Parte 1. Completezza 5
Successioni di Cauchy 10
Distanza 15
Esempi principali 16
Completezza 22
1. Topologia 27
Funzioni continue 31
Capitolo 6. Compattezza 35
Insiemi compatti 35
Intersezione di compatti 38
Osservazioni nali 39
Spazi di Banach 41
Spazi di Hilbert 43
Convergenza puntuale 49
Convergenza uniforme 50
3
4 INDICE
Raggio di convergenza 60
Uniforme continuità 67
Teorema di AscoliArzelà 68
Denizioni e terminologia 84
1. esercizi e complementi 88
Esempi 93
1. Esercizi e complementi 94
2. esercizi 115
Completezza
CAPITOLO 1
Nel corso di calcolo è stato introdotto l'insieme dei numeri reali ℝ e i suoi assiomi. Qui vogliamo
concentrarci sulla cosiddetta proprietà di completezza: questa è la proprietà che distingue i numeri
reali dai numeri razionali ℚ e sta alla base di tutti i risultati principali del primo corso di calcolo, quali il
teorema dei valori intermedi , il teorema di Weierstrass, il teorema fondamentale del calcolo integrale,
etc...
È possibile denire operativamente questa caratteristica dei reali in vari modi: di seguito ne vediamo
tre dierenti.
1.2. Assioma [Esistenza dell'estremo superiore]. Sia 𝐸 ⊆ℝ un insieme non vuoto superiormente
ii.𝜇 è il più piccolo dei maggioranti: per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑥 𝜀 ∈ 𝐸 tale che 𝜇 − 𝜀 < 𝑥𝜀.
L'elemento 𝜇 è detto estremo superiore di 𝐸 e si scrive 𝜇 = sup(𝐸) .
1.3. In maniera analoga possiamo considerare come assioma di completezza di ℝ l'esistenza dell'estremo
inferiore per insiemi non vuoti inferiormente limitati denito in maniera del tutto analoga:
i. inf (𝐸) è un minorante: inf (𝐸) ≤ 𝑥 per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 ;
ii. inf (𝐸) è il più grande dei minoranti: per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑥𝜀 ∈ 𝐸 tale che 𝑥 𝜀 < inf (𝐸) + 𝜀 .
In altre parole, per ogni insieme inferiormente limitato 𝐸 si ha che (v. Esercizio 1.1)
1.4. L'insieme dei numeri razionali ℚ non soddisfa l'Assioma 1.2. Per esempio, l'insieme 𝐸 = {𝑞 ∈
ℚ : 𝑞 2 < 2} è limitato superiormente ma non ha estremo superiore in ℚ (v. Esercizio 1.2).
7
8 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...
è interessante mostrare due sue conseguenze, che vanno sotto il nome di principio di Archimede e
1.5. Proposizione [Principio di Archimede]. Per ogni coppia di numeri reali 𝑎>0 e 𝑏 ≥0 esiste
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che la tesi sia falsa e che esistono due reali positivi 𝑎 e
𝑏 tali che 𝑛𝑎 ≤ 𝑏 per ogni 𝑛 ∈ ℕ. La precedente aermazione è equivalente a dire che l'insieme
𝐴 = {𝑛𝑎 : 𝑛 ∈ ℕ} ⊆ ℝ è non vuoto e superiormente limitato, visto che 𝑏 è un suo maggiorante,
Per l'Assioma 1.2 esiste 𝛼 = sup( 𝐴) ∈ ℝ: in particolare, (𝑛 + 1)𝑎 ≤ 𝛼 per ogni 𝑛, da cui
Questo implica che 𝛼 non è il più piccolo dei maggioranti, in contrasto con la denizione di estremo
Una delle conseguenze elementari e fondamentali del principio di Archimede è la densità dei numeri
1.6. Proposizione. L'insieme dei numeri razionali ℚ è denso nell'insieme dei numeri reali ℝ: cioè, per
ogni coppia di numeri reali 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ con 𝑥 < 𝑦, esiste un numero razionale 𝑝 ∈ ℚ tale che 𝑥 < 𝑝 < 𝑦 .
A) nel primo caso con 𝑎 = 𝑦 − 𝑥 e 𝑏 = 1, per cui esiste 𝑛 ∈ ℕ tale che 𝑛(𝑦 − 𝑥) > 1;
B) nel secondo caso con 𝑎 = 1 e 𝑏 = 𝑛𝑥 , deducendo l'esistenza di 𝑚 ∈ ℕ tale che 𝑚 > 𝑛𝑥 .
Da B) deduciamo che esiste un numero naturale ℎ ∈ ℕ (con ℎ ≤ 𝑚 ) tale che
ℎ − 1 ≤ 𝑛𝑥 < ℎ.
Nel caso in cui 𝑥 < 𝑦 ≤ 0, si considera un numero razionale 𝑝 con −𝑦 < 𝑝 < −𝑥 (la cui esistenza segue
dal caso precedente), per cui la proposizione segue con 𝑥 < −𝑝 < 𝑦 .
1 1 𝑎
≤ ≤ <𝑥 ∀ 𝑛 ≥ 𝑛0 .
𝑛 𝑛0 𝑏
La proprietà di completezza dei numeri reali espressa dall'Assioma 1.2 è resa geometricamente dal
seguente principio, che stabilisce il fatto che non ci sono spazi vuoti nei numeri reali.
ASSIOMA DEGLI INTERVALLI INCAPSULATI E PRINCIPIO DI ARCHIMEDE 9
Dimostrazione. Notiamo che la condizione 𝐼𝑛+1 ⊂ 𝐼𝑛 si traduce nella seguente relazione soddisfatta
guenza dell'Assioma 1.2. In realtà sono aermazioni equivalenti come mostra la seguente proposizione.
1.8. Proposizione [Seconda formulazione della proprietà di completezza]. Il principio degli inter-
un maggiorante di 𝐸.
Se 𝑎 0 è anch'esso un maggiorante, allora la proposizione è dimostrata perché
𝑎 0 = sup(𝐸) : infatti, 𝑎 0 è necessariamente il più piccolo maggiorante (per ogni altro maggiorante 𝜆
vale per denizone di maggiorante 𝐸 3 𝑎 0 ≤ 𝜆 ), 𝑎 0 si chiama massimo di 𝐸 e si scrive 𝑎 0 = max(𝐸) .
𝑎0 +𝑏0
Possiamo quindi supporre che 𝑎 0 non sia un maggiorante e consideriamo la media aritmetica
2 .
𝑎0 +𝑏0
Si possono presentare due casi: o è un maggiorante di 𝐸 , nel qual caso poniamo 𝑎 1 := 𝑎 0 e
2
𝑏 1 := 𝑎0 +𝑏
2
0
; oppure
𝑎0 +𝑏0
2 non è un maggiorante e in questo caso poniamo 𝑎 1 :=
𝑎0 +𝑏0
2 e 𝑏 1 := 𝑏 0 . Si
𝑏0 − 𝑎0
[𝑎 1 , 𝑏 1 ] ⊂ [𝑎 0 , 𝑏 0 ], 𝑏 1 − 𝑎 1 = .
2
𝑎1 +𝑏1
A partire adesso da 𝑎1 , 𝑏1 si procede come sopra: si considera il punto medio
e, a seconda
2
che sia o no un maggiorante di 𝐸 , si trovano i nuovi estremi 𝑎 2 , 𝑏 2 , in maniera tale che 𝑏 2 sia un
𝑏1 − 𝑎1 𝑏0 − 𝑎0
[𝑎 2 , 𝑏 2 ] ⊂ [𝑎 1 , 𝑏 1 ] ⊂ [𝑎 0 , 𝑏 0 ], 𝑏2 − 𝑎2 = = .
2 4
Procedendo in questo modo si crea una successione di intervalli chiusi limitati e incapsulati tali che
[𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] ⊂ [𝑎 𝑛 .𝑏 𝑛 ] per ogni 𝑛∈ℕ tali che 𝑎𝑛 non è un maggiorante e 𝑏𝑛 è un maggiorante di 𝐸
con
𝑏0 − 𝑎0
𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = .
2𝑛
Ñ
Usando il principio degli intervalli incapsulati, esiste 𝜆∈ 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , ossia
(1.1) 𝑎𝑛 ≤ 𝜆 ≤ 𝑏𝑛 ∀ 𝑛 ∈ ℕ.
La dimostrazione è conclusa se mostriamo che 𝜆 è l'estremo superiore di 𝐸. Iniziamo col dimostrare
che 𝜆 è un maggiorante di 𝐸: supponiamo per assurdo che non sia così e che esista, quindi, 𝑥 ∈ 𝐸
tale che 𝜆 < 𝑥. Da (1.1) segue che
𝑏0 − 𝑎0
(1.2) 𝑏𝑛 − 𝜆 ≤ 𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = .
2𝑛
10 1. I NUMERI REALI: UN NUOVO INIZIO...
Inoltre, dato che 𝑥 − 𝜆 > 0, possiamo utilizzare il principio di Archimede per trovare un naturale 𝑛 tale
che
𝑏0 − 𝑎0
(1.3) < 𝑥 − 𝜆.
2𝑛
Mettendo assieme (1.2) e (1.3), otteniamo
𝑏𝑛 − 𝜆 ≤ 𝑥 − 𝜆
e eliminando 𝜆 da entrambi i membri della disuguaglianza, si deduce che 𝑏 𝑛 < 𝑥 contro il fatto che 𝑏 𝑛 è
un maggiorante di 𝐸 . Inoltre, 𝜆 è il più piccolo dei maggioranti: se questo non fosse il caso, esisterebbe
un maggiorante 𝜇 < 𝜆 . Ragionando in maniera analoga a sopra, per il principio di Archimede esiste
1.9. Dimostrazioni per bisezione. La tecnica di dimostrazione appena vista verrà utilizzata altre
volte nel seguito, per cui vale la pena darne una formulazione generale. Si inizia con un intervallo
Si noti che la seconda alternativa impone alcune restrizioni sulla proprietà (P), perché implica che
𝑏0 − 𝑎0
(1.4) [𝑎 𝑛+1 , 𝑏 𝑛+1 ] ⊂ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ], 𝑏𝑛 − 𝑎𝑛 = ∀ 𝑛 ∈ ℕ.
2𝑛
Ñ
In particolare, la completezza dei numeri reali implica che esiste 𝜆∈ 𝑛 [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . In realtà, 𝜆 è l'unico
Ñ Ñ
elemento nell'intersezione 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] = {𝜆} : infatti, se 𝜆, 𝜇 ∈ 𝑛 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , allora
[𝑎
𝑏0 − 𝑎0
|𝜆 − 𝜇| ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ∀ 𝑛 ∈ ℕ,
2𝑛
ossia, per il principio di Archimede, 𝜆 = 𝜇 .
Successioni di Cauchy
Il limite principale delle formulazioni della completezza di ℝ esposte sopra come esistenza dell'estremo
superiore e i principi di Archimede e degli intervalli incapsulati risiede nel fatto che si basano entrambe
sull'ordinamento totale di ℝ, ossia sulla sua struttura unidimensionale: infatti, sia la denizione di
estremo superiore, sia la nozione di intervallo presuppongono la possibilità, dati due numeri reali
Tuttavia, la proprietà di completezza è chiaramente condivisa con altri insiemi, quali per esempio il
campo dei numeri complessi ℂ o lo spazio euclideo ℝ3 (o, più in generale, ℝ𝑛 ). Ma cosa vuol dire che
3
ℂ o ℝ sono spazi completi?
Di seguito diamo una terza formulazione equivalente della proprietà di completezza di ℝ, che è basata
sul concetto di successione e che è facilmente estendibile a situazioni ben più generali, quali ℂ, ℝ𝑛 e
tante altre ancora (si veda il prossimo capitolo).
SUCCESSIONI DI CAUCHY 11
1.10. Richiami sulle successioni. Ricordiamo che una successione di numeri reali è una funzione
a valori reali il cui dominio è ℕ (o un suo sottoinsieme). Generalmente una successione 𝑎 si indica
con una scrittura del tipo (𝑎 𝑘 ) , dove 𝑎 𝑘 = 𝑎(𝑘) con 𝑘 ∈ ℕ. Ricordiamo la denizione di successione
convergente.
1.11. Denizione. Una successione (𝑎 𝑘 ) è convergente se esiste un punto 𝑝∈ℝ per cui valga la
seguente proprietà:
lim 𝑎 𝑘 = 𝑝.
𝑘→+∞
1.12. Denizione. Data una successione di numeri reali 𝑎 = (𝑎 𝑘 ) e una successione di numeri naturali
crescenti 𝑘 (0) < 𝑘 (1) < 𝑘 (2)..., la successione 𝑎 0 = (𝑎 𝑘 (𝑖) ) si chiama sottosuccessione di (𝑎 𝑘 ) e si
scrive 𝑎 0 ⊂ 𝑎.
In altre parole, una sottosuccessione 𝑎0 ⊂ 𝑎 è la composizione della funzione 𝑎 con una funzione
strettamente crescente 𝜙 : ℕ → ℕ,
𝑎 0 = 𝑎 ◦ 𝜙, 𝑎 0 = (𝑎 𝑘 ( 0) , 𝑎 𝑘 ( 1) , 𝑎 𝑘 ( 2) , · · · ), 𝜙(𝑖) = 𝑘 (𝑖).
1.13. Una successione è convergente se tutte le sue sottosuccessioni convergono (v. Esercizio 1.7).
Inoltre, un fatto signicativo riguarda le successioni limitate, per le quali esiste sempre una sottosuc-
cessione convergente, come mostriamo nella prossima proposizione. Ricordiamo che una successione
si dice limitata se lo è come funzione, ossia se esiste 𝑀>0 tale che |𝑎 𝑘 | ≤ 𝑀 per ogni 𝑘 ∈ ℕ.
1.14. Proposizione. Ogni successione di numeri reali limitata possiede una sottosuccessione conver-
gente.
Dimostrazione. Diamo due dimostrazioni diverse di questo risultato; un'ulteriore dimostrazione sarà
data come conseguenza di un teorema più generale sugli spazi compatti (si veda il Capitolo 6).
Prima dimostrazione. Sia (𝑎 𝑘 ) una successione limitata e sia 𝑀 > 0 tale che −𝑀 ≤ 𝑎 𝑘 ≤ 𝑀 per
ogni 𝑘 ∈ ℕ. Applichiamo il metodo di bisezione illustrato sopra con [𝑎 0 , 𝑏 0 ] = [−𝑀, 𝑀] e la seguente
proprietà (P) per gli intervalli chiusi e limitati 𝐼:
(P) 𝑎𝑘 ∈ 𝐼 per inniti indici 𝑘.
Chiaramente (P) vale per [𝑎 0 , 𝑏 0 ] , e se un intervallo 𝐼 con inniti termini della successione viene
diviso nelle sue due metà destra 𝐼 + e sinistra 𝐼 − , allora la proprietà (P) vale per almeno uno dei due
sottointervalli, perché almeno uno dei due intervalli deve contenere un numero innito di termini della
che la proprietà (P) vale per ogni intervallo [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . In particolare, dato che ci sono inniti termini
della successione in ogni intervallo [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] , possiamo trovare una successione crescente di indici
𝑘 (0) = 0 < 𝑘 (1) < 𝑘 (2)... tale che 𝑎 𝑘 (𝑛) ∈ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] per ogni 𝑛.
Ñ
Sia 𝜆 = 𝑛∈ℕ [𝑎 𝑛 , 𝑏 𝑛 ] . Allora la sottosuccessione {𝑎 𝑘 (𝑛) } converge a 𝜆 perché per ogni 𝑛 si ha che
𝑏0 − 𝑎0
|𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝜆| ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ,
2𝑛
da cui la conclusione segue dal teorema del confronto per successioni (il limite del membro destro è
Seconda dimostrazione. Iniziamo col mostrare che ogni successione (𝑎 𝑘 ) possiede una sottosucces-
I := {𝑖 ∈ ℕ : 𝑎 𝑖 ≥ 𝑎 𝑙 ∀𝑙 ≥ 𝑖}.
Se I è un insieme innito, allora la sottosuccessione {𝑎 𝑖 : 𝑖 ∈ I} è monotona non crescente, perché
per denizione 𝑎 𝑖 ≥ 𝑎 𝑗 per ogni coppia di indici 𝑖, 𝑗 ∈ I con 𝑖 < 𝑗 . Se I è nito, esiste 𝑁0 ∈ ℕ tale
che per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 0 esiste almeno un indice 𝑙 > 𝑘 tale che 𝑎 𝑘 < 𝑎 𝑙 . Deniamo ricorsivamente una
successione come segue: poniamo 𝑘 (0) = 𝑁 0 e, denito 𝑘 (𝑛) , sia 𝑘 (𝑛 + 1) > 𝑘 (𝑛) un indice tale che
𝑎 𝑘 (𝑛+1) > 𝑎 𝑘 (𝑛) (l'esistenza di 𝑘 (𝑛 + 1) è garantita dalla nitezza di I , come detto sopra). Quindi, per
costruzione la sottosuccessione (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è crescente.
Per concludere la dimostrazione basta adesso notare che una successione monotona e limitata è
convergente. Infatti, se (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è limitata e non decrescente, allora 𝑎 𝑘 (𝑛) → sup({𝑎 𝑘 (𝑛) : 𝑛 ∈ ℕ}) per
𝑛 che tende a più innito; se (𝑎 𝑘 (𝑛) ) è limitata e non crescente, allora 𝑎 𝑘 (𝑛) → inf ({𝑎 𝑘 (𝑛) : 𝑛 ∈ ℕ})
per 𝑛 che tende a più innito.
Dimostrazione. Supponiamo che (𝑎 𝑘 ) ⊆ ℝ sia una successione convergente e sia 𝑝 ∈ ℝ il suo limite.
Dalla denizione di limite sappiamo che per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑁 (𝜀) ∈ ℕ tale che
|𝑎 𝑘 − 𝑝| ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀).
Allora possiamo scrivere
|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | = |𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑝 + 𝑝 − 𝑎 𝑘 | ≤ |𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑝| + | 𝑝 − 𝑎 𝑘 | ≤ 2 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
La disuguaglianza ottenuta prova che (𝑎 𝑘 ) è di Cauchy (con 𝐾 (𝜀) = 𝑁 (𝜀/2) ).
Viceversa, sia (𝑎 𝑘 ) una successione di Cauchy; allora dalla denizione abbiamo che esiste 𝐾0 tale che
|𝑎 𝑘+ 𝑗 − 𝑎 𝑘 | ≤ 1 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾0 .
In particolare, la successione (𝑎 𝑘 ) è limitata in quanto
|𝑎 𝑘 | ≤ |𝑎 0 | + ... + |𝑎 𝐾0 | + 1 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
Per la Proposizione 1.14 esiste una sottosuccessione convergente {𝑎 𝑘 (𝑛) } ad un punto 𝑝 ∈ ℝ. Per
concludere la dimostrazione è suciente provare che tutta la successione (𝑎 𝑘 ) converge a tale limite.
Sia 𝜀 > 0; per denizione di limite (per (𝑎 𝑘 (𝑛) ) ) e di successione di Cauchy (per (𝑎 𝑘 ) ) esistono due
È un fatto notevole che la completezza dei numeri reali possa essere caratterizzata dalla convergenza
e la convergenza delle successioni di Cauchy implicano l'esistenza dell'estremo superiore degli insiemi
Dimostrazione. Sia 𝐸⊆ℝ un insieme non vuoto superiormente limitato. La dimostrazione procede
tramite il metodo di bisezione, applicato nella stessa maniera della Proposizione 1.17: o esiste max(𝐸)
(nel qual caso la dimostrazione è conclusa), oppure esiste una successione di intervalli incapsulati
𝑏0 − 𝑎0 𝑏0 − 𝑎0
|𝑎 𝑛+ 𝑗 − 𝑎 𝑛 | ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = , |𝑏 𝑛+ 𝑗 − 𝑏 𝑛 | ≤ 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 = ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
2𝑛 2𝑛
Per ipotesi (che le successioni di Cauchy siano convergenti) (𝑎 𝑛 ) e (𝑏 𝑛 ) sono convergenti. Inoltre,
𝑏0 −𝑎0
dato che 𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 =
2𝑛 , per il principio di Archimede si ha che
lim 𝑎 𝑛 = lim 𝑏 𝑛 .
𝑛→∞ 𝑛→∞
Chiamiamo 𝜇 tale limite: la dimostrazione si conclude provando che 𝜇 = sup(𝐸) . Per denizione di
ogni 𝑛 esiste 𝑥𝑛 ∈ 𝐸 tale che 𝑎𝑛 < 𝑥𝑛. In particolare, non può esistere un maggiorante 𝜆 con 𝜆 < 𝜇:
infatti, si ha che
0 < 𝜇 − 𝜆 ≤ lim (𝑏 𝑛 − 𝑎 𝑛 ) = 0.
𝑛→∞
Complementi ed esercizi
Esercizio 1.7. Dimostrare che una successione è convergente se e solo se tutte le sue sottosuccessioni
lo sono.
Esercizio 1.8.Siano (𝑎 𝑛 ), (𝑏 𝑛 ) due successioni di numeri reali e supponiamo che
• 𝑎𝑛sia convergente,
• edesista una costante 𝐶 > 0 tale che |𝑎 𝑛 − 𝑏 𝑛 | ≤ 𝐶/𝑛.
Dimostrare che è conseguenza del principio di Archimede il fatto che
lim 𝑎 𝑛 = lim 𝑏 𝑛 .
𝑛→∞ 𝑛→∞
Esercizio 1.9. Ricordiamo la denizione di limite superiore e limite inferiore di una successione (𝑎 𝑘 ) :
lim sup 𝑎 𝑘 = inf sup 𝑎 𝑘 , lim inf 𝑎 𝑘 = sup inf 𝑎 𝑘 .
𝑘→∞ 𝑁 ∈ℕ 𝑘 ≥ 𝑁 𝑘→∞ 𝑁 ∈ℕ 𝑘 ≥ 𝑁
1) Mostrare che 𝐿 = lim sup𝑘→∞ 𝑎 𝑘 ∈ ℝ se e solo se valgono le seguenti due condizioni:
(i) per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝑁 𝜀 ∈ ℕ tale che
𝑎𝑘 ≤ 𝐿 + 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁𝜀;
Le proprietà (i) e (ii) possono enunciarsi anche come segue: (i) 𝑎 𝑘 ≤ 𝐿 + 𝜀 denitivamente; (ii)
𝑎 𝑘 ≥ 𝐿 − 𝜀 frequentemente per ogni 𝜀 > 0.
Spazi metrici
[aggiornato il 08/03/2021]
Abbiamo visto nel capitolo precedente che la proprietà di completezza dei numeri reali espressa dal-
l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore può essere formulata in maniera equivalente in almeno
altri due modi diversi: usando il principio degli intervalli incapsulati oppure tramite la convergenza delle
successioni di Cauchy.
Tuttavia, come abbiamo già osservato, sia l'assioma dell'esistenza dell'estremo superiore sia il principio
degli intervalli incapsulati utilizzano la struttura d'ordine totale di ℝ, in quanto si basano sulle nozioni
di maggiorante e di intervallo rispettivamente, che non sono presenti in altri insiemi, quali per esempio
d'ordine e si fonda esclusivamente sul concetto di distanza tra i termini della successione. Questo è
In questo capitolo introduciamo la denizione astratta di spazio metrico, ossia uno spazio munito di
una distanza, discutendo alcuni esempi signicativi.
Distanza
2.1. Denizione. Uno spazio metrico è una coppia (𝑋, 𝑑) dove 𝑋 è un insieme non vuoto (i cui
elementi saranno chiamati punti) e 𝑑 : 𝑋 × 𝑋 −→ ℝ è una funzione chiamata metrica o distanza che
soddisfa le seguenti richieste:
2.2. L'insieme dei numeri reali con la distanza indotta dal modulo 𝑑 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦| è il primo esempio
di spazio metrico che abbiamo incontrato: le veriche delle proprietà i. ii. e iii. sono elementari.
2.3. Metrica discreta. Un esempio un po' più sosticato, e per alcuni versi degenere, è il seguente:
È facile vericare che 𝑑𝐷 è una metrica. Le proprietà i. e ii. non richiedono una vera e propria
dimostrazione. Per quanto riguarda la iii. abbiamo che se 𝑥 = 𝑦 non c'è nulla da dimostrare. Se
𝑥 ≠ 𝑦, basta provare che 𝑑 𝐷 (𝑥, 𝑧) + 𝑑 𝐷 (𝑧, 𝑦) ≥ 1
𝑥 , 𝑦 e 𝑧 in 𝑋 , con 𝑥 ≠ 𝑦 , fatto questo che
per ogni
risulta essere vero, essendo almeno uno tra i valori 𝑑 𝐷 (𝑥, 𝑧) e 𝑑 𝐷 (𝑦, 𝑧) uguale a 1 (non possono essere
distanza discreta.
15
16 2. SPAZI METRICI
2.4. Un'osservazione utile, per quanto elementare, è che ogni sottoinsieme 𝐸 di uno spazio metrico
(𝑋, 𝑑) è a sua volta uno spazio metrico con la metrica indotta dalla restrizione della distanza alle
spazio metrico.
Per esempio, ogni sottoinsieme di ℝ può essere considerato uno spazio metrico con la metrica indotta
dal modulo.
Esempi principali
Proseguiamo discutendo alcuni esempi signicativi che si incontreranno ripetutamente nel proseguo.
In particolare, descriviamo tre spazi con la struttura di spazio metrico, che sono, in dettaglio: lo spazio
ℝ𝑛 , per il quale diamo tre esempi di metriche distinte, lo spazio delle successioni a quadrato sommabile
ℓ 2 e lo spazio delle funzioni continue denite su un intervallo 𝐶 (𝐼) .
2.5. ℝ𝑛 con la metrica√︃euclidea. ℝ𝑛 è l'insieme delle 𝑛-ple di numeri reali 𝑥 = (𝑥1 , ..., 𝑥 𝑛 ) . Il modulo
Í𝑛 2
di 𝑥 è il numero |𝑥| := 𝑖=1 𝑥 𝑖 . La distanza euclidea (qui denotata con 𝑑2 tra due punti di ℝ𝑛 ) è
Per dimostrare che (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) è uno spazio metrico premettiamo il seguente importante risultato.
𝑛 𝑛
∑︁ 1 ∑︁ 2 1 2
𝑝 𝑖 + 𝑞 2𝑖 = | 𝑝| + |𝑞| 2 ,
(2.1) | 𝑝𝑖 𝑞𝑖 | ≤
𝑖=1
2 𝑖=1 2
𝑛
" 𝑛
# 1/2 " 𝑛
# 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
(2.2) | 𝑝𝑖 𝑞𝑖 | ≤ 𝑝 2𝑖 𝑞 2𝑖 = | 𝑝||𝑞|.
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1
𝑝𝑖 𝑞𝑖
𝑢𝑖 = e 𝑤𝑖 =
, 𝑖 = 1, ..., 𝑛.
| 𝑝| |𝑞|
Í𝑛 2 Í𝑛 2
Per denizione si ha che 𝑖=1 𝑢 𝑖 = 𝑖=1 𝑤 𝑖 = 1, per cui da (2.1) otteniamo
𝑛 𝑛
∑︁ | 𝑝 𝑖 𝑞 𝑖 | ∑︁
= |𝑢 𝑖 𝑤 𝑖 | ≤ 1,
𝑖=1
| 𝑝||𝑞| 𝑖=1
Per la disuguaglianza triangolare, possiamo procedere come segue: siano 𝑥 = (𝑥1 , ..., 𝑥 𝑛 ) , 𝑦 = (𝑦 1 , ..., 𝑦 𝑛 )
e 𝑧 = (𝑧 1 , ..., 𝑧 𝑛 ) tre punti di ℝ𝑛 e scriviamo
𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁
𝑑22 (𝑥, 𝑦) = (𝑥𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2 = (𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 + 𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2
𝑖=1 𝑖=1
𝑛
∑︁
(𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 ) 2 + 2(𝑥𝑖 − 𝑧𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) + (𝑧 𝑖 − 𝑦 𝑖 ) 2
(2.3) =
𝑖=1
𝑛
∑︁
= 𝑑2 (𝑥, 𝑧) 2 + 𝑑2 (𝑧, 𝑦) 2 + 2 (𝑥 𝑖 − 𝑧𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ).
𝑖=1
𝑛 𝑛
! 1/2 𝑛
! 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
2 2
(𝑥𝑖 − 𝑧 𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) ≤ (𝑥𝑖 − 𝑧 𝑖 ) (𝑧𝑖 − 𝑦 𝑖 ) = 𝑑2 (𝑥, 𝑧)𝑑2 (𝑧, 𝑦),
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1
𝑑22 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑22 (𝑥, 𝑧) + 𝑑22 (𝑧, 𝑦) + 2𝑑2 (𝑥, 𝑧)𝑑2 (𝑧, 𝑦) = [𝑑2 (𝑥, 𝑧) + 𝑑2 (𝑧, 𝑦)] 2 ,
𝑛
∑︁
𝑑1 (𝑥, 𝑦) = |𝑥𝑖 − 𝑦 𝑖 |, 𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max {|𝑥1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} .
𝑖=1
Verichiamo che 𝑑1 e 𝑑∞ sono delle funzioni distanza. Le proprietà i. e ii. non presentano dicoltà.
dove abbiamo usato la disuguaglianza triangolare per il modulo in ℝ 𝑛 volte. Per quanto riguarda 𝑑∞ ,
se 0 è un indice tale che
𝑖 max {|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | , allora si ha che
𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max {|𝑥1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | ≤ |𝑥𝑖0 − 𝑧 𝑖0 | + |𝑧 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 |
≤ max {|𝑥1 − 𝑧1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑧 𝑛 |} + max {|𝑧1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑧 𝑛 − 𝑦 𝑛 |}
= 𝑑∞ (𝑥, 𝑧) + 𝑑∞ (𝑧, 𝑦).
2.8. Spazio delle successioni a quadrato sommabile ℓ 2 (ℝ) . Un altro spazio metrico rilevante dal
con la metrica
" +∞ # 1/2
∑︁
2
𝑑2 (𝑎, 𝑏) = |𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| ∀ 𝑎, 𝑏 ∈ ℓ 2 .
𝑘=0
18 2. SPAZI METRICI
Innanzitutto bisogna mostrare che 𝑑2 è ben denita in ℓ2 . A questo scopo, notiamo che per ogni
2
coppia 𝑎, 𝑏 ∈ ℓ , applicando la disuguaglianza di CauchySchwartz, si ha che
𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁
|𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| 2 ≤ (|𝑎(𝑘)| + |𝑏(𝑘)|) 2 = |𝑎(𝑘)| 2 + 2|𝑎(𝑘)𝑏(𝑘)| + |𝑏(𝑘)| 2
𝑘=0 𝑘=0 𝑘=0
𝑁 ∞ ∞
(2.2) ∑︁ ∑︁ ∑︁
2 |𝑎(𝑘)| 2 + |𝑏(𝑘)| 2 ≤ 2 |𝑎(𝑘)| 2 + 2 |𝑏(𝑘)| 2 < ∞.
≤
𝑘=0 𝑘=0 𝑘=0
funzione radice quadrata è monotona crescente. A questo punto, per 𝑁→∞ si ottiene
" ∞
# 1/2
∑︁
𝑑2 (𝑎, 𝑏) = |𝑎(𝑘) − 𝑏(𝑘)| 2 ≤ 𝑑2 (𝑎, 𝑐) + 𝑑2 (𝑐, 𝑏).
𝑘=0
2.9. Spazio delle funzioni continue con la metrica uniforme. Inne, un ulteriore importante
Il pedice 𝑏 nella notazione 𝐶𝑏 (𝐼) viene dall'inglese e sta per bounded (che vuol dire limitato). Inoltre,
osserviamo che se l'intervallo 𝐼 = [𝑎, 𝑏] è chiuso e limitato, allora per il teorema di Weierstrass tutte
le funzioni continue in [𝑎, 𝑏] ammettono massimo e minimo, e quindi sono limitate, per cui 𝐶𝑏 ( [𝑎, 𝑏])
non è altro che il più familiare insieme delle funzioni continue 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) e l'estremo superiore nella
Per mostrare che (𝐶𝑏 (𝐼), 𝑑∞ ) è uno spazio metrico, notiamo che la verica della positività e della
Osservazione. Gli spazi metrici descritti sopra hanno anche una naturale struttura di spazio vettoriale
e non è un caso che la distanza si esprima come una funzione della dierenza dei punti. Questo aspetto
Complementi ed esercizi
Esercizio 2.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico: per ogni 𝑥0 ∈ 𝑋 e 𝑟 un numero reale positivo, denotiamo
con 𝐵(𝑥0 , 𝑟) la palla di centro 𝑥0 e raggio 𝑟 :
𝐵(𝑥 0 , 𝑟) = {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 (𝑥 0 , 𝑥) < 𝑟} .
Dati 𝑦 0 , 𝑥0 ∈ 𝑋 , si dimostri che si ha 𝐵(𝑦 0 , 𝑟) ⊆ 𝐵(𝑥0 , 𝑟 + 𝑑 (𝑥0 , 𝑦 0 )) .
Esercizio 2.2. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono metriche su ℝ:
√︁
𝑑 𝑎 (𝑥, 𝑦) = min{|𝑥 − 𝑦|, 1}, 𝑑 𝑏 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦| 2 , 𝑑 𝑐 (𝑥, 𝑦) = |𝑥 − 𝑦|.
Per le sole distanze si determini 𝐵(0, 1/2) e 𝐵(0, 1) .
Esercizio 2.3. Determinare delle ipotesi sucienti sulla funzione 𝑓 : ℝ −→ ℝ che garantiscano che la
funzione
𝑑 𝑓 (𝑥, 𝑦) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)|
sia una distanza su ℝ.
Esercizio 2.4. i) Siano (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e 𝜙 : [0, +∞) −→ [0, +∞) una funzione crescente,
tale che 𝜙(0) = 0, 𝜙(𝑡) > 0 per 𝑡 > 0 e vericante inoltre la condizione di subadditività
𝜙(𝑎 + 𝑏) ≤ 𝜙(𝑎) + 𝜙(𝑏) ∀𝑎, 𝑏 ∈ [0, +∞).
Dimostrare che la funzione 𝑑∗ (𝑥, 𝑦) = 𝜙(𝑑 (𝑥, 𝑦)) è una distanza su 𝑋 .
ii) Determinare un esempio di funzione 𝜙1 limitata ed un esempi di funzione 𝜙2 non limitata che siano
subadditive.
iii) Se (𝑋, 𝑑) = (ℝ, 𝑑2 ) ci sono funzioni 𝜙 non subadditive per le quali la relativa 𝑑∗ verica la
disuguaglianza triangolare?
Esercizio 2.5. Siano 𝑑1 , 𝑑2 distanze sull'insieme 𝑋 , vericare se e quando le seguenti funzioni sono
anch'esse distanze su 𝑋 :
(a) 𝜆𝑑1 + 𝜇𝑑2 (con 𝜆, 𝜇 ∈ ℝ) (b) min{𝑑1 , 𝑑2 } (c) max{𝑑1 , 𝑑2 } (d) 𝑑1 𝑑2 .
Tra le funzioni che sono risultate distanze quali rendono limitato 𝑋 (indipendentemente dall'insieme
𝑋 )?
Esercizio 2.6. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono distanze in ℝ3
n√︁ o
𝑑 𝑎 (𝑥, 𝑦) = max (𝑥1 − 𝑦 1 ) 2 + (𝑥2 − 𝑦 2 ) 2 , |𝑥3 − 𝑦 3 |
max{|𝑥1 − 𝑦 1 |, |𝑥2 − 𝑦 2 |, |𝑥 3 − 𝑦 3 |}
𝑑 𝑏 (𝑥, 𝑦) =
1 + max{|𝑥1 − 𝑦 1 |, |𝑥2 − 𝑦 2 |, |𝑥3 − 𝑦 3 |}
Tratteggiare la palla 𝐵(0, 1) rispetto alle due distanze (0 = (0, 0, 0) è l'origine di ℝ3 ).
Esercizio 2.7. Consideriamo ℝ2 con la distanza 𝑑1 . Si mostri che ci sono terne di punti non allineati
per cui la disuguaglianza triangolare diventa un'uguaglianza.
CAPITOLO 3
Alla luce delle considerazioni fatte sulla completezza di ℝ nel Capitolo 1 si deniscono gli spazi metrici
completi sulla base della convergenza delle successioni di Cauchy. Premettiamo alcune denizioni.
lim 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) = 0.
𝑘→∞
iii. Una successione (𝑎 𝑘 ) ⊂ 𝑋 si dice di Cauchy se per ogni 𝜀>0 esiste 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale che
3.2. Unicità del limite. I limiti delle successioni sono unici: se 𝑎 𝑘 −→ 𝑝 e 𝑎 𝑘 −→ 𝑞 , allora
𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ 𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘 ) + 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑞) ∀ 𝑘 ∈ ℕ,
da cui
𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ lim [𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘 ) + 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑞)] = 0,
𝑘→∞
cioè 𝑝 = 𝑞.
3.3. Ogni successione convergente è di Cauchy. Infatti, da ii. segue che per ogni 𝜀>0 esiste un
𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀).
Allora, per ogni 𝑘 ≥ 𝑁 (𝜀) e per ogni 𝑗 ∈ ℕ, per la disuguaglianza triangolare si ha che
𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) + 𝑑 ( 𝑝, 𝑎 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 2𝜀,
cioè (𝑎 𝑘 ) è di Cauchy.
Il viceversa non è sempre vero: per esempio, in (ℚ, 𝑑2 ) non è vero che ogni successione di Cauchy sia
convergente.
21
22 3. SPAZI METRICI COMPLETI
3.4. Limitatezza delle successioni di Cauchy. Ogni successione di Cauchy è limitata, cioè per ogni
successione di Cauchy (𝑎 𝑘 ) e per ogni punto 𝑝 ∈ 𝑋, esiste una costante 𝐶>0 tale che
𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝐶 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
Infatti, sia 𝐾 (1) ∈ ℕ la costante della Denizione 3.1 iii., allora
𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑎 𝐾 ( 1) ) + 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) ≤ 1 + 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (1).
In particolare, posto 𝐶 = max{𝑑 (𝑎 0 , 𝑝), 𝑑 (𝑎 1 , 𝑝), ..., 𝑑 (𝑎 𝐾 ( 1) , 𝑝) + 1}, si ha che
𝑑 (𝑎 𝑘 , 𝑝) ≤ 𝐶 ( 𝑝) ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
Completezza
La convergenza delle successioni di Cauchy è un criterio che può essere usato per denire il concetto
3.5. Denizione. Uno spazio metrico (𝑋, 𝑑) si dice completo se ogni successione di Cauchy è
convergente.
Dimostrazione. La dimostrazione della completezza degli spazi metrici procede secondo uno schema
comune: 1) prima si individua il candidato limite di una successione di Cauchy; 2) si prova che il limite
appartiene allo spazio in questione; 3) si prova che sussiste la convergenza nella metrica dello spazio.
In alcuni casi, come questo in questione, il punto 2) non richiede nessuna verica (ma non sarà così
per lo spazio delle successioni ℓ 2 e per lo spazio delle funzioni continue e limitate 𝐶𝑏 (𝐼) ).
Iniziamo con lo spazio euclideo (ℝ , 𝑑 2 ) . Sia (𝑥 𝑘 ) ⊂ ℝ una successione di Cauchy nella metrica 𝑑 2 :
𝑛 𝑛
2 1/2
" 𝑛 #
∑︁
𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) = 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥 𝑖𝑘+ 𝑗 ≤ 𝜀 per ogni 𝑘 ≥ 𝐾, ∀ 𝑗 ∈ ℕ,
𝑖=1
dove abbiamo usato la convenzione di scrivere in apice le componenti dei punti di ℝ𝑛 per non con-
1
fonderle con l'indice della successione: 𝑥 = (𝑥 , ..., 𝑥 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 , per cui in particolare 𝑥 𝑘 = (𝑥 1𝑘 , ..., 𝑥 𝑘𝑛 ) ∈
ℝ𝑛 .
Allora, se ssiamo un indice 𝑖 0 ∈ {1, ..., 𝑛}, la successione formata da tutte le componenti 𝑖 0 -esime
dei punti 𝑥 𝑘 , (𝑥 ) (qui
𝑖 𝑘 è l'indice della successione), è una successione di Cauchy, in quanto
𝑘
i 2 1/2
" 𝑛 #
∑︁ h
𝑖0 𝑖0 𝑖 𝑖
|𝑥 𝑘 − 𝑥 𝑘+ 𝑗 | ≤ 𝑥 𝑘 − 𝑥 𝑘+ 𝑗 = 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
𝑖=1
𝑖0
Usando la completezza di ℝ, possiamo aermare che esiste 𝑥∞ ∈ℝ tale che
lim 𝑥 𝑖0 𝑖0
= 𝑥∞ per ogni 0 𝑖 = 1, ..., 𝑛.
𝑘→∞ 𝑘
1
Abbiamo quindi trovato il candidato limite 𝑥∞ = (𝑥 ∞ 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 .
, ..., 𝑥 ∞
Per completare la dimostrazione mostriamo che 𝑑 2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 ∞ ) converge a zero: infatti, si ha che
" 𝑛 # 1/2 " 𝑛 # 1/2
∑︁ 2
∑︁ 2
lim 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) = lim 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥 ∞
𝑖
= lim 𝑥 𝑖𝑘 − 𝑥∞
𝑖
= 0.
𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞
𝑖=1 𝑖=1
Le dimostrazioni della completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) seguono lo stesso schema e i dettagli sono
lasciati al lettore.
COMPLETEZZA 23
Qui suggeriamo un altro argomento dimostrativo: facciamo vedere che le distanze 𝑑∞ e 𝑑1 sono
√
(3.2) 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑑1 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝑛𝑑2 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛 .
La prima disuguaglianza segue dal dato che |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | ≤ max{|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} per ogni indice
Inoltre, esiste un indice 0 tale che 𝑖 𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = max{|𝑥 1 − 𝑦 1 |, ..., |𝑥 𝑛 − 𝑦 𝑛 |} = |𝑥 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | , per cui
" 𝑛 # 1/2
∑︁ 2
𝑑∞ (𝑥, 𝑦) = |𝑥 𝑖0 − 𝑦 𝑖0 | ≤ 𝑥𝑖 − 𝑦𝑖 = 𝑑2 (𝑥, 𝑦).
𝑗=1
e, inoltre,
" 𝑛
#2 𝑛 𝑛
∑︁ ∑︁ ∑︁
2
𝑑1 (𝑥, 𝑦) = 𝑖
|𝑥 − 𝑦 | 𝑖
= |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | 2 + 2 |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 ||𝑥 𝑗 − 𝑦 𝑗 |
𝑖=1 𝑖=1 𝑖≠ 𝑗=1
𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁ 𝑛
∑︁
𝑖 2 𝑖 2 𝑗 2
≤ 𝑖
|𝑥 − 𝑦 | + 𝑖 𝑗
|𝑥 − 𝑦 | + |𝑥 − 𝑦 | = 𝑛 |𝑥 𝑖 − 𝑦 𝑖 | 2
𝑖=1 𝑖≠ 𝑗=1 𝑖=1
= 𝑛 𝑑2 (𝑥, 𝑦) ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ𝑛 .
La completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) si può quindi dedurre dalla completezza di 𝑑2 nel modo seguente.
Sia (𝑥 𝑘 ) una successione di Cauchy per 𝑑★ , con ★ = 1 o ∞: ossia, per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝐾 (𝜀) ∈ ℕ tale
che
𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀), ∀ 𝑗 ∈ ℕ.
Allora da (3.1) e (3.2) deduciamo che (𝑥 𝑘 ) è una successione di Cauchy anche per 𝑑2 , perchè per
𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝐶★ 𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀/𝐶★), ∀ 𝑗 ∈ ℕ,
√
dove 𝐶∞ = 𝑛 e 𝐶1 = 1. Per la completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) , la successione (𝑥 𝑘 ) è convergente per 𝑑2 ,
ossia esiste 𝑥 ∞ tale che 𝑑 2 (𝑥 𝑘 , 𝑥 ∞ ) → 0. Invocando adesso la seconda disuguaglianza di (3.1) e (3.2),
𝑑★ (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) ≤ 𝐷 ★ 𝑑2 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) → 0,
√
con 𝐷∞ = 1 e 𝐷 1 = 𝑛, stabilendo così la completezza di (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) e (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) .
Procediamo adesso col mostrare la completezza dello spazio delle successioni a quadrato sommabile.
24 3. SPAZI METRICI COMPLETI
𝑎∞ ∈ ℓ2 . Ricordiamo che tutte le successioni di Cauchy sono limitate: cioè esiste una costante 𝐶>0
tale che 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑂) ≤ 𝐶 , dove 𝑂 denota la successione fatta di tutti zeri 𝑂 = (0, 0, ...) . Da qui segue
che
" 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2 " 𝑁
# 1/2
∑︁ ∑︁ ∑︁
2 2 2
|𝑎 ∞ ( 𝑗)| = lim |𝑎 𝑘 ( 𝑗)| = lim |𝑎 𝑘 ( 𝑗)|
𝑘→∞ 𝑘→∞
𝑗=0 𝑗=0 𝑗=0
" ∞
# 1/2
∑︁
≤ lim sup |𝑎 𝑘 ( 𝑗)| 2 = lim sup 𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑂) ≤ 𝐶 < +∞.
𝑘→∞ 𝑗=0 𝑘→∞
" ∞
# 1/2
∑︁
2
|𝑎 ∞ ( 𝑗)| ≤ 𝐶 < +∞, ossia 𝑎∞ appartiene a ℓ2 .
𝑗=0
Inne, dimostriamo il terzo punto dello schema di dimostrazione, vale a dire che 𝑎 𝑘 → 𝑎∞ nella
" ∞
# 1/2
∑︁
2
𝑑2 (𝑎 𝑘 , 𝑎 ∞ ) = |𝑎 𝑘 (𝑛) − 𝑎 ∞ (𝑛)| ≤𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾 (𝜀).
𝑗=0
Inne dimostriamo la completezza dello spazio delle funzioni continue e limitate con la metrica
uniforme.
COMPLETEZZA 25
3.8. Teorema [Completezza dello spazio delle funzioni continue e limitate]. Per ogni intervallo
𝐼 ⊂ ℝ, lo spazio metrico delle funzioni continue e limitate in 𝐼 con la metrica uniforme (𝐶𝑏 (𝐼), 𝑑∞ ) è
completo.
zero 𝑧 ≡ 0 (si ricordi che le successioni di Cauchy di uno spazio metrico sono limitate):
continuità di 𝑓 𝐾 , si ha che esiste 𝛿 = 𝛿(𝜀) > 0 tale che | 𝑓 𝐾 (𝑧 0 ) − 𝑓 𝐾 (𝑥)| ≤ 𝜀 per ogni |𝑧 0 − 𝑥| ≤ 𝛿 .
𝜀>0 sia 𝐾 (𝜀) come in (3.3) e, per ogni 𝑘 ∈ ℕ, sia 𝑥 𝑘 ∈ 𝐼 tale che
Complementi ed esercizi
26 3. SPAZI METRICI COMPLETI
Esercizio 3.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e sia 𝐸 ⊆ 𝑋 un suo sottoinsieme chiuso, allora
(𝐸, 𝑑) è uno spazio metrico completo.
Esercizio 3.2. Sia 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) lo spazio delle funzioni di classe 𝐶 1 , limitate e con derivata limitata denite
sull'intervallo aperto e limitato (𝑎, 𝑏) ⊆ ℝ, cioè
𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) = { 𝑓 : (𝑎, 𝑏) → ℝ : 𝑓 , 𝑓 0 continue e limitate} ,
e si consideri la funzione 𝑑∞,1 : 𝐶 1 (𝑎, 𝑏) × 𝐶𝑏1 (𝑎, 𝑏) → ℝ denita come segue
𝑑∞,1 ( 𝑓 , 𝑔) = 𝑑∞ ( 𝑓 , 𝑔) + 𝑑∞ ( 𝑓 0, 𝑔 0) = sup | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| + sup | 𝑓 0 (𝑥) − 𝑔 0 (𝑥)|.
𝑥 ∈(𝑎,𝑏) 𝑥 ∈(𝑎,𝑏)
Allora
i. si provi che 𝐶 1 (𝑎, 𝑏), 𝑑∞,1 è uno spazio metrico,
Sebbene uno spazio metrico sia univocamente descritto dalla sua metrica, alcune sue proprietà vengono
espresse in maniera più ecace guardando opportuni sottoinsiemi dello spazio stesso: questo accade,
per esempio, con la nozione di continuità, come spiegheremo nel prossimo capitolo. Con questo
intento, introduciamo la nozione di topologia di uno spazio metrico e deniamo alcuni concetti che
hanno a che fare con la geometria dei sottoinsiemi degli spazi metrici.
1. Topologia
Nel seguito (𝑋, 𝑑) denoterà uno spazio metrico. Dato un punto 𝑝 ∈ 𝑋 e un reale positivo 𝑟 > 0,
denotiamo con 𝐵( 𝑝, 𝑟) la palla di centro 𝑝 e raggio 𝑟 > 0 denita come segue:
𝐵( 𝑝, 𝑟) := {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 ( 𝑝, 𝑥) < 𝑟}.
Si noti che per denizione la palla 𝐵( 𝑝, 𝑟) non è mai vuota, perché contiene sempre il suo centro 𝑝.
4.1. Denizione [Insiemi aperti e chiusi]. i. Un insieme 𝐴⊆ 𝑋 si dice aperto se per ogni 𝑥0 ∈ 𝐴
esiste 𝑟>0 tale che 𝐵(𝑥0 , 𝑟) ⊆ 𝐴.
ii. Un insieme 𝐶⊆𝑋 si dice chiuso se il suo complementare 𝐶𝑐 = 𝑋 \ 𝐶 è aperto.
La famiglia degli insiemi aperti 𝜏 = { 𝐴 ⊂ 𝑋 : 𝐴 aperto} si chiama topologia dello spazio metrico.
4.2. L'insieme vuoto e l'intero spazio 𝑋 sono insiemi aperti e chiusi per denizione. Infatti, la de-
nizione di aperto è banalmente vericate per 𝐴 = ∅ perché non esiste nessun 𝑥0 ∈ ∅ e, analogamente,
è vericata per 𝐴 = 𝑋 perché ogni palla 𝐵(𝑥0 , 𝑟) è per denizione un sottoinsieme di 𝑋 . Dato che
∅𝐶 = 𝑋 e 𝑋𝐶 = ∅, ne deriva che sono anche chiusi.
4.3. Denizione [Punti interni]. Sia 𝐴 ⊆ 𝑋. Un punto 𝑥0 ∈ 𝐴 si dice interno a 𝐴 se esiste 𝑟 >0
tale che 𝐵(𝑥0 , 𝑟) ⊆ 𝐴.
Quindi, un sottoinsieme 𝐴⊆𝑋 è aperto se tutti i suoi punti sono punti interni.
4.4. IMPORTANTE. Un insieme che non è aperto non è necessariamente chiuso: la negazione
1
Se 𝑥0 ∈ 𝐴 non è un punto interno, allora per ogni 𝑟𝑘 = 𝑘 esiste un punto 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟 𝑘 ) \ 𝐴; quindi,
equivalentemente, vale
𝐴 non è aperto ⇐⇒ 𝐴 ∌ 𝑥 𝑘 → 𝑥 0 ∈ 𝐴.
27
28 4. TOPOLOGIA DEGLI SPAZI METRICI
4.6. Teorema. Sia Λ un insieme di indici generico e sia { 𝐴𝜆 } 𝜆∈Λ una famiglia di aperti. Allora, ∪𝜆∈Λ 𝐴𝜆
è aperto. Se {𝐶𝜆 }𝜆∈Λ è una famiglia arbitraria di chiusi, allora ∩𝜆∈Λ 𝐶𝜆 è chiuso.
Dimostrazione. Riguardo alla prima aermazione, osserviamo subito che, se 𝑝 ∈ ∪𝜆 𝐴𝜆 , allora esiste
(almeno) un aperto 𝐴𝜆0 , 𝜆0 ∈ Λ, tale che 𝑝 ∈ 𝐴𝜆0 . Dato che 𝐴𝜆0 è aperto, per denizione esiste
Per quanto riguarda la seconda aermazione, basta passare ai complementari: ricordiamo che per
denizione 𝐶𝜆𝑐 sono insiemi aperti, per cui per quanto appena dimostrato ∪𝜆∈Λ 𝐶𝜆𝑐 = 𝐴 è aperto.
4.7. Teorema. L'intersezione di una famiglia nita di aperti è aperta e l'unione di una famiglia nita
di chiusi è chiusa
Come per il teorema precedente, la conclusione per i chiusi si deduce dalla precedente passando ai
Gli insiemi chiusi di uno spazio metrico sono caratterizzati dalla proprietà di contenere tutti i limiti
i) 𝐶⊆𝑋 è chiuso,
𝑥∞ .
[ii)=⇒ i)] COme spiegato in 4.4, se 𝐶 𝑐 non è aperto, esiste 𝑞 ∈ 𝐶 𝑐 e 𝑥 𝑘 ∈ (𝐶 𝑐 ) 𝑐 = 𝐶 con
𝑑 (𝑞, 𝑥 𝑘 ) ≤ 1/𝑘 . In particolare, (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐶 converge a 𝑞∈ 𝐶 , contraddicendo ii. Ne deriva che 𝐶 𝑐 deve
𝑐
𝐴=∅ e 𝐶 = 𝑋 sono sempre ammissibili nelle denizioni iii. e iv. Inoltre, per denizione se 𝐴 è aperto,
𝐸.
4.10. Proposition. i. Un punto 𝑝 ∈ 𝑋 è di accumulazione per 𝐸 ⊆ 𝑋 , se e solo se esiste una
la palla 𝐵( 𝑝, 𝑟) , con 𝑟 > 0 generico. Poiché 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) −→, esiste 𝐾0 = 𝐾0 (𝑟) tale che 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) < 𝑟 per
ogni 𝑘 > 𝐾0 , e quindi 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵( 𝑝, 𝑟) . Abbiamo provato che per ogni 𝑟 > 0 esistono punti 𝑥 𝑘 ∈ 𝐵( 𝑝, 𝑟) ∩ 𝐸
ii. Supponiamo che 𝑝 ∈ 𝐸 ¯ \ 𝐸 . Allora 𝑝 è di accumulazione per 𝐸 , cioè per ogni 𝑟 > 0 la palla aperta
𝐵( 𝑝, 𝑟) interseca 𝐸 : infatti, se così non fosse, allora 𝐵( 𝑝, 𝑟) 𝑐 sarebbe un chiuso che contiene 𝐸 , da
cui 𝑝 ∈ 𝐸 ¯ ⊂ 𝐵( 𝑝, 𝑟) 𝑐 è chiaramente una contraddizione (un punto appartiene sempre alle palle con
centro nel punto!)
Complementi ed esercizi
Esercizio 4.1. Sia (𝑋, 𝑑 𝐷 ) lo spazio metrico, dove 𝑋 ≠ ∅ e 𝑑 𝐷 è la metrica discreta, cioè
1 se 𝑝 ≠ 𝑞,
𝑑 𝐷 ( 𝑝, 𝑞) =
0 se 𝑝 = 𝑞.
Si descrivano gli insiemi aperti, gli insiemi chiusi e le successioni di Cauchy in questo spazio metrico.
Esercizio 4.2. Si considerino gli spazi metrici (ℝ𝑛 , 𝑑1 ) , (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) . Si mostri che se 𝐴 ⊆ ℝ𝑛
è aperto rispetto una delle tre metriche lo è anche rispetto alle altre due.
Esercizio 4.3. Si provi che il semipiano 𝐻 = {(𝑥1 , 𝑥2 ) ∈ ℝ2 : 𝑥1 > 0} è aperto in (ℝ, 𝑑2 ) .
Esercizio 4.4.Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e sia 𝐸 = {𝑝 1 , ..., 𝑝 𝑁 } ⊆ 𝑋 un suo sottoinsieme nito, si
dimostri che 𝐸 è chiuso.
30 4. TOPOLOGIA DEGLI SPAZI METRICI
Esercizio 4.5. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e sia 𝐵 = 𝐵( 𝑝, 𝑟) , con 𝑝 ∈ 𝑋 e 𝑟 > 0, si dimostri che
1) 𝐵¯ ⊆ {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 𝑟 },
2) se 𝑑 = 𝑑 𝐷 (la distanza discreta) e 𝑟 = 1 allora 𝐵¯ non coincide con {𝑥 ∈ 𝑋 : 𝑑 𝐷 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 1},
3) Se (𝑋, 𝑑) = (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) allora 𝐵¯ = {𝑥 ∈ ℝ𝑛 : 𝑑2 ( 𝑝, 𝑥) ≤ 𝑟 }.
Esempio 4.1. Si mostri che gli intervalli (𝑎, 𝑏) , (𝑎, +∞) e (−∞, 𝑎) sono aperti in ℝ con la metrica
euclidea. Gli intervalli [𝑎, 𝑏] , [𝑎, +∞) e (−∞, 𝑎] sono chiusi in (ℝ, 𝑑) . Gli intervalli (𝑎, 𝑏] e [𝑎, 𝑏) non
sono né aperti né chiusi.
Esempio 4.2. Per quali 𝑝 ∈ ℝ l'insieme [0, 1] ∪ {𝑝} è chiuso in (ℝ, 𝑑2 ) ? e in (ℝ, 𝑑 𝐷 ) ?
Esempio 4.3. Sia 𝑔 ∈ 𝐶 ( [0, 1]) una funzione positiva e deniamo
∀ 𝑥 ∈ [0, 1]} ⊆ 𝐶 0 [0, 1], 𝑑∞ .
𝐶 = { 𝑓 : | 𝑓 (𝑥)| ≤ 𝑔(𝑥)
i. Si mostri che 𝐶 è chiuso.
ii. Si descriva 𝜕𝐶 .
Esercizio 4.6. Si consideri la funzione 𝑑𝑒 (𝑥, 𝑦) = |𝑒 𝑥 − 𝑒 𝑦 | , con 𝑥, 𝑦 ∈ ℝ, si dimostri che
1) (ℝ, 𝑑𝑒 ) è uno spazio metrico,
2) (ℝ, 𝑑𝑒 ) non è completo,
3) 𝑑𝑒 produce su ℝ la stessa topologia della distanza euclidea 𝑑2 (cioè genera gli stessi aperti e gli
stessi chiusi).
CAPITOLO 5
Di fondamentale importanza è la nozione di funzioni continue tra spazi metrici, che avranno un ruolo
Funzioni continue
In analogia alla continuità per funzioni di variabile reale, si introduce la seguente denizione di funzione
continua.
5.1. Denizione [Funzioni continue]. Siano (𝑋, 𝑑 𝑋 ) e (𝑌 , 𝑑𝑌 ) due spazi metrici e sia 𝑥0 ∈ 𝑋 . Una
funzione 𝑓 : 𝑋 → 𝑌 si dice continua in 𝑥 0 se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che
5.2. Teorema. Siano (𝑋, 𝑑 𝑋 ) e (𝑌 , 𝑑𝑌 ) due spazi metrici e 𝑓 : 𝑋 → 𝑌 una funzione. I seguenti
i) 𝑓 è continua;
𝑑 𝑋 (𝑥 𝑘 , 𝑥∞ ) < 𝛿 =⇒ 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥 𝑘 ), 𝑓 (𝑥 ∞ )) ∀ 𝑘 ≥ 𝑁0 (𝜀).
Dall'arbitrarietà di 𝜀>0 si conclude che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑓 (𝑥∞ ) .
[ii) =⇒ iii)] Supponiamo per assurdo che esista un sottoinsieme aperto 𝐴 ⊂ 𝑌 tale che 𝑓 −1 ( 𝐴) ⊂ 𝑋
non sia aperto. Questo vuol dire (si veda 4.4) che esiste un punto 𝑥 ∞ ∈ 𝑓
−1 ( 𝐴) e una successione
− 1
𝑐
(𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝑓 ( 𝐴) tale che 𝑥 𝑘 −→ 𝑥∞ . Da ii. si ha che 𝑓 (𝑥 𝑘 ) −→ 𝑓 (𝑥∞ ) . Inoltre, dato che 𝐴 è aperto,
esiste 𝜀 > 0 tale che 𝐵( 𝑓 (𝑥 ∞ ), 𝜀) ⊂ 𝐴. Ne segue che esiste 𝑁 0 (𝜀) ∈ ℕ per cui 𝑑𝑌 ( 𝑓 (𝑥 𝑘 ), 𝑓 (𝑥 ∞ )) < 𝜀 ,
31
32 5. FUNZIONI CONTINUE E TEOREMA DELLE CONTRAZIONI
5.3. Denizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Diremo che 𝑇 : 𝑋 −→ 𝑋 è una contrazione, se
𝜀
Una contrazione è necessariamente continua: infatti, per ogni 𝜀 > 0, scelto 𝛿= 𝛼 , si ha che
𝑑 (𝑥, 𝑦) ≤ 𝛿 =⇒ 𝑑 (𝑇 (𝑥), 𝑇 (𝑦)) ≤ 𝛼𝛿 = 𝜀.
Più precisamente, una contrazione è quella che si chiama una funzione lipschitziana con costante di
Lipschitz minore di 1.
Il seguente teorema è il risultato principale che dimostriamo sulle contrazioni.
5.4. Teorema [delle contrazioni di BanachCaccioppoli]. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo
e sia 𝑇 : 𝑋 −→ 𝑋 una contrazione. Allora esiste un unico punto sso di 𝑇 , cioè esiste e è unico un
𝑇 ( 𝑝) = 𝑝.
𝑥 𝑘+1 = 𝑇 (𝑥 𝑘 ) = 𝑇 𝑘 (𝑥0 ) 𝑘 ∈ ℕ.
Allora, si ha che
(1 − 𝛼)𝑑 ( 𝑝, 𝑞) ≤ 0.
Dato che il fattore (1 − 𝛼) non è nullo, si ha che 𝑑 ( 𝑝, 𝑞) = 0 (la distanza è una funzione positiva),
cioè 𝑝 = 𝑞.
TEOREMA DELLE CONTRAZIONI 33
5.5. Si noti che (5.2) da anche una stima dell'errore che si commette nel calcolare il punto sso,
perché
𝛼 𝑘 𝑑 (𝑥 0 , 𝑥1 )
𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑝) = lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑥 𝑘+ 𝑗 ) ≤ .
𝑗→∞ 1−𝛼
Complementi ed esercizi
Esercizio 5.1. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Dimostrare che, per ogni 𝑝 ∈ 𝑋 ssato, la funzione
𝑓 (𝑥) = 𝑑 (𝑥, 𝑝) è una funzione continua su 𝑋 .
Esercizio 5.2.Prendiamo un poster della celeberrima Gioconda e facciamone una fotocopia su lucido
al 50%. Poi appoggiamo il lucido sul poster in una posizione qualunque, stando attenti che il lucido
non sporga dai margini dell'immagine originale. È vero che c'è un punto dell'immagine esattamente
sovrapposto a sé stesso? Quanti sono? E come si fa a localizzarli?
Dato lo spazio metrico (𝐶 ( [0, 1]), 𝑑∞ ) si determini l'immagine e il sottoinsieme su cui
Esercizio 5.3.
Esercizio 5.8.Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e 𝐻 : 𝑋 −→ 𝑋 un'applicazione tale che 𝐻 𝑛0 è
una contrazione (per un indice 𝑛0 ∈ ℕ ssato). Si provi che 𝐻 possiede un unico punto sso.
Esercizio 5.9. Ognuno degli esempi che seguono contiene il parametro reale 𝜆 ∈ ℝ: si studi al variare
del parametro in quali è possibile applicare il teorema delle contrazioni e si provi a calcolare e/o stimare
il punto sso √
i. 𝑇 : [0, 𝜆] → ℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝑥 + 1,
ii. 𝑇 : ℝ → ℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝜆 cos(𝑥) ,
iii. 𝑇 : ℝℝ, 𝑇 (𝑥) = 𝑒−𝜆𝑥 .
2
Esercizio 5.10. Si consideri lo spazi metrico (𝐶 ( [0, 𝜆]), k · k ∞ ) e l'operatore 𝑇 ∈ L (𝐶 ( [0, 𝜆])) così
denito ∫ 𝑥
𝑓 ↦−→ 𝑇 ( 𝑓 ) con 𝑇 ( 𝑓 ) (𝑥) = 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠.
0
1) Si dica per quali 𝜆 > 0 si ha che 𝑇 è una contrazione,
2) Si identichi il punto sso dell'operatore.
Esercizio 5.11. Per ogni funzione continua 𝑓 : [−𝑎, 𝑎] −→ ℝ si consideri l'applicazione 𝑇 [ 𝑓 ] :
[−𝑎, 𝑎] −→ ℝ con
∫𝑎
𝑇 [ 𝑓 ] (𝑥) = (𝑠 − 𝑥) 2 𝑓 (𝑠)𝑑𝑠.
−𝑎
a. Dimostrare che 𝑇 trasforma funzioni pari in funzioni pari.
b. Dimostrare che per ogni funzione 𝑓 ∈ 𝐶 0 [−𝑎, 𝑎]
8𝑎 3
k𝑇 [ 𝑓 ] k ∞ ≤ k 𝑓 k∞ dove k 𝑓 k ∞ = sup | 𝑓 (𝑥)| .
3 𝑥 ∈ [−𝑎,𝑎]
Compattezza
In questo capitolo studiamo una tra le proprietà più importanti degli spazi metrici e dei suoi sottoinsie-
mi, nota con il termine di compattezza. Abbiamo già incontrato questa proprietà, che ha a che fare
con le ipotesi di limitatezze e di chiusura nel principio degli intervalli incapsulati 1.7 o nel teorema
Insiemi compatti
Iniziamo col dare le denizioni pertinenti al concetto di compattezza.
6.1. Denizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico. Un sottoinsieme 𝐾⊂𝑋 si dice
data una famiglia arbitraria di aperti { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ tali che 𝐾 ⊂ ∪𝜆∈Λ 𝐴𝜆 , esiste un certo numero 𝑁∈ℕ di
𝐾 ⊆ 𝐵( 𝑝 1 , 𝑟) ∪ ... ∪ 𝐵( 𝑝 𝑁 , 𝑟);
iv. completo se è completo per la metrica restrizione (𝐾, 𝑑 |𝐾 ) : ossia ogni successione di Cauchy
(𝑥 𝑘 ) ⊂ 𝐾 ha limite in 𝐾.
𝐾 è compatto per successione, allora ogni successione di Cauchy (𝑥 𝑘 ) ⊆ 𝐾 deve possedere una sotto-
successione convergente in 𝐾 ; ma se una successione di Cauchy ha una sottosuccessione convergente,
allora tutta la successione ammette limite, per cui 𝐾 è completo.
2) La nozione di totale limitatezza può essere formulata equivalentemente come segue: chiamiamo
allora 𝐾 è totalmente limitato se per ogni 𝑟 >0 esiste un numero 𝑁 ∈ℕ di insiemi 𝐷 1 , ..., 𝐷 𝑁 con
𝑁
Ø
𝐾= 𝐷𝑙 .
𝑙=1
35
36 6. COMPATTEZZA
6.3. Esempi. Facciamo alcuni esempi elementari al ne di illustrare i concetti introdotti.
1) (ℝ, 𝑑) è completo; non è totalmente limitato (non è limitato); non è compatto per successioni
Bolzano e Weierstrass si veda 1.14 ogni successione limitata ammette una sottosuccessione
6.4. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico completo e sia 𝐸 ⊂ 𝑋. Allora 𝐸 è completo se e
solo se è chiuso.
di Cauchy, ha limite in 𝐸: cioè 𝐸 contiene tutti i suoi punti di accumulazione e quindi è chiuso (per
di 𝐸 segue.
6.5. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e 𝐾 ⊆ 𝑋 un insieme compatto. Allora 𝐾 è completo
e totalmente limitato.
Ponendo 𝑟 = min{𝑑 𝑦1 , ..., 𝑑 𝑦𝑁 }, abbiamo che 𝐵(𝑦 𝑖 , 𝑑 𝑦𝑖 ) ∩ 𝐵(𝑥0 , 𝑟) = ∅ per ogni 𝑖 = 1, ..., 𝑁 . In parti-
Ð𝑁
colare, 𝐾 ∩ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) ⊆ 𝑖=1 𝐵(𝑦 𝑖 , 𝑑 𝑦𝑖 ) ∩ 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) = ∅, ossia 𝐵(𝑥 0 , 𝑟) ⊆ 𝐴 = 𝐾 . Ogni punto 𝑥 0 di 𝐴 è
𝑐
𝑐
quindi un punto interno a 𝐴, cioè 𝐴 è aperto. Ne segue che 𝐾 = 𝐴 è chiuso e per la proposizione
precedente 𝐾 è completo.
Per provare che 𝐾 è totalmente limitato, ssiamo 𝑟 > 0 e notiamo che naturalmente {𝐵(𝑥, 𝑟)} 𝑥 ∈𝐾 è
per opportuni punti {𝑥1 , ..., 𝑥 𝑁 } ⊆ 𝐾 , il che prova che 𝐾 è totalmente limitato.
Dimostrazione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano 𝐶 ⊆ 𝐾 ⊆ (𝑋, 𝑑) , con 𝐾 compatto e 𝐶 chiuso:
vogliamo mostrare che allora 𝐶 è compatto. A questo scopo consideriamo { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ un ricoprimento
aperto di 𝐶. 𝐶 𝑐 è aperto e, dato che 𝐶 ⊂ 𝐾 , si ha che la
Per ipotesi famiglia {𝐶 , 𝐴𝜆 } 𝜆∈Λ costituisce
𝑐
un ricoprimento aperto di 𝐾 .
𝑐
Per la compettezza di 𝐾 esiste un sottoricoprimento nito, cui possiamo aggiungere l'aperto 𝐶 se
non fosse già preso in considerazione: cioè 𝐾 ⊆ 𝐶 ∪ 𝐴𝜆1 ∪ ... ∪ 𝐴𝜆 𝑁 . Dato che 𝐶 ⊆ 𝐾 e 𝐶 ∩ 𝐶 = ∅ ,
𝐶 𝑐
CARATTERIZZAZIONE DEGLI INSIEMI COMPATTI 37
ne segue che 𝐶 ⊆ 𝐴𝜆1 ∪ ... ∪ 𝐴𝜆 𝑁 cioè 𝐶 ammette un sottoricoprimento nito e quindi è compatto.
Corollario. Siano (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico, 𝐾 ⊂ 𝑋 compatto e 𝐶 ⊂ 𝑋 chiuso. Allora 𝐶∩𝐾 è
compatto.
6.7. Proposizione. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano 𝑍 ⊆ 𝐾 ⊆ 𝑋, con 𝐾 compatto e 𝑍 innito.
perché 𝐵(𝑥 𝑖 , 𝑟 𝑥𝑖 ) ∩ 𝑍 ⊆ {𝑥𝑖 } per ogni 𝑖 = 1, ..., 𝑁 , contraddicendo l'ipotesi che 𝑍 abbia inniti elementi.
𝑍 = {𝑥 𝑘 : 𝑘 ∈ ℕ} ha un numero nito di elementi, allora ne deve esistere almeno uno che si ripete per
un alto, e compatto per successsioni dall'altro. Queste in realtà sono condizioni equivalenti alla
6.8. Teorena. Dato uno spazio metrico (𝑋, 𝑑) e 𝐾 ⊂ 𝑋, sono equivalenti le seguenti aermazioni:
i. 𝐾 è sequenzialmente compatto,
ii. 𝐾 è completo e totalmente limitato,
iii. 𝐾 è compatto.
Dimostrazione. =⇒ ii.] Per quanto osservato in 6.2 1), ogni insieme sequenzialmente compatto
[i.
è completo. Per cui dobbiamo solo provare che 𝐾 è totalmente limitato. Se così non fosse, esisterebbe
𝑟 > 0 tale che nessuna famiglia nita di palle di raggio 𝑟 è un ricoprimento di 𝐾 . In particolare, ssato
𝑥 1 ∈ 𝐾 arbitrariamente, si ha che 𝐵(𝑥 1 , 𝑟) non ricopre 𝐾 , e quindi esiste 𝑥2 ∈ 𝐾 tale che 𝑑 (𝑥1 , 𝑥2 ) ≥ 𝑟 .
Poiché neanche 𝐵(𝑥 1 , 𝑟) ∪ 𝐵(𝑥 2 , 𝑟) ricopre 𝐾 , deve esistere un punto 𝑥 3 ∈ 𝐾 tale che 𝑑 (𝑥 𝑖 , 𝑥 3 ) ≥ 𝑟 per
𝑑 (𝑥𝑖 , 𝑥 𝑘 ) ≥ 𝑟 ∀𝑖, 𝑘 ∈ ℕ.
Da una tale successione non è possibile estrarre alcuna sottosuccessione convergente, e questo
=⇒ iii.] Sia 𝐾 completo e totalmente limitato e supponiamo per assurdo che esista un ricoprimento
[ii.
aperto A = {𝐴𝜆 }𝜆∈Λ da cui non è possibile estrarre un sottoricoprimento nito. Essendo 𝐾 totalmente
limitato, esiste un numero nito di insiemi 𝐶1 , ..., 𝐶 𝑁 con la proprietà che
𝑁
Ø
𝐶𝑘 = 𝑋 e diam(𝐶 𝑘 ) < 1 ∀𝑘 = 1, ..., 𝑁.
𝑘=1
Se fosse possibile ricoprire ognuno degli 𝐶𝑘 con un numero nito di aperti della famiglia A , unendo
questi ricoprimenti avremmo trovato una famiglia nita di aperti di A che ricopre 𝐾 . Questo signica
che esiste almeno un insieme 𝐶 𝑘1 che non può essere ricoperto con un numero nito di aperti. Poniamo
𝐶 𝑘1 = 𝑋1 e osserviamo che 𝑋1 è totalmente limitato, perché 𝑋 lo è. Possiamo quindi ripetere il
ragionamento precedente con un numero nito di insiemi di diametro minore di 1/2, trovando un
sottoinsieme 𝑋2 ⊆ 𝑋1 che non può essere ricoperto con un numero nito di elementi di A e ha
diametro minore di 1/2. Iterando il procedimento troveremo una successione {𝑋𝐾 } di sottoinsiemi di
𝐾 tali che
𝑋1 ⊇ 𝑋2 ⊇ ... e diam(𝑋 𝑘 ) < 1/𝑘,
e nessuno degli insiemi 𝑋 𝑘 può essere ricoperto con un numero nito di aperti di A. Per ogni indice
𝑘∈ℕ sia 𝑥𝑘 un punto di 𝑋 𝑘 e osserviamo che, dato che 𝑋𝑛 ⊆ 𝑋 𝑘 per ogni 𝑛 ≥ 𝑘, allora
da cui
Intersezione di compatti
La proposizione che segue chiarisce il ruolo della compattezza nell'enunciato degli intervalli incapsulati,
mostrando come una successione di compatti non vuoti e incapsulati abbia sempre intersezione non
vuota.
6.9. Proposizione. ÑSia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano {𝐾𝜆 }𝜆∈Λ una famiglia di sottoinsiemi com-
patti di 𝑋 tali che 𝜆∈Λ 𝐾𝜆 = ∅. Allora, esiste un sottoinsieme nito {𝐾𝜆0 , ..., 𝐾𝜆 𝑁 }, 𝑁 ∈ ℕ, tale
che
𝐾𝜆0 ∩ ... ∩ 𝐾𝜆 𝑁 = ∅.
Dimostrazione. Si considerino gli insiemi complementari 𝐴𝜆 = 𝐾𝜆𝑐 : dato che i compatti sono chiusi
??),
Ñ
(si veda la Proposizione gli insiemi 𝐴𝜆 sono aperti; inoltre, da 𝜆∈Λ 𝐾𝜆 = ∅ segue che
!𝑐
Ø Ø Ù
𝐴𝜆 = 𝐾𝜆𝑐 = 𝐾𝜆 = (∅) 𝑐 = 𝑋.
𝜆∈Λ 𝜆∈Λ 𝜆∈Λ
OSSERVAZIONI FINALI 39
In particolare, ssiamo un compatto arbitrario 𝐾𝜆0 nella nostra famiglia: allora { 𝐴𝜆 }𝜆∈Λ è un ricopri-
mento di tutto 𝑋 e in particolare di 𝐾𝜆0 ; per denizione di compattezza esiste una sottoinsieme nito
{ 𝐴𝜆1 , ..., 𝐴𝜆 𝑁 } con 𝑁∈ℕ tali che
𝑁 𝑁 𝑁
!𝑐
Ø Ø Ù
𝐾 𝜆0 ⊂ 𝐴 𝜆𝑖 = 𝐾𝜆𝑐𝑖 = 𝐾 𝜆𝑖 ,
𝑖=1 𝑖=1 𝑖=1
Ñ𝑁
ossia 𝐾𝜆0 è contenuto nel complementare dell'intersezione 𝑖=1 𝐾 𝜆𝑖 , da cui
𝑁
Ù
𝐾 𝜆0 ∩ 𝐾𝜆𝑖 = ∅.
𝑖=1
Corollario. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico e siano𝐾0 ⊃ 𝐾1 ⊃ 𝐾2 ⊃ ... una successione di sottoinsiemi
Ñ
compatti non vuoti e incapsulati. Allora 𝐾𝑖 ≠ ∅ . 𝑖 ∈ℕ
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che 𝑖 ∈ℕ 𝐾𝑖 = ∅. Allora, per la Proposizione 6.9 esistono
Ñ
𝑁 compatti {𝐾𝑖0 , ..., 𝐾𝑖 𝑁 }, con 𝑖 0 > 𝑖1 > ... > 𝑖 𝑁 , tali che
𝐾𝑖0 ∩ ... ∩ 𝐾𝑖 𝑁 = 𝐾𝑖 𝑁 = ∅,
dove abbiamo utilizzato che 𝐾𝑖0 ⊃ 𝐾𝑖1 ⊃ ... ⊃ 𝐾𝑖 𝑁 . Questo contraddice l'ipotesi che tutti i compatti
non siano vuoti e dimostra che l'intersezione di compatti incapsulati è non vuota.
Osservazioni nali
In questa sezione rivediamo alcuni dei risultati già incontrati nei capitoli precedenti alla luce del
concetto di compattezza.
e limitato. Infatti, dato che (ℝ , 𝑑 2 ) è uno spazio metrico completo, un insieme è chiuso se e solo se
𝑛
6.11. Principio degli intervalli incapsulati. Ne deriva che il principio degli intervalli incapsulati è
una conseguenza della Proposizione 6.9 sull'intersezione di insiemi compatti e della caratterizzazione
6.12. Teorema di HeineBorel. Una successione limitata in ℝ ammette una sottosuccessione con-
vergente.
Dimostrazione. Sia (𝑥 𝑘 ) ⊂ ℝ una successione limitata, ossia esiste 𝑀 > 0 tale che 𝑥 𝑘 ∈ [−𝑀, 𝑀]
per ogni 𝑘 ∈ ℕ. Dato che [−𝑀, 𝑀] è compatto in ℝ, per il Teorema 6.8, é compatto per successioni,
per cui possiamo estrarre da (𝑥 𝑘 ) una sottosuccessione convergente.
6.13. Teorema [Weierstrass]. Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico, 𝐾⊂𝑋 un compatto e 𝑓 : 𝐾 → ℝ una
funzione continua. Allora 𝑓 ha un massimo e un minimo in 𝐾, ossia esistono 𝑧0 , 𝑧1 ∈ 𝐾 tali che
𝑓 (𝑧0 ) ≤ 𝑓 (𝑥) ≤ 𝑓 (𝑧1 ) ∀ 𝑥 ∈ 𝐾.
Dimostrazione. La dimostrazione procede seguendo il metodo diretto del calcolo delle variazioni:
1) si considera una successione minimizzante (che esiste per denizione di estremo inferiore):
da cui si deduce che 𝑧0 è un punto di minimo di 𝑓. Per l'esistenza del massimo si ragiona in maniera
analoga.
Complementi ed esercizi
chiusa di centro l'origine 𝑂 = (0, 0, 0, ...) ∈ ℓ2 e raggio uno. Si mostri che 𝐵¯1 (𝑂) è limitato e chiuso
ma non compatto.
Esercizio 6.4. Si considerino gli spazi metrici (ℝ𝑛 , 𝑑2 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) . Si provi che 𝐾 ⊆ ℝ𝑛 è compatto
in (ℝ𝑛 , 𝑑 2 ) se e solo se è compatto in (ℝ , 𝑑 ∞ ) .
𝑛
CAPITOLO 7
Spazi normati
Gli esempi considerati no ad ora (ossia, ℝ𝑛 , lo spazio di successioni ℓ 2 , e gli spazi di funzioni continue
e limitate 𝐶𝑏 (𝐼) ) hanno la struttura di spazi vettoriali: i loro punti sono vettori che possono essere
sommati tra di loro e moltiplicati per uno scalare. Questa è una classe importante di spazi metrici,
per i quali la metrica è indotta da una funzione, detta norma, che ha l'analogo ruolo della lunghezza
o del modulo di un vettore.
Spazi di Banach
7.1. Denizione. Uno spazio normato è una coppia (𝑋, k · k 𝑋 ) , con 𝑋 uno spazio vettoriale reale e
k · k 𝑋 : 𝑋 −→ ℝ una funzione, detta norma, che soddisfa le seguenti proprietà:
7.2. Matrica indotta da una norma. È immediato vericare che uno spazio normato è anche uno
𝑑 𝑋 (𝑥, 𝑦) = k𝑥 − 𝑦k 𝑋 .
Infatti, tale applicazione è non negativa e nulla solo se 𝑥 = 𝑦 per i.; inoltre la simmetria segue
7.3. Continuità della norma. È anche utile osservare che valgono le seguenti disuguaglianze
k𝑥k 𝑋 − k𝑦k 𝑋
In altri termini, la funzione norma è continua per la metrica 𝑑𝑋 e, più precisamente, è lipschitziana
di costante 1. In uno spazio normato faremo sempre riferimento alla distanza indotta dalla norma, a
41
42 7. SPAZI NORMATI
7.4. Esempi. Alcuni degli esempi di spazi metrici studiati sono spazi normati.
2) (ℓ 2 , k · k 2 ) con la norma
v
∞
t
∑︁
k𝑎k 2 = |𝑎(𝑘)| 2
𝑘=0
k 𝑓 k ∞ = sup | 𝑓 (𝑥)|.
𝑥 ∈𝐼
7.5. Denizione. Gli spazi normati completi (per la metrica indotta) si chiamano anche spazi di
Banach.
7.6. Dato uno spazio vettoriale 𝑋 e due norme k · k 𝑎 k · k 𝑏 su di esso, diremo che le due norme sono
equivalenti se esistono due reali positivi 0 < 𝑐 ∗ < 𝑐∗ tali che
Se si interpreta il concetto di norma come una sorta di funzione lunghezza associata ad ogni vettore
dello spazio 𝑋 , il fatto che le due norme siano equivalenti signica che le due misurazioni danno sempre
risultati confrontabili, in particolare il fatto più importante è che successioni d Cauchy rispetto alla
distanza indotta da una norma sono successioni di Cauchy anche rispetto la distanza indotta dall'altra
norma. Quindi (𝑋, k · k 𝑎 ) è completo se e soltanto se è completo (𝑋, k · k 𝑏 ) (v. Esercizio ??).
Questo principio è stato utilizzato nella dimostrazione della completezza di (ℝ , 𝑑 1 ) e (ℝ𝑛 , 𝑑∞ ) :
𝑛
infatti, entrambe le metriche sono indotte da una norma (v. Esercizio ??) e sono equivalenti alla
norma euclidea.
Questa conclusione non è fortuita ma deriva dal fatto che tutte le norme in uno spazio nito dimen-
sionale sono equivalenti. Per provare ciò, iniziamo con alcune osservazioni generali sulle norme in spazi
nito dimensionali.
7.7. Norme in ℝ𝑛 . Sia k·k una generica norma in ℝ𝑛 e si consideri la metrica euclidea 𝑑2 in ℝ𝑛
(ossia la metrica indotta dalla norma | · | 2 ) . Allora si osserva quanto segue.
1) Sia {𝑒 1 , ..., 𝑒 𝑛 } la base ordinaria di ℝ𝑛 ; per ogni 𝑥 = (𝑥 1 , ..., 𝑥 𝑛 ) ∈ ℝ𝑛 si ha che
2) Ne segue che tutte le norme in ℝ𝑛 sono funzioni continue per la topologia indotta dalla metrica
|k𝑥k − k𝑦k| ≤ k𝑥 − 𝑦k ≤ 𝐶 ∗ |𝑥 − 𝑦| 2 ,
7.8. Teorema [Equivalenza delle norme in spazi nito dimensionali]. Tutte le norme in uno spazio
nito dimensionale sono equivalenti: in formule, se k · k𝑎 e k · k𝑏 sono due norme in ℝ𝑛 , allora esistono
costanti 0 < 𝑐∗ < 𝑐∗ tali che
𝑐 ∗ k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 𝑏 ≤ 𝑐∗ k𝑥k 𝑎 per ogni 𝑥 ∈ ℝ𝑛 .
Dimostrazione. È suciente dimostrare che tutte le norme sono equivalenti ad una norma data, per
esempio alla norma euclidea | · | 2 , perché quella tra norme è una relazione di equivalenza. Infatti, se
esistono costanti 0 < 𝑐(𝑎)∗ < 𝑐(𝑎) ∗ e 0 < 𝑐(𝑏)∗ < 𝑐(𝑏) ∗ tali che
𝑐(𝑎)∗ k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 2 ≤ 𝑐(𝑎) ∗ k𝑥k 𝑎 , 𝑐(𝑏)∗ k𝑥k 𝑏 ≤ k𝑥k 2 ≤ 𝑐(𝑏) ∗ k𝑥k 𝑏 ∀ 𝑥 ∈ ℝ𝑛 ,
allora si deduce che le due norme k · k𝑎 e k · k𝑏 sono equivalenti, perché
𝑐(𝑎)∗ 𝑐(𝑎) ∗
k𝑥k 𝑎 ≤ k𝑥k 𝑏 ≤ k𝑥k 𝑏 per ogni 𝑥 ∈ ℝ𝑛 .
𝑐(𝑏) ∗ 𝑐(𝑏)∗
Basta quindi dimostrare l'equivalenza di una norma generica k·k con | · |2. A questo proposito,
chiuso e limitato);
Allora, per il Teorema di Weierstrass ?? la funzione k·k assume massimo e minimo in 𝜕𝐵1 : vale a
𝑐 ∗ ≤ k𝑧k ≤ 𝐶 ∗ ∀ 𝑧 ∈ 𝜕𝐵1 .
Preso quindi un generico punto 𝑥 ≠ 0, si ha che 𝑥/|𝑥| 2 ∈ 𝜕𝐵1 e applicando la disuguagianza appena
k𝑥k
𝑐 ∗ ≤ k𝑧k = ≤ 𝐶∗,
|𝑥| 2
da cui l'equivalenza delle norme segue.
7.9. Convessità della norma. La proprietà triangolare delle Denizione 7.1 implica che una norma
lipschitziane).
Spazi di Hilbert
Ricordiamo che un prodotto scalare su uno spazio vettoriale 𝐻 è una funzione (·|·) 𝐻 : 𝐻 × 𝐻 → ℝ
bilineare, simmetrica e denita positiva: che gode delle seguenti proprietà
Associata ad un prodotto scalare vi è una funzione (che vedremo, presto, essere una norma) denita
da
√︁
k · k 𝐻 : 𝐻 → [0, +∞) k𝑥k 𝐻 = (𝑥|𝑥) 𝐻 , 𝑥 ∈ 𝐻.
Il fatto che k · k𝐻 sia una norma è una conseguenza del teorema seguente (punto ii.). Si noti intanto
7.10. Teorema. Sia 𝐻 uno spazio munito di prodotto scalare (·|·) 𝐻 . Allora valgono i seguenti fatti:
i. disuguaglianza di Cauchy-Schwartz
Dimostrazione. i. Calcoliamo esplicitamente il quadrato della norma del vettore 𝑢 − 𝑢| k 𝑤
𝑤k
𝑤
k𝑤 k :
" #2
𝑤 𝑤 2 (𝑢|𝑤) (𝑢|𝑤)
k𝑤k 2𝐻
𝐻 𝐻
0 ≤ 𝑢 − 𝑢 = k𝑢k − 2 (𝑢|𝑤) 𝐻 +
k𝑤k k𝑤k 𝐻
k𝑤k 2𝐻 k𝑤k 2𝐻
k𝑤k 2𝐻 k𝑢k 2𝐻 − (𝑢|𝑤) 2𝐻
= ,
k𝑤k 2𝐻
e la positività del numeratore implica la disuguagianza di Cauchy-Schwartz.
iii. Per verica diretta, scrivendo per esteso il primo menbro dell'identità, si ha che
k𝑢 + 𝑣k 2𝐻 + k𝑢 − 𝑣k 2𝐻 = (𝑢 + 𝑣|𝑢 + 𝑣) 𝐻 + (𝑢 − 𝑣|𝑢 − 𝑣) 𝐻
= (𝑢|𝑢) 𝐻 + 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + (𝑣|𝑣) 𝐻 + (𝑢|𝑢) 𝐻 − 2(𝑢|𝑣) 𝐻 + (𝑣|𝑣) 𝐻
= 2(𝑢|𝑢) 𝐻 + 2(𝑣|𝑣) 𝐻 = 2 k𝑢k 2𝐻 + k𝑣k 2𝐻 .
7.11. Denizione. Uno spazio munito di prodotto scalare (𝐻, (·|·) 𝐻 ) completo per la metrica indotta
spazio di Hilbert.
si chiama
𝑛
∑︁
𝑥·𝑦= 𝑥𝑘 𝑦𝑘
𝑘=1
∞
∑︁
(𝑎|𝑏)ℓ 2 = 𝑎(𝑘)𝑏(𝑘)
𝑘=0
Ci sono spazi di Banach che non sono spazi di Hilbert e noi ne abbiamo già incontrato qualcuno.
SPAZI DI HILBERT 45
Dimostrazione. Dimostriamo che non vale la proprietà del parallelogramma: considerati i vettori
Complementi ed esercizi
Esercizio 7.1.Si provi che non esiste alcuna funzione norma su ℝ2 la cui distanza indotta genera lo
spazio metrico (ℝ2 , 𝑑 𝐷 ) .
Si provi che gli spazi (ℝ2 , 𝑑1 ) e (ℝ2 , 𝑑∞ ) sono degli spazi di Banach costruendo una
Esercizio 7.2.
norma opportuna.
Esercizio 7.3. Si provi che lo spazio (ℓ1 , 𝑑1 ) è uno spazio di Banach se dotato della norma
∞
∑︁
k𝑎k ℓ1 = |𝑎(𝑘)|.
𝑘=0
Esercizio 7.4. Dato uno spazio di Hilbert (𝐻, (·|·) 𝐻 ) e 𝑤 ∈ 𝐻 , si provi che la funzione 𝑓 𝑤 : 𝐻 → ℝ
segue
𝑏(0) = 1
𝑇 (𝑎) = 𝑏 tale che 𝑏 = per ogni 𝑗 ≥ 1.
𝑏( 𝑗) = 2− 𝑗 𝑎( 𝑗)
i. Si spieghi perché l'operatore è ben denito.
ii. si mostri che 𝑇 è una contrazione.
iii. si calcoli il suo punto sso.
Esercizio 7.7. Stabilire quali fra le seguenti funzioni sono norme in ℝ3 :
√︃ √︃
2 2
𝑁1 (𝑥) = 𝑁1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) = max 𝑥 1 + 𝑥2 , |𝑥3 | 𝑁2 (𝑥) = 𝑥12 + 𝑥22 + |𝑥3 |
√︁ √︁ 2 max{|𝑥1 |, |𝑥2 |, |𝑥3 |}
𝑁3 (𝑥) = |𝑥1 | + |𝑥2 | + |𝑥 3 | 𝑁4 (𝑥) = .
1 + max{|𝑥1 |, |𝑥2 |, |𝑥3 |}
Disegnare gli insiemi {𝑁1 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ≤ 1} e {𝑁2 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ≤ 1}.
Parte 2
In questo capitolo approfondiamo lo studio della convergenza delle successioni di funzioni. Abbiamo
già incontrato la nozione di convergenza uniforme per funzioni continue; qui mostriamo come questa
nozione di convergenza sia necessaria per garantire buone proprietà della funzione limite.
Convergenza puntuale
Di seguito, se non diversamente specicato, indichiamo con 𝐼 ⊆ ℝ un intervallo dell'asse reale e
Iniziamo col notare tramite opportuni esempi che la convergenza puntuale non preserva le proprietà
49
50 8. SUCCESSIONI DI FUNZIONI CONTINUE
conseguenza importante di questo fatto è che in generale non è lecito scambiare l'ordine dei limiti:
8.3. Analogamente, la convergenza puntuale di funzioni continue non commuta con le operazioni di
2
integrazione e derivazione. Per esempio, nell'intervallo [0, 1] la successione 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑘𝑥𝑒 −𝑘 𝑥 converge
Convergenza uniforme
La nozione appropriata per garantire la continuità del limite, così come la sua integrabilità e derivabilità,
8.4. Denizione. Una successione ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 (𝐼) converge uniformemente alla funzione 𝑓∞ se per
| 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀ 𝑘 ≥ 𝐾0 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.
È evidente che la convergenza uniforme implica quella puntuale ma non vale il viceversa.
uniformemente di Cauchy:
∀𝜀>0 ∃𝐾∈ℕ tale che | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓 𝑘+ 𝑗 (𝑥)| ≤ 𝜀 ∀𝑘≥𝐾 ∀𝑗 ∈ ℕ ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.
8.6. La nozione di convergenza uniforme è introdotta per funzioni continue che non siano necessa-
Tuttavia, nel caso in cui le funzioni fossero limitate, la convergenza uniforme non è nient'altro che la
operazioni di limite, per esempio per il calcolo degli integrali e delle derivate.
8.7. Teorema [scambio dell'ordine dei limiti]. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo e ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 (𝐼) uniformemente
convergente alla funzione 𝑓∞ . Allora 𝑓∞ è continua e per ogni successione 𝑥𝑙 → 𝑥∞ ∈ 𝐼 vale
lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ) = lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ).
𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞
lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ) = lim 𝑓∞ (𝑥𝑙 ) = 𝑓∞ (𝑥∞ ) = lim 𝑓 𝑘 (𝑥∞ ) = lim lim 𝑓 𝑘 (𝑥𝑙 ).
𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑙→∞
8.8. Teorema [passaggio al limite sotto il segno di integrale]. Sia ( 𝑓 𝑘 ) ⊆ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) uniformemente
convergente. Allora vale
∫ 𝑏 ∫ 𝑏
lim 𝑓 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 = lim 𝑓 𝑘 (𝑥) 𝑑𝑥.
𝑘−→∞ 𝑎 𝑎 𝑘−→∞
Dimostrazione. Sia 𝑓∞ il limite di 𝑓 𝑘 : per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝐾0 = 𝐾0 (𝜀) ∈ ℕ tale che, per ogni 𝑘 ≥ 𝐾0
k 𝑓 𝑘 − 𝑓∞ k ∞ = max | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ 𝜀.
𝑥 ∈ [𝑎,𝑏]
8.9. Teorema [limite di funzioni derivabili]. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo aperto e ( 𝑓 𝑘 ) ∈ 𝐶 1 (𝐼) una
Dimostrazione. Per il teorema fondamentale del calcolo integrale, per ogni 𝑥 ∈ 𝐼, vale che
∫ 𝑥
𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) + 𝑓 𝑘0 (𝑠)𝑑𝑠 per ogni 𝑘 ∈ ℕ.
𝑥0
52 8. SUCCESSIONI DI FUNZIONI CONTINUE
Se denotiamo con 𝑔 il limite uniforme di 𝑓 𝑘0 , per il Teorema 8.7 si ha che 𝑔 è continua. Usando adesso
il Teorema 8.8 per il passaggio al limite sotto segno d'integrale abbiamo che
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
lim 𝑓 𝑘 (𝑥) = lim 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) + lim 𝑓 𝑘0 (𝑠)𝑑𝑠 =𝐿+ 𝑔(𝑠)𝑑𝑠.
𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑘→∞ 𝑥0 𝑥0
Quindi la successione { 𝑓𝑘 } converge puntualmente alla funzione limite
∫ 𝑥
𝑓∞ (𝑥) = 𝐿 + 𝑔(𝑠)𝑑𝑠.
𝑥0
Data la continuità di 𝑔 , per il teorema fondamentale del calcolo si ha che 𝑓∞ è derivabile con derivata
continua: 𝑓∞0 (𝑥) = 𝑔(𝑥) . Inoltre, per ogni intervallo compatto [𝑎, 𝑏] ⊂ 𝐼 contenente 𝑥 0 si ha che
∫ 𝑥
0
sup | 𝑓 𝑘 (𝑥) − 𝑓∞ (𝑥)| ≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥 0 ) − 𝐿| + sup
( 𝑓 𝑘 (𝑠) − 𝑔(𝑠)) 𝑑𝑠
𝑥 ∈ [𝑎,𝑏] 𝑥 ∈ [𝑎,𝑏] 𝑥0
≤ | 𝑓 𝑘 (𝑥0 ) − 𝐿| + sup | 𝑓 𝑘0 (𝑠) − 𝑔(𝑠)| (𝑏 − 𝑎),
𝑠 ∈ [𝑎,𝑏]
da cui segue la convergenza uniforme della successione ( 𝑓 𝑘 ) in [𝑎, 𝑏] . Dato che ogni sottointervallo
dimostrazione.
Complementi ed esercizi
Esercizio 8.6. Si studi la convergenza puntuale ed uniforme delle seguenti successioni di funzioni
nell'insieme indicato
2
𝑎. 𝑓𝑛 (𝑥) = sin(𝑛𝑥)𝑒 −𝑛 𝑥 𝑥 ∈ [0, +∞)
𝑛
1
𝑏. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 + 𝑥 ∈ (0, 1)
𝑛
2 3
𝑛 𝑥
𝑐. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [0, +∞)
6 + 𝑛2
𝑒 −𝑥
𝑑. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [−1, 1]
3 + 𝑛2 𝑥 2
arctan (𝑛 − 𝑥) 2 + 1
𝑒. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥∈ℝ
(𝑛 − 𝑥) 2 + 𝑛 − 𝑥 + 1
arctan (𝑛 − 𝑥) 2 + 1
𝑓. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑥 ∈ [0, 1]
(𝑛 − 𝑥) 2 + 𝑛 − 𝑥 + 1
𝑥
𝑔. 𝑓𝑛 (𝑥) = 𝑛 sin 𝑥 ∈ [0, 𝜋]
𝑛
Serie di funzioni
Sia { 𝑓𝑘 } una successione di funzioni denite su un intervallo 𝐼 ⊆ ℝ: come per le serie numeriche, la
Invece si ha che la convergenza totale implica la convergenza uniforme, come dimostrato nella prossima
proposizione.
55
56 9. SERIE DI FUNZIONI
dei teoremi di passaggio al limite per successioni dimostrati nel capitolo precedente.
9.4. Teorema [continuità della serie]. Se { 𝑓𝑘 } è una successione di funzioni continue in 𝐼 e la serie
(9.1) converge uniformemente in 𝐼, allora la somma della serie è una funzione continua in 𝐼.
Dimostrazione. Segue dal Teorema 8.7 applicato alla successine delle ridotte 𝑠𝑛 .
9.5. Teorema [Integrazione per serie]. Se { 𝑓 𝑛 } è una successione di funzioni continue in [𝑎, 𝑏] e
l'integrale.
9.6. Teorema [derivazione per serie]. Sia 𝐼 un intervallo aperto e sia { 𝑓𝑛 } ∈ 𝐶 1 (𝐼) . Supponiamo
che
Dimostrazione. Segue dal Teorema 8.9 applicato alla successine delle ridotte 𝑠𝑛 e dalla linearità
dell'operazione di derivazione.
Complementi ed esercizi
𝑥
1 1 1
𝑘+2 𝑘+1
Esercizio 9.8. Determinare gli insiemi di convergenza puntuale e totale della serie di funzioni
∞
∑︁ 1 𝑥
√ sin .
𝑘=1 𝑘
𝑘
Serie di potenze
In questo capitolo consideriamo lo studio di una classe speciale di serie di funzioni, le serie di potenze.
Per descriverle assegnamo una successione di numeri reali {𝑎 𝑘 } 𝑘 ≥0 e un punto 𝑥 0 ∈ ℝ: la serie di
funzioni
∞
∑︁
(10.1) 𝑎 𝑘 (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘
𝑘=0
prende il nome di serie di potenze; il punto 𝑥0 è il centro della serie e i numeri {𝑎 𝑘 } sono i coecienti
della serie.
l'origine 𝑥 0 = 0,
∞
∑︁
(10.2) 𝑎𝑘 𝑥𝑘 .
𝑘=0
Infatti, questo caso è a tutti gli eetti il caso generale, perché è possibile ricondursi ad esso con il
cambio di variabile 𝑦 = 𝑥 − 𝑥0 .
10.2. Tutte le serie di potenze (10.2) convergono almeno nel loro centro ( 𝑥 = 0). Alcune serie
∞
∑︁
𝑘 𝑘𝑥𝑘 .
𝑘=0
∞
∑︁ 𝑥𝑘
;
𝑘=0
𝑘!
∞
∑︁
𝑥𝑘
𝑘=0
che converge solo per 𝑥 ∈ (−1, 1) (vericare queste aermazioni, v. Esercizio 10.1).
Il risultato principale sulle convergenza delle serie di potenze è quello che mostra come il dominio di
convergenza sia sempre un intervallo (eventualmente degenere, quando si riduce al solo centro della
serie).
59
60 10. SERIE DI POTENZE
10.3. Teorema.
Í∞
1) Assumiamo che la serie 𝑎 𝑘 𝑥 𝑘 converg in 𝑥 = 𝜉 ≠ 0. Allora,
𝑘=0
i. la serie converge assolutamente nell'intervallo (−|𝜉, |𝜉 |) ;
ii. la serie converge totalmente in ogni intervallo [−𝜂, 𝜂] con 0 < 𝜂 < |𝜉 | .
Í∞ 𝑘
2) Assumiamo che la serie 𝑘=0 𝑎 𝑘 𝑥 non converge in un punto 𝑥 = 𝜁 . Allora la serie non converge
Dimostrazione.
Í∞
𝑘=0 𝑎 𝑘 𝜉 converge, il termine generico 𝑎 𝑘 𝜉 è innitesimo per 𝑘 −→ ∞.
Se la serie
𝑘 𝑘
Ne segue che {|𝑎 𝑘 𝜉 |} è una successione limitata, cioè esiste 𝑀 > 0 tale che |𝑎 𝑘 𝜉 | ≤ 𝑀 per ogni 𝑘 .
𝑘 𝑘
∞ ∞ ∞ 𝑘
∑︁
𝑘
∑︁
𝑘
∑︁ 𝑥
k𝑎 𝑘 𝑥 k ∞ = sup 𝑎 𝑘 𝑥 ≤ 𝑀
< +∞.
𝜉
𝑘=0 𝑘=0 𝑥 ∈ [−𝜂, 𝜂 ] 𝑘=0
Supponiamo ora che la serie non converga in 𝜁. Se convergesse in un punto 𝑥 con |𝑥| > |𝜁 | , per la
prima parte del dovrebbe convergere in tutto l'intervallo (−|𝑥|, |𝑥|) e quindi anche in 𝜁 , che è assurdo.
Raggio di convergenza
10.4. Denizione. Si chiama raggio di convergenza 𝑅 della serie (10.2) il numero
( ∞
)
∑︁
𝑘
𝑅 := sup 𝜌 ≥ 0 : 𝑎𝑘 𝜌 converge
𝑘=0
Se 𝑅 = 0, allora la serie converge solo nell'origine; se 𝑅 = +∞, allora la serie converge in tutto ℝ.
10.5. In particolare, il Teorema 10.3 può essere enunciato nel modo seguete usando la denizione
di raggio di convergenza:
Í∞
ad ogni serie di potenze 𝑘=0 𝑎𝑘 𝑥𝑘 corrisponde un numero reale non negativo 𝑅 ≥ 0, il suo raggio di
Nulla si può dire sul comportamento della serie nei punti |𝑥| = 𝑅 . Ci sono esempi in cui la serie di
potenze converge per 𝑥 = ±𝑅 ed esempio in cui non converge (v. Esercizio 10.2).
10.6. Teorema [criterio della radice (J.Hadamard)]. Data la serie (10.2), sia
√︁
𝑘
𝐿 = lim sup |𝑎 𝑘 |.
𝑘→∞
+∞ se 𝐿=0
𝑅= 1/𝐿 se 0 < 𝐿 < +∞
0 𝐿 = +∞
se
Dimostrazione. La dimostrazione è una semplice applicazione del criterio della radice per le serie
Se 𝐿 = +∞, allora ℓ|𝑥| > 1 per ogni 𝑥 ≠ 0 e la serie non converge, cioè 𝑅 = 0. Se 𝐿 = 0, ℓ|𝑥| < 1
per ogni 𝑥 , per cui la serie converge e 𝑅 = +∞. Se 𝐿 ∈ (0, +∞) , la serie converge per ogni 𝑥 tale che
ℓ = 𝐿|𝑥| < 1 e non converge per ℓ = 𝐿|𝑥| > 1, per cui il raggio di convergenza è 𝑅 = 1/𝐿 .
10.7. Teorema.
Í∞
Sia 𝑓 (𝑥) = 𝑘=0 𝑎 𝑘 𝑥 𝑘+1 una serie di potenze e sia 𝑅 ≥ 0 il suo raggio di convergenza.
1) Le serie ottenuta integrando e derivando termine a termine
∞ ∞
∑︁ 𝑥 𝑘+1 ∑︁
𝐹 (𝑥) = 𝑎𝑘 , 𝑔(𝑥) = 𝑘𝑎 𝑘 𝑥 𝑘−1
𝑘=0
𝑘 +1 𝑘=0
La seconda parte del teorema segue quindi dalla convergenza uniforme della serie e dai Teoremi 8.8
e 8.9 sullo scambio dell'ordine di integrazione e derivazione con il limite uniforme di successioni.
In particolare,
Corollario.
Í
Se il raggio di convergenza 𝑅 di una serie di potenze 𝑓 è positivo, allora 𝑓 = 𝑘=0 𝑎𝑘 𝑥𝑘
è derivabile innite volte in (−𝑅, 𝑅) e vale
∞
∑︁ ∞
∑︁
𝑓 (𝑖) (𝑥) = 𝑘 · ... · (𝑘 − 𝑖 + 1)𝑎 𝑘 𝑥 𝑘−𝑖 = (𝑘 + 𝑖) · ... · (𝑘 + 1)𝑎 𝑘+𝑖 𝑥 𝑘 ∀ 𝑖 ∈ ℕ, ∀ 𝑥 ∈ (−𝑅, 𝑅).
𝑘=𝑖 𝑘=0
con {𝑐 𝑘 } ⊆ ℂ e 𝑧 0 , 𝑧 ∈ ℂ.
∞
∑︁ 𝑁
∑︁
𝑐 𝑘 𝜁 𝑘 = lim 𝑐𝑘 𝜁 𝑘
𝑁 →∞
𝑘=0 𝑘=0
∞
∑︁
𝐷 𝑟 = {𝑧 ∈ ℂ : |𝑧| < 𝑟} 3 𝑧 ↦→ 𝑐𝑘 𝑧𝑘
𝑘=0
Í
converge totalmente (e quindi assolutamente). Infatti, poiché la serie 𝑐𝑘 𝜁 𝑘 converge, la successione
𝑐 𝑘 𝜁 𝑘 è innitesima, e quindi limitata: esiste 𝑀 > 0 tale che |𝑐 𝑘 ||𝜁 | 𝑘 ≤𝑀 per ogni 𝑘 . Allora, per 𝑧 ∈ 𝐷 𝑟
abbiamo che
𝑟𝑘 𝑟𝑘 𝑟
|𝑐 𝑘 |𝑟 𝑘 = |𝑐 𝑘 ||𝜁 | 𝑘 ≤ 𝑀 = 𝑀 𝑞𝑘 con 𝑞 = ∈ (0, 1).
|𝜁 | 𝑘 |𝜁 | 𝑘 |𝜁 |
Í∞ 𝑘
Per il criterio del confronto, la serie 𝑘=0 𝑐 𝑘 𝑧 risulta totalmente convergente in 𝐷𝑟 :
∞
∑︁ ∞
∑︁ ∞
∑︁
sup |𝑐 𝑘 𝑧 𝑘 | = |𝑐 𝑘 ||𝑧| 𝑘 = |𝑐 𝑘 |𝑟 𝑘 < +∞.
𝑘=0 𝑧 ∈𝐷𝑟 𝑘=0 𝑘=0
10.9. Raggio di convergenza. Possiamo quindi denire il raggio di convergenza come per le serie
di potenze reali:
( ∞
)
∑︁
𝑅 = sup 𝜌 : |𝑐 𝑘 |𝜌 𝑘 converge
𝑘=1
+∞ se 𝐿=0
√︁
𝑅= 1/𝐿 se 𝐿 ∈ (0, +∞) 𝐿 = lim sup 𝑘
|𝑎 𝑘 |.
𝑘−→∞
0 𝐿 = +∞,
se
La dimostrazione di queste aermazioni è del tutto analoga al caso di variabile reale (v. Esercizio ??).
In particolare, vale quanto segue.
10.10. Teorema.
Í
Sia 𝑅 il raggio di convergenza della serie di potenze complessa 𝑘=0 𝑐𝑘 𝑧𝑘 . Allora
si ha che
di potenze
∞
∑︁ 𝑓 (𝑘) (𝑥 0 )
(10.3) (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘
𝑘=0
𝑘!
10.11. Denizione [funzioni analitiche]. Sia 𝐼 un intervallo dell'asse reale, una funzione 𝑓 : 𝐼 → ℝ
si dice analitica nel punto 𝑥 0 se è sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di 𝑥 0 , ossia se esiste
∞
∑︁ 𝑓 (𝑘) (𝑥0 )
(10.4) 𝑓 (𝑥) = (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘 ∀ 𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿).
𝑘=0
𝑘!
10.12.
Í∞
Le serie di potenze sono funzioni analitiche. Infatti, se 𝑓 (𝑥) = 𝑘=0 𝑎 𝑘 (𝑥 − 𝑥 0 ) 𝑘 per ogni
si dimostra (v. Esercizio ??) che è altresì sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di ogni punto
10.13. In generale, non è vero che la serie di Taylor di una funzione converga e, qualora fosse
2
𝑒 −1/𝑥
𝑠𝑒 𝑥 ≠ 0,
(10.5) 𝑓 (𝑥) =
0 𝑠𝑒 𝑥 = 0.
Si verica che 𝑓 ∈ 𝐶 ∞ (ℝ) . Inoltre, si ha 𝑓 (𝑘) (0) = 0 per ogni 𝑘 ≥ 0. Pertanto la serie (10.3) in 𝑥 0 = 0
è la funzione identicamente nulla, che non coincide quindi con 𝑓 tranne che in 𝑥 = 0.
L'esempio di funzione la cui serie di Taylor converge solo in 𝑥 0 non è elementare. Si rimandano gli
studenti interessati al testo di B.R. Gelbaum e J.M.H. Olmsted, Controesempi in analisi matematica
n.24, p.79.
La funzione (10.5) non è analitica nell'origine pur essendo 𝐶 ∞ (ℝ) . Possiamo quindi dire che sussistono
le seguenti inclusioni strette
10.14. Resto nella formula di Taylor. Per trovare delle condizioni in campo reale che assicurino la
𝑓 (𝑘) (𝑥 0 )
𝑁
∑︁
𝑅 𝑁 (𝑥; 𝑥0 ) := 𝑓 (𝑥) − (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑘 𝑁 ∈ ℕ.
𝑘=0
𝑘!
Condizione necessaria e suciente anchè anché una funzione 𝑓 sia sviluppabile in serie di Taylor
10.15. Teorema [condizione suciente per l'analiticità]. Una funzione 𝑓 ∈ 𝐶 ∞ (𝐼) è sviluppabile
𝑘!
(10.7) | 𝑓 (𝑘) (𝑥)| ≤ 𝑀 𝑘 ∀𝑥 ∈ (𝑥 0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿)
𝛿
Dimostrazione. Dall'espressione del resto di Lagrange, esiste un punto 𝜉 compreso tra 𝑥0 e 𝑥 tale
che
𝑓 (𝑛+1) (𝜉)
𝑅𝑛 (𝑥; 𝑥0 ) = (𝑥 − 𝑥0 ) 𝑛+1 .
(𝑛 + 1)!
Quindi, se vale (10.7) si ha che
convergenza.
∞
∑︁ 𝑥𝑘
𝑒𝑥 = 𝑅 = +∞ serie esponenziale
𝑘=0
𝑘!
∞
∑︁ (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘+1
sin 𝑥 = 𝑅 = +∞
𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
∞
∑︁ (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘
cos 𝑥 = 𝑅 = +∞
𝑘=0
(2𝑘)!
∞
1 ∑︁
= 𝑥𝑘 𝑅=1
1−𝑥 𝑘=0
∞
1 ∑︁
= (−1) 𝑘 𝑥 2 𝑘 𝑅=1
(1 + 𝑥 2 ) 𝑘=0
∞
∑︁ 𝑥 2 𝑘+1
arctan 𝑥 = (−1) 𝑘 𝑅=1
𝑘=0
2𝑘 + 1
∞ 𝑘
∑︁ 𝑥
ln(1 − 𝑥) = − 𝑅=1
𝑘=1
𝑘
10.16. Esponenziale complesso. Usando gli sviluppi in serie di funzioni reali si deniscono le con-
tinuazioni analitiche delle funzioni elementari. L'esponenziale complesso si denisce quindi tramite la
serie
∞
∑︁ 𝑧𝑘
𝑒𝑧 = 𝑧 ∈ ℂ.
𝑘=0
𝑘!
In particolare, per numeri puramente immaginari 𝑧 = 𝑖𝑥 , con 𝑥 ∈ ℝ, si ottiene la formula di Eulero
∞ ∞ ∞
∑︁ (𝑖𝑥) 𝑘 ∑︁ (𝑖𝑥) 2 𝑘 ∑︁(𝑖𝑥) 2 𝑘+1
𝑒𝑖 𝑥 = = +
𝑘=0
𝑘! 𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0 (2𝑘 + 1)!
∞ 2𝑘 ∞
∑︁ 𝑥 ∑︁ 𝑥 2 𝑘+1
= (−1) 𝑘 +𝑖 (−1) 𝑘 = cos 𝑥 + 𝑖 sin 𝑥.
𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
SVILUPPI DI ALCUNE FUNZIONI ELEMENTARI 65
Complementi ed esercizi
+∞
Data la serie di funzioni 𝑓 𝑘 (𝑥) , si calcoli dove e a cosa la serie converge quando
∑︁
Esercizio 10.9.
𝑘=0
2 (−1) 𝑘 (−1) 𝑘 2 𝑘
𝑎. 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑒 −𝑘 𝑥 𝑏. 𝑓 𝑘 (𝑥) = (𝑥) −2 𝑘 𝑐. 𝑓 𝑘 (𝑥) = 𝑥
𝑘! (2𝑘 + 1)!
Esercizio 10.13. Studiare l'insieme di convergenza semplice e l'insieme di convergenza totale della
serie di funzioni
∞
∑︁ (𝑛 + 1)
(sin 𝑥) 𝑛 .
𝑛=0
2 𝑛
Teorema di AscoliArzelà
Abbiamo visto nel Capitolo 6 che in ℝ𝑛 la compattezza ha una semplice caratterizzazione in termini
di sottoinsiemi chiusi e limitati. In uno spazio di Banach innito dimensionale, quale quello delle
funzioni continue denite su un intervallo, la chiusura e la limitatezza sono condizioni necessarie per
Abbiamo però intravisto quanto importante sia la nozione di compattezza, per cui la sua caratteriz-
zazione in determinati spazi innito dimensionali è una questione fondamentale. In questo capitolo
Uniforme continuità
Il concetto chiave per caratterizzare la compattezza nello spazio delle funzioni continue è quello di
uniforme continuità.
11.1. Denizione [Uniforme continuità]. Sia 𝐸 ⊂ ℝ. Una funzione 𝑓 :𝐸 →ℝ si dice uniforme-
mente continua se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che
∀𝜀>0 ∃𝛿>0 : | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝛿 ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐸, |𝑥 − 𝑦| < 𝛿.
Confrontiamo la denizione appena introdotta con qualla di continuità: 𝑓 è continua se per ogni 𝑥∈𝐼
e per ogni 𝜀>0 esiste 𝛿>0 tale che
dal punto 𝑥 in cui si verica la continuità e può non esistere uno stesso 𝛿 che vada bene per tutti i
punti 𝑥.
Un esempio di funzione non uniformemente continua è 𝑓 (𝑥) = 𝑥 2 in 𝐼 = ℝ; invece la funzione
11.2. Lemma. Sia 𝐼 ⊂ ℝ un intervallo compatto (cioè chiuso e limitato). Ogni funzione continua
Dimostrazione. Per assurdo, supponiamo che 𝑓 non sia uniformemente continua: allora esiste 𝜀>0
1
tale che, per ogni 𝛿𝑘 = 𝑘 esistono 𝑥𝑘 , 𝑦𝑘 ∈ 𝐼 tali che
1
|𝑥 𝑘 − 𝑦 𝑘 | < , | 𝑓 (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 (𝑦 𝑘 )| ≥ 𝜀.
𝑘
Per la compattezza di 𝐼 , esiste una sottosuccessione convergente 𝑥 𝑘 ( 𝑗) −→ 𝑥 ∞ ∈ 𝐼 . In particolare,
1
dato che |𝑥 𝑘 ( 𝑗) − 𝑦 𝑘 ( 𝑗) | <
𝑘 , si ha che 𝑦 𝑘 ( 𝑗) −→ 𝑥 ∞ . Ne deduciamo che, per la continuità di 𝑓 ,
𝑓 (𝑥 𝑘 ( 𝑗) ) → 𝑓 (𝑥∞ ) e 𝑓 (𝑦 𝑘 ( 𝑗) ) → 𝑓 (𝑥 ∞ ) , contro il fatto che | 𝑓 (𝑥 𝑘 ) − 𝑓 (𝑦 𝑘 )| ≥ 𝜀 per ogni 𝑘 .
67
68 11. TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ
11.3. Funzioni hölderiane. Una classe particolare di funzioni uniformemente continue sono le fun-
zioni hölderiane, ossia le funzionei 𝑓 : 𝐼 → ℝ tali che esiste 𝛼 ∈ (0, 1] e 𝐿 > 0 con la proprietà
che
dove abbiamo usato che la derivata di 𝑓 è continua e quindi limitata (per il Teorema di Weierstrass)
Teorema di AscoliArzelà
La compattezza nello spazio delle funzioni continue è caratterizzata dalla condizione di uniforme con-
tinuità, che deve valere in modo equivalente per tutte le funzioni nell'insieme compatto. Premettiamo
quindi la seguente denizione fondamentale.
11.4. Denizione [equi-uniforme continuità]. Una famiglia di funzioni F ⊂ 𝐶 (𝐼) si dice equi-
uniformemente continua se per ogni 𝜀 > 0 esiste 𝛿 > 0 tale che
|𝑥 − 𝑦| < 𝛿 =⇒ | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑦)| ≤ 𝛿 ∀ 𝑓 ∈ F.
Per esempio, le funzioni dell'insieme 𝐸 in (11.1) sono singolarmente uniformemente continue (perché
sono continue e denite in un intervallo compatto, Lemma 11.2), ma non sono equi-uniformemente
Quello che segue è il punto principale della caratterizzazione degli insiemi compatti in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) .
11.5. Teorema [Caratterizzazione dei sottoinsiemi totalmente limitati di 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) ]. Sono equi-
𝑁
Ø
F ⊂ 𝐵( 𝑓𝑖 , 𝜀).
𝑖=1
Esplicitamente,
Considerando che le funzioni 𝑓𝑖 sono uniformemente continue, esiste 𝛿𝑖 > 0 tale che
In particolare, posto 𝛿 = min{𝛿1 , ..., 𝛿 𝑁 }, si ha che per ogni 𝑓 ∈ F , detta 𝑓𝑖 la funzione corrispondente
|𝑥−𝑦| < 𝛿 implica | 𝑓 (𝑥)− 𝑓 (𝑦)| ≤ | 𝑓 (𝑥)− 𝑓𝑖 (𝑥)|+| 𝑓𝑖 (𝑥)− 𝑓𝑖 (𝑦)|+| 𝑓𝑖 (𝑦)− 𝑓 (𝑦)| < 3𝜀,
dove abbiamo usato che | 𝑓 (𝑥) − 𝑓𝑖 (𝑥)| ≤ k 𝑓 − 𝑓𝑖 k ∞ < 𝜀 e | 𝑓 (𝑦) − 𝑓𝑖 (𝑦)| ≤ k 𝑓 − 𝑓𝑖 k ∞ < 𝜀 , e la condizione
di uniforme continuità per 𝑓𝑖 dato che 𝛿 ≤ 𝛿 𝑖 . Da qui segue che F è equi-uniformemente continua.
Dimostriamo adesso che 2) implica 1). Fissiamo 𝜀 > 0 e 𝛿 > 0 come nella denizione di equi-uniforme
𝑏−𝑎
continuità e sia 𝑁∈ℕ tale che
𝑁 <𝛿 e siano
𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥 0 < 𝑥1 < ..., 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥 𝑖+1 − 𝑥𝑖 = <𝛿 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑁 − 1.
𝑁
2𝑀
Sia 𝐿∈ℕ tale che
𝐿 <𝜀 e siano
2𝑀
−𝑀 = 𝜉0 < 𝜉1 < ..., 𝜉 𝐿 = 𝑀 𝜉𝑖+1 − 𝜉𝑖 = <𝜀 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝐿 − 1.
𝐿
Consideriamo quindi i seguenti sottoinsiemi di F:
dove 𝜎 : {0, ..., 𝑁 } → {0, ..., 𝐿} è una generica funzione e 𝑦 𝑁 +1 = 𝑦 0 . Notiamo che il diametro di F𝜎
è minore di 3𝜀 : infatti, siano 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎 e 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] ; allora 𝑥 ∈ [𝑥𝑖 , 𝑥𝑖+1 ) per un qualche 𝑖 e si ha che
dove abbiamo usato l'equi-uniforme continuità per stimare | 𝑓 (𝑥) − 𝑓 (𝑥𝑖 )| < 𝜀 e |𝑔(𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥)| < 𝜀 in
quanto |𝑥 − 𝑥𝑖 | < 𝛿; e abbiamo usato che 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎 per concludere che 𝑓 (𝑥𝑖 ), 𝑔(𝑥 𝑖 ) ∈ [𝜉 𝜎 (𝑖) , 𝜉 𝜎 (𝑖)+1 ) ,
da cui | 𝑓 (𝑥𝑖 ) − 𝑔(𝑥𝑖 )| < 𝜉 𝜎 (𝑖)+1 − 𝜉 𝜎 (𝑖) < 𝜀 . In altre parole, si ha che per ogni 𝑓 , 𝑔 ∈ F𝜎
Visto che abbiamo decomposto F in una unione nita di insiemi con diametro limitato da 3𝜀 , con
Dimostrazione. Dal Teorema 6.8 si ha che uno spazio metrico è compatto se e solo se è completo e
totalemente limitato. Dal Teorema 11.5 in 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) totalmente limitato è equivalente a equi-limitato
e equi-uniformemente continuo. Dato che 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) è uno spazio metrico completo, un insieme è
completo se e solo se chiuso, per cui si deduce il corollario.
11.7. Corollario [Ascoli-Arzelà]. Data una famiglia F ⊂ 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) di funzioni equi-uniformemente
6.8, compatto è equivalente a sequenzialmente compatto per uno spazio metrico; per cui, data una
tinue di 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) risulta equi-uniformemente limitata non appena è limitata in un punto: ossia esiste
𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥0 < 𝑥1 < ..., 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥 𝑖+1 − 𝑥𝑖 = <𝛿 ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑁 − 1.
𝑁
Allora, per ogni 𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏] risulta
Per mostrarlo, siano 𝑗0 e 𝑖0 indici tali che 𝑥 ∈ [𝑥 𝑗0 , 𝑥 𝑗0 +1 ] e 𝑥0 ∈ [𝑥𝑖0 , 𝑥𝑖0 +1 ] . Supponiamo che 𝑗0 ≥ 𝑖0
(il caso 0 𝑖 < 𝑗0 è analogo). Allora, si ha
Diamo una dimostrazione diretta del Teorema di Ascoli-Arzelà enunciato nel Corollario 11.7.
Dimostrazione [del Corollario 11.7] . Siano 𝜀 > 0 e 𝛿 > 0 come nella denizione di equi-uniforme
continuità e consideriamo
𝑏−𝑎 𝑏−𝑎
𝑎 = 𝑥0 < 𝑥1 < ... < 𝑥 𝑁 −1 < 𝑥 𝑁 = 𝑏 𝑥𝑖 = 𝑎 +< 𝛿. 𝑖 con
𝑁 𝑁
La successione { 𝑓 𝑘 (𝑥 1 )} ⊆ ℝ è limitata, quindi ha un'estratta convergente { 𝑓 𝑘1 ( 𝑗) (𝑥 1 )} . Similmente,
tutti i punti 𝑥 𝑖 .
ovvero la successione { 𝑓 𝑘 𝑁 ( 𝑗) } è di Cauchy nello spazio di Banach 𝐶 ( [𝑎, 𝑏]) , quindi esiste una funzione
𝑓∞ a cui la sottosuccessione converge uniformemente.
Complementi ed esercizi
TEOREMA DI ASCOLIARZELÀ 71
Esercizio 11.5. Sia 𝐸 ⊂ ℝ e 𝑓 : 𝐸 → ℝ una funzione uniformemente continua. Si dimostri che esiste
ed è unica una funzione continua 𝐹 : 𝐸¯ −→ ℝ tale che 𝐹 (𝑥) = 𝑓 (𝑥) per ogni 𝑥 ∈ 𝐸 .
Esercizio 11.6. Dimostrare che il teorema di Ascoli-Arzelà (Corollario 11.7) resta valido se si sostituisce
[𝑎, 𝑏] con un insieme limitato 𝐸 ⊂ ℝ arbitrario, ma può fallire su insiemi illimitati.
Esercizio 11.7. Si dimostri che vale una sorta di viceversa del teorema di Ascoli-Arzelà: se 𝑓 𝑛 −→ 𝑓
Alcuni Complementi
12.1. Lemma.
sin((𝑛 + 1/2)𝑠)
𝐷 𝑁 (𝑠) = 𝑠 ≠ 0.
2 sin(𝑠/2)
𝑛 𝑛−1
1 ∑︁ 1 ∑︁
+ cos(𝑘𝑤) = + cos(𝑘𝑤) + cos(𝑛𝑤)
2 𝑘=1 2 𝑘=1
sin((𝑛 − 1/2)𝑤)
= + cos(𝑛𝑤)
2 sin(𝑤/2)
sin(𝑛𝑤) cos(𝑤/2) − sin(𝑤/2) cos(𝑛𝑤) + 2 cos(𝑛𝑤) sin(𝑤/2)
=
2 sin(𝑤/2)
sin(𝑛𝑤) cos(𝑤/2) + cos(𝑛𝑤) sin(𝑤/2)
=
2 sin(𝑤/2)
sin((𝑛 + 1/2)𝑤)
= .
2 sin(𝑤/2)
𝑁
∑︁ 𝑁
∑︁
2 cos(𝑛𝑥) sin(𝑥/2) = [sin((𝑛 + 1/2)𝑥) − sin((𝑛 − 1/2)𝑥)]
𝑛=1 𝑛=1
= sin((3/2)𝑥) − sin(𝑥/2)
+ sin((5/2)𝑥) − sin((3/2)𝑥)
...
+ sin((𝑁 − 1/2)𝑥) − sin((𝑁 − 3/2)𝑥)
+ sin((𝑁 + 1/2)𝑥) − sin((𝑁 − 1/2)𝑥)
= sin((𝑁 + 1/2)𝑥) − sin(𝑥/2),
73
74 12. ALCUNI COMPLEMENTI
Terza dimostrazione: analisi complessa. Ricordiamo l'identità di Eulero: 𝑒 𝑖 𝑥 = cos 𝑥 + 𝑖 sin 𝑥 per 𝑥 ∈ ℝ.
Allora,
𝑁
"𝑁 #
1 ∑︁ 1 ∑︁
𝑖𝑛𝑥 1
𝐷 𝑁 (𝑠) = + cos(𝑥) + ... + cos(𝑁𝑥) = cos(𝑛𝑥) − = Re 𝑒 − .
2 𝑛=0
2 𝑛=0
2
Per la nota formula sulle somme parziali delle serie geometriche si ha che
∞
∑︁
𝑓 (𝑥) = 𝑏 𝑘 cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)
𝑘=0
∞
∑︁ 1
𝑏 𝑘 cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥) ≤ 𝑏 𝑘 e 𝑏𝑘 =
𝑘=0
1−𝑏
la serie converge totalmente (e quindi uniformemente) su tutto ℝ, la sua somma è una funzione
L'idea di Weierstrass consiste nel mostrare che 𝑓 non è derivabile in alcun punto! Osserviamo
∞
𝑓 (𝑥 + ℎ) − 𝑓 (𝑥) 1 ∑︁
= 𝑏 𝑘 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)]
ℎ ℎ 𝑘=0
𝑁
1 ∑︁ 𝑘
= 𝑏 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)]
ℎ 𝑘=0
∞
1 ∑︁ 𝑘
+ 𝑏 [cos(𝑎 𝑘 𝜋(𝑥 + ℎ)) − cos(𝑎 𝑘 𝜋𝑥)] = 𝑆 𝑁 (𝑥) + 𝑅 𝑁 (𝑥)
ℎ 𝑘=𝑁 +1
| cos(𝑥) − cos(𝑦)| ≤ |𝑥 − 𝑦|
che per noi signica
da cui segue
𝑁
∑︁ 𝑎𝑁 𝑏𝑁 − 1 𝑎𝑁 𝑏𝑁
|𝑆 𝑁 (𝑥)| ≤ 𝜋𝑏 𝑘 𝑎 𝑘 = 𝜋 <𝜋
𝑘=0
𝑎𝑏 − 1 𝑎𝑏 − 1
se 𝑎𝑏 > 1.
Invece per stimare il resto dobbiamo fare un po' di fatica in più, possiamo scrivere che
1 1
𝑎 𝑁 𝑥 = 𝛼𝑁 + 𝜉 𝑁 con 𝛼𝑁 ∈ ℕ e − < 𝜉𝑁 ≤
2 2
1 − 𝜉𝑁
ponendo ℎ𝑁 = segue che
𝛼𝑁
𝑎 𝑘 𝜋 (𝑥 + ℎ 𝑁 ) = 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 𝑎 𝑁 𝑥 + 𝑎 𝑁 ℎ 𝑁
= 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 (𝛼 𝑁 + 𝜉 𝑁 + 1 − 𝜉 𝑁 ) = 𝜋𝑎 𝑘−𝑁 (𝛼 𝑁 + 1)
∞
(−1) 𝛼𝑁 +1 ∑︁ 𝑘 h i
𝑅 𝑁 (𝑥) = 𝑏 1 + cos 𝜋𝑎 𝑘 𝑁 𝜉 𝑁
ℎ𝑁 𝑘=𝑁 +1
1 𝑁 2𝑎 𝑁 𝑏 𝑁
|𝑅 𝑁 (𝑥)| ≥ 𝑏 ≥
|ℎ 𝑁 | 3
Scegliando i numeri 𝑎 e 𝑏 in modo che
2 𝑁 𝑁 𝑎𝑁 𝑏𝑁 3𝜋
𝑎 𝑏 >𝜋 cioè 𝑎𝑏 > 1 +
3 𝑎𝑏 − 1 2
otteniamo
𝑓 (𝑥 + ℎ 𝑁 ) − 𝑓 (𝑥)
> |𝑅 𝑁 (𝑥)| − |𝑆 𝑁 (𝑥)| > 2 𝑎 𝑁 𝑏 𝑁 − 𝜋 𝑎 𝑏 = 𝑐𝑎 𝑁 𝑏 𝑁
𝑁 𝑁
ℎ𝑁 3 𝑎𝑏 − 1
il che implica che il rapporto incrementale esplode.
delle serie di Fourier. In particolare abbiamo mostrato che la serie di Fourier di una funzione 𝑇 -periodica
𝑓 converge puntualmente se 𝑓 è 𝐶1 a tratti.
Queste domande sono abbastanza dicili e le risposte arriveranno soltanto con il corso di Analisi Reale
(II anno, II semestre), nel frattempo facciamo qualche osservazione, sia 𝑓 una funzione 2𝜋 -periodica,
continua e 𝐶1 a tratti, quindi avente serie di Fourier convergente, e deniamo
𝑎 0 /2 𝑘=0
𝑓𝑘 = 𝑎 𝑗 𝑘 = 2𝑗
𝑘 = 2𝑗 − 1
𝑏𝑗
dove 𝑎𝑗 e 𝑏𝑗 sono i coecienti di Fourier della funzione 𝑓. Dalla disuguaglianza di Bessel segue che
la successione
𝑓 = ( 𝑓𝑘 ) ∈ ℓ2
di fatto prendendo 𝑓 , 𝑔 ∈ 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] di classe 𝐶1 a tratti si può mostrare che la precedente applicazione
è, in un certo senso, (quasi) una isometria se dotiamo lo spazio di funzioni di un prodotto scalare
Volendo essere più precisi, lo spazio che è realmente isometrico a ℓ2 deve essere uno spazio metri-
co completo (rispetto alla distanza indotta dal prodotto scalare) che contiene lo spazio 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] .
Tale spazio è il completamento di 𝐶 0𝑝 [0, 2𝜋] rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare (·|·) 2 .
0
Consideriamo lo spazio 𝐶 , 𝑑2 dove
∫ 2𝜋 1/2
0 2
𝐶 = { 𝑓 : [0, 2𝜋] −→ ℝ continua } e 𝑑2 ( 𝑓 , 𝑔) = | 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 𝑑𝑥
0
se e solo se 𝑓 ≡ 𝑔, altrimenti se | 𝑓 ( 𝑝) − 𝑔( 𝑝)| 2 = 𝜀 > 0, per il teorema della permanenza del segno,
avremmo
∫ 𝑝+ 𝛿
| 𝑓 (𝑥) − 𝑔(𝑥)| 2 𝑑𝑥 ≥ 𝜀𝛿 > 0
𝑝− 𝛿
∞
2𝜋 𝑎 20 1 ∑︁
∫
1
k 𝑓 k 22 = | 𝑓 (𝑥)| 2 𝑑𝑥 =
2
+ 𝑎 𝑘 + 𝑏 2𝑘 = k𝐹 k ℓ22
0 2 2 𝑘=1 2
quindi la domanda è se, in qualche modo, è possibile pensare (𝐶 0 , 𝑑2 ) come un sottospazio vettoriale
2
di ℓ ?
Osserviamo subito che (𝐶 0 , 𝑑2 ) non è uno spazio di Hilbert, quello che fallisce nella verica è che lo
spazio non è completo come spazio metrico rispetto alla distanza indotta dal prodotto scalare, infatti
la successione
(𝑥/𝜋) 𝑘 se 𝑥 ∈ [0, 𝜋)
𝑓 𝑘 (𝑥) =
1 se 𝑥 ∈ [𝜋, 2𝜋]
è di Cauchy, come mostra il conto che segue
∫ 𝜋 h i
−2 (𝑘+ 𝑗)
k 𝑓 𝑘 − 𝑓 𝑘+ 𝑗 k 22 = 𝑥 2 𝑘 𝜋 −2 𝑘 − 2𝑥 2 𝑘+ 𝑗 𝜋 −( 2 𝑘+ 𝑗) + 𝑥 2 (𝑘+ 𝑗) 𝜋 𝑑𝑥
0
𝜋
𝑥 2 𝑘+1 2𝑥 2 𝑘+ 𝑗+1 𝑥 2 (𝑘+ 𝑗)+1
= − + −→ 0
(2𝑘 + 1)𝜋 2 𝑘 (2𝑘 + 𝑗 + 1)𝜋 2 𝑘+ 𝑗 [2(𝑘 + 𝑗) + 1]𝜋 2 (𝑘+ 𝑗) 0
il suo limite dovrebbe coincidere con il suo limite puntuale, cioè con la funzione
0 se 𝑥 ∈ [0, 𝜋)
𝑓∞ (𝑥) =
1 se 𝑥 ∈ [𝜋, 2𝜋]
ma questa funzione non appartiene a (𝐶 0 , 𝑑2 ) .
Sia (𝑋, 𝑑) uno spazio metrico (non completo), allora esistono uno spazio metrico 𝑋,
¯ 𝑑¯
Teorema 0.1.
maniera opprtuna.
Cominciamo considerando l'insieme S(𝑋) = {{𝑥 𝑘 } ⊆ 𝑋 successione di Cauchy} cioè l'insieme di tutte
le successioni di Cauchy contenute in 𝑋 . Osserviamo che, date due successioni (𝑥 𝑘 ), (𝑦 𝑘 ) ∈ S(𝑋) , la
successione {𝑧 𝑘 = 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 )} ⊆ ℝ risulta essere di Cauchy, infatti vale
per ogni coppia di successioni di Cauchy {𝑥 𝑘 } e {𝑦 𝑘 } in S(𝑋) , possiamo aermare con certezza che
(𝑥 𝑘 ) Z (𝑦 𝑘 ) se e solo se lim 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) = 0
𝑘−→∞
e possiamo costruire lo spazio metrico che ci interessa procedendo nel seguente modo, deniamo
si noti 𝑋¯ è un insieme quoziente, i suoi elementi sono classi di equivalenza, per esempio appartengono
alla classe[𝑥0 ] , per ogni 𝑥0 ∈ 𝑋 , tutte le successioni che hanno l'elemento 𝑥 0 come limite, in particolare
la successione costante c (𝑥 0 ) = (𝑥 𝑘 = 𝑥 0 ) .
Ora mostriamo che 𝑑¯ è eettivamente una funzione distanza 𝑑¯, chiaramente la funzione produce solo
lo stesso punto in S(𝑋) , quindi il primo assioma è vericato. La simmetria della funzione 𝑑¯ è una
immediata conseguenza della simmetria della distanza 𝑑 , mentre la disugualianza triangolare può essere
provata partendo dalla disuguaglianza triangolare di 𝑑 . Considerate tre arbitrarie successioni di Cauchy
(𝑥 𝑘 ) , (𝑦 𝑘 ) e (𝑤 𝑘 ) , dall'osservazione che, per ogni indice 𝑘 , vale 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) ≤ 𝑑 (𝑥 𝑘 , 𝑤 𝑘 ) + 𝑑 (𝑤 𝑘 , 𝑦 𝑘 ) e
anche grazie alle proprietà di monotonia del limite, ricaviamo
𝑑¯ ( [(𝑥 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )]) ≤ 𝑑¯ ([(𝑥 𝑘 )], [(𝑤 𝑘 )]) + 𝑑¯ ( [(𝑤 𝑘 )], [(𝑦 𝑘 )])
¯ 𝑑¯ è uno spazio metrico. A questo
quindi possiamo aermare che 𝑋, punto rimane da mostrare che
infatti
A questo punto possiamo mostrare che la chiusura di 𝑖(𝑋) in 𝑋¯ è esattamente 𝑋¯ , il che equivale a dire
¯
che ogni punto di 𝑋 è un punto di accumulazione per 𝑖(𝑋) . Sia [𝑥] ∈ 𝑋 ¯ , (𝑥 𝑘 ) un suo rappresentante
¯
e poniamo 𝑝 𝑘 = 𝑖(𝑥 𝑘 ) = [ c (𝑥 𝑘 )] ∈ 𝑋 , stimiamo la distanza tra [𝑥] e [ c (𝑥 𝑘 )] nel seguente modo
Tornando al nostro esempio iniziale (𝐶 0 , 𝑑2 ) è uno spazio metrico non completo dotato di prodotto
scalare, e abbiamo costruito una sua immersione (quasi isometrica) in ℓ 2 , che è uno spazio di Hilbert.
UNO SGUARDO PIÙ ASTRATTO 79
È possibile dimostrare (sarà fatto nel corso di Analisi Reale) che esiste uno spazio di Hilbert che è il
13.1. Consideriamo un sasso di massa 𝑚 che cade lungo la direzione verticale sotto l'eetto della
sola forza peso, supponendo che l'attrito dell'aria sia trascurabile. Supponendo che il sasso parta da
ℎ 6r 𝑚
𝐹® = 𝑚 𝑎®
−𝑚𝑔 = 𝑚ℎ 00 (𝑡)
ℎ 00 (𝑡) = −𝑔
suolo
Ricordando il secondo principio della dinamica 𝐹® = 𝑚 𝑎®, possiamo considerare che sulla massa agisca
velocità è la derivata prima della posizione spaziale ℎ rispetto al tempo 𝑡 e l'accelerazione è la derivata
della velocità rispetto al tempo 𝑡 , ne deduciamo che l'accelerazione è descritta dalla derivata seconda
della quota ℎ rispetto al tempo 𝑡 , come indicato nell'equazione scritta in gura.
ℎ 00 (𝑡) = −𝑔,
cioè un'equazione in cui l'incognita è la funzione ℎ. Nel caso specico è facile calcolare la soluzione:
ricorriamo al teorema fondamentale del calcolo integrale per scrivere che
∫ 𝑡 ∫ 𝑡
ℎ 0 (𝑡) − ℎ 0 (0) = ℎ 00 (𝑠)𝑑𝑠 = (−𝑔)𝑑𝑠 = −𝑔𝑡.
0 0
da cui
1
ℎ(𝑡) = − 𝑔𝑡 2 + ℎ 0 (0)𝑡 + ℎ(0).
2
Dai precedenti ragionamenti possiamo aermare che tutte le soluzioni dell'equazione dierenziale
1
ℎ 00 (𝑡) = −𝑔 sono della forma ℎ(𝑡) = − 𝑔𝑡 2 + 𝑣 0 𝑡 + ℎ0 ,
2
e notiamo che le soluzioni sono innite, in quanto l'espressione contiene due parametri 𝑣0 e ℎ0 , che nel
modello rappresentano la velocità e la posizione iniziale, rispettivamente. Possiamo quindi rispondere
alla domanda iniziale: con condizioni iniziali ℎ0 e 𝑣 0 = 0, la massa raggiunge il suolo al tempo ¯𝑡 tale
1 √︃
2 ℎ0
che ℎ(¯𝑡 ) = − 𝑔𝑡 2 + ℎ0 = 0, ossia ¯𝑡 = 𝑔 .
2
83
84 13. EQUAZIONI DIFFERENZIALI: CONCETTI INTRODUTTIVI
13.2. Consideriamo un secondo problema: supponiamo di avere una massa che si muove orizzon-
talmente lungo un piano privo di attrito, sotto l'eetto della sola forza elastica esercitata da una
molla.
Ragionando come prima e ricordando la legge di Hook secondo la quale la forza esercitata da una
molla è proporzionale allo spostamento dalla posizione di equilibrio, possiamo dire che
Denizioni e terminologia
13.3. Un' equazione dierenziale ordinaria è una uguaglianza della forma
(13.1) 𝐹 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) = 0,
dove
La funzione 𝐹 è assegnata, come abbiamo visto negli esempi, è prescritta dal fenomeno che si prova
equazione, a sua volta una funzione, che si vuole trovare per risolvere l'equazione. Ricordiamo che
𝑢 0 (𝑥) , 𝑢 00 (𝑥) , ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) è la notazione per la derivata prima, seconda e, in generale, di ordine 𝑘 della
funzione 𝑢 .
13.4. Diciamo che una funzione 𝑢:𝐼→ℝ è una soluzione di (13.1) se è una funzione derivabile 𝑘
volte con derivate continue e tale che
𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) ∈ 𝐴 ∀𝑥 ∈ 𝐼
e
𝐹 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), 𝑢 00 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘) (𝑥) = 0 ∀ 𝑥 ∈ 𝐼.
Nel seguito diremo che un'equazione dierenziale è scritta in forma normale se si presenta nella forma
𝑢 (𝑘) (𝑥) = 𝑓 𝑥, 𝑢(𝑥), 𝑢 0 (𝑥), ..., 𝑢 (𝑘−1) (𝑥) ,
13.5. Sistemi di equaioni dierenziali. Si possono considerare anche sistemi di equazioni dieren-
ziali. Per semplicità ci limitiamo al caso di sistemi di equazioni del primo ordine:
13.6. Uno tra gli aspetti più interessanti dei sistemi di equazioni dierenziali risiede nel fatto che
ogni equazione dierenziale di qual si volgia grado è riconducibile ad un sistema del primo ordine. Sia
0 (𝑘−1)
𝑣 1 (𝑥) = 𝑢(𝑥), 𝑣 2 (𝑥) = 𝑢 (𝑥), ... 𝑣 𝑘 (𝑥) = 𝑢 (𝑥),
allora la funzione vettoriale v = (𝑣 1 , ..., 𝑣 𝑘 ) : 𝐼 −→ ℝ 𝑘 risolve il sistema di 𝑘 equazioni dierenziali in
𝑘 incognite:
𝑣 10 = 𝑣 2
𝑣 0 = 𝑣3
.2
(13.2) ..
𝑣 0𝑘−1 = 𝑣 𝑘
𝐹 𝑥, 𝑣 (𝑥), 𝑣 (𝑥), ..., 𝑣 (𝑥), 𝑣 0 (𝑥) = 0.
1 2 𝑘−1 𝑘
Viceversa, data una soluzione v = (𝑣 1 , ..., 𝑣 𝑘 ) : 𝐼 −→ ℝ 𝑘 del sistema (13.2), allora la funzione 𝑢 = 𝑣1
è soluzione di (13.1).
13.7. Equazioni a variabili separabili. Queste sono equazioni dierenziali del primo ordine in forma
𝑢 0 (𝑥)
= 𝑐(𝑥),
ℎ(𝑢(𝑥))
da cui integrando otteniamo che
𝑢 0 (𝑠)
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
𝐶 (𝑥) − 𝐶 (𝑥0 ) = 𝑐(𝑠)𝑑𝑠 = 𝑑𝑠 = 𝐻 (𝑢(𝑥)) − 𝐻 (𝑢(𝑥 0 )) ∀ 𝑥 ∈ (𝑥 0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿),
𝑥0 𝑥0 ℎ(𝑢(𝑠))
86 13. EQUAZIONI DIFFERENZIALI: CONCETTI INTRODUTTIVI
con 𝐶, 𝐻 primitive di 𝑐 e ℎ−1 , rispettivamente, ossia 𝐶0 = 𝑐 e 𝐻 0 = ℎ−1 . Nel caso in cui la funzione 𝐻
fosse invertibile, avremmo trovato una formula per la soluzione dell'equazione dierenziale:
da cui
𝑢 0 (𝑡)𝑑𝑡 𝑢 0 (𝑡) 𝑢 0 (𝑡)
∫ 𝑥 ∫ 𝑥
= + 𝑑𝑢
𝑥0 𝑢(𝑡) (1 − 𝑢(𝑡)) 𝑥0 𝑢(𝑡) 1 − 𝑢(𝑡)
𝑢(𝑥 0 )
con 𝑘 = − ln
𝑢(𝑥)
= [ln |𝑢| − ln |1 − 𝑢|] 𝑥𝑥0 = ln + 𝑘, .
1 − 𝑢(𝑥) 1 − 𝑢(𝑥0 )
Uguagliando le primitive ottenute, possiamo scrivere
𝑢(𝑥)
ln
= 𝑥 + 𝑎, 𝑎 = −𝑘 − 𝑥0 ,
1 − 𝑢(𝑥)
e invertendo la funzione logaritmo e ponendo 𝐾 = 𝑒 𝑎 otteniamo
𝐾𝑒 𝑥 𝐾𝑒 𝑥
cioè oppure
𝑢(𝑥)
𝑥
1 − 𝑢(𝑥) = 𝐾𝑒 𝑢(𝑥) = 𝑢(𝑥) = ,
1 + 𝐾𝑒 𝑥 𝐾𝑒 𝑥 − 1
a dipendenza del fatto che 𝑢(𝑥0 ) ∈ (0, 1) oppure 𝑢(𝑥0 ) ∈ (−∞, 0) ∪ (1, +∞) . Si noti che nel primo caso
l'espressione ottenuta ha senso su tutto l'asse reale, che 0 < 𝑢(𝑥) < 1 per ogni 𝑥 ∈ ℝ, garantendo a
posteriori la correttezza delle manipolazioni svolte (ossia che 𝑢(𝑥) ≠ 0, 1 per ogni 𝑥 , per cui non si è
diviso mai per zero). Per curiosità si noti che
lim 𝑢(𝑥) = 0 lim 𝑢(𝑥) = 1,
𝑥−→−∞ 𝑥−→+∞
𝑢(𝑡)
𝑢0 𝑒𝑡
𝑢(𝑡) =
(1 − 𝑢 0 ) + 𝑢 0 𝑒 𝑡
𝑢0
DUE CLASSI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI 87
13.8. Equazioni lineari del primo ordine. Un'altra tipologia di equazione dierenziale che discutiamo
Notiamo subito che se 𝑎≡0 il problema è risolto dal teorema fondamentale del calcolo integrale.
L'equazione ha una struttura vagamente simile alla derivata di un prodotto: se moltiplichiamo ambo i
membri dell'equazione per il fattore positivo 𝑒 𝐴( 𝑥) con 𝐴 una primitiva di 𝑎 ( 𝐴 0 = 𝑎 ), allora otteniamo
0
𝑓 (𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) = 𝑒 𝐴( 𝑥) 𝑤 0 (𝑥) + 𝑎(𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) 𝑤(𝑥) = 𝑤(𝑥)𝑒 𝐴( 𝑥) .
Possiamo quindi integrare l'equazione:
∫ 𝑥 0 ∫ 𝑥
𝐴( 𝑥) 𝐴( 𝑥0 ) 𝐴(𝑠)
𝑤(𝑥)𝑒 − 𝑤(𝑥0 )𝑒 = 𝑤(𝑠)𝑒 𝑑𝑠 = 𝑓 (𝑠)𝑒 𝐴(𝑠) 𝑑𝑠,
𝑥0 𝑥0
cioè
∫ 𝑥
𝑤(𝑥) = 𝑒 −𝐴( 𝑥) 𝑤(𝑥 0 )𝑒 𝐴( 𝑥0 ) + 𝑓 (𝑠)𝑒 𝐴(𝑠) 𝑑𝑠 ∀ 𝑥 ∈ ℝ.
𝑥0
Esempio 13.3. Studiamo la caduta di una massa puntiforme 𝑚 > 0 sotto l'eetto della forza peso,
all'interno di un uido omogeneo: tenendo in conto che la forza di attrito è parallela, opposta in verso
e proporzionale alla velocità, si ottiene dalla seconda legge di Newton l'equazione seguente
𝑂 r𝑚
00 0
𝑚𝑥 (𝑡) = 𝑚𝑔 − 𝛼𝑥 (𝑡)
𝑥(0) = 0
𝑥 0 (0) = 𝑣 0
𝑥 ?
1. esercizi e complementi
𝑢(0) = 1, 𝑤(0) = 1.
𝑤(0) = 1.
𝑢(0) = 1/2,
si provi se le seguenti aermazioni sono vere o false:
1) la soluzione ammette limite per 𝑡 −→ −∞,
2) la soluzione è monotona,
3) la soluzione ha un punto critico per 𝑡 = 0.
Si calcoli l'espressione esplicita della soluzione.
Esercizio 13.6. Dato 𝛼 ∈ ℝ, calcolare la soluzione del seguente problema
𝑤 0 (𝑠)
= 𝑠|𝑤(𝑠)|
𝑤(0) = 𝛼.
CAPITOLO 14
Problema di Cauchy
Il protagonista di questo capitolo è il problema di Cauchy per un sistema di equazioni del primo ordine
in forma normale: assegnata una funzione 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 con 𝐴 ⊂ ℝ𝑑+1 aperto e un punto (𝑡0 , u) ∈ 𝐴,
si cerca una soluzione del seguente sistema di equazioni:
Come illustrato nel capitolo precedente, l'equazione dierenziale rappresenta la legge di evoluzione
del sistema descritto da 𝑑 gradi di libertà tramite il vettore u, con u0 è stato iniziale da cui parte
l'evoluzione al tempo 𝑡0 .
La chiave per la risoluzione del problema di Cauchy è il seguente modo di riformularlo.
Per esteso, se u = (𝑢 1 , ..., 𝑢 𝑑 ) , u0 = (𝑎 1 , ..., 𝑎 𝑑 ) e 𝑓 = ( 𝑓1 , ..., 𝑓 𝑑 ) , allora (14.2) equivale alle seguenti
𝑑 equazioni integrali:
∫ 𝑡
𝑢 𝑖 (𝑡) = 𝑎 𝑖 + 𝑓𝑖 (𝑠, 𝑢 1 (𝑠), ..., 𝑢 𝑑 (𝑠))𝑑𝑠 ∀ 𝑡 ∈ 𝐼, ∀ 𝑖 = 1, ..., 𝑑.
𝑡0
Dimostrazione. Sia u una soluzione 𝐶1 del problema di Cauchy: per il teorema fondamentale del
Viceversa sia u una soluzione 𝐶 0 dell'equazione integrale (14.2). Dato che 𝑠 ↦→ 𝑓 (𝑠, u(𝑠)) è continua,
dal teorema fondamentale del calcolo integrale si deduce che u è in realtà una funzione di classe 𝐶1
e vale
∫ 𝑡0
u(𝑡 0 ) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 = u0 ,
𝑡0
∫ 𝑡
0 𝑑
u (𝑡) = u0 + 𝑓 (𝑠, u(𝑠))𝑑𝑠 = 𝑓 (𝑡, u(𝑡)),
𝑑𝑡 𝑡0
per cui u è soluzione del problema di Cauchy (14.1).
89
90 14. PROBLEMA DI CAUCHY
la soluzioe del problema di Cauchy (14.1) nella classe di funzioni 𝐶 1 ((𝑡 0 − 𝜂, 𝑡0 + 𝜂), 𝐵¯𝑟2 (u0 )) .
Dimostrazione. Introduciamo lo spazio metrico
Questo spazio metrico è completo perché è un sottoinsieme chiuso dello spazio metrico completo
𝑑∞ (𝑇 (u), 𝑇 (v)) = sup |𝑇 (u) (𝑡) − 𝑇 (v) (𝑡)| < 𝐿𝜂𝑑∞ (u, v).
𝑡 ∈ [𝑡0 −𝜂,𝑡0 +𝜂 ]
Per il Teorema 5.4, esiste un'unica funzione u∈𝑋 tale che 𝑇 (u) = u: ossia esiste un'unica funzione
14.3. Osservazione: Unicità. L'unicità asserita nel Teorema 14.2 è relativa alle funzioni u a valori
nella palla chiusa 𝐵¯𝑟2 (u0 ) . Il teorema non esclude che esista un'altra soluzione al problema di Cauchy
14.1 con lo stesso dato iniziale u0 i cui valori non siano contenuti in 𝐵¯𝑟2 . Vedremo nella prossima
i. un aperto 𝐴 ⊂ ℝ × ℝ𝑑 ,
ii. 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una funzione continua e lipschitziana nella seconda variabile:
14.5. Stabilità. Siano 𝐴e 𝑓 come in i. e ii. e consideriamo due problemi di Cauchy relativi alla stessa
mentale del calcolo, 𝐹 è derivabile con derivata continua 𝐹 0 (𝑡) = |u(𝑡) − v(𝑡)| . Si deduce quindi da
(14.4) che
𝐹 0 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 − 𝑞 0 | + 𝐿𝐹 (𝑡).
Moltiplicando la disuguaglianza per 𝑒 −𝐿𝑡 e manipolando l'espressione ottenuta si ha
0
𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 0 (𝑡) − 𝑒 −𝐿𝑡 𝐿𝐹 (𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) ≤ 𝑒 −𝐿𝑡 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |.
Integrando la disuguaglianza dierenziale tra 𝑡 e 𝑡0
∫ 𝑡 0
𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 𝐹 (𝑡) − 𝑒 −𝐿𝑡0 𝐹 (𝑡 0 ) = 𝑒 −𝐿𝑠 𝐹 (𝑠) 𝑑𝑠
𝑡0
∫ 𝑡
≤ 𝑒 −𝐿𝑠 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |𝑑𝑠 = 𝐿 −1 𝑒 −𝐿𝑡0 − 𝑒 −𝐿𝑡 | 𝑝 0 − 𝑞 0 |,
𝑡0
da cui segue
|u(𝑡) − v(𝑡)| = 𝐹 0 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 −𝑞 0 |+𝐿𝐹 (𝑡) ≤ | 𝑝 0 −𝑞 0 |+ 𝑒 −𝐿 (𝑡−𝑡0 ) − 1 | 𝑝 0 −𝑞 0 | = 𝑒 −𝐿 (𝑡−𝑡0 ) | 𝑝 0 −𝑞 0 |.
Se 𝑡 < 𝑡0 , si procede in modo del tutto analogo per mostrare che
In particolare, dal lemma di Gronwall segue l'unicità globale per il problema di Cauchy.
u(𝑡) = v(𝑡) ∀ 𝑡 ∈ 𝐼 ∩ 𝐽.
𝐼1 ⊂ 𝐼2 , u1 (𝑥) = u2 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐼1 .
In altri termini, u2 estende la soluzione u1 oltre il suo dominio di denizione 𝐼1 .
Una soluzione u : 𝐼 → ℝ𝑑 si dice massimale se non esistono soluzioni v : 𝐽 → ℝ𝑑 che estendono u
propriamente, ossia tali che 𝐼 ( 𝐽 .
la seguente funzione:
Ø
𝐼 := 𝐼u U : 𝐼 → ℝ𝑑 U(𝑡) = u(𝑡) ∀ 𝑡 ∈ 𝐼u .
u ∈S
Si noti che a denizione di U è ben posta: infatti, se 𝑡 ∈ 𝐼u ∩ 𝐼v , con u, v ∈ S , allora per il Corollario
14.7 si ha che u(𝑡) = v(𝑡) . Inoltre, U è un prolungamento di ogni soluzione u del problema di Cauchy
e quindi è essa stessa soluzione: per ogni 𝑡 ∈ 𝐼 esiste una soluzione u tale che U(𝑠) = u(𝑠) per ogni 𝑠
0
in un intorno di 𝑡 , per cui U (𝑡) = 𝑓 (𝑡, U(𝑡)) . In altre parole, U∈S è l'unica soluzione massimale del
Nel caso in cui l'aperto 𝐴 è un cilindro innito 𝐴 = 𝐼 × ℝ𝑑 , la soluzione massimale è denita su tutto
𝐼.
14.10. Teorema [esistenza globale]. Sia 𝐴 = 𝐼 ×ℝ𝑑 ⊂ ℝ×ℝ𝑑 con 𝐼 intervallo e sia 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una
funzione continua e lipschitziana nella seconda variabile. Allora, la soluzione massimale del problema
dato iniziale 0𝑡 = 𝑎+𝜂/2, con 𝜂 < min{𝑟, 1/𝐿} e 𝑝 0 = u(𝑡 0 ) : esiste una soluzione v : (𝑡 0 −𝜂, 𝑡0 +𝜂) → ℝ𝑑 .
La funzione
u(𝑡) 𝑡 ∈ [𝑎 + 𝜂/2, 𝑏),
U(𝑡) =
v(𝑡) 𝑡 ∈ (𝑎 − 𝜂/2, 𝑎 + 𝜂/2),
ESEMPI 93
mente (𝑎, 𝑏) = 𝐼 .
14.11. Locale lipschitzianità. I risultati appena esposti rimangono validi (con dimostrazioni invaria-
equazioni dierenziali.
Dimostrazione. Sia 𝐿 la costante di Lipschitz di 𝑓 nella seconda variabile: allora per ogni 𝑡 > 𝑡0
possiamo scrivere
𝜙 0 (𝑡) := 𝑢 0 (𝑡)−𝑤 0 (𝑡) ≤ 𝑓 (𝑡, 𝑢(𝑡))−𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ≤ 𝑔(𝑡, 𝑢(𝑡))−𝑔(𝑡, 𝑤(𝑡)) ≤ 𝐿|𝑢(𝑡)−𝑤(𝑡)| = 𝐿|𝜙(𝑡)|.
Se per assurdo esiste ¯𝑡 > 𝑡 0 tale che 𝜙(¯𝑡 ) > 0, allora per il teorema di permanenza del segno possiamo
dire che esiste 𝜉 ∈ [𝑡 0 , ¯𝑡 ) tale che 𝜙(𝑡) > 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝜉, 𝑑) : quindi, moltiplicando per 𝑒 −𝐿𝑡 la
disuguagianza dierenziale, otteniamo che
0
𝑒 −𝐿𝑡 𝜙(𝑡) = 𝑒 −𝐿𝑡 (𝜙 0 (𝑡) − 𝐿𝜙(𝑡)) ≤ 0
cioè 𝑒 −𝐿𝑡 𝜙(𝑡) è una funzione monotona non crescente in [𝜉, ¯𝑡 ] , il che porta alla contraddizione
Esempi
Di seguito facciamo alcuni esempi di casi in cui si applica di Teorema di CauchyLipschitz.
1. Esercizi e complementi
𝑢(0) = 1.
𝑢(0) = 𝑢 0 .
1. Dire se il problema possiede un'unica soluzione in un intorno dell'origine.
2. Dire se la soluzione è monotona nell'intervallo in cui è denita.
3. Determinare la soluzione che soddisfa la condizione iniziale 𝑢(0) = 0 e calcolare l'intervallo massimale
di denizione.
4. Determinare la soluzione che soddisfa la condizione iniziale 𝑢(0) = 1 e calcolare l'intervallo massimale
di denizione.
Esercizio 14.5. Si consideri l'equazione dierenziale
𝑢 0 (𝑡) = 𝐹 (𝑢(𝑡)),
dove la nonlinearità 𝐹 è una funzione di classe 𝐶 1 (ℝ) . Provare o smentire con un esempio le seguenti
aermazioni:
1. ogni soluzione ha ℝ come intervallo di esistenza,
2. ogni soluzione è monotona,
1. ESERCIZI E COMPLEMENTI 95
𝑢(0) = 0,
si discutano le seguenti aermazioni:
1. il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑢,
2. la soluzione è crescente e non ha punti stazionari,
3. 𝑢 è concava.
Inne si calcoli esplicitamente la soluzione.
96 14. PROBLEMA DI CAUCHY
𝑢(0) = 1,
1. si verichi che per esso vale il teorema di esistenza ed unicità della soluzione del problema di Cauchy,
2. si calcoli il polinomio di Taylor 𝑇3 (𝑡) (di ordine 𝑛 = 3 e punto iniziale 𝑡0 = 0) della sua soluzione.
Esercizio 14.13. Assegnata l'equazione dierenziale autonoma
1
𝑤 0 (𝑡) = ,
1 + 𝑤(𝑡)
1. si verichino le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità al variare dei dati iniziali (𝑡0 , 𝑤 0 ) ,
2. si determinino almeno tre sue soluzioni,
3. si determini la soluzione del problema di Cauchy 𝑤(0) = 0,
4. si provi che le soluzioni 𝑤(𝑡) dell'equazione sono tutte funzioni monotone.
Esercizio 14.14. Dato il problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
= sin(𝑤 2 (𝑥))
𝑐 ∈ ℝ,
𝑤(0) = 𝑐
si risponda alle questioni seguenti:
1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑤 𝑐 (𝑡) ,
2. si dica per quali 𝑐 le soluzioni sono crescenti,
3. sapendo che dom (𝑤 𝑐 ) = ℝ, cosa si può dire a proposito del limite per√ 𝑥 −→ +∞ di 𝑤 𝑐 (𝑥) ?
4. Si scriva esplicitamente la soluzione del problema di Cauchy per 𝑐 = 𝜋.
Esercizio 14.15. Dato il problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
= 𝑒 −𝑥 𝑤(𝑥)
𝑐 ∈ ℝ,
𝑤(0) = 𝑐
si provi che
1. il problema possiede un'unica soluzione,
2. le soluzioni costituiscono uno spazio vettoriale,
inne si scriva l'espressione esplicita della funzione
Esercizio 14.16. Dato il problema di Cauchy
𝑧 0 (𝑡)
= 𝑒 −𝑡 𝑧(𝑡) (𝑧(𝑡) − 1)
𝑧(0) = 1/2,
si risponda alle questioni seguenti:
1. si spieghi perché il problema possiede un'unica soluzione locale 𝑧(𝑡) ,
2. si spieghi perché la soluzioni è monotona,
3. sapendo che dom (𝑧) = ℝ, cosa si può dire a proposito del limite per 𝑡 −→ +∞ di 𝑧(𝑡) ?
4. Si scriva esplicitamente la soluzione del problema di Cauchy.
Esercizio 14.17. Sia 𝐴 ⊂ ℝ × ℝ𝑑 un aperto e 𝑓 : 𝐴 → ℝ𝑑 una funzione continua e lipschitziana
nella seconda variabile di costante 𝐿 . Sia u : (𝑎, 𝑏) → ℝ𝑑 una soluzione massimale. Allora, per ogni
compatto 𝐾 ⊂ 𝐴, esiste 𝛿 > 0 tale che
(14.1) u(𝑡) ∈ 𝐴 \ 𝐾 ∀ 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑎 + 𝛿) ∪ (𝑏 − 𝛿, 𝑏).
CAPITOLO 15
In questa sezione ci interesseremo ai sistemi lineari, cioè di sistemi di equazioni dierenziali del seguente
tipo
15.1. Grazie al Teorema 14.10 (e all'osservazione in 14.11) sappiamo che le soluzioni massimali
del sistema (15.5) hanno come dominio tutto l'intervallo (𝑎, 𝑏) . Infatti, la funzione 𝑓 (𝑠, 𝑝) = 𝐴(𝑠) 𝑝 è
localmente lipschitziana nella seconda variabile ed è denita sul cilindro innito (𝑎, 𝑏) × ℝ𝑑 .
15.2. Denotiamo con 𝑊 l'insieme delle soluzioni di (15.1):
I sistemi di equazioni (15.1) si chiamano lineari perché l'insieme delle soluzioni 𝑊 ha la struttura di
spazio vettoriale:
∀ u, v ∈ 𝑊 ∀ 𝜇, 𝜆 ∈ ℝ allora 𝜇u + 𝜆v ∈ 𝑊 .
Infatti
del sistema, che è uguale al numero di incognite) e come si possa trovare una base esibendo un
15.3. Teorem. Sia 𝐴 ∈ 𝐶 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑×𝑑 ) . Lo spazio delle soluzioni 𝑊 del sistema di equazioni lineari
associa ad ogni vettore 𝑣 ∈ ℝ𝑑 la soluzione del problema di Cauchy (relativo ad un tempo iniziale
𝑡0 ∈ (𝑎, 𝑏) ssato)
(
u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡)
(15.2)
u(𝑡 0 ) = 𝑣,
è un isomorsmo.
Dimostrazione. Per ogni 𝑣 ∈ ℝ𝑑 sia Φ(𝑣) l'unica soluzione del problema di Cauchy
(
Φ(𝑣) 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)Φ(𝑣) (𝑡)
(15.3)
Φ(𝑣) (𝑡 0 ) = 𝑣.
97
98 15. SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI
Osserviamo subito che l'applicazione è ben posta, visto che sono soddisfatte tutte le ipotesi del
Teorema 14.10 di Cauchy-Lipschitz e del Teorema per cui ad ogni punto 𝑣 possiamo associare
un'unica funzione di 𝑊. Mostriamo che l'applicazione Φ è lineare: consideriamo due punti distinti
𝑣, 𝑤 ∈ ℝ𝑑 e le relative soluzioni Φ(𝑣) e Φ(𝑤) . Mostrare che l'applicazione è lineare signica vericare
che
Mostriamo adesso che Φ : ℝ𝑑 → 𝑊 è iniettiva e suriettiva. Per l'iniettività basta mostrare che il
nucleo è banale: se Φ(𝑣) è la soluzione costantemente nulla, allora in particolare Φ(𝑣) (𝑡 0 ) = 𝑣 = 0,
ossia Φ(𝑣) = 0 se e solo se 𝑣 = 0. Da qui l'iniettività: se Φ(𝑣) = Φ(𝑤) , allora Φ(𝑣 − 𝑤) = 0, da cui
𝑣 − 𝑤 = 0, ossia 𝑣 = 𝑤 .
La suriettività è immediata dal teorema di Cauchy-Lipschitz perché ogni soluzione u ∈ 𝑊 è l'immagine
u = Φ(u(𝑡 0 )) ∀ u ∈ 𝑊.
Dall'esistenza dell'isomorsmo Φ deduciamo anche che dim (𝑊) = 𝑑 .
renziali lineari ha una naturale struttura di spazio vettoriale reale di dimensione pari al numero delle
Diremo che un insieme {u1 , ..., u 𝑘 } ⊂ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) di soluzioni di un sistema di equazioni lineari
(15.1) sono linearmente dipendenti se esistono 𝑘 numeri reali {𝜆1 , ..., 𝜆 𝑛 } ∈ ℝ𝑛 non tutti nulli, tali
che
𝑛
∑︁
𝜆 𝑗 u 𝑗 (𝑡) = 𝜆1 u1 (𝑡) + ... + 𝜆 𝑛 u𝑛 (𝑡) = 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏).
𝑗=1
Diremo che tali funzioni sono linearmente indipendenti se la precedente relazione è vera solo nel
15.4. Teorema. Una famiglia di soluzioni {u1 (𝑡), ..., u 𝑘 (𝑡)} del sistema omogeneo (15.1) è linear-
mente dipendente in 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) se e solo se esiste un tempo 𝜏 ∈ (𝑎, 𝑏) tale che i vettori
Dimostrazione. Supponiamo che esista 𝜏 ∈ (𝑎, 𝑏) e {𝜆1 , ..., 𝜆 𝑘 } ⊆ ℝ (non tutti nulli) tali che
𝜆1 u1 (𝜏) + ... + 𝜆 𝑘 u 𝑘 (𝜏) = 𝑂 . Allora, per l'unicità della soluzione del problema di Cauchy, possiamo
dedurre che la funzione u(𝑡) = [𝜆 1 u1 (𝑡) + ... + 𝜆 𝑘 u 𝑘 (𝑡)] è soluzione di (15.1) e assume come dato
iniziale, per 𝑡 = 𝜏 , il vettore nullo, quindi u(𝑡) = 0 per ogni 𝑡 ∈ (𝑎, 𝑏) , cioè le funzioni sono linearmente
dipendenti.
MATRICE DELLE SOLUZIONI 99
15.5. Corollario. Se 𝑘 = 𝑑 , allora i vettori sono linearmente indipendenti se la matrice che si ottiene
15.6. Denizione [Matrice delle soluzioni]. Siano {u1 , ..., u𝑑 } soluzioni linearmente indipendenti
del sistema omogeno (15.1). La matrice che si ottiene aancando le soluzioni u𝑖 come colonne 𝑈 (𝑡)
viene detta matrice fondamentale delle soluzioni. Inoltre, se verica la relazione 𝑈 (𝑡0 ) = 𝐼𝑛 ∈ ℝ𝑑×𝑑
diremo che è una matrice fondamentale speciale al tempo 𝑡 0 . A volte indicheremo una tale matrice
15.7. Teorema. Siano {u1 (𝑡), ..., u𝑑 (𝑡)} 𝑑 soluzioni linearmente indipendenti di (15.1).
1. La relativa metrice di soluzioni 𝑈 (𝑡) risolve la seguente equazione dierenziale matriciale
2. Se 𝑈 (𝑡) è soluzione di (15.4), allora ogni sua colonna u 𝑗 (𝑡) è soluzione del sistema omogeneo
(15.1).
3. La matrice fondamentale speciale 𝑈 (𝑡; 𝑡 0 ) del sistema omogeneo (15.1) è l'unica soluzione del
problema di Cauchy
𝑈 (𝑡0 ) = 𝐼 𝑑 .
4. Per ogni u0 ∈ ℝ𝑛 , la funzione u(𝑡) = 𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 è l'unica soluzione del problema di Cauchy
u0 (𝑡)
= 𝐴(𝑡)u(𝑡)
u(𝑡 0 ) = u0
0 0 0
u (𝑡) = [𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 ] = 𝑈 (𝑡; 𝑡0 )u0 = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡; 𝑡 0 )u0 = 𝐴(𝑡)u(𝑡).
0 0 −1
𝑈 (𝑡; 𝑡 0 ) = 𝑈 (𝑡)𝑈 (𝑡0 ) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡0 ) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡; 𝑡 0 );
100 15. SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI
inoltre vale
𝑈 (𝑡0 ; 𝑡0 ) = 𝑈 (𝑡 0 )𝑈 −1 (𝑡0 ) = 𝐼 𝑑 ,
da cui la conclusione.
costanti:
𝑎 11 𝑎 12 ... 𝑎 1𝑑
© ª
0
𝑎 21 𝑎 22 ... 𝑎 2𝑑 ®
u (𝑡) = 𝐴u(𝑡) 𝑡 ∈ ℝ, 𝐴 = . .. .. ® ∈ ℝ𝑑×𝑑 .
..
®
. ... . ®
« 𝑎 𝑑1 𝑎 𝑑2 ... 𝑎 𝑑𝑑 ¬
𝑑
! 12
∑︁
| 𝐴| = 𝑎 2𝑖 𝑗 .
𝑖, 𝑗=1
| 𝐴𝐵| ≤ | 𝐴||𝐵|.
Í𝑑
Infatti, ( 𝐴𝐵)𝑖 𝑗 = 𝑘=1 𝑎 𝑖𝑘 𝑏 𝑘 𝑗 e
𝑑 𝑑
!2 𝑑 𝑑 𝑑
! 𝑑 𝑑
∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁ ∑︁
2
| 𝐴𝐵| = 𝑎 𝑖𝑘 𝑏 𝑘 𝑗 ≤ 𝑎 2𝑖𝑘 𝑏 2𝑘 𝑗 = 𝑎 2𝑖𝑘 𝑏 2𝑘 𝑗 = | 𝐴| 2 |𝐵| 2 .
𝑖 𝑗=1 𝑘=1 𝑖 𝑗=1 𝑘=1 𝑘=1 𝑖𝑘=1 𝑘, 𝑗=1
| 𝐴 𝑘 | ≤ | 𝐴| 𝑘 .
+∞
∑︁ 𝐴𝑘
𝑒 𝐴 := ∈ ℝ𝑑×𝑑 .
𝑘=0
𝑘!
La denizione è ben posta perché la serie converge assolutamente nello spazio delle matrici con la
norma euclidea:
+∞ +∞
∑︁ | 𝐴 𝑘 | ∑︁ | 𝐴| 𝑘
≤ = 𝑒 | 𝐴| < +∞.
𝑘=0
𝑘! 𝑘=0
𝑘!
SISTEMI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI 101
1. 𝑒 𝑂𝑑 = 𝐼 𝑑 ∈ ℝ𝑑×𝑑 ,
2. 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ𝑑×𝑑 matrici 𝐴𝐵 = 𝐵𝐴) allora 𝑒 𝐴+𝐵 = 𝑒 𝐴 𝑒 𝐵 ,
che commutano (cioè
𝐴 è sempre invertibile e 𝑒 𝐴 −1 = 𝑒 −𝐴,
3. la matrice esponenziale 𝑒
− 1
4. 𝐴, 𝐶, 𝐶 −1 ∈ ℝ𝑑×𝑑 allora 𝑒𝐶 𝐴𝐶 = 𝐶𝑒 𝐴𝐶 −1 .
𝑑
5. 𝑡 ↦→ 𝑒 𝐴𝑡 è derivabile e 𝑒 𝐴𝑡 = 𝐴𝑒 𝐴𝑡 per ogni 𝑡 ∈ ℝ.
𝑑𝑡
Dimostrazione. 1. Dalla denizione
1 1
𝑒 𝑂𝑑 = 𝐼 𝑑 + 𝑂 𝑑 + 𝑂 2𝑑 + 𝑂 3𝑑 + · · · + = 𝐼 𝑑 .
2 3!
Considerando che le serie convergono assolutamente (per cui i termini possono essere riarrangiati),
−1
𝐼 𝑑 = 𝑒 𝑂𝑑 = 𝑒 𝐴 𝑒 −𝐴 =⇒ 𝑒 −𝐴 = 𝑒 𝐴 .
𝑁
∑︁ 1 1 1
(𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 𝑘 = 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 2 + ... + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) 𝑁
𝑘=0
𝑘! 2 𝑁!
1 1
= 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + ... + (𝐶 𝐴𝐶 −1 )...(𝐶 𝐴𝐶 −1 )
2 𝑁!
1 1
= 𝐼 𝑑 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + 𝐶 𝐴2 𝐶 −1 + ... + 𝐶 𝐴 𝑁 𝐶 −1
2 𝑁!
1 1
= 𝐶 𝐼 𝑑 𝐶 −1 + (𝐶 𝐴𝐶 −1 ) + 𝐶 𝐴2 𝐶 −1 + ... + 𝐶 𝐴 𝑁 𝐶 −1
2 𝑁!
1 2 1 𝑁
= 𝐶 𝐼 𝑑 + 𝐴 + 𝐴 + ... + 𝐴 𝐶 −1 ,
2 𝑁!
e la tesi si ottiene per 𝑁 −→ +∞.
5. Dato che 𝐴𝑡 e 𝐴ℎ sono delle matrici che commutano per ogni 𝑡, ℎ ∈ ℝ, possiamo scrivere
" +∞ #
ℎ 𝑘−1 𝐴𝑡
𝑒 𝐴(𝑡+ℎ) − 𝑒 𝐴𝑡 𝑒 𝐴ℎ − 𝐼 𝐴𝑡 ∑︁
= 𝑒 = 𝐴𝑘 𝑒
ℎ ℎ 𝑘=1
𝑘!
" +∞
!#
∑︁
𝑗 ℎ𝑗
= 𝐴 𝐼+ 𝐴 𝑒 𝐴𝑡 = [ 𝐴(𝐼 + 𝑀 ℎ)] 𝑒 𝐴𝑡 → 𝐴𝑒 𝐴𝑡 per ℎ → 0,
𝑗=1
( 𝑗 + 1)!
dove
+∞
∑︁ ℎ𝑖
𝑀= 𝐴𝑖+1 .
𝑖=0
(𝑖 + 2)!
15.11. Corollario. La matrice fondamentale del sistema di equazioni lineari a coecienti costanti
0
u (𝑡) = 𝐴u(𝑡)
al tempo 𝑡0 è 𝑈 (𝑡; 𝑡0 ) = 𝑒 𝐴(𝑡−𝑡0 ) . In particolare, la soluzione del problema di Cauchy
(
u0 (𝑡) = 𝐴u(𝑡)
u(𝑡0 ) = u0 ,
f : (𝑎, 𝑏) → ℝ𝑑 ,
(15.5) u0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) + f (𝑡).
La prima considerazione importante è che l'insieme delle soluzioni di (15.5) è uno spazio ane.
15.12. Proposizione. Siano u e v due soluzioni di (15.5), allora la funzione u−v è soluzione del
(u(𝑡) − v(𝑡)) 0 = u0 (𝑡) − v 0 (𝑡) = 𝐴(𝑡)u(𝑡) + 𝑓 (𝑡) − 𝐴(𝑡)v(𝑡) − 𝑓 (𝑡) = 𝐴(𝑡) (u(𝑡) − 𝑢(𝑡))
Il precedente risultato ci dice che per risolvere (15.5) una strategia è quella di determinare una
u ∈ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 )
soluzione di (15.5) = w + v : v ∈ 𝐶 1 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) soluzione di (15.1) .
u0 (𝑡)
= 𝐴(𝑡)u(𝑡) + f (𝑡)
u(𝑡 0 ) = u0
dove 𝐴 ∈ 𝐶 0 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) e 𝑓 ∈ 𝐶 0 ((𝑎, 𝑏), ℝ𝑑 ) (con −∞ ≤ 𝑎 < 𝑏 ≤ +∞), si può rappresentare tramite
la seguente espressione
∫ 𝑡
u(𝑡) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡0 )u0 + 𝑈 (𝑡) 𝑈 −1 (𝑠)f (𝑠)𝑑𝑠
𝑡0
dove 𝑈 è una qualsiasi matrice fondamentale del sistema omogeneo associato (15.1).
Dimostrazione. Ragionando come esposto sopra, scriviamo la soluzione del sistema omogeneo con
dato iniziale u0 :
v(𝑡) = 𝑈 (𝑡)𝑈 −1 (𝑡 0 )u0 ,
e determiniamo la soluzione dell'equaziione con la forzante e dato iniziale nullo. Per fare questo
w(𝑡) = 𝑈 (𝑡)c(𝑡).
1. ESERCIZI E COMPLEMENTI 103
Allora,
★★
= 𝐴(𝑡)w(𝑡) + f (𝑡) = 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)c(𝑡) + f (𝑡),
dove in ( ) abbiamo usato l'equazione soddisfatta dalla matrice fondamentale
★ 𝑈 (𝑡) e in (
★★) abbiamo
imposto l'equazione (15.5).
Semplicando il termine 𝐴(𝑡)𝑈 (𝑡)c(𝑡) da ambo i lati dell'uguaglianza e ricordando che 𝑈 (𝑡) è una
1. Esercizi e complementi
CAPITOLO 16
In questa capitolo mostriamo come risolvere le equazioni dierenziali lineari a coecienti costanti
(16.1) 𝑢 (𝑘) (𝑡) + 𝑎 𝑘−1 𝑢 (𝑘−1) (𝑡) + ... + 𝑎 2 𝑢 00 (𝑡) + 𝑎 1 𝑢 0 (𝑡) + 𝑎 0 𝑢(𝑡) = 0 𝑡 ∈ ℝ,
con 𝑎 0 , ..., 𝑎 𝑘−1 ∈ ℝ.
È una conseguenza del Teorema 14.10, e sarà ridimostrato in modo diretto nella prossima sezione,
𝑣 10 (𝑡) = 𝑣 2 (𝑡),
𝑣 0 (𝑡) = 𝑣 3 (𝑡),
.2
..
𝑣 0𝑘−1 (𝑡) = 𝑣 𝑘 (𝑡),
𝑣 0 (𝑡) = −𝑎 𝑣 − 𝑎 𝑣
𝑘 𝑘−1 𝑘 𝑘−2 𝑘−1 − · · · − 𝑎 1 𝑣 2 − 𝑎 0 𝑣 1 ;
0 1 0 ... 0
0 0 1 0
© ª
... ®
v 0 (𝑡) = 𝐴v(𝑡), 𝐴 = ... .. .. ..
®
®.
. . ... . ®
0 0 0 1
®
... ®
« −𝑎 0 −𝑎 1 −𝑎 2 ... −𝑎 𝑘−1 ¬
In particolare, le soluzioni sono tutte le funzioni 𝑢(𝑡) = 𝑒 𝐴𝑡 𝑢 0 con 𝑢 0 = 𝑢(0) ∈ ℝ è il dato iniziale.
Prima però di risolvere esplicitamente il sistema lineare sopra scritto, mostriamo un modo alternativo
volte, le funzioni derivate si esprimo anch'esse in serie di potenze con lo stesso raggio di convergenza
105
106 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI
Imponendo che 𝑢 risolve (16.2), e cambiando l'indice di sommatoria da 𝑘 a 𝑙+1 e 𝑙+2 nei due casi,
si ottiene quindi
Dato che una serie di potenze è nulla se e solo se tutti i coecienti sono nulli (v. Esercizio 10.16),
−𝑎 1 (𝑙 + 1)𝑐 𝑙+1 − 𝑎 0 𝑐 𝑙
(16.3) 𝑐 𝑙+2 = 𝑙 ∈ ℕ.
(𝑙 + 2) (𝑙 + 1)
Esplicitiamo le prime equazioni
−𝑎 1 𝑐 1 − 𝑎 0 𝑐 0 −2𝑎 1 𝑐 2 − 𝑎 0 𝑐 1 −3𝑎 1 𝑐 3 − 𝑎 0 𝑐 2
𝑐2 = , 𝑐3 = , 𝑐4 = , ...
2 6 12
È chiaro quindi che per ogni scelta di coecienti 𝑐0 e 𝑐 1 , che altro non sono che i valori della funzione
𝑢 e della sua derivata in 𝑡0 ,
𝑢(𝑡0 ) = 𝑐 0 , 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑐 1 ,
𝐸 = |𝑐 1 | + |𝑐 0 | , si ha che
2𝑘 𝐴 𝑘
(16.4) |𝑐 𝑘 | ≤ 𝐸 ∀ 𝑘 ∈ ℕ.
𝑘!
La verica è facile per induzione: la stima è chiaramenta valida per 𝑘 = 0, 1 e, induttivamente,
𝑎 1 (𝑘 − 1)𝑐 𝑘−1 + 𝑎 0 𝑐 𝑘−2 |𝑎 1 ||𝑐 𝑘−1 | |𝑎 0 ||𝑐 𝑘−2 |
|𝑐 𝑘 | = ≤ +
𝑘 (𝑘 − 1) 𝑘 𝑘 (𝑘 − 1)
𝐴 2 𝑘−1 𝐴 𝑘−1 𝐴 2 𝑘−2 𝐴 𝑘−2 2𝑘 𝐴 𝑘
≤ 𝐸+ 𝐸< 𝐸.
𝑘 (𝑘 − 1)! 𝑘 (𝑘 − 1) (𝑘 − 2)! 𝑘!
Da (16.4) si deduce che il raggio di convergenza della serie di potenze che denisce 𝑢 è +∞, perché
1𝑘
1 2𝑘 𝐴 𝑘
lim sup |𝑐 𝑘 | 𝑘 ≤ lim sup 𝐸 = 0.
𝑘→+∞ 𝑘→+∞ 𝑘!
Abbiamo quindi dimostrato quanto segue.
16.2. Teorema. Esiste un'unica soluzione dell'equazione dierenziale ordinaria omogenea del secon-
𝑢(𝑡0 ) = 𝑐 0 , 𝑢 0 (𝑡0 ) = 𝑐 1 ,
per ogni scelta di costanti 𝑐0 , 𝑐1 e 𝑡 0 ∈ ℝ. Inoltre, l'equazione è esplicitamente data dal sistema di
In modo del tutto analogo si dimostra l'esistenza e l'unicità per equazioni di ordine 𝑘 (e si osservi che
gli argomenti esposti sopra danno anche un algoritmo per il calcolo della soluzione in serie di potenze).
SOLUZIONI SCRITTE IN FORMA ESPONENZIALE 107
16.3. Teorema [Equazioni di ordine 𝑘 ]. Esiste un'unica soluzione dell'equazione dierenziale or-
dinaria omogenea del secondo ordine a coecienti costanti (16.1) denita su tutto ℝ con dati
iniziali
matrici. Come sopra, per semplicità analizziamo in dettaglio il caso di equazioni del secondo ordine:
𝐶 ∈ ℝ2×2 di cambio di variabili tale che 𝐴 = 𝐶 𝐵𝐶 −1 e una delle tre possibilità seguenti vale:
𝜆1 0
i. 𝜆1 , 𝜆2 ∈ ℝ e 𝐵= ,
0 𝜆2
𝜆1 1
ii. 𝜆1 = 𝜆2 ∈ ℝ e 𝐵 = ,
0 𝜆1
𝛼 −𝛽
iii. 𝜆1 = 𝜆¯2 = 𝛼 + 𝑖𝛽 ∈ ℂ e 𝐵 = .
𝛽 𝛼
Notiamo innanzitutto che nel caso (i) gli autovalori 𝜆1 e𝜆2 sono distinti, cioè la matrice 𝐵 non è mai
un multiplo dell'identità, perché se fosse 𝐵 = 𝜆𝐼 allora 𝐴 = 𝐶 𝐵𝐶 −1 = 𝐶 (𝜆𝐼)𝐶 −1 = 𝜆𝐼 , contro il fatto
che 𝐴 non è un multiplo dell'unità.
−1
Considerando che 𝑒 𝑠 𝐴 = 𝑒 𝑠𝐶 𝐵𝐶 = 𝐶𝑒 𝑠𝐵 𝐶 −1 , vediamo che basta conoscere solo 𝑒 𝑠𝐵 , che calcoliamo
𝜆1 0 𝑒 𝜆1 𝑠 0
16.4. Lemma. i. Se 𝐵= , allora 𝑒 𝑠𝐵 = ,
0 𝜆2 0 𝑒 𝜆2 𝑠
𝜆 1 𝐵𝑠 = 𝑒 𝜆𝑠 1 𝑠
ii. Se 𝐵= , allora 𝑒 ,
0 𝜆 0 1
𝛼 −𝛽 𝑠𝐵 = 𝑒 𝛼𝑡 cos(𝛽𝑠) − sin(𝛽𝑠)
iii. 𝐵= , allora 𝑒 .
𝛽 𝛼 sin(𝛽𝑠) cos(𝛽𝑠)
Dimostrazione. i. Ricordiamo che per calcolare l'esponenziale bisogna calcolare il limite delle seguenti
somme parziali:
𝑁
∑︁ 1 𝑘
𝐷 𝑁 := 𝐷 𝑁 ∈ ℕ.
𝑘=0
𝑘!
108 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI
𝜆21 𝑠2
𝜆1 𝑠 0 0
𝐷= 𝐷2 = 𝐷 · 𝐷 =
0 𝜆2 𝑠 0 𝜆22 𝑠2
e in generale
𝜆 1𝑘 𝑠 𝑘 0
𝐷 𝑘 = 𝐷 · 𝐷 𝑘−1 =
0 𝜆2𝑘 𝑠 𝑘
perché la matrice è diagonale. Quindi, deduciamo che
1 1 𝑁
𝐷 𝑁 = 𝐼 + 𝐷 + 𝐷 2 + ... + 𝐷
2 𝑁!
𝜆2 𝑠2 𝜆𝑁 𝑠𝑁
© 1 + 𝜆1 𝑠 + 1 + ... + 1 0 ª
=
2 𝑁! ®
2 2
𝜆𝑁 𝑠𝑁
®
𝜆 𝑠
1 + 𝜆2 𝑠 + 2 + ... 2
®
0
« 2 𝑁! ¬
e passando al limite per 𝑁 −→ +∞, la tesi segue
𝜆 𝑠
𝑠𝐵 𝑒 1 0
𝑒 = .
0 𝑒 𝜆2 𝑠
ii. Nel secondo caso iniziamo osservando che
𝜆 1 𝜆 0 0 1
𝐵= = + = 𝐷 +𝑇
0 𝜆 0 𝜆 0 0
ed è immediato vericare che 𝐷 e 𝑇 commutano, 𝐷𝑇 = 𝑇 𝐷 , perché 𝐷 è un multiplo dell'identità.
Allora dalle proprietà della matrice esponenziale abbiamo che 𝑒 𝑠𝐵 = 𝑒 𝑠𝐷 𝑒 𝑠𝑇 . L'esponenziale di una
matrice diagole è stato calcolato nel punto precedente:
𝑠𝐷 𝑒 𝜆𝑠 0
𝑒 = .
0 𝑒 𝜆𝑠
Per quanto riguarda l'esponenziale di 𝑇, notiamo che
2 0 1 0 1 0 0
𝑇 =𝑇 ·𝑇 = = = 𝑂 2 =⇒ 𝑇 𝑘 = 𝑂 2 ∀ 𝑘 ≥ 2.
0 0 0 0 0 0
Quindi
(𝑠𝑇) 2
𝑠𝑇 1 𝑠
𝑒 = 𝐼 + 𝑠𝑇 + + · · · = 𝐼 + 𝑠𝑇 = .
2! 0 1
Unendo le due espressioni otteniamo che
𝐵𝑡 𝐷𝑡 𝑆𝑡 𝑒 𝜆𝑡 0 1 𝑡 𝜆𝑡 1 𝑡 𝑒 𝜆𝑡 𝑡𝑒 𝜆𝑡
𝑒 =𝑒 𝑒 = =𝑒 = .
0 𝑒 𝜆𝑡 0 1 0 1 0 𝑒 𝜆𝑡
iii. Ragionando come nel caso precedente, osserviamo che
𝑎 −𝑏 𝑎 0 0 −𝑏
𝐵= = + = 𝑎𝐼 + 𝑏𝐽
𝑏 𝑎 0 𝑎 𝑏 0
e, come è facile vericare, le matrici commutano. Possiamo quindi dedurre che
cioè le matrici si ripetono con periodo 4: 𝐽 4 𝑘+𝑙 = 𝐽 𝑙 per ogni 𝑘 ∈ℕ e 𝑙 = 0, 1, 2, 3. Possiamo quindi
scrivere che
∞ ∞
𝑠2 𝑏 2 2 𝑠3 𝑏 3 3 𝑠4 𝑏 4 4 ∑︁ 𝑠2 𝑘 𝑏 2 𝑘 ∑︁ 𝑠2 𝑘+1 𝑏 2 𝑘+1
𝑒 𝑠𝐽 = 𝐼 + 𝑠𝑏𝐽 + 𝐽 + 𝐽 + 𝐽 + ... = 𝐽 2𝑘 + 𝐽 2 𝑘+1
2 3! 4! 𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
∞ ∞
∑︁ 𝑠2 𝑘 𝑏 2 𝑘 ∑︁ 𝑠2 𝑘+1 𝑏 2 𝑘+1
= (−1) 𝑘 𝐼+ (−1) 𝑘−1 𝐽
𝑘=0
(2𝑘)! 𝑘=0
(2𝑘 + 1)!
1 − 𝑏 2 𝑠2 /2! + 𝑏 4 𝑠4 /4! + ... −𝑏𝑠 + 𝑏 3 𝑠3 /3! + ...
=
𝑏𝑠 − 𝑏 3 𝑠3 /3! + ... 1 − 𝑏 2 𝑠2 /2! + 𝑏 4 𝑠4 /4! + ...
cos(𝑏𝑠) − sin(𝑏𝑠)
= .
sin(𝑏𝑠) cos(𝑏𝑠)
Mettendo tutto assieme otteniamo la tesi
𝑠𝐵 𝑎𝑠 cos(𝑏𝑠) − sin(𝑏𝑠)
𝑒 =𝑒 .
sin(𝑏𝑠) cos(𝑏𝑠)
16.5. Tornando alle soluzioni dell'equazione dierenziale del secondo ordine, la soluzione si scrive
ha che 𝐴= 𝐶 𝐵𝐶 −1 e
𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
0 𝑎 𝑏
𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐵 = , 𝐶= ,
0 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑐 𝑑
allora
𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
1 𝑎 𝑏 0 𝑑 −𝑏
𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐴 = 𝐶𝑒 (𝑡−𝑡0 ) 𝐵 𝐶 −1 =
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐 𝑑 0 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 −𝑐 𝑎
𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 )
1
= .
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1
Quindi
𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 )
𝑢(𝑡) 1 𝑢(𝑡0 )
=
𝑢 0 (𝑡) 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 𝑢 0 (𝑡0 )
e conseguentemente
(𝑎𝑑𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑏𝑐𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ) 𝑎𝑏(𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 − 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 ) 0
𝑢(𝑡) = 𝑢(𝑡0 ) + 𝑢 (𝑡 0 )
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
𝑎(𝑑𝑢(𝑡 0 ) − 𝑏𝑢 0 (𝑡0 )) (𝑡−𝑡0 )𝜆1 𝑏(𝑎𝑢 0 (𝑡0 ) − 𝑐𝑢(𝑡0 )) (𝑡−𝑡0 )𝜆2
= 𝑒 + 𝑒
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
= 𝐴𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 + 𝐵𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 ,
per opportune costanti 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ. In altre parole, la soluzione generale di un'equazione del secondo
ordine nel caso di autovalori 𝜆1 e 𝜆2 reali e distinti è data da una combinazione lineare (determinata
dai valori iniziali 𝑢(𝑡0 ), 𝑢 0 (𝑡 0 ) ) degli esponenziali 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆1 e 𝑒 (𝑡−𝑡0 )𝜆2 .
Del modo tutto analogo si deduce il seguente risultato.
110 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI
16.6. Proposition. Le soluzioni di un'equazione lineare omogenea di grado due a coecienti costanti
(16.2) sono determinate dalle seguenti alternative: siano 𝜆1 , 𝜆2 le radici del polinomio caratteristico
0 1
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼), 𝐴= ,
−𝑎 0 −𝑎 1
e
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 𝜆1 𝑡 + 𝐵𝑒 𝜆2 𝑡 , 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ,
𝜆1 𝑡 𝜆1 𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 + 𝐵𝑡𝑒 , 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ,
𝛼𝑡 𝛼𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 cos(𝛽𝑡) + 𝐵𝑒 sin(𝛽𝑡), 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ.
0 1 0 ··· 0
0 0 1 ··· 0
© ª
®
𝐴 = ... .. .. ..
.. ®
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼), . . . .
®
®
0 0 0 ··· 1
®
®
« −𝑎 0 −𝑎 1 −𝑎 2 ... −𝑎 𝑘−1 ¬
e dividiamo gli autovalori come segue:
• 𝜆 ℎ ∈ ℝ con molteplicità 𝑚 ℎ ∈ ℕ;
• 𝜇𝑙 = 𝜇¯𝑙 = 𝛼𝑙 + 𝑖𝛽𝑙 ∈ ℂ con molteplicità 𝑚 𝑙 ∈ ℕ,
Í Í
con ℎ 𝑚 ℎ + 2 𝑙 𝑚 𝑙 = 𝑘 . Allora la soluzione generale dell'equazione (16.1) è combinazione lineare
delle 𝑘 funzioni:
𝑒 𝜆𝑖 𝑡 , 𝑡𝑒 𝜆𝑖 𝑡 , ..., 𝑡 𝑚𝑖 −1 𝑒 𝜆𝑖 𝑡 ,
𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡), 𝑡𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡), ..., 𝑡 𝑚𝑙 −1 𝑒 𝛼𝑙 cos(𝛽𝑙 𝑡),
𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡), 𝑡𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡), ..., 𝑡 𝑚𝑙 −1 𝑒 𝛼𝑙 sin(𝛽𝑙 𝑡).
funzione esponenziale (eventualmente di variabile complessa). Come sopra illustriamo i concetti per
2 𝜆𝑡
= 𝜆2 + 𝑎 1 𝜆 + 𝑎 0 𝑒 𝜆𝑡 = 0,
𝜆𝑡 𝜆𝑡
𝜆 𝑒 + 𝑎 1 𝜆𝑒 + 𝑎0 𝑒
ossia se e solo se 𝜆 è una radice del polinomio 𝑝(𝑥) = 𝑥 2 + 𝑎 1 𝑥 + 𝑎 0 associato all'equazione.
Se il polinomio 𝑝 ha due radici 𝜆1 , 𝜆2 distinte, allora 𝑢 1 (𝑡) = 𝑒 𝜆1 𝑡 e 𝑢 2 (𝑡) = 𝑒 𝜆2 𝑡 sono due soluzioni
(perché la funzione esponenziale, di esponenti 𝜆1 − 𝜆2 ≠ 0, non è costante!). Nel caso quindi di radici
𝑢(𝑡) = 𝑐 1 𝑒 𝜆1 𝑡 + 𝑐 2 𝑒 𝜆2 𝑡 .
In particolare, se le radici sono complesse, allora 𝜆1 e 𝜆2 sono coniugate complesse:
𝜆1 = 𝛼 + 𝑖𝛽, 𝜆2 = 𝛼 − 𝑖𝛽,
e dalla formula di Eulero
𝑐 1 𝑒 𝜆𝑡 + 𝑐 2 𝑡𝑒 𝜆𝑡 = 0 ∀𝑡 se e solo se (𝑐 1 + 𝑐 2 𝑡)𝑒 𝜆𝑡 = 0 ∀𝑡
se e solo se 𝑐1 + 𝑐2𝑡 = 0 ∀𝑡
se e solo se 𝑐 1 = 𝑐 2 = 0.
L'integrale generale è quindi dato da 𝑢(𝑡) = 𝑐 1 𝑒 𝜆𝑡 + 𝑐 2 𝑡𝑒 𝜆𝑡 = (𝑐 1 + 𝑐 2 𝑡) 𝑒 𝜆𝑡 , così ridimostrando la
Proposizione ??.
1. Alcuni esempi
Esempio 16.1.
𝑢 00 (𝑡) − 9𝑢(𝑡) = 0
0 1
𝐴=
𝑢(0) = 1 𝑢 0 (0) = 0 9 0
polinomio caratteristico per il calcolo degli autovalori
𝑝(𝜆) = 𝜆2 − 9 = 0 𝜆1,2 = ±3
quindi le soluzioni dell'equazione omogenea sono
𝑢 0 (𝑡) = 𝑎𝑒 3𝑡 + 𝑏𝑒 −3𝑡 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ
Osservazione 1.1. Consideriamo la generica equazione dierenziale lineare, omogenea, del secondo
𝑢(0) = 𝑢 0 (0) = 1
Ponendo 𝑢 0 (𝑡) = 𝑤(𝑡) otteniamo il sistema in forma vettoriale
0
𝑢 0 1 𝑢 𝑢
= =𝐴
𝑤 −2 −3 𝑤 𝑤
troviamo gli autovalori ricorrendo al polinomio caratteristico
−𝜆 1
𝑝(𝜆) = det ( 𝐴 − 𝜆𝐼) = = 𝜆2 + 3𝜆 + 2 = 0
−2 −3 − 𝜆
da cui segue che 𝜆1,2 = −1, −2. Quindi
𝑒 −𝑡
0
𝑒 𝐴𝑡
=𝐶 𝐶 −1
0 𝑒 −2 𝑡
𝑒 −𝑡
𝐴𝑡 1 𝑎 𝑏 0 𝑑 −𝑏
𝑒 =
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐 𝑑 0 𝑒 −2 𝑡 −𝑐 𝑎
𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
1
=
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 −𝑡 − 𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑑𝑒 −2𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −𝑡
quindi
𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
𝑢(𝑡) 1 𝑢(0)
=
𝑤(𝑡) 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑐𝑑 (𝑒 −𝑡 − 𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑑𝑒 −2𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −𝑡 𝑤(0)
e conseguentemente
(𝑎𝑑𝑒 −𝑡 − 𝑏𝑐𝑒 −2𝑡 ) 𝑎𝑏(𝑒 −2𝑡 − 𝑒 −𝑡 )
𝑢(𝑡) = 𝑢(0) + 𝑤(0)
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
0 0
𝑎(𝑑𝑢(0) − 𝑏𝑢 (0)) −𝑡 𝑏(𝑎𝑢 (0) − 𝑐𝑢(0)) −2𝑡
= 𝑒 + 𝑒
𝑎𝑑 − 𝑏𝑐 𝑎𝑑 − 𝑏𝑐
= 𝐴𝑒 −𝑡 + 𝐵𝑒 −2𝑡 = 𝑒 −𝑡
1. ALCUNI ESEMPI 113
𝑢(0) = 1 𝑢 0 (0) = 0
1. studio dell'equazione omogenea
𝑢 00 (𝑡) + 𝑢(𝑡) = 0 𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 1 = 0 da cui 𝜆1,2 = ±𝑖
2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴 cos(𝑡) − 𝐵 sin(𝑡) − 𝑒 2𝑡
5
1 2
𝑢(0) = 𝐵 − =1 𝑢(0) = 𝐴 − =0
5 5
quindi la soluzione è
2 6 1
𝑢(𝑡) = sin(𝑡) + cos(𝑡) − 𝑒 2𝑡
5 5 5
𝑢(0) = 0 𝑢 0 (0) = 1
1. studio del polinomio caratteristico associato all'equazione omogenea
𝑝(𝜆) = 𝜆2 − 2𝜆 = 0 da cui 𝜆1,2 = 0, 2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴𝑒 0𝑡 + 𝐵𝑒 2𝑡 = 𝐴 + 𝐵𝑒 2𝑡 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2. soluzione dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝜋𝑡) + 𝑏 sin(𝜋𝑡) 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎𝜋 sin(𝜋𝑡) + 𝑏𝜋 cos(𝜋𝑡)
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝜋 2 [𝑎 cos(𝜋𝑡) + 𝑏 sin(𝜋𝑡)]
e sostituendo nell'equazione completa si trova
−𝑎𝜋 2 cos(𝜋𝑡) − 𝑏𝜋 2 sin(𝜋𝑡) + 2𝑎𝜋 sin(𝜋𝑡) − 2𝑏𝜋 cos(𝜋𝑡) = cos(𝜋𝑡)
portando avanti i calcoli otteniamo che
1 2
𝑢 𝑝 (𝑡) = − cos(𝜋𝑡) − sin(𝜋𝑡)
𝜋2 + 4 𝜋(𝜋 2 + 4)
quindi tutte le soluzioni dell'equazione dierenziale sono
1 2
𝑢(𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 2𝑡 − cos(𝜋𝑡) − sin(𝜋𝑡) 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
𝜋2 +4 2
𝜋(𝜋 + 4)
114 16. EQUAZIONI LINEARI A COEFFICIENTI COSTANTI
3. i dati iniziali permettono di ottenere un'unica soluzione identicando 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ dal sistema risultante
1
𝐴=−
1
𝑢(0) = 𝐴 + 𝐵 − 2 =0
2
𝜋 +4 da cui
2
𝑢 0 (0) = 2𝐵 −
=1
𝜋2 + 6
𝜋2 + 4 𝐵=
2(𝜋 2 + 4)
𝑢(0) = 0 𝑢 0 (0) = 0
1. studio del polinomio caratteristico associato all'equazione omogenea
𝑝(𝜆) = 𝜆2 + 𝜆 = 0 da cui 𝜆1,2 = 0, −1
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 −𝑡 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2. soluzione (sbagliata!) dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝑡) + 𝑏 sin(𝑡) + 𝑐 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡)
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡)
e sostituendo nell'equazione completa si ricava
−𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡) − 𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) = 1 + sin(𝑡)
che produce un sistema impossibile!
2. riproviamo: soluzione dell'equazione completa
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎 cos(𝑡) + 𝑏 sin(𝑡) + 𝑐𝑡 𝑢 0𝑝 (𝑡) = −𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) + 𝑐
𝑢 00𝑝 (𝑡) = −𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡)
e sostituendo nell'equazione completa si ricava
−𝑎 cos(𝑡) − 𝑏 sin(𝑡) − 𝑎 sin(𝑡) + 𝑏 cos(𝑡) + 𝑐 = 1 + sin(𝑡)
che fornisce la soluzione
1 1
𝑎= 𝑏=− 𝑐=1
2 2
3. portando avanti i calcoli no abbiamo che
1 1
𝑢(𝑡) = 𝐴 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 𝑡 + cos(𝑡) − sin(𝑡) 𝐴, 𝐵 ∈ ℝ
2 2
e ricaviamo la soluzione del problema di Cauchy
1 1 1
𝑢(𝑡) = −1 + 𝑒 −𝑡 + 𝑡 + cos(𝑡) − sin(𝑡)
2 2 2
2. come ottenere una soluzione dell'equazione completa? proviamo nel seguente modo
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 00𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 2𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 00 (𝑡)𝑒 𝑡
𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 2𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 00 (𝑡)𝑒 −𝑡
ma si giunge a due equazioni del secondo ordine complicando inutilmente il problema...
2. riproviamo
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
a questo punto imponiamo che 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒−𝑡 = 0, in modo da ottenere
𝑢 0𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡
𝑢 00𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡
e sostituendo nell'equazione completa abbiamo
𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 − 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)
𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)
e troviamo il seguente sistema di due equazioni del primo ordine
𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 − 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑓 (𝑡)
𝑎 0 (𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏 0 (𝑡)𝑒 −𝑡 = 0
1 1
𝑎(𝑡) = 𝑡 𝑏(𝑡) = − 𝑒 2𝑡 da cui
2 4
1 𝑡 1 𝑡
𝑢 𝑝 (𝑡) = 𝑎(𝑡)𝑒 𝑡 + 𝑏(𝑡)𝑒 −𝑡 = 𝑡𝑒 − 𝑒
2 4
E concludiamo ricavando
1 1 ˜ 𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 1 𝑡𝑒 𝑡 = − 1 𝑒 𝑡 + 1 𝑒 −𝑡 + 1 𝑡𝑒 𝑡
𝑢(𝑡) = 𝐴𝑒 𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑡 + 𝑡𝑒 𝑡 − 𝑒 𝑡 = 𝐴𝑒
2 4 2 4 4 2
2. esercizi
𝑦(0) = ℎ 𝑦 0 (0) = 0
con 𝑚 , 𝑔 e ℎ numeri reali positivi,
i. si determinino le soluzioni 𝑦 𝑎 (con 𝑎 > 0) e 𝑦 0 (per 𝑎 = 0),
ii. si provi che lim + 𝑦 𝑎 (𝑥) = 𝑦 0 (𝑥) , quale tipo di convergenza si può ottenere?
𝑎−→0
« 0 0 𝜆3 ¬
i. si spieghi perché le soluzioni sono globali,
ii. si scriva la matrice fondamentale speciale del sistema per 𝑡0 = 0,
iii. si scrivano le soluzioni relative ai dati iniziali 𝑒 𝑘 , con 𝑘 = 1, 2, 3, e si verichi che sono linearmente
indipendenti per ogni 𝑡 ∈ ℝ.
Esercizio 16.6. Determinare la soluzione 𝑤(𝑡) del problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑡) = |𝑡|𝑤(𝑡)
𝑤(0) = 1
i. esaminare se si tratta di funzione 𝑤 monotona,
ii. esaminare se la soluzione sia o meno di classe 𝐶 2 (ℝ) ,
iii. scrivere l'equazione integrale equivalente al problema di Cauchy assegnato.
Esercizio 16.7. Trovare una formula risolutiva per l'equazione
1
𝑦 00 (𝑥) + 𝑦(𝑥) =
2 + sin(𝑥)
Esercizio 16.8. Un semplice modello della caduta rettilinea di un grave puntiforme immobile (cioè con
velocità nulla) di massa 𝑚 da un altezza 𝐻 > 0 in un uido, sotto l'eetto della forza peso 𝐺 = 𝑚𝑔 e
dell'attrito viscoso, che supponiamo descritto da 𝐴 = 𝑎𝑣 , con 𝑎 > 0, consiste nella seguente equazione
dierenziale lineare
𝑚𝑥 00 (𝑡) = −𝑚𝑔 − 𝑎(𝑡)𝑥 0 (𝑡)
dove abbiamo tradotto in equazione la legge di Newton (a destra abbiamo la somma totale delle forze
agenti sulla massa) e abbiamo posto un ipotetico asse di riferimento in posizione verticale orientato
2. ESERCIZI 117
verso l'alto con origine al livello del suolo. Supponiamo che il coeciente d'attrito vari con il tempo
nel seguente modo
𝜅1 per 𝑡 ∈ [0, 𝑇]
𝑎(𝑡) =
𝜅2 per 𝑡 ∈ (𝑇, +∞)
perché il grave ha la possibilità di aumentare (o ridurre) l'attrito viscoso (per esempio tramite un
paracadute). Si determini la soluzione del problema di Cauchy relativo all'equazione dierenziale con
le condizioni iniziali
𝑥(0) = 𝐻 𝑥 0 (0) = 0
« 𝑧(𝑡) ¬ « 0 1 0 ¬ « 𝑧(𝑡) ¬
i. si spieghi perché il problema di Cauchy possiede un'unica soluzione per qualunque dato iniziale,
ii. si dimostri che le traiettorie sono limitate su [0, +∞) ,
iii. si provi che le traiettorie, per 𝑡 −→ +∞, tendono al piano {𝑥 = 0}.
Esercizio 16.17. Determinare il comportamento asintotico dei seguenti problemi di Cauchy
𝑥 0 (𝑡)
= 𝐴𝑥(𝑡) 1 1 0 1 −1 1
con 𝐴1 = 𝐴2 = 𝐴3 =
𝑥(0) = (1, 0) 0 2 −3 −2 0 2
possibilmente senza risolvere il sistema...
Esercizio 16.18. Dato il seguente sistema di equazioni dierenziali
−1 2
𝑢 0 (𝑡) = 𝐴𝑢(𝑡) dove 𝐴 =
−1 −4
i. si spieghi perché le sue soluzioni sono globali,
ii. si determini una matrice fondamentale speciale,
iii. si calcoli la soluzione del problema di Cauchy con dato iniziale 𝑢(0) = (1, 1) .
Esercizio 16.19. Assegnato il seguente problema di Cauchy
𝑤 00 (𝑠)
− 𝑘 2 𝑤(𝑠) = 𝑓 (𝑠)
con 𝑘 > 0
𝑤(0) = 𝑤 0 𝑤 0 (0) = 𝑤 1
si ottenga una formula risolutiva generale.
Esercizio 16.20. Assegnato il seguente problema di Cauchy
𝑤 00 (𝑠)
+ 𝑘 2 𝑤(𝑠) = 𝑓 (𝑠)
con 𝑘 > 0
𝑤(0) = 𝑤 0 𝑤 0 (0) = 𝑤 1
si ottenga una formula risolutiva generale.
Esercizio 16.21. Si consideri il moto di un grave lanciato dalla supercie terrestre, tenendo in conto
la forza peso (vettore costante rivolto verso il basso) e l'attrito (forza in verso opposta alla velocità
e direttamente propozionale al suo modulo). Si descriva la traiettoria nel piano 𝑥𝑂𝑦 ortogonale alla
supercie del suolo individuato dalla velocità iniziale del grave.
Esercizio 16.22. Per 𝑘 ≠ 0 sia 𝑤 𝑘 la soluzione del seguente problema di Cauchy
𝑤 0 (𝑥)
+ 𝑘 2 𝑥𝑤(𝑥) = 0
𝑤(0) = 𝑘
i. Si scriva l'espressione della soluzione 𝑤 𝑘 (𝑥) ,
ii. usando una sostituzione si provi che per ogni 𝑘 ≠ 0 vale
∫+∞ ∫+∞
𝑤 𝑘 (𝑥)𝑑𝑥 = 𝑤 1 (𝑦)𝑑𝑦
−∞ −∞
Per concludere...
Per concludere questa passeggiata nelle praterie dell'analisi matematica
L'epidemiologia è una branca della ricerca biomedica che analizza la frequenza, la distribuzione e l'e-
voluzione delle malattie all'interno delle popolazioni. In questo ambito, i modelli matematici vengono
utilizzati per prevedere la progressione delle malattie infettive nell'ottica di contribuire alla deter-
minazione di interventi di sanità pubblica. I modelli più elementari cercano di individuare indicatori
ta (latenza, durata, infettività), che possano essere utilizzati per denire alcuni protocolli di intervento,
L'uso di modelli deterministici è ragionevole nel caso di grandi popolazioni distribuite in spazi relativa-
mente piccoli ed omogenei. In questo tipo di descrizione, gli individui sono assegnati a vari sottogruppi,
detti compartimenti, che descrivono uno dei possibili stati individuali, in relazione al fenomeno che si
desidera studiare. In genere un compartimento rappresenta una fase specica rispetto al decorso della
malattia. Il modello è determinato dal meccanismo di transizione da una classe all'altra che interviene
Una distinzione importante, che si ripercuote in maniera diretta nella struttura del modello mate-
matico, è quella tra epidemia ed endemia. La prima è una malattia infettiva localizzata nel tempo:
l'espansione del morbo è sucientemente rapida da rendere trascurabili le nascite e le morti degli
individui della popolazione. L'endemia, al contrario, è una malattia la cui evoluzione ha tempi lunghi,
quindi un suo modello necessita l'aggiunta di termini appropriati che descrivano le nascite e le morti
all'interno della popolazione. Per i modelli che verranno discussi, è possibile individuare un numero
critico (indicato nel seguito con 𝜎) che separa il regime di estinzione e di permanenza endemica della
malattia. Risultati di questo genere vengono genericamente chiamati teoremi di soglia critica.
Il modello più semplice (ma, al contempo, già sucientemente signicativo) che discuteremo è com-
posto da tre compartimenti. Gli invididui suscettibili 𝑆 , cioè i soggetti che possono essere infettati,
contagiati e ammalarsi, gli infetti 𝐼 , cioè gli individui che hanno contratto la malattia e, indipendente-
mente dai sintomi, possono contagiare e diondere l'agente patogeno e, inne, coloro che sono usciti
dalla classe 𝐼, e che possiamo supporre immunizzati. Quest'ultimo compartimnto viene indicato con
la lettera 𝑅, dall'inglese removed. Gli individui escono dalla classe 𝑆 ed entrano nello stato 𝐼, tale
variazione si descrive come proporzionale al prodotto tra gli individui delle due classi (normalizzato per
la popolazione totale 𝑁 ), in formule si scrive 𝛽𝑆𝐼/𝑁 . Invece gli individui che escono dal compartimento
degli infetti, e vanno ad accrescere il compartimento dei rimossi 𝑅, sono una frazione del numero
degli infetti. In genere il passaggio dalla classe 𝐼 alla classe 𝑅 viene modellizzato nello stesso modo in
cui viene descritto supponendo che il tempo medio di permanenza nel compartimento 𝐼 sia 1/𝛾 e, di
𝑆 −→ 𝐼 −→ 𝑅
e il modello che otterremo viene indicato con la sigla SIR.
Il modello SIR epidemico. Prendiamo in esame prima il delle epidemie, cioè il caso in cui si ipotiz-
za che la diusione della malattia si temporalmente rapida, il che permette (in prima approssimazione)
Introducendo le funzioni 𝑠(𝑡) = 𝑆/𝑁 , 𝑖(𝑡) = 𝐼/𝑁 ed 𝑟 (𝑡) = 𝑅/𝑁 , che descrivono le percentuali di
individui in ciascuno dei compartimenti al variare del tempo, il modello che si ottiene è il seguente
0
𝑠 (𝑡) = −𝛽𝑠(𝑡)𝑖(𝑡)
0
𝑖 (𝑡) = 𝛽𝑠(𝑡)𝑖(𝑡) − 𝛾𝑖(𝑡)
(16.1)
𝑟 0 (𝑡) = 𝛾𝑖(𝑡)
Il fatto che la popolazione totale si conservi è codicato nella relazione 𝑠(𝑡) + 𝑖(𝑡) + 𝑟 (𝑡) = 1, che è
Dimostriamo prima di tutto che se alle equazioni (16.1) associamo le condizioni iniziali
con 𝑠0 + 𝑖0 + 𝑟 0 = 1, la corrispondente soluzione rimane positiva per ogni tempo. In altre parole,
nascono in questa regione dello spazio non ne escono. È immediato vedere che se 0 𝑖 = 0, la soluzione
del relativo problema di Cauchy è costante per ogni 𝑡 ≥ 0. Analogamente, se 𝑠0 = 0, allora 𝑠 ≡ 0 per
ogni 𝑡 e, di conseguenza, 𝑖(𝑡) = 𝑖0 𝑒 −𝛾𝑡 ≥ 0 e 𝑟 (𝑡) = 1 − 𝑖(𝑡) = 1 − 𝑖 0 𝑒 −𝛾𝑡 ≥ 0.
Supponiamo 𝑠0 , 𝑖0 > 0. Le stesse considerazioni fatte precedentemente, mostrano che non può esistere
𝑡 1 > 0 tale che 𝑠(𝑡 1 ) o 𝑖(𝑡 1 ) = 0. Quindi 𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡) > 0 per ogni 𝑡 > 0 e ne segue che anche 𝑟 (𝑡) > 0 per
ogni 𝑡 > 0. Una volta noto che dati iniziali positivi generano soluzioni positive è immediato vericare
6
𝑖
@
?@
@
@ 0 ≤ 𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡), 𝑟 (𝑡) ≤ 𝑠(𝑡) + 𝑖(𝑡) + 𝑟 (𝑡) = 1
@ per ogni 𝑡≥0
? @
@
@
@
@
?
@ 𝑠
@ -
Il triangolo nella gura è positivamente invariante: il usso generato dal sistema dierenziale spinge
le traiettorie con dato iniziale nel triangolo verso l'interno quindi le soluzioni esistono globalmente nel
futuro.
Pertanto il problema di Cauchy per il sistema SIR ammette un'unica soluzione globale. Per studiare le
proprietà qualitative delle soluzioni, osserviamo che le prime due equazioni di (16.1) sono disaccoppiate
dalla terza e quindi possono essere considerate separatamente. Se supponiamo, per semplicità, 𝑟 0 = 0,
i valori iniziali 𝑠0 e 0 sono tali che
𝑖 𝑠0 + 𝑖 0 = 1. Dalle equazioni per 𝑠 ed 𝑖 si deduce che
−1
𝑑𝑖 𝑑𝑡 𝑑𝑖 𝑑𝑠 1
(16.3) 𝑖 0 (𝑠) = = = −1 +
𝑑𝑡 𝑑𝑠 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝜎𝑠
Integrando, si ottiene
1 𝑠0
𝑖 = 𝐹 (𝑠) = 1 − 𝑠 − ln
𝜎 𝑠
La soluzione (𝑠(𝑡), 𝑖(𝑡)) percorre quindi il graco della funzione 𝐹 nel piano (𝑠, 𝑖) da sinistra verso
destra, visto che 𝑠 0 (𝑡) ≤ 0. Dall'espressione (16.3) si deduce che, se 𝜎 ≤ 1, la funzione 𝐹 è crescente
per 𝑠 ∈ [0, 1] e, di conseguenza, entrambe le funzioni 𝑠 e 𝑖 sono decrescenti in tempo, asintoticamente,
𝑖 tende a 0.
Nel caso 𝜎 > 1, sono possibili due eventualità: se 𝑠 0 ≤ 1/𝜎 , il comportamento è analogo al caso
precedente; se 𝜎 < 1, esiste 𝑡 1 > 0 tale che 𝑖 è crescente per 𝑡 ∈ [0, 𝑡 1 ] ed è decrescente per
𝑡 ∈ [𝑡 1 , +∞)
PER CONCLUDERE... 123
6𝑖 6𝑖
@ @
@ @
@ @ 𝑠 = 1/𝜎
@ @
@ @
@ @
@ @
@ @
@ @
@
Y
HH@
@ 𝑠 @ 𝑠
@- @-
Se 𝜎 < 1 il campo vettoriale è sempre orientato nello stesso modo dentro la regione invariante.
Mentre per 𝜎>1 il campo vettoriale non risulta più concorde nella componente verticale! E questo
permette una dinamica più variegata. Si noti che, in generale, l'esplosione di un'epidemia è causata
da un numero iniziale di infetti molto piccolo, 𝑖 0 1, e da numero di suscettibili molto grande, cioè
Teorema 2.1. La soluzione (𝑠, 𝑖, 𝑟) del problema di Cauchy per il sistema (16.1), con dati iniziali
𝑠(0) = 𝑠0 ∈ (0, 1) , 𝑖(0) = 𝑖0 ∈ (0, 1) , con 𝑠0 + 𝑖0 = 1, e 𝑟 0 = 0, è tale che
i. se 𝜎 ≤ 1 segue che 𝑖 è decrescente rispetto a 𝑡 e vale 𝑖(𝑡) −→ 0 per 𝑡 −→ +∞,
ii. se 𝜎 > 1 e 𝑠0 ≤ 1/𝜎 segue che 𝑖 è decrescente rispetto a 𝑡 e vale 𝑖(𝑡) −→ 0 per 𝑡 −→ +∞,
iii. se 𝜎 > 1 e 𝑠0 > 1/𝜎 , allora la funzione 𝑖(𝑡) aumenta no al valore massimo
1
𝑖max = 1 − [1 + ln(𝜎 𝑠0 )]
𝜎
e poi decresce a zero per 𝑡 −→ +∞.
In tutti e tre i casi, la funzione 𝑠(𝑡) è decrescente e converge a 𝑠∞ > 0, unica radice in (0, 1/𝜎)
dell'equazione
1 − 𝑠∞ + ln(𝑠∞ /𝑠0 )/𝜎 = 0.
La funzione 𝑟 (𝑡) è crescente e converge, per 𝑡 −→ +∞, a 1 − 𝑠∞ .
Osservazione 2.2. Il precedente enunciato mostra che, per la generazione di un'onda epidemica, deve
essere soddisfatta la condizione 𝜎𝑠0 > 1 (si ricordi che 𝑠0 , 𝑖0 , 𝑟 0 ∈ [0, 1] e che 𝑠0 + 𝑖0 + 𝑟 0 = 1), per
questo una possibile strategia preventiva consiste nel vaccinare gli individui suscettibili, con questa
scelta si riduce il numero 𝑠0 mentre si aumenta 𝑟 0 , ovviamente supponendo che il vaccino fornisca
un'immunità permanente. Poiché vale la relazione 𝜎𝑠0 = 𝜎(1 − 𝑖 0 − 𝑟 0 ) ≤ 𝜎(1 − 𝑟 0 ) , una campagna di
vaccinazioni che vuole prevenire una epidemia deve raggiungere l'obiettivo
1
𝜎𝑠0 ≤ 𝜎(1 − 𝑟 0 ) ≤ 1 cioè 𝑟0 ≥ 1 −
𝜎
Il conseguimento di un tale obiettivo impedisce (sempre che il modello sia abbastanza vicino alla
in questa maniera, grazei ad una campagna vaccinale su scala mondiale. Completiamo l'osservazione
riportando delle stime del parametro 𝜎 per alcune malattie infettive note: inuenza H2N2 𝜎 ≈ 1.25,
vaiolo 𝜎 ≈ 5, varicella 𝜎 ≈ 11, morbillo 𝜎 ≈ 16.