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Appunti per il corso di Analisi Matematica I

Eugenio Montefusco & Emanuele Spadaro


Dipartimento di Matematica
Sapienza Università di Roma
piazzale Aldo Moro 5 00185 Roma
Indice

Parte 1. Completezza 5

Capitolo 1. I numeri reali: un nuovo inizio... 7

Estremo superiore e inferiore 7

Assioma degli intervalli incapsulati e principio di Archimede 8

Successioni di Cauchy 10

Capitolo 2. Spazi metrici 15

Distanza 15

Esempi principali 16

Capitolo 3. Spazi metrici completi 21

Successioni negli spazi metrici 21

Completezza 22

Capitolo 4. Topologia degli spazi metrici 27

1. Topologia 27

Altre nozioni di topologia 29

Capitolo 5. Funzioni continue e teorema delle contrazioni 31

Funzioni continue 31

Teorema delle contrazioni 32

Capitolo 6. Compattezza 35

Insiemi compatti 35

Proprietà degli insiemi compatti 36

Caratterizzazione degli insiemi compatti 37

Intersezione di compatti 38

Osservazioni nali 39

Capitolo 7. Spazi normati 41

Spazi di Banach 41

Spazi di Hilbert 43

Parte 2. Successioni e serie di funzioni 47

Capitolo 8. Successioni di funzioni continue 49

Convergenza puntuale 49

Convergenza uniforme 50

Teoremi di passaggio al limite 51

Capitolo 9. Serie di funzioni 55

Nozioni di convergenza per serie 55

Teoremi di passaggio al limite 56

3
4 INDICE

Capitolo 10. Serie di potenze 59

Convergenza delle serie di potenze 59

Raggio di convergenza 60

Integrazione e derivazione di serie di potenze 61

Serie di potenze complesse 62

Serie di Taylor e funzioni analitiche 63

Sviluppi di alcune funzioni elementari 64

Capitolo 11. Teorema di AscoliArzelà 67

Uniforme continuità 67

Teorema di AscoliArzelà 68

Capitolo 12. Alcuni Complementi 73

Una funzione "speciale" 74

Uno sguardo più astratto 75

Parte 3. Equazioni Dierenziali Ordinarie 81

Capitolo 13. Equazioni dierenziali: concetti introduttivi 83

Denizioni e terminologia 84

Due classi di equazioni dierenziali 85

1. esercizi e complementi 88

Capitolo 14. Problema di Cauchy 89

Esistenza e unicità locale 89

Esistenza globale e unicità 91

Teorema del confronto 93

Esempi 93

1. Esercizi e complementi 94

Capitolo 15. Sistemi di equazioni dierenziali lineari 97

Matrice delle soluzioni 98

Sistemi lineari a coecienti costanti 100

Equazioni lineari con termine forzante 102

1. Esercizi e complementi 103

Capitolo 16. Equazioni lineari a coecienti costanti 105

Soluzioni in serie di potenze 105

Soluzioni scritte in forma esponenziale 107

Ancora un altro approccio: l'esponenziale complesso 110

1. Alcuni esempi 111

2. esercizi 115

Per concludere... 121


Parte 1

Completezza
CAPITOLO 1

I numeri reali: un nuovo inizio...


[aggiornato il 01/03/2021]

Nel corso di calcolo è stato introdotto l'insieme dei numeri reali ℝ e i suoi assiomi. Qui vogliamo

concentrarci sulla cosiddetta proprietà di completezza: questa è la proprietà che distingue i numeri

reali dai numeri razionali ℚ e sta alla base di tutti i risultati principali del primo corso di calcolo, quali il
teorema dei valori intermedi , il teorema di Weierstrass, il teorema fondamentale del calcolo integrale,
etc...

È possibile denire operativamente questa caratteristica dei reali in vari modi: di seguito ne vediamo

tre dierenti.

Estremo superiore e inferiore


Richiamiamo le seguenti denizioni attinenti al concetto di estremo superiore ed estremo inferiore.

1.1. Denizione. Dato un sottoinsieme 𝐸 ⊂ ℝ e un numero 𝜆 ∈ ℝ si dice che


i. 𝜆 è un maggiorante di 𝐸 se 𝜆 ≥ 𝑥 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 ;

ii. 𝜆 è un minorante di 𝐸 se 𝜆 ≤ 𝑥 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 .

𝐸 ⊂ ℝ è limitato superiormente se esiste un maggiorante di 𝐸 ; limitato inferiormente se esiste un


minorante di 𝐸 ; si dice limitato se è limitato inferiormente e superiormente.

La completezza dei numeri reali si può caratterizzare tramite il seguente assioma.

1.2. Assioma [Esistenza dell'estremo superiore]. Sia 𝐸 ⊆ℝ un insieme non vuoto superiormente

limitato. Allora esiste un elemento 𝜇 ∈ ℝ tale che

i.𝜇 è un maggiorante: 𝑥 ≤ 𝜇 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 ,

ii.𝜇 è il più piccolo dei maggioranti: per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑥 𝜀 ∈ 𝐸 tale che 𝜇 − 𝜀 < 𝑥𝜀.
L'elemento 𝜇 è detto estremo superiore di 𝐸 e si scrive 𝜇 = sup(𝐸) .

1.3. In maniera analoga possiamo considerare come assioma di completezza di ℝ l'esistenza dell'estremo
inferiore per insiemi non vuoti inferiormente limitati denito in maniera del tutto analoga:
i. inf (𝐸) è un minorante: inf (𝐸) ≤ 𝑥 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 ;
ii. inf (𝐸) è il più grande dei minoranti: per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑥𝜀 ∈ 𝐸 tale che 𝑥 𝜀 < inf (𝐸) + 𝜀 .
In altre parole, per ogni insieme inferiormente limitato 𝐸 si ha che (v. Esercizio 1.1)

inf (𝐸) = − sup(𝐸 − ), 𝐸 − = {−𝑥 : 𝑥 ∈ 𝐸 }.

1.4. L'insieme dei numeri razionali ℚ non soddisfa l'Assioma 1.2. Per esempio, l'insieme 𝐸 = {𝑞 ∈
ℚ : 𝑞 2 < 2} è limitato superiormente ma non ha estremo superiore in ℚ (v. Esercizio 1.2).

7
8 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...

Assioma degli intervalli incapsulati e principio di Archimede


Per comprendere in quale senso l'Assioma 1.2 esprime una proprietà di completezza dei numeri reali

è interessante mostrare due sue conseguenze, che vanno sotto il nome di principio di Archimede e

principio degli intervalli incapsulati.

1.5. Proposizione [Principio di Archimede]. Per ogni coppia di numeri reali 𝑎>0 e 𝑏 ≥0 esiste

𝑁∈ℕ tale che 𝑁𝑎 > 𝑏 .

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che la tesi sia falsa e che esistono due reali positivi 𝑎 e

𝑏 tali che 𝑛𝑎 ≤ 𝑏 per ogni 𝑛 ∈ ℕ. La precedente aermazione è equivalente a dire che l'insieme
𝐴 = {𝑛𝑎 : 𝑛 ∈ ℕ} ⊆ ℝ è non vuoto e superiormente limitato, visto che 𝑏 è un suo maggiorante,
Per l'Assioma 1.2 esiste 𝛼 = sup( 𝐴) ∈ ℝ: in particolare, (𝑛 + 1)𝑎 ≤ 𝛼 per ogni 𝑛, da cui

𝑛𝑎 ≤ 𝛼 − 𝑎 < 𝛼 per ogni 𝑛 ∈ ℕ.

Questo implica che 𝛼 non è il più piccolo dei maggioranti, in contrasto con la denizione di estremo

superiore. La contraddizione raggiunta dimostra la proposizione.

Una delle conseguenze elementari e fondamentali del principio di Archimede è la densità dei numeri

razionali nei numeri reali.

1.6. Proposizione. L'insieme dei numeri razionali ℚ è denso nell'insieme dei numeri reali ℝ: cioè, per
ogni coppia di numeri reali 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ con 𝑥 < 𝑦, esiste un numero razionale 𝑝 ∈ ℚ tale che 𝑥 < 𝑝 < 𝑦 .

Dimostrazione. Se 𝑥 < 0 < 𝑦 , allora la proposizione è banalmente dimostrata con 𝑝 = 0. Supponiamo


che 0≤𝑥<𝑦 e applichiamo il principio di Archimede due volte:

A) nel primo caso con 𝑎 = 𝑦 − 𝑥 e 𝑏 = 1, per cui esiste 𝑛 ∈ ℕ tale che 𝑛(𝑦 − 𝑥) > 1;
B) nel secondo caso con 𝑎 = 1 e 𝑏 = 𝑛𝑥 , deducendo l'esistenza di 𝑚 ∈ ℕ tale che 𝑚 > 𝑛𝑥 .
Da B) deduciamo che esiste un numero naturale ℎ ∈ ℕ (con ℎ ≤ 𝑚 ) tale che

ℎ − 1 ≤ 𝑛𝑥 < ℎ.

Da cui, prendendo in considerazione anche A), si deduce che

𝑛𝑥 < ℎ < 1 + 𝑛𝑥 < 𝑛𝑦,


ℎ ℎ
ossia, dividendo per 𝑛 (si noti che è positivo!), 𝑥 < 𝑛 < 𝑦. Abbiamo quindi dimostrato che 𝑝= 𝑛 è
compreso tra 𝑥 e 𝑦 , concludendo la dimostrazione.

Nel caso in cui 𝑥 < 𝑦 ≤ 0, si considera un numero razionale 𝑝 con −𝑦 < 𝑝 < −𝑥 (la cui esistenza segue

dal caso precedente), per cui la proposizione segue con 𝑥 < −𝑝 < 𝑦 .

Corollario. Per ogni 𝑥>0 esiste 𝑛0 ∈ ℕ tale che


1
𝑛 <𝑥 per ogni 𝑛∈ℕ con 𝑛 ≥ 𝑛0 .

Dimostrazione. Per la Proposizione 1.6 si ha che esiste un numero razionale 0< 𝑎


𝑏 < 𝑥 , 𝑎, 𝑏 ∈ ℕ\{0}.
Il corollario è quindi vericato con 𝑛0 = 𝑏 in quanto

1 1 𝑎
≤ ≤ <𝑥 ∀ 𝑛 ≥ 𝑛0 .
𝑛 𝑛0 𝑏
La proprietà di completezza dei numeri reali espressa dall'Assioma 1.2 è resa geometricamente dal

seguente principio, che stabilisce il fatto che non ci sono spazi vuoti nei numeri reali.
ASSIOMA DEGLI INTERVALLI INCAPSULATI E PRINCIPIO DI ARCHIMEDE 9

1.7. Proposizione [Principio degli intervalli incapsulati]. Siano 𝐼𝑛 = [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] per ogni 𝑛 ∈ ℕ


intervalli chiusi, limitati e incapsulati, ossia tali che 𝐼 𝑛+1 ⊂ 𝐼 𝑛 per ogni 𝑛 ∈ ℕ. Allora, l'intersezione
Ñ
𝑛∈ℕ 𝐼 𝑛 è non vuota.

Dimostrazione. Notiamo che la condizione 𝐼𝑛+1 ⊂ 𝐼𝑛 si traduce nella seguente relazione soddisfatta

dagli estremi degli intervalli 𝐼𝑛 :


𝑎 𝑛 ≤ 𝑎 𝑛+1 < 𝑏 𝑛+1 ≤ 𝑏 𝑛 ∀ 𝑛 ∈ ℕ.
𝑎 𝑛 ≤ 𝑏 𝑚 per ogni scelta di indici 𝑛, 𝑚 ∈ ℕ. In altri termini, per ogni 𝑚 ∈ ℕ si ha che
In particolare,

𝑏 𝑚 è un maggiorante di 𝐸 := {𝑎 𝑛 : 𝑛 ∈ ℕ}. Per l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore esiste


sup(𝐸) = 𝜆: per denizione, 𝜆 è il più piccolo dei maggioranti, da cui in particolare 𝜆 ≤ 𝑏 𝑚 per ogni
𝑚 ∈ ℕ. Si ha quindi 𝑎 𝑚 ≤ 𝜆 ≤ 𝑏 𝑚 per ogni 𝑚 ∈ ℕ, ossia 𝜆 ∈ 𝐼𝑚 per ogni 𝑚 ∈ ℕ.
Osservazione. È necessario che gli intervalli 𝐼𝑛 della Proposizione 1.7 siano chiusi e limitati. Per
esempio, 𝐼𝑛 = (0, 𝑛1 ) sono aperti e limitati e ∩𝑛 𝐼𝑛 = ∅; oppure, 𝐼𝑛 = [𝑛, +∞) sono chiusi e illimitati, e
∩𝑛 𝐼 𝑛 = ∅ .
Abbiamo mostrato come il principio di Archimede e il principio degli intervalli incapsulati siano conse-

guenza dell'Assioma 1.2. In realtà sono aermazioni equivalenti come mostra la seguente proposizione.

1.8. Proposizione [Seconda formulazione della proprietà di completezza]. Il principio degli inter-

valli incapsulati e il principio di Archimede implicano l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore.

Dimostrazione. 𝐸 ⊂ ℝ un sottoinsieme non vuoto e limitato superiormente: siano 𝑎 0 ∈ 𝐸 e 𝑏 0


Sia

un maggiorante di 𝐸.
Se 𝑎 0 è anch'esso un maggiorante, allora la proposizione è dimostrata perché

𝑎 0 = sup(𝐸) : infatti, 𝑎 0 è necessariamente il più piccolo maggiorante (per ogni altro maggiorante 𝜆
vale per denizone di maggiorante 𝐸 3 𝑎 0 ≤ 𝜆 ), 𝑎 0 si chiama massimo di 𝐸 e si scrive 𝑎 0 = max(𝐸) .
𝑎0 +𝑏0
Possiamo quindi supporre che 𝑎 0 non sia un maggiorante e consideriamo la media aritmetica
2 .
𝑎0 +𝑏0
Si possono presentare due casi: o è un maggiorante di 𝐸 , nel qual caso poniamo 𝑎 1 := 𝑎 0 e
2
𝑏 1 := 𝑎0 +𝑏
2
0
; oppure
𝑎0 +𝑏0
2 non è un maggiorante e in questo caso poniamo 𝑎 1 :=
𝑎0 +𝑏0
2 e 𝑏 1 := 𝑏 0 . Si

noti che in entrambi i casi 𝑎 1 non è un maggiorante, 𝑏 1 è un maggiorante di 𝐸 e vale

𝑏0 − 𝑎0
[𝑎 1 , 𝑏 1 ] ⊂ [𝑎 0 , 𝑏 0 ], 𝑏 1 − 𝑎 1 = .
2
𝑎1 +𝑏1
A partire adesso da 𝑎1 , 𝑏1 si procede come sopra: si considera il punto medio
e, a seconda
2
che sia o no un maggiorante di 𝐸 , si trovano i nuovi estremi 𝑎 2 , 𝑏 2 , in maniera tale che 𝑏 2 sia un

maggiorante e 𝑎2 non lo sia; in particolare

𝑏1 − 𝑎1 𝑏0 − 𝑎0
[𝑎 2 , 𝑏 2 ] ⊂ [𝑎 1 , 𝑏 1 ] ⊂ [𝑎 0 , 𝑏 0 ], 𝑏2 − 𝑎2 = = .
2 4
Procedendo in questo modo si crea una successione di intervalli chiusi limitati e incapsulati tali che

[𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] ⊂ [𝑎 𝑛 .𝑏 𝑛 ] per ogni 𝑛∈ℕ tali che 𝑎𝑛 non è un maggiorante e 𝑏𝑛 è un maggiorante di 𝐸
con

𝑏0 − 𝑎0
𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = .
2𝑛
Ñ
Usando il principio degli intervalli incapsulati, esiste 𝜆∈ 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , ossia

(1.1) 𝑎𝑛 ≤ 𝜆 ≤ 𝑏𝑛 ∀ 𝑛 ∈ ℕ.
La dimostrazione è conclusa se mostriamo che 𝜆 è l'estremo superiore di 𝐸. Iniziamo col dimostrare

che 𝜆 è un maggiorante di 𝐸: supponiamo per assurdo che non sia così e che esista, quindi, 𝑥 ∈ 𝐸
tale che 𝜆 < 𝑥. Da (1.1) segue che

𝑏0 − 𝑎0
(1.2) 𝑏𝑛 − 𝜆 ≤ 𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = .
2𝑛
10 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...

Inoltre, dato che 𝑥 − 𝜆 > 0, possiamo utilizzare il principio di Archimede per trovare un naturale 𝑛 tale

che
𝑏0 − 𝑎0
(1.3) < 𝑥 − 𝜆.
2𝑛
Mettendo assieme (1.2) e (1.3), otteniamo

𝑏𝑛 − 𝜆 ≤ 𝑥 − 𝜆
e eliminando 𝜆 da entrambi i membri della disuguaglianza, si deduce che 𝑏 𝑛 < 𝑥 contro il fatto che 𝑏 𝑛 è
un maggiorante di 𝐸 . Inoltre, 𝜆 è il più piccolo dei maggioranti: se questo non fosse il caso, esisterebbe
un maggiorante 𝜇 < 𝜆 . Ragionando in maniera analoga a sopra, per il principio di Archimede esiste

un naturale 𝑛 tale che


𝑏0 − 𝑎0
𝜆 − 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = < 𝜆 − 𝜇.
2𝑛
Si ha quindi 𝑎 𝑛 > 𝜇 contro il fatto che 𝑎 𝑛 non è un maggiorante. Questo dimostra che 𝜆 è il minore

dei maggioranti, ossia 𝜆 = sup(𝐸) .

1.9. Dimostrazioni per bisezione. La tecnica di dimostrazione appena vista verrà utilizzata altre

volte nel seguito, per cui vale la pena darne una formulazione generale. Si inizia con un intervallo

chiuso e limitato [𝑎 0 , 𝑏 0 ] e una proprietà (P) sugli intervalli che è soddisfatta da [𝑎 0 , 𝑏 0 ] .


Nel caso della Proposizione 1.8 la proprietà (P) di un intervallo [𝑎, 𝑏] è la seguente:

(P) 𝑎 non è un maggiorante di 𝐸, 𝑏 è un maggiorante di 𝐸.


Quindi si denisce una successione di intervalli chiusi incapsulati in modo ricorsivo procedendo secondo

il seguente algoritmo di bisezione: si divide l'intervallo [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] in due metà, 𝐼 − := [𝑎 𝑛 , 𝑎𝑛 +𝑏


2 ]
𝑛
e
+𝑏
𝐼 + := [ 𝑛 2 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] e, se 𝐼 − soddisfa la proprietà (P), allora si pone [𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] :=
𝑎
𝐼 − ; altrimenti si
+
verica che 𝐼 soddisfa la proprietà (P) e si pone [𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] := 𝐼 .
+

Si noti che la seconda alternativa impone alcune restrizioni sulla proprietà (P), perché implica che

se non è soddisfatta da 𝐼− allora lo è necessariamente da 𝐼+ (ma non esclude che 𝐼− e 𝐼+ soddisno



entrambi (P), nel qual caso l'algoritmo seleziona 𝐼 ).

Gli intervalli [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] sono chiusi e incapsulati e vale

𝑏0 − 𝑎0
(1.4) [𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] ⊂ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ], 𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = ∀ 𝑛 ∈ ℕ.
2𝑛
Ñ
In particolare, la completezza dei numeri reali implica che esiste 𝜆∈ 𝑛 [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . In realtà, 𝜆 è l'unico
Ñ Ñ
elemento nell'intersezione 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] = {𝜆} : infatti, se 𝜆, 𝜇 ∈ 𝑛 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , allora
[𝑎
𝑏0 − 𝑎0
|𝜆 − 𝜇| ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ∀ 𝑛 ∈ ℕ,
2𝑛
ossia, per il principio di Archimede, 𝜆 = 𝜇 .

Successioni di Cauchy
Il limite principale delle formulazioni della completezza di ℝ esposte sopra come esistenza dell'estremo
superiore e i principi di Archimede e degli intervalli incapsulati risiede nel fatto che si basano entrambe

sull'ordinamento totale di ℝ, ossia sulla sua struttura unidimensionale: infatti, sia la denizione di

estremo superiore, sia la nozione di intervallo presuppongono la possibilità, dati due numeri reali

distinti, di dire quale dei due è il maggiore.

Tuttavia, la proprietà di completezza è chiaramente condivisa con altri insiemi, quali per esempio il

campo dei numeri complessi ℂ o lo spazio euclideo ℝ3 (o, più in generale, ℝ𝑛 ). Ma cosa vuol dire che
3
ℂ o ℝ sono spazi completi?

Di seguito diamo una terza formulazione equivalente della proprietà di completezza di ℝ, che è basata
sul concetto di successione e che è facilmente estendibile a situazioni ben più generali, quali ℂ, ℝ𝑛 e
tante altre ancora (si veda il prossimo capitolo).
SUCCESSIONI DI CAUCHY 11

1.10. Richiami sulle successioni. Ricordiamo che una successione di numeri reali è una funzione

a valori reali il cui dominio è ℕ (o un suo sottoinsieme). Generalmente una successione 𝑎 si indica
con una scrittura del tipo (𝑎 𝑘 ) , dove 𝑎 𝑘 = 𝑎(𝑘) con 𝑘 ∈ ℕ. Ricordiamo la denizione di successione
convergente.

1.11. Denizione. Una successione (𝑎 𝑘 ) è convergente se esiste un punto 𝑝∈ℝ per cui valga la

seguente proprietà:

∀𝜀>0 ∃ 𝑁 (𝜀) ∈ ℕ tale che |𝑎 𝑘 − 𝑝| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀).


In questo caso si scrive 𝑎𝑘 → 𝑝 per 𝑘 che tende a più innito, oppure

lim 𝑎 𝑘 = 𝑝.
𝑘→+∞

1.12. Denizione. Data una successione di numeri reali 𝑎 = (𝑎 𝑘 ) e una successione di numeri naturali
crescenti 𝑘 (0) < 𝑘 (1) < 𝑘 (2)..., la successione 𝑎 0 = (𝑎 𝑘 (𝑖) ) si chiama sottosuccessione di (𝑎 𝑘 ) e si
scrive 𝑎 0 ⊂ 𝑎.
In altre parole, una sottosuccessione 𝑎0 ⊂ 𝑎 è la composizione della funzione 𝑎 con una funzione

strettamente crescente 𝜙 : ℕ → ℕ,
𝑎 0 = 𝑎 ◦ 𝜙, 𝑎 0 = (𝑎 𝑘 ( 0) , 𝑎 𝑘 ( 1) , 𝑎 𝑘 ( 2) , · · · ), 𝜙(𝑖) = 𝑘 (𝑖).

1.13. Una successione è convergente se tutte le sue sottosuccessioni convergono (v. Esercizio 1.7).

Inoltre, un fatto signicativo riguarda le successioni limitate, per le quali esiste sempre una sottosuc-

cessione convergente, come mostriamo nella prossima proposizione. Ricordiamo che una successione

si dice limitata se lo è come funzione, ossia se esiste 𝑀>0 tale che |𝑎 𝑘 | ≤ 𝑀 per ogni 𝑘 ∈ ℕ.

1.14. Proposizione. Ogni successione di numeri reali limitata possiede una sottosuccessione conver-

gente.

Dimostrazione. Diamo due dimostrazioni diverse di questo risultato; un'ulteriore dimostrazione sarà

data come conseguenza di un teorema più generale sugli spazi compatti (si veda il Capitolo 6).

Prima dimostrazione. Sia (𝑎 𝑘 ) una successione limitata e sia 𝑀 > 0 tale che −𝑀 ≤ 𝑎 𝑘 ≤ 𝑀 per
ogni 𝑘 ∈ ℕ. Applichiamo il metodo di bisezione illustrato sopra con [𝑎 0 , 𝑏 0 ] = [−𝑀, 𝑀] e la seguente
proprietà (P) per gli intervalli chiusi e limitati 𝐼:
(P) 𝑎𝑘 ∈ 𝐼 per inniti indici 𝑘.
Chiaramente (P) vale per [𝑎 0 , 𝑏 0 ] , e se un intervallo 𝐼 con inniti termini della successione viene
diviso nelle sue due metà destra 𝐼 + e sinistra 𝐼 − , allora la proprietà (P) vale per almeno uno dei due
sottointervalli, perché almeno uno dei due intervalli deve contenere un numero innito di termini della

successione. La procedura di bisezione produce una successione di intervalli incapsulati [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] tali

che la proprietà (P) vale per ogni intervallo [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . In particolare, dato che ci sono inniti termini
della successione in ogni intervallo [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , possiamo trovare una successione crescente di indici
𝑘 (0) = 0 < 𝑘 (1) < 𝑘 (2)... tale che 𝑎 𝑘 (𝑛) ∈ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] per ogni 𝑛.
Ñ
Sia 𝜆 = 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . Allora la sottosuccessione {𝑎 𝑘 (𝑛) } converge a 𝜆 perché per ogni 𝑛 si ha che

𝑏0 − 𝑎0
|𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝜆| ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ,
2𝑛
da cui la conclusione segue dal teorema del confronto per successioni (il limite del membro destro è

zero, per cui il membro sinistro è anch'esso innitesimo).


12 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...

Seconda dimostrazione. Iniziamo col mostrare che ogni successione (𝑎 𝑘 ) possiede una sottosucces-

sione monotona. Consideriamo l'insieme degli indici

I := {𝑖 ∈ ℕ : 𝑎 𝑖 ≥ 𝑎 𝑙 ∀𝑙 ≥ 𝑖}.
Se I è un insieme innito, allora la sottosuccessione {𝑎 𝑖 : 𝑖 ∈ I} è monotona non crescente, perché
per denizione 𝑎 𝑖 ≥ 𝑎 𝑗 per ogni coppia di indici 𝑖, 𝑗 ∈ I con 𝑖 < 𝑗 . Se I è nito, esiste 𝑁0 ∈ ℕ tale
che per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 0 esiste almeno un indice 𝑙 > 𝑘 tale che 𝑎 𝑘 < 𝑎 𝑙 . Deniamo ricorsivamente una

successione come segue: poniamo 𝑘 (0) = 𝑁 0 e, denito 𝑘 (𝑛) , sia 𝑘 (𝑛 + 1) > 𝑘 (𝑛) un indice tale che

𝑎 𝑘 (𝑛+1) > 𝑎 𝑘 (𝑛) (l'esistenza di 𝑘 (𝑛 + 1) è garantita dalla nitezza di I , come detto sopra). Quindi, per
costruzione la sottosuccessione (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è crescente.

Per concludere la dimostrazione basta adesso notare che una successione monotona e limitata è

convergente. Infatti, se (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è limitata e non decrescente, allora 𝑎 𝑘 (𝑛) → sup({𝑎 𝑘 (𝑛) : 𝑛 ∈ ℕ}) per
𝑛 che tende a più innito; se (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è limitata e non crescente, allora 𝑎 𝑘 (𝑛) → inf ({𝑎 𝑘 (𝑛) : 𝑛 ∈ ℕ})
per 𝑛 che tende a più innito.

Il concetto principale di questa sezione è quello di successione di Cauchy.

1.15. Denizione [Successione di Cauchy]. (𝑎 𝑘 ) ⊆ ℝ è una successione di Cauchy se per ogni

𝜀>0 esiste un indice 𝐾 = 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che

|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | ≤ 𝜀 per ogni 𝑘≥𝐾 e per ogni 𝑗 ∈ ℕ.

Il risultato principale è il seguente.

1.16. Proposizione [Convergenza delle successioni di Cauchy]. In ℝ una successione è di Cauchy


se e solo se è convergente.

Dimostrazione. Supponiamo che (𝑎 𝑘 ) ⊆ ℝ sia una successione convergente e sia 𝑝 ∈ ℝ il suo limite.
Dalla denizione di limite sappiamo che per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑁 (𝜀) ∈ ℕ tale che
|𝑎 𝑘 − 𝑝| ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀).
Allora possiamo scrivere

|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | = |𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑝 + 𝑝 − 𝑎 𝑘 | ≤ |𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑝| + | 𝑝 − 𝑎 𝑘 | ≤ 2 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
La disuguaglianza ottenuta prova che (𝑎 𝑘 ) è di Cauchy (con 𝐾 (𝜀) = 𝑁 (𝜀/2) ).
Viceversa, sia (𝑎 𝑘 ) una successione di Cauchy; allora dalla denizione abbiamo che esiste 𝐾0 tale che

|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | ≤ 1 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾0 .
In particolare, la successione (𝑎 𝑘 ) è limitata in quanto

|𝑎 𝑘 | ≤ |𝑎 0 | + ... + |𝑎 𝐾0 | + 1 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
Per la Proposizione 1.14 esiste una sottosuccessione convergente {𝑎 𝑘 (𝑛) } ad un punto 𝑝 ∈ ℝ. Per
concludere la dimostrazione è suciente provare che tutta la successione (𝑎 𝑘 ) converge a tale limite.
Sia 𝜀 > 0; per denizione di limite (per (𝑎 𝑘 (𝑛) ) ) e di successione di Cauchy (per (𝑎 𝑘 ) ) esistono due

indici naturali 𝐾1 e 𝐾2 tali che

|𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝑝| ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 (𝑛) > 𝐾1 ,


|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 > 𝐾2 , 𝑗 ∈ ℕ.
Allora, per ogni 𝑘 ≥ max{𝐾1 , 𝐾2 }, sia 𝑛 tale che 𝑘 (𝑛) > 𝑘 e stimiamo come segue

|𝑎 𝑘 − 𝑝| ≤ |𝑎 𝑘 − 𝑎 𝑘 (𝑛) | + |𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝑝| ≤ 2𝜀.


L'arbitrarietà di 𝜀 ci permette di aermare che 𝑎 𝑘 → 𝑝, concludendo la dimostrazione.

È un fatto notevole che la completezza dei numeri reali possa essere caratterizzata dalla convergenza

delle successioni di Cauchy e dal principio di Archimede.


SUCCESSIONI DI CAUCHY 13

1.17. Proposizione [Terza formulazione della proprietà di completezza]. Il principio di Archimede

e la convergenza delle successioni di Cauchy implicano l'esistenza dell'estremo superiore degli insiemi

non vuoti superiormente limitati.

Dimostrazione. Sia 𝐸⊆ℝ un insieme non vuoto superiormente limitato. La dimostrazione procede

tramite il metodo di bisezione, applicato nella stessa maniera della Proposizione 1.17: o esiste max(𝐸)
(nel qual caso la dimostrazione è conclusa), oppure esiste una successione di intervalli incapsulati

[𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] tali che 𝑎𝑛 non è un maggiorante di 𝐸 e 𝑏 𝑛 è un maggiorante di 𝐸 per ogni 𝑛 ∈ ℕ. In


particolare, le successioni (𝑎 𝑛 )
(𝑏 𝑛 ) sono successioni di Cauchy, perché
e

𝑏0 − 𝑎0 𝑏0 − 𝑎0
|𝑎 𝑛+ 𝑗 − 𝑎 𝑛 | ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = , |𝑏 𝑛+ 𝑗 − 𝑏 𝑛 | ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
2𝑛 2𝑛
Per ipotesi (che le successioni di Cauchy siano convergenti) (𝑎 𝑛 ) e (𝑏 𝑛 ) sono convergenti. Inoltre,
𝑏0 −𝑎0
dato che 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 =
2𝑛 , per il principio di Archimede si ha che

lim 𝑎 𝑛 = lim 𝑏 𝑛 .
𝑛→∞ 𝑛→∞
Chiamiamo 𝜇 tale limite: la dimostrazione si conclude provando che 𝜇 = sup(𝐸) . Per denizione di

maggiorante abbiamo che

𝑥 ≤ 𝑏𝑛 per ogni 𝑥∈𝐸


e, passando al limite, otteniamo

𝑥≤𝜇 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸,


il che prova che 𝜇è un maggiorante. Inoltre, per costruzione 𝑎𝑛 non è un maggiorante, per cui per

ogni 𝑛 esiste 𝑥𝑛 ∈ 𝐸 tale che 𝑎𝑛 < 𝑥𝑛. In particolare, non può esistere un maggiorante 𝜆 con 𝜆 < 𝜇:
infatti, si ha che

lim 𝑎 𝑛 = lim 𝑥 𝑛 = lim 𝑏 𝑛 = 𝜇;


𝑛→∞ 𝑛→∞ 𝑛→∞
e, dato che 𝑎𝑛 < 𝑥𝑛 ≤ 𝜆 < 𝜇 per ogni 𝑛, deduciamo la contraddizione

0 < 𝜇 − 𝜆 ≤ lim (𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 ) = 0.
𝑛→∞

Complementi ed esercizi

Esercizio 1.1. Sia 𝐸 ⊂ ℝ un insieme inferiormente limitato e si ponga 𝐸 − = {−𝑥 : 𝑥 ∈ 𝐸 }. Si mostri


che 𝐸− è superiormente limitato e che inf (𝐸) = − sup(𝐸 − ) .
Esercizio 1.2. Si mostri che l'insieme 𝐸 := {𝑞 ∈ ℚ : 𝑞 2 < 2} è limitato ma non ammette estremo
superiore ed estremo inferiore in ℚ.
Esercizio 1.3. Mostrare con un esempio che in ℚ non è vero che ogni successione di Cauchy è
convergente.
Esercizio 1.4. Dimostrare che le successioni monotone e limitate sono convergenti.
Esercizio 1.5. Dimostrare che una successione è convergente se e solo se tutte le sue sottosuccessioni
lo sono.
Esercizio 1.6.1)√ Si mostri che, se 𝑛 ∈ ℕ non è un quadrato perfetto (non esiste, cioè 𝑚 ∈ ℕ tale che
𝑚 2 = 𝑛),
allora √ 𝑛 ∉ ℚ√.
2) Si mostri che 3 + 5 ∉ ℚ.
14 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...

Esercizio 1.7. Dimostrare che una successione è convergente se e solo se tutte le sue sottosuccessioni
lo sono.
Esercizio 1.8.Siano (𝑎 𝑛 ), (𝑏 𝑛 ) due successioni di numeri reali e supponiamo che
• 𝑎𝑛sia convergente,
• edesista una costante 𝐶 > 0 tale che |𝑎 𝑛 − 𝑏 𝑛 | ≤ 𝐶/𝑛.
Dimostrare che è conseguenza del principio di Archimede il fatto che
lim 𝑎 𝑛 = lim 𝑏 𝑛 .
𝑛→∞ 𝑛→∞

Esercizio 1.9. Ricordiamo la denizione di limite superiore e limite inferiore di una successione (𝑎 𝑘 ) :
lim sup 𝑎 𝑘 = inf sup 𝑎 𝑘 , lim inf 𝑎 𝑘 = sup inf 𝑎 𝑘 .
𝑘→∞ 𝑁 ∈ℕ 𝑘 ≥ 𝑁 𝑘→∞ 𝑁 ∈ℕ 𝑘 ≥ 𝑁
1) Mostrare che 𝐿 = lim sup𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ∈ ℝ se e solo se valgono le seguenti due condizioni:
(i) per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑁 𝜀 ∈ ℕ tale che

𝑎𝑘 ≤ 𝐿 + 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁𝜀;

(ii) per ogni 𝜀 > 0 esistono inniti indici {𝑘 𝑖 } ⊂ ℕ tali che


𝑎 𝑘𝑖 ≥ 𝐿 − 𝜀 ∀ 𝑖 ∈ ℕ.

Le proprietà (i) e (ii) possono enunciarsi anche come segue: (i) 𝑎 𝑘 ≤ 𝐿 + 𝜀 denitivamente; (ii)
𝑎 𝑘 ≥ 𝐿 − 𝜀 frequentemente per ogni 𝜀 > 0.

2) Mostrare che 𝑙 = lim inf 𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ∈ ℝ se e solo se (i) 𝑎 𝑘 ≥ 𝐿 − 𝜀 denitivamente; (ii) 𝑎 𝑘 ≤ 𝐿 + 𝜀


frequentemente per ogni 𝜀 > 0.
Esercizio 1.10. Sia (𝑎 𝑘 ) una successione. Si mostri che: 1) lim inf 𝑘→∞ 𝑎 𝑘 = − lim sup 𝑘→∞ (−𝑎 𝑘 ) ;

2) lim inf 𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ≤ lim sup𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ;


3) per ogni sottosuccessione convergente 𝑎 𝑘𝑖 → 𝑎 ∗ , si ha lim inf 𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ≤ 𝑎 ∗ ≤ lim sup𝑘→∞ 𝑎 𝑘 .
Esercizio 1.11. Mostrare che 𝐿 = lim sup𝑘→∞ 𝑎 𝑘 se e solo se valgono le seguenti due condizioni:
(i) esiste una sottosuccessione (𝑎 𝑘𝑖 ) tale che 𝑎 𝑘𝑖 → 𝐿 ;
(ii) per ogni sottosuccessione convergente 𝑎 𝑘𝑙 → 𝑎 ∗ si ha che 𝑎 ∗ ≤ 𝐿 .
Esercizio 1.12. Sia (𝑎 𝑘 ) una successione positiva, cioè 𝑎 𝑘 > 0 per ogni 𝑘 . Si mostri che
𝑎𝑘 √ √ 𝑎𝑘
lim inf ≤ lim inf 𝑘 𝑎 𝑘 ≤ lim sup 𝑘 𝑎 𝑘 ≤ lim sup .
𝑘→∞ 𝑎 𝑘−1 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑎 𝑘−1

Esercizio 1.13. Sia (𝑎 𝑘 ) una successione positiva. Si mostri che


𝑎1 + · · · + 𝑎 𝑘 𝑎1 + · · · + 𝑎 𝑘
lim inf 𝑎 𝑘 ≤ lim inf ≤ lim sup ≤ lim sup 𝑎 𝑘 .
𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘 𝑘→∞ 𝑘 𝑘→∞
CAPITOLO 2

Spazi metrici
[aggiornato il 08/03/2021]

Abbiamo visto nel capitolo precedente che la proprietà di completezza dei numeri reali espressa dal-

l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore può essere formulata in maniera equivalente in almeno

altri due modi diversi: usando il principio degli intervalli incapsulati oppure tramite la convergenza delle

successioni di Cauchy.

Tuttavia, come abbiamo già osservato, sia l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore sia il principio

degli intervalli incapsulati utilizzano la struttura d'ordine totale di ℝ, in quanto si basano sulle nozioni

di maggiorante e di intervallo rispettivamente, che non sono presenti in altri insiemi, quali per esempio

il campo dei numeri complessi ℂ o lo spazio euclideo ℝ3 .


La proprietà della convergenza delle successioni di Cauchy, invece, non presuppone una struttura

d'ordine e si fonda esclusivamente sul concetto di distanza tra i termini della successione. Questo è

il punto di partenza per generalizzare il concetto di completezza.

In questo capitolo introduciamo la denizione astratta di spazio metrico, ossia uno spazio munito di
una distanza, discutendo alcuni esempi signicativi.

Distanza
2.1. Denizione. Uno spazio metrico è una coppia (𝑋, 𝑑) dove 𝑋 è un insieme non vuoto (i cui
elementi saranno chiamati punti) e 𝑑 : 𝑋 × 𝑋 −→ ℝ è una funzione chiamata metrica o distanza che
soddisfa le seguenti richieste:

i. ( positività) 𝑑 (𝑥, 𝑦) ≥ 0 per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝑋 e 𝑑 (𝑥, 𝑦) = 0 se e solo se 𝑥 = 𝑦 ,


ii. (simmetria) 𝑑 (𝑥, 𝑦) = 𝑑 (𝑦, 𝑥) per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝑋 ,
iii. (disuguaglianza triangolare) 𝑑 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑 (𝑥, 𝑧) + 𝑑 (𝑧, 𝑦) per ogni 𝑥, 𝑦, 𝑧 ∈ 𝑋 .

2.2. L'insieme dei numeri reali con la distanza indotta dal modulo 𝑑 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦| è il primo esempio

di spazio metrico che abbiamo incontrato: le veriche delle proprietà i. ii. e iii. sono elementari.

2.3. Metrica discreta. Un esempio un po' più sosticato, e per alcuni versi degenere, è il seguente:

sia 𝑋≠∅ un insieme arbitrario e deniamo



1 se 𝑥 ≠ 𝑦,
𝑑 𝐷 (𝑥, 𝑦) =
0 se 𝑥 = 𝑦.

È facile vericare che 𝑑𝐷 è una metrica. Le proprietà i. e ii. non richiedono una vera e propria

dimostrazione. Per quanto riguarda la iii. abbiamo che se 𝑥 = 𝑦 non c'è nulla da dimostrare. Se
𝑥 ≠ 𝑦, basta provare che 𝑑 𝐷 (𝑥, 𝑧) + 𝑑 𝐷 (𝑧, 𝑦) ≥ 1
𝑥 , 𝑦 e 𝑧 in 𝑋 , con 𝑥 ≠ 𝑦 , fatto questo che
per ogni

risulta essere vero, essendo almeno uno tra i valori 𝑑 𝐷 (𝑥, 𝑧) e 𝑑 𝐷 (𝑦, 𝑧) uguale a 1 (non possono essere

entrambi nulli, perché si avrebbe 𝑥 = 𝑧 e 𝑧 = 𝑦 per la i., da cui 𝑥 = 𝑦 ). La distanza 𝑑 𝐷 si chiama

distanza discreta.
15
16 2. SPAZI METRICI

2.4. Un'osservazione utile, per quanto elementare, è che ogni sottoinsieme 𝐸 di uno spazio metrico

(𝑋, 𝑑) è a sua volta uno spazio metrico con la metrica indotta dalla restrizione della distanza alle

coppie di 𝐸. Cioè, se poniamo 𝑑 |𝐸 : 𝐸 × 𝐸 → ℝ denita da 𝑑 |𝐸 (𝑥, 𝑦) := 𝑑 (𝑥, 𝑦) , allora (𝐸, 𝑑 |𝐸 ) è uno

spazio metrico.

Per esempio, ogni sottoinsieme di ℝ può essere considerato uno spazio metrico con la metrica indotta
dal modulo.

Esempi principali
Proseguiamo discutendo alcuni esempi signicativi che si incontreranno ripetutamente nel proseguo.

In particolare, descriviamo tre spazi con la struttura di spazio metrico, che sono, in dettaglio: lo spazio

ℝ𝑛 , per il quale diamo tre esempi di metriche distinte, lo spazio delle successioni a quadrato sommabile
ℓ 2 e lo spazio delle funzioni continue denite su un intervallo 𝐶 (𝐼) .

2.5. ℝ𝑛 con la metrica√︃euclidea. ℝ𝑛 è l'insieme delle 𝑛-ple di numeri reali 𝑥 = (𝑥1 , ..., 𝑥 𝑛 ) . Il modulo
Í𝑛 2
di 𝑥 è il numero |𝑥| := 𝑖=1 𝑥 𝑖 . La distanza euclidea (qui denotata con 𝑑2 tra due punti di ℝ𝑛 ) è

denita dal modulo della loro dierenza:


" 𝑛
# 1/2
∑︁
𝑑2 (𝑥, 𝑦) := |𝑥 − 𝑦| = (𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2 ∀ 𝑥 = (𝑥 1 , ..., 𝑥 𝑛 ), ∀ 𝑦 = (𝑦 1 , ..., 𝑦 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 .
𝑖=1

Per dimostrare che (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) è uno spazio metrico premettiamo il seguente importante risultato.

2.6. Teorema [Disuguaglianza di Cauchy-Schwartz]. Dati due punti 𝑝 = ( 𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑛 ) e 𝑞 = (𝑞 1 , ..., 𝑞 𝑛 ) ∈


ℝ𝑛 , si ha

𝑛 𝑛
∑︁ 1 ∑︁ 2  1 2
𝑝 𝑖 + 𝑞 2𝑖 = | 𝑝| + |𝑞| 2 ,

(2.1) | 𝑝𝑖 𝑞𝑖 | ≤
𝑖=1
2 𝑖=1 2

𝑛
" 𝑛
# 1/2 " 𝑛
# 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
(2.2) | 𝑝𝑖 𝑞𝑖 | ≤ 𝑝 2𝑖 𝑞 2𝑖 = | 𝑝||𝑞|.
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1

Dimostrazione. La prima formula si ottiene sommando rispetto all'indice 𝑖 = 1, ..., 𝑛 le disuguaglianze


1 2
𝑝 𝑖 + 𝑞 2𝑖 ,

| 𝑝𝑖 𝑞𝑖 | ≤
2
evidentemente vere essendo equivalenti alla disuguaglianza (| 𝑝 𝑖 |−|𝑞 𝑖 |) 2 ≥ 0. Per dimostrare la seconda
maggiorazione, osserviamo che è vera se ( 𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑛 ) = (0, ..., 0) o se (𝑞 1 , ..., 𝑞 𝑛 ) = (0, ..., 0) . Negli altri

casi applichiamo la (2.1) a 𝑢 = (𝑢 1 , ..., 𝑢 𝑛 ) e 𝑤 = (𝑤 1 , ..., 𝑤 𝑛 ) deniti da

𝑝𝑖 𝑞𝑖
𝑢𝑖 = e 𝑤𝑖 =
, 𝑖 = 1, ..., 𝑛.
| 𝑝| |𝑞|
Í𝑛 2 Í𝑛 2
Per denizione si ha che 𝑖=1 𝑢 𝑖 = 𝑖=1 𝑤 𝑖 = 1, per cui da (2.1) otteniamo

𝑛 𝑛
∑︁ | 𝑝 𝑖 𝑞 𝑖 | ∑︁
= |𝑢 𝑖 𝑤 𝑖 | ≤ 1,
𝑖=1
| 𝑝||𝑞| 𝑖=1

che è la tesi di (2.2).

Utilizzando la disuguaglianza di CauchySchwartz, è possibile vericare che 𝑑2 è una metrica. La

positività e la simmetria sono evidenti dalla denizione.


ESEMPI PRINCIPALI 17

Per la disuguaglianza triangolare, possiamo procedere come segue: siano 𝑥 = (𝑥1 , ..., 𝑥 𝑛 ) , 𝑦 = (𝑦 1 , ..., 𝑦 𝑛 )
e 𝑧 = (𝑧 1 , ..., 𝑧 𝑛 ) tre punti di ℝ𝑛 e scriviamo

𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁
𝑑22 (𝑥, 𝑦) = (𝑥𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2 = (𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 + 𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2
𝑖=1 𝑖=1
𝑛
∑︁
(𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 ) 2 + 2(𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) + (𝑧 𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2
 
(2.3) =
𝑖=1
𝑛
∑︁
= 𝑑2 (𝑥, 𝑧) 2 + 𝑑2 (𝑧, 𝑦) 2 + 2 (𝑥 𝑖 − 𝑧𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ).
𝑖=1

Applicando la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz al terzo addendo, si ha

𝑛 𝑛
! 1/2 𝑛
! 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
2 2
(𝑥𝑖 − 𝑧 𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) ≤ (𝑥𝑖 − 𝑧 𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) = 𝑑2 (𝑥, 𝑧)𝑑2 (𝑧, 𝑦),
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1

che unita a (2.3) dà

𝑑22 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑22 (𝑥, 𝑧) + 𝑑22 (𝑧, 𝑦) + 2𝑑2 (𝑥, 𝑧)𝑑2 (𝑧, 𝑦) = [𝑑2 (𝑥, 𝑧) + 𝑑2 (𝑧, 𝑦)] 2 ,

che è la disuguaglianza triangolare, a meno di una estrazione di radice quadrata.

2.7. ℝ𝑛 con le metriche 𝑑1 e 𝑑∞ . In ℝ𝑛 possiamo anche introdurre metriche diverse da quella

euclidea. In questa sezione discutiamo le metriche 𝑑1 e 𝑑∞ denite come segue:

𝑛
∑︁
𝑑1 (𝑥, 𝑦) = |𝑥𝑖 − 𝑦 𝑖 |, 𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max {|𝑥1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} .
𝑖=1

Verichiamo che 𝑑1 e 𝑑∞ sono delle funzioni distanza. Le proprietà i. e ii. non presentano dicoltà.

La disuguaglianza triangolare può essere provata come segue:

𝑑1 (𝑥, 𝑦) = |𝑥1 − 𝑦 1 | + ... + |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 | ≤ |𝑥1 − 𝑧1 | + |𝑧 1 − 𝑦 1 | + ... + |𝑥 𝑛 − 𝑧 𝑛 | + |𝑧 𝑛 − 𝑦 𝑛 |


= 𝑑1 (𝑥, 𝑧) + 𝑑1 (𝑧, 𝑦),

dove abbiamo usato la disuguaglianza triangolare per il modulo in ℝ 𝑛 volte. Per quanto riguarda 𝑑∞ ,
se 0 è un indice tale che
𝑖 max {|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | , allora si ha che
𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max {|𝑥1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | ≤ |𝑥𝑖0 − 𝑧 𝑖0 | + |𝑧 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 |
≤ max {|𝑥1 − 𝑧1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑧 𝑛 |} + max {|𝑧1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑧 𝑛 − 𝑦 𝑛 |}
= 𝑑∞ (𝑥, 𝑧) + 𝑑∞ (𝑧, 𝑦).

2.8. Spazio delle successioni a quadrato sommabile ℓ 2 (ℝ) . Un altro spazio metrico rilevante dal

punto di vista dell'analisi matematica è quello delle successioni a quadrato sommabile:


( +∞
)
∑︁
2 2 2
ℓ (ℝ) = ℓ = 𝑎 = (𝑎(𝑘)) : |𝑎(𝑘)| < +∞ ,
𝑘=0

con la metrica

" +∞ # 1/2
∑︁
2
𝑑2 (𝑎, 𝑏) = |𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| ∀ 𝑎, 𝑏 ∈ ℓ 2 .
𝑘=0
18 2. SPAZI METRICI

Innanzitutto bisogna mostrare che 𝑑2 è ben denita in ℓ2 . A questo scopo, notiamo che per ogni
2
coppia 𝑎, 𝑏 ∈ ℓ , applicando la disuguaglianza di CauchySchwartz, si ha che

𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁
|𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| 2 ≤ (|𝑎(𝑘)| + |𝑏(𝑘)|) 2 = |𝑎(𝑘)| 2 + 2|𝑎(𝑘)𝑏(𝑘)| + |𝑏(𝑘)| 2
 
𝑘=0 𝑘=0 𝑘=0
𝑁 ∞ ∞
(2.2) ∑︁ ∑︁ ∑︁
2 |𝑎(𝑘)| 2 + |𝑏(𝑘)| 2 ≤ 2 |𝑎(𝑘)| 2 + 2 |𝑏(𝑘)| 2 < ∞.
 

𝑘=0 𝑘=0 𝑘=0

Da cui, prendendo il limite per 𝑁 −→ ∞, otteniamo che 𝑑2 è ben denita su ℓ 2 .


2
Adesso mostriamo che (ℓ (ℝ), 𝑑2 ) è uno spazio metrico. Come nei casi precedenti, la positività e

la simmetria di 𝑑2 sono di verica immediata. La disuguaglianza triangolare si verica analogamente

a quanto fatto per (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) : siano 𝑎, 𝑏, 𝑐 ∈ ℓ 2 e, utilizzando la disuguaglianza triangolare in ℝ𝑛 nel

primo passaggio, si conclude che


" 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
2 2 2
|𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| ≤ |𝑎(𝑘) − 𝑐(𝑘)| + |𝑐(𝑘) − 𝑏(𝑘)|
𝑘=0 𝑘=0 𝑘=0
" ∞
# 1/2 " ∞
# 1/2
∑︁ ∑︁
2 2
≤ |𝑎(𝑘) − 𝑐(𝑘)| + |𝑐(𝑘) − 𝑏(𝑘)|
𝑘=0 𝑘=0
= 𝑑2 (𝑎, 𝑐) + 𝑑2 (𝑐, 𝑏),
dove la seconda maggiorazione è dovuta al fatto che si tratta di serie a termini non negativi e che la

funzione radice quadrata è monotona crescente. A questo punto, per 𝑁→∞ si ottiene
" ∞
# 1/2
∑︁
𝑑2 (𝑎, 𝑏) = |𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| 2 ≤ 𝑑2 (𝑎, 𝑐) + 𝑑2 (𝑐, 𝑏).
𝑘=0

2.9. Spazio delle funzioni continue con la metrica uniforme. Inne, un ulteriore importante

esempio è quello delle funzioni continue e limitate denite su un intervallo 𝐼 ⊂ ℝ:


𝐶𝑏 (𝐼) = { 𝑓 : 𝐼 −→ ℝ : 𝑓 continua e limitata },
con la metrica uniforme
𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) = sup {| 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)|} ∀ 𝑓 , 𝑔 ∈ 𝐶𝑏 (𝐼).
𝑥 ∈𝐼

Il pedice 𝑏 nella notazione 𝐶𝑏 (𝐼) viene dall'inglese e sta per bounded (che vuol dire limitato). Inoltre,
osserviamo che se l'intervallo 𝐼 = [𝑎, 𝑏] è chiuso e limitato, allora per il teorema di Weierstrass tutte
le funzioni continue in [𝑎, 𝑏] ammettono massimo e minimo, e quindi sono limitate, per cui 𝐶𝑏 ( [𝑎, 𝑏])
non è altro che il più familiare insieme delle funzioni continue 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) e l'estremo superiore nella

denizione di 𝑑∞ è in realtà un massimo.

Per mostrare che (𝐶𝑏 (𝐼), 𝑑∞ ) è uno spazio metrico, notiamo che la verica della positività e della

simmetria sono immediate e ci concentriamo sulla disuguaglianza triangolare. Siano 𝑓 , 𝑔, ℎ ∈ 𝐶𝑏 (𝐼) .


Per denizione di estremo superiore, per ogni 𝜀>0 esiste un punto 𝑥0 ∈ 𝐼 tale che

𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) = sup{| 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)|} ≤ | 𝑓 (𝑥0 ) − 𝑔(𝑥0 )| + 𝜀.


𝑥 ∈𝐼

Utilizzando quindi la disuguaglianza triangolare in ℝ, otteniamo che

𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) ≤ | 𝑓 (𝑥0 ) − 𝑔(𝑥 0 )| + 𝜀 ≤ | 𝑓 (𝑥0 ) − ℎ(𝑥0 )| + |ℎ(𝑥0 ) − 𝑔(𝑥0 )| + 𝜀


≤ sup{| 𝑓 (𝑥) − ℎ(𝑥)|} + sup{|ℎ(𝑥) − 𝑔(𝑥)|} + 𝜀 = 𝑑∞ ( 𝑓 , ℎ) + 𝑑∞ (ℎ, 𝑔) + 𝜀,
𝑥 ∈𝐼 𝑥 ∈𝐼

per cui, data l'arbitrarietà di 𝜀 > 0, otteniamo 𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) ≤ 𝑑∞ ( 𝑓 , ℎ) + 𝑑∞ (ℎ, 𝑔) .


ESEMPI PRINCIPALI 19

Osservazione. Gli spazi metrici descritti sopra hanno anche una naturale struttura di spazio vettoriale

e non è un caso che la distanza si esprima come una funzione della dierenza dei punti. Questo aspetto

verrà ulteriormente approfondito nel Capitolo 7.

Complementi ed esercizi

Esercizio 2.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico: per ogni 𝑥0 ∈ 𝑋 e 𝑟 un numero reale positivo, denotiamo
con 𝐵(𝑥0 , 𝑟) la palla di centro 𝑥0 e raggio 𝑟 :
𝐵(𝑥 0 , 𝑟) = {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 (𝑥 0 , 𝑥) < 𝑟} .
Dati 𝑦 0 , 𝑥0 ∈ 𝑋 , si dimostri che si ha 𝐵(𝑦 0 , 𝑟) ⊆ 𝐵(𝑥0 , 𝑟 + 𝑑 (𝑥0 , 𝑦 0 )) .
Esercizio 2.2. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono metriche su ℝ:
√︁
𝑑 𝑎 (𝑥, 𝑦) = min{|𝑥 − 𝑦|, 1}, 𝑑 𝑏 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦| 2 , 𝑑 𝑐 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦|.
Per le sole distanze si determini 𝐵(0, 1/2) e 𝐵(0, 1) .
Esercizio 2.3. Determinare delle ipotesi sucienti sulla funzione 𝑓 : ℝ −→ ℝ che garantiscano che la
funzione
𝑑 𝑓 (𝑥, 𝑦) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)|
sia una distanza su ℝ.
Esercizio 2.4. i) Siano (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e 𝜙 : [0, +∞) −→ [0, +∞) una funzione crescente,
tale che 𝜙(0) = 0, 𝜙(𝑡) > 0 per 𝑡 > 0 e vericante inoltre la condizione di subadditività
𝜙(𝑎 + 𝑏) ≤ 𝜙(𝑎) + 𝜙(𝑏) ∀𝑎, 𝑏 ∈ [0, +∞).
Dimostrare che la funzione 𝑑∗ (𝑥, 𝑦) = 𝜙(𝑑 (𝑥, 𝑦)) è una distanza su 𝑋 .
ii) Determinare un esempio di funzione 𝜙1 limitata ed un esempi di funzione 𝜙2 non limitata che siano
subadditive.
iii) Se (𝑋, 𝑑) = (ℝ, 𝑑2 ) ci sono funzioni 𝜙 non subadditive per le quali la relativa 𝑑∗ verica la
disuguaglianza triangolare?
Esercizio 2.5. Siano 𝑑1 , 𝑑2 distanze sull'insieme 𝑋 , vericare se e quando le seguenti funzioni sono
anch'esse distanze su 𝑋 :
(a) 𝜆𝑑1 + 𝜇𝑑2 (con 𝜆, 𝜇 ∈ ℝ) (b) min{𝑑1 , 𝑑2 } (c) max{𝑑1 , 𝑑2 } (d) 𝑑1 𝑑2 .
Tra le funzioni che sono risultate distanze quali rendono limitato 𝑋 (indipendentemente dall'insieme
𝑋 )?
Esercizio 2.6. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono distanze in ℝ3
n√︁ o
𝑑 𝑎 (𝑥, 𝑦) = max (𝑥1 − 𝑦 1 ) 2 + (𝑥2 − 𝑦 2 ) 2 , |𝑥3 − 𝑦 3 |
max{|𝑥1 − 𝑦 1 |, |𝑥2 − 𝑦 2 |, |𝑥 3 − 𝑦 3 |}
𝑑 𝑏 (𝑥, 𝑦) =
1 + max{|𝑥1 − 𝑦 1 |, |𝑥2 − 𝑦 2 |, |𝑥3 − 𝑦 3 |}
Tratteggiare la palla 𝐵(0, 1) rispetto alle due distanze (0 = (0, 0, 0) è l'origine di ℝ3 ).
Esercizio 2.7. Consideriamo ℝ2 con la distanza 𝑑1 . Si mostri che ci sono terne di punti non allineati
per cui la disuguaglianza triangolare diventa un'uguaglianza.
CAPITOLO 3

Spazi metrici completi


[aggiornato il 08/03/2021]

Alla luce delle considerazioni fatte sulla completezza di ℝ nel Capitolo 1 si deniscono gli spazi metrici
completi sulla base della convergenza delle successioni di Cauchy. Premettiamo alcune denizioni.

Successioni negli spazi metrici


3.1. Denizione. i. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Una successione di punti in 𝑋 è una funzione

𝑎 : ℕ → 𝑋, solitamente denotata con (𝑎 𝑘 ) ⊂ 𝑋 .


ii. Una successione (𝑎 𝑘 ) ⊂ 𝑋 si dice convergente se esiste un punto 𝑝∈𝑋 tale che

lim 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) = 0.
𝑘→∞

iii. Una successione (𝑎 𝑘 ) ⊂ 𝑋 si dice di Cauchy se per ogni 𝜀>0 esiste 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che

𝑑 (𝑎 𝑘+ 𝑗 , 𝑎 𝑘 ) < 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), per ogni 𝑗 ∈ ℕ.

3.2. Unicità del limite. I limiti delle successioni sono unici: se 𝑎 𝑘 −→ 𝑝 e 𝑎 𝑘 −→ 𝑞 , allora

𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ 𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘 ) + 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑞) ∀ 𝑘 ∈ ℕ,

da cui

𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ lim [𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘 ) + 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑞)] = 0,
𝑘→∞

cioè 𝑝 = 𝑞.

3.3. Ogni successione convergente è di Cauchy. Infatti, da ii. segue che per ogni 𝜀>0 esiste un

intero 𝑁 (𝜀) tale che

𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀).

Allora, per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀) e per ogni 𝑗 ∈ ℕ, per la disuguaglianza triangolare si ha che

𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) + 𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 2𝜀,

cioè (𝑎 𝑘 ) è di Cauchy.

Il viceversa non è sempre vero: per esempio, in (ℚ, 𝑑2 ) non è vero che ogni successione di Cauchy sia

convergente.

21
22 3. SPAZI METRICI COMPLETI

3.4. Limitatezza delle successioni di Cauchy. Ogni successione di Cauchy è limitata, cioè per ogni
successione di Cauchy (𝑎 𝑘 ) e per ogni punto 𝑝 ∈ 𝑋, esiste una costante 𝐶>0 tale che

𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝐶 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
Infatti, sia 𝐾 (1) ∈ ℕ la costante della Denizione 3.1 iii., allora

𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝐾 ( 1) ) + 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) ≤ 1 + 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (1).
In particolare, posto 𝐶 = max{𝑑 (𝑎 0 , 𝑝), 𝑑 (𝑎 1 , 𝑝), ..., 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) + 1}, si ha che

𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝐶 ( 𝑝) ∀ 𝑘 ∈ ℕ.

Completezza
La convergenza delle successioni di Cauchy è un criterio che può essere usato per denire il concetto

di completezza in uno spazio metrico generale.

3.5. Denizione. Uno spazio metrico (𝑋, 𝑑) si dice completo se ogni successione di Cauchy è

convergente.

3.6. Proposizione. (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) , (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) sono spazi metrici completi.

Dimostrazione. La dimostrazione della completezza degli spazi metrici procede secondo uno schema

comune: 1) prima si individua il candidato limite di una successione di Cauchy; 2) si prova che il limite

appartiene allo spazio in questione; 3) si prova che sussiste la convergenza nella metrica dello spazio.

In alcuni casi, come questo in questione, il punto 2) non richiede nessuna verica (ma non sarà così

per lo spazio delle successioni ℓ 2 e per lo spazio delle funzioni continue e limitate 𝐶𝑏 (𝐼) ).
Iniziamo con lo spazio euclideo (ℝ , 𝑑 2 ) . Sia (𝑥 𝑘 ) ⊂ ℝ una successione di Cauchy nella metrica 𝑑 2 :
𝑛 𝑛

ossia, per ogni 𝜀 > 0 esiste un indice 𝐾 = 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che

 2 1/2
" 𝑛 #
∑︁ 
𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) = 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥 𝑖𝑘+ 𝑗 ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾, ∀ 𝑗 ∈ ℕ,
𝑖=1

dove abbiamo usato la convenzione di scrivere in apice le componenti dei punti di ℝ𝑛 per non con-
1
fonderle con l'indice della successione: 𝑥 = (𝑥 , ..., 𝑥 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 , per cui in particolare 𝑥 𝑘 = (𝑥 1𝑘 , ..., 𝑥 𝑘𝑛 ) ∈
ℝ𝑛 .
Allora, se ssiamo un indice 𝑖 0 ∈ {1, ..., 𝑛}, la successione formata da tutte le componenti 𝑖 0 -esime
dei punti 𝑥 𝑘 , (𝑥 ) (qui
𝑖 𝑘 è l'indice della successione), è una successione di Cauchy, in quanto
𝑘

i 2 1/2
" 𝑛 #
∑︁ h
𝑖0 𝑖0 𝑖 𝑖
|𝑥 𝑘 − 𝑥 𝑘+ 𝑗 | ≤ 𝑥 𝑘 − 𝑥 𝑘+ 𝑗 = 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
𝑖=1
𝑖0
Usando la completezza di ℝ, possiamo aermare che esiste 𝑥∞ ∈ℝ tale che

lim 𝑥 𝑖0 𝑖0
= 𝑥∞ per ogni 0 𝑖 = 1, ..., 𝑛.
𝑘→∞ 𝑘
1
Abbiamo quindi trovato il candidato limite 𝑥∞ = (𝑥 ∞ 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 .
, ..., 𝑥 ∞
Per completare la dimostrazione mostriamo che 𝑑 2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 ∞ ) converge a zero: infatti, si ha che
" 𝑛 # 1/2 " 𝑛 # 1/2
∑︁   2
∑︁   2
lim 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) = lim 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥 ∞
𝑖
= lim 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥∞
𝑖
= 0.
𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞
𝑖=1 𝑖=1

Le dimostrazioni della completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) seguono lo stesso schema e i dettagli sono

lasciati al lettore.
COMPLETEZZA 23

Qui suggeriamo un altro argomento dimostrativo: facciamo vedere che le distanze 𝑑∞ e 𝑑1 sono

paragonabili a 𝑑2 come segue

(3.1) 𝑛−1/2 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑∞ (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛 ,


(3.2) 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑1 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑛𝑑2 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛 .

La prima disuguaglianza segue dal dato che |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | ≤ max{|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} per ogni indice

𝑖 = 1, ..., 𝑛, per cui


v
t 𝑛
∑︁ √︁ √
𝑑2 (𝑥, 𝑦) = [𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 ] 2 ≤ 𝑛 max{|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |}2 = 𝑛 𝑑∞ (𝑥, 𝑦).
𝑖=1

Inoltre, esiste un indice 0 tale che 𝑖 𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max{|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | , per cui

" 𝑛 # 1/2
∑︁   2
𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = |𝑥 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | ≤ 𝑥𝑖 − 𝑦𝑖 = 𝑑2 (𝑥, 𝑦).
𝑗=1

Analogamente si dimostra (3.2):


v
t 𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁
𝑑2 (𝑥, 𝑦) = [𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 ] 2 ≤ |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | = 𝑑1 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛
𝑖=1 𝑖=1

e, inoltre,
" 𝑛
#2 𝑛 𝑛
∑︁ ∑︁ ∑︁
2
𝑑1 (𝑥, 𝑦) = 𝑖
|𝑥 − 𝑦 | 𝑖
= |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | 2 + 2 |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 ||𝑥 𝑗 − 𝑦 𝑗 |
𝑖=1 𝑖=1 𝑖≠ 𝑗=1
𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁
𝑖 2 𝑖 2 𝑗 2
≤ 𝑖
|𝑥 − 𝑦 | + 𝑖 𝑗
|𝑥 − 𝑦 | + |𝑥 − 𝑦 | = 𝑛 |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | 2
𝑖=1 𝑖≠ 𝑗=1 𝑖=1
= 𝑛 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛 .
La completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) si può quindi dedurre dalla completezza di 𝑑2 nel modo seguente.
Sia (𝑥 𝑘 ) una successione di Cauchy per 𝑑★ , con ★ = 1 o ∞: ossia, per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale

che

𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.

Allora da (3.1) e (3.2) deduciamo che (𝑥 𝑘 ) è una successione di Cauchy anche per 𝑑2 , perchè per

ogni 𝜀>0 si ha che

𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝐶★ 𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀/𝐶★), ∀ 𝑗 ∈ ℕ,

dove 𝐶∞ = 𝑛 e 𝐶1 = 1. Per la completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) , la successione (𝑥 𝑘 ) è convergente per 𝑑2 ,
ossia esiste 𝑥 ∞ tale che 𝑑 2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 ∞ ) → 0. Invocando adesso la seconda disuguaglianza di (3.1) e (3.2),

si conclude che la successione converge anche nella metrica 𝑑★ :

𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) ≤ 𝐷 ★ 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) → 0,

con 𝐷∞ = 1 e 𝐷 1 = 𝑛, stabilendo così la completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) e (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) .

Il principio su cui si fonda l'ultima dimostrazione sarà ulteriormente approfondito ne Capitolo 7.

Procediamo adesso col mostrare la completezza dello spazio delle successioni a quadrato sommabile.
24 3. SPAZI METRICI COMPLETI

3.7. Teorema [Completezza di ℓ2 ]. ℓ2 , 𝑑2



è uno spazio metrico completo

Dimostrazione. La dimostrazione della completezza dello spazio (ℓ 2 , 𝑑2 ) è analoga a quella della


𝑛
metrica euclidea in ℝ . Sia (𝑎 𝑘 ) una successione di Cauchy: per ogni 𝜀 > 0 esiste un indice 𝐾 =

𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che

𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝑘+ℎ ) ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ ℎ ∈ ℕ.


Allora, per ogni componente 𝑗0 ∈ ℕ, si ha che
"∞ # 21
∑︁
2
|𝑎 𝑘 ( 𝑗0 ) − 𝑎 𝑘+ℎ ( 𝑗 0 )| ≤ [𝑎 𝑘 ( 𝑗) − 𝑎 𝑘+ℎ ( 𝑗)] = 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝑘+ℎ ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀) ∀ ℎ ∈ ℕ.
𝑗=0

Questo signica che la successione delle componenti 𝑗0 -esime (𝑎 𝑘 ( 𝑗0 )) ⊆ ℝ è di Cauchy in ℝ. Dalla

completezza di ℝ, possiamo aermare che esiste 𝑎 ∞ ( 𝑗 0 ) ∈ ℝ tale che


lim 𝑎 𝑘 ( 𝑗 0 ) = 𝑎 ∞ ( 𝑗 0 ) ∀ 𝑗0 ∈ ℕ.
𝑘→∞

Il candidato limite  punto 1) dello schema di dimostrazione  per la successione (𝑎 𝑘 ) è quindi la

successione 𝑎 ∞ = (𝑎 ∞ (1), 𝑎 ∞ (2), ...) .


In questo caso è essenziale dimostrare il secondo punto dello schema di dimostrazione, ossia che

𝑎∞ ∈ ℓ2 . Ricordiamo che tutte le successioni di Cauchy sono limitate: cioè esiste una costante 𝐶>0
tale che 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑂) ≤ 𝐶 , dove 𝑂 denota la successione fatta di tutti zeri 𝑂 = (0, 0, ...) . Da qui segue

che
" 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
2 2 2
|𝑎 ∞ ( 𝑗)| = lim |𝑎 𝑘 ( 𝑗)| = lim |𝑎 𝑘 ( 𝑗)|
𝑘→∞ 𝑘→∞
𝑗=0 𝑗=0 𝑗=0
" ∞
# 1/2
∑︁
≤ lim sup |𝑎 𝑘 ( 𝑗)| 2 = lim sup 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑂) ≤ 𝐶 < +∞.
𝑘→∞ 𝑗=0 𝑘→∞

Per cui, mandando 𝑁 a più innito deduciamo che

" ∞
# 1/2
∑︁
2
|𝑎 ∞ ( 𝑗)| ≤ 𝐶 < +∞, ossia 𝑎∞ appartiene a ℓ2 .
𝑗=0

Inne, dimostriamo il terzo punto dello schema di dimostrazione, vale a dire che 𝑎 𝑘 → 𝑎∞ nella

metrica 𝑑2 . Se 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀) , allora vale


"𝑁 # 1/2 "𝑁 # 1/2
∑︁ ∑︁
2 2
|𝑎 𝑘 ( 𝑗) − 𝑎 ∞ ( 𝑗)| = lim |𝑎 𝑘 ( 𝑗) − 𝑎 𝑘+ℎ ( 𝑗)|
ℎ→∞
𝑗=0 𝑗=0
" ∞
# 1/2
∑︁
2
≤ lim sup |𝑎 𝑘 ( 𝑗) − 𝑎 𝑘+ℎ ( 𝑗)| = lim sup 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝑘+ℎ ) ≤ 𝜀.
ℎ→∞ 𝑗=0 ℎ→∞

Siccome la maggiorazione vale per 𝑁 qualsiasi abbiamo che

" ∞
# 1/2
∑︁
2
𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑎 ∞ ) = |𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝑎 ∞ (𝑛)| ≤𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀).
𝑗=0

Per l'arbitrarietà di 𝜀 > 0, segue la tesi.

Inne dimostriamo la completezza dello spazio delle funzioni continue e limitate con la metrica

uniforme.
COMPLETEZZA 25

3.8. Teorema [Completezza dello spazio delle funzioni continue e limitate]. Per ogni intervallo

𝐼 ⊂ ℝ, lo spazio metrico delle funzioni continue e limitate in 𝐼 con la metrica uniforme (𝐶𝑏 (𝐼), 𝑑∞ ) è

completo.

Dimostrazione. Sia ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ (𝐶𝑏 (𝐼), 𝑑∞ ) una successione di Cauchy: cioè,

∀ 𝜀 > 0, ∃ 𝐾 = 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che


(3.3)
𝑑∞ ( 𝑓 𝑘 , 𝑓 𝑘+ 𝑗 ) = sup | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
𝑥 ∈𝐼
Per ogni 𝑥0 ∈ 𝐼 , quindi, vale che

| 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥 0 )| ≤ sup | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾0 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.


𝑥 ∈𝐼
Ne segue che per ogni 𝑥0 ∈ 𝐼 la successione di numeri reali ( 𝑓 𝑘 (𝑥0 )) ⊂ ℝ è di Cauchy. Per la

completezza di ℝ, esiste 𝐿 𝑥0 ∈ ℝ tale che


lim 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) = 𝐿 𝑥0 .
𝑘→∞
Il candidato limite è quindi la funzione 𝑓∞ : 𝑥0 ↦→ 𝐿 𝑥0 . Dimostriamo adesso che 𝑓∞ appartiene allo
spazio 𝐶𝑏 (𝐼) (secondo passo dello schema di dimostrazione). Innanzitutto notiamo che 𝑓∞ è limitata:
infatti, sia 𝐶 > 0 una costante che limiti la distanza dei termini della successione 𝑓 𝑘 dalla funzione

zero 𝑧 ≡ 0 (si ricordi che le successioni di Cauchy di uno spazio metrico sono limitate):

𝑑∞ ( 𝑓 𝑘 , 𝑧) = sup | 𝑓 𝑘 (𝑥)| ≤ 𝐶 < ∞ ∀ 𝑘 ∈ ℕ.


𝑥 ∈𝐼
Allora, si ha che | 𝑓∞ (𝑥)| = lim 𝑘 | 𝑓 𝑘 (𝑥)| ≤ 𝐶 < ∞ 𝑥 ∈ 𝐼 , ossia 𝑓∞ è limitata. Inoltre, 𝑓∞ è
per ogni

continua. A tal proposito ssiamo un punto generico 𝑧0 ∈ 𝐼 e dimostriamo la continuità di 𝑓∞ in 𝑧 0


(dall'arbitrarietà di 𝑧 0 la continuità di 𝑓∞ segue). Sia 𝜀 > 0 e 𝐾 = 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ come in (3.3); dalla

continuità di 𝑓 𝐾 , si ha che esiste 𝛿 = 𝛿(𝜀) > 0 tale che | 𝑓 𝐾 (𝑧 0 ) − 𝑓 𝐾 (𝑥)| ≤ 𝜀 per ogni |𝑧 0 − 𝑥| ≤ 𝛿 .

Allora, possiamo concludere che per ogni 𝑥 ∈ 𝐼 con |𝑧 0 − 𝑥| ≤ 𝛿 vale

| 𝑓∞ (𝑧 0 ) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ | 𝑓∞ (𝑧0 ) − 𝑓𝐾 (𝑧0 )| + | 𝑓𝐾 (𝑧 0 ) − 𝑓𝐾 (𝑥)| + | 𝑓𝐾 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)|



= lim 𝑓𝐾 + 𝑗 (𝑧0 ) − 𝑓𝐾 (𝑧0 ) + | 𝑓𝐾 (𝑧0 ) − 𝑓𝐾 (𝑥)|
𝑗→∞

+ lim 𝑓𝐾 + 𝑗 (𝑥) − 𝑓𝐾 (𝑥)
𝑗→∞
≤ lim sup 𝑑∞ ( 𝑓𝐾 + 𝑗 , 𝑓𝐾 ) + | 𝑓𝐾 (𝑧0 ) − 𝑓𝐾 (𝑥)| + lim sup 𝑑∞ ( 𝑓𝐾 + 𝑗 , 𝑓𝐾 ) ≤ 3𝜀,
𝑗→∞ 𝑗→∞

dove abbiamo usato la condizione di successione di Cauchy per ( 𝑓𝑘 ) e la continuità di 𝑓𝐾 in 𝑧0 . In

particolare, data l'arbitrarietà di 𝜀 > 0, segue la continuità di 𝑓∞ .


Inne, mostriamo che 𝑓𝑘 converge a 𝑓∞ nella metrica 𝑑∞ (terzo passo della dimostrazione): per ogni

𝜀>0 sia 𝐾 (𝜀) come in (3.3) e, per ogni 𝑘 ∈ ℕ, sia 𝑥 𝑘 ∈ 𝐼 tale che

𝑑∞ ( 𝑓∞ , 𝑓 𝑘 ) = sup | 𝑓∞ (𝑥) − 𝑓 𝑘 (𝑥)| ≤ | 𝑓∞ (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 𝑘 (𝑥 𝑘 )| + 𝜀.


𝑥 ∈𝐼
Allora si ha che per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀)
𝑑∞ ( 𝑓∞ , 𝑓 𝑘 ) ≤ | 𝑓∞ (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 𝑘 (𝑥 𝑘 )| + 𝜀 = lim | 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 𝑘 (𝑥 𝑘 )| + 𝜀
𝑗→∞
≤ lim sup 𝑑∞ ( 𝑓 𝑘+ 𝑗 , 𝑓 𝑘 ) + 𝜀 ≤ 2𝜀.
𝑗→∞

Dall'arbitrarietà di 𝜀>0 concludiamo che 𝑑∞ ( 𝑓∞ , 𝑓 𝑘 ) −→ 0.

Complementi ed esercizi
26 3. SPAZI METRICI COMPLETI

Esercizio 3.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e sia 𝐸 ⊆ 𝑋 un suo sottoinsieme chiuso, allora
(𝐸, 𝑑) è uno spazio metrico completo.
Esercizio 3.2. Sia 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) lo spazio delle funzioni di classe 𝐶 1 , limitate e con derivata limitata denite
sull'intervallo aperto e limitato (𝑎, 𝑏) ⊆ ℝ, cioè
𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) = { 𝑓 : (𝑎, 𝑏) → ℝ : 𝑓 , 𝑓 0 continue e limitate} ,
e si consideri la funzione 𝑑∞,1 : 𝐶 1 (𝑎, 𝑏) × 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) → ℝ denita come segue
𝑑∞,1 ( 𝑓 , 𝑔) = 𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) + 𝑑∞ ( 𝑓 0, 𝑔 0) = sup | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| + sup | 𝑓 0 (𝑥) − 𝑔 0 (𝑥)|.
𝑥 ∈(𝑎,𝑏) 𝑥 ∈(𝑎,𝑏)

Allora
i. si provi che 𝐶 1 (𝑎, 𝑏), 𝑑∞,1  è uno spazio metrico,


ii. si provi che 𝐶 1 (𝑎, 𝑏), 𝑑∞,1 è completo.


Esercizio 3.3. Sia ℓ1 lo spazio delle successioni che generano serie assolutamente convergenti, cioè
( ∞
)
∑︁
1
ℓ = 𝑎 : ℕ −→ ℝ : |𝑎(𝑘)| < +∞
𝑘=0
e si consideri la funzione 𝑑1 : ℓ1 × ℓ1 −→ ℝ denita come segue

∑︁
𝑑1 (𝑎, 𝑏) = |𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| 𝑎, 𝑏 ∈ ℓ 1
𝑘=0
i. Si provi che (ℓ1 , 𝑑1 ) è uno spazio metrico,
ii. si provi che (ℓ1 , 𝑑1 ) è completo.
Esercizio 3.4. Si consideri la funzione 𝑑1 : 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) × 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) → ℝ denita come segue
∫ 𝑏
𝑑1 ( 𝑓 , 𝑔) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)|𝑑𝑥 𝑓 , 𝑔 ∈ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏])
𝑎
i. Si provi che (𝐶 ( [𝑎, 𝑏]), 𝑑1 ) è uno spazio metrico,
ii. (𝐶 ( [𝑎, 𝑏]), 𝑑1 ) è completo?
Esercizio 3.5. Consideriamo lo spazio delle funzioni 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) di funzioni limitate con derivata limitata,
e la funzione
𝑑¯∞,1 ( 𝑓 , 𝑔) = sup | 𝑓 0 (𝑥) − 𝑔 0 (𝑥)| .
𝑥 ∈ (𝑎,𝑏)

Stabilire se 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏), 𝑑¯ è uno spazio metrico.




Ricordando la denizione di metrica indotta sui sottoinsiemi di uno spazio metrico


Esercizio 3.6.

𝐸 ⊂ 𝑋 , 𝑑| 𝐸 : 𝐸 × 𝐸 → ℝcon 𝑑| 𝐸 (𝑥, 𝑦) = 𝑑 (𝑥, 𝑦) . Si dica se lo spazio (𝑋, 𝑑) = ((0, 1), 𝑑2 ) è completo.


Analogamente si dica se ( [0, 1], 𝑑2 ) o (ℚ, 𝑑2 ) sono spazi metrici completi.
CAPITOLO 4

Topologia degli spazi metrici


[aggiornato il 08/03/2021]

Sebbene uno spazio metrico sia univocamente descritto dalla sua metrica, alcune sue proprietà vengono

espresse in maniera più ecace guardando opportuni sottoinsiemi dello spazio stesso: questo accade,

per esempio, con la nozione di continuità, come spiegheremo nel prossimo capitolo. Con questo

intento, introduciamo la nozione di topologia di uno spazio metrico e deniamo alcuni concetti che

hanno a che fare con la geometria dei sottoinsiemi degli spazi metrici.

1. Topologia
Nel seguito (𝑋, 𝑑) denoterà uno spazio metrico. Dato un punto 𝑝 ∈ 𝑋 e un reale positivo 𝑟 > 0,
denotiamo con 𝐵( 𝑝, 𝑟) la palla di centro 𝑝 e raggio 𝑟 > 0 denita come segue:
𝐵( 𝑝, 𝑟) := {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 ( 𝑝, 𝑥) < 𝑟}.
Si noti che per denizione la palla 𝐵( 𝑝, 𝑟) non è mai vuota, perché contiene sempre il suo centro 𝑝.

4.1. Denizione [Insiemi aperti e chiusi]. i. Un insieme 𝐴⊆ 𝑋 si dice aperto se per ogni 𝑥0 ∈ 𝐴
esiste 𝑟>0 tale che 𝐵(𝑥0 , 𝑟) ⊆ 𝐴.
ii. Un insieme 𝐶⊆𝑋 si dice chiuso se il suo complementare 𝐶𝑐 = 𝑋 \ 𝐶 è aperto.

La famiglia degli insiemi aperti 𝜏 = { 𝐴 ⊂ 𝑋 : 𝐴 aperto} si chiama topologia dello spazio metrico.

4.2. L'insieme vuoto e l'intero spazio 𝑋 sono insiemi aperti e chiusi per denizione. Infatti, la de-

nizione di aperto è banalmente vericate per 𝐴 = ∅ perché non esiste nessun 𝑥0 ∈ ∅ e, analogamente,
è vericata per 𝐴 = 𝑋 perché ogni palla 𝐵(𝑥0 , 𝑟) è per denizione un sottoinsieme di 𝑋 . Dato che
∅𝐶 = 𝑋 e 𝑋𝐶 = ∅, ne deriva che sono anche chiusi.

4.3. Denizione [Punti interni]. Sia 𝐴 ⊆ 𝑋. Un punto 𝑥0 ∈ 𝐴 si dice interno a 𝐴 se esiste 𝑟 >0
tale che 𝐵(𝑥0 , 𝑟) ⊆ 𝐴.
Quindi, un sottoinsieme 𝐴⊆𝑋 è aperto se tutti i suoi punti sono punti interni.

4.4. IMPORTANTE. Un insieme che non è aperto non è necessariamente chiuso: la negazione

dell'aermazione 𝐴 è aperto è la seguente:

𝐴 non è aperto ⇐⇒ esiste 𝑥0 ∈ 𝐴 che non sia un punto interno.

1
Se 𝑥0 ∈ 𝐴 non è un punto interno, allora per ogni 𝑟𝑘 = 𝑘 esiste un punto 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟 𝑘 ) \ 𝐴; quindi,

equivalentemente, vale

𝐴 non è aperto ⇐⇒ 𝐴 ∌ 𝑥 𝑘 → 𝑥 0 ∈ 𝐴.

27
28 4. TOPOLOGIA DEGLI SPAZI METRICI

4.5. Esempi. 1) Ogni palla 𝐵( 𝑝, 𝑟) è aperta: ogni punto 𝑥0 ∈ 𝐵( 𝑝, 𝑟) è interno a 𝐵( 𝑝, 𝑟) . Infatti, se

𝑠 = 𝑟 − 𝑑 ( 𝑝, 𝑥0 ) , allora 𝑠>0 perché 𝑑 ( 𝑝, 𝑥0 ) < 𝑟 e inoltre 𝐵(𝑥0 , 𝑠) ⊂ 𝐵( 𝑝, 𝑟) perché


𝑧 ∈ 𝐵(𝑥0 , 𝑠) =⇒ 𝑑 (𝑥0 , 𝑧) < 𝑠 =⇒ 𝑑 ( 𝑝, 𝑧) ≤ 𝑑 ( 𝑝, 𝑥0 ) + 𝑑 (𝑥0 , 𝑧) < 𝑑 ( 𝑝, 𝑥0 ) + 𝑠 = 𝑟.
Per questa ragione gli insiemi 𝐵( 𝑝, 𝑟) sono anche chiamati palle aperte.
2) Gli insiemi ¯ 𝑝, 𝑟) := {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 𝑟 } sono chiusi e sono dette palle chiuse.
𝐵( La verica di

questa aermazione è analoga a quanto visto in 1) (v. Esercizio ??).


3) Consideriamo ℝ con la metrica usuale 𝑑 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦| e siano 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ, 𝑎 < 𝑏 . Si verica facilmente
che gli intervalli (𝑎, 𝑏) sono aperti; gli intervalli [𝑎, 𝑏] sono chiusi; gli intervalli (𝑎, 𝑏] e [𝑎, 𝑏) non sono
né aperti né chiusi (v. Esercizio 4.1).

4.6. Teorema. Sia Λ un insieme di indici generico e sia { 𝐴𝜆 } 𝜆∈Λ una famiglia di aperti. Allora, ∪𝜆∈Λ 𝐴𝜆

è aperto. Se {𝐶𝜆 }𝜆∈Λ è una famiglia arbitraria di chiusi, allora ∩𝜆∈Λ 𝐶𝜆 è chiuso.
Dimostrazione. Riguardo alla prima aermazione, osserviamo subito che, se 𝑝 ∈ ∪𝜆 𝐴𝜆 , allora esiste

(almeno) un aperto 𝐴𝜆0 , 𝜆0 ∈ Λ, tale che 𝑝 ∈ 𝐴𝜆0 . Dato che 𝐴𝜆0 è aperto, per denizione esiste

𝐵( 𝑝, 𝑟) ⊆ 𝐴𝜆0 ⊆ ∪𝜆∈Λ 𝐴𝜆 , il che prova che un'unione arbitraria di aperti è aperta.

Per quanto riguarda la seconda aermazione, basta passare ai complementari: ricordiamo che per

denizione 𝐶𝜆𝑐 sono insiemi aperti, per cui per quanto appena dimostrato ∪𝜆∈Λ 𝐶𝜆𝑐 = 𝐴 è aperto.

D'altronde dalle leggi di De Morgan concludiamo che


 𝑐
∩𝜆∈Λ 𝐶𝜆𝑐 = ∪𝜆∈Λ 𝐶𝜆𝑐 = 𝐴𝑐 è un chiuso.

4.7. Teorema. L'intersezione di una famiglia nita di aperti è aperta e l'unione di una famiglia nita

di chiusi è chiusa

Dimostrazione. Consideriamo 𝐴1 , ..., 𝐴 𝑁 insiemi aperti in 𝑋 e 𝑝 ∈ 𝐴1 ∩ ... ∩ 𝐴 𝑁 . Poiché tutti gli


𝐴𝑖 sono aperti, esiste 𝑟𝑖 > 0 tale che 𝐵( 𝑝, 𝑟 𝑖 ) ⊆ 𝐴𝑖 per ogni 𝑖 . Quindi, posto 𝑟 = min{𝑟 1 , ..., 𝑟 𝑁 }
ed osservato che tale valore è positivo perché il minore di 𝑁 valori positivi, possiamo aermare che

𝐵( 𝑝, 𝑟) ⊆ 𝐴1 ∩ ... ∩ 𝐴 𝑁 , e quindi l'intersezione nita di aperti è aperta.

Come per il teorema precedente, la conclusione per i chiusi si deduce dalla precedente passando ai

complementari: (𝐶1 ∪ ... ∩ 𝐶 𝑁 ) 𝑐 = 𝐶1𝑐 ∩ ... ∩ 𝐶 𝑁


𝑐 è aperto, da cui segue che 𝐶1 ∪ ... ∩ 𝐶 𝑁 è chiuso.

Gli insiemi chiusi di uno spazio metrico sono caratterizzati dalla proprietà di contenere tutti i limiti

delle successioni convergenti contenute nell'insieme.

4.8. Teorema [Chiusura per successioni]. Sono condizioni equivalenti:

i) 𝐶⊆𝑋 è chiuso,

ii) ogni successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐶 ha limite in 𝐶 : 𝐶 3 𝑥 𝑘 → 𝑥 ∞ =⇒ 𝑥∞ ∈ 𝐶.


Dimostrazione. [i) =⇒ ii)] Supponiamo che 𝐶 sia chiuso e consideriamo una successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐶
convergente ad un punto 𝑥∞ . Se 𝑥∞ ∈ 𝐶 𝑐 , dato che 𝐶𝑐 è aperto, esiste 𝑟>0 tale che 𝐵(𝑥 ∞ , 𝑟) ⊆ 𝐶 𝑐 .
Dalla denizione di successione convergente (scegliendo 𝜀 = 𝑟/2) sappiamo che esiste un indice

𝐾 = 𝐾 (𝑟/2) ∈ ℕ tale che


𝑟
𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) ≤ per ogni 𝑘 ≥ 𝐾.
2
Questo signica che 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵(𝑥 ∞ , 𝑟) ⊆ 𝐶 𝑐 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 , il che è assurdo visto per ipotesi (𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝐶 .
che l'ipotesi 𝑥 ∞ ∈ 𝐶 è contraddittoria, per cui di fatto 𝐶 contiene il punto limite
Questo dimostra
𝑐

𝑥∞ .
[ii)=⇒ i)] COme spiegato in Ÿ4.4, se 𝐶 𝑐 non è aperto, esiste 𝑞 ∈ 𝐶 𝑐 e 𝑥 𝑘 ∈ (𝐶 𝑐 ) 𝑐 = 𝐶 con
𝑑 (𝑞, 𝑥 𝑘 ) ≤ 1/𝑘 . In particolare, (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐶 converge a 𝑞∈ 𝐶 , contraddicendo ii. Ne deriva che 𝐶 𝑐 deve
𝑐

essere aperto, cioè 𝐶 chiuso.


ALTRE NOZIONI DI TOPOLOGIA 29

Altre nozioni di topologia


4.9. Denizioni. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e 𝐸 ⊂ 𝑋 .
i. 𝐸 ⊆ 𝑋 è limitato se esistono 𝑥 0 ∈ 𝑋 e 𝑟 > 0 tali che 𝐸 ⊆ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) .

ii. 𝑥 0 ∈ 𝑋 si dice punto di accumulazione per 𝐸 se per ogni 𝑟 > 0 si ha 𝐸 ∩ (𝐵(𝑥 0 , 𝑟) \ {𝑥 0 }) ≠ ∅ .

iii. La parte interna di 𝐸 è l'insieme int (𝐸) = 𝐸 =


𝑜 Ð
𝐴⊆𝐸 𝐴, con 𝐴 aperto.
iv. La chiusura di 𝐸 è l'insieme 𝐸 ¯ = 𝐸 ⊆𝐶 𝐶 .
Ñ
v. La frontiera (o bordo) di 𝐸 è denita come 𝜕𝐸 = 𝐸 ¯ ∩ 𝐸𝑐.
Si noti che le famiglie di aperti contenuti in 𝐸 e di chiusi contenenti 𝐸 non sono mai vuoti, perché

𝐴=∅ e 𝐶 = 𝑋 sono sempre ammissibili nelle denizioni iii. e iv. Inoltre, per denizione se 𝐴 è aperto,

allora 𝐴𝑜 = 𝐴; se 𝐶 è chiuso, allora 𝐶 = 𝐶 .


La seguente proposizione chiarisce le denizioni di punto di accumulazione e di chiusura di un insieme

𝐸.
4.10. Proposition. i. Un punto 𝑝 ∈ 𝑋 è di accumulazione per 𝐸 ⊆ 𝑋 , se e solo se esiste una

successione (𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝐸 , con 𝑥 𝑘 ≠ 𝑝 per ogni 𝑘 , tale che 𝑥 𝑘 −→ 𝑝 .


¯ \ 𝐸 se e solo se 𝑝 ∉ 𝐸 è di accumulazione per 𝐸 . In particolare, 𝐸¯ si caratterizza come
ii. 𝑝 ∈ 𝐸

𝐸 ∪ D (𝐸) , dove D (𝐸) è l'insieme dei punti di accumulazione di 𝐸 (chiamato derivato di 𝐸 ).


Dimostrazione. i. Supponiamo che 𝑝 sia di accumulazione per l'insieme 𝐸 : per denzione per ogni
𝑟 > 0 si ha 𝐸 ∩ (𝐵( 𝑝, 𝑟) \ {𝑝}) ≠ ∅. Scegliamo 𝑟 = 𝑟 𝑘 = 1𝑘 : per ogni 𝑘 esiste almeno un punto
𝑥 𝑘 ∈ 𝐸 ∩ (𝐵( 𝑝, 𝑟 𝑘 ) \ {𝑝}) con la proprietà che 𝑥 𝑘 ≠ 𝑝 , quindi abbiamo ottenuto l'esistenza di una
successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐸 \ {𝑝} ⊆ 𝐸 convergente a 𝑝 , visto che 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) < 𝑟 𝑘 → 0.

Viceversa supponiamo che esista una successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐸 tale che 𝑥 𝑘 ≠ 𝑝 e 𝑥 𝑘 → 𝑝 e consideriamo

la palla 𝐵( 𝑝, 𝑟) , con 𝑟 > 0 generico. Poiché 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) −→, esiste 𝐾0 = 𝐾0 (𝑟) tale che 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) < 𝑟 per

ogni 𝑘 > 𝐾0 , e quindi 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵( 𝑝, 𝑟) . Abbiamo provato che per ogni 𝑟 > 0 esistono punti 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵( 𝑝, 𝑟) ∩ 𝐸

dierenti da 𝑝 , il che conclude la dimostrazione.

ii. Supponiamo che 𝑝 ∈ 𝐸 ¯ \ 𝐸 . Allora 𝑝 è di accumulazione per 𝐸 , cioè per ogni 𝑟 > 0 la palla aperta
𝐵( 𝑝, 𝑟) interseca 𝐸 : infatti, se così non fosse, allora 𝐵( 𝑝, 𝑟) 𝑐 sarebbe un chiuso che contiene 𝐸 , da
cui 𝑝 ∈ 𝐸 ¯ ⊂ 𝐵( 𝑝, 𝑟) 𝑐 è chiaramente una contraddizione (un punto appartiene sempre alle palle con
centro nel punto!)

Viceversa, se 𝑝 è di accumulazione, allora abbiamo dimostrato in i. che esiste una successione (𝑥 𝑘 ) ⊂


𝐸 ⊂ 𝐸¯ tale che 𝑥 𝑘 → 𝑝: dal Teorema 4.8 deduciamo che 𝑝 ∈ 𝐸¯, ossia come volevamo dimostrare

tutti i punti di accumulazione di 𝐸 appartengono alla chiusura di 𝐸 .

Complementi ed esercizi

Esercizio 4.1. Sia (𝑋, 𝑑 𝐷 ) lo spazio metrico, dove 𝑋 ≠ ∅ e 𝑑 𝐷 è la metrica discreta, cioè
1 se 𝑝 ≠ 𝑞,

𝑑 𝐷 ( 𝑝, 𝑞) =
0 se 𝑝 = 𝑞.
Si descrivano gli insiemi aperti, gli insiemi chiusi e le successioni di Cauchy in questo spazio metrico.
Esercizio 4.2. Si considerino gli spazi metrici (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) , (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) . Si mostri che se 𝐴 ⊆ ℝ𝑛
è aperto rispetto una delle tre metriche lo è anche rispetto alle altre due.
Esercizio 4.3. Si provi che il semipiano 𝐻 = {(𝑥1 , 𝑥2 ) ∈ ℝ2 : 𝑥1 > 0} è aperto in (ℝ, 𝑑2 ) .
Esercizio 4.4.Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e sia 𝐸 = {𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑁 } ⊆ 𝑋 un suo sottoinsieme nito, si
dimostri che 𝐸 è chiuso.
30 4. TOPOLOGIA DEGLI SPAZI METRICI

Esercizio 4.5. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e sia 𝐵 = 𝐵( 𝑝, 𝑟) , con 𝑝 ∈ 𝑋 e 𝑟 > 0, si dimostri che

1) 𝐵¯ ⊆ {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 𝑟 },
2) se 𝑑 = 𝑑 𝐷 (la distanza discreta) e 𝑟 = 1 allora 𝐵¯ non coincide con {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 𝐷 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 1},
3) Se (𝑋, 𝑑) = (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) allora 𝐵¯ = {𝑥 ∈ ℝ𝑛 : 𝑑2 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 𝑟 }.
Esempio 4.1. Si mostri che gli intervalli (𝑎, 𝑏) , (𝑎, +∞) e (−∞, 𝑎) sono aperti in ℝ con la metrica
euclidea. Gli intervalli [𝑎, 𝑏] , [𝑎, +∞) e (−∞, 𝑎] sono chiusi in (ℝ, 𝑑) . Gli intervalli (𝑎, 𝑏] e [𝑎, 𝑏) non
sono né aperti né chiusi.
Esempio 4.2. Per quali 𝑝 ∈ ℝ l'insieme [0, 1] ∪ {𝑝} è chiuso in (ℝ, 𝑑2 ) ? e in (ℝ, 𝑑 𝐷 ) ?
Esempio 4.3. Sia 𝑔 ∈ 𝐶 ( [0, 1]) una funzione positiva e deniamo
∀ 𝑥 ∈ [0, 1]} ⊆ 𝐶 0 [0, 1], 𝑑∞ .

𝐶 = { 𝑓 : | 𝑓 (𝑥)| ≤ 𝑔(𝑥)
i. Si mostri che 𝐶 è chiuso.
ii. Si descriva 𝜕𝐶 .
Esercizio 4.6. Si consideri la funzione 𝑑𝑒 (𝑥, 𝑦) = |𝑒 𝑥 − 𝑒 𝑦 | , con 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ, si dimostri che
1) (ℝ, 𝑑𝑒 ) è uno spazio metrico,
2) (ℝ, 𝑑𝑒 ) non è completo,
3) 𝑑𝑒 produce su ℝ la stessa topologia della distanza euclidea 𝑑2 (cioè genera gli stessi aperti e gli
stessi chiusi).
CAPITOLO 5

Funzioni continue e teorema delle contrazioni


[aggiornato il 08/03/2021]

Di fondamentale importanza è la nozione di funzioni continue tra spazi metrici, che avranno un ruolo

rilevante nel resto del corso.

Funzioni continue
In analogia alla continuità per funzioni di variabile reale, si introduce la seguente denizione di funzione

continua.

5.1. Denizione [Funzioni continue]. Siano (𝑋, 𝑑 𝑋 ) e (𝑌 , 𝑑𝑌 ) due spazi metrici e sia 𝑥0 ∈ 𝑋 . Una

funzione 𝑓 : 𝑋 → 𝑌 si dice continua in 𝑥 0 se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che

(5.1) 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥), 𝑓 (𝑥 0 )) < 𝜀 ∀ 𝑥 ∈ 𝑋, 𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑥 0 ) < 𝛿.


Una funzione continua in tutti i punti di 𝑋 si dirà semplicemente continua.
Il seguente teorema mostra come la nozione di continuità possa essere espressa in termini di successioni

convergenti o della topologia di uno spazio metrico.

5.2. Teorema. Siano (𝑋, 𝑑 𝑋 ) e (𝑌 , 𝑑𝑌 ) due spazi metrici e 𝑓 : 𝑋 → 𝑌 una funzione. I seguenti

enunciati sono equaivalenti:

i) 𝑓 è continua;

ii) per ogni successione converngente {𝑥 𝑘 } ⊂ 𝑋 , con 𝑥 𝑘 −→ 𝑥 ∞ , si ha che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑓 (𝑥∞ ) ;


iii) per ogni sottoinsieme aperto 𝐴 ⊂ 𝑌 si ha che 𝑓 −1 ( 𝐴) ⊂ 𝑋 è aperto.
Dimostrazione. [i) =⇒ ii)] Sia 𝑥 𝑘 −→ 𝑥 ∞ . Per la continuità di 𝑓 , per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale
che (5.1) vale. Inoltre, dato che 𝑥 𝑘 −→ 𝑥∞ , esiste un intero 𝑁0 (𝜀) tale che 𝑑 𝑋 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) < 𝛿 per ogni
𝑘 ≥ 𝑁0 (𝜀) . In particolare, dalla continuità di 𝑓 segue che

𝑑 𝑋 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) < 𝛿 =⇒ 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥 𝑘 ), 𝑓 (𝑥 ∞ )) ∀ 𝑘 ≥ 𝑁0 (𝜀).
Dall'arbitrarietà di 𝜀>0 si conclude che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑓 (𝑥∞ ) .
[ii) =⇒ iii)] Supponiamo per assurdo che esista un sottoinsieme aperto 𝐴 ⊂ 𝑌 tale che 𝑓 −1 ( 𝐴) ⊂ 𝑋
non sia aperto. Questo vuol dire (si veda Ÿ 4.4) che esiste un punto 𝑥 ∞ ∈ 𝑓
−1 ( 𝐴) e una successione
− 1
𝑐
(𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝑓 ( 𝐴) tale che 𝑥 𝑘 −→ 𝑥∞ . Da ii. si ha che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑓 (𝑥∞ ) . Inoltre, dato che 𝐴 è aperto,
esiste 𝜀 > 0 tale che 𝐵( 𝑓 (𝑥 ∞ ), 𝜀) ⊂ 𝐴. Ne segue che esiste 𝑁 0 (𝜀) ∈ ℕ per cui 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥 𝑘 ), 𝑓 (𝑥 ∞ )) < 𝜀 ,

cioè 𝑓 (𝑥 𝑘 ) ∈ 𝐵( 𝑓 (𝑥 ∞ ), 𝜀) ⊂ 𝐴, per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 0 (𝜀) . In particolare, 𝑥 𝑘 = 𝑓


−1 ( 𝑓 (𝑥 )) ∈ 𝑓 −1 ( 𝐴) , in
𝑘
− 1
𝑐
contraddizone con la scelta 𝑥 𝑘 ∈ 𝑓 ( 𝐴) .
[iii) =⇒ i)] Sia 𝜀 > 0 e𝑥0 ∈ 𝑋 . Si ricordi che la palla 𝐵( 𝑓 (𝑥0 ), 𝜀) è un sottoinsieme aperto (v.
Ÿ 4.5 (1)). Per iii. si ha che 𝑓 −1 (𝐵( 𝑓 (𝑥 0 ), 𝜀)) ⊂ 𝑋 è aperto, per cui esiste 𝛿 > 0 tale che 𝐵(𝑥0 , 𝛿) ⊂
− 1
𝑓 (𝐵( 𝑓 (𝑥0 ), 𝜀)) . In altri termini, per ogni 𝑥 ∈ 𝑋 tale che 𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑥 0 ) < 𝛿 si ha che 𝑓 (𝑥) ∈ 𝐵( 𝑓 (𝑥0 ), 𝜀) ,
cioè 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥), 𝑓 (𝑥 0 )) < 𝜀 . Questo prova la continuità di 𝑓 in un generico punto 𝑥 0 , da cui i. segue.

31
32 5. FUNZIONI CONTINUE E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI

Teorema delle contrazioni


Una classe particolare di funzioni continue sono le contrazioni.

5.3. Denizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Diremo che 𝑇 : 𝑋 −→ 𝑋 è una contrazione, se

esiste un reale 𝛼 ∈ [0, 1) tale che


𝑑 (𝑇 (𝑥), 𝑇 (𝑦)) ≤ 𝛼𝑑 (𝑥, 𝑦) per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝑋.

𝜀
Una contrazione è necessariamente continua: infatti, per ogni 𝜀 > 0, scelto 𝛿= 𝛼 , si ha che
𝑑 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝛿 =⇒ 𝑑 (𝑇 (𝑥), 𝑇 (𝑦)) ≤ 𝛼𝛿 = 𝜀.
Più precisamente, una contrazione è quella che si chiama una funzione lipschitziana con costante di
Lipschitz minore di 1.
Il seguente teorema è il risultato principale che dimostriamo sulle contrazioni.

5.4. Teorema [delle contrazioni di BanachCaccioppoli]. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo
e sia 𝑇 : 𝑋 −→ 𝑋 una contrazione. Allora esiste un unico punto sso di 𝑇 , cioè esiste e è unico un

punto 𝑝∈𝑋 tale che

𝑇 ( 𝑝) = 𝑝.

Dimostrazione. Deniamo la seguente successione per ricorrenza: prendiamo un punto 𝑥0 ∈ 𝑋 in

maniera arbitraria e si pone

𝑥 𝑘+1 = 𝑇 (𝑥 𝑘 ) = 𝑇 𝑘 (𝑥0 ) 𝑘 ∈ ℕ.
Allora, si ha che

𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+1 ) = 𝑑 (𝑇 𝑘 (𝑥 0 ), 𝑇 𝑘 (𝑥1 )) ≤ 𝛼𝑑 (𝑇 𝑘−1 (𝑥0 ), 𝑇 𝑘−1 (𝑥1 )) ≤ · · · ≤ 𝛼 𝑘 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 ).


In particolare, ne discende che per ogni 𝑗 ≥1
𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+1 ) + 𝑑 (𝑥 𝑘+1 , 𝑥 𝑘+2 ) + ... + 𝑑 (𝑥 𝑘+ 𝑗−1 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 )
≤ 𝛼 𝑘 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 ) + 𝛼 𝑘+1 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 ) + ... + 𝛼 𝑘+ 𝑗−1 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 )
(5.2)

∑︁ 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 )
= 𝛼 𝑘 1 + 𝛼 + 𝛼2 + ...𝛼 𝑗−1 𝑑 (𝑥 0 , 𝑥1 ) ≤ 𝛼 𝑘

𝛼𝑖 𝑑 (𝑥0 , 𝑥1 ) = 𝛼 𝑘 .
𝑖=0
1−𝛼
Dato che 𝛼 ∈ [0, 1) , questo prova che (𝑥 𝑘 ) è una successione di Cauchy: infatti, vale l'implicazione
  
1−𝛼
𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 se 𝑘 ≥ 𝐾0 (𝜀) = log 𝛼 𝜀 +1
𝐶
dove le parentesi b𝑥c indicano il più grande intero minore di 𝑥. Siccome 𝑋 è completo abbiamo che
esiste 𝑝 ∈ 𝑋 tale che 𝑥𝑘 → 𝑝 e, per la continuità delle contrazioni, 𝑇 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑇 ( 𝑝) . In conclusione
abbiamo che

𝑇 ( 𝑝) = lim 𝑇 (𝑥 𝑘 ) = lim 𝑥 𝑘+1 = 𝑝.


𝑘→∞ 𝑘→∞
Per l'unicità, supponiamo per assurdo che esistano due punti ssi 𝑝 e 𝑞: allora

𝑑 ( 𝑝, 𝑞) = 𝑑 (𝑇 ( 𝑝), 𝑇 (𝑞)) ≤ 𝛼𝑑 ( 𝑝, 𝑞),


ossia

(1 − 𝛼)𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ 0.
Dato che il fattore (1 − 𝛼) non è nullo, si ha che 𝑑 ( 𝑝, 𝑞) = 0 (la distanza è una funzione positiva),

cioè 𝑝 = 𝑞.
TEOREMA DELLE CONTRAZIONI 33

5.5. Si noti che (5.2) da anche una stima dell'errore che si commette nel calcolare il punto sso,

perché

𝛼 𝑘 𝑑 (𝑥 0 , 𝑥1 )
𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) = lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ .
𝑗→∞ 1−𝛼

Complementi ed esercizi

Esercizio 5.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Dimostrare che, per ogni 𝑝 ∈ 𝑋 ssato, la funzione
𝑓 (𝑥) = 𝑑 (𝑥, 𝑝) è una funzione continua su 𝑋 .
Esercizio 5.2.Prendiamo un poster della celeberrima Gioconda e facciamone una fotocopia su lucido
al 50%. Poi appoggiamo il lucido sul poster in una posizione qualunque, stando attenti che il lucido
non sporga dai margini dell'immagine originale. È vero che c'è un punto dell'immagine esattamente
sovrapposto a sé stesso? Quanti sono? E come si fa a localizzarli?
Dato lo spazio metrico (𝐶 ( [0, 1]), 𝑑∞ ) si determini l'immagine e il sottoinsieme su cui
Esercizio 5.3.

sono ben denite le seguenti applicazioni


∫ 1
𝐴1 ( 𝑓 ) = 𝑓 (0), 𝐴2 ( 𝑓 ) = 𝑓 (𝑥)𝑑𝑥, 𝐴3 ( 𝑓 ) = 𝑓 0 (𝑥).
0
Si discuta anche la continuità di tale applicazioni.
Esercizio 5.4.Si consideri lo spazio metrico (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) e sia 𝐴 ∈ L (ℝ𝑛 , ℝ𝑛 ) un operatore lineare. Si
dimostri che 𝐴 è continuo come applicazione tra spazi metrici.
Esercizio 5.5. Si consideri (𝐶 ( [0, 1]), 𝑑∞ ) . Per tutti gli operatori
𝐴1 ( 𝑓 ) = 𝜆 𝑓 (𝜆 ∈ ℝ), 𝐴2 ( 𝑓 ) = 𝐻 (𝑥) 𝑓 (𝑥) (𝐻 ∈ 𝐶 ( [0, 1])),
∫ 𝑥2 ∫ 𝑥
𝐴3 ( 𝑓 ) = 𝑓 2 (𝑥), 𝐴4 ( 𝑓 ) = 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠, 𝐴5 ( 𝑓 ) = (𝑥 − 𝑠) 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠,
0 0
si risponda (tenendo conto dei paramerti in gioco) alle seguenti domande:
a. è ben denito?
b. è lineare?
c. qual è l'immagine e il nucleo?
d. è iniettivo e/o suriettivo?
e. è continuo?
Esercizio 5.6. Si consideri lo spazio metrico completo (𝐶 ( [0, 𝜋]), 𝑑∞ ) e l'operatore 𝑇 : 𝐶 ( [0, 𝜋]) →
𝐶 ( [0, 𝜋]) denito come segue
∫ 𝜋
𝑇 ( 𝑓 ) (𝑥) = 𝑥 + 𝜆 𝑓 (𝑥)𝑑𝑥 𝜆 ∈ ℝ.
0
Si provi che l'operatore è ben denito e continuo, si dica per quali 𝜆 ∈ ℝ è una contrazione e si provi
a identicare il relativo punto sso al variare del parametro.
Esercizio 5.7. Si consideri lo spazio metrico (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) , si trovi un esempio di un'applicazione 𝐴 : ℝ𝑛 −→
ℝ𝑛 tale che
e
𝑑2 ( 𝐴(𝑥), 𝐴(𝑦)) = 𝑑2 (𝑥, 𝑦) 𝐴(𝑥) ≠ 𝑥 per ogni 𝑥 ∈ ℝ𝑛 ,
e lo si commenti alla luce del teorema delle contrazioni.
34 5. FUNZIONI CONTINUE E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI

Esercizio 5.8.Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e 𝐻 : 𝑋 −→ 𝑋 un'applicazione tale che 𝐻 𝑛0 è
una contrazione (per un indice 𝑛0 ∈ ℕ ssato). Si provi che 𝐻 possiede un unico punto sso.
Esercizio 5.9. Ognuno degli esempi che seguono contiene il parametro reale 𝜆 ∈ ℝ: si studi al variare
del parametro in quali è possibile applicare il teorema delle contrazioni e si provi a calcolare e/o stimare
il punto sso √
i. 𝑇 : [0, 𝜆] → ℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝑥 + 1,
ii. 𝑇 : ℝ → ℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝜆 cos(𝑥) ,
iii. 𝑇 : ℝℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝑒−𝜆𝑥 .
2

Esercizio 5.10. Si consideri lo spazi metrico (𝐶 ( [0, 𝜆]), k · k ∞ ) e l'operatore 𝑇 ∈ L (𝐶 ( [0, 𝜆])) così
denito ∫ 𝑥
𝑓 ↦−→ 𝑇 ( 𝑓 ) con 𝑇 ( 𝑓 ) (𝑥) = 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠.
0
1) Si dica per quali 𝜆 > 0 si ha che 𝑇 è una contrazione,
2) Si identichi il punto sso dell'operatore.
Esercizio 5.11. Per ogni funzione continua 𝑓 : [−𝑎, 𝑎] −→ ℝ si consideri l'applicazione 𝑇 [ 𝑓 ] :
[−𝑎, 𝑎] −→ ℝ con
∫𝑎
𝑇 [ 𝑓 ] (𝑥) = (𝑠 − 𝑥) 2 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠.
−𝑎
a. Dimostrare che 𝑇 trasforma funzioni pari in funzioni pari.
b. Dimostrare che per ogni funzione 𝑓 ∈ 𝐶 0 [−𝑎, 𝑎]
8𝑎 3
k𝑇 [ 𝑓 ] k ∞ ≤ k 𝑓 k∞ dove k 𝑓 k ∞ = sup | 𝑓 (𝑥)| .
3 𝑥 ∈ [−𝑎,𝑎]

c. dimostrare che se 𝑓 ∈ 𝐶 [−𝑎, 𝑎] ed è pari, allora


1

(𝑇 [ 𝑓 ]) 0 (𝑥) = 4𝑎𝑡 𝑓 (𝑎) + 𝑇 ( 𝑓 0) (𝑥).


Posto 𝑋 = 𝑓 ∈ 𝐶 1 [−𝑎, 𝑎] : 𝑓 pari con norma k 𝑓 k 1,∞ = k 𝑓 k ∞ + k 𝑓 0 k ∞ .


d. Si provi che (𝑋, k · k 1,∞ ) è uno spazio di Banach,


e. Si determini 𝑎 in modo che 𝑇 : (𝑋, k · k 1,∞ ) −→ (𝑋, k · k 1,∞ ) sia una contrazione e si trovi il suo
punto sso.
CAPITOLO 6

Compattezza

In questo capitolo studiamo una tra le proprietà più importanti degli spazi metrici e dei suoi sottoinsie-

mi, nota con il termine di compattezza. Abbiamo già incontrato questa proprietà, che ha a che fare

con le ipotesi di limitatezze e di chiusura nel principio degli intervalli incapsulati Ÿ 1.7 o nel teorema

di Weierstrass sull'esistenza del massimo e del minimo di una funzione continue.

Insiemi compatti
Iniziamo col dare le denizioni pertinenti al concetto di compattezza.

6.1. Denizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Un sottoinsieme 𝐾⊂𝑋 si dice

i. compatto se da ogni ricoprimento aperto di 𝑋 si può estrarre un sottoricoprimento nito: cioè, se

data una famiglia arbitraria di aperti { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ tali che 𝐾 ⊂ ∪𝜆∈Λ 𝐴𝜆 , esiste un certo numero 𝑁∈ℕ di

elementi della famiglia 𝐴𝜆1 , ..., 𝐴𝜆 𝑁 tali che 𝐾 ⊆ 𝐴𝜆1 ∪ ... ∪ 𝐴𝜆 𝑁 ;


ii. compatto per successioni (o sequenzialmente compatto) se da ogni successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐾 si

può estrarre una sottosuccessione convergente con limite in 𝐾;


iii. totalmente limitato se per ogni 𝑟 > 0 esiste 𝑁 ∈ ℕ ed esistono 𝑁 punti {𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑁 } ⊆ 𝐾 tali che

𝐾 ⊆ 𝐵( 𝑝 1 , 𝑟) ∪ ... ∪ 𝐵( 𝑝 𝑁 , 𝑟);

iv. completo se è completo per la metrica restrizione (𝐾, 𝑑 |𝐾 ) : ossia ogni successione di Cauchy

(𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝐾 ha limite in 𝐾.

6.2. Osservazioni. 1) Un insieme compatto per successione è automaticamente completo. Infatti, se

𝐾 è compatto per successione, allora ogni successione di Cauchy (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐾 deve possedere una sotto-
successione convergente in 𝐾 ; ma se una successione di Cauchy ha una sottosuccessione convergente,
allora tutta la successione ammette limite, per cui 𝐾 è completo.

2) La nozione di totale limitatezza può essere formulata equivalentemente come segue: chiamiamo

diametro di un insieme 𝐴⊆𝑋 il numero

diam ( 𝐴) = sup 𝑑 ( 𝑝, 𝑞),


𝑝,𝑞 ∈ 𝐴

allora 𝐾 è totalmente limitato se per ogni 𝑟 >0 esiste un numero 𝑁 ∈ℕ di insiemi 𝐷 1 , ..., 𝐷 𝑁 con

diametro minore di 𝑟 tali che

𝑁
Ø
𝐾= 𝐷𝑙 .
𝑙=1

3) Chiaramente, se un insieme è totalmente limitato, allora è limitato.

35
36 6. COMPATTEZZA

6.3. Esempi. Facciamo alcuni esempi elementari al ne di illustrare i concetti introdotti.

1) (ℝ, 𝑑) è completo; non è totalmente limitato (non è limitato); non è compatto per successioni

(per esempio, 𝑥 𝑘 = 𝑘 non ha sottosuccessioni convergenti).


2) ((0, 1), 𝑑 | ( 0,1) ) è totalmente limitato, non è completo, non è compatto per successioni (per esempio,
𝑥 𝑘 = 1/𝑘 è una successione di Cauchy che non ha limite in (0, 1) ).
3) ( [0, 1], 𝑑 | [ 0, 1 ] ) è completo, totalmente limitato e compatto per successioni, (grazie al teorema di

Bolzano e Weierstrass  si veda Ÿ 1.14  ogni successione limitata ammette una sottosuccessione

convergente e, dato che [0, 1] è chiuso, il limite appartiene a [0, 1] ).


4) (ℝ, 𝑑 𝐷 ) è limitato (quindi totalmente limitato), completo ma non è compatto per successioni:

𝑥 𝑘 = 𝑘 non ha sottosuccessioni convergenti.

Proprietà degli insiemi compatti


Mostriamo quali implicazioni sussistono tra le nozioni introdotte nella Denizione 6.1.

6.4. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e sia 𝐸 ⊂ 𝑋. Allora 𝐸 è completo se e

solo se è chiuso.

Dimostrazione. Se 𝐸 è completo, allora ogni successione convergente in 𝐸, che è una successione

di Cauchy, ha limite in 𝐸: cioè 𝐸 contiene tutti i suoi punti di accumulazione e quindi è chiuso (per

questa implicazione non abbiamo utilizzato la completezza di 𝑋 ).


Viceversa, se 𝐸 è chiuso, allora ogni successione di Cauchy in 𝐸 è convergente in 𝑋 (grazie alla
completezza di 𝑋 ): ma dato che 𝐸 è chiuso, si ha che il limite appartiene a 𝐸 , da cui la completezza

di 𝐸 segue.

6.5. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e 𝐾 ⊆ 𝑋 un insieme compatto. Allora 𝐾 è completo

e totalmente limitato.

Dimostrazione. Cominciamo con il mostrare che 𝐴 = 𝐾 𝑐 è aperto. Fissiamo 𝑥0 ∈ 𝐴 e, per ogni


𝑦 ∈ 𝐾 , sia 𝑑 𝑦 := 𝑑 (𝑦, 𝑥0 )/3. Si noti che 𝑑 𝑦 > 0 e inoltre 𝐵(𝑥0 , 𝑑 𝑦 ) ∩ 𝐵(𝑦, 𝑑 𝑦 ) = ∅ per ogni 𝑦 ∈ 𝐾 .
Chiaramente 𝐾 ⊆ ∪ 𝑦 ∈𝐾 𝐵(𝑦, 𝑑 𝑦 ) è un ricoprimento di aperti, e siccome 𝐾 è compatto esiste un insieme

nito di punti {𝑦 1 , ..., 𝑦 𝑁 } tali che


Ø
𝐾⊆ 𝐵(𝑦 𝑖 , 𝑑 𝑦𝑖 ).
𝑖=1,..., 𝑁

Ponendo 𝑟 = min{𝑑 𝑦1 , ..., 𝑑 𝑦𝑁 }, abbiamo che 𝐵(𝑦 𝑖 , 𝑑 𝑦𝑖 ) ∩ 𝐵(𝑥0 , 𝑟) = ∅ per ogni 𝑖 = 1, ..., 𝑁 . In parti-
Ð𝑁
colare, 𝐾 ∩ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) ⊆ 𝑖=1 𝐵(𝑦 𝑖 , 𝑑 𝑦𝑖 ) ∩ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) = ∅, ossia 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) ⊆ 𝐴 = 𝐾 . Ogni punto 𝑥 0 di 𝐴 è
𝑐
𝑐
quindi un punto interno a 𝐴, cioè 𝐴 è aperto. Ne segue che 𝐾 = 𝐴 è chiuso e per la proposizione

precedente 𝐾 è completo.

Per provare che 𝐾 è totalmente limitato, ssiamo 𝑟 > 0 e notiamo che naturalmente {𝐵(𝑥, 𝑟)} 𝑥 ∈𝐾 è

un ricoprimento aperto di 𝐾 , da cui è possibile estrarre un sottoricoprimento nito, cioè


Ø
𝐾⊆ 𝐵(𝑥𝑖 , 𝑟),
𝑖=1,..., 𝑁

per opportuni punti {𝑥1 , ..., 𝑥 𝑁 } ⊆ 𝐾 , il che prova che 𝐾 è totalmente limitato.

6.6. Proposition. I sottoinsiemi chiusi di insiemi compatti sono compatti.

Dimostrazione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano 𝐶 ⊆ 𝐾 ⊆ (𝑋, 𝑑) , con 𝐾 compatto e 𝐶 chiuso:
vogliamo mostrare che allora 𝐶 è compatto. A questo scopo consideriamo { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ un ricoprimento
aperto di 𝐶. 𝐶 𝑐 è aperto e, dato che 𝐶 ⊂ 𝐾 , si ha che la
Per ipotesi famiglia {𝐶 , 𝐴𝜆 } 𝜆∈Λ costituisce
𝑐

un ricoprimento aperto di 𝐾 .
𝑐
Per la compettezza di 𝐾 esiste un sottoricoprimento nito, cui possiamo aggiungere l'aperto 𝐶 se

non fosse già preso in considerazione: cioè 𝐾 ⊆ 𝐶 ∪ 𝐴𝜆1 ∪ ... ∪ 𝐴𝜆 𝑁 . Dato che 𝐶 ⊆ 𝐾 e 𝐶 ∩ 𝐶 = ∅ ,
𝐶 𝑐
CARATTERIZZAZIONE DEGLI INSIEMI COMPATTI 37

ne segue che 𝐶 ⊆ 𝐴𝜆1 ∪ ... ∪ 𝐴𝜆 𝑁 cioè 𝐶 ammette un sottoricoprimento nito e quindi è compatto.

Corollario. Siano (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico, 𝐾 ⊂ 𝑋 compatto e 𝐶 ⊂ 𝑋 chiuso. Allora 𝐶∩𝐾 è

compatto.

Dimostrazione. Per la Proposizione 6.5 si ha che 𝐾 è chiuso. Allora 𝐾 ∩𝐶 è un chiuso contenuto in

𝐾, per cui il corollario segue quindi dalla proposione precedente.

6.7. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano 𝑍 ⊆ 𝐾 ⊆ 𝑋, con 𝐾 compatto e 𝑍 innito.

Allora, esiste un punto di accumulazione di 𝑍 in 𝐾.

Dimostrazione. Se nessun punto di 𝐾 è un punto di accumulazione per 𝑍 , allora per ogni 𝑥 ∈ 𝐾


esiste 𝑟𝑥 > 0 tale che 𝑍 ∩ (𝐵(𝑥, 𝑟 𝑥 ) \ {𝑥}) = ∅. Poiché 𝑍 ⊆ 𝐾 ⊆ ∪ 𝑥 ∈𝐾 𝐵(𝑥, 𝑟 𝑥 ) e 𝐾 è compatto, esiste
un sottoricoprimento nito 𝑍 ⊆ 𝐾 ⊆ ∪𝑖=1,..., 𝑁 𝐵(𝑥 𝑖 , 𝑟 𝑥𝑖 ) . In particolare, ne segue che

𝑍 ⊆ ∪𝑖=1,..., 𝑁 𝐵(𝑥 𝑖 , 𝑟 𝑥𝑖 ) ∩ 𝑍 ⊂ {𝑥1 , ..., 𝑥 𝑁 },

perché 𝐵(𝑥 𝑖 , 𝑟 𝑥𝑖 ) ∩ 𝑍 ⊆ {𝑥𝑖 } per ogni 𝑖 = 1, ..., 𝑁 , contraddicendo l'ipotesi che 𝑍 abbia inniti elementi.

Corollario. Ogni insieme compatto è sequenzialmente compatto.

Dimostrazione. Sia 𝐾 un compatto e (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐾 una successione. Se l'immagine della successione

𝑍 = {𝑥 𝑘 : 𝑘 ∈ ℕ} ha un numero nito di elementi, allora ne deve esistere almeno uno che si ripete per

inniti indici e che costituisce una sottosuccessione costante, quindi convergente.

Se 𝑍 ha inniti elementi, per la proposizione precedente 𝑍 possiede almeno un punto 𝑥∞ di accumu-

lazione e quindi esiste una sottosuccessione convergente.

Caratterizzazione degli insiemi compatti


Abbiamo mostrato che un insieme compatto è necessariamente completo e totalmente limitato da

un alto, e compatto per successsioni dall'altro. Queste in realtà sono condizioni equivalenti alla

compattezza negli spazi metrici.

6.8. Teorena. Dato uno spazio metrico (𝑋, 𝑑) e 𝐾 ⊂ 𝑋, sono equivalenti le seguenti aermazioni:

i. 𝐾 è sequenzialmente compatto,
ii. 𝐾 è completo e totalmente limitato,

iii. 𝐾 è compatto.

Dimostrazione. =⇒ ii.] Per quanto osservato in Ÿ 6.2 1), ogni insieme sequenzialmente compatto
[i.

è completo. Per cui dobbiamo solo provare che 𝐾 è totalmente limitato. Se così non fosse, esisterebbe
𝑟 > 0 tale che nessuna famiglia nita di palle di raggio 𝑟 è un ricoprimento di 𝐾 . In particolare, ssato
𝑥 1 ∈ 𝐾 arbitrariamente, si ha che 𝐵(𝑥 1 , 𝑟) non ricopre 𝐾 , e quindi esiste 𝑥2 ∈ 𝐾 tale che 𝑑 (𝑥1 , 𝑥2 ) ≥ 𝑟 .
Poiché neanche 𝐵(𝑥 1 , 𝑟) ∪ 𝐵(𝑥 2 , 𝑟) ricopre 𝐾 , deve esistere un punto 𝑥 3 ∈ 𝐾 tale che 𝑑 (𝑥 𝑖 , 𝑥 3 ) ≥ 𝑟 per

𝑖 = 1, 2. Ripetendo il ragionamento otteniamo una successione (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐾 tale che

𝑑 (𝑥𝑖 , 𝑥 𝑘 ) ≥ 𝑟 ∀𝑖, 𝑘 ∈ ℕ.

Da una tale successione non è possibile estrarre alcuna sottosuccessione convergente, e questo

contraddice l'ipotesi che 𝐾 sia sequenzialmente compatto.


38 6. COMPATTEZZA

=⇒ iii.] Sia 𝐾 completo e totalmente limitato e supponiamo per assurdo che esista un ricoprimento
[ii.

aperto A = {𝐴𝜆 }𝜆∈Λ da cui non è possibile estrarre un sottoricoprimento nito. Essendo 𝐾 totalmente
limitato, esiste un numero nito di insiemi 𝐶1 , ..., 𝐶 𝑁 con la proprietà che

𝑁
Ø
𝐶𝑘 = 𝑋 e diam(𝐶 𝑘 ) < 1 ∀𝑘 = 1, ..., 𝑁.
𝑘=1
Se fosse possibile ricoprire ognuno degli 𝐶𝑘 con un numero nito di aperti della famiglia A , unendo
questi ricoprimenti avremmo trovato una famiglia nita di aperti di A che ricopre 𝐾 . Questo signica
che esiste almeno un insieme 𝐶 𝑘1 che non può essere ricoperto con un numero nito di aperti. Poniamo
𝐶 𝑘1 = 𝑋1 e osserviamo che 𝑋1 è totalmente limitato, perché 𝑋 lo è. Possiamo quindi ripetere il
ragionamento precedente con un numero nito di insiemi di diametro minore di 1/2, trovando un

sottoinsieme 𝑋2 ⊆ 𝑋1 che non può essere ricoperto con un numero nito di elementi di A e ha

diametro minore di 1/2. Iterando il procedimento troveremo una successione {𝑋𝐾 } di sottoinsiemi di

𝐾 tali che
𝑋1 ⊇ 𝑋2 ⊇ ... e diam(𝑋 𝑘 ) < 1/𝑘,
e nessuno degli insiemi 𝑋 𝑘 può essere ricoperto con un numero nito di aperti di A. Per ogni indice

𝑘∈ℕ sia 𝑥𝑘 un punto di 𝑋 𝑘 e osserviamo che, dato che 𝑋𝑛 ⊆ 𝑋 𝑘 per ogni 𝑛 ≥ 𝑘, allora

𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥 𝑘 ) ≤ diam(𝑋 𝑘 ) < 1/𝑘 ∀ 𝑘 < 𝑛.


Quindi la successione(𝑥 𝑘 ) è di Cauchy e, poiché per ipotesi 𝐾 è completo, esiste 𝑥∞ ∈ 𝐾 tale che
𝑥 𝑘 → 𝑥∞ ∈ 𝐾 .
Notiamo che 𝑋 𝑘 ⊂ 𝐵(𝑥 ∞ , 1/𝑘) per ogni 𝑘 : infatti, se 𝑥 ∈ 𝑋 𝑘 e 𝑛 > 𝑘 , allora abbiamo che 𝑥 𝑛 ∈ 𝑋𝑛 ⊆ 𝑋 𝑘 ,

da cui

𝑑 (𝑥, 𝑥 ∞ ) ≤ 𝑑 (𝑥, 𝑥 𝑛 ) + 𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥∞ ) < 1/𝑘 + 𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥∞ ).


Quindi, passando al limite su 𝑛 → ∞, concludiamo che

𝑑 (𝑥, 𝑥¯) ≤ 1/𝑘 ∀ 𝑥 ∈ 𝑋𝑘 .


Sia 𝐴𝜆0 un aperto del ricoprimento A contenente 𝑥∞ e sia 𝑟 > 0 tale che 𝐵(𝑥∞ , 𝑟) ⊆ 𝐴𝜆0 . Se 𝑘 > 1/𝑟 ,
allora𝑑 (𝑥, 𝑥 ∞ ) < 𝑟 per ogni 𝑥 ∈ 𝑋 𝑘 , cioè 𝑋 𝑘 ⊆ 𝐵(𝑥∞ , 𝑟) ⊆ 𝐴𝜆0 , e questo è assurdo perché abbiamo
assunto che 𝑥𝑘 non possa essere ricoperto da un numero nito di aperti in A.

[iii. =⇒ i.] È il Corollario 6.7.

Intersezione di compatti
La proposizione che segue chiarisce il ruolo della compattezza nell'enunciato degli intervalli incapsulati,

mostrando come una successione di compatti non vuoti e incapsulati abbia sempre intersezione non

vuota.

6.9. Proposizione. ÑSia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano {𝐾𝜆 }𝜆∈Λ una famiglia di sottoinsiemi com-

patti di 𝑋 tali che 𝜆∈Λ 𝐾𝜆 = ∅. Allora, esiste un sottoinsieme nito {𝐾𝜆0 , ..., 𝐾𝜆 𝑁 }, 𝑁 ∈ ℕ, tale

che

𝐾𝜆0 ∩ ... ∩ 𝐾𝜆 𝑁 = ∅.

Dimostrazione. Si considerino gli insiemi complementari 𝐴𝜆 = 𝐾𝜆𝑐 : dato che i compatti sono chiusi

??),
Ñ
(si veda la Proposizione gli insiemi 𝐴𝜆 sono aperti; inoltre, da 𝜆∈Λ 𝐾𝜆 = ∅ segue che
!𝑐
Ø Ø Ù
𝐴𝜆 = 𝐾𝜆𝑐 = 𝐾𝜆 = (∅) 𝑐 = 𝑋.
𝜆∈Λ 𝜆∈Λ 𝜆∈Λ
OSSERVAZIONI FINALI 39

In particolare, ssiamo un compatto arbitrario 𝐾𝜆0 nella nostra famiglia: allora { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ è un ricopri-
mento di tutto 𝑋 e in particolare di 𝐾𝜆0 ; per denizione di compattezza esiste una sottoinsieme nito
{ 𝐴𝜆1 , ..., 𝐴𝜆 𝑁 } con 𝑁∈ℕ tali che

𝑁 𝑁 𝑁
!𝑐
Ø Ø Ù
𝐾 𝜆0 ⊂ 𝐴 𝜆𝑖 = 𝐾𝜆𝑐𝑖 = 𝐾 𝜆𝑖 ,
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1
Ñ𝑁
ossia 𝐾𝜆0 è contenuto nel complementare dell'intersezione 𝑖=1 𝐾 𝜆𝑖 , da cui

𝑁
Ù
𝐾 𝜆0 ∩ 𝐾𝜆𝑖 = ∅.
𝑖=1

Corollario. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano𝐾0 ⊃ 𝐾1 ⊃ 𝐾2 ⊃ ... una successione di sottoinsiemi
Ñ
compatti non vuoti e incapsulati. Allora 𝐾𝑖 ≠ ∅ . 𝑖 ∈ℕ

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che 𝑖 ∈ℕ 𝐾𝑖 = ∅. Allora, per la Proposizione 6.9 esistono
Ñ
𝑁 compatti {𝐾𝑖0 , ..., 𝐾𝑖 𝑁 }, con 𝑖 0 > 𝑖1 > ... > 𝑖 𝑁 , tali che
𝐾𝑖0 ∩ ... ∩ 𝐾𝑖 𝑁 = 𝐾𝑖 𝑁 = ∅,
dove abbiamo utilizzato che 𝐾𝑖0 ⊃ 𝐾𝑖1 ⊃ ... ⊃ 𝐾𝑖 𝑁 . Questo contraddice l'ipotesi che tutti i compatti

non siano vuoti e dimostra che l'intersezione di compatti incapsulati è non vuota.

Osservazioni nali
In questa sezione rivediamo alcuni dei risultati già incontrati nei capitoli precedenti alla luce del

concetto di compattezza.

6.10. Compatti di ℝ𝑛 . (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) . Un insieme 𝐾 ⊂ ℝ𝑛 è compatto se e solo se è chiuso


Consideriamo

e limitato. Infatti, dato che (ℝ , 𝑑 2 ) è uno spazio metrico completo, un insieme è chiuso se e solo se
𝑛

è completo (v. Proposizione 6.4) e limitato se e solo se è totalmente limitato.

6.11. Principio degli intervalli incapsulati. Ne deriva che il principio degli intervalli incapsulati è

una conseguenza della Proposizione 6.9 sull'intersezione di insiemi compatti e della caratterizzazione

degli insiemi compatti in ℝ in Ÿ 6.10.

6.12. Teorema di HeineBorel. Una successione limitata in ℝ ammette una sottosuccessione con-

vergente.

Dimostrazione. Sia (𝑥 𝑘 ) ⊂ ℝ una successione limitata, ossia esiste 𝑀 > 0 tale che 𝑥 𝑘 ∈ [−𝑀, 𝑀]
per ogni 𝑘 ∈ ℕ. Dato che [−𝑀, 𝑀] è compatto in ℝ, per il Teorema 6.8, é compatto per successioni,
per cui possiamo estrarre da (𝑥 𝑘 ) una sottosuccessione convergente.

6.13. Teorema [Weierstrass]. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico, 𝐾⊂𝑋 un compatto e 𝑓 : 𝐾 → ℝ una
funzione continua. Allora 𝑓 ha un massimo e un minimo in 𝐾, ossia esistono 𝑧0 , 𝑧1 ∈ 𝐾 tali che
𝑓 (𝑧0 ) ≤ 𝑓 (𝑥) ≤ 𝑓 (𝑧1 ) ∀ 𝑥 ∈ 𝐾.

Dimostrazione. La dimostrazione procede seguendo il metodo diretto del calcolo delle variazioni:
1) si considera una successione minimizzante (che esiste per denizione di estremo inferiore):

(𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝐾 tale che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) → inf 𝑓 (𝑥);


𝑥 ∈𝐾
2) per la compattezza di 𝐾 , esiste una sottosuccessione convergente: 𝑥 𝑘 (𝑖) → 𝑧0 ∈ 𝐾 ;
3) usando la continutità di 𝑓 , si conclude
𝑓 (𝑧0 ) = lim 𝑓 (𝑥 𝑘 (𝑖) ) = inf 𝑓 (𝑥),
𝑖→∞ 𝑥 ∈𝐾
40 6. COMPATTEZZA

da cui si deduce che 𝑧0 è un punto di minimo di 𝑓. Per l'esistenza del massimo si ragiona in maniera

analoga.

Complementi ed esercizi

Esempio 6.1. Mostrare che se 𝐾 ⊆ (ℝ𝑛 , 𝑑 𝐷 ) è compatto allora lo è anche in (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) .


Esercizio 6.1.Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo, si mostri che (𝑌 , 𝑑|𝑌 ) è uno spazio metrico
completo per ogni 𝑌 ⊆ 𝑋 chiuso. Si provi anche che se 𝑌 non è chiuso l'aermazione precedente è
falsa.
Si provi che, nello spazio metrico (ℝ, 𝑑 𝐷 ) , un insieme 𝐾 è compatto se e soltanto se è
Esercizio 6.2.

composto da un numero nito di punti 𝐾 = {𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑁 }.


Si consideri lo spazio metrico ℓ2 , 𝑑2 e sia 𝐵¯1 (𝑂) = 𝑎 ∈ ℓ2 : 𝑑2 (𝑎, 𝑂) ≤ 1 la palla
 
Esercizio 6.3.

chiusa di centro l'origine 𝑂 = (0, 0, 0, ...) ∈ ℓ2 e raggio uno. Si mostri che 𝐵¯1 (𝑂) è limitato e chiuso
ma non compatto.
Esercizio 6.4. Si considerino gli spazi metrici (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) . Si provi che 𝐾 ⊆ ℝ𝑛 è compatto
in (ℝ𝑛 , 𝑑 2 ) se e solo se è compatto in (ℝ , 𝑑 ∞ ) .
𝑛
CAPITOLO 7

Spazi normati

Gli esempi considerati no ad ora (ossia, ℝ𝑛 , lo spazio di successioni ℓ 2 , e gli spazi di funzioni continue
e limitate 𝐶𝑏 (𝐼) ) hanno la struttura di spazi vettoriali: i loro punti sono vettori che possono essere

sommati tra di loro e moltiplicati per uno scalare. Questa è una classe importante di spazi metrici,

per i quali la metrica è indotta da una funzione, detta norma, che ha l'analogo ruolo della lunghezza
o del modulo di un vettore.

Spazi di Banach
7.1. Denizione. Uno spazio normato è una coppia (𝑋, k · k 𝑋 ) , con 𝑋 uno spazio vettoriale reale e
k · k 𝑋 : 𝑋 −→ ℝ una funzione, detta norma, che soddisfa le seguenti proprietà:

i. ( positività) k𝑥k 𝑋 ≥ 0 per ogni 𝑥 ∈ 𝑋 e k𝑥k 𝑋 = 0 se e solo se 𝑥 = 0,


ii. (omogeneità) k𝜆𝑥k 𝑋 = |𝜆|k𝑥k 𝑋 per ogni 𝑥 ∈ 𝑋 e 𝜆 ∈ ℝ,

iii. (disuguaglianza triangolare) k𝑥 − 𝑦k 𝑋 ≤ k𝑥 − 𝑧k 𝑋 + k𝑧 − 𝑦k 𝑋 per ogni 𝑥, 𝑦, 𝑧 ∈ 𝑋 .

7.2. Matrica indotta da una norma. È immediato vericare che uno spazio normato è anche uno

spazio metrico con la seguente funzione distanza:

𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑦) = k𝑥 − 𝑦k 𝑋 .

Infatti, tale applicazione è non negativa e nulla solo se 𝑥 = 𝑦 per i.; inoltre la simmetria segue

dall'omogeneità della funzione norma,

𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑦) = k𝑥 − 𝑦k 𝑋 = k − (𝑦 − 𝑥) k 𝑋 = | − 1|k𝑦 − 𝑥k 𝑋 = k𝑦 − 𝑥k 𝑋 = 𝑑 𝑋 (𝑦, 𝑥).

E la disuguaglianza triangolare discende dalla proprietà iii.:

𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑦) = k𝑥 − 𝑦k 𝑋 = k𝑥 − 𝑧 + 𝑧 − 𝑦k 𝑋 ≤ k𝑥 − 𝑧k 𝑋 + k𝑧 − 𝑦k 𝑋 = 𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑧) + 𝑑 𝑋 (𝑧, 𝑦).

7.3. Continuità della norma. È anche utile osservare che valgono le seguenti disuguaglianze

k𝑥k 𝑋 = k𝑥 − 𝑦 + 𝑦k 𝑋 ≤ k𝑥 − 𝑦k 𝑋 + k𝑦k 𝑋 e k𝑦k 𝑋 = k𝑦 − 𝑥 + 𝑥k 𝑋 ≤ k𝑦 − 𝑥k 𝑋 + k𝑥k 𝑋

da cui possiamo dedurre che


k𝑥k 𝑋 − k𝑦k 𝑋

In altri termini, la funzione norma è continua per la metrica 𝑑𝑋 e, più precisamente, è lipschitziana

di costante 1. In uno spazio normato faremo sempre riferimento alla distanza indotta dalla norma, a

meno che non sia specicato diversamente.

41
42 7. SPAZI NORMATI

7.4. Esempi. Alcuni degli esempi di spazi metrici studiati sono spazi normati.

1) ℝ𝑛 con le norme |𝑐𝑑𝑜𝑡| 2 , |𝑐𝑑𝑜𝑡| 1 e |𝑐𝑑𝑜𝑡| ∞ :


√︃
|𝑥| 2 = 𝑥12 + · · · + 𝑥 𝑛2 , |𝑥| 1 = |𝑥1 | + · · · + |𝑥 𝑛 |, |𝑥| ∞ = max{𝑥1 , ..., 𝑥 𝑛 }.

2) (ℓ 2 , k · k 2 ) con la norma

v

t
∑︁
k𝑎k 2 = |𝑎(𝑘)| 2
𝑘=0

3) (𝐶𝑏 (𝐼), k · k ∞ ) con la norma

k 𝑓 k ∞ = sup | 𝑓 (𝑥)|.
𝑥 ∈𝐼

7.5. Denizione. Gli spazi normati completi (per la metrica indotta) si chiamano anche spazi di
Banach.

7.6. Dato uno spazio vettoriale 𝑋 e due norme k · k 𝑎 k · k 𝑏 su di esso, diremo che le due norme sono
equivalenti se esistono due reali positivi 0 < 𝑐 ∗ < 𝑐∗ tali che

𝑐 ∗ k𝑢k 𝑎 ≤ k𝑢k 𝑏 ≤ 𝑐∗ k𝑢k 𝑎 per ogni 𝑢 ∈ 𝑋.

Se si interpreta il concetto di norma come una sorta di funzione lunghezza associata ad ogni vettore

dello spazio 𝑋 , il fatto che le due norme siano equivalenti signica che le due misurazioni danno sempre
risultati confrontabili, in particolare il fatto più importante è che successioni d Cauchy rispetto alla

distanza indotta da una norma sono successioni di Cauchy anche rispetto la distanza indotta dall'altra

norma. Quindi (𝑋, k · k 𝑎 ) è completo se e soltanto se è completo (𝑋, k · k 𝑏 ) (v. Esercizio ??).
Questo principio è stato utilizzato nella dimostrazione della completezza di (ℝ , 𝑑 1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) :
𝑛

infatti, entrambe le metriche sono indotte da una norma (v. Esercizio ??) e sono equivalenti alla

norma euclidea.

Questa conclusione non è fortuita ma deriva dal fatto che tutte le norme in uno spazio nito dimen-

sionale sono equivalenti. Per provare ciò, iniziamo con alcune osservazioni generali sulle norme in spazi

nito dimensionali.

7.7. Norme in ℝ𝑛 . Sia k·k una generica norma in ℝ𝑛 e si consideri la metrica euclidea 𝑑2 in ℝ𝑛
(ossia la metrica indotta dalla norma | · | 2 ) . Allora si osserva quanto segue.
1) Sia {𝑒 1 , ..., 𝑒 𝑛 } la base ordinaria di ℝ𝑛 ; per ogni 𝑥 = (𝑥 1 , ..., 𝑥 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 si ha che

k𝑥k = k𝑥1 𝑒 1 + ·𝑥 𝑛 𝑒 𝑛 k ≤ |𝑥1 |k𝑒 1 k + ... + |𝑥 𝑛 |k𝑒 𝑛 k


√︃ √︁
≤ 𝑥 12 + · · · + 𝑥 𝑛2 k𝑒 1 k 2 + ... + k𝑒 𝑛 k 2 = 𝐶 ∗ |𝑥| 2 ,
√︁
dove 𝐶∗ = k𝑒 1 k 2 + · · · + k𝑒 𝑛 k 2 , e dove si è usata la proprietà triangolare delle norme nella prima

disuguaglianza e CauchySchwartz nella seconda.

2) Ne segue che tutte le norme in ℝ𝑛 sono funzioni continue per la topologia indotta dalla metrica

euclidea: infatti, da Ÿ 7.3 si evince che

|k𝑥k − k𝑦k| ≤ k𝑥 − 𝑦k ≤ 𝐶 ∗ |𝑥 − 𝑦| 2 ,

da cui la continuità segue.


SPAZI DI HILBERT 43

7.8. Teorema [Equivalenza delle norme in spazi nito dimensionali]. Tutte le norme in uno spazio

nito dimensionale sono equivalenti: in formule, se k · k𝑎 e k · k𝑏 sono due norme in ℝ𝑛 , allora esistono
costanti 0 < 𝑐∗ < 𝑐∗ tali che
𝑐 ∗ k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 𝑏 ≤ 𝑐∗ k𝑥k 𝑎 per ogni 𝑥 ∈ ℝ𝑛 .

Dimostrazione. È suciente dimostrare che tutte le norme sono equivalenti ad una norma data, per

esempio alla norma euclidea | · | 2 , perché quella tra norme è una relazione di equivalenza. Infatti, se

esistono costanti 0 < 𝑐(𝑎)∗ < 𝑐(𝑎) ∗ e 0 < 𝑐(𝑏)∗ < 𝑐(𝑏) ∗ tali che
𝑐(𝑎)∗ k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 2 ≤ 𝑐(𝑎) ∗ k𝑥k 𝑎 , 𝑐(𝑏)∗ k𝑥k 𝑏 ≤ k𝑥k 2 ≤ 𝑐(𝑏) ∗ k𝑥k 𝑏 ∀ 𝑥 ∈ ℝ𝑛 ,
allora si deduce che le due norme k · k𝑎 e k · k𝑏 sono equivalenti, perché

𝑐(𝑎)∗ 𝑐(𝑎) ∗
k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 𝑏 ≤ k𝑥k 𝑏 per ogni 𝑥 ∈ ℝ𝑛 .
𝑐(𝑏) ∗ 𝑐(𝑏)∗
Basta quindi dimostrare l'equivalenza di una norma generica k·k con | · |2. A questo proposito,

ricordiamo due fatti importanti:

1) la sfera di raggio 1, 𝜕𝐵1 = {𝑥 ∈ ℝ𝑛 : k𝑥k 2 = 1}, è un sottoinsieme compatto di (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) (perché

chiuso e limitato);

2) la norma k·k è una funzione continua in (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) (v. Ÿ 7.7 2)).

Allora, per il Teorema di Weierstrass Ÿ ?? la funzione k·k assume massimo e minimo in 𝜕𝐵1 : vale a

dire, esistono costanti 0 < 𝑐 ∗ ≤ 𝐶 ∗ < +∞ tali che

𝑐 ∗ ≤ k𝑧k ≤ 𝐶 ∗ ∀ 𝑧 ∈ 𝜕𝐵1 .
Preso quindi un generico punto 𝑥 ≠ 0, si ha che 𝑥/|𝑥| 2 ∈ 𝜕𝐵1 e applicando la disuguagianza appena

mostrata a 𝑧 = 𝑥/|𝑥| 2 deduciamo che

k𝑥k
𝑐 ∗ ≤ k𝑧k = ≤ 𝐶∗,
|𝑥| 2
da cui l'equivalenza delle norme segue.

7.9. Convessità della norma. La proprietà triangolare delle Denizione 7.1 implica che una norma

è una funzione convessa: infatti,

k𝜆𝑥 + (1 − 𝜆)𝑦k ≤ k𝜆𝑥k + k (1 − 𝜆)𝑦k = 𝜆k𝑥k + (1 − 𝜆) k𝑦k ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝑋, ∀ 𝜆 ∈ [0, 1].


È un fatto generale che le funzioni convesse in ℝ𝑛 sono continue (e più precisamente localmente

lipschitziane).

Spazi di Hilbert
Ricordiamo che un prodotto scalare su uno spazio vettoriale 𝐻 è una funzione (·|·) 𝐻 : 𝐻 × 𝐻 → ℝ
bilineare, simmetrica e denita positiva: che gode delle seguenti proprietà

(simmetria) (𝑥|𝑦) = (𝑦|𝑥) per ogni 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐻 ;


(bilinearità) (𝜆𝑥 + 𝑦|𝑧) = 𝜆(𝑥|𝑧) + (𝑦|𝑧) per ogni 𝑥, 𝑦, 𝑧 ∈ ℝ e 𝜆 ∈ ℝ;

(positività) (𝑥|𝑥) ≥ 0 per ogni 𝑥 ∈ 𝐻 e (𝑥|𝑥) = 0 se e solo se 𝑥 = 0.

Associata ad un prodotto scalare vi è una funzione (che vedremo, presto, essere una norma) denita

da
√︁
k · k 𝐻 : 𝐻 → [0, +∞) k𝑥k 𝐻 = (𝑥|𝑥) 𝐻 , 𝑥 ∈ 𝐻.
Il fatto che k · k𝐻 sia una norma è una conseguenza del teorema seguente (punto ii.). Si noti intanto

che per la positività del prodotto scalare si ha k𝑥k 𝐻 = 0 se e solo se 𝑥 = 0.


44 7. SPAZI NORMATI

7.10. Teorema. Sia 𝐻 uno spazio munito di prodotto scalare (·|·) 𝐻 . Allora valgono i seguenti fatti:

i. disuguaglianza di Cauchy-Schwartz

|(𝑢|𝑤) 𝐻 | ≤ k𝑢k 𝐻 k𝑤k 𝐻 ∀ 𝑢, 𝑤 ∈ 𝐻,

ii. disuguaglianza triangolare


k𝑢 + 𝑤k 𝐻 ≤ k𝑢k 𝐻 + k𝑤k 𝐻 ∀ 𝑢, 𝑤 ∈ 𝐻,

iii. identità del parallelogrammo


k𝑢 + 𝑤k 2𝐻 + k𝑢 − 𝑤k 2𝐻 = 2 k𝑢k 2𝐻 + k𝑤k 2𝐻

∀ 𝑢, 𝑤 ∈ 𝐻.

 
Dimostrazione. i. Calcoliamo esplicitamente il quadrato della norma del vettore 𝑢 − 𝑢| k 𝑤
𝑤k
𝑤
k𝑤 k :

  " #2
𝑤 𝑤 2 (𝑢|𝑤) (𝑢|𝑤)
k𝑤k 2𝐻
𝐻 𝐻
0 ≤ 𝑢 − 𝑢 = k𝑢k − 2 (𝑢|𝑤) 𝐻 +

k𝑤k k𝑤k 𝐻
k𝑤k 2𝐻 k𝑤k 2𝐻
k𝑤k 2𝐻 k𝑢k 2𝐻 − (𝑢|𝑤) 2𝐻
= ,
k𝑤k 2𝐻
e la positività del numeratore implica la disuguagianza di Cauchy-Schwartz.

ii. Usiamo la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz dimostrata in i. per ottenere che

k𝑢 + 𝑣k 2𝐻 = (𝑢 + 𝑣|𝑢 + 𝑣) 𝐻 = (𝑢|𝑢) 𝐻 + 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + (𝑣|𝑣) 𝐻 = k𝑢k 2𝐻 + 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + k𝑣k 2𝐻


≤ k𝑢k 2𝐻 + 2k𝑢k 𝐻 k𝑤k 𝐻 + k𝑣k 2𝐻 = (k𝑢k 𝐻 + k𝑤k 𝐻 ) 2 .

iii. Per verica diretta, scrivendo per esteso il primo menbro dell'identità, si ha che

k𝑢 + 𝑣k 2𝐻 + k𝑢 − 𝑣k 2𝐻 = (𝑢 + 𝑣|𝑢 + 𝑣) 𝐻 + (𝑢 − 𝑣|𝑢 − 𝑣) 𝐻
= (𝑢|𝑢) 𝐻 + 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + (𝑣|𝑣) 𝐻 + (𝑢|𝑢) 𝐻 − 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + (𝑣|𝑣) 𝐻
= 2(𝑢|𝑢) 𝐻 + 2(𝑣|𝑣) 𝐻 = 2 k𝑢k 2𝐻 + k𝑣k 2𝐻 .


7.11. Denizione. Uno spazio munito di prodotto scalare (𝐻, (·|·) 𝐻 ) completo per la metrica indotta
spazio di Hilbert.
si chiama

7.12. Esempi. 1) Lo spazio euclideo ℝ𝑛 con l'usuale prodotto scalare

𝑛
∑︁
𝑥·𝑦= 𝑥𝑘 𝑦𝑘
𝑘=1

è uno spazio di Hilbert.

2) Lo spazio vettoriale ℓ2 con il prodotto scalare


∑︁
(𝑎|𝑏)ℓ 2 = 𝑎(𝑘)𝑏(𝑘)
𝑘=0

è uno spazio di Hilbert.

Ci sono spazi di Banach che non sono spazi di Hilbert e noi ne abbiamo già incontrato qualcuno.
SPAZI DI HILBERT 45

7.13. Proposition. (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) non sono spazi di Hilbert.

Dimostrazione. Dimostriamo che non vale la proprietà del parallelogramma: considerati i vettori

(1, 0, 0, ..., 0) e (0, 1, 0, ..., 0) , abbiamo

𝑣k 21 𝑣k 21 = 22 + 22 = 8 ≠ 4 = 2(1 + 1) = 2 k𝑢k 21 + k𝑣k 21 ,



k𝑢 + + k𝑢 −

k𝑢 + 𝑣k 2∞ + k𝑢 − 𝑣k 2∞ = 12 + 12 = 2 ≠ 4 = 2(1 + 1) = 2 k𝑢k 21 + k𝑣k 21 .




Complementi ed esercizi

Esercizio 7.1.Si provi che non esiste alcuna funzione norma su ℝ2 la cui distanza indotta genera lo
spazio metrico (ℝ2 , 𝑑 𝐷 ) .
Si provi che gli spazi (ℝ2 , 𝑑1 ) e (ℝ2 , 𝑑∞ ) sono degli spazi di Banach costruendo una
Esercizio 7.2.

norma opportuna.
Esercizio 7.3. Si provi che lo spazio (ℓ1 , 𝑑1 ) è uno spazio di Banach se dotato della norma

∑︁
k𝑎k ℓ1 = |𝑎(𝑘)|.
𝑘=0

Esercizio 7.4. Dato uno spazio di Hilbert (𝐻, (·|·) 𝐻 ) e 𝑤 ∈ 𝐻 , si provi che la funzione 𝑓 𝑤 : 𝐻 → ℝ

denita da 𝑓 𝑤 (𝑢) = (𝑢|𝑤) 𝐻 per ogni 𝑢 ∈ 𝐻 è continua.


Esercizio 7.5. Si mostri che (𝐶 ( [𝑎, 𝑏]), k · k ∞ ) non è uno spazio di Hilbert.
Nello spazio di Banach ℓ2 , k · k 2 si consderi l'applicazione 𝑇 : ℓ2 −→ ℓ2 denita come

Esercizio 7.6.

segue

𝑏(0) = 1
𝑇 (𝑎) = 𝑏 tale che 𝑏 = per ogni 𝑗 ≥ 1.
𝑏( 𝑗) = 2− 𝑗 𝑎( 𝑗)
i. Si spieghi perché l'operatore è ben denito.
ii. si mostri che 𝑇 è una contrazione.
iii. si calcoli il suo punto sso.
Esercizio 7.7. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono norme in ℝ3 :
√︃  √︃
2 2
𝑁1 (𝑥) = 𝑁1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) = max 𝑥 1 + 𝑥2 , |𝑥3 | 𝑁2 (𝑥) = 𝑥12 + 𝑥22 + |𝑥3 |
√︁ √︁ 2 max{|𝑥1 |, |𝑥2 |, |𝑥3 |}
𝑁3 (𝑥) = |𝑥1 | + |𝑥2 | + |𝑥 3 | 𝑁4 (𝑥) = .
1 + max{|𝑥1 |, |𝑥2 |, |𝑥3 |}
Disegnare gli insiemi {𝑁1 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ≤ 1} e {𝑁2 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ≤ 1}.
Parte 2

Successioni e serie di funzioni


CAPITOLO 8

Successioni di funzioni continue

In questo capitolo approfondiamo lo studio della convergenza delle successioni di funzioni. Abbiamo

già incontrato la nozione di convergenza uniforme per funzioni continue; qui mostriamo come questa

nozione di convergenza sia necessaria per garantire buone proprietà della funzione limite.

Convergenza puntuale
Di seguito, se non diversamente specicato, indichiamo con 𝐼 ⊆ ℝ un intervallo dell'asse reale e

consideriamo funzioni denite su 𝐼 a valori reali.

8.1. Denizione [convergenza puntuale]. Una successione 𝑓 𝑘 : 𝐼 → ℝ converge puntualmente


se, per ogni 𝑥¯ ∈ 𝐼 , la successione reale 𝑓 𝑘 (¯
𝑥) converge per 𝑘 −→ ∞. Rimane quindi denita la funzione
limite 𝑓∞ : 𝐼 → ℝ dalla relazione

𝑓∞ (𝑥) = lim 𝑓 𝑘 (𝑥) per ogni 𝑥 ∈ 𝐼.


𝑘→∞

Iniziamo col notare tramite opportuni esempi che la convergenza puntuale non preserva le proprietà

di continuità, integrabilità e derivabilità al limite.

8.2. Se la successione { 𝑓 𝑘 } ⊆ 𝐶 (𝐼) converge puntualmente a 𝑓∞ in 𝐼 non è detto che 𝑓∞ ∈ 𝐶 (𝐼) .


Per esempio, sia 𝐼 = [−1, 1] e studiamo la successione composta dalle funzioni



 0 𝑥 ∈ [−1, −1/𝑘]
𝑓 𝑘 (𝑥) = 1 + 𝑘𝑥 𝑥 ∈ [−1/𝑘, 0] 𝑘 ∈ ℕ \ {0},
1 𝑥 ∈ [0, 1]



il cui graco è ragurato nel disegno che segue

49
50 8. SUCCESSIONI DI FUNZIONI CONTINUE

Il limite puntuale della successione è la funzione



0 𝑥 ∈ [−1, 0)
𝑓∞ (𝑥) =
1 𝑥 ∈ [0, 1]
che presenta una discontinuità di salto nell'origine, per cui non appartiene allo spazio 𝐶 ( [−1, 1]) . Una

conseguenza importante di questo fatto è che in generale non è lecito scambiare l'ordine dei limiti:

1 = lim lim− 𝑓 𝑘 (𝑥) ≠ lim− lim 𝑓 𝑘 (𝑥) = 0.


𝑘→∞ 𝑥→0 𝑥→0 𝑘→∞

8.3. Analogamente, la convergenza puntuale di funzioni continue non commuta con le operazioni di
2
integrazione e derivazione. Per esempio, nell'intervallo [0, 1] la successione 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑘𝑥𝑒 −𝑘 𝑥 converge

alla funzione 𝑓∞ (𝑥) ≡ 0, ma vale che


∫ 1
1 − 𝑒 −𝑘 1

lim 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 = lim = ≠0= 𝑓∞ (𝑥)𝑑𝑥.
𝑘−→∞ 𝑘−→∞ 2 2 0
√︁
Viceversa, la successione 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 2 + 1/𝑘 è derivabile in tutto ℝ ma 𝑓 𝑘 (𝑥) converge puntualmente
alla funzione 𝑓∞ (𝑥) = |𝑥| che, come è ben noto, non è derivabile in 0. Oppure, 𝑓 𝑘 (𝑥) = sin(𝑘𝑥)/𝑘
0
converge puntualmente alla funzione 𝑓 ∞(𝑥) ≡ 0, ma 𝑓 (𝑥) = cos(𝑘𝑥) non converge puntualmente a
𝑘
0
𝑓∞ (𝑥) ≡ 0!

Convergenza uniforme
La nozione appropriata per garantire la continuità del limite, così come la sua integrabilità e derivabilità,

è la nozione di convergenza uniforme.

8.4. Denizione. Una successione ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 (𝐼) converge uniformemente alla funzione 𝑓∞ se per

ogni 𝜀>0 esiste 𝐾0 = 𝐾0 (𝜀) ∈ ℕ tale che

| 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾0 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.

È evidente che la convergenza uniforme implica quella puntuale ma non vale il viceversa.

Una conseguenza immediata della denizione è la seguente proposizione.

8.5. Proposizione. Una successione 𝑓 𝑘 : 𝐼 → ℝ converge uniformemente a 𝑓∞ se e solo se è

uniformemente di Cauchy:
∀𝜀>0 ∃𝐾∈ℕ tale che | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀𝑘≥𝐾 ∀𝑗 ∈ ℕ ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.

Dimostrazione. Se 𝑓 𝑘 → 𝑓∞ uniformemente, allora per ogni 𝑘 ≥ 𝐾0 (con 𝐾0 come nella Denizione

) e per ogni 𝑗 ∈ℕ si ha che

| 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| + | 𝑓∞ (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ 2 𝜀 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼,

da cui segue che la successione è uniformemente di Cauchy.

Viceversa, se la successione è uniformemente di Cauchy, allora per ogni 𝑥 ∈ 𝐼 la successione numerica


{ 𝑓 𝑘 (𝑥)} è di Cauchy. Per la completezza di ℝ, esiste quindi il limite 𝑓∞ (𝑥) = lim 𝑘 𝑓 𝑘 (𝑥) e vale

| 𝑓∞ (𝑥) − 𝑓 𝑘 (𝑥)| = lim | 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥) − 𝑓 𝑘 (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀𝑘≥𝐾 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼,


𝑗 ∈ℕ

il che mostra la convergenza uniforme di 𝑓𝑘 a 𝑓∞ .


TEOREMI DI PASSAGGIO AL LIMITE 51

8.6. La nozione di convergenza uniforme è introdotta per funzioni continue che non siano necessa-

riamente limitate (come può accadere in intervalli 𝐼 non compatti).

Tuttavia, nel caso in cui le funzioni fossero limitate, la convergenza uniforme non è nient'altro che la

convergenza indotta dalla norma uniforme su 𝐶𝑏 (𝐼) : 𝑓 𝑘 → 𝑓∞ uniformemente se e solo se

𝑑∞ ( 𝑓 𝑘 , 𝑓∞ ) = k 𝑓 𝑘 − 𝑓∞ k ∞ = sup | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| → 0.


𝑥 ∈𝐼

Teoremi di passaggio al limite


La convergenza uniforme garantisce la continuità del limite e la possibilità di scambiare l'ordine delle

operazioni di limite, per esempio per il calcolo degli integrali e delle derivate.

8.7. Teorema [scambio dell'ordine dei limiti]. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo e ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 (𝐼) uniformemente
convergente alla funzione 𝑓∞ . Allora 𝑓∞ è continua e per ogni successione 𝑥𝑙 → 𝑥∞ ∈ 𝐼 vale
lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ) = lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ).
𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞

Dimostrazione. Consideriamo un arbitrario intervallo compatto [𝑎, 𝑏] ⊂ 𝐼 . La successione 𝑓 𝑘 | [𝑎,𝑏]


è uniformemente di Cauchy: ossia, 𝑓 𝑘 | [𝑎,𝑏] è di Cauchy nello spazio metrico (𝐶 [𝑎, 𝑏], 𝑑∞ ) . Segue
quindi dal Teorema 3.8 che il limite 𝑓∞ | [𝑎,𝑏] è continuo. Data l'arbitrarietà dell'intervallo [𝑎, 𝑏] ⊂ 𝐼 ,

si conclude che 𝑓∞ è continua in 𝐼.


Inne, notiamo che dalla continuità delle funzioni 𝑓𝑘 e 𝑓∞ si ha che

lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ) = lim 𝑓∞ (𝑥𝑙 ) = 𝑓∞ (𝑥∞ ) = lim 𝑓 𝑘 (𝑥∞ ) = lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ).
𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞

8.8. Teorema [passaggio al limite sotto il segno di integrale]. Sia ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) uniformemente
convergente. Allora vale
∫ 𝑏 ∫ 𝑏  
lim 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 = lim 𝑓 𝑘 (𝑥) 𝑑𝑥.
𝑘−→∞ 𝑎 𝑎 𝑘−→∞

Dimostrazione. Sia 𝑓∞ il limite di 𝑓 𝑘 : per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝐾0 = 𝐾0 (𝜀) ∈ ℕ tale che, per ogni 𝑘 ≥ 𝐾0
k 𝑓 𝑘 − 𝑓∞ k ∞ = max | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ 𝜀.
𝑥 ∈ [𝑎,𝑏]

Ne segue che, per ogni 𝑘 > 𝐾0 ,


∫ 𝑏 ∫ 𝑏 ∫ 𝑏


𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 − 𝑓∞ (𝑥)𝑑𝑥 ≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 − 𝑓∞ (𝑥)|𝑑𝑥 ≤ k 𝑓 𝑘 − 𝑓 k ∞ (𝑏 − 𝑎) ≤ 𝜀(𝑏 − 𝑎).
𝑎 𝑎 𝑎
L'arbitrarietà di 𝜀 garantisce la validità della tesi.

8.9. Teorema [limite di funzioni derivabili]. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo aperto e ( 𝑓 𝑘 ) ∈ 𝐶 1 (𝐼) una

successione di funzioni derivabili con derivata continua. Supponiamo che:

1) esiste 𝑥0 ∈ 𝐼 tale che 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) → 𝐿 ∈ ℝ sia convergente,


2) 𝑓 𝑘0 converge uniformemente in 𝐼.
Allora, la successione ( 𝑓 𝑘 ) converge uniformemente in ogni intervallo compatto contenuto in 𝐼 e
 0
lim 𝑓 𝑘 (𝑥) = lim 𝑓 𝑘0 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.
𝑘→∞ 𝑘→∞

Dimostrazione. Per il teorema fondamentale del calcolo integrale, per ogni 𝑥 ∈ 𝐼, vale che
∫ 𝑥
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) + 𝑓 𝑘0 (𝑠)𝑑𝑠 per ogni 𝑘 ∈ ℕ.
𝑥0
52 8. SUCCESSIONI DI FUNZIONI CONTINUE

Se denotiamo con 𝑔 il limite uniforme di 𝑓 𝑘0 , per il Teorema 8.7 si ha che 𝑔 è continua. Usando adesso

il Teorema 8.8 per il passaggio al limite sotto segno d'integrale abbiamo che
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
lim 𝑓 𝑘 (𝑥) = lim 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) + lim 𝑓 𝑘0 (𝑠)𝑑𝑠 =𝐿+ 𝑔(𝑠)𝑑𝑠.
𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑥0 𝑥0
Quindi la successione { 𝑓𝑘 } converge puntualmente alla funzione limite
∫ 𝑥
𝑓∞ (𝑥) = 𝐿 + 𝑔(𝑠)𝑑𝑠.
𝑥0
Data la continuità di 𝑔 , per il teorema fondamentale del calcolo si ha che 𝑓∞ è derivabile con derivata
continua: 𝑓∞0 (𝑥) = 𝑔(𝑥) . Inoltre, per ogni intervallo compatto [𝑎, 𝑏] ⊂ 𝐼 contenente 𝑥 0 si ha che
∫ 𝑥
0

sup | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥 0 ) − 𝐿| + sup
( 𝑓 𝑘 (𝑠) − 𝑔(𝑠)) 𝑑𝑠
𝑥 ∈ [𝑎,𝑏] 𝑥 ∈ [𝑎,𝑏] 𝑥0
≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) − 𝐿| + sup | 𝑓 𝑘0 (𝑠) − 𝑔(𝑠)| (𝑏 − 𝑎),
𝑠 ∈ [𝑎,𝑏]

da cui segue la convergenza uniforme della successione ( 𝑓 𝑘 ) in [𝑎, 𝑏] . Dato che ogni sottointervallo

compatto di 𝐼 è contenuto in un intervallo compatto [𝑎, 𝑏] tale che 𝑥0 ∈ [𝑎, 𝑏] , si conclude la

dimostrazione.

Complementi ed esercizi

Esercizio 8.1. Si calcoli il limite puntuale in ℝ delle seguenti successioni


2 2 1
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −( 𝑥−𝑘) , 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑘𝑒 −𝑘 𝑥 , 𝑓 𝑘 (𝑥) = .
2𝑘

e lim 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 .
𝑘−→∞ ℝ

Esercizio 8.2. Data la seguente successione di funzioni in (𝐶 0 [−1, 1], k · k ∞ )


 −1 𝑥 ∈ [−1, −1/𝑛],



ℎ 𝑛 (𝑥) = 𝑛𝑥 𝑥 ∈ (−1/𝑛, 1/𝑛),
 +1

𝑥 ∈ [1/𝑛, 1],

si trovi il limite puntuale ℎ(𝑥) e si studi la convergenza uniforme nell'intervallo [−1, 1] della successione.
Esercizio 8.3. Si studi la convergenza puntuale della successione di funzioni
1
𝑓𝑛 (𝑥) = ln(1 + 𝑒 𝑛𝑥 )
𝑛
e si dica se la successione converge uniformemente in ℝ.
Esercizio 8.4. Studiare la convergenza puntuale della successione di funzioni
𝑘𝑥
𝑓 𝑘 (𝑥) =
1 + 𝑘 4𝑥4
e dire se la successione converge uniformemente in [0, +∞) , in [0, 1] e in [1, +∞) .
Esercizio 8.5. Data la successione di funzioni
𝑓 𝑘 (𝑥) = (𝑘 + 1)𝑒 − | 𝑥−𝑘 | 𝑥∈ℝ
se ne studi la convergenza puntuale, e si dica su quali intervalli si ha convergenza uniforme.
TEOREMI DI PASSAGGIO AL LIMITE 53

Esercizio 8.6. Si studi la convergenza puntuale ed uniforme delle seguenti successioni di funzioni
nell'insieme indicato
2
𝑎. 𝑓𝑛 (𝑥) = sin(𝑛𝑥)𝑒 −𝑛 𝑥 𝑥 ∈ [0, +∞)
 𝑛
1
𝑏. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 + 𝑥 ∈ (0, 1)
𝑛
2 3
𝑛 𝑥
𝑐. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [0, +∞)
6 + 𝑛2
𝑒 −𝑥
𝑑. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [−1, 1]
3 + 𝑛2 𝑥 2
arctan (𝑛 − 𝑥) 2 + 1

𝑒. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥∈ℝ
(𝑛 − 𝑥) 2 + 𝑛 − 𝑥 + 1
arctan (𝑛 − 𝑥) 2 + 1

𝑓. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [0, 1]
(𝑛 − 𝑥) 2 + 𝑛 − 𝑥 + 1
𝑥 
𝑔. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑛 sin 𝑥 ∈ [0, 𝜋]
𝑛

Esercizio 8.7. Si studi convergenza puntuale e uniforme in ℝ della seguente successione:


 0 

 se 𝑥 < −1/𝑘
 𝑘3  3
1

se − 1/𝑘 ≤ 𝑥 ≤ 1/𝑘

𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥+
 8 𝑘
se 𝑥 > 1/𝑘.


 1

Esercizio 8.8. Data la successione


cos 𝑘 (𝑥)
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 ∈ [0, 2𝜋],
3 + cos 𝑘 (𝑥)
1) si studi la convergenza puntuale della successione,
2) si determinino gli intervalli di convergenza uniforme.
CAPITOLO 9

Serie di funzioni

Sia { 𝑓𝑘 } una successione di funzioni denite su un intervallo 𝐼 ⊆ ℝ: come per le serie numeriche, la

funzione denita dalla serie



∑︁
(9.1) 𝐼 3 𝑥 ↦→ 𝑓 𝑘 (𝑥)
𝑘=1
Í𝑛
si identica con il limite per 𝑛 che tende a +∞ della successione delle somme parziali 𝑠𝑛 = 𝑘=1 𝑓 𝑘
(dette anche ridotte 𝑛−esime)

∑︁
𝑓 𝑘 (𝑥) = lim 𝑠 𝑛 (𝑥) 𝑥 ∈ 𝐼.
𝑛→∞
𝑘=1

Nozioni di convergenza per serie


Come per le successioni di funzioni, si deniscono dierenti nozioni di convergenze per le serie.

9.1. Denizione. Si dice che la serie di funzioni (9.1) converge


i. puntualmente (o semplicemente converge) se per ogni 𝑥 ∈ 𝐼 la successione {𝑠 𝑛 (𝑥)} converge;

ii. assolutamente se converge puntualmente la serie dei valori assoluti



∑︁
| 𝑓 𝑘 (𝑥)| < +∞ ∀ 𝑥 ∈ 𝐼;
𝑘=1
iii. uniformemente se la successione delle somme parziali {𝑠 𝑛 } converge uniformemente;

∑︁
iv. totalmente se la serie numerica delle norme uniformi k 𝑓 𝑘 k ∞ converge.
𝑘=1

9.2. Condizione necessaria anchè la serie (9.1) converga è che 𝑓𝑛 → 0 puntualmente.

Inoltre, è immediato vericare le seguenti implicazioni (v. Esercizio 9.1):

convergenza assoluta =⇒ convergenza puntuale,


convergenza uniforme =⇒ convergenza puntuale
convergenza totale =⇒ convergenza assoluta.
Non è invece vero che la convergenza uniforme implichi la convergenza assoluta (v. Esercizio 9.3).

Invece si ha che la convergenza totale implica la convergenza uniforme, come dimostrato nella prossima

proposizione.

9.3. Proposizione. La convergenza totale implica la convergenza uniforme.



∑︁
Dimostrazione. Se la serie k 𝑓𝑘 k∞ converge, vale il criterio di Cauchy per le serie numeriche, per
𝑘=1
ogni 𝜀>0 esiste 𝐾0 (𝜀) ∈ ℕ tale che
𝑛+
∑︁𝑝
0≤ k 𝑓𝑘 k∞ < 𝜀 ∀ 𝑛 > 𝐾0 (𝜀)
𝑘=𝑛+1

55
56 9. SERIE DI FUNZIONI

Allora, per la disuguaglianza triangolare vale che


𝑛+ 𝑝 𝑛+
∑︁ ∑︁𝑝
|𝑠 𝑛+ 𝑝 (𝑥) − 𝑠 𝑛 (𝑥)| = 𝑓 𝑘 (𝑥) ≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥)|


𝑘=𝑛+1 𝑘=𝑛+1
𝑛+
∑︁𝑝
≤ k 𝑓𝑘 k∞ < 𝜀 ∀𝑥 ∈ 𝐼 ∀𝑝∈ℕ ∀ 𝑛 > 𝐾0 (𝜀).
𝑘=𝑛+1
In altri termini, k𝑠 𝑛+ 𝑝 −𝑠 𝑛 k ∞ ≤ 𝜀 per ogni 𝑛 > 𝐾0 e per ogni 𝑝 ∈ ℕ, ossia {𝑠 𝑛 } converge uniformemente.

Teoremi di passaggio al limite


Passiamo adesso a enunciare e dimostrare i tre teoremi di passaggio al limite per serie, conseguenza

dei teoremi di passaggio al limite per successioni dimostrati nel capitolo precedente.

9.4. Teorema [continuità della serie]. Se { 𝑓𝑘 } è una successione di funzioni continue in 𝐼 e la serie
(9.1) converge uniformemente in 𝐼, allora la somma della serie è una funzione continua in 𝐼.
Dimostrazione. Segue dal Teorema 8.7 applicato alla successine delle ridotte 𝑠𝑛 .

9.5. Teorema [Integrazione per serie]. Se { 𝑓 𝑛 } è una successione di funzioni continue in [𝑎, 𝑏] e

la serie (9.1) converge uniformemente in [𝑎, 𝑏] , allora


∞ ∫ 𝑏  ∫ 𝑏 "∑︁

#
∑︁  

 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 =
 𝑓 𝑘 (𝑥) 𝑑𝑥.
𝑘=1  𝑎  𝑎 𝑘=1
 
Dimostrazione. Segue dal Teorema 8.8 applicato alla successine delle ridotte e dalla linearità del-

l'integrale.

9.6. Teorema [derivazione per serie]. Sia 𝐼 un intervallo aperto e sia { 𝑓𝑛 } ∈ 𝐶 1 (𝐼) . Supponiamo

che

𝑥0 ∈ 𝐼 tale che la serie ∞


Í
1) esiste 𝑘=0 𝑓 𝑘 (𝑥) converge,

∑︁
2) la serie 𝑓 𝑘0 (𝑥) converge uniformemente in 𝐼 alla funzione 𝑔.
𝑘=0
Allora la serie (9.1) converge uniformemente in ogni intervallo limitato contenuto in 𝐼 e si ha
"

# ∞
𝑑 ∑︁ ∑︁
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑓 𝑘0 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.
𝑑𝑥 𝑘=1 𝑘=1

Dimostrazione. Segue dal Teorema 8.9 applicato alla successine delle ridotte 𝑠𝑛 e dalla linearità

dell'operazione di derivazione.

Complementi ed esercizi

Si mostrino le seguenti implicazioni:


Esercizio 9.1.

1) convergenza assoluta =⇒ convergenza puntuale,


2) convergenza uniforme =⇒ convergenza puntuale
3) convergenza totale =⇒ convergenza assoluta.
TEOREMI DI PASSAGGIO AL LIMITE 57

Esercizio 9.2. Data la serie di funzioni


+∞ 
0 |𝑥| < 𝑘
con 𝜙 𝑘 (𝑥) =
∑︁
𝛼
(𝑘 + 1) 𝜙 𝑘 (𝑥)
1 |𝑥| ≥ 𝑘
𝑘=0
determinare per quali 𝛼 ∈ ℝ la serie converge puntualmente in tutto ℝ, poi per quali valori del
parametro 𝛼 la convergenza in tutto ℝ è uniforme.
Esercizio 9.3. Sia 𝑓 𝑘 (𝑥) la funzione denita in [0, 1] come nel disegno seguente
1 𝑓 𝑘 (𝑥)
𝑘+1

𝑥
1 1 1
𝑘+2 𝑘+1

Dimostrare che la serie converge uniformemente ma non totalmente.


Í
𝑘 𝑓𝑘
Esercizio 9.4. Studiare la convergenza puntuale della serie
+∞  
∑︁ |𝑥|
ln 1 + 𝑘 ,
𝑘=0
4
e dimostrare che la serie converge uniformemente in ogni insieme limitato dell'asse reale.
Esercizio 9.5. Si consideri la serie di funzioni

con 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 𝑘 ln 1 + e 𝑥 ∈ (−1, +∞).
∑︁  𝑥
𝑓 𝑘 (𝑥)
𝑘=1
𝑘
Si determini per quali 𝑥 la serie converge puntualmente. Dire se la convergenza è totale in [0, 1) e, in
caso negativo, determinare un sottoinsieme di [0, 1) nel quale la serie converge totalmente.
Esercizio 9.6. Data la successione di funzioni
𝑥𝑘
𝑓 𝑘 (𝑥) = (−1) 𝑘 𝑥∈ℝ
𝑘 +1
si dica per quali 𝑥 si ha che
1) la successione converge puntualmente,
2) la successione converge uniformemente,
3) la serie Í 𝑓 𝑘 converge puntualmente,
Í
4) la serie Í 𝑓 𝑘 converge uniformemente,
5) la serie 𝑓 𝑘 converge totalmente.
Esercizio 9.7. Provare che la serie

∑︁ 𝑥2 + 𝑘
(−1) 𝑘 𝑥∈ℝ
𝑘=0
𝑘2
converge uniformemente in ogni intervallo limitato, ma non converge assolutamente per alcun valore
di 𝑥 ∈ ℝ.
58 9. SERIE DI FUNZIONI

Esercizio 9.8. Determinare gli insiemi di convergenza puntuale e totale della serie di funzioni

∑︁ 1 𝑥
√ sin .
𝑘=1 𝑘
𝑘

Esercizio 9.9. Assegnata la serie di funzioni



con 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑘 𝛼 𝑒−𝑘 𝑥
∑︁ 2
𝑓 𝑘 (𝑥) 𝑥 ∈ ℝ,
𝑘=1
1) si determini l'insieme di convergenza puntuale al variare del parametro 𝛼 ∈ ℝ,
2) si determini l'insieme di convergenza uniforme al variare del parametro 𝛼.
Esercizio 9.10. Studiare la convergenza puntuale della serie

con
∑︁ 𝑥
𝑓 𝑘 (𝑥) 𝑓 𝑘 (𝑥) = ,
𝑘=1
𝑘 𝛼 (1 + 𝑘𝑥 2 )
al variare di 𝛼 ∈ ℝ. In particolare determinare per quali valori di 𝛼 la serie converge totalmente in
[−1, 1] . La convergenza è totale in ℝ?
CAPITOLO 10

Serie di potenze

In questo capitolo consideriamo lo studio di una classe speciale di serie di funzioni, le serie di potenze.
Per descriverle assegnamo una successione di numeri reali {𝑎 𝑘 } 𝑘 ≥0 e un punto 𝑥 0 ∈ ℝ: la serie di

funzioni


∑︁
(10.1) 𝑎 𝑘 (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘
𝑘=0

prende il nome di serie di potenze; il punto 𝑥0 è il centro della serie e i numeri {𝑎 𝑘 } sono i coecienti

della serie.

Convergenza delle serie di potenze


10.1. Senza perdita di generalità, consideriamo nel seguito solo le serie di potenze con centro

l'origine 𝑥 0 = 0,

∑︁
(10.2) 𝑎𝑘 𝑥𝑘 .
𝑘=0

Infatti, questo caso è a tutti gli eetti il caso generale, perché è possibile ricondursi ad esso con il

cambio di variabile 𝑦 = 𝑥 − 𝑥0 .

10.2. Tutte le serie di potenze (10.2) convergono almeno nel loro centro ( 𝑥 = 0). Alcune serie

convergono solo nel loro centro, come la serie


∑︁
𝑘 𝑘𝑥𝑘 .
𝑘=0

Altre serie convergono per ogni 𝑥 ∈ ℝ, come la serie esponenziale


∑︁ 𝑥𝑘
;
𝑘=0
𝑘!

altre ancora convergono in un intervallo, come la serie geometrica


∑︁
𝑥𝑘
𝑘=0

che converge solo per 𝑥 ∈ (−1, 1) (vericare queste aermazioni, v. Esercizio 10.1).

Il risultato principale sulle convergenza delle serie di potenze è quello che mostra come il dominio di

convergenza sia sempre un intervallo (eventualmente degenere, quando si riduce al solo centro della

serie).

59
60 10. SERIE DI POTENZE

10.3. Teorema.
Í∞
1) Assumiamo che la serie 𝑎 𝑘 𝑥 𝑘 converg in 𝑥 = 𝜉 ≠ 0. Allora,
𝑘=0
i. la serie converge assolutamente nell'intervallo (−|𝜉, |𝜉 |) ;

ii. la serie converge totalmente in ogni intervallo [−𝜂, 𝜂] con 0 < 𝜂 < |𝜉 | .
Í∞ 𝑘
2) Assumiamo che la serie 𝑘=0 𝑎 𝑘 𝑥 non converge in un punto 𝑥 = 𝜁 . Allora la serie non converge

neppure per tutti i valori di 𝑥 tali che |𝑥| > |𝜁 | .

Dimostrazione.
Í∞
𝑘=0 𝑎 𝑘 𝜉 converge, il termine generico 𝑎 𝑘 𝜉 è innitesimo per 𝑘 −→ ∞.
Se la serie
𝑘 𝑘

Ne segue che {|𝑎 𝑘 𝜉 |} è una successione limitata, cioè esiste 𝑀 > 0 tale che |𝑎 𝑘 𝜉 | ≤ 𝑀 per ogni 𝑘 .
𝑘 𝑘

Quindi, se |𝑥| < |𝜉 | si ha


𝑘
𝑥𝑘 𝑥
|𝑎 𝑘 𝑥 𝑘 | = 𝑎 𝑘 𝜉 𝑘 𝑘 ≤ 𝑀 .
𝜉 𝜉
Í∞ 𝑥 𝑘 Í∞
Dal momento che la serie 𝑘=0 𝜉 converge, per il criterio del confronto, deduciamo che 𝑘=0 |𝑎 𝑘 𝑥 𝑘 |
converge, ossia la serie (10.2) converge assolutamente in (−|𝜉 |, |𝜉 |) .
Per dimostrare la seconda parte osserviamo che, se 0 < 𝜂 < |𝜉 | , si ha
𝑘 𝑘
𝑘 𝑘
𝑘 𝑘 𝑥𝑘 𝑥 𝜂
sup |𝑎 𝑘 𝑥 | = |𝑎 𝑘 𝜂| = sup 𝑎 𝜉 𝑘 ≤ sup 𝑀 = 𝑀 .

𝑥 ∈ [−𝜂, 𝜂 ] 𝑥 ∈ [−𝜂, 𝜂 ] 𝜉 𝑥 ∈ [−𝜂, 𝜂 ] 𝜉 𝜉

La conclusione quindi segue perché

∞ ∞ ∞ 𝑘
∑︁
𝑘
∑︁
𝑘
∑︁ 𝑥
k𝑎 𝑘 𝑥 k ∞ = sup 𝑎 𝑘 𝑥 ≤ 𝑀
< +∞.
𝜉
𝑘=0 𝑘=0 𝑥 ∈ [−𝜂, 𝜂 ] 𝑘=0

Supponiamo ora che la serie non converga in 𝜁. Se convergesse in un punto 𝑥 con |𝑥| > |𝜁 | , per la
prima parte del dovrebbe convergere in tutto l'intervallo (−|𝑥|, |𝑥|) e quindi anche in 𝜁 , che è assurdo.

Raggio di convergenza
10.4. Denizione. Si chiama raggio di convergenza 𝑅 della serie (10.2) il numero

( ∞
)
∑︁
𝑘
𝑅 := sup 𝜌 ≥ 0 : 𝑎𝑘 𝜌 converge
𝑘=0

Se 𝑅 = 0, allora la serie converge solo nell'origine; se 𝑅 = +∞, allora la serie converge in tutto ℝ.

10.5. In particolare, il Teorema 10.3 può essere enunciato nel modo seguete usando la denizione

di raggio di convergenza:
Í∞
ad ogni serie di potenze 𝑘=0 𝑎𝑘 𝑥𝑘 corrisponde un numero reale non negativo 𝑅 ≥ 0, il suo raggio di

convergenza, tale che

i. se 𝑅 > 0, allora la serie converge assolutamente in (−𝑅, 𝑅) e totalmente (quindi uniformemente) in

[−𝑟, 𝑟] con 0 < 𝑟 < 𝑅 ;


ii. se 𝑅 < +∞, allora la serie non converge in alcun punto 𝑥 con |𝑥| > 𝑅 .

Nulla si può dire sul comportamento della serie nei punti |𝑥| = 𝑅 . Ci sono esempi in cui la serie di

potenze converge per 𝑥 = ±𝑅 ed esempio in cui non converge (v. Esercizio 10.2).

Per il calcolo del raggio di convergenza utilizziamo il criterio della radice.


INTEGRAZIONE E DERIVAZIONE DI SERIE DI POTENZE 61

10.6. Teorema [criterio della radice (J.Hadamard)]. Data la serie (10.2), sia
√︁
𝑘
𝐿 = lim sup |𝑎 𝑘 |.
𝑘→∞

Allora il raggio di convergenza della serie (10.2) è dato da

 +∞ se 𝐿=0



𝑅= 1/𝐿 se 0 < 𝐿 < +∞
 0 𝐿 = +∞

 se

Dimostrazione. La dimostrazione è una semplice applicazione del criterio della radice per le serie

numeriche. Per ogni 𝑥 ∈ ℝ, sia


√︁
𝑘
ℓ = lim sup |𝑎 𝑘 |𝑥 𝑘 = 𝐿|𝑥|.
𝑘→∞

Se 𝐿 = +∞, allora ℓ|𝑥| > 1 per ogni 𝑥 ≠ 0 e la serie non converge, cioè 𝑅 = 0. Se 𝐿 = 0, ℓ|𝑥| < 1
per ogni 𝑥 , per cui la serie converge e 𝑅 = +∞. Se 𝐿 ∈ (0, +∞) , la serie converge per ogni 𝑥 tale che
ℓ = 𝐿|𝑥| < 1 e non converge per ℓ = 𝐿|𝑥| > 1, per cui il raggio di convergenza è 𝑅 = 1/𝐿 .

Integrazione e derivazione di serie di potenze


Usando i teoremi di integrazione e derivazione per le serie di funzioni, otteniamo facilmente gli analoghi

per le serie di potenze.

10.7. Teorema.
Í∞
Sia 𝑓 (𝑥) = 𝑘=0 𝑎 𝑘 𝑥 𝑘+1 una serie di potenze e sia 𝑅 ≥ 0 il suo raggio di convergenza.
1) Le serie ottenuta integrando e derivando termine a termine

∞ ∞
∑︁ 𝑥 𝑘+1 ∑︁
𝐹 (𝑥) = 𝑎𝑘 , 𝑔(𝑥) = 𝑘𝑎 𝑘 𝑥 𝑘−1
𝑘=0
𝑘 +1 𝑘=0

hanno raggio di convergenza 𝑅.


2) Se 𝑅 > 0, allora 𝐹 è una primitiva e 𝑔 è la derivata di 𝑓:
𝐹 0 (𝑥) = 𝑓 (𝑥), 𝑔(𝑥) = 𝑓 0 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ (−𝑅, 𝑅).

Dimostrazione. Utilizzando il criterio della radice si ha che


√︂
𝑘+1 𝑎𝑘 √︁ √
lim sup = lim sup 𝑘 𝑘𝑎 𝑘 = lim sup 𝑘 𝑎 𝑘 .
𝑘→∞ 𝑘 +1 𝑘→∞ 𝑘→∞

La seconda parte del teorema segue quindi dalla convergenza uniforme della serie e dai Teoremi 8.8

e 8.9 sullo scambio dell'ordine di integrazione e derivazione con il limite uniforme di successioni.

In particolare,

Corollario.
Í
Se il raggio di convergenza 𝑅 di una serie di potenze 𝑓 è positivo, allora 𝑓 = 𝑘=0 𝑎𝑘 𝑥𝑘
è derivabile innite volte in (−𝑅, 𝑅) e vale


∑︁ ∞
∑︁
𝑓 (𝑖) (𝑥) = 𝑘 · ... · (𝑘 − 𝑖 + 1)𝑎 𝑘 𝑥 𝑘−𝑖 = (𝑘 + 𝑖) · ... · (𝑘 + 1)𝑎 𝑘+𝑖 𝑥 𝑘 ∀ 𝑖 ∈ ℕ, ∀ 𝑥 ∈ (−𝑅, 𝑅).
𝑘=𝑖 𝑘=0

Dimostrazione. Si itera il teorema 𝑖 volte.


62 10. SERIE DI POTENZE

Serie di potenze complesse


Tutto quello che abbiamo visto per le serie di potenze a valori reali vale nel campo complesso ℂ:

∑︁
𝑧 ↦→ 𝑎 𝑘 (𝑧 − 𝑧 0 ) 𝑘 ,
𝑘=0

con {𝑐 𝑘 } ⊆ ℂ e 𝑧 0 , 𝑧 ∈ ℂ.

10.8. Convergenza. Sia 𝜁 ≠0∈ℂ tale che la serie di numeri complessi


∑︁ 𝑁
∑︁
𝑐 𝑘 𝜁 𝑘 = lim 𝑐𝑘 𝜁 𝑘
𝑁 →∞
𝑘=0 𝑘=0

converge. Allora, per ogni 𝑟 < |𝜂| , la serie di potenze


∑︁
𝐷 𝑟 = {𝑧 ∈ ℂ : |𝑧| < 𝑟} 3 𝑧 ↦→ 𝑐𝑘 𝑧𝑘
𝑘=0
Í
converge totalmente (e quindi assolutamente). Infatti, poiché la serie 𝑐𝑘 𝜁 𝑘 converge, la successione

𝑐 𝑘 𝜁 𝑘 è innitesima, e quindi limitata: esiste 𝑀 > 0 tale che |𝑐 𝑘 ||𝜁 | 𝑘 ≤𝑀 per ogni 𝑘 . Allora, per 𝑧 ∈ 𝐷 𝑟
abbiamo che

𝑟𝑘 𝑟𝑘 𝑟
|𝑐 𝑘 |𝑟 𝑘 = |𝑐 𝑘 ||𝜁 | 𝑘 ≤ 𝑀 = 𝑀 𝑞𝑘 con 𝑞 = ∈ (0, 1).
|𝜁 | 𝑘 |𝜁 | 𝑘 |𝜁 |
Í∞ 𝑘
Per il criterio del confronto, la serie 𝑘=0 𝑐 𝑘 𝑧 risulta totalmente convergente in 𝐷𝑟 :

∑︁ ∞
∑︁ ∞
∑︁
sup |𝑐 𝑘 𝑧 𝑘 | = |𝑐 𝑘 ||𝑧| 𝑘 = |𝑐 𝑘 |𝑟 𝑘 < +∞.
𝑘=0 𝑧 ∈𝐷𝑟 𝑘=0 𝑘=0

10.9. Raggio di convergenza. Possiamo quindi denire il raggio di convergenza come per le serie

di potenze reali:

( ∞
)
∑︁
𝑅 = sup 𝜌 : |𝑐 𝑘 |𝜌 𝑘 converge
𝑘=1

e vale come sopra

 +∞ se 𝐿=0


 √︁
𝑅= 1/𝐿 se 𝐿 ∈ (0, +∞) 𝐿 = lim sup 𝑘
|𝑎 𝑘 |.
𝑘−→∞
 0 𝐿 = +∞,

 se

La dimostrazione di queste aermazioni è del tutto analoga al caso di variabile reale (v. Esercizio ??).
In particolare, vale quanto segue.

10.10. Teorema.
Í
Sia 𝑅 il raggio di convergenza della serie di potenze complessa 𝑘=0 𝑐𝑘 𝑧𝑘 . Allora

si ha che

1) la serie converge assolutamente per ogni 𝑧 con |𝑧| < 𝑅 ;


2) la serie converge totalmente in ogni disco 𝐷𝑟 con 𝑟 < 𝑅;
3) la serie non converge per ogni 𝑧 con |𝑧| > 𝑅 .
SERIE DI TAYLOR E FUNZIONI ANALITICHE 63

Serie di Taylor e funzioni analitiche


Sia 𝐼 ⊂ℝ un intervallo, 𝑥0 ∈ 𝐼 un punto e 𝑓 ∈ 𝐶 ∞ (𝐼) una funzione derivabile innite volte. La serie

di potenze


∑︁ 𝑓 (𝑘) (𝑥 0 )
(10.3) (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘
𝑘=0
𝑘!

prende il nome di serie di Taylor di 𝑓 centrata nel punto 𝑥0 .

10.11. Denizione [funzioni analitiche]. Sia 𝐼 un intervallo dell'asse reale, una funzione 𝑓 : 𝐼 → ℝ
si dice analitica nel punto 𝑥 0 se è sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di 𝑥 0 , ossia se esiste

𝛿>0 tale che


∑︁ 𝑓 (𝑘) (𝑥0 )
(10.4) 𝑓 (𝑥) = (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘 ∀ 𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿).
𝑘=0
𝑘!

Una funzione è analitica in 𝐼 se è analitica in ogni punto di 𝐼.

10.12.
Í∞
Le serie di potenze sono funzioni analitiche. Infatti, se 𝑓 (𝑥) = 𝑘=0 𝑎 𝑘 (𝑥 − 𝑥 0 ) 𝑘 per ogni

𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝑅, 𝑥 0 + 𝑅) , allora per denizione 𝑓 è sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di 𝑥0 ma

si dimostra (v. Esercizio ??) che è altresì sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di ogni punto

𝑦 0 ∈ (𝑥 0 − 𝑅, 𝑥 0 + 𝑅) e la serie ha un raggio di convergenza di almeno 𝑟 = 𝑅 − |𝑥0 − 𝑦 0 | .

10.13. In generale, non è vero che la serie di Taylor di una funzione converga e, qualora fosse

convergente, il limite coincidas con 𝑓. Si consideri, per esempio, la funzione

2
𝑒 −1/𝑥

𝑠𝑒 𝑥 ≠ 0,
(10.5) 𝑓 (𝑥) =
0 𝑠𝑒 𝑥 = 0.

Si verica che 𝑓 ∈ 𝐶 ∞ (ℝ) . Inoltre, si ha 𝑓 (𝑘) (0) = 0 per ogni 𝑘 ≥ 0. Pertanto la serie (10.3) in 𝑥 0 = 0
è la funzione identicamente nulla, che non coincide quindi con 𝑓 tranne che in 𝑥 = 0.
L'esempio di funzione la cui serie di Taylor converge solo in 𝑥 0 non è elementare. Si rimandano gli

studenti interessati al testo di B.R. Gelbaum e J.M.H. Olmsted, Controesempi in analisi matematica
n.24, p.79.

La funzione (10.5) non è analitica nell'origine pur essendo 𝐶 ∞ (ℝ) . Possiamo quindi dire che sussistono
le seguenti inclusioni strette

𝐶 (𝐼) ⊃ 𝐶 1 (𝐼) ⊃ 𝐶 2 (𝐼) ⊃ ... ⊃ 𝐶 ∞ (𝐼) ⊃ 𝐶 𝜔 (𝐼)

dove 𝐶𝜔 indica le funzioni analitiche.

10.14. Resto nella formula di Taylor. Per trovare delle condizioni in campo reale che assicurino la

svilippabilità in serie di Taylor di una funzione 𝐶∞ introduciamo la funzione resto

𝑓 (𝑘) (𝑥 0 )
𝑁
∑︁
𝑅 𝑁 (𝑥; 𝑥0 ) := 𝑓 (𝑥) − (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘 𝑁 ∈ ℕ.
𝑘=0
𝑘!

Condizione necessaria e suciente anchè anché una funzione 𝑓 sia sviluppabile in serie di Taylor

in un intervallo (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿) è che

(10.6) lim 𝑅𝑛 (𝑥; 𝑥0 ) = 0 ∀𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿).


𝑁 →∞
64 10. SERIE DI POTENZE

10.15. Teorema [condizione suciente per l'analiticità]. Una funzione 𝑓 ∈ 𝐶 ∞ (𝐼) è sviluppabile

in serie di Taylor in 𝑥0 ∈ 𝐼 se esiste 𝛿>0 tale che

𝑘!
(10.7) | 𝑓 (𝑘) (𝑥)| ≤ 𝑀 𝑘 ∀𝑥 ∈ (𝑥 0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿)
𝛿

Dimostrazione. Dall'espressione del resto di Lagrange, esiste un punto 𝜉 compreso tra 𝑥0 e 𝑥 tale

che

𝑓 (𝑛+1) (𝜉)
𝑅𝑛 (𝑥; 𝑥0 ) = (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑛+1 .
(𝑛 + 1)!
Quindi, se vale (10.7) si ha che

(𝑛 + 1)! (𝑥 − 𝑥 0 ) 𝑛+1 (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑛+1


|𝑅𝑛 (𝑥; 𝑥 0 )| ≤ 𝑀 = →0 𝑛 → ∞,
𝛿 𝑛+1 (𝑛 + 1)! 𝛿 𝑛+1
𝑥−𝑥0
dato che
𝛿 < 1.

Sviluppi di alcune funzioni elementari


Riportiamo inne gli sviluppi in serie di Taylor di alcune funzioni elementari con i rispettivi raggi di

convergenza.

∑︁ 𝑥𝑘
𝑒𝑥 = 𝑅 = +∞ serie esponenziale
𝑘=0
𝑘!

∑︁ (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘+1
sin 𝑥 = 𝑅 = +∞
𝑘=0
(2𝑘 + 1)!

∑︁ (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘
cos 𝑥 = 𝑅 = +∞
𝑘=0
(2𝑘)!

1 ∑︁
= 𝑥𝑘 𝑅=1
1−𝑥 𝑘=0

1 ∑︁
= (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘 𝑅=1
(1 + 𝑥 2 ) 𝑘=0

∑︁ 𝑥 2 𝑘+1
arctan 𝑥 = (−1) 𝑘 𝑅=1
𝑘=0
2𝑘 + 1
∞ 𝑘
∑︁ 𝑥
ln(1 − 𝑥) = − 𝑅=1
𝑘=1
𝑘

10.16. Esponenziale complesso. Usando gli sviluppi in serie di funzioni reali si deniscono le con-
tinuazioni analitiche delle funzioni elementari. L'esponenziale complesso si denisce quindi tramite la
serie

∑︁ 𝑧𝑘
𝑒𝑧 = 𝑧 ∈ ℂ.
𝑘=0
𝑘!
In particolare, per numeri puramente immaginari 𝑧 = 𝑖𝑥 , con 𝑥 ∈ ℝ, si ottiene la formula di Eulero
∞ ∞ ∞
∑︁ (𝑖𝑥) 𝑘 ∑︁ (𝑖𝑥) 2 𝑘 ∑︁(𝑖𝑥) 2 𝑘+1
𝑒𝑖 𝑥 = = +
𝑘=0
𝑘! 𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0 (2𝑘 + 1)!
∞ 2𝑘 ∞
∑︁ 𝑥 ∑︁ 𝑥 2 𝑘+1
= (−1) 𝑘 +𝑖 (−1) 𝑘 = cos 𝑥 + 𝑖 sin 𝑥.
𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
SVILUPPI DI ALCUNE FUNZIONI ELEMENTARI 65

Complementi ed esercizi

Esercizio 10.1. Vericare che le aermazioni seguenti:

1) la serie ∞𝑘=0 𝑘 𝑘 𝑥 𝑘 converge solo per 𝑥 = 0;


Í

2) la serie esponenzialeÍ ∞𝑘=0 𝑥𝑘 ! converge per ogni 𝑥 ∈ ℝ;


Í 𝑘

3) la serie geometrica ∞𝑘=0 𝑥 𝑘 converge solo per 𝑥 ∈ (−1, 1) .


Esercizio 10.2. Dimostrare quanto segue:

1) la serie geometrica ∞𝑘=0 𝑥 𝑘 ha raggio di convergenza 𝑅 = 1 e non converge per 𝑥 = ±1


Í
2) ....
Esercizio 10.3. Trovare l'insieme 𝐸 ⊆ ℝ di convergenza della serie
+∞ 3 𝑘
∑︁ 𝑥
𝑘=0
4𝑘
e dire in quali sottoinsiemi di 𝐸 la serie converge totalmente.
Esercizio 10.4. Trovare l'insieme 𝐸 ⊆ ℝ di convergenza puntuale della serie
+∞
∑︁ (−1) −𝑘 (𝑘 + 2) 𝑘
ln (𝑥)
𝑘=0
𝑘2 + 1
e dire in quali sottoinsiemi di 𝐸 si ha la convergenza totale e/o uniforme.
Esercizio 10.5. Dopo aver studiato la convergenza della serie di funzioni
+∞
∑︁
𝑘𝑒 −𝑘 𝑥 ,
𝑘=1
∫ 2
detta 𝑓 (𝑥) la somma, si calcoli 𝑓 (𝑥)𝑑𝑥 .
1

Esercizio 10.6. Data la serie


+∞
∑︁ 4𝑘 𝑥 2𝑘
,
𝑘=1
𝑘2
si determini
1) l'insieme di convergenza 𝐸 ,
2) il sottoinsieme di 𝐸 in cui la serie converge totalmente,
3) determinare il sottoinsieme di 𝐸 in cui la serie risulta derivabile.
Esercizio 10.7. Studiare la convergenza semplice, assoluta e totale della serie
+∞
∑︁ (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘
.
𝑘=0
3𝑘
∫ 1
Detta 𝑓 (𝑥) la somma determinare 𝑓 (𝑥)𝑑𝑥 .
0
+∞
Data la serie di potenze si calcoli il raggio di convergenza nei seguenti casi
∑︁
Esercizio 10.8. 𝑎𝑘 𝑥𝑘
𝑘=0
1  
𝑎. 𝑎 𝑘 = 2𝑘 + 𝑏. 𝑎 𝑘 = (𝑘 + 1) 𝛼 𝜋 𝑘 𝑐. 𝑎 𝑘 = (−1) 𝑘 ln 1 + 5−𝑘 .
2𝑘
Si discuta la convergenza delle serie al bordo dell'insieme di convergenza puntuale.
66 10. SERIE DI POTENZE

+∞
Data la serie di funzioni 𝑓 𝑘 (𝑥) , si calcoli dove e a cosa la serie converge quando
∑︁
Esercizio 10.9.
𝑘=0

2 (−1) 𝑘 (−1) 𝑘 2 𝑘
𝑎. 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −𝑘 𝑥 𝑏. 𝑓 𝑘 (𝑥) = (𝑥) −2 𝑘 𝑐. 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥
𝑘! (2𝑘 + 1)!

Esercizio 10.10. Studiare la convergenza puntuale e uniforme della serie


+∞
∑︁ 𝑘
ln 𝑘 (𝑥) 𝑥 > 0,
𝑘=0
𝑘 +1
e calcolarne la somma.
Esercizio 10.11. Data la serie di funzioni
+∞
∑︁ 𝑘
(𝑥 2 − 4) 2 𝑘 ,
𝑘=0
𝑘 +2
si studi la convergenza puntuale, uniforme, assoluta e totale, poi si calcoli anche la somma.
Esercizio 10.12. Calcolare, motivando i passaggi, la somma della seguente serie

1/ 3
+∞
∑︁ ∫
(−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘 arctan4 (𝑥)𝑑𝑥
𝑘=0 0

Esercizio 10.13. Studiare l'insieme di convergenza semplice e l'insieme di convergenza totale della
serie di funzioni

∑︁ (𝑛 + 1)
(sin 𝑥) 𝑛 .
𝑛=0
2 𝑛

Poi, indicata con 𝑓 (𝑥) la somma della serie, calcolare


∫ 𝜋/2
𝑓 (𝑥) cos 𝑥𝑑𝑥.
0

Esercizio 10.14. Calcolare


∞ ∫
∑︁ 𝜋/4
(−1) 𝑛 𝑥 2𝑛 arctan(𝑥)𝑑𝑥.
𝑛=0 0

Esercizio 10.15. Date le funzioni


1 𝑥 1 𝑥
sinh(𝑥) = (𝑒 − 𝑒 −𝑥 ) cosh(𝑥) = (𝑒 + 𝑒 −𝑥 )
2 2
si calcolino le rispettive serie di Taylor spiegando perché tali serie convergono in tutto ℝ.
Dimostrare che per ogni 𝑥 in un intervallo 𝐼 se e solo se 𝑎 𝑘 = 0 per
Í∞
Esercizio 10.16. 𝑘=0 𝑎𝑘 𝑥𝑘 = 0
ogni 𝑘 ∈ ℕ.
CAPITOLO 11

Teorema di AscoliArzelà

Abbiamo visto nel Capitolo 6 che in ℝ𝑛 la compattezza ha una semplice caratterizzazione in termini

di sottoinsiemi chiusi e limitati. In uno spazio di Banach innito dimensionale, quale quello delle

funzioni continue denite su un intervallo, la chiusura e la limitatezza sono condizioni necessarie per

la compattezza, ma non sucienti. Per esempio, l'insieme di funzioni

(11.1) 𝐸 = { 𝑓 𝑘 : [0, 1] → ℝ : 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 𝑘 } ⊂ 𝐶 ( [0, 1]).


è chiuso e limitato, ma non è compatto in 𝐶 ( [0, 1]) (Esercizio 11.1).

Abbiamo però intravisto quanto importante sia la nozione di compattezza, per cui la sua caratteriz-

zazione in determinati spazi innito dimensionali è una questione fondamentale. In questo capitolo

analizziamo la compattezza nello spazio delle funzioni continua.

Uniforme continuità
Il concetto chiave per caratterizzare la compattezza nello spazio delle funzioni continue è quello di

uniforme continuità.
11.1. Denizione [Uniforme continuità]. Sia 𝐸 ⊂ ℝ. Una funzione 𝑓 :𝐸 →ℝ si dice uniforme-
mente continua se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che
∀𝜀>0 ∃𝛿>0 : | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝛿 ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐸, |𝑥 − 𝑦| < 𝛿.

Confrontiamo la denizione appena introdotta con qualla di continuità: 𝑓 è continua se per ogni 𝑥∈𝐼
e per ogni 𝜀>0 esiste 𝛿>0 tale che

∀𝑥 ∈ 𝐼 ∀𝜀>0 ∃𝛿>0 : | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝛿 ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐼, |𝑥 − 𝑦| < 𝛿.


La dierenza rispetto alla denizione di uniforme continuità è che la costante 𝛿 >0 può dipendere

dal punto 𝑥 in cui si verica la continuità e può non esistere uno stesso 𝛿 che vada bene per tutti i

punti 𝑥.
Un esempio di funzione non uniformemente continua è 𝑓 (𝑥) = 𝑥 2 in 𝐼 = ℝ; invece la funzione

𝑓 (𝑥) = arctan 𝑥 è uniformemente continua in 𝐼=ℝ (v. Esercizio 11.2).

Negli intervalli compatti le due denizioni coincidono.

11.2. Lemma. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo compatto (cioè chiuso e limitato). Ogni funzione continua

𝑓 :𝐼→ℝ è uniformemente continua.

Dimostrazione. Per assurdo, supponiamo che 𝑓 non sia uniformemente continua: allora esiste 𝜀>0
1
tale che, per ogni 𝛿𝑘 = 𝑘 esistono 𝑥𝑘 , 𝑦𝑘 ∈ 𝐼 tali che

1
|𝑥 𝑘 − 𝑦 𝑘 | < , | 𝑓 (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 (𝑦 𝑘 )| ≥ 𝜀.
𝑘
Per la compattezza di 𝐼 , esiste una sottosuccessione convergente 𝑥 𝑘 ( 𝑗) −→ 𝑥 ∞ ∈ 𝐼 . In particolare,
1
dato che |𝑥 𝑘 ( 𝑗) − 𝑦 𝑘 ( 𝑗) | <
𝑘 , si ha che 𝑦 𝑘 ( 𝑗) −→ 𝑥 ∞ . Ne deduciamo che, per la continuità di 𝑓 ,
𝑓 (𝑥 𝑘 ( 𝑗) ) → 𝑓 (𝑥∞ ) e 𝑓 (𝑦 𝑘 ( 𝑗) ) → 𝑓 (𝑥 ∞ ) , contro il fatto che | 𝑓 (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 (𝑦 𝑘 )| ≥ 𝜀 per ogni 𝑘 .
67
68 11. TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ

11.3. Funzioni hölderiane. Una classe particolare di funzioni uniformemente continue sono le fun-

zioni hölderiane, ossia le funzionei 𝑓 : 𝐼 → ℝ tali che esiste 𝛼 ∈ (0, 1] e 𝐿 > 0 con la proprietà

che

| 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝐿|𝑥 − 𝑦| 𝛼 ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐼.


In questo caso, per ogni 𝜀 > 0, la denizione di uniforme continutità è soddisfatta con 𝛿 = (𝜀/𝐿) 1/𝛼 .
Se 𝛼 = 1, la funzione 𝑓 si dice lipschitziana.
Le funzioni limitate in 𝐶 1 ( [𝑎, 𝑏]) sono lipschitziane. Infatti, usando il Teorema di Lagrange, si ha che

| 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘 (𝑦)| ≤ | 𝑓 𝑘0 (𝜉)||𝑥 − 𝑦| ≤ max | 𝑓 𝑘0 (𝑥)||𝑥 − 𝑦| ≤ 𝐶 |𝑥 − 𝑦|,


𝑥 ∈ [𝑎,𝑏]

dove abbiamo usato che la derivata di 𝑓 è continua e quindi limitata (per il Teorema di Weierstrass)

nell'intervallo compatto [𝑎, 𝑏] .

Teorema di AscoliArzelà
La compattezza nello spazio delle funzioni continue è caratterizzata dalla condizione di uniforme con-

tinuità, che deve valere in modo equivalente per tutte le funzioni nell'insieme compatto. Premettiamo
quindi la seguente denizione fondamentale.

11.4. Denizione [equi-uniforme continuità]. Una famiglia di funzioni F ⊂ 𝐶 (𝐼) si dice equi-
uniformemente continua se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che
|𝑥 − 𝑦| < 𝛿 =⇒ | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝛿 ∀ 𝑓 ∈ F.

Per esempio, le funzioni dell'insieme 𝐸 in (11.1) sono singolarmente uniformemente continue (perché

sono continue e denite in un intervallo compatto, Lemma 11.2), ma non sono equi-uniformemente

continue (v. Esercizio 11.3).

Quello che segue è il punto principale della caratterizzazione degli insiemi compatti in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) .

11.5. Teorema [Caratterizzazione dei sottoinsiemi totalmente limitati di 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) ]. Sono equi-

valenti i seguenti due enunciati:

1) F ⊂ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) è totalmente limitato,

2) le funzionioni di F sono equi-uniformemente continue ed equi-uniformemente limitate (ossia esiste


𝑀>0 tale che k 𝑓 k ∞ ≤ 𝑀 per ogni 𝑓 ∈ F ).
Dimostrazione. Iniziamo col mostrare che 1) implica 2). Per ipotesi, per ogni 𝜀 > 0 esiste un numero
nito 𝑁 ∈ℕ di funzioni in F , 𝑓1 , ..., 𝑓 𝑁 tali che F è ricoperto dalle palle in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) di centro 𝑓𝑖 e
raggio 𝜀 ,

𝑁
Ø
F ⊂ 𝐵( 𝑓𝑖 , 𝜀).
𝑖=1

Esplicitamente,

(11.2) ∀ 𝑓 ∈F ∃ 𝑖 ∈ {1, ..., 𝑁 } tale che k 𝑓 − 𝑓𝑖 k ∞ < 𝜀.


La prima conseguenza di questo fatto è che le funzioni di F sono equi-limitate: per ogni punto

𝑥0 ∈ [𝑎, 𝑏] e per ogni 𝑓 ∈ F, sia 𝑓𝑖 la funzione corrispondente in (11.2), allora si ha che

| 𝑓 (𝑥0 )| ≤ | 𝑓𝑖 (𝑥0 )| + | 𝑓 (𝑥 0 ) − 𝑓𝑖 (𝑥 0 )| ≤ 𝑀 := max k 𝑓𝑖 k ∞ + 𝜀 < +∞.


𝑖=1,..., 𝑁

Considerando che le funzioni 𝑓𝑖 sono uniformemente continue, esiste 𝛿𝑖 > 0 tale che

𝑥, 𝑦 ∈ [𝑎, 𝑏], |𝑥 − 𝑦| < 𝛿𝑖 =⇒ | 𝑓𝑖 (𝑥) − 𝑓𝑖 (𝑦)| ≤ 𝜀.


TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ 69

In particolare, posto 𝛿 = min{𝛿1 , ..., 𝛿 𝑁 }, si ha che per ogni 𝑓 ∈ F , detta 𝑓𝑖 la funzione corrispondente

in (11.2), si ha che per 𝑥, 𝑦 ∈ [𝑎, 𝑏]

|𝑥−𝑦| < 𝛿 implica | 𝑓 (𝑥)− 𝑓 (𝑦)| ≤ | 𝑓 (𝑥)− 𝑓𝑖 (𝑥)|+| 𝑓𝑖 (𝑥)− 𝑓𝑖 (𝑦)|+| 𝑓𝑖 (𝑦)− 𝑓 (𝑦)| < 3𝜀,

dove abbiamo usato che | 𝑓 (𝑥) − 𝑓𝑖 (𝑥)| ≤ k 𝑓 − 𝑓𝑖 k ∞ < 𝜀 e | 𝑓 (𝑦) − 𝑓𝑖 (𝑦)| ≤ k 𝑓 − 𝑓𝑖 k ∞ < 𝜀 , e la condizione
di uniforme continuità per 𝑓𝑖 dato che 𝛿 ≤ 𝛿 𝑖 . Da qui segue che F è equi-uniformemente continua.

Dimostriamo adesso che 2) implica 1). Fissiamo 𝜀 > 0 e 𝛿 > 0 come nella denizione di equi-uniforme
𝑏−𝑎
continuità e sia 𝑁∈ℕ tale che
𝑁 <𝛿 e siano

𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥 0 < 𝑥1 < ..., 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥 𝑖+1 − 𝑥𝑖 = <𝛿 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑁 − 1.
𝑁
2𝑀
Sia 𝐿∈ℕ tale che
𝐿 <𝜀 e siano

2𝑀
−𝑀 = 𝜉0 < 𝜉1 < ..., 𝜉 𝐿 = 𝑀 𝜉𝑖+1 − 𝜉𝑖 = <𝜀 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝐿 − 1.
𝐿
Consideriamo quindi i seguenti sottoinsiemi di F:

F𝜎 = { 𝑓 ∈ F : 𝑓 (𝑥𝑖 ) ∈ [𝑦 𝜎 (𝑖) , 𝑦 𝜎 (𝑖)+1 )},

dove 𝜎 : {0, ..., 𝑁 } → {0, ..., 𝐿} è una generica funzione e 𝑦 𝑁 +1 = 𝑦 0 . Notiamo che il diametro di F𝜎
è minore di 3𝜀 : infatti, siano 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎 e 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] ; allora 𝑥 ∈ [𝑥𝑖 , 𝑥𝑖+1 ) per un qualche 𝑖 e si ha che

| 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| ≤ | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑥𝑖 )| + | 𝑓 (𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥 𝑖 )| + |𝑔(𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥)| ≤ 3𝜀,

dove abbiamo usato l'equi-uniforme continuità per stimare | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑥𝑖 )| < 𝜀 e |𝑔(𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥)| < 𝜀 in
quanto |𝑥 − 𝑥𝑖 | < 𝛿; e abbiamo usato che 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎 per concludere che 𝑓 (𝑥𝑖 ), 𝑔(𝑥 𝑖 ) ∈ [𝜉 𝜎 (𝑖) , 𝜉 𝜎 (𝑖)+1 ) ,
da cui | 𝑓 (𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥𝑖 )| < 𝜉 𝜎 (𝑖)+1 − 𝜉 𝜎 (𝑖) < 𝜀 . In altre parole, si ha che per ogni 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎

k 𝑓 − 𝑔k ∞ = sup | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| < 3𝜀.


𝑥 ∈ [𝑎,𝑏]

Visto che abbiamo decomposto F in una unione nita di insiemi con diametro limitato da 3𝜀 , con

𝜀 > 0, arbitrario, si ha per denizione che F è totalmente limitato.

11.6. Corollario. Un sottoinsieme 𝐾 ⊂ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) è compatto se e solo se è chiuso, puntualmente

equi-uniformemente limitato ed equi-uniformemente continuo.

Dimostrazione. Dal Teorema 6.8 si ha che uno spazio metrico è compatto se e solo se è completo e

totalemente limitato. Dal Teorema 11.5 in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) totalmente limitato è equivalente a equi-limitato
e equi-uniformemente continuo. Dato che 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) è uno spazio metrico completo, un insieme è
completo se e solo se chiuso, per cui si deduce il corollario.

11.7. Corollario [Ascoli-Arzelà]. Data una famiglia F ⊂ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) di funzioni equi-uniformemente

limitate ed equi-uniformemente continue, allora esiste una successione { 𝑓𝑛 } ⊂ F uniformemente

convergente (nel qual caso F si dice precompatto).


Dimostrazione. Per il Corollario 11.6 la chiusura di F in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) è compatta. Per il Teorema

6.8, compatto è equivalente a sequenzialmente compatto per uno spazio metrico; per cui, data una

successione { 𝑓𝑛 } ⊂ F , esiste una sottosuccessione convergente, il che conclude la dimostrazione.


70 11. TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ

11.8. Sull'ipotesi di equi-uniforme limitatezza. Una famiglia di funzioni equi-uniformemente con-

tinue di 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) risulta equi-uniformemente limitata non appena è limitata in un punto: ossia esiste

𝑥 0 ∈ [𝑎, 𝑏] tale che


sup | 𝑓 (𝑥0 )| < +∞.
𝑓 ∈F

Infatti, siano 𝜀>0 e 𝛿>0 come nella denizione di equi-uniforme continuità e

𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥0 < 𝑥1 < ..., 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥 𝑖+1 − 𝑥𝑖 = <𝛿 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑁 − 1.
𝑁
Allora, per ogni 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] risulta

sup | 𝑓 (𝑥)| ≤ 𝑀 := sup | 𝑓 (𝑥0 )| + 𝑁𝜀.


𝑓 ∈F 𝑓 ∈F

Per mostrarlo, siano 𝑗0 e 𝑖0 indici tali che 𝑥 ∈ [𝑥 𝑗0 , 𝑥 𝑗0 +1 ] e 𝑥0 ∈ [𝑥𝑖0 , 𝑥𝑖0 +1 ] . Supponiamo che 𝑗0 ≥ 𝑖0
(il caso 0 𝑖 < 𝑗0 è analogo). Allora, si ha

| 𝑓 (𝑥)| ≤ | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑥 𝑗0 )| + | 𝑓 (𝑥 𝑗0 ) − 𝑓 (𝑥 𝑗0 −1 )| + ... + | 𝑓 (𝑥𝑖0 +1 ) − 𝑓 (𝑥 𝑖0 )|


+ | 𝑓 (𝑥𝑖0 ) − 𝑓 (𝑥0 )| + | 𝑓 (𝑥0 )| ≤ 𝑀.

Diamo una dimostrazione diretta del Teorema di Ascoli-Arzelà enunciato nel Corollario 11.7.

Dimostrazione [del Corollario 11.7] . Siano 𝜀 > 0 e 𝛿 > 0 come nella denizione di equi-uniforme

continuità e consideriamo

𝑏−𝑎 𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥0 < 𝑥1 < ... < 𝑥 𝑁 −1 < 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥𝑖 = 𝑎 +< 𝛿. 𝑖 con
𝑁 𝑁
La successione { 𝑓 𝑘 (𝑥 1 )} ⊆ ℝ è limitata, quindi ha un'estratta convergente { 𝑓 𝑘1 ( 𝑗) (𝑥 1 )} . Similmente,

{ 𝑓 𝑘1 ( 𝑗) (𝑥 2 )} è limitata e quindi ha un'estratta convergente che chiamiamo { 𝑓 𝑘2 ( 𝑗) (𝑥2 )}, e possiamo


ripetere il ragionamento 𝑁 volte, in modo da avere una sottosuccessione { 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) } che converge su

tutti i punti 𝑥 𝑖 .

Ne deriva che per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝐾𝑖 = 𝐾𝑖 (𝜀) tale che

| 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑞 𝑖 ) − 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑞 𝑖 )| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 𝑁 (ℎ) > 𝑘 𝑁 ( 𝑗) ≥ 𝐾𝑖 ,


da cui, ponendo 𝐾0 (𝜀) = max{𝐾𝑖 (𝜀) : 𝑖 = 1, ..., 𝑁 }, segue che

| 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑞 𝑖 ) − 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑞 𝑖 )| ≤ 𝜀 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑁 ∀ 𝑘 𝑁 (ℎ) > 𝑘 𝑁 ( 𝑗) ≥ 𝐾0 (𝜀).


Ricordiamo che l'ipotesi di equicontinuità implica che

| 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘 (𝑥 𝑖 )| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ∈ ℕ, ∀ 𝑥 ∈ [𝑥𝑖 , 𝑥𝑖+1 ]


per cui

| 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑥) − 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑥)| ≤ 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑥) − 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑥𝑖 )

+ 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) (𝑥 𝑖 ) − 𝑓𝐾 𝑁 (ℎ) (𝑥𝑖 ) + 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑥𝑖 ) − 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑥) ≤ 3𝜀.
La maggiorazione ottenuta è indipendente da 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] , quindi (passando al sup) possiamo scrivere

𝑁 ( 𝑗) (𝑥) − 𝑓 𝑘 𝑁 (ℎ) (𝑥) ∞ ≤ 3𝜀 per 𝑘 𝑁 (ℎ) > 𝑘 𝑁 ( 𝑗) ≥ 𝐾0 (𝜀),
𝑓𝑘

ovvero la successione { 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) } è di Cauchy nello spazio di Banach 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) , quindi esiste una funzione
𝑓∞ a cui la sottosuccessione converge uniformemente.

Complementi ed esercizi
TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ 71

Esercizio 11.1. Si dimostri che l'insieme


𝐸 = { 𝑓 𝑘 : [0, 1] → ℝ : 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 𝑘 } ⊂ 𝐶 ( [0, 1]).
è chiuso e limitato, ma non è compatto in 𝐶 ( [0, 1]) .
Esercizio 11.2. Si dimostri che la funzione 𝑓 (𝑥) = 𝑥 2 non è uniformemente continua in 𝐼 = ℝ e che
𝑓 (𝑥) = arctan 𝑥 lo è.
Esercizio 11.3. Si dimostri che l'insieme
𝐸 = { 𝑓 𝑘 : [0, 1] → ℝ : 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 𝑘 } ⊂ 𝐶 ( [0, 1]).
non è equi-uniformemente continuo.
Esercizio 11.4. Dire se le seguenti famiglie di funzioni sono compatte.
{ 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 𝑘 } in 𝐶 0 ( [0, 1]),
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥 2 /𝑘 in 𝐶 0 ([0, 1]),


{ 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −𝑘 𝑥 } in 𝐶 0 ( [0, 1]),


in 𝐶 0 ( [0, 1]),
2
{ 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −( 𝑥−𝑘) }
in 𝐶𝑏0 (ℝ).
2
{ 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −( 𝑥−𝑘) }

Esercizio 11.5. Sia 𝐸 ⊂ ℝ e 𝑓 : 𝐸 → ℝ una funzione uniformemente continua. Si dimostri che esiste
ed è unica una funzione continua 𝐹 : 𝐸¯ −→ ℝ tale che 𝐹 (𝑥) = 𝑓 (𝑥) per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 .
Esercizio 11.6. Dimostrare che il teorema di Ascoli-Arzelà (Corollario 11.7) resta valido se si sostituisce
[𝑎, 𝑏] con un insieme limitato 𝐸 ⊂ ℝ arbitrario, ma può fallire su insiemi illimitati.
Esercizio 11.7. Si dimostri che vale una sorta di viceversa del teorema di Ascoli-Arzelà: se 𝑓 𝑛 −→ 𝑓

uniformemente in 𝐶 0 ( [𝑎, 𝑏]) , allora la famiglia F = { 𝑓 𝑘 } è equi-uniformemente continua e equi-


uniformemente limitata.
CAPITOLO 12

Alcuni Complementi

12.1. Lemma.
sin((𝑛 + 1/2)𝑠)
𝐷 𝑁 (𝑠) = 𝑠 ≠ 0.
2 sin(𝑠/2)

Dimostrazione. Diamo tre dimostrazioni diverse di questa identità.

Prima dimostrazione: induzione. Se𝑛 = 1 abbiamo che


sin((1 + 1/2)𝑤) sin(𝑤) cos(𝑤/2) + sin(𝑤/2) cos(𝑤)
=
2 sin(𝑤/2) 2 sin(𝑤/2)
2 sin(𝑤/2) cos2 (𝑤/2) + sin(𝑤/2) cos(𝑤)
=
2 sin(𝑤/2)
sin(𝑤/2) [1 + cos(𝑤)] + sin(𝑤/2) cos(𝑤) 1
= = + cos(𝑤)
2 sin(𝑤/2) 2
Il passo induttivo

𝑛 𝑛−1
1 ∑︁ 1 ∑︁
+ cos(𝑘𝑤) = + cos(𝑘𝑤) + cos(𝑛𝑤)
2 𝑘=1 2 𝑘=1
sin((𝑛 − 1/2)𝑤)
= + cos(𝑛𝑤)
2 sin(𝑤/2)
sin(𝑛𝑤) cos(𝑤/2) − sin(𝑤/2) cos(𝑛𝑤) + 2 cos(𝑛𝑤) sin(𝑤/2)
=
2 sin(𝑤/2)
sin(𝑛𝑤) cos(𝑤/2) + cos(𝑛𝑤) sin(𝑤/2)
=
2 sin(𝑤/2)
sin((𝑛 + 1/2)𝑤)
= .
2 sin(𝑤/2)

Seconda dimostrazione. Si parta dall'identità

sin((𝑛 + 1/2)𝑥) − sin((𝑛 − 1/2)𝑥) = 2 cos(𝑛𝑥) sin(𝑥/2).


Sommando questa espressione per 𝑛 = 1, ..., 𝑁 si ottiene che

𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁
2 cos(𝑛𝑥) sin(𝑥/2) = [sin((𝑛 + 1/2)𝑥) − sin((𝑛 − 1/2)𝑥)]
𝑛=1 𝑛=1
= sin((3/2)𝑥) − sin(𝑥/2)
+ sin((5/2)𝑥) − sin((3/2)𝑥)
...
+ sin((𝑁 − 1/2)𝑥) − sin((𝑁 − 3/2)𝑥)
+ sin((𝑁 + 1/2)𝑥) − sin((𝑁 − 1/2)𝑥)
= sin((𝑁 + 1/2)𝑥) − sin(𝑥/2),
73
74 12. ALCUNI COMPLEMENTI

da cui la conclusione segue.

Terza dimostrazione: analisi complessa. Ricordiamo l'identità di Eulero: 𝑒 𝑖 𝑥 = cos 𝑥 + 𝑖 sin 𝑥 per 𝑥 ∈ ℝ.
Allora,

𝑁
"𝑁 #
1 ∑︁ 1 ∑︁
𝑖𝑛𝑥 1
𝐷 𝑁 (𝑠) = + cos(𝑥) + ... + cos(𝑁𝑥) = cos(𝑛𝑥) − = Re 𝑒 − .
2 𝑛=0
2 𝑛=0
2

Per la nota formula sulle somme parziali delle serie geometriche si ha che

𝑒 𝑖 ( 𝑁 +1) 𝑥 − 1 ★ 𝑒 𝑖 ( 𝑁 +1/2) 𝑥 − 𝑒 −𝑖𝑥/2 𝑒 𝑖 ( 𝑁 +1/2) 𝑥 − 𝑒 −𝑖𝑥/2


𝑁
∑︁
𝑒 𝑖𝑛𝑥 = = = ,
𝑛=0
𝑒𝑖 𝑥 − 1 𝑒 𝑖 𝑥/2 − 𝑒 −𝑖𝑥/2 𝑖2 sin(𝑥/2)

dove in ★ abbiamo moltiplicato per 𝑒 −𝑖 𝑥/2 numeratore e denominatore. In particolare,


"𝑁 #
1 Re 𝑒 𝑖 ( 𝑁 +1/2) 𝑥 − 𝑒 −𝑖𝑥/2
 
∑︁
𝑖𝑛𝑥 1
Re 𝑒 − = −
𝑛=0
2 2 sin(𝑥/2) 2
sin((𝑁 + 1/2)𝑥) + sin(𝑥/2) 1 sin((𝑁 + 1/2)𝑥)
= − = .
2 sin(𝑥/2) 2 2 sin(𝑥/2)

Una funzione "speciale"


Consideriamo la funzione periodica


∑︁
𝑓 (𝑥) = 𝑏 𝑘 cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)
𝑘=0

dove 𝑎 è un intero dispari e 𝑏 appartiene all'intervallo (0, 1) .


Poiché 𝑎∈ℕ la funzione è una serie trigonometrica, e siccome vale


∑︁ 1
𝑏 𝑘 cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥) ≤ 𝑏 𝑘 e 𝑏𝑘 =
𝑘=0
1−𝑏

la serie converge totalmente (e quindi uniformemente) su tutto ℝ, la sua somma è una funzione

continua e abbiamo l'uguaglianza tra 𝑓 e la sua serie di Fourier.

L'idea di Weierstrass consiste nel mostrare che 𝑓 non è derivabile in alcun punto! Osserviamo

immediatamente che 𝑓 è pari perché limite di funzioni pari.

Fissato 𝑥 ≥ 0, vogliamo stimare il rapporto incrementale della funzione 𝑓, quindi


𝑓 (𝑥 + ℎ) − 𝑓 (𝑥) 1 ∑︁
= 𝑏 𝑘 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)]
ℎ ℎ 𝑘=0
𝑁
1 ∑︁ 𝑘
= 𝑏 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)]
ℎ 𝑘=0

1 ∑︁ 𝑘
+ 𝑏 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)] = 𝑆 𝑁 (𝑥) + 𝑅 𝑁 (𝑥)
ℎ 𝑘=𝑁 +1

Notiamo subito che

| cos(𝑥) − cos(𝑦)| ≤ |𝑥 − 𝑦|
che per noi signica

| cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)| ≤ |𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ) − 𝑎 𝑘 𝜋𝑥| = 𝑎 𝑘 𝜋|ℎ| ≤ 𝑎 𝑘 𝜋


UNO SGUARDO PIÙ ASTRATTO 75

da cui segue

𝑁
∑︁ 𝑎𝑁 𝑏𝑁 − 1 𝑎𝑁 𝑏𝑁
|𝑆 𝑁 (𝑥)| ≤ 𝜋𝑏 𝑘 𝑎 𝑘 = 𝜋 <𝜋
𝑘=0
𝑎𝑏 − 1 𝑎𝑏 − 1

se 𝑎𝑏 > 1.
Invece per stimare il resto dobbiamo fare un po' di fatica in più, possiamo scrivere che

1 1
𝑎 𝑁 𝑥 = 𝛼𝑁 + 𝜉 𝑁 con 𝛼𝑁 ∈ ℕ e − < 𝜉𝑁 ≤
2 2
1 − 𝜉𝑁
ponendo ℎ𝑁 = segue che
𝛼𝑁
 
𝑎 𝑘 𝜋 (𝑥 + ℎ 𝑁 ) = 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 𝑎 𝑁 𝑥 + 𝑎 𝑁 ℎ 𝑁
= 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 (𝛼 𝑁 + 𝜉 𝑁 + 1 − 𝜉 𝑁 ) = 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 (𝛼 𝑁 + 1)

ed essendo 𝑎 dispari otteniamo che


 
cos 𝑎 𝑘 𝜋 (𝑥 + ℎ 𝑁 ) = (−1) 𝛼𝑁 +1

D'altronde abbiamo anche che


   
cos 𝜋𝑎 𝑘 𝑥 = cos 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 (𝛼 𝑁 + 𝜉 𝑁 )
    
= cos 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 𝛼 𝑁 ) cos 𝜋𝑎 𝑘 𝑁 𝜉 𝑁 = (−1) 𝛼𝑁 cos 𝜋𝑎 𝑘 𝑁 𝜉 𝑁

e da questo ricaviamo che


(−1) 𝛼𝑁 +1 ∑︁ 𝑘 h  i
𝑅 𝑁 (𝑥) = 𝑏 1 + cos 𝜋𝑎 𝑘 𝑁 𝜉 𝑁
ℎ𝑁 𝑘=𝑁 +1

la serie ha tutti i termini non negativi, quindi possiamo scrivere

1 𝑁 2𝑎 𝑁 𝑏 𝑁
|𝑅 𝑁 (𝑥)| ≥ 𝑏 ≥
|ℎ 𝑁 | 3
Scegliando i numeri 𝑎 e 𝑏 in modo che

2 𝑁 𝑁 𝑎𝑁 𝑏𝑁 3𝜋
𝑎 𝑏 >𝜋 cioè 𝑎𝑏 > 1 +
3 𝑎𝑏 − 1 2
otteniamo

𝑓 (𝑥 + ℎ 𝑁 ) − 𝑓 (𝑥)
> |𝑅 𝑁 (𝑥)| − |𝑆 𝑁 (𝑥)| > 2 𝑎 𝑁 𝑏 𝑁 − 𝜋 𝑎 𝑏 = 𝑐𝑎 𝑁 𝑏 𝑁
𝑁 𝑁

ℎ𝑁 3 𝑎𝑏 − 1
il che implica che il rapporto incrementale esplode.

Uno sguardo più astratto


Nelle ultime lezioni abbiamo introdotto e studiato alcuni aspetti delle serie trigonometriche, o meglio,

delle serie di Fourier. In particolare abbiamo mostrato che la serie di Fourier di una funzione 𝑇 -periodica
𝑓 converge puntualmente se 𝑓 è 𝐶1 a tratti.

quali funzioni possono essere


Una domanda abbastanza naturale che ci si può porre è la seguente:

approssimate tramite serie di Fourier? e approssimate in che senso?


76 12. ALCUNI COMPLEMENTI

Queste domande sono abbastanza dicili e le risposte arriveranno soltanto con il corso di Analisi Reale
(II anno, II semestre), nel frattempo facciamo qualche osservazione, sia 𝑓 una funzione 2𝜋 -periodica,
continua e 𝐶1 a tratti, quindi avente serie di Fourier convergente, e deniamo

 𝑎 0 /2 𝑘=0



𝑓𝑘 = 𝑎 𝑗 𝑘 = 2𝑗
𝑘 = 2𝑗 − 1

 𝑏𝑗

dove 𝑎𝑗 e 𝑏𝑗 sono i coecienti di Fourier della funzione 𝑓. Dalla disuguaglianza di Bessel segue che

la successione

𝑓 = ( 𝑓𝑘 ) ∈ ℓ2
di fatto prendendo 𝑓 , 𝑔 ∈ 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] di classe 𝐶1 a tratti si può mostrare che la precedente applicazione

è, in un certo senso, (quasi) una isometria se dotiamo lo spazio di funzioni di un prodotto scalare

corrispondente a quello di ℓ2 , per esempio


∫ 2𝜋
( 𝑓 |𝑔)2 = 𝑓 (𝑥)𝑔(𝑥)𝑑𝑥
0

Volendo essere più precisi, lo spazio che è realmente isometrico a ℓ2 deve essere uno spazio metri-

co completo (rispetto alla distanza indotta dal prodotto scalare) che contiene lo spazio 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] .
Tale spazio è il completamento di 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare (·|·) 2 .
0

Consideriamo lo spazio 𝐶 , 𝑑2 dove

∫ 2𝜋  1/2
0 2
𝐶 = { 𝑓 : [0, 2𝜋] −→ ℝ continua } e 𝑑2 ( 𝑓 , 𝑔) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 𝑑𝑥
0

mostriamo che si tratta di uno spazio metrico. Chiaramente vale


∫ 2𝜋
𝑑2 ( 𝑓 , 𝑔) ≥ 0 inoltre 𝑑22 ( 𝑓 , 𝑔) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 2 𝑑𝑥 = 0
0

se e solo se 𝑓 ≡ 𝑔, altrimenti se | 𝑓 ( 𝑝) − 𝑔( 𝑝)| 2 = 𝜀 > 0, per il teorema della permanenza del segno,

avremmo
∫ 𝑝+ 𝛿
| 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 2 𝑑𝑥 ≥ 𝜀𝛿 > 0
𝑝− 𝛿

La simmetria della distanza non richiede una verica visto che


∫ 2𝜋  1/2
2
𝑑2 ( 𝑓 , 𝑔) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 𝑑𝑥 = 𝑑2 (𝑔, 𝑓 )
0

Invece per provare la disuguaglianza triangolare è suciente osservare che


∫ 2𝜋
( 𝑓 |𝑔)2 = 𝑓 (𝑥)𝑔(𝑥)𝑑𝑥
0

è un prodotto scalare e che


√︁
𝑑2 ( 𝑓 , 𝑔) = k 𝑓 − 𝑔k 2 = ( 𝑓 − 𝑔| 𝑓 − 𝑔)2
Abbiamo osservato la scorsa lezione che ad ogni 𝑓 ∈ (𝐶 0 , 𝑑2 ) possiamo associare una successione
2
𝐹∈ℓ costruita nel seguente modo

 𝑎0 / 2 se 𝑘=0



𝐹 = {𝐹𝑘 } dove 𝐹𝑘 = 𝑎 𝑗 se 𝑘 = 2𝑗
𝑘 = 2𝑗 − 1

se
 𝑏𝑗

dove 𝑎𝑗 e 𝑏𝑗 sono i coecienti di Fuorier della funzione 𝑓.
UNO SGUARDO PIÙ ASTRATTO 77

Si può vericare che


2𝜋 𝑎 20 1 ∑︁

 1
k 𝑓 k 22 = | 𝑓 (𝑥)| 2 𝑑𝑥 =
 2
+ 𝑎 𝑘 + 𝑏 2𝑘 = k𝐹 k ℓ22
0 2 2 𝑘=1 2

quindi la domanda è se, in qualche modo, è possibile pensare (𝐶 0 , 𝑑2 ) come un sottospazio vettoriale
2
di ℓ ?

Osserviamo subito che (𝐶 0 , 𝑑2 ) non è uno spazio di Hilbert, quello che fallisce nella verica è che lo

spazio non è completo come spazio metrico rispetto alla distanza indotta dal prodotto scalare, infatti

la successione

(𝑥/𝜋) 𝑘 se 𝑥 ∈ [0, 𝜋)
𝑓 𝑘 (𝑥) =
1 se 𝑥 ∈ [𝜋, 2𝜋]
è di Cauchy, come mostra il conto che segue
∫ 𝜋 h i
−2 (𝑘+ 𝑗)
k 𝑓 𝑘 − 𝑓 𝑘+ 𝑗 k 22 = 𝑥 2 𝑘 𝜋 −2 𝑘 − 2𝑥 2 𝑘+ 𝑗 𝜋 −( 2 𝑘+ 𝑗) + 𝑥 2 (𝑘+ 𝑗) 𝜋 𝑑𝑥
0
𝜋
𝑥 2 𝑘+1 2𝑥 2 𝑘+ 𝑗+1 𝑥 2 (𝑘+ 𝑗)+1

= − + −→ 0
(2𝑘 + 1)𝜋 2 𝑘 (2𝑘 + 𝑗 + 1)𝜋 2 𝑘+ 𝑗 [2(𝑘 + 𝑗) + 1]𝜋 2 (𝑘+ 𝑗) 0
il suo limite dovrebbe coincidere con il suo limite puntuale, cioè con la funzione

0 se 𝑥 ∈ [0, 𝜋)
𝑓∞ (𝑥) =
1 se 𝑥 ∈ [𝜋, 2𝜋]
ma questa funzione non appartiene a (𝐶 0 , 𝑑2 ) .
Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico (non completo), allora esistono uno spazio metrico 𝑋,
¯ 𝑑¯

Teorema 0.1.

e un'applicazione 𝑖 : 𝑋 −→ 𝑋¯ tali che


i. 𝑑¯(𝑖(𝑥), 𝑖(𝑤)) = 𝑑 (𝑥, 𝑤) per ogni 𝑥, 𝑤 ∈ 𝑋 ,
ii. la chiusura di 𝑖(𝑋) in 𝑋¯ è 𝑋¯ .
Dimostrazione. La prova di questo risultato è di tipo positivo, nel senso che esibiremo lo spazio 𝑋¯
e le sue proprietà costruendo l'insieme e gli altri oggetti coinvolti nella dimostrazione, passo passo, in

maniera opprtuna.

Cominciamo considerando l'insieme S(𝑋) = {{𝑥 𝑘 } ⊆ 𝑋 successione di Cauchy} cioè l'insieme di tutte
le successioni di Cauchy contenute in 𝑋 . Osserviamo che, date due successioni (𝑥 𝑘 ), (𝑦 𝑘 ) ∈ S(𝑋) , la
successione {𝑧 𝑘 = 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 )} ⊆ ℝ risulta essere di Cauchy, infatti vale

𝑧 𝑘 = 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+𝑛 ) + 𝑑 (𝑥 𝑘+𝑛 , 𝑦 𝑘+𝑛 ) + 𝑑 (𝑦 𝑘+𝑛 , 𝑦 𝑘 ) = 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+𝑛 ) + 𝑧 𝑘+𝑛 + 𝑑 (𝑥 𝑘+𝑛 , 𝑦 𝑘 )


da cui deduciamo

𝑧 𝑘 − 𝑧 𝑘+𝑛 ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+𝑛 ) + 𝑑 (𝑥 𝑘+𝑛 , 𝑦 𝑘 )


Invertendo il ruolo tra gli indici possiamo ottenere

|𝑧 𝑘 − 𝑧 𝑘+𝑛 | ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+𝑛 ) + 𝑑 (𝑥 𝑘+𝑛 , 𝑦 𝑘 )


il che prova che la successione è di Cauchy, essendo di Cauchy {𝑥 𝑘 } e {𝑦 𝑘 }. Sicome ℝ è completo,

per ogni coppia di successioni di Cauchy {𝑥 𝑘 } e {𝑦 𝑘 } in S(𝑋) , possiamo aermare con certezza che

la successione reale {𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 )} ha limite.


A questo punto, su S(𝑋) , deniamo una relazione di equivalenza Z nel seguente modo

(𝑥 𝑘 ) Z (𝑦 𝑘 ) se e solo se lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) = 0
𝑘−→∞
e possiamo costruire lo spazio metrico che ci interessa procedendo nel seguente modo, deniamo

𝑋¯ = S(𝑋)/Z e 𝑑¯ ( [(𝑥 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )]) = lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 )


𝑘−→∞
78 12. ALCUNI COMPLEMENTI

si noti 𝑋¯ è un insieme quoziente, i suoi elementi sono classi di equivalenza, per esempio appartengono

alla classe[𝑥0 ] , per ogni 𝑥0 ∈ 𝑋 , tutte le successioni che hanno l'elemento 𝑥 0 come limite, in particolare
la successione costante c (𝑥 0 ) = (𝑥 𝑘 = 𝑥 0 ) .
Ora mostriamo che 𝑑¯ è eettivamente una funzione distanza 𝑑¯, chiaramente la funzione produce solo

valori non negativi, perché 𝑑 è una distanza, inoltre se vale

𝑑¯ ( [(𝑥 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )]) = 0 signica che 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) −→ 0 cioè (𝑥 𝑘 ) Z (𝑦 𝑘 )


quindi le due succssioni appartengono alla stessa classe di equivalenza [(𝑥 𝑘 )] = [(𝑦 𝑘 )] , o meglio sono

lo stesso punto in S(𝑋) , quindi il primo assioma è vericato. La simmetria della funzione 𝑑¯ è una
immediata conseguenza della simmetria della distanza 𝑑 , mentre la disugualianza triangolare può essere
provata partendo dalla disuguaglianza triangolare di 𝑑 . Considerate tre arbitrarie successioni di Cauchy
(𝑥 𝑘 ) , (𝑦 𝑘 ) e (𝑤 𝑘 ) , dall'osservazione che, per ogni indice 𝑘 , vale 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑤 𝑘 ) + 𝑑 (𝑤 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) e
anche grazie alle proprietà di monotonia del limite, ricaviamo

lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) ≤ lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑤 𝑘 ) + lim 𝑑 (𝑤 𝑘 , 𝑦 𝑘 )


𝑘−→∞ 𝑘−→∞ 𝑘−→∞
che equivale a scrivere

𝑑¯ ( [(𝑥 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )]) ≤ 𝑑¯ ([(𝑥 𝑘 )], [(𝑤 𝑘 )]) + 𝑑¯ ( [(𝑤 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )])
¯ 𝑑¯ è uno spazio metrico. A questo

quindi possiamo aermare che 𝑋, punto rimane da mostrare che

la costruzione proposta soddisfa le tesi del teorema e deniamo l'applicazione 𝑖 : 𝑋 −→ 𝑋¯ ponendo

𝑖(𝑥0 ) = c (𝑥 0 ) = [𝑥 0 ] , per ogni 𝑥0 ∈ 𝑋 . La mappa 𝑖 è un'immersione di 𝑋 in 𝑋¯ ed è anche un'isometria,

infatti

𝑑 (𝑥 0 , 𝑦 0 ) = lim 𝑑 ( c (𝑥0 ), c (𝑦 0 )) = 𝑑¯ ( [𝑥0 ], [𝑦 0 ])


𝑘−→∞
dove, come sopra, c (𝑥0 ) e c (𝑦 0 ) sono successioni costanti. Ovviamente le classi di equivalenza [𝑥0 ]
e [𝑦 0 ] contengono, oltre alle successioni costanti, tutte le successioni che tendono a 𝑥0 , o 𝑦0,
rispettivamente.

A questo punto possiamo mostrare che la chiusura di 𝑖(𝑋) in 𝑋¯ è esattamente 𝑋¯ , il che equivale a dire
¯
che ogni punto di 𝑋 è un punto di accumulazione per 𝑖(𝑋) . Sia [𝑥] ∈ 𝑋 ¯ , (𝑥 𝑘 ) un suo rappresentante
¯
e poniamo 𝑝 𝑘 = 𝑖(𝑥 𝑘 ) = [ c (𝑥 𝑘 )] ∈ 𝑋 , stimiamo la distanza tra [𝑥] e [ c (𝑥 𝑘 )] nel seguente modo

𝑑¯ ( [𝑥], [ c (𝑥 𝑘 )]) = lim 𝑑 (𝑥 𝑛 , c (𝑥 𝑘 ) 𝑛 ) = lim 𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥 𝑘 )


𝑛−→∞ 𝑛−→∞
Poichè (𝑥 𝑘 ) è una successione di Cauchy in (𝑋, 𝑑) , possiamo aermare che per ogni 𝜀>0 esiste un

indice 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che


𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥 𝑘 ) ≤ 𝜀 per ogni 𝑛, 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀)
e questo implica che

lim 𝑑 (𝑥 𝑛 , 𝑥 𝑘 ) ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀)


𝑛−→∞
che equivale a scrivere

𝑑¯ ( [𝑥], [ c (𝑥 𝑘 )]) ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀)


¯ 𝑑¯ .

e siccome 𝜀 è arbitrario, quanto scritto signica che [c (𝑥 𝑘 )] −→ [𝑥] nello spazio metrico 𝑋,
Ogni successione di Cauchy (rispetto alla distanza 𝑑¯) contenuta in 𝑖(𝑋) converge in 𝑋¯ .

Tornando al nostro esempio iniziale (𝐶 0 , 𝑑2 ) è uno spazio metrico non completo dotato di prodotto

scalare, e abbiamo costruito una sua immersione (quasi isometrica) in ℓ 2 , che è uno spazio di Hilbert.
UNO SGUARDO PIÙ ASTRATTO 79

È possibile dimostrare (sarà fatto nel corso di Analisi Reale) che esiste uno spazio di Hilbert che è il

completamento di (𝐶 0 , 𝑑2 ) , tale spazio risulterà isometrico a ℓ2 .


Parte 3

Equazioni Dierenziali Ordinarie


CAPITOLO 13

Equazioni dierenziali: concetti introduttivi

13.1. Consideriamo un sasso di massa 𝑚 che cade lungo la direzione verticale sotto l'eetto della

sola forza peso, supponendo che l'attrito dell'aria sia trascurabile. Supponendo che il sasso parta da

un'altezza ℎ0 a velocità nulla, quando raggiungerà il suolo?

ℎ 6r 𝑚

𝐹® = 𝑚 𝑎®
−𝑚𝑔 = 𝑚ℎ 00 (𝑡)
ℎ 00 (𝑡) = −𝑔

suolo

Ricordando il secondo principio della dinamica 𝐹® = 𝑚 𝑎®, possiamo considerare che sulla massa agisca

esclusivamente la forza di gravità, la quale produce un'accelerazione ad essa proporzionale. Siccome la

velocità è la derivata prima della posizione spaziale ℎ rispetto al tempo 𝑡 e l'accelerazione è la derivata
della velocità rispetto al tempo 𝑡 , ne deduciamo che l'accelerazione è descritta dalla derivata seconda
della quota ℎ rispetto al tempo 𝑡 , come indicato nell'equazione scritta in gura.

Dunque abbiamo a che fare con un'equazione dierenziale

ℎ 00 (𝑡) = −𝑔,
cioè un'equazione in cui l'incognita è la funzione ℎ. Nel caso specico è facile calcolare la soluzione:
ricorriamo al teorema fondamentale del calcolo integrale per scrivere che
∫ 𝑡 ∫ 𝑡
ℎ 0 (𝑡) − ℎ 0 (0) = ℎ 00 (𝑠)𝑑𝑠 = (−𝑔)𝑑𝑠 = −𝑔𝑡.
0 0
da cui

ℎ 0 (𝑡) = −𝑔𝑡 + ℎ 0 (0),


e ripetendo il ragionamento otteniamo

1
ℎ(𝑡) = − 𝑔𝑡 2 + ℎ 0 (0)𝑡 + ℎ(0).
2

Dai precedenti ragionamenti possiamo aermare che tutte le soluzioni dell'equazione dierenziale

1
ℎ 00 (𝑡) = −𝑔 sono della forma ℎ(𝑡) = − 𝑔𝑡 2 + 𝑣 0 𝑡 + ℎ0 ,
2
e notiamo che le soluzioni sono innite, in quanto l'espressione contiene due parametri 𝑣0 e ℎ0 , che nel
modello rappresentano la velocità e la posizione iniziale, rispettivamente. Possiamo quindi rispondere

alla domanda iniziale: con condizioni iniziali ℎ0 e 𝑣 0 = 0, la massa raggiunge il suolo al tempo ¯𝑡 tale
1 √︃
2 ℎ0
che ℎ(¯𝑡 ) = − 𝑔𝑡 2 + ℎ0 = 0, ossia ¯𝑡 = 𝑔 .
2
83
84 13. EQUAZIONI DIFFERENZIALI: CONCETTI INTRODUTTIVI

13.2. Consideriamo un secondo problema: supponiamo di avere una massa che si muove orizzon-

talmente lungo un piano privo di attrito, sotto l'eetto della sola forza elastica esercitata da una

molla.

Ragionando come prima e ricordando la legge di Hook secondo la quale la forza esercitata da una

molla è proporzionale allo spostamento dalla posizione di equilibrio, possiamo dire che

𝐹® = 𝑚 𝑎® è 𝑚𝑥 00 (𝑡) = −𝑘𝑥(𝑡) o meglio 𝑥 00 (𝑡) + 𝑐2 𝑥(𝑡) = 0,


dove 𝑐2 = 𝑘/𝑚 . In questo caso non è altrettanto immediato trovare la soluzione 𝑥(𝑡) dell'equazione

dierenziale, ma lo apprenderemo nel corso delle prossime lezioni.

Denizioni e terminologia
13.3. Un' equazione dierenziale ordinaria è una uguaglianza della forma
 
(13.1) 𝐹 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) = 0,

dove

i. 𝑘 ∈ ℕ \ {0}, è l'ordine dell'equazione,


ii. 𝐹 : 𝐴 → ℝ è una funzione continua, 𝐴 ⊂ ℝ 𝑘+2 aperto,
iii. 𝑢 : 𝐼 → ℝ è una funzione derivabile 𝑘 volte con derivate continue (𝑢 ∈ 𝐶 (𝐼) ),
𝑘

iv. 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo aperto.

La funzione 𝐹 è assegnata, come abbiamo visto negli esempi, è prescritta dal fenomeno che si prova

a modellizzare tramite l'equazione dierenziale; la funzione 𝑢 è la variabile incongnita della nostra

equazione, a sua volta una funzione, che si vuole trovare per risolvere l'equazione. Ricordiamo che

𝑢 0 (𝑥) , 𝑢 00 (𝑥) , ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) è la notazione per la derivata prima, seconda e, in generale, di ordine 𝑘 della

funzione 𝑢 .

13.4. Diciamo che una funzione 𝑢:𝐼→ℝ è una soluzione di (13.1) se è una funzione derivabile 𝑘
volte con derivate continue e tale che
 
𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) ∈ 𝐴 ∀𝑥 ∈ 𝐼
e
 
𝐹 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) = 0 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.

Nel seguito diremo che un'equazione dierenziale è scritta in forma normale se si presenta nella forma
 
𝑢 (𝑘) (𝑥) = 𝑓 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘−1) (𝑥) ,

con 𝑓 :𝑈 →ℝ continua e 𝑈 ⊂ ℝ 𝑘+1 aperto.

13.5. Sistemi di equaioni dierenziali. Si possono considerare anche sistemi di equazioni dieren-
ziali. Per semplicità ci limitiamo al caso di sistemi di equazioni del primo ordine:

Φ (𝑥, u (𝑥), u0 (𝑥)) = 0,


dove l'incognita è una funzione vettoriale u = (𝑢 1 , ..., 𝑢 𝑑 ) : 𝐼 −→ ℝ𝑑 , di classe 𝐶1 e Φ = (Φ1 , ..., Φ 𝑘 ) :
𝐴→ ℝ 𝑘 è una funzione vettoriale continua, con 𝐴 ⊂ ℝ2𝑑+1 .
DUE CLASSI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI 85

In forma estesa, un sistema di 𝑘 equazioni dierenziali in 𝑑 incognite assume la forma

Φ1 𝑥, 𝑢 1 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑 (𝑥), 𝑢 10 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑0 (𝑥) 





 = 0,
Φ2 𝑥, 𝑢 1 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑 (𝑥), 𝑢 10 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑0 (𝑥) = 0,




..


 .
Φ 𝑘 𝑥, 𝑢 1 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑 (𝑥), 𝑢 10 (𝑥), ..., 𝑢 𝑑0 (𝑥) = 0.

 

13.6. Uno tra gli aspetti più interessanti dei sistemi di equazioni dierenziali risiede nel fatto che

ogni equazione dierenziale di qual si volgia grado è riconducibile ad un sistema del primo ordine. Sia

𝐹 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) = 0.



infatti 𝑢:𝐼→ℝ una soluzione dell'equazione Se poniamo

0 (𝑘−1)
𝑣 1 (𝑥) = 𝑢(𝑥), 𝑣 2 (𝑥) = 𝑢 (𝑥), ... 𝑣 𝑘 (𝑥) = 𝑢 (𝑥),
allora la funzione vettoriale v = (𝑣 1 , ..., 𝑣 𝑘 ) : 𝐼 −→ ℝ 𝑘 risolve il sistema di 𝑘 equazioni dierenziali in

𝑘 incognite:


 𝑣 10 = 𝑣 2
𝑣 0 = 𝑣3



 .2



(13.2) ..

 𝑣 0𝑘−1 = 𝑣 𝑘



 𝐹 𝑥, 𝑣 (𝑥), 𝑣 (𝑥), ..., 𝑣 (𝑥), 𝑣 0 (𝑥)  = 0.

 1 2 𝑘−1 𝑘

Viceversa, data una soluzione v = (𝑣 1 , ..., 𝑣 𝑘 ) : 𝐼 −→ ℝ 𝑘 del sistema (13.2), allora la funzione 𝑢 = 𝑣1
è soluzione di (13.1).

Esempio 13.1. L'equazione delle oscillazioni della molla è


𝑥 00 (𝑡) − 𝑐2 𝑥(𝑡) = 0
equivale al sistema
0
𝑥 0 (𝑡) = 𝑣(𝑡)
    
0 1
o anche
𝑥(𝑡) 𝑥(𝑡)
= .
𝑣 0 (𝑡) = 𝑐2 𝑥(𝑡) 𝑣(𝑡) 𝑐2 0 𝑣(𝑡)

Due classi di equazioni dierenziali


Introduciamo due classi di equazioni dierenziali la cui soluzione (detta pure integrazione) è elemen-
tare.

13.7. Equazioni a variabili separabili. Queste sono equazioni dierenziali del primo ordine in forma

normale del tipo

(13.3) 𝑢 0 (𝑥) = 𝑐(𝑥)ℎ(𝑢(𝑥)).


Possono darsi delle soluzioni banali : se ℎ(𝑢0 ) = 0, allora la funzione 𝑢(𝑥) ≡ 𝑢0 è soluzione.

Supponiamo invece che per un certo 0 nell'intervallo di denizione


𝑡 ℎ(𝑢(𝑡 0 )) ≠ 0. Allora, per il teorema
della permanenza del segno, esiste 𝛿>0 tale che

ℎ(𝑢(𝑥)) ≠ 0 ∀ 𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿).


In particolare, possiamo scrivere

𝑢 0 (𝑥)
= 𝑐(𝑥),
ℎ(𝑢(𝑥))
da cui integrando otteniamo che

𝑢 0 (𝑠)
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
𝐶 (𝑥) − 𝐶 (𝑥0 ) = 𝑐(𝑠)𝑑𝑠 = 𝑑𝑠 = 𝐻 (𝑢(𝑥)) − 𝐻 (𝑢(𝑥 0 )) ∀ 𝑥 ∈ (𝑥 0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿),
𝑥0 𝑥0 ℎ(𝑢(𝑠))
86 13. EQUAZIONI DIFFERENZIALI: CONCETTI INTRODUTTIVI

con 𝐶, 𝐻 primitive di 𝑐 e ℎ−1 , rispettivamente, ossia 𝐶0 = 𝑐 e 𝐻 0 = ℎ−1 . Nel caso in cui la funzione 𝐻
fosse invertibile, avremmo trovato una formula per la soluzione dell'equazione dierenziale:

𝑢(𝑥) = 𝐻 −1 (𝐶 (𝑥) + 𝑘))


dove 𝑘 = −𝐶 (𝑥0 ) + 𝐻 (𝑢(𝑥0 ) ∈ ℝ.

Esempio 13.2. L'equazione


𝑢 0 (𝑥) = 𝑢(𝑥) (1 − 𝑢(𝑥))
è a variabili separate della forma (13.3), con 𝑐(𝑥) ≡ 1 e ℎ(𝑠) = 𝑠(1−𝑠) . Esistono due soluzioni costanti:
𝑢(𝑥) ≡ 0 e 𝑢(𝑥) ≡ 1. In generale, integrando l'equazione in questione, si ha che
𝑢 0 (𝑡)𝑑𝑡
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
= 𝑑𝑡 = 𝑥 − 𝑥 0 ,
𝑥0 𝑢(𝑡) (1 − 𝑢(𝑡)) 𝑥0

da cui
𝑢 0 (𝑡)𝑑𝑡 𝑢 0 (𝑡) 𝑢 0 (𝑡)
∫ 𝑥 ∫ 𝑥  
= + 𝑑𝑢
𝑥0 𝑢(𝑡) (1 − 𝑢(𝑡)) 𝑥0 𝑢(𝑡) 1 − 𝑢(𝑡)

𝑢(𝑥 0 )
con 𝑘 = − ln
𝑢(𝑥)
= [ln |𝑢| − ln |1 − 𝑢|] 𝑥𝑥0 = ln + 𝑘, .
1 − 𝑢(𝑥) 1 − 𝑢(𝑥0 )
Uguagliando le primitive ottenute, possiamo scrivere

𝑢(𝑥)
ln
= 𝑥 + 𝑎, 𝑎 = −𝑘 − 𝑥0 ,
1 − 𝑢(𝑥)
e invertendo la funzione logaritmo e ponendo 𝐾 = 𝑒 𝑎 otteniamo

𝐾𝑒 𝑥 𝐾𝑒 𝑥
cioè oppure
𝑢(𝑥)
𝑥

1 − 𝑢(𝑥) = 𝐾𝑒 𝑢(𝑥) = 𝑢(𝑥) = ,
1 + 𝐾𝑒 𝑥 𝐾𝑒 𝑥 − 1
a dipendenza del fatto che 𝑢(𝑥0 ) ∈ (0, 1) oppure 𝑢(𝑥0 ) ∈ (−∞, 0) ∪ (1, +∞) . Si noti che nel primo caso
l'espressione ottenuta ha senso su tutto l'asse reale, che 0 < 𝑢(𝑥) < 1 per ogni 𝑥 ∈ ℝ, garantendo a
posteriori la correttezza delle manipolazioni svolte (ossia che 𝑢(𝑥) ≠ 0, 1 per ogni 𝑥 , per cui non si è
diviso mai per zero). Per curiosità si noti che
lim 𝑢(𝑥) = 0 lim 𝑢(𝑥) = 1,
𝑥−→−∞ 𝑥−→+∞

e, se 𝑢(0) = 𝑢0 ∈ (0, 1) , allora 𝐾 = 𝑢0 /(1 − 𝑢0 ) :

𝑢(𝑡)

𝑢0 𝑒𝑡
𝑢(𝑡) =
(1 − 𝑢 0 ) + 𝑢 0 𝑒 𝑡

𝑢0
DUE CLASSI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI 87

13.8. Equazioni lineari del primo ordine. Un'altra tipologia di equazione dierenziale che discutiamo

in questa sezione è la seguente

𝑤 0 (𝑥) + 𝑎(𝑥)𝑤(𝑥) = 𝑓 (𝑥),


con 𝑎, 𝑓 : 𝐼 → ℝ funzioni continue. Queste sono equazioni del primo ordine in forma normale lineari
(torneremo su questa classe di equazioni e il termine lineare verrà chiarito in modo opportuno).

Notiamo subito che se 𝑎≡0 il problema è risolto dal teorema fondamentale del calcolo integrale.

L'equazione ha una struttura vagamente simile alla derivata di un prodotto: se moltiplichiamo ambo i

membri dell'equazione per il fattore positivo 𝑒 𝐴( 𝑥) con 𝐴 una primitiva di 𝑎 ( 𝐴 0 = 𝑎 ), allora otteniamo
 0
𝑓 (𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) = 𝑒 𝐴( 𝑥) 𝑤 0 (𝑥) + 𝑎(𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) 𝑤(𝑥) = 𝑤(𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) .
Possiamo quindi integrare l'equazione:
∫ 𝑥  0 ∫ 𝑥
𝐴( 𝑥) 𝐴( 𝑥0 ) 𝐴(𝑠)
𝑤(𝑥)𝑒 − 𝑤(𝑥0 )𝑒 = 𝑤(𝑠)𝑒 𝑑𝑠 = 𝑓 (𝑠)𝑒 𝐴(𝑠) 𝑑𝑠,
𝑥0 𝑥0
cioè
 ∫ 𝑥 
𝑤(𝑥) = 𝑒 −𝐴( 𝑥) 𝑤(𝑥 0 )𝑒 𝐴( 𝑥0 ) + 𝑓 (𝑠)𝑒 𝐴(𝑠) 𝑑𝑠 ∀ 𝑥 ∈ ℝ.
𝑥0

Esempio 13.3. Studiamo la caduta di una massa puntiforme 𝑚 > 0 sotto l'eetto della forza peso,
all'interno di un uido omogeneo: tenendo in conto che la forza di attrito è parallela, opposta in verso
e proporzionale alla velocità, si ottiene dalla seconda legge di Newton l'equazione seguente

𝑂 r𝑚
00 0
 𝑚𝑥 (𝑡) = 𝑚𝑔 − 𝛼𝑥 (𝑡)



𝑥(0) = 0
 𝑥 0 (0) = 𝑣 0

𝑥 ?

Poniamo 𝑥 0 (𝑡) = 𝑣(𝑡) , allora abbiamo


𝑣 0 (𝑡) = −𝛽𝑣(𝑡) + 𝑔 dove 𝛽 = 𝛼/𝑚.
Questa è un'equazione lineare del primo ordine, la cui soluzione abbiamo calcolato essere
 
0 𝑔 𝑔 −𝛽𝑡
𝑣(𝑡) = 𝑥 (𝑡) = + 𝑣 0 − 𝑒 .
𝛽 𝛽
Passando alle primitive arriviamo all'espressione nale
   
𝑔 1 𝑔 −𝛽𝑡 1 𝑔
𝑥(𝑡) = 𝑡 − 𝑣0 − 𝑒 + 𝑣0 −
𝛽 𝛽 𝛽 𝛽 𝛽
𝑚𝑔 𝑚 h 𝑚𝑔 i  
= 𝑡− 𝑣0 − 𝑒 −𝛼𝑡/𝑚 − 1
𝛼 𝛼 𝛼
Il calcolo della velocità limite è abbastanza facile
𝑚𝑔
𝑣 ∞ = lim 𝑥 0 (𝑡) = ,
𝑡−→+∞ 𝛼
tale velocità viene detta velocità di regime.
88 13. EQUAZIONI DIFFERENZIALI: CONCETTI INTRODUTTIVI

1. esercizi e complementi

Esercizio 13.1. Dato l'equazione dierenziale


𝑤 0 (𝑥)

= 𝜆𝑤(𝑥)
𝑤(0) = 𝑘,
1) si scriva la serie di Taylor della soluzione senza risolvere l'equazione,
2) si trovi la soluzione integrando direttamente l'equazione dierenziale.
Esercizio 13.2. Si risolvano le seguenti equazioni dierenziali:
𝑢 0 (𝑥)
= 𝑢 2 (𝑥) 𝑤 0 (𝑥) = −𝑤 2 (𝑥)
 

𝑢(0) = 1, 𝑤(0) = 1.

Esercizio 13.3. Si integri l'equazione dierenziale


4 + 𝑤 2 (𝑥) 𝑤 0 (𝑥) = 𝑤(𝑥)
  

𝑤(0) = 1.

Esercizio 13.4. Si risolva il seguente problema


𝑦 0 (𝑡)

= 𝑡 tan (𝑦(𝑡))
𝑦(0) = 𝜋/4.

Esercizio 13.5. Dato il problema


𝑢 0 (𝑡) = 𝑡𝑢(𝑡) (𝑢(𝑡) − 1)


𝑢(0) = 1/2,
si provi se le seguenti aermazioni sono vere o false:
1) la soluzione ammette limite per 𝑡 −→ −∞,
2) la soluzione è monotona,
3) la soluzione ha un punto critico per 𝑡 = 0.
Si calcoli l'espressione esplicita della soluzione.
Esercizio 13.6. Dato 𝛼 ∈ ℝ, calcolare la soluzione del seguente problema
𝑤 0 (𝑠)

= 𝑠|𝑤(𝑠)|
𝑤(0) = 𝛼.
CAPITOLO 14

Problema di Cauchy

Il protagonista di questo capitolo è il problema di Cauchy per un sistema di equazioni del primo ordine

in forma normale: assegnata una funzione 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 con 𝐴 ⊂ ℝ𝑑+1 aperto e un punto (𝑡0 , u) ∈ 𝐴,
si cerca una soluzione del seguente sistema di equazioni:

u0 (𝑡) = 𝑓 (𝑡, u(𝑡))



(14.1)
u(𝑡 0 ) = u0 .

Come illustrato nel capitolo precedente, l'equazione dierenziale rappresenta la legge di evoluzione

del sistema descritto da 𝑑 gradi di libertà tramite il vettore u, con u0 è stato iniziale da cui parte

l'evoluzione al tempo 𝑡0 .
La chiave per la risoluzione del problema di Cauchy è il seguente modo di riformularlo.

14.1. Proposizione [Formulazione integrale]. 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una funzione continua ( 𝐴 ⊂ ℝ𝑑+1


Sia

aperto) e sia (𝑡 0 , u) ∈ 𝐴. Una funzione u : 𝐼 → 𝐼 ⊂ ℝ intervallo aperto contenente 𝑡0 , è una


ℝ𝑑 , con
1
soluzione di classe 𝐶 del problema di Cauchy (14.1) se e solo se u : 𝐼 → ℝ è una soluzione di classe
𝑑
0
𝐶 dell'equazione integrale
∫ 𝑡
(14.2) u(𝑡) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ 𝐼.
𝑡0

Per esteso, se u = (𝑢 1 , ..., 𝑢 𝑑 ) , u0 = (𝑎 1 , ..., 𝑎 𝑑 ) e 𝑓 = ( 𝑓1 , ..., 𝑓 𝑑 ) , allora (14.2) equivale alle seguenti

𝑑 equazioni integrali:
∫ 𝑡
𝑢 𝑖 (𝑡) = 𝑎 𝑖 + 𝑓𝑖 (𝑠, 𝑢 1 (𝑠), ..., 𝑢 𝑑 (𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ 𝐼, ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑑.
𝑡0

Dimostrazione. Sia u una soluzione 𝐶1 del problema di Cauchy: per il teorema fondamentale del

calcolo integrale abbiamo che


∫ 𝑡 ∫ 𝑡
u(𝑡) = u(𝑡0 ) + u0 (𝑠)𝑑𝑠 = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ 𝐼.
𝑡0 𝑡0

Viceversa sia u una soluzione 𝐶 0 dell'equazione integrale (14.2). Dato che 𝑠 ↦→ 𝑓 (𝑠, u(𝑠)) è continua,

dal teorema fondamentale del calcolo integrale si deduce che u è in realtà una funzione di classe 𝐶1
e vale
∫ 𝑡0
u(𝑡 0 ) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 = u0 ,
𝑡0
 ∫ 𝑡 
0 𝑑
u (𝑡) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 = 𝑓 (𝑡, u(𝑡)),
𝑑𝑡 𝑡0
per cui u è soluzione del problema di Cauchy (14.1).

Esistenza e unicità locale


Il risultato analitico principale è il seguente.

89
90 14. PROBLEMA DI CAUCHY

14.2. Teorema [Cauchy-Lipschitz]. Si consideri un cilindro chiuso ¯


𝐷 = [𝑡0 − 𝑟 1 , 𝑡0 + 𝑟 1 ] × 𝐵𝑟2 (u0 ) ⊂
ℝ × ℝ𝑑 , con (𝑡0 , u0 ) ∈ ℝ × ℝ𝑑 e 𝑟 1 , 𝑟 2 > 0. Sia 𝑓 :𝐷→ ℝ𝑑 una funzione continua e supponiamo che
esista una costante 𝐿>0 tale che

| 𝑓 (𝑡, 𝑝) − 𝑓 (𝑡, 𝑞)| ≤ 𝐿| 𝑝 − 𝑞| ∀ 𝑡 ∈ [𝑡0 − 𝑟 1 , 𝑡0 + 𝑟 1 ] ∀ 𝑝, 𝑞 ∈ 𝐵¯𝑟2 (u0 ).


Sia 𝑀 = max (𝑡 , 𝑝) ∈𝐷 | 𝑓 (𝑡, 𝑝)| e si ssi una costante 𝜂 < min{𝑟 1 , 𝑟 2 /𝑀, 1/𝐿}. Allora, esiste ed è unica

la soluzioe del problema di Cauchy (14.1) nella classe di funzioni 𝐶 1 ((𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂), 𝐵¯𝑟2 (u0 )) .
Dimostrazione. Introduciamo lo spazio metrico

𝑋 = 𝐶 [𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂]; 𝐵¯𝑟2 (u0 )



( )
𝑑
= u : [𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂] → ℝ continua, sup |𝑢(𝑡) − 𝑢 0 | ≤ 𝑟 2 ,
𝑡 ∈ [𝑡0 −𝜂,𝑡0 +𝜂 ]

dotato della distanza dell'estremo superiore, cioè

𝑑∞ (u, v) = ku − vk ∞ = max |u(𝑡) − v(𝑡)| ∀ u, v ∈ 𝑋.


𝑡 ∈ [𝑡0 −𝜂,𝑡0 +𝜂 ]

Questo spazio metrico è completo perché è un sottoinsieme chiuso dello spazio metrico completo

(𝐶 ( [𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂]; ℝ𝑑 ), 𝑑∞ ) . Consideriamo la seguente denizione


∫ 𝑡
𝑇 (u) (𝑡) := u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ [𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂].
𝑡0
Allora si ha che

1. 𝑇 (u) ∈ 𝑋 per ogni u ∈ 𝑋, perché


∫ 𝑡
|𝑇 (u) (𝑡) − 𝑢 0 | ≤ | 𝑓 (𝑠, u(𝑠))|𝑑𝑠 ≤ 𝑀 |𝑡 − 𝑡 0 | ≤ 𝑀𝜂 < 𝑟 2 ∀ 𝑡 ∈ [𝑡0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂];
𝑡0
2. 𝑇:𝑋→𝑋 è una contrazione: infatti, per ogni coppia di funzioni u, v ∈ 𝑋 , si ha che
∫ 𝑡

|𝑇 ((u) (𝑡) − 𝑇 (v) (𝑡)| = [ 𝑓 (𝑠, u(𝑠)) − 𝑓 (𝑠, v(𝑠))] 𝑑𝑠
𝑡0
∫ 𝑡 ∫ 𝑡
≤ | 𝑓 (𝑠, u(𝑠)) − 𝑓 (𝑠, v(𝑠))| 𝑑𝑠 ≤ 𝐿 |u(𝑠) − v(𝑠)| 𝑑𝑠 ≤ 𝐿𝜂ku − vk ∞ ,
𝑡0 𝑡0
con 𝐿𝜂 < 1. Poiché 𝑡 ∈ [𝑡0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂] è arbitrario, passando al sup nella disuguaglianza otteniamo

𝑑∞ (𝑇 (u), 𝑇 (v)) = sup |𝑇 (u) (𝑡) − 𝑇 (v) (𝑡)| < 𝐿𝜂𝑑∞ (u, v).
𝑡 ∈ [𝑡0 −𝜂,𝑡0 +𝜂 ]

Per il Teorema 5.4, esiste un'unica funzione u∈𝑋 tale che 𝑇 (u) = u: ossia esiste un'unica funzione

u∈𝑋 che soddisfa 14.1


∫ 𝑡
u(𝑡) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ [𝑡0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂].
𝑡0
Per la Proposizione 14.1 deduciamo che u è l'unica soluzione del problema di Cauchy (14.1) in 𝑋.

14.3. Osservazione: Unicità. L'unicità asserita nel Teorema 14.2 è relativa alle funzioni u a valori

nella palla chiusa 𝐵¯𝑟2 (u0 ) . Il teorema non esclude che esista un'altra soluzione al problema di Cauchy

14.1 con lo stesso dato iniziale u0 i cui valori non siano contenuti in 𝐵¯𝑟2 . Vedremo nella prossima

sezione che questa eventualità non può accadere.

14.4. 𝑟 2 = ∞. Dalla dimostrazione del Teorema di CauchyLipschitz si ha che se 𝐷 = [𝑡0 − 𝑟 1 , 𝑡0 +


𝑟 1 ] × ℝ𝑑 , allora esiste un'unica soluzione locale u : (𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂) → ℝ𝑑 per ogni
𝜂 < min {𝑟 1 , 1/𝐿} .
ESISTENZA GLOBALE E UNICITÀ 91

Esistenza globale e unicità


In questa sezione studiamo il problema dell'esistenza e dell'unicità globale per le soluzioni del problema

di Cauchy (14.1). Nel seguito, ssiamo i seguenti dati:

i. un aperto 𝐴 ⊂ ℝ × ℝ𝑑 ,
ii. 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una funzione continua e lipschitziana nella seconda variabile:

∃𝐿>0 : | 𝑓 (𝑡, 𝑝) − 𝑓 (𝑡, 𝑞)| ≤ 𝐿| 𝑝 − 𝑞| ∀ (𝑡, 𝑝), (𝑡, 𝑞) ∈ 𝐴.

14.5. Stabilità. Siano 𝐴e 𝑓 come in i. e ii. e consideriamo due problemi di Cauchy relativi alla stessa

equazione dierenziale, cioè

u0 (𝑡) = 𝑓 (𝑡, u(𝑡)), v 0 (𝑡) = 𝑓 (𝑡, v(𝑡)),


 
(14.3)
u(𝑡 0 ) = 𝑝 0 , v(𝑡0 ) = 𝑞 0 ,
con (𝑡0 , 𝑝 0 ), (𝑡0 , 𝑞 0 ) ∈ 𝐴. Vogliamo provare a capire come la soluzione di un'equazione dierenziale

dipende dai dati iniziale 𝑞0.


14.6. Lemma di Gronwall. Siano (𝑡0 , 𝑝 0 ), (𝑡 0 , 𝑞 0 ) ∈ 𝐴 e u : 𝐼 → ℝ𝑑 , v : 𝐽 → ℝ𝑑 due soluzioni dei

problemi di Cauchy in (14.3). Allora,

|u(𝑡) − v(𝑡)| ≤ | 𝑝 0 − 𝑞 0 |𝑒 𝐿 |𝑡−𝑡0 | ∀ 𝑡 ∈ 𝐼 ∩ 𝐽,


con 𝐿 la costante di lipschitz della funzione 𝑓.
Dimostrazione. Consideriamo il caso 𝑡 > 𝑡0 . Dalla formulazione integrale del problema di Cauchy

Proposition 14.1, otteniamo che


∫ 𝑡
|u(𝑡) − v(𝑡)| ≤ | 𝑝 0 − 𝑞 0 | + | 𝑓 (𝑠, u(𝑠)) − 𝑓 (𝑠, v(𝑠))|𝑑𝑠
𝑡0
(14.4) ∫ 𝑡
≤ | 𝑝0 − 𝑞0 | + 𝐿 |u(𝑠) − v(𝑠)|𝑑𝑠,
𝑡0
dove abbiamo sfruttato la lipschitzianità di 𝑓 nella seconda variabile. Poniamo
∫ 𝑡
𝐹 (𝑡) := |u(𝑠) − v(𝑠)|𝑑𝑠.
𝑡0
Notiamo che 𝐹 è denita tramite l'integrale di una funzione continua e quindi, per il teorema fonda-

mentale del calcolo, 𝐹 è derivabile con derivata continua 𝐹 0 (𝑡) = |u(𝑡) − v(𝑡)| . Si deduce quindi da

(14.4) che

𝐹 0 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 − 𝑞 0 | + 𝐿𝐹 (𝑡).
Moltiplicando la disuguaglianza per 𝑒 −𝐿𝑡 e manipolando l'espressione ottenuta si ha
 0
𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 0 (𝑡) − 𝑒 −𝐿𝑡 𝐿𝐹 (𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) ≤ 𝑒 −𝐿𝑡 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |.
Integrando la disuguaglianza dierenziale tra 𝑡 e 𝑡0
∫ 𝑡 0
𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) − 𝑒 −𝐿𝑡0 𝐹 (𝑡 0 ) = 𝑒 −𝐿𝑠 𝐹 (𝑠) 𝑑𝑠
𝑡0
∫ 𝑡  
≤ 𝑒 −𝐿𝑠 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |𝑑𝑠 = 𝐿 −1 𝑒 −𝐿𝑡0 − 𝑒 −𝐿𝑡 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |,
𝑡0
da cui segue
 
|u(𝑡) − v(𝑡)| = 𝐹 0 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 −𝑞 0 |+𝐿𝐹 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 −𝑞 0 |+ 𝑒 −𝐿 (𝑡−𝑡0 ) − 1 | 𝑝 0 −𝑞 0 | = 𝑒 −𝐿 (𝑡−𝑡0 ) | 𝑝 0 −𝑞 0 |.
Se 𝑡 < 𝑡0 , si procede in modo del tutto analogo per mostrare che

|u(𝑡) − v(𝑡)| ≤ 𝑒 −𝐿 (𝑡0 −𝑡) | 𝑝 0 − 𝑞 0 |,


92 14. PROBLEMA DI CAUCHY

da cui segue la tesi.

In particolare, dal lemma di Gronwall segue l'unicità globale per il problema di Cauchy.

14.7. Corollario [Unicità globale]. Siano u : 𝐼 → ℝ𝑑 , v : 𝐽 → ℝ𝑑 due soluzioni del problema di

Cauchy (14.1). Allora,

u(𝑡) = v(𝑡) ∀ 𝑡 ∈ 𝐼 ∩ 𝐽.

Dimostrazione. È conseguenza diretta del lemma di Gronwall, perché

|u(𝑡) − v(𝑡)| ≤ | 𝑝 0 − 𝑝 0 |𝑒 𝐿 |𝑡−𝑡0 | = 0 ∀ 𝑡 ∈ 𝐼 ∩ 𝐽.

L'unicità globale permette di denire la nozione di soluzione massimale.

14.8. Soluzioni massimali. Date due soluzioni u1 : 𝐼1 → ℝ𝑑 e u2 : 𝐼2 → ℝ𝑑 dell'equazione


dierenziale u (𝑡) = 𝑓 (𝑡, u (𝑡)) , diciamo u2 è un prolungamento di u1 , e scriviamo u1 ≺ u2 , se
0

𝐼1 ⊂ 𝐼2 , u1 (𝑥) = u2 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐼1 .
In altri termini, u2 estende la soluzione u1 oltre il suo dominio di denizione 𝐼1 .
Una soluzione u : 𝐼 → ℝ𝑑 si dice massimale se non esistono soluzioni v : 𝐽 → ℝ𝑑 che estendono u
propriamente, ossia tali che 𝐼 ( 𝐽 .

14.9. Teorema [Esistenza e unicità della soluzioine massimale]. Sia 𝐴 ⊂ ℝ × ℝ𝑑 un aperto e


𝑓 : 𝐴→ ℝ𝑑 una funzione continua e lipschitziana nella seconda variabile. Dato (𝑡 0 , u0 ) ∈ 𝐴, esiste
un'unica soluzione massimale del problema di Cauchy (14.1).

Dimostrazione. Consideriamo l'insieme delle soluzioni del problema di Cauchy:



S = u : 𝐼u → ℝ 𝑑 , soluzione di (14.1) .
Si noti che per il Teorema 14.2 l'insieme S non è vuoto. Grazie al Corollario 14.7 è possibile denire

la seguente funzione:
Ø
𝐼 := 𝐼u U : 𝐼 → ℝ𝑑 U(𝑡) = u(𝑡) ∀ 𝑡 ∈ 𝐼u .
u ∈S
Si noti che a denizione di U è ben posta: infatti, se 𝑡 ∈ 𝐼u ∩ 𝐼v , con u, v ∈ S , allora per il Corollario
14.7 si ha che u(𝑡) = v(𝑡) . Inoltre, U è un prolungamento di ogni soluzione u del problema di Cauchy
e quindi è essa stessa soluzione: per ogni 𝑡 ∈ 𝐼 esiste una soluzione u tale che U(𝑠) = u(𝑠) per ogni 𝑠
0
in un intorno di 𝑡 , per cui U (𝑡) = 𝑓 (𝑡, U(𝑡)) . In altre parole, U∈S è l'unica soluzione massimale del

problema di Cauchy: infatti, se esistesse un'altra soluzione massimale V : 𝐽 → ℝ𝑑 , allora V ∈ S e U


sarebbe un prolungamento di V; per la massimalità di V, si deduce quindi che V = U.

Nel caso in cui l'aperto 𝐴 è un cilindro innito 𝐴 = 𝐼 × ℝ𝑑 , la soluzione massimale è denita su tutto

𝐼.
14.10. Teorema [esistenza globale]. Sia 𝐴 = 𝐼 ×ℝ𝑑 ⊂ ℝ×ℝ𝑑 con 𝐼 intervallo e sia 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una

funzione continua e lipschitziana nella seconda variabile. Allora, la soluzione massimale del problema

di Cauchy (14.1) è denita globalmente su 𝐼.


Dimostrazione. Sia u : (𝑎, 𝑏) → ℝ la soluzione massimale ( 𝑎 = −∞ o 𝑏 = +∞ sono casi ammessi).
Se (𝑎, 𝑏) ( 𝐼 , allora esiste 𝑟 > 0 tale che o (𝑎 − 𝑟, 𝑎 + 𝑟) ⊂ 𝐼 oppure(𝑏 − 𝑟, 𝑏 + 𝑟) ⊂ 𝐼 . Per simmetria
supponiamo il primo caso e applichiamo il Teorema 14.2, nella sua versione dell'osservazione 14.3, con

dato iniziale 0𝑡 = 𝑎+𝜂/2, con 𝜂 < min{𝑟, 1/𝐿} e 𝑝 0 = u(𝑡 0 ) : esiste una soluzione v : (𝑡 0 −𝜂, 𝑡0 +𝜂) → ℝ𝑑 .
La funzione

u(𝑡) 𝑡 ∈ [𝑎 + 𝜂/2, 𝑏),
U(𝑡) =
v(𝑡) 𝑡 ∈ (𝑎 − 𝜂/2, 𝑎 + 𝜂/2),
ESEMPI 93

è un prolungamento della soluzione u, contraddicendo la massimalità di u. Ne deriva che necessaria-

mente (𝑎, 𝑏) = 𝐼 .

14.11. Locale lipschitzianità. I risultati appena esposti rimangono validi (con dimostrazioni invaria-

te!) se si assume un condizione di lipschitzianità locale nella seconda variabile per 𝑓:


∀(𝑡 0 , u0 ) ∈ 𝐴 ∃𝑟, 𝐿 > 0 tali che

| 𝑓 (𝑡, p) − 𝑓 (𝑡, q)| ≤ 𝐿| 𝑝 − 𝑞| ∀𝑡 ∈ (𝑡 0 − 𝑟, 𝑡0 + 𝑟) ∀p, q ∈ 𝐵𝑟 (u0 ).

Teorema del confronto


Un'importante conseguenza del teorema di unicità è il teorema del confronto per soluzioni scalari di

equazioni dierenziali.

14.12. Teorema di confronto. Sia (𝑎, 𝑏) ⊆ ℝ e 𝑓 , 𝑔 ∈ 𝐶 ((𝑎, 𝑏) × ℝ) localmente lipschitziane nella

seconda variabile. Siano 𝑢, 𝑤 ∈ 𝐶 1 (𝑎, 𝑏) tali che


𝑢 0 (𝑡) ≤ 𝑓 (𝑡, 𝑢(𝑡)), 𝑤 0 (𝑡) ≥ 𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ∀ 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏),
e supponiamo che

𝑓 (𝑡, 𝑢(𝑡)) ≤ 𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ∀ 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏).


Allora

𝑢(𝑡0 ) ≤ 𝑤(𝑡 0 ) implica 𝑢(𝑡) ≤ 𝑤(𝑡) per 𝑡 ≥ 𝑡0 ,


𝑢(𝑡0 ) ≥ 𝑤(𝑡 0 ) implica 𝑢(𝑡) ≥ 𝑤(𝑡) per 𝑡 ≤ 𝑡0 .

Dimostrazione. Sia 𝐿 la costante di Lipschitz di 𝑓 nella seconda variabile: allora per ogni 𝑡 > 𝑡0
possiamo scrivere

𝜙 0 (𝑡) := 𝑢 0 (𝑡)−𝑤 0 (𝑡) ≤ 𝑓 (𝑡, 𝑢(𝑡))−𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ≤ 𝑔(𝑡, 𝑢(𝑡))−𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ≤ 𝐿|𝑢(𝑡)−𝑤(𝑡)| = 𝐿|𝜙(𝑡)|.
Se per assurdo esiste ¯𝑡 > 𝑡 0 tale che 𝜙(¯𝑡 ) > 0, allora per il teorema di permanenza del segno possiamo
dire che esiste 𝜉 ∈ [𝑡 0 , ¯𝑡 ) tale che 𝜙(𝑡) > 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝜉, 𝑑) : quindi, moltiplicando per 𝑒 −𝐿𝑡 la
disuguagianza dierenziale, otteniamo che
0
𝑒 −𝐿𝑡 𝜙(𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 (𝜙 0 (𝑡) − 𝐿𝜙(𝑡)) ≤ 0


cioè 𝑒 −𝐿𝑡 𝜙(𝑡) è una funzione monotona non crescente in [𝜉, ¯𝑡 ] , il che porta alla contraddizione

0 = 𝑒 −𝐿 𝜉 𝜙(𝜉) ≥ 𝑒 −𝐿𝑑 𝜙(¯𝑡 ) > 0.


La seconda aermazione si dimostra in modo analogo.

Esempi
Di seguito facciamo alcuni esempi di casi in cui si applica di Teorema di CauchyLipschitz.

14.13. Equazioni a variabili separabili.


𝑢 0 (𝑡) = 𝑔(𝑡)ℎ(𝑢(𝑡)).
In questo caso 𝑓 (𝑡, 𝑝) = 𝑔(𝑡)ℎ( 𝑝) è continua se lo sono 𝑔 e ℎ, e localmente Lipschitz se lo è la funzione
ℎ, visto che

| 𝑓 (𝑠, 𝑝) − 𝑓 (𝑠, 𝑞)| = |𝑔(𝑠)||ℎ( 𝑝) − ℎ(𝑞)| ≤ k𝑔k ∞ Lip (ℎ)| 𝑝 − 𝑞|,


dove k𝑔k ∞ e Lip (ℎ) denotano (rispettivamente) la norma uniforme di 𝑔 e la costante di Lipschitz della

funzione ℎ in un intorno di un dato punto.


94 14. PROBLEMA DI CAUCHY

14.14. Equazioni lineari di primo ordine.


𝑢 0 (𝑡) + 𝑎(𝑡)𝑢(𝑡) = 𝑏(𝑡).
Se le funzioni 𝑎 e 𝑏 sono continue abbiamo che le ipotesi del teorema di Cauchy-Lipschitz sono

soddisfatte: in questo caso 𝑓 (𝑠, 𝑝) = 𝑏(𝑡) − 𝑎(𝑡) 𝑝 e

| 𝑓 (𝑠, 𝑝) − 𝑓 (𝑠, 𝑞)| = |𝑎(𝑠)|| 𝑝 − 𝑞| ≤ k𝑎k ∞, [𝑡0 −𝜀,𝑡0 +𝜀 ] | 𝑝 − 𝑞| = 𝐿| 𝑝 − 𝑞|,


in un intorno di ogni punto 𝑡0 ∈ ℝ. Inoltre, se 𝑎 è globalmente limitata, allora 𝑓 è globalmente

lipschitziana nella seconda variabile.

14.15. Funzioni 𝑓 regolari. In generale, se 𝑓 ∈ 𝐶 1 ( 𝐴) e 𝐴 è convesso, vale

| 𝑓 (𝑠, 𝑝) − 𝑓 (𝑠, 𝑞)| = |𝜕2 𝑓 (𝑠, 𝜉)|| 𝑝 − 𝑞| ≤ 𝐿| 𝑝 − 𝑞|,


dove abbiamo usato il Teorema di Lagrange ( 𝜉 è un punto intermedio tra 𝑝 e 𝑞) e 𝐿 = k𝜕2 𝑓 k ∞ .

1. Esercizi e complementi

Esercizio 14.1. Risolvere il seguente problema di Cauchy


2
 𝑢 0 (𝑡) = 𝑘 𝑢 (𝑡)



𝑢 2 (𝑡) + 1
= 1.


 𝑢(0)

Esercizio 14.2. Risolvere il seguente problema di Cauchy


𝑢 0 (𝑡)
= 𝑢 3 (𝑡)


𝑢(0) = 1.

Esercizio 14.3. Si calcolino tutte le soluzioni della seguente equazione dierenziale


4[𝑞 (𝑡)] 2 + 𝑞(𝑡)𝑞 0 (𝑡) = 0.
0

Esercizio 14.4. Si consideri il problema di Cauchy:


𝑢 0 (𝑡)
= 𝑢(𝑡) 1 + 𝑢 2 (𝑡)
 

𝑢(0) = 𝑢 0 .
1. Dire se il problema possiede un'unica soluzione in un intorno dell'origine.
2. Dire se la soluzione è monotona nell'intervallo in cui è denita.
3. Determinare la soluzione che soddisfa la condizione iniziale 𝑢(0) = 0 e calcolare l'intervallo massimale
di denizione.
4. Determinare la soluzione che soddisfa la condizione iniziale 𝑢(0) = 1 e calcolare l'intervallo massimale
di denizione.
Esercizio 14.5. Si consideri l'equazione dierenziale
𝑢 0 (𝑡) = 𝐹 (𝑢(𝑡)),
dove la nonlinearità 𝐹 è una funzione di classe 𝐶 1 (ℝ) . Provare o smentire con un esempio le seguenti
aermazioni:
1. ogni soluzione ha ℝ come intervallo di esistenza,
2. ogni soluzione è monotona,
1. ESERCIZI E COMPLEMENTI 95

3. se 𝐹 è crescente allora 𝑢 è convessa,


4. se 𝐹 è pari allora 𝑢 è dispari,
5. non esistono soluzioni periodiche.
Esercizio 14.6. Assegnata la funzione
1 − 𝑡2

𝑡 ∈ [−1, 1]
𝑎(𝑡) =
0 𝑡 ∉ [−1, 1],
si determinino le soluzioni dei problemi di Cauchy
𝑦 0 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑦(𝑡)


𝑦(0) = 𝑦 0 ∈ {±2, ±1, 0}.

Esercizio 14.7. Assegnata l'equazione dierenziale di Benoulli


0
𝑥 (𝑠) = 𝑎(𝑠)𝑥(𝑠) + 𝑏(𝑠)𝑥 𝑘 (𝑠) 𝑘 ∈ ℕ, 𝑎, 𝑏 ∈ 𝐶 (ℝ),
si dimostri che è possibile ottenere le soluzioni imponendo che 𝑥(𝑠) = 𝑐(𝑠)𝑒 𝐴(𝑠) , dove 𝐴 è una primitiva
della funzione 𝑎 .
Esercizio 14.8. Dato il seguente problema di Cauchy
 𝑢 0 (𝑡) = 𝑢(𝑡) [𝑢(𝑡) − 1]



2𝑢(𝑡) − 1 𝜆 ∈ (0, 1) \ {1/2},
 𝑢(0) = 𝜆


1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑢𝜆 (𝑡) ,
2. si scriva esplicitamente la soluzione per 𝜆 = 2/3,
3. perché la soluzione trovata non è denita su tutto ℝ?
Esercizio 14.9. Assegnata la seguente equazione dierenziale
𝑤 0 (𝑥) = 𝑎(𝑥)𝑒 −𝑤 ( 𝑥) 𝑎 ∈ 𝐶 (ℝ),
si ricavi un'espressione esplicita delle soluzioni.
Esercizio 14.10. Dato il problema di Cauchy
𝑢 0 (𝑡)
= −𝑢(𝑡) [𝑢 2 (𝑡) + 1]

𝑐 ∈ ℝ,
𝑢(0) = 𝑐
si risponda alle questioni seguenti:
1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑢 𝑐 (𝑡) ,
2. si spieghi perché le soluzioni sono necessariamente monotone,
3. sapendo che dom (𝑢 𝑐 ) ⊇ [0, +∞) , cosa si può dire a proposito del limite per 𝑡 −→ +∞ di 𝑢 𝑐 (𝑡) ?
4. Si scriva esplicitamente la soluzione del problema di Cauchy per 𝑐 = 1.
Esercizio 14.11. Dato il problema di Cauchy
𝑢 0 (𝑡)
= (1 + 𝑡)𝑒 −𝑢 (𝑡)


𝑢(0) = 0,
si discutano le seguenti aermazioni:
1. il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑢,
2. la soluzione è crescente e non ha punti stazionari,
3. 𝑢 è concava.
Inne si calcoli esplicitamente la soluzione.
96 14. PROBLEMA DI CAUCHY

Esercizio 14.12. Dato il problema di Cauchy


𝑢 0 (𝑡)
= 𝑡 2 + 𝑢 2 (𝑡)


𝑢(0) = 1,
1. si verichi che per esso vale il teorema di esistenza ed unicità della soluzione del problema di Cauchy,
2. si calcoli il polinomio di Taylor 𝑇3 (𝑡) (di ordine 𝑛 = 3 e punto iniziale 𝑡0 = 0) della sua soluzione.
Esercizio 14.13. Assegnata l'equazione dierenziale autonoma
1
𝑤 0 (𝑡) = ,
1 + 𝑤(𝑡)
1. si verichino le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità al variare dei dati iniziali (𝑡0 , 𝑤 0 ) ,
2. si determinino almeno tre sue soluzioni,
3. si determini la soluzione del problema di Cauchy 𝑤(0) = 0,
4. si provi che le soluzioni 𝑤(𝑡) dell'equazione sono tutte funzioni monotone.
Esercizio 14.14. Dato il problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
= sin(𝑤 2 (𝑥))

𝑐 ∈ ℝ,
𝑤(0) = 𝑐
si risponda alle questioni seguenti:
1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑤 𝑐 (𝑡) ,
2. si dica per quali 𝑐 le soluzioni sono crescenti,
3. sapendo che dom (𝑤 𝑐 ) = ℝ, cosa si può dire a proposito del limite per√ 𝑥 −→ +∞ di 𝑤 𝑐 (𝑥) ?
4. Si scriva esplicitamente la soluzione del problema di Cauchy per 𝑐 = 𝜋.
Esercizio 14.15. Dato il problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
= 𝑒 −𝑥 𝑤(𝑥)

𝑐 ∈ ℝ,
𝑤(0) = 𝑐
si provi che
1. il problema possiede un'unica soluzione,
2. le soluzioni costituiscono uno spazio vettoriale,
inne si scriva l'espressione esplicita della funzione
Esercizio 14.16. Dato il problema di Cauchy
𝑧 0 (𝑡)
= 𝑒 −𝑡 𝑧(𝑡) (𝑧(𝑡) − 1)


𝑧(0) = 1/2,
si risponda alle questioni seguenti:
1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑧(𝑡) ,
2. si spieghi perché la soluzioni è monotona,
3. sapendo che dom (𝑧) = ℝ, cosa si può dire a proposito del limite per 𝑡 −→ +∞ di 𝑧(𝑡) ?
4. Si scriva esplicitamente la soluzione del problema di Cauchy.
Esercizio 14.17. Sia 𝐴 ⊂ ℝ × ℝ𝑑 un aperto e 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una funzione continua e lipschitziana
nella seconda variabile di costante 𝐿 . Sia u : (𝑎, 𝑏) → ℝ𝑑 una soluzione massimale. Allora, per ogni
compatto 𝐾 ⊂ 𝐴, esiste 𝛿 > 0 tale che
(14.1) u(𝑡) ∈ 𝐴 \ 𝐾 ∀ 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑎 + 𝛿) ∪ (𝑏 − 𝛿, 𝑏).
CAPITOLO 15

Sistemi di equazioni dierenziali lineari

In questa sezione ci interesseremo ai sistemi lineari, cioè di sistemi di equazioni dierenziali del seguente

tipo

(15.1) u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏), −∞ ≤ 𝑎 < 𝑏 ≤ +∞.


0
con u : (𝑎, 𝑏) → ℝ𝑑 e 𝐴∈𝐶 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑×𝑑 ) un campo di matrici continue:
𝑎 11 (𝑡) 𝑎 12 (𝑡) ... 𝑎 1𝑑 (𝑡)
­ 11 (𝑡) 𝑎 12 (𝑡) 𝑎 1𝑑 (𝑡)
© ª
𝑎 ... ®
𝐴(𝑡) = ­­ .. .. .. ®.
®
­ . . ... . ®
« 𝑑 1 (𝑡)
𝑎 𝑎 𝑑 2 (𝑡) ... 𝑎 𝑑𝑑 (𝑡) ¬
𝐴(𝑡)u(𝑡) denota il prodotto righe per colonne tra una matrice e un vettore.

15.1. Grazie al Teorema 14.10 (e all'osservazione in Ÿ 14.11) sappiamo che le soluzioni massimali

del sistema (15.5) hanno come dominio tutto l'intervallo (𝑎, 𝑏) . Infatti, la funzione 𝑓 (𝑠, 𝑝) = 𝐴(𝑠) 𝑝 è

localmente lipschitziana nella seconda variabile ed è denita sul cilindro innito (𝑎, 𝑏) × ℝ𝑑 .
15.2. Denotiamo con 𝑊 l'insieme delle soluzioni di (15.1):

𝑊 = u ∈ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) : u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) .




I sistemi di equazioni (15.1) si chiamano lineari perché l'insieme delle soluzioni 𝑊 ha la struttura di

spazio vettoriale:

∀ u, v ∈ 𝑊 ∀ 𝜇, 𝜆 ∈ ℝ allora 𝜇u + 𝜆v ∈ 𝑊 .
Infatti

(𝜇u + 𝜆v) 0 = 𝜇u0 + 𝜆v 0 == 𝜇 𝐴(𝑡)u(𝑡) + 𝜆𝐴(𝑡)v(𝑡) = 𝐴(𝑡) (𝜇u + 𝜆v).


Il teorema che segue mostra come la dimensione di 𝑊 sia esattamente 𝑑 (cioè il numero di equazioni

del sistema, che è uguale al numero di incognite) e come si possa trovare una base esibendo un

isomorsmo esplicito con ℝ𝑑 basato sulla soluzioni dei problemi di Cauchy.

15.3. Teorem. Sia 𝐴 ∈ 𝐶 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑×𝑑 ) . Lo spazio delle soluzioni 𝑊 del sistema di equazioni lineari

(15.1) è un sottospazio vettoriale di dimensione 𝑑 di 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) e la mappa Φ : ℝ𝑑 → 𝑊 che

associa ad ogni vettore 𝑣 ∈ ℝ𝑑 la soluzione del problema di Cauchy (relativo ad un tempo iniziale
𝑡0 ∈ (𝑎, 𝑏) ssato)
(
u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡)
(15.2)
u(𝑡 0 ) = 𝑣,
è un isomorsmo.

Dimostrazione. Per ogni 𝑣 ∈ ℝ𝑑 sia Φ(𝑣) l'unica soluzione del problema di Cauchy
(
Φ(𝑣) 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)Φ(𝑣) (𝑡)
(15.3)
Φ(𝑣) (𝑡 0 ) = 𝑣.
97
98 15. SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI

Osserviamo subito che l'applicazione è ben posta, visto che sono soddisfatte tutte le ipotesi del

Teorema 14.10 di Cauchy-Lipschitz e del Teorema per cui ad ogni punto 𝑣 possiamo associare

un'unica funzione di 𝑊. Mostriamo che l'applicazione Φ è lineare: consideriamo due punti distinti

𝑣, 𝑤 ∈ ℝ𝑑 e le relative soluzioni Φ(𝑣) e Φ(𝑤) . Mostrare che l'applicazione è lineare signica vericare

che

Φ(𝜆𝑣 + 𝜇𝑤) (𝑡) = 𝜆Φ(𝑣) (𝑡) + Φ𝜇(𝑤) (𝑡) ∀𝜆, 𝜇 ∈ ℝ ∀𝑣, 𝑤 ∈ ℝ𝑑 .


Siccome, per la linearità dell'operazione di derivazione, vale
0
= 𝜆 [Φ(𝑣) (𝑡)] 0 + 𝜇 [Φ(𝑤) (𝑡)] 0

𝜆Φ(𝑣) (𝑡) + 𝜇Φ(𝑤) (𝑡)
= 𝜆𝐴(𝑡)Φ(𝑣) (𝑡) + 𝜇 𝐴(𝑡)Φ(𝑤) (𝑡) = 𝐴(𝑡) [𝜆Φ(𝑣) (𝑡) + 𝜇Φ(𝑤) (𝑡)] ,
e abbiamo anche che
 
𝜆Φ(𝑣) (𝑡0 ) + 𝜇Φ(𝑤) (𝑡0 ) = 𝜆𝑣 + 𝜇𝑤,
possiamo concludere che la funzione 𝜆Φ(𝑣) (𝑡) + 𝜇Φ(𝑣) (𝑡) è l'unica soluzione del sistema di equazioni

dierenziali (15.1) con dato iniziale 𝜆𝑣 + 𝜇𝑤 , cioè


Φ(𝜆𝑣 + 𝜇𝑤) (𝑡) = 𝜆Φ(𝑣) (𝑡) + 𝜇Φ(𝑤) (𝑡),
come volevamo dimostrare.

Mostriamo adesso che Φ : ℝ𝑑 → 𝑊 è iniettiva e suriettiva. Per l'iniettività basta mostrare che il
nucleo è banale: se Φ(𝑣) è la soluzione costantemente nulla, allora in particolare Φ(𝑣) (𝑡 0 ) = 𝑣 = 0,

ossia Φ(𝑣) = 0 se e solo se 𝑣 = 0. Da qui l'iniettività: se Φ(𝑣) = Φ(𝑤) , allora Φ(𝑣 − 𝑤) = 0, da cui

𝑣 − 𝑤 = 0, ossia 𝑣 = 𝑤 .
La suriettività è immediata dal teorema di Cauchy-Lipschitz perché ogni soluzione u ∈ 𝑊 è l'immagine

tramite Φ del punto u(𝑡 0 ) :

u = Φ(u(𝑡 0 )) ∀ u ∈ 𝑊.
Dall'esistenza dell'isomorsmo Φ deduciamo anche che dim (𝑊) = 𝑑 .

Matrice delle soluzioni


Il precedente risultato mostra che l'insieme delle soluzioni di un sistema omogeneo di equazioni die-

renziali lineari ha una naturale struttura di spazio vettoriale reale di dimensione pari al numero delle

equazioni (o al numero delle funzioni incognite, che è lo stesso).

Diremo che un insieme {u1 , ..., u 𝑘 } ⊂ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) di soluzioni di un sistema di equazioni lineari
(15.1) sono linearmente dipendenti se esistono 𝑘 numeri reali {𝜆1 , ..., 𝜆 𝑛 } ∈ ℝ𝑛 non tutti nulli, tali
che
𝑛
∑︁
𝜆 𝑗 u 𝑗 (𝑡) = 𝜆1 u1 (𝑡) + ... + 𝜆 𝑛 u𝑛 (𝑡) = 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏).
𝑗=1

Diremo che tali funzioni sono linearmente indipendenti se la precedente relazione è vera solo nel

caso in cui 𝜆1 = ... = 𝜆 𝑘 = 0.


Un criterio per vericare che un insieme di funzioni è linearmente indipendente è il seguente.

15.4. Teorema. Una famiglia di soluzioni {u1 (𝑡), ..., u 𝑘 (𝑡)} del sistema omogeneo (15.1) è linear-

mente dipendente in 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) se e solo se esiste un tempo 𝜏 ∈ (𝑎, 𝑏) tale che i vettori

{u1 (𝜏), ..., u 𝑘 (𝜏)} 𝑑


sono linearmente dipendenti in ℝ .

Dimostrazione. Supponiamo che esista 𝜏 ∈ (𝑎, 𝑏) e {𝜆1 , ..., 𝜆 𝑘 } ⊆ ℝ (non tutti nulli) tali che
𝜆1 u1 (𝜏) + ... + 𝜆 𝑘 u 𝑘 (𝜏) = 𝑂 . Allora, per l'unicità della soluzione del problema di Cauchy, possiamo
dedurre che la funzione u(𝑡) = [𝜆 1 u1 (𝑡) + ... + 𝜆 𝑘 u 𝑘 (𝑡)] è soluzione di (15.1) e assume come dato

iniziale, per 𝑡 = 𝜏 , il vettore nullo, quindi u(𝑡) = 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏) , cioè le funzioni sono linearmente

dipendenti.
MATRICE DELLE SOLUZIONI 99

L'implicazione opposta è ovvia.

15.5. Corollario. Se 𝑘 = 𝑑 , allora i vettori sono linearmente indipendenti se la matrice che si ottiene

aancando le soluzioni u𝑖 come colonne


𝑈 (𝑡) = (u1 (𝑡)| · · · |u𝑑 (𝑡))
ha determinante non nullo per un 𝑡0 (e quindi per tutti i punti 𝑡 ).
Ha senso quindi introdurre la seguente

15.6. Denizione [Matrice delle soluzioni]. Siano {u1 , ..., u𝑑 } soluzioni linearmente indipendenti

del sistema omogeno (15.1). La matrice che si ottiene aancando le soluzioni u𝑖 come colonne 𝑈 (𝑡)
viene detta matrice fondamentale delle soluzioni. Inoltre, se verica la relazione 𝑈 (𝑡0 ) = 𝐼𝑛 ∈ ℝ𝑑×𝑑
diremo che è una matrice fondamentale speciale al tempo 𝑡 0 . A volte indicheremo una tale matrice

usando la notazione 𝑈 (𝑡; 𝑡0 ) .


Proviamo alcuni risultati utili relativamente alla matrice fondamentale.

15.7. Teorema. Siano {u1 (𝑡), ..., u𝑑 (𝑡)} 𝑑 soluzioni linearmente indipendenti di (15.1).
1. La relativa metrice di soluzioni 𝑈 (𝑡) risolve la seguente equazione dierenziale matriciale

(15.4) 𝑈 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡).

2. Se 𝑈 (𝑡) è soluzione di (15.4), allora ogni sua colonna u 𝑗 (𝑡) è soluzione del sistema omogeneo

(15.1).

3. La matrice fondamentale speciale 𝑈 (𝑡; 𝑡 0 ) del sistema omogeneo (15.1) è l'unica soluzione del

problema di Cauchy

𝑈 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)




𝑈 (𝑡0 ) = 𝐼 𝑑 .

4. Per ogni u0 ∈ ℝ𝑛 , la funzione u(𝑡) = 𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 è l'unica soluzione del problema di Cauchy

u0 (𝑡)

= 𝐴(𝑡)u(𝑡)
u(𝑡 0 ) = u0

5. 𝑈 (𝑡; 𝑡0 ) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡0 ) è la matrice fondamentale speciale relativa a 𝑡0 .


Dimostrazione. 1. e 2. Possiamo scrivere
   
𝐴(𝑡) = 𝐴 𝑗 𝑘 (𝑡) 𝑗,𝑘=1,...,𝑑
𝑈 (𝑡) = 𝑈 𝑗 𝑘 (𝑡) 𝑗,𝑘=1,...,𝑑 = (uk 𝑗 ) 𝑗,𝑘=1,...,𝑑 ,
dove (u 𝑘 ) 𝑗 denota la 𝑗 -esima componente del vettore u𝑘 . In particolare, deduciamo che
" 𝑛
#
∑︁
(uk ) 𝑗 = [𝑈 0 (𝑡)] 𝑗 𝑘 = [ 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)] 𝑗 𝑘 = 𝐴 𝑗𝑖 (𝑡)uk 𝑖 (𝑡) ,
𝑖=1
ossia (15.4) è equivalente a richiedere che le funzioni u𝑘 risolvano il sistema di equazioni dierenziali.

3. La matrice fondamentale speciale risolve l'equazione dierenziale matriciale e per denizione

soddisfa 𝑈 (𝑡 0 ; 𝑡0 ) = 𝑈 (𝑡0 ) = 𝐼 𝑑 . L'unicità segue dal problema di Cauchy.

4. Per denizione u(𝑡) = 𝑈 (𝑡; 𝑡0 )u0 soddisfa u(𝑡 0 ) = 𝑈 (𝑡0 ; 𝑡0 )u0 = 𝐼 𝑑 u0 = u0 e

0 0 0
u (𝑡) = [𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 ] = 𝑈 (𝑡; 𝑡0 )u0 = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 = 𝐴(𝑡)u(𝑡).

5. La matrice 𝑈 (𝑡; 𝑡 0 ) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡 0 ) risolve l'equazione dierenziale matriciale:

0 0 −1
𝑈 (𝑡; 𝑡 0 ) = 𝑈 (𝑡)𝑈 (𝑡0 ) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡0 ) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡; 𝑡 0 );
100 15. SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI

inoltre vale

𝑈 (𝑡0 ; 𝑡0 ) = 𝑈 (𝑡 0 )𝑈 −1 (𝑡0 ) = 𝐼 𝑑 ,

da cui la conclusione.

Sistemi lineari a coecienti costanti


Consideriamo il caso particolare di sistemi di equazioni dierenziali lineari del primo ordine a coecienti

costanti:

𝑎 11 𝑎 12 ... 𝑎 1𝑑
© ª
0
­ 𝑎 21 𝑎 22 ... 𝑎 2𝑑 ®
u (𝑡) = 𝐴u(𝑡) 𝑡 ∈ ℝ, 𝐴 = ­­ . .. .. ® ∈ ℝ𝑑×𝑑 .
­ ..
®
. ... . ®
« 𝑎 𝑑1 𝑎 𝑑2 ... 𝑎 𝑑𝑑 ¬

15.8. Consideriamo le matrici quadrate 𝑑×𝑑 a coecienti in ℝ con la norma euclidea:

𝑑
! 12
∑︁
| 𝐴| = 𝑎 2𝑖 𝑗 .
𝑖, 𝑗=1

È una conseguenza della disuguaglianza di CauchySchwarz (v. Teorema 2.6) che

| 𝐴𝐵| ≤ | 𝐴||𝐵|.
Í𝑑
Infatti, ( 𝐴𝐵)𝑖 𝑗 = 𝑘=1 𝑎 𝑖𝑘 𝑏 𝑘 𝑗 e

𝑑 𝑑
!2 𝑑 𝑑 𝑑
! 𝑑 𝑑
∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁
2
| 𝐴𝐵| = 𝑎 𝑖𝑘 𝑏 𝑘 𝑗 ≤ 𝑎 2𝑖𝑘 𝑏 2𝑘 𝑗 = 𝑎 2𝑖𝑘 𝑏 2𝑘 𝑗 = | 𝐴| 2 |𝐵| 2 .
𝑖 𝑗=1 𝑘=1 𝑖 𝑗=1 𝑘=1 𝑘=1 𝑖𝑘=1 𝑘, 𝑗=1

Iterando la disuguaglianza si deduce che

| 𝐴 𝑘 | ≤ | 𝐴| 𝑘 .

15.9. Denizione [Esponenziale di matrici]. Deniamo la matrice esponenziale 𝑒 𝐴 come il limite


della serie

+∞
∑︁ 𝐴𝑘
𝑒 𝐴 := ∈ ℝ𝑑×𝑑 .
𝑘=0
𝑘!

La denizione è ben posta perché la serie converge assolutamente nello spazio delle matrici con la

norma euclidea:

+∞ +∞
∑︁ | 𝐴 𝑘 | ∑︁ | 𝐴| 𝑘
≤ = 𝑒 | 𝐴| < +∞.
𝑘=0
𝑘! 𝑘=0
𝑘!
SISTEMI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI 101

15.10. Proposizione [Proprietà della matrice esponenziale]. Valgono i fatti seguenti:

1. 𝑒 𝑂𝑑 = 𝐼 𝑑 ∈ ℝ𝑑×𝑑 ,
2. 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ𝑑×𝑑 matrici 𝐴𝐵 = 𝐵𝐴) allora 𝑒 𝐴+𝐵 = 𝑒 𝐴 𝑒 𝐵 ,
che commutano (cioè
𝐴 è sempre invertibile e 𝑒 𝐴 −1 = 𝑒 −𝐴,
 
3. la matrice esponenziale 𝑒
− 1
4. 𝐴, 𝐶, 𝐶 −1 ∈ ℝ𝑑×𝑑 allora 𝑒𝐶 𝐴𝐶 = 𝐶𝑒 𝐴𝐶 −1 .
𝑑
5. 𝑡 ↦→ 𝑒 𝐴𝑡 è derivabile e 𝑒 𝐴𝑡 = 𝐴𝑒 𝐴𝑡 per ogni 𝑡 ∈ ℝ.
𝑑𝑡
Dimostrazione. 1. Dalla denizione

1 1
𝑒 𝑂𝑑 = 𝐼 𝑑 + 𝑂 𝑑 + 𝑂 2𝑑 + 𝑂 3𝑑 + · · · + = 𝐼 𝑑 .
2 3!

2. Dalla denizione di matrice esponenziale, ricordando la formula di Newton delle potenze di un

binomio e grazie al fatto che 𝐴𝐵 = 𝐵𝐴, possiamo scrivere


𝑁 𝑁 𝑘   𝑁 ∑︁𝑘
∑︁ 1 𝑘
∑︁ 1 ∑︁ 𝑘 ∑︁ 𝐴 𝑗 𝐵 𝑘− 𝑗
( 𝐴 + 𝐵) = 𝐴 𝑗 𝐵 𝑘− 𝑗 = .
𝑘=0
𝑘! 𝑘=0
𝑘! 𝑗=0 𝑗 𝑘=0 𝑗=0
𝑗! (𝑘 − 𝑗)!

Considerando che le serie convergono assolutamente (per cui i termini possono essere riarrangiati),

passando al limite per 𝑁 → +∞, si ottiene la tesi.


3. Siccome vale 𝑂 𝑑 = 𝐴 − 𝐴 e 𝐴 e −𝐴 commutano, per il punto 2. abbiamo che

  −1
𝐼 𝑑 = 𝑒 𝑂𝑑 = 𝑒 𝐴 𝑒 −𝐴 =⇒ 𝑒 −𝐴 = 𝑒 𝐴 .

4. Per ogni 𝑁 ∈ ℕ, si ha che

𝑁
∑︁ 1 1 1
(𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 𝑘 = 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 2 + ... + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 𝑁
𝑘=0
𝑘! 2 𝑁!
1 1
= 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + ... + (𝐶 𝐴𝐶 −1 )...(𝐶 𝐴𝐶 −1 )
2 𝑁!
1 1
= 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + 𝐶 𝐴2 𝐶 −1 + ... + 𝐶 𝐴 𝑁 𝐶 −1
2 𝑁!
1 1
= 𝐶 𝐼 𝑑 𝐶 −1 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + 𝐶 𝐴2 𝐶 −1 + ... + 𝐶 𝐴 𝑁 𝐶 −1
 2  𝑁!
1 2 1 𝑁
= 𝐶 𝐼 𝑑 + 𝐴 + 𝐴 + ... + 𝐴 𝐶 −1 ,
2 𝑁!
e la tesi si ottiene per 𝑁 −→ +∞.
5. Dato che 𝐴𝑡 e 𝐴ℎ sono delle matrici che commutano per ogni 𝑡, ℎ ∈ ℝ, possiamo scrivere
" +∞ #
ℎ 𝑘−1 𝐴𝑡
 
𝑒 𝐴(𝑡+ℎ) − 𝑒 𝐴𝑡 𝑒 𝐴ℎ − 𝐼 𝐴𝑡 ∑︁
= 𝑒 = 𝐴𝑘 𝑒
ℎ ℎ 𝑘=1
𝑘!
" +∞
!#
∑︁
𝑗 ℎ𝑗
= 𝐴 𝐼+ 𝐴 𝑒 𝐴𝑡 = [ 𝐴(𝐼 + 𝑀 ℎ)] 𝑒 𝐴𝑡 → 𝐴𝑒 𝐴𝑡 per ℎ → 0,
𝑗=1
( 𝑗 + 1)!

dove

+∞
∑︁ ℎ𝑖
𝑀= 𝐴𝑖+1 .
𝑖=0
(𝑖 + 2)!

Quindi il limite del rapporto incrementale esiste e [𝑒 𝐴𝑡 ] 0 = 𝐴𝑒 𝐴𝑡 .


102 15. SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI

15.11. Corollario. La matrice fondamentale del sistema di equazioni lineari a coecienti costanti

0
u (𝑡) = 𝐴u(𝑡)
al tempo 𝑡0 è 𝑈 (𝑡; 𝑡0 ) = 𝑒 𝐴(𝑡−𝑡0 ) . In particolare, la soluzione del problema di Cauchy
(
u0 (𝑡) = 𝐴u(𝑡)
u(𝑡0 ) = u0 ,

è data da u(𝑡) = 𝑒 𝐴(𝑡−𝑡0 ) u0 .


Dimostrazione. Segue dalla Proposizione 15.10: infatti, 𝑒 𝐴(𝑡0 −𝑡0 ) = 𝑒 𝑂𝑑 = 𝐼 𝑑 e [𝑒 𝐴(𝑡−𝑡0 ) ] 0 = 𝐴𝑒 𝐴(𝑡−𝑡0 )
è soluzione dell'equazione che denisce la matrice fondamentale in Teorema 15.7.

Equazioni lineari con termine forzante


In questa sezione studiamo i sistemi lineari di equazioni dierenziali ordinarie con termini forzanti

f : (𝑎, 𝑏) → ℝ𝑑 ,
(15.5) u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) + f (𝑡).

La prima considerazione importante è che l'insieme delle soluzioni di (15.5) è uno spazio ane.

15.12. Proposizione. Siano u e v due soluzioni di (15.5), allora la funzione u−v è soluzione del

sistema omogeneo (15.1).

Dimostrazione. Infatti abbiamo

(u(𝑡) − v(𝑡)) 0 = u0 (𝑡) − v 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) + 𝑓 (𝑡) − 𝐴(𝑡)v(𝑡) − 𝑓 (𝑡) = 𝐴(𝑡) (u(𝑡) − 𝑢(𝑡))

Il precedente risultato ci dice che per risolvere (15.5) una strategia è quella di determinare una

soluzione particolare w di (15.5) e tutte le soluzioni del sistema omogeneo (15.1):

u ∈ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 )
 
soluzione di (15.5) = w + v : v ∈ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) soluzione di (15.1) .

15.13. Teorema[Formula di J.M.C. Duhamel]. La soluzione del sistema (15.5)

u0 (𝑡)

= 𝐴(𝑡)u(𝑡) + f (𝑡)
u(𝑡 0 ) = u0
dove 𝐴 ∈ 𝐶 0 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) e 𝑓 ∈ 𝐶 0 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) (con −∞ ≤ 𝑎 < 𝑏 ≤ +∞), si può rappresentare tramite

la seguente espressione
∫ 𝑡
u(𝑡) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡0 )u0 + 𝑈 (𝑡) 𝑈 −1 (𝑠)f (𝑠)𝑑𝑠
𝑡0

dove 𝑈 è una qualsiasi matrice fondamentale del sistema omogeneo associato (15.1).

Dimostrazione. Ragionando come esposto sopra, scriviamo la soluzione del sistema omogeneo con

dato iniziale u0 :
v(𝑡) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡 0 )u0 ,
e determiniamo la soluzione dell'equaziione con la forzante e dato iniziale nullo. Per fare questo

cerchiamo una soluzione della forma

w(𝑡) = 𝑈 (𝑡)c(𝑡).
1. ESERCIZI E COMPLEMENTI 103

Allora,

w 0 (𝑡) = 𝑈 0 (𝑡)c(𝑡) + 𝑈 (𝑡)c0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)c(𝑡) + 𝑈 (𝑡)c0 (𝑡)


★★
= 𝐴(𝑡)w(𝑡) + f (𝑡) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)c(𝑡) + f (𝑡),
dove in ( ) abbiamo usato l'equazione soddisfatta dalla matrice fondamentale
★ 𝑈 (𝑡) e in (
★★) abbiamo
imposto l'equazione (15.5).

Semplicando il termine 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)c(𝑡) da ambo i lati dell'uguaglianza e ricordando che 𝑈 (𝑡) è una

matrice invertibile, otteniamo il seguente sistema per il vettore incognito c(𝑡)


∫ 𝑡
c0 (𝑡) = 𝑈 −1 (𝑡)f (𝑡), cioè c(𝑡) = 𝑈 −1 (𝑠)f (𝑠)𝑑𝑠,
𝑡0
il che conclude la dimostrazione.

1. Esercizi e complementi
CAPITOLO 16

Equazioni lineari a coecienti costanti

In questa capitolo mostriamo come risolvere le equazioni dierenziali lineari a coecienti costanti

omogenee, cioè equazioni del tipo

(16.1) 𝑢 (𝑘) (𝑡) + 𝑎 𝑘−1 𝑢 (𝑘−1) (𝑡) + ... + 𝑎 2 𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡) = 0 𝑡 ∈ ℝ,
con 𝑎 0 , ..., 𝑎 𝑘−1 ∈ ℝ.
È una conseguenza del Teorema 14.10, e sarà ridimostrato in modo diretto nella prossima sezione,

che le soluzioni 𝑢 di (16.1) esistono sempre e sono denite su tutto ℝ.


16.1. Come abbiamo discusso in Ÿ 13.6, le equazioni di grado 𝑘 si riconducono a sistemi di equazioni
dierenziali in 𝑘 incognite: ponendo 𝑣 1 (𝑡) = 𝑢(𝑡) , 𝑣 2 (𝑡) = 𝑢 0 (𝑡) ,... 𝑣 𝑘 (𝑡) = 𝑢 (𝑘−1) (𝑡) , è equivalente
risolvere il seguente sistema


 𝑣 10 (𝑡) = 𝑣 2 (𝑡),
𝑣 0 (𝑡) = 𝑣 3 (𝑡),



 .2



..

 𝑣 0𝑘−1 (𝑡) = 𝑣 𝑘 (𝑡),



 𝑣 0 (𝑡) = −𝑎 𝑣 − 𝑎 𝑣

 𝑘 𝑘−1 𝑘 𝑘−2 𝑘−1 − · · · − 𝑎 1 𝑣 2 − 𝑎 0 𝑣 1 ;

in forma matriciale, v = (𝑣 1 , ..., 𝑣 𝑘 ) e

0 1 0 ... 0
­ 0 0 1 0
© ª
... ®
v 0 (𝑡) = 𝐴v(𝑡), 𝐴 = ­­ ... .. .. ..
­ ®
®.
. . ... . ®
­ 0 0 0 1
­ ®
... ®
« −𝑎 0 −𝑎 1 −𝑎 2 ... −𝑎 𝑘−1 ¬
In particolare, le soluzioni sono tutte le funzioni 𝑢(𝑡) = 𝑒 𝐴𝑡 𝑢 0 con 𝑢 0 = 𝑢(0) ∈ ℝ è il dato iniziale.

Prima però di risolvere esplicitamente il sistema lineare sopra scritto, mostriamo un modo alternativo

di calcolare la soluzione (dimostrandone l'esistenza e l'unicità contestualmente).

Soluzioni in serie di potenze


Per semplicità di esposizione consideriamo il caso di equazioni del secondo ordine

(16.2) 𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡) = 0, 𝑡 ∈ ℝ,


con 𝑎 0 , 𝑎 1 ∈ ℝ. Assumiamo che 𝑢 si scriva come serie di potenze attorno ad un punto 𝑡0 ∈ ℝ:

∑︁
𝑢(𝑡) = 𝑐 𝑘 (𝑡 − 𝑡 0 ) 𝑘 𝑡 ∈ (𝑡 0 − 𝛿, 𝑡0 + 𝛿), 𝛿 > 0,
𝑘=0
e che la serie sia assolutamente convergente. Allora, ricordando il Teorema 8.9, 𝑢 è derivabile innite

volte, le funzioni derivate si esprimo anch'esse in serie di potenze con lo stesso raggio di convergenza

e si ottengono derivando termine a termine:



∑︁ ∞
∑︁
𝑢 0 (𝑡) = 𝑘𝑐 𝑘 (𝑡 − 𝑡 0 ) 𝑘−1 , 𝑢 00 (𝑡) = 𝑘 (𝑘 − 1)𝑐 𝑘 (𝑡 − 𝑡 0 ) 𝑘−2 .
𝑘=1 𝑘=2

105
106 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Imponendo che 𝑢 risolve (16.2), e cambiando l'indice di sommatoria da 𝑘 a 𝑙+1 e 𝑙+2 nei due casi,

si ottiene quindi

0 = 𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡)



∑︁ ∞
∑︁ ∞
∑︁
= (𝑙 + 2) (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+2 (𝑡 − 𝑡0 ) 𝑙 + 𝑎 1 (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+1 (𝑡 − 𝑡 0 ) 𝑙 + 𝑎 0 𝑐 𝑙 (𝑡 − 𝑡0 ) 𝑙
𝑙=0 𝑘=1 𝑙=0

∑︁
= [(𝑙 + 2) (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+2 + 𝑎 1 (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+1 + 𝑎 0 𝑐 𝑙 ] (𝑡 − 𝑡 0 ) 𝑙 .
𝑙=0

Dato che una serie di potenze è nulla se e solo se tutti i coecienti sono nulli (v. Esercizio 10.16),

sono soddisfatte le innite equazioni

−𝑎 1 (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+1 − 𝑎 0 𝑐 𝑙
(16.3) 𝑐 𝑙+2 = 𝑙 ∈ ℕ.
(𝑙 + 2) (𝑙 + 1)
Esplicitiamo le prime equazioni

−𝑎 1 𝑐 1 − 𝑎 0 𝑐 0 −2𝑎 1 𝑐 2 − 𝑎 0 𝑐 1 −3𝑎 1 𝑐 3 − 𝑎 0 𝑐 2
𝑐2 = , 𝑐3 = , 𝑐4 = , ...
2 6 12
È chiaro quindi che per ogni scelta di coecienti 𝑐0 e 𝑐 1 , che altro non sono che i valori della funzione
𝑢 e della sua derivata in 𝑡0 ,

𝑢(𝑡0 ) = 𝑐 0 , 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑐 1 ,

è determinata un'unica soluzione 𝑢 dalle equazioni (16.3). Inolte, se si pone 𝐴 = max{|𝑎 1 |, |𝑎 0 |} e

𝐸 = |𝑐 1 | + |𝑐 0 | , si ha che

2𝑘 𝐴 𝑘
(16.4) |𝑐 𝑘 | ≤ 𝐸 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
𝑘!
La verica è facile per induzione: la stima è chiaramenta valida per 𝑘 = 0, 1 e, induttivamente,

𝑎 1 (𝑘 − 1)𝑐 𝑘−1 + 𝑎 0 𝑐 𝑘−2 |𝑎 1 ||𝑐 𝑘−1 | |𝑎 0 ||𝑐 𝑘−2 |
|𝑐 𝑘 | = ≤ +
𝑘 (𝑘 − 1) 𝑘 𝑘 (𝑘 − 1)
𝐴 2 𝑘−1 𝐴 𝑘−1 𝐴 2 𝑘−2 𝐴 𝑘−2 2𝑘 𝐴 𝑘
≤ 𝐸+ 𝐸< 𝐸.
𝑘 (𝑘 − 1)! 𝑘 (𝑘 − 1) (𝑘 − 2)! 𝑘!
Da (16.4) si deduce che il raggio di convergenza della serie di potenze che denisce 𝑢 è +∞, perché

per il criterio di Hadamard in Ÿ 10.6 si ha che

  1𝑘
1 2𝑘 𝐴 𝑘
lim sup |𝑐 𝑘 | 𝑘 ≤ lim sup 𝐸 = 0.
𝑘→+∞ 𝑘→+∞ 𝑘!
Abbiamo quindi dimostrato quanto segue.

16.2. Teorema. Esiste un'unica soluzione dell'equazione dierenziale ordinaria omogenea del secon-

do ordine a coecienti costanti (16.2) denita su tutto ℝ con dati iniziali

𝑢(𝑡0 ) = 𝑐 0 , 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑐 1 ,

per ogni scelta di costanti 𝑐0 , 𝑐1 e 𝑡 0 ∈ ℝ. Inoltre, l'equazione è esplicitamente data dal sistema di

innte equazioni (16.3).

In modo del tutto analogo si dimostra l'esistenza e l'unicità per equazioni di ordine 𝑘 (e si osservi che

gli argomenti esposti sopra danno anche un algoritmo per il calcolo della soluzione in serie di potenze).
SOLUZIONI SCRITTE IN FORMA ESPONENZIALE 107

16.3. Teorema [Equazioni di ordine 𝑘 ]. Esiste un'unica soluzione dell'equazione dierenziale or-

dinaria omogenea del secondo ordine a coecienti costanti (16.1) denita su tutto ℝ con dati

iniziali

𝑢(𝑡0 ) = 𝑐 0 , 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑐 1 , 𝑢 00 (𝑡 0 ) = 2!𝑐 2 , ... 𝑢 (𝑘−1) (𝑡0 ) = (𝑘 − 1)!𝑐 𝑘−1 ,


per ogni scelta di costanti 𝑐 0 , ..., 𝑐 𝑘−1 e 𝑡 0 ∈ ℝ.

Soluzioni scritte in forma esponenziale


Calcoliamo adesso esplicitamente le soluzioni a partire dalla formulazione tramite l'esponenziale di

matrici. Come sopra, per semplicità analizziamo in dettaglio il caso di equazioni del secondo ordine:

𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡) = 0,


per cui il sistema da risolvere è
 
0 1
v(𝑡) = u(𝑡) = 𝐴u(𝑡), v(𝑡) = 𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐴v0 ,
−𝑎 0 −𝑎 1
dove v0 = (𝑐 0 , 𝑐 1 ) è il vettore dei dati iniziali in 𝑡 0 , 𝑐 0 = 𝑢(𝑡 0 ) = 𝑣 1 (𝑡 0 ) e 𝑐 1 = 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑣 2 (𝑡 0 ) .
Per calcolare esplicitamente le soluzioni dobbiamo quindi calcolare l'esponenziale di matrice 𝑒𝑠 𝐴 con

𝐴 come sopra. Consideriamo il polinomio caratteristico della matrice 𝐴:



−𝜆 1
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼2 ) = = 𝜆2 + 𝑎 1 𝜆 + 𝑎 0 ,
−𝑎 0 −𝑎 1 − 𝜆
e siano 𝜆1 , 𝜆2 ∈ ℂ le radici (eventualmente complesse) di 𝑝(𝜆) = 0.
Dalla riduzione delle applicazioni lineari in forma canonica di Jordan, sappiamo che esiste una matrice

𝐶 ∈ ℝ2×2 di cambio di variabili tale che 𝐴 = 𝐶 𝐵𝐶 −1 e una delle tre possibilità seguenti vale:
 
𝜆1 0
i. 𝜆1 , 𝜆2 ∈ ℝ e 𝐵= ,
0 𝜆2
 
𝜆1 1
ii. 𝜆1 = 𝜆2 ∈ ℝ e 𝐵 = ,
0 𝜆1
 
𝛼 −𝛽
iii. 𝜆1 = 𝜆¯2 = 𝛼 + 𝑖𝛽 ∈ ℂ e 𝐵 = .
𝛽 𝛼
Notiamo innanzitutto che nel caso (i) gli autovalori 𝜆1 e𝜆2 sono distinti, cioè la matrice 𝐵 non è mai
un multiplo dell'identità, perché se fosse 𝐵 = 𝜆𝐼 allora 𝐴 = 𝐶 𝐵𝐶 −1 = 𝐶 (𝜆𝐼)𝐶 −1 = 𝜆𝐼 , contro il fatto
che 𝐴 non è un multiplo dell'unità.
−1
Considerando che 𝑒 𝑠 𝐴 = 𝑒 𝑠𝐶 𝐵𝐶 = 𝐶𝑒 𝑠𝐵 𝐶 −1 , vediamo che basta conoscere solo 𝑒 𝑠𝐵 , che calcoliamo

esplicitamente nel seguente lemma.

   
𝜆1 0 𝑒 𝜆1 𝑠 0
16.4. Lemma. i. Se 𝐵= , allora 𝑒 𝑠𝐵 = ,
0 𝜆2 0 𝑒 𝜆2 𝑠
   
𝜆 1 𝐵𝑠 = 𝑒 𝜆𝑠 1 𝑠
ii. Se 𝐵= , allora 𝑒 ,
0 𝜆 0 1
   
𝛼 −𝛽 𝑠𝐵 = 𝑒 𝛼𝑡 cos(𝛽𝑠) − sin(𝛽𝑠)
iii. 𝐵= , allora 𝑒 .
𝛽 𝛼 sin(𝛽𝑠) cos(𝛽𝑠)
Dimostrazione. i. Ricordiamo che per calcolare l'esponenziale bisogna calcolare il limite delle seguenti

somme parziali:

𝑁
∑︁ 1 𝑘
𝐷 𝑁 := 𝐷 𝑁 ∈ ℕ.
𝑘=0
𝑘!
108 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

È immediato vericare che

𝜆21 𝑠2
   
𝜆1 𝑠 0 0
𝐷= 𝐷2 = 𝐷 · 𝐷 =
0 𝜆2 𝑠 0 𝜆22 𝑠2
e in generale
 
𝜆 1𝑘 𝑠 𝑘 0
𝐷 𝑘 = 𝐷 · 𝐷 𝑘−1 =
0 𝜆2𝑘 𝑠 𝑘
perché la matrice è diagonale. Quindi, deduciamo che

1 1 𝑁
𝐷 𝑁 = 𝐼 + 𝐷 + 𝐷 2 + ... + 𝐷
2 𝑁!
𝜆2 𝑠2 𝜆𝑁 𝑠𝑁
© 1 + 𝜆1 𝑠 + 1 + ... + 1 0 ª

­ 2 𝑁! ®
2 2
𝜆𝑁 𝑠𝑁
®
𝜆 𝑠
1 + 𝜆2 𝑠 + 2 + ... 2
­ ®
0
« 2 𝑁! ¬
e passando al limite per 𝑁 −→ +∞, la tesi segue
 𝜆 𝑠 
𝑠𝐵 𝑒 1 0
𝑒 = .
0 𝑒 𝜆2 𝑠
ii. Nel secondo caso iniziamo osservando che
     
𝜆 1 𝜆 0 0 1
𝐵= = + = 𝐷 +𝑇
0 𝜆 0 𝜆 0 0
ed è immediato vericare che 𝐷 e 𝑇 commutano, 𝐷𝑇 = 𝑇 𝐷 , perché 𝐷 è un multiplo dell'identità.

Allora dalle proprietà della matrice esponenziale abbiamo che 𝑒 𝑠𝐵 = 𝑒 𝑠𝐷 𝑒 𝑠𝑇 . L'esponenziale di una
matrice diagole è stato calcolato nel punto precedente:
 
𝑠𝐷 𝑒 𝜆𝑠 0
𝑒 = .
0 𝑒 𝜆𝑠
Per quanto riguarda l'esponenziale di 𝑇, notiamo che
    
2 0 1 0 1 0 0
𝑇 =𝑇 ·𝑇 = = = 𝑂 2 =⇒ 𝑇 𝑘 = 𝑂 2 ∀ 𝑘 ≥ 2.
0 0 0 0 0 0
Quindi

(𝑠𝑇) 2
 
𝑠𝑇 1 𝑠
𝑒 = 𝐼 + 𝑠𝑇 + + · · · = 𝐼 + 𝑠𝑇 = .
2! 0 1
Unendo le due espressioni otteniamo che
      
𝐵𝑡 𝐷𝑡 𝑆𝑡 𝑒 𝜆𝑡 0 1 𝑡 𝜆𝑡 1 𝑡 𝑒 𝜆𝑡 𝑡𝑒 𝜆𝑡
𝑒 =𝑒 𝑒 = =𝑒 = .
0 𝑒 𝜆𝑡 0 1 0 1 0 𝑒 𝜆𝑡
iii. Ragionando come nel caso precedente, osserviamo che
     
𝑎 −𝑏 𝑎 0 0 −𝑏
𝐵= = + = 𝑎𝐼 + 𝑏𝐽
𝑏 𝑎 0 𝑎 𝑏 0
e, come è facile vericare, le matrici commutano. Possiamo quindi dedurre che

𝑒 𝑠𝐵 = 𝑒 𝑠𝑎𝐼 𝑒 𝑠𝑏𝐽 = 𝑒 𝑠𝑎 𝐼 · 𝑒 𝑠𝑏𝐽 = 𝑒 𝑠𝑎 𝑒 𝑠𝑏𝐽 .


Per la matrice 𝑏𝐽 , verichiamo che
 
0 −1
𝐽2 = da cui 𝐽 2 = −𝐼 𝐽 3 = −𝐽 𝐽 4 = 𝐼, 𝐽5 = 𝐽 ...
1 0
SOLUZIONI SCRITTE IN FORMA ESPONENZIALE 109

cioè le matrici si ripetono con periodo 4: 𝐽 4 𝑘+𝑙 = 𝐽 𝑙 per ogni 𝑘 ∈ℕ e 𝑙 = 0, 1, 2, 3. Possiamo quindi

scrivere che
∞ ∞
𝑠2 𝑏 2 2 𝑠3 𝑏 3 3 𝑠4 𝑏 4 4 ∑︁ 𝑠2 𝑘 𝑏 2 𝑘 ∑︁ 𝑠2 𝑘+1 𝑏 2 𝑘+1
𝑒 𝑠𝐽 = 𝐼 + 𝑠𝑏𝐽 + 𝐽 + 𝐽 + 𝐽 + ... = 𝐽 2𝑘 + 𝐽 2 𝑘+1
2 3! 4! 𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
∞ ∞
∑︁ 𝑠2 𝑘 𝑏 2 𝑘 ∑︁ 𝑠2 𝑘+1 𝑏 2 𝑘+1
= (−1) 𝑘 𝐼+ (−1) 𝑘−1 𝐽
𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
1 − 𝑏 2 𝑠2 /2! + 𝑏 4 𝑠4 /4! + ... −𝑏𝑠 + 𝑏 3 𝑠3 /3! + ...
 
=
𝑏𝑠 − 𝑏 3 𝑠3 /3! + ... 1 − 𝑏 2 𝑠2 /2! + 𝑏 4 𝑠4 /4! + ...
 
cos(𝑏𝑠) − sin(𝑏𝑠)
= .
sin(𝑏𝑠) cos(𝑏𝑠)
Mettendo tutto assieme otteniamo la tesi
 
𝑠𝐵 𝑎𝑠 cos(𝑏𝑠) − sin(𝑏𝑠)
𝑒 =𝑒 .
sin(𝑏𝑠) cos(𝑏𝑠)

16.5. Tornando alle soluzioni dell'equazione dierenziale del secondo ordine, la soluzione si scrive

adesso esplicitamente per mezzo dell'esponenziale di matrici:


 0  
𝑢(𝑡) 𝑢(𝑡0 )
= 𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐴 .
𝑢 0 (𝑡) 𝑢 0 (𝑡0 )
Per esempio, nel caso in cui il polinomio caratteristico abbia due radici reali distinti 𝜆 1 ≠ 𝜆 2 ∈ ℝ, si

ha che 𝐴= 𝐶 𝐵𝐶 −1 e
𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
   
0 𝑎 𝑏
𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐵 = , 𝐶= ,
0 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑐 𝑑
allora

𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
   
1 𝑎 𝑏 0 𝑑 −𝑏
𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐴 = 𝐶𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐵 𝐶 −1 =
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐 𝑑 0 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 −𝑐 𝑎
𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 )
 
1
= .
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
Quindi

𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 )
    
𝑢(𝑡) 1 𝑢(𝑡0 )
=
𝑢 0 (𝑡) 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 𝑢 0 (𝑡0 )
e conseguentemente

(𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 ) 0
𝑢(𝑡) = 𝑢(𝑡0 ) + 𝑢 (𝑡 0 )
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
𝑎(𝑑𝑢(𝑡 0 ) − 𝑏𝑢 0 (𝑡0 )) (𝑡−𝑡0 )𝜆1 𝑏(𝑎𝑢 0 (𝑡0 ) − 𝑐𝑢(𝑡0 )) (𝑡−𝑡0 )𝜆2
= 𝑒 + 𝑒
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
= 𝐴𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 + 𝐵𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ,
per opportune costanti 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ. In altre parole, la soluzione generale di un'equazione del secondo
ordine nel caso di autovalori 𝜆1 e 𝜆2 reali e distinti è data da una combinazione lineare (determinata
dai valori iniziali 𝑢(𝑡0 ), 𝑢 0 (𝑡 0 ) ) degli esponenziali 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 e 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 .
Del modo tutto analogo si deduce il seguente risultato.
110 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

16.6. Proposition. Le soluzioni di un'equazione lineare omogenea di grado due a coecienti costanti

(16.2) sono determinate dalle seguenti alternative: siano 𝜆1 , 𝜆2 le radici del polinomio caratteristico
 
0 1
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼), 𝐴= ,
−𝑎 0 −𝑎 1
e

i. se 𝜆1 ≠ 𝜆2 ∈ ℝ, allora la generica soluzione 𝑢 è data da

𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 𝜆1 𝑡 + 𝐵𝑒 𝜆2 𝑡 , 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ,

ii. se 𝜆 1 = 𝜆 2 ∈ ℝ, allora la generica soluzione 𝑢 è data da

𝜆1 𝑡 𝜆1 𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 + 𝐵𝑡𝑒 , 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ,

iii. se 𝜆1 = 𝜆¯2 = 𝛼 + 𝑖𝛽 ∈ ℂ, allora la generica soluzione 𝑢 è data da

𝛼𝑡 𝛼𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 cos(𝛽𝑡) + 𝐵𝑒 sin(𝛽𝑡), 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ.

16.7. Teorema. Le soluzioni di un'equazione lineare omogenea di grado 𝑘 a coecienti costanti

(16.1) sono determinate come segue: consideriamo il polinomio caratteristico

0 1 0 ··· 0
­ 0 0 1 ··· 0
© ª
®
𝐴 = ­­ ... .. .. ..
­ .. ®
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼), . . . .
®
®
­ 0 0 0 ··· 1
­ ®
®
« −𝑎 0 −𝑎 1 −𝑎 2 ... −𝑎 𝑘−1 ¬
e dividiamo gli autovalori come segue:

• 𝜆 ℎ ∈ ℝ con molteplicità 𝑚 ℎ ∈ ℕ;
• 𝜇𝑙 = 𝜇¯𝑙 = 𝛼𝑙 + 𝑖𝛽𝑙 ∈ ℂ con molteplicità 𝑚 𝑙 ∈ ℕ,
Í Í
con ℎ 𝑚 ℎ + 2 𝑙 𝑚 𝑙 = 𝑘 . Allora la soluzione generale dell'equazione (16.1) è combinazione lineare

delle 𝑘 funzioni:

𝑒 𝜆𝑖 𝑡 , 𝑡𝑒 𝜆𝑖 𝑡 , ..., 𝑡 𝑚𝑖 −1 𝑒 𝜆𝑖 𝑡 ,
𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡), 𝑡𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡), ..., 𝑡 𝑚𝑙 −1 𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡),
𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡), 𝑡𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡), ..., 𝑡 𝑚𝑙 −1 𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡).

Ancora un altro approccio: l'esponenziale complesso


Un altro modo per studiare le soluzioni delle equazioni lineari a coecienti costanti è fare ricorso alla

funzione esponenziale (eventualmente di variabile complessa). Come sopra illustriamo i concetti per

le equazioni del secondo grado:

𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡) = 0.


La funzione esponenziale 𝑢(𝑡) = 𝑒 𝜆𝑡 è soluzione dell'equazione se e solo se

2 𝜆𝑡
= 𝜆2 + 𝑎 1 𝜆 + 𝑎 0 𝑒 𝜆𝑡 = 0,
𝜆𝑡 𝜆𝑡 
𝜆 𝑒 + 𝑎 1 𝜆𝑒 + 𝑎0 𝑒
ossia se e solo se 𝜆 è una radice del polinomio 𝑝(𝑥) = 𝑥 2 + 𝑎 1 𝑥 + 𝑎 0 associato all'equazione.

Se il polinomio 𝑝 ha due radici 𝜆1 , 𝜆2 distinte, allora 𝑢 1 (𝑡) = 𝑒 𝜆1 𝑡 e 𝑢 2 (𝑡) = 𝑒 𝜆2 𝑡 sono due soluzioni

linearmente indipendenti, infatti:

𝑐 1 𝑒 𝜆1 𝑡 +𝑐 2 𝑒 𝜆2 𝑡 = 0 ∀𝑡 se e solo se 𝑐 1 𝑒 (𝜆1 −𝜆2 )𝑡 = −𝑐 2 ∀𝑡 cioè 𝑐 1 = 𝑐 2 = 0,


1. ALCUNI ESEMPI 111

(perché la funzione esponenziale, di esponenti 𝜆1 − 𝜆2 ≠ 0, non è costante!). Nel caso quindi di radici

distinte l'integrale dell'equazione è completamente determinato:

𝑢(𝑡) = 𝑐 1 𝑒 𝜆1 𝑡 + 𝑐 2 𝑒 𝜆2 𝑡 .
In particolare, se le radici sono complesse, allora 𝜆1 e 𝜆2 sono coniugate complesse:

𝜆1 = 𝛼 + 𝑖𝛽, 𝜆2 = 𝛼 − 𝑖𝛽,
e dalla formula di Eulero

𝑢(𝑡) = 𝑐 1 𝑒 𝛼𝑡 [cos (𝛽𝑡) + 𝑖 sin(𝛽𝑡)] + 𝑐 2 𝑒 𝛼𝑡 [cos (𝛽𝑡) − 𝑖 sin(𝛽𝑡)]


= 𝑒 𝛼𝑡 [(𝑐 1 + 𝑐 2 ) cos (𝛽𝑡) + 𝑖(𝑐 1 − 𝑐 2 ) sin(𝛽𝑡)] = 𝑒 𝛼𝑡 [ 𝐴 cos (𝛽𝑡) + 𝐵 sin(𝛽𝑡)] ,
è una funzione a valori reali se 𝑐 1 = 𝐴 + 𝑖𝐵 = 𝑐 2 .
Resta quindi da discutere solo il caso di polinomi caratteristici 𝑝 con radici coincidenti 𝜆1 = 𝜆2 =
𝜆 (necessariamente reali, quindi). In questo caso una soluzione abbiamo visto essere la funzione

esponenziale 𝑢 1 (𝑡) = 𝑒 𝜆𝑡 ; e la seconda è data da 𝑢 2 (𝑡) = 𝑡𝑒 𝜆𝑡 . Infatti, 𝑢2 è soluzione:

𝑢 200 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 20 (𝑡) 2


+ 𝑎 0 𝑢 2 (𝑡) = 𝜆 𝑡𝑒 𝜆𝑡
+ 2𝜆𝑒 𝜆𝑡
+ 𝑎 1 (𝑒 𝜆𝑡
+ 𝜆𝑡𝑒 ) + 𝑎 0 𝑡𝑒 𝜆𝑡
𝜆𝑡

= (𝜆2 + 𝑎 1 𝜆 + 𝑎 0 )𝑡𝑒 𝜆𝑡 + (2𝜆 + 𝑎 1 )𝑒 𝜆𝑡 = 0,


perché 𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 𝑎 1 𝜆 + 𝑎 0 = 0 e 𝑝 0 (𝜆) = 2𝜆 + 𝑎 1 = 0, in quanto una radice di molteplicità due annulla
sia il polinomio che la sua derivata. Inoltre, 𝑢 1 e 𝑢 2 sono linearmente indipendenti:

𝑐 1 𝑒 𝜆𝑡 + 𝑐 2 𝑡𝑒 𝜆𝑡 = 0 ∀𝑡 se e solo se (𝑐 1 + 𝑐 2 𝑡)𝑒 𝜆𝑡 = 0 ∀𝑡
se e solo se 𝑐1 + 𝑐2𝑡 = 0 ∀𝑡
se e solo se 𝑐 1 = 𝑐 2 = 0.
L'integrale generale è quindi dato da 𝑢(𝑡) = 𝑐 1 𝑒 𝜆𝑡 + 𝑐 2 𝑡𝑒 𝜆𝑡 = (𝑐 1 + 𝑐 2 𝑡) 𝑒 𝜆𝑡 , così ridimostrando la

Proposizione ??.

1. Alcuni esempi

Esempio 16.1.

𝑢 00 (𝑡) − 9𝑢(𝑡) = 0
  
0 1
𝐴=
𝑢(0) = 1 𝑢 0 (0) = 0 9 0
polinomio caratteristico per il calcolo degli autovalori
𝑝(𝜆) = 𝜆2 − 9 = 0 𝜆1,2 = ±3
quindi le soluzioni dell'equazione omogenea sono
𝑢 0 (𝑡) = 𝑎𝑒 3𝑡 + 𝑏𝑒 −3𝑡 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ

𝑢 00 (𝑡) + 2𝑢 0 (𝑡) + 2𝑢(𝑡) = 0


  
0 1
𝐴=
𝑢(0) = 1 𝑢 0 (0) = 0 −4 0
polinomio caratteristico per il calcolo degli autovalori
𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 2𝜆 + 2 = 0 𝜆 1, 2 = 1 ± 𝑖
quindi le soluzioni dell'equazione omogenea sono
𝑢 0 (𝑡) = 𝑒 −𝑡 [𝑎 cos(𝑡) + 𝑏 sin(𝑡)] 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ
112 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Osservazione 1.1. Consideriamo la generica equazione dierenziale lineare, omogenea, del secondo

ordine, a coecienti costanti


𝑎𝑢 00 (𝑡) + 𝑏𝑢 0 (𝑡) + 𝑐𝑢(𝑡) = 0
Ponendo 𝑢 0 (𝑡) = 𝑤(𝑡) otteniamo il sistema in forma vettoriale
 0     
𝑢 0 1 𝑢 𝑢
= =𝐴
𝑤 −𝑐/𝑎 −𝑏/𝑎 𝑤 𝑤
Per trovare gli autovalori dobbiamo calcolare gli zeri del polinomio caratteristico
 
−𝜆 1 1  2
𝑝(𝜆) = det

= 𝑎𝜆 + 𝑏𝜆 + 𝑐 = 0
−𝑐/𝑎 −𝑏/𝑎 − 𝜆 𝑎
Otteniamo un polinomio "equivalente" se, nell'equazione dierenziale omogenea, eettuiamo la
sostituzione formale
𝑢 00 −→ 𝜆2 𝑢 0 −→ 𝜆 𝑢 −→ 1

Osservazione 1.2. Consideriamo il seguente problema di Cauchy


𝑢 00 (𝑡) + 3𝑢 0 (𝑡) + 2𝑢(𝑡) = 0


𝑢(0) = 𝑢 0 (0) = 1
Ponendo 𝑢 0 (𝑡) = 𝑤(𝑡) otteniamo il sistema in forma vettoriale
 0     
𝑢 0 1 𝑢 𝑢
= =𝐴
𝑤 −2 −3 𝑤 𝑤
troviamo gli autovalori ricorrendo al polinomio caratteristico
 
−𝜆 1
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼) = = 𝜆2 + 3𝜆 + 2 = 0
−2 −3 − 𝜆
da cui segue che 𝜆1,2 = −1, −2. Quindi
𝑒 −𝑡
 
0
𝑒 𝐴𝑡
=𝐶 𝐶 −1
0 𝑒 −2 𝑡

𝑒 −𝑡
   
𝐴𝑡 1 𝑎 𝑏 0 𝑑 −𝑏
𝑒 =
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐 𝑑 0 𝑒 −2 𝑡 −𝑐 𝑎
𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
 
1
=
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 −𝑡 − 𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑑𝑒 −2𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −𝑡
quindi
𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
    
𝑢(𝑡) 1 𝑢(0)
=
𝑤(𝑡) 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 −𝑡 − 𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑑𝑒 −2𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −𝑡 𝑤(0)
e conseguentemente
(𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
𝑢(𝑡) = 𝑢(0) + 𝑤(0)
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
0 0
𝑎(𝑑𝑢(0) − 𝑏𝑢 (0)) −𝑡 𝑏(𝑎𝑢 (0) − 𝑐𝑢(0)) −2𝑡
= 𝑒 + 𝑒
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
= 𝐴𝑒 −𝑡 + 𝐵𝑒 −2𝑡 = 𝑒 −𝑡
1. ALCUNI ESEMPI 113

Esempio 16.2. Consideriamo il seguente problema di Cauchy


𝑢 00 (𝑡)
+ 𝑢(𝑡) = −𝑒 2𝑡


𝑢(0) = 1 𝑢 0 (0) = 0
1. studio dell'equazione omogenea
𝑢 00 (𝑡) + 𝑢(𝑡) = 0 𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 1 = 0 da cui 𝜆1,2 = ±𝑖

𝑢 0 (𝑡) = 𝐴 sin(𝑡) + 𝐵 cos(𝑡) 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ


2. soluzione dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑐𝑒 2𝑡 𝑢 0𝑝 (𝑡) = 2𝑐𝑒 2𝑡 𝑢 00𝑝 (𝑡) = 4𝑐𝑒 2𝑡
sostituendo nell'equazione otteniamo
1 1
5𝑐𝑒 2𝑡 = −𝑒 2𝑡 𝑐=− concludendo 𝑢 𝑝 (𝑡) = − 𝑒 2𝑡
5 5
3. dati iniziali
1
𝑢(𝑡) = 𝐴 sin(𝑡) + 𝐵 cos(𝑡) − 𝑒 2𝑡
5

2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴 cos(𝑡) − 𝐵 sin(𝑡) − 𝑒 2𝑡
5

1 2
𝑢(0) = 𝐵 − =1 𝑢(0) = 𝐴 − =0
5 5
quindi la soluzione è
2 6 1
𝑢(𝑡) = sin(𝑡) + cos(𝑡) − 𝑒 2𝑡
5 5 5

Esempio 16.3. Consideriamo il seguente problema di Cauchy


𝑢 00 (𝑡)
− 2𝑢 0 (𝑡) = cos(𝜋𝑡)


𝑢(0) = 0 𝑢 0 (0) = 1
1. studio del polinomio caratteristico associato all'equazione omogenea
𝑝(𝜆) = 𝜆2 − 2𝜆 = 0 da cui 𝜆1,2 = 0, 2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴𝑒 0𝑡 + 𝐵𝑒 2𝑡 = 𝐴 + 𝐵𝑒 2𝑡 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2. soluzione dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝜋𝑡) + 𝑏 sin(𝜋𝑡) 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎𝜋 sin(𝜋𝑡) + 𝑏𝜋 cos(𝜋𝑡)
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝜋 2 [𝑎 cos(𝜋𝑡) + 𝑏 sin(𝜋𝑡)]
e sostituendo nell'equazione completa si trova
−𝑎𝜋 2 cos(𝜋𝑡) − 𝑏𝜋 2 sin(𝜋𝑡) + 2𝑎𝜋 sin(𝜋𝑡) − 2𝑏𝜋 cos(𝜋𝑡) = cos(𝜋𝑡)
portando avanti i calcoli otteniamo che
1 2
𝑢 𝑝 (𝑡) = − cos(𝜋𝑡) − sin(𝜋𝑡)
𝜋2 + 4 𝜋(𝜋 2 + 4)
quindi tutte le soluzioni dell'equazione dierenziale sono
1 2
𝑢(𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 2𝑡 − cos(𝜋𝑡) − sin(𝜋𝑡) 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
𝜋2 +4 2
𝜋(𝜋 + 4)
114 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

3. i dati iniziali permettono di ottenere un'unica soluzione identicando 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ dal sistema risultante
1
𝐴=−

1 


 𝑢(0) = 𝐴 + 𝐵 − 2 =0

 2
𝜋 +4 da cui

 

2
 𝑢 0 (0) = 2𝐵 −
 =1 
 𝜋2 + 6
𝜋2 + 4  𝐵=
 

 2(𝜋 2 + 4)

Esempio 16.4. Consideriamo il seguente problema di Cauchy


𝑢 00 (𝑡) + 𝑢 0 (𝑡) = 1 + sin(𝑡)


𝑢(0) = 0 𝑢 0 (0) = 0
1. studio del polinomio caratteristico associato all'equazione omogenea
𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 𝜆 = 0 da cui 𝜆1,2 = 0, −1
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 −𝑡 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2. soluzione (sbagliata!) dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝑡) + 𝑏 sin(𝑡) + 𝑐 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡)
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡)
e sostituendo nell'equazione completa si ricava
−𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡) − 𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) = 1 + sin(𝑡)
che produce un sistema impossibile!
2. riproviamo: soluzione dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝑡) + 𝑏 sin(𝑡) + 𝑐𝑡 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) + 𝑐
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡)
e sostituendo nell'equazione completa si ricava
−𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡) − 𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) + 𝑐 = 1 + sin(𝑡)
che fornisce la soluzione
1 1
𝑎= 𝑏=− 𝑐=1
2 2
3. portando avanti i calcoli no abbiamo che
1 1
𝑢(𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 𝑡 + cos(𝑡) − sin(𝑡) 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2 2
e ricaviamo la soluzione del problema di Cauchy
1 1 1
𝑢(𝑡) = −1 + 𝑒 −𝑡 + 𝑡 + cos(𝑡) − sin(𝑡)
2 2 2

Esempio 16.5. Consideriamo il seguente problema di Cauchy


𝑢 00 (𝑡)

− 𝑢(𝑡) = 𝑓 (𝑡)
𝑢(0) = 𝑢 0 (0) = 0
1. studio del polinomio caratteristico associato all'equazione omogenea
𝑝(𝜆) = 𝜆2 − 1 = 0 da cui 𝜆1,2 = ±1
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴𝑒 𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑡 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2. ESERCIZI 115

2. come ottenere una soluzione dell'equazione completa? proviamo nel seguente modo
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 00𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 2𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 00 (𝑡)𝑒 𝑡
𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 2𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 00 (𝑡)𝑒 −𝑡
ma si giunge a due equazioni del secondo ordine complicando inutilmente il problema...
2. riproviamo
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
a questo punto imponiamo che 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒−𝑡 = 0, in modo da ottenere
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 00𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
e sostituendo nell'equazione completa abbiamo
𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)
𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)
e troviamo il seguente sistema di due equazioni del primo ordine
𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)


𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 0

Il precedente sistema diventa la ricerca di due primitive


1
 𝑎 0 (𝑡) = 𝑓 (𝑡)𝑒 −𝑡


2

1

 𝑏 0 (𝑡) = − 𝑓 (𝑡)𝑒 𝑡
 2
Per esempio se 𝑓 (𝑡) = 𝑒 troviamo
𝑡

1 1
𝑎(𝑡) = 𝑡 𝑏(𝑡) = − 𝑒 2𝑡 da cui
2 4
1 𝑡 1 𝑡
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑡𝑒 − 𝑒
2 4
E concludiamo ricavando
1 1 ˜ 𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 1 𝑡𝑒 𝑡 = − 1 𝑒 𝑡 + 1 𝑒 −𝑡 + 1 𝑡𝑒 𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 𝑡𝑒 𝑡 − 𝑒 𝑡 = 𝐴𝑒
2 4 2 4 4 2

2. esercizi

Esercizio 16.1. Data l'equazione lineare omogenea a coecienti non costanti


1
𝑢 00 (𝑡) + 𝑢(𝑡) = 0
4𝑡 2

i. si verichi che 𝑧(𝑡) = 𝑡 è soluzione,
ii. si provi l'esistenza di una seconda soluzione linearmente indipendente della forma 𝑤(𝑡) = 𝑐(𝑡)𝑧(𝑡) ,
iii. si trovi la soluzione dell'equazione con dati iniziali 𝑢(1) = 1, 𝑢 0 (1) = 0.
116 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Esercizio 16.2. Data l'equazione dierenziale lineare


𝑥 𝑦 (𝑥) + 𝑥𝑦 0 (𝑥) − 𝑦(𝑥) = 0
2 00

i. si verichi che la funzione 𝑤(𝑥) = −1/2𝑥 è soluzione,


ii. si provi l'esistenza di un'altra soluzione della forma 𝑦(𝑥) = −𝑎(𝑥)/𝑥 ,
iii. si scriva lo spazio vettoriale delle soluzioni dell'equazione.
Esercizio 16.3. Dato il problema di Cauchy

𝑚𝑦 00 (𝑥) + 𝑎𝑦 0 (𝑥) = −𝑚𝑔




𝑦(0) = ℎ 𝑦 0 (0) = 0
con 𝑚 , 𝑔 e ℎ numeri reali positivi,
i. si determinino le soluzioni 𝑦 𝑎 (con 𝑎 > 0) e 𝑦 0 (per 𝑎 = 0),
ii. si provi che lim + 𝑦 𝑎 (𝑥) = 𝑦 0 (𝑥) , quale tipo di convergenza si può ottenere?
𝑎−→0

Esercizio 16.4. Dato il seguente problema di Cauchy


𝑥 0 (𝑡)
  
= 𝐴(𝑡)𝑥(𝑡) −1
con
𝑎(𝑡)
𝐴(𝑡) =
𝑥(0) = 𝑥0 0 −1
i. si scriva una matrice fondamentale del sistema lineare omogeneo associato,
ii. si ottenga esplicitamente la soluzione, nei seguenti casi
𝑎(𝑡) = 𝑒 𝑡 e 𝑥0 = (1, 0) 𝑎(𝑡) = 𝑒 −𝑡 e 𝑥0 = (0, 1)

Esercizio 16.5. Dato il sistema lineare omogeneo del primo ordine


𝜆1 0 0
𝑥 0 (𝑡) = Λ𝑥(𝑡) con Λ=­ 0
©
𝜆2 0 ®
ª

« 0 0 𝜆3 ¬
i. si spieghi perché le soluzioni sono globali,
ii. si scriva la matrice fondamentale speciale del sistema per 𝑡0 = 0,
iii. si scrivano le soluzioni relative ai dati iniziali 𝑒 𝑘 , con 𝑘 = 1, 2, 3, e si verichi che sono linearmente
indipendenti per ogni 𝑡 ∈ ℝ.
Esercizio 16.6. Determinare la soluzione 𝑤(𝑡) del problema di Cauchy

𝑤 0 (𝑡) = |𝑡|𝑤(𝑡)


𝑤(0) = 1
i. esaminare se si tratta di funzione 𝑤 monotona,
ii. esaminare se la soluzione sia o meno di classe 𝐶 2 (ℝ) ,
iii. scrivere l'equazione integrale equivalente al problema di Cauchy assegnato.
Esercizio 16.7. Trovare una formula risolutiva per l'equazione

1
𝑦 00 (𝑥) + 𝑦(𝑥) =
2 + sin(𝑥)

Esercizio 16.8. Un semplice modello della caduta rettilinea di un grave puntiforme immobile (cioè con
velocità nulla) di massa 𝑚 da un altezza 𝐻 > 0 in un uido, sotto l'eetto della forza peso 𝐺 = 𝑚𝑔 e
dell'attrito viscoso, che supponiamo descritto da 𝐴 = 𝑎𝑣 , con 𝑎 > 0, consiste nella seguente equazione
dierenziale lineare
𝑚𝑥 00 (𝑡) = −𝑚𝑔 − 𝑎(𝑡)𝑥 0 (𝑡)
dove abbiamo tradotto in equazione la legge di Newton (a destra abbiamo la somma totale delle forze
agenti sulla massa) e abbiamo posto un ipotetico asse di riferimento in posizione verticale orientato
2. ESERCIZI 117

verso l'alto con origine al livello del suolo. Supponiamo che il coeciente d'attrito vari con il tempo
nel seguente modo
𝜅1 per 𝑡 ∈ [0, 𝑇]

𝑎(𝑡) =
𝜅2 per 𝑡 ∈ (𝑇, +∞)
perché il grave ha la possibilità di aumentare (o ridurre) l'attrito viscoso (per esempio tramite un
paracadute). Si determini la soluzione del problema di Cauchy relativo all'equazione dierenziale con
le condizioni iniziali
𝑥(0) = 𝐻 𝑥 0 (0) = 0

Esercizio 16.9. Dato il sistema lineare


0
𝑢 (𝑡) = 𝐴𝑢(𝑡) con 𝐴 ∈ M 𝑛 (ℝ)
si provino le seguenti aermazioni:
i. se 𝐴𝑇 = −𝐴 allora |𝑢(𝑡)| 2 = 𝑐 ∈ ℝ
ii. se 𝐴2 = 𝑂 𝑛 allora 𝑢(𝑡) = 𝐴𝑢(0)𝑡 + 𝑢(0)
Esercizio 16.10. Determinare la soluzione dei seguenti problemi di Cauchy
𝑦 00 (𝑡) 𝑦 00 (𝑡) + 2𝑦 0 (𝑡) + 2𝑦(𝑡) = 0
 
− 𝑦(𝑡) = 0
𝑦(0) = 1 𝑦 0 (0) = 0 𝑦(0) = 1 𝑦 0 (0) = 0

Esercizio 16.11. Determinare la soluzione dei seguenti problemi di Cauchy


𝑦 00 (𝑡) + 4𝑦 0 (𝑡) = 0 𝑦 00 (𝑡) − 2𝑦 0 (𝑡) + 𝑦(𝑡) = 0
 

𝑦(0) = 0 𝑦 0 (0) = 1 𝑦(0) = 0 𝑦 0 (0) = 2

Esercizio 16.12. Si risolva il seguente problema di Cauchy


     
0 1 0 1
𝑢 0 (𝑡) = 𝑢(𝑡) + 𝑢(0) =
0 0 𝑡 1
calcolando l'esponenziale della matrice.
Esercizio 16.13. Risolvere i seguenti sistemi dierenziali nelle incognite 𝑢 e 𝑣
𝑢 0 (𝑥) 𝑢 0 (𝑥) + 𝑣(𝑥) + 𝑥 = 0
 
= 𝑢(𝑥) + 2𝑣(𝑥)
𝑣 0 (𝑥) = 𝑢(𝑥) − cos(𝑥) 𝑣 0 (𝑥) − 𝑣(𝑥) + 2𝑢(𝑥) = 1

Esercizio 16.14. Determinare la soluzione dei seguenti problemi:


𝑦 00
+ 2𝑦 0 + 5𝑦 = 0 𝑦 00 − 3𝑦 0 + 2𝑦 = 0
 

𝑦(0) = 1 𝑦 0 (0) = 0 𝑦(1) = 0 𝑦 0 (1) = 2

Esercizio 16.15. Dato il seguente sistema lineare


 0   
𝑥(𝑡) −1 0 𝑥(𝑡)
=
𝑦(𝑡) −3 2 𝑦(𝑡)
i. si spieghi perché il problema di Cauchy possiede un'unica soluzione per qualunque dato iniziale
(𝑥(0), 𝑦(0)) = (𝑥0 , 𝑦 0 ) ∈ ℝ2 ,
ii. si diagonalizzi la matrice del sistema e si ottenga una matrice fondamentale,
iii. si scriva la soluzione del problema di Cauchy con (𝑥(0), 𝑦(0)) = (1, 3) ∈ ℝ2 .
118 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Esercizio 16.16. Dato il seguente sistema lineare


0
𝑥(𝑡) −1 0 0 𝑥(𝑡)
­ 𝑦(𝑡) ® = ­ 0 0 −1 ® ­ 𝑦(𝑡) ®
© ª © ª© ª

« 𝑧(𝑡) ¬ « 0 1 0 ¬ « 𝑧(𝑡) ¬
i. si spieghi perché il problema di Cauchy possiede un'unica soluzione per qualunque dato iniziale,
ii. si dimostri che le traiettorie sono limitate su [0, +∞) ,
iii. si provi che le traiettorie, per 𝑡 −→ +∞, tendono al piano {𝑥 = 0}.
Esercizio 16.17. Determinare il comportamento asintotico dei seguenti problemi di Cauchy
𝑥 0 (𝑡)
      
= 𝐴𝑥(𝑡) 1 1 0 1 −1 1
con 𝐴1 = 𝐴2 = 𝐴3 =
𝑥(0) = (1, 0) 0 2 −3 −2 0 2
possibilmente senza risolvere il sistema...
Esercizio 16.18. Dato il seguente sistema di equazioni dierenziali
 
−1 2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴𝑢(𝑡) dove 𝐴 =
−1 −4
i. si spieghi perché le sue soluzioni sono globali,
ii. si determini una matrice fondamentale speciale,
iii. si calcoli la soluzione del problema di Cauchy con dato iniziale 𝑢(0) = (1, 1) .
Esercizio 16.19. Assegnato il seguente problema di Cauchy
𝑤 00 (𝑠)
− 𝑘 2 𝑤(𝑠) = 𝑓 (𝑠)

con 𝑘 > 0
𝑤(0) = 𝑤 0 𝑤 0 (0) = 𝑤 1
si ottenga una formula risolutiva generale.
Esercizio 16.20. Assegnato il seguente problema di Cauchy
𝑤 00 (𝑠)
+ 𝑘 2 𝑤(𝑠) = 𝑓 (𝑠)

con 𝑘 > 0
𝑤(0) = 𝑤 0 𝑤 0 (0) = 𝑤 1
si ottenga una formula risolutiva generale.
Esercizio 16.21. Si consideri il moto di un grave lanciato dalla supercie terrestre, tenendo in conto
la forza peso (vettore costante rivolto verso il basso) e l'attrito (forza in verso opposta alla velocità
e direttamente propozionale al suo modulo). Si descriva la traiettoria nel piano 𝑥𝑂𝑦 ortogonale alla
supercie del suolo individuato dalla velocità iniziale del grave.
Esercizio 16.22. Per 𝑘 ≠ 0 sia 𝑤 𝑘 la soluzione del seguente problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
+ 𝑘 2 𝑥𝑤(𝑥) = 0


𝑤(0) = 𝑘
i. Si scriva l'espressione della soluzione 𝑤 𝑘 (𝑥) ,
ii. usando una sostituzione si provi che per ogni 𝑘 ≠ 0 vale
∫+∞ ∫+∞
𝑤 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 = 𝑤 1 (𝑦)𝑑𝑦
−∞ −∞

Esercizio 16.23. Data l'equazione dierenziale


𝑝 (𝑥) + 2𝑝 0 (𝑥) + 2𝑝(𝑥) = 10 cos(2𝑥)
00

i. si scrivano le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scriva la soluzione dell'equazione completa che verica 𝑝(0) = 𝑝 0 (0) = 0,
iii. si spieghi perché non esistono soluzioni innitesime per 𝑥 −→ +∞.
2. ESERCIZI 119

Esercizio 16.24. Data l'equazione dierenziale


00
−𝑤 (𝑥) + 𝑤(𝑥) = 1
i. si scrivano tutte le soluzione dell'equazione omogenea,
ii. si scrivano tutte le soluzione dell'equazione completa,
iii. si scrivano tutte le soluzione dell'equazione completa che soddisfano le richieste 𝑤(0) = 𝑤(1) = 0.
Esercizio 16.25. Si scrivano tutte le soluzioni della seguente equazione dierenziale
𝑢 00 (𝑥) + 3𝑢 0 (𝑥) + 2𝑢(𝑥) = sin(𝑥),
poi si spieghi se esistono (e perché) soluzioni che soddisfano le seguenti richieste
i. soluzioni limitate in {𝑥 > 0},
ii. soluzioni limitate in ℝ,
iii. soluzioni che tendono a zero per 𝑥 → +∞.
Esercizio 16.26. Data l'equazione dierenziale
𝑢 (𝑡) + 𝑢(𝑡) = 𝑒 −2𝑡
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione completa,
iii. si dica quali soluzioni dell'equazione sono innitesime per 𝑥 −→ +∞.
Esercizio 16.27. Data l'equazione dierenziale
𝑢 00 (𝑥) − 4𝑢(𝑥) = −𝑐𝑜𝑠(𝜋𝑥)
i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,
ii. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione completa,
iii. esistono soluzioni innitesime a +∞? perché?
iv. si trovi la soluzione che soddisfa i dati iniziali 𝑢(0) = 𝑢 0 (0) = 0.
Esercizio 16.28. Data l'equazione dierenziale
𝑧 (𝑥) + 𝑧 0 (𝑥) − 2𝑧(𝑥) = 𝑒 −𝑥
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte la soluzione dell'equazione completa,
iii. quante soluzioni innitesime a +∞ esistono?
iv. si scriva la soluzione che soddisfa i dati inziali 𝑧(0) = 0 e 𝑧 0 (0) = 1.
Esercizio 16.29. Data l'equazione dierenziale
𝑧 (𝑥) + 𝑧 0 (𝑥) = −2 cos(𝑥)
00

i. si scrivano le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte la soluzione dell'equazione completa,
iii. si scriva la soluzione che soddisfa i dati inziali 𝑧(0) = 1 e 𝑧 0 (0) = 0,
iv. si spieghi perché esistono solo soluzioni limitate in {𝑥 > 0},
v. quante soluzioni innitesime a +∞ esistono?
Esercizio 16.30. Dato il problema di Cauchy
(
𝑢 00 (𝑡) − 𝑢(𝑡) = −4𝑒 −𝑡
𝑢(0) = 𝑢 0 (0) = 0
i. si scriva esplicitamente la soluzione del problema,
∑︁ 𝑥 𝑘
ii. si calcoli la serie di Taylor della soluzione 𝑢, ricordando che 𝑒 𝑥 = .
𝑘 ≥0
𝑘!
120 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Esercizio 16.31. Dato il problema di Caychy


𝑐 00 (𝑥)

= 𝑐(𝑥)
𝑐(0) = 1 𝑐 0 (0) = 0
i. si scriva esplicitamente la soluzione del problema,
∑︁ 𝑥 𝑘
ii. si calcoli la serie di Taylor della funzione 𝑐(𝑥) , ricordando che 𝑒 𝑥 = .
𝑘 ≥0
𝑘!

Esercizio 16.32. Si scriva esplicitamente la soluzione 𝑤 del seguente problema di Cauchy


( 𝑒𝑥
𝑤 00 (𝑥) − 𝑤(𝑥) =
1 + 𝑒𝑥
𝑤(0) = 0 𝑤 0 (0) = 0

Esercizio 16.33. Si scrivano le soluzioni delle seguenti equazioni dierenziali omogenee


00
𝑢 (𝑡) − 𝑢(𝑡) = 0 𝑢 00 (𝑡) + 3𝑢 0 (𝑡) + 2𝑢(𝑡) = 0 𝑢 00 (𝑡) + 𝑢(𝑡) = 0

Esercizio 16.34. Data l'equazione dierenziale


𝑧 (𝑥) + 2𝑧 0 (𝑥) + 2𝑧(𝑥) = 𝑒 −𝑥
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte la soluzione dell'equazione completa,
iii. esistono soluzioni limitate in (0, +∞) ?
iv. esistono soluzioni limitate in tutto ℝ?
v. si trovi la soluzione che soddisfa i dati inziali 𝑧(0) = 1 e 𝑧 0 (0) = 0.
Esercizio 16.35. Data l'equazione dierenziale
𝑧 (𝑥) + 2𝑧 0 (𝑥) = 4𝑥
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione completa,
iii. esistono soluzioni convesse su tutto ℝ? perché?
iv. si trovi la soluzione che soddisfa i dati iniziali 𝑧(0) = 0 e 𝑧 0 (0) = −2.
Esercizio 16.36. Data l'equazione dierenziale
𝑧 (𝑥) + 4𝑧 0 (𝑥) + 4𝑧(𝑥) = 𝑒 −𝑥
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte la soluzione dell'equazione completa,
iii. esistono soluzioni innitesime a +∞?
iv. si trovi la soluzione che soddisfa i dati inziali 𝑧(0) = 𝑧 0 (0) = 0.
Esercizio 16.37. Data l'equazione dierenziale
𝑧 (𝑥) − 𝑧 0 (𝑥) − 2𝑧(𝑥) = 𝑒 −𝑥
00

i. si scrivano tutte le soluzioni dell'equazione omogenea,


ii. si scrivano tutte la soluzione dell'equazione completa,
iii. esistono soluzioni innitesime a +∞?
iv. si trovi la soluzione che soddisfa i dati inziali 𝑧(0) = 𝑧 0 (0) = 0.
PER CONCLUDERE... 121

Per concludere...
Per concludere questa passeggiata nelle praterie dell'analisi matematica

L'epidemiologia è una branca della ricerca biomedica che analizza la frequenza, la distribuzione e l'e-

voluzione delle malattie all'interno delle popolazioni. In questo ambito, i modelli matematici vengono

utilizzati per prevedere la progressione delle malattie infettive nell'ottica di contribuire alla deter-

minazione di interventi di sanità pubblica. I modelli più elementari cercano di individuare indicatori

signicativi, determinati da alcune caratteristiche statisticamente misurabili della malattia considera-

ta (latenza, durata, infettività), che possano essere utilizzati per denire alcuni protocolli di intervento,

come i programmi di vaccinazione di massa o eventuali quarantene.

L'uso di modelli deterministici è ragionevole nel caso di grandi popolazioni distribuite in spazi relativa-

mente piccoli ed omogenei. In questo tipo di descrizione, gli individui sono assegnati a vari sottogruppi,

detti compartimenti, che descrivono uno dei possibili stati individuali, in relazione al fenomeno che si
desidera studiare. In genere un compartimento rappresenta una fase specica rispetto al decorso della

malattia. Il modello è determinato dal meccanismo di transizione da una classe all'altra che interviene

nella formulazione di equazioni dierenziali.

Una distinzione importante, che si ripercuote in maniera diretta nella struttura del modello mate-

matico, è quella tra epidemia ed endemia. La prima è una malattia infettiva localizzata nel tempo:

l'espansione del morbo è sucientemente rapida da rendere trascurabili le nascite e le morti degli

individui della popolazione. L'endemia, al contrario, è una malattia la cui evoluzione ha tempi lunghi,

quindi un suo modello necessita l'aggiunta di termini appropriati che descrivano le nascite e le morti

all'interno della popolazione. Per i modelli che verranno discussi, è possibile individuare un numero

critico (indicato nel seguito con 𝜎) che separa il regime di estinzione e di permanenza endemica della

malattia. Risultati di questo genere vengono genericamente chiamati teoremi di soglia critica.

Il modello più semplice (ma, al contempo, già sucientemente signicativo) che discuteremo è com-

posto da tre compartimenti. Gli invididui suscettibili 𝑆 , cioè i soggetti che possono essere infettati,
contagiati e ammalarsi, gli infetti 𝐼 , cioè gli individui che hanno contratto la malattia e, indipendente-
mente dai sintomi, possono contagiare e diondere l'agente patogeno e, inne, coloro che sono usciti

dalla classe 𝐼, e che possiamo supporre immunizzati. Quest'ultimo compartimnto viene indicato con

la lettera 𝑅, dall'inglese removed. Gli individui escono dalla classe 𝑆 ed entrano nello stato 𝐼, tale

variazione si descrive come proporzionale al prodotto tra gli individui delle due classi (normalizzato per

la popolazione totale 𝑁 ), in formule si scrive 𝛽𝑆𝐼/𝑁 . Invece gli individui che escono dal compartimento
degli infetti, e vanno ad accrescere il compartimento dei rimossi 𝑅, sono una frazione del numero
degli infetti. In genere il passaggio dalla classe 𝐼 alla classe 𝑅 viene modellizzato nello stesso modo in

cui viene descritto supponendo che il tempo medio di permanenza nel compartimento 𝐼 sia 1/𝛾 e, di

conseguenza, si inserisce nell'equazione per la variazione di 𝐼 un termine del tipo 𝛾𝐼Δ𝑡 .

Il diagramma del modello è

𝑆 −→ 𝐼 −→ 𝑅
e il modello che otterremo viene indicato con la sigla SIR.
Il modello SIR epidemico. Prendiamo in esame prima il delle epidemie, cioè il caso in cui si ipotiz-

za che la diusione della malattia si temporalmente rapida, il che permette (in prima approssimazione)

di trascurare i termini di nascite e morti nella dinamica della popolazione.

Introducendo le funzioni 𝑠(𝑡) = 𝑆/𝑁 , 𝑖(𝑡) = 𝐼/𝑁 ed 𝑟 (𝑡) = 𝑅/𝑁 , che descrivono le percentuali di

individui in ciascuno dei compartimenti al variare del tempo, il modello che si ottiene è il seguente

0
 𝑠 (𝑡) = −𝛽𝑠(𝑡)𝑖(𝑡)



0
𝑖 (𝑡) = 𝛽𝑠(𝑡)𝑖(𝑡) − 𝛾𝑖(𝑡)
(16.1)
 𝑟 0 (𝑡) = 𝛾𝑖(𝑡)


Il fatto che la popolazione totale si conservi è codicato nella relazione 𝑠(𝑡) + 𝑖(𝑡) + 𝑟 (𝑡) = 1, che è

vericata per ogni 𝑡.


122 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI

Dimostriamo prima di tutto che se alle equazioni (16.1) associamo le condizioni iniziali

(16.2) 𝑠(0) = 𝑠0 ≥ 0 𝑖(0) = 𝑖 0 ≥ 0 𝑟 (0) = 𝑟 0 ≥ 0

con 𝑠0 + 𝑖0 + 𝑟 0 = 1, la corrispondente soluzione rimane positiva per ogni tempo. In altre parole,

dimostriamo che l'ottante {(𝑠, 𝑖, 𝑛) : 𝑠, 𝑖, 𝑛 ≥ 0} è positivamente invariante, cioè le traiettorie che

nascono in questa regione dello spazio non ne escono. È immediato vedere che se 0 𝑖 = 0, la soluzione
del relativo problema di Cauchy è costante per ogni 𝑡 ≥ 0. Analogamente, se 𝑠0 = 0, allora 𝑠 ≡ 0 per
ogni 𝑡 e, di conseguenza, 𝑖(𝑡) = 𝑖0 𝑒 −𝛾𝑡 ≥ 0 e 𝑟 (𝑡) = 1 − 𝑖(𝑡) = 1 − 𝑖 0 𝑒 −𝛾𝑡 ≥ 0.
Supponiamo 𝑠0 , 𝑖0 > 0. Le stesse considerazioni fatte precedentemente, mostrano che non può esistere
𝑡 1 > 0 tale che 𝑠(𝑡 1 ) o 𝑖(𝑡 1 ) = 0. Quindi 𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡) > 0 per ogni 𝑡 > 0 e ne segue che anche 𝑟 (𝑡) > 0 per

ogni 𝑡 > 0. Una volta noto che dati iniziali positivi generano soluzioni positive è immediato vericare

che la soluzione è limitata a priori, se 𝑠0 , 𝑖 0 , 𝑟 0 ≥ 0

6
𝑖
@
?@
@
@ 0 ≤ 𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡), 𝑟 (𝑡) ≤ 𝑠(𝑡) + 𝑖(𝑡) + 𝑟 (𝑡) = 1


 @ per ogni 𝑡≥0
? @
@
@
@
@


?
@ 𝑠
@ -

Il triangolo nella gura è positivamente invariante: il usso generato dal sistema dierenziale spinge

le traiettorie con dato iniziale nel triangolo verso l'interno quindi le soluzioni esistono globalmente nel

futuro.

Pertanto il problema di Cauchy per il sistema SIR ammette un'unica soluzione globale. Per studiare le

proprietà qualitative delle soluzioni, osserviamo che le prime due equazioni di (16.1) sono disaccoppiate

dalla terza e quindi possono essere considerate separatamente. Se supponiamo, per semplicità, 𝑟 0 = 0,
i valori iniziali 𝑠0 e 0 sono tali che
𝑖 𝑠0 + 𝑖 0 = 1. Dalle equazioni per 𝑠 ed 𝑖 si deduce che

  −1
𝑑𝑖 𝑑𝑡 𝑑𝑖 𝑑𝑠 1
(16.3) 𝑖 0 (𝑠) = = = −1 +
𝑑𝑡 𝑑𝑠 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝜎𝑠

Integrando, si ottiene

1  𝑠0 
𝑖 = 𝐹 (𝑠) = 1 − 𝑠 − ln
𝜎 𝑠

La soluzione (𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡)) percorre quindi il graco della funzione 𝐹 nel piano (𝑠, 𝑖) da sinistra verso
destra, visto che 𝑠 0 (𝑡) ≤ 0. Dall'espressione (16.3) si deduce che, se 𝜎 ≤ 1, la funzione 𝐹 è crescente
per 𝑠 ∈ [0, 1] e, di conseguenza, entrambe le funzioni 𝑠 e 𝑖 sono decrescenti in tempo, asintoticamente,

𝑖 tende a 0.
Nel caso 𝜎 > 1, sono possibili due eventualità: se 𝑠 0 ≤ 1/𝜎 , il comportamento è analogo al caso

precedente; se 𝜎 < 1, esiste 𝑡 1 > 0 tale che 𝑖 è crescente per 𝑡 ∈ [0, 𝑡 1 ] ed è decrescente per

𝑡 ∈ [𝑡 1 , +∞)
PER CONCLUDERE... 123

6𝑖 6𝑖
@ @
@ @
@ @ 𝑠 = 1/𝜎
@ @
@ @
@ @
 @ @
  @  @
 @ @

@ 
 Y
HH@

@ 𝑠 @ 𝑠
@- @-

Se 𝜎 < 1 il campo vettoriale è sempre orientato nello stesso modo dentro la regione invariante.

Mentre per 𝜎>1 il campo vettoriale non risulta più concorde nella componente verticale! E questo

permette una dinamica più variegata. Si noti che, in generale, l'esplosione di un'epidemia è causata

da un numero iniziale di infetti molto piccolo, 𝑖 0  1, e da numero di suscettibili molto grande, cioè

𝑠 0 ≈ 1. Riassumendo ecco un risultato di soglia critica per questo tipo di situazione.

Teorema 2.1. La soluzione (𝑠, 𝑖, 𝑟) del problema di Cauchy per il sistema (16.1), con dati iniziali
𝑠(0) = 𝑠0 ∈ (0, 1) , 𝑖(0) = 𝑖0 ∈ (0, 1) , con 𝑠0 + 𝑖0 = 1, e 𝑟 0 = 0, è tale che
i. se 𝜎 ≤ 1 segue che 𝑖 è decrescente rispetto a 𝑡 e vale 𝑖(𝑡) −→ 0 per 𝑡 −→ +∞,
ii. se 𝜎 > 1 e 𝑠0 ≤ 1/𝜎 segue che 𝑖 è decrescente rispetto a 𝑡 e vale 𝑖(𝑡) −→ 0 per 𝑡 −→ +∞,
iii. se 𝜎 > 1 e 𝑠0 > 1/𝜎 , allora la funzione 𝑖(𝑡) aumenta no al valore massimo
1
𝑖max = 1 − [1 + ln(𝜎 𝑠0 )]
𝜎
e poi decresce a zero per 𝑡 −→ +∞.
In tutti e tre i casi, la funzione 𝑠(𝑡) è decrescente e converge a 𝑠∞ > 0, unica radice in (0, 1/𝜎)
dell'equazione
1 − 𝑠∞ + ln(𝑠∞ /𝑠0 )/𝜎 = 0.
La funzione 𝑟 (𝑡) è crescente e converge, per 𝑡 −→ +∞, a 1 − 𝑠∞ .
Osservazione 2.2. Il precedente enunciato mostra che, per la generazione di un'onda epidemica, deve

essere soddisfatta la condizione 𝜎𝑠0 > 1 (si ricordi che 𝑠0 , 𝑖0 , 𝑟 0 ∈ [0, 1] e che 𝑠0 + 𝑖0 + 𝑟 0 = 1), per

questo una possibile strategia preventiva consiste nel vaccinare gli individui suscettibili, con questa

scelta si riduce il numero 𝑠0 mentre si aumenta 𝑟 0 , ovviamente supponendo che il vaccino fornisca
un'immunità permanente. Poiché vale la relazione 𝜎𝑠0 = 𝜎(1 − 𝑖 0 − 𝑟 0 ) ≤ 𝜎(1 − 𝑟 0 ) , una campagna di
vaccinazioni che vuole prevenire una epidemia deve raggiungere l'obiettivo
 
1
𝜎𝑠0 ≤ 𝜎(1 − 𝑟 0 ) ≤ 1 cioè 𝑟0 ≥ 1 −
𝜎
Il conseguimento di un tale obiettivo impedisce (sempre che il modello sia abbastanza vicino alla

realtà) il vericarsi di una epidemia. Negli anni


0 70 del XX secolo si è riusciti ad eradicare il vaiolo

in questa maniera, grazei ad una campagna vaccinale su scala mondiale. Completiamo l'osservazione

riportando delle stime del parametro 𝜎 per alcune malattie infettive note: inuenza H2N2 𝜎 ≈ 1.25,
vaiolo 𝜎 ≈ 5, varicella 𝜎 ≈ 11, morbillo 𝜎 ≈ 16.

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