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Dopo la fine del conflitto, Simonide si spostò in Sicilia, dove la permanenza di governi tirannici
favoriva la pratica del mecenatismo e "offriva una dimora adatta alla personalità"[2] del poeta lirico.
Qui operò presso la corte di Gerone I di Siracusa e di Terone di Agrigento. Morì in età molto
avanzata nel 468 a.C. ad Agrigento, dove fu pure sepolto (almeno a quanto riferisce Callimaco nel
fr. 64 Pf.).[2]
Le tecniche di memoria
Sulla figura di Simonide, caratterizzata da elementi di forte novità, fiorì già in età antica una ricca
aneddotica: al lirico fu attribuita l'invenzione di una tecnica mnemonica che permettesse di
imprimere i dati nella memoria tramite la fissazione di alcuni punti di riferimento visivi. Tale
notizia deriva da un aneddoto ambientato al tempo della permanenza di Simonide presso il re
tessalo Skopas: questi avrebbe rimproverato il lirico di aver dedicato troppo spazio all'esaltazione di
Castore e Polluce in un suo componimento, e lo avrebbe di conseguenza invitato a esigere dalle due
divinità la metà del compenso che egli stesso avrebbe dovuto dargli. Nello stesso momento, a
Simonide sarebbe stato comunicato che due giovani lo attendevano fuori dal palazzo: mentre egli
andava ad accoglierli, il palazzo sarebbe crollato, seppellendo tra le macerie lo stesso Skopas con i
suoi commensali. Mentre sembrava impossibile riconoscere i morti, i cui volti erano rimasti
sfigurati, Simonide sarebbe stato l'unico a identificarli, avendo perfettamente memorizzato il posto
che essi occupavano attorno alla tavola.[3]