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Alcune argomenti di Analisi I1

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30 settembre 2021
Indice

Capitolo 1. Nozioni preliminari 7


1. Insiemi 7
2. Operazioni su insiemi 9
3. Prodotto di insiemi e Relazioni 15
4. Nozioni introducibili in insiemi ordinati 19
5. Funzioni definite ed a valori in insiemi arbitrari 24
6. Insiemi equipotenti 29
7. Leggi di composizione interna su un insieme 29

Capitolo 2. Numeri reali 35


1. Definizione assiomatica di R 35
2. L’insieme R 42
3. Intervalli di R 44
4. Funzione valore assoluto 46
5. Rappresentazione geometrica di R 47
6. Rappresentazione geometrica di R × R 48
7. Metrica usuale su R 48

Capitolo 3. Sottoinsiemi notevoli di R: N, Z, Q e R \ Q 51


1. L’insieme N dei numeri naturali 51
2. Insiemi finiti ed infiniti. Cardinalità di un insieme 57
3. Applicazioni del Principio di induzione 58
4. L’insieme Z dei numeri interi 65
5. L’insieme Q dei numeri razionali 67
6. L’insieme R \ Q dei numeri irrazionali 70

Capitolo 4. Funzioni reali e funzioni reali di una variabile reale 73


1. Funzioni reali 73
2. Funzioni reali di una variabile reale 77
3. Successioni reali 79
4. Successioni di Cauchy 83

Capitolo 5. Funzioni elementari 85


1. Funzioni costanti 85
2. Funzioni lineari 85
3. Funzioni affini 87
4. Funzioni affini lineari 88
5. Funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N 88
6. Funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z \ N0 e di p̃ ∈ Z \ {0} 91
7. Funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N 93
8. Funzioni potenza q-esima, al variare di q ∈ Q 96
9. Funzioni esponenziali 98
10. Funzioni logaritmiche 102
11. Funzioni potenza α-esima, al variare di α ∈ R \ {0} 104
12. Funzioni trigonometriche 105
13. Inverse locali delle funzioni trigonometriche 109
14. Polinomi e funzioni razionali 111
3
4 INDICE

Capitolo 6. Numeri complessi 113


1. Il campo C dei numeri complessi 113
2. Forma algebrica di un numero complesso 116
3. Coniugato di un numero complesso 117
4. Modulo di un numero complesso 119
5. Formula trigonometrica di un numero complesso non nullo 120
6. Potenze e radici n-sime di un numero complesso 122

Capitolo 7. Alcune nozioni di natura ‘topologica’ su R 125


1. Intorni di un punto x0 ∈ R̄ 125
2. Proprietà di separazione di Hausdorff in R 127
3. Punti d’accumulazione per sottoinsiemi non vuoti di R 127
4. Condizioni sufficienti per l’esistenza di almeno un punto di accumulazione 129
5. Gli insiemi derivati dei sottoinsiemi notevoli di R 131
6. Insiemi aperti ed insiemi chiusi in R 133
7. Intorni destri ed intorni sinistri di un punto x0 ∈ R 135
8. Punti di accumulazione a destra e/o a sinistra 137

Capitolo 8. La nozione di limite per funzioni reali di una variabile reale 141
1. Limiti di restrizioni 144
2. Località del limite 146
3. Limiti da destra e da sinistra in un punto 148
4. Legame tra limiti di funzioni e limiti di successioni 149
5. Dal limite alla funzione 151
6. Dalla funzione al limite 155
7. Limiti di funzioni monotòne 159
8. Limiti di funzioni composte 163
9. Limiti finiti ed operazioni algebriche 165
10. Limiti non necessariamente finiti ed operazioni algebriche 167
11. Limiti delle funzioni elementari 172
12. Forme indeterminate 176

Capitolo 9. Commenti sulla teoria del limite per successioni reali 177
1. Il numero e 181
2. Criterio di Cauchy per successioni reali 185

Capitolo 10. La nozione di continuità per funzioni reali di una variabile reale 187
1. Funzione continue in un punto del loro dominio di definizione 187
2. Punti di discontinuità per una funzione 191
3. Punti di discontinuità per funzioni monotòne 193

Capitolo 11. Funzioni continue su intervalli 197


1. Teoremi di esistenza degli zeri 197
2. Teorema dei valori intermedi 200
3. Condizioni sufficienti per la continuità di una funzione strettamente monotòna
e della sua inversa 201
4. Relazione tra iniettività e stretta monotònia 202
5. Teorema di Weiestrass 204

Capitolo 12. Funzioni uniformemente continue 207

Capitolo 13. La nozione di derivata per funzioni reali di una variabile reale 215
1. Funzioni derivabili e funzioni derivabili in senso esteso in un punto 216
2. Interpretazione geometrica della derivabilità 219
3. Funzioni derivabili a destra ed a sinistra in un punto. 222
4. Punti di continuità e di non derivabilità per una funzione 222
5. Derivabilità ed operazioni algebriche 223
6. Derivabilità e composizione di funzioni 224
INDICE 5

7. Derivabilità e funzioni inverse 225


8. Derivabilità delle funzioni elementari 226
CAPITOLO 1

Nozioni preliminari

Nel presente capitolo vengono richiamati alcuni ‘concetti primitivi’, quali quello di insieme e di
funzione, e fissate le notazioni e la terminologia utilizzate nel seguito della trattazione.
Per quanto i ‘concetti primitivi’ possano essere introdotti con definizioni rigorose, avvalendosi di solide
teorie, come la logica e la teoria degli insiemi, si opterà in questa sede per un approccio volutamente più
‘intuitivo’ ed elementare, al fine di focalizzare sul principale obiettivo del testo, che è quello di fornire un
supporto allo studio degli argomenti dei corsi universitari di Analisi del primo anno.
A mo’ di esempio, la definizione di insieme fornita dalla Definizione 1.1 è la ‘descrizione’ del concetto
di insieme fornita dal matematico tedesco George Cantor, progenitore del linguaggio della teoria degli
insiemi. Tale descrizione è, infatti, tautologica, visto che fa uso della parola ‘collezione’, che al pari dei
termini ‘famiglia’, ‘classe’, ‘totalità’, è un sinonimo di insieme.

1. Insiemi
Definizione 1.1. Un insieme è una collezione di oggetti, ben determinati e distinti, che sono detti
elementi dell’insieme.
Gli insiemi sono solitamente denotati con lettere maiuscole dell’alfabeto romano, ad es. A, B, C, . . .
o anche X, Y, . . . , e gli elementi che li costituiscono con lettere minuscole a, b, c, . . . o x, y . . . .
Assegnato un insieme X, la scrittura
x∈X
sta a denotare che x è un elemento dell’insieme X, e si legge ‘x appartiene all’insieme X’, mentre la
scrittura
y∈/X
sta a denotare che y non è un elemento di X, e si legge ‘y non appartiene all’insieme X’.
Esempi 1.2. (I) La totalità delle lettere dell’alfabeto italiano, il gruppo delle squadre di serie A del
campionato 2015-16, la collezione delle pagine di questo libro sono insiemi.
(II) Tre nazioni non costituiscono un insieme, in quanto non è specificato quali esse siano.
I fogli di una risma di carta A4 appena aperta non è un insieme, non essendo i fogli tra di loro
distinguibili.
Un gruppo di ragazze simpatiche non è un insieme, visto che la simpatia nasce da una valutazione
soggettiva.
Per ragioni di carattere formale, che saranno più chiare nel seguito, è opportuno introdurre la nozione
di insieme che non ha elementi.
Definizione 1.3. L’insieme vuoto, denotato con la scrittura ∅, è l’insieme privo di elementi.
Dalle Definizioni 1.1 e 1.3 segue dunque che un insieme X è non vuoto quando esiste almeno un
elemento x ∈ X. Ciò è denotato con la scrittura X ̸= ∅.
In simboli, la Definizione 1.3 si formula pertanto come segue
def
(1.1) X ̸= ∅ ⇐⇒ ∃ x ∈ X,
def
ove il simbolo ‘⇐⇒’ si legge ‘se, e solo se, per definizione’ e ‘∃’ si legge ‘esiste almeno un’.
Osservazioni 1.4. L’espressione tecnica ‘se, e solo se’, di uso frequente in matematica, richiede
qualche commento.
(I) Si considerino due enunciati (detti anche predicati ) P e S, che possono essere veri o falsi.
Dire che
7
8 1. NOZIONI PRELIMINARI

‘S è vero se P è vero’
significa dire che la veridicità di P implica la veridicità di S; in simboli
(1.2) P =⇒ S.
Dire che
‘S è vero solo se P è vero’
significa dire che la veridicità di S implica la veridicità di P; in simboli,
(1.3) P ⇐= S.
Perciò l’espressione tecnica
‘S è vero se, e solo se, P è vero’
è equivalente alla ‘doppia implicazione’ che la veridicità di P implica ed è implicata dalla veridicità di S,
ossia al contemporaneo verificarsi delle implicazioni (1.2) e (1.3) che si compendiano nella scrittura
(1.4) P ⇐⇒ S.
(II) L’implicazione (1.2) può essere letta equivalentemente affermando che
‘(la veridicità di) S è condizione necessaria per (la veridicità di) P’,
oppure che
‘(la veridicità di) P è condizione sufficiente per (la veridicità di) S’.
Di qui, la scrittura (1.4) può essere letta indifferentemente in uno dei seguenti modi:
(i) P è condizione necessaria e sufficiente per S;
(ii) P è vero quando S è vero, e solo allora;
(iii) P è vero se, e soltanto se, S è vero;
(iv) P è equivalente a S.

Un insieme non vuoto X può essere descritto in uno dei seguenti modi:
(i) elencando i suoi elementi;
(ii) avvalendosi di una proprietà caratterizzante i suoi elementi;
(iii) mediante un diagramma di Venn.
L’elencazione è chiaramente il modo più intuitivo per descrivere un insieme, ma è efficace allorquando
l’insieme è costituito da pochi elementi. Ad esempio, se l’insieme X è costituito dai tre numeri 3, 5 e 8,
ci si avvarrà della notazione
X = {3, 5, 8},
ossia gli elementi di X sono inseriti tra parentesi graffe { } e separati tra di loro da una virgola.
L’ordine di elencazione è irrilevante. Le scritture {5, 3, 8} e {5, 8, 3} denotano, infatti, ancora l’insieme
X.
La rappresentazione (ii) viene utilizzata quando l’insieme ha numerosi elementi. Sia P una certa
‘proprietà’ e sia x un generico oggetto. Convenendo di denotare con P (x) la circostanza che x verifichi la
proprietà P , si utilizza la scrittura
{x : P (x)}
per denotare l’insieme di tutti e soli gli oggetti x che verificano la proprietà P (x).
Ad esempio, l’insieme
X = {x : x risiede a Salerno}
è costituito da tutte e sole le persone viventi e residenti nella città di Salerno, e compendia ed è logicamente
equivalente all’anagrafe del comune di Salerno.
L’insieme
Y = {x : x diverso da x}
è invece l’insieme vuoto.
La rappresentazione (iii) consiste nel rappresentare un insieme in un piano identificandolo con la regio-
ne delimitata da una curva, chiusa e che non ammette punti di autointersezione (una sorte di circonferenza
deformata in modo elastico che delimita una sola regione piana di area finita).
2. OPERAZIONI SU INSIEMI 9

Una siffatta curva piana e chiusa, che non ammette punti di autointersezione, è detta una curva di
Jordan.

Definizioni 1.5. Sia X un insieme non vuoto. Un sottoinsieme Y di X, in simboli Y ⊆ X, è un


insieme verificante la proprietà che ogni elemento x ∈ Y appartiene ad X.
Inoltre, Y ⊆ X è un sottoinsieme proprio di X, in simboli Y ⊂ X, quando Y ̸= ∅ ed esiste almeno
un elemento x ∈ X tale che x ∈ / Y.
La prima delle Definizioni 1.5 si formula in breve come segue
def
(1.5) Y ⊆X ⇐⇒ ∀x∈Y : x ∈ X,
oppure
def
(1.6) Y ⊆X ⇐⇒ x∈Y =⇒ x ∈ X,
ove i simboli ‘∀’ e ‘:’ nella (1.5) si leggono, rispettivamente, ‘per ciascun’ o ‘per ogni ’ e ‘si ha che’ o
‘risulta che’.
La seconda delle Definizioni 1.5 si formula

def
(1.7) Y ⊂X ⇐⇒ ∅=
̸ Y ⊆X ed ∃ x ∈ X tale che x ∈
/ Y.
Si osservi che
(1.8) ∅⊆X per ogni insieme X.
La nozione di uguaglianza di insiemi è descritta allora dalla seguente

Definizione 1.6. Due insiemi X ed Y sono uguali, e lo si denota con la scrittura X = Y , quando
sono verificate entrambe le inclusioni insiemistiche
X⊆Y e Y ⊆ X.
La Definizione 1.5 rende la seguente ben posta.

Definizione 1.7. Se X è un insieme non vuoto, la famiglia delle parti di X è l’insieme


def
P(X) = {A : A ⊆ X}.
Si osservi che, alla luce della (1.8),
(1.9) ∅ ∈ P(X) per ogni insieme X.

Esempio 1.8. Sia X = {1, 2, 3}. Allora


P(X) = {∅, {1}, {2}, {3}, {1, 2}, {1, 3}, {2, 3}, X} .

2. Operazioni su insiemi
Definizioni 1.9. Assegnati due insiemi A ed B,
• l’unione di A e B è l’insieme
def
(2.1) A ∪ B = {x : x appartiene ad almeno uno degli insiemi A e B};

• l’intersezione di A e B è l’insieme
def
(2.2) A ∩ B = {x : x appartiene sia all’insieme A sia all’insieme B};

• la differenza (insiemistica) di B rispetto A (o il complementare di A rispetto a B) è l’insieme


def
(2.3) B \ A = {x : x ∈ B e x ∈
/ A},
ossia l’insieme costituito da tutti e soli gli elementi di B che non appartengono all’insieme A;
10 1. NOZIONI PRELIMINARI

• la differenza simmetrica di A e B è l’insieme


def
(2.4) A△B = (A ∪ B) \ (A ∩ B),
ossia l’insieme costituito da tutti e soli gli elementi che appartengono ad uno soltanto degli
insiemi A e B.
Convenzione 1.10. Una volta fissato un insieme non vuoto X, per ogni A ∈ P(X), l’insieme X \ A
è usualmente denotato con la scrittura Ac ed è detto complementare di A, omettendo il riferimento
all’insieme X.
Avvalendosi delle nozioni di intersezione insiemistica e di insieme vuoto, si introduce la seguente
Definizione 1.11. Due insiemi A ed B sono disgiunti quando
(2.5) A ∩ B = ∅,
i.e., quando gli insiemi A e B non hanno elementi comuni.
Osservazioni 1.12. Siano A ed B due insiemi. Allora
(2.6) A⊆A∪B e B ⊆ A ∪ B,
i.e., l’insieme A ∪ B contiene sia l’insieme A l’insieme B.
(2.7) A∩B ⊆A e A ∩ B ⊆ B,
i.e., l’insieme A ∩ B è un sottoinsieme sia dell’insieme A sia dell’insieme B.
Inoltre
(2.8) A\B ⊆A e (A \ B) ∩ B = ∅.
i.e., la differenza A \ B è un sottoinsieme dell’insieme A, che è disgiunto dell’insieme B.
Infine,
(2.9) A△B ⊆ A ∪ B e (A△B) ∩ (A ∩ B) = ∅,
i.e., la differenza simmetrica A△B è un sottoinsieme dell’insieme unione A∪B, che è disgiunto dall’insieme
intersezione A ∩ B.
Alcune proprietà dell’unione insiemistica sono illustrate nella seguente
Proposizione 1.13. Siano A, B e C tre insiemi. Allora
(i) A∪A=A [proprietà di idempotenza dell’unione],
(ii) A∪B =B∪A [proprietà commutativa dell’unione],
(iii) A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C [proprietà associativa dell’unione],
(iv) A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) [proprietà distributiva dell’unione
rispetto all’intersezione],
(v) A ∪ (A ∩ B) = A [proprietà di assorbimento dell’unione],
(vi) B ⊆ A ⇐⇒ A ∪ B = A.
Dimostrazione. Le proprietà (i)-(iii) si deducono immediatamente dalla (2.1) nelle Definizioni 1.9.
(iv) Tenendo conto delle (2.1) e (2.2) nelle Definizioni 1.9, si rileva che
x ∈ A ∪ (B ∩ C) ⇐⇒ x∈A o x∈B∩C
⇐⇒ x∈A o [x ∈ B e x ∈ C]
⇐⇒ [x ∈ A o x ∈ B] e [x ∈ A o x ∈ C]
⇐⇒ x∈A∪B e x∈A∪C
⇐⇒ x ∈ (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).
In accordo con la Definizione 1.6, l’uguaglianza (iv) è vera.
(v) Occorre verificare tanto che A ∪ (A ∩ B) ⊆ A quanto che A ⊆ A ∪ (A ∩ B). La prima inclusione segue
dalla prima inclusione della (2.7) mentre la seconda dalla prima inclusione della (2.6).
(vi) (⇒) Ovvia. (⇐) Se A ∪ B = A, la tesi segue osservando che B ⊆ A ∪ B. □
2. OPERAZIONI SU INSIEMI 11

Osservazioni 1.14. L’uguaglianza illustrata dalla (i) della Proposizione 1.13 afferma che l’unione di
un insieme con sé stesso non modifica minimamente l’insieme.
La (ii) della Proposizione 1.13 evidenzia che l’unione di due insiemi non dipende dall’ordine in cui
essi vengono presi in considerazione. Ciò risulta particolarmente significativo nel momento in cui si voglia
considerare l’unione di tre o più insiemi. Infatti, poiché l’unione insiemistica è definita operando su due
insiemi, l’unione di tre insiemi deve necessariamente essere realizzata unendone prima due, ed unendo,
all’insieme cosı̀ ottenuto, quello dei tre insiemi che non era stato preso in considerazione.
La proprietà (iii) afferma che l’insieme unione di tre insiemi non dipende da quali siano i due insiemi
dei tre che si uniscano prima. Si è pertanto autorizzati, assegnati ad esempio tre insiemi A, B e C, a far
uso della scrittura
(2.10) A∪B∪C
(dove non compaiono parenti tonde) per denotare l’unione di tre insiemi A, B e C.
La proprietà (iv) illustra che ogni qualvolta si unisca ad un insieme A l’intersezione di altri due
insiemi B e C, l’insieme determinato coincide con l’intersezione degli insiemi unione di A e B ed A e C,
rispettivamente.
La proprietà (v) evidenzia che l’unire ad un insieme A l’insieme intersezione di A con un qualsiasi
altro insieme B produce l’insieme A stesso.
La proprietà (vi), infine. esprime una caratterizzazione dell’inclusione insiemistica in termini di unione
di insiemi. Precisamente, condizione necessaria e sufficiente affinché un insieme B sia sottoinsieme di un
insieme A è che l’unione degli insiemi A e B coincide con A.

Alcune proprietà dell’intersezione insiemistica sono elencate nella seguente


Proposizione 1.15. Siano A, B e C tre insiemi. Allora
(i) A∩A=A [proprietà di idempotenza dell’intersezione],
(ii) A∩B =B∩A [proprietà commutativa dell’intersezione],
(iii) A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C [proprietà associativa dell’intersezione],
(iv) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) [proprietà distributiva dell’intersezione
rispetto all’unione],
(v) A ∩ (A ∪ B) = A [proprietà di assorbimento dell’intersezione],
(vi) B ⊆ A ⇐⇒ A ∩ B = B.
Dimostrazione. Le proprietà (i)-(iii) si deducono dalla (2.2) nelle Definizioni 1.9.
(iv) Tenendo conto delle (2.1) e (2.2) nelle Definizioni 1.9, si rileva che
x ∈ A ∩ (B ∪ C) ⇐⇒ x∈A e x∈B∪C
⇐⇒ x∈A e [x ∈ B o x ∈ C]
⇐⇒ [x ∈ A e x ∈ B] o [x ∈ A e x ∈ C]
⇐⇒ x ∈ (A ∩ B) ∪ (A ∩ C);
ciò prova la (iv), in accordo con la Definizione 1.6.
(v) Occorre verificare tanto che A ∩ (A ∪ B) ⊆ A quanto che A ⊆ A ∩ (A ∪ B). La prima inclusione segue
dalla prima inclusione nella (2.7) mentre la seconda dalla prima inclusione nella (2.6).
(vi) (⇒) Ovvia. (⇐) Se A ∩ B = B, la tesi segue dalla prima inclusione nella (2.7). □

Osservazioni 1.16. I risultati espressi dalla precedente proposizione si interpretano in piena analogia
a quelli della Proposizione 1.13 (cfr. Osservazioni 1.14).
La proprietà (i) della Proposizione 1.15 afferma che l’intersezione di un insieme con sé stesso coincide
con esso, mentre la proprietà (ii) afferma che l’intersezione di due insiemi non dipende dall’ordine in
cui essi vengono presi in considerazione. Ciò risulta particolarmente significativo nel momento in cui si
voglia considerare l’intersezione di tre o più insiemi. Infatti, poiché l’intersezione insiemistica è definita
operando su due insiemi, l’intersezione di tre insiemi deve necessariamente essere realizzata intersecandone
12 1. NOZIONI PRELIMINARI

prima due, ed intersecando, all’insieme cosı̀ ottenuto, quello dei tre insiemi che non era stato preso in
considerazione.
La proprietà (iii) afferma che l’insieme intersezione di tre insiemi non dipende da quali siano i due
insiemi dei tre che si intersechino prima. Si è pertanto autorizzati, assegnati ad esempio tre insiemi A, B
e C, a far uso della scrittura
(2.11) A∩B∩C
(dove non compaiono parenti tonde) per denotare l’intersezione di tre insiemi A, B e C.
La proprietà (iv) della Proposizione 1.15 illustra che ogni qualvolta si intersechi ad un insieme A
l’unione di altri due insiemi B e C, l’insieme che viene determinato coincide esattamente con l’unione
degli insiemi intersezione di A e B ed A e C, rispettivamente.
La proprietà (v) evidenzia che ogni qualvolta si intersechi un insieme A con la sua unione con un
qualsiasi altro insieme B, l’insieme ottenuto è A stesso.
La proprietà (vi), infine, esprime una caratterizzazione dell’inclusione insiemistica in termini di
intersezioni di insiemi. Precisamente, condizione necessaria e sufficiente affinché un insieme B sia un
sottoinsieme di un insieme A è che l’insieme B sia uguale all’intersezione di A e B.
Alcune proprietà della differenza insiemistica sono elencate nella seguente
Proposizione 1.17. Siano A, B e C tre insiemi. Allora
(i) A \ A = ∅,
(ii) A \ B = A ⇐⇒ A ∩ B = ∅,
(iii) A \ (B ∩ C) = (A \ B) ∪ (A \ C) e A \ (B ∪ C) = (A \ B) ∩ (A \ C)
[formule di De Morgan].
Se B, C ∈ P(A), si ha in particolare
(iv) (B ∩ C)c = B c ∪ C c e (B ∪ C)c = B c ∩ C c [formule di De Morgan].
Dimostrazione. Le proprietà (i)-(ii) discendono immediatamente applicando la (2.3) nelle Defini-
zioni 1.9.
(iii) Dalle (2.2) e (2.3) nelle Definizioni 1.9, si ricava che
x ∈ A \ (B ∩ C) ⇐⇒ x∈A e x∈
/ B∩C
⇐⇒ x∈A e [x ∈
/B o x∈
/ C],
⇐⇒ x∈A\B o x ∈ A \ C,
⇐⇒ x ∈ (A \ B) ∪ (A \ C).
Inoltre,
x ∈ A \ (B ∪ C) ⇐⇒ x∈A e x∈
/ B∪C
⇐⇒ x∈A e [x ∈
/B e x∈
/ C],
⇐⇒ [x ∈ A e x∈
/ B] e [x ∈ A e x∈
/ C],
⇐⇒ x ∈ (A \ B) ∩ (A \ C).
(iv) Basta far uso della (iii) e della Convenzione 1.10. □
Osservazioni 1.18. (I) La (i) della Proposizione 1.17 afferma che la differenza di un insieme con sé
stesso è sempre vuota, mentre la (ii) caratterizza gli insiemi disgiunti in termini di differenza insiemistica.
Essa afferma, infatti, che condizione necessaria e sufficiente affinché due insiemi A e B siano disgiunti è
che la differenza insiemistica di uno rispetto all’altro coincida con il primo insieme preso in considerazione.

La proprietà (iii) descrive tanto il comportamento del complementare di un’unione quanto il compor-
tamento del complementare di un’intersezione di due insiemi rispetto ad un altro. Precisamente, il com-
plementare di un’unione [risp. di un’intersezione] di due insiemi B e C rispetto ad un insieme A coincide
con l’intersezione [risp. con l’unione] dei complementari di B e C rispetto all’insieme A, rispettivamente.
2. OPERAZIONI SU INSIEMI 13

(II) La differenza insiemistica non è commutativa, a meno che non si consideri il complementare di un
insieme rispetto a sé stesso. Si considerino, ad esempio, gli insiemi A = {1, 2} e B = {2, 3}. Allora
A \ B = {1}, mentre B \ A = {3}.
(III) La differenza insiemistica non è in genarale associativa. Si considerino, ad esempio, gli insiemi
A = {a, b}, B = {a} e C = {b}. Allora

A \ (B \ C) = {a, b} \ {a} = {b},


(A \ B) \ C = {b} \ {b} = ∅.

La proprietà commutativa cosı̀ come la proprietà associativa sono soddisfatte dalla differenza simme-
trica di insiemi, come illustrato dalla

Proposizione 1.19. Siano A, B e C tre insiemi. Allora


(i) A△B = B△A [proprietà commutativa della diff. simmetrica];
(ii) A△(B△C) = (A△B)△C [proprietà associativa della diff. simmetrica];
(iii) A△∅ = A;
(iv) A△A = ∅;
(v) A ∩ (B△C) = (A ∩ B)△(A ∩ C) [proprietà distributiva dell’intersezione
rispetto alla diff. simmetrica];
(vi) A△C = B△C ⇐⇒ A = B [legge di cancellazione].

Dimostrazione. La (i) e la (v) seguono banalmente dalle proprietà commutativa dell’unione e


dell’intersezione insiemistica, tenendo conto della (2.3) nelle Definizioni 1.9. Le (iii) e (iv) sono ovvie.
Per la (ii), si osservi che, detto X = A ∪ B ∪ C, gli insiemi A, B e C appartengono all’insieme P(X)
delle parti di X. Pertanto si può di far uso delle formule di De Morgan nella scrittura (iv) della
Proposizione 1.17, ottenendo che

(2.12) A△(B△C) = {A \ (B△C)} ∪ {(B△C) \ A} = {A ∩ (B△C)c } ∪ {(B△C) ∩ Ac }.

Avvalendosi della proprietà distributiva dell’intersezione rispetto all’unione e, nuovamente, delle formule
di De Morgan espresse dalla (iv) della Proposizione 1.17, si osserva che

(2.13) A ∩ (B△C)c = A ∩ [(B \ C) ∪ (C \ B)]c


= A ∩ (B \ C)c ∩ (C \ B)c
= A ∩ (B c ∪ C) ∩ (C c ∪ B)
= [(A ∩ B c ) ∪ (A ∩ C)] ∩ (C c ∪ B)
= [(A ∩ B c ) ∩ (C c ∪ B)] ∪ [(A ∩ C) ∩ (C c ∪ B)]
= [(A ∩ B c ∩ C c ) ∪ (A ∩ B c ∩ B)] ∪ [(A ∩ C ∩ C c ) ∪ (A ∩ C ∩ B)]
= [(A ∩ B c ∩ C c ) ∪ ∅] ∪ [∅ ∪ (A ∩ C ∩ B)]
= (A ∩ B c ∩ C c ) ∪ (A ∩ B ∩ C)

mentre

(2.14) (B△C) ∩ Ac = [(B \ C) ∪ (C \ B)] ∩ Ac


= [(B \ C) ∩ Ac ] ∪ [(C \ B) ∩ Ac ]
= (B ∩ C c ∩ Ac ) ∪ (C ∩ B c ∩ Ac ).

Dalle uguaglianze (2.12)–(2.14), si deduce quindi che

(2.15) A△(B△C) = (A ∩ B ∩ C) ∪ (A ∩ B c ∩ C c ) ∪ (B ∩ Ac ∩ C c ) ∪ (C ∩ Ac ∩ B c ).
14 1. NOZIONI PRELIMINARI

Procedendo analogamente, si osservi che


(2.16) (A△B)△C = {(A△B) \ C} ∪ {C \ (A△B)}
= {(A△B) ∩ C c } ∪ {C ∩ (A△B)c }.
Ragionando come in (2.14), si ricava che
(2.17) (A△B) ∩ C c = [(A \ B) ∪ (B \ A)] ∩ C c
= [(A \ B) ∩ C c ] ∪ [(B \ A) ∩ C c ]
= (A ∩ B c ∩ C c ) ∪ (B ∩ Ac ∩ C c ),
e, ragionando come in (2.13),
(2.18) C ∩ (A△B)c = (C ∩ Ac ∩ B c ) ∪ (A ∩ B ∩ C).
Alla luce delle uguaglianze (2.16)–(2.18), si conclude che
(2.19) (A△B)△C = (A ∩ B ∩ C) ∪ (A ∩ B c ∩ C c ) ∪ (B ∩ Ac ∩ C c ) ∪ (C ∩ Ac ∩ B c ).
Le uguaglianze (2.15) e (2.19) dimostrano la (ii).
(vi) (⇐) Ovvia. (⇒) Si osservi che l’ipotesi assicura che
x∈
/ A∩C e x∈
/ B∩C per ogni x ∈ C,
x∈A\C e x∈B\C per ogni x ∈
/ C.

È quindi sufficiente osservare che


A = (A ∩ C) ∪ (A \ C) e B = (B ∩ C) ∪ (B \ C). □
Osservazioni 1.20. La (iii) della Proposizione 1.19 assicura l’esistenza di un insieme neutro (che si
dimostrerà essere unico) rispetto alla differenza simmetrica, che è l’insieme vuoto.
La proprietà (iv) assicura che, comunque si assegni un insieme A, esiste sempre un insieme (che
si dimostrerà essere unico) la cui differenza simmetrica con l’insieme assegnato è l’insieme vuoto. Tale
insieme è l’insieme A stesso.
La proprietà (vi) è, infine, una legge di cancellazione per la differenza simmetrica. L’implicazione
significativa è l’implicazione ⇒, essendo l’altra ovvia.
Tenendo conto delle proprietà dell’unione e dell’intersezione insiemistica (cfr., in particolare, le osser-
vazioni relativamente alle scritture (2.10) e (2.11) nelle Osservazioni 1.14 e 1.16 rispettivamente), risultano
ben poste anche le nozioni di unione ed intersezione di elementi di una famiglia arbitraria di insiemi.
Definizioni 1.21. Sia F una famiglia di insiemi.
L’unione di tutti gli elementi di F è l’insieme
{x : x ∈ A per qualche A ∈ F},
denotato, indifferentemente, con una delle due scritture
[
A o ∪ {A : A ∈ F}.
A∈F

L’intersezione di tutti gli elementi di F è l’insieme


{x : x ∈ A per ogni A ∈ F},
denotato, indifferentemente, con una delle due scritture
\
A o ∩ {A : A ∈ F}.
A∈F

Combinando le Definizioni 1.21 con le proprietà espresse dalle (iii) e (iv) della Proposizione 1.17 si
deduce facilmente
Proposizione 1.22. Sia F una famiglia di insiemi. Per ogni insieme X
3. PRODOTTO DI INSIEMI E RELAZIONI 15

[ \ \ [
(i) X \ ( A) = (X \ A) e X \( A) = (X \ A)
A∈F A∈F A∈F A∈F
[formule di De Morgan].
Se F ⊆ P(X), allora
[ \ \ [
(ii) ( A)c = Ac e ( A)c = Ac [formule di De Morgan].
A∈F A∈F A∈F A∈F

Le Definizioni 1.21 consentono, inoltre, di introdurre la nozione di partizione di un insieme come


segue
Definizione 1.23. Una partizione di un insieme non vuoto X è un sottoinsieme D della famiglia
P(X) delle parti di X, che verifica le seguenti proprietà:
(i) ∅ ∈
/ D,
(ii) per ogni A, B ∈ D, con A ̸= B: A ∩ B = ∅,
[
(iii) X = A.
A∈D

Esempio 1.24. Sia X = {1, 2, 3}. Allora


D1 = {{1}, {2}, {3}}, D2 = {{1}, {2, 3}},
D3 = {{1, 2}, {3}}
sono partizioni di X.

3. Prodotto di insiemi e Relazioni


Definizioni 1.25. Siano X ed Y due insiemi non vuoti. Il prodotto di X per Y è l’insieme
def
X × Y = {(x, y) : x ∈ X e y ∈ Y },
ove (x, y) è la coppia ordinata avente come ‘primo elemento’ l’elemento x appartenente all’insieme X e
come ‘secondo elemento’ l’elemento y appartenente all’insieme Y .
Due elementi (x, y) e (x′ , y ′ ) dell’insieme X × Y sono uguali quando x = x′ e y = y ′ .
Osservazione 1.26. È naturale porsi la domanda di cosa si debba intendere per ‘coppia ordinata’. Il
significato che si vuole comunicare è quello di considerare contemporaneamente due elementi, un elemento
x ∈ X ed un elemento y ∈ Y , esprimendo però una ‘scelta di priorità’ fra essi, che porta a considerare
‘primo dei due’ l’elemento ‘sinistro’ x nella scrittura (x, y), e come ‘secondo dei due’ l’elemento ‘destro’
y nella scrittura (x, y). Ciò significa che, anche nel caso X = Y , le coppie (x, y) e (y, x) sono elementi
distinti di X × X quando x ̸= y.
Per rendere tale concetto matematicamente rigoroso, i logici definiscono
def
(x, y) = {x, {x, y}}
identificando x con x, e y con l’insieme {x, y}. L’approccio ‘intuitivo’ risulta chiaramente più comprensibile
in questo momento della trattazione.
Definizione 1.27. Siano X ed Y due insiemi non vuoti. Una relazione da X in Y è un sottoinsieme
R non vuoto del prodotto X × Y , i.e.,
∅≠ R ⊆ X × Y.
Se (x, y) ∈ R, allora x è detto in relazione R con y, e ci si avvale della scrittura
x R y.
Se (x, y) ∈ (X × Y ) \ R, si dice che x non è in relazione R con y, e lo si denota con la scrittura
xR
̸ y.
Convenzioni 1.28. Una relazione R da X in X è detta semplicemente una relazione su X.
Per una relazione R su un insieme non vuoto X si predilige una scrittura in termini binari (ossia che non
coinvolge –come dovrebbe– coppie ordinate ma solo elementi di X), ponendo
def
(3.1) xRy per x, y ∈ X ⇐⇒ (x, y) ∈ R.
16 1. NOZIONI PRELIMINARI

Per le relazioni d’equivalenza (cfr. Definizione 1.29) si tende ad optare per uno tra i seguenti simboli
∼R , ≈R , ≡R ,
al posto di R nella scrittura a sinistra nella (3.1).
Per le relazioni d’ordine (cfr. Definizione 1.35) si tende, invece, ad usare la scrittura ⪯R –che lascerà
il posto alla notazione ≤ quando si farà riferimento alla relazione d’ordine totale sull’insieme dei numeri
reali– in luogo di R nella scrittura a sinistra nella (3.1)
Nel seguito, avranno interesse relazioni su un insieme verificanti proprietà addizionali volte a forma-
lizzare intenti diversi. Uno, ad esempio, è quello di voler valutare come ‘identificabili’ o ‘equivalenti’ due
elementi distinti di un insieme dal punto di vista dell’indagine in esame. Un altro, ben diverso, è quello
di voler ‘confrontare’ due elementi distinti di un insieme.
Si introducono, in questi due casi, la nozione di relazione d’equivalenza e la nozione di relazione
d’ordine su un insieme, rispettivamente.
Definizione 1.29. Sia X un insieme non vuoto. Una relazione d’equivalenza su X è una relazione
∼R su X verificante, per ogni x, y, z ∈ X, le seguenti proprietà:
(i) x ∼R x [proprietà riflessiva],
(ii) se x ∼R y, allora y ∼R x [proprietà simmetrica],
(iii) se x ∼R y e y ∼R z, allora x ∼R z [proprietà transitiva].
Come anticipato, una volta assegnata una relazione d’equivalenza su un insieme X, si può fornire la
nozione di tutti e soli gli elementi fra di loro ‘identificabili’ o ‘equivalenti’ rispetto alla relazione assegnata.
Definizioni 1.30. Sia X un insieme non vuoto, e sia ∼R una relazione d’equivalenza su X. Per ogni
x ∈ X, la classe di equivalenza di x è l’insieme
def
[x]R = {y ∈ X : y ∼R x},
ossia il sottoinsieme di X costituito da tutti e soli gli elementi equivalenti da x.
Un qualsiasi elemento dell’insieme [x]R è detto un rappresentante della classe [x]R .
L’insieme
{[x]R : x ∈ X}
delle classi di equivalenza determinate su X da ∼R , che è contenuto nell’insieme P(X) delle parti di X,
è detto l’insieme quoziente di X rispetto alla relazione d’equivalenza ∼R , ed è denotato con una delle
seguenti scritture
X
o X/ ∼R .
∼R
Osservazione 1.31. Se ∼R una relazione d’equivalenza su un insieme X non vuoto, allora, per ogni
x ∈ X, la classe di equivalenza [x]R di x è un sottoinsieme di X non vuoto, in quanto dalla condizione
(i) nella Definizione 1.29 segue che x ∈ [x]R .
Il Teorema 1.32 seguente evidenzierà che quando x ̸∼R y, allora
[x]R ∩ [y]R = ∅.
Fatto significativo è che l’assegnare una relazione d’equivalenza determina una partizione dell’insieme.
Gli insiemi costituenti tale partizione sono tutte e sole le classi di equivalenza determinate dalla relazione,
ossia l’insieme quoziente di un insieme rispetto ad relazione d’equivalenza è una partizione dell’insieme
stesso.
Teorema 1.32. Se ∼R è una relazione d’equivalenza un insieme non vuoto X, allora l’insieme
X
quoziente è una partizione dell’insieme X.
∼R
Dimostrazione. È sufficiente dimostrare che le classi di equivalenza di due elementi x, y ∈ X o
coincidono o sono disgiunte. Di qui, infatti, la tesi seguirà dalla Definizione 1.23 e dall’Osservazione 1.31.
Se x, y ∈ X sono tali che [x]R ∩ [y]R ̸= ∅, deve allora esistere almeno un elemento z ∈ [x]R ∩ [y]R .
Per le Definizioni 1.9 e 1.30, ciò significa che
z ∼R x e z ∼R y.
3. PRODOTTO DI INSIEMI E RELAZIONI 17

Le proprietà simmetrica e transitiva della relazione d’equivalenza implicano che y ∼R x. Pertanto, [x]R =
[y]R .
Per concludere la dimostrazione è sufficiente osservare che
[
X= [x]R
x∈X

Osservazione 1.33. Il risultato del Teorema 1.32 è invertibile, ossia se D è una partizione dell’insieme
X, la relazione RD definita su X come segue
def
(x, y) ∈ RD ⇐⇒ x e y appartengono ad uno stesso elemento A di D
è una relazione di equivalenza su X.
Esempi 1.34. (I) Sia X l’insieme di tutti e soli i triangoli in un piano. La relazione R su X definita
ponendo
def
(3.2) T1 R T2 ⇐⇒ T1 , T2 ∈ X sono sovrapponibili mediante un movimento rigido
(ossia facendo uso eventualmente di una traslazione e/o una rotazione nel piano) è una relazione di
equivalenza, detta congruenza fra triangoli.
Due triangoli appartenenti alla stessa classe di equivalenza determinata dalla relazione (3.2) sono
detti congruenti.
(II) Sia X l’insieme di tutti e soli gli elementi di un piano. Fissato un punto O arbitrariamente, la
relazione R su X definita ponendo
def
P RQ ⇐⇒ i punti P, Q ∈ X hanno la stessa distanza da O
è una relazione di equivalenza.
La classe di equivalenza di O è l’insieme {O}, mentre per ogni punto P ∈ X, con P ̸= O, la classe
di equivalenza di P è l’insieme di tutti e soli i punti del piano X che appartengono alla circonferenza di
centro O passante per il punto P .
(III) Sia X l’insieme di tutti e soli i segmenti orientati di un piano. La relazione R su X definita ponendo
−−→ −−→ def −−→ −−→
AB R CD ⇐⇒ AB e CD hanno uguale direzione, lunghezza ed orientamento
è una relazione di equivalenza.
X →

Gli elementi dell’insieme quoziente sono detti vettori del piano. Il vettore nullo O è la classe di
∼R
equivalenza costituita da tutti e solo i segmenti orientati di lunghezza nulla.
−−→ → − −−→ −−→
Si osservi che, se AB ∈/ O, allora AB ̸ RBA.
(IV) Sia X = {1, 2, 3}. Le relazioni
R1 = {(1, 1), (2, 2), (3, 3), (1, 2), (2, 1), (2, 3), (3, 2)},
R2 = {(1, 1), (2, 2), (1, 2), (2, 1)},
R3 = {(1, 2), (2, 1)}
non sono relazioni d’equivalenza su X.
Infatti, R1 è riflessiva e simmetrica, ma non transitiva, in quanto, ad esempio, 1R1 2 e 2R1 3 ma 1 ̸ R1 3.
La relazione R2 è simmetrica e transitiva, ma non riflessiva, in quanto, ad esempio, 3 ̸ R2 3.
Infine, la relazione R3 è simmetrica, ma non è riflessiva nè transitiva, poiché, ad esempio, 1 ̸ R3 1, e 1R3 2
e 2R3 1 e 1 ̸ R3 1.
Definizioni 1.35. Sia X un insieme non vuoto. Una relazione d’ordine parziale su X è una relazione
⪯R su X verificante per ogni x, y, z ∈ X le seguenti proprietà
(i) x ⪯R x [proprietà riflessiva],
(ii) se x ⪯R y e y ⪯R x, allora x = y [proprietà asimmetrica],
(iii) se x ⪯R y e y ⪯R z, allora x ⪯R z [proprietà transitiva].
18 1. NOZIONI PRELIMINARI

La scrittura x ⪯R y, equivalentemente alla scrittura y ⪰R x, si legge ‘x è minore di y’ o, equivalentemente,


‘x più piccolo o uguale ad y (rispetto alla relazione ⪯R )’.
Una relazione d’ordine totale su X è una relazione d’ordine parziale su X che verifica la seguente
proprietà addizionale
(iv) per ogni x, y ∈ X, risulta che
x ⪯R y oppure y ⪯R x.
Quando ⪯R è una relazione d’ordine totale su X, la coppia (X, ⪯R ) è detta un insieme totalmente
ordinato.
Se ⪯R è una relazione d’ordine parziale su X, che non è totale, la coppia (X, ⪯R ) è detta un insieme
parziamente ordinato.
Osservazione 1.36. La proprietà (iv) nelle Definizioni 1.35 afferma che un insieme parzialmente
ordinato è totalmente ordinato quando, presi arbitrariamente due elementi dell’insieme, essi sono sempre
confrontabili rispetto alla relazione d’ordine. Tale proprietà non è sempre verificata, come evidenziato dal
(III) degli Esempi 1.38.
In ogni insieme totalmente ordinato (X, ⪯R ) vale dunque la legge di tricotomia:
“comunque si assegnino x, y ∈ X è sempre verificata una ed una soltanto delle seguenti
condizioni
(i) x ⪯R y e x ̸= y ,
(ii) x = y,
(iii) x ⪰R y e y ̸= x”.
Convenzione 1.37. La condizione (i) della legge di tricotomia è denotata in breve con la scrittura
x ≺R y, che si legge x è strettamente minore (o più piccolo) di y, rispetto alla relazione ⪯R .
Analogamente, la condizione (iii) si sintetizza con la scrittura x ≻R y, che si legge x è strettamente
maggiore (o più grande) di y, rispetto alla relazione ⪯R .
Si osservi che, tenendo conto delle precedenti convenzioni, la legge di triconomia assicura che, in un
insieme totalmente ordinato (X, ⪯R ), assegnati x, y ∈ X, si ha che la condizione x ≺R y è la negazione
della condizione x ⪰R y, e x ⪯R y è la negazione di x ≻R y.
Esempi 1.38. (I) Su un insieme X non vuoto, l’unica relazione R che è al contempo d’equivalenza e
d’ordine totale è
R = {(x, x) : x ∈ X},
i.e., l’uguaglianza tra elementi di X.
L’uguaglianza tra elementi di X
def
(x, y) ∈ R ⇐⇒ x=y
è banalmente sia una relazione di equivalenza sia una relazione d’ordine totale su X.
Occorre, pertanto, provare che non ci sono relazioni diverse dall’uguaglianza che siano al contempo
sia di equivalenza sia d’ordine totale. Equivalentemente, se una relazione R è al contempo d’ordine totale
e di equivalenza essa è necessariamente l’uguaglianza tra elementi di X.
A tal fine si considerino due elementi x, y ∈ X arbitrariamente assegnati. In quanto R è una relazione
d’ordine totale, x e y sono confrontabili, ossia xRy oppure yRx.
D’altro canto, essendo R anche una relazione d’equivalenza, la simmetria implica che devono esser
entrambe le relazioni. Infatti, se xRy [risp. yRx], la simmetria implica che anche yRx [risp. xRy].
Poiché R –essendo una relazione d’ordine– è asimmetrica, x ed y devono essere necessariamente uguali.
(II) Per ogni insieme X, (P(X), ⊆) è un insieme parzialmente ordinato.
La relazione di inclusione insiemistica ⊆ è banalmente una relazione d’ordine parziale sull’insieme
P(X) delle parti di X. Risultano, infatti, verificate le condizioni (i)–(iii) nella Definizione 1.35.
(III) La coppia (P(X), ⊆) è un insieme parzialmente ordinato, che non è totalmente ordinato, quando
X è costituito da almeno due elementi.
Se, ad esempio, X = {a, b}, con a ̸= b, si ha evidentemente che {a} ̸⊆ {b} e {b} ̸⊆ {a}. Esistono
pertanto almeno due elementi in P(X) che non sono tra loro confrontabili rispetto alla relazione di
inclusione insiemistica.
4. NOZIONI INTRODUCIBILI IN INSIEMI ORDINATI 19

(IV) L’usuale ordine alfabetico ⪯A è una relazione d’ordine totale sull’insieme


A = {a, b, c, d, e, f, g, h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u, v, w, x, y, z}
delle lettere dell’alfabeto italiano.
(V) Siano (X, ⪯X ) e (Y, ⪯Y ) due insiemi parzialmente ordinati [risp. totalmente ordinati].
La relazione d’ordine lessicografico ⪯L sul prodotto X × Y definita ponendo
def
(3.3) (x, y) ⪯L (x′ , y ′ ) ⇐⇒ x ≺X x′ , oppure x = x′ e y ⪯Y y ′
è una relazione d’ordine parziale [risp. totale].
Osservazione 1.39. Alla luce del (IV) e (V) degli Esempi precedenti, si ha che, considerato l’insieme
totalmente ordinato (A, ⪯A ) delle lettere dell’alfabeto italiano, la relazione d’ordine lessicografico ⪯L su
A × A è la relazione d’ordine totale che consentirebbe di creare un dizionario italiano costituito da tutte
e sole le parole formate da due lettere.

4. Nozioni introducibili in insiemi ordinati


Nel presente paragrafo si intende evidenziare che, dato un insieme non vuoto X, l’assegnazione su di
esso di una relazione d’ordine ⪯ consente di definire, per ogni sottoinsieme non vuoto A di X, le nozioni di
minorante e di maggiorante dell’insieme A in (X, ⪯), di massimo e di minimo di A, di estremo superiore
e di estremo inferiore di A in (X, ⪯).
Per semplicità, limitiamo la trattazione ad insiemi totalmente ordinati. In un insieme totalmente
ordinato, due elementi dell’insieme sono, infatti, sempre confrontabili, mentre ciò non accade nel caso
di insiemi parzialmente ordinati (cfr. Osservazione 1.36 ed (III) in Esempi 1.38). Pertanto, le definizioni
e i risultati seguenti nell’ambito degli insiemi parzialmente ordinati richiederebbero di volta in volta la
condizione di confrontabilità degli elementi presi in esame.
Definizioni 1.40. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato, e sia A un sottoinsieme di X non
vuoto.
(i) Un minorante di A in (X, ⪯) è un elemento η ∈ X verificante la proprietà
(4.1) η⪯a per ogni a ∈ A.
(ii) Un maggiorante di A in (X, ⪯) è un elemento ξ ∈ X verificante la proprietà
(4.2) a⪯ξ per ogni a ∈ A.
Detti
(4.3) mA = {η ∈ X : η è un minorante per A},
(4.4) MA = {ξ ∈ X : ξ è un maggiorante per A}
l’insieme dei minoranti e l’insieme dei maggioranti di A, rispettivamente,
(iii) A è limitato inferiormente in X quando A ammette almeno un minorante in (X, ⪯), i.e.,
(4.5) mA ̸= ∅;
(iv) A è limitato superiormente in X quando A ammette almeno un maggiorante in (X, ⪯), i.e.,
(4.6) MA ̸= ∅;
(v) A è limitato in X quando è sia limitato inferiormente sia limitato superiormente in X, i.e.,
(4.7) mA ̸= ∅ e MA ̸= ∅.
Chiaramente, quando un sottoinsieme non vuoto A di un insieme totalmente ordinato (X, ⪯) ammette
un minorante [risp. un maggiorante], tutti gli eventuali elementi di (X, ⪯) che lo minorano [risp. lo
maggiorano] rispetto alla relazione d’ordine ⪯ sono ancora minoranti [risp. maggioranti] di A, per la
proprietà transitiva della relazione d’ordine ⪯.
Nella (i) [risp. (ii)] nelle Definizioni 1.40 non è richiesto ad un minorante [risp. un maggiorante]
dell’insieme non vuoto A in (X, ⪯) di appartenere ad A.
Alla luce di tali considerazioni, il naturale interrogativo è:
20 1. NOZIONI PRELIMINARI

possono esistere due elementi dell’insieme A ⊆ X, tra loro diversi, che siano entrambi
minoranti [risp. maggioranti] dell’insieme A in (X, ⪯)?
Il prossimo risultato illustra che la risposta a tale domanda è negativa. Ciò renderà ben posta la
nozione di minimo [risp. massimo] di un insieme A in (X, ⪯) (cfr. Definizioni 1.43).
Proposizione 1.41. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato e sia A un sottoinsieme non vuoto
di X.
(I) Se A è limitato inferiormente, allora A ammette al più un minorante che appartiene ad A.
(II) Se A è limitato superiormente, A ammette al più un maggiorante che appartiene ad A.
Dimostrazione. (I) Siano η1 , η2 ∈ X due minoranti di A in X tali che η1 , η2 ∈ A. In quanto
η1 , η2 ∈ mA , la (4.1) assicura che
η1 ⪯ a per ogni a ∈ A,
(4.8)
η2 ⪯ a per ogni a ∈ A.
Poiché η1 , η2 ∈ A, dalla (4.8) si ottiene che
η1 ⪯ η2 e η2 ⪯ η1 .
L’asimmetria della relazione d’ordine ⪯ consente di concludere che η1 = η2 .
(II) Siano ξ1 , ξ2 ∈ X sono due maggioranti di A in X tali che ξ1 , ξ2 ∈ A. Poiché ξ1 , ξ2 ∈ MA , per la (4.2)
a ⪯ ξ1 per ogni a ∈ A,
(4.9)
a ⪯ ξ2 per ogni a ∈ A.
Poiché ξ1 , ξ2 ∈ A, dalla (4.9) si ottiene che
ξ1 ⪯ ξ2 e ξ2 ⪯ ξ1 .
Di qui, l’asimmetria della relazione d’ordine ⪯ implica che ξ1 = ξ2 . □
La Proposizione 1.41 si può formulare equivalentemente come segue.
Proposizione 1.42. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato e sia A un sottoinsieme non vuoto
di X.
(I) Se mA ̸= ∅, l’intersezione A ∩ mA o è vuota o è un insieme costituito da un solo elemento.
(II) Se MA ̸= ∅, l’intersezione A ∩ MA o è vuota o è un insieme costituito da un solo elemento.
Risultano pertanto ben poste le seguenti
Definizioni 1.43. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato, e sia A un sottoinsieme non vuoto di
X.
(i) Il minimo di A in X, denotato con la scrittura
min A,
X

è, se esiste, il minorante di A in (X, ⪯) che appartiene ad A.


(ii) Il massimo di A in X, denotato con la scrittura
max A,
X

è, se esiste, il maggiorante di A in (X, ⪯) che appartiene ad A.


Osservazione 1.44. Si faccia attenzione: il minimo ed il massimo di un sottoinsieme non vuoto A
di un insieme totalmente ordinato (X, ⪯) non necessariamente esistono.
Gli insiemi totalmente ordinati verificanti la proprietà che ‘ogni loro sottoinsieme non vuoto ammette
minimo’ sono detti insiemi bene ordinati o verificanti il principio di buon ordine. Una volta introdotto il
sistema algebrico dei numeri reali ed i suoi sottoinsiemi notevoli, si osserverà che l’insieme N dei numeri
naturali verifica il principio di buon ordine (cfr. Teorema 3.11, pag. 54), mentre l’insieme Z dei numeri
interi no.
In un insieme totalmente ordinato (X, ⪯), ogni sottoinsieme costituito da un numero finito di elementi
ammette però sempre sia minimo sia massimo in (X, ⪯) (cfr. Teorema 3.26, pag. 60).
4. NOZIONI INTRODUCIBILI IN INSIEMI ORDINATI 21

Riassumendo, quindi, in un insieme totalmente ordinato (X, ⪯), ad ogni sottoinsieme non vuoto A
di X risultano associati –via la definizione di minorante e maggiorante di A in (X, ⪯)– due sottoinsiemi
di (X, ⪯): l’insieme dei minoranti mA e l’insieme dei maggioranti MA (cfr. (4.3) e (4.4)).
Grazie ad essi, si possono introdurre per l’insieme non vuoto A le nozioni di ‘limitatezza inferiore’ e di
‘limitatezza superiore’ in (X, ⪯), formulandole, rispettivamente, richiedendo che l’insieme dei minoranti
mA sia non vuoto e l’insieme dei maggioranti MA sia non vuoto (cfr. (4.5) e (4.6)).
Se A è limitato inferiormente, i.e., mA ̸= ∅, ogni elemento di A è un maggiorante dell’insieme mA .
Pertanto, l’insieme mA è per costruzione un sottoinsieme di (X, ⪯) limitato superiormente, che potrebbe
avere massimo.
Analogamente, se A è limitato superiormente, i.e., MA ̸= ∅, ogni elemento di A è un minorante dell’in-
sieme MA . Pertanto, l’insieme MA è per costruzione un sottoinsieme di (X, ⪯) limitato inferiormente,
che potrebbe avere minimo.
Tali considerazioni portano alle seguenti
Definizioni 1.45. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato, e sia A un sottoinsieme di X non
vuoto.
(i) Se A è limitato inferiormente, allora l’estremo inferiore di A in X, denotato con la scrittura
inf A,
X

è (quando esiste) il massimo dell’insieme mA dei minoranti di A in X, i.e.,


def
(4.10) inf A = max mA .
X X

(ii) Se A è limitato superiormente, allora l’estremo superiore di A in X, denotato con la scrittura


sup A,
X

è (quando esiste) il minimo dell’insieme MA dei maggioranti di A in X, i.e.,


def
(4.11) sup A = min MA .
X X

Osservazione 1.46. Per parlare di estremo inferiore [risp. estremo superiore] in un insieme total-
mente ordinato (X, ⪯) di un suo sottoinsieme non vuoto A, occorre in primis che l’insieme A sia limitato
inferiormente [risp. superiormente].
Ciò assicura, infatti, che l’insieme mA dei minoranti [risp. l’insieme MA dei maggioranti] di A in X è non
vuoto in (X, ⪯).
L’estremo inferiore [risp. estremo superiore] di A in (X, ⪯) esiste quando l’insieme mA dei minoranti
[risp. l’insieme MA dei maggioranti] di A in X ha massimo [risp. ha minimo], ed è definito dalla (4.10)
[risp. dalla (4.11)].
L’estremo inferiore [risp. l’estremo superiore] di A in (X, ⪯) è, quando esiste, un elemento di X,
univocamente determinato per la Proposizione 1.41 applicata all’insieme mA [risp. all’insieme MA ].
Pertanto, l’estremo inferiore di A in (X, ⪯) è, quando esiste, un minorante di A, i.e.,
inf A ⪯ a per ogni a ∈ A,
X

ed è inoltre il massimo dei minoranti di A, i.e.,


η ⪯ inf A per ogni η ∈ mA .
X

Analogamente, l’estremo superiore di A in (X, ⪯) è, quando esiste, un maggiorante di A, i.e.,


a ⪯ sup A per ogni a ∈ A,
X

ed è inoltre il minimo dei maggioranti di A, i.e.,


sup A ⪯ ξ per ogni ξ ∈ MA .
X

L’estremo inferiore [risp. l’estremo superiore] di un sottoinsieme non vuoto A di un insieme totalmente
ordinato può o meno appartenere all’insieme A. Le informazioni che si deducono dal verificarsi della prima
o della seconda circostanza sono illustrate dai prossimi quattro risultati.
22 1. NOZIONI PRELIMINARI

Proposizione 1.47. Sia A un sottoinsieme non vuoto di un insieme totalmente ordinato (X, ⪯).
Le seguenti condizioni sono tra loro equivalenti:
(i) esiste l’estremo inferiore di A in X e
inf A ∈ A,
X

(i’) esiste il minimo di A in X.


In particolare, quando (i)–(i’) sono verificate,
min A = inf A.
X X

Proposizione 1.48. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato, e sia A un sottoinsieme di X non
vuoto.
Se esiste l’estremo inferiore di A in X e
inf A ∈
/ A,
X
allora per un elemento λ ∈ X le seguenti proprietà sono equivalenti:
(i) λ = inf A;
X
(
∀a ∈ A : λ ⪯ a;
(ii)
∀x ∈ X, con λ ≺ x, ∃ ã ∈ A tale che λ ≺ ã ≺ x.
Le (ii) sono dette proprietà caratteristiche dell’estremo inferiore.
Osservazione 1.49. Si faccia attenzione. Le (ii) della Proposizione 1.48 caratterizzano l’estremo
inferiore di un insieme A non vuoto, limitato inferiormente in un insieme totalmente ordinato (X, ⪯), nel
momento in cui tale inf A esiste, ma non appartiene all’insieme A.
X
In accordo con la Proposizione 1.47, ciò significa che l’estremo inferiore dell’insieme A non è il minimo
dell’insieme A in (X, ⪯).
Pertanto, per ogni x ∈ X, con x ≻ inf A, è assicurata l’esistenza di un elemento ã ∈ A, verificante
X
entrambe le relazioni strette
x ≻ ã ≻ inf A.
X
L’elemento ã non è solo quindi compreso tra l’estremo inferiore e l’elemento x ∈ X assegnato, ma è anche
diverso da entrambi.
Proposizione 1.50. Sia A un sottoinsieme non vuoto di un insieme totalmente ordinato (X, ⪯).
Le seguenti condizioni sono tra loro equivalenti:
(I) esiste l’estremo superiore di A in X e
sup A ∈ A;
X
(II) esiste il massimo di A in X.
In particolare, quando (I)–(II) sono verificate,
max A = sup A.
X X

Proposizione 1.51. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato, e sia A un sottoinsieme di X non
vuoto.
Se esiste l’estremo superiore di A in X e
sup A ∈
/ A,
X
allora per un elemento Λ ∈ X le seguenti proprietà sono equivalenti:
(I) Λ = sup A;
X
(
∀a ∈ A : a ⪯ Λ;
(II)
∀x ∈ X, con x ≺ Λ, ∃ ã ∈ A tale che x ≺ ã ≺ Λ.
4. NOZIONI INTRODUCIBILI IN INSIEMI ORDINATI 23

Le (II) sono dette proprietà caratteristiche dell’estremo superiore.


Osservazione 1.52. Si faccia attenzione. Le (II) della Proposizione 1.51 caratterizzano l’estremo
superiore di un insieme A non vuoto, limitato superiormente in un insieme totalmente ordinato (X, ⪯),
nel momento in cui tale sup A esiste, ma non appartiene all’insieme A.
X
In accordo con la Proposizione 1.50, ciò significa che l’estremo superiore dell’insieme A non è il massimo
dell’insieme A in (X, ⪯).
Pertanto, per ogni x ∈ X, con x ≺ sup A, è assicurata l’esistenza di un elemento ã ∈ A, verificante
X
entrambe le relazioni strette
x ≺ ã ≺ sup A.
X
L’elemento ã non è solo quindi compreso tra l’estremo superiore e l’elemento x ∈ X assegnato, ma è
anche diverso da entrambi.
Le precedenti considerazioni conducono a formalizzare l’idea che un insieme totalmente ordinato
(X, ⪯) verifichi tanto la proprietà che ogni suo sottoinsieme non vuoto e limitato inferiormente ammetta
estremo inferiore quanto ogni suo sottoinsieme non vuoto e limitato superiormente ammetta estremo
superiore in (X, ⪯). Il Teorema 1.54 evidenzierà che se un insieme totalmente ordinato (X, ⪯) verifica
una delle suddette proprietà verifica anche l’altra.
Definizione 1.53. Un insieme totalmente ordinato (X, ⪯) è detto completo quando per ogni sot-
toinsieme non vuoto A di X, che è limitato superiormente, esiste l’estremo superiore di A in X.
Teorema 1.54. Un insieme totalmente ordinato (X, ⪯) è completo se, e soltanto se, per ogni
sottoinsieme non vuoto B di X, limitato inferiormente, esiste l’estremo inferiore di B in X.
Dimostrazione. (⇒) Si supponga (X, ⪯) completo, e sia B un sottoinsieme non vuoto di X, limitato
inferiormente. Allora, per definizione, l’insieme mB dei minoranti di B è non vuoto. Esso è inoltre limitato
superiormente in (X, ⪯), in quanto ogni elemento di B è un maggiorante per l’insieme mB .
La completezza di (X, ⪯) assicura pertanto l’esistenza del sup mB . Detto
X
λ = sup mB ,
X
si ha che λ ∈ X e si vuole provare che
(4.12) λ = inf B.
X
Si osservi che λ ∈ mB .
Ciò segue dal fatto che ogni elemento b ∈ B è un maggiorante per l’insieme mB . Pertanto,
λ = sup mB ⪯ b.
X
Tenendo conto della (4.10) nelle Definizioni 1.45, provare la (4.12) equivale allora a provare che
(4.13) λ = max mB .
X
La (4.13) si deduce dalla seguente osservazione: ogni a ∈ mB è, per definizione, un minorante
dell’insieme B. Poiché λ = supX mB , si ha necessariamente che a ⪯ λ per ogni a ∈ mB .
(⇐) La dimostrazione è analoga. Si supponga che (X, ⪯) verifichi la proprietà che ogni sottoinsieme non
vuoto B di X, limitato inferiormente, ammette l’estremo inferiore in X. Per dimostrare che (X, ⪯) è
completo, si consideri un arbitrario sottoinsieme non vuoto A di X limitato superiormente.
Allora l’insieme MA dei maggioranti di A è non vuoto ed è inoltre limitato inferiormente in (X, ⪯),
in quanto ogni elemento di A è un minorante per l’insieme MA .
L’ipotesi assicura ora l’esistenza dell’ inf MA . Detto
X
Λ = inf MA ,
X
si ha che Λ ∈ X e si vuole provare che
(4.14) Λ = sup A.
X
Si osservi che Λ ∈ MA .
24 1. NOZIONI PRELIMINARI

Ciò segue dal fatto che ogni elemento a ∈ A è un minorante per l’insieme MA , e quindi a ⪯ Λ, i.e.,
Λ ∈ MA .
Tenendo conto della (4.11) nelle Definizioni 1.45, provare la (4.14) equivale a provare che
(4.15) Λ = min MA .
X

Si osserva innanzitutto che Λ ∈ MA .


Infatti, ogni elemento a ∈ A è un minorante per l’insieme MA , e quindi a ⪯ Λ, i.e., Λ ∈ MA .
Per provare la (4.15) basta allora osservare che ogni b ∈ MA è, per definizione, un maggiorante
dell’insieme A. In quanto Λ = inf MA , si ha necessariamente che Λ ⪯ b per ogni b ∈ MA . □
X

5. Funzioni definite ed a valori in insiemi arbitrari


Nella presente sezione si introduce il concetto di funzione. Si opta, come fatto in precedenza, per for-
nirne la definizione ‘intuitiva’ –in termini di una certa ‘corrispondenza’ o ‘legge’ da un insieme all’altro–
rimandando alla definizione rigorosa –in termini di ‘relazione’ tra due insiemi– alla (V) delle Osservazio-
ni 1.57.
Definizioni 1.55. Assegnati due insiemi non vuoti X e Y , una funzione (univoca)
f : X → Y,
definita in X ed a valori in Y , è una corrispondenza –o legge – che associa ad ogni elemento x ∈ X uno
ed un solo elemento y dell’insieme Y .
L’elemento y ∈ Y che (in modo unico) la funzione f associa ad x ∈ X è detto immagine tramite f di
x o valore assunto da f in x, ed è denotato con la scrittura f (x).
In simboli,
f : X −→ Y
(5.1)
x 7−→ f (x).

L’insieme X è detto dominio della funzione f , ed è denotato con la scrittura domf .


L’insieme Y è detto codominio della funzione f , ed è denotato con la scrittura codomf .
Il grafico di f , denotato con Gf oppure con graff , è il sottoinsieme del prodotto cartesiano X × Y
cosı̀ definito
def
(5.2) graff = {(x, y) ∈ X × Y : y = f (x)}.

L’immagine di X tramite f , denotato con f (X), è il sottoinsieme di codomf cosı̀ definito


def
(5.3) f (X) = {y ∈ Y : esiste qualche x ∈ X tale che y = f (x)}.
Convenzione 1.56. In quanto, d’ora in poi, si prenderanno in considerazione solo funzioni univoche,
il termine ‘univoca’ fornito dalla Definizione 1.55 verrà omesso.
Osservazioni 1.57. (I) Assegnata una funzione f : X → Y ad ogni elemento x ∈ X risulta associato
uno ed un solo elemento dell’insieme y ∈ Y . L’esistenza ed unicità di tale elemento consente di denotarlo
come f (x). Inoltre, l’insieme f (X) risulta sempre non vuoto.
(II) Si faccia attenzione. Una funzione può far corrispondere a diversi punti del dominio X uno stesso
valore di Y . Se X = Y = {1, 2, 3} la corrispondenza f : X → X, ove f (1) = f (2) = 1 e f (3) = 2 è una
funzione.
(III) Si può pensare ad una funzione f : X → Y come una sorta di macchinario. Ogni elemento x del
dominio X viene inserito nel macchinario f come input, e da esso viene trasformato in un unico output
f (x) appartenente all’insieme Y .
(IV) Per assegnare una funzione f occorre assegnare tre ‘oggetti‘:
(1) l’insieme non vuoto X su cui la funzione f è definita, ossia il domf ;
(2) l’insieme non vuoto Y in cui la funzione f assumerà valori, ossia il codomf ;
(3) la ‘legge’ definente la funzione f .
5. FUNZIONI DEFINITE ED A VALORI IN INSIEMI ARBITRARI 25

A prima vista non è molto chiaro il ruolo del codominio di una funzione f . Sembrerebbe, infatti, che esso
sia una sorta di ambiente in cui la funzione f deve assumere valori e nient’altro, e, quindi, ampliandolo,
la funzione non sarebbe modificata.
Tale dubbio non è privo di fondatezza, ma il ruolo del codominio sarà più chiaro nel seguito della
trattazione.
(V) Tenendo conto delle Definizioni 1.27 e 1.55 e della (5.2), il grafico di una funzione f : X → Y è una
relazione dal dominio X al codominio Y della funzione, verificante la seguente proprietà
(5.4) per ogni x ∈ X esiste un unico elemento y ∈ Y tale che (x, y) ∈ graff.
Non sorprende quindi che il concetto di funzione possa essere formulato rigorosamente avvalendosi della
nozione di relazione tra due insiemi. Precisamente,
“assegnati due insiemi non vuoti X e Y , una funzione f : X → Y è una relazione R da X a Y
verificante le seguenti proprietà
(i) per ogni x ∈ X esiste almeno un y ∈ Y tale che (x, y) ∈ R;
(ii) se (x1 , y1 ) e (x2 , y2 ) ∈ R e se x1 = x2 , allora y1 = y2 .”
La richiesta (i) afferma che ad ogni elemento x in X corrisponde via f un qualche elemento y ∈ Y
(non esistono dunque elementi di X su cui f non agisce), e la richiesta (ii) è che ad ogni elemento x in
X la f associ un solo elemento (non è cioè possibile che a qualche elemento di X corrisponda più di un
elemento di Y ).
Pertanto, la proprietà (5.4) caratterizza il grafico di una funzione, ed una definizione rigorosa di
funzione è la seguente:
“assegnati due insiemi non vuoti X e Y , una f : X → Y è una relazione R da X a Y che verifica le
seguenti due proprietà:
(i) per ogni x ∈ X esiste almeno un y ∈ Y tale che (x, y) ∈ R;
(ii) se (x, y) e (x, y ′ ) ∈ R, allora y = y ′ .
Se (x, y) ∈ R, ci si avvale della scrittura y = f (x)”.
In corrispondenza di ogni elemento x ∈ X esiste un unico elemento y ∈ Y tale che y = f (x),
restituendo dunque la definizione di funzione formulata in termini di ‘legge’ nella Definizione 1.55.
Come già anticipato, benché la definizione di funzione in termini di relazione sia più precisa quella come
‘legge’ fornita dalla Definizione 1.55 risulta più intuitiva.
Alla luce della (IV) delle Osservazioni 1.57 si introduce la nozione di uguaglianza fra funzioni come
segue
Definizione 1.58. Due funzioni f e g sono uguali quando verificano le seguenti condizioni
(a) domf = domg;
(b) codomf = codomg;
(c) f (x) = g(x) per ogni x ∈ domf = domg.
Nel seguito sarà utile considerare una funzione assegnata solo agente su un opportuno sottoinsieme
del suo dominio. A tal fine
Definizione 1.59. Assegnata una funzione f : X → Y , per ogni sottoinsieme proprio A del dominio
di f , la restrizione di f ad A, denotata con la scrittura f|A , è la funzione

f|A : A −→ Y
(5.5)
x 7−→ f (x).
Osservazione 1.60. Assegnata una funzione f : X → Y , per ogni sottoinsieme proprio A del dominio
di f , la restrizione di f ad A è ben definita, ma è una funzione diversa della funzione f . In particolare,

graf f|A ⊂ graff.
Assegnate due funzioni f e g, quando f (domf ) ⊆ domg risulta ben definita una terza funzione, detta
‘funzione composta di g ed f ’ che ad ogni punto x del dominio di f associa il valore che la funzione g
assume nel punto f (x) ∈ domg. Precisamente
26 1. NOZIONI PRELIMINARI

Definizione 1.61. Assegnate due funzioni f : X → Y e g : Z → W tali che


(5.6) f (X) ⊆ domg = Z,
la funzione composta di g ed f , denotata con la scrittura g ◦ f , è la funzione
g ◦ f : X −→ W
(5.7)
x 7−→ g(f (x)).
Le funzioni f e g sono dette, rispettivamente, componente interna e componente esterna della funzione
composta g ◦ f .
Osservazione 1.62. La condizione (5.6) nella Definizione 1.61 serve ad assicurare che g ◦ f definita
su tutto l’insieme domf , si deve verificare che

(5.8) dom g ◦ f = domf.
Si rileva esplicitamente che, qualora la condizione (5.6) non sia soddisfatta, il dominio più grande
(rispetto alla relazione d’ordine insiemistica) su cui la funzione composta di g ed f è definibile è l’insieme
A = {x ∈ X : f (x) ∈ domg} ⊂ X.
Se A ̸= ∅ –quindi A è un sottoinsieme proprio di X– la funzione g ◦ f è

g ◦ f : A −→ W
(5.9)
x 7−→ g(f (x)),
ossia g ◦ f = g ◦ f|A .
Il prossimo esempio evidenzia la motivazione della denominazione di componente interna e com-
ponente esterna della funzione composta g ◦ f per le funzioni f e g rispettivamente. Anche qualora
X = Y = Z = W , la funzione composta g ◦ f definita dalla (5.7) nella Definizione 1.61 è –fatte rare
eccezioni– diversa infatti dalla funzione f ◦ g.
Esempio 1.63. Sia X = {1, 2, 3}. Siano f : X → X e g : X → X le funzioni
 
2
 se x = 1 3
 se x = 1
(5.10) f (x) = 1 se x = 2 e g(x) = 2 se x = 2 .
 
3 se x = 3 1 se x = 3
 

Le funzioni composte f ◦ g e g ◦ f sono ben definite in X. Inoltre,


f ◦ g ̸= g ◦ f.
Infatti,
 
2
 se x = 1 3
 se x = 1
(g ◦ f ) (x) = 3 se x = 2 e (f ◦ g) (x) = 1 se x = 2 .
 
1 se x = 3 2 se x = 3
 

Si osservi ora, che una funzione f : X → Y associa ad ogni punto del dominio X uno ed un solo
elemento f (x) dell’insieme d’arrivo Y (cfr. Definizione 1.55). Nulla, a priori, vieta dunque che due punti
distinti del dominio abbiano la stessa immagine oppure che alcuni punti dell’insieme Y non siano immagine
tramite f di qualche elemento del dominio X. La negazione di ciascuna di queste due eventualità esprime
proprietà addizionali che una funzione può o meno verificare, e motiva le seguenti
Definizioni 1.64. Sia f : X → Y . Allora
(i) f è iniettiva quando per ogni x1 , x2 ∈ X con x1 ̸= x2 si ha che f (x1 ) ̸= f (x2 );
(ii) f è suriettiva quando f (X) = Y ;
(iii) f è biiettiva, o è una biiezione, quando è sia iniettiva sia suriettiva.
Osservazioni 1.65. (I) È immediato verificare che per una funzione l’iniettività può esser caratte-
rizzata come seguente:
5. FUNZIONI DEFINITE ED A VALORI IN INSIEMI ARBITRARI 27

“una funzione f : X → Y è iniettiva se, e soltanto se, per ogni x1 , x2 ∈ X vale la


seguente implicazione:
f (x1 ) = f (x2 ) =⇒ x1 = x2 .”
In termini atecnici, una funzione f : X → Y è iniettiva quando le immagini di elementi diversi del dominio
sono elementi diversi del codominio. Conseguentemente, per ogni y ∈ f (X) esiste uno ed un solo punto
x ∈ X tale che f (x) = y.
Evidentemente, affinché f sia iniettiva, il ‘numero’ degli elementi costituenti l’insieme d’arrivo dovrà
essere maggiore od uguale al ‘numero’ degli elementi costituenti il dominio di f . Tale condizione è ne-
cessaria per l’iniettività di una funzione, ma non sufficiente. A mo’ di esempio, si consideri X = {1, 2} e
Y = {3, 4}. La funzione f : X → Y definita ponendo f (1) = f (2) = 4 non è iniettiva.
(II) In termini atecnici, una funzione è suriettiva quando ogni elemento del codominio della funzione
è immagine di qualche elemento –non necessariamente unico– del dominio della funzione. Pertanto, se
f : X → Y è suriettiva allora per ogni y ∈ Y esiste almeno un punto x ∈ X tale che f (x) = y.
Evidentemente, affinché f sia suriettiva allora il ‘numero’ degli elementi costituenti l’insieme d’arrivo
deve essere necessariamente minore od uguale al ‘numero’ degli elementi costituenti il dominio di f . Tale
condizione è necessaria per la suriettività di una funzione, ma non sufficiente. A mo’ di esempio si consideri
X = {1, 2, 3} e Y = {4, 5, 6}. La funzione f : X → Y definita ponendo f (1) = f (2) = 4 e f (3) = 5 non è
suriettiva.

Esempi 1.66. (I) Siano X e Y due insiemi non vuoti, tali che X ⊆ Y . La funzione
jX : X −→ Y
(5.11)
x 7−→ x
è detta immersione di X in Y . Essa è banalmente iniettiva, mentre è suriettiva se, e soltanto se, X = Y .
Quando X = Y , la funzione (5.11) è detta funzione identità in X, ed è denotata con la scrittura IX ,
i.e.,
IX : X −→ X
(5.12)
x 7−→ x.

(II) Sia X un insieme non vuoto, e sia ∼ una relazione di equivalenza su X. La funzione
X
π∼ : X −→
(5.13) ∼
x −
7 → [x]∼
X
è detta proiezione di X sull’insieme quoziente . Essa è suriettiva (cfr. Osservazione 1.31, pag. 16),
∼R
mentre è iniettiva se, e soltanto se, ∼ è l’uguaglianza su X.
(III) Siano X e Y due insiemi non vuoti. Le funzioni

πX : X × Y −→ X
(5.14)
(x, y) 7−→ x
e
πY : X × Y −→ Y
(5.15)
(x, y) 7−→ y
sono dette, rispettivamente, proiezione sul primo fattore X e proiezione sul secondo fattore Y del prodotto
cartesiano X × Y . Esse sono chiaramente suriettive, ma in generale non iniettive.
I prossimi due risultati esprimono delle condizioni sufficienti affinché la funzione composta di due
funzioni sia iniettiva e suriettiva, rispettivamente.
Proposizione 1.67. Siano f : X → Y e g : Z → W tali che f (X) ⊆ Z.
(i) Se f e g sono iniettive, allora g ◦ f è iniettiva.
(ii) Se g ◦ f è iniettiva, allora f è iniettiva.
28 1. NOZIONI PRELIMINARI

Dimostrazione. (i) Per ogni x1 , x2 ∈ X con x1 ̸= x2 , l’iniettività di f assicura che f (x1 ) ̸= f (x2 ).
Di qui, in quanto f (X) ⊆ Z e g è iniettiva, si ha che g (f (x1 )) ̸= g (f (x2 )). La funzione g ◦ f è quindi
iniettiva.
(ii) Sia g ◦ f iniettiva. Se, per assurdo, f non fosse iniettiva, esisterebbero almeno due punti distinti
x1 , x2 ∈ X tali che f (x1 ) = f (x2 ). Allora
(g ◦ f )(x1 ) = g (f (x1 )) = g (f (x2 )) = (g ◦ f )(x2 ),
il che contraddirebbe l’iniettività di g ◦ f . Ciò prova che la f deve essere necessariamene iniettiva. □
Proposizione 1.68. Siano f : X → Y e g : Y → W .
(i) Se f e g sono suriettive, allora g ◦ f è suriettiva.
(ii) Se g ◦ f è suriettiva, allora g è suriettiva.
Dimostrazione. (i) Se f è suriettiva, f (X) = Y . Se g è suriettiva,
(g ◦ f ) (X) = g (f (X)) = g(Y ) = W.
(ii) Se g ◦ f è suriettiva, g deve essere necessariamente suriettiva. Se cosı̀ non fosse si avrebbe infatti che
(g ◦ f )(X) = g (f (X)) ⊆ g (Y ) ⊂ W,
in contraddizione con la suriettività di g ◦ f . □
Focalizziamo ora sulle funzioni biiettive. Assegnata una funzione f : X → Y biiettiva, ogni elemento
y dell’insieme Y è immagine di un elemento x ∈ X, in quanto f è suriettiva. Tale elemento x ∈ X è
unico, essendo f anche iniettiva.
Ad ogni funzione biiettiva f da X in Y risulta automaticamente associata una funzione da Y in X,
che viene detta funzione inversa di f e denotata con la scrittura f −1 , che ad ogni elemento y dell’insieme
Y associa quell’unico elemento x ∈ X di cui è immagine tramite la funzione f . Tali considerazioni sono
formalizzate dal seguente
Teorema 1.69. Se f : X → Y è una funzione biiettiva, allora esiste una ed una sola funzione,
definita in Y ed a valori in X e denotata con f −1 , verificante le seguenti due condizioni
f −1 ◦ f (x) = x

(5.16) per ogni x ∈ X,

f ◦ f −1 (y) = y

(5.17) per ogni y ∈ Y.

La funzione f −1 : Y → X è detta funzione inversa di f .


Dimostrazione. Se f : X → Y è biiettiva, allora per ogni y ∈ Y esiste uno ed un solo elemento
x̄ ∈ X tale che f (x̄) = y (cfr. Osservazioni 1.65, pag. 26) . Conseguentemente, la funzione
f −1 : Y −→ X
(5.18)
y 7−→ x̄
è ben definita e verifica le condizioni (5.16) e (5.17).
Rimane da provare che tale funzione è l’unica a verificare le proprietà (5.16) e (5.17). A tal fine, si
osserva che se una funzione g : Y → X verifica, al pari di f −1 , le condizioni (5.16) e (5.17) – sostituendo
f −1 con g nelle condizioni (5.16) e (5.17)–, allora
g(y) = g f ◦ f −1 (y) = (g ◦ f ) f −1 (y) = f −1 (y)
  
(5.19) per ogni y ∈ Y.
Pertanto, per la Definizione 1.58, le (5.18) e (5.19) assicurano che g = f −1 . □
Osservazione 1.70. Avvalendosi delle funzioni identità degli insiemi X e Y e della Definizione 1.58,
pag. 25), le condizioni (5.16) e (5.17) del Teorema 1.69 si possono formulare equivalentemente
(5.20) f −1 ◦ f = IX ,

(5.21) f ◦ f −1 = IY .
Il Teorema 1.69 assicura quindi che comunque si consideri una funzione biettiva f : X → Y ad essa è
univocamente associata una funzione definita in Y ed a valori in X, detta funzione inversa di f e denotata
con la scrittura f −1 , verificante le condizioni (5.20) e (5.21).
7. LEGGI DI COMPOSIZIONE INTERNA SU UN INSIEME 29

Corollario 1.71. Se f : X → Y è biiettiva, allora la funzione inversa f −1 : Y → X è biiettiva, e


−1 −1
(f ) = f .
Osservazione 1.72. Assegnata una funzione f : X → Y , se f è iniettiva, essa è chiaramente suriettiva
sull’insieme f (X) definito dalla (5.3). Pertanto, nella definizione di funzione biiettiva, l’aggiungere alla
condizione di iniettività quella di suriettività serve ad assicurare che l’insieme d’arrivo Y coincida con
f (X).
Ciò porta molti autori ad introdurre la nozione di funzione f : X → Y invertibile, affermando che
una funzione è invertibile quando è iniettiva.
Per quanto i due ‘attributi’ iniettiva ed invertibile vengano ad identificare una stessa proprietà della
funzione (quella di associare ad elementi distinti del dominio valori distinti dell’insieme d’arrivo), l’at-
tributo ‘invertibile’ volge ad enfatizzare il problema della determinazione dell’insieme immagine f (X) di
una funzione f iniettiva su un insieme X.
Una volta che l’insieme immagine f (X) è però determinato, il Teorema 1.69 assicura l’invertibi-
lità della funzione assegnata, intendendo in tal senso l’esistenza e l’unicità della sua funzione inversa
f −1 : f (X) → X. Tale funzione per il Corollario 1.71 è una biiezione, e la sua inversa coincide con la
funzione f .

6. Insiemi equipotenti
La nozione di funzione biiettiva consente di introdurre in una famiglia di insiemi non vuoti una
relazione di equivalenza, volta ad identificare insiemi costituiti da uno stesso ‘numero’ di elementi. Ciò
consentirà, una volta introdotto l’insieme N dei numeri naturali (§ 1, Cap. 3, pag. 51), di fornire la nozione
di insieme finito, insieme infinito numerabile ed insieme infinito non numerabile (§ 2, Cap. 3, pag. 57).
Definizione 1.73. Due X e Y insiemi non vuoti X e Y sono equipotenti, o hanno la stessa cardinalità,
quando esiste una funzione biiettiva h : X → Y .
Osservazione 1.74. Se F è una famiglia di insiemi non vuoti, ad esempio F = P(A) \ {∅}, con
A ̸= ∅, la relazione ∼C d’equipotenza
def
X ∼C Y ⇐⇒ X, Y ∈ F sono equipotenti
è una relazione di equivalenza su F.
Infatti, assegnati arbitrariamente X, Y, Z ∈ F, la relazione ∼C è riflessiva, in quanto la funzione la
funzione identità IX in X (cfr. (5.12)) è banalmente iniettiva e suriettiva.
La relazione ∼C è anche simmetrica. Infatti, se X ∼C Y , allora esiste una biiezione h : X → Y . Per
il Corollario 1.71 la funzione inversa h−1 : Y → X è ancora una biiezione. Pertanto, Y ∼C X.
Per dimostrare che ∼C è transitiva, è sufficiente osservare che, quando ben definita, la funzione
composta di due funzione biiettive è una biiezione. Infatti, se X ∼C Y e Y ∼C Z, allora esiste due
biiezioni h : X → Y e H : Y → Z. La funzione composta H ◦ h è pertanto ben definita ed è una biiezione
da X in Z. Quindi, X ∼C Z.
Pertanto, per il Teorema 1.32, la collezione F è ripartita dalla relazione di equipollenza in classi di
equivalenza, e due insiemi appartenenti alla stessa classe hanno la stessa cardinalità.
La Definizione 1.73 e la nozione di sottoinsieme proprio di un dato insieme (cfr. Definizioni 1.5,
pag. 9) rendono ben posta la seguente
Definizione 1.75. Un insieme non vuoto X ha cardinalità strettamente maggiore di quella di un
insieme non vuoto Y quando esiste un sottoinsieme proprio A di X tale che A ∼C Y .
Si vedrà che un insieme finito ha sempre cardinalità strettamente maggiore di quella di un suo
sottoinsieme proprio.
Tale conclusione non si estende ai sottoinsiemi infiniti. Un esempio notevole (cfr. § 3.1, Cap. 3,
pag. 58) è fornito dall’insieme N dei numeri naturali. L’insieme A = {2n : n ∈ N} dei numeri pari è un
sottoinsieme proprio di N ad esso equipotente. La funzione f : N → A, ove f (n) = 2n, è biiettiva.

7. Leggi di composizione interna su un insieme


Definizione 1.76. Una legge di composizione interna (o operazione (binaria)) su un insieme X ̸= ∅
è una funzione ⊕ : X × X → X, definita sul prodotto cartesiano X × X ed a valori in X.
30 1. NOZIONI PRELIMINARI

Convenzione 1.77. Se ⊕ è una legge di composizione interna su un insieme X ̸= ∅, l’immagine


tramite ⊕ della coppia ordinata (x, y) ∈ X × X è semplicemente denotata con la scrittura
x ⊕ y.
Osservazione 1.78. Alla luce della Convenzione 1.77, risulta ora chiara la denominazione del § 2,
pag. 9. Assegnato un insieme non vuoto X, l’unione insiemistica, l’intersezione insiemistica, la differenza
insiemistica e la differenza simmetrica sono, infatti, operazioni sull’insieme P(X) delle parti di X.
Definizione 1.79. Assegnata una legge di composizione interna ⊕ su un insieme su un insieme
X ̸= ∅, un elemento ø ∈ X è detto un elemento neutro rispetto all’operazione ⊕ quando
(7.1) x⊕ø=ø⊕x=x per ogni x ∈ X.
Il prossimo risultato evidenzia che, se un’operazione su un insieme X ammette un elemento neutro,
esso è unico.
Proposizione 1.80. Un’operazione ⊕ su un insieme X ̸= ∅ è dotata al più di un elemento neutro.
Dimostrazione. Se ø ed Ø sono elementi neutri per ⊕, allora
x⊕ø=ø⊕x=x e Ø⊕x=x⊕Ø=x per ogni x ∈ X.
Conseguentemente,
ø = ø ⊕ Ø = Ø. □

Osservazione 1.81. Sull’insieme P(X), con X ̸= ∅, l’elemento neutro dell’unione ∪ e della diffe-
renza simmetrica △ è l’insieme vuoto, mentre l’elemento neutro dell’intersezione ∩ è l’insieme X (cfr.,
rispettivamente, (vi) nella Proposizione 1.13, (iii) nella Proposizione 1.19 e (iv) nella Proposizione 1.15).
La differenza insiemistica \ è, invece, un’operazione sull’insieme P(X) che non ammette elemento
neutro.
La Definizione 1.76 induce immediatamente a porsi il seguente interrogativo:
se su un insieme X ̸= ∅ è assegnata una legge di composizione interna ⊕, comunque si
prendano tre elementi x, y, z in X
?
(7.2) (x ⊕ y) ⊕ z = x ⊕ (y ⊕ z) .

La (III) delle Osservazioni 1.18, pag. 12, evidenzia che la risposta non è necessariamente affermativa.
La differenza insiemistica sulla collezione delle parti di un insieme X costituito da almeno due elementi
non verifica, infatti, la (7.2).
Tale constatazione motiva la seguente
Definizione 1.82. Un’operazione ⊕ su un insieme non vuoto X ̸= ∅ è associativa quando
(7.3) (x ⊕ y) ⊕ z = x ⊕ (y ⊕ z) per ogni x, y, z ∈ X.
Osservazione 1.83. Per ogni insiemeX ̸= ∅, l’unione ∪, l’intersezione ∩, e la differenza simmetrica
△ sono operazioni associative sull’insieme P(X) delle parti di X (cfr. (iii) nelle Proposizioni 1.13 e 1.15
e (ii) nella Proposizione 1.19, rispettivamente).
Definizione 1.84. Assegnata una legge di composizione interna ⊕ su un insieme X ̸= ∅, dotata di
elemento neutro ø, un elemento inverso di x ∈ X (rispetto a ⊕) è un elemento x′ ∈ X verificante la
seguente proprietà
x ⊕ x′ = x′ ⊕ x = ø.
Il prossimo risultato evidenzia che, quando un’operazione su un insieme X è associativa e dotata di
elemento neutro, se un elemento x ∈ X ammette in elemento inverso, esso è unico.
Proposizione 1.85. Sia ⊕ un’operazione su un insieme X ̸= ∅, dotata di elemento neutro ø ed
associativa.
Se un elemento x ∈ X ammette inverso rispetto a ⊕, esso è unico.
7. LEGGI DI COMPOSIZIONE INTERNA SU UN INSIEME 31

Dimostrazione. Siano x′ ed x′′ due elementi inversi di un elemento x ∈ S. Allora


x ⊕ x′ = x′ ⊕ x = ø e x ⊕ x′′ = x′′ ⊕ x = ø.
Di qui, facendo uso della (7.1) e dell’associatività di ⊕, si deduce che
x′ = x′ ⊕ ø = x′ ⊕ (x ⊕ x′′ ) = (x′ ⊕ x) ⊕ x′′ = ø ⊕ x′′ = x′′ . □
Osservazioni 1.86. Si consideri l’insieme P(X), con X ̸= ∅.
(i) Ogni sottoinsieme A di X ammette inverso rispetto alla differenza simmetrica ∆ su P(X), che
è unico per la Proposizione 1.85 e per le Osservazioni 1.81 e 1.83 e coincide con A stesso (cfr.
(iv) nella Proposizione 1.19).
(ii) Ogni sottoinsieme non vuoto A di X non ammette inverso rispetto all’unione. Basta osservare
che, per ogni A, B ∈ P(X), si ha che A ∪ B = ∅ se, e soltanto se, A = B = ∅.
(iii) Ogni sottoinsieme di X, diverso da X, non ammette inverso rispetto all’intersezione. Basta
osservare che, per ogni A, B ∈ P(X), si ha che A ∩ B = X se, e soltanto se, A = B = X.
Per ogni x, y ∈ X, con x ̸= y, le coppie ordinate (x, y) e (y, x) sono elementi distinti dell’insieme
X × X. Ha dunque senso chiedersi:
se su un insieme X ̸= ∅ è assegnata una legge di composizione interna ⊕, comunque si
prendano due elementi distinti x e y in X
?
(7.4) x ⊕ y = y ⊕ x.
La (IV) delle Osservazioni 1.18, pag. 12, evidenzia che la risposta non è necessariamente affermativa.
La differenza insiemistica sulla collezione delle parti di un insieme X costituito da almeno due elementi
non verifica, infatti, siffatta proprietà.
Definizione 1.87. Un’operazione ⊕ su un insieme X ̸= ∅ è commutativa quando
(7.5) x⊕y =y⊕x per ogni x, y ∈ X.
Esempi 1.88. Sull’insieme P(X), con X ̸= ∅, le operazioni ∪, ∩ e △ sono commutative (cfr. (ii)
nelle Proposizioni 1.13 e 1.15, e (i) nella Proposizione 1.19).
Concludiamo questo capitolo con alcune definizioni che saranno utili nel seguito della trattazione
Definizioni 1.89. Una coppia (G, ⊕) costituita da un insieme non vuoto G e da una legge di
composizione interna ⊕ : G × G → G su G è detta un gruppo quando sono verificate le seguenti proprietà:
(i) ⊕ è associativa,
(ii) ⊕ è dotata di elemento neutro,
(iii) ogni x ∈ G ammette inverso rispetto a ⊕.
Un gruppo (G, ⊕) è detto commutativo (o abeliano) quando
(iv) ⊕ è commutativa.
Osservazioni 1.90. Se (G, ⊕) è un gruppo, allora
(a) l’elemento neutro è unico, per la Proposizione 1.80;
(b) ogni x ∈ G ammette un unico inverso rispetto a ⊕, per la Proposizione 1.85.

Esempio 1.91. Siano X = {1, 2, 3} e G = {f : X → X : f biiettiva}. Allora (G, ◦), ove ◦ è l’operazione
di composizione di funzioni di G, è un gruppo non commutativo.
Si osservi in primis che la (i) nelle Proposizioni 1.67 e 1.68 assicurano che la funzione
◦ : (g, f ) 7→ g ◦ f per ogni (g, f ) ∈ G × G,
è un’operazione su G.
L’operazione ◦ è associativa, ed è dotata di elemento neutro, che è la funzione identità in X.
Ogni elemento di G ammette inverso rispetto all’operazione di composizione ◦, come illustrato dal
Teorema 1.69. Per ogni funzione f ∈ G, infatti, l’inverso rispetto a ◦ è la sua funzione inversa f −1 , e
f −1 ∈ G. Ciò prova che (G, ◦) è un gruppo.
Il fatto che (G, ◦) sia un gruppo non commutativo, segue dall’Esempio 1.63, una volta osservato che
le funzioni f e g della (5.10) appartengono all’insieme G.
32 1. NOZIONI PRELIMINARI

Esempio 1.92. Per ogni insieme non vuoto X, (P(X), △) è un gruppo commutativo.
Basta tener conto delle Osservazioni 1.83 e 1.81, e dalla (i) delle Osservazioni 1.86.
Definizione 1.93. Assegnato un insieme non vuoto S ed una legge di composizione interna ⊕ :
S × S → S, un sottoinsieme T non vuoto di S si dice chiuso rispetto ad ⊕ quando
x⊕y ∈T per ogni x, y ∈ T.
Infine
Definizioni 1.94. Una terna (H, ⊕, ⊙) costituita da un insieme non vuoto H e da due leggi di
composizione interna ⊕ : H × H → H e ⊙ : H × H → H su H, dette rispettivamente addizione e
moltiplicazione del campo H, è detta un campo quando sono soddisfatti i seguenti ‘assiomi (A), (M) e
(D) di campo algebrico’

(A) Assiomi per l’addizione (i.e., (H, ⊕) è un gruppo commutativo):


(A1 ) l’addizione è commutativa, i.e.,
x⊕y =y⊕x per ogni x, y ∈ H;
(A2 ) l’addizione è associativa, i.e.,
(x ⊕ y) ⊕ z = x ⊕ (y ⊕ z) per ogni x, y, z ∈ H;
(A3 ) l’addizione è dotata di un (unico) elemento neutro, denotato con 0⊕ e detto zero, i.e.,
x ⊕ 0⊕ = 0⊕ ⊕ x = x per ogni x ∈ H;
(A4 ) ogni x ∈ H ha un (unico) inverso rispetto all’addizione, denotato con x′ e detto opposto
di x, i.e.,
x ⊕ x′ = x′ ⊕ x = 0⊕ per ogni x ∈ H;

(M) Assiomi per la moltiplicazione:


(M1 ) la moltiplicazione è commutativa, i.e.,
x⊙y =y⊙x per ogni x, y ∈ H;
(M2 ) la moltiplicazione è associativa, i.e.,
(x ⊙ y) ⊙ z = x ⊙ (y ⊙ z) per ogni x, y, z ∈ H;
(M3 ) la moltiplicazione è dotata di un (unico) elemento neutro, diverso da zero, denotato con
1⊙ e detto unità di H, i.e.,
1⊙ ∈ H \ {0⊕ },
x ⊙ 1⊙ = 1⊙ ⊙ x = x per ogni x ∈ H;
(M4 ) ogni x ∈ H \ {0⊕ } ha un (unico) inverso rispetto alla moltiplicazione, detto reciproco di x
e denotato con x−1 , i.e.,
x ⊙ x−1 = x−1 ⊙ x = 1⊙ per ogni x ∈ H \ {0⊕ };

(D) Legge distributiva della moltiplicazione rispetto alla somma, ossia


(x ⊕ y) ⊙ z = x ⊙ z ⊕ y ⊙ z per ogni x, y, z ∈ H.

Osservazioni 1.95. Se (H, ⊕, ⊙) è un campo, allora


(a) l’elemento neutro dell’addizione ⊕ è unico, per la Proposizione 1.80; è denotato con la scrittura
0⊕ ed è detto zero di H;
(a’) l’elemento neutro della moltiplicazione ⊙ è unico, per la Proposizione 1.80; è denotato con la
scrittura 1⊙ ed è detto unità di H;
(b) ogni x ∈ H ammette un unico inverso rispetto all’addizione ⊕, per la Proposizione 1.85 ed è
detto opposto di x;
7. LEGGI DI COMPOSIZIONE INTERNA SU UN INSIEME 33

(b’) ogni x ∈ H \ {0⊕ } ammette un unico inverso rispetto alla moltiplicazione ⊙, per la Proposizio-
ne 1.85 ed è detto reciproco di x.
CAPITOLO 2

Numeri reali

Nel presente capitolo si introduce il sistema algebrico dei numeri reali, avvalendosi di uno schema
assiomatico anziché costruttivo.
Il metodo assiomatico consiste nel precisare senza ambiguità i presupposti, da non cambiare o mo-
dificare durante l’elaborazione dei dati o della teoria, e nel dedurre da tali presupposti, in modo logico
e coerente, il maggior numero di informazioni possibili. I presupposti sono in un certo senso ‘le regole
del gioco’, che potrebbero essere anche diverse, ma che una volta iniziato il gioco, non possono esser più
cambiate. Tali presupposti sono appunto detti assiomi.

1. Definizione assiomatica di R
Avvalendosi delle nozioni e dei risultati esposti nei §§ 3–4 e 7 del Cap. 1 si fornisce la seguente
Definizione 2.1. Il sistema algebrico dei numeri reali è una quaterna (R, +, ·, ≤) costituita da un
insieme non vuoto R, da due leggi di composizione interna, dette rispettivamente addizione e moltipli-
cazione e denotate con la scrittura + e · , e da una relazione d’ordine totale ≤, verificanti le seguenti
proprietà
(I) (R, +, ·) è un campo, cioè sono soddisfatti i seguenti ‘assiomi (A), (M) e (D) di campo algebrico’
(A) Assiomi per l’addizione:
(A1 ) l’addizione è commutativa, i.e.,
a+b=b+a per ogni a, b ∈ R;
(A2 ) l’addizione è associativa, i.e.,
(a + b) + c = a + (b + c) per ogni a, b, c ∈ R;
(A3 ) l’addizione è dotata di un (unico) elemento neutro, denotato con 0 e detto zero, i.e.,
a+0=0+a=a per ogni a ∈ R;
(A4 ) ogni a ∈ R ha un (unico) inverso rispetto all’addizione, denotato con −a e detto opposto
di a, i.e.,
a + (−a) = (−a) + a = 0 per ogni a ∈ R;

(M) Assiomi per la moltiplicazione:


(M1 ) la moltiplicazione è commutativa, i.e.,
a·b=b·a per ogni a, b ∈ R;
(M2 ) la moltiplicazione è associativa, i.e.,
(a · b) · c = a · (b · c) per ogni a, b, c ∈ R;
(M3 ) la moltiplicazione è dotata di un (unico) elemento neutro, diverso da zero, denotato con 1
e detto uno, i.e.,
1 ∈ R \ {0},
a·1=1·a=a per ogni a ∈ R;
(M4 ) ogni a ∈ R \ {0} ha un (unico) inverso rispetto alla moltiplicazione, detto reciproco di a e
denotato con a−1 o con a1 , i.e.,
a · a−1 = a−1 · a = 1 per ogni a ∈ R \ {0};

35
36 2. NUMERI REALI

(D) Legge distributiva della moltiplicazione rispetto alla somma, ossia


(a + b) · c = a · c + b · c per ogni a, b, c ∈ R;

(II) (R, +, ·, ≤) è un campo totalmente ordinato, cioè vale la (I) e


(ii1 ) per ogni a, b ∈ R, se a ≤ b, allora
a+c≤b+c per ogni c ∈ R;
(ii2 ) per ogni a, b ∈ R, se a ≤ b, allora
a·c≤b·c per ogni c ∈ R, con c ≥ 0;

(III) l’insieme totalmente ordinato (R, ≤) è completo, ossia


(iii1 ) per ogni sottoinsieme non vuoto A di R, che è limitato inferiormente, esiste l’ inf A;
R
(iii2 ) per ogni sottoinsieme non vuoto A di R, che è limitato superiormente, esiste il sup A.
R

Osservazioni 2.2. (I) Le proprietà (ii1 ) e (ii2 ) si compendiano dicendo che ‘la relazione d’ordine
totale ≤ è compatibile con le operazioni d’addizione e di moltiplicazione’, stabilendo come interagisce la
relazione d’ordine totale con le operazioni algebriche (addizione e moltiplicazione per un numero maggiore
o uguale a zero) del campo R.
Le proprietà (I), (II) e (III) si riassumono affermando che (R, +, ·, ≤) è un campo algebrico totalmente
ordinato e completo.
Alla luce delle Proposizioni 1.80 e 1.85, la (A3 ) postula l’esistenza e l’unicità dell’elemento neutro
rispetto all’addizione, che viene detto zero ed è denotato con 0, mentre la (A4 ) garantisce, per ogni
elemento a ∈ R, l’esistenza e l’unicità del suo simmetrico rispetto all’addizione, che viene detto opposto
di a ed è denotato con la scrittura −a.
Sempre in virtù delle Proposizioni 1.80 e 1.85, la (M3 ) postula l’esistenza e l’unicità dell’elemento
neutro rispetto alla moltiplicazione in R \ {0}, che viene detto uno ed è denotato con 1, mentre la (M4 )
garantisce, per ogni elemento a ∈ R con a ̸= 0, l’esistenza e l’unicità del suo simmetrico rispetto alla
1
moltiplicazione, che viene detto reciproco di a ed è denotato con la scrittura a−1 o con la scrittura .
a
(II) La proprietà (M3 ) esclude che il gruppo commutativo (R, +), e di qui l’intero campo algebrico
(R, +, ·, ≤) totalmente ordinato e completo si riduca all’insieme {0}.
(III) Il sistema algebrico dei numeri reali è ‘ il ’ campo algebrico totalmente ordinato e completo (R, +, ·, ≤)
definito assiomaticamente dalla Definizione 2.1.
L’articolo determinativo ‘il’ trae la sua motivazione dal fatto che tutti i campi algebrici totalmente
ordinati e completi risultano tra di loro identificabili, rispetto alla relazione (che è di equivalenza) definita
richiedendo, assegnati due campi algebrici totalmente ordinati e completi (R, +, ·, ≤) e (R∗ , +∗ , ·∗ , ≤∗ ),
l’esistenza di una funzione

Φ : R −→ R∗
(1.1)
a 7−→ a∗
verificante le seguenti proprietà:
(1.2) Φ è biiettiva;
(1.3) Φ (0) = 0∗ e Φ (1) = 1∗ ;
(1.4) Φ (a + b) = Φ(a) +∗ Φ(b) per ogni a, b ∈ R;
(1.5) Φ (a · b) = Φ(a) ·∗ Φ(b) per ogni a, b ∈ R;
(1.6) a ≤ b ⇐⇒ Φ(a) ≤∗ Φ(b) per ogni a, b ∈ R.
Un’applicazione Φ : R → R∗ verificante le proprietà (1.2)-(1.6) è detta un isomorfismo tra i campi
totalmente ordinati e completi (R, +, ·, ≤) e (R∗ , +∗ , ·∗ , ≤∗ ).
1. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI R 37

(IV) La sola richiesta delle proprietà (I)-(II) (che si compendiano nella richiesta di essere un campo
totalmente ordinato) non caratterizzerebbero la struttura algebrica dei numeri reali.
L’insieme Q dei numeri razionali (cfr. pagg. 67–70), munito delle operazioni di addizione e moltipli-
cazione ereditate da R, è infatti un campo algebrico totalmente ordinato.
È l’ulteriore requisito di esistenza dell’estremo superiore di ogni insieme non vuoto limitato supe-
riormente (e conseguentemente dell’estremo inferiore di ogni insieme non vuoto limitato inferiormente),
espresso dalla condizione (III), che determina la caratterizzazione del sistema algebrico dei numeri reali
espressa dalla osservazione (III) precedente. Il campo algebrico totalmente ordinato dei numeri razionali,
infatti, non verifica tale proprietà, come evidenziato dal Teorema 3.47, pag. 68.
Occorre ora evidenziare che dalla Definizione 2.1 si deducono le ben familiari proprietà algebriche dei
numeri reali.
Facendo uso degli assiomi (I) nella Definizione 2.1 si dimostra
Proposizione 2.3.
(a) −(−a) = a per ogni a ∈ R;
(b) per ogni a, b, c ∈ R,
a+c=b+c ⇐⇒ a = b;
(c) per ogni a, b ∈ R e per ogni c ∈ R \ {0},
a·c=b·c ⇐⇒ a = b;
(d) a · 0 = 0 per ogni a ∈ R;
(e) per ogni a, b ∈ R,
a·b=0 ⇐⇒ a=0 oppure b=0 (legge di annullamento del prodotto);
(f) per ogni a, b ∈ R,
a · b ̸= 0 ⇐⇒ a ̸= 0 e b ̸= 0;
−1
(g) a ̸= 0 per ogni a ∈ R \ {0};
−1 −1
(h) (a ) =a per ogni a ∈ R \ {0};
(i) −a = (−1) · a per ogni a ∈ R;
(l) a ̸= 0 se, e soltanto se, −a ̸= 0;
(m) −(a + b) = (−a) + (−b) per ogni a, b ∈ R;
(n) −(a · b) = (−a) · b = a · (−b) per ogni a, b ∈ R;
(o) a · b = (−a) · (−b) per ogni a, b ∈ R;
(p) (−a)−1 = −a−1 per ogni a ∈ R \ {0};
−1 −1 −1
(q) (a · b) =a ·b per ogni a, b ∈ R \ {0};
(r) per ogni a, b ∈ R e per ogni c, d ∈ R \ {0},
a b a·d+b·c
+ = ;
c d c·d
(s) per ogni a, b ∈ R e per ogni c, d ∈ R \ {0},
a b a·b
· = .
c d c·d
Dimostrazione.
(a) Sia a ∈ R. Poiché
(−a) + a = 0,
(−a) + [−(−a)] = 0,
la tesi segue dall’unicità dell’opposto dell’elemento −a ∈ R.
(b) Occorre provare che, per ogni a, b, c ∈ R,
a+c=b+c =⇒ a = b,
38 2. NUMERI REALI

essendo l’implicazione inversa ovvia per la (ii1 ) nella Definizione 2.1.


Se a + c = b + c, facendo uso della (A) nella Definizione 2.1 si ricava che
a = a + 0 = a + (c + (−c)) = (a + c) + (−c)
= (b + c) + (−c) = b + (c + (−c)) = b.
(c) Occorre provare che per ogni a, b, c ∈ R,
a·c=b·c =⇒ a=b per c ̸= 0,
essendo l’implicazione inversa ovvia per la (ii2 ) nella Definizione 2.1.
Se a · c = b · c, con c ̸= 0, facendo uso della (M) nella Definizione 2.1 si deduce che
a = a · 1 = a · (c · c−1 ) = (a · c) · c−1
= (b · c) · c−1 = b · (c · c−1 ) = b.
(d) Si osserva che, per le (i3 ) e la (D) nella Definizione 2.1, per ogni a ∈ R,
a · 0 = a · (0 + 0) = (a · 0) + (a · 0).
Poiché
a · 0 = (a · 0) + 0,
la tesi segue dall’unicità dell’elemento neutro rispetto all’addizione.
(e) Occorre provare che, per ogni a, b ∈ R
a·b=0 =⇒ a=0 oppure b = 0,
essendo l’implicazione inversa garantita dalla (d).
Se a · b = 0 e a ̸= 0, allora, per la (M) nella Definizione 2.1 e la (d),
b = b · 1 = b · (a · a−1 ) = (b · a) · a−1 = 0 · a−1 = 0.
Analogamente, se a · b = 0 e b ̸= 0, allora
a = a · 1 = a · (b · b−1 ) = (a · b) · b−1 = 0 · b−1 = 0.

(f) Segue immediatamente dalla (e) applicando le leggi di De Morgan.


(g) Sia a ∈ R, con a ̸= 0. Allora per la (M) (cfr. (M4 ) nella Definizione 2.1 esiste un unico reciproco
a−1 ∈ R di a. Lo scopo è provare che a−1 ∈ R \ {0}. Se, per assurdo, a−1 = 0 si avrebbe che
a · a−1 = 1,
a · a−1 = a · 0 = 0,
la seconda uguaglianza per le (e). Ciò porterebbe ad affermare che 1 = 0 contraddicendo la (M3 ) nella
Definizione 2.1 che assicura che 1 ̸= 0. Per il principio aristotelico di non contraddizione, risulta quindi
provato che a−1 ̸= 0.
(h) Sia a ∈ R \ {0}. Dalla (g), a−1 ̸= 0. Allora per la (M) (cfr. (M4 )) nella Definizione 2.1 esiste un
(unico) reciproco (a−1 )−1 di a−1 . Poiché
(a−1 ) · a = 1,

(a−1 ) · [(a−1 )−1 ] = 1,


la tesi segue dall’unicità del reciproco di a−1 ∈ R \ {0}.
(i) Sia a ∈ R. Facendo uso della (d) e della (M) nella Definizione 2.1, si osserva che
0 = 0 · a = (1 + (−1))a = a + (−1)a.
Pertanto la tesi segue dall’unicità dell’opposto di a.
(l) Segue immediatamente dalla (i) e dalla (e) argomentando per assurdo.
(m) Siano a, b ∈ R. Facendo uso della (A) nella Definizione 2.1, si osserva che
0 = 0 + 0 = ((a) + (−a)) + ((b) + (−b)) = (a + b) + ((−a) + (−b)) .
Pertanto la tesi segue dall’unicità dell’opposto di a + b.
1. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI R 39

(n) Siano a, b ∈ R. Facendo uso della (d) e della (M) nella Definizione 2.1, si osserva che
 
0 = 0 · b = ((a) + (−a)) · b = a · b + (−a) · b = a · b + a · (−b) .
Pertanto la tesi segue dall’unicità dell’opposto di a · b.
(o) Segue dalle (i) ed (n) e dalla (M) nella Definizione 2.1. Infatti, se a, b ∈ R, allora
(−a) · (−b) = ((−1) · a) · (−b) = (−1) (a · (−b)) = (−1) (−a · b) = a · b.
(p) Sia a ∈ R \ {0}. Per la (l) ciò è equivalente ad affermare che −a ∈ R \ {0}. In quanto, per la (n),
(−a) · (−a−1 ) = −((−a) · a−1 ) = a · a−1 = 1,
la tesi segue dall’unicità del reciproco.
(q) Siano a, b ∈ R \ {0}. Per la (f) ciò è equivalente ad affermare che a · b ∈ R \ {0} e pertanto esiste un
(unico) reciproco (a · b)−1 . Facendo uso della (M) nella Definizione 2.1, si osserva che
(a · b) · (a−1 · b−1 ) = (a · a−1 ) · (b · b−1 ) = 1 · 1 = 1.
La tesi segue dall’unicità del reciproco.
(r) Siano a, b ∈ R e c, d ∈ R \ {0}. Per la (f), c, d ∈ R \ {0} è equivalente ad affermare che c · d ∈ R \ {0}.
Facendo uso della (q) e della (M) nella Definizione 2.1, si osserva che
     
a b a  b a d c b
+ = ·1 + 1· = · + ·
c d c d c d c d
a·d b·c a·d+b·c
= + = .
c·d c·d c·d
(s) Siano a, b ∈ R e c, d ∈ R \ {0}. Per la (f), c, d ∈ R \ {0} è equivalente ad affermare che c · d ∈ R \ {0}.
Facendo uso della (M) nella Definizione 2.1, si deduce che
a b a·b
· = (a · c−1 ) · (b · d−1 ) = (a · b) · (c−1 · d−1 ) = .
c d c·d

Osservazioni 2.4. (I) La (d) della Proposizione 2.3 evidenzia che


(1.7) non esiste il reciproco di 0 in R.
Se, infatti, esistesse, per definizione di reciproco, si dovrebbe avere che
0−1 · 0 = 1,
in contraddizione con la (d) nella Proposizione 2.3, poiché 1 ̸= 0, per l’assioma (M) (cfr. (M3 )) nella
Definizione 2.1. Di qui, la (1.7) deve essere necessariamente vera.
(II) Tenendo conto della (I) si ha che (R, ·) non è un gruppo. Va però osservato che per la (f) nella
Proposizione 2.3, l’insieme R \ {0} è chiuso rispetto alla moltiplicazione (i.e., ·|(R\{0})×(R\{0}) è una legge
di composizione interna su R \ {0}) ed è facile verificare –facendo uso della (g) nella Proposizione 2.3–
che (R \ {0}, ·|(R\{0})×(R\{0}) ) è un gruppo commutativo.
(III) Dalla Proposizione 2.3 segue che, assegnati due numeri a, b ∈ R, l’equazione
(1.8) x+a=b per x ∈ R,
ammette una ed una sola soluzione, che è
x = b − a,
mentre l’equazione
(1.9) ax = b per x ∈ R,
▷ non ammette soluzioni se a = 0 e b ̸= 0;
▷ ammette infinite soluzioni se a = 0 e b = 0, precisamente ogni x ∈ R è soluzione di (1.9);
b
▷ ammette una ed una sola soluzione se a ̸= 0 che è x = .
a
40 2. NUMERI REALI

(IV) La struttura di campo algebrico di R consente naturalmente di definire le seguenti funzioni, dette
sottrazione e divisione in R, denotate rispettivamente con − e ·/·,

− :R × R −→ R
(1.10)
(a, b) 7−→ a + (−b),

·/· : R × (R \ {0}) −→ R
(1.11)
(a, b) 7−→ a · b−1
Si osservi che la sottrazione è una legge di composizione interna in R, che non è commutativa e non è
associativa. La divisione non è commutativa e non è associativa, neanche se ristretta a (R\{0})×(R\{0}).
La Definizione 2.1 richiede, in particolare, che (R, ≤) sia un insieme totalmente ordinato. Per la legge
di tricotomia (cfr. Osservazione 1.36, pag. 18), fissando 0 ∈ R, sono ben poste le seguenti
Definizioni 2.5. Se a ∈ R, allora
▷ a è positivo quando 0 ≤ a;
▷ a è strettamente positivo quando 0 ≤ a e a ̸= 0 (in breve, a > 0 oppure 0 < a);
▷ a è negativo quando a ≤ 0;
▷ a è strettamente negativo quando a ≤ 0 e a ̸= 0 (in breve, a < 0 oppure 0 > a).
Denotati con
R+ = {a ∈ R : a > 0},
(1.12)
R− = {a ∈ R : a < 0},
R è riscrivibile come unione disgiunta nella seguente forma notevole
R = R− ∪ {0} ∪ R+ ,
i.e., la famiglia
F = {R− , {0}, R+ }
è una partizione di R.
Dall’assioma (II) nella Definizione 2.1, facendo uso della Proposizione 2.3, si ricavano le proprietà dei
numeri reali rispetto alla relazione d’ordine totale.
Proposizione 2.6.
(a) Per ogni a ∈ R,
a≥0 ⇐⇒ −a ≤ 0,
a>0 ⇐⇒ −a < 0;

(b) per ogni a, b ∈ R,


b−a≥0 ⇐⇒ a ≤ b,
b−a>0 ⇐⇒ a < b;

(c) per ogni a, b ∈ R e per ogni c < 0,


a≤b =⇒ a · c ≥ b · c;

(d) a2 = a · a ≥ 0 per ogni a ∈ R;


(e) 1 > 0;
(f) per ogni a ∈ R,
1
a>0 ⇐⇒ > 0,
a
1
a<0 ⇐⇒ < 0;
a
1. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI R 41

(g) per ogni a, b ∈ R,


a·b>0 ⇐⇒ a>0 e b>0 oppure a < 0 e b < 0,

a·b≥0 ⇐⇒ a≥0 e b≥0 oppure a ≤ 0 e b ≤ 0;

(h) per ogni a, b ∈ R,


a·b<0 ⇐⇒ a<0 e b>0 oppure a > 0 e b < 0,

a·b≤0 ⇐⇒ a≤0 e b≥0 oppure a ≥ 0 e b ≤ 0.

(i) per ogni a, b ∈ R,


1 1
0<a<b ⇐⇒ 0< <
b a
1 1
a<b<0 ⇐⇒ < < 0.
b a
Dimostrazione.
(a) Segue immediamente dalla (II) nella Definizione 2.1. Infatti, se a ≥ 0, sommando ad ambo i membri
l’opposto di a, si ricava
0 = −a + a ≥ −a + 0 = −a.
Se −a ≤ 0, la tesi si ricava sommando ad ambo i membri a. La seconda equivalenza si ottiene analoga-
mente.
(b) Segue immediamente dalla (II) nella Definizione 2.1 procedendo come in (a).
(c) Siano a, b ∈ R, con a ≤ b. Per la (a), la condizione c < 0 è equivalente alla condizione −c > 0. Quindi,
per la (II) nella Definizione 2.1, si ha che a · (−c) ≤ b · (−c), ossia
(1.13) −(a · c) ≤ −(b · c),
in accordo con la (n) nella Proposizione 2.3. Sommando ad ambo i membri della (1.13) tanto b · c quanto
a · c, si deduce la tesi.
(d) Sia a ∈ R. Se a ≥ 0, la tesi segue dalla (II) nella Definizione 2.1. Se a ≤ 0 la tesi segue dalla (c).
(e) Per la (I) (cfr. (M3 )) nella Definizione 2.1, 1 ̸= 0. Dalla (d), essendo 1 l’elemento neutro della
moltiplicazione, si ha che 12 = 1 ≥ 0.
(f) Si osservi che per la (g) nella Proposizione 2.3, a−1 ̸= 0 per ogni a ∈ R \ {0}. Supponiamo che
a > 0. Se, per assurdo, a−1 < 0, la (II) (cfr. (ii2 )) nella Definizione 2.1 implicherebbe che 1 = a · a−1 ≤ 0
contraddicendo la (e). Pertanto, deve essere necessariamente vero che a−1 > 0. L’implicazione inversa è
immediata.
La seconda equivalenza si ottiene, via la seconda della (a), dalla precedente equivalenza e dalla (p)
nella Proposizione 2.3.
(g) È sufficiente provare la prima equivalenza, in quanto l’altra si deduce da essa via la (e) nella
Proposizione 2.3.
Siano a, b ∈ R, con a · b > 0. Si osservi che ciò implica che a · b ̸= 0 che, per la (f) nella Proposizione 2.3,
è equivalente alle condizioni a ̸= 0 e b ̸= 0. Si supponga che a > 0. Per la (f) ciò è equivalente a supporre
1
che > 0. Allora
a  
1 1
b= · a · b = · (a · b) > 0
a a
per la (II) nella Definizione 2.1 e la (e) nella Proposizione 2.3. Analogamente si prova che se a < 0 allora
b < 0. Il viceversa non è altro che la (II) nella Definizione 2.1 e la (c) tenendo conto della (e) nella
Proposizione 2.3.
(h) È sufficiente provare la prima equivalenza, in quanto l’altra si deduce da essa facendo uso della (e)
nella Proposizione 2.3.
42 2. NUMERI REALI

Siano a, b ∈ R, con a · b < 0. Si osservi che ciò implica che a · b ̸= 0 che, per la (f) nella Proposizione 2.3,
è equivalente alle condizioni a ̸= 0 e b ̸= 0. Si supponga che a > 0. Per la (f) ciò è equivalente a supporre
1
che > 0. Allora, per la (II) nella Definizione 2.1 e la (e) nella Proposizione 2.3,
a
 
1 1
b= · a · b = · (a · b) < 0.
a a
Analogamente si prova che se a < 0 allora b > 0.
L’implicazione inversa non è altro che la (II) nella Definizione 2.1 e la (c), tenendo conto della (e)
nella Proposizione 2.3.
(i) Segue immediatamente dalla prima equivalenza in (g) e dalla prima equivalenza in (f). □
Nel campo totalmente ordinato e completo dei numeri reali, le Proposizioni 1.48 e 1.51, pag. 22,
ammettono le seguenti semplici formulazioni, che esprime le proprietà caratteristiche dell’estremo inferiore
e dell’estremo superiore di un insieme numerico quando essi non appartenengono all’insieme. In termini
atecnici, i risultati assicurano che quando l’estremo inferiore [risp. superiore] di un insieme non vuoto
limitato inferiormente [risp. superiormente] non appartiene all’insieme, non esistono ‘lacune’ tra l’insieme
e il suo estremo inferiore [risp. superiore].
Proposizione 2.7. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R.
Se X è limitato inferiormente, e inf X ∈
/ X, allora per un numero λ ∈ R si ha che
R
(
∀x ∈ X : λ ≤ x;
(1.14) λ = inf X ⇐⇒
R ∀ϵ > 0 ∃ xϵ ∈ X tale che λ < xϵ < λ + ϵ.
Proposizione 2.8. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R.
Se X è limitato superiormente, e sup X ∈
/ X, allora per un numero Λ ∈ R si ha che
R
(
∀x ∈ X : x ≤ Λ;
(1.15) Λ = sup X ⇐⇒
R ∀ϵ > 0 ∃ xϵ ∈ X tale che Λ − ϵ < xϵ < Λ.

2. L’insieme R
La completezza del sistema algebrico dei numeri reali (cfr. (III) nella Definizione 2.1, pag. 35) as-
sicura che l’estremo superiore [risp. inferiore] di un insieme non vuoto e limitato superiormente [risp.
inferiormente] esiste sempre in R, a differenza –in generale– del suo massimo [risp. del suo minimo].
Ciò conduce all’introduzione di una semplice notazione per denotare che un sottoinsieme A non vuoto
di R non sia limitato superiormente [risp. inferiormente].
Notazioni 2.9. Sia A un sottoinsieme non vuoto di R.
(i) Per denotare che A non è limitato inferiormente, ci si avvale della scrittura
inf A = −∞.
R

(ii) Per denotare che A non è limitato superiormente, ci si avvale della scrittura
sup A = +∞.
R

Proposizione 2.10. L’insieme R non è limitato né inferiormente né superiormente, i.e.,
inf R = −∞ e sup R = +∞
R R

Dimostrazione. Si supponga, per assurdo, che R sia limitato inferiormente in (R, ≤). Per la com-
pletezza, si avrebbe che, detto λ = inf R, allora λ ∈ R e λ ≤ x per ogni x ∈ R.
R
Per le proprietà di R deducibili dalla compatibilità della relazione d’ordine rispetto all’addizione e
moltiplicazione, si ha che
λ−1∈R e λ − 1 < λ,
2. L’INSIEME R 43

che contraddice il fatto che λ ≤ x per ogni x ∈ R. Tale contraddizione dimostra che R non è limitato
inferiormente in (R, ≤).
Analogamente, si supponga, per assurdo, che R sia limitato superiormente in (R, ≤). Per la comple-
tezza, si avrebbe che, detto Λ = sup R, Λ ∈ R e x ≤ Λ per ogni x ∈ R.
R
Per le proprietà di R deducibili dalla compatibilità della relazione d’ordine rispetto all’addizione e
moltiplicazione, si ha che
Λ+1∈R e Λ < Λ + 1,
che contraddice il fatto che x ≤ Λ per ogni x ∈ R. Tale contraddizione dimostra che R non è limitato
superiormente in (R, ≤). □

Osservazione 2.11. Si faccia attenzione: −∞ e +∞ sono solo dei simboli stenografici atti a sin-
tetizzare che un insieme non vuoto non è limitato inferiormente e non è limitato superiormente in R,
rispettivamente.
Facendo uso delle Notazioni 2.9 e della Proposizione 2.10, si forniscono le seguenti
Definizioni 2.12. L’insieme dei reali estesi, denotato con la scrittura R, è l’insieme
def
(2.1) R = {−∞} ∪ R ∪ {+∞}.
Sull’insieme R la relazione ≤ d’ordine totale di R viene estesa ponendo (con abuso di notazione)
(2.2) −∞ ≤ x ≤ +∞ per ogni x ∈ R,

(2.3) −∞ < x < +∞ per ogni x ∈ R.


Osservazioni 2.13. Il vantaggio dell’introduzione dell’insieme totalmente ordinato dei reali estesi
(R, ≤) risiede nel fatto che, in virtù della completezza di R, in esso si potrà parlare di estremo inferiore
e superiore per ogni sottoinsieme non vuoto di R.
Infatti, se A un sottoinsieme non vuoto di R, allora si deve verificare necessariamente uno ed uno soltanto
dei seguenti due casi:
(i) inf A = −∞;
R
(ii) inf A ∈ R.
R
Il caso (i) si verifica quando A non è limitato inferiormente, il caso (ii) quando A è limitato inferior-
mente.
Nel caso (ii), si verifica inoltre necessariamente una ed una soltanto delle seguenti condizioni:
(ii1 ) inf A ∈ A.
R
(ii2 ) inf A ∈
/ A.
R
La condizione (ii1 ) è verificata quando A ammette minimo (cfr. (i) nella Proposizione 1.47, pag. 22),
la condizione (ii2 ) è verificata quando A non ammette minimo e l’estremo inferiore inf A è quel numero
R
λ ∈ R caratterizzato dalla (1.14) (cfr. pag. 42).
Analoghe considerazioni sussistono per l’estremo superiore. Infatti, se A un sottoinsieme non vuoto
di R, allora si deve verificare necessariamente uno ed uno soltanto dei seguenti due casi:
(i) sup A = +∞;
R
(ii) sup A ∈ R.
R
Il caso (i) si verifica quando A non è limitato superiormente, il caso (ii) quando A è limitato
superiormente.
Nel caso (ii), si verifica necessariamente una ed una soltanto delle seguenti condizioni:
(ii1 ) sup A ∈ A.
R
(ii2 ) sup A ∈
/ A.
R
44 2. NUMERI REALI

La condizione (ii1 ) è verificata quando A ammette massimo (cfr. (ii) nella Proposizione 1.50, pag. 22),
la condizione (ii2 ) è verificata A non ammette massimo e l’estremo superiore sup A è quel numero Λ ∈ R
R
caratterizzato dalla (1.15) (cfr. pag. 42).

Per i risultati del prossimo paragrafo è opportuno osservare esplicitamente che


Proposizione 2.14. Se A è un sottoinsieme non vuoto di R, allora
(2.4) inf A ≤ sup A.
R R

L’uguaglianza nella (2.4) sussiste se, e soltanto se, A è costituito da un unico punto.
Dimostrazione. Sia A è un sottoinsieme non vuoto di R, allora
(2.5) inf A ≤ x ≤ sup A per ogni x ∈ A,
R R

il che prova la (2.4) per la transitività della relazione d’ordine ≤.


Se A è costituito da un unico punto, i.e., A = {x0 }, l’uguaglianza nella (2.4) segue dal fatto che
x0 = min A = max A
R R
e dalle Proposizioni 1.47 e 1.50, pagg. 22–22.
Se invece nella (2.4) vale l’uguaglianza, la tesi segue dalla (2.5). □

3. Intervalli di R
Definizione 2.15. Un intervallo I di R è un sottoinsieme di R verificante le seguenti due proprietà
(i) I ̸= ∅;
(ii) per ogni a, b ∈ I, con a < b, risulta che
(3.1) {x ∈ R : a ≤ x ≤ b} ⊆ I.
Si osservi che, per ogni a ∈ R, l’insieme {a} è un intervallo, detto intervallo banale.
La nozione di intervallo non banale traduce l’idea intuitiva di un sottoinsieme di R che sia ‘un
sottoinsieme connesso’ ossia privo di ‘buchi’ o ‘lacune’. Infatti, un sottoinsieme I non vuoto di R è un
intervallo non banale se, e soltanto se, comunque si prendano due suoi elementi distinti, tutti i punti tra
essi compresi (che, si dimostrerà esser infiniti, per la densità di Q e R \ Q in R) sono ancora elementi
dell’insieme I.
Ci si avvale delle seguenti
Notazioni 2.16. Siano a, b ∈ R, con a < b. Allora
[a, b] = {x ∈ R : a ≤ x ≤ b} , [a, b[= {x ∈ R : a ≤ x < b} ,
(3.2)
]a, b] = {x ∈ R : a < x ≤ b} , ]a, b[= {x ∈ R : a < x < b} .
Gli insiemi definiti nella (3.2) sono tutti intervalli limitati, di estremi a e b. Tali intervalli si diversi-
ficano tra loro per l’appartenenza o meno a ciascuno di essi di uno o di entrambi gli estremi.
L’intervallo [a, b] contiene entrambi gli estremi, ed è detto intervallo chiuso e limitato, di estremi a e b.
L’intervallo [a, b[ contiene l’estremo a ma non contiene l’estremo b, ed è detto intervallo semiaperto
superiormente, di estremi a e b.
L’intervallo ]a, b] non contiene l’estremo a ma contiene l’estremo b, ed è detto intervallo semiaperto
inferiormente, di estremi a e b.
L’intervallo ]a, b[ non contiene entrambi gli estremi, ed è detto intervallo aperto, di estremi a e b.
Convenzione 2.17. Si è soliti denotare con la scrittura
(a, b)
uno qualsiasi degli intervalli definiti nella (3.2). Tale scrittura viene utilizzata quando, nel quadro della
disamina in oggetto, ciò che è rilevante è la ‘natura connessa’ (ossia priva di buchi) dell’intervallo, e non
l’appartenenza o meno di uno od entrambi i suoi estremi ad esso. Si vedrà che gli intervalli (a, b) sono,
graficamente, segmenti avente estremo inferiore in a ed estremo superiore in b.
3. INTERVALLI DI R 45

In accordo con la Proposizione 2.10, si introducono anche le seguenti


Notazioni 2.18. Se a ∈ R, allora
(3.3) [a, +∞[= {x ∈ R : x ≥ a} , ]a, +∞[= {x ∈ R : x > a} .
Se b ∈ R, allora
(3.4) ] − ∞, b] = {x ∈ R : x ≤ b} , ] − ∞, b[= {x ∈ R : x < b} .
Gli insiemi definiti nella (3.3) sono intervalli non limitati superiormente, di estremo inferiore a. Si
vedrà che gli intervalli [a, +∞[ e ]a, +∞[ sono, graficamente, semirette avente estremo inferiore in a. La
loro differenza risiede nel fatto che il primo contiene l’estremo a, il secondo no. Come in precedenza, si è
soliti denotare con la scrittura
(a, +∞[
uno qualsiasi degli intervalli nella (3.3) quando si vuole porre l’accento che il risultato in analisi dipende
dalla ‘natura connessa’ (ossia priva di buchi) della semiretta di estremo inferiore a, e non dall’appartenenza
o meno di a ad essa.
Gli insiemi definiti nella (3.4) sono tutti intervalli non limitati inferiormente, di estremo superiore b.
Si vedrà che gli intervalli ] − ∞, b] e ] − ∞, b[ sono, graficamente, semirette avente estremo superiore in b.
La loro differenza risiede nel fatto che il primo contiene l’estremo b, il secondo no. Con la scrittura
] − ∞, b)
si conviene di denotare uno qualsiasi degli intervalli nella (3.4).
Le notazioni introdotte, unitamente alla Proposizione 2.14, consentono di caratterizzare gli intervalli
di R come segue.
Proposizione 2.19. Un sottoinsieme non vuoto I ⊆ R è un intervallo se, e soltanto se,
 
(3.5) I = inf I, sup I .
R R

Dimostrazione. (⇒) Se la (3.5) è vera, I è banalmente un intervallo.


(⇐) Si supponga che I è un intervallo di R. La definizione di estremo inferiore e di estremo superiore di
un insieme numerico assicura che I ⊆ (inf I, sup I). Bisogna quindi dimostrare che
R R

(3.6) (inf I, sup I) ⊆ I.


R R

Se inf R I = supR I e pertanto (inf I, sup I) = [inf I, sup I], per la Proposizione 2.14 –essendo I non
R R R R
vuoto– si ha che I è un insieme costituito da un solo elemento, i.e., I = {a} con a = inf I = sup I, e
R R
quindi la (3.6) è banalmente verificata con I = [inf I, sup I].
R
 R
Se inf R I < supR I, l’intervallo aperto inf I, sup I è ben definito e
R R
   
inf I, sup I ⊆ inf I, sup I .
R R R R

Per ogni x ∈ ] inf I, sup I[, per la Proposizione 2.8 esistono due numeri a, b ∈ I tali che
R R

inf I < a < x < b < sup I.


R R

In quanto I è, per ipotesi, un intervallo, dalla (ii) nella Definizione 2.15 si deduce che [a, b] ⊆ I, e quindi
x ∈ I. La (3.6) è pertanto dimostrata. □

Combinando le Proposizione 2.10 e 2.19 si ottiene immediatamente che


Proposizione 2.20.
(3.7) R = ] − ∞, +∞[.
46 2. NUMERI REALI

4. Funzione valore assoluto


Definizione 2.21. La funzione valore assoluto è la funzione

| · | : R −→ R
(
(4.1) x se x ≥ 0,
x 7−→
−x se x < 0.

Il numero, non negativo, |x| è detto valore assoluto o modulo del numero x ∈ R.
Alcune proprietà significative della funzione valore assoluto sono esposte nella prossima proposizione.
In particolare, la funzione (4.1) è non negativa, si annulla solo in 0, il valore che assume su un prodotto è
uguale al prodotto dei valori assunto sui singoli fattori del prodotto, mentre il valore che assume su una
somma di numeri reali è minore o uguale alla somma dei valori assunti sui singoli addendi della somma.
La rilevanza della funzione valore assoluto ai fini di una rappresentazione geometrica del sistema
algebrico dei numeri reali sarà illustrata nel § 5.
Proposizione 2.22. La funzione valore assoluto verifica, per ogni x, y ∈ R, le seguenti proprietà:
(i)|x| ≥ 0 [non negatività];
(ii)|x| = 0 se, e soltanto se, x = 0 [legge di annullamento];
(iii)|x| = max{x, −x};
(iv) |xy| = |x| |y| [omogeneità];
(v) | − x| = |x|;
(vi) |x + y| ≤ |x| + |y| ove l’uguaglianza sussiste quando x e y sono concordi
[disuguaglianza triangolare];
(vii) ||x| − |y|| ≤ |x − y|.
Inoltre, per ogni r ∈ R+ ,
(viii) |x| < r ⇐⇒ x ∈ ] − r, r[;
(ix) |x| ≤ r ⇐⇒ x ∈ [−r, r];
(x) |x| > r ⇐⇒ x ∈ ] − ∞, −r[ ∪ ]r, +∞[;
(xi) |x| ≥ r ⇐⇒ x ∈ ] − ∞, −r] ∪ [r, +∞[.
Dimostrazione. (i)-(iii) Seguono immediatamente dalla Definizione 2.21.
(iv) Si osservi che, assegnati x, y ∈ R, combinando le (g) ed (h) nella Proposizione 2.6, pag. 40, con la
(4.1), si ha che
xy > 0 ⇐⇒ x = |x| > 0 e y = |y| > 0 oppure x = −|x| < 0 e y = −|y| < 0;
xy = 0 ⇐⇒ x = |x| = 0 oppure y = |y| = 0;
xy < 0 ⇐⇒ x = |x| > 0 e y = −|y| < 0 oppure x = −|x| < 0 e y = |y| > 0.
Di qui la tesi si ricava dalla (4.1).
(v) Segue dalla (iv) con y = −1.
(vi) Se x, y ∈ R sono entrambi strettamente positivi o entrambi strettamente negativi oppure uno di essi
è nullo nella (vi) vale banalmente l’uguaglianza.
Resta il caso in cui x, y ∈ R sono non nulli e discordi. Non si lede la generalità della dimostrazione,
supponendo che x < 0 < y.
Avvalendosi della compatibilità della relazione d’ordine rispetto alla somma, si osserva che
x + y < 0 + y = y < y + |x| = |y| + |x|;
x + y > x + 0 = x > x − |y| = −|x| − |y|.
Conseguentemente, |x + y| < |x| + |y|.
5. RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA DI R 47

(vii) Dalle (iv)–(vi) (nonché dalla (A nella Definizione 2.1, pag. 35) segue che
|x| = |x + 0| = |x − y + y| ≤ |x − y| + |y|,
|y| = |y + 0| = |y − x + x| ≤ |y − x| + |x| = |x − y| + |x|,
da cui si deduce la tesi.
(viii) Assegnato r ∈ ]0, +∞[, si ha che segue che
( (
x≥0 x<0
|x| < r ⇐⇒ ∪
x<r −x < r
 
⇐⇒ x ∈ [0, +∞[ ∩ ] − ∞, r[ ∪ ] − ∞, 0[ ∩ ] − r, +∞[

⇐⇒ x ∈ [0, r[ ∪ ] − r, 0[ ⇐⇒ x ∈ ] − r, r[.

(ix) Assegnato r ∈ ]0, +∞[, si ha che segue che


( (
x≥0 x<0
|x| ≤ r ⇐⇒ ∪
x≤r −x ≤ r
 
⇐⇒ x ∈ [0, +∞[ ∩ ] − ∞, r] ∪ ] − ∞, 0[ ∩ [−r, +∞[

⇐⇒ x ∈ [0, r] ∪ [−r, 0[ ⇐⇒ x ∈ [−r, r].

(x) Si ricava dalla (ix), tenendo conto della legge di tricotomia (cfr. Osservazione 1.36, pag. 18) e delle
formule di de Morgan (cfr. Proposizione 1.17, pag. 12).
(xi) Si ricava dalla (viii), tenendo conto della legge di tricotomia e delle formule di de Morgan. □

5. Rappresentazione geometrica di R
Assegnata una retta r nel piano, fissato su di esso un punto O, come unità di misura delle lunghezze
il segmento OP1 di lunghezza pari ad 1, ed come verso positivo di percorrenza quello secondo cui il punto
O precede sulla retta il punto P1 , è possibile mettere in corrispondenza biunivoca i numeri reali con i
punti della retta, mediante la funzione cosı̀ definita:
Φ : R −→ r
(5.1)
x 7−→ P (x)
dove
(5.2) se x > 0, il punto P (x) è il punto determinato muovendosi sulla retta r a partire da O
secondo il verso positivo compiendo un percorso di lunghezza geometrica pari ad x;
(5.3) P (0) = O;
(5.4) se x < 0, il punto P (x) è il punto determinato muovendosi sulla retta r a partire da O
secondo il verso negativo compiendo un percorso di lunghezza geometrica pari a − x.
Il numero x è detto ascissa del punto P (x).
Tutti i punti della semiretta positiva risultano in corrispondenza biunivoca con i numeri reali positivi,
tutti i punti della semiretta negativa risultano in corrispondenza biunivoca con i numeri reali negativi.
Si osservi che, sull’asse reale, i punti x e −x sono simmetrici rispetto all’origine, e coincidono con
l’origine se, e soltanto se, x = 0.
La funzione (5.1) consente pertanto di identificare i punti della retta (che verrà pertanto detta retta
reale) con le rispettive ascisse; tale identificazione farà sı̀ che con uno stesso simbolo x si indicaranno sia
un numero reale sia il punto della retta reale di cui x è l’ascissa. Si parlerà pertanto indifferentemente del
numero reale x o del punto x della retta, di un sottoinsieme A di R o di un sottoinsieme A della retta
reale r.
La convenzione introdotta risulta particolarmente utile, in quanto permette di esprimere con linguag-
gio geometrico, e quindi di visualizzare graficamente, proprietà e nozioni di carattere algebrico.
48 2. NUMERI REALI

Ad esempio, l’orientamento della retta r traduce geometricamente l’ordinamento totale del campo reale;
infatti, la disuguaglianza a < b con a, b ∈ R, si interpreta nel senso che il punto (di ascissa) a precede il
punto (di ascissa) b nel verso positivo della retta. Tale verso viene indicato con una freccia.
Inoltre, assegnati a, b ∈ R, con a < b, gli intervalli definiti nella (3.2) non sono altro che segmenti dell’asse
reale, che si diversificano tra loro per l’appartenenza o meno degli estremi, ma hanno tutti lunghezza pari
a b − a. Gli intervalli definiti nella (3.3) e (3.4) sono, infine, semirette dell’asse reale, che si diversificano
tra loro per l’appartenenza o meno degli estremi.

6. Rappresentazione geometrica di R × R
Il modello ‘geometrico’ dei numeri reali si rivela particolarmente efficace per la rappresentazione
geometrica del prodotto cartesiano R × R.
Assegnato un piano τ e fissato su di esso un punto O, si considerino due rette r1 e r2 passanti per
O, tra loro ortogonali. In conformità con quanto illustrato nel paragrafo precedente, ciascuna di tali rette
può esser utilizzata per rappresentare uno dei fattori del prodotto cartesiano R × R, come segue.
Si assegni su r1 , come unità di misura delle lunghezze il segmento OP1 di lunghezza pari ad 1, ed come
verso positivo di percorrenza quello secondo cui il punto O precede sulla retta il punto P1 . Su r2 , si assegni
come unità di misura delle lunghezze il segmento OP2 di lunghezza pari ad 1, ed come verso positivo di
percorrenza quello secondo cui, dopo una rotazione in senso antiorario di 90◦ del semiasse positivo di r1
intorno al punto O, il punto P1 si sovrappone al punto P2 .
La coppia di assi reali ortogonali cosı̀ ottenuta è denominata sistema di assi cartesiani Oxy (mono-
metrico), ove l’asse 0x coincide con l’asse r1 e rappresenta il primo fattore del prodotto cartesiano R × R
e 0y coincide con l’asse r2 e rappresenta il secondo fattore del prodotto cartesiano R × R. Il termine
monometrico è dovuto al fatto che le unità di misure scelte sugli assi sono uguali.
La funzione
Ψ: R2 −→ τ
(6.1)
(a, b) 7−→ P = P (a, b)
–dove il punto P = P (a, b) è il punto di intersezione delle rette parallele agli assi 0y ed 0x e passanti per
il punto di ascissa a dell’asse 0x e per il punto di ascissa b dell’asse 0y, rispettivamente– è banalmente
una biiezione.
La funzione (6.1) consente pertanto di identificare ciascun punto del piano (che verrà detto piano
cartesiano) con la coppia (a, b) di numeri reali di cui tale punto è immagine. La coppia (a, b) è detta la
coppia delle coordinate cartesiane del punto P = P (a, b), il numero a è detta ascissa del punto P = P (a, b),
mentre il numero b è detta ordinata del punto P = P (a, b).
Evidentemente, due punti del piano sono uguali se, e soltanto se, essi hanno stessa ascissa e stessa
coordinata. In particolare, l’origine del sistema cartesiano ha coordinate (0, 0).

7. Metrica usuale su R
La rappresentazione geometrica del sistema algebrico dei numeri reali tramite l’asse reale e la funzione
valore assoluto consentono di introdurre il concetto di distanza tra due elementi di R, definendola come
il modulo della loro differenza.
La nozione di distanza tra punti di un insieme non vuoto è un concetto molto generale, che non
necessita di tutte le strutture algebriche possedute da R, come illustrato dalla seguente
Definizione 2.23. Sia X un insieme non vuoto. Una metrica o distanza su X è una funzione
ρ: X × X → R
che soddisfa, per ogni x, y e z ∈ X, le seguenti proprietà:
(7.1) ρ(x, y) ≥ 0 [non negatività],
(7.2) ρ(x, y) = 0 se, e soltanto se, x = y [legge di annullamento],
(7.3) ρ(x, y) = ρ(y, x) [simmetria],
(7.4) ρ(x, y) ≤ ρ(x, z) + ρ(z, y) [disuguaglianza triangolare].
7. METRICA USUALE SU R 49

La coppia (X, ρ) è detta spazio metrico. L’insieme X è detto sostegno dello spazio metrico (X, ρ) e
gli elementi di X sono detti punti. Per ogni x, y ∈ X, il numero non negativo ρ(x, y) è detto distanza
–rispetto alla metrica ρ– dei punti x e y.
Proposizione 2.24. La funzione
ρ : R × R −→ R
(7.5)
(x, y) 7−→ |x − y|
è una metrica su R, detta metrica usuale su R.
Dimostrazione. Per la verifica delle proprietà (7.1)-(7.4) basta far uso delle proprietà della funzione
valore assoluto illustrate dalla Proposizione 2.22. □
Si osservi che, per ogni x ∈ R, tanto x quanto −x hanno la stessa distanza da 0, tale distanza è nulla
se, e soltanto se, x = 0. Pertanto, sull’asse reale, i punti x e −x sono simmetrici rispetto all’origine, e
coincidono con l’origine se, e soltanto se, x = 0.
Facendo ancora uso della Proposizione 2.22, si ottiene inoltre che la metrica usuale su R gode delle
seguenti proprietà:
(7.6) ρ(x + z, y + z) = ρ(x, y) per ogni x, y, z ∈ R [invarianza per traslazioni],
(7.7) ρ(αx, αy) = |α|ρ(x, y) per ogni x, y ∈ R e α ∈ R [1-omogeneità].
CAPITOLO 3

Sottoinsiemi notevoli di R: N, Z, Q e R \ Q

Il presente capitolo è dedicato all’introduzione e alla disamina di quattro sottoinsiemi notevoli di R:


l’insieme dei numeri naturali –denotato con N–, l’insieme dei numeri interi –denotato con Z–, l’insieme
dei numeri razionali, denotato con Q, e l’insieme dei numeri irrazionali, denotato con R \ Q.
Si mostrerà che, con il solo uso degli assiomi (I)–(III) definenti il campo algebrico totalmente ordi-
nato e completo dei numeri reali (cfr. Definizione 2.1, pag. 35), tali insiemi numerici sono determinati
facilmente, ed essi si comportano esattamente come ci si aspetta.

1. L’insieme N dei numeri naturali


I numeri naturali sono i numeri
1, 1 + 1 = 2, 1 + 1 + 1 = 3, ......
Da un punto di vista rigoroso tale definizione non è accettabile. C’è infatti l’indeterminatezza logica
dell’espressione “. . . . . . ”, che allude ad un prolungamento infinito del sommare 1 all’ultimo numero na-
turale costruito; inoltre, subdolamente, essa fa intendere che la regola n ∈ N → n + 1 ∈ N produca tutti
i numeri naturali e solo quelli.
Una definizione rigorosa dell’insieme dei numeri naturali passa attraverso la seguente
Definizione 3.1. Un sottoinsieme I di R è induttivo quando verifica le seguenti due proprietà:
(i) 1 ∈ I;
(ii) se x ∈ I, allora x + 1 ∈ I.
Esistono infiniti sottoinsiemi induttivi di R. Basti pensare all’insieme R stesso, alle semirette [a, +∞[
con a ≤ 1, all’insieme − 21 , − 13 , 0, 12 , 23 , 1, 32 , 53 , 2, . . . . . . , all’insieme 51 , 1, 65 , 2, 11
 
5 , 3 . . . . . . , etc..
Per contro, esistono infiniti sottoinsiemi di R che non sono induttivi. Si pensi ad un qualsiasi sottoin-
sieme di R che non contenga 1, oppure ad un qualsiasi sottoinsieme di R che sia limitato superiormente.
Ha senso quindi introdurre la famiglia I di tutti e soli i sottoinsiemi induttivi di R, i.e.,
(1.1) I = {I ⊆ R : I induttivo},
e tale famiglia risulta un sottoinsieme proprio di P(R), i.e.,
̸ I ⊂ P(R).
∅=
Definizione 3.2. L’insieme N dei numeri naturali è l’intersezione insiemistica di tutti i sottoinsiemi
induttivi di R, i.e.,
\
(1.2) N = I,
I∈I

ove I è la famiglia (1.1).


Il prossimo risultato evidenzia che l’insieme N dei numeri naturali è il più piccolo –rispetto alla
relazione d’ordine di inclusione insiemistica ⊆ su P(R)– sottoinsieme induttivo di R.
Inoltre, tutti i numeri naturali sono maggiori o uguali a 1, ossia l’insieme N ammette minimo, ed tale
elemento minimo è 1.
Teorema 3.3. L’insieme N dei numeri naturali è induttivo, e
(1.3) N⊆I per ogni sottoinsieme induttivo I di R.
Inoltre,
(1.4) min N = 1.
R

51
52 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Dimostrazione. L’insieme N è induttivo, in quanto verifica le condizioni (i) e (ii) nella Definizio-
ne 3.1.
La (i) segue infatti dalla (1.2), osservando che 1 ∈ I per ogni sottoinsieme induttivo I di R. Per verificare
la (ii), è sufficiente rilevare che, se x ∈ N, per la (1.2), allora x appartiene ad ogni sottoinsieme induttivo
I di R. Di qui, la (ii) nella Definizione 3.1 implica che x + 1 appartiene ad ogni sottoinsieme induttivo I
di R, e quindi x + 1 ∈ N, per la (1.2).
La (1.3) è un’immediata conseguenza della (1.2) e dell’induttività –appena provata– di N.
Per concludere, occorre dimostrare che n ≥ 1 per ogni n ∈ N.
A tal fine, tenendo conto della (1.3), è sufficiente osservare che l’intervallo [1, +∞[ è sottoinsieme induttivo
di R. Infatti, 1 appartiene chiaramente a [1, +∞[; inoltre, se x ∈ [1, +∞[, poiché 1 > 0, la compatibilità
della relazione ≤ rispetto alla somma assicura che x + 1 > x. La transitività della relazione ≤ assicura
quindi che x + 1 ∈ [1, +∞[. □
Corollario 3.4 (Principio di induzione in forma insiemistica). Sia A un sottoinsieme induttivo di
R. Se A ⊆ N, allora A = N.
Dimostrazione. Se A è un sottoinsieme induttivo di R, allora N ⊆ A per la (1.3). In quanto per
ipotesi A ⊆ N, si conclude che A = N. □
Al fine di fornire un’ulteriore formulazione del Principio di Induzione premettiamo le seguenti
Definizioni 3.5. Una successione a valori in un insieme non vuoto X è una funzione definita in N
ed a valori in X, i.e., f : N → X.
Quando X è un sottoinsieme di R, la successione è detta una successione reale.
Osservazione 3.6. Abitualmente, per le successioni si usa una notazione differente da quella che si
adopera per le funzioni generiche. Quest’ultime vengono solitamente denotate con una lettera minuscola
f, g, h, · · · , per la variabile uno dei simboli x, y, z, · · · ed il valore della funzione f nel punto x è denotato
con la scrittura f (x).
Per le successioni, la variabile (che è un numero naturale) si indica generalmente con n, m, i, j, h, k,
l’applicazione con a, b, c, x, y, . . . ed il valore della successione f nel punto n si scrive an , bn o xn anziché
f (n). Per indicare l’intera successione si usa, infine, la scrittura
(an )n∈N ,
ove an è detto termine n-simo della successione. L’insieme
{an : n ∈ N}
è l’insieme immagine dell’insieme N tramite la successione.
Corollario 3.7 (Principio di induzione in forma di predicati). Sia (Pn )n∈N una successione, con
Pn = P(n) predicato (o enunciato) che dipende da n e che può essere o vero o falso.
Se
(i) il predicato P1 è vero,
(ii) dall’assumere, per un arbitrario n ∈ N, che il predicato Pn vero si deduce che il predicato
Pn+1 è vero,
allora i predicati Pn , al variare di n ∈ N, sono veri.
Dimostrazione. Sia
A = {n ∈ N : Pn vero}.
Le ipotesi (i) e (ii) assicurano che A è un sottoinsieme induttivo di R. In quanto, per definizione, A ⊆ N,
la tesi segue dal Corollario 3.4. □
La condizione (i) è detta da alcuni autori il caso base o il passo base, e la condizione (ii) il passo
induttivo. Quando si deve verificare la (ii) l’ipotesi che il predicato Pn sia vero è detta ipotesi induttiva.
Corollario 3.8. [Principio di induzione in forma di predicati generalizzato] Sia (Pn )n∈N una suc-
cessione, con Pn = P(n) predicato (o enunciato) che dipende da n e che può essere o vero o falso. Sia
n0 ∈ N.
Se
1. L’INSIEME N DEI NUMERI NATURALI 53

(i) il predicato Pn0 è vero,


(ii) dall’assumere, per un arbitrario n ∈ N∩[n0 , +∞[, il predicato Pn vero si deduce che il predicato
Pn0 +1 è vero,
allora i predicati Pn , al variare di n ∈ N ∩ [n0 , +∞[, sono veri.
Dimostrazione. Se n0 = 1, ci si riduce al Corollario 3.7.
Se n0 > 1, si definiscano gli insiemi
B = {n ∈ N ∩ [n0 , +∞[ : Pn è vero},
e
A = {1, · · · , n0 − 1} ∪ B.
Si osserva che l’insieme A è un sottoinsieme induttivo di R in virtù delle ipotesi (i) e (ii), e A ⊆ N
per costruzione. Il Corollario 3.4 assicura pertanto che A = N, e quindi la dimostrazione si conclude
osservando che
B = A \ {1, · · · , n0 − 1} = N \ {1, · · · , n0 − 1}. □
Osservazione 3.9. È importante sottolineare che la (ii) tanto nel Corollario 3.7 quanto nel Corol-
lario 3.8 è della forma ‘S =⇒ T ’, e per dimostrare che la (ii) sia vera, non bisogna dimostrare che o
l’affermazione S oppure l’affermazione S, ma solo che l’implicazione ‘S =⇒ T ’ sia vera.
Altre proprietà significative dell’insieme dei numeri naturali sono illustrate dalla prossima proposi-
zione. In particolare, la (iii) e la (iv) affermano che N è chiuso rispetto alle operazioni di somma e di
prodotto, rispettivamente.
Proposizione 3.10.
(i) Per ogni n ∈ N, n ≥ 1. In particolare, 0 ∈
/ N.
(ii) Per ogni n ∈ N, n + 1 ∈ N.
(iii) Per ogni n, m ∈ N, n + m ∈ N.
(iv) Per ogni n, m ∈ N, nm ∈ N.
(v) Per ogni n, m ∈ N, con n > m, n − m ∈ N.
(vi) Per ogni n ∈ N non esiste un numero m ∈ N tale che n < m < n + 1.
Dimostrazione. (i) La prima parte dell’enunciato è una formulazione equivalente della (1.4), di
cui in questa sede forniamo una dimostrazione alternativa.
Per ogni n ∈ N, si denoti con Pn l’affermazione che n ≥ 1. L’affermazione P1 è banalmente vera. Si
supponga ora che, per un certo n ∈ N, Pn sia vera. Per la compatibilità della relazione d’ordine rispetto
alle operazioni di R, n + 1 ≥ 2 e 2 ≥ 1. Dalla transitività della relazione d’ordine, si deduce, pertanto,
che n + 1 ≥ 1, ossia che Pn+1 è vera. Il Corollario 3.7 assicura quindi che n ≥ 1, per ogni n ∈ N.
Ricordando che 0 < 1 = 12 , la (1.4) del Teorema 3.3 si conclude che 0 ∈/ N.
(ii) Segue banalmente dal Teorema 3.3.
(iii) Si fissi arbitrariamente m ∈ N, e si definisca
Am = {n ∈ N : m + n ∈ N}.
Si vuole dimostrare che l’insieme Am , che è un sottoinsieme di N per costruzione, è induttivo.
La (ii) assicura che 1 ∈ Am . Sia ora n ∈ Am . Ciò significa che m + n ∈ N. Per la (ii), si ha allora che
(m + n) + 1 ∈ N,
ma
(m + n) + 1 = m + (n + 1) e n + 1 ∈ N,
e quindi n + 1 ∈ Am .
La tesi segue quindi dal Corollario 3.4 e dall’arbitrarietà di m ∈ N.
(iv) Si fissi arbitrariamente m ∈ N, e si definisca con
Am = {n ∈ N : mn ∈ N}.
Si vuole dimostrare che l’insieme Am , che è un sottoinsieme di N per costruzione, è induttivo.
54 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Essendo 1 l’elemento neutro rispetto al prodotto, si ha chiaramente che 1 ∈ Am . Se n ∈ Am , allora


mn ∈ N. Si osserva che m(n + 1) = mn + m ∈ N, in quanto mn ∈ N e m ∈ N e vale la (iii). Pertanto
n + 1 ∈ Am .
La tesi segue quindi dal Corollario 3.4 e dall’arbitrarietà di m ∈ N.
(v) Si fissi arbitrariamente m ∈ N. L’insieme Am = (N ∩ [1, m]) ∪ {n ∈ N ∩ [m + 1, +∞[: n − m ∈ N} è
banalmente induttivo. La tesi segue dal Corollario 3.4 e dall’arbitrarietà di m ∈ N.
(vi) Si definisca
A = {n ∈ N : ̸ ∃ m ∈ N tale che n < m < n + 1}.
Si dimostra che A è induttivo.
Dimostriamo innanzitutto che 1 ∈ A. Supponiamo, per assurdo, che 1 ∈ / A. Ciò significa che esiste un
numero m ∈ N tale che 1 < m < 2. Dal fatto che m < 2, facendo uso della compatibilità della relazione
d’ordine si deduce che
(1.5) m − 1 < 1.
Dal fatto 1 < m, la (v) assicura che
(1.6) m − 1 ∈ N.
Le (1.5) e (1.6) contraddicono la (v). Tale contraddizione dimostra che 1 ∈ A.
Per concludere la dimostrazione occorre provare che, se un arbitrario n ∈ A, allora n+1 ∈ A. Supponiamo,
per assurdo, che n + 1 ∈ / A. Ciò significa che esiste un numero m ∈ N tale che n + 1 < m < n + 2. Ma ciò
significa che esiste un numero m ∈ N, con m > 1, tale che
(1.7) n < m − 1 < n + 1.
Poiché –per la (v)– m − 1 ∈ N, la (1.7) chiaramente contraddice l’ipotesi che n ∈ A. Tale contraddizione
conclude la dimostrazione. □
Il prossimo risultato evidenzia una proprietà notevole dell’insieme dei numeri naturali: ogni suo
sottoinsieme non vuoto ammette sempre minimo. Tale proprietà è detta anche principio di buon ordine.
Teorema 3.11 (Proprietà di buon ordine dei numeri naturali). Ogni sottoinsieme non vuoto di N
ammette minimo.
Dimostrazione. Sia A un sottoinsieme non vuoto di N. La (i) nella Proposizione 3.10 assicura che
è limitato inferiormente da 1.
Se 1 ∈ A, la tesi è banale.
Se 1 ∈
/ A, allora la completezza di R assicura l’esistenza in R dell’estremo inferiore di A. Occorre
provare che
(1.8) inf A ∈ A.
R

Argomentando per assurdo, si neghi la (1.8), i.e., si supponga che


(1.9) inf A ∈
/ A.
R
Detto
λ = inf A,
R
applicando la (1.14) della Proposizione 2.7, in corrispondenza di ϵ = 1, si deduce allora l’esistenza di un
numero n ∈ A tale che λ < n < λ + 1. Poiché λ < n, riapplicando la (1.14) della Proposizione 2.7, in
corrispondenza di ϵ = n − λ > 0, si deduce l’esistenza di un numero m ∈ A tale che
λ < m < n < λ + 1.
Pertanto, l’ipotesi (1.9) implica l’esistenza di due numeri naturali m, n ∈ A, con n > m, tali che
(1.10) 0 < n − m < 1,
ma la (1.10) chiaramente contraddizione la (vi) nella Proposizione 3.10, in quanto –per la (v) nella
Proposizione 3.10– n − m ∈ N. Per il principio di non contraddizione, si conclude quindi che la (1.8) è
vera. □
Teorema 3.12. Ogni sottoinsieme non vuoto di N limitato superiormente ammette massimo.
1. L’INSIEME N DEI NUMERI NATURALI 55

Dimostrazione. Sia A un sottoinsieme non vuoto di N limitato superiormente. Per la completezza


di R, esiste allora l’estremo superiore di A in R e
(1.11) sup A ∈ R.
R
Occorre provare che
(1.12) sup A ∈ A.
R

Argomentando per assurdo, si neghi la (1.12), i.e., si ipotizzi che


(1.13) sup A ∈
/ A.
R
Detto
Λ = sup A,
R
applicando la (1.15) della Proposizione 2.8 in corrispondenza di ϵ = 1, si deduce allora l’esistenza di
un numero n ∈ A tale che Λ − 1 < n < Λ. In quanto n < Λ, applicando nuovamente la (1.15) della
Proposizione 2.8 in corrispondenza di ϵ = Λ − n > 0, si deduce l’ esistenza di un numero m ∈ A tale che
Λ − 1 < n < m < Λ. Pertanto, l’ipotesi (1.13) implica l’esistenza di due numeri naturali m, n ∈ A, con
m > n, tali che
(1.14) 0 < m − n < 1,
ma la (1.14) chiaramente contraddizione la (vi) nella Proposizione 3.10, in quanto –per la (v) nella
Proposizione 3.10– m − n ∈ N. Per il principio di non contraddizione, si conclude quindi che la (1.8) è
vera. □
Dai Teoremi 3.11 e 3.12, segue immediatamente
Corollario 3.13. Ogni sottoinsieme non vuoto di N è limitato se, e soltanto se, ammette massimo.
Si prova inoltre
Teorema 3.14 (Proprietà di Archimede). L’insieme N dei numeri naturali non è limitato superior-
mente, i.e.,
(1.15) sup N = +∞.
R

Dimostrazione. Argomentando per assurdo, si neghi la (1.15), ossia si ipotizzi che N sia limitato
superiormente. Per il Teorema 3.12, l’insieme N dei numeri naturali ammette allora massimo, ossia
(1.16) esiste un numero m0 ∈ N tale che n ≤ m0 = sup N per ogni n ∈ N.
R
Per la Proposizione 1.50, per l’unicità del massimo e la compatibilità della relazione d’ordine ≤ con la
somma, si ha che esiste un numero n1 ∈ N tale che
m0 − 1 < n1 ≤ m0 .
Ciò però implica che m0 < n1 + 1, con n1 + 1 ∈ N essendo N induttivo, in chiara contraddizione con la
(1.16). Tale contraddizione assicura la veridicità della (1.15). □
La Proprietà di Archimede può esser caratterizzata variamente, come evidenziato dal prossimo risul-
tato. In particolare, la formulazione (iii) si riassume dicendo che il sistema algebrico dei numeri reali è
archimedeo.
Teorema 3.15 (Formulazioni equivalenti della Proprietà di Archimede).
Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) l’insieme N non è limitato superiormente;
(ii) per ogni M ∈ R+ esiste un numero n ∈ N tale che n > M ;
(iii) per ogni x, y ∈ R+ esiste un numero n ∈ N tale che nx > y;
1
(iv) per ogni ϵ ∈ R+ esiste un numero νϵ = ν(ϵ) ∈ N tale che < ϵ;
νϵ
56 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

1
(v) per ogni x ∈ R tale che, per ogni n ∈ N, |x| < , si ha che x = 0;
n
(vi) l’insieme N non ammette massimo.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Segue dalla definizione di insieme non limitato superiormente.
(ii)⇒(iii) Siano x, y ∈ R+ arbitrariamente assegnati. Le (f) e (g) nella Proposizione 2.6, pag. 40, implicano
y y
che ∈ R+ . La tesi si ricava allora applicando la (i) con M = ∈ R+ .
x x
(iii)⇒(iv) Sia ϵ ∈ R+ arbitrariamente assegnato. Dalla (iii), ponendo x = ϵ e y = 1, si deduce l’esistenza
1
di un numero νϵ = ν(ϵ) tale che νϵ · ϵ > 1, i.e., < ϵ.
νϵ
(iv)⇒(v) Sia x ∈ R tale che
1
(1.17) |x| < per ogni n ∈ N.
n
Se, per assurdo, x ̸= 0, allora – per la (ii) nella Proposizione 2.22, pag. 46– si avrebbe che |x| > 0. Allora,
applicando la (iii) con ϵ = |x|, esisterebbe un numero ν = ν(ϵ) ∈ N tale che ν1 < |x|. Ciò contraddice
l’ipotesi (1.17). Si deve quindi necessariamente verificare che x = 0.
(v)⇒(vi) Argomentando per assurdo, si supponga che esista N ammetta massimo. Detto
m0 = max N,
R
si ha allora che m0 ≥ n per ogni n ∈ N, il che è equivalente ad affermare che
1 1
(1.18) 0< ≤ per ogni n ∈ N.
m0 n
Ciò contraddice la (v). Si conclude pertanto che N non ammette massimo.
(vi)⇒(i) Si deduce dal Teorema 3.12, pag. 54, argomentando per assurdo. □
Una notevole conseguenza è fornita dal seguente
Corollario 3.16.  
1
inf :n∈N =0
R n
 
1
Dimostrazione. Sia A = : n ∈ N . L’insieme A è limitato inferiormente in R da 0. Per la
n
completezza di R, esiste l’estremo inferiore di A in R ed è non negativo, i.e.,
(1.19) λ = inf A ≥ 0.
R
Per dimostrare che λ = 0, si supponga che λ > 0. Per la (iv) nel Teorema 3.15 esiste allora un numero
1
naturale ν ∈ N tale che < λ. Ciò contraddice il fatto che λ sia un minorante dell’insieme A. Pertanto,
ν
alla luce della (1.19), si deve necessariamente verificare che λ = 0. □
Il seguente esempio illustra un’applicazione della proprietà di Archimede e del principio di buon
ordine in N. Ogni numero reale maggiore di 1, che non è un numero naturale, è sempre strettamente
compreso nell’intervallo determinato da un numero naturale ed il suo successivo.
Esempio 3.17. Per ogni x ∈ ]1, +∞[ \N,
(1.20) ∃ ! n0 ∈ N tale che n0 < x < n0 + 1,
ove la scrittura ∃ ! si legge ‘esiste uno ed un solo’.
Infatti, sia x ∈ ]1, +∞[ \N arbitrariamente assegnato. Per la (ii) del Teorema 3.15, pag. 55, l’insieme
A = {n ∈ N : n > x}
è un sottoinsieme non vuoto di N.
Il principio di buon ordine (cfr. Teorema 3.12, pag. 54) assicura che esiste min A, che è strettamente
R
maggiore di 1, in quanto x > 1.
Poiché x ∈
/ N, si ha allora che
min A − 1 < x < min A.
R R
2. INSIEMI FINITI ED INFINITI. CARDINALITÀ DI UN INSIEME 57

La tesi segue ponendo


n0 = min A − 1.
R
Il numero n0 è infatti un numero naturale per la (v) nella Proposizione 3.10, pag. 53.

2. Insiemi finiti ed infiniti. Cardinalità di un insieme


Avvalendosi dei risultati esposti nel precedente paragrafo e delle nozioni introdotte nel § 6, pag. 29,
sono ben poste le seguenti
Definizioni 3.18. Assegnato un insieme X non vuoto,
(I) X è finito quando esiste un numero n0 ∈ N tale che l’insieme costituito dai primi n0 numeri
naturali e l’insieme X sono equipotenti, i.e.,
X ∼C {1, . . . , n0 };

(II) X è infinito quando X non è finito.


In particolare,
(iiℵ ) X è infinito e numerabile quando X è equipotente all’insieme N dei numeri naturali, i.e.,
X ∼C N;

(iic ) X è infinito e non numerabile quando X ha cardinalità strettamente maggiore di quella


dell’insieme N dei numeri naturali, i.e.,
esiste un sottoinsieme proprio A di X tale che A ∼C N.
Osservazione 3.19. La nozione di insieme finito chiarisce l’uso del termine cardinalità.
Infatti, quando X è un insieme finito, esiste un unico numero n0 ∈ N tale che
X = {x1 , . . . , xn0 }, con xi ̸= xj per ogni i, j ∈ {1, . . . , n0 } tali che i ̸= j,
ossia il numero degli elementi costituente l’insieme X è uguale ad n0 .
Ogni insieme equipollente all’insieme X, ossia ogni rappresentante della classe di equipollenza di X,
è costituito da n0 ∈ N elementi distinti.
Il numero naturale n0 risulta pertanto univocamente associato alla classe di equipollenza [X]∼C di
X, è detto cardinalità dell’insieme X che, in breve, si esprime con la scrittura
card(X) = n0 .
Tenendo conto della precedente osservazione, è immediata la
Proposizione 3.20. Sia X un insieme finito, con card(X) = n0 . Allora
(i) un insieme Y è equipotente ad X se, e soltanto se, card(Y ) = n0 ;
(ii) ogni sottoinsieme proprio A di X ha cardinalità strettamente minore di X, i.e.,
(2.1) 1 ≤ card(A) < n0 .
Rileviamo esplicitamente che la (ii) nella Proposizione 3.20 è falsa per sottoinsiemi infiniti come
mostra il seguente esempio (cfr. anche, Corollario 3.25, pag. 59, Teorema 3.43, pag. 67, e Lemma 4.38,
pag. 83).
Esempio 3.21. L’insieme N \ {1} è infinito e numerabile, i.e.,
card(N \ {1}) = card(N).
Basta osservare che la funzione
f (n) = n + 1, n ∈ N,
è iniettiva e suriettiva su N \ {1}, e tener conto della Definizione 1.73, pag. 29.
Teorema 3.22. Il prodotto cartesiano N × N è un insieme infinito e numerabile, i.e.,
(2.2) card(N × N) = card(N).
58 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Dimostrazione. Si consideri la relazione ⪯ definita sul prodotto cartesiano N × N come segue

• n + m < n1 + m1
def
(2.3) (n, m) ⪯ (n1 , m1 ) ⇐⇒ e
• n ≤ n1 quando n + m = n1 + m1 .
La relazione ⪯ definita dalla (2.3) è una relazione d’ordine totale su N × N, come si verifica facilmente
facendo uso della compatibilità della relazione d’ordine ≤.
In particolare,
(1, 1) ⪯ (1, 2) ⪯ (2, 1) ⪯ (1, 3) ⪯ (2, 2) ⪯ (3, 1) ⪯ · · ·
La funzione

1
 per n = m = 1,
f (n, m) =
n + (n + m − 1)(n + m − 2))

per (n, m) ̸= (1, 1),
2
è una corrispondenza biunivoca tra N × N e N. Di qui, per la Definizione 1.73, pag. 29, si ha la (2.2). □

3. Applicazioni del Principio di induzione


Il Principio di induzione, nelle formulazioni espresse dai Corollari 3.4–3.8, è un prezioso strumento e
per fini dimostrativi e per fornire definizioni ricorsive in modo non ambiguo.
3.1. Partizione di N in numeri pari e dispari.
Iniziamo con introdurre la nozione di numero naturale pari e dispari, come segue
Definizione 3.23. Sia n ∈ N. Allora
(i) n è pari quando esiste un numero k ∈ N tale che n = 2k;
(ii) n è dispari quando n + 1 è pari.
Il prossimo risultato evidenzia che l’insieme dei numeri reali risulta unione disgiunta dell’insieme dei
numeri pari (che sarà denotato con la scrittura 2N) e dell’insieme dei numeri dispari (che sarà denotato
con la scrittura 2N − 1).
Teorema 3.24. Ogni numero naturale n ∈ N o è pari o è dispari, ossia
   
(3.1) N = 2N ∪ 2N − 1 , con 2N ∩ 2N − 1 = ∅.
Dimostrazione. Si prova in primis che l’insieme
A = {n ∈ N : n pari o n dispari}
coincide con N, facendo uso del principio di induzione in forma insiemistica (cfr. Corollario 3.4, pag. 52).
Per dimostrare che A ⊆ N è induttivo, si osserva innanzitutto che 1 ∈ A in quanto 2 = 1 + 1 = 2 · 1. Di
poi, sia n ∈ A. Se n è pari, allora n + 1 è dispari, in quanto il successivo di n + 1, che è n + 2, risulta
pari. Quindi, n + 1 ∈ A. Se, invece, n ∈ A è dispari, allora n + 1 è pari per la (ii) della Definizione 3.23,
e quindi n + 1 ∈ A.
L’insieme A ⊆ N è quindi induttivo e per il Corollario 3.4 coincide con N.
Rimane ora da dimostrare che l’insieme 2N dei numeri pari è disgiunto dall’insieme 2N − 1 dei numeri
dispari.
Si supponga per assurdo che
 
(3.2) 2N ∩ 2N − 1 ̸= ∅,
allora esisterebbe un numero naturale k che è contemporaneamente sia pari sia dispari, ossia un numero
k ∈ N tale che
k = 2n e k + 1 = 2m per qualche n, m ∈ N.
Conseguentemente,
(3.3) 2n + 1 = 2m per qualche n, m ∈ N.
Se n = m, la (3.3) non può verificarsi, in quanto –per la (b) nella Proposizione 2.3, pag. 37– la (3.3)
sarebbe equivalente ad affermare che 1 = 0, che contraddice la (M3 ) nella Definizione 2.1, pag. 35.
3. APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI INDUZIONE 59

Se n < m, la (3.3) non può verificarsi, in quanto –per la (v) nella Proposizione 3.10, pag. 53– si
avrebbe che m − n ∈ N e, quindi, la (3.3) sarebbe equivalente ad affermare che 2(m − n) = 1, ossia che 1
è pari.
Se infine n > m, la (3.3) non può verificarsi, in quanto –per la (v) nella Proposizione 3.10– si avrebbe
che n − m ∈ N e la (3.3) sarebbe equivalente ad affermare che che 2(m − n) = 1, ossia che 1 è pari.
Per la legge di tricotomia, la (3.2) porta quindi ad una contraddizione. Risulta cosı̀ dimostrata la
veridicità della (3.1). □
Si è già osservato (cfr. Esempio 3.21) che il risultato espresso dalla (ii) nella Proposizione 3.20 –valido
per gli insiemi finiti– non si estende ai sottoinsiemi infiniti. Un ulteriore esempio è fornito dal seguente
Corollario 3.25. L’insieme 2N dei numeri pari e l’insieme 2N − 1 dei numeri dispari sono sot-
toinsiemi (propri di N e disgiunti) equipotenti ad N, i.e.,
(3.4) card(2N) = card(2N − 1) = card(N).
Dimostrazione. Basta osservare che la funzione
f (n) = 2n, n ∈ N,
è iniettiva e suriettiva su 2N, e la funzione
g(n) = 2n − 1, n ∈ N,
è iniettiva e suriettiva su 2N−1. La tesi segue quindi dalla Definizione 1.73, pag. 29, e dal Teorema 3.24. □
3.2. Definizioni per ricorrenza.

(I) Assegnata una successione (an )n∈N di numeri reali, la successione


(
s1 = a1 ,
(3.5)
sn+1 = sn + an+1 per ogni n ∈ N,
è ben definita.
Per ogni n ∈ N, il numero reale sn è detto somma parziale n-esima (o ridotta n-esima) generata dalla
successione (an )n∈N .
La denominazione di ‘somma parziale n-esima’ per il termine sn deriva dal fatto che essa è la somma dei
primi n termini della successione assegnata. Avvalendosi del simbolo di sommatoria, essa si esprime in
modo conciso con la scrittura
X n
(3.6) sn = ak per ogni n ∈ N.
k=1
Il valore numerico sn non dipende chiaramente dalla scelta della lettera k usata come indice nella scrittura
(3.6). Ciò si esprime dicendo che l’indice k è un ‘indice muto’.
Inoltre, la successione reale (sn )n∈N definita dalla (3.5) è detta serie numerica (reale), generata dalla
successione (an )n∈N .
(II) La successione
(
a1 = 1,
(3.7)
an+1 = (n + 1) an per ogni n ∈ N,
è ben definita.
Per ogni n ∈ N, il numero naturale an è detto fattoriale del numero naturale n ed viene denotato con
la scrittura
n! .
In particolare, quindi, 1! = 1 e
(n + 1)! = (n + 1) n! per ogni n ∈ N.

(III) Assegnata una successione (an )n∈N di numeri reali, la successione


(
p1 = a1 ,
(3.8)
pn+1 = pn · an+1 per ogni n ∈ N,
60 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

è ben definita.
Per ogni n ∈ N, il numero reale pn è detto prodotto parziale n-esimo generato dalla successione reale
(an )n∈N . La denominazione di ‘prodotto parziale n-esimo’ per il termine pn deriva dal fatto che
n
Y
pn = ak per ogni n ∈ N.
k=1

Si osservi che, per ogni n ∈ N, n! altro non è se non il prodotto parziale n-esimo della successione
(n)n∈N . Infatti
Yn
n! = k per ogni n ∈ N.
k=1

(IV) Sia x ∈ R. La successione


(
x1 = x,
(3.9)
xn+1 = xn · x per ogni n ∈ N,
è ben definita.
Per ogni n ∈ N, il numero xn è detto potenza n-esima di x.
Si osservi che, assegnato x ∈ R, per ogni n ∈ N, il numero reale xn altro non è se non il prodotto
parziale n-esimo della successione costantemente uguale ad x.

3.3. Applicazioni teoriche.


Teorema 3.26. Ogni sottoinsieme finito di un insieme totalmente ordinato ammette massimo e
minimo.
Dimostrazione. Sia (X, ⪯) un insieme totalmente ordinato. Se F ⊆ X è un insieme non vuoto e
finito, esiste un unico numero n0 ∈ N tale che card(F ) = n0 , e
F = {x1 , . . . , xn0 }, con xi ̸= xj per ogni i, j ∈ {1, . . . , n0 } tali che i ̸= j.
Si consideri la successione (Pn )n∈N di predicati, ove
un insieme Fn = {x1 , . . . , xn } ⊆ X, con xi ̸= xj per ogni i, j ∈ {1, . . . , n} tali che i ̸= j,
Pn :
ammette massimo e minimo.
Il predicato P1 è banalmente vero.
Infatti, se F1 = {x1 }, allora
min F1 = max F1 = x1 .
X X
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che ciò implica il verificarsi
del predicato Pn+1 .
Sia Fn+1 = {x1 , . . . , xn+1 } con xi ̸= xj per ogni i, j ∈ {1, . . . , n + 1} tali che i ̸= j. Poiché Fn+1 \ {xn+1 }
è un insieme costituito da n elementi distinti, esistono –avendo assunto come vero il predicato Pn –
(3.10) m = min(Fn+1 \ {xn+1 }) e M = max(Fn+1 \ {xn+1 }).
X X

In quanto (X, ⪯) è un insieme totalmente ordinato, l’elemento xn+1 ∈ Fn+1 ⊆ X è sempre confrontabile
con gli elementi m ed M definiti nella (3.10). Esistono, pertanto, sia il minimo sia il massimo dell’insieme
Fn+1 = {x1 , . . . , xn+1 }, in quanto
min Fn+1 = min{m, xn+1 } e max Fn+1 = max{M, xn+1 }.
X X X X

Dal principio di induzione in forma di predicati (cfr. Corollario 3.7, pag. 52), si deduce pertanto la
tesi. □
Il prossimo risultato illustra una condizione sufficiente affinché un sottoinsieme non vuoto di R sia
finito.
Lemma 3.27. Un sottoinsieme non vuoto X di R è finito se
(3.11) min A e max A esistono per ogni A ∈ P(X), con A ̸= ∅.
R R
3. APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI INDUZIONE 61

Dimostrazione. Si supponga, per assurdo, che X non sia finito, i.e.,

card (X) ≥ card (N) .

Procedendo per ricorrenza, la (3.11) assicura che la successione



a1 = max X,
R
(3.12)
an+1 = max (X \ {a1 , . . . , an }) per ogni n ∈ N,
R

è ben definita.
Per costruzione,

(3.13) an+1 < an per ogni n ∈ N.

Di poi, detto A = {an : n ∈ N} il codominio della successione (3.12), esso è un sottoinsieme non vuoto
di X, e quindi, per la (3.11), esso ammetto minimo, i.e., esiste un indice n̂ ∈ N tale che

(3.14) an̂ = min an ≤ an per ogni n ∈ N.


n∈N

La (3.14) contraddice però la (3.13). La (3.14) implica, infatti, in particolare che

an̂+1 ≥ an̂ .

Tale contraddizione conclude la dimostrazione, provando che l’insieme X deve essere necessariamente
finito. □

3.4. Applicazioni allo studio di equazioni e disequazioni.

Proposizione 3.28. Per ogni n ∈ N,


n
X n(n + 1)
(3.15) k= .
2
k=1

Dimostrazione. Per ogni n ∈ N, si definisca come predicato Pn l’uguaglianza (3.15).


Il predicato P1 è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha che
1(1 + 1)
1= = 1.
2
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1 . Si osserva che
n+1 n
X X n(n + 1)
k= k + (n + 1) = + (n + 1)
2
k=1 k=1
n  (n + 1)[(n + 1) + 1]
= (n + 1) +1 = .
2 2
La tesi segue pertanto dal Corollario 3.7. □

Proposizione 3.29. Per ogni n ∈ N,


n
X n(n + 1)(2n + 1)
(3.16) k2 = .
6
k=1

Dimostrazione. Per ogni n ∈ N, si definisca come predicato Pn l’uguaglianza (3.16).


Il predicato P1 è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha che
1(1 + 1)(3)
1= = 1.
6
62 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1 . Si osserva che
n+1 n
X X n(n + 1)(2n + 1)
k2 = k 2 + (n + 1)2 = + (n + 1)2
6
k=1 k=1
n(2n + 1) + 6(n + 1) 2n2 + 7n + 6
= (n + 1) = (n + 1)
6 6
(n + 1)(n + 2)(2n + 3)
= .
6
La tesi segue pertanto dal Corollario 3.7. □

Proposizione 3.30. Siano x, y ∈ R \ {0}. Per ogni n ∈ N, con n ≥ 2,


n
X
(3.17) y n − xn = (y − x) y n−k xk−1 ,
k=1
0 0
ove si conviene che x = y = 1.
Dimostrazione. Per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, si definisca come predicato Pn l’uguaglianza (3.17).
Il predicato P2 è banalmente vero. Infatti, se n = 2, si ha che
y 2 − x2 = (y − x)(y + x).
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, con n ≥ 2, dimostriamo che esso implica
il verificarsi del predicato Pn+1 . Si osserva che
y n+1 − xn+1 = y n+1 − yxn + yxn − xn+1 = y(y n − xn ) + xn (y − x)
n
" n #
X X
n−k k−1 n n+1−k k−1 n
= y(y − x) y x + x (y − x) = (y − x) y x +x
k=1 k=1
n+1
X
= (y − x) y n+1−k xk−1 .
k=1

La tesi segue pertanto dal Corollario 3.8. □

Proposizione 3.31. Per ogni n ∈ N,


(3.18) n + 1 ≤ 2n ≤ (n + 1)! .
Dimostrazione. Per ogni n ∈ N, definiamo come predicato Pn la prima stima nella (3.18).
Il predicato P1 è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha che 1 + 1 = 2.
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1 . Si osserva che, per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ di R con la somma ed
il prodotto in R,
n + 2 = (n + 1) + 1 ≤ 2n + 1 ≤ 2n + 2 ≤ 2n + 2n = 2 · 2n = 2n+1 .
La tesi segue pertanto dal Corollario 3.7.
Analogamente, per dimostrare la seconda stima nella (3.18), per ogni n ∈ N, sia
Pn′ : (n + 1)! ≥ 2n .
Il predicato P1′ è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha che 2 = 2!.
Supposto verificato il predicato Pn′ , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1

. Si osserva che, per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ con la somma ed il
prodotto in R,
2n+1 = 2 · 2n ≤ 2(n + 1)! ≤ (n + 2) · (n + 1)! = (n + 2)! .
La tesi segue pertanto dal Corollario 3.7. □
3. APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI INDUZIONE 63

Proposizione 3.32 (Formula del binomio). Siano x, y ∈ R \ {0}. Per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, si ha
che
n  
X n
(3.19) (x + y)n = xk y n−k ,
k
k=0
ove

   1 per k = 0 e k = n
n 
(3.20) =
k  n!

 per k ∈ N, con k < n.
k!(n − k)!
 
n
Per ogni n ∈ N e k ∈ N ∪ {0}, con k ≤ n, il numero definito dalla (3.20) è detto coefficiente
k
binomiale n su k.
Dimostrazione. Per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, si definisca come predicato Pn l’equazione (3.19).
Il predicato P2 è banalmente vero. Infatti, se n = 2, si ha
2       2  
X 2 0 2 2 1 1 2 2 0 X n k n−k
(x + y)2 = x2 + 2xy + y 2 = x y + x y + x y = x y .
0 1 2 k
k=0 k=0
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, con n ≥ 2, dimostriamo che esso implica
il verificarsi del predicato Pn+1 . Si osserva che
" n   #
X n
(x + y)n+1 = (x + y) (x + y)n = (x + y) xk y n−k
k
k=0
" n   # " n   #
X n X n
k n−k k n−k
=x x y + y x y
k k
k=0 k=0
n   n  
X n k+1 n−k X n k n−k+1
= x y + x y
k k
k=0 k=0

(ponendo h = k + 1 nella prima somma)


n+1
X  n  
n h n+1−h
X n k n−k+1
= x y + x y
h−1 k
h=1 k=0

(isolando l’addendo ottenuto in corrispondanza di h = n + 1 nella prima somma


ed isolando l’addendo ottenuto in corrispondanza di k = 0 nella seconda somma)
n   n  
n+1
X n h n−h+1 n+1
X n k n−k+1
=x + x y +y + x y
h−1 k
h=1 k=1
n  
 
X n n
= xn+1 + y n+1 + + xj y n+1−j .
j=1
j−1 j
In quanto      
n n n+1
+ = per ogni j ∈ {1, . . . , n}
j−1 j j
–come si verifica con semplici conti– si conclude che
n  
n+1 n+1 n+1
X n + 1 j n+1−j
(x + y) =x +y + x y
j=1
j
n+1
X 
n + 1 k n+1−k
= x y .
k
k=0
64 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

La tesi segue dunque dal Corollario 3.8. □


Proposizione 3.33 (Disuguaglianza di Bernoulli). Se x ∈ R, con x ≥ −1, allora, per ogni n ∈ N,
(3.21) (1 + x)n ≥ 1 + nx.
Inoltre, se x > −1 e x ̸= 0, per ogni n ∈ N, con n ≥ 2,
(3.22) (1 + x)n > 1 + nx.
Dimostrazione. Sia x ∈ R, con x ≥ −1. Per ogni n ∈ N, si definisca come predicato Pn la
disequazione (3.21).
Il predicato P1 è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha
1 + x = 1 + x.
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1 . Si osserva che, per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ con la somma ed il
prodotto in R,
(1 + x)n+1 = (1 + x) (1 + x)n ≥ (1 + x)(1 + nx) = 1 + nx + x + nx2
= 1 + (n + 1)x + nx2 ≥ 1 + (n + 1)x.
essendo 1 + x ≥ 0 e nx2 ≥ 0. La tesi segue quindi dal Corollario 3.7.
Sia ora x > −1 e x ̸= 0, per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, si definisca come predicato Pn′ la disequazione
(3.22).
Il predicato P2′ è banalmente vero. Infatti, se n = 2, si ha
(1 + x)2 = 1 + 2x + x2 > 1 + 2x,
in quanto x ̸= 0 e x2 > 0.
Supposto verificato il predicato Pn′ , per un arbitrario n ∈ N, con n ≥ 2 dimostriamo che esso implica
il verificarsi del predicato Pn+1

. Si osserva che, per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ di R con
la somma ed il prodotto in R,
(1 + x)n+1 = (1 + x) (1 + x)n > (1 + x) (1 + nx) = 1 + nx + x + nx2
= 1 + (n + 1)x + nx2 > 1 + (n + 1)x.
essendo 1 + x > 0, x ̸= 0 e nx2 > 0. La tesi segue quindi dal Corollario 3.8. □
Proposizione 3.34 (Disuguaglianza di Bernoulli generalizzata). Sia x ∈ [0, +∞[.
Per ogni n ∈ N, si ha che
n(n − 1) 2
(3.23) (1 + x)n ≥ 1 + nx + x .
2
Dimostrazione. Sia x ∈ R, con x ≥ 0. Per ogni n ∈ N, si definisca come predicato Pn la
disequazione (3.23).
Il predicato P1 è banalmente vero. Infatti, se n = 1, si ha
1 + x = 1 + x + 0 · x2 .
Supposto verificato il predicato Pn , per un arbitrario n ∈ N, dimostriamo che esso implica il verificarsi
del predicato Pn+1 . Si osserva che, per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ di R con la somma ed
il prodotto in R,
 
n+1 n n(n − 1) 2
(1 + x) = (1 + x) (1 + x) ≥ (1 + x) 1 + nx + x
2
n(n − 1) 2 n(n − 1) 3
= 1 + nx + x + x + nx2 + x
2 2
n(n − 1) 2
≥ 1 + nx + x + x + nx2
2
n(n + 1) 2
= 1 + (n + 1)x + x .
2
La tesi segue pertanto dal Corollario 3.7. □
4. L’INSIEME Z DEI NUMERI INTERI 65

4. L’insieme Z dei numeri interi


Come illustrato nei paragrafi precedenti, l’insieme N dei numeri naturali gode di proprietà notevoli,
ma chiaramente ci sono altre proprietà rilevanti che non risultano verificate. In particolare, N è chiuso
rispetto all’operazione di addizione, ma non rispetto alla differenza, e l’opposto di un numero naturale
non appartiene ad N.
Ciò conduce alla seguente
Definizione 3.35. L’insieme Z dei numeri interi è l’insieme costituito da tutti e soli i numeri reali
aventi modulo nullo o uguale ad un numero naturale, i.e., Z ⊂ R è (per la legge di tricotomia) l’unione
disgiunta
(4.1) Z = N ∪ {0} ∪ {x ∈ R : x = −n per qualche n ∈ N}.
Convenzione 3.36. L’insieme {x ∈ R : x = −n per qualche n ∈ N} dei numeri interi strettamente
negativi viene denotato con la scrittura Z− o −N.
Evidentemente,
N ⊂ Z,
e dalla (4.1), avvalendosi del Teorema 3.14, pag. 55, si deduce
Proposizione 3.37. L’insieme Z dei numeri interi non è limitato inferiormente e non è limitato
superiormente, i.e.,
(4.2) inf Z = −∞ e sup Z = +∞.
R R

Alcune proprietà significative dell’insieme Z dei numeri interi si ricavano immediatamente dalla Pro-
posizione 3.10, pag. 53, tenendo conto della (4.1), e sono elencate nella prossima proposizione. In parti-
colare, la (i) e la (ii) seguenti affermano che l’insieme Z è chiuso rispetto alle operazioni di somma e di
prodotto, rispettivamente. Inoltre, (Z, +) è un gruppo abeliano.
Proposizione 3.38.
(i) Per ogni p1 , p2 ∈ Z, p1 + p2 ∈ Z.
(ii) Per ogni p1 , p2 ∈ Z, p1 p2 ∈ Z.
(iii) Per ogni p ∈ Z, −p ∈ Z.
(iv) Per ogni p1 , p2 ∈ Z, se p1 < p2 , allora p1 + 1 ≤ p2 .
(v) Per ogni p ∈ Z non esiste un numero p̃ ∈ Z tale che p < p̃ < p + 1.
(vi) Per ogni p1 , p2 ∈ Z, se |p1 − p2 | < 1, allora p1 = p2 .

Dimostrazione. (i) Siano p1 , p2 ∈ Z. Si vuole provare che p1 + p2 ∈ Z. Si distinguono i cinque casi


possibili.
Se p1 = 0 o p2 = 0, allora p1 + p2 = p1 ∈ Z o p1 + p2 = p2 ∈ Z.
Se p1 , p2 ∈ N, allora p1 + p2 ∈ N per la (iii) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
Se p1 , p2 ∈ −N, allora p1 + p2 = −(|p1 | + |p2 |) ∈ −N per la (iii) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
Se, infine, p1 ∈ N e p2 ∈ −N, allora
(
p1 − |p2 | ∈ N se p1 > |p2 |,
p1 + p2 =
−(|p2 | − p1 ) ∈ −N se p1 < |p2 |,
per la (v) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
Pertanto, in tutti e cinque i casi, p1 + p2 ∈ Z.
(ii) Siano p1 , p2 ∈ Z. Si vuole provare che p1 p2 ∈ Z. Come nella precedente dimostrazione, si distinguono
i cinque casi possibili.
Se p1 = 0 o p2 = 0, allora p1 p2 = 0 ∈ Z per la legge di annullamento del prodotto (cfr. (e) nella
Proposizione 2.3, pag. 37).
Se p1 , p2 ∈ N, allora p1 p2 ∈ N per la (iv) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
Se p1 , p2 ∈ −N, allora p1 p2 = (−|p1 |) (−|p2 |) = |p1 | |p2 | ∈ N per la (o) nella Proposizione 2.3, pag. 37, e
la (iii) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
66 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Se, infine, p1 ∈ N e p2 ∈ −N, allora


p1 p2 = p1 (−|p2 |) = −(p1 |p2 |) ∈ −N
per la (n) nella Proposizione 2.3, pag. 37, e la (iii) nella Proposizione 3.10, pag. 53.
Pertanto, in tutti e cinque i casi, p1 p2 ∈ Z.
(iii) Segue banalmente dalla (ii).
(iv) Siano p1 , p2 ∈ Z, con p1 < p2 . Allora p2 −p1 > 0 e, per la (i), p2 −p1 ∈ N. Dalla (1.4) del Teorema 3.3,
pag. 51, segue che p2 − p1 ≥ 1 e quindi la tesi.
(v) Si procede per assurdo. Sia p ∈ Z tale che esista un numero un numero p̃ ∈ Z per cui p < p̃ < p + 1.
Allora, dalla (iv), si deduce che p + 1 ≤ p̃. Ciò chiaramente contraddice il fatto che p̃ < p + 1, per la legge
di tricotomia.
(vi) Siano p1 , p2 ∈ Z, con |p1 − p2 | < 1. Allora −1 < p1 − p2 < 1, i.e.,
(4.3) p2 − 1 < p1 < p2 + 1.
Per la legge di tricotomia si verifica uno ed uno solo dei seguenti casi: p1 < p2 , p1 = p2 , oppure
p1 > p2 .
Se p1 < p2 , dalla prima stima della (4.3) e dalla (iv) si dedurrebbe però la contraddizione p2 = (p2 −1)+1 ≤
p1 .
Se p1 > p2 , allora dalla seconda stima della (4.3) e dalla (iv) si dedurrebbe la contraddizione p1 ≤ p2 .
Pertanto, necessariamente, p1 = p2 . □

Dalla (4.1) e dai Teoremi 3.11, pag. e 3.12, pagg. 54- 54, si deduce il seguente
Teorema 3.39. Sia A un sottoinsieme non vuoto di Z.
(i) Se A è limitato inferiormente, allora A ammette minimo.
(ii) Se A è limitato superiormente, allora A ammette massimo.
(iii) A è limitato se, e soltanto se, A ammette minimo e massimo.
Dimostrazione. (i) La dimostrazione è analoga a quella del Teorema 3.11. L’uso della (vi) nella
Proposizione 3.10 all’interno della dimostrazione del Teorema 3.11 deve esser sostituito con l’uso della
(vi) della Proposizione 3.38.
(ii) La dimostrazione è analoga a quella del Teorema 3.12. Anche in questo caso l’uso della (vi) della
Proposizione 3.10 all’interno della dimostrazione del Teorema 3.12 deve esser sostituito con l’uso della
(vi) nella Proposizione 3.38.
(iii) Basta far uso delle (i) e (ii). □

Osservazione 3.40. La diversità fra l’enunciato (i) del Teorema 3.39 e quello del Teorema 3.11
è motivata dal fatto che ogni sottoinsieme non vuoto di N è limitato inferiormente da 1, mentre un
sottoinsieme non vuoto di Z non è necessariamente limitato inferiormente. Basti pensare all’insieme −N.

La (ii) del Teorema 3.39 rende la seguente definizione ben posta

Definizione 3.41. Per ogni x ∈ R, si dice parte intera di x il numero


(4.4) [x] = max{p ∈ Z : p ≤ x}.
Una proprietà importante dell’insieme dei numeri interi è esposta nel prossimo risultato, che – facendo
uso della rappresentazione geometrica di R (cfr. § 5, pag. 47)– afferma che in ogni segmento dell’asse reale
la cui lunghezza sia strettamente maggiore di 1 cade sempre almeno un punto la cui ascissa è un numero
intero.
Teorema 3.42. Per ogni x, y ∈ R, se y − x > 1, allora esiste almeno un numero p ∈ Z tale che
x < p < y.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R tali che y − x > 1. Chiaramente, x < y. Sia
(4.5) A = Z ∩ [y, +∞[.
5. L’INSIEME Q DEI NUMERI RAZIONALI 67

Per costruzione, A è un sottoinsieme di Z, non vuoto –in quanto Z non è limitato superiormente (cfr.
Proposizione 3.37)–, ed è limitato inferiormente dal numero y.
Per la (i) nel Teorema 3.39, l’insieme A ammette allora minimo in R.
Detto
(4.6) p̃ = min A,
R

si ha chiaramente che p̃ ∈ Z, e quindi – per la (i) nella Proposizione 3.38–


p̃ − 1 ∈ Z.
Per le (4.5) e (4.6), si ha che
p̃ − 1 < y ≤ p̃.
Di qui, tenendo conto dell’ipotesi y − x > 1, si conclude che
x < y − 1 ≤ p̃ − 1 < y,
ossia la tesi con p = p̃ − 1. □
È opportuno osservare che
Teorema 3.43. L’insieme Z dei numeri interi è infinito e numerabile, i.e.,
card (Z) = card (N) .
Dimostrazione. È sufficiente osservare che la funzione

f : N −→ Z
n − 1
(4.7)
 se n è dispari,
2

n 7−→
− n

se n è pari,
2
è ben definita (per il Teorema 3.24, pag. 58) ed è biiettiva. □

5. L’insieme Q dei numeri razionali


Definizione 3.44. L’insieme Q dei numeri razionali è l’insieme costituito da tutti e soli i numeri
reali che sono esprimibili come il quoziente di un numero intero rispetto ad un numero naturale, i.e.,
n p o
(5.1) Q = x ∈ R: x = per qualche p ∈ Z e n ∈ N .
n
p
Osservazione 3.45. Se q ∈ Q, allora q = np per qualche p ∈ Z e n ∈ N. L’espressione è detta
n
una rappresentazione frazionaria del numero q. L’articolo indeterminativo segue dal semplice fatto che
se q = np , allora anche kn
kp
, per ogni k ∈ N, è una rappresentazione frazionaria di q.
Ogni numero razionale ammette, quindi, infinite rappresentazioni frazionarie e, per p1 , p2 ∈ Z e
n1 , n2 ∈ N, si ha chiaramente che
p1 p2
= ⇐⇒ p1 n2 = n1 p2 .
n1 n2
p
Ogni numero razionale non nullo ammette però un’unica rappresentazione frazionaria , con p ∈ Z
n
e n ∈ N primi fra loro, ossia tale che il massimo comune divisore di |p| ed n è 1.
Si osservi che
N⊂Z⊂Q.
Di qui, dalla Proposizione 3.37 si deduce immediatamente
Proposizione 3.46. L’insieme Q dei numeri razionali non è limitato inferiormente e non è limitato
superiormente, i.e.,
(5.2) inf Q = −∞ e sup Q = +∞.
R R
68 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

Convenendo di denotare ancora con + e · le restrizioni a Q × Q delle operazioni di somma e prodotto


di R, e con ≤ la relazione d’ordine totale indotta da R su Q, si dimostra
Teorema 3.47. (Q, +, ·, ≤) è un campo totalmente ordinato, che non è completo. In particolare, Q
è un sottoinsieme proprio di R.
Dimostrazione. Il fatto che (Q, +, ·, ≤) sia un campo totalmente ordinato segue dalla Proposizio-
ne 3.10, pag. 53, e dalla Proposizione 3.38, pag. 65, mediante semplici verifiche che tengano conto della
Proposizione 2.3, pag. 37, e della Proposizione 2.6, pag. 40.
Per dimostrare che (Q, +, ·, ≤) non è completo, è sufficiente fornire l’esempio di un sottoinsieme non
vuoto di Q limitato superiormente in Q che non ammette estremo superiore in Q.
Si consideri, ad esempio, l’insieme
A = {q ∈ Q : q > 0 e q 2 < 2}.
Esso è non vuoto, in quanto 1 ∈ A.
Inoltre, l’insieme A è limitato superiormente in Q, in quanto 2 è un maggiorante per A in Q.
Infatti ( (
q>0 q>0
q ∈ A =⇒ ⇐⇒ ⇐⇒ 0 < q < 2.
q2 < 4 (q − 2)(q + 2) < 0
Si dimostra ora che
(5.3) ̸ ∃ sup A.
Q

Procedendo per assurdo, si supponga che la (5.3) sia falsa, i.e., si supponga che
(5.4) ∃ sup A.
Q

Posto Λ = sup A, si osserva innanzitutto che


Q

(5.5) Λ > 1,
1
in quanto 1 + ∈ A per ogni n ∈ N, con n ≥ 3.
n
Conseguentemente, tenendo anche conto del fatto che Q chiuso rispetto al prodotto e Λ ∈ Q,
Λ2 ∈ Q e Λ2 > 1.
Poiché 2 ∈ Q+ , 2 > 1, e (Q, +, ·, ≤) è un campo totalmente ordinato, si deve necessariamente verificare
–per la legge di tricotomia– uno, ed uno soltanto, dei seguenti tre casi: Λ2 = 2, Λ2 < 2 oppure Λ2 > 2.
Caso Λ2 = 2. Per le (5.4) e (5.5), e tenendo conto della (5.1),
m
(5.6) Λ= con m, n ∈ N aventi come massimo comune divisore 1.
n
 m 2
Conseguentemente, l’ipotesi = 2 equivale ad affermare che
n
(5.7) m2 = 2n2 .
La (5.7) implica che m2 è pari, e quindi
m = 2m̃ per qualche m̃ ∈ N.
Sostituendo tale valore nella (5.7) si ottiene che
4m̃2 = 2n2 ,
ossia che n2 è pari, i.e., n = 2ñ con ñ ∈ N.
Il fatto che m e n sono entrambi numeri pari contraddice la (5.6). Si conclude quindi che
(5.8) Λ2 ̸= 2.

Caso Λ2 < 2. Si dimostra in primis che in questo caso


(5.9) esiste un numero q̃ ∈ Q ∩ ]0, 1[ tale che (Λ + q̃)2 < 2.
5. L’INSIEME Q DEI NUMERI RAZIONALI 69

Infatti, se x ∈ ]0, 1[, allora


(5.10) (Λ + x)2 = Λ2 + x(2Λ + x) < Λ2 + x(2Λ + 1),
e
2 − Λ2
(5.11) Λ2 + x(2Λ + 1) < 2 ⇐⇒ x< .
2Λ + 1
Le (5.10) e (5.11) assicurano pertanto che
2 − Λ2
  
2
(Λ + x) < 2 se x ∈ 0, min 1, .
2Λ + 1
Di qui, facendo uso del Principio di Archimede, si deduce la (5.9). Precisamente, la (iv) nel Teorema 3.15,
pag. 55, applicata con
2 − Λ2
 
ϵ = min 1, ,
2Λ + 1
assicura l’esistenza di un numero ν = ν(ϵ) ∈ N tale che ν1 < ϵ. Il numero razionale q̃ = ν1 verifica la (5.9).
D’altra parte, la (5.9) chiaramente contraddice la (5.4), in quanto la (5.9) afferma che Λ + q̃ ∈ A e
Λ + q̃ > Λ.
Si conclude pertanto che
(5.12) Λ2 ≥ 2.

Caso Λ2 > 2. Si dimostra in primis che, se Λ2 > 2, allora


(5.13) esiste un numero q̄ ∈ Q ∩ ]0, 1[ tale che (Λ − q̄)2 > 2.

Infatti, se x ∈ ]0, 1[, allora


(5.14) (Λ − x)2 = Λ2 − 2Λx + x2 > Λ2 − 2Λx,
e
Λ2 − 2
(5.15) Λ2 − 2Λx > 2 ⇐⇒ x< .

Le (5.14) e (5.15) assicurano pertanto che
Λ2 − 2
  
2
(Λ − x) > 2 se x ∈ 0, min 1, .

Di qui, per la (iv) nel Teorema 3.15, applicata con
Λ2 − 2
 
ϵ = min 1, ,

1 1
assicura l’esistenza di un numero ν = ν(ϵ) ∈ N tale che ν < ϵ. Il numero q̄ = ν verifica pertanto la (5.13).
Allora, dalla provata (5.13), segue che
(5.16) q 2 < 2 < (Λ − q̄)2 per ogni q ∈ A.
Per le (5.5) e (5.13),
Λ − q̄ ∈ Q+ ,
e per la (5.16)
(5.17) q < Λ − q̄ per ogni q ∈ A.
La (5.17) contraddice però la (5.4), in quanto la (5.17) afferma che Λ − q̄ risulta un maggiorante di
A in Q ma Λ − q̄ < Λ e Λ è il minimo dei maggioranti di A in Q.
Si conclude pertanto che
(5.18) Λ2 ≤ 2.
Riassumendo, quindi, le (5.8), (5.12) e (5.18) contraddicono la legge di tricotomia. Tale contraddizione
dimostra che la (5.4) non può esser vera, ossia la veridicità della (5.3).
70 3. SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R: N, Z, Q E R \ Q

La (5.3) evidenzia inoltre che Q è un sottoinsieme proprio di R. Infatti, R è un campo totalmente


ordinato e completo, mentre –come appena evidenziato– Q è un suo sottocampo totalmente ordinato, che
però non è completo. □
Facendo uso del Teorema 3.15, pag. 55, e del Teorema 3.42, pag. 66, si prova ora che tra due numeri
reali distinti cade sempre almeno un numero razionale.
Per la rappresentazione geometrica di R (cfr. § 5, pag. 47), ciò significa che in ogni segmento dell’asse
reale, la cui lunghezza sia non nulla e piccola a piacere, cade sempre almeno un punto la cui ascissa è un
numero razionale.
Teorema 3.48. [Densità di Q in R] Per ogni x, y ∈ R, con x < y, esiste almeno un numero q ∈ Q
tale che
x < q < y.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R, con x < y. Allora, y − x > 0. La (iii) nel Teorema 3.15, pag. 55
–applicata con y − x al posto di x ed 1 al posto di y– garantisce l’esistenza di un numero n ∈ N tale che
n(y − x) > 1.
Poiché nx, ny ∈ R e ny − nx > 1, il Teorema 3.42 assicura l’esistenza di un numero p ∈ Z tale che
nx < p < ny,
i.e.,
p
x< < y,
n
p
e quindi la tesi ponendo q = . □
n
Corollario 3.49. Sia y ∈ R. Se per ogni ϵ ∈ R+ si ha che |y| < ϵ, allora y = 0.
Dimostrazione. Argomentando per assurdo, si supponga che y ̸= 0. Allora |y| > 0, e quindi per il
Teorema 3.48 esisterebbe un numero razionale q ∈ ]0, |y|[. Ciò contraddice l’ipotesi che |y| < ϵ per ogni
ϵ ∈ R+ . □

6. L’insieme R \ Q dei numeri irrazionali


Come evidenziato dal Teorema 3.47, l’insieme Q dei numeri razionali è un sottoinsieme proprio di R.
Ciò motiva la seguente
Definizione 3.50. L’insieme R \ Q –costituito da tutti e soli i numeri reali che non sono razionali–
è detto insieme dei numeri irrazionali.
Il prossimo risultato evidenzia che l’insieme R \ Q dei numeri irrazionali non solo è non vuoto, ma è
costituito da infiniti elementi, alla luce del seguente
Lemma 3.51. Per ogni q ∈ Q e per ogni ξ ∈ R \ Q,
(i) q + ξ ∈ R \ Q ;
(ii) q · ξ ∈ R \ Q se q ̸= 0.
Dimostrazione. Siano q ∈ Q e ξ ∈ R \ Q arbitrariamente assegnati.
(i) Si supponga, per assurdo, che q + ξ ∈ Q. Ciò significa che
esiste un numero q̄ tale che q + ξ = q̄.
Ma allora
ξ = q̄ − q,
il che però contraddice il fatto che Q è un campo algebrico (cfr. Teorema 3.47).
Conseguentemente, q + ξ ∈ R \ Q.
(ii) Sia q ̸= 0. Si supponga, per assurdo, che q · ξ ∈ Q. Ciò significa che
esiste un numero q̄ tale che q · ξ = q̄.
Ma allora

ξ= ,
q
6. L’INSIEME R \ Q DEI NUMERI IRRAZIONALI 71

il che però contraddice il fatto che Q è un campo algebrico (cfr. Teorema 3.47).
Si deve, quindi, necessariamente verificare che q · ξ ∈ R \ Q. □
Osservazione 3.52. L’insieme R \ Q non è chiuso né rispetto all’addizione né rispetto alla moltipli-
cazione di R. √ √
Si considerino, ad esempio, i numeri 1 + 2 e 1 − 2. Essi sono numeri irrazionali, per la (i) nel
Lemma 3.51 e per la dimostrazione della Proposizione 3.47, ma la loro somma è 2 ed il loro prodotto è
−1, entrambi numeri interi.
Combinando la (i) nel Lemma 3.51 con la Proposizione 3.46
Proposizione 3.53. L’insieme R \ Q dei numeri irrazionali non è limitato inferiormente e non è
limitato superiormente, i.e.,
(6.1) inf R \ Q = −∞ e sup R \ Q = +∞.
R R

Facendo uso del Teorema 3.48 e del Lemma 3.51, si prova ora che tra due numeri reali distinti cade
sempre almeno un numero irrazionale.
Avvalendosi della rappresentazione geometrica di R, ciò significa che in ogni segmento dell’asse reale,
la cui lunghezza sia non nulla e piccola a piacere, cade sempre almeno un punto la cui ascissa è un numero
irrazionale.
Teorema 3.54. [Densità di R \ Q in R] Per ogni x, y ∈ R, con x < y, esiste almeno un numero
ξ ∈ R \ Q tale che x < ξ < y.
√ √
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R, con x < y. Allora x + 2 < y + 2, per la compatibilità della
relazione d’ordine rispetto alla somma. √ √
Il Teorema 3.48 garantisce allora l’esistenza di un numero q ∈ Q tale che x + 2 < q < y + 2, i.e.,

x < q − 2 < y.

In quanto 2 ∈ R \ Q, la tesi segue dalla (i) nel Lemma 3.51. □
CAPITOLO 4

Funzioni reali e funzioni reali di una variabile reale

Nel § 5 del Cap. 1, pag. 24, è stata fornita la definizione di funzione, definita ed a valori in insiemi
arbitrari. L’introduzione del sistema algebrico dei numeri reali e la disamina svolta delle sue proprietà
portano inizialmente a focalizzare l’attenzione su funzioni definite su insiemi arbitrari ed a valori in R
nella prima sezione, e di poi su funzioni definite su sottoinsiemi di R ed a valori in R nel § 2, pag. 77.

1. Funzioni reali
Definizione 4.1. Una funzione reale f è una funzione, definita su un insieme X non vuoto, che
assume valori in R, ossia
codomf ⊆ R.
In virtù della legge di tricotomia (cfr. Osservazione 1.36, pag. 18) e del Teorema 3.26, pag. 60, ad ogni
funzione reale risultano naturalmente associate tre funzioni reali non negative, illustrate nelle seguenti
Definizioni 4.2. Sia f : X → R.
(i) La funzione valore assoluto di f è la funzione

|f | : X −→ R
(
(1.1) f (x) se f (x) ≥ 0,
x 7−→ |f (x)| =
−f (x) se f (x) < 0.

(ii) La funzione parte positiva di f è la funzione

f + : X −→ R
(
(1.2) f (x) se f (x) ≥ 0,
x 7−→ max{f (x), 0} =
0 se f (x) < 0.

(iii) La funzione parte negativa di f è la funzione

f − : X −→ R
(
(1.3) 0 se f (x) ≥ 0,
x 7−→ max{−f (x), 0} =
−f (x) se f (x) < 0.

Osservazione 4.3. Se f : X → R, la funzione valore assoluto |f | è la funzione composta | · | ◦ f .


Evidentemente,
Proposizione 4.4. Se f : X → R, allora
(i) le funzioni |f |, f + e f − sono non negative, i.e., assumono valori in [0, +∞[;
(ii) |f | = f + + f − ;
(iii) f = f + − f − .

73
74 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

1.1. Estremi di una funzione reale. Dalla definizione di funzione segue che, per ogni funzione
reale f : X → R, l’insieme f (X) è un sottoinsieme non vuoto di R.
La struttura totalmente ordinata e completa del sistema algebrico dei numeri reali, nonché i concetti
introdotti nel § 4 del Cap. 1, pag. 19, e nei § 1 e 2 del Cap. 2, pag. 35 e pag. 42, rispettivamente, consentono
di introdurre in modo molto naturale i concetti di minimo e massimo, limitatezza inferiore e superiore,
estremo inferiore e superiore per una funzione reale, come descritto dalle seguenti
Definizioni 4.5. Se f : X → R, allora
(i) f ammette minimo (globale) quando l’insieme f (X) ⊆ R ammette minimo in R.
In tal caso, un punto x0 ∈ X tale che
f (x0 ) = min f (X)
R

è detto un punto di minimo (globale) per f ;

(ii) f ammette massimo (globale) quando l’insieme f (X) ammette massimo in R.


In tal caso, un punto x0 ∈ X tale che
f (x0 ) = max f (X)
R

è detto un punto di massimo (globale) per f .


Notazioni 4.6. Sia f : X → R.
(i) Se f ammette minimo, allora il min f (X) è denotato con la scrittura
R

min f (x) o min f


x∈X X

e, quando il dominio X è ben chiaro dal contesto, semplicemente con


min f ;

(ii) Se f ammette massimo, il max f (X) è denotato con scrittura


R

max f (x) o max f


x∈X X

e, quando il dominio X è ben chiaro dal contesto, con la scrittura max f .

Osservazione 4.7. Assegnata una funzione f : X → R, se esiste il valore minimo e/o il valore
massimo di f , esso è unico (cfr. Osservazione 1.41, pag. 20).
Tali valori possono però essere assunti in più punti di X.
Si forniscono ora le seguenti
Definizioni 4.8. Sia f : X → R. Allora
(i) f è limitata inferiormente quando l’insieme f (X) è limitato inferiormente in R;
(ii) f è limitata superiormente quando l’insieme f (X) è limitato superiormente in R;
(iii) f è limitata quando f è limitata inferiormente e superiormente.
La completezza del sistema algebrico dei numeri reali consente di introdurre quindi le
Notazioni 4.9. Sia f : X → R.
(i) Se f è limitata inferiormente, l’estremo inferiore dell’insieme non vuoto f (X) (i.e., l’inf f (X))
R
è denotato con scrittura
inf f (x) o inf f
x∈X X
e, quando il dominio X è ben chiaro dal contesto, semplicemente con la scrittura
inf f ;
1. FUNZIONI REALI 75

(ii) se f è limitata superiormente, l’estremo superiore dell’insieme non vuoto f (X) (i.e., il sup f (X))
R
è denotato con la scrittura
sup f (x) o sup f
x∈X X
e, quando il dominio X è ben chiaro dal contesto, semplicemente con la scrittura
sup f.
Osservazione 4.10. Se f : X → R è limitata inferiormente, allora
−∞ < inf f ≤ f (x) per ogni x ∈ X.
Se f : X → R è limitata superiormente, allora
f (x) ≤ sup f < ∞ per ogni x ∈ X.
Se f : X → R è limitata inferiormente e superiormente, allora
−∞ < inf f ≤ f (x) ≤ sup f < ∞ per ogni x ∈ X.
Alla luce delle Definizioni 4.5 e 4.8, dalle Proposizioni 1.47 e 1.50, pag. 22, segue
Proposizione 4.11. Sia f : X → R. Allora
(i) f ammette minimo se, e soltanto se, f è limitata inferiormente e inf f ∈ f (X).
X
In particolare,
min f = inf f ;
X X

(ii) f ammette massimo se, e soltanto se, f è limitata superiormente e sup f ∈ f (X).
X
In particolare,
max f = sup f.
X X

Inoltre, tenendo conto della Proposizione 2.7, pag. 42, si osserva che
Proposizione 4.12. Sia f : X → R. Se f è limitata inferiormente e
inf f ∈
/ f (X),
X
allora per un numero λ ∈ R le seguenti proprietà sono equivalenti:
(a) λ = inf f ;
X
(
∀x ∈ X : λ ≤ f (x),
(b)
∀ϵ > 0 ∃ xϵ ∈ X tale che λ < f (xϵ ) < λ + ϵ.

Analogamente, per la Proposizione 2.8, pag. 42,


Proposizione 4.13. Sia f : X → R. Se f è limitata superiormente e e
sup f ∈
/ f (X),
X
allora per un numero Λ ∈ R le seguenti proprietà sono equivalenti:
(a’) Λ = sup f ;
X
(
∀x ∈ X : f (x) ≤ Λ,
(b’)
∀ϵ > 0 ∃ xϵ ∈ X tale che Λ − ϵ < f (xϵ ) < Λ.

La limitatezza di una funzione reale può essere caratterizzata tramite la sua funzione assoluto (cfr.
(i) nelle Definizioni 4.2, pag. 73) come segue
Proposizione 4.14. Sia f : X → R. Allora
f è limitata ⇐⇒ la funzione |f | è limitata (superiormente).
76 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Dimostrazione. (⇒) Se f è limitata, allora esistono a, b ∈ R tali che a ≤ f (x) ≤ b per ogni x ∈ X.
Per la Proposizione 2.22, pag. 46,

−|a| ≤ a ≤ f (x) ≤ b ≤ |b| per ogni x ∈ X.

Detto M = max{|a|, |b|}, si ha pertanto che M ∈ [0, +∞[ e

0 ≤ |f (x)| ≤ M per ogni x ∈ X,

i.e., |f | è limitata (superiormente).


(⇐) Se |f | è limitata (superiormente), allora esiste M ∈ [0, +∞[ tale che 0 ≤ |f (x)| ≤ M per ogni x ∈ X.
Dalla (ix) della Proposizione 2.22, pag. 46, ciò significa che −M ≤ f (x) ≤ M per ogni x ∈ X, i.e., f è
limitata. □

1.2. Funzioni reali ed operazioni algebriche.

Definizioni 4.15. Siano f : X1 → R e g : X2 → R due funzioni reali.


Se X = X1 ∩ X2 ̸= ∅, allora
(i) la somma di f e g è la funzione
(f + g) : X −→ R
(1.4)
x 7−→ f (x) + g(x)

i.e.,
def
(f + g)(x) = f (x) + g(x) per x ∈ X;

(ii) la differenza di f e g è la funzione


(f − g) : X −→ R
(1.5)
x 7−→ f (x) − g(x)

i.e.,
def
(f − g)(x) = f (x) − g(x) per x ∈ X;

(iii) il prodotto di f e g è la funzione


(f · g) : X −→ R
(1.6)
x 7−→ f (x) · g(x)

i.e.,
def
(f · g)(x) = f (x) · g(x) per x ∈ X.

Se X∗ = X \ {x ∈ X : g(x) = 0} =
̸ ∅, allora
(iv) il rapporto di f e g è la funzione
 
f
: X∗ −→ R
g
(1.7)
f (x)
x 7−→
g(x)
i.e.,
 
f def f (x)
(x) = per x ∈ X∗ .
g g(x)
2. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE 77

2. Funzioni reali di una variabile reale


Definizione 4.16. Una funzione reale di una variabile reale f è una funzione reale tale che
domf ⊆ R.
Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R reale di una variabile reale definita sull’insieme X, il suo
grafico
graff = {(x, y) : x ∈ X, y = f (x)}
è un sottoinsieme di R2 , che viene ad essere visualizzabile come una ‘figura’ nel piano cartesiano avva-
lendosi del modello ‘geometrico’ dei numeri reali (cfr. § 6, pag. 48).
Tale ‘figura’ è caratterizzata dalla seguente proprietà geometrica: ogni retta parallela all’asse 0y e
passante per il punto (x, 0) dell’asse 0x, con x ∈ X, interseca la figura in uno ed un solo punto, esattamente
(x, f (x)).
La rappresentazione nel piano cartesiano del grafico di f : X ⊆ R → R è solitamente designata con
il nome di curva di equazione y = f (x), o di diagramma cartesiano di f , od anche di luogo geometrico di
equazione y = f (x).
La proiezione del graff sull’asse 0x è la rappresentazione del dominio di f sull’asse 0x, mentre la proiezione
del graff sull’asse 0y è la rappresentazione dell’insieme f (X) sull’asse 0y.
La presenza di simmetrie notevoli del grafico di funzioni reali di una variabile reale sono formalizzate
attraverso le nozioni introdotte nelle prossime due sezioni.

2.1. Funzioni pari e funzioni dispari.


Definizione 4.17. Una funzione f : X ⊆ R → R è pari quando
(i) il dominio X è simmetrico rispetto allo zero, i.e.,
(2.1) x∈X ⇐⇒ −x ∈ X,
(ii) f (x) = f (−x) per ogni x ∈ X.
Assegnato un sistemi di assi cartesiani Oxy, il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto alle
asse 0y.
Definizione 4.18. Una funzione f : X ⊆ R → R è detta dispari quando
(i) il dominio X è simmetrico rispetto allo zero, i.e., vale la (2.1),
(ii) f (x) = −f (−x) per ogni x ∈ X.
Assegnato un sistemi di assi cartesiani Oxy, il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto
all’origine degli assi.
Osservazioni 4.19. (I) Se il dominio X di una funzione f : X ⊆ R → R non è simmetrico rispetto
allo zero, le condizioni (ii) nelle Definizioni 4.17 e 4.18 non sono chiaramente ben definite. Pertanto, ogni
funzione reale definita su un sottoinsieme di R non simmetrico rispetto allo zero non può essere né pari
né dispari.
(II) L’unica funzione su un dominio simmetrico X di R che è al contempo sia pari sia dispari è la funzione
nulla in ogni punto di X.
Ciò segue banalmente dalle (ii) nelle Definizioni 4.17 e 4.18, e dal fatto che l’unico numero reale che
coincide con il suo opposto è 0.
Esempi 4.20. La funzione valore assoluto f (x) = |x|, x ∈ R, è una funzione pari. Inoltre, per ogni
n ∈ N, la funzione f (x) = x2n , x ∈ R, è una funzione pari.
Per ogni n ∈ N, la funzione f (x) = x2n−1 , x ∈ R, è una funzione dispari.

2.2. Funzioni monotòne.


Definizioni 4.21. Sia f : X ⊆ R → R e sia A un sottoinsieme non vuoto di X. Allora f è
(i) crescente in A quando per ogni x1 , x2 ∈ A, con x1 < x2 , si ha che f (x1 ) ≤ f (x2 );
(ii) strettamente crescente in A quando per ogni x1 , x2 ∈ A, con x1 < x2 , si ha che f (x1 ) < f (x2 );
78 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(iii) decrescente in A quando per ogni x1 , x2 ∈ A, con x1 < x2 , si ha che f (x1 ) ≥ f (x2 );
(iv) strettamente decrescente in A quando per ogni x1 , x2 ∈ A, con x1 < x2 , si ha che f (x1 ) > f (x2 ).

Inoltre, f è monotòna su A quando è crescente o è decrescente su A, e strettamente monotòna su A


quando è strettamente crescente o è strettamente decrescente su A.
Osservazioni 4.22. Tenendo conto delle Definizioni 4.17, 4.18 e 4.21, con semplici verifiche, si deduce
che
(I) una funzione f : X ⊆ R → R pari non può esser né strettamente crescente né strettamente decrescente
su X;
(II) se f : X ⊆ R → R è una funzione pari e la sua restrizione a X ∩ [0, +∞[ è crescente [risp. strettamente
crescente], allora la sua restrizione a X∩ ] − ∞, 0] è decrescente [risp. strettamente decrescente];
(III) se f : X ⊆ R → R è una funzione pari e la sua restrizione a X ∩ [0, +∞[ è decrescente [risp.
strettamente decrescente], allora la sua restrizione a X∩ ]−∞, 0] è crescente [risp. strettamente crescente].
(IV) se f : X ⊆ R → R è una funzione dispari e la sua restrizione a X ∩ [0, +∞[ è crescente [risp.
strettamente crescente], allora la sua restrizione a X∩ ] − ∞, 0] è anch’essa crescente [risp. strettamente
crescente];
(V) se f : X ⊆ R → R è una funzione dispari e la sua restrizione a X ∩ [0, +∞[ è decrescente [risp.
strettamente decrescente], allora la sua restrizione a X∩ ]−∞, 0] èanch’essa decrescente [risp. strettamente
decrescente].
Di fondamentale importanza è il seguente
Teorema 4.23. Ogni funzione f : X ⊆ R → R strettamente monotòna è invertibile, e la sua funzione
inversa f −1 : f (X) → X ha lo stesso tipo di monotònia.
Dimostrazione. Sia f : X ⊆ R → R strettamente crescente [risp. strettamente decrescente]. In
quanto f (x1 ) = f (x2 ) implica che x1 = x2 per ogni x1 , x2 ∈ X, la funzione è iniettiva, e dunque
invertibile (cfr. Osservazione 1.72, pag. 29). Esiste, quindi, ed è unica la sua funzione inversa
f −1 : f (X) → X.
Resta da provare che f −1 è strettamente crescente [risp. strettamente decrescente].
Siano y1 , y2 ∈ f (X), con y1 < y2 , scelti arbitrariamente. Esistono (e sono unici, per l’iniettività della
funzione f ) due elementi x1 , x2 ∈ X tali che y1 = f (x1 ) e y2 = f (x2 ). Equivalentemente,
x1 = f −1 (y1 ) e x2 = f −1 (y2 ).
Occorre perciò dimostrare che x1 < x2 [risp. x1 > x2 ].
Chiaramente, x1 ̸= x2 , in quanto altrimenti si avrebbe che y1 = y2 , in contraddizione con l’ipotesi
che y1 < y2 .
Inoltre, se x1 > x2 [risp. se x1 < x2 ] –via la stretta crescenza [risp. via la stretta decrescenza] della
funzione f – si avrebbe che y1 > y2 in contraddizione con l’ipotesi che y1 < y2 . Ciò prova la tesi, in virtù
della tricotomia e dell’arbitrarietà dei punti y1 , y2 ∈ f (X), con y1 < y2 , presi in considerazione. □
Osservazione 4.24. Alla luce del Corollario 1.71, pag. 29, e dell’Osservazione 1.72, il Teorema 4.23
sancisce che, per ogni funzione f : X ⊆ R → R ed A ⊆ X,
(i) f è strettamente crescente in A se, e soltanto se, f −1 è strettamente crescente in f (A),
ossia
per ogni x1 , x2 ∈ A : x1 < x2 ⇐⇒ f (x1 ) < f (x2 );

per ogni y1 , y2 ∈ f (A) : y1 < y2 ⇐⇒ f −1 (y1 ) < f −1 (y2 );


(ii) f è strettamente decrescente in A se, e soltanto se, f −1 è strettamente decrescente in f (A),
ossia
per ogni x1 , x2 ∈ A : x1 < x2 ⇐⇒ f (x1 ) > f (x2 );

per ogni y1 , y2 ∈ f (A) : y1 < y2 ⇐⇒ f −1 (y1 ) > f −1 (y2 ).


3. SUCCESSIONI REALI 79

2.3. Funzioni periodiche. Le funzioni periodiche sono dei prototipi utili per descrivere i fenomeni
“periodici” come il moto dei pianeti, la propagazione delle onde (meccaniche o elettromagnetiche), il moto
di un pendolo o certi andamenti di malattie infettive di carattere stagionale.

Definizione 4.25. Una funzione f : X ⊆ R → Y è detta T -periodica (o di periodo T ) quando esiste


un numero reale T > 0 tale che
(i) X è un insieme T -periodico, ossia

x∈X ⇐⇒ x + T ∈ X;

(ii) f (x + T ) = f (x) per ogni x ∈ X.

Osservazioni 4.26. (I) Se f : X ⊆ R → Y è T -periodica, allora f è periodica anche kT -periodica,


per ogni k ∈ N (lo si dimostra applicando il principio di induzione). Una funzione periodica ammette,
dunque, infiniti periodi.
Ha pertanto senso chiedersi se ogni funzione f che è T -periodica, per qualche T > 0, ammetta periodo
minimo. Ciò equivale a chiedersi se l’insieme numerico dei periodi di f ammetta minimo. La risposta
è negativa. Le funzioni reali costanti, definite nel § 1 del prossimo capitolo, sono infatti banalmente
periodiche, ma, per ogni c ∈ R, si ha che

inf {T ∈ R+ : c 1R (x) = c 1R (x + T )} = 0.
R

(II) Dalla precedente osservazione, e dalle definizioni di Z e di insieme T -periodico, si ha che

(2.2) f (x + kT ) = f (x) per ogni x ∈ X e per ogni k ∈ Z.

(III) Se una funzione f T -periodica ammetta periodo minimo, ossia

T0 = inf {T ∈ R+ : f è T-periodica} > 0,


R

1
il numero positivo è detto frequenza.
T0
(III) Dalla Definizione 4.25 segue che se una funzione f : R → Y è T -periodica, allora è sufficiente stu-
diare la sua restrizione ad un qualsiavoglia intervallo I limitato di ampiezza T semiaperto superiormente
ottenendo anche che f (R) = f (I).
Ad esempio, scelto arbitrariamente x0 ∈ R, si può considerare l’intervallo
h T Th
Io = x0 − , x0 +
2 2
e
f (R) = f (I0 ).

(IV) Dal punto di vista grafico, una funzione f : R → R è periodica di periodo T se, e soltanto se, il suo
grafico è invariante rispetto alla traslazione che manda l’origine del sistema cartesiano nel punto (T, 0),
ossia
(x, y) ∈ graff ⇐⇒ (x + T, y) ∈ graff.

Esempi notevoli di funzioni periodiche sono le funzioni trigonometriche (cfr. § 12, pag. 105).

3. Successioni reali
Le successioni reali –cfr. Definizioni 3.5, pag. 52– sono funzioni reali il cui dominio di definizione è
l’insieme N dei numeri naturali.
Le nozioni introdotte nel § 1 cosı̀ come la nozione di monotònia sono ben poste per le successioni
reali. Le tante proprietà notevoli dell’insieme N dei numeri naturali illustrate nel Cap. 3 consentono, però,
di formularle in modo più sintetico.
80 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

3.1. Estremi di una successione reale.


Definizioni 4.27. Sia (an )n∈N una successione reale. Allora
(i) la successione (an )n∈N ammette minimo quando esiste un numero n̄ ∈ N tale che
an̄ ≤ an per ogni n ∈ N.
In tal caso, ci si avvale della scrittura
an̄ = min an ;
n

(ii) la successione (an )n∈N ammette massimo quando esiste un numero n̄ ∈ N tale che
an ≤ an̄ per ogni n ∈ N.
In tal caso, ci si avvale della scrittura
an̄ = max an ;
n

(iii) la successione (an )n∈N è limitata inferiormente quando esiste un numero c ∈ R tale che
c ≤ an per ogni n ∈ N.

(iv) la successione (an )n∈N è limitata superiormente quando esiste un numero C ∈ R tale che
an ≤ C per ogni n ∈ N.

(v) la successione (an )n∈N è limitata quando è limitata inferiormente e superiormente.


Notazioni 4.28. Sia (an )n∈N una successione reale.
(i) Se (an )n∈N è limitata inferiormente, l’estremo inferiore dell’insieme non vuoto {an : n ∈ N}
(i.e., l’ inf {an : n ∈ N}) è denotato con scrittura
R

inf an ;
n

(ii) se (an )n∈N è limitata superiormente, l’estremo superiore dell’insieme non vuoto {an : n ∈ N}
(i.e., il sup{an : n ∈ N}) è denotato con scrittura
R
sup an .
n

Osservazione 4.29. Se una successione reale (an )n∈N è limitata, allora


−∞ < inf an ≤ an ≤ sup an < ∞ per ogni n ∈ N.
n n

Per le successioni reali la Proposizione 4.12, pag. 75, e la Proposizione 4.13, pag. 75, sono riscrivibili come
segue
Proposizione 4.30. Sia (an )n∈N una successione reale.
Se (an )n∈N è limitata inferiormente e non ammette minimo, allora per un numero λ ∈ R le seguenti
proprietà sono equivalenti:
(i) λ = inf an ;
n
(
∀n ∈ N : λ ≤ an ,
(ii)
∀ϵ > 0 ∃ nϵ ∈ N tale che λ < anϵ < λ + ϵ.
Proposizione 4.31. Sia (an )n∈N una successione reale.
Se (an )n∈N è limitata superiormente e non ammette massimo, allora per un numero Λ ∈ R le seguenti
proprietà sono equivalenti:
3. SUCCESSIONI REALI 81

(i’) Λ = sup an ;
n
(
∀n ∈ N : an ≤ Λ,
(ii’)
∀ϵ > 0 ∃ nϵ ∈ N tale che Λ − ϵ < anϵ < Λ.

La Proposizione 4.14 si formula inoltre come segue


Proposizione 4.32. Una successione reale (an )n∈N è limitata se, e soltanto se, la successione
(|an |)n∈N è limitata (superiormente).

3.2. Successioni reali ed operazioni algebriche. Per le successioni reali, le Definizioni 4.15,
pag. 76, sono esprimibili come
Definizioni 4.33. Siano (an )n∈N e (bn )n∈N due successioni reali.
Allora
(i) la somma di (an )n∈N e (bn )n∈N è la successione
(an + bn )n∈N ;

(ii) la differenza di (an )n∈N e (bn )n∈N è la successione


(an − bn )n∈N ;

(iii) il prodotto di (an )n∈N e (bn )n∈N è la successione


(an bn )n∈N .
Inoltre se bn ̸= 0 per ogni n ∈ N, allora
(iv) il rapporto di (an )n∈N e (bn )n∈N è la successione
 
an
.
bn n∈N

3.3. Successioni monotòne. Si evidenzia ora che la nozione di monotònia [risp. stretta monotònia]
per le successioni è formulabile semplicemente mediante le (3.1) e (3.3) [risp. le (3.2) e (3.4)].
Proposizione 4.34. Sia (an )n∈N una successione reale. Allora
(i) (an )n∈N è crescente se, e soltanto se,
(3.1) an ≤ an+1 per ogni n ∈ N;
(ii) (an )n∈N è strettamente crescente se, e soltanto se,
(3.2) an < an+1 per ogni n ∈ N;

(iii) (an )n∈N è decrescente se, e soltanto se,


(3.3) an+1 ≤ an per ogni n ∈ N;

(iv) (an )n∈N è strettamente decrescente se, e soltanto se,


(3.4) an+1 < an per ogni n ∈ N.
Dimostrazione. Si dimostra solo l’enunciato (i), in quanto per gli altri è sufficiente procedere
analogamente.
(i) (⇒) Se (an )n∈N è crescente, allora, per la (i) nella Definizione 4.21,
(3.5) per ogni n, m ∈ N : se n < m, allora an ≤ am .
La tesi si ottiene quindi ponendo m = n + 1 nella (3.5).
82 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(⇐) Se (an )n∈N verifica la (3.1), la (3.5) è chiaramente verificata per m = n + 1. D’altro canto, per ogni
m ∈ N, con m > n + 1, la Proposizione 3.10, pag. 53, assicura che m = n + (m − n), con m − n ∈ N \ {1}.
Di qui, la (3.1) e la transitività della relazione d’ordine assicurano che
an ≤ an+1 ≤ · · · ≤ an+(m−n) = am ,
il che prova la (3.5) e conclude la dimostrazione. □
3.4. Sottosuccessioni. Si è mostrato che assegnata una qualsiasi funzione f è possibile parlare
della sua (funzione) restrizione ad un qualsiasi sottoinsieme proprio del suo dominio di definizione. Nel
caso delle successioni, risulta significativo solo considerare restrizioni a sottoinsiemi propri di N che sono
infiniti e, quindi, non limitati superiormente alla luce del Corollario 3.13, pag. 55.
Rilevante è che ogni sottoinsieme infinito di N ha la stessa cardinalità di N, ed è inoltre sempre
esprimibile come il codominio di una successione strettamente crescente. Tali circostanze, che sono il
contenuto dei Lemmi 4.37 e 4.38, rendono ben posta la
Definizione 4.35. Una successione (bk )k∈N è una sottosuccessione di una successione (an )n∈N quando
esiste una successione (nk )k∈N a valori in N che è strettamente crescente e tale che
bk = ank per ogni k ∈ N.
Esempio 4.36. Sia
 
1
(3.6) (an )n∈N = .
n n∈N
Le successioni
   
1 1
(a2k )k∈N = , (a2k−1 )k∈N = ;
2k k∈N 2k − 1 k∈N
   
1 1
(a2k )k∈N = , (a2k −1 )k∈N = ,
2k k∈N 2k − 1 k∈N
   
1 1
(ak−7 )k∈N = , (ak2 −25 )k∈N = ,
k−7 k∈N,
k>7 k 2 − 25 k∈N,
k>5

sono esempi di sottosuccessioni della successione (3.6).


Lemma 4.37. Se (nk )k∈N è una successione strettamente crescente di numeri naturali, i.e.
(3.7) nk ∈ N, e nk < nk+1 per ogni k ∈ N,
allora
(3.8) nk ≥ k per ogni k ∈ N.
In particolare,
(3.9) sup nk = +∞.
k

Dimostrazione. Sia (nk )k∈N una successione verificante la (3.7). Per il principio di induzione in
forma insiemistica (cfr. Corollario 3.4, pag. 52), per provare la (3.8) è sufficiente verificare che l’insieme
A = {k ∈ N : nk ≥ k}
è un sottoinsieme induttivo di N.
Si osserva che A ⊆ N, per costruzione. Inoltre, 1 ∈ A, per la (i) nella Proposizione 3.10. Sia k ∈ A.
Per la (3.7),
nk+1 > nk ≥ k.
Di qui, l’induttività di N e la compatibilità della relazione d’ordine ≤ rispetto alla somma assicurano che
nk+1 ≥ nk + 1 ≥ k + 1,
e quindi k + 1 ∈ A. L’insieme A è quindi un sottoinsieme induttivo di N.
4. SUCCESSIONI DI CAUCHY 83

La (3.9) segue banalmente dalla (3.8) e dalla Proprietà di Archimede (Teorema 3.14, pag. 55). □
Lemma 4.38. Ogni sottoinsieme infinito di N è numerabile e non limitato superiormente.
Dimostrazione. Sia S un sottoinsieme infinito di N. La successione
(
n1 = min S,
(3.10)
nk+1 = min (S \ {n1 , . . . , nk }) per ogni k ∈ N,
è allora ben definita per ricorrenza –in virtù del principio di buon ordine (cfr. Teorema 3.11, pag. 54)–
ed è strettamente crescente per costruzione. Il Lemma 4.37 assicura quindi che la successione (nk )k∈N
verifica la (3.9). Conseguentemente,
(3.11) sup S ≥ sup nk = +∞,
k
i.e., S non è limitato superiormente.
Per provare che S è numerabile, è sufficiente provare che la successione

ϕ : N −→ S
(3.12)
n 7−→ nk
a valori in S è una biiezione.
La successione (3.12) è iniettiva, in quanto strettamente crescente.
Per provare che è suriettiva su S, si consideri un arbitrario elemento m ∈ S. Si consideri l’insieme
Am = {k ∈ N : nk < m}.
L’insieme Am è un sottoinsieme finito di N. Se non fosse finito, infatti, per la (3.8) si avrebbe che
l’insieme dei numeri naturali è limitato superiormente, in contraddizione con la Proprietà di Archimede
(cfr. Teorema 3.14, pag. 55).
Poiché card(Am ) < +∞, l’insieme Am ammette massimo per il Teorema 3.26, pag. 60. Esiste quindi
un numero k0 ∈ N tale che, per la (3.10), si ha che m = nk0 +1 , i.e., ϕ(k0 + 1) = m, il che prova la
suriettività della successione (3.12) e conclude la dimostrazione. □

4. Successioni di Cauchy
Una famiglia notevole di successioni reali limitate è rappresentata dalle cosiddette successioni di
Cauchy, come illustrato dalla Proposizione 4.41.
Definizione 4.39. Una successione reale (an )n∈N è di Cauchy quando
(4.1) ∀ϵ > 0 ∃νϵ ∈ N tale che |an − am | < ϵ per ogni n, m ∈ N, con n, m ≥ νϵ .
Osservazione 4.40. Dal Principio di Buon Ordine (cfr. Teorema 3.11, pag. 54) e dalle proprietà
della funzione valore assoluto. (cfr. (v) nella Proposizione 2.22, pag. 46) segue che una successione reale
(an )n∈N è di Cauchy se, e soltanto se,
(4.2) ∀ϵ > 0 ∃νϵ ∈ N tale che |an − an+j | < ϵ per ogni n ≥ νϵ ed ogni j ∈ N.
Proposizione 4.41. Ogni successione reale che è di Cauchy è limitata.
Dimostrazione. Se (an )n∈N una successione reale che è di Cauchy, i.e., verifica la (4.2), in corri-
spondenza di ϵ = 1 esiste un indice ν1 ∈ N tale che
(4.3) |an − an+j | < 1 per ogni n ≥ ν1 ed ogni j ∈ N.
Per la disuguaglianza triangolare, si ha allora che
(4.4) |an | ≤ |an − aν1 +1 | + |aν1 +1 | < 1 + |aν1 +1 | per ogni n ≥ ν1 .
La (4.4) conclude la dimostrazione se ν1 = 1. Se, invece, ν1 > 1, il Teorema 3.26, pag. 60, garantisce
l’esistenza del numero
(4.5) M = max{|an | : n ∈ {1, . . . , ν1 − 1}} ≥ 0.
Detto
M̄ = max{1 + |aν1 +1 |, M },
84 4. FUNZIONI REALI E FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

le (4.4) e (4.5) consentono di concludere che


|an | ≤ M̄ per ogni n ∈ N. □
Si osservi che
Proposizione 4.42. Se una successione reale (an )n∈N è di Cauchy, allora la successione (|an |)n∈N
è di Cauchy.
Dimostrazione. Sia (an )n∈N una successione reale è di Cauchy, i.e., verifica la (4.1). In quanto (cfr.
(vii) nella Proposizione 2.22, pag. 46)
(4.6) ||an | − |am || ≤ |an − am | per ogni n, m ∈ N,
la tesi segue dalla transitività della relazione d’ordine ≤ in R. □
CAPITOLO 5

Funzioni elementari

1. Funzioni costanti
La funzione costantemente uguale a 1 è la funzione
1R : R −→ R
(1.1)
x 7−→ 1.
Di qui, assegnato un qualsiasi numero c ∈ R, la funzione costantentemente uguale a c è la funzione
c 1R : R −→ R
(1.2)
x 7−→ c.
Si verifica immediatamente che ogni funzione costante, i.e., del tipo (1.2) per qualche numero c ∈ R,

▷ non iniettiva,
▷ suriettiva sul singleton {c},
▷ monotòna, sia crescente sia decrescente,
▷ periodica di qualsiasi periodo T > 0 (ma non ammette periodo minimo),
▷ pari,
▷ dispari se, e soltanto se, la costante c è uguale a 0.
Fissato un sistema di riferimento di assi cartesiani Oxy, il grafico della funzione (1.2) è una retta
parallela all’asse Ox, di equazione y = c, che interseca l’asse Oy nel punto di coordinate (0, c).
Convenzione 5.1. Per ogni sottoinsieme proprio A di R, la restrizione della funzione 1R ad A è
denotata con la scrittura 1A . Di qui, assegnato un qualsiasi numero c ∈ R, la funzione c 1A è la funzione
definita in A ed ivi costantemente uguale a c.

2. Funzioni lineari
La funzione identità in R è la funzione
IR : R −→ R
(2.1)
x 7−→ x.
Essa è
▷ strettamente crescente, quindi invertibile,
▷ suriettiva su R,
▷ dispari.
La funzione IR è pertanto invertibile su tutto R. La sua funzione inversa coincide con essa, i.e.,
I(−1)
R
= IR .
Fissato un sistema di riferimento di assi cartesiani Oxy, il grafico della funzione (2.1) è la bisettrice
del I e III quadrante.
Assegnato un numero a ∈ R, con a ̸= 0, la funzione lineare di coefficiente angolare a è la funzione
a IR : R −→ R
(2.2)
x 7−→ ax,
i.e.,
a IR = (a 1R ) · IR .
85
86 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Osservazione 5.2. Le funzioni del tipo (2.2), al variare di a ∈ R \ {0}, e la funzione costantemente
uguale a zero (che si otterrebbe considerando a = 0 tanto nella (1.2) quanto nella (2.2)) sono tutte e sole
le funzioni f reali di una variabile reale che verificano le seguenti proprietà:
(2.3) f (x + y) = f (x) + f (y) per ogni x, y ∈ R,
(2.4) f (λx) = λf (x) per ogni λ, x ∈ R.
Uno dei motivi che porta alla definizione (2.2) escludendo il caso a = 0 –considerato nella precedente
osservazione– è motivato dai prossimi due risultati.
Proposizione 5.3. Una funzioni lineare di coefficiente angolare a, ove a ∈ R \ {0}, è
(i) strettamente crescente se a > 0,
(ii) strettamente decrescente se a < 0.
Inoltre,
(2.5) inf ax = −∞ e sup ax = +∞.
x∈R x∈R

Dimostrazione. Le (i) e (ii) seguono da una semplice applicazione della compatibilità della relazione
d’ordine ≤ di R con l’operazione di prodotto in R.
Per dimostrare la (2.5), basta procedere per assurdo. Se, infatti, λ = inf ax ∈ R, allora
x∈R

λ
(2.6) ≥x per ogni x ∈ R, quando a < 0;
a
λ
(2.7) ≤x per ogni x ∈ R, quando a > 0.
a
La (2.6) contraddice il fatto che l’insieme R non è limitato superiormente e la (2.7) contraddice il
fatto che l’insieme R non è limitato inferiormente (cfr. Proposizione 2.10, pag. 42). Ciò prova la prima
uguaglianza nella (2.5).
Per dimostrare la seconda uguaglianza nella (2.5), si può procedere analogamente. Se, per assurdo,
Λ = sup ax ∈ R, allora
x∈R

Λ
(2.8) ≤x per ogni x ∈ R, quando a < 0;
a
Λ
(2.9) ≥x per ogni x ∈ R, quando a > 0.
a
La (2.8) contraddice il fatto che l’insieme R non è limitato inferiormente superiormente e la (2.9)
contraddice il fatto che l’insieme R non è limitato superiormente. Ciò prova la seconda uguaglianza nella
(2.5). □
Fissato un sistema di riferimento di assi cartesiani Oxy, il grafico di una funzione lineare di coefficiente
angolare a, ove a ∈ R \ {0}, è la retta obliqua r1 di equazione y = ax, x ∈ R, passante per l’origine degli
assi ed il punto di coordinate P1 = (1, a).
La denominazione del numero a come coefficiente angolare della funzione (2.2) deriva dal fatto che il
numero a è la tangente trigonometrica dell’angolo piano θ formato dall’asse Ox e dalla retta r1 , entrambi
orientati positivamente nel senso delle x crescenti, i.e., a = tan θ (cfr. pag. 105 e ss.).
Proposizione 5.4. Ogni funzione lineare è invertibile, e la sua funzione inversa è ancora una
funzione lineare.
Inoltre, se f = a IR , a ̸= 0, allora
1
(2.10) f (−1) = I .
a R
Dimostrazione. La Proposizione 5.3 assicura che ogni funzione lineare è iniettiva, e quindi inverti-
bile. Inoltre, ogni funzione lineare è suriettiva su R. Infatti, se f = a IR , a ̸= 0, per ogni y ∈ R l’equazione
1
y = ax ammette sempre una (ed una sola) soluzione, che è x = y. Di qui la tesi e la (2.10). □
a
Si osserva
3. FUNZIONI AFFINI 87

Proposizione 5.5.
(i) La funzione composta di due funzioni lineari è una funzione lineare.
(ii) La somma di due funzioni lineari o è una funzione lineare o è la funzione costantemente uguale
a zero.
Dimostrazione. Siano f e g due funzioni lineari, ossia
f (x) = a1 x, x ∈ R, e g(x) = a2 x, x ∈ R,
con ai ̸= 0 per i = 1, 2.
Allora
(g ◦ f )(x) = a1 a2 x, x ∈ R, e (f + g)(x) = (a1 + a2 )x, x ∈ R.
Di qui, la (i) e la (ii) si deducono allora dalle (e) ed (f) nella Proposizione 2.3, pag. 37. □
Osservazioni 5.6. (I) La Proposizione 5.4 e la (i) nella Proposizione 5.5 affermano che la collezione
delle funzioni lineari – i.e., delle funzioni del tipo (2.2), al variare di a ∈ R \ {0}– è chiusa rispetto alle
operazioni di passaggio alla funzione inversa e di composizione.
(II) La (ii) nella Proposizione 5.5 evidenzia che la collezione delle funzioni lineari non è chiusa rispetto
all’operazione di somma. Aggiungendo però a tale collezione la funzione costantemente uguale a zero (che
si otterrebbe accettando a = 0), la famiglia cosı̀ ottenuta risulta chiusa rispetto all’operazione di somma.

3. Funzioni affini
Assegnati due numeri a, b ∈ R \ {0}, la funzione affine di coefficiente angolare a ed intercetta b è la
funzione
f : R −→ R
(3.1)
x 7−→ ax + b,
i.e., la funzione
a IR +b 1R .
Fissato un sistema di riferimento di assi cartesiani Oxy, il grafico della funzione (3.1) è la retta
obliqua passante
 per
 i punti P0 = (0, b) e P1 = (1, a + b), che interseca l’asse Ox in un unico punto, di
b
coordinate − , 0 . Tale retta è parallela alla retta grafico della funzione lineare f = a IR , ed ottenuta
a
da questa mediante una traslazione in alto [risp. in basso] di ampiezza pari al |b| se b > 0 [risp. se b < 0].
Risulta geometricamente intuibile che risultati analoghi a quelli espressi dalle Proposizioni 5.3 e 5.4
sussistano anche per le funzioni del tipo (3.1). Questo è esattamente espresso dalle Proposizioni 5.7 e 5.8
seguenti.
Proposizione 5.7. Una funzione affine di coefficiente angolare a ed intercetta b, ove a, b ∈ R \ {0},

(i) strettamente crescente se a > 0,
(ii) strettamente decrescente se a < 0.
Inoltre,
(3.2) inf (ax + b) = −∞ e sup (ax + b) = +∞.
x∈R x∈R

Dimostrazione. Le (i) e (ii) seguono da una semplice applicazione della compatibilità della relazione
d’ordine ≤ di R con le operazioni di somma e prodotto in R. Per ottenere la (3.2), basta procedere per
assurdo, procedendo come nella dimostrazione della (2.5) della Proposizione 5.3. □
Proposizione 5.8. Una funzione affine f = a IR +b 1R , con a, b ∈ R \ {0}, è invertibile. La sua
funzione inversa è una funzione affine. Precisamente,
1 b
f (−1) = IR − 1R .
a a
Dimostrazione. Ogni funzione affine è iniettiva, e quindi invertibile, alla luce della Proposizione 5.7.
Inoltre, la funzione a IR +b 1R , con a, b ∈ R \ {0}, è suriettiva su R. Infatti, per ogni y ∈ R l’equazione
1 b
y = ax + b ammette sempre una (ed una sola) soluzione, che è x = y − . Di qui segue la tesi. □
a a
88 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Proposizione 5.9.
(i) La funzione composta di due funzioni affini o è una funzione affine o è una funzione lineare.
(ii) La somma di due funzioni affini è o una funzione affine o una funzione lineare o una funzione
costante.
Dimostrazione. Siano f e g due funzioni affini, ossia
f (x) = a1 x + b1 , x ∈ R, e g(x) = a2 x + b2 , x ∈ R,
con ai , bi ∈ R \ {0} per i = 1, 2. Dalle proprietà del prodotto in R, segue che
(g ◦ f )(x) = a1 a2 x + (a2 b1 + b2 ), x ∈ R, e (f + g)(x) = (a1 + a2 )x + (b1 + b2 ), x ∈ R.
Di qui, le (e) ed (f) nella Proposizione 2.3, pag. 37, unitamente a semplici osservazioni, implicano la
veridicità delle (i) e (ii). □

Osservazioni 5.10. (I) La Proposizione 5.8 afferma che la collezione delle funzioni affini è chiusa
rispetto all’operazione di passaggio alla funzione inversa.
(II) La (i) nella Proposizione 5.9 evidenzia che la collezione delle funzioni affini non è chiusa rispetto
all’operazione di composizione. La più piccola collezione di funzioni reali di una variabile reale, che
contiene la famiglia delle funzioni affini ed è chiusa rispetto all’operazione di composizione, è la collezione
di tutte e sole le funzioni che sono o lineari o affini. Il termine ‘più piccola’ è qui da intendersi più piccola
rispetto alla relazione d’ordine di inclusione insiemistica sulla famiglia delle funzioni reali di una variabile
reale.
(III) La (ii) nella Proposizione 5.9 illustra che la collezione delle funzioni affini non è chiusa rispetto
all’operazione di somma. La ‘più piccola’ collezione di funzioni reali di una variabile reale, che contiene la
famiglia delle funzioni affini ed è chiusa rispetto all’operazione di somma, è la collezione di tutte e sole le
funzioni che sono o costanti o lineari o affini. Il termine più piccola è, come prima, da intendersi rispetto
alla relazione d’ordine di inclusione insiemistica sulla famiglia delle funzioni reali di una variabile reale.

4. Funzioni affini lineari


Alcuni autori introducono la collezione delle funzioni affini lineari, definendola come l’insieme unione
delle
▷ funzioni costanti introdotte nel § 1,
▷ funzioni lineari introdotte nel § 2,
▷ funzioni affini introdotte nel § 3.
La motivazione trae origine dal fatto che la collezione delle funzioni affini lineari è chiusa rispetto alla
somma, come evidenziato nella (III) nelle Osservazioni 5.10, è chiusa rispetto al prodotto per un numero
reale, ed è anche chiusa rispetto alla composizione.
Inoltre, le rette orizzontali ed oblique del piano cartesiano risultano sempre rappresentibili da un
unico elemento appartenente alla collezione delle funzioni affini lineari.
Se la retta è orizzontale, essa è, infatti, il grafico di una funzione costante; se la retta è obliqua e passa
per l’origine degli assi del sistema cartesiano Oxy, essa è il grafico di una funzione lineare; infine, se la
retta è obliqua e non passa per l’origine degli assi del sistema cartesiano Oxy, essa è il grafico di una
funzione affine.
Le funzioni affini lineari possono e vengono utilizzati per modellizzare quelle situazioni in cui due gran-
dezze, assunte una come variabile indipendente e l’altra come variabile dipendente, variano conservando
però un rapporto costante. Un esempio significativo è fornito dai moti rettilinei uniformi.

5. Funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N


A partire dalla funzione identità IR in R, definita dalla (2.1), le funzioni potenza n-esima fn al variare
di n ∈ N si definiscono per ricorrenza (cfr. § 3.2 in Cap. 3, pag. 59) come segue
(
f1 = IR
(5.1)
fn+1 = fn · f1 per ogni n ∈ N.
5. FUNZIONI POTENZA n-ESIMA, AL VARIARE DI n ∈ N 89

Facendo uso della proprietà associativa del prodotto in R si ha pertanto che, assegnato n ∈ N, la
funzione potenza n-esima è la funzione
fn : R −→ R
(5.2) x 7−→ x · · x} = xn
| ·{z
n-volte
n
ove la notazione x sta a denotare il prodotto di x per sé stesso n-volte. Facendo uso di tale notazione,
si ha allora che
fn = (IR )n ,
e quindi f1 = IR .
La compatibilità della relazione d’ordine ≤ di R rispetto all’operazione di prodotto in R e le proprietà
associativa e commutativa del prodotto in R consentono di stabilire la seguente
Proposizione 5.11. Le funzioni potenza n-esima, ove n ∈ N, verificano le seguenti proprietà:
(i) se n ∈ 2N, allora xn ≥ 0 per x ∈ R, i.e., in accordo con la notazione (5.1),
f2m (R) ⊆ [0, +∞[ per ogni m ∈ N;

(ii) se n ∈ 2N − 1, allora xn ≥ 0 per x ∈ [0, +∞[ ed xn < 0 per x ∈ ] − ∞, 0[, i.e., in accordo con
la notazione (5.1),
f2m−1 ([0, +∞[) ⊆ [0, +∞[ e f2m−1 (] − ∞, 0[) ⊆ ] − ∞, 0[ per ogni m ∈ N.

Inoltre, per ogni n1 , n2 ∈ N e per ogni x, y ∈ R, si ha che


(iii) xn1 · xn2 = xn1 +n2 ,
(iv) (xn1 )n2 = (xn2 )n1 = xn1 n2 ,
(v) (xy)n1 = xn1 y n1 .

Dimostrazione. La (i) segue dalla (d) nella Proposizione 2.6, pag. 40, e dalla definizione di numero
pari. La (ii) segue dalla (d) e dalla (h) nella Proposizione 2.6 e dalla definizione di numero dispari. Le
(iii)-(v) si deducono dalle proprietà associativa e commutativa del prodotto in R. □

Osservazioni 5.12. Ricordando che l’insieme N dei numeri naturali è chiuso rispetto alla somma ed
al prodotto in R (cfr. Proposizione 3.10, pag. 53), le proprietà (iii) e (iv) nella Proposizione 5.11 affermano
che la famiglia delle funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, è chiusa rispetto al prodotto, poiché,
in accordo con la notazione (5.1),
fn1 · fn2 = fn1 +n2 per ogni n1 , n2 ∈ N,
ed è chiusa rispetto alla composizione, in quanto
f n2 ◦ f n1 = f n1 n2 per ogni n1 , n2 ∈ N;
inoltre, la composizione di funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, risulta commutativa, visto che
fn2 ◦ fn1 = fn1 n2 = fn2 n1 = fn1 ◦ fn2 per ogni n1 , n2 ∈ N.
Le funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, hanno inoltre un buon comportamento rispetto
al prodotto. La proprietà (v) nella Proposizione 5.11 illustra, infatti, che ogni funzione potenza n-esima
trasforma il prodotto di due numeri reali nel prodotto dei valori assunti da essa in tali punti, i.e.,
fn (xy) = fn (x) · fn (y) per ogni n ∈ N e per ogni x, y ∈ R.
Come conseguenza degli assiomi definenti il sistema algebrico dei numeri reali, si ha inoltre
Proposizione 5.13. Assegnato n ∈ N, la funzione potenza n-esima
(5.3) è una funzione pari se n ∈ 2N,
(5.4) è una funzione dispari se n ∈ 2N − 1.
90 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Dimostrazione. Se n ∈ 2N, allora n = 2m per qualche m ∈ N. Per la (iv) nella Proposizione 5.11,

(−x)n = (−x)2m = ((−x)2 )m = (x2 )m = x2m = xn per ogni x ∈ R,

il che prova la (5.3).


Se n = 1, la tesi è ovvia. Se n ∈ 2N + 1, allora n = 2m + 1 per qualche m ∈ N. Per le (iii) e (iv) nella
Proposizione 5.11,

(−x)n = (−x)2m+1 = (−x) · (−x)2m = −(x) · (x)2m = −(x)2m+1 = −xn per ogni x ∈ R,

il che prova la la (5.4). □

Proposizione 5.14. Per ogni n ∈ N, la restrizione a [0, +∞[ della funzione potenza n-esima è una
funzione strettamente crescente.

Dimostrazione. Sia n ∈ N. Occorre provare che

(5.5) 0≤x<y =⇒ xn < y n .

Se n = 1 la (5.5) è ovvia. Se n = 2,

y 2 − x2 = (y − x)(y + x) > 0

in quanto y − x > 0 e y + x > 0.


Per ogni n > 2, la (5.5) si può dedurre dalla Proposizione 3.30, pag. 62, in quanto

y n − xn = (y − x)(y n−1 + y n−2 x + · · · + yxn−2 + xn−1 ).

Nell’ipotesi che 0 ≤ x < y, si ha che

y − x > 0, y n−1 > 0, y n−2 x + · · · + yxn−2 + xn−1 ≥ 0.

Conseguentemente, per la (g) nella Proposizione 2.6, pag. 40, y n − xn > 0, ossia xn < y n . □

Tenendo conto delle Osservazioni 4.22, pag. 78, le Proposizioni 5.11, 5.13 e 5.14 implicano

Proposizione 5.15. Assegnato n ∈ N, la restrizione a ] − ∞, 0] della funzione potenza n-esima

(5.6) è una funzione strettamente decrescente se n ∈ 2N;


(5.7) è una funzione strettamente crescente se n ∈ 2N − 1.

Proposizione 5.16. Assegnato n ∈ N, la funzione fn (x) = xn , x ∈ R, verifica le seguenti proprietà:

(5.8) se n ∈ 2N, la funzione fn non è iniettiva su R, la funzione fn |[0,+∞[ è strettamente crescente e


fn ([0, +∞[) ⊆ [0, +∞[;

(5.9) se n ∈ 2N − 1, la funzione fn è strettamente crescente su R.

Per la rappresentazione grafica delle funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, risulta comodo
osservare

Proposizione 5.17. Assegnato n ∈ N,

(5.10) xn > xn+1 per ogni x ∈ ]0, 1[ e xn < xn+1 per ogni x ∈ ]1, +∞[,

i.e., in accordo con la notazione (5.1),

fn | ]0,1[ > fn+1 | ]0,1[ e fn | ]1,+∞[ < fn+1 | ]1,+∞[ .

Dimostrazione. Per provare la (5.10) basta risolvere le due disequazioni xn+1 −xn > 0 e xn+1 −xn <
0 in ]0, +∞[. □
6. FUNZIONI POTENZA p-ESIMA, AL VARIARE DI p ∈ Z \ N0 E DI p̃ ∈ Z \ {0} 91

6. Funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z \ N0 e di p̃ ∈ Z \ {0}


L’insieme N dei numeri naturali è chiuso rispetto alla somma ed al prodotto in R, ma non è chiuso
rispetto al passaggio all’opposto. L’insieme Z dei numeri interi, munito dell’operazione di somma ereditata
da R, è il più piccolo sottogruppo abeliano di (R, +) che contiene N, dove il termine “più piccolo” è da
intendersi rispetto alla relazione d’ordine (parziale, e non totale) di inclusione insiemistica ⊆ sull’insieme
P(R) delle parti di R.
Avendo definito nel § 5 le funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, si vuole qui introdurre,
fissato un numero p ∈ Z \ N0 , la nozione di funzioni potenza p-esima, in modo tale che, una volta che si
consideri un p̃ ∈ Z \ {0}, nel caso in cui p̃ ∈ N si riottenga la funzione potenza p̃-esima definita nel § 5.
A tal fine si osserva che:
(i) ogni numero p ∈ Z \ N0 è uguale a −|p|, ove |p| ∈ N;
(ii) per ogni x, y ∈ R \ {0},
(xy)−1 = x−1 y −1
(cfr. (p) nella Proposizione 2.3, pag. 37);
(iii) per ogni n ∈ N, la funzioni potenza n-esima è ben definita in R dalla (5.2).
Le (i)–(iii) assicurano che
−1  |p|
 1
(6.1) x|p| = per ogni x ∈ R \ {0} e per ogni p ∈ Z \ N0 .
x

Assegnato un numero p ∈ Z \ N0 , la funzione potenza p-esima è la funzione

fp : R \ {0} −→ R \ {0}
(6.2)
x 7−→ xp

ove la notazione xp sta a denotare il reciproco di x|p| o, equivalentemente per la (6.1), la potenza |p| di
x−1 , i.e.,
1  1 |p|
(6.3) xp = |p| = per ogni x ∈ R \ {0} .
x x
Osservazione 5.18. La funzione (6.2) è ben definita alla luce della (6.1). Inoltre, comunque si
consideri un numero intero p strettamente negativo, la funzione potenza ad esponente p è la composizione
della funzione potenza |p|-esima, con |p| ∈ N, e della funzione g(x) = x1 , x ∈ R \ {0}, che associa ad ogni
numero reale non nullo il suo reciproco, e tale composizione è commutativa per la (6.1).
Dalla Proposizione 5.13 e dalla (6.2) si evince che
Proposizione 5.19. Assegnato p ∈ Z \ N0 , la funzione potenza p-esima
(6.4) è una funzione pari se |p| ∈ 2N,
(6.5) è una funzione dispari se |p| ∈ 2N − 1.

Dalla Proposizione 5.14 e dalla (i) nella Proposizione 2.6, pag. 40, segue inoltre che
Proposizione 5.20. Per ogni p ∈ Z \ N0 , la restrizione a ]0, +∞[ delle funzioni potenza p-esima è
una funzione strettamente decrescente.

Le Proposizioni 5.19 e 5.20 consentono allora di affermare che


Proposizione 5.21. Assegnato p ∈ Z \ N0 , la restrizione a ] − ∞, 0[ della funzione potenza p-esima
(6.6) è strettamente crescente se |p| ∈ 2N;
(6.7) è strettamente decrescente se |p| ∈ 2N − 1.
92 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Osservazione 5.22. La restrizione a ]−∞, 0[ e la restrizione a ]0, +∞[ della funzioni potenza p-esima
per p ∈ Z \ N0 con |p| dispari, sono strettamente decrescenti (cfr. Proposizioni 5.14 e 5.21), ma le funzioni
potenza p-esima per p ∈ Z \ N0 con |p| dispari, non sono strettamente decrescenti nel loro dominio di
definizione.
A mo’ di esempio, si considerino i punti x1 = −1 e x2 = 1. Ovviamente, x1 = −1 < 1 = x2 . Per p ∈ Z \ N0
con |p| dispari, (x1 )−|p| = (−1)−|p| = −1 < 1 = (1)−|p| = (x2 )−|p| .
Facendo uso della Proposizione 5.11 si riesce facilmente a provare
Proposizione 5.23. Le funzioni potenza p-esima, ove p ∈ Z \ N0 , verificano le seguenti proprietà:
(i) se |p| ∈ 2N, allora xp > 0 per x ∈ R \ {0}, i.e., in accordo con la notazione (6.2),
f−2m (R \ {0}) ⊆ ]0, +∞[ per ogni m ∈ N;

(ii) se |p| ∈ 2N − 1, allora xp > 0 per x ∈ ]0, +∞[ e xp < 0 per x ∈ ] − ∞, 0[, i.e., in accordo con
la notazione (6.2),
f−2m+1 (]0, +∞[) ⊆ ]0, +∞[ e f−2m+1 (] − ∞, 0[) ⊆ ] − ∞, 0[ per ogni m ∈ N.

Inoltre, per ogni p1 , p2 ∈ Z \ N0 e per ogni x, y ∈ R \ {0}, si ha che


(iii) xp1 · xp2 = xp1 +p2 ,
(iv) (xp1 )p2 = (xp2 )p1 = xp1 p2 ,
(v) (xy)p1 = xp1 y p1 .
Infine, per ogni n ∈ N e p ∈ Z \ N0 , e per ogni x ∈ R \ {0}, si ha
(
n p xn−|p| se p ̸= −n,
(vi) x · x =
1 se p = −n;
(vii) (xn )p = (xp )n = xnp .
Osservazioni 5.24. (I) Essendo l’insieme Z \ N0 chiuso rispetto alla somma, la proprietà (iii) nella
Proposizione 5.23 afferma che la famiglia delle funzioni potenza ad esponente in Z \ N0 è chiusa rispetto
al prodotto, poiché, in accordo con la notazione (6.2),
fp1 · fp2 = fp1 +p2 per ogni p1 , p2 ∈ Z \ N0 .

(II) La proprietà (iv) nella Proposizione 5.23 evidenzia che la famiglia delle funzioni potenza ad esponente
in Z \ N0 non è chiusa rispetto alla composizione, in quanto per ogni p1 , p2 ∈ Z \ N0 , chiaramente p1 p2 ∈ N
e fp2 ◦ fp1 = fp1 p2 .
Poiché Z può esprimersi come l’unione disgiunta N ∪ {0} ∪ (Z \ N0 ), tenendo conto anche della pro-
prietà (vi) nella Proposizione 5.23, si introduce la famiglia delle funzioni potenza p-esima al variare di
p ∈ Z (e non più solo in Z \ N0 ) definite in R \ {0} come segue.
Assegnato un numero p ∈ Z, la funzione potenza p-esima è la funzione
fp : R \ {0} −→ R \ {0}
(6.8)
x 7−→ xp
convenendo di identificare la funzione potenza 0-esima con la funzione 1R\{0} , i.e.,

x0 = 1 per ogni x ∈ R \ {0}.


La famiglia delle funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z, risulta chiusa rispetto alla composizione.
La composizione di funzioni potenza ad esponente in Z\N0 cosı̀ come la composizione di funzioni potenza
ad esponente in Z sono commutative alla luce delle proprietà (iv) e (vii) nella Proposizione 5.23.
Infine, le funzioni potenza ad esponente in Z \ N0 [risp. in Z] hanno un buon comportamento rispetto
al prodotto. Segue infatti dalla proprietà (v) [risp. dalle proprietà (v) e (vi)] nella Proposizione 5.23 che
ciascuna funzione potenza ad esponente in Z \ N0 [risp. in Z] trasforma il prodotto di due numeri reali
non nulli nel prodotto dei valori assunti dalla funzione in tali punti.
7. FUNZIONI RADICE n-ESIMA, AL VARIARE DI n ∈ N 93

7. Funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N


La Proposizione 5.16, pag. 90, evidenzia che per affrontare il problema dell’invertibilità di una funzioni
potenza n-esima, ove n ∈ N, occorre distinguere il caso in cui n ∈ 2N (i.e., n è pari) dal caso in cui
n ∈ 2N + 1 (i.e., n è dispari e strettamente maggiore di 1).
Le restrizioni a [0, +∞[ delle funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N, sono strettamente cre-
scente, e pertanto invertibili. Tali restrizioni assumono valori in [0, +∞[, ma occorre porsi il seguente
interrogativo:
per quali valori a ∈ [0, +∞[ esiste un numero b ∈ [0, +∞[ tale che a = bn ?
La risposta è fornita dal seguente risultato, la cui dimostrazione è fornita a pag. 200.

Teorema 5.25. Per ogni n ∈ N, assegnato un numero reale a ≥ 0, esiste uno ed un solo numero
reale b ≥ 0 tale che bn = a, i.e., il sistema
(
b ≥ 0,
bn = a con a ≥ 0,
ammette una ed una sola soluzione.
√ Tale soluzione è detta radice n-esima aritmetica del numero a ≥ 0, ed è denotata con la scrittura
n
a.

Corollario 5.26. Per ogni n ∈ N, la restrizione della funzione potenza n-esima a [0, +∞[ è
suriettiva su [0, +∞[.

7.1. Caso n ∈ 2N. Se n ∈ 2N, la restrizione a [0, +∞[ della funzione potenza n-esima è invertibile
per la (5.8) ed è suriettiva su [0, +∞[ per il Corollario 5.26.
La funzione inversa della restrizione a [0, √ +∞[ della funzione potenza n-esima, con n pari, è detta
funzione radice n-esima, ed è denotata con n ·.
Se n ∈ 2N, la funzione radice n-esima è pertanto la funzione

n
· : [0, +∞[ −→ [0, +∞[
(7.1) √
x 7−→ n x

ove n x è la radice n-esima aritmetica di x.

La funzione n · associa, quindi, ad ogni x ∈ [0, +∞[ la sua √ radice n-esima aritmetica, ossia l’unico numero
reale non negativo, che viene denotato con la scrittura n x, tale che

( n x)n = x.

L’esistenza ed unicità di tale numero n x, per x ∈ [0, +∞[, è garantita dal Teorema 5.25.
La Proposizione 5.14, pag. 90, ed il Teorema 4.23, pag. 78, implicano
Proposizione 5.27. Al variare di n ∈ 2N, le funzioni radice n-esima sono definite in [0, +∞[, ivi
strettamente crescenti, e suriettive su [0, +∞[.

Assegnato un sistema di assi cartesiani Oxy, per ogni n ∈ 2N, il grafico della funzione radice n-
esima si ottiene per simmetrizzazione rispetto alla bisettrice del I quadrante del grafico della restrizione
a [0, +∞[ della funzione potenza n-esima.
Tenendo conto della Proposizione 5.17 (cfr., in particolare, la (5.10)) risulta
Proposizione 5.28. Per ogni n ∈ 2N,
√ √
(7.2) n
x < n+2 x per ogni x ∈ ]0, 1[;
√ √
(7.3) n
x > n+2 x per ogni x ∈ ]1, +∞[.
Inoltre,
√ √
(7.4) x< n
x per ogni x ∈ ]0, 1[ e x> n
x per ogni x ∈ ]1, +∞[.
94 5. FUNZIONI ELEMENTARI

7.2. Caso n ∈ 2N + 1. In virtù delle Proposizioni 5.13, 5.14 e 5.16 (cfr., in particolare, la (5.9))
nonché dei risultati della Sezione 7.1, assegnato n ∈ 2N + 1, la funzione radice n-esima è la funzione
√n
· : R −→ R
( √
(7.5) n
x per x ∈ [0, +∞[ ,
x 7−→ √
− −x
n
per x ∈ ] − ∞, 0[ .

Dalla Proposizione 5.16 (cfr., in particolare, la (5.9)) e dal Teorema 4.23, pag. 78, segue quindi che
Proposizione 5.29. Al variare di n ∈ 2N + 1, le funzioni radice n-esima sono definite su R, ivi
strettamente crescenti, e suriettive su R.

Assegnato un sistema di assi cartesiani Oxy, per ogni n ∈ 2N + 1, il grafico della funzione radice
n-esima si ottiene per simmetrizzazione rispetto alla bisettrice del I e III quadrante del grafico della
funzione potenza n-esima.
Dalla Proposizione 5.17 (cfr., in particolare, la (5.10)) segue che
Proposizione 5.30. Per ogni n ∈ 2N + 1,
√ √
(7.6) n
x < n+2 x per ogni x ∈ ]0, 1[;
√ √
(7.7) n
x > n+2 x per ogni x ∈ ]1, +∞[.

Inoltre,
√ √
(7.8) x< n
x per ogni x ∈ ]0, 1[ e x> n
x per ogni x ∈ ]1, +∞[.

Per simmetrizzazione rispetto all’origine, risulta pertanto che


√ √
(7.9) n
x > n+2 x per ogni x ∈ ] − 1, 0[;
√ √
(7.10) n x < n+2 x per ogni x ∈ ] − ∞, −1[.
Inoltre,
√ √
(7.11) x> n
x per ogni x ∈ ] − 1, 0[ e x< n
x per ogni x ∈ ] − ∞, −1[.

7.3. Proprietà in [0, +∞[ delle funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N. Facendo uso
del Teorema 5.25 si prova
Proposizione 5.31. Per ogni m, n ∈ N e per ogni x, y ∈ [0, +∞[,
p√ √
(i) m n x = nm x ;
√ √
(ii) n xm = ( n x)m ;
√ √
(iii) mn xn = m x ;
√ √ √
(iv) n xy = n x n y.

Dimostrazione. (i) Assegnati arbitrariamente m, n ∈ N, se x ∈ [0, +∞[, allora sono p √ben definite la

radice n-esima aritmetica di x e la radice m-esima aritmetica di n x ∈ [0, +∞[, i.e., m n x.
Inoltre
 q √ mn  q √ m n
m n m n
x = x che, per la (iv) nella Proposizione 5.1, pag. 88, è

= ( n x)n poiché x ∈ [0, +∞[, è
=x poiché x ∈ [0, +∞[, è

=( mn
x)mn .
7. FUNZIONI RADICE n-ESIMA, AL VARIARE DI n ∈ N 95

In quanto la radice nm-esima aritmetica di x ≥ 0 (esiste ed) è unica (cfr. Teorema 5.25), l’uguaglianza
tra il primo ed ultimo termine della precedente catena di uguaglianze.
(ii) Assegnati arbitrariamente m, n ∈ N, se x ∈ [0, +∞[, allora è ben definita la radice n-esima aritmetica
di xm ∈ [0, +∞[.
Inoltre √
( n xm )n = xm essendo xm ∈ [0, +∞[
 √ m
= ( n x)n essendo x ∈ [0, +∞[

= ( n x)nm per la (iv) nella Proposizione 5.1
 √ n
= ( n x)m per la (iv) nella Proposizione 5.1.

Di qui, come prima, l’unicità della radice n-esima aritmetica di un numero non negativo conclude la
dimostrazione della (ii).
(iii) Assegnati arbitrariamente m, n ∈ N, se x ∈ [0, +∞[, allora è ben definita la radice nm-esima
aritmetica di xn ∈ [0, +∞[.
Inoltre √
( nm xn )nm = xn essendo xn ∈ [0, +∞[
 √ n
= ( m x)m essendo x ∈ [0, +∞[

= ( m x)nm per la (iv) nella Proposizione 5.1.
Di qui, l’unicità della radice nm-esima aritmetica di x ≥ 0, dimostra la (iii)
(iv) Assegnato arbitrariamente n ∈ N, se x, y ∈ [0, +∞[, allora la radice n-esima aritmetica di xy è ben
definita e

( n xy)n = xy essendo xy ∈ [0, +∞[
√ √
= ( n x)n ( n y)n essendo x, y ∈ [0, +∞[
√ √
= ( n x n y)n per le proprietà associativa e commutativa del prodotto in R.

Essendo unica la radice n-esima aritmetica di xy ≥ 0, dalle precedenti uguaglianze si deduce la tesi. □
Osservazioni 5.32. L’insieme N dei numeri naturali è chiuso rispetto al prodotto in R, e la (i) nella
Proposizione 5.31 afferma pertanto che su [0, +∞[ la famiglia delle funzioni radici n-sime è chiusa rispetto
alla composizione, che è inoltre commutativa.
La (ii) nella Proposizione 5.31 evidenzia che la composizione in [0, +∞[ di funzioni potenza ad espo-
nente naturale m con funzioni radici n-sime è commutativa. Ciò, unitamente alla Proposizione 5.33 se-
guente, risulterà di fondamentale importanza nel § 8 per la definizione delle funzioni potenza ad esponente
in Q \ Z.
La (iii) della Proposizione 5.31 illustra una sorta di legge di semplificazione su [0, +∞[, in quanto

nm

xn = m x per ogni x ∈ [0, +∞[ e per ogni m, n ∈ N.
Tale semplificazione non è effettuabile in ] − ∞, 0].pA mo’ di √
esempio, si consideri m = n = 2 e x = −1.
Applicando la (iii) in modo scorretto, si avrebbe 4 (−1)2 = −1, ma la radice quadrata non è definita
per numeri negativi.
Infine, la (iv) nella Proposizione 5.31 pone in risalto che le funzioni radici n-sime hanno un buon
comportamento rispetto al prodotto, a patto che entrambi i fattori del prodotto siano non negativi.
Precisamente, le funzioni radici n-sime trasformano il prodotto di due numeri reali non negativi nel
prodotto dei valori assunti dalle funzioni in tali punti.
Per la trattazione del prossimo paragrafo, il seguente risultato riveste un ruolo cruciale.
Proposizione 5.33. Per ogni n, n1 , m, m1 ∈ N tali che
m m1
(7.12) = ,
n n1
96 5. FUNZIONI ELEMENTARI

si ha

n

n1
(7.13) xm = xm1 per ogni x ∈ [0, +∞[,

n

n1
(7.14) x−m = x−m1 per ogni x ∈ ]0, +∞[.
Dimostrazione. Siano n, n1 , m, m1 ∈ N verificanti la (7.12). Allora mn1 , nm1 ∈ N, e
mn1 = nm1 .
Conseguentemente,
(7.15) xmn1 = xnm1 per ogni x ∈ R.
La (iii) nella Proposizione 5.31 garantisce che

(7.16) xm = n1 xmn1 per ogni x ∈ [0, +∞[.
La (7.15) e (7.16) assicurano quindi che
√ √
(7.17) xm = n1 xmn1 = n1 xnm1 per ogni x ∈ [0, +∞[.
D’altro canto, per la (ii) della Proposizione 5.31,
√ √
(7.18) n1
xnm1 = ( n1 xm1 )n per ogni x ∈ [0, +∞[.
Le (7.17) e (7.18) consentono di concludere che

xm = ( n1 xm1 )n per ogni x ∈ [0, +∞[,
da cui, passando alla radice n-esima, si ricava la (7.13).
La (7.14) si deduce dalla (7.13) e dalla (6.2). □

8. Funzioni potenza q-esima, al variare di q ∈ Q


Nel Cap. 3, è stato evidenziato che l’insieme Z dei numeri interi è chiuso rispetto alla somma ed al
prodotto in R, e, munito dell’operazione di somma ereditata da R, è il più piccolo sottogruppo abeliano
di (R, +) che contiene N. L’insieme Z \ {0} non è chiuso rispetto al passaggio al reciproco. L’insieme
Q dei numeri razionali –munito dell’operazione di somma e di prodotto ereditata da R– è il più piccolo
sottocampo di (R, +, ·) che contiene Z, dove il termine “più piccolo” è da intendersi rispetto alla relazione
d’ordine (parziale, e non totale) di inclusione insiemistica ⊆ sull’insieme P(R) delle parti di R. Più pre-
cisamente, il Teorema 3.47, afferma che (Q, +, ·, ≤) è un campo totalmente ordinato, che non è completo,
e quindi, Q è un sottoinsieme proprio di R.
Avendo definito nel § 6 le funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z, si vuole qui introdurre, fissato
un numero q ∈ Q \ Z, la nozione di funzioni potenza q-esima, in modo tale che, una volta che si consideri
un q̃ ∈ Q \ {0}, nel caso in cui q̃ ∈ Z si riottenga la funzione potenza q̃-esima definita nel § 6.
A tal fine si fa uso principalmente dell’Osservazione 3.45, pag. 67, dei risultati esposti nei § 5–7 (cfr.,
in particolare, Proposizione 5.33).
Assegnato q ∈ (Q \ Z)+ , la funzione potenza q-esima è la funzione
fq : [0, +∞[ −→ [0, +∞[
(8.1) √
x 7−→ n xm = xq
m
ove m, n ∈ N tali che = q.
n
Assegnato q ∈ (Q \ Z)− , la funzione potenza q-esima è la funzione
fq : ]0, +∞[ −→ ]0, +∞[
(8.2) √
x 7−→ n xm = xq
m
ove m ∈ Z \ N0 , n ∈ N tali che n = q.
Osservazione 5.34. Le definizioni √ (8.1) e (8.2) sono ben poste.
Infatti, se x ∈ ]0, +∞[, la quantità n xm è ben definita per ogni m ∈ Z \ {0} e n ∈ N (cfr. § 6 e 7).
8. FUNZIONI POTENZA q-ESIMA, AL VARIARE DI q ∈ Q 97

Inoltre, le (8.1) e (8.2) non dipendono dalla particolare rappresentazione frazionaria del numero q scelta.
m m1
Basta osservare che, se , , con m, m1 ∈ Z \ {0} e n, n1 ∈ N, sono due rappresentazioni frazionarie
n n1
del numero q, i.e.,
m m1
q= = ,
n n1
per la Proposizione 5.33 –poiché mn1 = nm1 – si ha
√n

xm = n1 xm1 .
Le Proposizioni 5.11, 5.23 e 5.31 consentono di determinare alcune proprietà rilevanti delle funzioni
potenza q-esima, al variare di q ∈ Q. Per q = 0, tutte le proprietà seguono immediatamente dalla
convenzione introdotta nella (II) delle Osservazioni 5.24 secondo cui x0 = 1 per ogni x ∈ R \ {0}.
Proposizione 5.35. Per ogni q1 , q2 ∈ Q e per ogni x, y ∈ ]0, +∞[, si ha che
(i) xq1 > 0,
(ii) x−q1 = x1q1 ,
(iii) xq1 · xq2 = xq1 +q2 ,
(iv) (xq1 )q2 = (xq2 )q1 = xq1 q2 ,
(v) (xy)q1 = xq1 y q1 .
Dimostrazione. Se q = 0, tutte le proprietà seguono immediatamente dalla convenzione introdotta
nella (II) delle Osservazioni 5.24 secondo cui x0 = 1 per ogni x ∈ R \ {0}.
Occorre pertanto dimostrare le proprietà (i)– (v) per numeri razionali non nulli.
m
(i) Se q1 ∈ Q \ {0}, allora esistono m ∈ Z \ {0} e n ∈ N sono tali che q = e
n

xq 1 = n xm .
Se x ∈ ]0, +∞[, allora xm > 0 e quindi, dalle Proposizioni 5.27 e 5.29,
√n
xm > 0.
m −m
(ii) Sia q1 ∈ Q \ {0}, e siano m ∈ Z \ {0} e n ∈ N tali che q1 = . Allora −q1 = e, per ogni
n n
x ∈ ]0, +∞[,
s 
√ m  q1
r
1 1 1 1
x−q1 =
n n n
x−m = = = = q1 .
xm x x x
m1
(iii) Siano q1 , q2 ∈ Q \ {0}. Allora q1 + q2 ∈ Q. Se m1 , m2 ∈ Z \ {0} e n1 , n2 ∈ N sono tali che q1 =
n1
m2
e q2 = , allora
n2
m1 m2 m1 n2 + n1 m2
q1 + q2 = + = .
n1 n2 n1 n2
Facendo uso delle Proposizioni 5.23 e 5.31, si deduce che, per ogni x ∈ ]0, +∞[,

n1 n2
√ √ √ √
xq1 +q2 = xm1 n2 +n1 m2 = n1 n2
x m 1 n2 x n1 m 2 = n1 n2
xm1 n2 n1 n2
xn1 m2 = xq1 xq2 .
m1
(iv) Siano q1 , q2 ∈ Q \ {0}. Allora q1 q2 ∈ Q \ {0}. Se m1 , m2 ∈ Z \ {0} e n1 , n2 ∈ N tali che q1 = e
n1
m2
q2 = ,
n2
m1 m2 m1 m2
q1 q2 = · = .
n1 n2 n1 n2
Per ogni x ∈ ]0, +∞[, si ha quindi che
√ √ √
q q
n2 m1 m2 n2
q1 q2
(x ) = n2
xq 1 m 2 = x n1
= n1
xm1 m2 = n1 n2
xm 1 m 2 = xq 1 q 2 .
98 5. FUNZIONI ELEMENTARI

m
(v) Sia q ∈ Q \ {0}, e siano m ∈ Z \ {0} e n ∈ N tali che q = . Per ogni x, y ∈ ]0, +∞[, risulta che
n
xy ∈ ]0, +∞[, e p √ √ √
(xy)q = n
(xy)m = n xm y m = n xm n
y m = xq y q . □
Osservazioni 5.36. (I) Essendo Q è un sottocampo di R, le proprietà (iii) e (iv) nella Proposizio-
ne 5.35 affermano che, convenendo di identificare la funzione potenza q = 0 con la funzione costantemente
uguale ad 1 su ]0, +∞[, i.e.,
x0 ≡ 1]0,+∞[ ,
la famiglia delle funzioni potenza ad esponente razionale è chiusa rispetto al prodotto ed alla composizione,
rispettivamente, poiché, in accordo con le notazioni (8.1) e (8.2),
fq1 · fq2 = fq1 +q2 per ogni q1 , q2 ∈ Q
e
fq2 ◦ fq1 = fq1 q2 per ogni q1 , q2 ∈ Q.
Inoltre, la composizione di funzioni potenza ad esponente razionale è commutativa, in quanto
fq2 ◦ fq1 = fq1 q2 = fq2 q1 = fq1 ◦ fq2 per ogni q1 , q2 ∈ Q.
(II) Le funzioni potenza ad esponente in Q hanno un buon comportamento rispetto al prodotto. Segue
infatti dalla proprietà (v) della Proposizione 5.35 che ciascuna funzione potenza ad esponente in Q
trasforma il prodotto di due numeri reali non nulli nel prodotto dei valori assunti dalla funzione in tali
punti.

9. Funzioni esponenziali
I risultati della sezione precedente consentono di introdurre nel § 9.1 una nuova classe di funzioni, de-
finite sull’insieme Q dei numeri razionali, ogni qualvolta si assegni un numero reale strettamente positivo.
Di qui, avvalendosi della completezza del sistema algebrico dei numeri reali e della densità in esso del-
l’insieme Q dei numeri razionali, tali funzioni verranno estese -in modo unico preservando la monotonia-
all’intero insieme dei numeri reali nel § 9.2.
9.1. Funzioni esponenziali in Q. Assegnato un numero a ∈ ]0, +∞[, la funzione esponenziale di
base a ∈ ]0, +∞[, definita in Q, è la funzione
a (·) : Q −→ ]0, +∞[
(9.1)
q 7−→ aq .
Osservazione 5.37. Assegnato un numero a ∈ ]0, +∞[, la funzione (9.1) è ben definita.
Ad ogni numero q ∈ Q essa associa il valore aq assunto dalla funzione potenza q-esima nel punto
a ∈ ]0, +∞[, i.e.,
(√ m
n
q am se q ̸= 0, e m ∈ Z \ {0} e n ∈ N sono tali che q = ,
a = n
1 se q = 0.
Tale valore aq esiste ed è unico, in virtù delle considerazioni fatte all’inizio del § 8 nonché della Proposi-
zione 5.35.
Dalla Proposizione 5.35 seguono immediatamente alcune proprietà rilevanti delle funzioni esponenziali
definite in Q, al variare di a ∈ ]0, +∞[.
Proposizione 5.38. Assegnato a ∈ ]0, +∞[, per ogni q1 , q2 ∈ Q si ha che
(i) aq1 > 0;
1
(ii) a−q1 = ;
aq1
(iii) aq1 +q2 = aq1 aq2 ;
(iv) aq1 q2 = (aq1 )q2 = (aq2 )q1 ;
(v) aq1 = (bc)q1 = bq1 cq1 quando a = bc per b, c ∈ ]0, +∞[.
9. FUNZIONI ESPONENZIALI 99

La monotonia delle funzioni esponenziali, definite in Q via la (9.1), al variare di a ∈ ]0, +∞[, dipende
dalla base a.
Proposizione 5.39. Assegnato a ∈ ]0, +∞[, la funzione esponenziale di base a, definita in Q, è
(i) strettamente crescente se a ∈ ]1, +∞[;
(ii) la funzione costantemente uguale ad 1 su Q se a = 1;
(iii) strettamente decrescente se a ∈ ]0, 1[.
Dimostrazione. (i) Si prova innanzitutto che
(9.2) se a ∈ ]1, +∞[, allora aq > 1 per ogni q ∈ Q+ .
n
Infatti, assegnato arbitrariamente un numero q ∈ Q+ , allora q = , per qualche n, m ∈ N. La stretta
m
crescenza delle funzioni potenza n-esima in [0, +∞[ e della radice m-esima in [0, +∞[ assicurano che

a > 1 =⇒ aq = m an > 1,
e quindi la veridicità della (9.2).
Occorre ora verificare che, quando a ∈ ]1, +∞[, assegnati q1 , q2 ∈ Q,
(9.3) q1 < q2 =⇒ aq1 < aq2 .
In quanto Q è un campo algebrico, assegnati q1 , q2 ∈ Q, con q1 < q2 , allora q2 − q1 ∈ Q+ . Di qui, dalla
(i) nella Proposizione 5.38 e dalla (9.2), si deduce che
 
aq2 − aq1 = aq2 +0 − aq1 = a(q2 −q1 )+q1 − aq1 = a(q2 −q1 ) aq1 − aq1 = aq1 a(q2 −q1 ) − 1 > 0,
il che prova la (9.3).
(ii) Basta ricordare che 1 è l’elemento neutro del prodotto in R.
(iii) Segue dalla (i), tenendo conto del fatto che
1
a ∈ ]0, 1[ ⇐⇒ ∈ ]1, +∞[.
a
Infatti, se a ∈ ]0, 1[, per ogni q1 , q2 ∈ Q, con q1 < q2 , allora
 q1  
1 1 q2
< ;
a a
ciò è equivalente –in virtù della (i) nella Proposizione 5.38– ad affermare che aq2 < aq1 . □
Di fondamentale importanza è il seguente
Teorema 5.40.
(i) Se a ∈ ]1, +∞[,
(9.4) aq = sup{aq1 : q1 ∈ Q ∩ ] − ∞, q[} per ogni q ∈ Q,
R
e
(9.5) aq = inf {aq2 : q2 ∈ Q ∩ ]q, +∞[} per ogni q ∈ Q.
R

(ii) Se a ∈ ]0, 1[,


(9.6) aq = inf {aq̄1 : q̄1 ∈ Q ∩ ] − ∞, q[} per ogni q ∈ Q
R
e
(9.7) aq = sup{aq̄2 : q̄2 ∈ Q ∩ ]q, +∞[} per ogni q ∈ Q.
R

Dimostrazione. (i) Sia a ∈ ]1, +∞[. Sia q ∈ Q arbitrariamente fissato.


Gli insiemi
(9.8) A = {aq1 : q1 ∈ Q ∩ ] − ∞, q[},

(9.9) B = {aq2 : q2 ∈ Q ∩ ]q, +∞[}


100 5. FUNZIONI ELEMENTARI

sono non vuoti, per la densità di Q in R. Inoltre, per la stretta crescenza della funzione esponenziale di
base a > 1 (cfr. (i) nella Proposizione 5.39), l’insieme A è limitato superiormente dal numero aq , l’insieme
B è limitato inferiormente dal numero aq e
(9.10) aq ∈
/A e aq ∈
/ B.
Per la completezza di R, esistono quindi e sono finiti l’estremo superiore dell’insieme A e l’estremo
inferiore dell’insieme B, e
(9.11) sup A ≤ aq ≤ inf B.
R R

Per provare la (9.4) occorre verificare che


(9.12) sup A = aq ,
R

per la (9.5), invece, occorre verificare che


(9.13) aq = inf B.
R

Per la (9.4), si osservi in primis che


1
(9.14) per ogni ϵ̄ ∈ ]0, 1[ esiste un numero ν = ν(ϵ̄) ∈ N tale che 1 − a− n < ϵ̄ per ogni n ∈ N, con n ≥ ν.
Infatti, assegnato ϵ̄ ∈ ]0, 1[,
 n
1 1 1 ϵ̄
(9.15) 1 − a− n < ϵ̄ ⇐⇒ an < ⇐⇒ a< 1+ .
1 − ϵ̄ 1 − ϵ̄
Per la disuguaglianza di Bernoulli (cfr. (3.21), pag. 64),
 n
ϵ̄ ϵ̄
1+ ≥1+n per ogni n ∈ N.
1 − ϵ̄ 1 − ϵ̄
Pertanto, alla luce della (9.15), la (9.14) è dimostrata definendo
 
(a − 1)(1 − ϵ̄)
ν = ν(ϵ̄) = + 1,
ϵ̄
h i
ove (a−1)(1−ϵ̄)
ϵ̄ è la parte intera del numero positivo (a−1)(1−ϵ̄)
ϵ̄ (cfr. Definizione 3.41, pag. 66).
Tenendo conto della prima relazione in (9.10), per le proprietà caratteristiche dell’estremo superiore
di un insieme numerico (cfr. Proposizione 2.8, pag. 42), dimostrare la (9.12) equivale a dimostrare che
(9.16) per ogni ϵ > 0 esiste un numero q1 = q1 (ϵ) ∈ Q, con q1 < q, tale che aq − ϵ < aq1 .
ϵ
Assegnato ϵ > 0, applicando la (9.14) con ϵ̄ = aq –si ricordi che aq > 0– si deduce l’esistenza di un indice
ν = ν(ϵ, q) ∈ N tale che
1 ϵ
(9.17) 1 − a− ν < ,
aq
i.e.,
1
(9.18) aq − aq− ν < ϵ.
La (9.18) prova la (9.16) una volta posto
1
q1 = q −
,
ν
il che –via la (9.12)– conclude la dimostrazione della (9.4).
Per provare la (9.5), si osservi in primis che
1
(9.19) per ogni ϵ̄ > 0 esiste un numero ν = ν(ϵ̄) ∈ N tale che a n − 1 < ϵ̄ per ogni n ∈ N, con n ≥ ν.
Infatti, assegnato ϵ̄ > 0,
1
(9.20) a n − 1 < ϵ̄ ⇐⇒ a < (1 + ϵ̄)n .
Per la disuguaglianza di Bernoulli (cfr. (3.21), pag. 64),
(1 + ϵ̄)n ≥ 1 + nϵ̄ per ogni n ∈ N.
9. FUNZIONI ESPONENZIALI 101

Pertanto, tenendo conto della (9.20), la (9.19) è dimostrata definendo


 
a−1
ν = ν(ϵ̄) = + 1,
ϵ̄
ove ϵ̄ è la parte intera del numero positivo a−1
 a−1 
ϵ̄ (cfr. Definizione 3.41, pag. 66).
Dalla prima relazione in (9.10), e dalle proprietà caratteristiche dell’estremo inferiore di un insieme
numerico (cfr. Proposizione 2.7, pag. 42), dimostrare la (9.12) equivale a dimostrare che
(9.21) per ogni ϵ > 0 esiste un numero q2 = q2 (ϵ) ∈ Q, con q < q2 , tale che aq2 < aq + ϵ.
ϵ
Assegnato ϵ > 0, applicando la (9.19) con ϵ̄ = aq –si ricordi che aq > 0– si deduce l’esistenza di un indice
ν = ν(ϵ, q) ∈ N tale che
1 ϵ
(9.22) aν − 1 < ,
aq
i.e.,
1
(9.23) aq+ ν − aq < ϵ.
La (9.23) prova la (9.21) una volta posto
1
q2 = q + ,
ν
il che –via la (9.12)– conclude la dimostrazione della (9.5).
(ii) Sia a ∈ ]0, 1[. Allora a1 ∈ ]1, +∞[ e quindi, per le (9.4) e (9.5) –tenendo conto della (ii) nella
Proposizione 5.38– si ha che
 q∗
−q∗ 1
a = = sup{a−q1 : q1 ∈ Q, con q1 < q∗ }
a R
(9.24)
= sup{a−q1 : −q1 ∈ Q, con − q∗ < −q1 } per ogni q∗ ∈ Q,
R
e
 q∗
1
a−q∗ = = inf {a−q2 : q2 ∈ Q, con q∗ < q2 }
(9.25) a R

= inf {a−q2 : −q2 ∈ Q, con − q2 < −q∗ } per ogni q∗ ∈ Q.


R

La (9.25) e la (9.24) dimostrano la (9.6) e la (9.7), rispettivamente. □


9.2. Funzioni esponenziali in R. Il Teorema 5.40 (cfr., in particolare, le uguaglianze (9.4)–(9.7))
unitamente alla completezza del campo dei numeri reali consente di fornire la definizione di funzione
esponenziale di base a ∈ ]0, +∞[, definita in R, come segue.
Assegnato un numero a ∈ ]0, +∞[, la funzione esponenziale di base a > 0, definita in R, è la funzione
a (·) : R −→ ]0, +∞[
(
(9.26) sup{aq1 : q1 ∈ Q ∩ ] − ∞, x[} se a ∈ [1, +∞[,
x 7−→ ax =
sup{aq2 : q2 ∈ Q ∩ ]x, +∞[} se a ∈ ]0, 1[.
Osservazioni 5.41. (I) Per ogni a ∈ ]0, +∞[, la funzione (9.26) è ben definita.
Infatti, la sua restrizione a Q coincide con la funzione (9.1) per il Teorema 5.40. Per ogni x ∈ R \ Q
gli insiemi
{aq1 : q1 ∈ Q ∩ ] − ∞, x[} se a ∈ [1, +∞[,
{aq2 : q2 ∈ Q ∩ ]x, +∞[} se a ∈ ]0, 1[,
sono entrambi non vuoti e limitati superiormente, in virtù della densità di Q in R, e la completezza di R
assicura l’esistenza (e l’unicità) del loro estremo superiore.
(II) È ben noto che, assegnata una funzione f : X ⊂ R → R, per ogni sottoinsieme proprio A di X
è univocamente definita la funzione restrizione f|A di f ad A, mentre se X ̸= R, f ammette infinite
estensioni già solo aggiungendo un singolo punto al suo dominio, i.e., considerando l’insieme X ∪ {x0 },
con x0 ∈ R \ X.
102 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Per ogni a ∈ ]0, +∞[, la funzione (9.26) è l’unica estensione della funzione esponenziale di base a
definita in Q su R che preserva la monotonia della funzione (9.1).
La costruzione della funzione esponenziale di base a definita in R è realizzata, infatti, utilizzando forte-
mente due proprietà della funzione esponenziale di base a definita in Q e una proprietà notevole degli
insiemi Q ed R \ Q su cui la funzione esponenziale di base a è, rispettivamente, definita e ‘da estendere’.
Più precisamente, la funzione esponenziale di base a definita in Q è monotona (cfr. Proposizione 5.39),
e verifica le uguaglianze (9.4) e (9.7). Inoltre, l’insieme R \ Q su cui la funzione esponenziale di base a,
definita in Q, deve esser definita è, al pari dell’insieme Q dei numeri razionali, un sottoinsieme denso di
R (cfr. Teorema 3.54, pag. 71).
Per ogni a ∈ ]0, +∞[, la funzione (9.26) è ‘definita’ al fine di preservare la monotonia della funzione
(9.1), sancita dalla Proposizione 5.39 (cfr. Proposizione 5.42 seguente). Ciò fa sı̀, in particolare, che le
proprietà elencate nella Proposizione 5.38 per la funzione (9.1) vengano ‘conservate’ dalla funzione (9.26),
come illustrato poi dalla Proposizione 5.43.
Proposizione 5.42. Assegnato a ∈ ]0, +∞[, la funzioni esponenziale di base a, definita in R, è
(i) strettamente crescente se a ∈ ]1, +∞[;
(ii) la funzione 1R se a = 1;
(iii) strettamente decrescente se a ∈ ]0, 1[.
Dimostrazione. (i) Siano x1 , x2 ∈ R arbitrariamente assegnati e tali che x1 < x2 . Dalla densità
di Q in R, esistono allora q1 , q2 ∈ Q tali che x1 < q1 < q2 < x2 . Dalla (9.26), unitamente alla (i) nella
Proposizione 5.39, si ha allora che ax1 ≤ aq1 < aq2 ≤ ax2 . Ciò prova la (i).
(ii) Segue immediamente dalla (9.26) e dalla (ii) nella Proposizione 5.39.
(iii) Siano x1 , x2 ∈ R arbitrariamente assegnati e tali che x1 < x2 . Dalla densità di Q in R, esistono allora
q1 , q2 ∈ Q tali che x1 < q1 < q2 < x2 . Dalla (9.26), unitamente alla (iii) nella Proposizione 5.39, si ha
allora che ax1 ≥ aq1 > aq2 ≥ ax2 . Ciò prova la (iii). □

Facendo uso della Proposizione 5.38 e del Teorema 5.40, si riescono a provare alcune proprietà rilevanti
delle funzioni esponenziali.
Proposizione 5.43. Assegnato a ∈ ]0, +∞[, per ogni x1 , x2 ∈ R si ha che
(i) ax1 > 0,
(ii) a−x1 = 1
ax1 ,
x1 +x2 x1 x2
(iii) a =a a ,
x1 x2
(iv) a = (ax1 )x2 = (ax2 )x1 ,
(v) ax1 = (bc)x1 = bx1 cx1 quando a = bc con b, c ∈ ]0, +∞[.
Osservazione 5.44. Ogni funzione esponenziale ha un buon comportamento rispetto alla somma
ed al prodotto. La (iii) nella Proposizione 5.43 dice infatti che, per ogni a ∈ ]0, +∞[, la funzione a(·)
trasforma somma di due numeri reali nel prodotto dei valori assunti dalla funzione in tali punti, mentre
la (iv) nella Proposizione 5.43 afferma che, per ogni a ∈ ]0, +∞[, la funzione a(·) trasforma il prodotto di
due numeri reali nella composizione di funzioni esponenziali. Inoltre, tale composizione è commutativa.
Infine, la (v) nella Proposizione 5.43 garantisce che se la base a ∈ ]0, +∞[ è scrivibile come il prodotto
di due numeri reali b e c entrambi strettamenti positivi, la funzione esponenziale di base a assume in ogni
punto x ∈ R valore uguale al prodotto dei valori assunti nel punto x dalle funzioni esponenziali di base b
e di base c.

10. Funzioni logaritmiche


La Proposizione 5.42 assicura che le funzioni esponenziali, eccezion fatta per quella di base 1, sono
funzioni strettamente monotone su R, e pertanto invertibili. Tali funzioni assumono valori in ]0, +∞[, ma
occorre porsi il seguente interrogativo:
assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, per quali valori x ∈ ]0, +∞[ esiste un numero b ∈ R tale che x = ab ?
La risposta è fornita dal seguente risultato, la cui dimostrazione è fornita a pag. 200.
10. FUNZIONI LOGARITMICHE 103

Teorema 5.45. Assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione esponenziale di base a è una biiezione da R
a ]0, +∞[.
Pertanto, se a ∈ ]0, +∞[, con a ̸= 1, per ogni x ∈ ]0, +∞[, esiste uno ed un solo elemento b ∈ R tale
che ab = x. Tale numero è detto logaritmo di base a di x ∈ ]0, +∞[ e si denota con il simbolo loga x.
Evidentemente
loga a = 1 , loga 1 = 0,

(10.1) loga ax = x per ogni x ∈ R,

aloga x = x per ogni x ∈ ]0, +∞[.


Assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione logaritmo di base a ∈ ]0, +∞[\{1} è la funzione inversa della
funzione esponenziale di base a in R, i.e.,
loga : ]0, +∞[ −→ R
(10.2)
x 7−→ loga x
ove
loga ◦ a (·) = IR ,
(10.3)
a (·) ◦ loga = I]0,+∞[ .
Osservazione 5.46. Quando a = e, ove e ∈ ]2, 3[ è il numero di Nepero (cfr. Teorema 9.15, pag. 181),
la funzione loge è denotata semplicemente con la scrittura log oppure con ln, ed è detta funzione logaritmo
in base naturale. Mentre quando a = 10 la funzione log10 è denotata con Log.
Dal Teorema 4.23, pag. 78, e dalla Proposizione 5.42 si ricava immediatamente
Proposizione 5.47. Assegnato a ∈ ]0, +∞[, la funzioni logaritmo di base a è
(i) strettamente crescente se a ∈ ]1, +∞[;
(ii) strettamente decrescente se a ∈ ]0, 1[.
Inoltre, facendo uso della Proposizione 5.43 e della (10.3), si riesce a provare
Proposizione 5.48. Assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, per ogni x1 , x2 ∈ ]0, +∞[ si ha che
(i) loga (x1 x2 ) = loga x1 + loga x2 ;
 
x1
(ii) loga = loga x1 − loga x2 ;
x2
(iii) loga (x1 q ) = q loga x1 per ogni q ∈ Q \ {0};
(iv) loga x1 = loga b logb x1 per ogni b ∈ ]0, +∞[\{1};
1
(v) loga b = per ogni b ∈ ]0, +∞[\{1}.
logb a
Dimostrazione. (i) Assegnati x1 , x2 ∈ ]0, +∞[, per provare la (i) è sufficiente provare che
aloga (x1 x2 ) = aloga x1 +loga x2 .
Ma ciò segue dalla (iii) nella Proposizione 5.43 e dalla (10.3) in quanto
aloga (x1 x2 ) = x1 x2 = aloga x1 aloga x2 = aloga x1 +loga x2 .
(ii) Si prova in modo analogo alla (i), facendo uso delle (ii)–(iii) nella Proposizione 5.43 e della (10.3).
(iii) Assegnati due qualsiasi numeri x1 ∈ ]0, +∞[ e q ∈ Q \ {0}, per provare la (iii) è sufficiente provare
che q
aloga (x1 ) = aq loga x1 .
Ma ciò segue dalla (iv) nella Proposizione 5.43 e dalla (10.3) in quanto
q
aloga (x1 )
= x1 q = (aloga x1 )q = aq loga x1 .
(iv) Assegnati x1 ∈ ]0, +∞[ e b ∈ ]0, +∞[\{1}, per provare la (iv) è sufficiente provare che
aloga x1 = aloga b logb x1 .
104 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Ma ciò segue dalla (iv) nella Proposizione 5.43 e dalla (10.3) in quanto
aloga x1 = x1 = blogb x1 = (aloga b )logb x1 = aloga b logb x1 .
(v) Segue immediatamente dalla (iv) e dalla prima in (10.1) ponendo x = a. □

Osservazioni 5.49. Le funzioni logaritmiche al variare di a ∈ ]0, +∞[\{1} hanno quindi un buon
comportamento rispetto alla prodotto, ai quozienti ed alle potenze razionali.
La (i) [risp. la (ii)] nella Proposizione 5.48 dice infatti che, per ogni a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione
loga trasforma prodotti [risp. quozienti] di due numeri reali strettamente positivi nella somma [risp. nella
differenza] dei valori assunti dalla funzione in tali punti, mentre la (iii) nella Proposizione 5.48 assicura
che, per ogni a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione loga trasforma la potenza razionale xq nel prodotto della
costante q per il valore assunto dalla funzione loga in x.
Infine, la (iv) nella Proposizione 5.48 garantisce la possibilità di poter esprimere il valore assunto
in punto x ∈ ]0, +∞[ da una funzione logaritmica di una certa base a ∈ ]0, +∞[\{1} come il valore
assunto in x da una qualsiavoglia altra funzione logaritmica, a meno di un fattore moltiplicativo loga b,
ove b ∈ ]0, +∞[\{1} è la base dell’altra funzione logaritmica presa in considerazione.

11. Funzioni potenza α-esima, al variare di α ∈ R \ {0}


Facendo uso dei risultati esposti nei §§ 9 e 10, le funzioni potenza ad esponente reale non nullo sono
definite come segue.
Se α ∈ ]0, +∞[, la funzione potenza α-esima è la funzione
fα : [0, +∞[ −→ [0, +∞[
(
(11.1) α eα ln x se x > 0,
x 7−→ x =
0 se x = 0.

Se α ∈ ] − ∞, 0[, la funzione potenza α-esima è la funzione


fα : ]0, +∞[ −→ ]0, +∞[
(11.2)
x 7−→ eα ln x = xα

Osservazioni 5.50. Le funzioni (11.1) e (11.2) sono ben definite rispettivamente per α ∈ ]0, +∞[ e
α ∈ ] − ∞, 0[.
È bene tener però presente che, in quanto N ⊂ ]0, +∞[, per α = n ∈ N la funzione potenza reale di
esponente n è la restrizione a [0, +∞[ della funzione potenza n-esima. Analogamente, per ogni k ∈ 2N + 1,
i.e. k = 2n + 1 per qualche n ∈ N, k1 = 2n+1 1 1
∈ ]0, +∞[ e quindi per α = 2n+1 la funzione potenza reale
1
di esponente 2n+1 è la restrizione a [0, +∞[ della funzione radice (2n + 1)-esima.
Dalle proprietà di monotonia delle funzioni esponenziali e logaritmiche, segue immediatamente
Proposizione 5.51. Assegnato α ∈ R \ {0}, la funzione potenza α-esima è
(i) strettamente crescente se α > 0;
(ii) strettamente decrescente se α < 0.

Inoltre, dalle Proposizioni 5.43 e 5.48 si deduce la seguente


Proposizione 5.52. Per ogni α1 , α2 ∈ R \ {0} e per ogni x, y ∈ ]0, +∞[, si ha che
(i) xα1 > 0;
(iii) x−α1 = xα1 1 ;
(iv) xα1 · xα2 = xα1 +α2 ;
(v) (xα1 )α2 = (xα2 )α1 = xα1 α2 ;
(vi) (xy)α1 = xα1 y α1 .
12. FUNZIONI TRIGONOMETRICHE 105

Osservazioni 5.53. (I) Le proprietà (iv) e (v) nella Proposizione 5.52 assicurano che, una volta
definita la potenza 0-esima come
(11.3) f0 (x) = x0 = 1 per ogni x ∈ ]0, +∞[,
la famiglia delle funzioni potenza ad esponente reale su ]0, +∞[ è chiusa rispetto al prodotto ed alla
composizione, rispettivamente. Infatti, in accordo con le notazioni (11.1), (11.2) e (11.3),
fα1 · fα2 = fα1 +α2 per ogni α1 , α2 ∈ R
e
fα2 ◦ fα1 = fα1 α2 per ogni α1 , α2 ∈ R.
Inoltre, la composizione di funzioni potenza ad esponente reale è commutativa, in quanto
fα2 ◦ fα1 = fα1 α2 = fα2 α1 = fα1 ◦ fα2 .

(II) Le funzioni potenza reale hanno un buon comportamento rispetto al prodotto. La proprietà (vi) nella
Proposizione 5.52 assicura che ciascuna funzione potenza ad esponente reale trasforma il prodotto di due
numeri reali strettamenti positivi nel prodotto dei valori assunti dalla funzione in tali punti.

12. Funzioni trigonometriche


Le funzioni trigonometriche, dette anche funzioni circolari o funzioni goniometriche, costituiscono
una classe significativa di funzioni periodiche (cfr. pag. 79). Tali funzioni potrebbero essere definite in
modo preciso, senza far ricorso a disegni, angoli ed intuizione geometrica, dopo aver studiato un pò di
equazioni differenziali, o quantomeno (più laboriosamente) dopo aver introdotto le derivate.
Ovvie esigenze didattiche suggeriscono di introdurle prima di aver introdotto nozioni più avanzate,
facendo uso della circonferenza goniometrica.
Assegnato un sistema di assi cartesiani ortogonali OXY , sia
(12.1) Γ = {(X, Y ) ∈ R2 : X 2 + Y 2 = 1}
la circonferenza di centro l’origine e raggio uno.
Sulla circonferenza Γ, si considerino
▷ il punto A = (1, 0);
▷ come verso positivo di percorrenza quello antiorario a partire da A;
▷ come unità di misura delle lunghezze 2π,
ove 2π è la lunghezza geometrica dell’intera circonferenza Γ. In virtù dell’orientamento assegnato su Γ,
2π coincide con la lunghezza del minimo percorso su Γ che è necessario compiere a partire dal punto A
per raggiungere nuovamente il punto A, muovendosi in senso antiorario.
La circonferenza unitaria Γ, una volta fissati il punto A = (1, 0) ∈ Γ, il verso positivo di percorrenza
e l’unità di misura suddetti, è detta circonferenza goniometrica.
La circonferenza goniometrica rende ben definita la funzione
γ : R −→ R2 ,
(12.2)
x 7−→ γ(x),
dove
(12.3) γ(x) è il punto determinato muovendosi su Γ a partire da A in senso antiorario compiendo
un percorso di lunghezza geometrica pari ad x se x > 0,
(12.4) γ(0) = A,
(12.5) γ(x) è il punto determinato muovendosi su Γ a partire da A in senso orario compiendo un
percorso di lunghezza geometrica pari ad − x se x < 0.

Semplici considerazioni geometriche portano alla


106 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Proposizione 5.54. Assegnati un sistema di assi cartesiani ortogonali OXY e la circonferenza


goniometrica Γ, la funzione γ definita dalle (12.2)–(12.5) è una funzione periodica, di periodo minimo
T0 = 2π, suriettiva su Γ.
Inoltre, per ogni x ∈ R \ {kπ : k ∈ Z}, i punti γ(x) e γ(−x) del piano cartesiano OXY sono
simmetrici rispetto all’asse delle OX.
D’altra parte, assegnato un sistema di assi cartesiani ortogonali OXY , le funzioni

Π 1 : R2 −→ R
(12.6)
(X, Y ) 7−→ X
e
Π 2 : R2 −→ R
(12.7)
(X, Y ) 7−→ Y
sono ben definite (cfr. (5.14) e (5.15), pag. 27) e sono, rispettivamente, le proiezioni di R2 sull’asse OX
e sull’asse OY .
Definizione 5.55. Assegnati un sistema di assi cartesiani ortogonali OXY e la circonferenza gonio-
metrica Γ, la funzione coseno è la funzione

cos : R −→ R
(12.8)
x 7−→ Π1 (γ(x))
e la funzione seno è la funzione

sin : R −→ R
(12.9)
x 7−→ Π2 (γ(x))

ove γ è la funzione definita dalle (12.2)–(12.5), Π1 e Π2 sono le proiezioni di R2 sull’asse OX e sull’asse


OY , rispettivamente.
Osservazione 5.56. Per ogni x ∈ R, le quantità cos x e sin x sono, rispettivamente, l’ascissa e
l’ordinata del punto γ(x), appartenente alla circonferenza goniometrica Γ e definito dalle (12.2)–(12.5),
i.e.,
γ(x) = (cos x, sin x) per ogni x ∈ R.
Alla luce delle precedenti definizioni, alcune proprietà notevoli delle funzioni coseno e seno sono
facilmente elencabili nelle seguenti
Proposizione 5.57. La funzione coseno e la funzione seno
(i) sono funzioni periodiche di periodo minimo T0 = 2π;
(ii) sono suriettive sull’intervallo [−1, 1];
(iii) soddisfano l’identità fondamentale della trigonometria
cos2 + sin2 = 1R ,
i.e.,
cos2 x + sin2 x = 1 per ogni x ∈ R.

Proposizione 5.58. La funzione coseno soddisfa le seguenti proprietà:


(i) è una funzione pari;
(ii) cos(x) = − cos(π − x) per ogni x ∈ R;
(iii) max cos = 1, e i punti xk = 2kπ, al variare di k ∈ Z, sono punti di massimo;
R

(iv) min cos = −1, e i punti xk = π + 2kπ, al variare di k ∈ Z, sono punti di minimo;
R
12. FUNZIONI TRIGONOMETRICHE 107

[ π 3π

(v) cos(x) < 0 ⇐⇒ x∈ + 2kπ, + 2kπ ;
2 2
k∈Z
nπ o
(vi) cos(x) = 0 ⇐⇒ x∈ + kπ : k ∈ Z ;
2
[ i π π h
(vii) cos(x) > 0 ⇐⇒ x∈ − + 2kπ, + 2kπ ;
2 2
k∈Z

(viii) la restrizione cos| [0,π] della funzione coseno all’intervallo [0, π] è strettamente decrescente ed è
suriettiva su [−1, 1];
(ix) 1 − |x| ≤ cos x per ogni x ∈ R.
Dimostrazione. Le (i) –(viii) sono immediate.
Per la (ix), con semplici osservazioni geometriche, basta osservare che
i πi
1 − cos x < x per ogni x ∈ 0, ,
2
iπ h
1 − cos x = 1 + | cos x| < x per ogni x ∈ , +∞ ,
2
e ricordare che sia la funzione valore assoluto sia la funzione coseno sono funzioni pari. □

Proposizione 5.59. La funzione seno soddisfa le seguenti proprietà:


(i) è una funzione dispari;
(ii) sin(x) = sin(π − x) per ogni x ∈ R;
π
(iii) max sin = 1, e i punti xk = + 2kπ, al variare di k ∈ Z, sono punti di massimo;
R 2
π
(iv) min sin = −1, e i punti xk = − + 2kπ, al variare di k ∈ Z, sono punti di minimo;
R 2
[
(v) sin(x) < 0 ⇐⇒ x ∈ ]−π + 2kπ, 2kπ[;
k∈Z

(vi) sin(x) = 0 ⇐⇒ x ∈ {kπ : k ∈ Z};


[
(vii) sin(x) > 0 ⇐⇒ x∈ ]2kπ, π + 2kπ[;
k∈Z
h π πi
(viii) la restrizione sin| [− π2 , π2 ] della funzione seno all’intervallo − , è strettamente crescente ed
2 2
è suriettiva su [−1, 1];
(ix) | sin x| ≤ |x| per ogni x ∈ R.

Dimostrazione. Le (i) –(viii) sono immediate.


Per la (ix), con semplici osservazioni geometriche, basta osservare che
sin x < x per ogni x ∈ ]0, +∞[ ,
e ricordare che la funzione valore assoluto è una funzione pari, e la funzione seno e l’identità in R sono
funzioni dispari. □
Con i metodi della geometria elementare si possono provare
Teorema 5.60 (Formule di addizione e sottrazione per le funzioni seno e coseno).
Per ogni x, y ∈ R,
(12.10) cos(x + y) = cos x cos y − sin x sin y;
(12.11) cos(x − y) = cos x cos y + sin x sin y;
(12.12) sin(x + y) = sin x cos y + cos x sin y;
(12.13) sin(x − y) = sin x cos y − cos x sin y.
108 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Osservazione 5.61. Dalle (12.11) e (12.12) si ricava, in particolare, che


 π  π
(12.14) cos x − = sin x e sin x + = cos x per ogni x ∈ R.
2 2
Il grafico della funzione seno si ottiene traslando il grafico della funzione coseno nel senso delle x decrescenti
di π2 , ed il grafico della funzione coseno si ottiene traslando il grafico della funzione seno nel senso delle
x crescenti di π2 .
Dalle formule di addizione e sottrazione si ricavano una miriade di formule trigonometriche come
illustrato dai seguenti corollari.
Corollario 5.62 (Formule di duplicazione).
Per ogni x ∈ R,
(12.15) cos(2x) = cos2 x − sin2 x;
(12.16) sin(2x) = 2 sin x cos y.

Corollario 5.63 (Formule di bisezione).


Per ogni x ∈ R,
r
1 + cos(2x)
(12.17) | cos x| = ;
2
r
1 − cos(2x)
(12.18) | sin x| = .
2

Corollario 5.64 (Formule di prostaferesi).


Per ogni x, y ∈ R,
   
x+y x−y
(12.19) cos x + cos y = 2 cos cos ;
2 2
   
x+y x−y
(12.20) cos x − cos y = −2 sin sin ;
2 2
   
x+y x−y
(12.21) sin x + sin y = 2 sin cos ;
2 2
   
x+y x−y
(12.22) sin x − sin y = 2 cos sin .
2 2
A partire dalle funzioni seno e coseno, avvalendosi della nozione di quoziente di funzioni reali di una
variabile reale, risultano definite due nuove funzioni periodiche, dette funzione tangente e funzione cotan-
gente. Entrambi tali funzioni hanno periodo minimo π e, diversamente dalle funzioni coseno e seno che
ammettono valore minimo e valore massimo, entrambe tali funzioni sono non limitate tanto inferiormente
quanto superiormente.
Definizione 5.65. La funzione tangente è il quoziente della funzioni seno rispetto alla funzione
coseno, i.e.,
[ i π π h
tan : − + kπ, + kπ −→ R
2 2
k∈Z
(12.23)
sin x
x 7−→
cos x
Dai risultati fin qui esposti si può dedurre facilmente
Proposizione 5.66. La funzione tangente verifica le seguenti proprietà:
(i) è suriettiva su R;
(ii) è una funzioni periodica di periodo minimo T0 = π;
13. INVERSE LOCALI DELLE FUNZIONI TRIGONOMETRICHE 109

(iii) è una funzione dispari;


[ i π h
(iv) tan(x) < 0 ⇐⇒ x∈ − + kπ, kπ ;
2
k∈Z

(v) tan(x) = 0 ⇐⇒ x ∈ {kπ : k ∈ Z};


[ i π h
(vi) tan(x) > 0 ⇐⇒ x∈ kπ, + kπ ;
2
k∈Z
i π πh
(vii) la restrizione tan| ]− π , π [ della funzione tangente all’intervallo − , è strettamente crescente
2 2 2 2
e suriettiva su R;
(ix) sin x < x < tan x per ogni x ∈ 0, π2 .
 

Dal Corollario 5.62 seguono, con semplici calcoli, le seguenti formule


Corollario [ 5.67 (Formule parametriche).
Per ogni x ∈ ]kπ, (k + 1)π[,
k∈Z
2
1 − tan( x2 )
(12.24) cos x = 2 ;
1 + tan( x2 )

2 tan( x2 )
(12.25) sin x = 2 .
1 + tan( x2 )

In analogia con la Definizione 5.65 e con la Proposizione 5.66 si ha


Definizione 5.68. La funzione cotangente è il quoziente della funzione coseno rispetto alla funzione
seno, ossia
[ 
cot : ]kπ, (k + 1)π −→ R
k∈Z
(12.26)
cos x
x 7−→
sin x

Proposizione 5.69. La funzione cotangente verifica le seguenti proprietà:


(i) è suriettiva su R;
(ii) è una funzioni periodica di periodo minimo T0 = π;
(iii) è una funzione dispari;
[ i π h
(iv) cot(x) < 0 ⇐⇒ x∈ − + kπ, kπ ;
2
k∈Z
nπ o
(v) cot(x) = 0 ⇐⇒ x∈ + kπ : k ∈ Z ;
2
[ i π h
(vi) cot(x) > 0 ⇐⇒ x∈ kπ, + kπ ;
2
k∈Z

(vii) la restrizione cot| ]0,π[ della funzione cotangente all’intervallo ]0, π[ è strettamente decrescente
ed è suriettiva su R.

13. Inverse locali delle funzioni trigonometriche


Le funzioni trigonometriche, essendo funzioni periodiche, non sono iniettive e quindi non sono inver-
tibili. Non esistono quindi funzioni inverse della funzioni seno, coseno, tangente e cotangente.
La (viii) nelle Proposizioni 5.58 e 5.59 e la (vii) nelle Proposizioni 5.66 e 5.69 –via il Teorema 4.23,
pag. 78– evidenziano che le seguenti definizioni sono ben poste.
110 5. FUNZIONI ELEMENTARI

Definizione 5.70. La funzione arcocoseno è la funzione inversa della restrizione della funzione coseno
all’intervallo [0, π], i.e.,
arccos : [−1, 1] −→ [0, π]
(13.1)
x 7−→ arccos x
ove
(13.2) arccos(cos x) = x per ogni x ∈ [0, π];
(13.3) cos(arccos x) = x per ogni x ∈ [−1, 1].

Definizione 5.71.
 La funzione arcoseno è la funzione inversa della restrizione della funzione seno
all’intervallo − π2 , π2 , i.e.,

h π πi
arcsin : [−1, 1] −→ − ,
(13.4) 2 2
x 7−→ arcsin x
ove
h π πi
(13.5) arcsin(sin x) = x per ogni x ∈ − , ;
2 2
(13.6) sin(arcsin x) = x per ogni x ∈ [−1, 1].

Definizione 5.72. La funzione arcotangente è la funzione inversa della restrizione della funzione
tangente all’intervallo − π2 , π2 , i.e.,

i π πh
arctan : R −→ − ,
(13.7) 2 2
x 7−→ arctan x
ove
i π πh
(13.8) arctan(tan x) = x per ogni x ∈ − , ;
2 2
(13.9) tan(arctan x) = x per ogni x ∈ R.

Definizione 5.73. La  funzione


 arcocotangente è la funzione inversa della restrizione della funzione
cotangente all’intervallo 0, π , i.e.,
i h
arccot : R −→ 0, π
(13.10)
x 7−→ arccotx
ove
 
(13.11) arccot(cot x) = x per ogni x ∈ 0, π ;
(13.12) cot(arccotx) = x per ogni x ∈ R.
Alcune delle proprietà delle funzioni (13.1), (13.4) e (13.7) sono illustrate nella seguente
Proposizione 5.74.
(I) La funzione arcocoseno è strettamente decrescente in [−1, 1]. Inoltre
min arccos = arccos 1 = 0 e max arccos = arccos(−1) = π.
[−1,1] [−1,1]

(II) La funzione arcoseno è strettamente crescente in [−1, 1] ed è dispari. Inoltre


π π
min arcsin = arcsin(−1) = − e max arcsin x = arcsin 1 = .
[−1,1] 2 [−1,1] 2

(III) La funzione arcotangente è strettamente crescente in R ed è dispari. È limitata, e


π π
inf arctan = − e sup arctan = .
R 2 R 2
14. POLINOMI E FUNZIONI RAZIONALI 111

(III) La funzione arcocotangente è strettamente decrescente in R. È limitata, e


inf arccot = 0 e sup arccot = π.
R R

14. Polinomi e funzioni razionali


Avvalendosi delle operazioni algebriche tra funzioni, considerando in particolare esclusivamente som-
me funzioni potenza n-esima moltiplicate per numeri reali, si perviene in modo naturale alla
Definizione 5.75. Un polinomio di grado n, con n ∈ N, è una funzione del tipo
P (x) = a0 + a1 x + · · · + an xn per x ∈ R,
ove a0 , a1 , . . . , an ∈ R, e an ̸= 0.
I numeri ai , i ∈ {0, 1, . . . , n} sono detti i coefficienti del polinomio P .
Definizione 5.76. Una funzione reale di una variabile reale è detta una funzione razionale quando
è il rapporto di due polinomi.

Esempio 5.77. La funzione


P (x) a0 + a1 x + · · · + an xn
R(x) = = per x ∈ R \ {x ∈ R : Q(x) = 0},
Q(x) b0 + b1 x + · · · + bm xm
con n, m ∈ N, an ̸= 0 e bm ̸= 0, è una funzione razionale.
CAPITOLO 6

Numeri complessi

Una delle motivazioni che porta all’introduzione del campo algebrico dei numeri complessi è che
alcuni equazioni di secondo grado, aventi a prototipo l’equazione
(0.1) x2 + 1 = 0
non ammettono soluzioni in R.
Tale non risolubilità è conseguenza della richiesta di compatibilità della relazione d’ordine totale ≤ su
R rispetto alle operazioni di addizione e moltiplicazione (cfr. (ii1 ) e (ii2 ) nella Definizione 2.1, pag. 35). Per
ogni x ∈ R, infatti, x2 ≥ 0 (cfr. (d) nella Proposizione 2.6, pag. 40) e, conseguentemente, x2 + 1 ≥ 1 > 0
per ogni x ∈ R per la (e) nella Proposizione 2.6.
Condizione necessaria quindi affinché l’equazione (0.1) sia ben definita e possa ammettere soluzione è
che si consideri un campo algebrico non totalmente ordinato, ossia che si rinunci ad una qualsiasi relazione
d’ordine totale che sia compatibile con le operazioni del campo.
La scelta di tale ‘nuovo’ campo algebrico viene sottoposta però al seguente vincolo: il ‘nuovo’ campo
deve includere il campo algebrico (R, +, ·), definito tramite le (I)–(II) nella Definizione 2.1, pag. 35, come
sottocampo proprio a meno di isomorfismi.
È importante non fraintendere tale vincolo. Il ‘nuovo’ campo, che verrà detto campo dei numeri
complessi e denotato con C, estenderà il campo algebrico (R, +, ·) non il sistema algebrico (R, +, ·, ≤),
che è un campo totalmente ordinato e completo.

1. Il campo C dei numeri complessi


Il campo C dei numeri complessi ha come sostegno il prodotto cartesiano R × R di R per sé stesso, e
le due leggi di composizioni interna di addizione e di moltiplicazione sono definite rispettivamente dalle
(1.1) e (1.2) seguenti, avvalendosi sia dell’addizione e della moltiplicazione in R sia della struttura del
campo algebrico (R, +, ·).
Proposizione 6.1. Definite
+ C : R2 × R2 −→ R2
(1.1)
((a1 , b1 ), (a2 , b2 )) 7−→ (a1 + a2 , b1 + b2 ),

· C : R2 × R 2 −→ R2
(1.2)
((a1 , b1 ), (a2 , b2 )) 7−→ (a1 a2 − b1 b2 , a1 b2 + a2 b1 ),

la terna (R2 , +C , ·C ) è un campo algebrico, detto campo algebrico dei numeri complessi e denotato con
C.
Le leggi di composizione interna +C e ·C sono dette addizione e moltiplicazione in C, ed un elemento
z = (a, b) ∈ C è detto numero complesso.
Dimostrazione. Le funzioni (1.1) e (1.2) sono leggi di composizioni interna in R2 (cfr. Definizio-
ne 1.76, pag. 29), ben definite, poiché tali risultano le operazioni di addizione e di moltiplicazione di R,
ed (R, +, ·) è un campo algebrico.
La coppia (R2 , +C ) è un gruppo commutativo. La commutatività e l’associatività di +C in R2 seguono
immediatamente dalla commutatività e l’associatività dell’addizione in R, applicandole componente per
componente. Esiste ed è unico l’elemento neutro rispetto all’addizione +C , ed è (0, 0). Infine, ogni
elemento (a, b) ∈ R2 è dotato di opposto, che è unico, ed è (−a, −b).
La commutatività e l’associatività di ·C in R2 seguono –con semplici conti– dalla commutatività
e l’associatività della moltiplicazione in R, applicandole componente per componente. Esiste ed è unico
113
114 6. NUMERI COMPLESSI

l’elemento neutro rispetto alla moltiplicazione ·C in R2 \ {(0, 0)}, ed è (1, 0). Infine, ogni elemento
(a, b) ∈ R2 \ {(0, 0)} è dotato di reciproco, che è unico, ed è
 
a −b
, .
a2 + b2 a2 + b2
La distributività della moltiplicazione ·C rispetto all’addizione +C è di immediata verifica. □

Osservazione 6.2. In accordo con le notazioni utilizzate per i numeri reali, l’opposto di un numero
complezzo z è denotato con la scrittura −z e, per ogni z ∈ C con z ̸= 0, il reciproco di z è denotato con
z −1 oppure con z1 .
La dimostrazione della Proposizione 6.1 illustra che
(1.3) −z = (−a, −b) per ogni z = (a, b) ∈ C,
 
1 a −b
(1.4) = , per ogni z = (a, b) ∈ C \ {(0, 0)}.
z a2 + b2 a2 + b2

Nel campo algebrico C dei numeri complessi valgono proprietà analoghe a quelle espresse dalla
Proposizione 2.3, pag. 37, per i numeri reali.
Proposizione 6.3.
(a) −(−z) = z per ogni z ∈ C;
(b) per ogni z, w, u ∈ C,
z +C u = w +C u ⇐⇒ z = w;
(c) per ogni z, w ∈ C e per ogni u ∈ C \ {0},
z ·C u = w ·C u ⇐⇒ z = w;
(d) z ·C 0 = 0 per ogni z ∈ C;
(e) per ogni z, w ∈ C ,
z ·C w = 0 ⇐⇒ z = 0 oppure w=0 (legge di annullamento del prodotto);
(f) per ogni z, w ∈ C,
z ·C w ̸= 0 ⇐⇒ z ̸= 0 e w ̸= 0;

(g) z −1 ̸= 0 per ogni z ∈ C \ {0};


(h) (z −1 )−1 = z per ogni z ∈ C \ {0};
(i) −z = (−1) ·C z per ogni z ∈ C;
(l) z ̸= 0 se, e soltanto se, −z ̸= 0;
(m) −(z +C w) = (−z) +C (−w) per ogni z, w ∈ C;
(n) −(z ·C w) = (−z) ·C w = z ·C (−w) per ogni z, w ∈ C;
(o) z ·C w = (−z) ·C (−w) per ogni z, w ∈ C;
(p) (−z)−1 = −z −1 per ogni z ∈ C \ {0};
(q) (z ·C w)−1 = z −1 ·C w−1 per ogni z, w ∈ C \ {0};
(r) per ogni z, w ∈ C e per ogni u, v ∈ C \ {0}, ,
z w zv +C wu
+C = ;
u v u ·C v
(s) per ogni z, w ∈ C e per ogni u, v ∈ C \ {0},
z w z· w
· = C .
u C v u ·C v
Dimostrazione. Basta procedere in modo analogo a quanto fatto nella dimostrazione della Propo-
sizione 2.3, pag. 37. □
1. IL CAMPO C DEI NUMERI COMPLESSI 115

Osservazione 6.4. La struttura di campo algebrico di C consente naturalmente di definire le seguenti


funzioni, dette rispettivamente sottrazione e divisione in C, denotate rispettivamente con −C e :C ,
−C : R2 × R2 −→ R2
(1.5)
((a1 , b1 ), (a2 , b2 )) 7−→ (a1 − a2 , b1 − b2 ),

R2 × R2 \ {(0, 0)} −→ R2

:C :
(1.6) 
a2 −b2

((a1 , b1 ), (a2 , b2 )) 7−→ (a1 , b1 ) ·C ,
a22 + b22 a22 + b22
Si osservi che tanto la sottrazione quanto la divisione non sono né commutative, né associative.
Il prossimo risultato illustra che il campo algebrico dei numeri complessi include il campo algebrico
dei numeri reali, definito tramite le (I)–(II) nella Definizione 2.1, pag. 35, come sottocampo proprio a
meno di isomorfismi. In termini atecnici, usare con due numeri reali a e b le operazioni algebriche definite
in R e/o usare con i numeri complessi (a, 0) e (b, 0) le operazioni algebriche definite in C è perfettamente
equivalente.
Proposizione 6.5. La terna
 
C0 = R × {0}, +C 2
, ·C
|(R×{0}) |(R×{0})2

è un campo algebrico, e C0 ⊂ C.
Inoltre, C0 è isomorfo al campo algebrico (R, +, ·), via l’applicazione
 
Φ: R × {0}, +C 2
, ·C −→ (R, +, ·),
|(R×{0}) |(R×{0})2
(1.7)
(a, 0) 7−→ a.
Pertanto,
(1.8) ogni elemento (a, 0) ∈ C0 è identificabile con il numero a ∈ R.
Dimostrazione. Un numero complesso z = (a, b) appartiene a C0 se, e soltanto se, b = 0.
Le restrizioni delle leggi di composizione interna +C e ·C su C all’insieme
(1.9) (R × {0}) × (R × {0}) = (R × {0})2
sono leggi di composizione interna su (R × {0})2 .
Infatti, per ogni (a1 , 0), (a2 , 0) ∈ R × {0},
(a1 , 0) +C (a2 , 0) = (a1 + a2 , 0),
(1.10)
(a1 , 0) ·C (a2 , 0) = (a1 · a2 , 0).
 
La coppia R × {0}, +C 2
è un gruppo commutativo.
|(R×{0})
La commutatività e l’associatività della restrizione dell’addizione +C all’insieme (1.9) seguono immedia-
tamente dalla commutatività e l’associatività dell’addizione +C in C. Inoltre, (0, 0) ∈ R × {0}. Infine,
per ogni elemento (a, b) ∈ R × {0} l’opposto (−a, 0) appartiene a R × {0}.
2
La commutatività e l’associatività della restrizione della moltiplicazione ·C all’insieme (R × {0})
seguono immediatamente dalla commutatività e l’associatività della moltiplicazione ·C  in C. Inoltre,
1
(1, 0) ∈ R × {0}. Infine, per ogni elemento (a, b) ∈ (R × {0}) \ {(0, 0)} il reciproco , 0 appartiene a
a
(R × {0}) \ {(0, 0)}.
La distributività della restrizione della moltiplicazione ·C all’insieme (1.9) rispetto alla restrizione
dell’addizione +C 2
all’insieme (1.9) è di immediata verifica.
|(R×{0})

L’applicazione (1.7) è un isomorfismo.


Essa è, infatti, chiaramente biiettiva, e verifica le seguenti proprietà
(1.11) Φ ((a1 , 0) +C (a2 , 0)) = Φ(a1 , 0) + Φ(a2 , 0),
(1.12) Φ ((a1 , 0) ·C (a2 , 0)) = Φ(a1 , 0) · Φ(a2 , 0). □
116 6. NUMERI COMPLESSI

2. Forma algebrica di un numero complesso


Il sostegno del campo C dei numeri complessi è R2 , come illustrato dalla Proposizione 6.1. È ben
noto (cfr. pag. 48) che, una volta assegnato un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxy, ogni elemento
di R2 –e, quindi, ogni numero z = (a, b) ∈ C– è in corrispondenza biunivoca con un unico punto del
piano cartesiano. In particolare, ogni elemento di R × {0} –e, quindi, ogni numero z = (a, 0) ∈ C0 – è in
corrispondenza biunivoca con un unico punto dell’asse 0x.
Si osserva ora che, per la definizione dell’addizione in C (cfr. (1.1)), ogni numero complesso z =
(a, b) ∈ C può sempre essere univocamente scritto nella forma
(2.1) z = (a, b) = (a, 0) +C (0, b),
i.e., come somma di un elemento di C0 e di un elemento in {0} × R.
Conseguentemente, usando l’identificazione (1.8),
(2.2) z = (a, b) = a +C (0, b).
D’altra parte, la definizione della moltiplicazione in C (cfr. (1.2)) consente di esprimere il numero
complesso (0, b) nella forma
(0, b) = (0, 1) ·C (b, 0),
i.e., (0, b) è riscrivibile come il prodotto in C del numero complesso (0, 1) per un unico elemento di C0 ,
che è (b, 0).
Conseguentemente, usando l’identificazione (1.8),
(2.3) (0, b) = (0, 1) ·C b.
Tenendo conto delle uguaglianze (2.1)-(2.3) si conclude quindi che
ogni numero complesso z = (a, b) ∈ C può sempre essere univocamente espresso nella
forma
(2.4) z = (a, b) = a +C (0, 1) ·C b.
Tali considerazioni portano alle seguenti
Definizioni 6.6. L’unità immaginaria, denotata con i, è il numero complesso
i = (0, 1).
Assegnato un numero complesso z = (a, b) ∈ C, la sua (unica) rappresentazione nella forma
(2.5) z = a + ib
è detta forma algebrica del numero complesso z. I numeri reali a e b sono detti, rispettivamente, parte
reale e coefficiente della parte immaginaria del numero z ∈ C, e sono denotati con le scritture Re(z) e
Im(z).
I numeri z ∈ C0 , i.e., i numeri complessi z tali che Im(z) = 0, sono detti numeri reali, alla luce
dell’identificazione (1.8).
I numeri z ∈ C tali che Re(z) = 0 e Im(z) ̸= 0 sono detti numeri immaginari puri.
Osservazioni 6.7. (I) Nell’espressione (2.5), con abuso di notazione, si conviene di denotare con +
l’addizione +C e con i b il numero complesso i ·C b.
(II) Tenendo conto delle (2.5),
(2.6) C = {a + i b : a, b ∈ R},
o equivalentemente
(2.7) C = R + iR.
Inoltre, assegnati i numeri complessi z1 = a1 + i b1 e z2 = a2 + i b2 , si ha
(2.8) z1 +C z2 = (a1 + a2 ) + i (b1 + b2 ),
(2.9) −z1 = −a1 − i b1 ,
(2.10) z1 ·C z2 = (a1 a2 − b1 b2 ) + i (a1 b2 + b1 a2 ).
3. CONIUGATO DI UN NUMERO COMPLESSO 117

(III) In accordo con la notazione (2.7), l’insieme i(R \ {0}) è l’insieme di tutti e soli i numeri immaginari
puri.  
L’insieme iR è chiuso rispetto all’addizione in C, e la coppia iR, +C |iR è un gruppo. Basta far uso,
infatti, delle (2.8) e (2.9).
L’insieme iR non è chiuso rispetto al prodotto in C. Assegnati infatti due numeri immaginari puri
z1 = i b1 e z2 = i b2 , con b1 b2 entrambi non nulli,
z1 ·C z2 = −b1 b2 ∈ R \ {0}.
(IV) Le funzioni
Re( · ) : C −→ R,
(2.11)
z 7−→ Re(z),
e
Im( · ) : C −→ R,
(2.12)
z 7−→ Im(z)
sono ben definite su C, suriettive su R ma non iniettive.
Proposizione 6.8.
(2.13) i2 = −1.
Dimostrazione. La (1.2) e la (1.8) implicano
i2 = (0, 1) ·C (0, 1) = (−1, 0) = −1. □
Osservazione 6.9. La (2.13) implica che sul campo C dei numeri complessi non può esistere alcuna
relazione d’ordine totale che sia compatibile con le sue operazioni +C e ·C (cfr. pag. 113).
Esempio 6.10. L’equazione
(2.14) z2 + 1 = 0
ammette in C esattamente due soluzioni distinte, che sono i numeri immaginari puri i e −i.

3. Coniugato di un numero complesso


Definizione 6.11. Il coniugato del numero z = a + i b è il numero complesso
(3.1) z = a − i b.

Osservazione 6.12. Per ogni z ∈ C il suo coniugato z è il numero complesso verificante le seguenti
proprietà
(3.2) Re(z) = Re(z),
(3.3) Im(z) = −Im(z).
Dalle (3.2) e (3.3), convenendo d’ora in poi, con abuso di notazione, di denotare semplice-
mente con + e · , rispettivamente, l’addizione +C e la moltiplicazione ·C in C, si deduce
immediatamente
Proposizione 6.13. Per ogni z ∈ C,
z+z z−z
(3.4) Re(z) = e Im(z) = .
2 2i

Osservazioni 6.14. La Definizione 6.11 consente di introdurre la seguente funzione, definita ed a


valori in C, detta applicazione di coniugio,
· : C −→ C,
(3.5)
z 7−→ z.
L’applicazione di coniugio ha un rilevante significato geometrico. Come già osservato all’inizio del
§ 2, fissato un sistema di assi cartesiani Oxy, ogni numero complesso C è identificabile con un unico
118 6. NUMERI COMPLESSI

punto del piano cartesiano, che viene pertanto detto piano complesso, od anche piano di Gauss o piano
di Argand. I numeri reali sono identificati con i punti dell’asse 0x, che è pertanto detto asse reale, ed i
numeri immaginari sono identificati con i punti dell’asse 0y, che è pertanto chiamato asse immaginario.
L’applicazione (3.5) simmetrizza un punto z nel piano complesso rispetto all’asse reale.
Tutti e soli punti fissi dell’applicazione (3.5) sono pertanto tutti e soli gli elementi di C0 , ossia tutti
e soli i numeri reali, tenendo conto dell’identificazione (1.8). Infatti,
(3.6) z̄ = z ⇐⇒ Im(z) = 0 ⇐⇒ z ∈ R.
È opportuno infine rilevare che
(3.7) z̄ ̸= 0 ⇐⇒ z ̸= 0.
L’applicazione di coniugio gode di interessanti proprietà, come illustrato dalla
Proposizione 6.15. Per ogni z, w ∈ C,
(i) z + w = z + w;
(ii) z · w = z · w;
(iii) (z) = z;
2 2
(iv) z · z = (Re(z)) + (Im(z)) ;
(v) z · z ∈ [0, +∞[;
(vi) z · z = 0 ⇐⇒ z = 0.
Inoltre, se w ∈ C \ {0},
 
1 1
(vii) = ;
w w
z z
(viii) = .
w w
Dimostrazione. (i)–(iii) Seguono dalla (3.1) e dalle (2.8) e (2.10).
(iv) Si deduce dalla (2.10), tenendo conto della (2.13).
(v) Si deduce dalla (iv) e dalla (d) nella Proposizione 2.6, pag. 40.
(vi) (⇒) Segue dalla (iv), dalla (d) nella Proposizione 2.6 e dalla legge di annullamento del prodotto.
(⇐) Ovvia.
(vii) Basta tener conto della (3.1) e della (3.7).
(viii) Si deduce dalla (ii) e dalla (vii), via la (3.1). □

Osservazioni 6.16. (I) L’applicazione di coniugio è una biiezione di C in sé. L’iniettività segue
banalmente dalla (3.1), osservando che due numeri complessi sono uguali se, e soltanto se, hanno la
stessa parte reale e lo stesso coefficiente dell’immaginario. La suriettività si deduce invece dalla (iii) nella
Proposizione 6.15. Le (i) e (ii) nella Proposizione 6.15 illustrano inoltre che l’applicazione di coniugio è
un isomorfismo di C in sé.
(II) Combinando la (iv) e la (vii) nella Proposizione 6.15 si ricava un procedimento per determinare la
forma algebrica del reciproco di un numero complesso z = a + i b, con b ̸= 0.
Basta, infatti, moltiplicare numeratore e denominatore per il coniugato z, che è non nullo, ottenendo
appunto
1 z z a b
z
=
z·z
= 2 2 = a2 + b2 − i a2 + b2 .
(Re(z)) + (Im(z))
Esempi 6.17. (I) Sia z = (2 + i)2 , allora
 2
z = (2 + i)2 = 2 + i = (2 − i)2 = 3 − 4i.

(II) Se w = z + 3i, con z ∈ C, allora


w = z + 3i = z + 3i = z − 3i.
4. MODULO DI UN NUMERO COMPLESSO 119

(III) Sia z = 1 + i. Allora


1 1−i 1−i 1 1
= = = − i.
1+i (1 + i)(1 − i) 2 2 2

4. Modulo di un numero complesso


Tenendo conto delle (iii) e (iv) nella Proposizione 6.15 e facendo uso della funzione radice quadrata
(cfr. § 7, pag. 93), risultano ben poste le seguenti
Definizioni 6.18. Il modulo di un numero z ∈ C, denotato con |z|, è il numero
√ q
2 2
(4.1) |z| = z · z = (Re(z)) + (Im(z)) .
La funzione modulo in C è la funzione reale
| · | : C −→ R,
(4.2)
z 7−→ |z|.
Osservazione 6.19. La denominazione di ‘modulo’ di un numero z ∈ C unitamente alla notazione
|z| per la quantità definita dalla (4.1) è motivata dal fatto, che quando z ∈ C0 –i.e., quando z ∈ R via
l’identificazione (1.8)– essa coincide con il valore assoluto del numero reale z.
Esempi 6.20. (I) Sia z = −3 + 2i, allora
√ √
| − 3 + 2i| = 9+4= 13.

(II) Sia z = 1 + 4i, allora


√ √
|1 + 4i| = 1 + 16 = 17.

La funzione modulo in C ha un rilevante significato geometrico. Fissato un sistema di assi cartesiani


Oxy, nel piano complesso, la funzione (4.2) associa ad ogni punto z ∈ C la sua distanza dall’origine degli
assi.

Esempio 6.21. L’insieme Γ = {w ∈ C : |w| = 1} è la circonferenza del piano complesso centrata


nell’origine e raggio 1.
La funzione modulo in C gode di interessanti proprietà, come illustrato dalla
Proposizione 6.22. Per ogni z, w ∈ C,
(i) |z| ≥ 0;
(ii) |z| = 0 ⇐⇒ z = 0;
(iii) |Re(z)| ≤ |z| e |Im(z)| ≤ |z|;
(iv) |z| = |z|;
(v) |z · w| = |z| |w|;
(vi) |z + w| ≤ |z| + |w| [disuguaglianza triangolare]
(vii) ||z| − |w|| ≤ |z − w|.
Inoltre, se w ∈ C \ {0}, allora
z |z|
(viii) = ;

w |w|
1 w
(ix) = .
w |w|2
Dimostrazione. (i)-(ii) Seguono dalla (4.1), ricordando che la funzione radice quadrata è definita
ed a valori in [0, +∞[ e si annulla solo in 0.
(iii) Basta tener conto della (4.1), delle proprietà della funzione radice quadrata –in particolare, del suo
essere una funzione strettamente crescente, definita ed a valori in [0, +∞[– e della (ix) nella Proposizio-
ne 2.22, pag. 46.
(iv) Si ricava immediatamente dalle (3.1) e (4.1).
120 6. NUMERI COMPLESSI

(v) Alla luce delle proprietà (i) e (ii), e di quelle della funzione radice quadrata, dimostrare la (v) è
equivalente a verificare che
(4.3) |z · w|2 = |z|2 |w|2 .
A tal fine basta osservare che, per la (4.1) e per la Proposizione 6.15,
|z · w|2 = (z · w) · (z · w) = (z · w) · (z · w) = (z · z) · (w · w) = |z|2 |w|2 .

(vi) In virtù delle (i) e (ii) e delle proprietà di stretta crescenza della funzione radice quadrata e della
restrizione a [0, +∞[ della funzione elevazione a quadrato, dimostrare la (v) è equivalente a provare che
(4.4) |z + w|2 ≤ (|z| + |w|)2 .
Tenendo conto della definizione (4.1), della Proposizione 6.15 e delle proprietà (iii)-(v) della funzione
modulo già dimostrate, si ha
|z + w|2 = (z + w) · (z + w) = (z + w) · (z + w) = (z · z) + (z · w) + (z · w) + (w · w)
= |z|2 + (z · w) + (z · w) + |w|2 = |z|2 + 2Re(z · w) + |w|2

≤ |z|2 + 2|z · w| + |w|2 = |z|2 + 2|z||w| + |w|2 = |z|2 + 2|z||w| + |w|2

= (|z| + |w|)2 ,
e pertanto la (4.4) è dimostrata.
(vii) Basta osservare che, per le (v) e (vi),
|z| ≤ |z − w| + |w|
|w| ≤ |w − z| + |z| = |z − w| + |z|.

(viii) Segue dalla (v).


(ix) Basta tener conto della (4.1). □

Osservazioni 6.23. (I) Se z ∈ C0 allora


(
Rez se Rez ≥ 0,
(4.5) |z| = |Rez| =
−Rez se Rez < 0.
La restrizione a C0 della funzione modulo in C coincide esattamente con la funzione valore assoluto in R
(cfr. Osservazione 6.19, e pag. 46).
(II) Per una dimostrazione alternativa della (4.3), si può far chiaramente ricorso alla forma algebrica. Se
z = a + i b e w = c + i d, allora z · w = (ac − bd) + i (bc + ad). Conseguentemente,
|z · w|2 = (ac − bd)2 + (bc + ad)2 = a2 c2 − 2abcd + b2 d2 + b2 c2 + 2abcd + a2 d2

= a2 (c2 + d2 ) + b2 (c2 + d2 ) = (a2 + b2 )(c2 + d2 ) = |z|2 |w|2 ,


e pertanto la (4.3) è dimostrata.

5. Formula trigonometrica di un numero complesso non nullo


Assegnato un numero complesso z ∈ C, con z ̸= 0, le (i)-(ii) nella Proposizione 6.22 garantiscono che
z z
(5.1) z = |z| , ove ∈ Γ = {w ∈ C : |w| = 1},
|z| |z|
i.e., z ∈ C, con z ̸= 0, è riscrivibile in modo unico come il prodotto di un numero reale strettamente
positivo, il suo modulo, per un numero complesso avente modulo unitario. In particolare, l’insieme Γ =
{w ∈ C : |w| = 1} nel piano complesso coincide con la circonferenza goniometrica del piano reale (cfr.
pag. 105).
Tali considerazioni rendono le seguenti nozioni ben poste.
5. FORMULA TRIGONOMETRICA DI UN NUMERO COMPLESSO NON NULLO 121

Definizioni 6.24. Per ogni numero z ∈ C, con z ̸= 0, l’espressione


(5.2) z = |z| (cos θ + i sin θ),
ove θ ∈ R è l’anomalia –unica a meno di multipli di 2π– che individua su Γ = {w ∈ C : |w| = 1} il punto
z
, è detta forma trigonometrica del numero z ∈ C \ {0}, ed è denotata in breve con la scrittura
|z|
(5.3) z = [ |z|, θ] .
Il numero θ ∈ R, che è univocamente individuato –a meno di multipli di 2π– dal sistema di equazioni
 Rez
cos θ =
 ,
|z|
(5.4) Imz
sin θ =
 ,
|z|
è detto argomento del numero z ∈ C \ {0}, ed è denotato con arg(z).
L’argomento principale del numero z ∈ C \ {0}, denotato con Arg(z), è l’anomalia appartenente
z
all’intervallo ] − π, π], che individua il punto su Γ.
|z|
Conseguentemente,
(5.5) arg(z) ∈ {Arg(z) + 2kπ : k ∈ Z}.
Esempio 6.25. In forma trigonometrica,
h πi h πi h√ πi
3 = [3, 0] , −3 = [3, π] , i = 1, , −i = 1, − , 1−i= 2, − .
2 2 4
L’espressione trigonometrica dei numeri complessi non nulli consente di fornire un’importante inter-
pretazione geometrica della moltiplicazione di C.
Avvalendosi delle formule di addizione e sottrazione per le funzioni seno e coseno (cfr. Teorema 5.60,
pag. 107), si ricava immediatamente
Proposizione 6.26. Se z, w ∈ C \ {0}, allora
  
(5.6) z · w = |z||w| cos arg(z) + arg(w) + i sin arg(z) + arg(w) ,
  
(5.7) z · w = |z||w| cos arg(z) − arg(w) + i sin arg(z) − arg(w) .
Pertanto,
(5.8) arg(z · w) = arg(z) + arg(w),
(5.9) arg(z · w) = arg(z) − arg(w).

Osservazioni 6.27. (I) Le formule (5.8) e (5.9) non sono più necessariamente vere, sostituendo in
esse gli argomenti principali dei numeri complessi assegnati.
A mo’ di esempio, in relazione alla (5.8), si osservi che per z = −1 e w = i, si ha infatti
π π 3
Arg(z) = π, Arg(w) = , e Arg(z · w) = − ̸= π = Arg(z) + Arg(w).
2 2 2

(II) Dalla Proposizione 6.26 segue che, assegnato un numero w ∈ C \ {0}, la funzione
πw : C −→ C
(5.10)
z 7−→ w · z,
–i.e., la funzione prodotto per il numero w ∈ C \ {0}– rappresenta la composizione di due trasformazioni
nel piano di Gauss, fra di loro commutative. Precisamente, un riscalamento radiale (omotetia) di fattore
|w|, con |w| ≠ 0, ed una rotazione intorno all’origine di ampiezza Arg(w).
Ad esempio, per w = i la funzione (5.10) rappresenta una rotazione intorno all’origine, in senso
antiorario, di un’ampiezza pari a π2 , mentre per w = −i la funzione (5.10) è una rotazione intorno
all’origine, in senso orario, di un’ampiezza pari a π2 .
122 6. NUMERI COMPLESSI

6. Potenze e radici n-sime di un numero complesso


Si osservi che, per ogni z ∈ C, la successione
(
z 1 = z,
(6.1)
z n+1 = z n · z per ogni n ∈ N,
è ben definita, essendo C è un campo algebrico (cfr. Proposizione 6.1, pag. 113). Inoltre,
(6.2) zn = 0 se, e soltanto se, z = 0.
n
Per ogni n ∈ N, il numero z è detto potenza n-esima di z.
Tenendo conto della (6.2), il computo della potenza n-esima, n ∈ N, di un numero complesso è non
immediato solo quando il numero z ∈ C è non nullo. In tal caso, esso è esprimibile in forma trigonometrica.
Tale forma risulta particolare utile, alla luce delle (5.6)-(5.9), per il calcolo di z n . Basta infatti far uso,
al variare di n ∈ N, delle uguaglianze (6.3) e (6.4), note come formule di de Moivré.
Proposizione 6.28. Per ogni n ∈ N, se z ∈ C \ {0} e z = [|z|, θ], allora
z n = |z|n , nθ ,
 
(6.3)
h 1 i
(6.4) z −n = n
, −nθ .
|z|
In particolare,
(6.5) arg(z n ) = n arg(z),

(6.6) arg(z −n ) = −n arg(z).


Dimostrazione. Basta far uso del Principio di Induzione (cfr. Corollario 3.8, pag. 52) e della
Proposizione 6.26. □
Definizione 6.29. Assegnato un numero w ∈ C, per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, una radice n-esima di
w è un numero complesso z tale che
(6.7) z n = w.
Le formule di de Moivré consentono di dimostrare facilmente il seguente
Teorema 6.30. Per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, ogni numero w ∈ C, con w ̸= 0, ammette esattamente
n radici n-sime distinte –i.e., l’equazione (6.7) ammette esattamente n soluzioni distinte–, che sono
 
p arg(w) 2π
(6.8) zk = n |w|, + k con k ∈ {0, · · · , n − 1}.
n n

Nel piano di Gauss, p i punti zk ∈ C \ {0}, per k ∈ {0, · · · , n − 1}, appartengo alla circonferenza di
centro l’origine e raggio n |w|.
Se n = 2, le radici quadrate z1 e z2 espresse dalla (6.8) p sono punti diametralmente opposti della
circonferenza del piano di Gauss di centro l’origine e raggio |w| .
Se n > 2, le np radici n-sime distinte espresse dalla (6.8) sono punti della circonferenza di centro
l’origine e raggio n
|w| e vertici di un poligono regolare, di n lati, inscritto in essa.
Dimostrazione. Sia n ∈ N, con n ≥ 2. Assegnato w ∈ C \ {0}, la (6.2) implica che 0 non è soluzione
della (6.7). Conseguentemente, se esiste una soluzione z in C della (6.7) essa è non nulla –i.e., z ∈ C\{0}–
ed è pertanto esprimibile in forma trigonometrica.
Il
 problema
 (6.7) –via la (6.3)– diventa quindi determinare tutti e soli i numeri complessi non nulli
z = |z|, θ tali che
(6.9) [|z|n , nθ] = [|w|, arg(w)] .
Alla luce delle Definizioni 6.24, la (6.9) è equivalente al seguente sistema
( n
|z| = |w|,
nθ = arg(w) + 2k̂π con k̂ ∈ Z,
6. POTENZE E RADICI n-SIME DI UN NUMERO COMPLESSO 123

i.e.,
 p
n
|z| = |w|,
(6.10)
θ = arg(w) + k̂ 2π con k̂ ∈ Z.
n n

Ogni numero complesso w ∈ C \ {0} ammette, dunque, infinite radici n-esime o, equivalentemente,
l’equazione (6.7) ammette infinite soluzioni.
Di radici n-esime ve sono però solo n distinte, che possono essere espresse dalla (6.8).
Si osserva infatti che, fissato n ∈ N, con n ≥ 2,
[ n o
Z \ {0, · · · , n − 1} = n · m + k : k ∈ {0, · · · , n − 1} .
m∈Z\{0}

Basta tener conto che, per ogni k̂ ∈ Z \ {0, · · · , n − 1}, esiste un unico m ∈ Z \ {0} tale che
(6.11) k̂ = n · m + k per qualche k ∈ {0, · · · , n − 1}.
Per ogni k̂ ∈ Z \ {0, · · · , n − 1}, sostituendo nella seconda riga della (6.10) l’espressione di k̂ fornita dalla
(6.11), si deduce che
arg(w) 2π
θ = + k + 2mπ per qualche k ∈ {0, · · · , n − 1},
n n
e quindi
zk̂ = zk per k ∈ {0, · · · , n − 1}.

L’interpretazione geometrica segue infine dalle espressioni (6.8), che affermano tanto che
p
n
|zk | = |w| per ogni k ∈ {0, · · · , n − 1},
quanto che

Arg(zk+1 ) − Arg(zk ) = per ogni k ∈ {0, · · · , n − 1},
n
ove zn = z0 . □

Esempi 6.31. (I) Sia z = i. Poiché i = 1, π2 , per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, le n radici n-sime distinte
 

di i sono
 
π 2π
(6.12) zk = 1, + k con k ∈ {0, · · · , n − 1}.
2n n
In particolare, le 2 radici quadrate distinte di i sono
h π i √2 

 √
2
z0 = 1, = (1 + i) e z1 = 1, =− (1 + i),
4 2 4 2
mentre le 3 radici cubiche distinte di i sono
√ √
h πi 1    
5π 1 3π
z0 = 1, = (1 + 3i), z1 = 1, = (−1 + 3i) e z2 = 1, = −i.
6 2 6 2 4
(II) Sia z = −16. In quanto −16 = [16, π], per ogni n ∈ N, con n ≥ 2, le n radici n-sime distinte di −16
sono

 
n π 2π
(6.13) zk = 16, + k con k ∈ {0, · · · , n − 1}.
n n

Pertanto le 2 radici quadrate distinte di −16 sono


h πi  

z0 = 4, = 4i e z1 = 4, = −4i,
2 2

le 3 radici cubiche distinte di −16 sono


124 6. NUMERI COMPLESSI

h √ πi √ √ h √ i √
3 3 3 3
z0 = 2 2, = 2 ( 3 + i), z1 = 2 2, π = −2 2
3
e h √
3 πi √ 3

z2 = 2 2, − = 2 ( 3 − i),
3
mentre le 4 radici quarte distinte di −16 sono
h πi √ 



z0 = 2, = 2 (1 + i), z1 = 2, = 2 (−1 + i)
4 4
√ πi √
 
5π h
z2 = 2, = − 2 (1 + i) e z3 = 2, − = 2 (1 − i).
4 4
CAPITOLO 7

Alcune nozioni di natura ‘topologica’ su R

Nel corso di Analisi Matematica I si è soliti considerare funzioni reali di una variabile reale (cfr. § 2,
pag. 77) e rimandare ai corsi di Analisi Matematica II il caso di funzioni di più variabili reali.
Tale consuetudine è principalmente motivata dalle seguenti due circostanze. La prima è che per
funzioni reali di una variabile reale molti dei concetti sono più facilmente comprensibili, in quanto sovente
posso esser supportati da una rappresentazione grafica nel piano cartesiano. La seconda è la ricca struttura
del sistema algebrico dei numeri reali, che –essendo un campo numerico totalmente ordinato e completo–
rende molto più florida la casistica dei risultati ottenibili. Alcuni risultati non ammettono infatti estensione
nel caso generale di funzioni di più variabili (cioè applicazioni di Rn , con n > 1, in Rm , con m ≥ 1).
Con le sole operazioni consentite in R dalla sua struttura algebrica, lo studio di funzioni reali di una
variabile reale risulterebbe assai povero. Avvalendosi però della ‘struttura topologica’ di R (e di R), che
viene determinata su R (e su R) mediante la nozione di intorno di un punto di R (e di R), si riesce ad
introdurre un concetto di tipo nuovo, di natura locale, detto limite.
Tale concetto costituirà lo strumento principale per affrontare lo studio delle funzioni. Una volta
definito, risulterà necessario studiarne i rapporti con l’ordinamento di R, cosı̀ come con le operazioni
algebriche (calcolo dei limiti).
La nozione di limite consentirà, in particolare, di introdurre la nozione di funzione derivabile (si
dimostrerà, in particolare, che tutte le funzioni elementari sono derivabili nei punti ‘interni’ al loro dominio
di definizione).

1. Intorni di un punto x0 ∈ R̄
La nozione di intorno di un punto x0 ∈ R è volta a formalizzare l’idea intuitiva di una ‘zona’ in R,
‘priva di buchi’, e ‘vicina’ ad x0 .
Se x0 = −∞ [risp. x0 = +∞], in quanto −∞ = inf R [risp. +∞ = sup R], tale ‘zona’ in R ‘vicina’ ad
x0 non potrà chiaramente contenere x0 , sarà inoltre solo ‘destra’ [risp. solo ‘sinistra’] e non dovrà esser
limitata inferiormente [risp. limitata superiormente] in R.
Se x0 ∈ R, la suddetta ‘zona’ in R ‘vicina’ ad x0 lo dovrà invece contenere al suo ‘interno’.
Per realizzare la condizione che la ‘zona’ in R ‘vicina’ ad x0 sia ‘priva di buchi’ la definizione di
intorno di x0 ∈ R viene fornita avvalendosi della nozione di intervallo (cfr. § 3, pag. 44).
Si distinguono pertanto i seguenti tre casi: x0 ∈ R, x0 = −∞ e x0 = +∞.

1.1. Caso x0 ∈ R.
Definizione 7.1. Un intorno di un punto x0 ∈ R è un intervallo aperto I di R tale che x0 ∈ I, i.e.,
I = ]a, b[ con − ∞ ≤ a < x0 < b ≤ +∞.
In particolare, gli intervalli ]x0 − δ, x0 + δ[, al variare di δ ∈ R+ , sono intorni di un punto x0 ∈ R.
Tali intorni sono centrati in x0 , in quanto x0 è il punto medio del segmento di estremi x0 − δ e x0 + δ, di
lunghezza geometrica di 2δ. La quantità δ è pertanto detta semiampiezza dell’intervallo ]x0 − δ, x0 + δ[.
Nel seguito, per x0 ∈ R,
(1.1) I(x0 ) = {I ⊆ R : I intorno di x0 },
i.e., si utilizzerà la scrittura I(x0 ) per denotare la famiglia degli intorni del punto x0 ∈ R.
La collezione I(x0 ) è banalmente un sottoinsieme proprio di P(R), costituito da infiniti elementi.
La prossima proposizione evidenzia tre significative proprietà della famiglia I(x0 ), per x0 ∈ R. La (i),
in particolare, pone in risalto che la famiglia I(x0 ) è chiusa rispetto all’intersezione insiemistica (di un
numero finito di suoi elementi).
125
126 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Proposizione 7.2. Se x0 ∈ R, allora


(i) I1 ∩ I2 ∈ I(x0 ) per ogni I1 , I2 ∈ I(x0 );
(ii) per ogni I ∈ I(x0 ) esiste almeno un numero δ > 0 tale che ]x0 − δ, x0 + δ[ ⊆ I.
(iii) x0 ∈ I per ogni I ∈ I(x0 ).
Dimostrazione. (i) Siano I1 , I2 ∈ I(x0 ). Allora Ij =]aj , bj [, con aj , bj ∈ R e aj < x0 < bj , per
j = 1, 2. Pertanto,
(1.2) I1 ∩ I2 = ] max{a1 , a2 }, min{b1 , b2 }[ e x0 ∈ I1 ∩ I2 .
Le quantità max{a1 , a2 } e min{b1 , b2 } sono ben definite nell’insieme totalmente ordinato (R, ≤) per il
Teorema 3.26, pag. 60. L’intersezione I1 ∩ I2 è quindi un intorno di x0 , essendo un intervallo aperto a cui
x0 appartiene.
(ii) Sia I ∈ I(x0 ) arbitrariamente assegnato. Allora I = ]a, b[, con a, b ∈ R e a < x0 < b.
La tesi è ovvia se a = −∞ e b = +∞.  
Se a = −∞ e b ∈ R [risp. a ∈ R e b = +∞], ogni numero δ ∈ ]0, b − x0 ] risp. δ ∈ ]0, x0 − a] verifica le
proprietà richieste.
Se a, b ∈ R, ogni numero δ ∈ ]0, min{x0 − a, b − x0 }] verifica le proprietà richieste.
(iii) Segue dalla Definizione 7.1. □

1.2. Caso x0 = −∞.


Definizione 7.3. Un intorno di −∞ è un intervallo aperto I non limitato inferiormente, i.e.,
I = ] − ∞, b[ con b ∈ ] − ∞, +∞].
Nel seguito,
(1.3) I(−∞) = {I ⊆ R : I intorno di − ∞}.
La collezione I(−∞) degli intorni di −∞ è banalmente un sottoinsieme proprio di P(R), costituito
da infiniti elementi. Come evidenziato dalla proposizione seguente, la famiglia I(−∞) è chiusa rispetto
all’intersezione insiemistica (di un numero finito di suoi elementi).
Proposizione 7.4. I1 ∩ I2 ∈ I(−∞) per ogni I1 , I2 ∈ I(−∞).
Dimostrazione. Siano I1 , I2 ∈ I(−∞) arbitrariamente assegnati. Allora, Ij =] − ∞, bj [, con bj ∈
] − ∞, +∞], per j = 1, 2. Pertanto,
I1 ∩ I2 = ] − ∞, min{b1 , b2 }[,
e quindi la tesi. □

1.3. Caso x0 = +∞.


Definizione 7.5. Un intorno di +∞ è un intervallo aperto I non limitato superiormente, i.e.,
I = ]a, +∞[ con a ∈ [−∞, +∞[.
Nel seguito,
(1.4) I(+∞) = {I ⊆ R : I intorno di + ∞}.
La collezione I(+∞) degli intorni di +∞ è un sottoinsieme proprio di P(R) costituito da infiniti ele-
menti e, come evidenziato dalla proposizione seguente, la famiglia I(+∞) è chiusa rispetto all’intersezione
insiemistica (di un numero finito di suoi elementi).
Proposizione 7.6. I1 ∩ I2 ∈ I(+∞) per ogni I1 , I2 ∈ I(+∞).
Dimostrazione. Siano I1 , I2 ∈ I(+∞) arbitrariamente assegnati. Allora Ij =]aj , +∞[, con aj ∈
[−∞, +∞[, per j = 1, 2. Pertanto
I1 ∩ I2 = ] max{a1 , a2 }, +∞[,
e quindi la tesi. □
3. PUNTI D’ACCUMULAZIONE PER SOTTOINSIEMI NON VUOTI DI R 127

2. Proprietà di separazione di Hausdorff in R


L’insieme R gode della seguente rilevante proprietà, denominata proprietà di separazione di Hau-
sdorff : due elementi distinti di R sono sempre ‘separabili’ medianti due loro intorni, ossia tali intorni non
hanno elementi comuni.
Proposizione 7.7 (Proprietà di separazione di Hausdorff di R). Per ogni x, y ∈ R, con x ̸= y,
esistono un intorno U ∈ I(x) ed un intorno V ∈ I(y) tali che
U ∩ V = ∅.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R, con x ̸= y. Allora, per la legge di tricotomia, o x < y oppure y < x.
Si supponga, senza ledere la generalità della dimostrazione, che x < y.
Se x = −∞ e y = +∞, per ogni a ∈ R, gli insiemi U = ] − ∞, a[ e V = ]a, +∞[ verificano banalmente
la tesi.
Se x = −∞ e y ∈ R, essendo −∞ = inf R, esiste un numero a ∈ R tale che −∞ < a < y. La tesi si
ricava scegliendo, ad esempio, U = ] − ∞, a[ e V = ]a, +∞[.
Se x ∈ R e y = +∞, essendo +∞ = sup R, esiste un numero a ∈ R tale che x < a < +∞. Gli insiemi
U = ] − ∞, a[ e V = ]a, +∞[ verificano la tesi.
Se x ∈ R e y ∈ R, allora il numero
y−x
r=
2
è strettamente positivo, ed è la semilunghezza dell’intervallo ]x, y[. Gli insiemi
(2.1) U = ]x − δ, x + δ[ e V = ]y − δ, y + δ[,
verificano la tesi, per ogni δ ∈ ]0, r]. □
Osservazione 7.8. La proprietà di separazione di Hausdorff di R esprime un risultato di esistenza,
non di unicità.
Infatti, se x, y ∈ R, con x ̸= y, e U ∈ I(x) e V ∈ I(y) sono tali che
U ∩ V = ∅,
allora
Û ∩ V̂ = ∅
per ogni Û ∈ I(x), con Û ⊆ U , e per ogni V̂ ∈ I(y), con V̂ ⊆ V .

3. Punti d’accumulazione per sottoinsiemi non vuoti di R


La nozione di punto di accumulazione per un sottoinsieme X non vuoto di R si fonda sulla nozione
di intorno di un punto x0 ∈ R introdotta nel § 1, pag. 125.
Definizione 7.9. Un punto x0 ∈ R è un punto d’accumulazione per un sottoinsieme X non vuoto
di R quando
(3.1) X ∩ (U \ {x0 }) ̸= ∅ per ogni intorno U ∈ I(x0 ).
La Definizione 7.9 traduce in forma precisa l’idea intuitiva di un punto x0 ∈ R a cui ci si possa
avvicinare tramite elementi dell’insieme X, che sono distinti da x0 qualora x0 appartenga all’insieme X.
È bene tener presente che un punto di accumulazione x0 ∈ R per un sottoinsieme X non vuoto di
R può o meno appartenere all’insieme X cosı̀ come un punto dell’insieme X non è necessariamente un
punto di accumulazione per X stesso, come evidenziato dal seguente semplice
Esempio 7.10. Sia X = ]1, 2] ∪ {3}. Allora
(i) 1 è un punto di accumulazione per X, ma non appartiene all’insieme X;
(ii) 3 appartiene all’insieme X, ma non è un punto di accumulazione.
Infatti, per ogni intorno ]a, b[ ∈ I(1),
(3.2) X ∩ (]a, b[\{1}) ⊃ ]1, min{2, b}[ ̸= ∅,
che prova la (i), tenendo conto della Definizione 7.9.
128 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Per la (ii) è sufficiente osservare che


    
5 7 5 7
, ∈ I(3) e X∩ , \ {3} = ∅.
2 2 2 2
La circostanza (ii) dell’esempio precedente motiva la seguente
Definizione 7.11. Assegnato un sottoinsieme X non vuoto di R, un punto x̄ ∈ X è un punto isolato
dell’insieme X quando
(3.3) esiste almeno un intorno U ′ ∈ I(x0 ) tale che X ∩ (U ′ \ {x̄}) = ∅,
i.e., quando
(3.4) esiste almeno un numero δ > 0 tale che X∩ ]x̄ − δ, x̄ + δ[= {x̄}.
Osservazione 7.12. Un punto isolato di un sottoinsieme X non vuoto di R è, quindi, un punto
dell’insieme X che non è per esso un punto di accumulazione.
Nel seguito, ci si avvarrà delle seguenti
Convenzioni 7.13. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Allora
(i) l’insieme derivato di X è l’insieme
(3.5) D∞ (X) = {x0 ∈ R : x0 punto di accumulazione per X};
(ii) l’insieme derivato al finito di X è l’insieme
(3.6) D(X) = R ∩ D∞ (X).
La distinsione dell’insieme (3.6) dall’insieme (3.5) è motivata dal prossimo risultato, che afferma che,
alla luce delle Definizioni 7.9 e 7.11, ogni sottoinsieme X non vuoto di R è l’unione disgiunta dell’insieme
dei suoi punti isolati (i.e., dell’insieme X \ D(X)) e dell’insieme dei suoi punti di accumulazione che
appartengono ad esso (i.e., dell’insieme X ∩ D(X)).
Proposizione 7.14. Per ogni sottoinsieme X non vuoto di R,
(3.7) X = (X \ D(X)) ∪ (X ∩ D(X)) .
Osservazioni 7.15. (I) Nell’Esempio 7.10, D(X) = D∞ (X) = [1, 2], e 3 ∈ X \ D(X).
(II) Per ogni sottoinsieme X non vuoto di R,
(3.8) D(X) ⊆ D∞ (X).
L’inclusione nella (3.8) è stretta quando l’insieme X non è limitato inferiormente e/o superiormente in R
(cfr. Proposizione 7.19).
Avvalendosi della proprietà di separazione di Hausdorff in R (cfr. Proposizione 7.7, pag. 127), la
nozione di punto di accumulazione per un sottoinsieme di R è caratterizzabile come segue
Teorema 7.16. Se X un sottoinsieme non vuoto di R, allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) x0 ∈ D∞ (X);
(ii) per ogni intorno U ∈ I(x0 ), si ha che
card (X ∩ (U \ {x0 })) ≥ card(N),
i.e., l’insieme X ∩ (U \ {x0 }) è costituito da infiniti punti distinti.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Sia x0 ∈ D∞ (X) e, procedendo per assurdo, si supponga che esista un
intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che
card (X ∩ (U0 \ {x0 })) < +∞.
Allora, per le Definizioni 3.18, pag. 57, esiste un numero n0 ∈ N tale che
(3.9) X ∩ (U0 \ {x0 }) = {x1 , . . . , xn0 } con xi ̸= xj , per i, j ∈ {1, · · · , n0 } e i ̸= j.
La Proposizione 7.7 assicura che
per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }, esistono Ui ∈ I(x0 ) e Vi ∈ I(xi ) tali che Ui ∩ Vi = ∅,
4. CONDIZIONI SUFFICIENTI PER L’ESISTENZA DI ALMENO UN PUNTO DI ACCUMULAZIONE 129

e quindi, in particolare,
(3.10) xi ∈
/ Ui per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }.
Detto
n0
\
(3.11) U= Ui ,
i=0
allora
(3.12) U ∈ I(x0 ),
per la (i) nella Proposizione 7.2 e per le Proposizioni 7.4 e 7.6, e, chiaramente,
(3.13) U ⊆ U0 .
Le espressioni (3.9)-(3.11) garantiscono dunque che
xi ∈
/ X ∩ (U \ {x0 }) per ogni i ∈ {1, · · · , n0 },
i.e.,
(3.14) {x1 , . . . , xn0 } ∩ [X ∩ (U \ {x0 })] = ∅.
Facendo uso delle (3.13), (3.9) e (3.14) si conclude che
X ∩ (U \ {x0 }) = [X ∩ (U \ {x0 })] ∩ [X ∩ (U0 \ {x0 })]
(3.15)
= [X ∩ (U \ {x0 })] ∩ {x1 , . . . , xn0 } = ∅,
che chiaramente contraddizione, stante la (3.12), l’ipotesi che x0 ∈ D∞ (X) .
Risulta quindi dimostrata la (ii).
(ii) ⇐(i) Ovvia. □
La precedente caratterizzazione è rilevante. Da essa, infatti, segue immediatamente che condizione
necessaria affinché un sottoinsieme X di R ammetta almeno un punto di accumulazione è
(3.16) card (X) ≥ card(N),
i.e., l’insieme X deve essere costituito da almeno un’infinità di punti distinti (cfr. Corollario 7.17).
Tale condizione è invero anche sufficiente, come verrà evidenziato nella prossima sezione dalle Pro-
posizioni 7.19 e 7.20 e dal Teorema 7.22.
Corollario 7.17. Per un sottoinsieme X di R,
(3.17) D∞ (X) ̸= ∅ =⇒ card (X) ≥ card(N).
I sottoinsiemi finiti di R non ammettono quindi punti di accumulazione.
Corollario 7.18. Per un sottoinsieme X di R,
(3.18) 1 ≤ card (X) < +∞ =⇒ D∞ (X) = ∅.

4. Condizioni sufficienti per l’esistenza di almeno un punto di accumulazione


È naturale chiedersi se la condizione necessaria (3.17) affinché un sottoinsieme X di R ammetta
almeno un punto di accumulazione espressa dal Corollario 7.17 sia anche sufficiente, ossia se un insieme
costituito da infiniti punti distinti ammetta almeno un punto di accumulazione.
La risposta è affermativa, ossia la (3.17) è invero un’equivalenza.
Ciò è di facile dimostrazione per insiemi non limitati inferiormente o superiormente in R. La (4.1) [risp. la
(4.2)] della Proposizione 7.19 seguente evidenzia infatti che se un insieme X non è limitato inferiormente
[risp. limitato superiormente] allora
−∞ ∈ D∞ (X) [risp. + ∞ ∈ D∞ (X)],
e quindi
D∞ (X) ̸= ∅.
Per insiemi limitati in R, la dimostrazione di suddetto risultato –noto come Teorema di Bolzano-Weier-
strass (cfr. Teorema 7.22) – è invece più articolata e fortemente legata alla completezza del sistema dei
numeri reali (cfr. pag. 130).
130 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Proposizione 7.19. Per un sottoinsieme non vuoto X di R,

(4.1) inf X = −∞ ⇐⇒ −∞ ∈ D∞ (X);


R

(4.2) sup X = +∞ ⇐⇒ +∞ ∈ D∞ (X).


R

Dimostrazione. [(4.1)] (⇒) Sia inf X = −∞. Allora, per ogni M ∈ ]0, +∞[, esiste un elemento
R
x̂ ∈ X tale x̂ < −M , i.e., X∩ ] − ∞, −M [ ̸= ∅. Conseguentemente,
X∩ ] − ∞, b[ ̸= ∅ per ogni b ∈ ] − ∞, +∞],
in quanto X∩ ] − ∞, b[ ⊇ X∩ ] − ∞, −|b|[ ̸= ∅.
(⇐) Sia −∞ ∈ D∞ (X). Allora la (3.1) assicura che, per ogni M ∈ ]0, +∞[, esiste un elemento
x̂ ∈ X∩ ] − ∞, −M [ ,
i.e., x̂ < −M . Ciò significa che X non è limitato inferiormente in R.
[(4.2)] (⇒) Sia sup X = +∞. Allora, per ogni M ∈ ]0, +∞[, esiste un elemento x̂ ∈ X tale x̂ > M , i.e.,
R
X∩ ]M, +∞[ ̸= ∅. Conseguentemente,
X∩ ]a, +∞[ ̸= ∅ per ogni a ∈ [−∞, +∞[,
in quanto X∩ ]a, +∞[ ⊇ X∩ ]|a|, +∞[ ̸= ∅. Ciò significa che X non è limitato superiormente in R.
(⇐) Sia +∞ ∈ D∞ (X). Allora la (3.1) assicura che, per ogni M ∈ ]0, +∞[, esiste un elemento
x̂ ∈ X∩ ]M, +∞[ ,
i.e., x̂ > M . Ciò significa che X non è limitato superiormente in R. □
Nella Proposizione 7.19, cosı̀ come nella prossima proposizione, non si fa nessun riferimento esplicito
alla condizione (3.16), essendo essa banalmente verificata in accordo al Teorema 3.26, pag. 60.
Proposizione 7.20. Per un sottoinsieme X di R

(4.3) X limitato inferiormente & inf X ∈


/X =⇒ inf X ∈ D(X);
R R

(4.4) X limitato superiormente & sup X ∈


/X =⇒ sup X ∈ D(X).
R R

Dimostrazione. Per la (4.3) basta applicare la Proposizione 2.7, pag. 42, e per la (4.4) la Proposi-
zione 2.8, pag. 42. □
Osservazione 7.21. Nella (4.3) [risp. (4.4) ] la condizione
inf X ∈
/X [risp. sup X ∈
/ X]
R R

non può omessa.


Si consideri, infatti, X = {1} ∪ [2, 3] ∪ {4}. Allora
1 = inf X = min X e 4 = sup X = max X,
R R
e
1, 4 ∈ X \ D(X),
ossia 1 e 4 sono punti isolati per X.
Teorema 7.22 (Bolzano-Weierstrass). Per un sottoinsieme X di R
(4.5) X limitato & card (X) ≥ card(N) =⇒ D(X) ̸= ∅.
Dimostrazione. Sia X ⊂ R limitato verificante la (3.16), i.e.,
card (X) ≥ card (N) .
La (3.16) –via il Lemma 3.27, pag. 60– implica l’esistenza di almeno un insieme
(4.6) A0 ∈ P(X), con A0 ̸= ∅, tale che non esiste min A0 oppure non esiste max A0 .
R R
5. GLI INSIEMI DERIVATI DEI SOTTOINSIEMI NOTEVOLI DI R 131

Si osserva ora che dalla (4.6) si ha necessariamente che


(4.7) card (A0 ) ≥ card (N) .
Infatti, se A0 fosse finito, ammetterebbe sia minimo sia massimo in R per il Teorema 3.26, pag. 60.
La limitatezza di X in R consente allora di affermare che
(4.8) A0 è (non vuoto e) limitato in R.
Pertanto, per la completezza del sistema algebrico dei numeri reali (cfr. (III) nella Definizione 2.1, pag. 35),
(4.9) inf A0 e sup A0 esistono finiti.
R R

In accordo con le Proposizioni 1.47 e 1.50, pag. 22, dalle (4.6) e (4.9) si deduce che
(4.10) inf A0 ∈
/ A0 oppure sup A0 ∈
/ A0 .
R R

Di qui, la Proposizione 7.20 consente allora di concludere che l’insieme derivato al finito D(A0 ) di A0 è
non vuoto. Poiché D(A0 ) ⊆ D(X), ciò prova che D(X) ̸= ∅. □

5. Gli insiemi derivati dei sottoinsiemi notevoli di R


Proposizione 7.23.
(5.1) D∞ (N) = {+∞}.
In particolare,
(5.2) D(N) = ∅,
i.e., tutti i punti di N sono punti isolati.
Dimostrazione. È sufficiente provare la (5.1), in quanto la (5.2) segue banalmente da essa essendo
D(N) = D∞ (N) ∩ N.
Si osserva in primis che +∞ ∈ D∞ (N) per la Proprietà di Archimede (Teorema 3.14, pag. 55) e per
la Proposizione 7.19, pag. 130.
Rimane da provare che
(5.3) x0 ∈
/ D∞ (N) per ogni x0 ∈ [−∞, +∞[.
Esprimendo [−∞, +∞[ come unione disgiunta
[−∞, +∞[= [−∞, 1[ ∪ N ∪ (]1, +∞[ \N) ,
la dimostrazione della (5.3) viene articolata distinguendo i seguenti tre casi:
A) x0 ∈ [−∞, 1[,
B) x0 ∈ N,
C) x0 ∈ ]1, +∞[ \N.
Caso A) Sia x0 ∈ [−∞, 1[. Se x0 = −∞, si consideri una qualsiasi semiretta ] − ∞, b[, con b < 1 Se
x0 ∈] − ∞, 1[, poichè x0 < 1, avvalendosi della proprietà di Hausdorff relativamente ai punti x0 e 1, si
deduce l’esistenza di un intervallo ]a, b[⊂ R tale che
x0 ∈ ]a, b[ e b < 1.
In quanto 1 = min N, si è pertanto determinato un intorno di x0 ad intersezione vuota con N e,
quindi, provata la (5.3).
Caso B) Sia x0 ∈ N. La (vi) della Proposizione 3.10, pag. 53, assicura che
N ∩ ]x0 − δ, x0 + δ[ = {x0 } per ogni δ ∈ ]0, 1],
i.e.,–per la (3.4), pag. 128– x0 è un punto isolato N. È, quindi, provata la (5.3).
Caso C) Sia x0 ∈ ]1, +∞[ \N. Allora esiste ed è unico un numero n0 ∈ N tale che
n0 < x0 < n0 + 1
(cfr. Esempio 3.17, pag. 56).
132 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Conseguentemente,
]n0 , n0 + 1[ ∈ I(x0 ) e N ∩ ]n0 , n0 + 1[ = ∅,
e, quindi, la (5.3). □
Proposizione 7.24.
(5.4) D∞ (Z) = {−∞, +∞}.
In particolare,
(5.5) D(Z) = ∅,
i.e., tutti i punti di Z sono punti isolati.
Dimostrazione. È sufficiente provare la (5.4), in quanto la (5.5) segue banalmente da essa essendo
D(Z) = D∞ (Z) ∩ Z.
Si osserva in primis che −∞, +∞ ∈ D∞ (Z) per la Proposizione 3.37, pag. 65, e per la Proposizio-
ne 7.19, pag. 130.
In quanto
Z = N ∪ {0} ∪ {x ∈ R : x = −n per qualche n ∈ N},
tenendo conto (della dimostrazione (⊆)) della Proposizione 7.23, rimane da provare che
(5.6) x0 ∈
/ D(Z) per ogni x0 ∈ ] − ∞, 1[ .
È già noto, infatti, che
x0 ∈
/ D(Z) per ogni x0 ∈ [1, +∞[ .
Esprimendo ] − ∞, 1[ come unione disgiunta
] − ∞, 1[ = Z ∪ (] − ∞, 1[ \Z) ,
la dimostrazione della (5.6) viene articolata distinguendo i seguenti due casi:
A’) x0 ∈ ] − ∞, 1[ \Z,
B’) x0 ∈ Z \ N.
Caso A’) Sia x0 ∈ ] − ∞, 1[ \Z. Allora esiste ed è unico un numero p0 ∈ Z \ N tale che
p0 < x0 < p0 + 1.
Conseguentemente,
]p0 , p0 + 1[ ∈ I(x0 ) e Z ∩ ]p0 , p0 + 1[ = ∅,
e, quindi, la (5.6).
Caso B’) Sia x0 ∈ Z \ N. La (iv) nella Proposizione 3.38, pag. 65, assicura che
Z ∩ ]x0 − δ, x0 + δ[ = {x0 } per ogni δ ∈ ]0, 1],
i.e.,–per la (3.4), pag. 128– x0 è un punto isolato Z. È, quindi, provata la (5.6). □
Proposizione 7.25.
(5.7) D∞ (Q) = [−∞, +∞].
Dimostrazione. Si osserva in primis che −∞, +∞ ∈ D∞ (Q) per la Proposizione 3.46, pag. 65, e la
Proposizione 7.19, pag. 130.
Sia x0 ∈ R. Per ogni intorno ]a, b[ ⊂ R di x0 , la densità di Q in R (cfr. Teorema 3.48, pag. 70) assicura
l’esistenza di almeno due numeri razionali q1 , q2 ∈ Q tali che
a < q1 < x0 < q2 < b.
Pertanto
Q ∩ (]a, b[ \ {x0 }) ̸= ∅,
e, quindi, x0 ∈ D(Q). □
Proposizione 7.26.
(5.8) D∞ (R \ Q) = [−∞, +∞].
6. INSIEMI APERTI ED INSIEMI CHIUSI IN R 133

Dimostrazione. Si osserva in primis che −∞, +∞ ∈ D∞ (R \ Q) per la Proposizione 3.53, pag. 71,
e la Proposizione 7.19, pag. 130.
Sia x0 ∈ R. Per ogni intorno ]a, b[ ⊂ R di x0 , la densità di R \ Q in R (cfr. Teorema 3.54, pag. 71)
assicura l’esistenza di almeno due numeri irrazionali ξ1 , ξ2 ∈ R \ Q tali che
a < ξ1 < x0 < ξ2 < b.
Pertanto
(R \ Q) ∩ (]a, b[ \ {x0 }) ̸= ∅,
e, quindi, x0 ∈ D(R \ Q). □
Proposizione 7.27.
(5.9) D∞ (R) = [−∞, +∞].
Dimostrazione. Si osserva in primis che −∞, +∞ ∈ D∞ (R) per la Proposizione 2.10, pag. 42, e la
Proposizione 7.19, pag. 130.
Sia x0 ∈ R. Per ogni intorno ]a, b[ ⊂ R di x0 ,
R ∩ (]a, b[ \ {x0 }) =]a, x0 [ ∪ ]x0 , b[ ̸= ∅
e, quindi, x0 ∈ D(R). □
Proposizione 7.28.
(5.10) D(a, b) = D∞ (a, b) = [a, b] per ogni a, b ∈ R, con a < b.
Dimostrazione. Esprimendo R come unione disgiunta
R = [−∞, a[ ∪ [a, b] ∪ ]b, +∞],
la dimostrazione viene articolata distinguendo i seguenti tre casi:
A) x0 ∈ [−∞, a[,
B) x0 ∈ [a, b],
C) x0 ∈ ]b, +∞].
Caso A) Sia x0 ∈ [−∞, a[. Poichè x0 < a e ] − ∞, a[ è un intorno di x0 ad intersezione vuota con [a, b],
si che x0 ∈
/ D∞ (a, b).
Caso B) Sia x0 ∈ [a, b]. Per ogni intorno ]c, d[ ⊂ R di x0 si ha che
[a, b] ∩ (]c, d[\{x0 }) = ]max{a, c}, min{b, d}[ \ {x0 } =
̸ ∅,
i.e., x0 ∈ D(a, b).
Caso C) Sia x0 ∈ ]b, +∞]. Poichè x0 > b e ]b, +∞[ è un intorno di x0 ad intersezione vuota con [a, b],
si che x0 ∈/ D∞ (a, b). □

6. Insiemi aperti ed insiemi chiusi in R


Nel §§ 3-4 precedenti è stata introdotta la nozione di punto di accumulazione per un sottoinsieme
non vuoto X di R ed è stato evidenziato che condizione necessaria e sufficiente affinché un tale insieme
X ammetta almeno un punto di accumulazione è che essa contenga almeno un’infinità numerabile di
elementi distinti, i.e.,
(6.1) card (X) ≥ +∞.
Si osservi che ogni sottoinsieme non vuoto X di R costituito da un numero finito di elementi –i.e.,
card (X) < +∞– è banalmente un sottoinsieme limitato di R.
Tenendo conto della Proposizione 7.19 e del Teorema 7.22, si ha che
(6.2) X limitato in R ⇐⇒ D(X) = D∞ (X).
Inoltre,
(6.3) card (X) < +∞ ⇐⇒ D(X) = D∞ (X) = ∅
(6.4) X limitato in R & card (X) ≥ +∞ ⇐⇒ D(X) = D∞ (X) ̸= ∅.
134 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Le Proposizioni 7.23-7.24 del § 5 evidenziano che, cadendo la condizione di limitatezza di un insieme


(tale insieme verificherà pertanto necessariamente l’ipotesi (6.1)) si può verificare che
∅ = D(X) ⊂ D∞ (X),
e quindi che tutti i punti dell’insieme X sono punti isolati.
Si è interessati a fornire, per un sottoinsieme non vuoto X di R verificante la (6.1), una condizione
sufficiente affinché l’insieme D(X) ∩ X sia non vuoto, ossia che esistano punti dell’insieme X che siano
anche d’accumulazione per esso.
La prossima nozione tende a formalizzare l’idea intuitiva di un punto x0 ∈ X, ove card (X) ≥ +∞,
che sia un punto a cui ci si possa avvicinare tramite elementi di X da esso distinti (i.e., x0 ∈ D(X) ∩
X), verificanti inoltre la proprietà addizionale di determinare un intervallo aperto centrato in xo , e
equivalentemente, geometricamente parlando, un segmento dell’asse reale, privato degli estremi, che ha
punto medio in xo e lunghezza finita.
Definizioni 7.29. Assegnato un sottoinsieme non vuoto X di R, un elemento x0 ∈ X è un punto
interno all’insieme X quando
(6.5) esiste un numero δ > 0 tale che ]x0 − δ, x0 + δ[ ⊆ X.
L’interno di X è l’insieme
◦ def
(6.6) X = {x0 ∈ X : x0 è un punto interno all’insieme X}.
Osservazioni 7.30. (I) Per ogni sottoinsieme X ⊆ R,

(6.7) X ⊆ D(X),
i.e., ogni punto interno all’insieme X è un punto di accumulazione per X.

Infatti, se x0 ∈ X allora la (6.5) è verificata. Assegnato arbitrariamente un intorno ]a, b[ di x0 , si definisca
U0 = ]a, b[ ∩ ]x0 − δ, x0 + δ[ .
Allora U0 ∈ I(x0 ), per la (i) della Proposizione 7.2, pag. 126, ed U0 ⊆ X, per la (6.5). Si conclude quindi
che
(6.8) X ∩ (]a, b[ \ {x0 }) ⊇ X ∩ (U0 \ {x0 }) = U0 \ {x0 } =
̸ ∅,
ossia x0 ∈ D(X).
(II) Per ogni intervallo (a, b) ⊆ R,

(6.9) (a, b) = ]a, b[
i.e., tutti e soli i punti interni ad un intervallo (a, b) sono i numeri x ∈ R tali che a < x < b.

(III) Sia X = ]1, 2] ∪ {3} (cfr. Esempio 7.10, pag. 7.10). Allora X = ]1, 2[.

Le prossime definizioni spiegano il perché gli intervalli del tipo ]a, b[ e [a, b], con a, b ∈ R e a < b, siano
stati denominati intervallo aperto ed intervallo chiuso di estremi a e b, rispettivamente (cfr. pag. 44).
Definizioni 7.31. Sia X ⊆ R. Allora

(6.10) X è un insieme aperto in R quando X = X,

(6.11) X è un insieme chiuso in R quando D(X) ⊆ X.


Esempi 7.32. (I) Per ogni a, b ∈ R, con a < b, l’insieme ]a, b[ è aperto in R. In particolare, R è
aperto.
(II) R è chiuso, e, per ogni a, b ∈ R, con a < b, l’insieme [a, b] è chiuso in R.
(III) Ogni sottoinsieme X ⊂ R con 1 ≤ card (X) < +∞ è chiuso, e non è aperto in R. Basta infatti
◦ ◦
osservare che, per la (6.3), D(X) = ∅ –e quindi D(X) ⊂ X– e, per la (6.7), X = ∅, e dunque X ̸= X.
Dalla Definizione 6.11 e dalla Proposizione 7.19 si deduce in particolare la seguente
7. INTORNI DESTRI ED INTORNI SINISTRI DI UN PUNTO x0 ∈ R 135

Proposizione 7.33. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R.


(i) Se X è chiuso e limitato inferiormente, allora X è dotato di minimo.
(ii) Se X è chiuso e limitato superiormente, allora X è dotato di massimo.
(iii) Se X è chiuso e limitato, allora X è dotato di minimo e massimo.
(iv) X è chiuso e limitato se, e soltanto se, D∞ (X) = D(X) ⊆ X.

Dimostrazione. (i) Sia X chiuso e limitato inferiormente. Argomentando per assurdo, si supponga
che X non sia dotato di minimo. Allora card (X) ≥ +∞, per il Teorema 3.26, pag. 60. Per la completezza
di R esiste quindi l’inf R X che per la Proposizione 1.47, pag. 22, non appartiene all’insieme X, ossia
(6.12) inf X ∈
/ X.
R

Pertanto, la (4.3), pag. 130, assicura che


inf X ∈ D(X).
R

Essendo X chiuso per ipotesi, si giunge pertanto ad una contraddizione della (6.12). Tale contraddizione
conclude la dimostrazione della (i).
(ii) Sia X chiuso e limitato superiormente. Argomentando per assurdo, si supponga che X non sia
dotato di massimo. Allora card (X) ≥ +∞, per il Teorema 3.26, pag. 60. Per la completezza di R esiste
quindi il supR X che per la Proposizione 1.50, pag. 22, non appartiene all’insieme X, ossia
(6.13) sup X ∈
/X
R

Pertanto, la (6.3), pag. 133, assicura che


sup X ∈ D(X).
R

Essendo X chiuso per ipotesi, si giunge pertanto ad una contraddizione della (6.13). Tale contraddizione
conclude la dimostrazione della (ii).
(iii) Segue dalle (i) e (ii).
(iv) Se card (X) < +∞, la tesi segue dalla (6.3). Quando card (X) ≥ +∞, basta tener conto della
(6.4). □

Osservazione 7.34. Un insieme numerico non vuoto, chiuso e limitato in R, è detto insieme compatto
in R.
La (iii) della Proposizione 7.33 si formula in breve affermando che ogni insieme compatto in R ammette
sia minimo sia massimo.

7. Intorni destri ed intorni sinistri di un punto x0 ∈ R


Nel § 1 si è osservato che la nozione di intorno di un punto x0 ∈ R è volta a formalizzare l’idea
intuitiva di una ‘zona’ in R, ‘priva di buchi’, e ‘vicina’ ad x0 .
Se x0 = −∞ e x0 = +∞ tale ‘zona’ in R non potrà chiaramente contenere x0 , ed in quanto −∞ = inf R
e +∞ = sup R, la zona sull’asse reale ‘vicina’ a tali punti sarà solo destra e sinistra, rispettivamente, e
non dovrà esser limitata inferiormente e superiormente in R, rispettivamente.
Se x0 ∈ R, la suddetta ‘zona’ in R ‘vicina’ ad x0 lo dovrà contenere al suo interno.
Essendo R dotato di una relazione d’ordine totale, è possibile fornire per un qualsiasi punto x0 ∈ R
un concetto di vicinanza solo a ‘destra’ e solo a ‘sinistra’ sull’asse reale. Ciò viene formalizzato con le
nozioni di intorno destro e di intorno sinistro di x0 ∈ R, rispettivamente, che consentono di fornire, in
completa analogia a quanto fatto nei §§ 1–3, le nozioni di punto x0 ∈ R di accumulazione a destra e punto
di accumulazione a sinistra per un sottoinsieme X non vuoto di R, nel prossimo paragrafo.
Definizioni 7.35. Un intorno destro di x0 ∈ R è un intervallo semiaperto a destra avente x0 come
minimo, i.e., è un intervallo della forma
[x0 , x0 + δ[ con δ > 0, oppure [x0 , +∞[ .
136 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Un intorno sinistro di x0 ∈ R è un intervallo semiaperto a sinistra avente x0 come massimo, i.e., è


un intervallo della forma
]x0 − δ, x0 ] con δ > 0, oppure ] − ∞, x0 ].
Nel seguito,
(7.1) I + (x0 ) := {I ⊆ R : I intorno destro di x0 ∈ R},

(7.2) I − (x0 ) := {I ⊆ R : I intorno sinistro di x0 ∈ R}.,


i.e., ossia si utilizzeranno le scrittura I + (x0 ) e I − (x0 ) per denotare, rispettivamente, la famiglia di tutti
e soli gli intorni destri e la famiglia di tutti e soli gli intorni sinistri di x0 ∈ R. Tali famiglie sono costituite
da infiniti elementi e verificano proprietà simili a quelle espresse dalla Proposizione 7.2, pag. 126, e dalla
Proposizione 7.7, pag. 127, per la famiglia I(x0 ) degli intorni ‘bilaterali’ di un punto x0 ∈ R.
Proposizione 7.36. Se x0 ∈ R, allora
(i) I1 ∩ I2 ∈ I + (x0 ) per ogni I1 , I2 ∈ I + (x0 );
(ii) x0 ∈ I per ogni I ∈ I + (x0 ).
Dimostrazione. (i) Siano I1 , I2 ∈ I + (x0 ). Il risultato è banale quando uno dei due intorni destri
non è limitato superiormente. Quando Ij = [x0 , x0 + δj [, con δj ∈ R+ per j = 1, 2, si osserva che
(7.3) I1 ∩ I2 = [x0 , x0 + min{δ1 , δ2 }[ e x0 ∈ I1 ∩ I2 .
La quantità min{δ1 , δ2 } è ben definita per il Teorema 3.26, pag. 60. L’intersezione I1 ∩ I2 è quindi ancora
un intorno destro di x0 .
(ii) Segue dalla Definizioni 7.35. □

Proposizione 7.37. Per ogni x, y ∈ R, con x ̸= y, esistono U ∈ I + (x) e V ∈ I + (y) tali che
U ∩ V = ∅.
|x−y|
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R, con x ̸= y. Allora δ̂ = 2 ∈ R+ e

[x, x + δ[ ∩ [y, y + δ[= ∅ per ogni δ ∈ ]0, δ̂].


Proposizione 7.38. Se x0 ∈ R, allora


(i) I1 ∩ I2 ∈ I − (x0 ) per ogni I1 , I2 ∈ I − (x0 );
(ii) x0 ∈ I per ogni I ∈ I − (x0 ).
Dimostrazione. (i) Siano I1 , I2 ∈ I − (x0 ). Il risultato è banale quando uno dei due intorni sinistri
non è limitato inferiormente. Quando Ij =]x0 − δj , x0 ], con δj ∈ R+ per j = 1, 2, si osserva che
(7.4) I1 ∩ I2 = ]x0 − min{δ1 , δ2 }, x0 ] e x0 ∈ I1 ∩ I2 .
La quantità min{δ1 , δ2 } è ben definita per il Teorema 3.26, pag. 60. L’intersezione I1 ∩ I2 è quindi ancora
un intorno sinistro di x0 .
(ii) Segue dalla Definizioni 7.35. □

Proposizione 7.39. Per ogni x, y ∈ R, con x ̸= y, esistono U ∈ I − (x) e V ∈ I − (y) tali che
U ∩ V = ∅.
|x−y|
Dimostrazione. Siano x, y ∈ R, con x ̸= y. Allora δ̂ = 2 ∈ R+ e

]x − δ, x] ∩ ]y − δ, y] = ∅ per ogni δ ∈ ]0, δ̂].



8. PUNTI DI ACCUMULAZIONE A DESTRA E/O A SINISTRA 137

8. Punti di accumulazione a destra e/o a sinistra


Definizioni 7.40. Un punto x0 ∈ R è un punto d’accumulazione a destra per un sottoinsieme non
vuoto X di R quando
(8.1) X ∩ (I \ {x0 }) ̸= ∅ per ogni I ∈ I + (x0 ),
o, equivalentemente, quando
(8.2) X∩ ]x0 , x0 + δ[ ̸= ∅ per ogni δ ∈ ]0, +∞[ .
Un punto x0 ∈ R è un punto d’accumulazione a sinistra per un sottoinsieme non vuoto X di R
quando
(8.3) X ∩ (I \ {x0 }) ̸= ∅ per ogni I ∈ I − (x0 ),
o, equivalentemente, quando
(8.4) X∩ ]x0 − δ, x0 [ ̸= ∅ per ogni δ ∈ ]0, +∞[ .
Le Definizioni 7.40 traducono in forma precisa l’idea intuitiva di un punto x0 ∈ R a cui ci si possa
rispettivamente avvicinare da destra e da sinistra tramite elementi dell’insieme X, che sono distinti da
x0 qualora x0 appartenga all’insieme X.
È bene tener presente che un punto di accumulazione a destra e/o a sinistra per un sottoinsieme X
non vuoto di R può o meno appartenere all’insieme X. Inoltre, un punto x0 d’accumulazione a sinistra
per X non è necessariamente un punto di accumulazione a destra per X, e viceversa.
Esempio 7.41. Sia X = ]1, 2]. Allora
(i) 1 è un punto di accumulazione a destra per X, ma non appartiene all’insieme X; 1 non è un
punto di accumulazione a sinistra per X;
(ii) 2 è un punto di accumulazione a sinistra per X, che appartiene all’insieme X; 2 non è un punto
di accumulazione a destra per X.
Notazioni 7.42. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Allora
(i) l’insieme derivato al finito destro di X è l’insieme
(8.5) Ddx (X) = {x0 ∈ R : x0 punto di accumulazione a destra per X}.
(ii) l’insieme derivato al finito sinistro di X è l’insieme
(8.6) Dsx (X) = {x0 ∈ R : x0 punto di accumulazione a sinistra per X};
Osservazione 7.43. Per ogni sottoinsieme non vuoto X di R,
(8.7) D(X) = Ddx (X) ∪ Dsx (X),
i.e., l’insieme derivato al finito dell’insieme X è l’unione degli insiemi derivati al finito destro e sinistro
di X.
Inoltre,
     
(8.8) D(X) = Ddx (X) \ Dsx (X) ∪ Ddx (X) ∩ Dsx (X) ∪ Dsx (X) \ Ddx (X) ,
i.e., il derivato al finito di X è l’unione disgiunta dei punti di accumulazione a destra per X che non sono
punti di accumulazione a sinistra per X, dei punti di accumulazione sia a destra sia a sinistra per X, e
dei punti di accumulazione a sinistra per X che non sono punti di accumulazione a destra per X.
Esempio 7.44. Sia X = ]1, 2], come nell’Esempio 7.41. Allora
D(X) = [1, 2]
Ddx (X) \ Dsx (X) = {1},
Ddx (X) ∩ Dsx (X) = ]1, 2[,
Dsx (X) \ Ddx (X) = {2}.

Tenendo conto tanto delle Proposizioni 7.36-7.37 e della (8.2) quanto delle Proposizioni 7.38-7.39 e
della (8.4), si determinano risultati analoghi a quello espresso dal Teorema 7.16, pag. 128.
138 7. ALCUNE NOZIONI DI NATURA ‘TOPOLOGICA’ SU R

Teorema 7.45. Se X un sottoinsieme non vuoto di R, allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) x0 ∈ Ddx (X);
(ii) per ogni δ > 0,
card (X∩ ]x0 , x0 + δ[) ≥ card(N),
i.e., l’insieme X∩ ]x0 , x0 + δ[ è costituito da infiniti punti distinti.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Sia x0 ∈ Ddx (X) e, procedendo per assurdo, si supponga che esista un
δ0 > 0 tale che
card (X∩ ]x0 , x0 + δ0 [) < +∞.
Allora, per le Definizioni 3.18, pag. 57, esiste un numero n0 ∈ N tale che
(8.9) X∩ ]x0 , x0 + δ0 [= {x1 , . . . , xn0 } con xi ̸= xj , per i, j ∈ {1, · · · , n0 } e i ̸= j.
La Proposizione 7.37 assicura che
per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }, esistono Ui ∈ I + (x0 ) e Vi ∈ I + (xi ) tali che Ui ∩ Vi = ∅,
e quindi, in particolare,
(8.10) xi ∈
/ Ui per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }.
Detto
n0
\
(8.11) U= Ui ,
i=0

allora
U ∈ I + (x0 ),
per la (i) della Proposizione 7.36 e, chiaramente,
(8.12) U ⊆ U0 .
Tenendo conto delle (8.9)-(8.11) si ha dunque che
xi ∈
/ X ∩ (U \ {x0 }) per ogni i ∈ {1, · · · , n0 },
i.e.,
(8.13) {x1 , . . . , xn0 } ∩ [X ∩ (U \ {x0 })] = [X ∩ (U \ {x0 })] ∩ [X ∩ (U0 \ {x0 })] = ∅.
Pertanto, per la (8.12), la (8.13) implica che
X ∩ (U \ {x0 }) = ∅,
ossia una contraddizione dell’ipotesi che x0 ∈ Ddx (X).
Risulta quindi dimostrata la veridicità della (ii).
(ii) ⇐(i) Ovvia. □

Teorema 7.46. Se X un sottoinsieme non vuoto di R, allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) x0 ∈ Dsx (X);
(ii) per ogni δ > 0,
card (X∩ ]x0 − δ, x0 [) ≥ card(N),
i.e., l’insieme X∩ ]x0 − δ, x0 [ è costituito da infiniti punti distinti.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Sia x0 ∈ Dsx (X) e, procedendo per assurdo, si supponga che esista un
δ0 > 0 tale che
card (X∩ ]x0 − δ0 , x0 [) < +∞.
Allora, per le Definizioni 3.18, pag. 57, esiste un numero n0 ∈ N tale che
(8.14) X∩ ]x0 − δ0 , x0 [= {x1 , . . . , xn0 } con xi ̸= xj , per i, j ∈ {1, · · · , n0 } e i ̸= j.
La Proposizione 7.39 assicura che
per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }, esistono Ui ∈ I − (x0 ) e Vi ∈ I − (xi ) tali che Ui ∩ Vi = ∅,
8. PUNTI DI ACCUMULAZIONE A DESTRA E/O A SINISTRA 139

e quindi, in particolare,
(8.15) xi ∈
/ Ui per ogni i ∈ {1, · · · , n0 }.
Detto
n0
\
(8.16) U= Ui ,
i=0
allora
U ∈ I − (x0 ),
per la (i) della Proposizione 7.38 e, chiaramente,
(8.17) U ⊆ U0 .
Tenendo conto delle (8.14)-(8.16) si ha dunque che
xi ∈
/ X ∩ (U \ {x0 }) per ogni i ∈ {1, · · · , n0 },
i.e.,
(8.18) {x1 , . . . , xn0 } ∩ [X ∩ (U \ {x0 })] = [X ∩ (U \ {x0 })] ∩ [X ∩ (U0 \ {x0 })] = ∅.
Pertanto, per la (8.17), la (8.18) implica che
X ∩ (U \ {x0 }) = ∅,
ossia una contraddizione dell’ipotesi che x0 ∈ Dsx (X).
Risulta quindi dimostrata la veridicità della (ii).
(ii) ⇐(i) Ovvia. □
Si osservi infine che la Proposizione 7.20, pag. 130, può esser ora formulata come segue
Proposizione 7.47. Per un sottoinsieme X di R
(8.19) X limitato inferiormente & inf X ∈
/X =⇒ inf X ∈ Ddx (X);
R R

(8.20) X limitato superiormente & sup X ∈


/X =⇒ sup X ∈ Dsx (X).
R R
CAPITOLO 8

La nozione di limite per funzioni reali di una variabile reale

Si consideri una funzione f : X ⊆ R → R, reale di una variabile reale, definita su un sottoinsieme X


di R. Se l’insieme X ha cardinalità infinita (ossia è costituito da almeno un’infinità numerabile di punti
distinti), allora l’insieme X ammette almeno un punto x0 ∈ D∞ (X) alla luce della Proposizione 7.19,
pag. 130 e del Teorema 7.22, pag. 130.
Esistono, pertanto, infiniti punti x di X, prossimi a x0 quanto si voglia, nei quali la funzione f può
essere valutata, e ciò consente di ‘far tendere un generico punto x ∈ X ad x0 ’, in simboli x → x0 , signi-
ficando con tale espressione che è possibile prendere intorni sempre ‘più piccoli’ di x0 ed in ognuno di
questi cadranno infiniti punti di X.
In questo ‘moto’ del punto x ∈ R all’interno del dominio X verso il punto x0 , la questione che
naturalmente si pone è la seguente:
cosa succede alle immagini f (x) quando x → x0 , ove x ∈ X ?
Una delle cose che può succedere è che la funzione f ammetta un valore limite L ∈ R, circostanza
formalizzata dalla seguente
Definizione 8.1. Sia f : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X).
Un elemento L ∈ R è un valore limite della funzione f al tendere di x ad x0 quando
per ogni W ∈ I(L) esiste un U ∈ I(x0 ) tale che
(0.1)
f (x) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).

La proprietà di Hausdorff di R (cfr. Proposizione 7.7, pag. 127) assicura che una funzione f : X ⊆
R → R, al tendere di x ∈ X ad un punto x0 ∈ D∞ (X), ammette al più un valore limite.
Teorema 8.2. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X). Se f , al tendere di x ad x0 , ammette un
valore limite L ∈ R, esso è unico.
Dimostrazione. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Si supponga, per assurdo, che, al tendere di x ad x0 , la funzione f ammette due valore limiti L1 , L2 ∈
R, con
L1 ̸= L2 .
Per la proprietà di Hausdorff di R, esistono allora
(0.2) W1 ∈ I(L1 ) e W2 ∈ I(L2 ) tali che W1 ∩ W2 = ∅.
Per la Definizione 8.1, la (0.1) assicura l’esistenza di due intorni U1 , U2 ∈ I(x0 ) tali che
f (x) ∈ W1 per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }),
(0.3)
f (x) ∈ W2 per ogni x ∈ X ∩ (U2 \ {x0 }).
Detto
U = U1 ∩ U2 ,
le Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6 implicano che
U ∈ I(x0 ).
Per le relazioni determinate nella (0.3), risulta allora che
f (x) ∈ W1 ∩ W2 per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
i.e.,
(0.4) {f (x) : x ∈ X ∩ (U \ {x0 })} ⊆ W1 ∩ W2 .
141
142 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

In quanto x0 ∈ D∞ (X),
X ∩ (U \ {x0 } ̸= ∅.
Di qui,
(0.5) {f (x) : x ∈ X ∩ (U \ {x0 })} ̸= ∅.
Le (0.4) e (0.5) contraddicono pertanto l’ipotesi che W1 ∩ W2 = ∅. Tale contraddizione prova quindi,
nell’ipotesi di esistenza, l’unicità del valore limite di f , al tendere di x ad x0 . □

Alla luce del Teorema 8.2, è ben posta dunque la seguente

Definizione 8.3. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X). Un elemento L ∈ R è il limite di f al


tendere di x → x0 , usando la scrittura
(0.6) lim f (x) = L,
x→x0

quando è verificata la condizione (0.1).

Convenzioni 8.4. Siano f : X ⊆ R → R, x0 ∈ D∞ (X) e sia L ∈ R tale che la (0.6) è verificata.


Quando L ∈ R, la funzione f è convergente in x0 ad L oppure converge ad L in x0 .
In particolare, quando L = 0, la funzione f è infinitesima in x0 .
Se L = +∞, la funzione f diverge positivamente in x0 .
Se L = −∞, la funzione f diverge negativamente in x0 .

Osservazioni 8.5. (I) Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, con la scrittura


(0.7) lim f (x)
x→x0

si intende denotare in primis il problema dell’esistenza del limite della funzione f nel punto x0 che
compare nella (0.7).
Bisogna innanzitutto verificare che x0 sia un punto di accumulazione per il dominio X della funzione
f , i.e., x0 ∈ D∞ (X). Una volta garantita l’esistenza del limite della f nel punto x0 , si affronta il problema
del suo calcolo.
Il calcolo dei limiti è più complicato dei semplici calcoli algebrici di espressioni, in quanto –come sarà
chiaro nel seguito (cfr. Esercizi 8.10 e 8.17)–
una funzione non ammette necessariamente limite in un punto di accumulazione del suo
dominio di definizione.
(II) Come già più volte osservato, la condizione x0 ∈ D∞ (X) non implica l’appartenenza del punto x0 ∈ R
all’insieme X. Il valore di f in x0 non è pertanto necessariamente definito.
Quando x0 ∈ X ∩ D(X) ed è verificata la (0.6) –i.e., esiste il limite di f in x0 ed è uguale ad L ∈ R–
non sussiste necessariamente relazione tra il valore f (x0 ) di f in x0 ed il limite L di f in x0 .
Tale circostanza motiverà l’introduzione del concetto di funzione continua in un punto x0 ∈ X ∩D(X)
nel Cap. 10, che qui anticipiamo:
“una funzione f : X ⊆ R → R è continua in un punto x0 ∈ X ∩ D(X) quando
lim f (x) = f (x0 ),
x→x0

i.e., f converge in x0 al valore f (x0 ) di f in x0 .”


(III) Nel Cap. 7, § 1, pag. 125 e ss., si è evidenziato che gli intorni di un punto x0 di R, e gli intorni di
+∞ e −∞ hanno ‘forme’ differenti.
La (0.1) formulata in termini di intorni sintetizza i seguenti nove casi possibili:

caso x0 ∈ R e L ∈ R :

(0.8) ∀ϵ > 0 ∃δϵ > 0 t.c. |f (x) − L| < ϵ ∀ x ∈ X, con 0 < |x − x0 | < δϵ .
8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE 143

caso x0 = +∞ e L ∈ R :

(0.9) ∀ϵ > 0 ∃Mϵ > 0 t.c. |f (x) − L| < ϵ ∀ x ∈ X∩ ]Mϵ , +∞[;

caso x0 = −∞ e L ∈ R :

(0.10) ∀ϵ > 0 ∃Mϵ > 0 t.c. |f (x) − L| < ϵ ∀ x ∈ X∩ ] − ∞, −Mϵ [;

caso x0 ∈ R e L = +∞ :

(0.11) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) > M ∀ x ∈ X, con 0 < |x − x0 | < δM ;

caso x0 ∈ R e L = −∞ :

(0.12) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) < −M ∀ x ∈ X, con 0 < |x − x0 | < δM ;

caso x0 = +∞ e L = +∞ :

(0.13) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) > M ∀ x ∈ X∩ ]δM , +∞[;

caso x0 = −∞ e L = +∞ :

(0.14) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) > M ∀ x ∈ X∩ ] − ∞, −δM [;

caso x0 = +∞ e L = −∞ :

(0.15) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) < −M ∀ x ∈ X∩ ]δM , +∞[;

caso x0 = −∞ e L = −∞ :

(0.16) ∀M > 0 ∃δM > 0 t.c. f (x) < −M ∀ x ∈ X∩ ] − ∞, −δM [.

In (0.8), (0.9) e (0.10), essendo L ∈ R, la quantità


|f (x) − L|
è ben definita. Essa è la distanza tra il valore di f nel punto x ∈ X ed il numero L ∈ R, ed è talvolta
denominata lo scarto tra il valore f (x) ed il valore limite L ∈ R.
La definizione di funzione convergente al valore L ∈ R in un punto x0 ∈ D∞ (X), equivale ad affermare
che lo scarto |f (x) − L| è infinitesimo per x, con x ∈ X, che tende ad x0 .
(IV) La Definizione 8.3 non permette chiaramente di calcolare, qualora esso esista, il valore L ∈ R nella
(0.6). Essa, via la (0.1), permette solo di verificare se un dato valore L ∈ R è, o meno, il limite della
funzione f assegnata al tendere di x ad x0 .
Se si dovesse utilizzare la Definizione 8.3, il calcolo dei limiti sarebbe quindi un processo in due tempi.
Prima si dovrebbe, infatti, pensare ad un possibile limite L ∈ R, poi si dovrebbe fare la verifica, usando
la (0.1).

Esercizi 8.6. Si verifichi che


(1) ogni funzione costante converge in ogni punto x0 ∈ R alla costante stessa;
(2) lim sin x = 0;
x→0
(3) lim cos x = 1;
x→0
144 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(4) ogni funzione affine lineare f converge in ogni punto x0 ∈ R al valore f (x0 );
(5) la funzione f2 (x) = x2 , x ∈ R, converge in ogni punto x0 ∈ R al valore x20 ;
1
(6) lim 2 = +∞;
x→0 x
1
(7) lim = 0;
x→+∞ x
1
(8) lim = 0;
x→−∞ x
x
(9) lim = 1.
x→+∞ x − 1

1. Limiti di restrizioni
Come anticipato nella (I) delle Osservazioni 8.5, assegnata una funzione f : X ⊆ R → R ed un punto
x0 ∈ D∞ (X), con la scrittura
(1.1) lim f (x)
x→x0

si intende denotare in primis il problema dell’esistenza del limite della funzione f nel punto x0 che
compare nella (1.1).
Il Teorema 8.7 fornisce una condizione necessaria per l’esistenza del limite di una funzione f : X ⊆
R → R in un punto x0 ∈ D∞ (X). Infatti, esso afferma che
condizione necessaria per il verificarsi della (1.2) è che tutte le restrizioni di f a sot-
toinsiemi A di X che hanno x0 come punto di accumulazione abbiano limite in x0 , e
tale limite sia uguale a quello della funzione f nel punto x0 .
Conseguentemente, come formalizzato nel Corollario 8.8, l’esistenza di due sottoinsiemi propri A1 e
A2 di X, con A1 ̸= A2 , tali che
x0 ∈ D∞ (A1 ) ∩ D∞ (A2 ),
e le due restrizioni f|A1 e f|A2 ammettono limite nel punto x0 , ma tali limiti sono diversi, implica la non
esistenza del limite della funzione f nel punto x0 .
Dall’esistenza del limite di una sola restrizione della funzione f : X ⊆ R → R ad un sottoinsieme A
di X che ammetta x0 come punto di accumulazione non si può quindi in generale dedurre l’esistenza del
limite della funzione f in x0 , a meno che l’insieme A non verifichi proprietà addizionali, come illustrato
dal Teorema 8.11.
Teorema 8.7. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se
(1.2) ∃ lim f (x) ,
x→x0

allora, per ogni sottoinsieme A di X tale che x0 ∈ D∞ (A), si che


(1.3) ∃ lim f|A (x),
x→x0

(1.4) lim f|A (x) = lim f (x).


x→x0 x→x0

Dimostrazione. L’ipotesi (1.2) assicura che esiste un unico L ∈ R tale che


lim f (x) = L.
x→x0

Comunque si consideri un insieme A ⊆ X tale che x0 ∈ D∞ (A), dalla (0.1) si deduce che
∀W ∈ I(L) ∃U ∈ I(x0 ) tale che f (x) ∈ W per ogni x ∈ A ∩ (U \ {x0 }),
ossia la (1.4) e, quindi, la (1.3). □
Corollario 8.8. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se
(i) A1 e A2 sono sottoinsiemi propri di X tali che A1 ̸= A2 ,
(ii) x0 ∈ D∞ (A1 ) ∩ D∞ (A2 ),
1. LIMITI DI RESTRIZIONI 145

(iii) ∃ lim f|A1 (x) e ∃ lim f|A2 (x),


x→x0 x→x0
(iv) lim f|A1 (x) ̸= lim f|A2 (x),
x→x0 x→x0

allora
(1.5) ̸ ∃ lim f (x) .
x→x0

Esempi notevoli di applicazione del Corollario 8.8 sono forniti dalla dimostrazione di non esistenza
dei limiti delle funzioni seno, coseno e tangente a −∞ e +∞.
Esempi 8.9. (I) La funzione coseno non ammette limite sia a −∞ e sia a +∞.
Il dominio della funzione coseno è R, e −∞ e +∞ sono punti di accumulazione di R.
Gli insiemi
nπ o
(1.6) A1 = {2kπ : k ∈ Z} e A2 = + 2kπ : k ∈ Z
2
sono sottoinsiemi propri di R, con
A1 ∩ A2 = ∅,
In quanto A1 e A2 non sono limitati né inferiormente né superiormente in R, essi ammettono −∞ e +∞
sono punti di accumulazione, i.e.,
(1.7) −∞, +∞ ∈ D∞ (A1 ) ∩ D∞ (A2 ).
Si osserva che
cos|A1 (x) = 1 per ogni x ∈ A1 ,
cos|A2 (x) = 0 per ogni x ∈ A2 .
Conseguentemente,
lim cos|A1 (x) = lim cos|A1 (x) = 1;
x→−∞ x→+∞

lim cos|A2 (x) = lim cos|A2 (x) = 0.


x→−∞ x→+∞

Essendo 1 ̸= 0, la tesi segue dal Corollario 8.8.

(II) La funzione seno non ammette limite sia a −∞ e sia a +∞.


Il dominio della funzione seno è R, e −∞ e +∞ sono punti di accumulazione di R.
Considerando gli insiemi A1 e A2 definiti nella (1.6), si osserva ora che

sin|A1 (x) = 0 per ogni x ∈ A1 ,


sin|A2 (x) = 1 per ogni x ∈ A2 .
Conseguentemente,
lim sin|A1 (x) = lim sin|A1 (x) = 0;
x→−∞ x→+∞

lim sin|A2 (x) = lim sin|A2 (x) = 1.


x→−∞ x→+∞

Essendo 1 ̸= 0, la tesi segue dal Corollario 8.8.

(III) La funzione tangente non ammette limite sia a −∞ e sia a +∞.


Il dominio della funzione tangente è
[ i π π h
− + kπ, + kπ ,
2 2
k∈Z

e −∞ e +∞ sono punti di accumulazione per esso.


Gli insiemi
nπ o
(1.8) A1 = {2kπ : k ∈ Z} e A3 = + 2kπ : k ∈ Z
4
146 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

sono sottoinsiemi propri di R, con


A1 ∩ A3 = ∅,
In quanto A1 e A3 non sono limitati né inferiormente né superiormente in R, essi ammettono −∞ e +∞
sono punti di accumulazione, i.e.,
(1.9) −∞, +∞ ∈ D∞ (A1 ) ∩ D∞ (A3 ).
Si osserva che
tan|A1 (x) = 0 per ogni x ∈ A1 ,
tan|A3 (x) = 1 per ogni x ∈ A3 .
Di qui,
lim tan|A1 (x) = lim tan|A1 (x) = 0
x→−∞ x→+∞

lim tan|A3 (x) = lim tan|A3 (x) = 1.


x→−∞ x→+∞

Essendo 1 ̸= 0, la tesi segue dal Corollario 8.8.

1
Esercizio 8.10. Si dimostri, applicando il Corollario 8.8, che non esiste il lim sin .
x→0 x
2. Località del limite
Come anticipato, dall’esistenza del limite di una sola restrizione della funzione f : X ⊆ R → R ad
un sottoinsieme A di X che ammetta x0 come punto di accumulazione non si può dedurre l’esistenza del
limite della funzione f in x0 , a meno che l’insieme A non verifichi proprietà addizionali.
Tali proprietà si compendiano nella richiesta che A sia un intorno del punto x0 , come evidenziato dal
Teorema 8.11 seguente. Esso in particolare evidenzia che, data una funzione f : X ⊆ R → R ed un punto
x0 ∈ D∞ (X), l’esistenza ed il valore del limite della funzione f per x → x0 non dipendono dai valori
che f assume ‘lontano’ da x0 , i.e., tanto l’esistenza quanto il valore del limite dipendono unicamente dai
valori della funzione vicino al punto di accumulazione. Il concetto di limite è quindi di natura ‘locale’ e
non di natura ‘globale’.
In particolare, se due funzioni coincidono in un intorno di x0 , tranne al più in x0 , l’una ha limite in
x0 se, e soltanto se, ce l’ha l’altra, e tali limiti coincidono (cfr. Corollario 8.12).
Teorema 8.11 (Località del limite). Sia f : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X).
Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) lim f (x) = L, con L ∈ R,
x→x0
(ii) esiste un intorno V ∈ I(x0 ) tale che
(2.1) lim f|V (x) = L, con L ∈ R.
x→x0

Dimostrazione. (i) ⇒(ii) Alla luce del Teorema 8.7 la (ii) è, invero, verificata da ogni intorno
V ∈ I(x0 ).
(ii) ⇒(i) Si supponga che esista un intorno V ∈ I(x0 ) per il quale sia verificata la (2.1). Si vuole provare
che
(2.2) L = lim f (x).
x→x0

Argomentando per assurdo, si supponga che la (2.2) sia falsa. Ciò significa che

esiste (almeno) un intorno W0 ∈ I(L) tale che per ogni U ∈ I(x0 ) :


(2.3)
esiste (almeno) un punto x̂ ∈ X ∩ (U \ {x0 }) tale che f (x̂) ∈
/ W0 .

D’altro canto, per l’ipotesi (ii), in corrispondenza dell’intorno W0 ∈ I(L) fornito dalla (2.3) esiste almeno
un intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che
f|V ((X ∩ V ) ∩ (U0 \ {x0 })) ⊆ W0
2. LOCALITÀ DEL LIMITE 147

i.e.,

(2.4) f (X ∩ ((V ∩ U0 ) \ {x0 })) ⊆ W0 .

In quanto U = V ∩ U0 ∈ I(x0 ) essendo la collezione I(x0 ) chiusa rispetto alle unioni finite, la (2.4)
è in contraddizione con la (2.3) □

Corollario 8.12 (Località del limite, 2a forma). Siano f, g : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).


Se esiste un intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che

(2.5) f (x) = g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }),

allora

(2.6) lim f (x) = L, con L ∈ R, ⇐⇒ lim g(x) = L, con L ∈ R.


x→x0 x→x0

Dimostrazione. (⇒) Se lim f (x) = L, con L ∈ R, assegnato arbitrariamente un intorno W ∈


x→x0
I(L) esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che

(2.7) f (x) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).

Combinando la (2.5) con la (2.7), e tenendo conto che la famiglia I(x0 ) è chiusa rispetto alle unioni
finite, si deduce che, in corrispondenza dell’intorno W ∈ I(L), esiste dunque

(2.8) Û = U ∩ U0 ∈ I(x0 )

tale che

(2.9) f (x) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (Û \ {x0 }),

che equivale ad affermare che

(2.10) g(x) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (Û \ {x0 }).

D’altro canto, per la (2.8), la (2.10) può essere scritta equivalentemente nella forma

(2.11) g|U0 (x) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).

In conclusione quindi esiste un intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che

(2.12) lim g|U0 (x) = L, con L ∈ R.


x→x0

La tesi pertanto segue applicando il Teorema 8.11.


(⇐) Basta sostituire g ad f , e viceversa, nella dimostrazione della precedente implicazione. □

Esempio 8.13. Sia


(
0 per x = 0,
g(x) =
1 per x ∈ R \ {0}.
In quanto g(x) = 1R\{0} (x) per ogni x ∈ R \ {0}, ed R è banalmente un intorno di 0, la prima verifica
degli Esercizi 8.6 unitamente al Corollario 8.12 implicano che

lim g(x) = 1.
x→0

Si osservi che
lim g(x) ̸= g(0).
x→0
148 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

3. Limiti da destra e da sinistra in un punto


Ai fini dell’analisi del problema dell’esistenza del limite di una funzione f : X ⊆ R → R in un punto
x0 ∈ Ddx (X) ∩ Dsx (X), si introducono le nozioni di limite destro e di limite sinistro di f .
A tal fine, si ripercorre lo schema utilizzato per l’introduzione del concetto di limite di una funzione
f : X ⊆ R → R in un punto x0 ∈ D∞ (X), avvalendosi ora, rispettivamente, della nozione di intorno
destro e sinistro di un punto x0 ∈ R, consentite dalla relazione d’ordine totale di R.

Definizione 8.14. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Ddx (X).


Il limite destro di f in x0 è, quando esiste, il limite L ∈ R della restrizione di f a X ∩ [x0 , +∞[.
Facendo uso della scrittura
lim+ f (x)
x→x0

in luogo di lim f|[x0 ,+∞[ (x), allora


x→x0
lim f (x) = L
x→x+
0

quando
per ogni intorno W ∈ I(L) esiste almeno un numero δ1 > 0 tale che
(3.1)
f (x) ∈ W per ogni x ∈ X∩ ]x0 , x0 + δ1 [.

Definizione 8.15. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Dsx (X).


Il limite sinistro di f in x0 è, quando esiste, il limite L ∈ R della restrizione di f a X∩ ] − ∞, x0 ].
Facendo uso della scrittura
lim− f (x)
x→x0

in luogo di lim f]−∞,x0 ] (x), allora


x→x0
lim f (x) = L
x→x−
0

quando
per ogni intorno W ∈ I(L) esiste almeno un numero δ2 > 0 tale che
(3.2)
f (x) ∈ W per ogni x ∈ X∩ ]x0 − δ2 , x0 [.

Tali nozioni consentono di fornire un criterio per l’esistenza del limite di una funzione in un punto che
sia d’accumulazione tanto a destra quanto a sinistra per il dominio della funzione, noto come ‘Teorema di
giunzione’. Esso, infatti, afferma che condizione necessaria e sufficiente affinché tale limite esista è che nel
punto (d’accumulazione tanto a destra quanto a sinistra) esistano sia il limite destro sia quello sinistro,
e tali limiti coincidano.
Il Teorema di giunzione è di uso frequente. Esso viene utilizzato tanto in positivo (per provare
l’esistenza del limite, spezzandolo nel calcolo di due limiti, quello destro e quello sinistro, il cui calcolo
sia più semplice), quanto in negativo (per dimostrare la non esistenza del limite evidenziando che i limiti
da destra e da sinistra non sono uguali, in pieno accordo con il contenuto del Corollario 8.8).

Teorema 8.16 (di giunzione). Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Ddx (X) ∩ Dsx (X).
Allora

 a) ∃ lim+ f (x),
x→x0






(3.3) ∃ lim f (x) ⇐⇒ b) ∃ lim− f (x),
x→x0  x→x0



c) lim f (x) = lim− f (x).


x→x+
0 x→x0

Dunque,
(3.4) lim f (x) = lim f (x) = lim f (x).
x→x0 x→x+ x→x−
0 0
4. LEGAME TRA LIMITI DI FUNZIONI E LIMITI DI SUCCESSIONI 149

Dimostrazione. (⇒) Basta applicare il Teorema 8.7 con A = X ∩[x0 , +∞[ e con A = X∩ ]−∞, x0 ],
rispettivamente.
(⇐) Detto
L = lim+ f (x) = lim− f (x),
x→x0 x→x0

le (3.1) e (3.2) assicurano che in corrispondenza di ogni W ∈ I(L) esiste un numero


δ = min{δ1 , δ2 } > 0
tale che
(3.5) f (x) ∈ W per ogni x ∈ X, con 0 < |x − x0 | < δ.
In particolare, la (3.5) prova la (3.4). □

Esercizi 8.17. Utilizzando il Teorema 8.16,


(i) dimostrare che non esiste in x0 = 0 il limite della funzione
(
x
per x ̸= 0,
(3.6) f (x) = |x|
0 per x = 0;

(ii) dimostrare che in 0 non esiste il limite della funzione f (x) = x1 ;


(iii) dimostrare che in 0 non esiste il limite della funzione
(
2x + 1 per x ≤ 0,
f (x) =
x2 per x > 0;

(iv) determinare, se esistono, tutti e solo i numeri b ∈ R per i quali esiste il limite in 0 della funzione
(
2x + b per x ≤ 0,
f (x) =
x2 per x > 0.

4. Legame tra limiti di funzioni e limiti di successioni


4.1. Limiti di successioni. Per le successioni reali, la teoria dei limiti risulta molto semplificata
rispetto al caso generale delle funzioni reali di una variabile reale, in quanto N ammette un unico punto
di accumulazione, che è +∞ (cfr. Proposizione 7.23, pag. 131).
Assegnata una successione (xn )n∈N , xn ∈ R per ogni n ∈ N, può verificarsi una, ed una soltanto,
delle seguenti circostanze:
(i) (xn )n∈N non ammette limite, i.e.,
̸ ∃ lim xn ;
n→+∞

(ii) (xn )n∈N è convergente, i.e., esiste un numero l ∈ R tale che


lim xn = l;
n→+∞

(iii) (xn )n∈N diverge positivamente, i.e.,


lim xn = +∞;
n→+∞

(iv) (xn )n∈N diverge negativamente, i.e.,


lim xn = −∞.
n→+∞
150 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Convenzioni 8.18. (I) Una successione reale (xn )n∈N , con abuso di notazione, viene denotata con
la scrittura
(4.1) (xn )n∈N ⊂ R.
Tale scrittura non deve trarre in errore. Una successione reale è infatti una funzione reale definita in
N, e la (4.1) sta a significare che l’immagine di N tramite la successione è un sottoinsieme di R, i.e.,
(4.2) {xn : n ∈ N} ⊂ R.

(II) Assegnata una successione (xn )n∈N ⊂ R, essa è detta irregolare (o indeterminata) quando non
ammette limite, e regolare che ammette limite.
Per una successione regolare, alla scrittura lim xn = L, ove L ∈ R, viene sovente preferita una delle
n→+∞
sueguenti notazioni
xn → L o, equivalentemente, lim xn = L,
omettendo l’implicito che n → +∞, in quanto D∞ (N) = {+∞}.

Avvalendosi del Principio di buon ordine (cfr. Teorema 3.11, pag. 54), si dimostra che

Proposizione 8.19. Sia (xn )n∈N una successione reale. Allora

(4.3) xn → l, con l ∈ R, ⇐⇒ ∀ϵ > 0 ∃νϵ ∈ N tale che |xn − l| < ϵ per ogni n ≥ νϵ ;

(4.4) xn → +∞ ⇐⇒ ∀M > 0 ∃νM ∈ N tale che xn > M per ogni n ≥ νM ;

(4.5) xn → −∞ ⇐⇒ ∀M > 0 ∃νM ∈ N tale che xn < −M per ogni n ≥ νM .

4.2. Caratterizzazione dei punti di accumulazione in termini di successioni. I punti di


accumulazione per un insieme possono esser caratterizzati in termini di successioni. A tal fine, risultano
cruciali i risultati esposti nella Proposizione 7.45, pag. 138, e il procedimento iterativo introdotto nel
Cap. 3, § 3.2, pag. 59.

Proposizione 8.20. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Allora

∃ (xn )n∈N ⊂ X \ {x0 }, con xn ̸= xm per n ̸= m, tale che


(
(4.6) x0 ∈ D∞ (X) ⇐⇒
xn → x0 ;

∃ (xn )n∈N ⊂ X∩ ]x0 , +∞[ , con xn ̸= xm per n ̸= m, tale che


(
(4.7) x0 ∈ Ddx (X) ⇐⇒
xn → x0 ;

∃ (xn )n∈N ⊂ X∩ ] − ∞, x0 [ , con xn ̸= xm per n ̸= m, tale che


(
(4.8) x0 ∈ Dsx (X) ⇐⇒
xn → x0 .
Dimostrazione. Dimostrariamo la (4.7). Le dimostrazioni delle caratterizzazioni (4.6) e (4.8) si
ricavano procedendo in modo analogo.
(⇒) Sia x0 ∈ Ddx (X). Per ogni n ∈ N, l’insieme Un = x0 , x0 + n1 è un intorno destro di x0 , e la
 

successione (Un )n∈N è strettamente decrescente rispetto alla relazione d’ordine ⊆ sulla famiglia I+ (x0 ).
Alla luce della Proposizione 7.45, la successione
(
x1 ∈ X ∩ ]x0i
, x0 + 1[ ,
(4.9) 1
h 
xn+1 ∈ X ∩ x0 , x0 + n+1 \ {x1 , . . . , xn } per ogni n ∈ N,

risulta ben definita ricorsivamente. Per costruzione,


1
(4.10) |xn − x0 | = xn − x0 < per ogni n ∈ N.
n
5. DAL LIMITE ALLA FUNZIONE 151

La (4.10) –via la (iv) nel Teorema 3.15, pag. 55 – implica che


xn → x0 .
(⇐) Segue dalla definizione di limite di una successione e dalla (i) nella Proposizione 7.45. □
4.3. Teorema ponte. Combinando la Proposizione 8.20 con il teorema sui limiti di restrizioni (cfr.
Teorema 8.7, pag. 144) si determina un preciso legame tra limiti di funzioni e limiti di successioni,
denominato da alcuni autori ‘Teorema ponte’.
Teorema 8.21 (Teorema ponte). Sia f : X ⊆ R → R.
(i) Se x0 ∈ D∞ (X), allora
lim f (x) = L ∈ R ⇐⇒ f (xn ) → L per ogni (xn )n∈N ⊂ X \ {x0 } tale che xn → x0 .
x→x0

(ii) Se x0 ∈ Ddx (X), allora


lim f (x) = L ∈ R ⇐⇒ f (xn ) → L per ogni (xn )n∈N ⊂ X∩ ]x0 , +∞[ tale che xn → x0 .
x→x+
0

(iii) Se x0 ∈ Dsx (X), allora


lim f (x) = L ∈ R ⇐⇒ f (xn ) → L per ogni (xn )n∈N ⊂ X∩ ] − ∞, x0 [ tale che xn → x0 .
x→x−
0

Dimostrazione. (i) (⇒) Sia x0 ∈ D∞ (X). Per ogni successione (xn )n∈N , con xn ∈ X \ {x0 }, tale
che xn → x0 , il suo codominio
A = {xn : n ∈ N}
ammette x0 come punto d’accumulazione, i.e., x0 ∈ D∞ (A). La tesi segue pertanto dal Teorema 8.7.
(⇐) Si supponga, per assurdo, che
(4.11) lim f (x) ̸= L.
x→x0

La (4.11) sancisce l’esistenza di un intorno W di L ∈ R tale che per ogni intorno U ∈ I + (x0 ) esiste
almeno un elemento x̂ ∈ X ∩ (U \ {x0 }) tale che f (x̂) ∈
/ W.
Definito, per ogni n ∈ N, 
]n, +∞[
 se x0 = +∞,

x − 1,x + 1

Un = se x0 ∈ R,
 0 n 0 n

] − ∞, −n[ se x0 = −∞,

esiste almeno un elemento


x̂n ∈ X ∩ (U \ {x0 }) tale che f (x̂n ) ∈
/ W.
Risulta quindi determinata una successione (x̂n )n∈N , con x̂n ∈ X∩ ]x0 , +∞[, tale che
x̂n → x0 e f (x̂n ) ̸→ L,
il che contraddice l’ipotesi.
Le dimostrazioni delle (i) e (iii) si ottengono procedendo in modo analogo. □

5. Dal limite alla funzione


Nella (I) delle Osservazioni 8.5, pag. 142, è stato enfatizzato, per una funzione f : X ⊆ R → R,
l’esistenza del limite della funzione f in un punto x0 ∈ D∞ (X) non è una condizione necessariamente
verificata.
Nel presente paragrafo viene posto in risalto che l’esistenza del limite di una funzione f in un punto
x0 ∈ D∞ (X) fornisce informazioni sul comportamento della funzione f ‘vicino’ ad esso. Le informazioni
sono però confinate ad un certo ‘intorno di x0 ’, in piena conformità con la natura locale, e non globale,
del concetto di limite, evidenziata nel § 2, pag. 146.
I risultati esposti avranno pertanto come ipotesi la condizione di esistenza del limite per le funzioni
assegnate in un punto di accumulazione del loro dominio di definizione.
152 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Il primo analizza il caso di limite finito, i.e., il caso di convergenza per la funzione f in x0 ∈
D∞ (domf ), rimandando i casi di divergenza positiva e negativa alle Proposizioni 8.26 e 8.27, rispet-
tivamente.

Teorema 8.22 (Locale limitatezza di funzioni convergenti). Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).


Se
(5.1) ∃ lim f (x) e lim f (x) ∈ R,
x→x0 x→x0

allora esistono un intorno U ∈ I(x0 ) ed un numero M ∈ R+ tali che


(5.2) |f (x)| < M per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).
Dimostrazione. Detto
l = lim f (x),
x→x0

le (5.1) assicurano che, in corrispondenza di ϵ = 1, esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che |f (x) − l| < 1 per
ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).
Di qui, per la (vii) nella Proposizione 2.22, pag. 46,

|f (x)| − |l| ≤ |f (x) − l| < 1 per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).

La (5.2) si ottiene allora definendo, ad esempio, M = 1 + |l|. □

Osservazione 8.23. Il Teorema 8.22 non è invertibile, i.e., la limitatezza di una funzione intorno ad
un suo punto di accumulazione non garantisce l’esistenza del limite della funzione in quel punto (cfr. (I)
e (II) negli Esempi 8.9, pag. 145).

Il Teorema 8.22 garantisce una limitatezza locale, non globale, di una funzione convergente. La
funzione IR è, ad esempio, localmente limitata in R, ma non è globalmente limitata.
Il risultato espresso dal Teorema 8.22 ha però valenza globale per le successioni reali, in virtù del
Teorema 3.26, pag. 60.

Corollario 8.24 (Globale limitatezza di successioni convergenti). Ogni successione reale conver-
gente è limitata.
Dimostrazione. Sia (xn )n∈N ⊂ R tale che
(5.3) ∃ lim xn e lim xn = l ∈ R.
n→+∞ n→+∞

Dal Teorema 8.22 segue che esistono νU ∈ N –ove


νU = min N ∩ U
R

(che esiste per il Teorema 3.11, pag. 54)– ed M ∈ R+ tali che


(5.4) |xn | < M per ogni n ∈ N, con n > νU .
Detto
M0 = max{|x1 |, · · · , |xνU |}
R
(l’esistenza del massimo M0 è garantita dal Teorema 3.26, pag. 60), dalla (5.4) si deduce quindi che
|xn | ≤ max{M, M0 } per ogni n ∈ N,
ossia la limitatezza globale della successione assegnata. □

Osservazione 8.25. In analogia con l’Osservazione


 8.23, si rileva che il Corollario 8.24 non è
invertibile. Ad esempio, la successione (−1)n n∈N è limitata ed indeterminata.

Applicando la Definizione 8.3, si ottengono immediatamente i seguenti due risultati.


5. DAL LIMITE ALLA FUNZIONE 153

Proposizione 8.26. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).


Se
(5.5) ∃ lim f (x) e lim f (x) = +∞,
x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


(5.6) sup f (x) = +∞ e inf f (x) ∈ R,
X∩U X∩U

i.e., f è limitata inferiormente ma non superiormente in X ∩ U .

Proposizione 8.27. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).


Se

(5.7) ∃ lim f (x) e lim f (x) = −∞,


x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


(5.8) inf f (x) = −∞ e sup f (x) ∈ R,
X∩U X∩U

i.e., f è limitata superiormente ma non inferiormente in X ∩ U .

Assegnate ora due funzioni f e g, i cui domini di definizione abbiano ad intersezione un sottoinsieme
X di R che ammette un punto x0 ∈ R come punto di accumulazione, il prossimo risultato evidenzia che la
circostanza che nel punto x0 entrambe le funzioni ammettano limite ma tali limiti siano diversi garantisce
informazioni del comportamento dei loro grafici ‘vicino’ al punto x0 .

Teorema 8.28 (Teorema del confronto). Siano f, g : X ⊆ R → R, e x0 ∈ D∞ (X).


Se
(5.9) ∃ lim f (x) e ∃ lim g(x),
x→x0 x→x0
e
(5.10) lim f (x) < lim g(x),
x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


(5.11) f (x) < g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).
Dimostrazione. Denotati con Lf ed Lg i limiti in x0 delle funzioni f e g, rispettivamente, dalla
(5.10) unitamente alla Proposizione 7.7, si deduce l’esistenza un numero c ∈ R tale che
Lf < c < Lg .
Detti
(5.12) W1 = ] − ∞, c[ e W2 = ]c, +∞[
evidentemente
W1 ∈ I(Lf ), W2 ∈ I(Lg ) e W1 ∩ W2 = ∅.
Applicando la definizione (0.1), esistono allora due intorni U1 , U2 ∈ I(x0 ) tali che
(5.13) f (x) ∈ W1 per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 })
(5.14) g(x̄) ∈ W2 per ogni x̄ ∈ X ∩ (U2 \ {x0 }).
Per le Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6, l’insieme U = U1 ∩ U2 è un intorno di x0 , i.e. U ∈ I(x0 ). Per la (5.12),
le (5.13) e (5.14) assicurano che
f (x) < c < g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
il che prova la (5.11). □
154 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Osservazione 8.29. L’ipotesi (5.10) del Teorema 8.28 non può essere indebolita alla forma
(5.15) lim f (x) ≤ lim g(x).
x→x0 x→x0

Nell’ipotesi (5.15) infatti la tesi del teorema (cfr. (5.11)) non sarebbe più necessariamente vera, anche
essendo disposti ad accettare una stima debole del tipo
f (x) ≤ g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).
A mo’ di esempio, si considerino le funzioni f (x) = x e g(x) = −x, ed il loro comportamento vicino al
punto x0 = 0.
Ricordando che ogni funzione costante ammette limite in ogni punto di R uguale alla costante stessa,
dal teorema del confronto si deduce il
Corollario 8.30. Sia h : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se la funzione h ammette limite in x0 e
(5.16) lim h(x) < c per qualche c ∈ R [risp. lim h(x) > c per qualche c ∈ R]
x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


h(x) < c per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }) [risp. h(x) > c per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 })].
Dimostrazione. Basta applicare il Teorema 8.28 con f = h e g = c 1X [risp. con f = c 1X e
g = h]. □
Nel caso c = 0, il Corollario 8.30 è noto come ‘Teorema di permanenza del segno’ in quanto assicura
l’esistenza di un intorno del punto x0 in cui una funzione, che ammette limite ma non è infinitesima,
conserva lo stesso segno del suo limite in x0 .
Teorema 8.31 (permanenza del segno). Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se la funzione f ammette limite in x0 e
(5.17) lim f (x) < 0 [risp. lim f (x) > 0]
x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


f (x) < 0 per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }) [risp. f (x) > 0 per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 })].
Il Teorema 8.31 consente di stabilire la seguente condizione sufficiente affinché una funzione sia
infinitesima in un punto di accumulazione del suo dominio di definizione.
Corollario 8.32. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se la funzione f ammette limite in x0 e
per ogni U ∈ I(x0 ) esistono x1 , x2 ∈ X ∩ (U \ {x0 }), con x1 ̸= x2 , tali che
(5.18)
f (x1 ) ≤ 0 e f (x2 ) ≥ 0,
allora
(5.19) lim f (x) = 0.
x→x0

Dimostrazione. Argomentando per assurdo, si supponga che la (5.19) sia falsa, i.e.,
lim f (x) ̸= 0.
x→x0

Per il Teorema 8.31 esiste quindi un intorno V ∈ I(x0 ) tale che su X ∩ (V \ {x0 }) la funzione conserva lo
stesso segno del limite. Ciò chiaramente contraddice la (5.18), e dimostra la veridicità della (5.19) . □
Avvalendosi della convenzione | + ∞| = | − ∞| = +∞, si prova ora
Teorema 8.33. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
(i) Se f ammette limite L ∈ R in x0 , allora la funzione |f | ha limite in x0 , uguale a |L|, i.e.,
(5.20) lim f (x) = L =⇒ lim |f (x)| = |L|.
x→x0 x→x0
6. DALLA FUNZIONE AL LIMITE 155

(ii) f è infinitesima in x0 se, e soltanto se, la funzione |f | è infinitesima in x0 , i.e.,


(5.21) lim f (x) = 0 ⇐⇒ lim |f (x)| = 0.
x→x0 x→x0

Dimostrazione. (i) Se L ∈ R, la tesi segue dalle (0.8)–(0.10), pagg. 142–143, una volta osservato
che
|f (x)| − |L| ≤ |f (x) − L| per ogni x ∈ X
in virtù della (vii) nella Proposizione 2.22, pag. 46.
Se L = −∞, per ogni M ∈ R+ esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che f (x) < −M per ogni x ∈ X∩(U \{x0 }).
Pertanto, per ogni M ∈ R+ esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che |f (x)| = −f (x) > M per ogni
x ∈ X ∩ (U \ {x0 }), ossia la tesi.
Se infine L = +∞, per ogni M ∈ R+ esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che |f (x)| = f (x) > M per ogni
x ∈ X ∩ (U \ {x0 }), ossia la tesi.
(ii) Ovvia. □

Osservazione 8.34. Il risultato (i) nel Teorema 8.33 non è invertibile, a meno che la funzione f non
sia infinitesima in x0 , i.e., L = 0, come evidenziato dalla (ii). Basti pensare alla funzione
(
x
per x ̸= 0,
f (x) = |x|
0 per x = 0;
e considerare x0 = 0. Si ha infatti che
(5.22) lim |f (x)| = 1 e ̸ ∃ lim f (x).
x→0 x→0

Di immediata dimostrazione, è il prossimo risultato, che fornisce qualche informazione maggiore


rispetto al Teorema 8.31.

Corollario 8.35. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).


Se f converge in x0 e
(5.23) lim f (x) = l < 0 [risp. lim f (x) = l > 0]
x→x0 x→x0

allora esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che


l h l i
f (x) < per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }) risp. f (x) > per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }) .
2 2
Dimostrazione. Se f converge in x0 e lim f (x) = l < 0, applicando la definizione di limite in
x→x0
corrispondenza di ϵ = − 2l esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che |f (x)−l| < − 2l per ogni x ∈ X ∩(U \{x0 }).
Pertanto, esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che 32 l < f (x) < 2l per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }), e quindi la
tesi.
Analogamente, se f converge in x0 e lim f (x) = l > 0, applicando la definizione di limite in corrispon-
x→x0
denza di ϵ = 2l esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che |f (x) − l| < 2l per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }). Pertanto,
esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che 2l < f (x) < 23 l per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }), e quindi la tesi. □

6. Dalla funzione al limite


La nozione di limite introdotta per funzioni reali ha un buon comportamento rispetto alla relazione
d’ordine ≤ di R.
Teorema 8.36 (monotònia dell’operazione di limite). Siano f, g : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che
(6.1) f (x) ≤ g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
e
(6.2) ∃ lim f (x) e ∃ lim g(x),
x→x0 x→x0
156 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

allora
(6.3) lim f (x) ≤ lim g(x).
x→x0 x→x0

Dimostrazione. Si supponga, per assurdo, che la (6.3) sia falsa. Per la tricotomia della relazione
d’ordine di R, ciò significa supporre che
(6.4) lim f (x) > lim g(x).
x→x0 x→x0

La (6.4) –via il Teorema 8.28, pag. 153– implica l’esistenza di un intorno U1 ∈ I(x0 ) tale che
(6.5) f (x) > g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
Combinando le (6.1) e (6.5) si perviene però ad una contraddizione. Infatti, essendo x0 ∈ D∞ (X), nell’in-
torno U ∩U1 di x0 esiste almeno un punto x̃ ∈ X ∩ (U ∩U1 )\{x0 } in cui si verifica contemporaneamente
che f (x̃) > g(x̃) e f (x̃) ≤ g(x̃), in contraddizione con la legge di tricotomia.
Ciò prova la veridicità della (6.3). □

Osservazioni 8.37. (I) Qualora la condizione (6.1) nel Teorema 8.36 sia verificata da due funzioni
f e g in modo stretto, ossia
f <g in X ∩ (U \ {x0 }),
ferme restando le altre ipotesi, la stima nella (6.3) non è necessariamente anch’essa stretta.
A mo’ di esempio, si considerino le funzioni f (x) = −x2 e g(x) = x2 , ed il punto x0 = 0.
(II) Il Teorema 8.36 garantisce che l’operazione di passaggio al limite in un punto, nella famiglia delle
funzioni che ammettono limite in tale punto, è crescente (ma non strettamente crescente).
Dal Teorema 8.36 si deducono immediatamente i primi due risultati di esistenza del limite.
Corollario 8.38. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X) tali che
(6.6) f (x) ≤ g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
per qualche U ∈ I(x0 ).
(i) Se la funzione f diverge positivamente in x0 , allora esiste il limite della funzione g in x0 ed è
+∞, i.e.,
(6.7) lim f (x) = +∞ =⇒ lim g(x) = +∞.
x→x0 x→x0

(ii) Se la funzione g diverge negativamente in x0 , allora esiste il limite della funzione f in x0 ed è


−∞, i.e.,
(6.8) lim g(x) = −∞ =⇒ lim f (x) = −∞.
x→x0 x→x0

Dimostrazione. (i) Occorre provare che


(6.9) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che g(x) > M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Assegnato M > 0 arbitrariamente, in quanto lim f (x) = +∞, esiste un intorno U1 di x0 tale che
x→x0

(6.10) f (x) > M per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).


Le (6.10) e (6.7) consentono di determinare, in corrispondenza di M > 0, l’esistenza di un intorno
Ũ = U ∩ U1 di x0 tale che
g(x) ≥ f (x) > M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per la transitività della relazione d’ordine, risulta provata la (6.9).
(ii) Occorre provare che
(6.11) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x) < −M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Assegnato M > 0 arbitrariamente, in quanto lim g(x) = −∞, esiste un intorno U1 di x0 tale che
x→x0

(6.12) g(x) < −M per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).


6. DALLA FUNZIONE AL LIMITE 157

Le (6.12) e (6.7) consentono di determinare, in corrispondenza di M > 0, l’esistenza di un intorno


Ũ = U ∩ U1 di x0 tale che
f (x) ≤ g(x) < −M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per la transitività della relazione d’ordine, risulta provata la (6.11). □
Teorema 8.39 (dei due carabinieri). Siano f, g, h : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se
(i) esiste un intorno U ∈ I(x0 ) tale che
(6.13) f (x) ≤ h(x) ≤ g(x) per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
(ii) le funzioni f ed g convergono in x0 , e
lim f (x) = lim g(x),
x→x0 x→x0

allora esiste il limite della funzione h in x0 e

lim h(x) = lim f (x) = lim g(x).


x→x0 x→x0 x→x0

Dimostrazione. Detto
l = lim f (x) = lim g(x),
x→x0 x→x0
occorre provare che
(6.14) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che |h(x) − l| < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per l’ipotesi (ii), assegnato ϵ > 0 arbitrariamente, esistono due intorni U1 e U2 di x0 tali che
|f (x) − l| < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }),
(6.15)
|g(x) − l| < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (U2 \ {x0 }).
Combinando le (6.15) e (6.13), si perviene pertanto alla determinazione, in corrispondenza di ϵ > 0,
dell’esistenza di un intorno Ũ = U ∩ U1 ∩ U2 di x0 tale che
l − ϵ < f (x) ≤ h(x) ≤ g(x) < l + ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per la transitività della relazione d’ordine, risulta provata la (6.14). □
Dal Teorema 8.39 segue in particolare che
Corollario 8.40. Sia h : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se esistono un intorno U ∈ I(x0 ) ed una funzione g : X ∩ (U \ {x0 }) → R tali che
(i) |h(x)| ≤ |g(x)| per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
(ii) lim g(x) = 0,
x→x0

allora la funzione h ammette limite in x0 e


lim h(x) = 0.
x→x0

Dimostrazione. Basta applicare il Teorema 8.39 con f = −|g| e con |g| in luogo di g, tenendo conto
della (ii) nel Teorema 8.39. □
Di qui, si ricava il seguente risultato, molto utile per il calcolo di alcuni limiti
Corollario 8.41. Sia h : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se esistono un intorno U ∈ I(x0 ) e due funzioni ψ, ω : X ∩ (U \ {x0 }) → R tali che
(i) h = ψ · ω in X ∩ (U \ {x0 }),
(ii) ψ è limitata in X ∩ (U \ {x0 }), i.e.,
esiste M ∈ R+ tale che |ψ(x)| ≤ M per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }),
(iii) lim ω(x) = 0,
x→x0
158 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

allora la funzione h ammette limite in x0 e


lim h(x) = 0.
x→x0

Dimostrazione. Per il Teorema 8.11, pag. 146, la tesi discende immediatamente applicando il Co-
rollario 8.40, con g = M ω. Tale funzione è infinitesima in x0 . Infatti, per ogni ϵ > 0 l’ipotesi (iii) assicura
l’esistenza di un intorno U1 di x0 , con U1 ⊆ U , tale che
ϵ
|ω(x)| < per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }),
M
i.e.,
|g(x)| = |M ω(x)| < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }). □

Due significativi esempi di applicazione del Teorema 8.39 e del Corollario 8.41 sono riportati di
seguito.

Esempio 8.42.
sin x
(6.16) lim = 1.
x→0 x

La funzione
sin x
(6.17) ϕ(x) =
x

è definita in R \ {0}, e 0 ∈ Dsx (R \ {0}) ∩ Ddx (R \ {0}).


Per il Teorema 8.11, pag. 146, è sufficiente trattare
 il problema dell’esistenza del limite della funzione
ψ in 0 restringendo l’attenzione al solo intorno U = − π2 , π2 di 0.


Avvalendosi del Teorema 8.16, pag. 148, ed osservando che la funzione ϕ è pari e tale permane
restringendosi ad U , il problema dell’esistenza del limite della funzione ϕ in 0 si traduce nel problema
dell’esistenza del limite destro in 0 della funzione
sin x i πh
h(x) = per x ∈ 0, ,
x 2
i.e., h = ϕ|]0, π [ .
2
In quanto
i πh
sin x < x < tan x per ogni x ∈ 0, ,
2
allora
i πh
(6.18) cos x < h(x) < 1 per ogni x ∈ 0, .
2
La stima (6.18) ed i limiti (1) e (3) negli Esercizi 8.6 consentono di applicare il Teorema 8.39 con
X = ]0, π2 [, f (x) = cos x e g(x) = 1, ottenendo che
lim h(x) = 1.
x→0+

Si conclude dunque che esiste il limite della funzione ϕ in 0, ed è 1, i.e., la veridicità della (6.16).

Esempio 8.43.
sin x sin x
(6.19) lim =0 e lim = 0.
x→−∞ x x→+∞ x

La funzione (6.17) è definita in R \ {0}, e −∞, +∞ ∈ D∞ (R \ {0}). Ha senso chiedersi se esista il limite
della funzione (6.17) a −∞ e +∞.
Poiché | sin x| ≤ 1 per ogni x ∈ R e la funzione x1 è infinitesima a −∞ e +∞ (cfr. (7) e (8) negli
Esercizi 8.6), i limiti in (6.19) si deducono dal Corollario 8.41.
7. LIMITI DI FUNZIONI MONOTÒNE 159

Esempio 8.44.
 
1
(6.20) lim x sin = 0.
x→0 x

La funzione (6.17) è definita in R \ {0}, e 0 ∈ D(R \ {0}). Ha senso chiedersi se esista il limite della
funzione (6.17) in 0.
Poiché | sin y| ≤ 1 per ogni y ∈ R e la funzione IR è infinitesima in 0, il limite (6.20) si deduce dal
Corollario 8.41.
Esercizi 8.45. Utilizzando il Corollario 8.41, dimostrare che

1 + 127500 cos x
(1) lim = 0,
x→+∞ x

3 + arctan x
(2) lim = 0.
x→−∞ x2

7. Limiti di funzioni monotòne


Le funzioni monotòne rivestono un ruolo primario nella teoria dei limiti per funzioni reali di una
variabile reale. Esse ammettono, infatti, sempre limite sinistro in ogni punto di accumulazione a sinistra
del loro dominio di definizione e sempre limite destro in ogni punto di accumulazione a destro del loro
dominio di definizione.
Si faccia però attenzione. Alla luce del Teorema 8.16, ciò non vuol dire che in un punto di accumu-
lazione tanto a destra quanto a sinistra del loro dominio di definizione una funzione monotòna ammetta
limite (cfr., in particolare, il Corollario 8.57, pag. 163).
Teorema 8.46 (Esistenza del limite a +∞ ∈ D∞ (domf ), con f monotòna).
Sia f : X ⊆ R → R, e sia +∞ ∈ D∞ (X).

(i) Se la funzione f è crescente in X∩ ]r, +∞[ per qualche r > 0, allora esiste il limite delle funzione f
a +∞ e

lim f (x) = sup f (x).


x→+∞ x∈X∩ ]r,+∞[

(ii) Se la funzione f è decrescente in X∩ ]r, +∞[ per qualche r > 0, allora esiste il limite delle funzione
f a +∞ e

lim f (x) = inf f (x).


x→+∞ x∈X∩ ]r,+∞[

Dimostrazione. (i) L’insieme X∩ ]r, +∞[ è non vuoto, poiché +∞ ∈ D∞ (X). Pertanto,
(7.1) {f (x) : X∩ ]r, +∞[} =
̸ ∅,
e la completezza di R, unitamente alla notazione per sottoinsiemi non limitati superiormente in R,
assicurano che
(7.2) ∃ sup f (x) e sup f (x) ∈ ] − ∞, +∞].
x∈X∩ ]r,+∞[ x∈X∩ ]r,+∞[

Detto
Λ= sup f
X∩ ]r,+∞[
si distinguono i seguenti due casi: Λ ∈ R e Λ = +∞.
Caso Λ ∈ R. Per ogni ϵ ∈ R+ esiste almeno un elemento xϵ ∈ X∩ ]r, +∞[ tale che
Λ − ϵ < f (xϵ ) ≤ Λ.
Essendo la funzione f crescente in X∩ ]r, +∞[, si ha pertanto che per ogni ϵ ∈ R+ esiste almeno un
elemento xϵ ∈ X∩ ]r, +∞[ tale che
Λ − ϵ < f (xϵ ) ≤ f (x) ≤ Λ per ogni x ∈ X∩ ]xϵ , +∞[.
160 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Da cui, per la (0.9) pag. 143, segue la tesi.


Caso Λ = +∞. Per ogni M ∈ R+ esiste almeno un elemento xM ∈ X∩ ]r, +∞[ tale che
f (xM ) > M.
Essendo f crescente in X∩ ]r, +∞[, si ha pertanto che per ogni M ∈ R+ esiste almeno un elemento
xM ∈ X∩ ]r, +∞[ tale che
f (x) ≥ f (xM ) > M per ogni x ∈ X∩ ]xM , +∞[.
Da cui, per la (0.13) pag. 143, segue la tesi.
(ii) La dimostrazione è analoga a quella del caso (i), ma occorre far uso delle proprietà dell’estremo
inferiore di un insieme numerico. □

Teorema 8.47 (Esistenza del limite sinistro in x0 ∈ Dsx (domf ) per f monotòna).
Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Dsx (X).

(i) Se la funzione f è crescente in X∩ ]x0 − δ, x0 [ per qualche δ > 0, allora esiste il limite sinistro di f
in x0 e
lim− f (x) = sup f (x).
x→x0 x∈X∩ ]x0 −δ,x0 [
Inoltre, se x0 ∈ X ∩ Dsx (X),
lim f (x) ≤ f (x0 ).
x→x−
0

(ii) Se la funzione f è decrescente in X∩ ]x0 − δ, x0 [ per qualche δ > 0, allora esiste il limite sinistro di
f in x0 e
lim f (x) = inf f (x).
x→x−
0
x∈X∩ ]x0 −δ,x0 [

Inoltre, se x0 ∈ X ∩ Dsx (X),


lim f (x) ≥ f (x0 ).
x→x−
0

Dimostrazione. (i) L’insieme X∩ ]x0 −δ, x0 [ è non vuoto, poiché x0 ∈ Dsx (X). Conseguentemente,
{f (x) : X∩ ]x0 − δ, x0 [} =
̸ ∅.
La completezza di R, unitamente alla notazione per sottoinsiemi non limitati superiormente in R, assicu-
rano che
(7.3) esiste sup f (x) e sup f (x) ∈ ] − ∞, +∞].
x∈X∩ ]x0 −δ,x0 [ x∈X∩ ]x0 −δ,x0 [

Avvalendosi della notazione


Λ= sup f (x),
x∈X∩ ]x0 −δ,x0 [
occorre distinguere i seguenti due casi: Λ ∈ R e Λ = +∞.
Caso Λ ∈ R. Per ogni ϵ ∈ R+ esiste almeno un elemento xϵ ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [ tale che
Λ − ϵ < f (xϵ ) ≤ Λ.
Essendo la funzione f crescente in X∩ ]x0 − δ, x0 [, si ha pertanto che per ogni ϵ ∈ R+ esiste almeno un
elemento xϵ ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [ tale che
Λ − ϵ < f (xϵ ) ≤ f (x) ≤ Λ per ogni x ∈ X∩ ]xϵ , x0 [.
Da cui, per la (0.8) pag. 142, segue la tesi.
Caso Λ = +∞. Per ogni M ∈ R+ esiste almeno un elemento xM ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [ tale che
f (xM ) > M.
Essendo la funzione f crescente in X∩ ]x0 − δ, x0 [, si ha pertanto che per ogni M ∈ R+ esiste almeno un
elemento xM ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [ tale che
f (x) ≥ f (xM ) > M per ogni x ∈ X∩ ]xM , x0 [.
Da cui, per la (0.11) pag. 143, segue la tesi.
7. LIMITI DI FUNZIONI MONOTÒNE 161

(ii) La dimostrazione è analoga a quella del caso (i), ma occorre far uso delle proprietà dell’estremo
inferiore di un insieme numerico. □
Combinando il Teorema 8.46 con il Teorema 8.7 pag. 144 ed il Teorema 8.21 pag. 151 si deduce che
Corollario 8.48. Sia f : X ⊆ R → R, con +∞ ∈ D∞ (X).
Se
(7.4) f monotona in X∩ ]r, +∞[ per qualche r > 0,
allora le seguente condizioni sono equivalenti:
(i) lim f (x) = L, con L ∈ R;
x→+∞
(ii) esiste una successione (xn )n∈N ⊂ X tale che
(7.5) xn → +∞ e f (xn ) → L.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Segue dal Teorema 8.21.
(ii)⇒(i) Il Teorema 8.46 assicura l’esistenza del limite L ∈ R. La tesi pertanto segue dall’ipotesi (ii) via
il Teorema 8.7. □
Osservazione 8.49. Se non è verifica la condizione (7.4), l’equivalenza non sussiste, e permane solo
la veridicità dell’implicazione (i)⇒(ii) garantita dal Teorema 8.7 pag. 144. Basti pensare alle funzioni
coseno, seno e tangente, che non sono monotone in nessun intorno di +∞. Esse non ammettono  limite
a +∞ (cfr. Esempi 8.9, pag.145). Eppure se si considera ad esempio la successione π4 + 2nπ n∈N , essa
diverge positivamente ed inoltre
π  π  √2 π 
cos + 2nπ = sin + 2nπ = e tan + 2nπ = 1 per ogni n ∈ N.
4 4 2 4
Analogamente, avvalendosi del Teorema 8.47 e dei Teoremi 8.7 e 8.21, si deduce che
Corollario 8.50. Sia f : X ⊆ R → R, con x0 ∈ Dsx (X).
Se
f monotona in X∩ ]x0 − δ, x0 [ per qualche δ > 0,
allora le seguente condizioni sono equivalenti:
(i) lim f (x) = L, con L ∈ R;
x→x−
0

(ii) esiste una successione (xn )n∈N ⊂ X∩ ] − ∞, x0 [ tale che


(7.6) xn → x0 e f (xn ) → L.

Esempio 8.51.
(7.7) lim ex = +∞.
x→+∞

La funzione esponenziale di base naturale è strettamente crescente in R, pertanto ammette limite a +∞.
La successione (n)n∈N diverge positivamente e la successione (en )n∈N diverge anch’essa positivamente.
Basta, infatti, far uso della monotonia dell’operazione di limite (precisamente della (6.7), pag. 156) una
volta osservato che, per la disuguaglianza di Bernoulli (cfr. Proposizione 3.33, pag. 64),
en ≥ n per ogni n ∈ N.
La (7.7) segue pertanto dal Corollario 8.48.
Con argomentazioni analoghe a quelle utilizzate nella dimostrazione dei Teoremi 8.46 e 8.47, si
dimostra
Teorema 8.52 (Esistenza del limite a −∞ ∈ D∞ (domf ), con f monotòna).
Sia f : X ⊆ R → R, e sia −∞ ∈ D∞ (X).

(i) Se la funzione f è crescente in X∩ ] − ∞, −r[ per qualche r > 0, allora esiste il limite di f a −∞ e
lim f (x) = inf f (x).
x→−∞ x∈X∩ ]−∞,−r[
162 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(ii) Se la funzione f è decrescente in X∩ ] − ∞, −r[ per qualche r > 0, allora esiste il limite di f a −∞
e
lim f (x) = sup f (x).
x→−∞ x∈X∩ ]−∞,−r[

Teorema 8.53 (Esistenza del limite destro in x0 ∈ Ddx (domf ) per f monotòna).
Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Ddx (X).

(i) Se la funzione f è crescente in X∩ ]x0 , x0 + δ[ per qualche δ > 0, allora esiste il limite destro di f in
x0 e
lim+ f (x) = inf f (x).
x→x0 x∈X∩ ]x0 ,x0 +δ[

Inoltre, se x0 ∈ X ∩ Ddx (X),


f (x0 ) ≤ lim f (x).
x→x+
0

(ii) Se la funzione f è decrescente in X∩ ]x0 , x0 + δ[ per qualche δ > 0, allora esiste il limite destro di f
in x0 e
lim+ f (x) = sup f (x).
x→x0 x∈X∩ ]x0 ,x0 +δ[

Inoltre, se x0 ∈ X ∩ Ddx (X),


f (x0 ) ≥ lim f (x).
x→x+
0

Combinando il Teorema 8.52 con il Teorema 8.7 e con il Teorema 8.21 si deduce che
Corollario 8.54. Sia f : X ⊆ R → R, con −∞ ∈ D∞ (X).
Se
(7.8) f monotona in X∩ ] − ∞, −r[ per qualche r > 0,
allora le seguente condizioni sono equivalenti:
(i) lim f (x) = L, con L ∈ R;
x→−∞
(ii) esiste una successione (xn )n∈N ⊂ X tale che
(7.9) xn → −∞ e f (xn ) → L.
Osservazione 8.55. Se non è verifica la condizione (7.8), l’equivalenza non sussiste, e permane solo
la veridicità dell’implicazione (i)⇒(ii) garantita dal Teorema 8.7 pag. 144. Basti pensare alle funzioni
coseno, seno e tangente, che non sono monotone in nessun intorno di −∞. Esse non ammettono  limite
a −∞ (cfr. Esempi 8.9, pag.145). Eppure se si considera ad esempio la successione π4 − 2nπ n∈N , essa
diverge negativamente ed inoltre
π  π  √2 π 
cos − 2nπ = sin − 2nπ = e tan − 2nπ = 1 per ogni n ∈ N.
4 4 2 4
Combinando il Teorema 8.53 con il Teorema 8.7 e con il Teorema 8.21 si deduce che
Corollario 8.56. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ Ddx (X). Se
f monotona in X∩ ]x0 , x0 + δ[ per qualche δ > 0,
allora le seguente condizioni sono equivalenti:
(i) lim f (x) = L, con L ∈ R;
x→x+
0

(ii) esiste una successione (xn )n∈N ⊂ X∩ ]x0 , +∞[ tale che
(7.10) xn → x0 e f (xn ) → L.

Alla luce dei Corollari 8.50 e 8.56 e del Teorema 8.16 si deduce pertanto ogni funzione monotòna su
un intervallo ammette limite in un punto interno dell’intervallo se, e soltanto se, la funzione è continua
in tale punto (cfr. (II) delle Osservazioni 8.5, pag. 142).
8. LIMITI DI FUNZIONI COMPOSTE 163

Corollario 8.57. Se f una funzione reale monotòna su un intervallo (a, b), allora
f ammette limite in x0 ∈ ]a, b[ ⇐⇒ lim f (x) = f (x0 ).
x→x0

8. Limiti di funzioni composte


Nel presente paragrafo, si espongono condizioni sufficienti affinché una funzione composta ammetta
limite in un punto di accumulazione del suo dominio di definizione.
Teorema 8.58 (Limiti di funzioni composte). Siano f : X ⊆ R → R e g : Y ⊆ R → R tali che
f (X) ⊆ Y.
Se
(i) x0 ∈ D∞ (X) e
(8.1) lim f (x) = y0 ∈ R,
x→x0

(ii) quando y0 ∈ R, esiste un intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che


(8.2) f (x) ̸= y0 per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }),

(iii) lim g(y) = Lg ∈ R,


y→y0

allora

(8.3) g ◦ f ammette limite in x0 , e lim g ◦ f (x) = lim g(y) = Lg .
x→x0 y→yo

Dimostrazione. Si osserva in primis che


(8.4) y0 ∈ D∞ (f (X)) ⊆ D∞ (Y ),
e che quindi l’ipotesi (iii) è ben posta.
A tal fine, va rilevato che la (8.1) assicura che
(8.5) ∀V ∈ I(yo ) ∃U ∈ I(x0 ) tale che f (x) ∈ V per ogni x ∈ X ∩ (U \ {x0 }).
Se y0 ∈ {−∞, +∞}, in quanto yo non appartiene a nessuno dei suoi intorni, si ha allora che
(8.6) ∀V ∈ I(yo ) f (X) ∩ (V \ {yo }) = f (X) ∩ V ̸= ∅,
e quindi la veridicità della (8.4) in questo caso.
Se invece y0 ∈ R, esso appartiene ad ogni suo intorno V ∈ I(yo ). Detto Ũ = U ∩ U0 , con U0 ∈ I(x0 )
dell’ipotesi (ii), la (i) nella Proposizione 7.2 pag. 126 assicura che Ũ ∈ I(x0 ) e, per la (8.5), si ha allora
che
(8.7) ∀V ∈ I(yo ) ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x) ∈ V \ {yo } per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Conseguentemente,
(8.8) ∀V ∈ I(yo ) f (X) ∩ (V \ {yo }) ̸= ∅,
e quindi la veridicità della (8.4) anche in questo caso.
L’ipotesi (iii) è pertanto ben posta, ed equivale ad affermare che
(8.9) ∀W ∈ I(Lg ) ∃V1 ∈ I(yo ) tale che g(y) ∈ W per ogni y ∈ X ∩ (V1 \ {yo }).
Per la (i), in corrispondenza di V1 ∈ I(yo )
(8.10) esiste U1 ∈ I(x0 ) tale che f (x) ∈ V1 per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
Di qui, per la (ii),
(8.11) esiste Ũ1 = U1 ∩ U0 ∈ I(x0 ) tale che f (x) ∈ V1 \ {yo } per ogni x ∈ X ∩ (Ũ1 \ {x0 }).
Dalle (8.9) e (8.11) si deduce dunque che
∀W ∈ I(Lg ) ∃Ũ1 ∈ I(x0 ) tale che g(f (x)) ∈ W per ogni x ∈ X ∩ (Ũ1 \ {x0 }),
i.e., la (8.3). □
164 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Bisogna prestare attenzione nell’utilizzo del precedente teorema, i.e., bisogna verificare con attenzione
che tutte le ipotesi risultino verificate dalle funzioni in esame, come evidenziato dai seguenti

Esempi 8.59. (I) Siano



f (x) = −x2 e g(y) = y.
Il problema
(8.12) lim g(f (x))
x→0

non è ben posto.


Infatti, il dominio X della funzione composta g ◦ f è l’insieme {0}.
(II) Siano
(
1 se y = 0,
 
1
f (x) = x sin e g(y) =
x 0 se y ̸= 0.
Allora
(8.13) ̸ ∃ lim g(f (x)) .
x→0

Infatti, il dominio X della funzione composta g ◦ f è l’insieme R \ {0}. Sono verificate le ipotesi (i) e
(iii) nel Teorema 8.58, in quanto
(i) 0 ∈ D(X) e lim f (x) = 0 ∈ R,
x→0

(iii) lim g(y) = 0 ∈ R,


y→0

ma non la (ii), in quanto


 
1
(8.14) f (x) = 0 per x ∈ :k∈Z .

La funzione composta
1
( 
1 per x ∈ kπ :k∈Z
(8.15) g ◦ f (x) =
0 altrimenti
non ammette limite in 0 ∈ D(X), alla luce del Corollario 8.8, pag.144.
Nelle applicazioni è utile il seguente
Corollario 8.60. Siano f : X ⊆ R → R e g : Y ⊆ R → R tali che f (X) ⊆ Y .
Se
(i) x0 ∈ D∞ (X) e
(8.16) lim f (x) = y0 ∈ R,
x→x0

(ii) y0 ∈ f (X) ∩ D(f (X)) e


(8.17) lim g(y) = g(y0 ),
y→y0

allora
 
(8.18) g ◦ f ammette limite in x0 , e lim (g ◦ f ) (x) = g(y0 ) = g lim f (x) .
x→x0 x→x0

Osservazione 8.61. Il Corollario 8.60 richiede alla componente interna f solo di essere convergente
in un punto di accumulazione al finito o all’infinito del suo dominio di definizione. Tale limite finito y0
deve appartenere all’insieme f (X) ma non può essere un punto isolato di esso, affinché l’ipotesi (8.17)
sia ben posta, e si compedia affermando che la componente esterna g deve essere continua nel punto
y0 ∈ f (X) ∩ D(f (X)).
9. LIMITI FINITI ED OPERAZIONI ALGEBRICHE 165

9. Limiti finiti ed operazioni algebriche


Alla luce delle Definizioni 4.15, pag. 76, assegnate due funzioni f : X1 ⊆ R → R e g : X2 ⊆ R → R,
quando card(X1 ∩ X2 ) ≥ card(N) ha senso chiedersi se la somma f + g, la differenza f − g, il prodotto
f
f g ed il quoziente ammettano limite in un punto di accumulazione del loro dominio di definizione
g
X = X1 ∩ X2 .
Condizioni sufficienti per l’esistenza di tali limiti in termini di convergenza delle funzioni f e g sono
illustrate dal seguente

Teorema 8.62. Siano f, g : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X). Se f e g sono convergenti in x0 , allora


(9.1) la funzione f + g è convergente in x0 , e
lim (f + g)(x) = lim f (x) + lim g(x);
x→x0 x→x0 x→x0

(9.2) la funzione f · g è convergente in x0 , e


lim (f g)(x) = lim f (x) · lim g(x);
x→x0 x→x0 x→x0

f
(9.3) se g non è infinitesima in x0 , la funzione è convergente in x0 , e
g
  lim f (x)
f x→x0
lim (x) = .
x→x0 g lim g(x)
x→x0

Dimostrazione. Detti
lf = lim f (x) e lim g(x),
x→x0 x→x0
per ipotesi, lf , lg ∈ R.
Tenendo conto delle (0.8)–(0.10) pag. 142, dimostrare la (9.1) è equivalente a provare che
(9.4) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che |f (x) + g(x) − lf − lg | < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Sia ϵ > 0 arbitrariamente assegnato. Dalle (0.8)–(0.10) applicate ad f e g si ha che, in corrispondenza
ϵ
di 2esistono due intorni Uf , Ug ∈ I(x0 ) tali che
ϵ
|f (x) − lf | < per ogni x ∈ X ∩ (Uf \ {x0 }),
2
(9.5)
ϵ
|g(x) − lg | < per ogni x ∈ X ∩ (Ug \ {x0 }).
2
La (9.4) si deduce allora immediatamente dalla (9.5), ponendo Ũ = Uf ∩ Ug e facendo uso delle
Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6 e della Proposizione 2.22, pag. 46.
Analogamente, tenendo conto delle (0.8)–(0.10), dimostrare la (9.2) è equivalente a provare che
(9.6) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che |f (x)g(x) − lf · lg | < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
È opportuno osservare che, facendo uso delle proprietà della funzione valore assoluto esposte nella
Proposizione 2.22,
|f (x)g(x) − lf · lg | = |f (x)g(x) − lf g(x) + lf g(x) − lf · lg |

(9.7) = |(f (x) − lf )g(x) + lf (g(x) − lg )|


≤ |f (x) − lf | |g(x)| + |lf | |g(x) − lg | per ogni x ∈ X.
Per maggiorare la quantità |g(x)| che compare nella stima (9.7) tramite una costante ‘vicino’ ad x0 si può
applicare il Teorema 8.22, pag. 152, alla funzione g, ottenendo cosı̀ l’esistenza di un intorno Ug ∈ I(x0 )
e di una costante M > 0 tali che
(9.8) |g(x)| ≤ M per ogni x ∈ X ∩ (Ug \ {x0 }).
166 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Dalle (0.8)–(0.10) applicate ad f e g si ha che, in corrispondenza di ogni numero ϵ > 0 esistono due
intorni Uf , Ug′ ∈ I(x0 ) tali che
ϵ
|f (x) − lf | < per ogni x ∈ X ∩ (Uf \ {x0 }),
2M
(9.9) ϵ
|g(x) − lg | < per ogni x ∈ X ∩ (Ug′ \ {x0 }) quando lf ̸= 0.
2|lf |
La (9.6) si deduce immediatamente (9.7), (9.8) e (9.9), ponendo Ũ = Uf ∩ Ug quando lf = 0 e Ũ =
Uf ∩ Ug ∩ Ug′ quando lf ̸= 0 ed avvalendosi delle Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6.
Prima di affrontare la dimostrazione della (9.3) va osservato che in quanto la funzione g non è
infinitesima in x0 , il Teorema 3.6, pag. 149, garantisce l’esistenza di un intorno U0 ∈ I(x0 ) tale che
g ̸= 0 in X ∩ (U0 \ {x0 }).
Ergo la funzione fg è sicuramente definita su X ∩ (U0 \ {x0 }), x0 permane un punto di accumulazione per
tale insieme ed il Teorema 8.11, pag. 146, consente di restringere il problema dell’esistenza del limite della
funzione fg in x0 al problema dell’esistenza del limite della restrizione della funzione fg in x0 all’insieme
X ∩ (U0 \ {x0 }).
Tenendo conto delle (0.8)–(0.10) e del Teorema 8.11, pag. 146, dimostrare la (9.3) è equivalente a
provare che

f (x) lf
(9.10) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ), con Ũ ⊆ U0 tale che − < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
g(x) lg
Si osservi che, per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }), si ha che

f (x) lf f (x) lg − g(x) lf |f (x) lg − g(x) lf |
g(x) − lg =
=
g(x)lg |g(x)| |lg |
(9.11)
|lg | |f (x) − lf | + |lf | |g(x) − lg | max{|lg |, |lf |} 
≤ ≤ |f (x) − lf | + |g(x) − lg | .
|g(x)| |lg | |g(x)| |lg |
1
Per maggiorare tramite una costante la quantità |g(x)| che compare nella stima (9.11) ‘vicino’ ad x0
si può applicare il Corollario 8.35, pag. 155, alla funzione |g|, ottenendo cosı̀ l’esistenza di un intorno
U1 ∈ I(x0 ), con U1 ⊆ U0 , tale che
1 2
(9.12) ≤ per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
|g(x)| |lg |
Dalle (9.11) e (9.12) si ricava quindi che

f (x) lf 2 max{|lg |, |lf |}
(9.13) g(x) − lg ≤ {|f (x) − lf | + |g(x) − lg |} per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).

|lg |2

2 max{|lg |, |lf |}
Detto α = , chiaramente α > 0. Dalle (0.8)–(0.10) applicate ad f e g si ha che, in
|lg |2
corrispondenza di ogni numero ϵ > 0 esistono due intorni Uf , Ug ∈ I(x0 ) tali che
ϵ
|f (x) − lf | < per ogni x ∈ X ∩ (Uf \ {x0 }),

(9.14)
ϵ
|g(x) − lg | < per ogni x ∈ X ∩ (Ug \ {x0 }).

La (9.10) si ottiene perciò dalle (9.13) e (9.14), ponendo Ũ = U1 ∩ Uf ∩ Ug . □
Il Teorema 8.62 non fornisce risposta sul comportamento al limite nel punto x0 della funzione
f
quoziente quando la funzione g è infinitesima in x0 , anche se non nulla ‘vicino’ ad x0 .
g
Per fornire una qualche risposta al problema posto, si introducono due nuovi concetti finalizzati a de-
scrivere in modo più preciso la modalità con cui una funzione g è infinitesima in un punto di accumulazione
del suo dominio.
10. LIMITI NON NECESSARIAMENTE FINITI ED OPERAZIONI ALGEBRICHE 167

Definizioni 8.63. Sia g : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora


(i) la funzione g tende a 0 in x0 per valori positivi, denotando ciò con la scrittura
lim g(x) = 0+ ,
x→x0

quando
(9.15) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che 0 < g(x) < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 });
(ii) la funzione g tende a 0 in x0 per valori negativi, denotando ciò con la scrittura
lim g(x) = 0− ,
x→x0

quando
(9.16) ∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che − ϵ < g(x) < 0 per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).

Si dimostra

Teorema 8.64. Sia g : X ⊆ R → R una funzione infinitesima in x0 ∈ D∞ (X). Allora


1
(9.17) lim g(x) = 0+ =⇒ lim = +∞.
x→x0 x→x0 g(x)
1
(9.18) lim g(x) = 0− =⇒ lim = −∞.
x→x0 x→x0 g(x)
Dimostrazione. Tenendo conto delle (0.11), (0.13) e (0.14), dimostrare la (9.17) è equivalente a
provare che
1
(9.19) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che > M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
g(x)
1
Ma ciò segue applicando, per ogni M > 0 la (9.15) con ϵ = M .
Tenendo conto delle (0.12), (0.15) e (0.16), dimostrare la (9.18) è equivalente a provare che
1
(9.20) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che < −M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
g(x)
1
Ma ciò segue applicando, per ogni M > 0 la (9.16) con ϵ = M. □

10. Limiti non necessariamente finiti ed operazioni algebriche


Si intende continuare l’indagine iniziata nel paragrafo precedente circa il comportamento al limite
f
delle funzioni somma f + g, differenza f − g, prodotto f g e quoziente in un punto x0 del loro dominio
g
di definizione, affrontando il caso in cui una od entrambe le funzioni f e g, siano divergenti in x0 .
Teorema 8.65. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X).
(i) Se la funzione f diverge positivamente in x0 e la funzione g è limitata inferiormente in un
intorno di x0 , allora la funzione f + g diverge positivamente in x0 , i.e.,

lim f (x) = +∞ ,

x→x0 
(10.1) =⇒ lim (f + g) (x) = +∞.
inf g > −∞ per qualche U ∈ I(x0 )  x→x0
X∩U

(ii) Se la funzione f diverge negativamente in x0 e la funzione g è limitata superiormente in un


intorno di x0 , allora la funzione f + g diverge negativamente in x0 , i.e.,

lim f (x) = −∞ , 
x→x0 
(10.2) =⇒ lim (f + g) (x) = −∞.
sup g < +∞ per qualche U ∈ I(x0 ) 
 x→x0
X∩U
168 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Dimostrazione. (i) Per le (0.11), (0.13) e (0.14), occorre provare che


(10.3) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x) + g(x) > M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per l’ipotesi sulla g,
(10.4) esistono U0 ∈ I(x0 ) e c ∈ R tali che g(x) > c per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }).
D’altro canto, l’ipotesi di divergenza positiva della f in x0 assicura che comunque si assegni un numero
M > max{0, c} si ha che
(10.5) esiste U1 ∈ I(x0 ) tale che f (x) > M − c per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
La (10.3) si ottiene pertanto dalle (10.4) e (10.5), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e tenendo conto delle Proposi-
zioni 7.2, 7.4 e 7.6.
(ii) Per le (0.12), (0.15) e (0.16), occorre provare che
(10.6) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x) + g(x) < −M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per l’ipotesi sulla g,
(10.7) esistono U0 ∈ I(x0 ) e c ∈ R tali che g(x) < c per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }).
D’altro canto, essendo f divergente negativamente in x0 , si ha che comunque si assegni un numero
M > max{0, −c}
(10.8) esiste U1 ∈ I(x0 ) tale che f (x) < −(M + c) per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
La (10.6) si ottiene pertanto dalle (10.7) e (10.8), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e tenendo conto delle Proposi-
zioni 7.2, 7.4 e 7.6. □

Dal Teorema 8.65, in virtù del Teorema 8.22, pag. 152, e delle Proposizioni 8.26 e 8.27, pag. 153, si
deduce immediatamente

Corollario 8.66. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora

lim f (x) = +∞ ,

x→x0 
(10.9) =⇒ lim (f + g) (x) = +∞.
lim g(x) ∈ ] − ∞, +∞]  x→x0
x→x0

lim f (x) = −∞ ,

x→x0 
(10.10) =⇒ lim (f + g) (x) = −∞.
lim g(x) ∈ [−∞, +∞[  x→x0
x→x0

Osservazioni 8.67. (I) Alla luce della (9.1) del Teorema 8.62 e della (10.9), in relazione al limite di
una somma di funzioni, l’unico caso che rimane non discusso è quello in cui una delle due funzioni diverge
negativamente e l’altra diverge positivamente. Tale questione verrà affrontata nel § 12.
(II) I risultati del Teorema 8.65 sono più generali di quelli espressi dal Corollario 8.66. Basti pensare, ad
esempio, ai seguenti limiti
lim x + sin x e lim x + sin x.
x→−∞ x→+∞
La funzione identità IR diverge negativamente a −∞ e diverge positivamente a +∞, ma la funzione
seno non ammette limite a −∞ e a +∞ (cfr. (II) negli Esempi 8.9, pag. 145). Ciò rende inapplicabile il
Corollario 8.66. Essendo però
−1 ≤ sin x ≤ 1 per ogni x ∈ R,
dalle (10.1) e (10.2), rispettivamente, si deduce che
lim x + sin x = −∞ e lim x + sin x = +∞.
x→−∞ x→+∞

Teorema 8.68. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora


10. LIMITI NON NECESSARIAMENTE FINITI ED OPERAZIONI ALGEBRICHE 169

(i) se la funzione f diverge positivamente in x0 e la funzione g ammette un minorante strettamente


positivo in un intorno di x0 , allora la funzione f g diverge positivamente in x0 , i.e.,

lim f (x) = +∞ ,

x→x0 
(10.11) =⇒ lim (f · g) (x) = +∞.
inf g > 0 per qualche U ∈ I(x0 )  x→x0
X∩U

(ii) se la funzione f diverge negativamente in x0 e la funzione g ammette un maggiorante stretta-


mente negativo in un intorno di x0 , allora la funzione f g diverge positivamente in x0 , i.e.,

lim f (x) = −∞ , 
x→x0 
(10.12) =⇒ lim (f · g) (x) = +∞.
sup g < 0 per qualche U ∈ I(x0 ) 
 x→x0
X∩U

(iii) se la funzione f diverge positivamente in x0 e la funzione g ammette un maggiorante stret-


tamente negativo in un intorno di x0 , allora la funzione f g diverge negativamente in x0 ,
i.e.,

lim f (x) = +∞ , 
x→x0 
(10.13) =⇒ lim (f · g) (x) = −∞.
sup g < 0 per qualche U ∈ I(x0 ) 
 x→x0
X∩U

(iv) se la funzione f diverge negativamente in x0 e la funzione g ammette un minorante strettamente


positivo in un intorno di x0 , allora la funzione f g diverge negativamente in x0 , i.e.,

lim f (x) = −∞ ,

x→x0 
(10.14) =⇒ lim (f · g) (x) = −∞.
inf g > 0 per qualche U ∈ I(x0 )  x→x0
X∩U

Dimostrazione. (i) In accordo con le (0.11), (0.13) e (0.14), occorre provare che
(10.15) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x)g(x) > M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
Per l’ipotesi sulla la funzione g,
(10.16) esistono U0 ∈ I(x0 ) e c > 0 tali che g(x) > c per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }).
D’altro canto, dall’ipotesi di divergenza positiva della funzione f in x0 , si ha che comunque si assegni un
numero M > 0, in corrispondenza del numero M c > 0,
M
(10.17) esiste U1 ∈ I(x0 ) tale che f (x) > per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
c
La (10.15) si ottiene pertanto dalle (10.16) e (10.17), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e tenendo conto delle
Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6.
(ii) Occorre provare la (10.15). Per l’ipotesi sulla g,
(10.18) esistono U0 ∈ I(x0 ) e c > 0 tali che g(x) < −c per ogni x ∈ X ∩ (U0 \ {x0 }).
D’altro canto, dall’ipotesi di divergenza negativa della funzione f in x0 , si ha che comunque si assegni un
numero M > 0 si ha, che in corrispondenza del numero M c > 0,
M
(10.19) esiste U1 ∈ I(x0 ) tale che f (x) < − per ogni x ∈ X ∩ (U1 \ {x0 }).
c
La (10.15) si ottiene pertanto dalle (10.18) e (10.19), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e tenendo conto delle
Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6.
170 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(iii) In accordo con le (0.12), (0.15) e (0.16), occorre provare che

(10.20) ∀M > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che f (x)g(x) < −M per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
L’ipotesi sulla funzione g è espressa dalla (10.18). Dall’ipotesi di divergenza positiva della funzione f in x0 ,
si deduce che per ogni numero M > 0, in corrispondenza del numero M c > 0, vale la (10.17). La (10.20) si
ottiene pertanto dalle (10.18) e (10.17), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e tenendo conto delle Proposizioni 7.2, 7.4
e 7.6.
(iv) Occorre provare la (10.20). L’ipotesi sulla funzione g è espressa dalla (10.16). Dall’ipotesi di diver-
genza negativa della funzione f in x0 , si ha che per ogni numero M > 0 in corrispondenza del numero
M
c > 0 vale la (10.19). La (10.20) si ottiene pertanto dalle (10.16) e (10.19), ponendo Ũ = U0 ∩ U1 e
tenendo conto delle Proposizioni 7.2, 7.4 e 7.6. □

Grazie al Corollario 8.35 ed alle Proposizioni 8.26 e 8.27, dal Teorema 8.68 si deduce

Corollario 8.69. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora

lim f (x) = +∞ ,

x→x0 
(10.21) =⇒ lim (f · g) (x) = +∞.
lim g(x) = Lg ∈ ]0, +∞]  x→x0
x→x0

lim f (x) = −∞ ,

x→x0 
(10.22) =⇒ lim (f · g) (x) = +∞.
lim g(x) = Lg ∈ [−∞, 0[  x→x0
x→x0

lim f (x) = +∞ ,

x→x0 
(10.23) =⇒ lim (f · g) (x) = −∞.
lim g(x) = Lg ∈ [−∞, 0[  x→x0
x→x0

lim f (x) = −∞ ,

x→x0 
(10.24) =⇒ lim (f · g) (x) = −∞.
lim g(x) = Lg ∈ ]0, +∞]  x→x0
x→x0

Osservazioni 8.70. (I) Tenendo conto della (9.2) del Teorema 8.62 e del Corollario 8.69, in relazione
al limite di un prodotto di funzioni, l’unico caso che rimane non discusso è quello in cui una delle due
funzioni diverge, positivamente o negativamente, e l’altra è infinitesima. Tale questione verrà affrontata
nel § 12.
(II) I risultati del Teorema 8.68 sono più generali di quelli espressi dal Corollario 8.69. Basti pensare, ad
esempio, ai seguenti limiti
lim x(2 + cos x) e lim x(2 + cos x).
x→−∞ x→+∞

La funzione identità IR diverge negativamente a −∞ e diverge positivamente a +∞, la funzione costan-


temente uguale a 2 converge alla costante stessa, ma la funzione coseno non ammette limite a −∞ e a
+∞ (cfr. (I) negli Esempi 8.9, pag.145). Ciò rende inapplicabile il Corollario 8.69. Essendo però
1 ≤ 2 + cos x ≤ 3 per ogni x ∈ R,
dalle (10.11) e (10.14), rispettivamente, si deduce che
lim x(2 + cos x) = −∞ e lim x(2 + cos x) = +∞.
x→−∞ x→+∞
10. LIMITI NON NECESSARIAMENTE FINITI ED OPERAZIONI ALGEBRICHE 171

Teorema 8.71. Sia g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora


1
(10.25) lim g(x) = +∞ =⇒ lim = 0+ ,
x→x0 x→x0 g(x)

1
(10.26) lim g(x) = −∞ =⇒ lim = 0− .
x→x0 x→x0 g(x)
Dimostrazione. Per provare la (10.25) occorre verificare che
1
∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che 0 < < ϵ per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
g(x)
Ma ciò segue applicando, per ogni ϵ > 0, le (0.11), (0.13) e (0.14) alla funzione g con M = 1ϵ .
Per provare la (10.25) occorre verificare che
1
∀ϵ > 0 ∃Ũ ∈ I(x0 ) tale che − ϵ < < 0 per ogni x ∈ X ∩ (Ũ \ {x0 }).
g(x)
Ma ciò segue applicando, per ogni ϵ > 0, le (0.12), (0.15) e (0.16) –valide per le ipotesi sulla funzione g–
con M = 1ϵ . □
Combinando il Teorema 8.71 con il Corollario 8.69 si ricava
Corollario 8.72. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X). Allora
f (x)
(i’) se lim f (x) = Lf ∈ ]0, +∞] e lim g(x) = 0+ , allora lim = +∞;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)

f (x)
(ii’) se lim f (x) = Lf ∈ [−∞, 0[ e lim g(x) = 0− , allora lim = +∞;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)
f (x)
(iii’) se lim f (x) = Lf ∈ [−∞, 0[ e lim g(x) = 0+ , allora lim = −∞;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)
f (x)
(iv’) se lim f (x) = Lf ∈ ]0, +∞] e lim g(x) = 0− , allora lim = −∞.
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)

Infine, tenendo conto dell’Osservazione 8.70, del Teorema 8.64 e della (9.2) del Teorema 8.62, si ha
Corollario 8.73. Siano f, g : X ⊆ R → R e sia x0 ∈ D∞ (X).
Se la funzione f converge in x0 e la funzione g diverge positivamente o negativamente in x0 , allora
f (x)
lim = 0.
x→x0 g(x)

Inoltre
f (x)
(i’) se lim f (x) ∈ R+ e lim g(x) = +∞, allora lim = 0+ ;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)

f (x)
(ii’) se lim f (x) ∈ R− e lim g(x) = +∞, allora lim = 0− ;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)
f (x)
(iii’) se lim f (x) ∈ R+ e lim g(x) = −∞, allora lim = 0− ;
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)
f (x)
(iv’) se lim f (x) ∈ R− e lim g(x) = −∞, allora lim = 0+ .
x→x0 x→x0 x→x0 g(x)

Osservazione 8.74. Alla luce della (9.3) del Teorema 8.62, del Teorema 8.71 e dei Corollari 8.72
e 8.73, in relazione al limite di un quoziente di funzioni, i casi che rimangono non discussi sono quelli
in cui il numeratore ed il denominatore sono entrambi infinitesimi, o entrambi divergenti, anche se non
necessariamente con lo stesso tipo di divergenza (i.e., entrambi positivamente o negativamente). Tale
questione verrà affrontata nel § 12.
172 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

11. Limiti delle funzioni elementari


11.1. Funzioni costanti. Per ogni c ∈ R, la funzione costantemente uguale a c definita dalla (1.2),
pag. 85, converge al valore c in ogni punto x0 ∈ R.
Ciò segue banalmente dalle (0.8), (0.9) e (0.10) con L = c, essendo in tal caso lo scarto tra f e c uguale
a zero per ogni punto x ∈ R.
In particolare, quindi, le funzioni costanti sono continue in ogni punto di R.

11.2. Funzioni affini lineari non costanti. La funzione identità IR in R, definita dalla (2.1),
pag. 85, ammette limite in ogni punto x0 ∈ R.
In ogni punto x0 ∈ R converge al valore x0 , diverge positivamente a +∞ e diverge negativamente a −∞.
Ciò segue banalmente dalla (0.1) con L = x0 .
In particolare, quindi, la funzione identità IR in R è continua in ogni punto di R.

Ogni funzione affine lineare non costante, ossia ogni funzione del tipo f (x) = ax + b, x ∈ R, con
a, b ∈ R e a ̸= 0 (cfr. pag. 88), ammette limite in ogni punto x0 ∈ R.
In ogni punto x0 ∈ R converge al valore f (x0 ) = ax0 + b, a +∞ [risp. −∞] la funzione diverge posi-
tivamente [risp. negativamente] se a > 0 mentre diverge negativamente [risp. positivamente] se a < 0.
Riassumendo
(11.1) lim ax + b = ax0 + b per ogni x0 ∈ R,
x→x0
(
+∞ se a > 0,
(11.2) lim ax + b =
x→+∞
−∞ se a < 0,
(
−∞ se a > 0,
(11.3) lim ax + b =
x→−∞
+∞ se a < 0.
Ciò segue banalmente dal Teorema 8.62 e dai Corollari 8.66 e 8.69.
In particolare, quindi, le funzione affini lineari sono continue in R.

11.3. Funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N. Per ogni n ∈ N, la funzione potenza


n-esima fn (x) = xn , definita dalla (5.2), pag 85, ammette limite in ogni punto x0 ∈ R.
In ogni punto x0 ∈ R converge al valore fn (x0 ) = xn0 , a +∞ la funzione fn diverge positivamente, a
−∞ la funzione fn diverge positivamente se n è pari, mentre diverge negativamente se n è dispari.
Riassumendo
(11.4) lim xn = xn0 per ogni x0 ∈ R,
x→x0

(11.5) lim xn = +∞,


x→+∞
(
n
+∞ se n è pari,
(11.6) lim x =
x→−∞
−∞ se n è dispari.

Ciò segue dal comportamento della funzione identità analizzato nella sottosezione precedente, il Teore-
ma 8.62 ed il Corollario 8.69.
In particolare, quindi, al variare di n ∈ N, le funzioni potenza n-esima sono continue in R.

11.4. Funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z \ N0 . Per ogni p ∈ Z \ N0 , la funzione


potenza p-esima
1
fp (x) = |p| ,
x
definita dalla (6.2), pag. 91, ammette limite in ogni punto x0 ∈ R se |p| è pari, ammette limite in in ogni
punto x0 ∈ R \ {0} se |p| è dispari.
11. LIMITI DELLE FUNZIONI ELEMENTARI 173

In ogni punto x0 ∈ R \ {0} la funzione fp converge al valore xp0 , a +∞ e −∞, è infinitesima. Inoltre, la
funzione potenza p-esima diverge positivamente in 0 se |p| è pari, mentre se |p| è dispari essa non ammette
limite in 0.
Riassumendo, per ogni p ∈ Z \ N0 , si ha
(11.7) lim xp = x0 p per ogni x0 ∈ R \ {0};
x→x0

(11.8) lim xp = 0+ ,
x→+∞
(
p
0+ se |p| è pari ,
(11.9) lim x =
x→−∞
0− se |p| è dispari ;
(
+∞ se |p| è pari ,
(11.10) lim xp =
x→0
̸∃ se |p| è dispari .
La (11.7) segue dalla (11.4) e dalla (9.3). La (11.8) segue dalla (10.25) nel Teorema 8.71. La (11.9) segue
dalle (10.25) e (10.26) nel Teorema 8.71. Infine la (11.10) segue dal Teorema 8.16, pag. 148, e dalle (9.17)
e (9.18) del Teorema 8.64, pag. 167.
In particolare, quindi, al variare di p ∈ Z \ N0 , le funzioni potenza p-esima sono continue in R \ {0}.

11.5. Funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N. Per ogni n ∈ 2N, la funzione radice n-esima,
definita dalla (7.1), pag. 93, ammette limite in ogni punto x0 ∈ [0, +∞].

In ogni punto x0 ∈ [0, +∞[ converge al valore n x0 e a +∞ la funzione diverge positivamente.
Riassumendo, per ogni n pari,
√ √
(11.11) lim n x = n x0 per ogni x0 ∈ [0, +∞[;
x→x0

n
(11.12) lim x = +∞.
x→+∞

Le conclusioni (11.11) e (11.12) possono essere dimostrate in vari modi. Ad esempio, la (11.11) può esser
semplicemente verificata per x0 = 0 e x0 = 1. Di poi, utilizzando la proprietà delle funzioni radice n-
esima espressa nella (iv) della Proposizione 5.31, pag. 94, il Corollario 8.60, pag. 164, ed il Teorema 8.62,
pag. 165, si ha che, per ogni x0 ∈ ]0, +∞[\{1},
√ √ √ √
r r r
x x x
lim n
x = lim n
x0 · = lim n
x0 · n
= lim n
x0 · lim n = n x0 .
x→x0 x→x0 x0 x→x 0 x0 x→x 0 x→x 0 x0
Per quanto concerne la (11.12) basta, ad esempio, applicare il Corollario 8.48, pag. 161, con
(xn )n∈N = (nn )n∈N
e la proprietà di Archimede.
In particolare, quindi, al variare di n ∈ 2N, le funzioni radice n-esima sono continue in [0, +∞[.

Per ogni n ∈ 2N + 1, la funzione radice n-esima, definita dalla (7.5), pag. 94, ammette limite in ogni
punto x0 ∈ R.

In ogni punto x0 ∈ R converge al valore n x0 , a +∞ la funzione diverge positivamente e a −∞ la funzione
diverge negativamente.
Riassumendo, per ogni n dispari,
√ √
(11.13) lim n x = n x0 per ogni x0 ∈ R;
x→x0

n
(11.14) lim x = +∞;
x→+∞

(11.15) lim n
x = −∞.
x→−∞

È sufficiente dimostrare la (11.13) per x0 ∈ ] − ∞, 0[ e la (11.15). Le altre conclusioni si ottengono infatti


dalla trattazione del Caso n ∈ 2N.
174 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

La dimostrazione della (11.13) per x0 ∈ ] − ∞, 0[ e della (11.15) si ottiene applicando la definizione


(7.5), pag. 94, il Teorema 8.62, pag. 165, ed il Corollario 8.69, pag. 170.
In particolare, quindi, al variare di n ∈ 2N + 1, le funzioni radice n-esima sono continue in R.

11.6. Funzioni potenza q-esima, al variare di q ∈ Q \ {0}. Per ogni q ∈ Q+ , la funzione potenza
q-esima, definita dalla (8.1), pag. 96, ammette limite in ogni punto x0 ∈ [0, +∞].
In ogni punto x0 ∈ [0, +∞[ la funzione (8.1) converge al valore x0 q e a +∞ diverge positivamente.
Riassumendo, per ogni q ∈ Q+ , si ha
(11.16) lim xq = x0 q per ogni x0 ∈ [0, +∞[;
x→x0

(11.17) lim xq = +∞ .
x→+∞

La (11.16) segue dalla (11.4), dalla (11.13) e dal Corollario 8.60, pag. 164. La (11.17) segue dalla (11.5),
dalle (11.12) e (11.14), e dal Teorema 8.58.
In particolare, quindi, al variare di q ∈ Q+ , le funzioni potenza q-esima sono continue in [0, +∞[.

Per ogni q ∈ Q− , la funzione potenza q-esima, definita dalla (8.2), pag. 96, ammette limite in ogni
punto x0 ∈ [0, +∞].
In ogni punto x0 ∈ ]0, +∞[ la funzione (8.2) converge al valore xq0 , in 0 diverge positivamente e a +∞
è infinitesima.
Riassumendo, per ogni q ∈ Q− , si ha
(11.18) lim xq = x0 q per ogni x0 ∈ ]0, +∞[;
x→x0

(11.19) lim xq = 0+ ;
x→+∞

(11.20) lim xq = +∞ .
x→0+

La (11.18) segue dalla (11.7), dalla (11.13) e dal Corollario 8.60. La (11.19) segue dalla (11.8), dalle
(11.12) e (11.14), dal Teorema 8.58.
La (11.20) segue infine dalla (11.10), dalla (11.13) e dal Corollario 8.60.
In particolare, quindi, al variare di q ∈ Q− , le funzioni potenza q-esima sono continue in ]0, +∞[. .
Osservazione 8.75. Nella (11.10) la non esistenza del limite in 0 nel caso |p| dispari per la funzione
potenza p-esima, con p ∈ Z, deriva dal fatto che 0 è un punto di accumulazione tanto a destra quanto a
sinistra. Nel caso delle funzioni potenza q-esima, con q ∈ Q \ {0}, 0 è invece un punto di accumulazione
solo a destra.

11.7. Funzioni esponenziali in R. Per ogni a ∈ ]0, +∞[ \ {1}, la funzione esponenziale di base a,
definita dalla (9.26), pag. 101, ammette limite in ogni punto x0 ∈ R.
In ogni punto x0 ∈ R la funzione (9.26) converge al valore ax0 , a +∞, diverge positivamente se a > 1,
mentre è infinitesima se a ∈ ]0, 1[, e a −∞, la funzione (9.26) è infinitesima se a > 1, mentre diverge
positivamente se a ∈ ]0, 1[.
Riassumendo, per ogni a ∈ ]0, +∞[ \ {1}, si ha
(11.21) lim ax = ax0 per ogni x0 ∈ R;
x→x0
(
x
+∞ se a > 1 ,
(11.22) lim a =
x→+∞
0+ se a ∈ ]0, 1[ ;
(
x
0+ se a > 1 ,
(11.23) lim a =
x→−∞
+∞ se a ∈ ]0, 1[ .
Le conclusioni (11.21), (11.22) e (11.23) possono essere dimostrate in vari modi.
11. LIMITI DELLE FUNZIONI ELEMENTARI 175

Ad esempio, la (11.21) può esser semplicemente verificata per x0 = 0. Di poi, utilizzando la (iii) nella
Proposizione 5.43, pag. 102, il Corollario 8.60, pag. 164, ed il Teorema 8.62, pag. 165, si ha che, per ogni
x0 ∈ ]0, +∞[\{1},
lim ax = lim ax−x0 +x0 = lim ax0 · ax−x0 = lim ax0 · lim ax−x0 = ax0 · a0 = ax0 .
x→x0 x→x0 x→x0 x→x0 x→x0

Per quanto concerne la (11.22) basta, ad esempio, applicare il Corollario 8.48, pag. 161, –con (xn )n∈N
uguale a (loga n)n∈N nel caso a > 1 e a (− loga n)n∈N nel caso a ∈ ]0, 1[, rispettivamente – e la proprietà
di Archimede.
Infine la (11.23) segue, utilizzando la (ii) della Proposizione 5.43, dal Teorema 8.58, pag. 163, dal
Teorema 8.71, pag. 171, e dalla (11.22), in quanto
 1 x
lim ax = lim
x→−∞ x→+∞ a

1
e a > 1 [risp. a ∈ ]0, 1[] se, e soltanto se, ∈ ]0, 1[ [risp. a1 > 1].
a
In particolare, quindi, al variare di a ∈ ]0, +∞[ \ {1} le funzioni esponenziali sono continue in R.

11.8. Funzioni logaritmiche. Per ogni a ∈ ]0, +∞[ \ {1}, la funzione logaritmo di base a, definita
dalle (10.2) e (10.3), pag. 103, ammette limite in ogni punto x0 ∈ [0, +∞].
In ogni punto x0 ∈ ]0, +∞[ la funzione loga converge al valore loga x0 , a +∞, la funzione (10.2)
diverge positivamente se a > 1, mentre diverge negativamente se a ∈ ]0, 1[, e in 0, la funzione (10.2)
diverge negativamente se a > 1, mentre diverge positivamente se a ∈ ]0, 1[.
Riassumendo, per ogni a ∈ ]0, +∞[ \ {1}, si ha
(11.24) lim loga x = loga x0 per ogni x0 ∈ ]0, +∞[;
x→x0
(
+∞ se a > 1 ,
(11.25) lim loga x =
x→+∞
−∞ se a ∈ ]0, 1[ ;
(
−∞ se a > 1 ,
(11.26) lim loga x =
x→0+ +∞ se a ∈ ]0, 1[ .
Le conclusioni (11.24), (11.25) e (11.26) possono essere dimostrate in vari modi.
Ad esempio, la (11.24) può esser semplicemente verificata per x0 = 1. Di poi, utilizzando la (i) della
Proposizione 5.48, pag. 103, il Corollario 8.60, pag. 164, ed il Teorema 8.62, pag. 165, si ha che, per ogni
x0 ∈ ]0, +∞[\{1},
    
x x
lim loga x = lim loga x0 · = lim loga x0 + loga =
x→x0 x→x0 x0 x→x0 x0
 
x
= lim loga x0 + lim loga = loga x0 + loga 1 = loga x0 .
x→x0 x→x0 x0
Per quanto concerne la (11.25) basta, ad esempio, applicare il Corollario 8.48, pag. 161, –con (xn )n∈N =
(an )n∈N nel caso a > 1 e (xn )n∈N = (a−n )n∈N nel caso ]0, 1[– e la proprietà di Archimede. Infine la (11.26)
segue, utilizzando la (iii) nella Proposizione 5.48, dal Teorema 8.58, pag. 163, dal Teorema 8.71, pag. 171,
dal Corollario 8.69, pag. 170, e dalla (11.25), in quanto
1
lim loga x = lim − loga = − lim loga y.
x→0+ x→0+ x y→+∞

In particolare, quindi, al variare di a ∈ ]0, +∞[\{1}, le funzioni logaritmiche sono continue in ]0, +∞[.

11.9. Funzioni potenza α-esima, al variare di α ∈ R \ {0}. Per ogni α ∈ R \ {0}, la funzione
potenza α-esima, definita dalle (11.1) e (11.2), pag. 104, ammette limite in ogni punto x0 ∈ [0, +∞], a
+∞, la funzione potenza α-esima diverge positivamente se α > 0, mentre è infinitesima se α < 0, e in 0,
la funzione potenza α-esima è continua se α > 0, mentre diverge positivamente se α < 0.
176 8. LA NOZIONE DI LIMITE PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Riassumendo, per ogni α ∈ R \ {0}, si ha


(11.27) lim xα = x0 α per ogni x0 ∈ ]0, +∞[;
x→x0
(
+∞ se α > 0 ,
(11.28) lim xα =
x→+∞
0+ se α < 0 ;
( +
0 se α > 0 ,
(11.29) lim+ xα =
x→0 +∞ se α < 0 .
La (11.27) può esser immediatamente dedotta dal Corollario 8.60, pag. 164, dalla (11.24) e dal
Teorema 8.62, pag. 165.
La (11.28) segue invece applicando il Teorema 8.58, pag. 163, la (11.25) ed il Corollario 8.69, pag. 170.
Infine, la (11.29) segue dal Teorema 8.58, la (11.26) e il Corollario 8.69.
In particolare, quindi, al variare di α ∈ R \ {0}, le funzioni potenza α-esima sono continue nei loro domini
di definizione.
11.10. Funzioni trigonometriche. La funzione coseno, definita dalla (12.8), pag. 106, ammette
limite in ogni punto di R, e non ammette limite a −∞ e a +∞, come evidenziato da (I) negli Esempi 8.9,
pag. 145.
La funzione coseno è continua in R, in quanto
lim cos x = cos x0 per ogni x0 ∈ R.
x→x0

Per dimostrarlo è sufficiente tenere presente la (3) negli Esercizi 8.6, pag. 143, utilizzare la formula (12.10),
pag. 107, il Corollario 8.60, pag. 164, ed il Teorema 8.62, pag. 165.

La funzione seno, definita in (12.9), pag. 106, ammette limite in ogni punto di R, e non ammette
limite a −∞ e a +∞, come evidenziato da (II) negli Esempi 8.9, pag. 145.
La funzione seno è continua in R, in quanto
lim sin x = sin x0 per ogni x0 ∈ R.
x→x0

Per dimostrarlo è sufficiente tenere presente la (1) negli Esercizi 8.6, utilizzare la formula (12.12), pag. 107,
il Corollario 8.60 ed il Teorema 8.62.

La funzione tangente, definita dalla (12.23), pag. 108, ammette limite in ogni punto del suo dominio
di definizione ∪k∈Z ] − π2 + kπ, π2 + kπ[, ma non ammette limite nei punti dell’insieme
!
[ i π π h
R\ − + kπ, + kπ ,
2 2
k∈Z
ossia a −∞, a +∞ e nei punti π2 + kπ, al variare di k ∈ Z.
La funzione tangente è continua nel suo dominio di definizione, in quanto
[ i π π h
lim tan x = tan x0 per ogni x0 ∈ − + kπ, + kπ .
x→x0 2 2
k∈Z

Per dimostrarlo è sufficiente applicare la (9.3) nel Teorema 8.62, pag. 165.
La funzione tangente non ammette limite a −∞ e a +∞, come è evidenziato da (II) negli Esempi 8.9.
Infine
π
(11.30) lim tan x = +∞ per ogni xk = + kπ, al variare di k ∈ Z,
x→x− k
2
π
(11.31) lim+ tan x = −∞ per ogni xk = + kπ, al variare di k ∈ Z .
x→xk 2
Ciò segue dal Corollario 8.69, pag. 170, e dal Teorema 8.64, pag. 167, tenendo conto della (g) e delle
(e’)–(g’) nella Proposizione 5.57, pag. 106.

12. Forme indeterminate


CAPITOLO 9

Commenti sulla teoria del limite per successioni reali

Alcuni autori optano per l’introduzione e la disamina della teoria del limite per successioni reali, e di
poi, di quella per funzioni reali di una variabile reale. Tale approccio risulta motivato dal fatto che, come
osservato nel § 4, pag. 149, del precedente capitolo, per le successioni reali, la teoria dei limiti risulta
molto semplificata rispetto al caso generale delle funzioni reali di una variabile reale. Il dominio di una
successione è l’insieme dei numeri naturali N, ed N ammette come unico punto di accumulazione +∞.
L’aver scelto un approccio inverso è stato motivato dalla seguente considerazione: passare da un
caso ‘generale’ ad un caso ‘particolare’ consente di ereditare dalla disamina del caso generale i risultati
ottenuti, arricchendoli semmai di ulteriori informazioni.
Si è già, ad esempio, riscontrato che mentre per una successione l’esser convergente implica la limitatezza
(cfr. Corollario 8.24, pag. 152), per le funzioni la convergenza in un punto assicura esclusivamente una
limitatezza della funzione vicino al punto di accumulazione (cfr. Teorema 8.22, pag. 152).
Il presente capitolo è volto ad evidenziare quale e quanto semplicata possa essere la trattazione della
teoria del limite per le successioni reali, rispetto a quelle delle funzioni reali di una variabile reale, e di
esporre nuovi risultati.
Va osservato in primis che, essendo il concetto di limite di natura ‘locale’, per una successione reale
(an )n∈N l’esistenza ed il valore del limite dipendono esclusivamente dai termini an , con n maggiore di
un certo numero naturale. Ciò vuol dire che, modificando o omettendo un numero finito di termini della
successione, il suo comportamento al limite non cambia. Tale considerazione porta all’introduzione della
Definizione 9.1. Una successione (an )n∈N verifica una proprietà P definitivamente quando esiste
un indice n̄ tale che la proprietà P è verificata da tutti i termini an con n ≥ n̄.


Esempi 9.2. (I) La successione (n − 6)2 n∈N è positiva, e definitivamente strettamente crescente.
Infatti, (n − 6)2 ≥ 0 per ogni n ∈ N e strettamente crescente per ogni n ∈ N, con n ≥ 6.
 
1 1
(II) Per ogni ϵ > 0, la successione log n verifica definitivamente la stima log n < ϵ.
n∈N
Infatti, per i Teoremi 8.7, pag. 144, e 8.71, pag. 171, la successione assegnata è infinitesima, e la conclusione
segue pertanto dalla Proposizione 8.19, pag. 150.

Avvalendosi della Definizione 9.1, il teorema del confronto ed i suoi corollari (cfr. pagg. 153–154) si
possono formulare come segue
Teorema 9.3. Siano (an )n∈N e (bn )n∈N due successioni regolari. Allora
(0.1) lim an < lim bn =⇒ an < bn definitivamente.
n n

In particolare, per c ∈ R,

(0.2) lim an < c =⇒ an < c definitivamente;


n

(0.3) lim an > c =⇒ an > c definitivamente.


n

Nel caso c = 0, le (i) e (ii) enunciano il teorema di permanenza del segno per successioni reali.
Il teorema del monotònia dell’operazione di limite ed i suoi corollari (cfr. pagg. 155–157) si possono
formulare come segue

177
178 9. COMMENTI SULLA TEORIA DEL LIMITE PER SUCCESSIONI REALI

Teorema 9.4. Siano (an )n∈N e (bn )n∈N due successioni regolari. Allora
(0.4) an ≤ bn definitivamente =⇒ lim an ≤ lim bn .
n n

In particolare, se an ≤ bn definitivamente, allora


(0.5) an → +∞ =⇒ bn → +∞;
(0.6) bn → −∞ =⇒ an → −∞.
Teorema 9.5 (Teorema dei carabinieri per successioni). Se (an )n∈N e (bn )n∈N sono due successioni
reali tali che
(i) an ≤ bn definitivamente,
(ii) limn an = limn bn ∈ R,
allora ogni successione reale (xn )n∈N , con
(0.7) a n ≤ x n ≤ bn definitivamente,
è convergente e
lim xn = lim an = lim bn
n n n

Corollario 9.6. Sia (an )n∈N una successione reale. Se esiste una successione (bn )n∈N a termini
non negativi tale che
(i) |an | ≤ bn definitivamente,
(ii) lim bn = 0,
n

allora (an )n∈N è infinitesima.

Corollario 9.7. Sia (an )n∈N una successione reale. Se


an = bn · cn definitivamente,
con
(0.8) (bn )n∈N limitata, e (cn )n∈N infinitesima,
allora (an )n∈N è infinitesima.
Il Teorema 8.7, pag. 144, ed il Corollario 8.8 nel caso di successioni reali si possono allora formulare
come segue
Teorema 9.8. Sia (an )n∈N una successione reale. Allora
(i) se (an )n∈N è regolare, ogni sua sottosuccessione è regolare ed ha lo stesso limite;
(ii) se esistono due sottosuccessioni regolari di (an )n∈N che ammettono limiti diversi, allora (an )n∈N
è irregolare.
Dal Teorema di Bolzano-Weierstrass (cfr. Teorema 7.22, pag. 130) si deduce immediatamente
Teorema 9.9. Ogni successione reale limitata ammette una sottosuccessione convergente.
Dimostrazione. Sia (an )n∈N una successione reale limitata. Allora, detto
(0.9) X = {an : n ∈ N}
il codominio della successione, l’insieme X è non vuoto e limitato in R.
Se X è finito, deve necessariamente esistere un indice n0 ∈ N tale che l’insieme
B = {n ∈ N : an = an0 }
è infinito e numerabile, i.e., card (B) = card (N).
Ciò significa che la successione (an )n∈N ammette una sottosuccessione costantemente uguale ad an0 , e,
quindi, convergente ad an0 .
Se X è infinito, essendo anche limitato, ammette almeno un punto di accumulazione x0 ∈ R, per il
teorema di Bolzano-Weierstrass. Dalla (4.6) della Proposizione 8.20, pag. 150, si deduce allora l’esistenza
di una sottosuccessione (ank )k∈N convergente a x0 . □
9. COMMENTI SULLA TEORIA DEL LIMITE PER SUCCESSIONI REALI 179

Il Teorema 8.11, pag. 146, grazie al Principio di buon ordine (cfr. pag. 54), afferma che

Teorema 9.10. Per una successione reale (an )n∈N le seguenti condizioni sono equivalenti

(i) lim an = L, con L ∈ R,


n→+∞
(ii) esiste indice n0 ∈ N tale che

(0.10) lim an = L, con L ∈ R.


n→+∞
n≥n0

Il Teorema 8.33, adottando nuovamente la convenzione | + ∞| = | − ∞| = +∞, assicura che

Teorema 9.11. Assegnata una successione reale (an )n∈N ,

(i) se (an )n∈N ha limite L ∈ R, allora la successione dei moduli (|an |)n∈N ha limite uguale a |L|,
i.e.,

(0.11) lim an = L =⇒ lim |an | = |L|.


n x→x0

(ii) (an )n∈N è infinitesima se, e soltanto se, la successione dei moduli (|an |)n∈N è infinitesima,
i.e.,

(0.12) lim an = 0 ⇐⇒ lim |an | = 0.


n x→x0

Il risultato (i) nel Teorema 9.11 non è invertibile, a meno che la successione (an )n∈N non sia infinite-
sima, i.e., L = 0, come evidenziato dalla (ii). Basti pensare alla successione ((−1)n )n∈N .
In quanto l’insieme N dei numeri naturali ammette come solo punto di accumulazione +∞, dei teoremi
esposti nel § 7 (cfr. pagg. 159–163) l’unico applicabile alle successioni numeriche è il Teorema 8.46. Per
la caratterizzazione della monotònia per le successioni numeriche (cfr. Proposizione 4.34 pag. 81),

Teorema 9.12 (Regolarità di successioni definitivamente monotòne).


Sia (an )n∈N una successione reale.
(i) Se esiste indice n0 ∈ N tale che

an ≤ an+1 per ogni n ≥ n0 ,

allora (an )n∈N è regolare

lim an = sup an .
n→+∞ n∈N,
n≥n0

(ii) Se esiste indice n0 ∈ N tale che

an+1 ≤ an per ogni n ≥ n0 ,

allora (an )n∈N è regolare

lim an = inf an .
n→+∞ n∈N,
n≥n0

Per quanto riguarda la teoria dei limiti per successioni in relazione alle operazioni algebriche, i teoremi
dei § 9 e 10 del Cap. 8 (cfr. pagg. 165–171) si possono enunciare come

Teorema 9.13. Se (an )n∈N e (bn )n∈N sono due successioni reali convergenti, allora
180 9. COMMENTI SULLA TEORIA DEL LIMITE PER SUCCESSIONI REALI

(0.13) la successione (an + bn )n∈N è convergente e


lim an + bn = lim an + lim bn ;
n n n

(0.14) la successione (an · bn )n∈N è convergente e


lim an · bn = lim an · lim bn ;
n n n

 
1
(0.15) se (bn )n∈N non è infinitesima, la successione è convergente e
bn n∈N

1 1
lim = ;
n bn limn bn

(0.16) se (bn )n∈N è infinitesima e definitivamente strettamente positiva,


1
lim = +∞;
n bn

(0.17) se (bn )n∈N è infinitesima e definitivamente strettamente negativa,


1
lim = −∞.
n bn
Teorema 9.14. Siano (an )n∈N e (bn )n∈N due successioni reali.
(i) Se (an )n∈N diverge positivamente e (bn )n∈N è limitata inferiormente, allora la successione
(an + bn )n∈N diverge positivamente, i.e.,


lim an = +∞ , 
n
(0.18) =⇒ lim an + bn = +∞.
inf bn > −∞  n
n

(ii) Se (an )n∈N diverge negativamente e (bn )n∈N è limitata superiormente, allora la successione
(an + bn )n∈N diverge negativamente, i.e.,

lim an = −∞ , 

n
(0.19) =⇒ lim an + bn = −∞.
sup bn < +∞  n
n

(iii) Se (an )n∈N diverge positivamente e (bn )n∈N è definitivamente limitata inferiormente da una
costante positiva, allora la successione (an · bn )n∈N diverge positivamente, i.e.,

lim an = +∞ , 

n
(0.20) =⇒ lim an · bn = +∞.
inf bn > 0  n
n≥n0

(iv) Se (an )n∈N diverge positivamente e (bn )n∈N è definitivamente limitata superiormente da una
costante negativa, allora la successione (an · bn )n∈N diverge negativamente, i.e.,
1. IL NUMERO e 181

lim an = +∞ , 
n 
(0.21) =⇒ lim an · bn = −∞.
sup bn < 0  n
n≥n0

(v) Se (an )n∈N diverge negativamente e (bn )n∈N è definitivamente limitata inferiormente da una
costante positiva, allora la successione (an · bn )n∈N diverge negativamente, i.e.,

lim an = −∞ , 

n
(0.22) =⇒ lim an · bn = −∞.
inf bn > 0  n
n≥n0

(vi) Se (an )n∈N diverge negativamente e (bn )n∈N è definitivamente limitata superiormente da una
costante negativa, allora la successione (an · bn )n∈N diverge positivamente, i.e.,

lim an = −∞ , 
n 
(0.23) =⇒ lim an · bn = +∞.
sup bn < 0  n
n≥n0

 
1
(vii) Se (an )n∈N diverge positivamente, allora la successione è infinitesima e definitiva-
an n∈N
mente strettamente positiva, i.e.,

 1
 an > 0 definitivamente,


(0.24) lim an = +∞ =⇒
n
 lim 1 = 0+ .


n an

 
1
(viii) Se (an )n∈N diverge negativamente, allora la successione è infinitesima e definitiva-
an n∈N
mente strettamente negativa, i.e.,

 1
 an < 0 definitivamente,


(0.25) lim an = +∞ =⇒
n
 lim 1 = 0− .


n an

1. Il numero e
Teorema 9.15 (Il numero e di Nepero). La successione
 n 
1
(1.1) 1+
n n∈N

è convergente, ed il suo limite –detto numero e di Nepero–


 n
1
(1.2) e = lim 1 +
n n
appartiene all’intervallo ]2, 3].
182 9. COMMENTI SULLA TEORIA DEL LIMITE PER SUCCESSIONI REALI

Dimostrazione. La successione (1.1) è a termini strettamente positivi, e strettamente crescente.


Infatti, detto
 n
1
(1.3) an = 1 +
n
il termine n-esimo della successione (1.1), si osserva che, per la disuguaglianza di Bernoulli stretta (cfr.
Proposizione 3.33, pag. 64) unitamente alla compatibilità della relazione d’ordine ≤ rispetto alla somma
ed al prodotto,
 n+1
1
an+1 1 + n+1 (n + 2)
n+1
nn (n + 2)
n+1
nn+1 n+1
= 1
 n = n+1 n = n+1 n+1
an 1+ n (n + 1) (n + 1) (n + 1) (n + 1) n
!n+1 !n+1 !
n(n + 2) n+1 1 n+1 n+1 n+1
= 2 = 1− 2 > 1− 2
(n + 1) n (n + 1) n (n + 1) n
 
1 n+1
= 1− = 1 per ogni n ∈ N, con n ≥ 2.
n+1 n
Pertanto
an < an+1 per ogni n ∈ N,
visto che banalmente anche a1 < a2 .
Il Teorema 9.12 assicura quindi l’esistenza del limite della successione (1.1). Tale limite è finito,
poichè, come è facile verificare la successione (1.1) è limitata inferiormente da 2 e superiormente da 3,
i.e.,
(1.4) an ∈ ]2, 3[ per ogni n ∈ N, con n ≥ 2.
Infatti, essendo strettamente crescente, la successione (1.1) è limitata inferiormente da
 n
1
(1.5) a1 = inf 1 + = 2.
n n
D’altra parte, la formula del binomio (cfr. (3.19) pag. 63), la seconda stima nella (3.18), pag. 62, e
la Proposizione 3.30 pag. 62, consentono di evidenziare che, per ogni n ≥ 3,
n    k n  
X n 1 X n 1
an = =1 +
k n k nk
k=0 k=1
n
X 1 n · (n − 1) · · · (n − (k − 1))
= 1 +
k! nk
k=1
n     
X 1 1 k−1
(1.6) =2+ 1· 1− ··· 1 −
k! n n
k=2

n n n−1
X 1 X 1 X 1
(1.7) ≤1+ <1+ k−1
= 1 +
k! 2 2k
k=1 k=1 k=0

1 − 21n 1
(1.8) =1+ < 1 + 1 = 3.
1 − 12 2
La definizione (1.2) è pertanto ben posta, ed
(1.9) e ∈ ]2, 3]
per il Teorema 9.4. □
Osservazione 9.16. La (1.5) e le (1.6)–(1.8) assicurano, in particolare, che
 n n
1 X 1
(1.10) 2 < 1+ ≤ < 3 per ogni n ∈ N, n ≥ 2.
n k!
k=0
1. IL NUMERO e 183

Il Teorema 9.17 seguente evidenzia che le due successioni


 n  n
!
1 X 1
(1.11) 1+ e
n n∈N k!
k=0 n∈N
ammettono lo stesso limite, il numero e appunto.
Teorema 9.17 (Irrazionalità di e).
n
X 1
(1.12) e = lim .
n k!
k=0
Inoltre,
(1.13) e ∈ ]2, 3] \ Q.
Dimostrazione. La successione
n
!
X 1
(1.14)
k!
k=0 n∈N
è strettamente crescente.
Infatti, detto bn il termine n-esimo della successione (1.14), i.e.,
n
X 1
(1.15) bn =
k!
k=0
la compatibilità della relazione d’ordine ≤ rispetto alla somma assicura che
1
(1.16) bn+1 = bn + > bn per ogni n ∈ N.
(n + 1)!
La (i) nel Teorema 9.12 assicura che la successione (1.14) ammette limite. Inoltre, per i Teoremi 9.4
e 9.15, la (1.10) implica che
(1.17) e ≤ lim bn < 3.
n

Per provare la (1.12) rimane pertanto da dimostrare che


(1.18) lim bn ≤ e.
n

A tal fine, si osserva che, fissato un indice j ∗ ∈ N –e facendo uso della notazione (1.3)– per ogni
n > j ∗ si ha che
n   j∗   j∗
X n 1 X n 1 X 1 n(n − 1) · · · (n − (k − 1))
an = ≥ =1+
k nk k nk k! nk
k=0 k=0 k=1
(1.19)
j∗     
X 1 1 k−1
≥1+ · 1· 1− ··· 1 − .
k! n n
k=1
Definito
j∗    
X 1 1 k−1
(1.20) bj ∗ ,n =1+ 1− ··· 1 − per ogni n ∈ N, con n > j ∗ ,
k! n n
k=1
si ha che la successione
(1.21) (bj ∗ ,n )
n∈N,
n>j ∗
è strettamente crescente, in quanto per la compatibilità della relazione d’ordine ≤ rispetto alla somma
ed al prodotto,
(1.22) bj ∗ ,n < bj ∗ ,n+1 per ogni n ∈ N, con n > j ∗ .
In quanto, per la (1.19) e la (1.20)
(1.23) an ≥ bj ∗ ,n per ogni n ∈ N, con n > j ∗ ,
184 9. COMMENTI SULLA TEORIA DEL LIMITE PER SUCCESSIONI REALI

la (i) nel Teorema 9.12 ed i Teoremi 9.4 e 9.15, assicurano che

e = lim an ≥ lim bj ∗ ,n
n n

(1.24) j     
X 1 1 k−1
= 1+ lim 1 − ··· 1 − = bj ∗ per ogni j ∗ ∈ N.
k! n n n
k=1

La successione strettamente crescente (1.14) è quindi limitata superiormente dal numero e. La (i)
nel Teorema 9.12 ed il Teorema 9.4 implicano quindi la (1.18). Questa unitamente alla (1.17) provano la
(1.12).
Per provare la (1.18) si osserva in primis che
n
X 1 3
(1.25) 0<e− < per ogni n ∈ N.
k! (n + 1)!
k=0

Infatti,
n
X 1
(1.26) e− >0 per ogni n ∈ N
k!
k=0

in quanto la successione (1.14) è strettamente crescente e vale la (1.12).


La veridicità della stima
n
X 1 3
(1.27) e− < per ogni n ∈ N
k! (n + 1)!
k=0

segue dall’applicazione del Principio di Induzione, tenendo conto della (1.9).


Procedendo per assurdo, si supponga che
(1.28) e ∈ ]2, 3] ∩ Q .
Esistono, quindi, due numeri m1 , m2 ∈ N tali che
m1
e= .
m2
Scelto un numero naturale n̄ ∈ N, con
(1.29) n̄ > max{2, m2 }
si osserva che


! n̄
! n̄
! n̄
m1 X 1 X 1 X 1 X
(1.30) n̄! = n̄! e − + n̄! = n̄! e − + (n̄ − k)!,
m2 k! k! k!
k=0 k=0 k=0 k=0

e quindi, per la (1.26) e (1.27),

n̄ n̄
!
m1 X X 1 n̄! 3
(1.31) 0 < n̄! − (n̄ − k)! = n̄! e − < 3 = ≤1
m2 k! (n̄ + 1)! n̄ + 1
k=0 k=0

essendo n̄ > max{2, m2 }.


La (1.31) fornisce la voluta contraddizione. Infatti, per la (1.29), si ha che

m1 X
n̄! − (n̄ − k)! ∈ N,
m2
k=0
(1.32)

m1 X
n̄! − (n̄ − k)! < 1.
m2
k=0

Ciò prova la (1.13). □


2. CRITERIO DI CAUCHY PER SUCCESSIONI REALI 185

2. Criterio di Cauchy per successioni reali


Nel Cap. 4, § 4, pag. 83, è stata introdotta la nozione di successione reale di Cauchy. Il presente
paragrafo è finalizzato ad evidenziare che per le successioni reali l’essere convergenti e l’essere di Cauchy
sono due proprietà equivalenti.
Lemma 9.18. Sia (an )n∈N ⊂ R una successione di Cauchy. Se (an )n∈N ammette una sottosuccessione
(ank )k∈N convergente, allora (an )n∈N è convergente e
lim an = lim ank .
n k

Dimostrazione. Sia (an )n∈N una successione di Cauchy in R, e sia (ank )k∈N una sua sottosucces-
sione tale che
(2.1) lim ank = l con l ∈ R.
k
Assegnato un numero ϵ > 0 arbitrariamente, la Definizione 4.39, pag. 83, assicura l’esistenza di un numero
νϵ ∈ N tale che
ϵ
(2.2) |an − am | < per ogni n, m ∈ N, con n, m ≥ νϵ ,
2
mentre la (2.1) assicura l’esistenza di un numero k̃ϵ ∈ N tale che
ϵ
(2.3) |ank − l| < per ogni nk ≥ nk̃ϵ .
2
Avvalendosi della disuguaglianza triangolare, dalle (2.2) e (2.3) si deduce pertanto che per ogni ϵ > 0
esiste un indice ν̂ϵ ∈ N, ν̂ϵ ≥ max{νϵ , nk̃ϵ } tale che
ϵ ϵ
|an − l| ≤ |an − ank | + |ank − l| < + = ϵ per ogni n > ν̂ϵ ,
2 2
ossia la tesi. □
Teorema 9.19. Per una successione reale (an )n∈N le seguenti condizioni sono equivalenti
(i) (an )n∈N è convergente;
(ii) (an )n∈N è di Cauchy.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Se an → l, con l ∈ R, allora per ogni numero ϵ > 0 esiste un indice νϵ
ϵ
(2.4) |an − l| < per ogni n ≥ νϵ
2
(cfr. Proposizione 8.19, pag. 150). Per la disuguaglianza triangolare,
ϵ ϵ
(2.5) |an − am | ≤ |an − l| + |am − l| < + = ϵ per ogni n, m ≥ νϵ ,
2 2
i.e., (an )n∈N è di Cauchy.
(i)⇐(ii) Se (an )n∈N è di Cauchy, essa è limitata (cfr. Proposizione 4.41, pag. 83). La tesi pertanto si
deduce dal Teorema di Bolzano-Weiestrass (cfr. Teorema 9.9, pag. 178) e dal Lemma 9.18. □
CAPITOLO 10

La nozione di continuità per funzioni reali di una variabile reale

Nel Cap. 8 è stata introdotta ed esaminata la nozione di limite per una funzione reale di una variabile
reale. Per una funzione f : X ⊆ R → R, il concetto di limite di f in un punto x0 ∈ R è ben posto a patto
che x0 sia un punto di accumulazione per il suo dominio X di definizione (cfr. Definizione 7.9, pag. 127).
Alla luce del Corollario 7.17, pag. 129, ciò significa che il dominio della funzione f non solo deve essere
un insieme non vuoto, ma deve esser costituito da un numero infinito di elementi distinti.
Un punto x0 ∈ R di accumulazione per un insieme X non appartiene necessariamente ad esso, anche
qualora x0 sia un numero reale. A mo’ di esempio si consideri l’insieme X = [x0 − δ, x0 [, con x0 ∈ R. In
questo caso x0 ∈ D(X), ma x0 ∈ / X. Tale circostanza ha motivato, tra l’altro, la definizione di sottoinsieme
chiuso di R (cfr. Definizione 6.11, pag. 134).
D’altra parte, anche quando il punto di accumulazione x0 per il dominio X della funzione f appartiene
all’insieme X, i.e., x0 ∈ X ∩ D(X), pur risultando ben definito il valore numerico f (x0 ), non è garantita
l’esistenza del limite della funzione f in x0 (cfr. (1) negli Esercizi 8.17, pag. 149), ed anche qualora tale
limite esistesse, esso non è necessariamente in relazione con il valore della funzione f nel punto x0 (cfr.
Esempio 8.13, pag. 147).
Tali considerazioni conducono a focalizzare l’attenzione su quelle funzioni reali di una variabile reale
che in un punto x0 del dominio di definizione, che sia anche di accumulazione per esso, ammettano limite
in x0 uguale al valore da esse assunto in x0 .

1. Funzione continue in un punto del loro dominio di definizione


Definizione 10.1. Sia f : X ⊆ R → R. Allora la funzione f è continua in un punto x0 ∈ X quando
(1.1) ∀ϵ > 0 ∃δ = δ(ϵ, x0 ) > 0 t.c. |f (x) − f (x0 )| < ϵ per ogni x ∈ X, con |x − x0 | < δ.
Osservazioni 10.2. (I) Per le proprietà della funzione valore assoluto (cfr. Cap. 2, § 4, pag. 46), le
disuguaglianze |f (x) − f (x0 )| < ϵ e |x − x0 | < δ presenti nella (1.1) sono equivalenti rispettivamente alle
doppie disuguaglianze
(1.2) f (x0 ) − ϵ < f (x) < f (x0 ) + ϵ,
(1.3) x0 − δ < x < x0 + δ.
Pertanto una funzione f : X ⊆ R → R è continua in un punto x0 ∈ X quando
(1.4) ∀ϵ > 0 ∃δ = δ(ϵ, x0 ) > 0 t.c. f (X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[) ⊆ ]f (x0 ) − ϵ, f (x0 ) + ϵ[.
(II) Per l’interpretazione geometrica della continuità di una funzione f : X ⊆ R → R in punto x0 ∈ X,
si osservi che, fissato un sistema di assi cartesiani Oxy, le rette verticali x = x0 − δ e x = x0 + δ e le
rette orizzontali y = f (x0 ) − ϵ e y = f (x0 ) + ϵ determinano un rettangolo R = R(x0 ; ϵ, δ) il cui centro è
il punto P0 = (x0 , f (x0 )).
Dire che f : X ⊆ R → R è continua nel punto x0 ∈ X equivale ad affermare che comunque si assegni
un numero positivo ϵ è possibile determinare un numero positivo δ –che in generale dipenderà sia dal
punto x0 sia dal numero ϵ– tale che la porzione del grafico della funzione f
S = {(x, f (x)) : x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[}
è interamente contenuta nel rettangolo R = R(x0 ; ϵ, δ).
In quanto ogni insieme X è esprimibile come unione disgiunta dell’insieme X \D(X) dei sui punti iso-
lati e dell’insieme X ∩ D(X) dei suoi punti di accumulazione ad esso appartenenti (cfr. Proposizione 7.15,
pag. 128), si prova che
Proposizione 10.3. Sia f : X ⊆ R → R.

187
188 10. LA NOZIONE DI CONTINUITÀ PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(i) Se x0 ∈ X \ D(X), allora la funzione f è continua in x0 .


(ii) Se x0 ∈ X ∩ D(X), allora la funzione
(1.5) f è continua in x0 ⇐⇒ lim f (x) = f (x0 ).
x→x0

Dimostrazione. (i) Se x0 ∈ X \ D(X), allora –via la Definizione 7.11, pag. 128–


(1.6) esiste un numero δ = δ(x0 ) > 0 tale che X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[ = {x0 }
La (1.1) risulta pertanto verificata banalmente, considerando per ogni ϵ > 0 il numero δ garantito dalla
(1.6).
(ii) Se x0 ∈ X ∩ D(X), la (1.5) si deduce dalla (1.1) e dalla (0.8), pag. 142. □
Osservazione 10.4. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R.
Se X è finito, il Corollario 7.18, pag. 129, e la Proposizione 10.3 garantiscono che ogni funzione reale
definita su X è continua in ogni punto di X.
Se X non è finito, ogni funzione reale definita su X è continua negli eventuali punti isolati di X,
mentre in un punto x0 ∈ X che è di accumulazione per X è continua se, e soltanto se, verifica le seguenti
tre condizioni: ammette limite in x0 , tale limite è finito, ed è uguale al valore assunto dalla funzione in
x0 .
La nozione di continuità è pertanto un’effettiva richiesta sul comportamento di una funzione solo
quando il suo dominio di definizione è costituito da almeno un’infinità di punti distinti e solo nei punti
del dominio che sono di accumulazione per esso. In ognuno di tali punti è inoltre una condizione più
restrittiva della convergenza, in quanto richiede la convergenza al valore assunto in esso dalla funzione.
La continuità di una funzione in un punto del suo dominio di definizione che ne è anche di accumu-
lazione è caratterizzabile in termini di successioni come segue
Teorema 10.5. Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, in un punto x0 ∈ X ∩ D(X) le seguenti
condizioni sono equivalenti:
(i) la funzione f è continua in x0 ;
(ii) per ogni successione (xn )n∈N , con xn ∈ X \ {x0 }, tale che xn → x0 , allora f (xn ) → f (x0 ), i.e.,
lim f (xn ) = f (lim xn ).
n n

Dimostrazione. Basta far uso del Teorema ponte (cfr. Teorema 8.21, pag. 151), e della Proposizio-
ne 10.3. □
I risultati esposti nel Cap. 8 in relazione alle funzioni convergenti consentono di evidenziare imme-
diatamente alcune proprietà delle funzioni continue in un punto.
Teorema 10.6 (Locale limitatezza di funzioni continue). Se una funzione f : X ⊆ R → R è continua
in un punto x0 ∈ X, allora esistono due numeri δ, C ∈ R+ tali che
|f (x)| ≤ C per ogni x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[.
Dimostrazione. Se x0 ∈ X \ D(X), basta considerare il numero δ garantito dalla (1.6), ed un
numero C ∈ R+ tale che C ≥ |f (x0 )|.
Per x0 ∈ X ∩ D(X), la tesi segue dalla locale limitatezza delle funzioni convergenti. Basta considerare
un numero δ ∈ R+ tale che ]x0 − δ, x0 + δ[ ⊆ U e C = max{|f (x0 )|, M }, ove U ∈ I(x0 ) ed M ∈ R+ sono
forniti dal Teorema 8.22, pag. 152. □
Teorema 10.7 (Permanenza del segno per funzioni continue). Se una funzione f : X ⊆ R → R è
continua in un punto x0 ∈ X e f (x0 ) ̸= 0, allora esiste un numero δ ∈ R+ tale che
(1.7) f|X∩ ]x0 −δ,x0 +δ[ ha segno costante, ed uguale a quello di f (x0 ).
Dimostrazione. Se x0 ∈ X \ D(X), basta considerare il numero δ garantito dalla (1.6).
Quando x0 ∈ X ∩ D(X), il risultato segue immediatamente dal Teorema 8.31, pag. 154, e dalla (ii)
nella Proposizione 10.3. □
Corollario 10.8. Se una funzione f : X ⊆ R → R è continua in un punto x0 ∈ X e f (x0 ) ̸= 0,
1
allora esiste un numero δ ∈ R+ tale che è ben definita in X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[.
f
1. FUNZIONE CONTINUE IN UN PUNTO DEL LORO DOMINIO DI DEFINIZIONE 189

Dimostrazione. Segue immediatamente dal Teorema 10.7. Esso assicura, infatti, l’esistenza di un
intervallo ]x0 − δ, x0 + δ[ tale che la funzione f è non nulla in X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[. □
Corollario 10.9. Sia f : X ⊆ R → R una funzione è continua in un punto x0 ∈ X ∩ D(X). Se per
ogni δ ∈ R+ esistono due punti x1 , x2 ∈ X ∩ (]x0 − δ, x0 + δ[\{x0 }) tali che
f (x1 ) ≤ 0 e f (x2 ) ≥ 0,
allora f (x0 ) = 0.
Dimostrazione. La tesi segue dal Corollario 8.32, pag. 154. □
Per funzioni continue in un punto il Teorema 8.28, pag. 153, ha la seguente semplice formulazione
Teorema 10.10 (confronto per funzioni continue). Siano f, g : X ⊆ R → R funzioni continue in un
punto x0 ∈ X ∩ D(X) e
f (x0 ) < g(x0 ),
allora esiste un numero δ ∈ R+ tale che
(1.8) f (x) < g(x) per ogni x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[.
Il comportamento di funzioni continue in uno stesso punto rispetto alle operazioni algebriche è
descritto dal
Teorema 10.11 (Continuità ed operazioni algebriche). Se f, g : X ⊆ R → R. sono funzioni continue
in un punto x0 ∈ X, allora
(1.9) le funzioni f + g e f g sono continue in x0 ,
f
(1.10) se g(x0 ) ̸= 0, la funzione è continua in x0 .
g
Inoltre,
(1.11) la funzione |f | è continua in x0 ,
(1.12) la funzione
max{f, g} : X −→ R
x 7−→ max{f (x), g(x)}
è continua in x0 ;
(1.13) la funzione
min{f, g} : X −→ R
x 7−→ min{f (x), g(x)}
è continua in x0 .
Dimostrazione. Se x0 ∈ X \ D(X), le (1.9)–(1.13) seguono dalla (i) nella Proposizione 10.3.
Sia x0 ∈ X ∩ D(X). Le (1.9)–(1.10) si deducono dal Teorema 8.62, pag. 165, via la (ii) nella Propo-
sizione 10.3. La (1.11) segue dalla (ii) nella Proposizione 10.3 e dalla (i) nel Teorema 8.33, pag. 154. Le
(1.12) e (1.13) si ottengono infine dalle (1.9) e (1.11), osservando che
(f + g) + |f − g| (f + g) − |f − g|
max{f, g} = e min{f, g} = . □
2 2
Proposizione 10.12. Se f : X ⊆ R → R è continua in un punto x0 ∈ X e
f (x0 ) > c [risp. f (x0 ) < c ], con c ∈ R,
allora esiste un numero δ ∈ R+ tale che tale che
f (x) > c [risp. f (x) < c ] per ogni X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[.
Dimostrazione. Basta applicare il Teorema 10.7 alla funzione f − c, che è continua in x0 ∈ X per
la (1.9). □
190 10. LA NOZIONE DI CONTINUITÀ PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Il comportamento di funzioni continue rispetto alla composizione di funzioni è descritto dal


Teorema 10.13 (Composizione di funzioni continue). Siano f : X ⊆ R → R e g : Y ⊆ R → R tali
che f (X) ⊆ Y .
(i) Se x0 ∈ X \ D(X), allora g ◦ f è continua in x0 .
(ii) Se x0 ∈ X ∩ D(X), e se f e g sono continue in x0 e f (x0 ), rispettivamente, allora la funzione
g ◦ f è continua in x0 .
Dimostrazione. La (i) segue dalla (i) nella Proposizione 10.3, mentre per la (ii) basta applicare il
Corollario 8.60, pag. 164, e tener conto della (ii) nella Proposizione 10.3. □
Osservazioni 10.14. (I) Nelle ipotesi (ii) nel Teorema 10.13 si ha che
 

(1.14) lim g ◦ f (x) = g(f (x0 )) = g lim f (x) ,
x→x0 x→x0

i.e., l’operazione di passaggio al limite in x0 commuta con la componente esterna g.


(II) I risultati esposti nel Cap. 8, § 11, pagg. 172 e ss., unitamente ai Teoremi 10.11 e 10.13, assicurano
che non solo le funzioni elementari sono continue nel loro dominio di definizione, ma, laddove definite,
tutte le somme, le differenze, i prodotti ed i quozienti di funzioni composte di funzioni elementari sono
continue in ogni punto del loro dominio di definizione. In particolare, ogni polinomio è continuo in ogni
punto di R e ogni funzione razionale è continua in ogni punto del suo dominio di definizione.
Risultano utili le seguenti
Definizione 10.15. Sia f : X ⊆ R → R. La funzione f è continua su un sottoinsieme A non vuoto
di X quando f è continua in ogni punto x0 ∈ A.
Notazione 10.16. Assegnato un sottoinsieme non vuoto A di R,
(1.15) C 0 (A) = {f : A ⊆ R → R : f è continua in ogni punto x0 ∈ A},
i.e., C 0 (A) è l’insieme di tutte e sole le funzioni reali continue su A.
Si osservi che
Proposizione 10.17. Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Se f ∈ C 0 (X), allora f|A ∈ C 0 (A) per
ogni A ⊆ X.
Dimostrazione. La tesi segue dalla Proposizione 10.3 e del Teorema 8.7, pag. 144. □
Inoltre,
Teorema 10.18 (Continuità ed operazioni algebriche). Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Se
f, g ∈ C 0 (X), allora
(1.16) f + g, f g, |f |, max{f, g}, min{f, g} ∈ C 0 (X),
f  
∈ C 0 X \ x ∈ X : g(x) = 0 .

(1.17)
g
Dimostrazione. La tesi segue dall’applicazione del Teorema 10.11 in ogni punto x0 ∈ X. □
Teorema 10.19 (Composizione di funzioni continue). Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Allora
f ∈ C 0 (X) e g ∈ C 0 f (X) g ◦ f ∈ C 0 (X).

=⇒
Dimostrazione. La tesi segue dall’applicazione del Teorema 10.13 in ogni punto x0 ∈ X. □
Il seguente esempio evidenzia che l’inverso del Teorema 10.19 è falso, i.e., la continuità della funzione
composta g ◦ f non implica che g oppure f siano continue.
Esempio 10.20. Siano X = [−2, −1[ ∪ [1, 2] e Y = [−1, 1], e siano

f : X −→ R
(
(1.18) x + 1 se x ∈ [−2, −1[,
x 7−→
x − 1 se x ∈ [1, 2].
2. PUNTI DI DISCONTINUITÀ PER UNA FUNZIONE 191

e
g : Y −→ R
(
(1.19) x−1 se x ∈ [−1, 0[,
x 7−→
x+1 se x ∈ [0, 1].
La funzione f è continua in ogni punto del suo dominio di definizione, i.e.,
f ∈ C 0 ([−2, −1[ ∪ [1, 2]).
Inoltre,
(1.20) f (X) = f ([−2, −1[ ∪ [1, 2]) = [−1, 1] = Y.

La funzione g è continua in ogni punto del suo dominio di definizione eccezion fatta che in 0, i.e.,
g ∈ C 0 ([−1, 1] \ {0}),
in quanto
̸ ∃ lim g(x).
x→0
Inoltre,
(1.21) g(Y ) = g([−1, 1]) = [−2, −1[ ∪ [1, 2] = X.

Le funzioni composte g ◦ f e f ◦ g sono entrambe ben definite, in virtù delle (1.20) e (1.21),
rispettivamente. Esse sono continue, in quanto
g ◦ f = IX ,
f ◦ g = IY .

Esercizio 10.21. Verificare che, per ogni sottoinsieme non vuoto X di R, l’insieme C 0 (X) definito
nella (1.15), munito delle operazioni di addizione e moltiplicazione per un numero reale
(f + g)(x) = f (x) + g(x) per x ∈ X,
(c · f )(x) = c · f (x) per x ∈ X,
è uno spazio vettoriale reale.

2. Punti di discontinuità per una funzione


Una volta fornita la nozione di funzione continua in un punto, risulta naturale analizzare quando,
e perché, una funzione f : X ⊆ R → R non è continua in un punto x0 del suo dominio di definizione
X che sia anche punto di accumulazione per esso, i.e., x0 ∈ X ∩ D(X). Come evidenziato dalla (i)
nella Proposizione 10.3 nei punti isolati del dominio una funzione è infatti sempre continua (cfr., anche,
Osservazione 10.4).
Pertanto gli eventuali punti di discontinuità di una funzione f : X ⊆ R → R appartengono a X ∩
(Ddx (X) \ Dsx (X)), oppure a X ∩ (Dsx (X) ∩ Ddx (X)), o a X ∩ (Dsx (X) \ Ddx (X)), in quanto –cfr.
Osservazione 7.43, pag. 137–
X ∩ D(X) = (X ∩ (Ddx (X) \ Dsx (X))) ∪ (X ∩ (Ddx (X) ∩ Dsx (X))) ∪
(2.1)
∪ (X ∩ (Dsx (X) \ Ddx (X))) .
Tenendo conto dell’Osservazione 10.4, si fornisce in primis la seguente
Definizione 10.22. Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, un punto x0 ∈ X ∩ D(X) è un punto
di discontinuità eliminabile per f quando
i) la funzione f è convergente in xo ,
ii) lim f (x) ̸= f (x0 ).
x→x0
192 10. LA NOZIONE DI CONTINUITÀ PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Osservazione 10.23. La scelta dell’attributo ‘eliminabile’ nella Definizione 10.22 è motivata dal
fatto che, modificando la funzione f : X ⊆ R → R nel punto x0 ∈ X ∩ D(X) sostituendo al valore f (x0 )
il valore reale lim f (x) assicurato dalla (i), la funzione cosı̀ modificata risulta continua nel punto x0 .
x→x0
Precisamente, la funzione
(
f (x) per x ∈ X \ {x0 },
(2.2) ϕ(x) =
lim f (x) per x = x0 ,
x→x0

è continua nel punto x0 ∈ X ∩ D(X).


Esempi 10.24. (i) Si consideri la funzione f : R → R, ove f (0) = 0 e f (x) = 0 per x ∈ R \ {0}. Essa
è continua in R \ {0}, mentre 0 è un punto di discontinuità eliminabile per f . La funzione modificata ϕ
descritta in (2.2) è la funzione identicamente nulla.

(ii) Si consideri la funzione f : [0, 1] → R, ove f (0) = f (1) = 2 e f (x) = x per x ∈ ]0, 1[.
Essa è continua in ]0, 1[, per la continuità della funzione radice quadrata in [0, +∞[ (cfr. § 11.5,
pag. 173) e la Proposizione 10.17, pag. 190.
I punti 0 e 1 sono punti di discontinuità eliminabile per f , in quanto
√ √
lim+ f (x) = lim+ x = 0 ̸= 2 = f (0) e lim− f (x) = lim x = 1 ̸= 2 = f (1).
x→0 x→0 x→1 x→1

La prossima definizione focalizza un motivo di discontinuità per una funzione nei punti del suo
dominio di definizione che sono di accumulazione sia a destra sia a sinistra (e, quindi, in particolare, nei
punti interni del suo dominio di definizione).
Definizione 10.25. Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, un punto x0 ∈ X ∩ (Dsx (X) ∩ Ddx (X))
è un punto di discontinuità di salto per f quando
(s1 ) esistono lim− f (x) e lim+ f (x), e sono finiti,
x→x0 x→x0

(s2 ) lim f (x) ̸= lim+ f (x).


x→x−
0 x→x0

Il numero
(2.3) Sf (x0 ) = lim+ f (x) − lim− f (x)
x→x0 x→x0

è detto ampiezza con segno del salto di f nel punto x0 .


Osservazioni 10.26. (I) La nozione di punto di discontinuità di salto per una funzione f : X ⊆ R →
R è ben posta in tutti e soli i punti di X che sono di accumulazione sia a sinistra sia a destra per X, ed
è motivata dal Teorema di giunzione (cfr. Teorema 8.16, pag. 148).
La (s1 ) richiede, infatti, la convergenza tanto a sinistra quanto a destra nel punto x0 , ma tali valori sono
distinti per la (s2 ). Il Teorema 8.16 nega quindi l’esistenza del limite della funzione f nel punto x0 , ed a
fortiori la possibilità che la funzione f verifichi (1.5).
(II) Per la (s2 ), la quantità numerica Sf (x0 ) definita in (2.3) è non nulla.
Parlando in termini atecnici, essa esprime quanto la funzione f si discosti dal presentare in x0
continuità o una discontinuità di tipo eliminabile.
Infatti, se Sf (x0 ) fosse uguale a 0, la funzione

f (x) per x ∈ X \ {x0 },
ψ(x) =
 lim+ f (x) = lim− f (x) per x = x0 ,
x→x0 x→x0

sarebbe continua nel punto x0 ∈ X ∩ (Dsx (X) ∩ Ddx (X)).


I punti di discontinuità eliminabile e quelli di salto per una funzione f sono sovente denominati in
letteratura punti di discontinuità di 1a -specie per f , per rendere ben posta la seguente
Definizione 10.27. Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, un punto x0 ∈ X ∩ D(X) è un punto di
discontinuità di 2a -specie per f quando f non è continua in x0 ed x0 non è né un punto di discontinuità
eliminabile per f né un punto di discontinuità di salto per f .
3. PUNTI DI DISCONTINUITÀ PER FUNZIONI MONOTÒNE 193

Esempi 10.28. (I) La funzione f : R → R, con


sin 1

per x ̸= 0,
f (x) = x
0 per x = 0,

è continua in R \ {0}, non è continua in 0, ed il punto 0 è un punto di discontinuità di 2a -specie.


La funzione f è continua in R \ {0} per il Teorema 10.13, pag. 190, e per la continuità della funzione
seno in R e della funzione x−1 in R \ {0}.
La funzione f non è continua in 0, ed il punto 0 è un punto di discontinuità di 2a -specie, in quanto,
per il Teorema 8.64 ed (I) negli Esempi 8.9, la funzione f non ammette sia limite destro sia il limite
sinistro in 0.
(II) La funzione di Dirichlét
(
1 per x ∈ Q,
χQ (x) =
0 per x ∈ R \ Q,
è discontinua in ogni x0 ∈ R, ed ogni x0 ∈ R è un punto di discontinuità di 2a -specie.
Infatti, tenendo conto della densità di Q ed R\Q in R (cfr. Teorema 3.48, pag. 70, e Teorema 3.54, pag. 71),
e della caratterizzazione dei punti di accumulazione in termini di successioni (cfr. Proposizione 8.20,
pag. 150), in corrispondenza di ogni x0 ∈ R esistono quattro successioni (xn )n∈N , (x̃n )n∈N , (yn )n∈N e
(ỹn )n∈N convergenti ad x0 , con
xn ∈ Q ∩ ] − ∞, x0 [ , yn ∈ (R \ Q) ∩ ] − ∞, x0 [,
(2.4)
x̃n ∈ Q ∩ ]x0 , +∞[ , ỹn ∈ (R \ Q) ∩ ]x0 , +∞[
per ogni n ∈ N.
Le successioni (χQ (xn ))n∈N e (χQ (yn ))n∈N sono costanti, e pertanto convergenti, a 1 e 0 rispettiva-
mente. Per il Teorema 8.21, pag. 151), non esiste il limite sinistro in x0 .
Analogamente, le successioni (χQ (x̃n ))n∈N e (χQ (ỹn ))n∈N sono costanti, e convergenti, rispettivamen-
te, a 1 e 0. Per il Teorema 4.3 non esiste il limite destro in x0 .
Ogni x0 ∈ R è, quindi, un punto di discontinuità di 2a -specie.

(III) La funzione
(
x per x ∈ Q,
f (x) =
0 per x ∈ R \ Q,
è continua in 0 ed è discontinua in ogni x0 ∈ R \ {0}, che è un punto di discontinuità di 2a -specie.
Infatti, per ogni successione (xn )n∈N convergente a 0, si ha che la successione (f (xn ))n∈N è infinite-
sima, per il Corollario 8.40, pag. 157, e per il Teorema 3.54, pag. 71. La continuità di f in 0 segue allora
dal Teorema 10.5, 188.
Invece, per ogni x0 ∈ R\{0}, procedendo come nell’Esempio (II), esistono quattro successioni (xn )n∈N ,
(x̃n )n∈N , (yn )n∈N e (ỹn )n∈N convergenti ad x0 verificanti la (2.4).
Le successioni (f (xn ))n∈N e (f (yn ))n∈N sono, quindi, (xn )n∈N e (0)n∈N , e convergenti a x0 e 0, rispetti-
vamente. Per il Teorema 8.21 non esiste il limite sinistro in x0 .
Analogamente, le successioni (f (x̃n ))n∈N e (f (ỹn ))n∈N sono le successioni (x̃n )n∈N e (0)n∈N , che conver-
gono a x0 e 0, rispettivamente. Per il Teorema 4.3 non esiste il limite destro in x0 .
Ogni x0 ∈ R \ {0} è, quindi, un punto di discontinuità di 2a -specie.

3. Punti di discontinuità per funzioni monotòne


I punti di discontinuità di una funzione monotòna o sono punti di discontinuità eliminabile o sono
punti di discontinuità di salto.
Teorema 10.29. Una funzione monotòna non ammette punti di discontinuità di 2a -specie.
Dimostrazione. Sia f : X ⊆ R → R una funzione monotòna. Tenendo conto della Proposizione 10.3,
occorre considerare solo il comportamento di f nei punti dell’insieme X ∩ D(X), che è riscrivibile come
l’unione disgiunta (2.1).
194 10. LA NOZIONE DI CONTINUITÀ PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

I Teoremi 8.47 e 8.53 pagg. 160-162, implicano che i punti diX che sono punti di accumulazione
 i.e., appartengono all’insieme X ∩ Ddx (X) \ Dsx (X) oppure all’insieme X ∩ Dsx (X) \
unilaterali,
Ddx (X) , che non sono di continuità, sono punti di discontinuità eliminabile, mentre i punti di X che
sono punti di accumulazione bilaterali, i.e., appartengono all’insieme X ∩ Ddx (X) ∩ Dsx (X) , che non
sono di continuità, sono punti di discontinuità di salto. □
Per funzioni monotòne su intervalli chiusi e limitati la cardinalità dell’insieme dei punti di disconti-
nuità di salto al più numerabile.
Lemma 10.30. Se f : [a, b] ⊆ R → R è monotòna e non costante, e χ = {x0 , x1 , ..., xn } ∈ S [a, b] è
una partizione di [a, b], i.e., a = x0 < x1 < ... < xn = b, allora
n−1
X
| lim+ f (x) − lim− f (x)| ≤ f (b) − f (a).
x→xk x→xk
k=1

Dimostrazione. Si supponga che f : [a, b] ⊆ R → R sia crescente e non costante. Allora f (a) < f (b)
e f (a) ≤ f (x) ≤ f (b) per ogni x ∈ [a, b], i.e.,
(3.1) f (b) − f (a) > 0 e f ([a, b]) ⊆ [f (a), f (b)].
Sia χ = {x0 , x1 , ..., xm } ∈ S [a, b] una partizione di [a, b], i.e., a = x0 < x1 < ... < xm = b e siano
y1 , y2 , ..., ym ∈ [a, b] tali che
a = x0 < y1 < x1 < y2 < ... < yk < xk < yk+1 < ... < ym < xm = b.
Pertanto,
xk ∈ ]yk , yk+1 [ per ogni k ∈ {1, 2, ..., m − 1}.
Essendo f crescente si ha
f (yk ) ≤ lim f (x) ≤ f (xk ) ≤ lim f (x) ≤ f (yk+1 ) per ogni k ∈ {1, 2, ..., m − 1}.
x→x−
k x→x+
k

Perciò
f (yk+1 ) − f (yk ) ≥ lim+ f (x) − lim− f (x) per ogni k ∈ {1, 2, ..., m − 1}.
x→xk x→xk

Sommando queste quantità da k = 1 a k = m − 1 si ha:


m−1
X m−1
X
[ lim f (x) − lim f (x)] ≤ [f (yk+1 ) − f (yk )] = f (ym ) − f (y1 ) ≤ f (b) − f (a).
x→x+ x→x−
k=1 k k k=1
La dimostrazione è analoga nel caso f decrescente e non costante. □
Teorema 10.31. Se f : [a, b] ⊆ R → R è monotòna e non costante, essa ammette al più un’infinità
numerabile di punti di discontinuità di salto.
Dimostrazione. Si supponga che f : [a, b] ⊆ R → R sia crescente e non costante. Allora f (a) < f (b)
e f (a) ≤ f (x) ≤ f (b) per ogni x ∈ [a, b], i.e.,
f (b) − f (a) > 0 e f ([a, b]) ⊆ [f (a), f (b)].
Sia
S = {x̂ ∈ [a, b] : Sf (x̂) > 0}
l’insieme di tutti e soli dei punti di discontinuità di salto per f .
Si osserva in primis che, detto
 
f (b) − f (a)
Sn = x̄ ∈ S : Sf (x̄) ≥ per n ∈ N,
n
allora
(3.2) card (Sn ) < +∞.
Infatti, se Sn ̸= ∅ e x1 , x2 , ..., xm−1 ∈ Sn , con x1 < x2 < ... < xm−1 , con m ∈ N \ {1}, allora essendo
x1 , x2 , ..., xm−1 punti di discontinuità di salto per f con salto
1
(3.3) Sf (xk ) > per ogni k ∈ {1, 2, ..., m − 1},
n
3. PUNTI DI DISCONTINUITÀ PER FUNZIONI MONOTÒNE 195

per il Lemma 10.30


m−1
X
(3.4) Sf (xk ) ≤ f (b) − f (a).
k=1
Pertanto, dalle (3.3) e (3.4)
m−1 m−1
X X 1 m−1
(3.5) f (b) − f (a) ≥ Sf (xk ) ≥ = .
n n
k=1 k=1
Quindi,
m ≤ n(f (b) − f (a)) + 1.
Pertanto,
card (Sn ) ≤ n(f (b) − f (a)) + 1 per ogni n ∈ N,
il che prova la (3.2) per ogni n ∈ N.
Per concludere la dimostrazione basta allora osservare che, per la proprietà di Archimede, per ogni
x̂ ∈ S esiste un numero n ∈ N tale che x̂ ∈ Sn , e
[
S= Sn .
n∈N
Poiché ogni insieme Sn è al più finito, e l’unione numerabile di insiemi finiti è al più numerabile, si deduce
che la funzione f ammette al più un’infinità numerabile di punti di discontinuità di salto in [a, b].
La dimostrazione è analoga nel caso f decrescente e non costante. □
Esempio 10.32. La funzione parte intera f (x) = [x], x ∈ R, è continua in ogni punto di R \ Z e
discontinua in ogni punto di Z, che è un punto di discontinuità di salto.
La funzione parte intera f (x) = [x], x ∈ R (cfr. Definizione 3.41, pag. 66) è una funzione crescente
in R.
Per ogni x0 ∈ R \ Z, esiste un numero m ∈ Z tale che m < x0 < m + 1. La restrizione della funzione f
all’intervallo aperto ]m, m+1[ è costantemente uguale ad m. La funzione f è quindi continua in x0 ∈ R\Z.
Per ogni x0 = p ∈ Z, si ha invece che
lim [x] = p − 1 ̸= p = lim+ [x],
x→p− x→p

e, quindi,
S[x] (p) = 1 per ogni p ∈ Z.
CAPITOLO 11

Funzioni continue su intervalli

Si intende ora illustrare alcune proprietà qualitative verificate da funzioni reali di una variabile reale,
quando il loro dominio di definizione è un intervallo ed esse sono ivi continue.
Si ricordi che la nozione di intervallo (non banale) traduce l’idea intuitiva di un sottoinsieme ‘connesso’
–ossia privo di ‘buchi’– di R. Un sottoinsieme I non vuoto di R è, infatti, un intervallo non banale se, e
soltanto se, comunque si prendano due suoi elementi distinti, tutti i punti tra essi compresi sono ancora
elementi dell’insieme I.
In virtù della rappresentazione geometrica di R e di R2 , fissato un sistema di assi cartesiani Oxy, la
proiezione sull’asse Ox del grafico di una funzione f : (a, b) → R, con a, b ∈ R e a < b, è un segmento
quando a, b ∈ R, una semiretta quando a = −∞ o b = +∞, e l’intero asse se a = −∞ e b = +∞.
Gli intervalli non banali non hanno inoltre punti isolati. Pertanto, tenendo conto dell’Osservazio-
ne 10.4, pag. 188, per una funzione f : (a, b) → R, con a, b ∈ R e a < b, la richiesta di continuità in ogni
punto di (a, b) è un richiesta ‘effettiva’ che traduce l’idea intuitiva di una curva grafico che non presenti
‘strappi’ o ‘buchi’ in nessun punto P = (x, f (x)), x ∈ (a, b).
In ogni punto x0 ∈ (a, b) deve esser infatti soddisfatta la (1.5). Nei punti P = (x, f (x)), con x ∈ ]a, b[, la
curva grafico non può quindi presentare né discontinuità eliminabili né salti. Inoltre, se a o b appartengono
ad (a, b), la curva grafico non può presentare in A = (a, f (a)) e/o in B = (b, f (b)) discontinuità eliminabili.

1. Teoremi di esistenza degli zeri


Il risultati di questa sezione illustrano condizioni sufficienti per l’esistenza di una soluzione dell’equa-
zione f (x) = 0, ove f è una funzione reale di una variabile reale.
Le condizioni (i)-(iii) del Teorema 11.1, noto anche come Teorema dell’esistenza degli zeri, risultano,
in un certo senso, intuitivamente prevedibili: se una funzione reale f è definita su un intervallo chiuso e
limitato [a, b], con a, b ∈ R e a < b, è continua in ogni punto di [a, b] ed i punti A = (a, f (a)) e B = (b, f (b))
sono collocati da parti opposte rispetto all’asse Ox, la sua curva grafico intersecherà necessariamente l’asse
Ox almeno in un punto P̄ = (x̄, f (x̄)) con x̄ ∈ ]a, b[.
Tale punto non sarà necessariamente unico, a meno che la funzione non verifichi proprietà addizionali
di iniettività. Un semplice esempio è fornito dalla restrizione della funzione coseno a [0, 3π]. I punti
xk = π2 + kπ con k = 0, 1 e 2 sono soluzioni dell’equazione
cos x = 0 per x ∈ [0, 3π].
Il prossimo risultato è pertanto un risultato di esistenza, non di unicità.
Teorema 11.1 (di Bolzano). Sia f : X → R. Se
(i) X = [a, b], con a, b ∈ R e a < b,
(ii) f ∈ C 0 ([a, b]),
(iii) f (a) · f (b) < 0,
allora esiste almeno un punto x̄ ∈ ]a, b[ tale che f (x̄) = 0.
Dimostrazione. L’ipotesi (iii) equivale ad affermare che o f (a) < 0 ed f (b) > 0 oppure f (b) < 0
ed f (a) > 0 (cfr. (h) nella Proposizione 2.6, pag. 40).
Supponiamo che f (a) < 0 ed f (b) > 0.
L’applicazione del Teorema 10.7, pag. 188, nei punti a e b assicura l’esistenza di un numero δ ∈ 0, b−a
 
2
tale che
(1.1) f (x) < 0 per ogni x ∈ [a, a + δ[ ,
(1.2) f (x) > 0 per ogni x ∈ ]b − δ, b] .

197
198 11. FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI

L’insieme
(1.3) S = {x ∈ [a, b] : f (x) < 0},
è allora non vuoto –in quanto [a, a+δ[⊆ S per la (1.1)– ed è limitato superiormente da un qualsiasi numero
ξ ∈ ]b − δ, b[, per la (1.2). Di qui, per la completezza di R, esiste finito l’estremo superiore dell’insieme
(1.3) in R e, detto
Λ = sup S,
R
si ha che
Λ ∈ ]a, b[,
i.e., il numero Λ è interno all’intervallo [a, b].
Si dimostra che
(1.4) f (Λ) = 0 .
A tal fine, si osservi che per ogni numero ϵ > 0 esistono almeno due punti distinti x′ϵ , x′′ϵ ∈ [a, b] con
x′ϵ , x′′ϵ ∈ ] max{a, Λ − ϵ}, min{b, Λ + ϵ}[
e tali che
x′ϵ ∈ S e x′′ϵ ∈ [a, b] \ S .
Per la (1.3), si ha quindi che
(1.5) f (x′ϵ ) < 0 e f (x′′ϵ ) ≥ 0 .
Il Corollario 10.9, pag. 189, applicabile per l’ipotesi (ii) alla funzione f nel punto Λ ∈ ]a, b[ assicura la
veridicità della (1.4). Ponendo x̄ = Λ, si ha quindi la tesi.
La dimostrazione nel caso in cui f (a) > 0 ed f (b) < 0 è analoga. □

Osservazioni 11.2. (I) Se una funzione f : X ⊆ R → R non verifica una sola delle ipotesi del
Teorema 11.1, l’equazione f (x) = 0 può non ammettere soluzione, come evidenziato dagli Esempi 11.3.
(II) La dimostrazione del Teorema 11.1 evidenzia che ingrediente fondamentale per garantire il risultato di
esistenza è la completezza di R. Essa è ereditata da ogni suo sottoinsieme chiuso e limitato, in particolare
dagli intervalli [a, b], con a, b ∈ R e a < b.
La funzione f : [0, 2] ∩ Q → R, con
f (q) = q 2 − 2 per q ∈ [0, 2] ∩ Q
è una funzione continua in [0, 2] ∩ Q, per la Proposizione 10.17, pag. 190, e
f (0) = −2 e f (2) = 2.
L’equazione
q2 = 2 per q ∈ [0, 2] ∩ Q
non ammette però soluzione (cfr. dimostrazione del Teorema 3.47, pag. 68).
1
Esempi 11.3. (I) La funzione f (x) = x, con x ∈ X = [−1, 1] \ {0}, verifica le condizioni (ii) e (iii)
ma non verifica l’ipotesi (i). L’equazione
1
=0 per x ∈ [−1, 1] \ {0}
x
non ammette soluzione.
(II) La funzione f : [−1, 1] → R,
(
−1 per x ∈ [−1, 0[ ,
(1.6) f (x) =
1 per x ∈ [0, 1],
verifica le condizioni (i) e (iii) ma non soddisfa l’ipotesi (ii). L’equazione f (x) = 0 non ammette soluzione.
(III) La funzione f (x) = x2 + 1, per x ∈ X = [0, 1] verificano le ipotesi (i) e (ii) ma non verificano
la condizione (iii). L’equazione x2 + 1 = 0 non ammette soluzione.
1. TEOREMI DI ESISTENZA DEGLI ZERI 199

Corollario 11.4. Sia I un intervallo non banale di R. Per ogni funzione f ∈ C 0 (I) che in due
punti distinti x1 e x2 dell’intervallo I assume valori di segno discorde, l’equazione
f (x) = 0
ammette almeno una soluzione in I.
Tale soluzione è interna all’intervallo determinato dai punti x1 e x2 .
Dimostrazione. Basta applicare il Teorema 11.1 alla restrizione di f all’intervallo
(
[x1 , x2 ] se x1 < x2 ,
J=
[x2 , x1 ] se x2 < x1 .

A tal fine è solo necessario osservare che J ⊆ I, essendo I un intervallo, f|J ∈ C 0 (J) per la Proposizio-
ne 10.17 e
f (x1 ) · f (x2 ) < 0. □

Facendo uso delle convenzioni


(
+∞ se c ∈ ]0, +∞]
c · (+∞) =
−∞ se c ∈ [−∞, 0[,
(1.7) (
−∞ se c ∈ ]0, +∞]
c · (−∞) =
+∞ se c ∈ [−∞, 0[,
il Corollario 11.4 unitamente ad alcuni risultati della teoria dei limiti assicurano che
Corollario 11.5. Sia f ∈ C 0 (a, b), con a, b ∈ R e a < b. Se
(i) esistono lim f (x) e lim f (x), e sono non nulli,
x→a+ x→b−
(ii) lim f (x) · lim f (x) < 0,
x→a+ x→b−
allora esiste almeno un punto x̄ ∈ ]a, b[ tale che f (x̄) = 0.
Dimostrazione. Per la h) in Proposizione 2.6, pag. 40, e per la (1.7), l’ipotesi (i) equivale ad
affermare che lim+ f (x) < 0 e lim− f (x) > 0 oppure lim− f (x) < 0 ed lim+ f (x) > 0.
x→a x→b x→b x→a
Supponiamo che
lim f (x) < 0 e lim f (x) > 0.
x→a+ x→b−
 b−a 
L’applicazione del Teorema 8.31, pag. 154, nei punti a e b assicura l’esistenza di un numero δ ∈ 0, 2
tale che
f (x) < 0 per ogni x ∈ ]a, a + δ[ ,
f (x) > 0 per ogni x ∈ ]b − δ, b[ .
Esistono quindi due punti x1 , x2 ∈ ]a, b[ con
x1 ∈ ]a, a + δ[ e x2 ∈ ]b − δ, b[
tali che
(1.8) f (x1 ) < 0 e f (x2 ) > 0 .
La tesi segue allora dal Corollario 11.4.
La dimostrazione nel caso in cui limx→a+ f (x) > 0 ed limx→b− f (x) < 0 è analoga. □

Si è ora in grado di provare, con semplicità, l’esistenza della radice n-esima, per n ∈ N, n ≥ 2, di
un qualsiasi numero reale a > 0. L’unicità della radice n-esima di a segue dalla stretta crescenza della
restrizione della funzione potenza n-esima all’intervallo [0, +∞[.
200 11. FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI

Dimostrazione del Teorema 5.25, pag. 93. Assegnati n ∈ N, con n ≥ 2, ed a > 0, si consideri la
funzione
f (x) = xn − a con x ∈ [0, +∞[.
Per la Proposizione 10.17, pag. 190, ed il Teorema 10.18, pag. 190,
f ∈ C 0 ([0, +∞[).
Inoltre,
f (0) = lim f (x) = −a < 0 e lim f (x) = +∞.
x→0+ x→+∞
Il Corollario 11.5 assicura pertanto l’esistenza della soluzione dell’equazione xn = a per x ∈ [0, +∞[.
L’unicità segue dalla stretta crescenza della funzione f in [0, +∞[. □

2. Teorema dei valori intermedi


Il prossimo risultato assicura che, assegnato un intervallo I non banale di R, per ogni funzione
f : I → R continua, e non costante, l’equazione
f (x) = c
ammette almeno una soluzione in I per ogni numero reale c ∈ R, tale che
inf f (x) < c < sup f (x).
x∈I x∈I

Teorema 11.6 (dei valori intermedi). Se f ∈ C 0 (I), ove I è un intervallo non banale di R, e non è
costante, allora l’equazione
i h
(2.1) f (x) = c con c ∈ inf f (x), sup f (x)
x∈I x∈I

ammette almeno una soluzione in I.


Inoltre,
(2.2) f (I) è un intervallo non banale di R.
Dimostrazione. Se f è una funzione non costante, allora
inf f (x) < sup f (x).
x∈I x∈I

Per ogni c ∈ ] inf f (x), sup f (x)[ devono necessariamente esistere –per le proprietà dell’estremo inferiore
x∈I x∈I
e dell’estremo superiore di un insieme numerico– due punti distinti x1 , x2 ∈ I tali che
(2.3) inf f (x) ≤ f (x1 ) < c < f (x2 ) ≤ sup f (x) .
x∈I x∈I

Definito J l’intervallo chiuso e limitato di estremi x1 e x2 , i.e.,


(
[x1 , x2 ] se x1 < x2 ,
(2.4) J=
[x2 , x1 ] se x2 < x1 ,
allora J ⊆ I, essendo I un intervallo.
La funzione ϕ : J → R,
ϕ(x) = f (x) − c con x ∈ J,
verifica tutte le ipotesi del Teorema 11.1, con ϕ al posto di f , in virtù della (2.3), della Proposizione 10.17,
pag. 190, e del Teorema 10.18, pag. 190.
Conseguentemente, esiste necessariamente almeno un punto x̄ interno a J tale che ϕ(x̄) = 0. Ciò
significa che c = f (x̄) e prova la (2.1).
Per provare la (2.2), occore evidenziare che
[y1 , y2 ] ⊆ f (I) per ogni y1 , y2 ∈ f (I), con y1 < y2 .
Se y1 , y2 ∈ f (I) e y1 < y2 devono esistere almeno due punti distinti x1 , x2 ∈ I tali che
f (x1 ) = y1 e f (x2 ) = y2 .
Risulta pertanto ben definito l’intervallo J chiuso e limitato di estremi x1 e x2 (cfr. (2.4)).
3. CONDIZIONI SUFFICIENTI PER LA CONTINUITÀ DI UNA FUNZIONE STRETTAMENTE MONOTÒNA E DELLA SUA INVERSA
201

Per ogni
(2.5) y ∈ ]y1 , y2 [ = ]f (x1 ), f (x2 )[
la funzione ψ : J → R,
ψ(x) = f (x) − y con x ∈ J,
verifica tutte le ipotesi del Teorema 11.1, con ψ al posto di f , in virtù della (2.5), della Proposizione 10.17
e del Teorema 10.18. Conseguentemente, esiste necessariamente almeno un punto x̄ interno a J tale che
ψ(x̄) = 0. Ciò significa che y = f (x̄) e prova la (2.2).

Osservazioni 11.7. (I) In virtù della rappresentazione di R2 , fissato un sistema di assi cartesiani
Oxy, il Teorema 11.6 assicura che la proiezione sull’asse Oy del grafico di una funzione f : (a, b) → R,
con a, b ∈ R e a < b, è un segmento quando inf f (x), sup f (x) ∈ R, una semiretta quando inf = −∞ o
x∈I x∈I x∈I
sup f (x) = +∞, e l’intero asse se inf = −∞ e sup f (x) = +∞.
x∈I x∈I x∈I
(II) Nel § 11 del Cap. 8, pag. 172, si è evidenziato che tutte le funzioni elementari sono continue nei
loro domini di definizione. Tali domini sono tutti intervalli di R. Pertanto, dal Teorema 11.6, segue che
denotata con f una qualsiasi funzione elementare e con I il suo dominio di definizione, allora l’insieme
f (I) è sempre un intervallo.
Geometricamente parlando, ciò significa che, fissato un riferimento cartesiano Oxy, le proiezioni del
grafico di ogni funzione elementare sugli assi coordinati sono sempre intervalli di R.
Esercizio 11.8. Si dimostri che ogni funzione f : R → R tale che
f ∈ C 0 (R) e card (f (R)) < +∞
è una funzione costante.

3. Condizioni sufficienti per la continuità di una funzione strettamente monotòna


e della sua inversa
Il Teorema 11.6, a meno che non si facciano ipotesi addizionali sulla funzione f assegnata, non è
invertibile, nel senso che assegnata una funzione f : I ⊆ R → R, con I intervallo non banale di R,
(3.1) f (I) intervallo di R ̸⇒ f ∈ C 0 (I) .
come evidenziato dal prossimo esempio.
Esempio 11.9. Si consideri la funzione
(
x+1 per x ∈ [−1, 0],
f (x) =
x−1 per x ∈ ]0, 1].
l’intervallo [−1, 1] Il dominio della funzione f è l’intervallo [−1, 1], e
f ([−1, 1]) = ] − 1, 1] .
La funzione f non è continua in [−1, 1], in quanto 0 è un punto di discontinuità di salto per f , con
Sf (0) = lim f (x) − lim f (x) = −1 − 1 = −2.
x→0+ x→0−

Una condizione addizionale per l’invertibilità del Teorema 11.6 è la monotònia della funzione, come
illustrato dal
Teorema 11.10. Sia f : (a, b) → R, con a, b ∈ R e a < b. Allora
(3.2) f monotòna su (a, b) e f (a, b) intervallo in R =⇒ f ∈ C 0 (a, b).
Dimostrazione. Si supponga, per assurdo, che esista un punto x0 ∈ (a, b) in cui la funzione f ,
verificante le ipotesi in (3.2), non è continua.
Essendo la funzione f monotòna su (a, b), dal Teorema 10.29, pag. 193, segue che tale punto x0 o è
un punto di discontinuità eliminabile oppure è un punto di discontinuità di salto. In entrambi i casi, si
perviene ad una contraddizione dell’ipotesi che f (a, b) è un intervallo di R.
Si deve quindi avere necessariamente che la funzione f : (a, b) → R sia continua in ogni punto
dell’intervallo (a, b), i.e., f ∈ C 0 (a, b). □
202 11. FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI

Un’applicazione del Teorema 11.10 consente di provare la continuità delle funzioni inverse di funzioni
strettamente monotòne verificanti, dal punto di vista geometrico, la proprietà che la proiezione del loro
grafico su ciascuno degli assi coordinati è un intervallo.
Teorema 11.11. Sia f : (a, b) → R, con a, b ∈ R e a < b.
Se f è strettamente monotòna su (a, b) e se f (a, b) è un intervallo, allora la funzione inversa di f è
continua in ogni punto di f (a, b), i.e.,
f (−1) ∈ C 0 f (a, b) .


Dimostrazione. Se f è strettamente monotòna su (a, b), il Teorema 4.23, pag. 78, assicura l’esi-
stenza e la stretta monotònia della inversa f (−1) : f (a, b) → (a, b).
In quanto per ipotesi f (a, b) è un intervallo, la tesi segue dal Teorema 11.10 applicato alla funzione
f (−1) . Infatti, dalla (3.2), si ha
(3.3) f (−1) monotòna su (a, b) e f (−1) (f (a, b)) = (a, b) =⇒ f (−1) ∈ C 0 (f (a, b)).

Osservazioni 11.12. (I) Nel Teorema 11.11, la condizione che f (a, b) sia un intervallo non può essere
omessa, ed è bene sottolinearlo esplicitamente, essa non è implicata dalla altre ipotesi. Nel Teorema 11.11,
la funzione f : (a, b) → R, infatti, è strettamente monotona e non è richiesta continua.
Si consideri, ad esempio, la funzione
(
x x ∈ [0, 1[,
(3.4) f (x) =
x+1 x ∈ [1, 2].
Allora f : [0, 2] → R è strettamente crescente e f ([0, 2]) = [0, 1[ ∪ [2, 3].
(II) La tesi del Teorema 11.11 non sussiste necessariamente qualora il dominio X della funzione f non sia
un intervallo, pur rimanendo verificate le altre condizioni, ossia che la f è strettamente crescente su X e
che f (X) è un intervallo di R.
A mo’ di esempio, si consideri la funzione
(
x per x ∈ [0, 1],
(3.5) f (x) =
x−1 per x ∈ ]2, 3].
La funzione f è definita sull’insieme X = [0, 1]∪]2, 3], è ivi strettamente crescente e f (X) = [0, 2].
La funzione f (−1) , strettamente crescente, è definita in [0, 2] come segue
(
(−1)
y per y ∈ [0, 1],
(3.6) f (y) =
y+1 per y ∈ ]1, 2].
Nel punto 1 la funzione f (−1) presenta una discontinuità di salto, con Sf (−1) (1) = 1.

4. Relazione tra iniettività e stretta monotònia


È noto che la stretta monotònia di una funzione implica la sua iniettività. Il risultato non è invertibile
in generale, come evidenziato dalla funzione
(
x+1 per x ∈ [−1, 0],
(4.1) f (x) =
x−1 per x ∈ ]0, 1].
dell’Esempio 11.9, pag. 201. Tale funzione è, infatti, definita sull’intervallo [−1, 1], ivi iniettiva, ma non
monotona.
Si è, però, evidenziato che tale funzione non è continua sull’intervallo [−1, 1], presentando in 0 un
punto di discontinuità di salto.
Il prossimo risultato evidenzia che, per funzioni continue su intervalli, iniettività e stretta monotonia
sono proprietà equivalenti. Ad esso premettiamo il seguente
Lemma 11.13. Per una funzione f : X ⊆ R → R, le seguenti proprietà sono equivalenti:
(i) f è strettamente monotona su X,
4. RELAZIONE TRA INIETTIVITÀ E STRETTA MONOTÒNIA 203

(ii) per ogni x1 , x2 , x3 ∈ X, con x1 < x2 < x3 , risulta che


  
(4.2) f (x2 ) − f (x1 ) f (x3 ) − f (x2 ) > 0.

Si osservi che per la (i) nella Proposizione 2.6, pag. 40, la (ii) equivale ad affermare che per ogni
x1 , x2 , x3 ∈ X, con x1 < x2 < x3 , le differenze f (x2 )−f (x1 ) ed f (x3 )−f (x2 ) o sono entrambe strettamente
positive o sono entrambe strettamente negative.
Teorema 11.14. Sia f : (a, b) → R, con a, b ∈ R e a < b. Allora
(4.3) f ∈ C 0 (a, b) e f iniettiva in (a, b) =⇒ f strettamente monotona su (a, b).
0
Dimostrazione. Sia f ∈ C (a, b) ed iniettiva. Procedendo per assurdo, si supponga che f non sia
strettamente monotona. Per il Lemma 11.13 e l’iniettività di f , ciò significa che esistono almeno tre punti
x̄1 , x̄2 , x̄3 ∈ X, con x̄1 < x̄2 < x̄3 , per cui
 
(4.4) f (x̄2 ) − f (x̄1 ) f (x̄3 ) − f (x̄2 ) < 0.
Alla luce della (h) nella Proposizione 2.6, pag. 40, bisogna pertanto analizzare i due casi:
(A) f (x̄2 ) < f (x̄1 ) e f (x̄2 ) < f (x̄3 );
(B) f (x̄1 ) < f (x̄2 ) e f (x̄3 ) < f (x̄2 ).

Caso (A) : Denotato con c il minimo tra i valori f (x̄1 ) e f (x̄3 ), si ha che
f (x̄2 ) < c = min{f (x̄1 ), f (x̄3 )}.
Se c = f (x̄1 ), consideriamo l’intervallo [x̄2 , x̄3 ]. Per l’iniettività di f , f (x̄3 ) > c.
La funzione
(4.5) g : [x̄2 , x̄3 ] −→ R
x 7−→ f (x) − c
è ben definita su [x̄2 , x̄3 ], in quanto [x̄2 , x̄3 ] ⊂ (a, b).
Inoltre, g ∈ C 0 ([x̄2 , x̄3 ]) per i Teoremi 10.17 e 10.18, e
g(x̄2 ) = f (x̄2 ) − c < 0 e g(x̄3 ) = f (x̄3 ) − c > 0.
Il Teorema 11.1 assicura quindi l’esistenza di un punto ξ ∈ ]x̄2 , x̄3 [ tale che
f (ξ) = c.
Ma ciò contraddice l’iniettività della funzione f su (a, b), visto che per x̄1 , ξ ∈ (a, b), con x̄1 ̸= ξ, si ha
che f (x̄1 ) = f (ξ) = c.
Se c = f (x̄3 ), consideriamo l’intervallo [x̄1 , x̄2 ]. Per l’iniettività di f , f (x̄1 ) > c.
La funzione
(4.6) h : [x̄1 , x̄2 ] −→ R
x 7−→ f (x) − c
è ben definita su [x̄1 , x̄2 ], in quanto [x̄1 , x̄2 ] ⊂ (a, b).
Inoltre, h ∈ C 0 ([x̄1 , x̄2 ]) per i Teoremi 10.17 e 10.18 e
h(x̄1 ) = f (x̄1 ) − c > 0 e h(x̄2 ) = f (x̄2 ) − c < 0.
Il Teorema 11.1 assicura quindi l’esistenza di un punto ξ ∈ ]x̄1 , x̄2 [ tale che f (ξ) = c. Ma ciò contraddice
l’iniettività della funzione f su (a, b), visto che per x̄3 , ξ ∈ (a, b), con x̄3 ̸= ξ, si ha che f (x̄3 ) = f (ξ) = c.

Caso (B) : Denotato con M il massimo tra i valori f (x̄1 ) e f (x̄3 ), si ha che
M = max{f (x̄1 ), f (x̄3 )} < f (x̄2 ).
Se M = f (x̄1 ), consideriamo l’intervallo [x̄2 , x̄3 ]. Per l’iniettività di f , f (x̄3 ) < M .
La funzione
(4.7) g : [x̄2 , x̄3 ] −→ R
x 7−→ f (x) − M
204 11. FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI

è ben definita su [x̄2 , x̄3 ], in quanto [x̄2 , x̄3 ] ⊂ (a, b).


Inoltre, g ∈ C 0 ([x̄2 , x̄3 ]) per i Teoremi 10.17 e 10.18 e
g(x̄2 ) = f (x̄2 ) − M > 0 e g(x̄3 ) = f (x̄3 ) − M < 0.
Il Teorema 11.1 assicura quindi l’esistenza di un punto ξ ∈ ]x̄2 , x̄3 [ tale che f (ξ) = M . Ma ciò contraddice
l’iniettività della funzione f su (a, b), visto che per x̄1 , ξ ∈ (a, b), con x̄1 ̸= ξ,si ha che f (x̄1 ) = f (ξ) = M .
Se M = f (x̄3 ), consideriamo l’intervallo [x̄1 , x̄2 ]. Per l’iniettività di f , f (x̄1 ) < M .
La funzione
(4.8) h : [x̄1 , x̄2 ] −→ R
x 7−→ f (x) − M
è ben definita su [x̄1 , x̄2 ], in quanto [x̄1 , x̄2 ] ⊂ (a, b).
Inoltre, h ∈ C 0 ([x̄1 , x̄2 ]) per i Teoremi 10.17 e 10.18, e
h(x̄1 ) = f (x̄1 ) − M < 0 e h(x̄2 ) = f (x̄2 ) − M > 0.
Il Teorema 11.1 assicura quindi l’esistenza di un punto ξ ∈ ]x̄1 , x̄2 [ tale che f (ξ) = M . Ma ciò contraddice
l’iniettività della funzione f su (a, b), visto che per x̄3 , ξ ∈ (a, b), con x̄3 ̸= ξ, si ha che f (x̄3 ) = f (ξ) = M .
In quanto in entrambi i casi (A) e (B) si perviene ad una contraddizione, si ha quindi che la funzione
deve esser necessariamente strettamente monotona su (a, b). □

Dai Teoremi 11.11 e 11.14 segue il prossimo risultato, dal quale si deduce la continuità nei rispettivi
domini di definizione delle funzioni radice n-esima, n ∈ N, delle funzioni arcoseno, arcocoseno ed arcotan-
gente, delle funzioni logaritmiche e, di qui, delle funzioni potenza reale. Alcuni di tali conclusioni erano
già state ottenute analiticamente nel § 11 del Cap. 8.
Corollario 11.15. Se una funzione reale f è iniettiva su un intervallo I di R, ed ivi continua,
allora
(i) f (I) è un intervallo;
(ii) la funzione inversa f (−1) ∈ C 0 (f (I)).

5. Teorema di Weiestrass
Teorema 11.16 (di Weiestrass). Sia f : X → R. Se
(i) X è un sottoinsieme chiuso e limitato di R,
(ii) f ∈ C 0 (X),
allora
(I) f è limitata,
(II) esistono almeno due punti x′ , x′′ ∈ X tali che
f (x′ ) = inf f e f (x′′ ) = sup f,
X X

i.e., f ammette minimo e massimo su X.


Dimostrazione. Se l’insieme f (X) è finito, la tesi segue banalmente dal Teorema 3.26, pag. 60.
È pertanto necessario provare la (I) e la (II) sono nel il caso in cui l’insieme f (X) è infinito, i.e.,
(5.1) card (f (X)) ≥ card (N) .
Si noti, in particolare, che la (5.1) implica che il dominio X di f è anch’esso infinito. Infatti, per definizione
di funzione,
card (X) ≥ card (f (X)) .
(I) Argomentando per assurdo, si supponga che f non sia limitata. Ciò per la Proposizione 4.14, pag. 75, è
equivalente ad affermare che la funzione |f | non è limitata superiormente e quindi, per la Proposizione 7.19,
pag. 130,
+∞ ∈ D∞ (|f |(X)) .
5. TEOREMA DI WEIESTRASS 205

La (4.6) della Proposizione 8.20, pag. 150, garantisce allora l’esistenza di almeno una successione (xn )n∈N
a valori a due a due distinti in X tale che
(5.2) |f (xn )| −→ +∞.
Si osservi che l’ipotesi (i) assicura, via il teorema di Bolzano-Weierstrass (Teorema 9.9, pag. 178), che la
successione (xn )n∈N ammette una sottosuccessione (xnk )k∈N convergente.
Inoltre, detto x0 = limk xnk , x0 ∈ X (in quanto X è chiuso). Il teorema ponte per funzioni continue
(Teorema 10.5, pag. 188) –e la funzione |f | è continua per l’ipotesi (ii) e il Teorema 10.18, pag. 190–
implica quindi che
(5.3) |f (xnk )| −→ |f (x0 )|.
La (5.3), tenendo conto della (i) nel Teorema 9.8, pag. 178, chiaramente contraddice la (5.2). Si conclude
pertanto che la funzione f è limitata, i.e., esistono finiti inf f e sup f .
X X
(II) In accordo con la Proposizione 4.11, pag. 75), occorre provare che
inf f ∈ f (X) e sup f ∈ f (X).
X X
A tal fine si osserva che, per ogni n ∈ N, esiste almeno un punto xn ∈ X tale che
 
1 1
(5.4) inf f ≤ f (xn ) < inf f + risp. sup f − < f (xn ) ≤ sup f .
X X n X n X
La successione (xn )n∈N è limitata, in quanto assume valori in X e l’insieme X è limitato per l’ipotesi
(i). Per il teorema di Bolzano-Weierstrass, la successione (xn )n∈N ammette pertanto una sottosuccessione
(xnk )k∈N convergente.
Detto x′ = limk xnk , poiché X è chiuso (i.e., D(X) ⊆ X), si ha che x′ ∈ X. Il teorema ponte per
funzioni continue (Teorema 10.5, pag. 188) implica quindi che
(5.5) f (xnk ) −→ f (x′ ).
Dalla (5.4), per il Teorema dei carabinieri (Teorema 9.5, pag. 178), si ha anche che
 
(5.6) f (xnk ) −→ inf f risp. f (xnk ) −→ sup f .
X X
L’unicità del limite (Teorema 8.2, pag. 141), via le (5.5) e (5.6), consente di concludere che
 
f (x′ ) = inf f risp. f (x′ ) = sup f .
X X □
Combinando il Teorema di Weiestrass con il Teorema dei valori intermedi (Teorema. 11.6, pag. 200)
si ottiene
Corollario 11.17 (di Weiestrass). Se f ∈ C 0 ([a, b]), allora
 
f ([a, b]) = min f, max f .
[a,b] [a,b]
CAPITOLO 12

Funzioni uniformemente continue

Si è fornita la nozione di continuità di una funzione in un punto del suo dominio di definizione e, di
qui, quella di continuità su un suo sottoinsieme (cfr. Definizioni 10.1 e 10.15, pagg. 187 e 190).
Una funzione f : X ⊆ R → R è continua su un insieme non vuoto A ⊆ X quando
∀x0 ∈ A, e ∀ϵ > 0 ∃ δ = δ(ϵ, x0 ) > 0 tale che
(0.1)
|f (x) − f (x0 )| < ϵ per ogni x ∈ A, con |x − x0 | < δ = δ(ϵ, x0 ).
Nella (0.1) il numero δ dipende, in generale, sia dal numero ϵ > 0 assegnato sia dal punto x0 ∈ A,
come è ben evidenziato dal seguente
Esempio 12.1. Si consideri la funzione f (x) = log x, con x ∈ ]0, +∞[.
Siano x0 ∈ ]0, 1[ ed ϵ > 0 arbitrariamente assegnati. Le proprietà della funzione logaritmo in base
naturale assicurano che
   
x x
| log x − log x0 | < ϵ ⇐⇒ log < ϵ ⇐⇒ −ϵ < log <ϵ
x0 x0
(0.2)
⇐⇒ x0 e−ϵ < x < x0 eϵ

⇐⇒ x0 (e−ϵ − 1) < x − x0 < x0 (eϵ − 1)


Detto
(0.3) δ = x0 min{eϵ − 1, 1 − e−ϵ },
esso dipende tanto dal numero ϵ assegnato quanto dal punto x0 ∈ ]0, 1[, i.e.,
δ = δ(ϵ, x0 ),
e la (0.2) assicura che

| log x − log x0 | < ϵ per ogni x ∈ X, con |x − x0 | < δ = δ(ϵ, x0 ).

Risulta pertanto naturale porsi il seguente interrogativo:


assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, se f ∈ C 0 (A), ove A ⊆ X, per ogni ϵ > 0 è
possibile determinare almeno un numero positivo δ = δ(ϵ, A) dipendente esclusivamente
dal numero ϵ e dall’intero insieme A in modo tale che la (0.1) valga per ogni x0 ∈ A?
L’Esempio 12.1 illustra che la risposta non è affermativa in generale, ed il suo verificarsi esprime su
A una proprietà per la funzione f in generale più restrittiva della continuità, alla quale si dà il nome di
uniforme continuità.
La denominazione ‘uniforme’ nasce dal fatto che l’interrogativo posto avrà chiaramente risposta
positiva per tutte e sole quelle funzioni f ∈ C 0 (A) verificanti la seguente proprietà:
(0.4) inf δ(ϵ, x0 ) > 0 per ogni ϵ > 0,
x0 ∈A

ove δ(ϵ, x0 ) è il numero determinato – per la continuità di f in ogni punto x0 ∈ A– in corrispondenza del
numero positivo ϵ nella (0.1).
L’Esempio 12.1 ha evidenziato che la funzione continua f (x) = log x, con x ∈ ]0, +∞[, non è uniforme
continua nel suo dominio di definizione, in quanto, per la (0.3), si ha che
(0.5) inf δ(ϵ, x0 ) = inf x0 min{eϵ − 1, 1 − e−ϵ } = 0,
x0 ∈ ]0,+∞[ x0 ∈ ]0,+∞[

207
208 12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE

e quindi la (0.4) non è verificata.


Definizione 12.2. Una funzione f : X ⊆ R → R è uniformemente continua su un insieme non vuoto
A ⊆ X quando
∀ϵ > 0 ∃ δ = δ(ϵ, A) > 0 tale che
(0.6)
|f (x1 ) − f (x2 )| < ϵ per ogni x1 , x2 ∈ A, con |x1 − x2 | < δ = δ(ϵ, A).
Quando A = X, f è detta semplicemente uniformemente continua.
Per una funzione f : X ⊆ R → R uniformemente continua su un insieme A ⊆ X comunque si assegni
un numero positivo ϵ > 0 è dunque sempre possibile determinare un numero positivo δ = δ(ϵ, A) tale
che per due punti di x1 , x2 ∈ A che hanno distanza |x1 − x2 | minore di δ, ma per il resto sono ubicati
arbitrariamente in A, la distanza |f (x1 ) − f (x2 )| dei valori assunti in essi dalla funzione è minore di ϵ.
L’interpretazione geometrica della uniforme continuità di una funzione f : X ⊆ R → R su un insieme
A ⊆ X si deduce immediatamente dall’interpretazione geometrica della continuità di f in un punto,
fornita a pag. 187.
Dire che f : X ⊆ R → R è uniforme continua su A ⊆ X equivale ad affermare che comunque si assegni un
numero positivo ϵ è possibile determinare un numero positivo δ, dipendente esclusivamente dal numero ϵ
e dall’intero insieme A, tale che per ogni x0 ∈ A la porzione del grafico della funzione f
S = {(x, f (x)) : x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 + δ[}
è interamente contenuta nel rettangolo R = R(x0 ; ϵ), ossia, al variare di x0 ∈ A, l’insieme S è sempre
contenuto strettamente tra i lati orizzontali del rettangolo R = R(x0 ; ϵ).
In analogia con la Notazione 10.16, si farà nel seguito uso della
Notazione 12.3. Assegnato un sottoinsieme non vuoto X di R, l’insieme di tutte e sole le funzioni
reali continue su X è denotato con la scrittura U C(X), i.e.,
(0.7) U C(X) = {f : X ⊆ R → R : f è uniformemente continua}.
Osserviamo esplicitamente
Proposizione 12.4. Per ogni sottoinsieme non vuoto X di R,
(0.8) U C(X) ⊆ C 0 (X),
i.e., ogni funzione uniformemente continua su un insieme X è ivi continua.
Inoltre,
(0.9) U C(X) = C 0 (X) se cardX < +∞.
Dimostrazione. La (0.8) segue osservando che la validità della (0.6) con A = X implica la validità
della (0.1) per ogni x0 ∈ X ∩ D(X). Infatti, per ogni x0 ∈ X ∩ D(X), basta riscrivere la (0.8) con x al
posto di x1 e x0 al posto di x2 .
Per dimostrare la (0.9), alla luce della (0.8), occorre evidenziare che
(0.10) U C(X) ⊇ C 0 (X) se cardX < +∞.
Si osserva che quando cardX < +∞, allora esiste un numero n0 ∈ N tale che
X = {x1 , · · · , xn } con xi ̸= xj , per i ̸= j,
e tutti i punti dell’insieme X sono punti isolati, i.e.,
X = X \ D(X).
Dalla dimostrazione della Proposizione 10.3, in particolare dalla (1.6) di pag. 188, il numero
δ = δ(X) = min {δ(xi ) ∈ R+ : δ(xi ) descritto nella (1.6) in corrispondenza del punto isolato xi },
i=1,··· ,n

è ben definito per il Teorema 3.26 e ogni funzione f ∈ C 0 (X) verifica banalmente la (0.6), ove A = X,
per ogni ϵ > 0 con δ = δ(X). □
Proposizione 12.5. Se f ∈ U C(X), allora f|A ∈ U C(A) per ogni A ⊆ X.
12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE 209

Per funzioni pari o dispari, la verifica dell’uniforme continuità è riducibile a quella dell’uniforme
continuità della loro restrizione a [0, +∞[.
Proposizione 12.6. Se f : X ⊆ R → R è una funzione pari o dispari, allora
(0.11) f ∈ U C(X) ⇐⇒ f|X∩[0,+∞[ ∈ U C(X ∩ [0, +∞[).
Dimostrazione. (⇒) Segue dalla Proposizione 12.5.
(⇐) Siano
X0+ = X ∩ [0, +∞[ e X0− = X∩ ] − ∞, 0].
Si deve provare che se f|X + ∈ U C(X0+ ) e f : X ⊆ R → R è pari o dispari, allora
0

(0.12) f|X − ∈ U C(X0− );


0

inoltre,
(0.13) per ogni ϵ > 0 : δ(ϵ, X0− ) = δ(ϵ, X0+ ).
A tal fine è sufficiente osservare che, per ogni ϵ > 0,
(
|f (|x1 |) − f (|x2 |)| se f è pari
|f (x1 ) − f (x2 )| =
|−f (|x1 |) + f (|x2 |)| se f è pari

= |f (|x1 |) − f (|x2 |)|

<ϵ per ogni x1 , x2 ∈ X0− , con ||x1 | − |x2 || < δ = δ(ϵ, X0+ ),
ed inoltre
(0.14) ||x1 | − |x2 || = | − x1 + x2 | = |x1 − x2 | per ogni x1 , x2 ∈ X0− .
Ciò conclude la dimostrazione se 0 ∈/ X.
Se 0 ∈ X, bisogna anche osservare che per una funzione pari o dispari la sua continuità in 0 è
equivalente alla sua continuità destra in 0 e che per una funzione dispari la sua continuità in 0 implica
necessariamente il suo annullamento in 0. □
Esempi 12.7. (I) Ogni funzione affine lineare è uniforme continua su R.
Infatti, se f (x) = ax + b, x ∈ R, con a, b ∈ R, per ogni ϵ > 0 si ha che
(0.15) |f (x1 ) − f (x2 )| = |ax1 − ax2 | < ϵ
è sempre verificata se a = 0, mentre, se a ̸= 0, è soddisfatta da tutti i punti x1 , x2 ∈ R tali che
ϵ
|x1 − x2 | < = δ(ϵ).
a
(II) Per ogni r ∈ R+ , la funzione f (x) = x2 è uniforme continua su [−r, r].
Infatti, si osserva che, per ogni ϵ > 0,
|f (x1 ) − f (x2 )| = |x21 − x22 | = |x1 − x2 | |x1 + x2 |
≤ 2r|x1 − x2 | per ogni x1 , x2 ∈ [−r, r]
Pertanto, la (0.6) è verificata in A = [−r, r] dalla funzione f (x) = x2 con
ϵ
δ(ϵ, A) = .
2r
Teorema 12.8. Per ogni f, g ∈ U C(X) e per ogni α ∈ R,
f + g ∈ U C(X), e αf ∈ U C(X),
Dimostrazione. Se f, g ∈ U C(X), allora per ogni numero ϵ > 0 esistono due numeri positivi
δ ′ = δ ′ (ϵ, X) e δ ′′ = δ ′′ (ϵ, X) tali che
ϵ
|f (x1 ) − f (x2 )| < per ogni x1 , x2 ∈ X, con |x1 − x2 | < δ ′ = δ ′ (ϵ, X),
2
e
ϵ
|g(x1 ) − g(x2 )| < per ogni x1 , x2 ∈ X, con |x1 − x2 | < δ ′′ = δ ′′ (ϵ, X).
2
210 12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE

Di qui, detto
δ = min{δ ′ , δ ′′ },
si ottiene che δ = δ(ϵ, X) e
|(f + g)(x1 ) − (f + g)(x2 )| ≤ |f (x1 ) − f (x2 )| + |g(x1 ) − g(x2 )|
ϵ ϵ
< + = ϵ per ogni x1 , x2 ∈ X, con |x1 − x2 | < δ.
2 2
Resta da provare che αf ∈ U C(X) per ogni α ∈ R. Tenendo conto della (I) degli Esempi 12.7, è
sufficiente considerare il caso in cui α ̸= 0. L’uniforme continuità di f assicura che per ogni numero ϵ > 0
esiste un numero positivo δ = δ(ϵ, X) tale che
ϵ
|f (x1 ) − f (x2 )| < per ogni x1 , x2 ∈ X, con |x1 − x2 | < δ.
|α|
Conseguentemente
|(αf )(x1 ) − (αf )(x2 )| = |α||f (x1 ) − f (x2 )|
ϵ
< |α| = ϵ per ogni x1 , x2 ∈ X, con |x1 − x2 | < δ = δ(ϵ, X). □
|α|
Il prossimo esempio evidenzierà che il prodotto di due funzioni uniformemente continue non è
necessariamente uniformemente continua (ma è una funzione continua).
Risulta utile a tal fine la seguente caratterizzazione dell’uniforme continuità di una funzione.
Teorema 12.9. Per una funzione f : X ⊆ R → R, con cardX ≥ +∞, le seguenti proprietà sono
equivalenti:
(i) f ∈ U C(X);
(ii) comunque si considerino due successioni (xn )n∈N e (x′n )n∈N ,
|xn − x′n | −→ 0 =⇒ |f (xn ) − f (x′n )| −→ 0.
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Sia f ∈ U C(X). Allora per ogni numero ϵ > 0 esiste un numero δ = δ(ϵ)
tale che
(0.16) |f (x) − f (x′ )| < ϵ per ogni x, x′ ∈ X, con |x − x′ | < δ.
Se (xn )n∈N e (x′n )n∈N due successioni tali che la successione (xn − x′n )n∈N è infinitesima, esisterà un
numero naturale νϵ tale che
(0.17) |xn − x′n | < δ per ogni n ≥ νϵ .
Dalle (0.16) e (0.17) si conclude pertanto che per ogni numero ϵ > 0 esiste un numero νϵ ∈ N tale che
|f (xn ) − f (x′n )| < ϵ per ogni n ≥ νϵ ,
i.e., la successione (f (xn ) −f (x′n ))n∈N
è infinitesima.
(ii)⇒(i) Argomentando per assurdo, si supponga che f ∈ / U C(X). Esisterà allora almeno un numero
ϵ0 > 0 tale che per ogni n ∈ N esistono almeno due punti xn , x′n ∈ X tali che
1
(0.18) 0 <|xn − x′n | <
n

(0.19) |f (xn ) − f (x′n )| ≥ ϵ0 .


Per il Corollario 9.7, pag. 178, al Teorema dei Carabinieri, la successione (xn − x′n )n∈N è infinitesima. Per
l’ipotesi (ii), la successione (f (xn ) − f (x′n ))n∈N è pertanto anch’essa infinitesima. Ciò però contraddice la
(0.19).
La funzione f deve essere quindi necessariamente uniformemente continua su X. □
Esempio 12.10. La funzione f (x) = x2 non è uniforme continua su R.
Alla luce della Proposizione 12.5 e di (II) negli Esempi 12.7, è sufficiente dimostrare che la funzione
f (x) = x2 non è uniforme continua su [r, +∞[ per qualche r ∈ R+ , ad esempio su [1, +∞[.
Ciò significa dimostrare l’esistenza di un numero ϵ0 > 0 tale che per ogni numero δ ∈ ]0, 1[ esistono
almeno due punti x1 , x2 ∈ [1, +∞[ tali che
(0.20) |x1 − x2 | < δ e |x21 − x22 | ≥ ϵ
12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE 211

Assegnato arbitrariamente un numero δ ∈ ]0, 1[, si considerino due punti x1 , x2 ∈ [1, +∞[ tali che
δ
|x1 − x2 | = . Poiché
2
δ
(0.21) |x21 − x22 | = |x1 + x2 | |x1 − x2 | = (x1 + x2 ) ,
2
si ha che  
1
x1 , x2 ∈ , +∞ =⇒ |x21 − x22 | ≥ 1,
δ
il che conclude la dimostrazione, ponendo ϵ0 = 1.
Una dimostrazione alternativa si ottiene facendo uso del Teorema 12.9.
Si considerino le successioni reali
√ √
( n + 1)n∈N e ( n)n∈N .
√ √
La successione ( n + 1 − n)n∈N è infinitesima. Infatti,
√ √ 1
lim( n + 1 − n) = lim √ √ = 0,
n n n+1+ n
per la divergenza positiva a +∞ della radice quadrata, per il Corollario 8.66, pag. 168, e per il Teorema 8.7,
pag. 144, e per il Teorema 8.71, pag. 171.
√ √ √ √
La successione (f ( n + 1) − f ( n))n∈N = (( n + 1)2 − ( n)2 )n∈N è però la successione costante-
mente uguale ad uno.
Non risulta pertanto verificata la (ii) nel Teorema 12.9 e, quindi, la funzione f (x) = x2 non è
uniformemente continua su R.

Teorema 12.11 (Composizione di funzioni uniformemente continue). Se f ∈ U C(X), e g ∈ U C f (X) ,
allora
g ◦ f ∈ U C(X).
Dimostrazione. Se cardX < +∞, la tesi segue dal Teorema 10.19, pag. 190, e dalla (0.9).
Se cardX ≥ +∞, siano (xn )n∈N e (x′n )n∈N due successioni tali che
|xn − x′n | −→ 0.
Se f ∈ U C(X), allora
|f (xn ) − f (x′n )| −→ 0.

Se g ∈ U C f (X) , allora
|g(f (xn )) − g(f (x′n ))| −→ 0.
La tesi segue quindi dal Teorema 12.9. □

Il seguente risultato illustra una proprietà rilevante delle funzione uniformemente continue: esse tra-
sformano successioni di Cauchy del loro dominio di definizione, in successioni di Cauchy dell’insieme
immagine. Come evidenziato nell’Esempio 12.13, ciò può esser utilizzato –in negativo– per dimostrare
che una funzione continua su un insieme, sia ivi non uniformemente continua.
Teorema 12.12. Se f ∈ U C(X), allora per ogni successione (xn )n∈N di Cauchy in X, (f (xn ))n∈N è
una successione di Cauchy.
Dimostrazione. Sia f ∈ U C(X). Allora per ogni numero ϵ > 0 esiste un numero δ = δ(ϵ) tale che
(0.22) |f (x) − f (x′ )| < ϵ per ogni x, x′ ∈ X, con |x − x′ | < δ.
Se (xn )n∈N è di Cauchy, esisterà un numero naturale νϵ tale che
(0.23) |xn − xm | < δ per ogni n, m ≥ νϵ .
Dalle (0.22) e (0.23) si conclude pertanto che per ogni numero ϵ > 0 esiste un numero νϵ ∈ N tale che
|f (xn ) − f (xm )| < ϵ per ogni n, m ≥ νϵ ,
i.e., la successione (f (xn ))n∈N è una successione di Cauchy. □
212 12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE

1
Esempio 12.13. La funzione f (x) = non è uniformemente continua su ]0, 1].
x
Alla luce del Teorema 12.12, è sufficiente osservare che la successione n1 n∈N è una successione in


]0, 1], che è di Cauchy essendo infinitesima (cfr. Teorema 9.19, pag. 185). La successione
  
1
f = (n)n∈N
n n∈N

non è invece di Cauchy, in quanto non è limitata (cfr. Teorema 4.41, pag. 83).
Si è evidenziato che funzioni continue su sottoinsiemi non finiti di R possono non essere uniformemente
continue.
Il seguente teorema fornisce illustra una famiglia notevole di sottoinsiemi non finiti di R sui quali la
nozione di continuità di una funzione coincide con quella di uniforme continuità. Tale famiglia è quella
dei sottoinsiemi chiusi e limitati di R.
Teorema 12.14 (di Cantor). Se X è un sottoinsieme chiuso e limitato di R, ogni funzione f : X → R
continua su X è ivi uniformemente continua, i.e.,
(0.24) C 0 (X) = U C(X).
Dimostrazione. Se cardX < +∞, la tesi è espressa dalla (0.9).
È pertanto necessario considerare il caso in cui l’insieme X, chiuso e limitato, è infinito, i.e.,
cardX ≥ +∞.
Argomentando per assurdo, si supponga che f non sia uniformemente continua su X. Ciò garantisce
l’esistenza di almeno un numero ϵ0 > 0 e di due successioni (xn )n∈N e (x′n )n∈N in X tali che
1
(0.25) 0 <|xn − x′n | < per ogni n ∈ N,
n

(0.26) |f (xn ) − f (x′n )| ≥ ϵ0 per ogni n ∈ N.


Via il teorema di Bolzano-Weierstrass (Teorema 9.9, pag. 178), la successione (xn )n∈N ammette una
sottosuccessione (xnk )k∈N convergente.
Detto x0 = limk xnk , si ha che x0 ∈ X, in quanto X è chiuso.
Dalla (0.25), per il Lemma 4.37 e il Teorema dei Carabinieri (Teorema 9.5, pag. 178), si deduce che
anche la sottosuccessione (x′nk )k∈N di (xn )n∈N converge ad x0 .
Infatti,
1 1
|x′nk − x0 | ≤ |x′nk − xnk | + |xnk − x0 | < + |xnk − x0 | ≤ + |xnk − x0 | −→ 0.
nk k
Il Teorema ponte per funzioni continue (Teorema 10.5, pag. 188) implica quindi che
(0.27) f (xnk ) −→ f (x0 ) e f (x′nk ) −→ f (x0 ).
Di qui,
|f (xnk ) − f (x′nk )| −→ 0,
che chiaramente contraddice la (0.26). La funzione f deve essere quindi uniformemente continua.
La (0.24) segue da quanto appena provato e dalla Proposizione 12.4. □
Corollario 12.15 (di Cantor).
C 0 ([a, b]) = U C([a, b]).
Osserviamo esplicitamente che la veridicità del Teorema di Cantor poggia in modo essenziale sulla
completezza di R, via il Teorema di Bolzano-Weiestrass, e pertanto non si estende a funzioni il cui dominio
di definizione sia un sottoinsiemi chiuso e limitato di Q.
Esempio 12.16. La funzione f : [0, 2] ∩ Q → R,
1
(0.28) f (x) = x ∈ [0, 2] ∩ Q
x2 − 2
è continua, ma non uniformemente continua.
12. FUNZIONI UNIFORMEMENTE CONTINUE 213

Si ricordi (cfr. dimostrazione del Teorema 3.47, pag. 68) che


√ √
2 = sup{q ∈ Q : q > 0 e q 2 < 2} e 2∈
/ Q.
R
Dalla Proposizione 7.47, pag. 139, e dalla (4.8) della Proposizione 8.20, pag.√150, si deduce quindi l’esi-
stenza di una successione (qn )n∈N a valori in A ⊂ [0, 2] ∩ Q che converge a 2. La successione (qn )n∈N
è pertanto una successione di Cauchy in [0, 2] ∩ Q. La successione (f (qn ))n∈N diverge negativamente, e
quindi non è di Cauchy.
La tesi segue dal Teorema 12.12.
CAPITOLO 13

La nozione di derivata per funzioni reali di una variabile reale

Le nozioni di limite e di continuità, introdotte rispettivamente nei Capp. 8 e 10, consentono una
prima analisi del comportamento locale di una funzione f reale di una variabile reale.
Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, la nozione di limite fornisce informazioni, infatti, sulla funzione
vicino ad un punto x0 di accumulazione per il dominio X di f , mentre la nozione di continuità fornisce
informazioni, infatti, sulla funzione vicino ad un punto x0 ∈ X. Se x0 è un punto isolato del dominio X,
la funzione f è sempre continua in tale punto, mentre se x0 –oltre ad appartere al dominio X di f – è
anche un punto di accumulazione di X, la continuità di f in x0 è una condizione più stringente della
convergenza di f in x0 , in quanto richiede alla funzione f di convergere esattamente al valore f (x0 ) che
la funzione f assume in x0 (cfr. Proposizione 10.3, pag. 187).
La continuità della funzione f in un punto x0 ∈ X ∩ D(X) rende tuttavia ancora possibile una vasta
gamma di comportamenti per f vicino al punto x0 .
Si pensi ad esempio alla condizione
(0.1) lim f (x) = 0;
x→0

essa è verificata dalle funzione potenze n-esima e dalle funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N, nonché
dalla funzione seno. I grafici di tali funzioni presentano, però, vicino al punto 0 un comportamento ben
diverso. Nel punto 0, il grafico delle funzione potenze n-esima risulta ‘piatto’, quello delle funzioni radice
n-esima risulta ‘ripido’, mentro quello della funzione seno risulta intermedio tra questi.
Per uno studio più dettagliato, o –come si usa dire– per ‘un’analisi locale’ del comportamento di una
funzione f : X ⊆ R → R vicino ad un punto x0 ∈ X ∩ D(X) si introduce la nozione di derivata di f in x0 .
La genesi della nozione di derivata risale a questioni di carattere fisico e di carattero geometrico,
quali, ad esempio, i problemi relativi alla definizione di velocità del moto di un punto materiale ed alla
definizione di retta tangente ad una curva in un suo punto, rispettivamente.
In Meccanica, considerando un punto mobile su una traiettoria prestabilita (ad esempio, una retta),
la legge del moto è individuata dalla cosiddetta ‘legge oraria’, che è una relazione del tipo s = s(t),
t ∈ [t0 , t1 ) che esprime lo spazio, misurato a partire da una certa origines(t0 ), come funzione continua del
tempo t.
Il moto è uniforme quando, per ogni t ∈ ]t0 , t1 ), il rapporto fra lo spazio percorso nell’intervallo [t0 , t]
ed il tempo impiegato a percorrerlo t − t0 , i.e.,
s(t) − s(t0 )
(0.2)
t − t0
è costante. Il rapporto (0.2) rappresenta la velocità del punto mobile (sulla retta, con moto uniforme),
ossia lo spazio percorso nell’unità di tempo.
Quando il moto non è uniforme, i.e., la funzione
s(t) − s(t0 )
(0.3) v(t) = per t ∈ ]t0 , t1 ),
t − t0
non è costante, il rapporto (0.2) esprime invece la velocità media del punto materiale nell’intervallo di
tempo [t0 , t], cioè la velocità che avrebbe un punto ‘ideale’ che descrivesse con moto uniforme lo stesso
spazio nello stesso intervallo di tempo.
Sostituendo il moto effettivo del punto mobile (sulla retta) con il moto uniforme del punto ‘ideale’,
la modellizzazione sarà chiaramente tanto più aderente alla realtà del fenomeno quanto più piccolo è
l’intervallo di tempo [t0 , t] considerato. Risulta pertanto naturale definire la velocità istantanea del punto
mobile nell’istante t0 , il limite, qualora esso esista e sia finito, al tendere di t a t0 del rapporto (0.2).
Ripercorrendo le precedenti considerazioni, iniziamo con il fornire la seguente
215
216 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Definizione 13.1. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ X. Il rapporto incrementale di f , di punto iniziale


x0 , è la funzione
Rf,x0 : X \ {x0 } −→ R
(0.4) f (x) − f (x0 )
x 7−→ .
x − x0
La denominazione di ‘rapporto incrementale di f , di punto iniziale x0 ’ per la funzione (0.4) è motivata
dal fatto che essa è il quoziente della funzione incremento (∆f )x0 della funzione f , di punto iniziale x0
rispetto alla funzione incremento (∆ I)x0 della variabile x ∈ X, di punto iniziale x0 , definite come segue

(0.5) (∆f )x0 : X −→ R


x 7−→ f (x) − f (x0 )

(0.6) (∆ I)x0 : X −→ R
x 7−→ x − x0 .
Se x0 ∈ X ∩ D(X) –i.e., il punto x0 ∈ X è un punto di accumulazione per X– ha senso chiedersi se
esista o meno il limite del rapporto incrementale di f , di punto iniziale x0 .
Osservazione 13.2. È opportuno rilevare esplicitamente che il suddetto problema è ben posto solo
per funzioni il cui dominio di definizione X ha insieme derivato al finito D(X) non vuoto. Pertanto
Il precedente interrogativo non è ben posto per successioni reali.
Il dominio di una successione è, per definizione, l’insieme N dei numeri naturali, ed i punti di N sono
punti isolati (cfr. Proposizione 7.23, pag. 7.23).

1. Funzioni derivabili e funzioni derivabili in senso esteso in un punto


Facendo uso della nozione di rapporto incrementale di una funzione f : X ⊆ R → R, di punto iniziale
x0 ∈ X ∩ D(X) e della teoria del limite esposta nel Cap. 8 si introducono –e sono ben poste– le seguenti
Definizioni 13.3. Assegnata una f : X ⊆ R → R, se x0 ∈ X ∩ D(X), allora
(I) f è dotata di derivata in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x), i.e.,
x→x0

f (x) − f (x0 )
lim ∈ [−∞, +∞];
x→x0 x − x0
(II) f è derivabile in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x) ed è finito, i.e.,
x→x0

f (x) − f (x0 )
lim ∈ R;
x→x0 x − x0
(III) f è derivabile in senso esteso in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x) ed è uguale a −∞ oppure a
x→x0
+∞, i.e.
f (x) − f (x0 )
lim ∈ {−∞, +∞} .
x→x0 x − x0
Osservazione 13.4. Essendo il concetto di limite di una funzione di ‘natura locale’ (cfr. Cap. 8, § 2,
pagg. 146–147), la nozione di esistenza della derivata e di derivabilità di una funzione f : X ⊆ R → R in
un punto x0 ∈ X ∩ D(X) esprime una proprietà di ‘natura locale’.
In particolare, per il Corollario 8.12, pag. 147, se due funzioni f, g : X ⊆ R → R coincidono su un intorno
U del punto x0 ∈ X ∩D(X) allora o sono entrambe derivabili nel punto x0 o nessuna delle due è derivabile
nel punto x0 . Se entrambe sono derivabili nel punto x0 , allora
lim Rf,x0 (x) = lim Rg,x0 (x).
x→x0 x→x0

L’unicità del limite di una funzione sancita dal Teorema 8.2, pag. 8.2, rende ben posta la seguente
1. FUNZIONI DERIVABILI E FUNZIONI DERIVABILI IN SENSO ESTESO IN UN PUNTO 217

Definizione 13.5. Per una funzione f : X ⊆ R → R tale che l’insieme

(1.1) X1 = {x0 ∈ X ∩ D(X) : f è derivabile in x0 } ̸= ∅,

la funzione derivata prima di f è la funzione


f ′ : X1 −→ R
(1.2) f (x) − f (x0 )
x0 7−→ lim .
x→x0 x − x0

Osservazione 13.6. È bene rilevare esplicitamente che la funzione derivata prima di una funzione
f : X ⊆ R → R è ben definita –come funzione reale di una variabile reale– in tutti e soli i punti x0 ∈
X ∩ D(X) che sono di derivabilità per f . Tale insieme, denotato nella Definizione 13.5 con X1 , non
coincide necessariamente con l’insieme X, anche quando l’insieme X è un intervallo, come illustrato dagli
Esempi 13.8.

Il prossimo risultato evidenzia che l’insieme dei punti di derivabilità di una funzione f : X ⊆ R → R
è contenuto nell’insieme

(1.3) X0 = {x0 ∈ X ∩ D(X) : f è continua in x0 },

i.e., condizione necessaria affinché una funzione f : X ⊆ R → R sia derivabile in un punto x0 ∈ X ∩ D(X)
è che in tale punto essa sia continua.
La funzione derivata prima di una funzione f : X ⊆ R → R è, pertanto, sicuramente non definita,
oltre che nei punti isolati del suo dominio X, anche in tutti i suoi eventuali punti di discontinuità.
Il Teorema 13.7 illustra una condizione necessaria che non è però sufficiente. Una funzione f : X ⊆
R → R continua in un punto x0 ∈ X ∩D(X), non è ivi infatti necessariamente derivabile, come evidanziato
dagli Esempi 13.8.

Teorema 13.7. Assegnata una f : X ⊆ R → R, se f è derivabile in x0 ∈ X ∩ D(X), allora f è


continua in x0 .

Dimostrazione. Sia f derivabile nel punto x0 ∈ X ∩ D(X). Dimostrare che f è continua in x0


equivale a dimostrare che

(1.4) lim (f (x) − f (x0 )) = 0.


x→x0

Facendo uso del Corollario 8.12, pag. 147 e della (9.2) nel Teorema 8.62, pag. 165, la derivabilità di f in
x0 assicura che
f (x) − f (x0 )
lim (f (x) − f (x0 )) = x→x
lim (x − x0 ) = x→x
lim Rf,x0 (x) (x − x0 )
x→x0 0
x̸=x0
x − x0 x̸=x
0
0

= x→x
lim Rf,x0 (x) · lim (x − x0 ) = f ′ (x0 ) · 0 = 0,
0 x→x0
x̸=x0

ossia la veridicità della (1.4). □



Esempi 13.8. (I) La funzione radice quadrata f (x) = x è definita e continua su [0, ∞[. È derivabile
in ]0, ∞[, e
√ 1
(1.5) ( x)′ = √ per ogni x ∈ ]0, ∞[.
2 x

La funzione · è derivabile in senso esteso in 0.

La funzione radice quadrata f (x) = x è definita in [0, ∞[, ed ivi continua (cfr., ad esempio, (11.11)
pag. 173).
Fissato x0 ∈ [0, ∞[, il rapporto incrementale R√·,x0 è definito in [0, ∞[\{x0 } e
218 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

 √
x
se x0 = 0,


√ √

 x


x − x0
R√ · ,x0 (x) = = q
x
x − x0 −1
1

 x0
 √x se x0 ∈ ]0, ∞[,


 x
0 x0 −1

 1
 √ se x0 = 0,
x





=
r  
x
 1+ x0 −1 −1

 1
√ se x0 ∈ ]0, ∞[.


x
x0 x0 −1

1+y−1 1
Facendo uso del limite notevole limy→0 y = 2 e del Teorema 10.13, pag. 190, si evince che


 +∞ se x0 = 0,

lim R√·,x0 (x) =
x→x0 1
 √ se x0 ∈ ]0, ∞[.


2 x0

(II) La funzione valore assoluto f (x) = |x| è definita e continua su R. È derivabile in R \ {0}, e
x
(1.6) (|x|)′ = per ogni x ∈ R \ {0}.
|x|
La funzione | · | non ammette derivata in 0.
La funzione valore assoluto f (x) = |x| è definita e continua su R.
Fissato x0 ∈ R, il rapporto incrementale R|·|,x0 è definito in R \ {x0 } e

|x|


 se x0 = 0,
|x| − |x0 |  x

R|·|,x0 (x) = = x
x − x0  |x0 | | x0 | − 1
se x0 ∈ R \ {0}.


x
x0 − 1

x0

Facendo uso del Teorema di giunzione (Teorema 8.16, pag. 148) per x0 = 0, si ottiene che


 ̸∃ se x0 = 0,

lim R|·|,x0 (x) =
x→x0 |x |
 0

 se R \ {0}.
x0
Precisamente,

(1.7) lim R|·|,0 (x) = lim+ 1 = 1


x→0+ x→0

(1.8) lim R|·|,0 (x) = lim −1 = −1.


x→0− x→0−

(III) La funzione
x sin x1
(
per x ∈ R \ {0},
(1.9) f (x) =
0 per x = 0.
è definita e continua su R, in particolare in 0.
La funzione (1.9) non ammette derivata in 0.
2. INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELLA DERIVABILITÀ 219

La funzione (1.9) è definita su R, continua in R \ {0} in quanto prodotto di funzioni continue, e


continua in 0 in quanto prodotto di una funzione infinitesima per una limitata (cfr. Corollario 8.41,
pag. 157).
La funzione (1.9) non ammette derivata in 0, in quanto
f (x) − f (0) 1
lim Rf,0 (x) = lim = lim sin ,
x→0 x→0 x x→0 x
e la funzione seno non ammette limite sia a −∞ sia a +∞.
Risulta naturale porsi il seguente interrogativo:
i punti di derivabilità estesa di una funzione sono necessariamente punti di continuità per
essa ?
La risposta è negativa: il Teorema 13.7 non si estende a funzioni f : X ⊆ R → R che in un punto
x0 ∈ X ∩ D(X) sono derivabili in senso esteso, come evidenziato dal seguente
Esempio 13.9. Sia f : R → R definita da
x 
1 per x > 0,
 per x ̸= 0 

|x|
 
(1.10) f (x) = = 0 per x = 0,
 
0 per x = 0
 
−1

per x < 0.
La funzione f non è continua in 0, dove presenta una discontinuità di salto. Essa è derivabile in senso
esteso in 0, in quanto
f (x) − f (0) 1
lim Rf,0 (x) = lim = lim = +∞.
x→0 x→0 x x→0 |x|

2. Interpretazione geometrica della derivabilità


Sia f : X ⊆ R → R una funzione arbitrariamente assegnata, e sia x0 ∈ X.
Fissato un sistema di assi cartesiano Oxy, per ogni x̄ ∈ X \ {x0 }, la retta secante il grafico di f nei punti
P0 = (x0 , f (x0 )) e P = (x̄, f (x̄)) –i.e., l’unica retta nel piano cartesiano passante per i punti distinti P0
e P del grafico di f – è non verticale ed ha equazione
y − f (x0 ) f (x̄) − f (x0 )
= per x ∈ R,
x − x0 x̄ − x0
o equivalentemente
f (x̄) − f (x0 )
(2.1) y= (x − x0 ) + f (x0 ) per x ∈ R,
x̄ − x0
Tale retta, che nel seguito verrà denotata con la scrittura
sP0 ,P ,
è viene considerata orientata ‘positivamente’ nel verso delle x crescenti.
Il coefficiente angolare della retta (2.1) è il valore in x̄ ∈ X \ {x0 } del rapporto incrementale di f di
punto iniziale x0 , i.e.,
f (x̄) − f (x0 )
(2.2) ,
x̄ − x0
i π πh
e l’angolo θ ∈ − , formato dalla retta orientata sP0 ,P con l’asse Ox è pertanto
2 2
 
f (x̄) − f (x0 )
(2.3) θ = θ(x̄) = arctan = arctan (Rf,x0 (x̄)) .
x̄ − x0
Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, per ogni x0 ∈ X arbitrariamente fissato, la funzione
i π πh
θ : X \ {x0 } −→ − ,
(2.4) 2 2
x̄ 7−→ arctan (Rf,x0 (x̄))
220 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

è ben definita.

Se x0 ∈ X ∩ D(X) e se la funzione (2.4) ammette limite in x0 , dalla limitatezza della funzione


arcotangente si deduce che
h π πi
(2.5) θ0 = lim θ(x̄) ∈ − , .
x̄→x0 2 2
La retta τP0 di equazione
se θ0 ∈ − π2 , π2 ,
(  
y = (tan θ0 ) · (x − x0 ) + f (x0 ) per x ∈ R,
(2.6)
x = x0 se θ0 = − π2 o θ0 = π2 ,
orientata positivamente verso il basso quando θ0 = − π2 e verso l’alto quando θ0 = π2 , è detta la retta
tangente al grafico di f nel punto P0 .
Tale denominazione trae motivazione dal fatto che la retta τP0 risulta la ‘posizione limite’ delle secanti
sP0 ,P̄ , con P̄ = (x̄, f (x̄)), per x̄ → x0 .
Infatti, per il Teorema 8.33, l’uguaglianza (2.5) è equivalente ad affermare che
lim |θ(x̄) − θ0 | = 0,
x̄→x0

ove |θ(x̄)−θ0 | rappresenta il valore assoluto dell’angolo (misurato in radianti) formato dalle rette orientate
sP0 ,P̄ e τP0 , entrambe passanti per P0 .
Osservazione 13.10. La definizione, appena fornita, di retta tangente τP0 al grafico di f nel punto P0
ripercorre analiticamente il procedimento che si usa abitualmente per tracciare su un foglio, con matita e
righello, la tangente ad una curva continua e non ‘spigolosa’. Si punta la matita in P0 e si ruota il righello
intorno ad esso facendolo passare per un altro punto P̄ = (x̄, f (x̄)) del grafico di f la cui proiezione
sull’asse Ox si avvicina a quella del punto P0 , esattamente x̄ → x0 .
Si dimostra allora
Teorema 13.11. Per una funzione f : X ⊆ R → R, se x0 ∈ X ∩ D(X), le seguenti affermazioni
sono equivalenti:
(i) f è derivabile in x0 ;
(ii) nel punto P0 = (x0 , f (x0 )) esiste la retta tangente τP0 al grafico di f , e τP0 non è verticale.
Inoltre, quando (i) e (ii) sono verificate,
(2.7) y = f ′ (x0 ) · (x − x0 ) + f (x0 ) per x ∈ R
è l’equazione della retta tangente τP0 al grafico di f nel punto P0 = (x0 , f (x0 )).
Dimostrazione. (i)⇒(ii) Se f derivabile nel punto x0 ∈ X ∩ D(X), la continuità della funzione
arcotangente ed il Corollario 8.60, pag. 164, garantiscono l’esistenza del limite in x0 della funzione (2.4)
e
θ0 = lim θ(x̄) = lim arctan (Rf,x0 (x̄))
x̄→x0 x̄→x0
(2.8)   i π πh
= arctan lim Rf,x0 (x̄) = arctan (f ′ (x0 )) ∈ − ,
x̄→x0 2 2
Di qui, facendo uso della (2.6), si deducono la tesi e la (2.7).
(i)⇐(ii) Se la funzione (2.4) ammette limite in x0 e
i π πh
(2.9) θ0 = lim θ(x̄) ∈ − , ,
x̄→x0 2 2
dalla (2.3) –facendo uso della continuità della funzione tangente in − π2 , π2 –, si ha
 

lim Rf,x0 (x̄) = lim tan (θ(x̄))


x̄→x0 x̄→x0
(2.10)  
= tan lim θ(x̄) = tan θ0 ∈ R.
x̄→x0

Risulta cosı̀ provata la derivabilità di f in x0 . La (2.7) segue dalla (2.10) e dalla (2.6). □
2. INTERPRETAZIONE GEOMETRICA DELLA DERIVABILITÀ 221

Teorema 13.12. Per una funzione f : X ⊆ R → R, se x0 ∈ X ∩ D(X), le seguenti affermazioni


sono equivalenti:
(i) f è derivabile in senso esteso in x0 con

(2.11) lim Rf,x0 (x) = +∞;


x→x0

(ii) nel punto P0 = (x0 , f (x0 )) esiste la retta tangente τP0 al grafico di f , è verticale ed orientata
positivamente verso l’alto.

Dimostrazione. (i)⇒(ii) Nell’ipotesi (2.11), la stretta monotònia della funzione arcotangente ed il


Teorema 8.58 garantiscono l’esistenza del limite in x0 della funzione (2.4) e
θ0 = lim θ(x̄) = lim arctan (Rf,x0 (x̄))
x̄→x0 x̄→x0
(2.12) π
= lim arctan (y) = .
y→+∞ 2
Di qui, facendo uso della (2.6), si deduce la tesi.
(i)⇐(ii) Se la funzione (2.4) ammette limite in x0 e
π
(2.13) θ0 = lim θ(x̄) = ,
x̄→x0 2
allora, dalla (2.3) e facendo uso della stretta monotònia della funzione tangente in − π2 , π2 , si deduce che
 

lim Rf,x0 (x̄) = lim tan (θ(x̄))


x̄→x0 x̄→x0
(2.14)
= lim tan (y) = +∞.
y→+∞ □

In modo analogo, si dimostra che

Teorema 13.13. Per una funzione f : X ⊆ R → R, se x0 ∈ X ∩ D(X), le seguenti affermazioni


sono equivalenti:
(i) f è derivabile in senso esteso in x0 con

(2.15) lim Rf,x0 (x) = −∞;


x→x0

(ii) nel punto P0 = (x0 , f (x0 )) esiste la retta tangente τP0 al grafico di f , è verticale ed orientata
positivamente verso il basso.

Dimostrazione. (i)⇒(ii) Nell’ipotesi (2.15), la stretta monotònia della funzione arcotangente ed il


Teorema 8.58 garantiscono l’esistenza del limite in x0 della funzione (2.4) e
θ0 = lim θ(x̄) = lim arctan (Rf,x0 (x̄))
x̄→x0 x̄→x0
(2.16) π
= lim arctan (y) = − .
y→−∞ 2
Di qui, facendo uso della (2.6), si deduce la tesi.
(i)⇐(ii) Se la funzione (2.4) ammette limite in x0 e
π
(2.17) θ0 = lim θ(x̄) = − ,
x̄→x0 2
allora, dalla (2.3) e facendo uso della stretta monotònia della funzione tangente in − π2 , π2 , si deduce che
 

lim Rf,x0 (x̄) = lim tan (θ(x̄))


x̄→x0 x̄→x0
(2.18)
= lim tan (y) = −∞.
y→−∞ □
222 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

3. Funzioni derivabili a destra ed a sinistra in un punto.


La definizione di derivabilità e di derivabilità estesa per una funzione f : X ⊆ R → R in un punto
x0 ∈ X ∩ D(X) non fa altro che focalizzare il problema dell’esistenza del limite nel punto x0 della
funzione rapporto incrementale Rf,x0 di punto iniziale x0 , e di poi, in particolare, la distinsione tra il
caso di convergenza e quelli di divergenza positiva o negativa.
Alla luce della trattazione svolta nel Cap. 8, § 3, pagg. 148 e ss, risulta naturale introdurre le seguenti
Definizioni 13.14. Sia f : X ⊆ R → R. Se x0 ∈ X ∩ Dsx (X) ∩ Ddx (X), allora
(i) f è dotata di derivata destra in x0 quando esiste lim+ Rf,x0 (x);
x→x0

(i’) f è dotata di derivata sinistra in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x);


x→x−
0

(ii) f è derivabile a destra in x0 quando esiste lim+ Rf,x0 (x) ed è finito. Tale valore è detto derivata
x→x0
destra in x0 , ed è denotato con la scrittura

f+ (x0 );
(ii’) f è derivabile a sinistra in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x) ed è finito. Tale valore è detto
x→x−
0
derivata sinistra in x0 , ed è denotato con la scrittura

f− (x0 );
(iii) f è derivabile in senso esteso a destra in x0 quando esiste lim Rf,x0 (x) ed è uguale a −∞
x→x+
0
oppure a +∞.
(iii’) f è derivabile in senso esteso a sinistra in x0 quando esiste lim− Rf,x0 (x) ed è uguale a −∞
x→x0
oppure a +∞.
Dal Teorema di giunzione (Teorema 8.16, pag. 148) si deduce
Teorema 13.15. Sia f : X ⊆ R → R, e sia x0 ∈ X ∩ Dsx (X) ∩ Ddx (X). Allora
(I) f è derivabile in x0 se, e soltanto se, f è derivabile a sinistra ed a destra in x0 e
′ ′
f− (x0 ) = f+ (x0 ) = f ′ (x0 );
(II) f è derivabile in senso esteso x0 se, e soltanto se, f è derivabile in senso esteso a sinistra ed
a destra in x0 e
lim Rf,x0 (x) = lim Rf,x0 (x) = lim Rf,x0 (x).
x→x− x→x+ x→x0
0 0

4. Punti di continuità e di non derivabilità per una funzione


I risultati espressi dal Teorema 13.15 portano naturalmente all’introduzione delle seguenti
Definizioni 13.16. Assegnata una funzione f : X ⊆ R → R, un punto x0 ∈ X ∩ Dsx (X) ∩ Ddx (X) è
(a) un punto angoloso per f quando f è continua in x0 , derivabile a sinistra ed a destra in x0 e
′ ′
f− (x0 ) ̸= f+ (x0 ),
oppure quando f è continua in xo , è derivabile a sinistra [risp. a destra] in x0 ed è derivabile in
senso esteso a destra [risp. a sinistra];
(b) un punto di cuspide per f quando f è continua in x0 , è derivabile in senso esteso a sinistra ed
a destra in x0 e
lim− Rf,x0 (x) ̸= lim+ Rf,x0 (x).
x→x0 x→x0

Osservazione 13.17. Tenendo conto dei risultati del § 2, pag. 219, le denominazioni adottate nelle
Definizioni 13.16 trovano immediata motivazione.
Un punto angoloso per una funzione f : X ⊆ R → R è un punto x0 ∈ X ∩ Dsx (X) ∩ Ddx (X)
di continuità per la funzione, in corrispondenza del quale non esiste retta tangente al grafico di f ma
esistono sia la retta tangente τP+0 al grafico della funzione f : X ∩ [x0 , +∞[→ R sia la retta tangente τP−0
5. DERIVABILITÀ ED OPERAZIONI ALGEBRICHE 223

al grafico della funzione f : X∩ ] − ∞, x0 ] → R, tali rette hanno direzioni diverse, ed una almeno di esse
è non verticale.
Le direzioni delle rette τP−0 e τP+0 determinando pertanto un ‘angolo’.
Un punto di cuspide per una funzione f : X ⊆ R → R è un punto x0 ∈ X ∩ Dsx (X) ∩ Ddx (X)
di continuità per la funzione, in corrispondenza del quale non esiste retta tangente al grafico di f ma
esistono sia la retta tangente τP+0 al grafico della funzione f : X ∩ [x0 , +∞[→ R sia la retta tangente τP−0
al grafico della funzione f : X∩ ] − ∞, x0 ] → R, la loro direzione coincide ed è quella verticale, ma hanno
orientamenti opposti.
Esempi 13.18. (I) 0 è un punto angoloso per la funzione valore assoluto.
Si confronti (II) negli Esempi 13.8, ed, in particolare, le (1.6) e (1.7), pag. 218. Queste possono essere ora
riscritte nella forma
′ ′
f− (0) = −1 ̸= 1 = f+ (0).
(II) 0 è un punto di cuspide per la funzione
p
(4.1) f (x) = |x|, x ∈ R.

Infatti, la funzione f è continua su R, in particolare in 0. Inoltre

p
|x| 1
(4.2) lim Rf,0 (x) = lim = lim − √ = −∞
x→0− x→0− −|x| x→0+ x
1
(4.3) lim Rf,0 (x) = lim √ = +∞.
x→0+ x→0+ x

5. Derivabilità ed operazioni algebriche


Facendo uso del Teorema 8.62, pag. 165, si dimostra ora che funzioni ottenute operando su funzioni
derivabili in uno stesso punto mediante le operazioni algebriche elementari sono derivabili in tale punto.
Teorema 13.19. Siano f, g : X ⊆ R → R. Se f e g sono derivabili in x0 ∈ X ∩ D(X), allora
(i) f + g è derivabile in x0 , e
(5.1) (f + g)′ (x0 ) = f ′ (x0 ) + g ′ (x0 );

(ii) f · g è derivabile in x0 , e
(5.2) (f · g)′ (x0 ) = f ′ (x0 ) · g(x0 ) + f (x0 ) · g ′ (x0 );

Inoltre, se g(x0 ) ̸= 0,
1
(iii) è derivabile in x0 , e
g
 ′
1 g ′ (x0 )
(5.3) (x0 ) = − 2;
g (g(x0 ))
f
(iv) è derivabile in x0 , e
g
 ′
f f ′ (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g ′ (x0 )
(5.4) (x0 ) = 2 .
g (g(x0 ))
Dimostrazione. La (5.1) segue dal teorema sulla somma di funzioni convergenti (cfr. (9.1) nel
Teorema 8.62, pag. 165) una volta osservato che per la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla
somma
(5.5) Rf +g,x0 = Rf,x0 + Rg,x0 .
224 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

La (5.2) si deduce dal teorema sul prodotto di funzioni convergenti (cfr. (9.2) nel Teorema 8.62) e
dal fatto che ogni funzione derivabile in un punto è ivi continua (cfr.Teorema 13.7, pag. 217) una volta
osservato che
(5.6) Rf g,x0 (x) = g(x)Rf,x0 + f (x0 )Rg,x0 (x) per ogni x ∈ X \ {x0 }.
Per provare le (5.3), si osservi in primis che l’ipotesi g(x0 ) ̸= 0 assicura –via il Teorema 13.7 ed il
Corollario 10.8, pag. 188 – che
1
la funzione è ben definita in X ∩ U , per qualche intorno U ∈ I(x0 ).
g
Inoltre,
Rg,x0 (x)
(5.7) R g1 ,x0 (x) = − per ogni x ∈ (X ∩ U ) \ {x0 }.
g(x)g(x0 )
Di qui, la (5.3) si deduce facendo uso del teorema sul quoziente di funzioni convergenti con denominatore
convergente ad una quantità non nulla (cfr. (9.3) del Teorema 8.62) e del Teorema 13.7.
La (5.4) si deduce dalle (5.2) e (5.3). □

6. Derivabilità e composizione di funzioni


Teorema 13.20 (Derivabilità di funzioni composte). Siano f : X ⊆ R → R e g : Y ⊆ R → R tali che
f (X) ⊆ Y.
Se
(i) f è derivabile in x0 ∈ X ∩ D(X),
(ii) f (x0 ) ∈ D(Y ),
(iii) g è derivabile in f (x0 ),
allora g ◦ f è derivabile in x0 , e
′
(6.1) g ◦ f (x0 ) = g ′ (f (x0 )) · f ′ (x0 ).
Dimostrazione. Le ipotesi (ii) e (iii) assicurano che la funzione

ω : Y −→ R
(
(6.2) 0 se y = f (x0 )
y 7−→
Rg,f (x0 ) (y) − g ′ (f (x0 )) ̸ f (x0 )
se y =

è ben definita, continua in f (x0 ) e


(6.3) g(y) − g(f (x0 )) = (g ′ (f (x0 )) + ω(y)) (y − f (x0 )) per ogni y ∈ Y.
Facendo uso della funzione (6.3),
Rg◦f,x0 (x) = g ′ f (x0 ) · Rf,x0 (x) + ω(f (x)) · Rf,x0 (x)

(6.4) per ogni x ∈ X \ {x0 },
La tesi segue dal Teorema 8.62, pag. 165, e dal Teorema 13.7, 217, e dalle proprietà della funzione
(6.3). Infatti,

lim Rg◦f,x0 (x) = g ′ f (x0 ) lim Rf,x0 (x) + lim ω(f (x)) · lim Rf,x0 (x)

x→x0 x→x0 x→x0 x→x0

= g ′ f (x0 ) f ′ (x0 ) + ω(f (x0 )) · f ′ (x0 )




= g ′ f (x0 ) f ′ (x0 ).


Osservazioni 13.21. (I) La condizione (ii) del Teorema 13.20 non è eliminabile. Si consideri, ad
esempio, la funzione
(
1 per x < 1 ,
f (x) =
x+1 per x ≥ 1 .
7. DERIVABILITÀ E FUNZIONI INVERSE 225

Allora f (R) = {1} ∪ [2, +∞[. Nel punto 0 la funzione f verifica la condizione (ii) del Teorema 13.20.
Un funzione g definita in Y = ] − ∞, 0[ ∪{1} ∪ [2, +∞[ verifica chiaramente la condizione f (R) ⊂ Y
ma f (0) = 1 ∈ / D(Y ) e quindi g non potrà mai esser derivabile in f (0).
(II) Il Teorema 13.20 afferma che è possibile senza difficoltà derivare una funzione ottenuta come compo-
sizione di un numero finito di funzioni, a patto che tutte le condizioni in esso descritte siano verificate.
Bisogna calcolare la derivata della funzione più esterna e valutare la sua derivata nell’argomento che
segue, poi passare alla derivata dell’argomento e cosı̀ via. Questa ‘regola di calcolo’ è nota come regola
della catena.
(III) Un errore frequente è fraintendere il risultato del Teorema 13.20 affermando che la derivata di una
composizione di funzioni derivabili è uguale al prodotto delle derivate, che produce il seguente erroneo

risultato (g ◦ f ) (x0 ) = g ′ (x0 )f ′ (x0 ).

Dal Teorema 13.20, tenendo conto delle Definizioni 4.17 e 4.18, pag. 77, si deduce immediatamente
che

Corollario 13.22. Sia f : X ⊆ R → R una funzione pari [risp. dispari] e sia x0 ∈ X ∩ D(X).
Allora f è derivabile in x0 se, e soltanto se, f è derivabile in −x0 . Inoltre

(6.5) f ′ (−x0 ) = −f ′ (x0 ) [ risp. f ′ (−x0 ) = f ′ (x0 )].

Tenendo conto della Definizione 13.5 e della (6.5), si conclude

Corollario 13.23. Sia f : X ⊆ R → R una funzione derivabile in X.


(i) Se f è pari, allora f ′ è una funzione dispari.
(ii) Se f è dispari, allora f ′ è una funzione pari.

7. Derivabilità e funzioni inverse


È facile convincersi con semplici esempi che, assegnata una funzione invertibile ed avente un’espres-
sione analitica sufficientemente semplice, la sua funzione inversa può non essere esprimibile in termini di
funzioni elementari.
Si pensi, ad esempio, alla funzione f (x) = x + ex , x ∈ R. Tale funzione è somma di funzioni stret-
tamente crescenti (quindi è strettamente crescente) e continue (quindi è continua) su R. Inoltre, dal
Teorema 11.6, pag. 200, f (R) = R. Quindi, la funzione inversa f (−1) esiste, è strettamente crescente e
continua su R, ma non se ne conosce la sua espressione analitica.
A priori sembrerebbe quindi impossibile calcolare la derivata di tale funzione inversa in mancanza di
una sua formula analitica.
Il seguente risultato viene però in aiuto

Teorema 13.24 (Derivabilità delle funzioni inverse). Sia f : I ⊆ R → R, ove I è un intervallo non
banale di R.
Se
(i) f ∈ C 0 (I) ed è strettamente monotona,
(ii) f è derivabile in x0 ∈ I,
(iii) f ′ (x0 ) ̸= 0,
allora

(7.1) la funzione inversa f (−1) : f (I) → R è derivabile in f (x0 ) ,


′ 1
f (−1)

(7.2) f (x0 ) = .
f ′ (x0 )
Dimostrazione. Sia f : I ⊆ R → R, ove I è un intervallo non banale di R, verificante le ipotesi
(i)–(iii). L’ipotesi (i) assicura –via il Teorema 11.6, pag. 200, ed il Teorema 11.11, pag. 202– che f (−1) ∈
C 0 (f (I)) con f (−1) avente lo stesso tipo di stretta mononia della funzione f .
226 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Posto y = f (x), per ogni x ∈ I, ed detto y0 = f (x0 ), il Teorema 10.13, pag. 190, ed l Teorema 8.62,
pag. 165 (cfr., in particolare, la (9.3)), garantiscono che
f (−1) (y) − f (−1) (y0 )
lim Rf (−1) ,y0 (y) = lim
y→y0 y→y0 f (f (−1) (y)) − f (f (−1) (y0 ))
x=f −1 (y) 1 1
= lim = ′ ,
x→x0 Rf,x0 (x) f (x0 )
ossia la (7.1) e la (7.2). □
Osservazioni 13.25. (I) Il vero risultato del Teorema 13.24 non è la formula (7.2), bensı́ il risultato
(7.1). Se fosse infatti già acquisita la derivabilità della funzione inversa nel punto f (x0 ), la formula (7.2)
discenderebbe semplicemente dal Teorema 13.20 in quanto f (−1) ◦ f = II .
(II) Il risultato del Teorema 13.20 non meraviglia se si tiene presente l’interpretazione geometrica della
nozione di derivabilità di una funzione in un punto.
Infatti, la condizione che una funzione f : I ⊆ R → R, ove I è un intervallo non banale di R, sia derivabile
in x0 ∈ I è equivalente a garantire tanto l’esistenza della retta tangente τP0 al grafico di f nel punto
P0 = (x0 , f (x0 )), quanto che tale retta non è verticale ed ha equazione
y = f ′ (x0 )(x − x0 ) + f (x0 ) per x ∈ R.
D’altra parte, fissato un sistema cartesiano Oxy, il grafico della funzione inversa f −1 di f si ottiene
simmetrizzando il grafico della funzione f rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante. Tale sim-
metrizzazione trasforma rette orizzontali in verticali (e viceversa), e rette di coefficiente angolare a ̸= 0
1
in rette avente coefficiente angolare (cfr. Proposizione 5.4, pag. 86, e Proposizione 5.8, pag. 87).
a
Teorema 13.26 (Derivabilità estesa delle funzioni inverse). Sia f : I ⊆ R → R, ove I è un intervallo.
Se
(i) f ∈ C 0 (I) ed è strettamente monotona,
(ii) f è derivabile in x0 ∈ I,
(iii) f ′ (x0 ) = 0,
allora la funzione inversa f (−1) : f (I) → R è derivabile in senso esteso in f (x0 ).
In particolare,
(i) se f è strettamente crescente, allora
(7.3) lim Rf (−1) ,f (x0 ) (y) = +∞;
y→f (x0 )

(ii) se f è strettamente decrescente, allora


(7.4) lim Rf (−1) ,f (x0 ) (y) = −∞.
y→f (x0 )

Il Teorema 13.24 può esser fomulato equivalentemente nel seguente modo, forse più comodo ai fini
delle applicazioni.
Teorema 13.27. Assegnata una funzione f ∈ C 0 (a, b), strettamente monotona, se f è derivabile in
f(−1)
(x0 ), con x0 ∈ f (a, b), e f ′ (f (−1) (x0 )) ̸= 0, allora la funzione inversa f (−1) è derivabile in x0 e
′ 1
(7.5) f (−1) (x0 ) = ′ (−1) .
f (f (x0 ))
8. Derivabilità delle funzioni elementari
8.1. Funzioni costanti.
Il rapporto incrementale di ogni funzione costante relativamente ad un qualsiasi punto x0 ∈ R è costan-
temente nullo in R \ {x0 }. Pertanto, per ogni c ∈ R, si ha che la funzione costantemente uguale a c è
derivabile in ogni punto di R e la sua funzione derivata prima è la funzione identicamente nulla in R, i.e.,
(8.1) (c 1R )′ (x) = 0 per ogni x ∈ R .
8. DERIVABILITÀ DELLE FUNZIONI ELEMENTARI 227

8.2. Funzioni affini lineari.


Il rapporto incrementale della funzione identità in R relativamente ad un qualsiasi punto x0 ∈ R coincide
con la funzione 1R\{x0 } . Pertanto, si ha che la funzione identità in R è derivabile in ogni punto di R e la
sua funzione derivata prima è la funzione 1R ,i.e.,
(8.2) (IR )′ (x) = 1 per ogni x ∈ R .
Di qui, facendo uso del Teorema 13.19, segue che ogni funzione affine lineare (cfr. § 4 in Cap. 5), i.e.,
f = a IR + 1R , con a, b ∈ R, è derivabile in ogni punto di R e la sua funzione derivata prima è la funzione
a 1R , i.e.,
(8.3) (a IR + 1R )′ (x) = a per ogni x ∈ R .
8.3. Funzioni potenza n-esima, al variare di n ∈ N.
Facendo uso del Teorema 13.19 e della (8.2), si che per ogni n ∈ N, con n > 1, la la funzione potenza
n-esima, i.e., fn (x) = xn , x ∈ R, è derivabile in ogni punto di R e la sua funzione derivata prima è nfn−1 ,
i.e.,
(8.4) (xn )′ = nxn−1 per ogni x ∈ R .
8.4. Funzioni radice n-esima, al variare di n ∈ N.
Caso n = 2k, con k ∈ N. Assegnato n = 2k, con k ∈ N, la funzione radice n-esima definita in (7.1) del
Capitolo 5 è la funzione inversa della restrizione della funzione potenza n-esima a [0, +∞[. Dalla (8.4),
applicando il Teorema 13.24 con f (x) = xn , x ∈ [0, +∞[, si ha che la funzione radice n-esima è derivabile
in ogni punto di ]0, +∞[ e la sua funzione derivata prima è
√ 1
(8.5) ( n x)′ = √ n
per ogni x ∈ ]0, +∞[ .
n xn−1
Dalla (8.4), applicando il Teorema 13.26 (cfr. in particolare la (7.3)) con f (x) = xn , x ∈ [0, +∞[, si ha
che la funzione radice n-esima, con n pari, è derivabile in senso esteso in 0 e
(8.6) lim R √
n
·, 0 (x) = +∞.
x→0+
Caso n = 2k + 1, con k ∈ N. Assegnato n = 2k + 1, con k ∈ N, la funzione radice n-esima è definita
in (7.5) del Capitolo 5.
Dalle (8.5) e (8.11), avvalendosi del Teorema 13.20 si ha che la funzione radice n-esima, con n dispari,
è derivabile in ogni punto di R \ {0} e la sua funzione derivata prima è
√ 1
(8.7) ( n x)′ = √ n
per ogni x ∈ R \ {0} .
n xn−1
Il punto 0 è un punto di derivabilità estesa per f , in quanto oltre alla (8.6) si ha anche che
(8.8) lim R √
n
·, 0 (x) = +∞.
x→0−

8.5. Funzioni potenza p-esima, al variare di p ∈ Z \ N0 . Assegnato p ∈ Z \ N0 , la funzione


potenza p-esima è definita in (6.2) del Capitolo 5.
Facendo uso del Teorema 13.19 e della (8.4) per x ∈ R \ {0}, si che p ∈ Z \ N0 , con p < −1, la funzione
potenza p-esima definita in (6.2) è derivabile in ogni punto di R \ {0} e la sua funzione derivata prima è
(8.9) (xp )′ = pxp−1 per ogni x ∈ R \ {0} .
8.6. Funzioni potenza q-esima, al variare di q ∈ Q\{0}. Assegnato q ∈ Q+ , la funzione potenza
q-esima è definita in (8.1) del Capitolo 5.
Avvalendosi del Teorema 13.20, nonché delle (8.5) e (8.4), si ha che la funzione potenza q-esima, con
q ∈ Q+ , è derivabile in ogni punto di ]0, +∞[ e la sua funzione derivata prima è
(8.10) (xq )′ = qxq−1 per ogni x ∈ ]0, +∞[ .
In 0 la funzione potenza q-esima è derivabile se q ≥ 1, mentre è derivabile in senso esteso se q ∈ ]0, 1[, in
quanto

+∞ per q ∈ ]0, 1[,
xq

(8.11) lim+ Rfq , 0 (x) = lim+ = 1 per q = 1,
x→0 x→0 x 
0 per q > 1.

228 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Assegnato q ∈ Q− , la funzione potenza q-esima è definita in (8.2) del Capitolo 5.


Avvalendosi del Teorema 13.20, nonché delle (8.5) e (8.10), si ha che la funzione potenza q-esima,
con q ∈ Q− , è derivabile in ogni punto di ]0, +∞[ e la sua funzione derivata prima è
(8.12) (xq )′ = qxq−1 per ogni x ∈ ]0, +∞[ .

8.7. Funzioni esponenziali in R. Assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione esponenziale di base a


è definita in (9.26) del Capitolo 5. La funzione esponenziale di base a, con a ∈ ]0, +∞[\{1}, è derivabile
in ogni punto di R ed la funzione derivata prima è
(8.13) (ax )′ = (log a)ax per ogni x ∈ R .
Infatti, in ogni punto x0 ∈ R, via i Teoremi 10.11 e 10.13, si ha che
ax − ax0 ax−x0 − 1
(8.14) lim = lim ax0 = ax0 (log a) per ogni x0 ∈ R.
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0
8.8. Funzioni logaritmiche. Assegnato a ∈ ]0, +∞[\{1}, la funzione logaritmo di base a definita
in (10.2) tramite la costruzione espressa in (10.1) è la funzione inversa della funzione esponenziale di base
a. Dalla (8.14), applicando il Teorema 13.24 con f (x) = ax , x ∈ R, si ha che la funzione logaritmo di base
a, con a ∈ ]0, +∞[\{1}, è derivabile in ogni punto di ]0, +∞[ ed la funzione derivata prima è
1
(8.15) (loga x)′ = per ogni x ∈ ]0, +∞[ .
(log a) x
8.9. Funzioni potenza α-esima, al variare di α ∈ R \ {0}. Assegnato un numero α ∈ R \ {0},
la funzione potenza α-esima è definita in (11.1) e (11.2) del Capitolo 5.
Avvalendosi del Teorema 13.20, nonché delle (8.13) e (8.15) con a = e, si ha che la funzione potenza
α-esima, con α ∈ R+ , è derivabile in ogni punto di ]0, +∞[ e la sua funzione derivata prima è
(8.16) (xα )′ = αxα−1 per ogni x ∈ ]0, +∞[ .
In 0 la funzione potenza α-esima è derivabile se α ≥ 1, mentre è derivabile in senso esteso se α ∈ ]0, 1[,
in quanto

α +∞
 se α ∈ ]0, 1[,
x
(8.17) lim Rfα , 0 (x) = lim+ = 1 se α = 1,
x→0+ x→0 x 
0 se α > 1.

Assegnato α ∈ R− , la funzione potenza α-esima è è derivabile in ogni punto di ]0, +∞[ e la sua
funzione derivata prima è
(xα )′ = αxα−1 per ogni x ∈ ]0, +∞[ .
Basta infatti applicare il Teorema 13.20 e far uso delle (8.13) e (8.15) con a = e.

8.10. Funzioni trigonometriche. La funzione coseno definita in (12.8) del Capitolo 5 è derivabile
in ogni punto di R e la sua funzione derivata prima è
(8.18) (cos)′ (x) = − sin x per ogni x ∈ R .
Infatti, avvalendosi della formula (12.10) del Capitolo 5 ed applicando i Teoremi 10.11 e 10.13, si ha che
cos x − cos x0 cos((x − x0 ) + x0 ) − cos x0
lim = lim
x→x0 x − x0 x→x 0 x − x0
cos(x − x0 ) cos x0 − sin(x − x0 ) sin x0 − cos x0
= lim
x→x0 x − x0
cos(x − x0 ) − 1 sin(x − x0 )
= lim cos x0 − sin x0
x→x0 x − x0 x − x0
= − sin x0 per ogni x0 ∈ R.
La funzione seno definita in (12.9) del Capitolo 5 è derivabile in ogni punto di R e la sua funzione
derivata prima è
(8.19) (sin)′ (x) = cos x per ogni x ∈ R .
8. DERIVABILITÀ DELLE FUNZIONI ELEMENTARI 229

Infatti, avvalendosi della formula (12.12) del Capitolo 5 ed applicando i Teoremi 10.11 e 10.13, si ha che
sin x − sin x0 sin((x − x0 ) + x0 ) − sin x0
lim = lim
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0
sin(x − x0 ) cos x0 + cos(x − x0 ) sin x0 − sin x0
= lim
x→x0 x − x0
cos(x − x0 ) − 1 sin(x − x0 )
= lim sin x0 + cos x0
x→x0 x − x0 x − x0
= cos x0 per ogni x0 ∈ R.
La funzione tangente, definita in (12.23) del Capitolo 5, è derivabile in ogni punto del suo dominio
di definizione, e la sua funzione derivata prima è
1 [ π π
(tan)′ (x) =

(8.20) 2
per ogni x ∈ − + kπ, + kπ .
cos x 2 2
k∈Z

Per dimostrarlo è sufficiente applicare la (5.4) nel Teorema 13.19 e l’identità fondamentale della trigono-
metria in Proposizione 5.57.
8.11. Inverse locali delle funzioni trigonometriche. I Teoremi 13.24 e 13.26 unitamente ai
risultati della sezione precedente consentono di conoscere la derivabilità e la derivabilità estesa, rispetti-
vamente, delle funzioni inverse locali delle funzioni trigonometriche.

La funzione arcocoseno definita dalle (13.1)–(13.3) del Capitolo 5 è derivabile in ogni punto x ∈ ]−1, 1[
e la sua funzione derivata prima è
1
(8.21) (arccos)′ (x) = − √ per ogni x ∈ ] − 1, 1[ .
1 − x2
In −1 ed 1 la funzione arcocoseno è derivabile in senso esteso e
(8.22) lim Rarccos,−1 (x) = lim− Rarccos,1 (x) = −∞.
x→−1+ x→1

Infatti,
arccos = (cos|[0,π] )−1
e la funzione f = cos|[0,π] è continua e strettamente decrescente su [0, π]. Inoltre, per la (8.18),
(
′ [−1, 0[ se y ∈ ]0, π[,
f (y) = − sin y ∈
{0} se y = 0 e se y = π.
Il Teorema 13.24, unitamente all’identità fondamentale della trigonometria ed al fatto che la funzione
seno è strettamente positiva in ]0, π[, assicura allora che
1 1
(arccos)′ (x) = =− p
− sin(arccos x) 2
1 − cos (arccos x)
1
=− √ per ogni x ∈ ] − 1, 1[ .
1 − x2
La (8.22) segue immediatamente dal Teorema 13.26 e dalla stretta decrescenza della funzione coseno su
[0, π].

La funzione arcoseno definita dalle (13.4)–(13.6) del Capitolo 5 è derivabile in ogni punto x ∈ ] − 1, 1[
e la sua funzione derivata prima è
1
(8.23) (arcsin)′ (x) = √ per ogni x ∈ ] − 1, 1[ .
1 − x2
In −1 ed 1 la funzione arcoseno è derivabile in senso esteso e
(8.24) lim Rarcsin,−1 (x) = lim− Rarcsin,1 (x) = +∞.
x→−1+ x→1

Infatti,
arcsin = (sin|[− π , π ] )−1
2 2

e la funzione f = sin|[− π , π ] è continua e strettamente crescente su − π2 , π2 . Inoltre, dalla (8.19),


 
2 2
230 13. LA NOZIONE DI DERIVATA PER FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

(
]0, 1] se y ∈ − π2 , π2 ,
 

f (y) = cos y ∈
{0} se y = − π2 e se y = π2 .
Il Teorema 13.24, unitamente all’identità fondamentale della trigonometria ed al fatto che la funzione
coseno è strettamente positiva in − π2 , π2 , assicura allora che


1 1
(arcsin)′ (x) = = q
cos(arcsin x) 2
1 − sin (arcsin x)
1
= √ per ogni x ∈ ] − 1, 1[ .
1 − x2
La
 π(8.24) segue immediatamente dal Teorema 13.26 e dalla stretta crescenza della funzione seno su
− 2 , π2 .

La funzione arcotangente definita dalle (13.7)–(13.12) del Capitolo 5 è derivabile in ogni punto x ∈ R
e la sua funzione derivata prima è
1
(8.25) (arctan)′ (x) = 2 per ogni x ∈ R.
x +1
Infatti,
arctan = (tan|]− π , π [ )−1
2 2

e la funzione f = tan|]− π , π [ è continua e strettamente crescente su − π2 , π2 . Inoltre, dalla (8.20),


 
2 2

1 i π πh
f ′ (y) = 2
per ogni y ∈ − , .
cos y 2 2
Il Teorema 13.24, unitamente all’identità fondamentale della trigonometria, assicura allora che
1 1
(arctan)′ (x) = 1 = sin2 (tan x)+cos2 (tan x)
cos2 (tan x) cos2 (tan x)
1
= per ogni x ∈ R.
x2 + 1

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