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Complementi alle

Lezioni di Meccanica Razionale


di T. Levi-Civita e U. Amaldi
Complementi alle
Lezioni di Meccanica Razionale
di T. Levi-Civita e U. Amaldi
con il contributo di

U.I. Amaldi, S. Benenti, G. Benettin, P. Benvenuti, P. G. Bordoni,


E.N.M. Cirillo, F. Cardin, L. Dell’Aglio, F. Fassò, G. Gallavotti, G. Gorni,
M. Guzzo, C. Marchioro, G. Maschio, S. Rionero, T. Ruggeri,
G. Saccomandi, A. Sinopoli, G. Zampieri

Edizioni CompoMat
c 2012 Edizioni CompoMat
Loc. Braccone s.n.c., 02040 Configni (RI)
telefax: +39 0746 672240
e-mail: info@compomat.it

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ciascun volume. Le riproduzioni e↵ettuate per finalità di carattere professionale, economico
o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale potranno avvenire a seguito
di specifica autorizzazione rilasciata dall’Editore.
I primi due volumi e parte del terzo sono una nuova edizione delle opere: Lezioni di
Meccanica razionale di T. Levi-Civita e U. Amaldi e: Compendio di Meccanica razionale dei
medesimi autori, pubblicati da Zanichelli in varie edizioni dal 1923 al 1950 (ristampa
anastatica 1974).

Realizzazione editoriale: CompoMat S.r.l., Configni (Rieti)


Stampa: BRAILLE-GAMMA S.r.l. Cittaducale (Rieti)
finito di stampare nel mese di gennaio 2013

ISBN 978-88-95706-31-3 volume singolo


ISBN 978-88-95706-33-7 opera completa
Indice

Prefazione all’edizione 2012 XI

1 Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi 1


1 Premessa 1
2 La manualistica italiana antecedente le Lezioni 2
3 Le Lezioni e la manualistica italiana 5
4 Le Lezioni e il contesto internazionale 7
5 Conclusione 10
Bibliografia 12

2 Cenni sulla vita e le opere degli autori U. Amaldi - U.I. Amaldi 15


1 Introduzione 15
2 Commemorazione del Socio Tullio Levi-Civita 16
3 Ricordo di Ugo Amaldi 30
4 Lettera di “licenziamento” di Tullio Levi-Civita 46
5 Elenco cronologico delle pubblicazioni di Tullio Levi-Civita 47
6 Elenco cronologico delle pubblicazioni di Ugo Amaldi 55
Bibliografia 59

I Lezioni - Meccanica dei continui T. Levi-Civita - U. Amaldi 61

3 Nozioni sui campi vettoriali 63


1 Lemma di Green nello spazio e nel piano 63
2 Generalità sui campi vettoriali. Gradiente 66
3 Immagine idrocinetica. Notazione di flusso 70
4 Divergenza 72
5 Campi solenoidali 74
6 Rotore 75
7 Formula dello Stokes 78
8 Nozione di connessione (lineare). Campi a rotore nullo 80

4 Generalità sulla cinematica dei sistemi continui 83


1 I due punti di vista molecolare (o del Lagrange)
e locale (o di Eulero) 83
VI Indice

2 Linee di flusso 87
3 Derivate locali e derivate sostanziali 88

5 Generalità sulla meccanica dei sistemi continui 91


1 Sforzi, sforzi specifici, postulati relativi 91
2 Equazioni cardinali 94
3 Sforzi specifici intorno ad un medesimo punto 96
4 Equazioni indefinite 100
5 Equivalenza fra condizioni globali e condizioni locali 103
6 Notazioni per le componenti degli sforzi. Relazioni di simmetria 104
7 Equazione di continuità 106
8 Indicazioni circa l’impostazione del problema dinamico 110
9 Fluidi perfetti. Equazione di stato 111
10 Cenno sul comportamento degli sforzi nei solidi elastici e nei fluidi
viscosi 116

6 Idrostatica 119
1 Fluidi liberi da forze. Caso generale: isobariche; superficie
di separazione fra fluidi di densità di↵erente 119
2 Forze conservative. Coincidenza delle superficie equipotenziali,
o superficie di livello, colle isobariche. Fluidi pesanti. Forma espressiva
della condizione di equilibrio. Liquidi omogenei. Torchio idraulico 121
3 Pressione atmosferica. Principio dei vasi comunicanti 123
4 L’equazione fondamentale dell’idrostatica sotto forma finita 124
5 Barometro. Misura delle altezze 126
6 Equilibrio relativo di un fluido pesante, quando il vaso che lo contiene
ruota uniformemente intorno a un asse verticale 126
7 Pressioni che un fluido in equilibrio esercita sul vaso
che lo contiene o sopra un fluido immerso. Principio di Archimede.
Caso di un galleggiante 126

7 Idrodinamica 129
1 Moti dotati di potenziale di velocità. Aspetto ridotto del problema
idrodinamico 129
2 Teorema del Torricelli 135
3 Teorema del Bernoulli 136
4 Moti vorticosi. Circolazione e sua invariabilità di fronte
a forze conservative 137
5 Moti vorticosi. Teoremi dell’Helmholtz 139

II Complementi 143

8 Aspetti storici della ‘teoria dei vettori’ L. Dell’Aglio 145


1 Introduzione 145
2 Il calcolo vettoriale in Italia a fine Ottocento 146
3 Le prime applicazioni del calcolo vettoriale in ambito meccanico 147
Indice VII

4 Le lezioni iniziali di Meccanica Razionale di Levi-Civita


e la ‘teoria dei vettori’ 148
5 Calcolo vettoriale e questioni meccaniche nella scuola vettorialista 149
6 La ‘teoria dei vettori’ nelle Lezioni di Levi-Civita a Padova
intorno al 1910 152
7 Il calcolo vettoriale nelle Lezioni di Meccanica Razionale
di Levi-Civita e Amaldi 154
8 Considerazioni conclusive 156
Bibliografia 157

9 Origine e sviluppi della Statica Grafica A. Sinopoli 161


1 Premessa 161
2 Meccanica come scienza dei pesi governata dalla Geometria 163
3 Aristotele e i Mêchanika Problêmata 164
4 La rivoluzione dei dispositivi funicolari 167
5 Varignon e i teoremi IX, X e XII 169
6 Nascita della Statica Grafica 174
7 Cremona e le figure reciproche della Statica Grafica 177
8 Applicazioni di Statica Grafica a travature reticolari 182
9 Conclusioni 183
Bibliografia 184

10 Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio 187


Introduzione 187
1 Grandezze scalari e vettoriali 187
2 Assiomi fondamentali 200
3 Leggi della meccanica 202
4 Lo schema particellare, forze interne, forze esterne 209
Bibliografia 212

11 Meccanica dei sistemi anolonomi S. Benenti 213


1 Premessa 213
2 Spazio delle configurazioni 214
3 Spazio degli stati 215
4 Vincoli di mobilità e sistemi anolonomi 216
5 Equazioni dinamiche 219
6 Equazioni dinamiche di prima specie 222
7 Equazioni dinamiche di seconda specie 225
8 Vincoli omogenei 228
9 Spostamenti virtuali 229
10 Il principio di Gauss 233
11 Le equazioni di Gibbs-Appell 234
12 Fogli di lavoro 236
13 Vincoli non lineari 240
Bibliografia 257
VIII Indice

12 Sui fenomeni giroscopici nei solidi S. Rionero 259


1 Introduzione 259
2 Equazioni integrali lineari di Volterra per p e q 262
3 Infinitesimalità di p e q con 1/r0 267
4 Approssimazione della posizione 271
5 Giroscopio a reazione 273
6 Il principio dell’e↵etto giroscopico nel caso piano 274
7 Il principio dell’e↵etto giroscopico nel caso sferico 274
8 Non validità del principio dell’e↵etto giroscopico per forze dipendenti
dalla rotazione propria '. Risonanza 276
9 Ulteriori contributi ai fenomeni giroscopici 277
Bibliografia 278

13 Il corpo rigido in rapida rotazione G. Benettin, F. Fassò, M. Guzzo 281


Sommario 281
1 Introduzione 281
2 Il sistema di Eulero-Poinsot perturbato: moti staccati dalle rotazioni
proprie 286
3 Moti prossimi alle rotazioni proprie attorno a e3 . 294
4 Prospettive: il problema spin–orbita 298
Bibliografia 299

14 Aspetti variazionali della meccanica I G. Gorni, G. Zampieri 301


1 Introduzione 301
2 Notazioni 303
3 Principio di Hamilton 303
4 Teorema di Noether 306
5 Applicazioni del teorema di Noether agli integrali primi 308
6 Teorema locale di minima azione hamiltoniana 315
7 Geodetiche e lagrangiane di Jacobi 319
8 Appendice 328
Bibliografia 328

15 Aspetti variazionali della meccanica II F. Cardin 331


1 Il Principio Variazionale di Hamilton 331
2 Appendice 342
3 Moti spontanei e geodetiche 343
4 Maupertuis, Jacobi, Hölder e Wintner 348
5 Condizioni di minimo nel calcolo delle variazioni. Teoria dei Punti
Coniugati 350
6 Problema inverso nel Calcolo delle Variazioni:
Teorema di Volterra-Vainberg 360
7 Principio di Gauss 363
Bibliografia 370
Indice IX

16 Stabilità dell’integrabilità Hamiltoniana:


teorema KAM e serie di Lindstedt G. Gallavotti 373
1 Introduzione 373
2 Teoria perturbativa classica 375
3 Il teorema della media 377
4 Teorema della media di Kolmogorov 380
5 Osservazioni sui teoremi della media 382
6 Teorema KAM 385
7 Serie di Lindstedt-Newcomb 386
8 Grafici e serie di Linstedt 388
9 Stima di Siegel. Piccoli denominatori 390
10 Analisi multiscala delle singolarità 392
11 Cancellazioni 395
12 Osservazioni 397
13 Appendici 398
Bibliografia 400

17 Alcuni aspetti della dinamica dei fluidi C. Marchioro 403


1 Introduzione e modello 403
2 Vortici concentrati 405
3 Stabilità 409
4 Fluidi viscosi 410
5 Turbolenza 411
Bibliografia 414

Indice dei nomi 415

Indice analitico 419


Prefazione
all’edizione 2012

Alcuni anni orsono, durante una discussione su alcuni argomenti di Meccanica, ci


siamo trovati a riflettere sulla chiarezza e la lucidità con cui venivano trattati nelle
“Lezioni di Meccanica Razionale” di T. Levi–Civita e U. Amaldi anche i temi più
ostici della Meccanica. Tutti convenimmo sul fatto che tale testo era unico nella
sua capacità di coniugare la profondità della riflessione scientifica al rigore e alla
semplicità dell’esposizione.
Questa riflessione di natura scientifica, unita al problema concreto dell’irre-
peribilità di nuove copie dell’opera, ha fatto nascere l’idea di una sua riedizione
arricchita di alcuni argomenti moderni discussi con stile analogo a quello delle
“Lezioni”.
La disponibilità della Casa Editrice Zanichelli (proprietaria dei diritti) e de-
gli eredi degli Autori ha reso possibile la riedizione, cosı̀ come l’entusiasmo di
alcuni colleghi ha permesso di integrare l’opera con alcuni dei temi che hanno
caratterizzato lo sviluppo della Meccanica nel secondo dopoguerra.
Il testo è stato ricomposto in LATEX e ciò ha portato a una riduzione del numero
di pagine con conseguente riunificazione dei due tomi del secondo volume in un
unico libro. Naturalmente, anche se vi è stata una attenta rilettura, la ricompo-
sizione avrà sicuramente introdotto dei refusi; saremo grati a tutti quelli che ci
segnaleranno eventuali sviste con una mail a: levicivita@compomat.it.
Nella Prefazione al primo volume veniva anticipato il contenuto del secon-
do (I, pag. x) comprensivo della Meccanica dei continui, ma nella Prefazione al
secondo volume (II, pag. xi) tale argomento venne di nuovo rimandato a un terzo
volume che non ha mai visto la luce. Esso fu, invece, sviluppato dagli Autori nel
«Compendio»; si è pensato allora di completare questa riedizione con i cinque ca-
pitoli su quell’argomento (nella prima parte del terzo volume). Naturalmente tutti
i richiami ad argomenti presenti nel Compendio sono stati riportati agli analoghi
delle Lezioni.
La seconda parte del terzo volume contiene i contributi, di cultori italiani della
materia. Tali interventi sono di tre tipi: inquadramento storico di alcuni aspet-
ti, argomenti mancanti nelle Lezioni o sviluppi di alcuni concetti successivi alla
stampa del testo. Il loro ordinamento è analogo a quello dei rispettivi argomenti
presenti nelle Lezioni.
Si è cercato di mantenere la divisione in paragrafi e sottoparagrafi cambiando
solo i caratteri e la veste tipografica per rendere più moderno l’aspetto del testo.
Si è anche leggermente cambiato il metodo di richiamo: i richiami ai capitoli del
XII Prefazione all’edizione 2012

medesimo volume sono in caratteri arabi (per esempio: cap. 3, n. 33) mentre se
sono di un altro volume sono in caratteri romani con pedice il numero del volume
(per esempio cap. III1 , n. 33).
Tutte le figure sono state ridisegnate utilizzando strumenti più moderni (sfu-
mate di grigi o simili) e si è sistematicamente utilizzata la freccia direttamente
sull’asse per indicarne il verso piuttosto che una freccia parallela come nel testo
originale.
Ringraziamo la Zanichelli per aver acconsentito a questa riedizione, l’Acca-
demia dei Lincei per aver permesso la ristampa del necrologio di T. Levi-Civita
tenuto da U. Amaldi, tutti gli Autori che hanno contribuito all’integrazione delle
“Lezioni” e la CompoMat che ne ha permesso la realizzazione sostenendo i costi
della ricomposizione, della revisione delle bozze e dell’impaginazione dell’intera
opera.

Roma-Bologna-Perugia dicembre 2012

E.N.M. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi


Osservazioni sulle
Lezioni 1
E.N.M. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

1 Premessa
Le Lezioni di Meccanica Razionale (Lezioni nel seguito) di Tullio Levi-Civita (1873-
1941) e Ugo Amaldi (1875-1957) hanno avuto, e hanno ancora oggi, a quasi un
secolo dalla loro prima pubblicazione, un forte impatto sulla comunità dei Fisici-
Matematici italiani (e non solo). Un dato di fatto che viene espresso chiaramen-
te nel 1953 da Carlo Cattaneo nella sua recensione dell’opera per il Bollettino
dell’Unione Matematica Italiana [1]:
Ciascuno di noi, cultori italiani di Meccanica, dopo i primi rudimenti appresi nelle
aule universitarie, ha formato la propria cultura specifica principalmente sul Trattato
che oggi rivede la luce: cosicché può a buon diritto dirsi che tutti i Meccanici italiani
viventi siano, direttamente o no, allievi del Levi-Civita e dell’Amaldi; e per essi il
Trattato è sempre pronto —vero livre de chevet— per una occasionale consultazione
o per una riposata lettura.
Per questa ragione, appare fondamentale cercare di contestualizzare quest’opera
dal punto di vista storico (1 ) e di valutare in modo più sistematico il suo impatto
in relazione alla lunga tradizione Italiana nei corsi di Meccanica Razionale.
A tal fine si seguiranno tre linee di azione.

• Ricordare brevemente il panorama della manualistica o↵erta agli studenti


delle Università e delle Scuole di Applicazione italiane nel periodo antece-
dente l’uscita delle Lezioni.

• Analizzare i rapporti tra questa opera e i manuali di Meccanica che, sempre


in quell’epoca, venivano usati in Italia.

• Commentare la peculiarità delle Lezioni nel contesto internazionale.

Lo scopo di questa introduzione non è né quello di recensire le Lezioni né quello
di commentare la figura scientifica di Levi-Civita (2 ). In queste pagine si tenterà,
essenzialmente, di riassumere in modo critico alcune informazioni storiche che, si
spera, possano aiutare a ricostruire l’ambientazione delle Lezioni.

(1 )Bisogna precisare senza nessuna pretesa di fare una vera e propria trattazione storica.
(2 )Questo è tra l’altro un programma storico molto ambizioso che viene portato avanti da
diverso tempo, con scoperte di grande interesse, da professionisti di storia della Matematica. Si
veda per esempio [11].
2 Capitolo 1. Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

2 La manualistica italiana antecedente le Lezioni


Una rassegna storica completa e dettagliata dei manuali di Meccanica Razionale
pubblicati in Italia è impossibile in questa sede, anche se sarebbe particolarmen-
te interessante soprattutto relativamente al periodo che segue la critica filosofica
della Meccanica di André–Marie Ampère (1775–1836). Avventurandosi a ritro-
so nei secoli e nella letteratura specialistica o↵erta a riguardo nel nostro paese,
si nota che già prima dell’unità d’Italia era di↵uso un testo didattico di note-
vole livello: gli Elementi di Meccanica scritto dal bolognese Giuseppe Venturoli
(1768–1846), testo onorato anche dalla traduzione in lingua inglese. Nel 1859, con
il regio decreto Casati nel Regno di Sardegna e, quindi, in tutta Italia successi-
vamente all’unificazione, l’istruzione esce dal monopolio della chiesa Cattolica e
vengono istituite le Scuole di Applicazioni. Pertanto, nonostante l’analfabetismo
nell’Italia del 1861 fosse un male del 74% della popolazione, comincia a esiste-
re un mercato per i testi scolastici. Dimostrazione ne è il fatto che, in coinci-
denza con il decreto Casati, si ha la pubblicazione di tre manuali di Meccanica
molto significativi [12]: le Lezioni di Meccanica Razionale di Ottaviano Fabrizio
Mossotti (1792–1863), la Statica dei Sistemi di Forma invariabile di Francesco
Brioschi (1824–1897) e gli Elementi di Meccanica Razionale di Davide Chelini
(1802–1878).
Quando ci si accinge a leggere vecchi testi è necessaria notevole cautela, perché
esiste una sorta di principio antropico forte che crea delle aspettative particolari
nelle letture di essi.
Una tendenza, più o meno esplicita, da parte di chi legge di cercare, in un ma-
nuale di Meccanica Razionale di allora, delle caratteristiche che sono determinate
dalle consuetudini attuali. Ciò non permette una lettura obiettiva, non a caso il
mestiere delle storico è una professione difficile nella quale non è possibile improv-
visare. Sarebbe necessario ricostruire in modo dettagliato l’ambiente di studio di
allora, completamente diverso da quello attuale e, quindi, confrontare i diversi te-
sti con le esigenze didattiche di quei tempi. Ciononostante è facile convincersi che
i testi del Mossotti e del Chelini sono molto simili a quelli che ancora circolano
nelle nostre aule. Essi rappresentano una vera discontinuità rispetto al testo del
Venturoli che, non avendo chiara la platea cui si rivolgeva, risulta meno organico
e più episodico nella presentazione dei vari argomenti. A ogni buon conto, appare
ragionevole attribuire ai testi di Brioschi, Chelini e Mossotti la primogenitura della
manualistica moderna.
Nell’introduzione al primo volume delle Lezioni, tra i testi di Meccanica italiani,
ne sono citati soltanto due: quello di Gian Antonio Maggi (1856–1937) e quello di
Roberto Marcolongo (1862–1943). Nell’introduzione al secondo volume il tiro viene
aggiustato e, a questa lista magrissima, vengono aggiunte altre due citazioni, quella
del libro di Cesare Burali-Forte (1861–1931) e di Tommaso Boggio (1877–1862) e
quella del testo di Pietro Burgatti (1868–1938). Inoltre, nella commemorazione
Lincea del 1946 (3 ) Ugo Amaldi ricorda che il corso di Meccanica a Padova, tenuto
dal Levi-Civita, si ispirava direttamente a Enrico Betti (1823–1892) e Eugenio
Beltrami (1835–1900).

(3 )La commemorazione è riportata integralmente nel paragrafo 2.2.


2 La manualistica italiana antecedente le Lezioni 3

Amaldi non è molto preciso sul tipo di ispirazione che lega Levi-Civita a Betti e
Beltrami. Chiaramente, da una semplice analisi cronologica, si capisce che Amaldi
non poteva parlare di una vera e propria conoscenza diretta. Viene quindi naturale
cercare dei testi ispiratori di questi autori, anche solo litografati, di cui Levi-Civita
fosse venuto in possesso.
Da quanto ci risulta, sembra che Beltrami non abbia mai insegnato Meccani-
ca Razionale, anche se fu professore di Fisica-Matematica, e Betti scrisse il libro
Teorica delle Forze Newtoniane, che, però, nulla ha veramente a che fare con
quello che si intende per un testo di Meccanica Razionale (4 ). Si deve conclude-
re che forse Amaldi parlava di un’ispirazione indiretta trovata, per esempio, nel
linguaggio scientifico usato da Betti e Beltrami o anche nell’organizzazione ed
esposizione della materia. In particolare si deve ricordare che lo stile di Beltrami
rimane ancora oggi un esempio di lucidità e chiarezza e che, dalla prima produzio-
ne scientifica del Levi-Civita, si evince una certa ispirazione in questa direzione.
Inoltre non si deve dimenticare che Betti fu il maestro di Gregorio Ricci-Curbastro
(1853–1925).
Per quanto riguarda il Maggi, questi scrisse diversi tomi dedicati alla Meccanica
Razionale. Il primo è la Teoria Matematica del Movimento dei Corpi (1896). Di
questo libro Umberto Cisotti (1882–1946) nel 1938 scrive [3]:
Dobbiamo a questo punto esprimere il rincrescimento che il grande amore del Mag-
gi per la forma letteraria, di cui era indubbiamente signore l’abbia indotto ad usare
un linguaggio che non sempre giova alla migliore chiarezza dell’esposizione scienti-
fica. Questa circostanza ha di certo nociuto alla di↵usione del suo pensiero colto e
innovatore nell’introduzione e svolgimento dei principi della Meccanica Razionale.
Nonostante questo aspetto, che risulta ancora più evidente a un lettore contem-
poraneo, il lavoro di Maggi rimane notevole per diverse ragioni. Per prima cosa
contiene le famose equazioni di Maggi, scoperta che precede di tre anni quella
di Paul Émile Appell (1855–1930) e, quindi, contiene una trattazione profonda
del concetto di vincolo. In particolare compare l’idea di annoverare le forze di
attrito tra quelle attive. Inoltre il testo di↵onde in Italia il punto di vista del-
la Mechanik di Gustav Robert Kirchho↵ (1824–1887), opera pubblicata nel 1877
e particolarmente apprezzata da Levi-Civita. Se i manuali di Brioschi, Chelini e
Mossotti costituiscono una prima forte discontinuità innovativa rispetto a quello
del Venturoli, perché recepiscono appieno la modernità della divisione amperiana
della Meccanica, i tomi del Maggi sono una vera e propria opera di riferimento,
qualcosa di molto più profondo rispetto a un libro di testo: un vero e proprio trat-
tato. C’è da ritenere, anche perché al tomo del 1896 ne seguono numerosi altri,
che l’ambizione di Maggi fosse proprio quella di scrivere un trattato di Meccanica,
opera che in Italia mancava fino a quella data.
Il riferimento a Marcolongo, già presente nella prima edizione delle Lezioni,
merita una discussione approfondita. Entrambi erano soci Lincei e parteciparono,
nel 1895, al concorso a cattedra nel quale Marcolongo venne preposto a Levi-

(4 )Questa a↵ermazione è basata su un confronto diretto del testo di Betti con gli Elementi del
Chelini e non con un testo attuale proprio per rendere minimi i problemi già discussi a proposito
del principio antropico forte.
4 Capitolo 1. Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

Civita (il quale avrebbe poi vinto nel 1897). Va aggiunto che il testo di Marcolongo
permette di raccogliere informazioni bibliografiche interessanti e di contestualizzare
le Lezioni in un periodo fondamentale per la produzione manualistica non solo
italiana ma anche internazionale.
Nel suo libro Marcolongo fa riferimento ai testi di Maggi, alle lezioni di Filiberto
Castellano (1860–1919), alle lezioni litografate di Valentino Cerruti (1850–1909),
di cui il Marcolongo era stato assistente, e, infine, alle lezioni litografate di Levi-
Civita.
La citazione del testo di Castellano è particolarmente importante. Si deve,
infatti, ricordare che l’attività di ricerca di Castellano si dipana interamente a
contatto con Giuseppe Peano (1858–1932), che ne influenza sia i temi di studio
sia l’impostazione didattica, e che è proprio Castellano il padre dei vettorialisti
meccanici. Le sue Lezioni di Meccanica Razionale del 1894, frutto del corso tenu-
to presso l’Accademia militare è il primo testo di Meccanica Razionale in lingua
italiana dove i vettori sono usati sistematicamente nell’esposizione della cinemati-
ca, della statica, della dinamica del punto materiale e della meccanica dei sistemi
materiali.
Lo stesso Peano richiede a Castellano di
rifondare tutte le dimostrazioni, anche per metterle d’accordo cogli attuali metodi
rigorosi del Calcolo infinitesimale, su cui la Meccanica si fonda
Proprio per il loro taglio fortemente innovativo, le Lezioni del Castellano sono
ristampate nel 1911 e Peano ne loda di↵usamente, e in più circostanze, l’esposizione
chiara, semplice e precisa, sottolineando come
il metodo dei vettori incontrò dapprima l’opposizione dei misoneisti, poi seguı̀ il suo
cammino trionfale. Il Castellano potè ancora vedere questo metodo adottato in quasi
tutte le università d’Italia ed il suo libro citato come primo della schiera, nel trattato
di Meccanica Razionale del Prof. Marcolongo.
Come si vede, si ritorna ancora una volta a Marcolongo.
Tutto il decennio che va dal 1916 al 1926 vede la pubblicazione di un numero
importante di manuali, tutti da parte di personaggi legati strettamente all’am-
biente vettorialista. Si comincia nel 1916 con le Lezioni di Meccanica Razionale di
Pietro Burgatti per i tipi di Zanichelli. Il Burgatti, nato a Cento ma formatosi a
Roma, negli anni della grande guerra è professore presso l’Università di Bologna. A
causa delle vicende belliche la prima edizione di questo manuale non ebbe grande
fortuna, mentre la sua seconda edizione del 1919 riuscı̀ ad avere risonanza anche
all’estero. Burgatti era certamente vettorialista, amico e collaboratore di Cesare
Burali-Forte, di Roberto Marcolongo e di Tommaso Boggio. Peter Field, nella sua
recensione [4] americana delle Lezioni di Burgatti, ricorda
The book begins with a chapter on vector analysis containing as much of the subject
as is needed for the development of the mechanics of a rigid body, which is taken up
in the immediately following chapters.
Che l’uso del calcolo e della notazione vettoriale, che contraddistingue questo
manuale di Meccanica Razionale, sia ormai di↵uso, lo nota lo stesso Field che
aggiunge
3 Le Lezioni e la manualistica italiana 5

It is recognized that the student of mathematical physics must be familiar with vector
analysis, and texts on electricity and magnetism generally begin with a mathematical
introduction which gives the machinery required for what is to follow. More recently
the same idea is being extended to mechanics. We now have a number of books
which treat the mechanics of a rigid body and also the mechanics of continua by
vector methods, but the number is not so large but that the book under review can
find a hearty welcome.
Nonostante ciò, bisogna anche ricordare che Burgatti non sarà mai un vettorialista
estremista ovvero
The author has done well in showing no particular aversion to the cartesian coordinate
system, as a familiarity with the various quantities in both the vector and cartesian
notation is needed.
Dopo il Burgatti arriva il testo di Cesare Burali-Forte, professore all’Accademia
Militare di Torino, e di Tommaso Boggio. Siamo nel 1921, a guerra finita, e lo
scopo del manuale è quello di dare
soltanto quelle nozioni generali che sono fondamento necessario della Meccanica
Applicata.
Sempre gli autori dichiararano che
È appunto per questo suo carattere di preparazione diretta alla parte pratica, che il
nostro volume contiene, talvolta di meno e talvolta di più, di quello che contengono
i due principali e pregevoli trattati, d’indole didattica come il nostro, che abbiamo
oggi in Italia: la Meccanica Razionale del Prof. R. Marcolongo [10] che, insieme a
una notevole serie di applicazioni ed esercizi, ha note bibliografiche e storiche della
massima importanza; le Lezioni di Meccanica Razionale del Prof. P. Burgatti [2], pure
ricche di applicazioni.

Questa presentazione è certamente troppo umile. Lo stesso Peter Field [5], che
aveva recensito il volume di Burgatti e che recensisce anche questo testo, nota
The latter part of this statement is possibly misleading, as the authors do give a
systematic introduction to mechanics, using vector methods, and cover ground not
much di↵erent from what is ordinarily o↵ered in courses on mechanics in our American
universities.
Infine, è interessante notare che nel periodo subito precedente la pubblicazione delle
Lezioni, i testi di Meccanica Razionale cominciano ad avere non solo intendimenti
teorici, ma anche applicativi.

3 Le Lezioni e la manualistica italiana


Dalla discussione condotta nel paragrafo precedente appare chiaro come le Lezioni
siano state pubblicate nel momento in cui una tradizione antica, consolidata e
già riconosciuta internazionalmente (5 ), subisce una ventata di grande innovazione

(5 )Non si dimentichi, per esempio, che Mossotti fu professore in Argentina e a Corfù e che lo
stesso Michael Faraday (1791–1867) ne conosceva le opere.
6 Capitolo 1. Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

grazie ai vettorialisti (6 ) e, inoltre, comincia a guardare con maggiore attenzione


alle Scuole di Applicazione.
In questo frangente l’innovazione costituita dalle Lezioni può essere desunta da
un loro confronto con il testo di Marcolongo, che per certo, come lo stesso Peano
lascia intuire, è da considerarsi la punta di diamante del vettorialismo.
La prima di↵erenza che si nota tra i due testi è la diversa mole. Questa osser-
vazione risulta ancora più rilevante se si nota che nel Marcolongo vengono anche
trattati i continui che, invece, non troveranno posto nelle Lezioni (7 ). Al contrario
del Marcolongo, che è di fatto un libro di testo, le Lezioni sono un vero e proprio
Trattato; ma come dice Cattaneo nella sua recensione per il Bollettino dell’Unione
Matematica Italiana
L’opera ha, nel suo complesso, carattere molto elevato e fortemente concettuale,
giungendo a svolgere questioni di grande complessità o di estrema sottigliezza, ma
l’esposizione è sempre piana, graduale, cosı̀ che dalle prime nozioni elementari di
Calcolo vettoriale o di Cinematica, accessibili allo studente in possesso dei primissi-
mi elementi dell’Analisi, si è portati quasi insensibilmente alle questioni più elevate
della Meccanica Analitica, che non tanto una più profonda preparazione matematica
quanto una vera maturità di pensiero permette di penetrare compiutamente.
Questa struttura, messa cosı̀ bene in evidenza dal Cattaneo, assieme alla capacità
di condurre il lettore con estrema naturalezza dalla Meccanica alle sue frontiere
con la Fisica e la Tecnica, rende le Lezioni un testo didattico fenomenale.
Rispetto a tutta la manualistica citata in precedenza, e non solo in relazione
al volume del Marcolongo, saltano subito all’occhio tre di↵erenze principali.
• L’approccio alla Meccanica Analitica e Hamiltoniana. Soprattutto è note-
vole come tutti gli argomenti in questo campo siano stati trattati con oc-
chio geometrico; per esempio, l’idea di trasformazione e di semplificazione,
geometrica è sempre presente.
• Il modo esaustivo con cui vengono trattati i diversi argomenti; prova evidente
ne sono i capitoli dedicati alla dinamica dei corpi rigidi.
• Infine si deve osservare l’enorme interesse per le questioni della tecnica, come
appare evidente dai numerosi esercizi dedicati a meccanismi e applicazioni
industriali e dai capitoli come il XIV1 dedicato alla Statica Grafica.
In conclusione, le Lezioni non possono essere confrontate con fair play con i li-
bri di Meccanica Razionale che le hanno precedute. Si innestano, sicuramente e
con beneficio diretto, nell’importante processo innovativo che avevano portato a
compimento i vettorialisti, ma hanno uno spessore e una pretesa che forse solo

(6 )Per chi volesse dare concretezza alle di↵erenze introdotte dai vettorialisti si consiglia la
lettura del volume del 1896 del Maggi a pagina 128 dove inizia il paragrafo dedicato al movimento
parabolico. Questo paragrafo deve essere confrontato con la pagina 199 del Marcolongo. Il Maggi
contiene un chiaro richiamo a tutto quello che possiamo chiedere a un serio libro di Meccanica
Razionale moderno. Nonostante ciò il linguaggio, il continuo richiamo a risultati di Geometria e
Analisi, il mescolare i vari argomenti in modo caotico ci permette di capire quanto si sia ancora
lontani dalla sintesi logica del Marcolongo.
(7 )Lo studio dei continui, annunciato nella prefazione al primo volume, venne in e↵etti
introdotto nel Compendio, il cui testo è riportato in questo volume ai Capitoli 3–7.
4 Le Lezioni e il contesto internazionale 7

i tomi del Maggi avevano tentato. Le Lezioni, quindi, devono molto ai vettoria-
listi, i quali avevano preparato il terreno a una trattatistica moderna, ma certa-
mente nessuno dei manuali citati in precedenza può essere veramente confrontato
con le Lezioni. A ciò va aggiunto che la struttura e la chiarezza espositiva, cer-
tamente dovute alle capacità dell’Amaldi, regalano alle Lezioni il lusso di poter
essere usate come libro di testo, anche nelle Scuole di Applicazione. Non è un
caso che la Zanichelli abbia poi lanciato un’opera più snella e semplificata con
il Compendio.

4 Le Lezioni e il contesto internazionale


La collocazione delle Lezioni nel panorama internazionale merita alcune conside-
razioni preliminari. La prima riguarda la di↵erenza molto formale che nel mondo
aglosassone hanno le denominazioni treatise e handbook. Parole di cui fino ad ora
abbiamo fatto un uso abbastanza ingenuo. Secondo il dizionario Oxford per treati-
se (trattato) si deve intendere a written work dealing formally and systematically
with a subject, mentre per handbook (che secondo la tradizione italiana risalente a
Hoepli si traduce in manuale) si deve intendere a book giving information such as
facts on a particular subject or instructions for operating a machine.
Le Lezioni sono un trattato ed è quindi con questa categoria di lavori che si
deve cercare un confronto. Questa operazione non è facile, ma rimane comunque
possibile raccogliere un certo numero di informazioni oggettive sulle di↵erenze tra
le Lezioni e i testi sacri della Meccanica che circolavano in quel tempo partendo,
per esempio, da un confronto diretto tra le Lezioni e i trattati che gli stessi Levi-
Civita e Amaldi ammettono di aver consultato. In questo confronto non deve essere
dimenticata la struttura particolare delle Lezioni che, pur essendo un trattato,
permettono facilmente di isolare le informazioni necessarie a costruire un “manuale
operativo” per un corso universitario.
Bisogna, poi, tenere a mente la dicotomia che in paesi più industrializzati del-
l’Italia era presente tra quella che possiamo ancora indicare come Meccanica Ra-
zionale (o se si preferisce generale) e Meccanica Applicata. Questa separazione,
che sembrava innescarsi anche in Italia, viene di fatto congelata dalla riforma
Gentile nel 1923. Infatti, dopo tale riforma, i piani di studio delle Facoltà di In-
gegneria dell’epoca sono caratterizzati da un biennio propedeutico svolto presso
la Facoltà di Scienze e da un triennio successivo ove viene impartita una forma-
zione ingegneristica. Questa organizzazione ha sicuramente influito sulla struttu-
ra delle Lezioni rendendo non sempre semplice il confronto di queste con altre
opere.
Infine, va notato che nell’analisi delle reazioni internazionali alla pubblicazione
delle Lezioni si devono tenere ben separate le considerazione personali sullo sta-
tus internazionale delle Lezioni e dall’e↵ettivo grado di considerazione che questo
trattato ha ricevuto. In particolare la nostra discussione non a↵ronta il tema della
rilevanza internazionale della figura di Levi-Civita, sulla quale non vi è alcun dub-
bio e molto è stato già scritto, ma si limita all’accoglienza riservata dalla comunità
internazionale alle Lezioni.
A questo proposito è molto esplicita la recensione scritta da K.P. Williams [17];
in particolare l’incipit non lascia molti dubbi
8 Capitolo 1. Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

These books take their place along with such treatises as those of Routh, Appell,
Budde, Resal, and Lecornu, both in quality and extensiveness.

Ancora, nella recensione sulla stessa rivista del Compendio [9], D.C. Lewis comin-
cia cosı̀:
The two thousand page work by the same authors, entitled Lezioni di Meccanica
Razionale, has already been adequately reviewed by K.P. Williams (this Bulletin,
vol. 36, p. 781). It is one of the great standard works on mechanics of almost an
encyclopaedic nature.

Anche in Francia l’accoglienza fu entusiastica. Nella Revue gènèrale des sciences


pures et appliquèes il primo volume venne recensito nel 1926 dal collaboratore di
Elie Cartan il matematico George Bouligand (1889-1979) e il secondo nel 1927
da L. Potin [14]. Entrambi descrivono un’opera magistrale dalle caratteristiche
peculiari; bellissima la chiusura della recensione sempre del Petitot della seconda
edizione sempre sulla stessa rivista [13]
Cet ouvrage o↵ert au public dans des conditions auxquelles nous ne sommes plus
habitués en France est en tout point digne de la réputation mondiale de M. Levi-Civita
dont le nom est garante de la valeur didactique de ce beau cours de mécanique.

Naturalmente la collezione di recensioni potrebbe continuare, ma niente di vera-


mente nuovo viene ad aggiungersi a una lista di elogi ed entusiastici commenti.
Tra tutti quelli dei francesi sono i più rilevanti in quanto la tradizione gallica nella
manualistica meccanica non ha avuto eguali.
Le considerazioni che riguardano i rapporti tra Meccanica Razionale e Ap-
plicata sono invece fondamentali per capire alcune peculiarità delle Lezioni. La
tradizione dei corsi di Meccanica Razionale in Italia è sicuramente influenzata dal-
la scuola francese. Dopo gli anni del pieno positivismo dove la Meccanica viene
indicata come la Scienza a cui tutte le altre devono tendere asintoticamente comin-
cia un infinito e pedante distinguo tra facce della stessa medaglia. Per esempio,
Lèon Lecornu (1854–1940) scrive una serie di trattati [6, 7, 8] importanti. Già
nell’introduzione del primo di questi tomi, che risale al 1908, Lecornu si lancia
in un accorato richiamo alla riunione tra teoria e applicazione nella trattazio-
ne e nell’insegnamento della Meccanica. Tale problematica era sentita in modo
molto vivo dai Francesi che, forse per primi, hanno elevato la Meccanica Teori-
ca a disciplina puramente matematica e quindi per primi hanno vissuto i pro-
blemi che derivano da questa separazione artificiale nella tassonomia del sapere
scientifico. Si pensi, per esempio, al testo del 1910 di M.H. Bouasse (1866–1953),
Cours de mécanique rationnelle et expérimentale che, come sottotitola il volume,
è spécialement écrit pour les physiciens et les ingénieurs conforme au programme
du certificat de mécanique rationnelle. L’Avant Propos di questo libro contiene un
inizio brillantissimo a riguardo
Les postulats de la Mécanique rationnelle tiennent en quelques lignes. Comme il
ne s’agit pas plus de les démontrer que n’importe quel autre principe, un Cours de
Mécanique rationnelle est une collection d’exemples qui leur servent d’illustration.
Les Cours ne di↵érent donc que par le choix des exemples et l’esprit dans lequel on
les traite, ce qui suffit a les rendre très dissemblables.
4 Le Lezioni e il contesto internazionale 9

Di fatto tutta la prefazione di questo libro è particolarmente interessante, un


vibrato richiamo a una Meccanica sı̀ razionale, ma anche ragionevole.
Questo è proprio ciò che rende preziose le Lezioni. Un trattato di Meccanica
Razionale molto ragionevole, forse grazie alla già discussa compresenza delle Scuole
di Applicazione e delle Università, che non ha mai permesso voli pindarici. In
questo le Lezioni sono vicine alla tradizione anglosassone che, però, pecca del
difetto opposto. Si capisce bene, ora, cosa intende il Cattaneo quando a↵erma che
il Trattato riesce a condurre il lettore alla soglia delle moderne teorie fisiche o
dei vasti domini della Tecnica. Ben diverso è da questo punto di vista il trattato
dell’Appell, che sicuramente deve essere inteso come un punto fermo per tutta
la Meccanica Razionale; nonostante la presenza di numerosi esempi di interesse
tecnico, non si può negare che esista un velato snobismo tipico del professore delle
Facoltà di Scienze. Un’atmosfera completamente estranea alle Lezioni.
Veniamo, ora, alla questione più spinosa: in cosa di↵eriscono e in cosa miglio-
rano le Lezioni i grandi trattati dell’epoca? Si pensi, per esempio, ai già citati
volumi dell’Appell o a quello di Lord Rayleigh (John William Strutt, third Baron
Rayleigh, 1842–1919). Anche a questo proposito, preferiamo limitarci a mettere
in evidenza alcuni fatti ben precisi che possano aiutare il lettore a rispondere al-
la domanda. Una questione certamente interessante viene suggerita sempre dal
Williams nella recensione già citata
The second part of volume II opens with the systematic study of the rigid body,
and the matter is carried through about 300 pages. Then comes the portion of
the work that one looks through with particular interest the discussion of the more
advanced aspects of dynamics. In such questions as the derivation and discussion
of the canonical equations, the avoidance of an extreme terseness is particularly
welcome. The transformation theory of dynamics, of which there are not many clear
and satisfactory expositions, can be read here with understanding.
In realtà l’interesse per le trasformazioni si legge non solo in questo frangente,
ma in diversi punti delle Lezioni, per esempio quando a proposito dell’equivalenza
vettoriale si introduce il concetto di equivalenza dinamica. Questo sembra non
essere un fatto accidentale, ma un risultato dell’impatto che ha avuto su tutta
la produzione scientifica di Levi-Civita l’opera di Felix Christian Klein (1849–
1925). Non dimentichiamo che, nel famoso lavoro del 1900 di Ricci-Curbastro e
Levi-Civita [15], si a↵erma che
Lorsqu’on se pose ex–novo un certain problème, il suffit de supposer ses éléments
déterminatifs exprimés en variables tout à fait générales, et de substituer la dérivation
covariante . . . à la dérivation ordinaire, pour que les équations du problème se
présentent sans aucun e↵ort sous forme invariantive. Comme nous le verrons dans
plusieurs applications, c’est là le grand chemin, qu’il faut suivre, lorsqu’il s’agit de
théories générales, et lorsqu’on a pour but une exposition systématique de ces théories.
Certamente questa visione peculiare di gran parte della produzione scientifica del
Levi-Civita permea le Lezioni e non può essere ritrovata in nessun altro trattato
contemporaneo. Mentre con sicurezza si può a↵ermare che alcuni capitoli delle
Lezioni sono profondamente influenzati da altri trattati, come per esempio l’Appell
(si pensi al capitolo sulla dinamica dei corpi rigidi), è d’altro canto difficile ritrovare
nei libri che precedono le Lezioni un’esposizione, non solo per quanto riguarda gli
10 Capitolo 1. Osservazioni sulle Lezioni E. Cirillo, G. Maschio, T. Ruggeri, G. Saccomandi

argomenti avanzati, ma anche gli argomenti elementari (si veda per l’appunto
il concetto di equivalenza dinamica), cosı̀ chiaramente fedele alla dichiarazione
sopracitata (8 ).
In conclusione, è nostra opinione, che le Lezioni brillino nel coevo panorama
internazionale principalmente per due motivi. In primo luogo, nonostante un’im-
postazione rigorosa e scientifica, le Lezioni si interessano sempre e con profondità
alle applicazioni tecniche. Spesso è proprio dagli aspetti tecnici della Meccanica
che le Lezioni traggono lo spunto per approfondimenti più sistematici e scientifi-
ci. In secondo luogo, il punto di vista kleiniano delle Lezioni è forte e profondo
ispiratore di tutta l’opera. Un fatto molto originale nel panorama dei trattati di
Meccanica Razionale che si apprezza soprattutto nell’ambito degli argomenti più
avanzati di Meccanica Analitica, ma che è presente in ogni capitolo, anche in quelli
più elementari.

5 Conclusione
L’impatto nella comunità Fisico-Matematica italiana delle Lezioni è stato illustrato
già all’inizio di questa introduzione grazie alle incisive parole della recensione di
Carlo Cattaneo. Per illustrare meglio questo aspetto, si riporta la prima parte della
frizzante poesia di Carlo Cercignani intitolata 1921
Il pendolo semplice e il verso
degli angoli, coppie e momenti,
e l’orientazione dei segmenti,
che sembrano avere un po’ perso
quel ruolo di bei caposaldi,
che noi studiavamo convinti
sui tomi, a caratteri stinti,
del buon Levi Civita-Amaldi;
Un incipit che ricorda in modo scherzoso il ruolo delle Lezioni per chi in Italia fosse
interessato, non solo a studiare la Meccanica, ma a cominciare in questa disciplina
la sua carriera. Di fatto i volumi di Meccanica Razionale dati alle stampe dopo
le Lezioni non hanno potuto fare a meno di pagare un pegno pesante alle stesse.
Certamente nel tempo molte cose sono cambiate, soprattutto negli ordinamenti e
nelle esigenze didattiche dell’Università italiana. I corsi di laurea in Fisica hanno
sempre più considerato come obsoleta la Meccanica Razionale, almeno nella sua
struttura classica, i corsi di laurea in Ingegneria hanno separato sempre più net-
tamente il biennio dalle Scienze. Infine, la disastrosa riforma del 3+2 ha svilito i
corsi di Meccanica Razionale a causa di una drastica riduzione delle ore di inse-
gnamento anche per far posto ad altre discipline. In particolare nelle Facoltà di
Ingegneria spesso la Meccanica Razionale è stata in parte assorbita nei corsi di
Meccanica Applicata o di Scienza delle Costruzioni.

(8 )Per questa ragione e per il fatto che sia Levi-Civita sia Amaldi hanno sempre dimostrato
un interesse particolare per il lavoro di Marius Sophus Lie (1842–1899), non si può non notare
l’assenza dalle Lezioni del teorema di Amalie Emmy Noether (1882–1935). Questa mancanza è,
secondo noi, un a↵ascinante problema storico.
5 Conclusione 11

Dopo la seconda guerra mondiale sembra essere scoccata l’ora per una nuova gene-
razione di trattati esemplificata dal Foundations of Mechanics di Ralph Abraham
e Jerrold Eldon Marsden (1942–2010) oppure dai Metodi Matematici della Mec-
canica Classica di Vladimir Igorevich Arnold (1937–2010). Testi di grandissimo
valore, ma che forse non hanno avuto un impatto confrontabile con il corpus di
cui si diceva.
Dopo i testi di Appell e le Lezioni non è stato più possibile insegnare la Mec-
canica come si faceva prima della loro pubblicazione e questo a qualunque livello.
I testi di Arnold e di Abraham e Marsden hanno sicuramente avuto un forte im-
patto sull’attività di ricerca di molti cultori di Fisica-Matematica, hanno aiutato a
confezionare corsi specialistici e a riscrivere parte delle nostre lezioni introducendo
risultati recenti molto importanti (si pensi al teorema KAM [cfr. cap. 16, §6]).
Nonostante ciò, questi testi non hanno promosso un cambiamento epocale analogo
a quello conseguente all’introduzione del calcolo vettoriale. Un cambiamento che
ha portato con sé, non solo la possibilità, ma addirittura la necessità di riscrivere
il sapere Meccanico e questo a tutti i livelli di profondità.
Il sapore geometrico dei testi di Abraham e Marsden e di Arnold era da una
parte già compreso nella visione che era stata introdotta nei metodi del calcolo
assoluto di Ricci e Levi-Civita e dall’altra rimane ancora troppo macchinoso per
essere universalmente utilizzato a livello didattico. Per fare un parallelo si potrebbe
considerare il classico tomo di Cli↵ord Ambrose Truesdell (1919–2000) e Walter
Noll The Non-Linear Field Theories of Mechanics. L’impatto di questo trattato
non è stato determinato solo dalle sue dimensioni enciclopediche, ma soprattutto
dal fatto che la sua genesi coincide con un momento storico particolare, in cui l’uso
dell’Algebra Lineare nell’ambito della meccanica dei continui si di↵onde e viene
accettato dalla comunità. Questo è lo strumento matematico che permette all’idea
enciclopedica alla base del trattato di non ridurre lo stesso a una semplice lista,
ma a caratterizzarlo come una vera e utile sintesi.
Si nota infine, con rammarico, che la letteratura del dopo guerra che oggi si
considera più innovativa, spesso ignora le Lezioni. Solitamente il tributo con il
passato viene saldato con una citazione all’Appell o a qualche altro classico anglo-
sassone. Spesso viene citato il volume del 1929 The Absolute Di↵erential Calculus
del solo Levi-Civita, ma difficilmente ci si accorge della peculiarità moderna delle
pagine delle Lezioni sui sistemi hamiltoniani. Pagine, che in realtà, sono in perfet-
ta sintonia con gli sviluppi che sarebbero stati successivamente proposti da autori
come Marsden e Tudor Ratiu, ma sui quali ancora oggi non si riesce a convergere
per la mancanza di un contesto unificatore.
L’evoluzione dei testi di Meccanica Razionale italiani successivi alla pubblica-
zione delle Lezioni trova una sintesi nella già citata poesia di Cercignani:
Quel mondo si è rotto ed ormai
i giovani studiano a caso
le cose più strane e col vaso
Pandora ancor semina guai!
certi equilibri son rotti
e circolan libri un po’ strani
che scrivono, qui, il Cercignani,
e, un pò più in là, il Gallavotti.
12 Bibliografia

Sicuramente alcuni autori, dopo le Lezioni, hanno osato molto di più di altri,
ma anche in questi casi un richiamo alle Lezioni appare sempre presente. Questa
osservazione, soprattutto a livello internazionale, non coinvolge solo le Lezioni,
ma tutto quel corpus di trattati che avevano visto la luce con gli albori del XX
secolo. Trattati che spesso erano caratterizzati da un uso finalmente confidente e
universale del calcolo vettoriale.
Alcuni dei testi pubblicati, come Spazio, Tempo e Movimento (9 ) di Cercignani,
appaiono più moderni di altri. In particolare, questo testo si di↵erenzia delle Lezio-
ni proprio per il tentativo di aggiornare alcuni argomenti con i risultati moderni.
Questa idea è ancora più evidente nella monografia di G. Gallavotti. Nonostante
ciò l’attenzione che questi manuali hanno nei confronti dei dettagli per quanto ri-
guarda anche le parti più elementari della Meccanica sono tipici di trattati come le
Lezioni. Un’attenzione che si ritrova anche nell’Arnold, ma non nei trattati anglo-
sassoni moderni, che spesso discutono con superficialità la Meccanica elementare
e aprono le porte alla perpetuazione di errori interpretativi non trascurabili (10 ).
Non bisogna dimenticare, infine, anche che originalità nel ripensare la Mecca-
nica Razionale si ritrova in molti altri testi. Lo stesso Antonio Signorini, diretto
allievo del Levi-Civita, produce un manuale con diversi momenti di grande origi-
nalità e ugualmente si può dire dei manuali di P. G. Bordoni e G. Grioli. In ogni
caso, come più volte già detto, le Lezioni rimangono un faro ed è per questo che
si confida che una loro riedizione a quasi cento anni dalla loro prima stampa, sia
un fatto editoriale importante.

Bibliografia

[1] Bollettino dell’Unione Matematica Italiana, serie 3, volume 8 (1953), n. 1, p. 83–93.

[2] P. Burgatti, N. Zanichelli, Bologna; 2a ediz., 1918.

[3] U. Cisotti, Milan Journal of Mathematics Volume 12, Number 1, 167-189.

[4] P. Field, Bull. Amer. Math. Soc. Volume 28, Number 1-2 (1922), 64–65.

[5] P. Field, ibidem p. 71.

[6] L. Lecornu, Cours de mècanique, Paris, Gauthier-Villars, 1914-1918.

[7] L. Lecornu, Dynamique appliquèe, Paris, Doin, 1908.

[8] L. Lecornu, La mècanique, les idèes et les faits, Paris, Flammarion, 1918.

[9] D.C. Lewis, Bull. Amer. Math. Soc. Volume 47, Number 11 (1941), 847-848.

[10] R. Marcolongo, Manuali Hoepli 2a ed., 1918.

(9 )A proposito di questo titolo alquanto efficace e comunicativo per un testo di Meccanica


Razionale si deve notare che A.V. Vasiljef scrive con lo stesso titolo un’introduzione storica alla
relatività nel 1924.
(10 )Un esempio concreto di questi errori è il teorema del moto del baricentro. Si veda a
riguardo [16].
Bibliografia 13

[11] P. Nastasi and R. Tazzioli, Towards a scientific and personal biography of Tullio
Levi-Civita (1873-1941), Historia Mathematica, 32 (2005) 203–236

[12] G. Novi, Annali di Matematica Pura ed Applicata (1858 - 1865) 3 (1860) 245–251.

[13] L. Petitot, Revue gènèrale des sciences pures et appliquèes, 41 (1930) 281.

[14] L. Potin, Revue gènèrale des sciences pures et appliquèes, 38 (1927) 481.

[15] G. Ricci Curbastro & T. Levi Civita, Mèthodes de Calcul di↵èrentiel absolu et
leurs applications, Mathematische Annalen, 54, 125-201, 1900.

[16] G. Saccomandi, On the motion of the centre of mass of a system of particles, Eur.
J. Phys. 31 (2010) 657.

[17] K.P. Williams, Bull. Amer. Math. Soc. 36 (1930), 781-782.

Emilio Nicola Maria Cirillo


Sapienza Università di Roma
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria
Sezione Matematica
e-mail: emilio.cirillo@uniroma1.it

Giovanni Maschio
Sapienza Università di Roma
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria
Sezione Matematica
e-mail: giovanni.maschio@uniroma1.it

Tommaso Ruggeri
Università degli Studi di Bologna
CIRAM
e-mail: ruggeri@ciram.unibo.it

Giuseppe Saccomandi
Università degli Studi di Perugia
Dipartimento di Ingegneria Industriale
e-mail: saccomandi@mec.dii.unipg.it
Grandezze e assiomi
10
P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Introduzione
Nelle Lezioni, cosı̀ come nella maggior parte dei testi di Meccanica razionale, le
grandezze sono trattate, per lo più, solamente per quanto riguarda le loro misure
piuttosto che nella loro definizione. In particolare per quanto riguarda le masse,
vengono adottate definizioni che non soddisfano il rigore che normalmente si richie-
de a un trattazione matematica. Anche per quanto riguarda i postulati si cerca
di specificare un po’ meglio la formulazione di Newton ma, nella sostanza, essa
rimane inalterata.
Le critiche di Mach [9, 10] e Painlevé [11, 12] al metodo di enunciazione delle
leggi, sono state riprese in tutto o in parte da alcuni autori [7, 13] ma la maggior
parte dei testi si rifà, come nelle Lezioni, all’enunciato originale di Newton. Tra
gli autori di questo contributo, le critiche citate sono state oggetto di lunghe di-
scussioni che hanno portato a risultati nuovi [5, 6] e a una formulazione diversa
dall’usuale, che a noi è sembrata sufficientemente chiara e dettagliata. Si hanno,
cosı̀, delle definizioni rigorose delle grandezze fondamentali e una suddivisione de-
gli assiomi della meccanica che mette in luce i diversi risvolti che compaiono nella
formulazione tradizionale.
Nel seguito viene riportata una sintesi, di quanto compare in [3, 4, 5, 6], essa
è, però, opera del solo terzo autore essendo gli altri due deceduti; eventuali errori
vanno pertanto attribuiti a lui soltanto.

1 Grandezze scalari e vettoriali


1 Solidi e corpi rigidi Si chiamano solidi i corpi per i quali ogni possibile
confronto per sovrapposizione di spigoli o facce del loro contorno dà risultati sen-
sibilmente (1 ) ripetibili, transitivi e indipendenti dalle condizioni del confronto; i
metalli, i marmi, i legni forniscono altrettanti esempi di questo tipo.
La precedente definizione ha un diretto significato operativo e non presuppone
l’introduzione delle nozioni metriche di lunghezza, area e volume: sono invece que-
ste ultime che traggono la loro origine dal comportamento sperimentale dei solidi.
Attribuendo in maniera completa le proprietà sensibilmente possedute dai diversi

(1 )Si vuol dire che le di↵erenze tra i risultati sono sperimentalmente inapprezzabili oppure si
presume che siano trascurabili in un certo campo di fenomeni.
188 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

solidi a uno schema ideale di corpo rigido, si può dedurre, come si vedrà nei
paragrafi successivi, la nozione di lunghezza.

2 Lunghezza e spazio euclideo Per indicare che due o più spigoli rettilinei ap-
partenenti a solidi diversi sono totalmente sovrapponibili, si dice che essi hanno
la medesima lunghezza, o meglio, si attribuisce la stessa lunghezza ai corrispon-
denti spigoli dei corpi rigidi che rappresentano idealmente i solidi. Una lunghezza
è quindi la classe di equivalenza (2 ) costituita da tutti gli spigoli dei corpi rigidi
che sono totalmente sovrapponibili tra loro.
La nozione di lunghezza desunta dal confronto per sovrapposizione dei solidi, è
indipendente dalla direzione che hanno nello spazio i segmenti cui essa si applica:
come è noto uno spazio che possieda questa proprietà e nel quale valgano i postulati
della geometria elementare si chiama spazio euclideo (tridimensionale); nella
meccanica ci si serve sistematicamente di spazi di questo tipo.
Ogni solido che contenga almeno tre punti A, B, C non allineati, individua o
genera un determinato spazio euclideo che viene, quindi, associato ad esso. Attri-
buito un orientamento al piano ABC, il generico punto P dello spazio solidale al
corpo è individuato dalle lunghezze dei tre segmenti P A, P B, P C, nonché dalla
sua appartenenza al semispazio limitato dalla faccia positiva o da quella negativa
del piano orientato.

3 Durata degli intervalli di tempo Per definire la durata di un intervallo di


tempo, si segue un procedimento analogo a quello di cui ci si è serviti per introdurre
la nozione di lunghezza.
Si consideri un fenomeno relativo a un determinato gruppo di corpi: si dice
che le sue parti K e K 0 sono l’una la ripetizione dell’altra (3 ) quando è possibile
distinguere K da K 0 soltanto perché sono associate a intervalli di tempo diversi,
mentre sotto ogni altro aspetto K è indistinguibile da K 0 nell’ambito del gruppo
di corpi considerato. Il “moto apparente delle stelle”, costituito dai diversi aspetti
che esse successivamente presentano a un osservatore terrestre, fornisce un esempio
di fenomeno formato da innumerevoli ripetizioni di ciascuna sua parte.
Una parte K1 di un determinato fenomeno è totalmente sovrapponibile nel
tempo a una parte K2 di un fenomeno diverso, quando esiste una ripetizione K10
di K1 il cui inizio e la cui fine siano rispettivamente simultanei all’inizio e alla fine
di K2 o di una sua ripetizione K20 .
Si chiamano cronometrici quei fenomeni per i quali ogni possibile confronto
per sovrapposizione tra le loro parti, e↵ettuato attraverso la ripetizione delle parti
stesse, dà risultati “sensibilmente” transitivi e indipendenti dalle particolari ripeti-
zioni considerate, nonché da fenomeni contemporanei relativi ad altri corpi. Oltre
al moto apparente delle stelle, taluni fenomeni atomici, come pure i moti di de-
terminati apparecchi (pendoli, orologi), forniscono altrettanti esempi di fenomeni
cronometrici.

(2 )La relazione di totale sovrapponibilità è per sua natura riflessiva e simmetrica; per i corpi
rigidi è anche transitiva ed è quindi una relazione d’equivalenza.
(3 )Il termine ripetizione è usato in senso lato e non implica l’idea di successione.
1 Grandezze scalari e vettoriali 189

Per indicare che due o più parti K1 , K2 , . . . di fenomeni cronometrici distinti sono
totalmente sovrapponibili nel tempo attraverso le loro ripetizioni, si dice che esse
hanno la medesima durata, o meglio, si attribuisce la stessa durata agli inter-
valli di tempo associati a K1 , K2 , . . . Una durata è quindi la classe di equivalenza
costituita da tutti gli intervalli di tempo sovrapponibili tra loro attraverso le ripe-
tizioni di parti di fenomeni cronometrici. Nell’introduzione del concetto di durata
i fenomeni cronometrici hanno un ufficio analogo a quello che i corpi solidi hanno
nell’introduzione del concetto di lunghezza.
Nell’ambito dei fenomeni di moto ordinari di cui si occupa la Meccanica clas-
sica, si ammette, in accordo con l’esperienza, che i diversi osservatori possono
scambiare tra loro dei segnali in maniera tale da attribuire un significato oggettivo
alle nozioni di simultaneità e di successione (4 ). Di conseguenza anche la durata
degli intervalli di tempo ha un significato oggettivo, comune a tutti gli osservatori.
Si dice inoltre che il tempo di cui ci si serve nella Meccanica classica è desunto dal
moto apparente delle stelle per indicare che ci si serve sistematicamente di que-
sto particolare fenomeno cronometrico per individuare le durate degli intervalli di
tempo.

4 Grandezze scalari fondamentali Per precisare i diversi aspetti dei fenomeni


di moto e le proprietà dei corpi che interessano in tali fenomeni, si introducono
degli insiemi di grandezze {Q} [1] costruiti sul modello dell’insieme delle lun-
ghezze {L}. Ogni grandezza Q 2 {Q} può essere espressa, mediante un opportuno
algoritmo, come “prodotto” di un’altra grandezza dello stesso insieme, scelta ar-
bitrariamente come unità di misura UQ , per un numero reale non negativo qU
che è la misura di Q rispetto a UQ . Tali “prodotti” pur essendo operativamente
ben diversi da quelli tra i numeri reali, possiedono alcune delle proprietà formali di
questi ultimi. Ciò consente di risolvere rispetto a qU la relazione formale Q = qU UQ
e di esprimere la misura come rapporto (5 ) tra la grandezza e l’unità
Q
qU = ;
UQ
inoltre, per tre grandezze qualsiasi Q1 , Q2 , Q3 di un medesimo insieme {Q}, si ha
Q1 Q1 Q2 Qi
(1) = e = 1,
Q3 Q2 Q3 Qi
come nel caso dei rapporti tra numeri reali.
Se si indica con qV = Q/VQ la misura di Q rispetto a un’unità VQ appartenente
al medesimo insieme ma distinta da UQ , identificando ordinatamente Q1 , Q2 , Q3
con Q, UQ , VQ , dalla (1) si ha
qU VQ
(2) = ,
qV UQ
che esprime la

(4 )Questa ipotesi è invece in contrasto con l’esperienza nel più vasto campo di fenomeni di cui
si occupa la Meccanica relativistica.
(5 )Naturalmente questo rapporto è definito da un algoritmo diverso per ogni insieme di
grandezze, si veda il caso delle lunghezze nell’esempio 5.
190 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Prima proprietà delle misure Il rapporto tra le misure di una medesima grandezza
rispetto a due diverse unità eguaglia l’inverso del rapporto tra le corrispondenti
unità.

Se Q0 è un’altra grandezza dello stesso insieme {Q}, indicando rispettivamente con


0
qU e 0V le sue misure rispetto a UQ e a VQ , dalla (1) si ha inoltre

qU qV Q
(3) 0 = q 0 = Q0 ,
qU V

che esprime la
Seconda proprietà delle misure Il rapporto tra le misure di due grandezze appar-
tenenti a un medesimo insieme rispetto a una comune unità, risulta indipendente
dalla scelta di quest’ultima ed eguaglia il rapporto tra le grandezze.
Si dice che due grandezze sono omogenee o eterogenee tra loro secondo che esse
appartengano a un medesimo insieme oppure a insiemi i quali siano distinti in base
alla loro costituzione oppure alla definizione dei rapporti tra le grandezze.
Quando si scelga arbitrariamente una grandezza come unità, ogni altra gran-
dezza omogenea con essa risulta associata alla sua misura; risulta quindi possibile
rappresentare le grandezze di ciascun insieme mediante i numeri positivi (6 ), come
si fa per le lunghezze. Questa rappresentazione costituisce uno dei fondamenti del-
la Meccanica poiché fornisce i mezzi necessari a “tradurre” i problemi meccanici
in problemi algebrici o analitici.
Le grandezze misurabili si chiamano anche scalari poiché esse possono essere
rappresentate in scala su una semiretta, associando al punto P di ascissa x la
grandezza Q la cui misura qU eguaglia x (fig. 10.1); la scala della rappresentazione
è determinata dalla scelta delle unità per le Q e per le ascisse.

UQ Q {Q}

0 1 qU x

Figura 10.1. Rappresentazione di un insieme di grandezze su una semiretta.

Come si fa per le lunghezze, conviene completare ciascun insieme di grandezze


mediante l’aggiunta della grandezza nulla, associata al valore zero della misura
qualunque sia l’unità di misura scelta (7 ).
Il primo insieme di grandezze scalari che si introduce nella Meccanica è quello
costituito dalle durate degli intervalli di tempo {T }. La somma delle durate si

(6 )Si postula che, comunque si scelgano una grandezza e un numero positivo, esista una
grandezza eguale al loro prodotto.
(7 )In fisica vengono introdotte delle grandezze che non godono di queste proprietà essendo
definite come “medie” di altre grandezze, un esempio sono le temperature.
1 Grandezze scalari e vettoriali 191

definisce valendosi di intervalli consecutivi aventi a due a due un solo istante co-
mune. In base a tale definizione, il prodotto di una durata per un numero possiede
proprietà formali analoghe a quelle del prodotto di una lunghezza per un numero
(n. 5); l’insieme delle durate, o come si dice abitualmente, l’insieme dei tempi,
assume quindi la struttura di un insieme di grandezze scalari.
Le lunghezze e le durate forniscono quanto basta a rappresentare quantita-
tivamente i fenomeni meccanici; per formulare, in base all’esperienza, delle leggi
relative a tali fenomeni, occorre introdurre un terzo insieme di grandezze scalari,
le masse {M}, eterogenee rispetto alle lunghezze e ai tempi.
Senza entrare per il momento in dettagli sulla maniera di introdurre queste
nuove grandezze (n. 10), basta tener presente che esse formano, insieme con le
lunghezze e i tempi, una terna di insiemi di grandezze mutuamente indipendenti,
nel senso che, assegnando unicamente grandezze appartenenti a due di tali insiemi,
senza fare riferimento ad alcun particolare fenomeno, non è possibile individuare
grandezze appartenenti al terzo insieme.
Alle lunghezze, ai tempi e alle masse si dà il nome di grandezze fondamentali
della Meccanica sia per il loro significato sia perché da esse si ricavano tutte le altre
grandezze che servono a precisare i diversi aspetti dei fenomeni e a formularne le
leggi.

5 Un esempio: le lunghezze Sia {L} l’insieme delle lunghezze completato con


la lunghezza nulla e siano L1 e L2 2 {L} due lunghezze dell’insieme; si definisce
somma delle due lunghezze la lunghezza L1 + L2 (che si indica con il medesimo
simbolo usato per l’analoga operazione tra numeri reali) ottenuta con il seguente
algoritmo: si prende una semiretta e si sceglie su di essa un rappresentante (8 )
P1 P2 di L1 a partire dall’origine della semiretta, poi si prende un rappresentante
P2 P3 di L2 a partire dal punto P2 della semiretta dove finisce il rappresentante di
L1 . La lunghezza di cui P1 P3 è un rappresentante è la somma L1 + L2 (fig. 10.2).

L1 L1 + L2 L1 − L2
L2
P1 P2 P3 P1 P3 P2

Figura 10.2. Somma e di↵erenza di due lunghezze.

Si può stabilire anche una relazione di “ordine” tra le grandezze nel senso che si
può definire L1 minore, maggiore o eguale di L2 : si prendono due rappresentanti
P1 P2 di L1 e P2 P3 di L2 a partire ambedue dall’origine della semiretta e si dice
L1 < L2 se P3 segue P2 , L1 > L2 se P3 precede P2 e L1 = L2 se P3 ⌘ P2 .
Se L1 > L2 si può definire una di↵erenza L1 L2 in maniera analoga al-
la somma: bisogna soltanto prendere come rappresentante di L2 P1 P3 , allora la
lunghezza di cui P2 P3 è un rappresentante, è la di↵erenza (fig. 10.2).

(8 )Si ricordi che una lunghezza è una classe di equivalenza e quindi un qualunque elemento di
essa è un rappresentante della classe medesima.
192 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Si definisce multipla di una lunghezza L secondo il numero n 2 N e si indica con


nL la lunghezza ottenuta sommando n volte L con se stessa
nL = L + L + · · · + L ;
| {z }
n volte

in questo modo viene definita un’operazione di moltiplicazione di una lunghezza


per un numero naturale. Questa operazione si può estendere ai numeri razionali non
negativi introducendo la nozione di sottomultipla di una lunghezza L secondo
m 2 N, e si indica con L0 = m
L
quella lunghezza L0 tale che
mL0 = L .
Un modo di costruire un sottomultiplo di una lunghezza L è fornito dal teorema
di Talete (fig. 10.3): si prende un rappresentante OP di L a partire da un punto
qualunque O, si spicca da O una semiretta r che formi con esso un angolo 0 < ↵ <
⇡/2 e si riporta su r, a partire da O, per m volte una lunghezza qualunque L00 . Si
unisce P con il secondo estremo dell’m-sima
!
L
P1 L
O P
!!
L α
P1!

.. .





m volte





Pm! r


Figura 10.3. Costruzione di un sottomultiplo secondo un numero m utilizzando il teorema di Talete.

L00 e si tracciano le parallele a P Pm 0


passanti per i vari Pi0 . Per il teorema di
Talete tutti i segmenti staccati su OP sono uguali tra loro e ognuno di essi è un
rappresentante di L0 .
Si può allora estendere l’operazione di moltiplicazione anche ai numeri reali
non negativi, infatti si supponga di volere determinare la lunghezza L0 = aL con,
per esempio, a = 1,437 . . . la costruzione di L0 può allora essere fatta prendendo,
a partire da un punto O qualunque una semiretta r, si riporta un rappresentante
OP 1 di L, poi si determina il sottomultiplo di L secondo 10 (cioè una lunghezza che
è la decima parte di L) e si riporta, su r, il suo multiplo secondo 4: P1 P 2 = 10
4
L,
si considera poi il sottomultiplo secondo 100 e si riporta il suo multiplo secondo 3:
P2 P 3 = 100
3
L ecc.
La misura lU di una lunghezza L secondo l’unità UL è allora quel numero
reale non negativo tale che
L = lU UL .

6 Grandezze scalari derivate Dati due insiemi di grandezze scalari (omogenee


o eterogenee) {H} e {K} con unità di misura rispettivamente UH e UK , si pos-
sono definire due operazioni che consentono di derivare da essi un nuovo insieme
di grandezze scalari eterogenee con i due insiemi di partenza a partire dal loro
prodotto cartesiano
(4) {H} ⇥ {K} ⌘ (H, K) H 2 {H}, K 2 {K} .
1 Grandezze scalari e vettoriali 193

Prodotto di grandezze scalari


Ogni elemento del prodotto cartesiano {H} ⇥ {K} è una coppia (H, K), ad essa è
associata in maniera biunivoca la coppia delle misure (hU , kU ), secondo la rispet-
tiva unità, delle grandezze che la formano; si definisce la relazione d’equivalenza
Rp , relazione prodotto tra gli elementi di {H} ⇥ {K}, nel modo seguente:

(5) (H, K) Rp (H 0 , K 0 ) () hU kU = h0U kU


0
= s.

Essendo basata sull’eguaglianza tra numeri reali essa è sicuramente una relazione
d’equivalenza, pertanto ha senso considerare l’insieme quoziente
.
(6) {P} ⌘ {H} ⇥ {K} R
p

i cui elementi sono quindi le classi di equivalenza [s] delle 11 coppie (H, K) che
hanno prodotti delle loro misure eguali. Dati due di tali elementi S1 = [s1 ] ed
S2 = [s2 ], se si pone, per definizione, il rapporto tra di essi eguale al rapporto tra
i numeri s1 ed s2 ad essi associati
S1 s1
= ,
S2 s2
l’insieme {P} assume la struttura di un insieme di grandezze scalari alle quali si
dà il nome di prodotto delle due grandezze. Per esempio, se si considerano
{H} e {K} ambedue coincidenti con l’insieme delle lunghezze, l’insieme prodotto
coincide con l’insieme delle aree.
Una suggestiva rappresentazione degli elementi di questi insiemi si ottiene ri-
portando i due insiemi “fattori” in scala, su due semirette ortogonali aventi l’origine
in comune (fig. 10.4), gli elementi del prodotto cartesiano sono allora i punti del
I quadrante del piano cartesiano hk e le classi di equivalenza [s] sono individuate
dai rami di iperbole equilatera (in tale quadrante) hk = s.

K
kU (H, K)

UK s = hUkU
s = s3
s = s2
{K} 1 (1, 1) s = s1
s=1
0 1 hU h

UH H {H}

Figura 10.4. Elementi dell’insieme prodotto {P}.


194 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Quoziente di grandezze scalari


Sugli stessi elementi del prodotto cartesiano {H} ⇥ {K} si definisce la relazione
d’equivalenza Rq , relazione quoziente tra gli elementi di {H} ⇥ {K}, nel modo
seguente:
hU h0
(7) (H, K) Rq (H 0 , K 0 ) () = U
0 = r.
kU kU
Essendo basata sull’eguaglianza tra numeri reali anch’essa è sicuramente una
relazione d’equivalenza, pertanto l’insieme quoziente
.
(8) {Q} ⌘ {H} ⇥ {K} R
q

ha come elementi le classi di equivalenza [r] delle 11 coppie (H, K) che hanno
quozienti delle loro misure eguali. Dati due di tali elementi R1 = [r1 ] ed R2 = [r2 ],
se si pone, per definizione, il rapporto tra di essi eguale al rapporto tra i numeri
r1 ed r2 ad essi associati
R1 r1
= ,
R2 r2
l’insieme {Q} assume la struttura di un insieme di grandezze scalari alle quali si dà
il nome di quoziente delle due grandezze. Per esempio, se si considerano {H}
e {K} come lunghezza di un arco di circonferenza e lunghezza del raggio, l’insieme
quoziente è l’angolo al centro sotteso dall’arco.
Con la stessa rappresentazione usata per il prodotto (fig. 10.5), le classi di
equivalenza [s] sono individuate dalle semirette del I quadrante uscenti dall’origine
h = rk.
k
r = s3 r = 1 hU
r=
kU

K
kU (H, K) r = r2

UK
(1, 1) r = r1
{K} 1

0 1 hU h

UH H {H}

Figura 10.5. Elementi dell’insieme quoziente {Q}.

Generalizzazione nella derivazione di grandezze scalari


Il procedimento per la costruzione di insiemi di grandezze mediante i prodotti
e i quozienti di altre grandezze si applica a qualsiasi coppia di grandezze, esso
1 Grandezze scalari e vettoriali 195

può essere generalizzato considerando un gruppo di n insiemi di grandezze scalari


{A}, {B}, {C}. . . , e facendone il prodotto cartesiano. Il generico elemento sarà
la n-pla (A, B, C, . . .) di grandezze aventi le misure a, b, c, . . . rispetto alle unità
UA , UB , UC , . . .; indicando con ↵, , . . . dei numeri reali, si può associare a ciascun
elemento (A, B, C, . . .) il numero q definito da

(9) q = a↵ b c . . .

Come si è fatto per definire le S e le R, si possono riunire in una medesima


classe Q = [q] tutti gli elementi per i quali q ha un medesimo valore e porre, per
definizione, il rapporto tra le classi Q e Q0 eguale al rapporto tra i numeri q e q 0 . Si
ottiene cosı̀ un insieme di grandezze Q la cui definizione è basata sulle grandezze
A, B, C, . . . e che si dicono quindi derivate da esse (9 ).
L’elemento (UA , UB , UC , . . .) formato con le unità di misura di {A}, {B},
{C}. . . individua quella particolare grandezza derivata che è associata al numero
q = 1↵ 1 1 . . . = 1. Tale grandezza costituisce per le {Q} l’unità di misura UQ
derivata dalle UA , UB , UC , . . . Rispetto ad essa la misura di ogni altra grandezza
dell’insieme assume un’espressione particolarmente semplice e coincide con il nu-
mero q definito dalla (9). In particolare per l’insieme prodotto {P} essa è l’iperbole
passante per (1, 1) (fig. 10.4), mentre per l’insieme quoziente {Q} è la semiretta
passante per il medesimo punto (fig. 10.5).
In particolare se ci si limita a considerare le sole grandezze di interesse in
Meccanica, si hanno grandezze:

• geometriche derivate dalle sole lunghezze;


• cinematiche derivate dalle lunghezze e dai tempi;
• dinamiche derivate anche dalle masse.

Se nel gruppo {A}, {B}, {C}. . . vi sono delle grandezze omogenee tra loro, appare
naturale scegliere per esse la medesima unità; quando si adotti tale criterio, tutte le
unità derivate risultano determinate dalle tre unità UM , UL , UT che si scelgono per
le grandezze fondamentali e formano un sistema coerente di unità di misura.
In Meccanica ci si serve sistematicamente di sistemi di unità di questo tipo perché
la rappresentazione delle grandezze mediante le loro misure coerenti risulta nello
stesso tempo particolarmente semplice e sufficientemente generale. Inoltre solo se
il sistema è coerente le operazioni di prodotto e quoziente utilizzate nel derivare
una grandezza Q, diventano commutative e associative.
Sia VM , VL , VT una terna di unità fondamentali distinta da quella precedente-
mente considerata e si indichi con VQ l’unità derivata da esse. Il rapporto VQ /UQ
si ottiene sostituendo nella (9) alla misura di ciascuna massa, il rapporto VM /UM
tra le corrispondenti unità e operando un’analoga sostituzione per le lunghezze e i

(9 )Si dimostra [6] che le espressioni di q del tipo (9) sono le più generali funzioni delle misure
a, b, c, . . . per le quali la costituzione delle classi e i rapporti tra di esse risultano indipendenti
dalla scelta, comunque arbitraria, di tutte le unità UA , UB , UC , . . ., sebbene il numero q associato
a ciascuna classe dipenda da tale scelta. La costituzione e la struttura degli insiemi di grandezze
derivate sono perciò indipendenti dalla scelta delle unità.
196 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

tempi. Se si indicano con µ, , ⌧ le somme degli esponenti relativi rispettivamente


a VM /UM , VL /UL , VT /UT si ha la
✓ ◆µ ✓ ◆ ✓ ◆⌧
VQ VQ VL VT
(10) = ,
UQ UQ UL UT
che, insieme alla (2) consente di risolvere ogni problema relativo al cambiamento
del sistema coerente di unità.
Gli esponenti µ, , ⌧ associati a ciascun insieme di grandezze caratterizza-
no la dipendenza della rispettiva unità da quelle fondamentali; ad essi si dà il
nome di dimensioni fisiche delle {Q} rispetto alle masse, alle lunghezze e ai
tempi. Per indicare le dimensioni fisiche di una grandezza si introduce il simbolo
dimensionale [Q] e si scrive
(11) [Q] = [M µ L T ⌧ ] .
Tenendo presente la (10), si riconosce che quando si formano i prodotti tra due
grandezze le dimensioni omologhe si sommano, mentre si sottraggono quando tra
di esse si forma il quoziente; i simboli dimensionali si combinano, quindi, secondo
le regole dell’algebra.
Si dicono dimensionalmente omogenee le grandezze che hanno le stesse
dimensioni fisiche, anche se esse appartengono a insiemi distinti; tali sono, per
esempio, le lunghezze e i quozienti tra un’area e una lunghezza. Se le misure coe-
renti di due grandezze dimensionalmente omogenee sono eguali, tale eguaglianza
sussiste comunque si scelgano le unità fondamentali. Ciò consente di riunire in
una medesima classe tutte le grandezze dimensionalmente omogenee che hanno la
medesima misura coerente; per questo motivo si dice che il quoziente tra un’area
e una lunghezza “è” una lunghezza.
Quando una delle dimensioni fisiche è nulla, la scelta della corrispondente unità
fondamentale non influisce sull’unità derivata; in particolare se una grandezza de-
rivata ha dimensioni nulle rispetto alle grandezze fondamentali che non interven-
gono, direttamente o indirettamente, nella sua definizione, le indicazioni di tali
grandezze vengono omesse nel simbolo dimensionale. In base a tale convenzione si
attribuisce alle aree il simbolo [L2 ] e agli angoli il simbolo [L0 ].
Le grandezze che hanno dimensioni fisiche nulle si chiamano adimensionali;
le loro unità coerenti risultano indipendenti dalla scelta delle unità fondamentali;
in particolare sono adimensionali i quozienti tra grandezze dimensionalmente omo-
genee, come, per esempio, gli angoli. Per indicare l’unità coerente di questi ultimi
e cioè l’angolo al centro sotteso da un arco di circonferenza di lunghezza eguale a
quella del raggio, si usa, come è noto, il nome di radiante (rad).
Una grandezza adimensionale ha la medesima misura rispetto a qualunque
sistema coerente di unità e cioè è rappresentata da un medesimo numero; per
questo motivo si dice che le grandezze adimensionali, in particolare gli angoli,
“sono” numeri.
Quando una delle grandezze di cui si formano i prodotti o i quozienti è dotata di
misura relativa, l’insieme delle grandezze derivate è simile a quello delle lunghezze
con segno ed è anch’esso dotato di misura relativa. Tali sono, per esempio, la
velocità scalare e, in generale, le grandezze definite come derivate di una funzione
scalare oppure come componenti di grandezze vettoriali o come prodotti scalari.
1 Grandezze scalari e vettoriali 197

7 Grandezze vettoriali Per dare forma sintetica alla rappresentazione dei fe-
nomeni meccanici e alle loro leggi, si introducono degli insiemi di grandezze
vettoriali w costruiti sul modello dell’insieme dei vettori v. Tali grandezze sono
derivate dai vettori e dalle grandezze scalari valendosi delle definizioni di prodotto
di un vettore per un numero e di prodotto vettoriale e seguendo un procedimento
analogo a quello di cui ci si è serviti per introdurre le grandezze scalari derivate.
Rispetto a un determinato sistema coerente di unità si indichi con q la misura
assoluta della grandezza scalare Q (fondamentale o derivata) e sia v l’intensità del
vettore v cioè la misura assoluta della sua lunghezza. Il prodotto del numero q per
il vettore v è il vettore qv che ha orientamento concorde con v e intensità eguale
a qv. Facendo il prodotto cartesiano tra le grandezze Q e i vettori v si introduce
la relazione d’equivalenza Rv tra le coppie (Q, v) nel modo seguente:

(12) (Q, v) Rv (Q0 , v 0 ) () qv = q 0 v 0 .

Essendo basata sull’eguaglianza tra vettori è sicuramente una relazione d’equiva-


lenza, pertanto l’insieme quoziente ha come elementi le classi di equivalenza [w]
delle 11 coppie (Q, v) associate a vettori qv eguali.
La somma di due classi qualsiasi, associate rispettivamente ai vettori qv e
q 0 v 0 , si pone, per definizione, eguale alla classe associata al vettore qv + q 0 v 0 . Il
prodotto di una classe per un numero, nonché i prodotti scalari e vettoriali tra le
classi, si definiscono in maniera analoga mediante le corrispondenti operazioni sui
vettori qv. In conseguenza di queste definizioni, l’insieme quoziente delle classi di
equivalenza rispetto a Rv , assume una struttura simile a quella dell’insieme dei
vettori e si dice che esso costituisce un insieme di grandezze vettoriali definite come
prodotto dei vettori v per le grandezze scalari Q.
In maniera analoga, sostituendo q con 1/q si definiscono i quozienti tra i
vettori v e le grandezze scalari Q.
L’intensità e le componenti di un vettore sono misure di lunghezze e quindi
variano al variare delle corrispondenti unità. Per esprimere tale proprietà si dice
che i vettori, pur non essendo grandezze misurabili, dal punto di vista dimensionale
si comportano come lunghezze e si attribuisce ad essi il simbolo [L]. Di conseguenza
i prodotti e i quozienti di un vettore e di una grandezza scalare Q, dal punto di
vista dimensionale si comportano come grandezze scalari aventi rispettivamente i
simboli [LQ] ed [LQ 1 ].
I prodotti vettoriali e quelli scalari, in base alle rispettive definizioni, si compor-
tano, dal punto di vista dimensionale, come grandezze dimensionalmente omogenee
con simbolo [L2 ].
Tutte le proprietà formali delle operazioni sui vettori si trasportano immuta-
te alle operazioni sulle grandezze vettoriali e l’operazione di moltiplicazione per
una grandezza scalare, definita per i vettori, si estende immediatamente alle g.v.,
quando si adotti un sistema coerente di unità di misura. La proprietà distributiva
e quella di linearità sussistono anche per l’operazione di moltiplicazione di una
grandezza vettoriale per una grandezza scalare.
Le considerazioni precedenti consentono la sostituzione delle operazioni sulle
grandezze vettoriali con le analoghe operazioni sui vettori ad esse associati, senza
che ciò dia luogo ad ambiguità, purché si adotti un sistema coerente di unità di
198 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

misura. I segmenti orientati, che sono i rappresentanti dei vettori associati alle
g.v., si assumono, in questo modo, come rappresentanti delle grandezze vettoriali
stesse (10 ).
Moltiplicando un vettore non nullo per l’inverso della sua lunghezza, si ottiene
una grandezza adimensionale (che ha cioè dimensioni nulle) di intensità unitaria;
le grandezze di questo tipo vengono indicate con il simbolo vers v; a tali grandezze
si attribuisce il nome di versori; per definizione, il versore di un generico vettore
v è quindi espresso da:
1
(13) vers v = v.
v
I versori sono associati in modo biunivoco agli orientamenti, poiché ogni versore
individua una direzione e un verso (da ciò deriva il loro nome).
La relazione (13), si inverte nella:

(14) v = v vers v ,

che sussiste anche per il vettore nullo; in quest’ultimo caso vers v è indeterminato
mentre: v = 0.
I versori (dei vettori o delle g.v.) hanno, per definizione, intensità unitaria in
qualunque sistema di unità, quindi, dal punto di vista dimensionale, si comportano
come grandezze adimensionali (11 ). I prodotti e i quozienti dei versori per le g.s.
Q hanno rispettivamente le dimensioni fisiche [Q] oppure [Q 1 ]; per esempio il
prodotto dell’intensità w di una g.v. per il suo versore vers w ha le medesime di-
mensioni fisiche di w; inoltre i prodotti vettoriali e scalari tra versori si comportano
come grandezze adimensionali.

8 Relazioni tra grandezze Un gruppo di esperienze, relative a un particolare


aspetto di un determinato fenomeno, individua una legge di corrispondenza tra
certe grandezze. Si consideri innanzi tutto il caso in cui le grandezze siano tutte
scalari e, quindi, possano essere rappresentate mediante le loro misure. Una legge
di corrispondenza tra le grandezze A, B, . . . si traduce allora in una relazione tra
le loro misure a, b, . . . e tale relazione deve essere valida comunque si scelgano le
unità di misura. Questa condizione limita notevolmente il campo delle funzioni
delle misure di cui ci si può servire per esprimere le leggi di corrispondenza tra
grandezze e la limitazione è tanto più efficace quanto maggiore è il numero delle
unità che possono essere scelte arbitrariamente.
Conviene pertanto rinunciare a scegliere in maniera completamente arbitraria le
unità relative a tutte le grandezze che intervengono nella legge di corrispondenza

(10 )Ciò consente di utilizzare i procedimenti grafici anche per il calcolo delle grandezze vettoriali.
Talvolta si associano i vettori alle grandezze vettoriali di un insieme omogeneo in maniera diversa;
si adotta, cioè, una scala di rappresentazione. Per individuare una scala di questo tipo, viene
di solito indicata una lunghezza e l’intensità delle g.v. i rappresentanti delle quali hanno quella
lunghezza (per esempio 1 cm = 10 Nw). Questa indicazione è di interpretazione immediata ed è
significativa anche quando le stesse lunghezze sono rappresentate in scala.
(11 )L’insieme dei versori non è però un insieme di grandezze, infatti la somma di due versori
non è in generale un versore.
1 Grandezze scalari e vettoriali 199

e restringere, invece, tale scelta ai sistemi coerenti di unità, in modo che resti
arbitraria soltanto la scelta delle tre unità fondamentali.
Se l’insieme di grandezze A ha le dimensioni fisiche µ, , ⌧ e se la relazione tra
le misure è espressa in forma esplicita rispetto ad a

(15) a = (b, c, . . .) ,

affinché essa risulti valida in qualunque sistema coerente di unità è necessario e


sufficiente che, al variare delle unità fondamentali, i valori della funzione varino
come le misure di una grandezza dimensionalmente omogenea con A. Per indicare
che una relazione del tipo (15) verifica la condizione indicata ed esprime quindi
una legge di corrispondenza tra grandezze, si dice che essa è dimensionalmente
omogenea. Si dice, inoltre, che la funzione è omogenea rispetto alle misure
delle masse, delle lunghezze e dei tempi, con gradi di omogeneità µ, , ⌧ .
In base alle proprietà delle funzioni omogenee e al significato dei simboli dimen-
sionali, per controllare l’omogeneità di una relazione del tipo (15), basta sostituire
alle misure a, b, c, . . . i simboli dimensionali delle corrispondenti grandezze, appli-
cando ad essi le regole dell’algebra, come se si trattasse di prodotti di potenze. Dal
secondo membro della (15) si ottiene cosı̀ una funzione di M, L, T la quale può
essere ulteriormente semplificata tenendo presenti le seguenti osservazioni.

• Una somma di prodotti del tipo M ↵ L T è omogenea se e soltanto se cia-


scuno dei simboli M, L, T ha il medesimo esponente in tutti gli addendi; se
ciò si verifica, nel controllo dell’omogeneità la somma può essere sostituita
con uno qualsiasi degli addendi.

• Se nell’espressione di figurano delle funzioni non omogenee (per esempio


trigonometriche, esponenziali, logaritmiche) affiché risulti omogenea è
sufficiente che tali funzioni dipendano da una funzione con grado di omoge-
neità zero rispetto alle masse, alle lunghezze e ai tempi; se ciò si verifica le
funzioni non omogenee possono essere sostituite con il simbolo [M 0 L0 T 0 ]
di una grandezza adimensionale.

• Le operazioni di derivazione e di integrazione possono essere sostituite, nel


controllo dell’omogeneità, rispettivamente dalla divisione per la variabile
rispetto a cui si deriva e dalla moltiplicazione per la variabile rispetto a cui
si integra: infatti il passaggio al limite non altera le dimensioni fisiche.

Con tali semplificazioni il secondo membro della (15) si riduce al simbolo dimen-
sionale [M µ L T ⌧ ] di una grandezza; affinché sia verificata la condizione di omo-
geneità è necessario e sufficiente che esso risulti eguale a quello della grandezza A
che figura nel primo membro.
In taluni casi le relazioni tra le misure vengono espresse in forma implicita
eguagliando a zero una loro funzione

(16) '(a, b, c, . . .) = 0 ;

affinché una relazione di questo tipo sia valida indipendentemente dalla scelta
delle unità fondamentali è sufficiente che la ' sia omogenea rispetto alle masse,
200 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

alle lunghezze e ai tempi, con gradi di omogeneità qualsiasi. Sebbene la condizione


non sia necessaria, ci si vale sistematicamente di funzioni omogenee per esprimere
in maniera implicita le leggi di corrispondenza tra le grandezze.
Le precedenti considerazioni sull’omogeneità dimensionale e sui relativi con-
trolli, si estendono immediatamente alle relazioni tra grandezze vettoriali tenendo
presente che ciascuna di esse equivale a tre condizioni scalari tra le componen-
ti delle grandezze e che tali relazioni debbono risultare valide indipendentemente
dalla scelta delle unità fondamentali.
Nell’e↵ettuare i controlli dimensionali sulle relazioni tra grandezze vettoriali,
ai versori vanno attribuite le dimensioni fisiche nulle, per i motivi indicati alla fine
del n. 7.

2 Assiomi fondamentali
Partendo dalle nozioni di spazio e di tempo che sono suggerite e sostenute da quelle
astrazioni e da quelle schematizzazioni che originano la geometria euclidea, e da
quelle che, precisando la nozione soggettiva di tempo, consentono la definizione
dell’ascissa temporale si può costruire un riferimento meccanico associando
un’ascissa temporale a uno spazio euclideo R che è in genere solidale a un corpo
rigido ottenuto, cioè, per prolungamento di un corpo solido idealizzato come rigido
(n. 2). Scelto uno spazio di riferimento R, in esso si possono scegliere 16 terne
cartesiane ortogonali, monometriche, destre RC(Oxyz), ognuna delle quali è atta
a descrivere i “moti” di un corpo rispetto a R, atta cioè a individuare le diverse
posizioni occupate dal corpo rispetto a R al variare del tempo. Le nozioni di quiete
e di moto assumono significato soltanto in rapporto a un riferimento fissato.
In presenza di due o più corpi solidi in movimento l’uno rispetto all’altro, il
procedimento di astrazione che dà luogo al concetto di spazio euclideo permette
di associare a ognuno di tali corpi un riferimento meccanico distinto.
Si ottengono in tal modo riferimenti diversi che, pur essendo costruiti indipen-
dentemente l’uno dall’altro, risultano tra loro in relazione: essi appaiono intuitiva-
mente sovrapposti l’uno all’altro, potendo ciascuno di essi essere visto “in moto”
rispetto a ognuno degli altri.
L’analisi delle relazioni riscontrabili tra due riferimenti diversi conduce alla
formulazione dei seguenti assiomi:
Assioma del tempo assoluto L’ascissa temporale è unica: essa è cioè la stessa
per tutti i riferimenti meccanici.

Assioma dell’individualità Ogni punto dello spazio euclideo associato al riferimen-


to R0 assume il carattere di elemento nel riferimento R, occupa cioè in ogni istante
un punto di R che è la sua immagine istantanea.
Per chiarire meglio questo assioma si scelga, per individuare il riferimento R, la
terna RC(Oxyz), mentre per individuare R0 si faccia uso della terna R (⌦⇠⌘⇣);
ogni punto ⇧ ⌘ (⇠, ⌘, ⇣) di R0 assume il carattere di elemento che si muove rispetto
a R e occupa, in ogni istante t, un punto P ⌘ (x, y, z) di RC, tale punto è allora
la posizione occupata da ⇧ nell’istante t, ovvero l’immagine istantanea di ⇧ in
R all’istante t. Al variare di t, varia in generale l’immagine che ⇧ ha in RC; la
2 Assiomi fondamentali 201

legge che associa a ogni istante l’immagine di ⇧ in quell’istante, attribuisce a ⇧ il


carattere di elemento e ne definisce il moto.
L’assioma dell’individualità traduce l’idea intuitiva che i diversi spazi, associati
a corpi rigidi diversi, sono confrontabili tra di loro. Esso a↵erma la possibilità di
osservare lo spazio R0 dal riferimento associato a R e precisa che in R si osserva
il “moto” di R0 .
Assioma dell’invarianza delle lunghezze La distanza di due punti di R0 si conserva
inalterata in R come distanza delle due immagini (istantanee) simultanee.
Fissati due punti ⇧1 ⌘ (⇠1 , ⌘1 ⇣1 ) e ⇧2 ⌘ (⇠2 , ⌘2 , ⇣2 ) di R la loro distanza è
espressa dalla relazione:
p
|⇧1 ⇧2 | = ⇢12 = (⇠2 ⇠1 )2 + (⌘2 ⌘1 )2 + (⇣2 ⇣1 )2 .

Siano P1 ⌘ (x1 , y1 , z1 ) e P2 ⌘ (x2 , y2 , z2 ) le immagini simultanee in R dei due


punti ⇧1 e ⇧2 . Si assume che in ogni istante la distanza delle due immagini in RC
eguagli la distanza dei due punti in R :
p
⇢12 = |P1 P2 | = r12 = (x2 x1 )2 + (y2 y1 )2 + (z2 z1 )2 .

L’assioma dell’invarianza della lunghezza può essere espresso con due successive
assunzioni. La prima è che il moto di R0 in R appaia rigido: cioè che le misure, fatte
in R della distanza delle due immagini contemporanee siano, nei diversi istanti,
tutte eguali tra di loro, ovvero che la distanza delle due immagini contemporanee
non vari al variare di t. La seconda assunzione a↵erma che questo valore costante
della distanza delle immagini è proprio ⇢12 , cioè la distanza dei due punti in R0 (12 ).
Assioma dell’obiettività La relazione che lega i punti di un riferimento alle loro
immagini in un altro riferimento è transitiva.
Dato un punto ⇧ del riferimento R, esso ha, in un istante fissato, un’immagine ⇧0
in R0 ; il punto ⇧0 di R0 ha, a sua volta, un’immagine ⇧00 in un terzo riferimento
R00 . L’assioma dell’obiettività a↵erma che quest’ultima “immagine dell’immagine”
coincide con l’immagine “diretta” del punto ⇧ in R00 .
In particolare da questo assioma si ricava che, se P è l’immagine, all’istante t,
in R, di un punto ⇧ di R0 , allora ⇧ è l’immagine di P in R0 nel medesimo istante.
Questa simmetria della relazione tra i punti e le loro immagini traduce l’i-
dea intuitiva di sovrapposizione dei due spazi euclidei associati ai due riferimenti
R e R0 .
Gli assiomi enunciati caratterizzano completamente le relazioni tra due diversi
riferimenti; da essi infatti si ricavano tutte le relazioni tra le osservazioni e le
misure fatte in un riferimento e quelle e↵ettuate nell’altro; si determinano cioè in
particolare le trasformazioni tra le coordinate xyzt di un un evento nel riferimento
RC e quelle ⇠⌘⇣t dell’evento corrispondente nel riferimento R .

(12 )Il carattere universale (assoluto) delle lunghezze e delle durate degli intervalli di tempo,
caratterizza la meccanica classica, la critica degli assiomi dell’invarianza delle lunghezze e del
tempo assoluto ha mostrato che essi non sono indipendenti, ma, al contrario, sono fortemente
legati tra di loro. La sostituzione di questi assiomi con altri più deboli e l’aggiunta dell’assioma
dell’invarianza della velocità della luce nel vuoto, caratterizza la teoria della relatività.
202 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Conseguenza immediata del postulato di invarianza delle lunghezze è che ogni ente
geometrico di R0 lascia come immagine in R un ente geometrico che (dovendosi
mantenere inalterate tutte le distanze) ha gli stessi caratteri dell’ente di partenza.
Cosı̀ le rette, i piani, i segmenti, i vettori di R0 , hanno come immagini rette, piani,
segmenti, vettori di R e, in particolare, sono rispettate le relazioni di appartenenza
(cosı̀ l’immagine di una retta appartenente a un certo piano, è una retta che
appartiene all’immagine del piano). Rimangono inalterate anche le relazioni di
parallelismo e di ortogonalità e tutte le misure delle grandezze geometriche: un
segmento lungo 1 m ha cioè un’immagine lunga 1 m, un angolo di ampiezza ⇡/3 ha
come immagine un angolo di ampiezza ⇡/3, una figura di area 1 m2 ha un’immagine
con la medesima area ecc.

3 Leggi della meccanica


La dinamica è quella parte della meccanica che studia il moto dei corpi in rela-
zione alla presenza di altri corpi, ne determina le leggi generali, e successivamente
elabora, sulla base di tali leggi, alcuni metodi razionali atti alla previsione dei moti
stessi.
Gli schemi specifici per enunciare tali leggi e le loro conseguenze sono quelli di
riferimento inerziale, elemento materiale isolato, coppia isolata di elementi ma-
teriali, sistema isolato di elementi materiali; essi saranno introdotti nei paragrafi
seguenti a partire da considerazioni sperimentali che si ritengono ben note (13 ).

9 Prima legge. Riferimenti inerziali I moti dei corpi reali appaiono palesemen-
te più o meno complicati a seconda del sistema di riferimento nel quale essi sono
osservati e al quale sono riferiti; il moto di un qualunque corpo è inoltre influen-
zato dalla presenza di altri corpi. Per ottenere dei risultati semplici, che possano
essere assunti come principi generali, è dunque necessario operare delle scelte sul
riferimento, esaminare i moti dei corpi che sono abbastanza lontani da altri corpi,
e tener conto soltanto dell’aspetto più elementare del moto, utilizzando lo schema
di elemento. In particolare, per indicare che l’elemento è la schematizzazione di
un corpo reale si usa il nome di elemento materiale. Si e↵ettuano inoltre del-
le idealizzazioni dei risultati sperimentali, che consistono nell’assumere verificate,
in modo assoluto, quelle proprietà che l’esperienza mostra verificate in modo ap-
prossimato, ma con approssimazione tanto maggiore quanto più vengono eliminate
certe circostanze, che per questo motivo sono classificate come perturbatrici.
Le osservazioni sul moto dei corpi celesti mostrano che le accelerazioni, valu-
tate in un riferimento che sia associato agli altri corpi celesti, risultano tanto più
piccole in intensità quanto più lontani sono gli altri corpi, che si ritengono perciò la
causa delle perturbazioni. L’idealizzazione di queste esperienze porta contempora-
neamente agli schemi elementari di elemento materiale isolato e di sistema di
riferimento inerziale R⇤ , e alla formulazione della prima legge della dinamica:
Prima legge (Legge d’inerzia) Gli elementi materiali isolati rimangono in quiete
nei riferimenti inerziali, oppure vi si muovono di moto rettilineo uniforme.

(13 )I corsi di Fisica sono la base di tali nozioni sperimentali.


3 Leggi della meccanica 203

Da un punto di vista assiomatico, la legge di inerzia è da intendersi come l’a↵erma-


zione dell’esistenza di riferimenti inerziali, cioè di riferimenti nei quali gli elementi
isolati si muovono di moto uniforme, ovvero permangono in quiete; da un punto di
vista sperimentale questa legge idealizza quelle circostanze che si riscontrano nei
riferimenti associati ai corpi celesti, cioè nei riferimenti individuati da terne che
abbiano l’origine in un corpo celeste (per esempio nel Sole), e assi puntati verso
altri corpi celesti lontani (le cosiddette “stelle fisse”).
In ogni caso la proprietà caratteristica dei riferimenti inerziali è l’annullarsi in
essi dell’accelerazione per il moto di un qualunque elemento materiale isolato.
Dai teoremi dei moti relativi si riconosce immediatamente che i riferimenti iner-
ziali costituiscono una classe di 13 riferimenti, che si muovono, l’uno rispetto all’al-
tro, di moto traslatorio rettilineo uniforme, in questo caso, infatti, l’accelerazione
di trascinamento è nulla e quindi 0 = aa = ar .

10 Seconda legge. Massa. Forza In maniera analoga a quanto si è fatto nel


paragrafo precedente, prima di formulare ulteriori assiomi, conviene introdurre lo
schema di coppia isolata di elementi materiali (E1 , E2 ). Questo schema è l’i-
dealizzazione di una coppia di corpi reali (ognuno dei quali schematizzabile come
elemento) vicini tra loro ma lontani da tutti gli altri corpi: posti cioè a una di-
stanza da questi ultimi tale che le perturbazioni dovute alla loro presenza siano
trascurabili agli e↵etti del moto degli elementi della coppia.
Seconda legge Nel moto di ogni coppia isolata rispetto a un riferimento inerziale
R⇤ , le accelerazioni dei due elementi materiali E1 ed E2 hanno la stessa direzione
della retta che congiunge le posizioni P1 e P2 da essi occupate, hanno versi opposti
tra loro e le loro intensità sono in rapporto costante:
a1
(17) = (E1 , E2 ) .
a2

La seconda legge individua una corrispondenza che associa a ogni coppia di ele-
menti, E1 e E2 un numero reale positivo (E1 , E2 ). Questo numero è caratteristico
dei due corpi che sono rappresentati dai due elementi; esso è infatti indipendente
dalle loro posizioni e dalle loro velocità, nonché dal tempo. L’esperienza mostra
che, per la corrispondenza che associa a ogni coppia di elementi E1 ed E2 il numero
(E1 , E2 ), sussiste la seguente regola di composizione:

(18) (E1 , E2 ) · (E2 , Eh ) = (E1 , Eh ) ,

essendo Eh un qualunque altro elemento, posto di volta in volta a formare una


coppia isolata con E1 o E2 .
In base alla seconda legge, è possibile introdurre sull’insieme degli elementi
materiali una struttura di classe di grandezze: le masse. Si definiscono le masse
come classi di equivalenza generate dalla relazione: (E 0 , E 00 ) = 1; questa relazione
è infatti riflessiva, simmetrica e transitiva, in forza della (18). A ogni elemento
E risulta associata una classe di equivalenza: la sua massa m(E); dire che due
elementi materiali E 0 ed E 00 hanno la stessa massa equivale a dire che appartengono
204 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

alla stessa classe e cioè che per essi risulta (E 0 , E 00 ) = 1. Date due classi m0 ed
m00 , si definisce il rapporto delle due masse, ponendo per definizione:

m00
(19) = (E 0 , E 00 ) con m(E 0 ) = m0 e m(E 00 ) = m00 .
m0
La definizione è legittima poiché, in forza della (18), il valore di (E 0 , E 00 ) è sempre
lo stesso, comunque si scelga E 0 nella prima classe ed E 00 nella seconda. La (19)
induce sull’insieme delle masse una struttura di grandezze scalari (n. 4). La scel-
ta di assumere (E 0 , E 00 ) come rapporto delle masse m00 /m0 , nell’ordine inverso
anziché nell’ordine diretto, è determinante per il significato fisico della grandezza
“massa”, cosı̀ come è illustrato nel n. 12; l’associazione dello schema di elemento e
della grandezza scalare massa, descrive in maniera completa lo schema di elemento
materiale.
Utilizzando le masse degli elementi materiali, è possibile riassumere la seconda
legge nelle due equazioni (14 ):

(20) m1 a1 + m2 a2 = 0 ,

(21) P1 O ^ m1 a1 + P2 O ^ m2 a2 = 0 ,

essendo O un punto qualunque.


Le equazioni (20) e (21) sono equivalenti alla seconda legge, se si postula
separatamente l’esistenza delle masse per gli elementi materiali.
Le due accelerazioni a1 e a2 possono essere riguardate come dovute all’intera-
zione dei due elementi materiali; l’interazione può essere rappresentata in modo
più efficace dalle due grandezze vettoriali, opposte tra loro:

(22) f 1 := m1 a1 , f 2 := m2 a2 .

Queste sono, per definizione, le forze (e↵ettive) che i due elementi materiali E1
ed E2 esercitano l’uno sull’altro. In termini delle forze, la seconda legge è espressa
dalle equazioni:

(23) f 1 = ' vers(P1 P2 ) , f 2 = ' vers(P2 P1 ) ,

essendo ' una grandezza scalare con segno, che è positiva o negativa secondo che
le forze abbiano carattere repulsivo oppure attrattivo.
Le osservazioni sperimentali mostrano inoltre che il moto di ogni coppia isolata
di elementi materiali è determinato dalle condizioni iniziali, cioè dalle posizioni P1
e P2 e dalle velocità v 1 e v 2 che i due elementi materiali hanno nell’istante iniziale
t0 cioè nell’istante in cui si inizia l’osservazione del moto. In e↵etti l’esperienza
mostra che, se i due elementi materiali assumono, in un successivo istante t1 , le
medesime posizioni già assunte all’istante t0 , e con le medesime velocità, allora
il moto riprende, a partire dall’istante t1 , riproducendo il moto svoltosi a partire
dall’istante t0 .

(14 )Nel seguito, come si è già fatto per le altre grandezze, quando non vi sia possibilità di
equivoco, si userà la notazione abbreviata m1 in luogo di m(E1 ) ecc.
3 Leggi della meccanica 205

Questo fatto trova una sua enunciazione precisa nell’assioma:


Principio del determinismo meccanico Le forze che gli elementi materiali di una
coppia isolata esercitano l’uno sull’altro, dipendono dalle posizioni da essi occupate
e dalle loro velocità e sono indipendenti dal tempo.
In altri termini, a ogni coppia isolata di elementi materiali è associata una funzione
'(P1 , P2 , v 1 , v 2 ) che esprime la grandezza scalare ', e individua le due forze che
gli elementi materiali esercitano l’uno sull’altro. Ciascuna di queste forze risulta
quindi espressa in funzione delle stesse variabili:

(24) f 1 = f 1 (P1 , P2 , v 1 , v 2 ) , f 2 = f 2 (P1 , P2 , v 1 , v 2 ) .

Da queste si riconosce che il moto della coppia isolata è determinato dalle condi-
zioni iniziali. Infatti, quando siano note le funzioni (24), dalla definizione stessa
(22) si ottengono le eguaglianze:
(
m1 a1 = f 1 (P1 , P2 , v 1 , v 2 )
(25)
m2 a2 = f 2 (P1 , P2 , v 1 , v 2 ) .

Se allora si intendono note le funzioni f 1 e f 2 , e si intende invece incognito il


moto dei due elementi materiali, le (25) costituiscono un sistema di equazioni
di↵erenziali del secondo ordine nelle incognite P1 (t) e P2 (t).
Proiettando le due equazioni vettoriali sugli assi della terna di riferimento, si
ottiene un sistema di sei equazioni di↵erenziali scalari nelle incognite: x1 (t), y1 (t),
z1 (t), x2 (t), y2 (t), z2 (t):
8
>
> m1 ẍ1 = f1x (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 )
>
>
>
>
>
> m1 ÿ1 = f1y (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 )
>
>
>
< m1 z̈1 = f1z (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 )
(26)
>
> m2 ẍ2 = f2x (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 )
>
>
>
>
>
> m2 ÿ2 = f2y (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 )
>
>
>
:
m2 z̈2 = f2z (x1 , y1 , z1 , x2 , y2 , z2 ; ẋ1 , ẏ1 , ż1 , ẋ2 , ẏ2 , ż2 ) .
Questo sistema di equazioni ha la forma normale, sono cioè espresse, direttamente
e univocamente, le derivate seconde delle funzioni incognite, in termini dei va-
lori contemporanei delle funzioni incognite e delle loro derivate prime. Poiché le
funzioni f1x , f1y , f1z , f2x , f2y , f2z sono assunte come funzioni sufficientemente
regolari delle variabili da cui dipendono, sono verificate le ipotesi per la validità
del teorema di esistenza e unicità: il sistema di equazioni (26) ammette una e una
sola soluzione che si accordi con le condizioni iniziali assegnate:
8
>
> x1 (t0 ) = x10 , y1 (t0 ) = y10 , z1 (t0 ) = z10 ,
>
>
>
< x2 (t0 ) = x20 , y2 (t0 ) = y20 , z2 (t0 ) = z20 ,
(27)
>
> ẋ1 (t0 ) = v1x0 , ẏ1 (t0 ) = v1y0 , ż1 (t0 ) = v1z0 ,
>
>
>
:
ẋ2 (t0 ) = v2x0 , ẏ2 (t0 ) = v2y0 , ż2 (t0 ) = v2z0 .
206 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Il problema della previsione del moto della coppia isolata è ricondotto dunque
dalle (25) o dalle (26) a quello di determinare la legge delle forze, cioè la funzio-
ne '(P1 , P2 , v 1 , v 2 ). Esaminando il moto della coppia nel suo svolgimento prima
dell’istante t0 , è possibile in generale ricavare per induzione la legge delle forze
e, nota questa, è possibile prevedere il moto della coppia a partire dall’istante t0 ,
come l’unica soluzione del sistema (26) corrispondente allo stato del sistema al-
l’istante t0 . Nel procedimento di induzione, con il quale si determina la funzione
'(P1 , P2 , v 1 , v 2 ), sono di aiuto le limitazioni che sono indotte sulla sua forma dal
principio di relatività (par. 13).

11 Terza legge Si consideri un sistema costituito da un numero qualunque di


corpi, ognuno dei quali schematizzabile come elemento materiale, e si supponga che
questi elementi, vicini tra loro, siano invece “sufficientemente” lontani da tutti gli
altri corpi. Ogni sistema di questo tipo viene idealizzato nello schema elementare
di sistema isolato di elementi materiali. L’analisi del moto dei sistemi isolati
consente di stabilire una regola di composizione per le interazioni tra i diversi
elementi materiali; questa regola costituisce la:
Terza legge Le forze f ij e f ji , che gli elementi materiali Ei e Ej di uno schema
isolato in un riferimento inerziale esercitano l’uno sull’altro, sono indipendenti
dalla presenza degli altri corpi e sono in accordo con la seconda legge:
8
< f ij = 'ij (Pi , Pj , v i , v j ) vers(Pi Pj ) ,
(28)
: f = ' (P , P , v , v ) vers(P Pi ) .
ji ji i j i j j

Per il moto degli elementi materiali: E1 , E2 , . . . , EN sussistono le eguaglianze:


N
X
(29) mi ai = f ij (Pi , Pj , v i , v j ) (i = 1, 2, 3, . . . , N ) .
j=1

Dalla terza legge si riconosce che il principio del determinismo, assunto come as-
sioma per il moto delle coppie isolate, sussiste anche per un qualunque sistema
isolato: la conoscenza delle leggi delle forze di interazione consente, almeno in li-
nea teorica, di e↵ettuare la previsione del moto di un sistema isolato costituito da
un numero qualunque di elementi materiali. Infatti quando si conoscano le funzioni
'ij (Pi , Pj , v i , v j ) e sia incognito il moto del sistema materiale, le eguaglianze (29)
costituiscono un sistema normale di equazioni di↵erenziali del secondo ordine. Si
tratta di N equazioni vettoriali, equivalenti a 3N equazioni scalari, nelle N inco-
gnite vettoriali: P1 (t), P2 (t),. . . ,PN (t), equivalenti alle 3N incognite scalari, x1 (t),
y1 (t), z1 (t); x2 (t), y2 (t), z2 (t); . . . ; xN (t), yN (t), zN (t). Il sistema di equazioni ha
la forma normale perché risultano espresse esplicitamente le derivate seconde delle
funzioni incognite in termini dei valori contemporanei delle funzioni incognite e
delle loro derivate prime. Sussiste allora, per questo sistema di equazioni, il teo-
rema di esistenza e unicità; esso ammette infatti molte soluzioni, ma una sola di
queste è in accordo con le condizioni iniziali che consistono nell’assegnare la posi-
zione e la velocità di ognuno degli elementi all’istante “iniziale” t0 e sono espresse
3 Leggi della meccanica 207

dalle:

xi (t0 ) = xi0 , yi (t0 ) = yi0 , zi (t0 ) = zi0 ,


(30)
ẋi (t0 ) = vix0 , ẏi (t0 ) = viy0 , żi (t0 ) = viz0 .

In queste ultime si deve intendere che l’indice i assuma tutti i valori possibili
cioè i = 1, 2, . . . , N ; si tratta dunque di 6N condizioni imposte alle 3N funzioni
incognite. Poiché a ogni scelta dei valori dei 6N parametri xi0 , yi0 , zi0 , vxi0 , vyi0 ,
vzi0 , corrisponde una sola soluzione del sistema (29), mentre a due scelte diverse
di tali valori corrispondono due soluzioni diverse, si riconosce che le soluzioni
del sistema sono un’infinità dipendente da 6N parametri, ovvero, come si dice
usualmente, sono in quantità 16N .

12 Additività della massa Dato un sistema isolato, costituito da tre elementi


materiali, dalle leggi della dinamica si ottengono le relazioni:
8 8 8
<m1 a1 = f 12 + f 13 , <m2 a2 = f 23 + f 21 , <m3 a3 = f 31 + f 32 ,
(31)
:f + f = 0, :f + f = 0, :f + f = 0 .
12 21 23 32 31 13

Si consideri ora un moto del sistema durante il quale i due elementi materiali E2
ed E3 si muovono rimanendo “attaccati” tra loro, in modo cioè da poter essere
agglomerati (schematizzati) in un unico elemento materiale E. Sarà: a2 = a3 = a;
dalle (31), eliminando le forze si ottiene allora:

(32) m1 a1 + (m2 + m3 )a = 0 .

Da questa relazione, per confronto con la (20), si riconosce che l’elemento materiale
E, ottenuto dall’agglomerazione dei due elementi E2 ed E3 , ha come massa la
somma delle masse dei due elementi materiali che sono stati agglomerati. Questa
proprietà definisce in modo operativo la operazione di addizione per le masse e
attribuisce intuitivamente alla massa il significato fisico elementare di “quantità
di materia”.

13 Principio di relatività Il principio di relatività, enunciato chiaramente per


la prima volta da Galileo Galilei [8] sulla base di esperienze molto semplici, a↵erma
che i riferimenti inerziali sono tra loro indistinguibili agli e↵etti delle leggi della
fisica. Con l’estendersi delle conoscenze della fisica, il principio di relatività è stato
ristretto ai fenomeni meccanici; esso è stato ripreso nella sua forma più generale
da Albert Einstein, il quale ne ha fatto il fondamento della sua teoria, chiamata per
questo motivo teoria della relatività (15 ). La restrizione del principio ai fenomeni
meccanici è indicata da allora con il nome di principio di relatività galileiana.

(15 )Analisi più approfondite su questo argomento mettono in evidenza che il principio di re-
latività nella sua forma più generale è in contraddizione con gli assiomi del tempo assoluto e
dell’invarianza delle lunghezze.
208 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

Principio di relatività galileiana Le leggi della meccanica hanno la medesima


formulazione in tutti i riferimenti inerziali.

Il principio esprime in primo luogo l’omogeneità e l’isotropia dello spazio, che sus-
sistono dunque, non soltanto nei confronti delle proprietà geometriche, ma anche
nei confronti delle leggi della meccanica: queste non attribuiscono alcuna proprietà
speciale a qualche punto (omogeneità), o a qualche direzione (isotropia), poiché
la loro formulazione analitica è invariante in ogni trasformazione corrispondente a
un cambiamento di assi cartesiani, nell’ambito dello stesso spazio euclideo. L’in-
varianza delle leggi per le trasformazioni che mutano l’origine degli assi, lasciando
invariato il loro orientamento, esprime l’omogeneità dello spazio; l’invarianza, in-
vece, per le trasformazioni che lasciano invariata l’origine degli assi, ma ne mutano
l’orientamento, esprime l’isotropia. Le leggi della dinamica sono invarianti anche
per ogni mutamento nella scelta dell’istante, assunto come origine delle ascisse
temporali (omogeneità rispetto al tempo).
Il principio di relatività comporta però, più in generale, l’invarianza delle leggi
della meccanica, non soltanto rispetto a un cambiamento di coordinate nell’ambito
di uno stesso riferimento meccanico, ma anche rispetto alle trasformazioni, dette di
Galilei, che legano tra loro le osservazioni fatte in due riferimenti inerziali diversi,
in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro.
Poiché le leggi fondamentali della dinamica sono espresse mediante le accelera-
zioni, e queste assumono lo stesso valore in tutti i riferimenti inerziali, l’ottempe-
ranza di queste leggi al principio di relatività è assicurata. Il principio pone però
delle limitazioni sulla forma delle funzioni '(P1 , P2 , v 1 , v 2 ) che determinano la di-
pendenza delle forze di interazione dalle posizioni e dalle velocità dei due elementi
materiali. La dipendenza deve attuarsi solamente per il tramite degli invarian-
ti nelle trasformazioni di coordinate e nelle trasformazioni di Galilei (16 ); questi
invarianti sono:
I1 = (P2 P1 ) ⇥ (P1 P2 ) ,
I2 = (P1 P2 ) ⇥ (v 1 v 2 ) ,
I3 = (v 1 v 2 ) ⇥ (v 1 v 2 ) .

Le grandezze I1 e I2 sono invarianti anche rispetto a un qualunque cambiamento


di riferimento: esse sono in e↵etti esprimibili per il tramite della distanza r12 delle
due posizioni e della derivata rispetto al tempo ṙ12 di questa distanza: I1 = r12 2
,
I2 = r12 ṙ12 . La grandezza I3 , non è invece invariante per cambiamenti di riferi-
mento qualunque, ma è comunque invariante per i cambiamenti che corrispondono
al passaggio da un riferimento a un altro che si muova, rispetto al precedente,
di moto traslatorio non necessariamente rettilineo, né uniforme. La presenza del-
le accelerazioni nelle (29) limita però l’invarianza delle leggi della dinamica alle
trasformazioni di Galilei (17 ).

(16 )La dimostrazione di questa a↵ermazione è piuttosto complessa e non viene riportata (cfr.
per esempio [2]).
(17 )Per le interazioni più comuni si trova in realtà che la grandezza ' dipende soltanto dal primo
invariante e cioè dalla distanza dei due elementi materiali.
4 Lo schema particellare, forze interne, forze esterne 209

4 Lo schema particellare, forze interne, forze esterne


In un sistema isolato si riscontra spesso che, mentre alcuni elementi materiali in-
fluiscono in modo sensibile sul moto di certi altri, questi ultimi hanno una influenza
trascurabile sul moto dei primi. È possibile allora assumere come noto il moto dei
primi, indipendentemente dalla conoscenza del moto dei secondi. Questa assunzio-
ne non può che essere fatta in via approssimata, poiché la forza che un elemento
materiale Ei esercita su di un altro Ej , dipende in generale dalla posizione e dalla
velocità di Ei : essa dipende sicuramente dalla posizioni di Ei se non altro per
quanto riguarda la direzione che, per la seconda legge, è quella della congiungente
i due punti Pi e Pj . Dunque moti diversi di Ei non possono realizzarsi a rigore, se
non con qualche diversità anche per il moto di Ej . Le leggi della dinamica mostra-
no tuttavia che l’influenza di Ei sul moto di Ej è tanto minore quanto maggiore
è il rapporto mj /mi . Pertanto, se la massa di Ej è molto più grande di quella di
Ei , si potrà assumere, in via approssimata, che sia noto il moto di Ej e che invece
il moto di Ei sia incognito; si esprime questo fatto anche dicendo che Ei è una
particella di prova.

Σ1 Σ2

Eh!
f! i
hi

Ej!!
f!jie
f!ihi
!
f!ije Ei
Ek!!

Figura 10.6. Rappresentazione di uno schema particellare con in evidenza i due sottosistemi ⌃1 e ⌃2 .

Queste considerazioni conducono alla costruzione di un modello, conosciuto con il


nome di schema particellare; esso è applicabile nei casi in cui il sistema materiale
isolato possa essere scisso in due parti: la prima ⌃1 = {E10 , E20 , . . ., EN
0
} sia costituita
da elementi materiali, detti anche particelle, la cui massa sia molto piccola, nei con-
fronti delle masse degli elementi materiali della seconda ⌃2 = {E100 , E200 , . . ., EN 00
};
questa sia costituita invece da elementi materiali il cui moto sia noto, indipen-
dentemente dal moto di ⌃1 . Le forze agenti sul generico elemento materiale Ei0
di ⌃1 possono a loro volta essere ripartite in (fig. 10.6): forze interne f iih e forze
esterne f eij . Le forze interne sono quelle che gli altri N 1 elementi materiali di
⌃1 distinti da Ei0 esercitano su quest’ultimo; le forze esterne sono invece quelle che
su di esso esercitano gli S elementi materiali Ej00 di ⌃2 . Alla dipendenza di cia-
scuna forza esterna dalla posizione e dalla velocità dell’elemento materiale che la
esercita, si intende sostituita la dipendenza esplicita dal tempo, sulla scorta della
conoscenza del moto degli elementi di ⌃2 . Per far ciò in maniera esplicita, basta
sostituire nella (28) alla dipendenza della generica forza esterna esercitata su Ei0
dall’elemento materiale Ej00 , le funzioni del tempo Pj (t) e v j (t) che rappresentano
210 Capitolo 10. Grandezze e assiomi P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio

il “moto approssimato di Ej ”:

f eij = '(Pi , Pj (t), v i , v j (t)) vers(Pi Pj ) .

Dal sistema (29), considerando soltanto le equazioni che riguardano direttamente


gli elementi materiali di ⌃1 , si ottiene un sistema di equazioni noto come sistema
fondamentale della dinamica degli schemi particellari:
!
(33) mi ai = f ii (P, V ) + f ei (Pi , v i , t) (i = 1, 2, . . . , N ) .

In esso si è indicata con f ii la somma delle forze interne e con f ei quella delle forze
esterne agenti sull’i-esimo elemento materiale di ⌃1 , con P ⌘ (P1 , P2 , . . . , PN ) la
!
generica configurazione e con V ⌘ (v 1 , v 2 , . . . , v N ) l’atto di moto del sistema:

XN S
X
!
f ii (P, V ) = i
f ih Pi , Ph , v i , v h , f ei (Pi , v i , t) = f eij Pi , Pj (t), v i , v j (t) .
h=1 j=1

Le grandezze vettoriali f e 1 , f e 2 , . . ., f e N sono dette anche semplicemente forze


esterne; il loro insieme costituisce la sollecitazione esterna.
Il sistema (33) generalizza in un certo senso il sistema (29), riducendosi a questo
quando, essendo vuoto ⌃2 , le forze esterne sono nulle. Anche il sistema (33) è in
forma normale e anche per esso sussiste il teorema di esistenza e unicità della
soluzione, per condizioni iniziali assegnate.
La legge delle singole forze esterne f ei (Pi , v i , t) può essere ricavata anche diret-
tamente, inducendola dalle osservazioni sul moto degli elementi materiali; questo
modo di procedere è quello utilizzato più frequentemente. La forma delle funzioni
che esprimono la legge delle forze esterne può variare nel passaggio da un riferi-
mento inerziale a un altro, anzi in generale essa varia e↵ettivamente. In particolare
una forza, che risulti posizionale (cioè dipendente soltanto dalla posizione) in un
riferimento inerziale, può risultare, in un altro, dipendente anche dal tempo; una
forza invece che dipenda soltanto dalla velocità, conserva questa proprietà in tutti
i riferimenti inerziali, ma la legge di dipendenza assume forme diverse in riferi-
menti inerziali diversi. Ciò non è in contrasto con il principio di relatività poiché
le di↵erenti forme delle funzioni, che esprimono le forze esterne, sono giustificate
dal fatto che in riferimenti inerziali diversi sono diversi i moti degli elementi di ⌃2 ,
che esercitano queste forze.
I valori che le forze f ei assumono in corrispondenza a valori nulli della velocità,
possono essere misurati con procedimenti statici o quasi statici cioè mediante dei
dispositivi atti a mantenere in quiete un corpo e a misurare l’azione che è necessario
esplicare per ottenere appunto la quiete. Questi procedimenti di misura avvicinano
la nozione astratta di forza alla nozione elementare concreta legata all’idea intuitiva
di sforzo muscolare.
Lo schema particellare descritto in precedenza è atto a rappresentare e a preve-
dere i fenomeni di moto in modo anche molto accurato: con una approssimazione
che risulta largamente sufficiente per le applicazioni della meccanica nei campi più
disparati.
Si definisce configurazione d’equilibrio per un sistema S di N elementi una
configurazione P e ⌘ (P1e , P2e , . . . , PNe ) tale che, se il sistema in un istante t0 la
4 Lo schema particellare, forze interne, forze esterne 211

occupa con atto di moto nullo, da quell’istante in poi il moto di S si riduce alla
quiete. Le configurazioni d’equilibrio sono, cioè, quelle nelle quali è possibile la
quiete o l’equilibrio del sistema in corrispondenza a un atto di moto nullo. In
tutte le altre possibili configurazioni, anche in corrispondenza di un atto di moto
nullo, il moto non è mai la quiete.
Nella tecnica è molto importante poter determinare le configurazioni d’equi-
librio sia per essere sicuri della staticità delle costruzioni (si pensi alle case, ai
ponti, alle gallerie ecc.) sia per evitare la quiete (si pensi a tutti quei meccani-
smi che si vogliono in moto anche se presentano istanti di inversione o di arresto
del moto medesimo). Dalla definizione sembrerebbe che la determinazione delle
eventuali configurazioni d’equilibrio si possa fare solo dopo avere determinato l’in-
sieme dei possibili moti: quelle condizioni iniziali alle quali corrispondono le quieti
individuerebbero le configurazioni d’equilibrio.
Si dimostra, invece, che il seguente sistema di equazioni in termini finiti, cui si
dà il nome di sistema fondamentale della statica degli schemi particellari,
individua tutte e sole le configurazioni d’equilibrio
(34) 0 = f ii (P, 0) + f ei (Pi , 0, t) (i = 1, 2, . . . , N ) .
Infatti, indicata con P ⇤ ⌘ (P1⇤ , P2⇤ , . . . , PN⇤ ) una soluzione del sistema (34), si
consideri la quiete Pi (t) = P ⇤i corrispondente alle condizioni iniziali Pi (0) = P ⇤i e
v i (0) = 0. Tale quiete, sostituita nel sistema (33) dà:
0 = f ii (P ⇤ , 0) + f ei (Pi⇤ , 0, t) (i = 1, 2, . . . , N ) ,
ma poiché P ⇤ è soluzione del sistema (34), queste sono N identità, quindi per il
teorema di esistenza e unicità Pi (t) = P ⇤i è una quiete per il sistema e perciò P ⇤
è una configurazione d’equilibrio.
Viceversa, una qualunque configurazione d’equilibrio P e ⌘ (P1e , P2e , . . . , PNe )
individua una quiete in P e che verifica identicamente il sistema (33)
0 ⌘ f ii (P e , 0) + f ei (Pie , 0, t) (i = 1, 2, . . . , N ) ,
queste eguaglianze, confrontate con il sistema (34), indicano che P e è soluzione
del sistema fondamentale della statica.
Resta cosı̀ dimostrato che il sistema (34) individua l’insieme completo delle
configurazioni d’equilibrio.
Un sistema particellare particolarmente semplice e di grande interesse è quello
dell’elemento materiale non isolato: il sistema ⌃1 è costituito da un solo ele-
mento materiale e ⌃2 è costituito da tutti gli altri. In tal caso non ci sono forze
interne e il sistema (33) si riduce a una sola equazione vettoriale: l’equazione
fondamentale della dinamica dell’elemento materiale (18 ):
(35) ma = f (P, v, t) .

(18 )Tutta la dinamica dei sistemi particellari può essere ottenuta, in una trattazione elementare,
a partire da questa equazione. Il sistema (33) è visto allora come una generalizzazione della (35),
la legge di inerzia è intesa come una particolarizzazione al caso in cui sia: f = 0. È necessario però
aggiungere, in sostituzione della seconda legge, il principio di azione e reazione e, in sostituzione
della terza, il principio di addizione per le forze agenti su di uno stesso elemento materiale (regola
del parallelogramma delle forze).
212 Bibliografia

Infine, il sistema (34) in questo caso dà luogo all’equazione fondamentale della
statica dell’elemento materiale:

(36) 0 = f (P, 0, t) .

che individua tutte e sole le posizioni d’equilibrio dell’elemento.

Bibliografia

[1] U. Amaldi, F. Enriques, Elementi di geometria, Zanichelli, Bologna, 1973.

[2] V. I. Arnold, Metodi matematici della meccanica classica, Editori riuniti, 1986

[3] P. Benvenuti, P. G. Bordoni, G. Maschio, Lezioni di Meccanica Razionale,


Edizioni CompoMat, 2011.

[4] P. Benvenuti, G. Maschio, Appunti delle Lezioni di Meccanica Razionale, Kappa,


Roma, 2002.

[5] P. G. Bordoni, Lezioni di Meccanica Razionale, Zanichelli, Bologna, 1999.

[6] P. G. Bordoni, Sugli insiemi di grandezze meccaniche derivate, Annali di Mate-


matica Pura ed Applicata, 111, 45-55, 1976.

[7] A. Bressan, Metodo di assiomatizzazione in senso stretto della meccanica clas-


sica. Applicazione di esso ad alcuni problemi di assiomatizzazione non ancora
completamente risolti, Rend. Sem. Mat. Padova, 32, 55-213, 1962.

[8] G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi, (seconda giornata), 1632.

[9] E. Mach, Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung der Arbeit,
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[10] E. Mach, The Science of Mechanics: A critical and Historical Account of Its
Development, The Open Court Publishing Company, Lasalle, Illinois, 1960.

[11] P. Painlevé, Les axiomes de la Mécanique, Gauthier-Villars, Paris, 1922.

[12] P. Painlevé, Course de la Mécanique, Gauthier-Villars, Paris, 1930.

[13] A. Signorini, Meccanica Razionale, Perella, Roma, 1954.

Giovanni Maschio
Sapienza Università di Roma
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria
Sezione Matematica
e-mail: giovanni.maschio@uniroma1.it

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