,
dove diede la luce il bambino e lo abbandonò in mezzo a «cespugli impenetra-
bili», inondato «dai raggi fulvi e vermigli delle viole». A confermare l’origine
divina del fanciullo e presagirne le facoltà di profeta, accorsero due serpenti
che lo nutrirono col miele. Giunto poi nel vigore dell’età, Iamo scese lungo il
corso dell’Alfeo e invocò l’avo Posidone e il padre Apollo, ottenendo il dono di
comprendere la voce divina e di fondare una dinastia dei profeti, gli Iamidi, da
cui discende anche Agesia.

(Pitane) che, si narra,


congiuntasi a Posidone figlio di Crono,
30 gli partorì una figlia coi riccioli di viola: Evadne.
Fra le pieghe della veste celò la doglia verginale
e al nono mese spedì
le ancelle a consegnare la neonata
all’eroe figlio di Elato
che regnava sugli Arcadi a Fesana
ed ebbe in sorte d’abitare l’Alfeo,
35 dove la bimba crebbe e con Apollo
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

gustò le prime carezze di Afrodite,

ma non poté occultare sino in fondo


a Epito il frutto ascoso del dio.
Quello, compresso in cuore
con aspra tensione rancore indicibile,
mosse per Delfi a chiedere responso su questa
sciagura intollerabile.
Lei deponeva la fascia scarlatta

29 (Pitane): la ninfa Pitane, figlia del 33 all’eroe: si tratta di Epito, padre 36 occultare fino in fondo: Evadne
fiume Eurota era eponima di un villaggio di Evadne e re di Fesana, nell’Arcadia non poté tenere nascosta al padre la pro-
presso Sparta; l’Eurota è il fiume principa- meridionale, sulla riva sinistra dell’Al- pria gravidanza fino al termine della ge-
le della Laconia. feo. stazione.
PINDARO 733
40 e la brocca d’argento fra la boscaglia scura
e partoriva un bimbo dalla mente divina. Il Chiomadoro
le pose accanto Ilitia
la mite e le Moire.

E dal suo grembo, dopo doglia


gentile, rapido proruppe
Iamo alla luce. Angosciata
45 lo posava sul suolo: premurosi
due serpenti dagli occhi azzurri
lo nutrirono per celeste volere del veleno
innocuo delle api. Il re,
quando tornò in gran fretta da Delfi rocciosa,
a tutti nella reggia
chiedeva del bimbo partorito
da Evadne: «È seme – diceva – di Apollo

50 e su tutti i mortali eccellerà quale indovino


sapiente, né cesserà la sua stirpe».
Così rivelava. Negavano quelli
di averlo udito o veduto, ed era
di cinque giorni. Ma
giaceva nascosto fra i giunchi, fra cespugli impenetrabili,
55 il corpicino morbido irrorato
dai raggi fulvi e vermigli
delle viole, donde la madre
volle che traesse per sempre

questo nome imperituro. E quando


il frutto fragrante spiccò
di Hebe dall’aurea corona, scese nel mezzo dell’Alfeo
chiamando Posidone possente,

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


l’avo suo, e l’arciere che vigila
su Delo eretta dai numi:
60 nell’aria notturna reclamava per sé
l’onore di vate nutrito dal popolo.

40 la brocca d’argento: ellissi narrativa dovuta «alla membrana nittitante di colo- 56 delle viole: si dovrebbe trattare, dato
da parte di Pindaro: evidentemente la fan- re bluastro che copre talvolta l’occhio del il colore, della viola del pensiero. Il fiore
ciulla era andata ad attingere acqua a una serpente, analoga a quella della civetta, che della viola, ἴον, è uno dei due termini che
fonte. deve il suo nome (γλαύξ) appunto al colore spiegano il nome del fanciullo, Iamo, che è
γλαυκός degli occhi». altresì collegato con il «veleno (ἰός) inno-
41 il Chiomadoro: Apollo. cuo delle api», ossia il miele.
47 il re: Epito.
42 Ilitia: è la dea del parto, associata al- 58 L’aggettivo «dall’aurea corona» ri-
le Moire anche in Nemea VII 1. 52 quelli: i cortigiani che vivevano a ferito a Hebe/Giovinezza è già esiodeo.
palazzo negano di avere visto il neonato,
46 serpenti dagli occhi azzurri: come per paura di ritorsioni nei suoi confronti da 59 l’arciere: Apollo.
nota P. Giannini, l’indicazione cromatica è parte del nonno (Epito).
734 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Limpida gli rispose, cercandolo, la voce del padre: «Sorgi,
figlio, muovi sulla traccia della mia voce
fino all’ospite contrada».

Giunsero all’erta
roccia dell’alto Cronio,
65 ove il dio gli porse doppio tesoro
di divinazione: udire la voce
ignara di menzogna e poi,
venuto Eracle
ardito, il sacro, virgulto dell’Alcide, e istituite
in onore del padre la festa gremita di folla
e le norme solenni dei giochi,
70 installare – fu l’ordine –

al sommo dell’ara di Zeus un oracolo.


Da quel tempo è illustre fra gli Elleni
la stirpe degli Iamidi.
E seguì prosperità. Onorando le virtù
si inoltrano per una via di luce: ne dà prova
ogni loro atto.

66 la voce ignara di menzogna: la voce è figlio (virgulto) di Anfitrione, chiamato si praticava l’empiromanzia, una pratica ora-
stessa di Apollo. Alcide perché figlio di Alceo. colare basata sull’osservazione delle lingue di
fiamma sprigionate dalle vittime ardenti e dalle
68 il sacro virgulto dell’Alcide: Eracle 70 un oracolo: al sommo dell’altare di Zeus incisioni praticate nella pelle degli animali.

Analisi del testo


Come attraverso le metope di un fregio si susseguono quadri in- Iamo nella boscaglia impenetrabile (βατιᾷ τ᾽ ἐν ἀπειρίτῳ 54).
corniciati da elementi ben rilevati: il relativo ἅ «lei che» al v. 29, E fra le stesse parole e le immagini si istituisce una relazione so-
l’avverbio relativo ἔνθα «dove» al v. 35, la congiunzione tempora- stanziale: ai vv. 56 s. è detto esplicitamente che la madre Evadne
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

le ἐπεί «quando» al v. 47 e al v. 57, il nesso relativo-temporale ἐξ dette al figlio appena nato il nome di Iamo in relazione alle viole
οὗ «da quel tempo» al v. 71. Ma fra i singoli quadri intercorrono (ἴα) in mezzo a cui fu posato, ma il gioco etimologico viene an-
tratti congiuntivi che suggeriscono le linee di un insieme: Pita- ticipato nel «veleno (ἰός) innocente» costituito dal miele con cui
ne era stata sedotta da Posidone così come Evadne è sedotta da Iamo fu nutrito da due serpenti (la cui natura di animali ctonî
Apollo, sì che la nascita segreta di Iamo è prefigurata in forma ab- connessi alla divinazione rimanda a sua volta al profetico destino
breviata da quella di sua madre Evadne e il motivo del nascondere del bimbo).
viene marcato da κρύψε «celò» 31, οὐδ᾽ ἔλαθε ... Κλέπτοισα Infine il tema del contrasto fra oscurità e luce si ripropone in una
«non poté occultare sino in fondo» 36, κέκρυπτο «giaceva na- transizione dall’adolescenza alla maturità che si compie lungo un
scosto» 54; e parimenti occulta e segreta (quanto, per contrasto, itinerario «dalla bassura dell’Alpheiós all’alto Krónion, dal buio
«ignara del falso») è l’arte profetica che Iamo, divenuto adulto, notturno alla rocca battuta dal sole (così, da ἅλιος, in un’ode ric-
riceve in dono ad Olimpia dal padre Apollo. ca di etimologie, Pindaro avrà inteso l’omerico ἠλίβατος; solita-
Anche una venatura di colore può servire al poeta per accordare un mente: “erto, scosceso”)» e che «traduce in termini anche geogra-
quadro all’altro: lo scarlatto (φοινικόκροκον «dalla trama scar- fici il definitivo distacco dell’eroe dalla condizione precariamente
latta» 39) della fascia deposta in terra da Evadne al momento del allusiva dell’infanzia (venne alla luce, v. 44, ma in una macchia
parto, opposto all’argenteo della brocca e al verde scuro della bo- oscura, v. 40; è nel bosco impenetrabile, v. 54, ma inondato dai
scaglia (λόχμας ὑπὸ κυανέας 40), si rinnova nel purpureo misto raggi, v. 55), verso lo stabile spiegamento delle sue doti divine,
al giallo fiammante (ξανθαῖσι καὶ παμπορφύροις 55) dei raggi preludio alla durevolezza splendente della stirpe (vv. 71 ss.)» (L.
che emanano dalle viole e inondano il tenero corpo del piccolo Lehnus).
PINDARO 735
T. 2 Composta probabilmente nel 488 a.C. e quindi una delle odi più antiche a noi
Olimpica XIV
pervenute, l’Olimpica XIV è dedicata ad Asopico, un giovane proveniente da Or-
comeno, nella Beozia nord-occidentale, presso le rive della palude Copaide, vin-
citore nella corsa dello stadio per la categoria dei ragazzi. Strutturata come un
inno alle Cariti e composta da una sola coppia strofe/antistrofe, l’ode appartiene
al gruppo di epinici cantati dopo il ritorno in patria del vincitore, anzi viene
esplicitamente immaginata come esecuzione processionale da parte del corteo
(κῶμον 16) che muove verso il tempio delle Cariti di Orcomeno per dedicare la
corona che Asopico ha conquistato ad Olimpia (strettamente confrontabile è
l’esordio dell’Olimpica IV, per Psaumide di Camarina).

Metro: un singolo sistema strofe/antistrofe con andamento giambico-coriambico.

strofe I Καφισίων ὑδάτων


λαχοῖσαι αἵτε ναίετε καλλίπωλον ἕδραν,
ὦ λιπαρᾶς ἀοίδιμοι βασίλειαι
Χάριτες Ἐρχομενοῦ, παλαιγόνων Μινυᾶν ἐπίσκοποι,
5 κλῦτ’, ἐπεὶ εὔχομαι· σὺν γὰρ ὑμῖν τὰ τε τερπνὰ καί
τὰ γλυκέ’ ἄνεται πάντα βροτοῖς,
εἰ σοφός, εἰ καλός, εἴ τις ἀγλαὸς ἀνήρ.
Οὐδὲ γὰρ θεοὶ σεμνᾶν Χαρίτων ἄτερ
κοιρανέοντι χοροὺς
οὔτε δαῖτας· ἀλλὰ πάντων ταμίαι
10 ἔργων ἐν οὐρανῷ, χρυσότοξον θέμεναι πάρα
Πύθιον Ἀπόλλωνα θρόνους,
αἰέναον σέβοντι πατρὸς Ὀλυμπίοιο τιμάν.

1-5 Καφισίων ὑδάτων ... εὔχομαι: e per Atene (Nemea IV 17; Istmica II 20; di ogni azione in cielo, disposti i loro seggi
«Voi che abitate una contrada dai bei pu- fr. 76, 1). - Ἐρχομενοῦ: Ἐρχ- è l’antica accanto ad Apollo Pizio dall’arco d’oro, ono-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


ledri avendo ottenuto in sorte le acque del forma beotica, l’unica in vigore al tempo rano la gloria perenne del padre Olimpio».
Cefiso, o Cariti, regine celebrate nei canti di Pindaro. Orcomeno era il più noto e il - ἄνεται: «si compie» cfr. ἀνύω, ἀνύτω. -
della splendida Orcomeno, dee tutelari degli più antico luogo di culto delle Cariti, ono- ἀγλαός: riferito a persona anche in Istmi-
antichi Minii, porgetemi ascolto, poiché (vi) rate in un santuario, situato nei pressi di ca VI 62 e VIII 27. - σεμνᾶν = σεμνῶν:
invoco». - καλλίπωλον: hapax, ma cfr. una fonte consacrata alla ninfa Acidalia, cfr. fr. 95, 4 s. σεμνᾶν Χαρίτων μέλημα/
Sofocle, Edipo a Colono 668 s. εὐίππου che si diceva fondato da Eteoclo, figlio del τερπνόν, Euripide, Elena 1341 σεμναὶ
... χώ-/ ρας. - λαχοῖσαι = λαχοῦσαι: nel dio fluviale Cefiso (cfr. Esiodo, fr. 71 M.- Χάριτες. - κοιρανέοντι = κοιρανοῦσι,
verbo è però implicita una sfumatura di W.). In onore delle Cariti si celebrava una propr. «signoreggiano». - ταμίαι: l’im-
protezione, nel senso che le Cariti si pro- festa, i Χαριτήσια, che comprendeva gare magine ricompare in Olimpica XIII 7 Δίκα
pongono come divinità «tutelari» del luo- musicali e danze notturne. - παλαιγόνων καὶ ὁμότροφος Εἰρήνα ταμίαι ἀνδράσι
go, cfr. Inno omerico XIX 6 πάντα λόφον Μινυᾶν: i Mini erano gli antichi abitatori πλούτου «Giustizia e Pace a lei sorella,
... λέλογχε, Erodoto VII 53, 2 θεοῖσι οἳ di Orcomeno, legati alla saga degli Argo- dispensiere di ricchezza per gli uomini» e
Περσίδα γῆν λελόγχασι. - ἀοίδιμοι: per nauti, discendenti di Minia, figlio di Posi- in Euripide, Medea 1415 πολλῶν ταμίας
questa accezione di ἀοίδιμος cfr. Pitica done e della oceanina Calliroe. Ζεὺς ἐν Ὀλύμπῳ «di molte cose Zeus è
VIII 59 γᾶς ὀμφαλὸν παρ᾽ ἀοίδιμον dispensatore nell’Olimpo». - χρυσοτόξον
«presso l’ombelico della terra celebre per 5-12 σὺν γὰρ ὑμῖν ... τιμάν: «infat- … πάρα Πυθίον Ἀπόλλωνα: l’associa-
canti», fr. 76, 1 ὦ ταὶ λιπαραὶ καὶ ἰοστέ- ti con voi (col vostro aiuto) si compie ogni zione delle Cariti con Apollo rimanda pre-
φανοι καὶ ἀοίδιμοι … Ἀθᾶναι «o Atene, cosa dilettevole e dolce per i mortali, se un sumibilmente anche a un retroterra cultua-
splendida e incoronata di viole e celebrata uomo è valente, è bello, è famoso. Infatti le; la statua arcaica di Apollo a Delo teneva
nei canti». - λιπαρᾶς: un aggettivo che neppure gli dèi senza le auguste Cariti alle- le Cariti sulla mano, cfr. Pausania IX 35, 3.
Pindaro usa altrove per Tebe (Pitica II 3) stiscono danze o banchetti, ma dispensiere
736 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
antistrofe I Ὦ πότνι’ Ἀγλαΐα
φιλησίμολπέ τ’ Εὐφροσύνα, θεῶν κρατίστου
15 παῖδες, ἐπακοοῖτε νῦν, Θαλία τε
ἐρασίμολπε, ἰδοῖσα τόνδε κῶμον ἐπ’ εὐμενεῖ τύχᾳ
κοῦφα βιβῶντα· Λυδῷ γὰρ Ἀσώπιχον ἐν τρόπῳ
ἐν μελέταις τ’ ἀείδων ἔμολον,
οὕνεκ’ Ὀλυμπιόνικος ἁ Μινύεια
20 σεῦ ἕκατι. Μελαντειχέα νῦν δόμον
Φερσεφόνας ἔλθ’, Ἀ-
χοῖ, πατρὶ κλυτὰν φέροισ’ ἀγγελίαν,
Κλεόδαμον ὄφρ’ ἰδοῖσ’, υἱὸν εἴπῃς ὅτι οἱ νέαν
κόλποις παρ’ εὐδόξοις Πίσας
24 ἐστεφάνωσε κυδίμων ἀέθλων πτεροῖσι χαίταν.

13-20 Ὦ πότνι᾽ Ἀγλαΐα ... σεῦ participio con valore finale: il modulo ri- no,/ venendo onorati, lavoro ai poeti» (tr.
ἕκατι: «O veneranda Aglaia, o Eufrosine corre anche altrove sia negli epinici che di G.A. Privitera).
che hai a cuore la musica, e tu, o Talia che nei canti cultuali, cfr. Olimpica VII 13
ami la musica, figlie del più potente degli s. κατέβαν ... ὑμνεύων, Nemea I 19 s. 20-24 Μελαντειχέα ... χαῖταν:
dèi porgetemi ora ascolto vedendo questo ἔσταν ... καλὰ μελπόμενος, Peana VI «Ora, o Eco, va’ alla casa dalle nere mura
corteo che avanza con passo leggero in oc- 9 s., fr. 75, 11 s. μελπόμενος … ἔμο- (μελαντειχέα = -χῆ, hapax) di Persefo-
casione del fortunato evento: infatti sono λον. - Λυδῷ … τρόπῳ: cfr. Olimpica V ne (Φερ- = Περ-) portando (φέροισα =
venuto per cantare nel modo lidio Asopi- 19 Λυδίοις ἀπύων ἐν αὐλοῖς «cantando φέρουσα) al padre l’annuncio glorioso,
co, con la mia arte, poiché la (ἀ = ἡ) città negli auli di Lidia»; fra i modi musicali affinché vedendo (ἰδοῖσα = ἰδοῦσα) Cle-
dei Minii è vincitrice ad Olimpia grazie a quello “lidio” si configurava come legge- odamo (appunto il padre di Asopico), tu
te (σεῦ = σοῦ)». - Ἀγλαΐα … Εὐφρο- ro ed elegante, particolarmente idoneo a gli dica del figlio che presso le vallate il-
σύνα … Θαλία: sia i nomi delle Cari- un vincitore giovanissimo come Asopico. lustri di Pisa si (οἱ = ἑαυτῷ) incoronò la
ti che la loro genealogia come figlie di - σεῦ ἕκατι: «grazie a te» con un fulmi- giovane chioma con le ali dei premi glorio-
Zeus si accordano con Esiodo, Teogonia neo passaggio dalla terza alla seconda per- si». - Ἀχοῖ = Ἠχοῖ: è la più antica perso-
907 ss. - ἐπακοοῖτε: = ἐπη-, da ἐπήκο- sona (già rilevato dallo scolio 27d: πρὸς nificazione dell’eco. - υἱόν: prolessi del
ος, cfr. ἀκούω. - κοῦφα βιβῶντα: «che αὐτὸν λέγει τὸν νικηφόρον «si rivolge sostantivo, in luogo di εἴπῃς ὅτι υἱός.
procede con passo leggero» è modellato proprio al vincitore»), il coro si rivolge ad - νέαν … χαίταν: costituisce il centro
sull’omerico κοῦφα ποσὶ προβιβάς di Asopico, grazie alla cui vittoria la città dei dell’immagine, come è sottolineato anche
Iliade XIII 158, e cfr. Pindaro, Partenio Minii (Orcomeno) è vincitrice olimpica: dal forte stacco tra sostantivo e attributo.
II 66 s. Δαμαίνας πάτερ, ἡσύχῳ νῦν è noto che quando l’araldo annunciava il - κυδίμων ἀέθλων πτεροῖσι: le corone
ποδὶ/ στείχων ἁγέο «padre di Damena, vincitore, proclamava anche il nome del sono equiparate ad ali, come in Pitica IX
ora con passo quieto/ tu procedendo gui- padre e la città di origine. - μελέταις: 125 πολλὰ δὲ πρόσθεν πτερὰ δέξατο
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

dami» (vedi p. 000); l’epinicio doveva es- cfr. Nemea VI 54 e Istmica V 28 μελέταν νίκας «prima aveva colto molte ali di vit-
sere intonato mentre il corteo si dirigeva δὲ σοφισταῖς/ Διὸς ἕκατι πρόσβαλον toria».
verso il santuario delle Cariti. - ἀείδων: σεβιζόμενοι «per volere di Zeus offriro-

Analisi del testo


Il componimento, privo di mito, si apre con l’invocazione al- rievocazione dei poteri e del ruolo delle Cariti. La prima sezio-
le Cariti, sentite come sole datrici di gioia e di fama, divinità ne dell’antistrofe recupera lo schema compositivo dell’incipit
necessarie tanto all’atleta vincitore quanto al poeta che ne ce- (epiclesi e invocazione: ἐπακοοῖτε 15 riprende κλῦτε 5) ma
lebra il successo (cfr. Nemea IV 6 ss. «più a lungo degli eventi prosegue illustrando l’occasione del canto (vv. 16-20). Infine
è la parola che col soccorso delle Cariti la lingua tragga da pro- un’ultima preghiera, a Eco, perché rechi al padre defunto di
fondo pensiero»). L’articolazione dell’ode è semplice e sugge- Asopico la notizia della vittoria del figlio, chiude l’ode sull’im-
stiva: la preghiera iniziale, preparata dalla serie solenne delle magine ariosa della giovane chioma coronata dalle «ali» della
epiclesi, viene motivata (cfr. γάρ 5) e allargata attraverso la vittoria.
PINDARO 737

Rifletti sul testo


1 2

T. 3 Quando Ierone vinse nel 470 a.C. con la quadriga a Delfi era all’apice della sua
Pitica I
potenza: Siracusa era la più potente città greca d’Occidente, anche in seguito
alla vittoria che aveva ottenuto due anni prima sui cartaginesi di Amilcare ad
Imera (a dire il vero, all’epoca il comandante supremo era Gelone, il fratello di
Ierone, a cui Ierone appunto succederà di lì a poco, dopo la sua morte).
Il piano di ripopolamento della Sicilia attraverso l’espulsione di antichi abitanti
e l’immissione di coloni dorici, soprattutto nelle ex colonie calcidesi, aveva por-
tato ad un grande numero di città governate secondo gli ordinamenti dorici e si
iscrive in questo quadro la fondazione di Etna (476-475), cui Ierone metteva a
capo, dopo Cromio, il figlio Dinomene.
È per questo che Ierone volle dare alla sua vittoria rinomanza, dando l’incarico
di celebrarla tanto a Pindaro, quanto a Bacchilide (è il suo Epinicio IV). Già
sei anni prima, per celebrare la vittoria olimpica con il corsiero, Ierone aveva
commissionato un carme a Pindaro (Olimpica I) e uno a Bacchilide (Epinicio V),
ma questa volta la destinazione dei due componimenti risulta diversa: il breve
carme di Bacchilide sarà stato eseguito a Delfi, subito dopo la vittoria, mentre
la monumentale ode pindarica si colloca nel quadro di una grandiosa cerimonia
pubblica ad Etna, scelta per magnificare le sorti della nuova fondazione e del suo
reggente Dinomene. A ciò Ierone assegnava grande importanza, tanto è vero che

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


l’araldo che annunciò a Delfi la sua vittoria lo ricordò con il titolo di «Etneo».
Perché l’ode sia stata messa in testa alle Pitiche nell’edizione alessandrina non
è chiaro: di certo avrà giocato il parallelismo con le Olimpiche che si aprono con
un’ode dedicata a Ierone, ma in quel caso la scelta degli editori alessandrini ap-
pariva abbastanza motivata, visto che il mito di Pelope poteva fungere da avere
proprio αἴτιον dei giochi olimpici.
L’ode si apre con la apostrofe alla cetra, comune possesso di Apollo e delle Muse,
che sa incantare dèi e uomini e favorisce, con la sua armonia, l’ordine imposto
al mondo da Zeus. Sono proprio i nemici di Zeus a temerla, simbolo ne è Tifone,
l’avversario di Zeus del suo ordine: proprio l’avversione che Zeus ha nei confronti
dei tracotanti suoi nemici consente a Pindaro e il parallelismo, sul piano storico,
con Ierone, nemico implacabile di chi turba la pace e il buon governo.
L’accenno ai motivi iniziali sviluppati nell’ode lascia intendere con quanto im-
pegno Pindaro abbia fatto proprio il compito di esaltare Ierone e la costituzione
738 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
dorica che egli ha imposto alle città a lui sottomesse, ma in particolare ad Etna,
di cui è ecista (titolo che, dopo la morte, gli varrà un culto eroico). L’elogio,
privo nel suo svolgimento di un lungo e articolato mito, alterna sapientemente il
motivo encomiastico a quello didattico-parenetico in uno sviluppo complesso e
ben controllato. La traduzione del testo è accompagnata dalla parafrasi esplica-
tiva di uno dei più grandi interpreti di Pindaro, Hermann Fränkel (Dichtung und
Philosophie des frühen Griechentums, München 1962, trad. it. di C. Gentili, Poesia
e filosofia della Grecia arcaica, Bologna 1997, pp. 651-659)

strofe I Cetra d’oro, di Apollo e delle Muse dai ricci di viole


il bene più esclusivo, tu, che il passo della danza ascolta
per dare inizio alla festa splendida,
e gli aedi si sottomettono alla tua guida,
quando fai udire il tuo suono e dai l’avvio al preludio
che conduce il coro:
tu spegni al lampo guerriero la vampa
dell’eterno fuoco, e sullo scettro di Zeus dorme l’aquila,
entrambe le rapide ali abbandona,

antistrofe I la regina degli uccelli, ché una nube dall’apparenza


oscura hai versato
sul suo capo adunco, chiudendole mite le palpebre; nel sonno
si culla il dorso reso docile, preso
nel tuo ritmo. Così anche Ares violento: la punta feroce della lancia
lascia riposare e ristora l’animo
nel sonno. Tu incanti le armi e le anime degli dei con
la maestria del figlio di Latona (Apollo)
e delle Muse dal cinto profondo.

[Prima triade] All’inizio dell’ode Pindaro non parla della cetra legno dalla gialla fiamma; e poi comincia il gemere e l’infuriare delle Naiadi,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

che egli stesso prende in mano (come in Olimpica I 18), né invoca che agitano la testa nella frenesia; poi si desta il lampo che tutto vince, fuoco
la Musa perché gli stia accanto; ma celebra con un inno alla cetra soffiando, e la lancia di Ares; e l’egida a difesa di Pallade risuona del sibilo di
«d’oro» (divina, celeste) nelle mani di Apollo, il dio della musica e mille serpenti. Rapida giunge Artemide, colei che solitaria dimora, la stirpe dei
nello stesso tempo dei giochi pitici, e il coro delle Muse sull’Olim- leoni nell’ estasi bacchica aggiogando... Bromio contempla rapito la danza delle
po. La rappresentazione corale che ora viene allestita è così ricon- donne e le orde delle fiere ...
dotta alla sua fonte originaria, alla «musica stessa», per dirla con
Platone; oppure, per restare nei termini usati da Pindaro, a quelle
potenze cui la cetra appartiene «di diritto». Il potere della cetra di Il testo del papiro (pubblicato nel 1919), confrontato con l’epini-
Apollo si manifesta nel fatto che le sue armonie rappacificano le cio precedente, conferma nel modo migliore la teoria di Friedrich
forze selvagge del mondo degli dèi: il fuoco del lampo si spegne e Nietzsche (pubblicata nel 1872) sulla doppia natura della musica
il dio della guerra depone la sua lancia e gode di un sonno tranquil- greca. Secondo Nietzsche un’unica arte, quella dionisiaca, con-
lo. D’altro genere e d’altro effetto è la musica dionisiaca, e si serve duce le energie vitali selvagge, e nello stesso tempo divine, ad
di strumenti diversi. Quando le sue sonorità eccitanti si levano nel uno scaricamento liberatorio: così, stando al ditirambo di Pindaro,
cielo, la folgore e la guerra con la sua lancia partecipano alla danza nella sfrenata festa di Dioniso anche la folgore di Zeus e la lancia
estatica. Pindaro ha descritto anche questo, in un ditirambo che un del dio «Guerra» (Ares) si scatenano in una danza selvaggia; ma
papiro ci ha restituito. Il contrasto con l’ode pitica è così istruttivo, nell’altro genere di musica, quello apollineo, il suono della cetra
che possiamo farne seguire i versi (fr. 70 b, 5 Snell): di Apollo spegne, secondo l’ode pitica di Pindaro, il fuoco eterno
della folgore, mentre Ares sprofonda in un sonno sereno e lascia in
… Sappiamo come i figli del cielo sotto lo scettro di Zeus (sull’Olimpo) celebri- riposo la lancia atroce, perché questa cetra «ammalia le armi e le
no la sacra festa di Bromio (Dioniso). Ha inizio col rullare dei tamburi per la anime degli dèi con l’arte del figlio di Latona e delle Muse». Che
Grande Madre (Cibele); e quindi scrosciano le nacchere e le fiaccole ardenti di qui, al termine dell’antistrofe, com’era avvenuto all’inizio, venga-
PINDARO 739
epodo I Ma tutti coloro che non son cari a Zeus sono turbati dalle voci
delle vergini Pieridi (le Muse), tutti, sulla terra e nel mare crudele,
e colui che giace nel deserto Tartaro, nemico degli dei,
Tifone dalle cento teste; lui che un tempo
crebbe in una caverna dei molti nomi, in Cilicia, ma a cui ora
le scogliere recinte di flutti innanzi a Cuma e l’isola di Sicilia gravano
sull’arruffato petto; un pilastro celeste lo opprime,
l’Etna coperto di bianco, che nutre
perenne la gelida neve;

no nuovamente nominati Apollo e le Muse, è indice, nello stile di Tifone aveva un tempo combattuto con Zeus per il dominio del
Pindaro, che la scena è ormai perfetta e conclusa. mondo. Zeus aveva abbattuto Tifone con la folgore, e sul nemico
Ad essa segue, secondo la genuina maniera arcaica, una contro- vinto aveva accatastato l’Etna e le Pitecuse (isole presso Cuma,
immagine. Quel che rallegra e placa gli esseri celesti, irrita ed oggi Ischia e Procida).
eccita i loro avversari. Secondo la leggenda un mostro di nome

strofe II dalle sue profondità sgorgano sorgenti purissime


di fuoco inaccessibile, e ruscelli in corsa riversano
di giorno flutti
densi di fumo, ma di notte la rossa fiamma
rotola con frastuono le rocce verso la profonda pianura del mare.
È lui (Tifone) l’essere che suscita le terrificanti
sorgenti della vampa, orrendo e meraviglioso a vedersi,
straordinario anche il racconto di coloro
che hanno visto

antistrofe II come egli (Tifone) giaccia, costretto tra le cime dell’Etna


nere di selve
e il suolo, e il giaciglio strazi e dilanii dovunque il dorso oppresso.
Lascia, o Zeus, lascia che noi ti rendiamo grazie,
a te a cui questa montagna, la fronte della terra fruttuosa, appartiene,

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


da cui prende nome
la città vicina (Etna), a cui un fondatore glorioso (Ierone)
conquistò la fama, quando nei giochi pitici l’araldo annunciò
il suo nome insieme con quello di Ierone, il vincitore

epodo II nella gara delle quadrighe. A chi salpa sul mare la prima gioia è
quando all’inizio del viaggio una brezza favorevole giunge,
poiché ciò gli dà fiducia
che anche al termine un felice ritorno gli sia donato. In ugual senso

[Seconda triade] Da cosa la leggenda traesse origine, lo vedia- le Pitecuse, le «scogliere recinte di flutti innanzi a Cuma», aveva-
mo in Pindaro: si interpretavano i fenomeni vulcanici e i terremoti no potentemente manifestato la loro natura vulcanica. Il mito di
come il respiro infuocato e gli spasimi di un mostro infernale che Pindaro ha dunque in questo caso un significato attuale; ma nello
giaceva sotto la montagna e le isole. Un’eruzione dell’Etna era stesso tempo esso consente di trasferire il discorso alla città di Et-
avvenuta poco prima che Pindaro componesse la sua ode; e anche na. Il dio della montagna troneggia sul nemico vinto e torturato;
740 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
anche questa felice coincidenza porta con sé la speranza
che essa (la città di Etna) avrà in futuro gloria di corone e di cavalli
e acquisterà nome per i lieti suoni di festa.
Febo licio, signore di Delo,
cui anche la fonte Castalia sul Parnaso è cara,
possa il tuo volere appagare questo desiderio
e a questa terra di grandi uomini far dono!

e dall’immagine ammonitrice, nella funzione che essa assume per sull’Etna. La vittoria riportata da Ierone nei giochi pitici era un
coloro che «non sono amati da Zeus», nasce nel capovolgimento promettente inizio; e ora si invoca Apollo, che l’ha concessa, af-
una fervida preghiera a Zeus: «Possiamo noi trovare compiacenza finché doni alla città gloria e uomini eccellenti.
innanzi a te» – noi, e in particolare gli abitanti della nuova città

strofe III Ché dagli dei giungono le possibilità degli umani meriti (aretai),
sia che qualcuno abbia in dono la saggezza, sia la forza
delle braccia o il potere della parola. Quanto a me,
se ho intenzione di lodare
quell’uomo (Ierone), ho fiducia
che il mio giavellotto dalle guance di bronzo, se la mia
arte lo scaglia, non devii dalla traiettoria,
ma che io, lanciandolo lontano, superi gli avversari.
Possa a lui (Ierone) allo stesso modo ogni tempo futuro
concedere benedizione, godimento di beni e
oblio del dolore!

antistrofe III Possa egli ricordarsi di grandi battaglie in guerra, nelle quali
resisteva con animo tenace, al tempo in cui essi (Ierone e i suoi)
per volere degli dei trovarono onore
come non ne toccò l’uguale tra i Greci,
splendido coronamento di ricchezza. E ora e a lui, come Filottete,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

a scendere in campo, e costretto dalla necessità


un uomo orgoglioso cerca di ottenere il suo favore.
Si narra che eroi pari agli dei si recarono a Lemno

epodo III a portar via il figlio di Peante (Filottete), l’arciere,


sofferente per una ferita,
lui che poi ha distrutto la città di Priamo e alle pene
dei Danai ha posto fine,

[Terza triade] Il nome «Ierone» è già comparso, ma quel che ora altri uomini, perché di fatto nessun greco può misurarsi, per po-
segue è innanzi tutto una devota massima sull’origine divina di tere e grandezza, con Ierone. Nella magnificazione del re viene
tutti i doni che toccano agli uomini, prima che il talento del po- ora inserita, com’è d’uso, un’espressione di «scongiuro»: «Pos-
eta si disponga a celebrare «quell’uomo» secondo il dovuto. Dal sa così restare per tutto il tempo a venire»; si dà quindi voce a
momento che Pindaro esegue questo lancio, il giavellotto «dalle speranze e preoccupazioni attuali: «e possa Ierone dimenticare le
guance di bronzo» della sua parola volerà più lontano, senza de- sue sofferenze! Possa ricordarsi di gloriose vittorie ottenute con
viare dalla verità, di quanto non possano altri aedi che celebrano il tenace perseverare. Anche ora egli deve fare appello a grande
PINDARO 741
debole nel passo per il corpo ferito; ma così era predestinato.
Come lui, possa il dio rinfrancare Ierone
nel tempo che si avvicina, e quel che desidera renderglielo facile.
O Musa, lascia che io ti preghi di levare la tua voce
anche di fronte a Dinomene, a compenso della vittoria
dei quattro cavalli;
pure di questi è gioia la corona che il padre suo porta.
Facci dunque trovare per il re di Etna
un canto d’amicizia,

fermezza, poiché è sceso nuovamente in campo, benché colpito da personale di Ierone. Possa toccare al re, come un tempo a Filottete,
una malattia. Come un tempo i più illustri principi greci davanti a guarigione e successo!».
Troia ottennero l’aiuto di Filottete ferito, perché senza di lui non Il poeta si rivolge ora al giovane Dinomene per esprimergli, in
potevano assolvere al loro compito, così ora uomini orgogliosi (al- quanto figlio del vincitore pitico e re di Etna, un augurio di felicità.
tri sovrani siciliani?) si sono visti costretti a chiedere l’intervento

strofe IV a lui, per il quale Ierone la città ha edificato, e in una libertà


stabilita dagli dei
l’ha dotata di una costituzione secondo la regola di Illo.
La discendenza dorica
di Panfilo e degli Eraclidi è decisa,
nelle sue dimore ai piedi del Taigeto (a Sparta), a restare
per sempre
fedele agli ordinamenti di Egimio. Dal Pindo migrando
felicemente espugnarono Amicla, dove divennero vicini
illustri dei Tindaridi (i Dioscuri)
che bianchi cavalli conducono,
e fiorì la gloria delle loro lance.

antistrofe IV Zeus che tutto compi, fa’ che sempre in futuro lungo
l’acque dell’Amena (a Etna)

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


il verace giudizio degli uomini al popolo e ai re di questa
divisione (dei poteri) accordi.
Possa colui che ha il comando (Ierone), con il tuo aiuto
e con la mano del figlio (Dinomene), al popolo l’onore
preservare e avviarlo a pacifica concordia.
Io ti prego, Cronide (Zeus): concedi che il Fenicio
e il grido di guerra dei Tirreni tengano docile a casa la flotta
baldanzosa, ricordando quanto avvenne
innanzi a Cuma,

[Quarta triade] Pindaro celebra l’ordinamento statale dorico che dall’esterno. Questo augurio ci riconduce a Ierone, poiché questi
Ierone aveva imposto alla nuova comunità di Etna, e ricorda la aveva inflitto una sconfitta decisiva ai due più pericolosi nemici
creazione dello stato spartano in Laconia, modello per tutte le del suo regno. Nel 480 i «Fenici» (Cartaginesi), che tentavano di
costituzioni doriche. Il poeta spera nella pace tra i cittadini della estendersi verso oriente dalle loro colonie nella Sicilia occidentale,
recente e ben ordinata comunità, e prega che non vi siano attacchi furono battuti presso il fiume Imera da Ierone e da suo fratello
742 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
epodo IV dove essi soffrirono lutti, sconfitti dal duce siracusano
che la loro gioventù dalle rapide navi nel mare gettava,
la Grecia liberando da pesante schiavitù. Parlerei
di Salamina, se volessi meritare come ricompensa
la riconoscenza
degli Ateniesi; a Sparta parlerei della battaglia sul Citerone (Platea),
dove i Medi caddero, i guerrieri dall’arco ricurvo:
ma dalle sponde del mormorante
Imera io colgo la lode per i figli di Dinomene (Ierone e i suoi fratelli),
che essi per il loro valore (aretè) acquistarono
quando abbatterono i loro nemici.

Gelone (il loro padre si chiamava ugualmente Dinomene); e sei bare che volevano sottomettere la Grecia: Salamina (nel 480) e
anni più tardi, quattro prima della data di composizione dell’ode Platea (479). Il poeta forma in questo modo una sequenza di tre
di Pindaro, la flotta di Ierone aveva infranto, in una battaglia nei membri nella quale vengono ordinate, l’una dopo l’altra, le gesta
pressi di Cuma (vicino a Napoli), la supremazia dei «Tirreni» belliche degli Ateniesi, degli Spartani e dei Siracusani. Sequenze
(Etruschi) sul Mar Tirreno. Pindaro celebra prima la vittoria di come questa sono tipiche dello stile di Pindaro; la loro funzione è
Cuma; e quando decide di occuparsi di quella dell’Imera, si rifà di indicare che determinati valori superiori si corrispondono l’un
da lontano. Egli cita innanzitutto due altre battaglie dell’ultimo l’altro, ognuno nel suo specifico ambito di validità. Si è convenuto
decennio nelle quali, come nel caso precedente, i soldati greci di chiamare questa figura stilistica, in conformità con una figura
avevano respinto sul mare e in terra l’attacco di popolazioni bar- analoga che era popolare nel medioevo, Priamel.

strofe V Parlare con scelta felice, in poco spazio di molte cose la


cerchia riunendo,
minor biasimo da parte degli uomini incontra. Ché
pericoloso tedio
frena le alate speranze,
e quel che i cittadini ascoltano di straniera fortuna molto
aggrava i loro segreti pensieri.
E tuttavia – poiché l’invidia è migliore del compianto –
non rinunciare alla magnificenza. Forgia il tuo discorso
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

sull’incudine della schiettezza.

antistrofe V Se anche solo una minima cosa non ti riesce, grande diventerà,
perché da te viene; su molti comandi, molti fidati testimoni
per cose di entrambe le specie si trovano.
Resta nella disposizione generosa che ti anima,

[Quinta triade] Ora Pindaro interrompe la lode delle gesta di Iero- viene in generale discusso il delicato rapporto tra un condottiero
ne perché un eccesso di esaltazione può produrre facilmente negli ambizioso e il suo popolo. Pindaro si rivolge ora al giovane re di
ascoltatori l’effetto di trasformare in malevolenza l’ammirazione Etna con un appello diretto, e con le parole ammonitrici: «Non ri-
per coloro che sono oggetto della lode stessa. Quando la superiore nunciare alla magnificenza!» risponde alla domanda inespressa se
grandezza di un principe si imprime con troppa forza (κόρος) nel- valga la pena esporsi alla solitaria altezza battuta dai freddi venti
la coscienza dei sudditi, risulta indebolito in ognuno lo slancio del- di una malevola invidia. Che gloria e invidia siano inseparabili,
le speranze personali, e nel silenzio l’invidia si deposita gravando Pindaro lo indica molto seriamente in altre odi: «La fortuna si
sugli animi. Secondo la maniera arcaica, lo sviluppo di pensiero conquista altrettanta invidia» (Pitica XI 29); «Su ogni uomo pesa
si è allontanato dall’occasione specifica che lo aveva suscitato; l’invidia della sua grandezza (aretè); ma la testa di chi non ha
di moderazione nel lodare, da qui in avanti, non si parla più, ma nulla è celata sotto un nero silenzio» (fr. 104 c, 8). O si è grandi
PINDARO 743
e se da te dipende godere a lungo di una fama gradita, non
limitare meschinamente le tue spese
entro confini angusti.
Come un marinaio, lasca la vela
affinché si riempia di vento. Non ti illuda, amico, l’acquisto
del momento: la gloria splendente
che dopo di noi resta

epodo V sola può trasmettere la vita dei defunti


ai potenti della parola e del canto. La benigna grandezza (aretè)
di Creso non svanisce;
ma colui che nel toro di bronzo gli uomini bruciava, Falaride
crudele, dovunque trista fama lo tiene avvinto.
Nella sala il suono della cetra, con cui i fanciulli si intrattengono,
non lo accoglie tra coloro che delicato hanno l’animo.
Che le cose ci siano propizie è il primo scopo;
che si parli bene di noi la seconda fortuna; ma colui
che entrambe le cose
conosce e ha in sorte,
la corona suprema ha ricevuto.

e gravati dal peso dell’invidia, o privi d’importanza e dimenticati ospitali», cioè gli onorari, dovuti al poeta), non è che un acquisto
già in vita. A partire da queste considerazioni, i circoli aristocratici momentaneo; alla lunga si dimostra una perdita, poiché implica
dell’epoca coniarono il proverbio di cui Pindaro fa qui uso: «Me- una rinuncia alla fama postuma. La parola del poeta e il canto
glio l’invidia che il compianto». Subito si pone però l’altra inevi- dell’aedo concedono alla natura dell’uomo una durata che va al
tabile domanda: «Come può comportarsi un re di fronte all’invidia di là della morte fisica. Come modello di indulgente magnanimità
che vorrebbe rovesciarlo?». In riposta, Pindaro fornisce quattro viene citato il re di Lidia Creso, e per contrasto gli viene posto
insegnamenti: «Sii giusto» (iustitia fundamentum regnorum); «di’ accanto il crudele tiranno Falaride. D’ora in poi Pindaro innalza
la verità»; «sii consapevole della tua posizione esposta anche nelle l’idea dell’ingresso nell’immortalità, il cui strumento è la poesia,
piccole cose»; e infine: «sii generoso». Sull’ultimo avvertimento ad immagine tangibile. All’inizio dell’ode abbiamo visto Apollo
Pindaro si sofferma più a lungo. Anche altrove ricorre in lui l’idea suonare la cetra d’oro; ora, alla fine, ci viene mostrato come nobili,
che un grande, se vuol smorzare l’invidia, deve principescamente delicati fanciulli (traspare qui, per Pindaro e il suo pubblico, una
dividere con altri la propria fortuna: un’ospitalità priva di barriere sfumatura erotica) trascorressero lietamente le loro ore suonando
è «acqua sul fumo di coloro che sono invidiosi della nobiltà»; con la cetra, e come essi accogliessero nella comunità evocata dalla
«fumo» si intende un’invidia che brucia senza fiamma, che non musica i grandi e buoni uomini del passato e li onorassero con

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


può svilupparsi in vampa di rivolta. Nel nostro passo Pindaro fa opportuna memoria. Le parole conclusive esaltano la fama, che
uso di un’altra immagine corrente. Il re deve tener lasca la ve- accompagna la grandezza, come il supremo compimento della for-
la per prendere il vento favorevole dei sentimenti benevoli. Quel tuna terrena. Al serto che incorona il vincitore, la poesia aggiunge
che l’individuo meschino risparmia evitando le spese (ossia i co- il suo diadema imperituro.
sti di un’ospitalità generosa, tra i quali rientrano anche i «doni

Rifletti sul testo


1 2
744 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Analisi del testo


Se paragoniamo la struttura, il contenuto e le idee di quest’ode vittoria dei cavalli di Ierone nei giochi pitici passa in seconda
con quelli di altri epinici, l’omogeneità generale è evidente. linea. Pindaro ha sfruttato appieno lo straordinario materiale
Oggetto della trattazione sono di nuovo i cinque temi usuali. che aveva qui a disposizione, e ne ha tratta un’ode straordina-
L’arte della cetra e del canto corale è efficacemente messa in riamente unitaria e grandiosa. Si rende evidente quanto agile
risalto nel potente inizio e nell’intima immagine dell’ultima fosse la forma lirico-corale, e con quale padronanza questo po-
triade; l’elemento religioso è rappresentato con ricchezza e eta maneggiasse le ricche possibilità che essa offriva.
vigore; si offrono delle norme di vita; la persona e la famiglia Su quella medesima vittoria pitica riportata da Ierone nel 470
del vincitore vengono poste in una vivida luce; non mancano anche Bacchilide scrisse una breve ode (4); nello stesso modo,
neppure il mito e la saga, dato che sentiamo parlare di Tifone, entrambi i poeti si erano messi all’opera (Pi. O. 1; B. 5) per ce-
della storia remota dei Dori, e del semileggendario re dei Lidi lebrare un precedente successo (del 476). Nel 468, quando già
Creso. Ma in quest’ode la poesia gnomica prende la forma di la vita di Ierone si approssimava alla sua fine, la sua quadriga
un manuale per il principe, indirizzato al giovane re di Etna; in gli procurò in Olimpia la terza e più preziosa corona di vittoria.
questa città è stato appena resuscitato, in modo promettente, Questa volta però Pindaro rimase muto, e Bacchilide magnificò
l’ordinamento dorico dei tempi remoti; e anziché tirar fuori an- da solo l’ultimo trionfo del re nei giochi panellenici. Forse al
tiche saghe eroiche dagli abissi della tradizione, Pindaro può sovrano, che solo negli ultimi anni aveva dedicato il suo inte-
qui rendere da contemporaneo la sua testimonianza delle ge- resse alla poesia, l’impervia arte di Pindaro era piaciuta meno
sta di un re vivente. Di fronte alle vittorie sui Cartaginesi e gli delle accessibili odi di Bacchilide.
Etruschi, eventi che riguardano la storia universale, anche la

T. 4 Composta nel 474-473, la Pitica III si configura come un messaggio di con-


Pitica III
solazione inviato a Ierone, il tiranno siracusano, malato di λιθουρία (cioè
soffriva di calcoli). Il componimento risulta pertanto di speciale interesse
in quanto vi traluce, con particolare insistenza, il rapporto fra poeta e com-
mittente. La circolazione dei tipici temi encomiastici (il grande destino che
accompagna il sovrano «mite coi cittadini, non invidioso degli aristocratici,
padre ammirevole per gli ospiti») è in realtà subordinata al cortese rifiuto – i
vv. 1-76 fungono appunto da lunga recusatio – da parte del poeta di recarsi
in Sicilia; è infatti impegnato a celebrare un culto in onore della Madre degli
dèi e di Pan (vv. 77 ss.), proprio per propiziare la guarigione del potente
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

amico. Ed è appunto il motivo del «rifiuto» che genera la scelta dei miti che
occupano la prima parte dell’ode. Egli sarebbe venuto – afferma il poeta – se
avesse potuto recare a Ierone la buona salute: di qui il richiamo iniziale, nel
quadro di un’ipotesi irrealizzabile, a Chirone, il mitico centauro filantropo, e
di qui la rievocazione della vicenda di Asclepio, che Apollo miracolosamente
salva dal rogo su cui viene arsa la madre Coronide, ma che poi Zeus incene-
risce col fulmine per aver tentato di spingere la propria arte medica al punto
di resuscitare i morti. Esempio di ὕβρις punita, quello di Asclepio, così come
di ὕβρις si era macchiata la madre Coronide, che dopo essersi unita ad Apollo
non aveva atteso il tempo delle legittime nozze, ma si era congiunta, di na-
scosto al padre, a un uomo straniero.

Metro: «dattilo-epitriti» ovvero «kat’enoplion-epitriti».


PINDARO 745
strofe V Ἤθελον Χίρωνά κε Φιλλυρίδαν,
εἰ χρεὼν τοῦθ’ ἁμετέρας ἀπὸ γλώσσας
κοινὸν εὔξασθαι ἔπος,
ζώειν τὸν ἀποιχόμενον,
Οὐρανίδα γόνον εὐρυμέδοντα Κρόνου,
βάσσαισί τ’ ἄρχειν Παλίου φῆρ’ ἀγρότερον
5 νόον ἔχοντ’ ἀνδρῶν φίλον· οἷος ἐὼν θρέψεν ποτέ
τέκτονα νωδυνίας
ἥμερον γυιαρκέος Ἀσκλαπιόν,
ἥροα παντοδαπᾶν ἀλκτῆρα νούσων.

antistrofe I Τὸν μὲν εὐίππου Φλεγύα θυγάτηρ


πρὶν τελέσσαι ματροπόλῳ σὺν Ἐλειθυί-
ᾳ, δαμεῖσα χρυσέοις
10 τόξοισιν ὕπ’ Ἀρτέμιδος
εἰς Ἀΐδα δόμον ἐν θαλάμῳ κατέβα,
τέχναις Ἀπόλλωνος. Χόλος δ’ οὐκ ἀλίθιος

1-7 Ἤθελον … ἀλκτῆρα νούσων: ... λαχνήεντας. - ἀνδρῶν φίλον: Chiro- tare (Asclepio) al termine» della gravi-
«Vorrei che Chirone figlio di Filira, se è op- ne anche altrove in Pindaro è presentato danza: per questo uso pregnante di τελέω
portuno innalzare una preghiera comune come maestro degli uomini: cfr. Pitica IV cfr. Euripide, Baccanti 99 s. ἔτεκεν δ᾽
con la nostra lingua, fosse in vita, lui or- 102 ss., Nemea III 53 ss. - οἷος ἐών [= ἁνίκα Μοῖραι/ τέλεσαν ταυρόκερων
mai defunto, figlio di Crono nato da Urano, ὤν]: cioè «tali essendo le sue qualità». - θεόν «lo generò, dio dalle corna di toro,
lui dal vasto regno, e (vorrei) che regnasse ἥμερον: «benevolo», questa accezione quando le Moire compirono il termine». -
nelle vallate del Pelio (monte della Tessa- – «gentle, kind» (Slater) – dell’agg. an- Ἐλειθυίᾳ: la dea protettrice del parto, il
glia), fiera silvestre che aveva una mente che in Nemea VIII 3 e Olimpica XIII 2. cui nome è attestato già su una tavoletta
amica agli uomini, quale essendo un tem- - τέκτονα: la medicina è sentita, al pari in Lineare B di Cnosso. - ματροπόλῳ:
po educò (θρέψεν = ἔθρεψεν) Asclepio, della poesia (cfr. v. 113), come attività (= μη-) è un hapax (da μήτηρ + *kwol-,
benevolo artefice di un sollievo dal dolore artigianale. - νωδυνίας: (νή + ὀδύνη) cfr. lat. colo). - Φλεγύα: = Φλεγύου: la
che rinvigorisce le membra, eroe stornato- forse neoconiazione pindarica sulla base genealogia segue Esiodo, fr. 60, 4 M.-W.
re di morbi (νούσων = νόσων) d’ogni sor- dell’agg. νώδυνος, usato in Nemea VIII Φλεγύαο διογνήτοιο θύγατρα; a sua
ta (παντοδαπᾶν = -πῶν)». - Ἤθελον 40, cfr. Teocrito XVII 63 νωδυνίαν ... volta Flegia è figlio di Ares ed eponimo

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


… κε (= ἄν): apodosi dell’irrealtà. - μελῶν. - γυιαρκέος: (γυῖον + ἀρκέω) della popolazione tessalica dei Flegii.
Χίρωνα: il centauro figlio della ninfa «che fortifica le membra» forse neoco- - εὐίππου: epiteto caro a Pindaro, cfr.
Fil(l)ira e di Crono: si distingueva dagli niazione pindarica. A partire dal v. 4 la Olimpica III 39 εὐίππων ... Τυνδαριδᾶν,
altri centauri, oltre che per l’origine divi- preghiera iniziale è allargata attraverso VIII 57 Ἀμαζόνας εὐίππους, Pitica IV 2
na, per il carattere mite, l’amore della giu- una doppia rievocazione, densa di brevi εὐίππου Κυράνας. - τόξοισιν ὕπο: ana-
stizia e la vastità delle conoscenze; guari- specificazioni, prima di Chirone e poi di strofe = ὑπὸ τόξοις. - ὕπ᾽ Ἀρτέμιδος:
tore di ferite e malattie, fu amico o mae- Asclepio. Artemide è la dea che ha il potere sia di
stro di molti eroi. - εἰ χρεών: sott. ἐστίν far morire – già in Iliade le venivano at-
piuttosto che ἦν: sembra trattarsi di un in- 8-12 Τὸν μέν ... παίδων Διός: «Pri- tribuite le morti improvvise delle donne
ciso parentetico secondo il modulo del si ma di portare lui al termine con l’aiuto – sia di far nascere, proteggendo i parti e
fas est. - κοινόν: nel senso di «comunita- di Ilizia che assiste le madri, la figlia di i neonati.
ria», «di tutti». - ἀποιχόμενον: «defun- Flegia dai bei cavalli, domata nella sua Con tecnica profondamente diversa ri-
to», lett. «partito», si tratta di un eufemi- camera per le auree frecce di Artemide, spetto all’epos, la narrazione procede
smo usato da Pindaro anche in Pitica I 93 scese (κατέβα = -βη, da καταβαίνω) attraverso improvvise anticipazioni e
ἀποιχομένων ἀνδρῶν; sembra intenzio- alla casa di Ades per le arti di Apollo. In- bruschi trapassi. Dal principio dell’ode
nale l’accostamento, all’interno della me- fatti (δέ esplicativo) non è vana (ἀλίθιος fino alla massima del v. 12 si accampa-
desima sequenza metrica, fra ζώειν e τὸν = ἠλίθιος) l’ira dei figli di Zeus». - Τόν no in serie tre figure mitiche (Chirone,
ἀποιχόμενον. - εὐρυμέδοντα: un epite- μέν: con valore relativo o dimostrativo, Asclepio, Coronide) su cui l’ode succes-
to usato anche per Posidone in Olimpica che raccorda senza soluzione di conti- sivamente tornerà (Coronide: vv. 12-46;
VIII 31. - φῆρ(α) = θῆρα: cfr. Iliade I nuità i passi su Chirone e Asclepio alla Asclepio: vv. 47-53; Chirone: vv. 63 ss.).
268 φερσὶν ὀρεσκῴοισι e II 743 Φῆρας vicenda di Coronide. - τελέσσαι: «por-
746 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
γίνεται παίδων Διός. Ἁ δ’ ἀποφλαυρίξαισά νιν
ἀμπλακίαισι φρενῶν,
ἄλλον αἴνησεν γάμον κρύβδαν πατρός,
πρόσθεν ἀκερσεκόμᾳ μιχθεῖσα Φοίβῳ,

epodo I καὶ φέροισα σπέρμα θεοῦ καθαρόν


16 οὐκ ἔμειν’ ἐλθεῖν τράπεζαν νυμφίαν,
οὐδὲ παμφώνων ἰαχὰν ὑμεναίων, ἅλικες
οἷα παρθένοι φιλέοισιν ἑταῖραι
ἑσπερίαις ὑποκουρίζεσθ’ ἀοιδαῖς· ἀλλά τοι
20 ἤρατο τῶν ἀπεόντων· οἷα καὶ πολλοὶ πάθον.
Ἔστι δὲ φῦλον ἐν ἀνθρώποισι ματαιότατον,
ὅστις αἰσχύνων ἐπιχώρια παπταίνει τὰ πόρσω,
μεταμώνια θηρεύων ἀκράντοις ἐλπίσιν.

strofe II Ἔσχε τοι ταύταν μεγάλαν ἀυάταν

12-23 Ἁ δ᾽ ἀποφλαυρίξαισα ... ἀ- è capitato (πάθον = ἔπαθον). È gente vicenda di Coronide: cfr. fr. 60, 3 M.-
κράντοις ἐλπίσιν: «Ma ella, disprez- stoltissima fra gli uomini, chiunque di- W. Φοίβῳ ἀκερσεκόμῃ. - νυμφιδίαν:
zandola per uno smarrimento dell’animo, sprezzando ciò che è familiare (ἐπιχώρια conservato da Gentili contro il νυμφίαν
acconsentì a un’altra unione di nascosto “cose del luogo”) mira alle cose lontane, moscopuleo accolto da molti editori, va
al padre dopo essersi congiunta in pre- andando a caccia di vane illusioni con spe- considerato trisillabo per consonantiz-
cedenza a Febo dalla chioma intonsa e, ranze irrealizzabili». - ἀποφλαυρίξαισά zazione dello i di -δίαν. - ἅλικες οἷα
pur portando (φέροισα = φέρουσα) il νιν = ἀποφλαυρίξασα αὐτόν, sc. τὸν παρθένοι: οἷα è in libero riferimento
puro seme del dio, non attese che venis- χόλον, «l’ira» dei figli di Zeus: il verbo col maschile ὑμεναίων. - ὑποκουρί-
se la (il tempo della) mensa nuziale né il (da ἀπό + φλαῦρος) è di probabile conio ζεσθ(αι): «modulare» il verbo denota
canto degli imenei vari di suoni, quali le pindarico; ricompare in Erodoto I 86, 5. propriamente il rivolgere facezie e motti
compagne, le vergini coetanee (ἅλικες = - ἀμπλακίαισι: plurale generalizzante. scherzosi o lascivi nel corso dei canti in-
ἥλικες), amano (φιλέοισιν = φιλοῦσιν) - ἀκερσεκόμᾳ: (= -μῃ, ἀ- priv. + tema tonati dinanzi al talamo, appunto gli «epi-
modulare con canzoni vespertine; ma si verbale di κείρω + κόμη) epiteto ricor- talami». - τῶν ἀπεόντων: (= ἀπόντων);
innamorò di cose lontane, come (οἷα, rente per Apollo in Pindaro, ma usato il genere grammaticale però è ambiguo,
“quali sono le cose che”) a molti (altri) già da Esiodo proprio nell’ambito della potendo ἀπεόντων intendersi sia come
neutro, sullo stesso piano di τὰ πόρσω
al v. 22, sia come maschile, con plurale
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

generalizzante e riferimento concreto allo


«straniero» Ischi. - παπταίνει: indica
Per saperne di più un «guardare» con acutezza e forte par-
tecipazione, cfr. Olimpica I 114 μηκέτι
La storia di Coronide πάπταινε πόρσιον. - μεταμώνια: cfr.
La storia di Coronide viene abilmente modellata come paradigma della gnome con- Olimpica XII 6 ψεύδη μεταμώνια.
clusiva centrata sul non cercare le cose lontane (τὰ πόρσω). Coronide ha infatti
24-30 Ἔσχε τοι ... οὔτε βουλαῖς:
ignorato l’ira di Apollo perché non ha atteso la nascita del figlio divino, dopo la «Il volere di Coronide dal bel peplo su-
quale avrebbe potuto sposarsi legittimamente, al canto degli imenei e alla mensa bì dunque questo grande accecamento:
nuziale («the gods were tolerant of human successors», osservava argutamente B.L. infatti, essendo venuto uno straniero
Gildersleeve); la ragazza ha invece ceduto alla passione per lo straniero unendosi (Ischi, cfr. v. 31) dall’Arcadia, ella si con-
a lui all’insaputa del padre, suo legittimo κύριος. Si è ipotizzata in genere una giunse nel letto con lui, ma non sfuggì al
moralizzazione della leggenda in Pindaro rispetto al modello esiodeo, ma i frr. del (suo) custode (Apollo), e appunto a Pito
(Delfi) che accoglie armenti avvenne che
Catalogo (59-60 M.-W.) non permettono deduzioni sicure; comunque sia, la stessa il Lossia sovrano del tempio se ne accor-
opposizione fra «vicino» e «lontano» poteva avere il suo antecedente nel fr. 61 gesse (ἄϊεν, impf. di ἀίω), persuadendo
M.-W. di Esiodo νήπιος ὃς τὰ ἑτοῖμα λιπὼν ἀνέτοιμα διώκει «stolto chi, ab- il suo animo con (παρά: propr. “nell’am-
bandonando ciò che è a portata di mano, insegue cose lontane», citato nello scolio bito di”) la mente confidente (κοινᾶνι =
pindarico a questo passo. κοινῶνι = κοινονῷ) che tutto sa, e non ri-
corre (ἅπτεται, “si attacca”) a menzogne
PINDARO 747
25 καλλιπέπλου λῆμα Κορωνίδος· ἐλθόν-
τος γὰρ εὐνάσθη ξένου
λέκτροισιν ἀπ’ Ἀρκαδίας.
Οὐδ’ ἔλαθε σκοπόν· ἐν δ’ ἄρα μηλοδόκῳ
Πυθῶνι τόσσαις ἄϊεν ναοῦ βασιλεύς
Λοξίας, κοινᾶνι παρ’ εὐθυτάτῳ γνώμαν πιθών,
πάντα ἰσάντι νόῳ·
ψευδέων δ’ οὐχ ἅπτεται, κλέπτει τέ μιν
30 οὐ θεὸς οὐ βροτὸς ἔργοις οὔτε βουλαῖς.

antistrofe II Καὶ τότε γνοὺς Ἴσχυος Εἰλατίδα


ξεινίαν κοίταν ἄθεμίν τε δόλον, πέμ-
ψεν κασιγνήταν μένει

e né dio né uomo lo (μιν = αὐτόν) può


MEMORIA LETTERARIA Apollo, Coronide e il corvo ingannare con atti o pensieri». - λῆμα
Κορωνίδος: «il volere di Coronide»,
In questa sezione Pindaro tratta il mito in modo diverso dalla tradizione di Esiodo, rispetto perifrasi epicizzante, cfr. Olimpica I 88
Οἰνομάου βίαν. - καλλιπέπλου: pos-
al quale lo scarto sembra molto sensibile: infatti in Pindaro il dio apprende ogni cosa gra- sibile neoconiazione che sarà ripresa da
zie alla propria onniscienza (descritta con ricchezza di dettagli in Pitica IX 44 ss.), mentre Euripide, Troiane 338 s. ὦ καλλίπεπλοι
nel Catalogo esiodeo è un corvo ad informare Apollo dell’atto di Coronide (fr. 60 M.-W.): Φρυγῶν/ κόραι. - αὐάταν: forma eolica
τῆμος ἄρ’ ἄγγελος ἦλθε κόραξ ἱερῆς ἀπὸ δαιτὸς (ἀϝάταν) per ἄτην. - ἐλθόντος: note-
Πυθὼ ἐς ἠγαθέην καί ῥ’ ἔφρασεν ἔργ’ ἀΐδηλα vole lo stacco (iperbato) fra ἐλθόντος
e ἀπ᾽ Ἀρκαδίας, a marcare il motivo,
Φοίβῳ ἀκερσεκόμῃ, ὅτι Ἴσχυς γῆμε Κόρωνιν già toccato, del «lontano». - μηλοδόκῳ:
Εἰλατίδης, Φλεγύαο διογνήτοιο θύγατρα «che accoglie armenti» per i sacrifici, da
allora venne araldo il corvo dal sacro banchetto μῆλον + δοκ/δεκ, cfr. δέκομαι/δέχομαι
«accolgo». - τόσσαις = τόσσας, par-
a Pito divina e narrò i fatti nascosti ticipio aor. eolico di un presente inatte-
a Febo dalla chioma intonsa, che Ischi si era unito a Coronide stato, equivalente per il senso a τυχών.
lui, figlio di Elato, con lei figlia di Fligia prole di Zeus. - Λοξίας: epiteto di Apollo in quanto
[Tr. di G. Arrighetti] «ambiguo» nei suoi responsi, cfr. λοξός.
- πιθών: qui col valore transitivo di
Come riferisce uno scolio (52b), proprio per essere stato messaggero sgradito, il corvo πείσας. - ἰσάντι: corrispondente ad att.
– da bianco che era – si vide mutato in nero il piumaggio da Apollo. La leggenda sarà εἰδότι: partic. pres. da un indicativo «do-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


rico» ἴσαμι.
ripresa in età ellenistica da Callimaco, in un frammento di Ecale (fr. 74 Hollis), in un
colloquio fra due pennuti non ben identificati: 31-37 Καὶ τότε ... ὕλαν: «E allora,
δεί]ελος ἀλλ’ ἢ νὺξ ἢ ἔνδιος ἢ ἔσετ’ ἠώς, avendo saputo del letto straniero di Ischi
εὖτε κόραξ, ὃς νῦν γε καὶ ἂν κύκνοισιν ἐρίζοι figlio di Elato e dell’empio inganno, inviò
(πέμψεν = ἔπεμψεν) la sorella (Artemi-
καὶ γάλακι χροιὴν καὶ κύματος ἄκρῳ ἀώτῳ, de) furente (θυίοισαν = θύουσαν) di ardo-
κυάνεον φὴ πίσσαν ἐπὶ πτερὸν οὐλοὸν ἕξει, re irresistibile a Laceria, poiché la ragazza
ἀγγελίης ἐπίχειρα, τά οἵ ποτε Φοῖβος ὀπάσσει, abitava presso le sponde di Bebia (palude
ὁππότε κεν Φλεγύαο Κορωνίδος ἀμφὶ θυγατρός tessala), e un demone avverso, dopo aver-
Ἴσχυϊ πληξίππῳ σπομένης μιερόν τι πύθηται. la condotta (τρέψαις = τρέψας) alla ro-
vina, la (νιν = αὐτήν) fiaccò (ἐδάμασσε
«ma una sera, o una notte, o un meriggio o un’aurora verrà = -μασε, δαμάζω), e molti dei vicini ne
quando il corvo, proprio lui che ora sfiderebbe anche i cigni condivisero la sorte (ἐπαῦρον, aor. II di
e il latte per il suo colore, e la spuma dell’onde, ἐπαυρέω/ ἐπαυρίσκω) e furono annien-
come l’oscura pece avrà l’ala funesta, tati insieme con lei (ἁμᾶ = ἅμα): da un
compenso che a lui Febo per un messaggio darà solo seme (scintilla) il fuoco sul monte bal-
zando (ἐνθορόν [ἐνθρῷσκω]) distrugge
quando sul conto della figlia di Flegia, Coronide, (ἀΐστωσεν, aor. gnomico) una grande
unitasi ad Ischys, sferzator di cavalli, una sporca storia saprà». selva». - ξενίαν κοίταν: «il letto stranie-
[Tr. di G.B. D’Alessio] ro» allude all’unione di Coronide con lo
748 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
θυίοισαν ἀμαιμακέτῳ
ἐς Λακέρειαν, ἐπεὶ παρὰ Βοιβιάδος
κρημνοῖσιν ᾤκει παρθένος· δαίμων δ’ ἕτερος
35 ἐς κακὸν τρέψαις ἐδαμάσσατό νιν, καὶ γειτόνων
πολλοὶ ἐπαῦρον, ἁμᾶ
δ’ ἔφθαρεν· πολλὰν δ’{ἐν} ὄρει πῦρ ἐξ ἑνός
σπέρματος ἐνθορὸν ἀΐστωσεν ὕλαν.

epodo II Ἀλλ’ ἐπεὶ τείχει θέσαν ἐν ξυλίνῳ


σύγγονοι κούραν, σέλας δ’ ἀμφέδραμεν
40 λάβρον Ἀφαίστου, τότ’ ἔειπεν Ἀπόλλων· «Ὀὐκέτι
τλάσομαι ψυχᾷ γένος ἁμὸν ὀλέσσαι
οἰκτροτάτῳ θανάτῳ ματρὸς βαρείᾳ σὺν πάθᾳ».
Ὣς φάτο· βάματι δ’ ἐν πρώτῳ κιχὼν παῖδ’ ἐκ νεκροῦ
ἅρπασε· καιομένα δ’ αὐτῷ διέφαινε πυρά.
45 Καί ῥά νιν Μάγνητι φέρων πόρε Κενταύρῳ διδάξαι
πολυπήμονας ἀνθρώποισιν ἰᾶσθαι νόσους.

strofe III Τοὺς μὲν ὦν, ὅσσοι μόλον αὐτοφύτων


ἑλκέων ξυνάονες, ἢ πολιῷ χαλ-
κῷ μέλη τετρωμένοι

straniero Ischi. - ἀμαιμακέτῳ: l’agget- allora Apollo disse (ἔειπεν = εἶπεν): “Non na nel punto in cui era stata inizialmente an-
tivo deriva da ἀ- intensivo e tema verbale più sopporterò (τλάσομαι = τλήσομαι) con ticipata (vv. 8 ss.), e con trapasso immediato
di μαιμάω «infurio» ma viene spesso sen- l’anima di lasciar perire (ὀλέσσαι = ὀλέσαι) si giunge a un tema, l’apprendimento della
tito dai poeti come equivalente di ἄμαχος. la mia prole di morte miserrima insieme con medicina da parte di Asclepio, anch’esso
- ἕτερος: lett. «altro», con accezione eu- la dura rovina della madre”. Così diceva, e al anticipato nella parte iniziale dell’ode (si
femistica negativa, come in Nemea VIII 3. - primo (cioè, con uno solo) passo raggiunto il confronti πόρε ... διδάξαι con θρέψεν 5).
πολλάν ... ὕλαν: (-λήν ... -λην), con studiata figlio lo strappò (ἅρπασε = ἥρπ-) al cadave- Altri casi di questo «metodo circolare» ri-
collocazione di aggettivo e nome ai margini re, e la pira bruciando divideva per lui la sua corda Bowra, 310 s.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

della frase. fiamma. E allora, presolo (νιν = αὐτόν), lo


Uno scolio (64b) afferma che Coronide mo- affidò (πόρε = ἕπορε), portandolo, al cen- 47-53 Τοὺς μέν ... ἔστασεν ὀρθούς:
rì di peste (λοιμὸς γὰρ ἐγένετο) e cita, a tauro (Chirone) di Magnesia (la Magnesia «Pertanto (ὦν = οὖν) coloro (τούς, dimo-
proposito del coinvolgimento dei conterra- tessala) perché gli insegnasse a guarire agli strativo) che (ὅσσοι = ὅσοι) vennero (μό-
nei, Esiodo, Erga 240 πολλάκι καὶ ξύμπα- uomini i rovinosi morbi». - τείχει … ἐν λον = ἔμολον) affetti da piaghe congenite
σα πόλις κακοῦ ἀνδρὸς ἀπήυρα «spesso ξυλίνῳ: si tratta della pira costruita a forma o feriti nelle membra dal bronzo lucente o
anche un’intera città si trova a soffrire per di muro. - Ἁφαίστου = Ἡφαίστου, cioè da pietra scagliata da lontano o disfatti nel
un uomo malvagio». In effetti il modo con del fuoco, cfr. Archiloco 9, 10 s. εἰ κείνου corpo dal fuoco estivo o dal gelo, li conge-
cui Pindaro descrive la morte di Coronide κεφαλὴν καὶ χαρίεντα μέλεα/ Ἥφαι- dava dopo aver liberato (λύσαις = λύσας)
resta ambiguo (e cfr. anche v. 10, con la στος καθαροῖσιν ἐν εἵμασιν ἀμφεπονή- chi da un morbo e chi da un altro curando
menzione delle «frecce di Artemide»), ben- θη «se intorno al suo capo e alle sue amabili gli uni con blandi incantamenti, ad altri fa-
ché il coinvolgimento dei vicini e l’analogia membra/ in candide vesti Efesto si fosse cendo bere pozioni ristoratrici (προσανέα
con l’espandersi del fuoco nella selva possa- affaticato». - ἁμόν = ἡμέτερον, ma col = προσήνη) o applicando (περάπτων =
no suggerire un tipo di lettura razionalistica valore di ἐμόν. - φάτο = ἔφατο: la ripresa περιάπτων) rimedi (probabilmente un-
sulle linee di quella proposta dello scoliaste. di ἔειπε con φάτο disegna la «cornice» del guenti e bende) da ogni parte alle membra,
discorso diretto di Apollo. - διέφαινε: «di- e altri rimise in piedi (ἔστασεν [= ἔστη-]
38-46 Ἀλλ᾽ ἐπεί ... ἰᾶσθαι νόσους: vise la fiamma», per aprire uno spiraglio che ὀρθούς «pose diritti») grazie al taglio (al-
«Ma quando i parenti deposero (θέσαν = ἔθε- consentisse il passaggio del dio. - διδάξαι: la chirurgia)». - ξυνάονες: lett: «compa-
σαν) sul muro di legno la fanciulla (κούραν inf. con valore consecutivo/finale. gni di», cfr. Esiodo, Teogonia 595 = 601
= κόρην) e vampa violenta di Efesto corse Così, secondo una tecnica narrativa frequen- κακῶν ξυνήονας ἔργων. - αὐτοφύτων:
all’intorno (ἀμφέδραμεν da ἀμφιτρέχω), te in Pindaro, la vicenda di Coronide termi- si tratta di piaghe che vengono definite
PINDARO 749
ἢ χερμάδι τηλεβόλῳ,
50 ἢ θερινῷ πυρὶ περθόμενοι δέμας ἢ
χειμῶνι, λύσαις ἄλλον ἀλλοίων ἀχέων
ἔξαγεν, τοὺς μὲν μαλακαῖς ἐπαοιδαῖς ἀμφέπων,
τοὺς δὲ προσανέα πί-
νοντας, ἢ γυίοις περάπτων πάντοθεν
φάρμακα, τοὺς δὲ τομαῖς ἔστασεν ὀρθούς.

antistrofe III Ἀλλὰ κέρδει καὶ σοφία δέδεται.


55 Ἔτραπεν καὶ κεῖνον ἀγάνορι μισθῷ
χρυσὸς ἐν χερσὶν φανείς
ἄνδρ’ ἐκ θανάτου κομίσαι
ἤδη ἁλωκότα· χερσὶ δ’ ἄρα Κρονίων
ῥίψαις δι’ ἀμφοῖν ἀμπνοὰν στέρνων κάθελεν
ὠκέως, αἴθων δὲ κεραυνὸς ἐνέσκιμψεν μόρον.
Χρὴ τὰ ἐοικότα πὰρ
δαιμόνων μαστευέμεν θναταῖς φρασίν
60 γνόντα τὸ πὰρ ποδός, οἵας εἰμὲν αἴσας.

epodo III Μή, φίλα ψυχά, βίον ἀθάνατον

«congenite» per distinguerle dalle ferite mo». - σοφία: allude alla scienza: la bre- l’opposizione fra ciò che è «vicino», «a porta-
provocate dall’esterno. - θερινῷ πυρί: ve gnome funge da trapasso fra le due se- ta di mano», e ciò che è «lontano», «vietato».
forse, come già intendeva lo scoliaste, si quenze della storia di Asclepio. - χρυσὸς
allude alla febbre, πυρετός. - χειμῶνι: in- ἐν χερσὶν φανείς: l’oro che gli veniva 61-71 Μή, φίλα ψυχά ... θαυμαστὸς
teso dallo scolio come ῥιγοπύρετον, feb- offerto: c’è una quasi-personificazione del πατήρ: «No, anima mia, non ambire a una
bre con brividi. - μαλακαῖς ἐπαοιδαῖς: metallo, posto in primo piano come agen- vita immortale, ma sfrutta le risorse prati-
questo aspetto magico della medicina ar- te principale della vicenda. - ἀγάνορι (= cabili. Ma se ancora il savio Chirone abitas-
caica è documentato in Odissea XIX 457 ἀγήνορι) μισθῷ: cfr. Pitica X 18 ἀγάνορα se il suo antro (cfr. vv. 1-4) e se i nostri
s. ἐπαοιδῇ δ᾽ αἷμα κελαινόν/ ἔσχεθον «e πλοῦτον. - ἁλωκότα = ἑαλωκότα (ἁλί- (ἁμέτεροι = ἡμ-) canti dalla voce di miele a
fermarono il nero sangue col canto magico», σκομαι): ἐκ θανάτου si lega senz’altro a lui (οἱ = αὐτῷ) potessero produrre nell’ani-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


e cfr. Sofocle, Aiace 581 s. - πίνοντας: κομίσαι, non ad ἁλωκότα: l’uso assoluto mo un qualche incantesimo, davvero lo (νιν
«beventi»; con brusca variazione sintattica di ἁλίσκομαι nel senso di «morire» è già = αὐτόν) convincerei anche ora (νυν, for-
viene introdotto un acc. in luogo di un parti- omerico, cfr. Iliade XII 172 πρίν γ᾽ ἠὲ ma enclitica di νῦν) a offrire agli uomini
cipio in nominativo parallelo ad ἀμφέπων. κατακτάμεν ἠὲ ἁλῶναι, Odissea XVIII valenti (ἐσλοῖσι = ἐσθλοῖς) un guaritore
265. L’identità del personaggio è taciuta, dai morbi febbrili (θερμᾶν = -μῶν), o che
54-60 Ἀλλὰ κέρδει ... εἰμὲν αἴσας: e lo scolio 96 enumera una serie di ver- portasse il nome di (κεκλημένον) figlio di
«Ma dal profitto è avvinta (δέδεται, perfet- sioni su figure resuscitate da Asclepio, fra Apollo (Λατοΐδα, ossia Asclepio) o (quello
to stativo) anche la saggezza. L’oro apparso cui quella che compariva in Stesicoro (cfr. di) figlio del padre. E sarei venuto per nave
nelle mani indusse anche lui per un gene- fr. 194), presso il quale si sarebbe trattato solcando il Mare Ionio fino alla fonte Aretu-
roso compenso a risuscitare dalla morte un di Capaneo e Licurgo. - δι᾽ ἀμφοῖν: «su sa presso l’ospite etneo, che governa (νέμει
uomo già defunto; e allora il Cronide (Zeus), entrambi» il fulmine colpisce Asclepio e la usato assolutamente) come sovrano in Si-
scagliando (ῥίψαις = ῥίψας) (il fulmine) figura anonima da lui resuscitata. racusa (Συρακόσσαισι = Συρακούσαις),
con le mani su entrambi, tolse (κάθελεν = La sentenza conclusiva incornicia (insieme mite verso i concittadini, non invidioso dei
καθεῖλεν) rapidamente dai petti il respiro, con la gnome del v. 54) l’ultimo atto della valenti e ammirato come un padre dagli stra-
e il fulmine ardente inflisse (ἐνέσκιμψεν vicenda di Asclepio ma insieme connette nieri». - φίλα ψυχά (= -λη -χή): è proce-
[ἐνσκίμπτω, ἐνσκήπτω]) loro la morte. quest’ultima sequenza mitica con quella re- dimento frequente in Pindaro apostrofare il
Bisogna cercare (μαστευέμεν = μαστεύ- lativa a Coronide, grazie alla omogeneità proprio animo sia a principio sia alla fine
ειν) da parte degli dèi ciò che è adatto alle tematica che le informa (τὸ πὰρ ποδός 60 sia in un punto di transizione del carme:
menti mortali (θναταῖς φρασίν = θνηταῖς richiama ἐπιχώρια 22, μαστευέμεν 59 ri- qui il poeta, rivolgendosi alla propria ψυχά
φρησίν), riconoscendo ciò che è a nostra prende παπταίνει 22), con la sottolineatura e quindi applicando a se stesso la mora-
portata, (cioè) a quale sorte appartenia- dei limiti della condizione umana e quindi con le implicita nella vicenda di Asclepio, si
750 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
σπεῦδε, τὰν δ’ ἔμπρακτον ἄντλει μαχανάν.
Εἰ δὲ σώφρων ἄντρον ἔναι’ ἔτι Χίρων, καί τί οἱ
φίλτρον ἐν θυμῷ μελιγάρυες ὕμνοι
65 ἁμέτεροι τίθεν, ἰατῆρά τοί κέν νιν πίθον
καί νυν ἐσλοῖσι παρασχεῖν ἀνδράσιν θερμᾶν νόσων
ἤ τινα Λατοΐδα κεκλημένον ἢ πατέρος.
Καί κεν ἐν ναυσὶν μόλον ‘Ιονίαν τάμνων θάλασσαν
Ἀρέθοισαν ἐπὶ κράναν παρ’ Αἰτναῖον ξένον,

strofe IV ὃς Συρακόσσαισι νέμει βασιλεύς,


71 πραῢς ἀστοῖς, οὐ φθονέων ἀγαθοῖς, ξεί-
νοις δὲ θαυμαστὸς πατήρ.
Τῷ μὲν διδύμας χάριτας
εἰ κατέβαν ὑγίειαν ἄγων χρυσέαν
κῶμόν τ’ ἀέθλων Πυθίων αἴγλαν στεφάνοις,
τοὺς ἀριστεύων Φερένικος ἕλεν Κίρρᾳ ποτέ,
75 ἀστέρος οὐρανίου
φαμὶ τηλαυγέστερον κείνῳ φάος
ἐξικόμαν κε βαθὺν πόντον περάσαις.

antistrofe IV Ἀλλ’ ἐπεύξασθαι μὲν ἐγὼν ἐθέλω


Ματρί, τὰν κοῦραι παρ’ ἐμὸν πρόθυρον σὺν

prepara la via per tornare all’attualità e al Aretusa, rievocata anche nell’esordio del- Qui termina la sequenza di tipo ipotetico,
proprio rapporto col committente. L’invito la Nemea I. - πραΰς … οὐ φθονέων … tanto più enfatica quanto meno realistica.
è di non aspirare a una vita immortale, co- θαυμαστὸς πατήρ: riecheggiamento del-
me colui che aveva offerto l’oro ad Ascle- la propaganda del regime di Ierone, testo a 77-83 Ἀλλ᾽ ἐπεύξασθαι ... τρέψα-
pio. - ἄντλει: il verbo ἀντλέω denota legittimare il proprio ruolo di tyrannos. ντες ἔξω: «Ma io voglio pregare la Madre,
propriamente l’azione di svuotare l’acqua la dea veneranda che (τάν = τήν, relativo)
della sentina. - ἔμπρακτον μαχανάν: (= 72-76 Τῷ μέν ... περάσαις: «Se fos- presso il mio vestibolo spesso (θαμά) insie-
μηχανήν), «le vie del possibile» (Gentili): si venuto recando a lui (τῷ = αὐτῷ) un me con Pan vergini celebrano di notte con
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

per l’uso del sostantivo, o di suoi derivati, duplice favore, l’aurea salute e un coro, le danze. Ma se tu, o Ierone, sai (ἐπίστᾳ
in relazione all’attività poetica cfr. Nemea gloria (αἴγλαν = -λην «splendore») per = ἐπίστασαι) intendere (συνέμεν [=
VII 22, Istmica IV 2, Peana VIIb, 15-17. - le corone degli agoni pitici che (τούς, re- συνιέναι] μανθάνων, «comprendere ri-
μελιγάρυες (= -γήρυες) ὕμνοι: il nesso lativo) primeggiando Ferenico un giorno conoscendo») il giusto senso (κορυφάν
è quasi formulare in Pindaro, cfr. Olimpica a Cirra vinse (ἕλεν = εἷλεν), sarei venuto [= -φήν], «la cima», «la somma») delle
XI 4 e Istmica II 3, e per μελίγαρυς cfr. (ἐξικόμαν κε = -μην ἄν), io lo dichiaro mie parole precedenti (λόγων ... προτέ-
anche Nemea III s. μελιγαρύων ... κώμων (φαμί = φημί, incidentale), come luce più ρων), allora tu sai (questo): per ciascun
e Peana V 47 σὺν μελιγάρυι ... ὀμφᾷ. - brillante da lontano di un astro nel cielo, bene (ἐσλόν = ἐσθλόν) gli immortali as-
τίθεν: III pl. dell’impf. = ἐτίθεσαν. - κεν varcando (περάσαις = περάσας) il mare segnano (δαίνονται «distribuiscono») ai
… πίθον = ἄν ... ἔπιθον, ma col valore profondo». - ὑγίειαν … χρυσέαν: Pin- mortali due (σύνδυο «due insieme», «una
transitivo normalmente proprio dell’aor. I. daro mostra una speciale predilezione per coppia di») disgrazie. Perciò (ὦν = οὖν)
- πατέρος: sott: υἱόν, «chiamato (κεκλη- l’oro, e «aureo» viene spesso usato da lui non gli stolti ma i valenti le (τὰ μέν, sc.
μένον) figlio del padre (Zeus)» la perifrasi nel senso di «magnifico», «splendido», cfr. τὰ πήματα) sanno sopportare con dignità
indica Apollo, figlio di Zeus, che è padre Olimpica I 41; VIII 51; XI 13; Pitica IV 4 (κόσμῳ, dat. di modo), mettendo in mostra
per antonomasia. - κεν … μόλον = ἄν ... ecc. - κῶμον: il corteo festivo che celebra le cose belle». - Ματρί = Μητρί: la Gran-
ἔμολον: dunque il poeta non è venuto, e la vittoria. - Φερένικος: il destriero prefe- de Madre degli dèi identificata già dal VII
l’ode sembra pertanto appartenere al ge- rito da Ierone: cfr. Olimpica I 18. - Κίρρᾳ: sec. a.C. dai Greci d’Asia minore con la fri-
nere degli ἀποστολικά, «carmi inviati», le corse equestri si svolgevano, per i giochi gia Cibele, a sua volta assimilata nel V sec.
al pari di Pitica II, Istmica II e Nemea III. pitici, nell’ippodromo della piana di Crisa, sia con Rea, specialmente nel culto, sia, nel
- Ἀρέθοισαν = Ἀρέθουσαν, cioè all’iso- presso il borgo di Cirra, al di sotto del diru- mito, con Demetra. - παρ᾽ ἐμὸν πρόθυ-
la siracusana di Ortigia, sede della fonte po del Parnaso dove sorgeva Delfi. ρον: dunque in una zona di Tebe prossi-
PINDARO 751
Πανὶ μέλπονται θαμά
σεμνὰν θεὸν ἐννύχιαι.
80 Εἰ δὲ λόγων συνέμεν κορυφάν, Ἱέρων,
ὀρθὰν ἐπίστᾳ, μανθάνων οἶσθα προτέρων
ἓν παρ’ ἐσλὸν πήματα σύνδυο δαίονται βροτοῖς
ἀθάνατοι. Τὰ μὲν ὦν
οὐ δύνανται νήπιοι κόσμῳ φέρειν,
ἀλλ’ ἀγαθοί, τὰ καλὰ τρέψαντες ἔξω.

epodo IV Τὶν δὲ μοῖρ’ εὐδαιμονίας ἕπεται.

ma alla casa del poeta. - σὺν Πανί: il dio κοῦραι: ninfe o Cariti, come nel citato fr. propiziazione della Madre; la notizia dello
arcadico che funge da paredro della Grande 95, o comunque figure del corteggio di Pan, scolio 137b secondo cui Pindaro, dopo aver
Madre e quindi è con lei oggetto di culto. - qui viste impegnate in un’azione cultuale di visto in sogno la Grande Madre, avrebbe
edificato un tempietto in onore di lei e di
Pan, e parimenti l’ipotesi che identificava
queste κοῦραι, in alternativa alle ninfe, con
Per saperne di più le figlie del poeta Protomaca ed Eumetide,
fanno parte della «leggenda» pindarica. - τὰ
καλὰ τρέψαντες ἔξω: lett.: «volgendo
Le nozze di Peleo e di Teti in Pindaro e la sorte della verso l’esterno»; forse l’immagine è tratta
figlia di Cadmo dai mantelli, che possono essere «rovescia-
ti» quando una faccia comincia a sporcarsi.
Una rievocazione rituale probabilmente connessa alle nozze di Peleo e di Teti era nel In questa antistrofe l’ἀλλά iniziale segna un
*Peana XV, il cui esordio [vv. 1-8] può essere così ricostruito: forte stacco fra tutta la sezione precedente e
Τῷδ’ ἐν ἄματι τερπνῷ In questo giorno gioioso la nuova sezione, dedicata non più a ipote-
ἵπποι μὲν ἀθάναται le cavalle immortali si irrealizzabili ma a un desiderio possibile:
cfr. ἐπεύξασθαι ... ἐθέλω 77 con ἤθελον
Ποσειδᾶνος ἄγοντ’ Αἰακ[ίδα Θέτιν, di Posidone conducono al figlio ... κε ... εὔξασθαι 1 s. Inoltre, insisten-
édi Eaco Teti, do sulla propria intenzione di celebrare un
Νηρεὺς δ’ ὁ γέρων ἕπετα[ι· e segue il vecchio Nereo; culto tebano in onore di Cibele e Pan (pre-
πατὴρ δὲ Κρονίων μολ[οῦσιν e il padre Cronide, sumibilmente componendo un carme che
accompagnasse l’esecuzione delle danze
πρὸς ὄμμα βαλὼν χερὶ [δείκνυσιν lanciando il suo sguardo a coloro che
orgiastiche destinate a propiziare la guari-
[arrivano, gione di Ierone) anziché varcare il mare per
τράπεζαν θεῶν ἐπ’ ἀμβ[ροσίαν indica loro la mensa immortale degli venire a Siracusa, Pindaro recupera il moti-
[dèi … vo dell’opposizione fra vicino (accessibile)
e lontano (irrealizzabile), e a questa tematica
La sorte delle figlie di Cadmo, connessa al tema dell’alternanza delle fortune umane, viene associata una considerazione pessimi-

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


stica sulla condizione umana (nel cui ambi-
è toccato da Pindaro in Olimpica II 22-34:
to ogni bene «costa» due mali) che tuttavia
Il motto si addice alle figlie gli ἀγαθοί, qual è Ierone, sanno sopportare
di Cadmo dai bei troni, che molto soffrirono: tollerando con dignità la sventura e apprez-
greve pena sprofonda zando i lati positivi dell’esistenza.
se il bene soverchia.
Vive fra gli Olimpii Semele dalla lunga chioma, 84-92 Τὶν δὲ μοῖρ(α) ... κλυτάν: «Ma
schiantata da boato di folgore: l’amano una sorte di felicità ti (τίν = σοι) accompa-
gna: infatti il grande destino ha negli occhi,
Pallade sempre
se mai altri fra gli uomini, il sovrano che gui-
e Zeus, e più l’ama il figlio coronato d’edera. da il popolo. Una vita senza scosse non ci fu
E dicono che fra gli abissi (ἔγεντο = ἐγένετο) né per Peleo figlio di
con le marine figlie di Nereo esistenza perenne Eaco né per il divino Cadmo: di loro si dice
fu sancita senza termine a Ino. che ottennero fra i mortali la più alta pro-
Frontiera di morte sperità, essi che udirono le Muse dall’aureo
non traluce ai mortali diadema cantare sul monte e a Tebe dalle
né sappiamo quando placido dì figlio del sole sette porte quando sposarono (l’uno) Armo-
chiuderemo con immacolata fortuna: nia (figlia di Ares e di Afrodite) dagli occhi
di giovenca e l’altro Teti, la figlia illustre
flussi alterni di gioia,
del saggio Nereo». - μοῖρ᾽ εὐδαιμονίας:
di sofferenza lambiscono l’uomo. con riferimento all’ἓν ἐσλόν del v. 82.
752 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
85 Λαγέταν γάρ τοι τύραννον δέρκεται,
εἴ τιν’ ἀνθρώπων, ὁ μέγας πότμος. Αἰὼν δ’ ἀσφαλής
οὐκ ἔγεντ’ οὔτ’ Αἰακίδᾳ παρὰ Πηλεῖ
οὔτε παρ’ ἀντιθέῳ Κάδμῳ· λέγονται {γε} μὰν βροτῶν
ὄλβον ὑπέρτατον οἳ σχεῖν, οἵτε καὶ χρυσαμπύκων
90 μελπομενᾶν ἐν ὄρει Μοισᾶν καὶ ἐν ἑπταπύλοις
ἄϊον Θήβαις, ὁπόθ’ Ἀρμονίαν γᾶμεν βοῶπιν,
ὁ δὲ Νηρέος εὐβούλου Θέτιν παῖδα κλυτάν,

strofe V καὶ θεοὶ δαίσαντο παρ’ ἀμφοτέροις,


καὶ Κρόνου παῖδας βασιλῆας ἴδον χρυ-
95 σέαις ἐν ἕδραις, ἕδνα τε
δέξαντο· Διὸς δὲ χάριν
ἐκ προτέρων μεταμειψάμενοι καμάτων
ἔστασαν ὀρθὰν καρδίαν. Ἐν δ’ αὖτε χρόνῳ
τὸν μὲν ὀξείαισι θύγατρες ἐρήμωσαν πάθαις
εὐφροσύνας μέρος αἱ
τρεῖς· ἀτὰρ λευκωλένῳ γε Ζεὺς πατήρ
ἤλυθεν ἐς λέχος ἱμερτὸν Θυώνᾳ.

antistrofe V Τοῦ δὲ παῖς, ὅνπερ μόνον ἀθανάτα


101 τίκτεν ἐν Φθίᾳ Θέτις, ἐν πολέμῳ τό-
ξοις ἀπὸ ψυχὰν λιπών
ὦρσεν πυρὶ καιόμενος

- Λαγέταν: da λαός e ἄγω, è parola ra- nia 916 Μοῦσαι χρυσάμπυκες. - ἐν ὄρει: smo implicito con l’ἔστασε ὀρθούς del v.
ra, usata altrove da Pindaro per fondato- si tratta del monte Pelio in Tessaglia, sede 53, che qualificava le cure somministrate
ri mitici di città o di dinastie – Olimpica delle nozze di Peleo con Teti. - γᾶμεν = da Asclepio. - ἐρήμωσαν: «resero solo», il
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

I 89; Pitica IV 107 e X 31 – ma attestata ἔγημεν: sulle nozze fra Cadmo e Armonia, verbo è costruito col doppio accusativo, co-
già in miceneo nella forma rawaketa: «si cfr. Ditirambo II 27 ss. - βοῶπιν: epiteto me ἀφαιρέομαι. - Θυώνᾳ: nome rituale di
direbbe che il poeta innalzi a dignità eroi- tradizionale di Hera. Semele, madre di Dioniso, la quarta figlia
ca Ierone, che con la fondazione di Etna di Cadmo, connesso con θύω «infurio»,
avrebbe ottenuto per il figlio un regno (cfr. 93-99 καὶ θεοὶ ... Θυώνᾳ: «E gli dèi dunque la Baccante.
Pitica I 60) e per sé gli onori di un eroe» banchettarono presso entrambi, ed essi vi-
(B. Gentili). - τύραννον: il termine, usato dero (ἴδον = εἶδον) i sovrani figli di Crono 100-107 Τοῦ δὲ παῖς ... ἕπηται: «Il
da Pindaro solo qui e probabilmente in fr. (Zeus, Posidone, ecc.) sui seggi d’oro e ne figlio (Achille) dell’altro, quello che unico
169, 35 ]τυρανν[, è evidentemente privo di ricevettero i doni nuziali; e grazie (χάριν, aveva partorito a Ftia Teti immortale, aven-
connotazioni negative, come spesso anche con funzione di preposizione causale) a do lasciato (ἀπό ... λιπών, tmesi) la vita
nella tragedia. - εἴ τιν᾽ ἀνθρώπων: tipica Zeus dopo essere sfuggiti ai precedenti tra- (ψυχάν = -χήν) in guerra per le frecce (di
formula encomiastica: cfr. ad es. Bacchili- vagli risollevarono il cuore. Poi però, col tem- Paride), suscitò il cordoglio dei Danai arso
de 5, 4 s. τῶν γε νῦν/ αἴ τις ἐπιχθονίων po, l’uno (Cadmo) le tre figlie (Ino, Agave, dal rogo. Ma se un mortale possiede con la
«se mai qualcun altro fra gli uomini di og- Autonoe) lo privarono per acute sventure sua mente la via della verità, deve godere
gi ». - Κάδμῳ: il fondatore di Tebe: Pe- di una parte di letizia, ma Zeus padre venne della sua fortuna quando ha successo per
leo a Cadmo sono citati in coppia anche in (ἤλυθεν = ἦλθεν) al letto amabile di Tiona volere degli dèi. Ma i soffi dei venti che vo-
Olimpica II 78 Πηλεύς τε καὶ Κάδμος ἐν dalle candide braccia». - ἐκ προτέρων … lano in alto (spirano) con alterne direzioni.
τοῖσιν (fra coloro che abitano le Isole dei καμάτων: fa riferimento, in particolare, La prosperità degli uomini non dura a lungo,
Beati) ἀλέγονται. - χρυσαμπύκων … al fatto che sia Cadmo che Peleo patirono (almeno) quella che ci accompagni col suo
Μοισᾶν: «le Muse dall’aureo diadema», l’esilio. - ἔστασαν ὀρθάν = ἔστησαν pieno peso abbondante (πολύς) e con corso
espressione già presente in Esiodo, Teogo- ὀρθήν, «posero diritto»: c’è un paralleli- propizio (εὖ)». - Τοῦ δέ: in antitesi a τὸν
PINDARO 753
ἐκ Δαναῶν γόον. Εἰ δὲ νόῳ τις ἔχει
θνατῶν ἀλαθείας ὁδόν, χρὴ πρὸς μακάρων
τυγχάνοντ’ εὖ πασχέμεν. Ἄλλοτε δ’ ἀλλοῖαι πνοαί
105 ὑψιπετᾶν ἀνέμων.
Ὄλβος {δ’} οὐκ ἐς μακρὸν ἀνδρῶν ἔρχεται
ὃς πολὺς εὖ τ’ ἂν ἐπιβρίσαις ἕπηται.

epodo V Σμικρὸς ἐν σμικροῖς, μέγας ἐν μεγάλοις


ἔσσομαι, τὸν δ’ ἀμφέποντ’ αἰεὶ φρασίν
δαίμον’ ἀσκήσω κατ’ ἐμὰν θεραπεύων μαχανάν.
110 Εἰ δέ μοι πλοῦτον θεὸς ἁβρὸν ὀρέξαι,
ἐλπίδ’ ἔχω κλέος εὑρέσθαι κεν ὑψηλὸν πρόσω.
Νέστορα καὶ Λύκιον Σαρπηδόν’, ἀνθρώπων φάτις,
ἐξ ἐπέων κελαδεννῶν, τέκτονες οἷα σοφοί
ἅρμοσαν, γινώσκομεν· ἁ δ’ ἀρετὰ κλειναῖς ἀοιδαῖς
115 χρονία τελέθει· παύροις δὲ πράξασθ’ εὐμαρές.

μέν del v. 97. - τυγχάνοντ’(α): acc. ma- ἐπιβρίσαις = -σας (ἐπιβρίθω) «cadendo χανάν. - ἁβρόν: per questa accezione cfr.
schile riferito a τινά ricavabile dal τίς di v. pesantemente»: probabilmente nella scelta Istmica 1, 50 κῦδος ἁβρόν. - εὑρέσθαι
103; per τυγχάνω col valore di εὐτυχέω del verbo ha giocato l’intenzione di prose- κεν (= ἄν), apodosi del periodo ipotetico
cfr. Nemea VII 11 εἰ δὲ τύχῃ τις ἔρδων guire la metafora del vento, cfr. Teofrasto, della possibilità. - πρόσω: è ripreso, ma
e 55. - πρὸς μακάρων … εὖ πασχέμεν de ventis 34, Quinto Smirneo ΙΙΙ 225 s. con segno positivo, il motivo toccato al v.
= εὖ πάσχειν: la sentenza rielabora spun- 22 con παπταίνει τὰ πρόσω. - φάτις:
ti già affacciatisi nell’ode – cfr. vv. 59 s. 107-115 Σμικρός ... εὐμαρές: «Sarò «figure mitiche» (Pontani); φάτῑς è acc.
e 82 s. – sull’opportunità di sfruttare le (ἔσσομαι = ἔσομαι) piccolo (umile) nel pl. - κελαδεννῶν: epiteto delle Cariti
occasioni e le fortune a portata di mano. piccolo (quando le mie fortune sono mo- in Pitica IX 89. - ἅρμοσαν = ἥρμοσαν
- ὑψιπετᾶν = -τῶν: Pindaro trasferisce deste), grande nel grande e onorerò il de- (ἁρμόζω «adatto», «connetto»): la poesia
ai venti un epiteto che ricorre altrove per mone che mi protegge ogni volta nell’animo si configura come «messa in ordine», di-
l’aquila, cfr. Iliade XII 201 αἰετὸς ὑψι- servendolo secondo le mie risorse. Ma se un sposizione delle parti, e, impiegando il ter-
πέτης e Sofocle, fr. 476, 1 Radt γενοίμαν dio mi porgesse fastosa ricchezza, spero di mine τέκτων già usato al v. 6 a proposito
αἰετὸς ὑψιπέτας. La metafora dei venti, trovare gloria eccelsa in futuro. Conosciamo di Asclepio e della sua arte medica, Pin-
per sottolineare l’instabilità della condi- Nestore e il licio Sarpedone, nomi famosi daro istituisce un implicito confronto fra
zione umana, è ricorrente in Pindaro: cfr. fra gli uomini, grazie ai versi melodiosi che medicina e poesia (per τέκτων in ambito
ad es. Olimpica VII 94 s. ἐν δὲ μιᾷ μοίρᾳ artefici esperti composero, ché la virtù du- di mousiké cfr. Nemea III 4 s. μελιγαρύων

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


χρόνου/ ἄλλοτ᾽ ἀλλοῖαι διαιθύσσοισιν ra a lungo (χρονία, predicativo) grazie ai τέκτονες/ ὕμνων e Cratino, fr. 70, 2 K.-
αὖραι «in una stessa porzione di tempo/ canti illustri, ma a pochi è facile meritarse- A. τέκτονες εὐπαλάμων ὕμνων), capace
spirano in un senso e in un altro venti diver- li». - σμικροῖς … μεγάλοις: sono neutri quest’ultima, a differenza dell’altra, di as-
si», Nemea VII 17 s. σοφοὶ δὲ μέλλοντα piuttosto che maschili. - κατ᾽ ἐμάν … sicurare l’unico tipo di immortalità conces-
τριταῖον ἄνεμον / ἔμαθον «gli esperti μαχανάν: è ripreso il motivo, e il termine, so agli uomini. - κλειναῖς: ha sfumatura
conoscono il vento tre giorni prima». - del v. 62 τὰν δ᾽ ἔμπρακτον ἄντλει μα- causativa: «che rendono illustri».

Analisi del testo


Una sicura geometria organizza queste sequenze: un anello (defi- dizione umana nel quadro di una serie di opposizioni fra «vicino»
nito dalle ipotesi irrealizzabili che Chirone sia vivo e che Pindaro e «lontano», «accessibile» e «impraticabile», ma col significativo
possa portare a Ierone la salute) blocca la vicende di Coronide e di paradosso per cui, in relazione a Coronide, il polo del «lontano» si
Asclepio secondo un ordine chiastico per cui esse vengono dappri- identifica con l’umano e quello del «vicino» con la divinità.
ma sommariamente anticipate con pochi tratti allusivi (vv. 5-7 e La rievocazione della vicenda di Coronide, che indulge all’unione
8-11) e poi più distesamente narrate in ordine inverso (vv. 12-37: con uno straniero, provoca il disdegno verso quella stolta specie di
Coronide; vv. 38-58: Asclepio). Gli inserti didattici si correlano re- individui che disprezzano le cose dalla loro terra per guardare a ciò
ciprocamente nel senso di una sottolineatura dei limiti della con- che è lontano, «andando in caccia di vane ambizioni spinti da illu-
754 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

sioni irrealizzabili» (v. 23); analogamente, la pretesa di Asclepio di 114) dai poeti, valgono ben più – in quanto datori di immortalità
resuscitare i morti suggerisce la massima per cui dobbiamo cercare – dei mezzi propri della medicina (e anche qui il contrasto è sot-
ciò che è πὰρ ποδός, consapevoli del nostro destino di uomini (vv. tolineato dal ricorrere di una parola-chiave, τέκτων «artigiano»).
59 s.). Si tratta di un omogeneo complesso tematico che permette Una posizione, quella di Pindaro, che lo pone sulla linea della sag-
a Pindaro di annodare la parte mitica al successivo encomio con- gezza delfica del «conosci te stesso (i tuoi limiti)», cfr. in partico-
solatorio, al cui interno risuonano accenti analoghi: ogni bene è lare v. 60 γνόντα τὸ πὰρ ποδός, οἵας εἰμὲν αἴσας: di qui egli
compensato da due mali (v. 81); occorre sfruttare e ostentare solo deriva il sostanziale rifiuto di una via razionalistica nell’impostare
τὰ καλά (v. 83), perché la fortuna, quanto più è prospera, tanto il tema della condizione umana. Un’amplificazione della gnomica
meno è duratura (v. 106). E la morale indirizzata al committente tradizione piuttosto che un autentico interesse verso la pratica me-
viene applicata dal poeta anche a se stesso: egli sfrutterà fino in dica (della quale tuttavia i vv. 47 ss. offrono un suggestivo quadro
fondo i propri mezzi (si osservi il ricorrere di μαχανά al v. 62 e al v. documentario) nel momento in cui essa già tendeva ad affrancarsi
109), ma tali mezzi, le parole melodiose strutturate (cfr. ἅρμοσαν dalla magia e dalla superstizione.

T. 5 Nemea III L’ode, composta in onore del giovane pancratiaste Aristoclide dell’isola di Egina, si
(1-19) apre con la preghiera alla Musa perché si rechi a Egina, nella patria del vincitore, dove
– nella piazza detta «dei Mirmidoni», a ricordo dei più antichi colonizzatori dell’isola
– i giovani egineti che compongono il κῶμος, che proprio ora hanno cominciato a
intonare il canto, sono in attesa della sua voce presso la fontana Asopide («presso
l’acqua/ dell’Asopo ti aspettano giovinetti artefici/ di dolci canzoni trionfali»).
Come nel partenio di Alcmane per Astimelusa, il carme presente è immaginato come
un dono che i coreuti ancora agognano di ricevere dalla Musa: rispetto a questo rap-
porto Musa/coreuti il poeta si configura come un mediatore, in quanto la dea è sup-
plicata di accordare copia di canto tramite l’arte del poeta («tu offrine copioso dalla
mia arte»). Inoltre, precisamente come nel caso dell’Olimpica VI, ciò che propria-
mente alla Musa viene chiesto è di dare avvio («intona» ἄρχε 10) non a un epinicio,
ma a un inno per una divinità, in questo caso Zeus (il «re del nubilo cielo»): sarà poi
compito del poeta «combinare» (κοινάσομαι 12) questo inno alle voci delicate dei
coreuti («delicate» perché si tratta di un gruppo costituito da adolescenti) e alla lira
che le deve accompagnare (e di fatto già le sta accompagnando).

strofe I O Musa veneranda, madre nostra, ti supplico,


nel giorno sacro della festa nemea vieni
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

all’isola dorica di Egina ospitale: presso l’acqua


dell’Asopo ti aspettano giovinetti artefici
5 di dolci canzoni trionfali, che desiderano la tua voce.
Ha sete una cosa di un’altra
e la vittoria agonale ama in sommo grado il canto,
di serti e di successi il compagno più propizio.

antistrofe I E tu offrine copioso dalla mia arte


10 e intona, figlia, al re del nubilo cielo
l’inno dovuto: io alle loro tenere voci
e alla cetra lo combinerò, e grata fatica
avrà l’onore di questa contrada dove per primi i Mirmidoni
abitarono, di cui la piazza illustre
15 non d’infamia Aristoclide
macchiò in grazia tua, fiaccato nel vigoroso
PINDARO 755
epodo I cimento del pancrazio: dei colpi spossanti
un farmaco salutare nella piana profonda di Nemea
l’inno per la vittoria arreca.

Analisi del testo


Analogamente a quanto osservato nell’Olimpica VI, anche qui un del «desiderio» e del «ritardo»: il canto presente viene infatti pro-
ordine non eseguito (l’inno a Zeus) viene incorporato in una fan- spettato come un messaggio agognato (vv. 5 s.) e a lungo riman-
tasia che fa entrare in gioco come sorgente del canto una figura dato (ὀψέ per «anche se tardi» si dirà al v. 80), analogamente a
divina (la Musa) omologa alle ninfe «acquoree», Tebe e Metopa. come, nell’Olimpica X, l’ode si configura come un «profondo debi-
Il riferimento all’esaltazione della vittoria è proposto con to» (v. 8) di cui il poeta si era a lungo «dimenticato».
un’espressione («dei colpi spossanti/ un farmaco salutare nel- Dunque l’attenzione dell’uditorio viene attratta fondamental-
la piana profonda di Nemea/ l’inno per la vittoria arreca») che mente, nell’esordio della Nemea III, su un poeta che festeggia
rimanda non alla performance che si sta svolgendo a Egina, un vincitore, ma su altre facce del prisma letterario costruito da
patria del vincitore, ma sposta la rappresentazione sul luogo Pindaro si disegnano per brevi tratti allusivi ulteriori momenti
della vittoria (Nemea), da dove si dipana la narrazione centrale celebrativi: un inno a Zeus annunciato ma non sviluppato; l’inno
dell’epinicio. Questa narrazione è a sua volta preannunciata dal a Eracle attribuito ad Archiloco e intonato a Nemea in contrap-
termine τὸ καλλίνικον «la bella vittoria», che allude alla tripli- posizione a un asse temporale in cui il poeta ha già composto il
ce acclamazione tradizionale in onore di Eracle attribuita ad Ar- suo canto e i coreuti lo stanno eseguendo ad Egina; un’invoca-
chiloco (quel καλλίνικον che Pindaro menziona come «il canto zione alla Musa idealmente intermedia fra il momento nemeo e
di Archiloco» a principio della Olimpica IX), che veniva cantata il momento presente; un κῶμος che nello scenario nemeo agi-
tre volte alla sera nel giorno e sul luogo della vittoria dagli amici va da improvvisato corteo di baldoria e nella piazza eginetica
del vincitore. L’allusione al καλλίνικον costituisce appunto il dei Mirmidoni si è trasformato in gruppo vocale organizzato e
preludio al racconto del mito incentrato sulla figura di Eracle. competente (come tale costituito da τέκτονες «artigiani», v.
Questa opposizione fra poesia elegantemente e professionalmente 4): piani e motivi aggregati in un insieme che schiaccia le pro-
elaborata e il refrain tradizionale e indifferenziato in onore di Era- spettive del «tempo cantato» (un tempo articolato in fasi e spazi
cle e Iolao viene sottolineata da Pindaro anche attraverso i motivi distinti) nel breve flusso compatto del «tempo del canto».

Dossier

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


Uno sguardo nel mondo dell’aldilà
S u una linea di ansiosa considerazione dell’uomo e della storia si spiega l’interes-
se di Pindaro per la sorte degli individui nell’oltretomba quale si manifesta nella
Olimpica II (per Terone di Agrigento) e nel fr. 129 Maehler (da un thrênos): una vi-
sione escatologica che nella rappresentazione della vita post mortem dei beati come
perfezionamento idillico della condizione terrena appare in sintonia con lo stile e le
occupazioni consuete dell’aristocrazia. Tuttavia, nella ripartizione (nella Olimpica II)
di coloro che si sono macchiati di colpe fra chi viene subito e implacabilmente punito
e chi deve percorrere una lunga serie di trasmigrazioni prima di giungere alle isole dei
Beati tale visione non è comprensibile, anche se non si vuol parlare semplicisticamen-
te di credenze «orfiche», senza «una sovrapposizione di credenze tradizionali relative
all’umanità eroica (dannati e beati mitici) e concezioni etico-soteriologiche a sfondo
individuale, pullulanti e ancora in gestazione durante l’età arcaica» (L. Lehnus):
756 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
Olimpica II 56-74
55 (la ricchezza) è astro fulgente, bagliore veridico
se chi la possiede conosce il futuro
e sa che dei morti
le anime inette subito qui
pagano ammenda, ma che le colpe commesse
in questo regno di Zeus una dea sotterra giudica
60 additando sentenza con rigore spietato…

strofe IV Fruendo del sole per notti,


per giorni uguali hanno gli onesti
un vivere ignaro di pene, non turbano
il suolo con forza di braccia
né l’acqua del mare
65 per misero vitto, ma fra numi
venerandi chi serbò fedeltà ai giuramenti
illacrimata esistenza
trascorre. Portano gli altri terribile fardello.

antistrofe IV E quanti, sostando tre volte


e di qua e di là, sgombra da colpe tennero l’anima
sempre percorrono la strada di Zeus
70 fino alla città turrita di Crono: ove brezze
d’Oceano alitano
intorno all’isola dei Beati e fiori d’oro scintillano,
quali al suolo da piante rigogliose
e quali nutriti dall’acqua,
onde bracciali si allacciano i polsi e ghirlande sul capo.

Fr. 129, 1-10 Maehler


A loro splende la forza del sole
laggiù, e qui è la notte,
in prati purpurei di rose davanti alla loro città
e degli alberi ombrosi d’incenso...
5 e di piante dai frutti d’oro è carica la terra;
chi nei cavalli chi nei ginnasi,
chi invece nei dadi
e chi nella cetra trova piacere, e presso di loro
rigogliosa fiorisce ogni felicità:
un profumo per il luogo amabile si spande
DOSSIER

mentre fausti sacrifici d’ogni sorta affidano al fuoco che


10 da lungi risplende sugli altari degli dei…
[Tr. di R. Sevieri]
BACCHILIDE 757

Bacchilide
T. 1 Epinicio V, Meleagro narra la celebre vicenda della caccia al cinghiale calidonio a Eracle, che
vv. 124-162 lo ha incontrato, nella sua discesa nell’Ade. Dopo la conquista del cinghiale che
infestava la sua patria Calidone, Meleagro aveva ucciso involontariamente, nel
corso della contesa con i Cureti per il possesso delle spoglie dell’animale, due
fratelli di sua madre Altea; allora costei, per vendicarsi, getta nel fuoco il tizzone
a cui è legata la vita del figlio.

«... per la pelle


125 fulva ci battevamo
coi Cureti tenaci.
Fu quello il punto che, con altri di mia mano,
Ificlo uccisi
ed Afarete nobile,
130 zii materni: non scerne, nella mischia,
l’amico il dio spietato,
ché strali ciechi,
su vite nemiche
dalle mani girando, la morte
135 dànno a coloro che designa il dèmone.
antistrofe IV A questo non pensò l’altera figlia
di Tèstio. Madre sciagurata, a me
quell’impavida donna
la morte meditò; con una lacrima
140 trasse dall’arca bella
il tizzone fugace
e lo bruciò – misura della vita mia,
quale la Parca

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


fissata aveva un giorno.
145 Io stavo allora depredando Clímeno,
prode figlio di Dàipilo:
avevo còlto
quel perfetto corpo
là dinanzi alle torri; i nemici
150 verso Pleurone antica e salda, in fuga.
epodo IV Scemò la vita dolce,
lo svenire conobbi delle forze,
ahi! Nell’estremo fiato,
misero lacrimai su l’età splendida
155 che perdevo oramai». Molle si fece
l’occhio, allora
come non mai, dello spavaldo figlio
758 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
d’Amfitrione1, della misera creatura
pietà lo strinse, e disse: «Non esistere:
160 è ben questa per l’uomo la ventura
delle venture, non vedere
strofe V il sole...».
[Tr. di F.M. Pontani]

1. Lo spavaldo figlio di Amfitrione: si tratta di Eracle.

Analisi del testo


La narrazione procede in modo piuttosto sintetico ma senza b) sottolineature patetiche: Altea è sciagurata (κακόποτμος)
scarti e sbalzi di ritmo, completando con ordine le varie tappe e impavida (ἀτάρβακτος) nell’estrarre il tizzone ma lo fa, ad
della storia. Il motivo del tizzone, elemento magico che costitu- un tempo, «con una lacrima» (ἐγκλαύσασα); Meleagro, sen-
isce il nucleo della saga di Meleagro, viene connesso agli eventi tendosi venir meno le forze, trova anch’egli il tempo, all’ultimo
che si svolgono a Pleurone sottolineando con τυχών del v. 144 istante (πύματον), per piangere (δάκρυσα 153) la perdita
il sincronismo fra la situazione bellica affrontata dall’eroe e uno della «splendida giovinezza».
scemare della vita che si compie da lontano, provocato dal ge-
sto della madre Altea. I personaggi sono quasi sempre introdotti D’altra parte, sull’esempio di Simonide (lo abbiamo visto per
con un epiteto di tipo formulare, generalmente convenzionale (i il brano su Danae e Perseo), questo patetismo non scade in
Cureti tenaci, il nobile Afarete, gli impetuosi zii materni, il prode banale effusione sentimentale perché viene riscattato dal pia-
Climeno) e neppure si coglie quel lavoro di cesello che abbiamo cere della forma: l’arca che custodisce il tizzone viene definita
ammirato in Stesicoro con la similitudine del papavero nella rap- con un epiteto, δαιδάλεος, tanto estetizzante quanto legato
presentazione della fine di Gerione (fr. S15 col. II, vedi p. 000). proprio alla memoria della cassa simonidea che chiude Danae
Bacchilide opta per ritmi e stilemi destinati, insieme con scelte e il figlioletto (cfr. δαιδαλέας / ἐκ λάρνακος di vv. 140 s.
lessicali fortemente epicheggianti o comunque tradizionali, ad con Simonide 543, 1-2 PMG λάρνακι / ἐν δαιδαλέᾳ), mentre
assecondare l’orecchio e le attese dell’uditorio, creando un fon- il carattere magico del momento culminante del dramma – il
do omogeneo, se non monotono, su cui far emergere notazioni repentino venir meno delle forze – è reso con una frase nomi-
e increspature di due ordini: nale che sospende le scansioni dei tempi verbali per isolare un
breve spazio di sopravvivenza (v. 151 μίνυνθα δέ μοι ψυχὰ
a) notazioni pittoriche, che fissano l’istantanea di un personag- γλυκεῖα, lett. «per breve tempo a me la vita dolce») e forse
gio o di un evento secondo un gusto che ricerca l’efficacia gra- anche per suscitare, con μίνυνθα, un’altra memoria letteraria,
fica del singolo dettaglio: Altea che trae dall’arca il tizzone; Me- il μίνυνθα δὲ γίγνεται ἥβης / καρπός («e per breve tempo
leagro che spoglia il corpo perfetto di Climeno dinanzi alle torri; dura il frutto di giovinezza») di Mimnermo 2, 7 s. West.
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

T. 2 Epinicio III, Con non diversa maniera artistica rispetto al precedente racconto di Meleagro,
vv. 23-62 Bacchilide si cimenta anche nel suo più audace esperimento narrativo, la sce-
neggiatura di una vicenda legata a personaggi storicamente esistiti, con la rie-
vocazione del miracoloso salvataggio del re di Lidia Creso, insieme con la sposa
e le figlie, dal rogo su cui stava per ardere dopo la conquista di Sardi ad opera
di Ciro:

epodo II Quando, di Zeus compiendosi


25 i disegni fatali, Sardi fu
alla balìa dei Persi,
al re dei Lidi
BACCHILIDE 759
che i cavalli domano,
a Creso, un dio la vita conservò:

strofe III Apollo d’armi d’oro.


30 Volle schivare, il deprecato giorno,
schiavitù lacrimosa, alto levando un rogo
dinanzi alle ferrigne mura della corte.

antistrofe III Vi salì con la sposa


nobile, con le figlie trecciolute,
35 che facevano un gran pianto dirotto. Al cielo
altissimo le mani sollevò, dicendo:

epodo III «Demone che prevarichi,


divina gratitudine dov’è?
E il figliolo di Leto?
Crolla oramai
40 questa casa d’Aliatte,
né d’infiniti doni v’è mercè,

strofe IV ché distruggono i Medi


la città, si fa rosso, nei suoi gorghi
45 d’oro, il Pattolo e a forza sono tratte via
le donne indegnamente dalle stanze splendide.

antistrofe IV Ciò che fu odioso, l’amo:


sarà la morte la più dolce cosa».
Disse, e a un morbido paggio impose di dar esca
50 alla struttura lignea. Le fanciulle urlarono,

epodo IV alla madre le mani

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


tendevano: la morte che si vede
è la più detestata.
Già guizzava
55 il barbaglio orrendo: spense
la bionda fiamma Zeus con nembi neri.

strofe V Nulla v’è d’incredibile


nelle divine cure: il dio di Delo
portò quel vecchio agl’Iperborei, con le figlie
60 di caviglie sottili e lì, per la pietà,

antistrofe V gli diede stanza: a Pito


sacra i più grandi doni aveva offerti.
[Tr. di F.M. Pontani]
760 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

Analisi del testo


Anche in questa rappresentazione della caduta di Sardi che che pur viene detto «orrendo» perde all’istante tutta la sua ter-
diverse ma non meno intense risonanze susciterà nelle Storie ribilità trasformandosi in «bionda fiamma» sotto l’azione della
di Erodoto (vedi p. 000), l’immagine si blocca in gesti signifi- «nube ammantata di nero» inviata da Zeus, mentre le stanze
canti (l’ascesa al rogo; le mani levate di Creso verso Apollo e da cui le donne sono trascinate via «indegnamente» vengono
le mani levate delle figlie verso la madre) e in sottolineature qualificate come «ben costruite» (ἐξ ἐϋκτίτων μεγάρων 46).
patetiche (il pianto dirotto e poi l’urlo delle principesse; il rat- In più, Bacchilide realizza una sapiente correlazione oppo-
to delle donne nella città invasa dai nemici). E anche qui il sitiva fra scenografia della narrazione, elaborata attraverso
patetismo della scena è rallentato, smorzato, ingentilito, spe- le parole stesse di Creso e incentrata sullo scenario di Sardi
cialmente attraverso l’uso degli epiteti, da tocchi estetizzanti. saccheggiata, e scenografia dell’attualità – non già l’attuali-
Ci si sofferma a ricordare che queste principesse, fragili cor- tà della festa siracusana ma quella (vv. 15-22) immaginata a
pi ridotti a estremi sussulti, sono giovinette «dai bei riccioli» Delfi, dove Ierone aveva inviato ingenti offerte, brulicante di
(εὐπλοκάμοι[ς 34) e dalle «sottili caviglie» (τανισφύροις vittime e affollata di fedeli (con la risonanza, in particolare,
60), e del servo che riceve l’ordine di appiccare il fuoco alla pi- fra i barbagli dell’oro degli ex-voto al v. 17 e i gorghi aurei del
ra si specifica che ha il passo delicato (ἁβ[ρο]βάταν 48), pro- Pattolo al v. 44):
babilmente ancora una volta sfruttando una reminiscenza let-
È un brulichio di vittime
teraria, l’ἁβροβάται di recente invenzione con cui, nel commo
nei templi in festa, d’ospitalità
finale dei Persiani di Eschilo (v. 1073 γοᾶσθ᾽ ἁβροβάται),
nelle contrade. Brilla di barbagli l’oro,
sono apostrofati i coreuti da Serse appena reduce dalla Grecia;
s’ergono innanzi al tempio cesellati tripodi,
e le cose stesse, testimoni di un regno che crolla, sembrano
fasciate da un’onda di morbida sensualità: certo, il fiume Pat- e gli uomini di Delfi
tolo è atrocemente rosso di sangue, ma questo dettaglio crudo il gran recinto onorano di Febo
diventa immediatamente il polo di un gioco cromatico che vede dove corre Castàlia. Il dio s’esalti, il dio:
all’altro polo l’oro dei gorghi auriferi delle sue acque (χρυσο] questa, tra le risose di fortuna, è l’ottima».
δίνας 45), e il lampeggiante barbaglio di quel fuoco del rogo [Tr. di F.M. Pontani]

T. 3 Nel carme XVII, il ditirambo cui il papiro attribuisce il titolo I giovani o Teseo,
Carme XVII
Teseo e Minosse sono sulla nave che trasporta a Creta i sette giovani e le set-
te fanciulle da dare in pasto all’orrendo Minotauro. Una libertà che Minosse si
prende con una delle fanciulle innesca la contesa con Teseo: i due si sfidano ad
esibire le rispettive paternità divine.
Su richiesta di Minosse, Zeus fa balenare per il figlio la folgore nel cielo sereno,
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

mentre Teseo recupera l’anello gettato in mare dall’avversario dopo una lunga
immersione negli abissi marini, dimostrando così la protezione del padre Posi-
done.
Il riferimento finale al coro dei Cei chiarisce la cornice culturale, rappresentata
dalle feste apollinee di Delo, luogo dove il mito voleva che Teseo avesse sosta-
to dopo avere salvato i giovinetti e ucciso il Minotauro. A ricordo dell’impresa
avvenivano, durante le Delie, esecuzioni corali e danze di fanciulli in onore di
Apollo.

Metro: come l’Olimpica II di Pindaro, questo carme appare costruito per cola fondamentalmente
giambici ma con inclusioni di altre componenti (ad es. di tipo docmiaco e trocaico); il gioco
delle soluzioni rende un’interpretazione univoca estremamente problematica, se non alea-
toria.
Fonte: P. British Museum 46; P. Oxy. 1091 (vv. 47-78, 91 s.).
BACCHILIDE 761
strofe I Κυανόπρῳρα μὲν ναῦς μενέκτυ[πον
Θησέα δὶς ἑπτ[ά] τ’ ἀγλαοὺς ἄγουσα
κούρους Ἰαόνω[ν
Κρητικὸν τάμνε{ν} πέλαγος·
5 τηλαυγέϊ γὰρ [ἐν] φάρεϊ
βορήϊαι πίτνο[ν] αὖραι
κλυτᾶς ἕκατι π [ε]λεμαίγιδος Ἀθάν[ας·
κνίσεν τε Μίνωϊ κέαρ
ἱμεράμπυκος θεᾶς
10 Κύπριδος [ἁ]γν̣ὰ δῶρα·
χεῖρα δ’ οὐ[κέτι] παρθενικᾶς
ἄτερθ’ ἐράτ υ εν, θίγεν
δὲ λευκᾶν παρηΐδων·
βόασ έ  τ’ Ἐρίβοια χαλκο-

1-7 Il componimento si apre con l’immagi- to con le vele nere, promettendo al padre punsero a Minosse il cuore i doni veneran-
ne sinistra della prua scura della nave che, Egeo di sostituirle con vele bianche in di di Cipride, la dea dal diadema seducente,
sospinta dal vento del Nord, solca veloce il caso di successo: la dimenticanza del noc- e non più riusciva a trattenere (ἐράτυεν =
mare alla volta di Creta, con a bordo Te- chiero avrebbe poi provocato il suicidio di ἐρήτυεν, l’impf. è attestato sempre senza
seo e i quattordici giovani ateniesi destina- Egeo. - π̣[ε]λεμαίγιδος: «che brandisce aumento) la mano lontano da una vergine,
ti alle fauci del Minotauro. Con effetto di l’egida», la terrificante protezione fran- e ne toccò (θίγεν = ἔθιγεν, da θιγγάνω) le
forte contrasto coloristico, allo scuro della giata, posta sullo scudo, con l’emblema candide (λευκᾶν = λευκῶν) gote: ed Eri-
nave è accostato il bianco della vela, che della Gorgone; l’epiteto (cfr. πελαμίζω e bea gridò invocando il discendente di Pan-
«risplende da lontano», con una correzio- αἰγίς), integrato da Wackernagel e Hou- dione dalla corazza di bronzo». - κνίσεν =
ne ottimistica confermata immediatamente sman, è un hapax che presuppone l’ome- ἔκνισεν (κνίζω): il verbo ha qui connota-
dopo dalla provvidenziale presenza di Ate- rico σακέσπαλος, e cfr. Pindaro, *Peana zione erotica come in Euripide, Medea 568,
na (v. 7), che garantisce assistenza a Teseo XIII(a), 13 θυιαίγιδ(α), Ps.-Esiodo, Scudo Erodoto VI 62, ecc.; si noti il passaggio
e ai giovani che sono in sua compagnia. 343 s. Ἀθήνη/ αἰγίδ᾽ ἀνασσείσασα, ecc. dagli imperfetti – τάμνε, πίτνον – all’ao-
risto per introdurre la narrazione dell’epi-
1-7 Κυανόρῳρα μέν … Ἀθάν[ας: 8-16 La potenza irresistibile di Afrodite sodio. - ἱμεράμπυκος: hapax ispirato alla
«La nave dalla prua cerulea solcava (τάμνε spinge però Minosse a toccare le candide benda di Afrodite, che suscita incoercibile
= ἔτεμνε) il mare cretico portando l’intre- guance di una vergine ateniese, di nome desiderio (ἄμπυξ è la benda o diadema
pido Teseo e i due volte sette splendidi figli Eribea, che si ribella all’oltraggio gridan- per trattenere i capelli). - παρθενικᾶς =
degli Ioni: infatti i soffi di Borea cadevano do e sollecitando l’intervento di Teseo. παρθενικῆς = παρθένου, cfr. nota ad Alc-
(πίτνον = ἔπιτνον, ἔπιπτον) sulla ve- mane 3, 72, p. 000. - βόασε = ἐβόησε: per

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


la scintillante da lungi per volere (ἕκατι 8-16 κνίσεν τε … παρηΐδων: «e questa accezione pregnante di βοάω cfr.
= ἕκητι) di Atena gloriosa che scuote
l’egida». - Κυανόπρῳρα: epiteto omeri-
co – cfr. Iliade XV 693, Odissea IX 482
ecc. νεὸς κυανοπρῴοιο – forse derivato
dal colore della pece con cui si spalma- MEMORIA MITICA Il tributo ateniese a Minosse
va la chiglia delle navi. - μενέκτυπον:
«resistente al fragore della battaglia»: ha- Bacchilide fa riferimento ai δὶς ἕπτὰ ἀγλαοὶ κοῦροι, sette giovani e sette ragazze,
pax forse coniato sul modello dell’omeri- che vengono offerti a Minosse come tributo espiatorio. Secondo la versione più diffusa
co μενεπτόλεμος. - Ἰαόνων = Ἰώνων,
cioè ateniesi, cfr. XVIII 2, dove Egeo è
della leggenda agli Ateniesi era stato imposto di inviare ogni anno, o ogni nove anni, il
apostrofato dal coro come ἄναξ Ἰώνων. tributo di sette giovani e sette ragazze per essere sacrificati al Minotauro, il mostro nato
- βορήϊαι: Borea, il vento di nord-est, è dall’unione di Pasifae e di Zeus. Gli Ateniesi si erano infatti resi colpevoli dell’assassinio
favorevole alla navigazione da Atene a del figlio di Minosse Androgeo, uno giovane di straordinario valore che, avendo vinto
Creta. - φάρεϊ: «stoffa»: in Odissea V ad Atene in tutte le specialità durante i primi giochi panatenaici, si era attirato l’invidia
258 Calipso porta a Odisseo dei φάρεα di Egeo, re di Atene e padre di Teseo, il quale lo aveva fatto uccidere o spingendolo a
per farne delle vele, ἱστία. - τηλαυγέϊ:
lottare contro l’invincibile toro della pianura di Maratona o aizzando contro di lui i con-
«che scintilla da lontano» se l’epiteto, co-
me parrebbe, si riferisce al colore bianco correnti sconfitti; Minosse avrebbe vendicato il figlio con una spedizione contro l’Attica,
delle vele, Bacchilide sembra ignorare la e gli Ateniesi, sconfitti, avrebbero accettato il tributo di sette ragazzi e sette ragazzi da
versione secondo cui Teseo sarebbe parti- offrire in pasto al Minotauro.
762 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
15 θώρα[κα Π]α νδίονος
ἔκγ[ο]ν ον· ἴδεν δὲ Θησεύς,
μέλαν δ’ ὑπ’ ὀφρύων
δίν α[σ]εν ὄμμα, καρδίαν τέ οἱ
σχέτλιον ἄμυξεν ἄλγος,
20 εἶρέν τε· «Διὸς υἱὲ φερτάτου,
ὅσιον οὐκέτι τεᾶν
ἔσω κυβερνᾷς φρενῶν
θυ μ [όν]· ἴσχε μεγάλαυχον ἥρως βίαν.

antistrofe I Ὅ τι μ [ὲ]ν ἐκ θεῶν Μοῖρα παγκρατὴς


25 ἄμμι κατένευσε καὶ Δίκας ῥέπει τά-
λαντον, πεπρωμέν[α]ν
αἶσαν [ἐ]κπλήσομεν, ὅτ[α]ν
ἔλθῃ· [σ]ὺ  δὲ βαρεῖαν κάτε-
χε μῆ τιν. Εἰ καί σε κεδνὰ
30 τέκεν λέχει Διὸς ὑπὸ κρόταφον Ἴδας

Pindaro, Pitica VI 36 βόασε παῖδα ὅν, mente è graffiata dal terrore» e 161 καί (Ὅ τι, compl. oggetto di κατένευσε e di
Teocrito XVII 60 Εἰλείθυιαν ἐβώσατο. με καρδίαν ἀμύσσει φροντίς «e un pen- ῥέπει) l’onnipossente destino voluto dagli
- Π]ανδίονος: Egeo, il padre putativo di siero mi lacera il cuore». - εἶρεν: forma dèi per noi (ἄμμι, eolismo = ἡμῖν) abbia
Teseo, era figlio di Pandione, ottavo re di d’impf. di εἴρω usata da Omero solo alla disposto e la bilancia di Dike sancisca noi lo
Atene nella serie mitica, nipote di Eretteo I persona; cfr. v. 74. - ὄσιον: predicativo; adempiremo come sorte destinata, allorché
e figlio e successore del secondo Cecrope. propr. ὅσιος indica ciò che è sancito dalla giunga, ma tu frena (κάτεχε, che ripren-
- χαλκοθώρα[κα: l’epiteto ricorre anche legge divina. - κυβερνᾷς φρενῶν: per la de ἴσχε del v. 23) il grave proposito. Se da
nello stesso Bacchilide in XI 123 e poi in metafora cfr. Pindaro, fr. 214, 3 s. Ἐλπίς, una parte (καί, correlativo a καί di v. 33) la
Sofocle, Aiace 179. ἃ μάλιστα θνατῶν πολύστροφον γνώ-/ nobile figlia di Fenice (Europa) dall’amabile
μαν κυβερνᾷ «la Speranza, che governa la nome (ἐρατώνυμος, hapax), unitasi nel ta-
16-23 Mosso da sdegno istintivo, con un’ir- mente degli uomini più di ogni altra cosa», lamo a Zeus sotto la vetta dell’Ida (cretese),
ruenza e un senso di giustizia tipici del suo Eschilo, Persiani 767, Agamennone 802. - generò (τέκεν = ἔτεκεν) te fortissimo fra
carattere eroico, Teseo interviene a difesa μεγάλαυχον: correzione di Kenyon per i mortali, d’altra parte (ἀλλὰ καί) la figlia
della giovane che sta subendo sopruso, ri- μεγαλοῦχον del papiro: lo stesso nesso del ricco Pitteo (Etra) generò me, essendosi
chiamando Minosse all’autocontrollo (la con βίαν in Filico, Inno a Demetra 28 μεγ] unita al marino Posidone, e le Nereidi dai
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

metafora marinaresca che egli utilizza avrà άλαυχόν τε Βίαν, e cfr. anche Pindaro, Pi- capelli di viola le (οἱ = αὐτῇ) donarono un
ampia fortuna, soprattutto in ambito tragico). tica VIII, 15 βία δὲ μεγάλαυχον ἔσφαλεν aureo velo. Pertanto, condottiero dei Cno-
ἐν χρόνῳ «col tempo la forza fa cadere an- sii (di Cnosso, cretesi), ti esorto a frenare
16-23 βόασέ τ᾽ Ἐρίβοια … ἥρως che chi è arrogante», Eschilo, Persiani 532 (ἐρύκεν = ἐρύκειν) l’arroganza foriera di
βίαν: «e Teseo vide, e roteò torvo (μέλαν, s. Περσῶν/ τῶν μεγαλαύχων. molti gemiti: infatti io non vorrei (più) vede-
predicativo) l’occhio sotto i sopraccigli, e re l’amabile luce divina dell’Aurora (Ἀοῦς =
cruda pena gli (οἱ = αὐτῷ) graffiò il cuo- 24-46 Teseo intima a Minosse di placare Ἠοῦς) qualora tu forzassi contro il suo vole-
re, e diceva: “Figlio di Zeus eccelso, non l’animo, rispettando i principi di giustizia re (ἀέκοντα = ἄκοντα) qualcuno dei gio-
più secondo giustizia tu piloti l’animo en- determinati dal fato. L’eroe ateniese esalta vani: prima (che ciò avvenga) mostreremo
tro il tuo (τεᾶν = σῶν) cuore: frena, eroe, poi le proprie origini divine, quasi a sfida la forza delle mani, e la divinità giudicherà
l’arrogante violenza». - ἴδεν = εἶδεν, in con il re cretese: Teseo aveva infatti come l’esito”». - παγκρατής: epiteto di divi-
posizione simmetrica rispetto a βόασε padre Poseidone, il dio del mare, unitosi nità, specialmente di Zeus, frequente nei
14. - δίνασεν = ἐδίνησεν, riferito al a Etra (la «figlia del ricco Pitteo»), men- poeti tragici. - ἐκ θεῶν μοῖρα: cfr. Odis-
movimento degli occhi, cfr. Iliade XVII tre Minosse faceva risalire i propri natali sea III 269 μοῖρα θεῶν e XI 292 θεοῦ ...
680, Pindaro, Peana XX 13, Euripide, nientemeno che all’unione di Zeus con Eu- Μοῖρα. - ῥέπει: «abbassa», «inclina», cfr.
Oreste 1458 δίνασεν ὄμμα. - ἄμυξεν = ropa (la «nobile figlia di Fenice»). Postosi Eschilo, Agamennone 250 s. Δίκα δὲ τοῖς
ἤμυξεν «graffiò» (ἀμύσσω): la metafora sullo stesso piano del suo interlocutore, μὲν παθοῦ-/ σιν μαθεῖν ἐπιρρέπει, «la
sembra modellata su Iliade I 243 σὺ δ᾽ Teseo dichiara di non essere disposto a tol- Giustizia a chi ha sofferto offre come con-
ἔνδοθι θυμὸν ἀμύξεις «tu ti roderai den- lerare soprusi nei confronti dei più deboli. trappeso l’apprendimento». - κρόταφον:
tro l’animo» e viene ripresa da Eschilo, «tempia», cfr. Eschilo, Prometeo 721
Persiani 116 φρὴν ἀμύσσεται φόβῳ «la 24-46 Ὅ τι μ[έ]ν ... κρινεῖ: «Ciò che κροτάφων ὑπ᾽ αὐτῶν (del Caucaso). -
BACCHILIDE 763
μιγεῖσα Φοίνικος ἐρα-
τώνυμος κόρα βροτῶν
φέρτα τ ον, ἀλλὰ κἀμὲ
Πιτθ[έ]ος θυγάτηρ ἀφνεοῦ
35 πλαθεῖσα ποντίῳ τέκεν
Ποσειδᾶνι, χρύσεόν
τέ οἱ δόσαν ἰόπλοκοι κά-
λυμμα Νηρηΐδες.
Τῶ σε, πολέμαρχε Κνωσίων,
40 κέλομαι πολύστονον
ἐρύκεν ὕβριν· οὐ γὰρ ἂν θέλοι-
μ’ ἀμβρότον ἐραννὸν Ἀο[ῦς]
ἰδεῖν φάος, ἐπεί τιν’ ἠϊθέ[ων]
σὺ δαμάσειας ἀέκον-
45 τα· πρόσθε χειρῶν βίαν
δε[ί]ξομεν· τὰ δ’ ἐπιόντα δα[ίμω]ν κρινεῖ».

epodo I Τόσ’ εἶπεν ἀρέταιχμος ἥρως·

πλαθεῖσα: da πλάθω = πελασθεῖσα da già nota a Omero e riconosciuta dai gram- valleresche. - τά ... ἐπιόντα: (ἔπειμι), «le
πελάζω «avvicinarsi»: è verbo eufemisti- matici antichi, ad es. da Apollonio Discolo, cose che verranno».
co del linguaggio erotico. - Ποσειδᾶνι = de adverbiis 199, 2. - πολέμαρχε: «con-
Ποσειδῶνι: cfr. v. 15, dove Teseo è detto dottiero», cfr. στραταγέταν 121: in questo 47-66 La sfida è lanciata: di fronte allo
discendente di Pandione e quindi, implicita- caso il termine ha significato etimologico e sbigottimento dei marinai, Minosse (il «ge-
mente, figlio di Egeo; la duplice paternità, a non specifico (ad Atene il polemarco era il nero di Helios») chiede a Zeus il segno vi-
parte il modulo consueto per cui a un padre terzo dei nove arconti); in senso non tecni- sibile di una «folgore impetuosa» a ciel se-
putativo umano viene associato un padre co il termine, precedentemente inattestato, reno che comprovi la propria ascendenza
divino naturale, trae forse origine dal fat- compare anche in Eschilo, Sette 828 e Co- divina; analogamente sfida Teseo a dimo-
to che in origine Egeo (cfr. αἶγες «flutti») efore 1072. - δε[ί]ξομεν: «mostreremo» strare di essere figlio di Posidone, tuffan-
doveva rappresentare un nome alternativo io e tu: si tratta di una formula di sfida; il dosi in mare per recuperare un anello che
o un epiteto di Posidone. - ἰόπλοκοι: «dai futuro in luogo del congiuntivo esortativo Minosse stesso aveva lanciato in acqua.
capelli di viola» cfr. Alceo 384 ἰόπλοκ᾽ rappresenta una forma cortese di invito, che

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


ἄγνα, Pindaro, Istmica VII 23 ἰοπλόκοισι sottolinea l’intenzione, da parte di Teseo, 47-66 Τόσ᾽ εἶπεν ... πάντω[ν με]
Μοίσαις. - Τῶ: antica forma di strumentale di impostare lo scontro secondo regole ca- δ[έω]ν: «Tanto disse l’eroe prode nell’asta,
e i marinai stupirono dell’audacia altera
dell’eroe, e irritò il cuore al genero di Helios,
e (Minosse) tesseva un piano inatteso, e dis-
Per saperne di più se: “Zeus padre possente, porgimi ascolto: se
è vero che la sposa dalle candide braccia figlia
Un problema di natura metrica di Fenice mi generò a te, ora manda dal cielo
la folgore impetuosa dalla chioma infuocata
Il v. 38, così come tramandato dal papiro, presenta la sequenza       (doppio (πυριέθειραν, preziosa neoconiazione) co-
cretico) in luogo di        (giambo + cretico) attestata negli altri casi di me segno (σᾶμα = σῆμα) ben riconoscibi-
le, ma se d’altra parte (καί) te Etra trezenia
corresponsione strofe / antistrofe 15, per cui si suole ipotizzare la lacuna di una generò a Posidone scuotitore della terra, ri-
sillaba, ad es. con κάλυμμ᾽ ἁδύ (A. Ludwich): senonché, a tacere di casi riscon- porta su dal mare profondo questo (τόνδε,
trabili altrove sia nella lirica che nella tragedia, in questo stesso carme il fenomeno deittico) splendido aureo ornamento della
della fungibilità cretico/giambo si registra anche a strofe / antistrofe 4, dove al v. 93 mano (questo anello), lanciando con audacia
abbiamo doppio cretico in luogo di cretico + giambo, a strofe / antistrofe 21, dove il tuo corpo verso le case di tuo padre. Così
al v. 87 e al v. 110 troviamo giambo + cretico ma al v. 21 e al v. 44 doppio cretico, e saprai (εἴσεαι = εἴσῃ [οἶδα]) se (αἴ κε =
ad epodo 6, dove al v. 118 abbiamo la successione giambo + doppio cretico di contro εἰ ἄν) il signore del tuono che tutto governa
al triplice cretico del v. 52. ascolta la mia preghiera”». - ἀρέταιχμος:
hapax, da ἀρετή + αἰχμή «punta dell’asta».
764 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
[τ]άφον δὲ ναυβάται
[φ]ωτὸς ὑπεράφανον
50 [θ]άρσος· Ἁλίου τε γαμβρῷ χόλωσεν ἦτορ,
ὕφαινέ τε ποταινίαν
μῆτιν, εἶπέν τε· «Μεγαλοσθενὲς
Ζεῦ πάτερ, ἄκουσον· εἴ πέρ με νύμ[φα]
Φοίνισσα λευκώλενος σοὶ τέκεν,
55 νῦν πρόπεμπ’ ἀπ’ οὐρανοῦ θοὰν
πυριέθειραν ἀστραπὰν
σᾶμ’ ἀρίγνωτον· εἰ
δὲ καὶ σὲ Τροιζηνία σεισίχθονι
φύτευσεν Αἴθρα Ποσει-
60 δᾶνι τόνδε χρύσεον
χειρὸς ἀγλαὸν
ἔνεγκε κόσμον ἐκ βαθείας ἁλός,
δικὼν θράσει σῶμα πατρὸς ἐς δόμους.
Εἴσεαι δ’ αἴ κ’ ἐμᾶς κλύῃ
65 Κρόνιος εὐχᾶς
ἀναξιβρέντας ὁ πάντω[ν με]δ [έω]ν».

strofe II Κλύε δ’ ἄμεμπτον εὐχὰν μεγασθενὴ[ς


Ζεύς, ὑπέροχόν τε Μίνωϊ φύτευσε
τιμὰν φίλῳ θέλων

- τάφον = ἔταφον, forma aoristica esem- de. - φύτευσεν = ἐφύτευσεν «piantò»: il se (segni) visibili a tutti, e scagliò la folgore
plata sul perfetto τέθηπα, attestata anche verbo è riferito qui eccezionalmente all’at- (ἄστραψε = ἤστραψε), ed egli, l’eroe in-
in Pindaro, Pitica IV 95 e in Eschilo, Per- to generativo della madre. - Ποσειδᾶνι = trepido, avendo visto il prodigio gradito al
siani 1000; Omero conosce solo il partici- Ποσειδῶνι: «l’unione di Etra e Posidone suo animo, tese (πέτασσε = ἐπέτασε, da
pio ταφών. - ὑπεράφανον (= ὑπερη-): è rispecchiata sintatticamente dalla giu- πετάννυμι) la mano verso l’etere glorioso
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

ordinariamente l’aggettivo è usato con stapposizione degli aggettivi Τροιζηνία e diceva (εἶρεν, cfr. v. 20): “Teseo, tu vedi
connotazione squalificante, «superbo», σεισίχθονι e dei nomi Αἴθρα Ποσειδᾶνι» questi doni palesi di Zeus a me, e dunque tu
«insolente»; con accezione positiva, prima (D.E. Gerber). - δικών: da ἔδικον, forma balza nel mare dal cupo fremito, e Posido-
di Bacchilide, in Ibico 282, 16 s. ἀρετὰν/ aoristica senza presente, attestata anche in ne (tuo) padre, il sovrano Cronide, ti (τοι
ὑπεράφανον. - χόλωσεν = ἐχόλωσεν, Pindaro e in tragedia). - ἀναξιβρέντας: = σοι) accorderà (τελεῖ, futuro) gloria ec-
transitivo, come in Esiodo, Teogonia 568 «signore del tuono» hapax, riferito a Zeus celsa nel mondo ricco di alberi”. Così disse,
ἐχόλωσε δέ μιν φίλον ἦτορ. Il sogg. (cfr. ἄναξ e βροντή). e a lui non si piegava indietro l’animo, ma
sottinteso è nuovamente ἥρως del v. 47, stando ritto sulle tavole ben connesse spic-
valendo la frase τάφον … θάρσος come 67-89 Zeus ascolta la preghiera e invia un cò il balzo, e il sacro recinto marino lo (νιν
un inciso parentetico. - Ἁλίου = Ἡλίου: fulmine a ciel sereno, rendendo onore al fi- = αὐτόν) accolse (δέξατο = ἐδέξατο, da
Minosse è detto «genero (γαμβρός) di glio Minosse. Quest’ultimo allora ribadisce δέκομαι o δέχομαι) di buon grado. E stu-
Helios» perché ne aveva sposato la figlia la sfida a Teseo e l’eroe ateniese si getta pì (τάφεν, cfr. v. 48) dall’intimo del cuore
Pasifae. - ὕφαινε: «tesseva» per il nesso prontamente in mare per recuperare l’anel- (κέαρ, acc. di relazione) il figlio di Zeus e
metaforico con μῆτιν «piano astuto» cfr. lo, mentre la nave, per ordine di Minosse, ordinò di tenere (ἴσχεν = ἴσχειν, ἔχειν)
Iliade VII 324 = IX 93 ὑφαίνειν ἤρχετο «tiene il vento» proseguendo la rotta. lungo il vento la nave (νᾶα = νῆα = ναῦν)
μῆτιν. - Ζεῦ πάτερ: «l’appellativo di rito costruita con arte, ma il destino preparava
diventa attuale nella bocca di Minosse, che 67-89 Κλύε ... ἐπόρσυν᾽ ὁδόν: «E una via diversa». - Μίνω̆ϊ =   , con ab-
è realmente figlio di Zeus» (G. Monaco). - Zeus possente (μεγασθενής, cfr. v. 52) breviamento di ω e con ῑ (cfr. ad es. Iliade
νύμ[φα / Φοίνισσα: Europa, cfr. vv. 29 ascoltò (κλύε = ἔκλυε) la preghiera irre- I 283 Ἀχιλλῆῑ =    ). - τιμάν = -μήν;
ss. - Τροιζηνία … Αἴθρα: Pitteo, padre prensibile e procurò a Minosse onore eccel- per il nesso con φυτεύω cfr. Pindaro, Pi-
di Etra, era sovrano di Trezene, in Argoli- so, volendo produrre per il proprio figlio co- tica IV 69 τιμαὶ φύτευθεν, Istmica VI
BACCHILIDE 765
70 παιδὶ πανδερκέα θέμεν,
ἄστραψέ θ’· ὁ δὲ θυμάρμενον
ἰδὼν τέρας χέρας πέτασσε
κλυτὰν ἐς αἰθέρα μενεπτόλεμος ἥρως
εἶρέν τε· «Θησεῦ, τάδ᾽ ἐμὰ
75 μὲν βλέπεις σαφῆ Διὸς
δῶρα· σὺ δ’ ὄρνυ’ ἐς βα-
ρύβρομον πέλαγος· Κρονί[δας
δέ τοι πατὴρ ἄναξ τελεῖ
Ποσειδὰν ὑπέρτατον
80 κλέος χθόνα κατ’ εὔδενδρον».
Ὣς εἶπε· τῷ δ’ οὐ πάλιν
θυμὸς ἀνεκάμπτετ’, ἀλλ’ εὐ-
πάκτων ἐπ’ ἰκρίων
σταθεὶς ὄρουσε, πόντιόν τέ νιν
Per saperne di più
85 δέξατο θελημὸν ἄλσος. Secondo chiarimento
Τάφεν δὲ Διὸς υἱὸς ἔνδοθεν metrico
κέαρ, κέλευσέ τε κατ’ οὖ- Si è ipotizzata al v. 93 la lacuna di una
sillaba lunga dopo ἠϊθέων, supplita
ρον ἴσχεν εὐδαίδαλον con πᾶν (F. Kenyon) o con νέων (Q.
νᾶα· Μοῖρα δ’ ἑτέραν ἐπόρσυν’ ὁδόν. Cataudella), ma la sequenza cretico +
cretico in luogo di cretico + giambo di
forma        ai vv. 4, 27 e 70
antistrofe II Ἵετο δ’ ὠκύπομπον δόρυ· σόει rientra nella prassi di cui si è detto a
proposito del v. 38.
91 νιν βορεὰς ἐξόπιν πνέουσ’ ἀήτα·

12 φυτεύει δόξαν. - πανδερκέα: «vi- (G. Monaco). - κατ᾽ οὖρον: cioè col ven- = ἔθορεν, δα θρῴσκω) in mare, e giù dagli
sibili a tutti» (πᾶν e δέρκομαι); qui con to in poppa, per allontanarsi il più possibi- occhi di giglio versavano lacrime aspettan-
funzione passiva. - μενεπτόλεμος: «che le dal punto in cui Teseo si era immerso e dosi grave fatalità. Ma i delfini abitatori del
resiste nella lotta»: l’epiteto, già omeri- così provocarne la morte. - εὐδαίδαλον: mare portavano (φέρον = ἔφερον) rapi-
co – cfr. Iliade XIX 48 ecc. – ricorre an- di un tempio in fr. 15, 3; cfr. λάρνακι/ ἐν damente il grande Teseo alla casa (δόμον,

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che in 5 126 Κουρῆσι μενεπτολέμοις; δαιδαλέᾳ in Simonide 543, 1 s. acc. di moto a luogo) del padre signore dei
cfr. μενέκτυπον 1. - θυμάρμενον: ha- cavalli (Posidone); e giunse alla grande sala
pax (cfr. θυμός e ἀραρίσκω) modellato 90-112 La scomparsa di Teseo nei flutti del degli dèi. Lì sbigottì di paura al vedere le fi-
sull’omerico θυμαρής. - ἐμά: integra- mare getta lo sconforto fra i giovani ate- glie illustri del fortunato Nereo (le Nereidi),
zione di A. Platt. - ὄρνυ(ο): imperati- niesi, che nutrono luttuosi presagi nei suoi perché dalle loro membra splendenti raggia-
vo pres. medio (= ὄρνυσο) di ὄρνυμι. - confronti, mentre la nave procede veloce va un bagliore come di fuoco, e intorno alle
ἠΰδενδρον: l’epiteto è riferito alla terra la rotta, sospinta dai soffi di Borea. Teseo, chiome vorticavano bende ricamate d’oro, e
in generale anche in Pindaro, Pitica IV 74 intanto, viene accompagnato da un branco rallegravano il cuore danzando (χορῷ) con
εὐδένδροιο … ματέρος, altrove a singole di delfini nella casa del padre «signore di gli umidi piedi (ποσσίν = ποσίν). E vide
contrade. - εὐπάκτων (εὖ, πήγνυμι) = cavalli» e lì nella dimora del padre incon- nelle stanze incantevoli la sposa diletta del
εὐπήκτων: epiteto già omerico di stanze tra lo stuolo danzante delle Nereidi e, nelle padre, la veneranda Anfitrite dagli occhi
e letti. - ὄρουσε: da ὀρούω (cfr. ὄρνυμι), sue stanze incantevoli, Anfitrite, la sposa di bovini, la quale (ἅ = ἥ) lo avvolse con un
equivalente a ὦρτο; cfr. Iliade XXIV 80 Posidone che lo riceve avvolgendolo con indumento purpureo». - δόρυ: cfr. nota a
ἐς βυσσὸν ὄρουσε. - πόντιον … ἄλσος: un manto purpureo. Simonide 543, 10; c’è allungamento metri-
ἄλσος è propr. un «bosco consacrato»; la co della seconda sillaba di δόρυ a contatto
stessa locuzione in Eschilo, Persiani 111; 90-112 Ἵετο … πορφυρέαν: «E il con la sibilante seguente. - ὠκύπομπον:
cfr. Supplici 868 δι᾽ ἁλίρρυτον ἄλσος. legno avanzava veloce: lo (νιν = αὐτό) so- (ὠκύς, πέμπω), cfr. Euripide, Ifigenia
- θελημόν: cfr. θέλω: secondo altri for- spingeva (σόει, da σοέω = σεύω) il ven- fra i Tauri 1136 ναὸς ὠκυπόμπου e 1427
ma alternativa di θελεμός «quieto»; ma to di borea soffiando a poppa (ἐξόπιν «da ὠκυπόμπους πλάτας. - βορεάς: agg. fem-
θελημός libens «suggerisce fin da questo dietro»), ed ebbe un tremito la schiera dei minile, cfr. Eschilo, fr. 195 Radt βορεάδας
momento l’onore che sarà reso a Teseo» giovani ateniesi quando l’eroe balzò (θόρεν … πνοάς; c’è un ritorno al motivo già
766 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
τρέσσαν δ’ Ἀθαναίων
ἠϊθέων γένος, ἐπεὶ
ἥρως θόρεν πόντονδε, κα-
95 τὰ λειρίων τ’ ὀμμάτων δά-
κρυ χέον, βαρεῖαν ἐπιδέγμενοι ἀνάγκαν.
Φέρον δὲ δελφῖνες {ἐν} ἁλι-
ναιέται μέγαν θοῶς
Θησέα πατρὸς ἱππί-
100 ου δόμον· ἔμολέν τε θεῶν
μέγαρον. Τόθι κλυτὰς ἰδὼν
ἔδεισεν Νηρέος ὀλ-
βίου κόρας· ἀπὸ γὰρ ἀγλα-
ῶν λάμπε γυίων σέλας
105 ὧτε πυρός, ἀμφὶ χαίταις
δὲ χρυσεόπλοκοι
δίνηντο ταινίαι· χορῷ δ’ ἔτερ
πον κέαρ ὑγροῖσιν ἐν ποσίν.
Εἶδέν τε πατρὸς ἄλοχον φίλαν
110 σεμνὰν βοῶπιν ἐρατοῖ-
σιν Ἀμφιτρίταν δόμοις·
ἅ νιν ἀμφέβαλεν ἀϊόνα πορφυρέαν,

epodo II κόμαισί τ’ ἐπέθηκεν οὔλαις


ἀμεμφέα πλόκον,

toccato al v. 6. - τρέσσαν = ἔτρεσαν, Εἶδέν τε: dopo l’inciso parentetico dei vv. sopra le chiome crespe gli pose un serto irre-
ha come soggetto γένος, con costruzione 103-108 il soggetto torna ad essere Teseo. prensibile (perfetto, bellissimo), che (τόν,
a senso. - λειρίων: «dagli occhi di giglio» - ἐρατοῖσιν (= -τοῖς) … δόμοις: dat. di relativo) ombreggiato (ἐρεμνόν «scuro») di
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

epiteto omerico (nella forma λειριόεις) del- stato in luogo. - βοῶπιν: epiteto tradizio- rose a lei (οἱ = αὐτῇ) un tempo, nel giorno
la carne (Iliade XIII 830) e della voce (Ilia- nale di Hera. - νιν = αὐτόν: ἀμφιβάλλω delle nozze, aveva donato Afrodite ingan-
de III 142), e cfr. Esiodo, Teogonia 41 ὀπὶ è costruito, come già in Omero, col doppio natrice. Nulla (è) incredibile per gli uomini
λειριοέσσῃ, Apollonio Rodio IV 903 ὄπα acc. - ἀϊόνα = ἠϊόνα: l’unica testimonianza assennati di ciò che vogliono gli dèi: appar-
λείριον. - δάκρυ χέον (= ἔχεον): nesso sul termine è Esichio s. v. εἴλυμα· τὸ τοῦ ve (φάνη = ἐφάνη) presso la nave dalla
omerico assai frequente. - ἐπιδέγμενοι: ἀρότρου περιόν· καὶ τὸ ἱμάτιον καὶ ἡ poppa sottile (λεπτόπρυμνον, hapax):
partc. perfetto atematico di ἐπιδέκομαι / ἀϊών: si tratterebbe dunque di un εἴλυμα ahi, in quali ansie prostrò il condottiero
ἐπιδέχομαι. - ἁλιναιέται: da ἅλς e ναίω, «copertura» o più precisamente di una sorta (στραταγέταν = στρατη-) cnosio (cfr. v.
è emendamento del Palmer per ἐν ἁλὶ di mantello; si potrebbe pensare a una sciar- 39) quando emerse non bagnato (ἀδίαντος,
ναιέται del papiro, cfr. Ἁλίπλους. - σέλας pa frangiata (B. Gentili). cfr. Simonide 543, 5) dal mare, meraviglia
ὧτε πυρός:«bagliore come di fuoco» (ὥτε per tutti (πάντεσσι = πᾶσι), e brillavano
= ὥστε) c’è nello scenario una parados- 113-132 Anfitrite congeda Teseo con intorno alle sue membra i doni degli dèi, e
sale, favolosa mistione di acqua e fuoco. splendidi doni ospitali e quando l’eroe mi- colme di letizia (σὺν εὐθύμιᾳ) improvvisa
- δίνηντο = ἐδίνηντο, impf. dell’eolico racolosamente riemerge dalle acque, cari- le vergini (κοῦραι = κόραι) dagli splendidi
δίνημι = δινέω. - χρυσεόπλοκοι: «rica- co dei doni divini, è accolto dallo stupore seggi lanciarono un grido, e ne riecheggiò
mate d’oro» hapax (cfr. χρυσέος e πλέκω). incredulo di Minosse e dall’urlo liberato- il mare, e i giovani da presso intonarono il
- ὑγροῖσι = ὑγροῖς, l’«umidità» implica rio delle fanciulle, cui si unisce il canto del peana con amabile voce. O Delio, rallegrato
una connotazione di fluidità e agilità per la peana intonato dai giovani ateniesi suoi nel cuore dai cori di Ceo concedi una sor-
quale cfr. Pindaro, Pitica I 9 ὑγρὸν νῶτον compagni di viaggio. te di felicità inviata dagli dèi». - οὔλαις:
αἰωρεῖ (detto dell’aquila), Senofonte, Equi- riferito alle chiome anche in Odissea VI
tazione I 6 ὑγρὰ ... σκέλη (di un cavallo). - 113-132 κόμαισί τ(ε) ... τύχαν: «e 231 = XXIII 158 οὔλας ἧκε κόμας. -
BACCHILIDE 767
115 τόν ποτέ οἱ ἐν γάμῳ
δῶκε δόλιος Ἀφροδίτα ῥόδοις ἐρεμνόν.
Ἄπιστον ὅ τι δαίμονες
θέλωσιν οὐδὲν φρενοάραις βροτοῖς·
νᾶα πάρα λεπτόπρυμνον φάνη· φεῦ,
120 οἵαισιν ἐν φροντίσι Κνώσιον
ἔσχασεν στραταγέταν, ἐπεὶ
μόλ’ ἀδίαντος ἐξ ἁλὸς
θαῦμα πάντεσσι, λάμ-
πε δ’ ἀμφὶ γυίοις θεῶν δῶρ’, ἀγλαό-
125 θρονοί τε κοῦραι σὺν εὐ-

φρενοάραις: (cfr. φρήν e ἀραρίσκω) = ἔμολε, da βλώσκω. - νεοκτίτῳ: compagnerebbero l’eroe; ma certamente
dativo del punto di vista. - νᾶα πάρα: (cfr. νέος e κτίζω) = νεοκτίστῳ. - σὺν εὐθυμίᾳ νεοκτίτῳ meglio si adatta
anastrofe = παρὰ ναῦν. - ἔσχασεν: ἀγλαόθρονοι: il confronto con Pindaro, alle ragazze ateniesi, «prima sbigottite,
questa accezione di σχάζω, il cui valore Nemea IV 65 ὑψιθρόνων … Νηρεΐδων, cioè ἄθυμοι, dalla sparizione di Teseo
di base è “incido”, “apro”, compare an- ha talora indotto a riconoscere anche (cfr. vv. 92 ss.) e ora rianimate, cioè
che in Pindaro, Nemea IV 64. - μόλ(ε) qui un riferimento alle Nereidi che ac- εὔθυμοι, dalla sua ricomparsa» (G. Mo-

Immagini topiche
Per chi ha senno, non c’è nulla di incredibile
Una sentenza pregnante accompagna il riaffiorare a galla di Teseo dopo il viaggio nelle profondità del mare (vv. 117-18)
Ἄπιστον ὅ τι δαίμονες Nulla è incredibile per gli uomini
θέλωσιν οὐδὲν φρενοάραις βροτοῖς assennati di ciò che vogliono gli dei.

Lo stesso concetto, espresso in termini molto simili, si trova anche in III 57 s. ἄπιστον οὐδέν, ὅ τι θ[εῶν μέ]ριμνα/ τεύχει
«nulla è incredibile, di ciò che compie la cura divina», e sembra riecheggiare nella formulazione Archiloco, nel frammento in cui
commenta il fenomeno dell’ecclissi di sole (122, 1-3 vedi p. 000):
Χρημάτων ἄελπτον οὐδέν ἐστιν οὐδ’ ἀπώμοτον Non c’è nessuna cosa inattesa né impossibile
οὐδὲ θαυμάσιον, ἐπειδὴ Ζεὺς πατὴρ Ὀλυμπίων né stupefacente, da quando Zeus, il padre degli dèi d’Olimpo,

LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA


ἐκ μεσαμβρίης ἔθηκε νύκτ(α)… da mezzogiorno fece notte…

Si veda anche Pindaro, Pitica X 48 ss.


ἐμοὶ δὲ θαυμάσαι a me nessuna cosa che desti meraviglia,
θεῶν τελεσάντων οὐδέν ποτε φαίνεται quando gli dèi la compiano,
ἔμμεν ἄπιστον appare non degna di fede.
[Tr. di B. Gentili]

L’imprevedibilità dell’intervento divino, che riesce a trovare una via d’uscita contraria alle aspettative umane, è γνώμη conclusiva,
così come in Bacchilide, anche in alcuni drammi di Euripide: di cui, secondo la tradizione, si concludono – in modo pressoché
identico – cinque tragedie (Alcesti, Medea, Andromaca, Elena e Baccanti):
Πολλαὶ μορφαὶ τῶν δαιμονίων, Molte forme assume il destino,
πολλὰ δ’ ἀέλπτως κραίνουσι θεοί· molti eventi gli dei compiono contro ogni speranza:
καὶ τὰ δοκηθέντ’ οὐκ ἐτελέσθη, e ciò che ci si aspettava non si avvera,
τῶν δ’ ἀδοκήτων πόρον ηὗρε θεός. e il dio trova la strada per l’inatteso.
Τοιόνδ’ ἀπέβη τόδε πρᾶγμα. Così si è chiusa questa vicenda.
768 LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA
θυμίᾳ νεοκτίτῳ
ὠλόλυξαν, ἔ-
κλαγεν δὲ πόντος· ἠίθεοι δ’ ἐγγύθεν
νέοι παιάνιξαν ἐρατᾷ ὀπί.
130 Δάλιε, χοροῖσι Κηΐων
φρένα ἰανθεὶς
ὄπαζε θεόπομπον ἐσθλῶν τύχαν.

naco). - ὠλόλυξαν: (ὀλολύζω) «ulula- 1 ἐρατᾶν ... ἀοιδᾶν e 140b, 17 αὐλῶν ... del mito intonato dai giovani ateniesi fosse
rono»: l’ὀλολυγή è un grido alto e forte, ἐρατὸν μέλος. - Δάλιε (= Δήλιε): epiteto in connessione implicita – proponendosi
femminile, connesso nel rito al momento di Apollo, in quanto dio nato e onorato a come «canto nel canto» – col peana attuale,
dell’abbattimento della vittima sacrificale, Delo. Poiché ad Apollo è appunto sacro il appunto il carme presente eseguito da un
ma spesso, come qui, semplice espressione peana, e peani venivano eseguiti in agoni coro di concittadini del poeta. - ἐσθλῶν:
di esultanza. - παιάνιξαν = ἐπαιάνισαν: musicali nelle feste che si svolgevano a De- neutro, cfr. IV 20 μοῖρα[ν] ἐ̣σ̣θλῶν, Pin-
i giovani intonano il peana quale canto di lo (τὰ Ἀπολλώνια per i Delî, τὰ Δήλια per daro, Olimpica XIII 115 τύχαν τερπνῶν
vittoria. - ἐρατᾷ: l’agg. è riferito al can- gli altri greci) in onore del dio e della sorel- γλυκεῖαν. - θεόπομπον: cfr. Pindaro, Pi-
to o alla musica anche in Pindaro, fr. 124, la Artemide, si è supposto che il παιάνιξαν tica IV 69 θεόπομποι ... τιμαί.

Analisi del testo


I giovani o Teseo (Ἠίθεοι ἢ Θησεύς), come suona il titolo nel informano un tessuto espressivo destinato a scandire un tipo di
papiro di Londra, è un documento esemplare dell’arte bacchi- narrazione che predilige il tratto ornamentale (l’aureo anello
lidea. Rievocando la leggenda dei sette giovani e delle sette gettato da Minosse in fondo al mare, la veste purpurea e il
ragazze inviati come tributo al Minotauro, e del contrasto fra serto ombreggiato di rose che Anfitrite dona all’eroe ateniese)
Teseo e il re Minosse, Bacchilide lascia nello sfondo l’elemento e insiste sul dato miracolistico e favoloso (cfr. vv. 48, 72, 86,
religioso (ridotto a qualche convenzionale richiamo didattico: 103 ss.). Non a caso il momento più felice dell’ode è individua-
cfr. vv. 24 ss., 46, 117 s.), nonché l’aspetto patetico della vi- bile nello stupefacente viaggio subacqueo di Teseo, dove l’at-
cenda (occasionalmente sfiorato con tocco leggero: cfr. vv. 91 tenzione si ferma sul quadro affascinante delle Nereidi, le cui
ss.), per indulgere a un gusto descrittivo che risolve le tensioni membra emanano bagliori simili a fuoco mentre danzano con
nel ritmo festoso di una ballata. La sapiente alternanza di ca- gli agili piedi (vv. 103 ss.). Un tracciato figurale attento alla
denze contenute e di scatti vivaci, realizzata anche attraverso gioia visiva dei particolari, in contrasto tanto con le sintetiche
il passaggio dagli imperfetti agli aoristi (cfr. vv. 1 ss., 90 ss.); notazioni pindariche quanto con la ricerca patetica che sembra
il largo impiego del discorso diretto, costruito con tecnica epi- caratterizzare l’arte di Simonide. La tendenza alla narrazione
cheggiante e con studiata ricerca di simmetrie fra le opposte diluita, al discorso diretto ampio e articolato, alla ricca agget-
LA LIRICA CORALE TARDO-ARCAICA

battute dei personaggi; l’esuberante aggettivazione, domina- tivazione inducono piuttosto a un confronto con Stesicoro, dal
ta dall’uso di epiteti composti (dove omerismi, neoconiazioni quale per altro la tecnica bacchilidea decisamente si discosta
e aggettivi tipici della lirica corale tendono comunque a un per la preziosa levità che solleva il racconto a spettacolo edo-
risultato di morbido descrittivismo): sono tutti elementi che nistico.

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