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A.

Cacciatore

Manuale
di disegno
di impianti
chimici
per tecnologie chimiche industriali

edizione

2010
ALFONSO CACCIATORE

Manuale di disegno
di impianti chimici
PER TECNOLOGIE CHIMICHE INDUSTRIALI

Revisione parziale a cura di


MARIANO CALATOZZOLO
Manuale di disegno di impianti chimici
Realizzazione editoriale:
Disegni e schemi: Luca Cacciatore
Impaginazione: C.G.M.
Revisione testi: Lunella Luzi
Computer to plate: Grafica Piemontese

I temi e i disegni relativi agli anni dal 1997 in poi, sono a cura di Mariano Calatozzolo

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Grafica Piemontese, Volpiano (To), Italia. Printed in Italy.

Ristampe
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PRESENTAZIONE

Lopera che viene presentata si propone come sussidio didattico allinsegnamento


degli Impianti e delle Tecnologie Chimiche Industriali nellambito degli Istituti di indiriz-
zo chimico.
Il Manuale si compone principalmente di tre parti.
La prima ha come contenuto specifico la normativa della rappresentazione grafica
degli impianti che servono ai processi chimici e cura singolarmente la strumentazione
finalizzata a servire tali processi.
La seconda parte comprende esempi dapplicazione della predetta normativa ad
operazioni comportanti una determinata scelta dimpiantistica chimica piuttosto sem-
plice; riservandosi lesposizione di pi complessi esempi in proposito agli schemi dim-
pianti chimici implicati dai temi su parti avanzate del programma dinsegnamento della
disciplina inclusi nella terza parte del manuale.
Tracce di risoluzione (non uniche, in generale, si noti!) di temi ministeriali assegnati
agli esami di maturit tecnica industriale dindirizzo chimico compongono tale terza
parte.
Questo manuale in complesso un completo prontuario della didattica concernente
il suo oggetto, col peculiare pregio di non essere un ibrido tra ci che realisticamente si
pu capire e fare a livello scolastico ed i controproducenti, complicatissimi elaborati di
schemi dimpianto cifrati derivanti da Uffici Tecnici di grandi complessi chimici indu-
striali.
LAutore sar grato a quei Docenti che vorranno suggerirgli eventuali migliorie.
PARTE PRIMA

LUNIFICAZIONE NELLA RAPPRESENTAZIONE


DEI PROCESSI CHIMICI
1.1 Generalit sullunificazione industriale
Si indica genericamente unificazione o normalizzazione lopera di riduzione a pochi tipi o
campioni o simboli dei modi in cui gli uomini comunicano tra loro e dei mezzi con i quali si espli-
cano le attivit lavorative, sia nella fase di previsione che in quella di attuazione.
Il problema della unificazione, pur in rigoroso ambito industriale, si presenta di dimensioni
enormi; sicch non lo si intende qui affrontare se non per lo specifico campo degli impianti chi-
mici industriali ed, in particolare, in relazione allesecuzione del disegno relativo.
In Italia lunificazione industriale curata da un apposito Ente denominato UNI (Ente
Nazionale Italiano di Unificazione), che un membro dellISO (International Standardization
Organization), che, con sede a Ginevra, opera a livello mondiale. Associazione federata allUNI
la UNICHIM (Associazione per lUnificazione del Settore dellindustria chimica), che opera nel
campo del disegno di impianti chimici.
Per gli schemi, questo testo si attiene alla norme UNICHIM. In particolare le nuove parti intro-
dotte con la presente edizione utilizzano la normativa attuale (Manuale N. 6, Impianti Chimici,
Simboli e sigle per schemi e disegni, Edizione 1994), mentre quelle risalenti alla precedente edizio-
ne utilizzano norme antecedenti.
Delle norme UNICHIM, alla fine della 1a parte, sono riportati, raggruppati in tavole, i simboli
pi significativi e nella rappresentazione grafica dei processi chimici faremo riferimento a tali
simboli.
comunque da notare che, nonostante limpegno degli enti preposti, il problema della unifi-
cazione ancora lontano dallessere definito e quindi, accanto alle norme ufficiali emanate
dallUNICHIM a livello nazionale, vengono usate norme pi specifiche adottate da grandi imprese
industriali del settore chimico.

2.1 Scopi dellunificazione negli impianti chimici


Come si detto nel paragrafo precedente, in Italia lunificazione curata dallUNI, alle cui
pubblicazioni rimandiamo perci il lettore per tutte le norme particolari concernenti lunificazione
industriale. Qui di seguito passiamo in rassegna, relativamente agli impianti industriali chimici i
maggiori settori per i quali si ritiene indispensabile una rigida applicazione delle norme UNI.
Lunificazione particolarmente importante:
nello stabilire le caratteristiche dei materiali da costruzione;
nel dimensionamento dei pezzi di pi comune impiego per la costruzione degli apparecchi;
nei metodi di calcolo per apparecchi soggetti a sollecitazioni dovute a pressione e temperatura;
nel dimensionamento e nella scelta dei materiali di cui debbono essere fatti i semilavorati
metallici, le lamiere, i profilati e i tubi;
nello stabilire i sistemi di filettatura e bulloneria;
nel determinare i tipi, le dimensioni e i materiali per organi accessori di tubazioni (flange,
raccordi, valvole, ecc.);
nel fissare le pressioni nominali e i diametri nominali, da cui risulta definito un sistema di
tubazione.
La pressione nominale un dato convenzionale (espresso in kg/cm2) in base al quale vengono
dimensionati gli elementi dei sistemi di tubazioni, cio i tubi propriamente detti, le flange, le val-
vole. La pressione nominale viene determinata in base alla pressione di esercizio e tiene conto,
oltre che della pressione effettiva esistente nella tubazione, anche delle condizioni specifiche de-
sercizio. Essa viene indicata con la notazione PN, seguita dal valore numerico; ad esempio PN 50.
Il diametro nominale anchesso una indicazione convenzionale (espressa in mm), che serve
quale riferimento univoco per individuare la grandezza dei singoli elementi accoppiabili per for-
mare un sistema di tubazioni (tubi, flange, valvole). Esso viene indicato con la notazione DN,
seguita dal valore numerico relativo; ad esempio DN 75.
Per il disegno di impianti chimici, di cui, come si detto, ci atterremo alle norme UNICHIM,
necessario che ci sia una unificazione riguardo:
alla denominazione ed al contenuto dei vari schemi utilizzati nellindustria chimica;
ai simboli utilizzati per i vari apparecchi;
alle sigle che specificano le apparecchiature;
alle modalit di rappresentazione dei dati di processo.

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3.1 La rappresentazione grafica dei processi chimici
Come in tutti i settori industriali, anche in quello chimico esiste il problema di registrare e
comunicare il maggior numero di informazioni possibili attraverso rappresentazioni grafiche.
Il modo in cui vengono fatte le varie rappresentazioni e i disegni utilizzati sono anchessi
oggetto delle norme UNICHIM e si differenziano tra loro a seconda degli obiettivi per i quali sono
stati tracciati.
Di tali rappresentazioni daremo nella parte seconda degli esempi illustrativi, riguardanti gli
apparecchi e le operazioni chimiche, oggetto di studio del programma di impianti chimici; altri
esempi verranno forniti nella parte terza, inerente lo svolgimento di alcuni temi ministeriali,
oggetto delle prove di esame di maturit.
Qui di seguito elenchiamo le varie rappresentazioni, specificandone sinteticamente gli obiettivi.

DIAGRAMMA A BLOCCHI

lo schema pi semplice e si pu considerare la prima rappresentazione grafica di un proces-


so chimico.
Questa prima rappresentazione si limita a far notare la successione delle fasi o stadi fonda-
mentali del ciclo operativo, senza preoccuparsi di fornire lesatto numero degli apparecchi e di
delinearne il tipo. Tale schema non necessita dunque di simboli unificati; tuttavia ogni fase viene
rappresentata da un rettangolo o da un cerchio allinterno del quale viene scritto il nome dello-
perazione. La sequenza delle fasi poi indicata da linee di collegamento con frecce.
Per avere una migliore possibilit di comprensione del processo, il diagramma pu essere
quantificato; pu portare, cio, i flussi quantitativi di materie e prodotti con un primo bilancio
generale.

SCHEMA SEMPLIFICATO O DI PRINCIPIO

Questo schema mette in evidenza la successione degli apparecchi che costituiscono limpian-
to, cio le caselle dello schema precedente vengono disaggregate in operazioni pi elementari
alle quali corrispondono precise apparecchiature rappresentate con simboli raccomandati dalle
UNICHIM (ad esempio simboli per scambiatori, riportati nella tavola IX). I collegamenti tra le
varie caselle vengono sostituiti da quelli che nellimpianto sono le tubazioni. In questo schema
non vano indicati gli organi di intercettazione o regolazione, gli strumenti di misura e di control-
lo, le linee delle tubazioni dei cicli sussidiari riguardanti i servizi.
Come il diagramma a blocchi, lo schema semplificato pu essere, a volte, quantificato.

SCHEMA DI PROCESSO

Questo schema, come specificano le norme UNICHIM, ha lo scopo principale di far compren-
dere con immediatezza le caratteristiche proprie di un processo industriale. Nella versione pi
completa e in accordo con le norme UNICHIM, tale schema contiene:
le apparecchiature principali;
le linee di processo (non quelle secondarie, di avviamento, svuotamento, ecc.);
la strumentazione pi significativa del processo;
il bilancio dei materiali, che preferibile riportare su foglio allegato;
gli indici di stato fisico (temperatura, pressione) nei punti principali;
eventuale indicazione sulla elevazione minima delle apparecchiature per il loro funziona-
mento;
eventuali annotazioni utili per la fase di montaggio.
Per quanto concerne simbologia e siglatura si rimanda alle norme UNICHIM. Comunque i par-
ticolari delle apparecchiature, quali i setti, i diaframmi, ecc., possono essere riportati qualora si
ritenga utile porli in evidenza ai fini della comprensione della funzionalit dellimpianto.

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SCHEMA DI MARCIA

Questo, che rappresenta lo schema dimpianto completo, pi dettagliato di quello di proces-


so e dovrebbe essere elaborato successivamente a questo. Esso deve essere in grado di fornire
tutte le indicazioni per lesercizio dellimpianto; ci che comporta il comprendere:
le apparecchiature con sigla, funzione ed eventuale elevazione minima;
le linee di processo e di servizio (acqua, vapore, scarichi, ecc.);
le linee di avviamento, svuotamento, smaltimento prodotti da rilavorare, spurghi;
la strumentazione completa, le linee di collegamento con gli strumenti e i relativi aziona-
menti, allarmi, controlli, ecc.;
le valvole, i dispositivi di sicurezza e i by-pass.
La compilazione dello schema di marcia che riporti tutto quanto sopra elencato, pu diventa-
re molto complessa ed anche di difficile lettura; il suo tracciamento comporta che si tenga pre-
sente che lo stesso dovr servire non solo da guida per il montaggio dei collegamenti tra i vari
elementi dellimpianto, ma anche per la conduzione dellimpianto stesso. Si comprende quindi
che per tracciare un tale schema necessario passare per una fase di vera progettazione.
Per quanto riguarda i problemi grafici, essi non si discostano da quelli in uso per lo schema di
processo; unica differenza che anche le linee vanno siglate e la strumentazione richiede una
maggiore completezza.
Per semplicit dunque noi in questambito ci atterremo agli schemi di processo nel rappre-
sentare graficamente gli schemi dimpianto.

4.1 Il controllo nei processi chimici


Per una discussione pi approfondita su questo argomento si rimanda alla relazione allegata
al tema di maturit del 1987 per la sperimentazione Deuterio.
In ogni processo chimico per la sicurezza degli operatori e dellambiente, per la buona conduzio-
ne dellimpianto e per la riuscita del processo stesso necessario controllare le variabili operative.
Tale controllo consiste sia nella misura, cio nella rilevazione dei valori delle variabili,
mediante opportuni strumenti, sia nella regolazione, cio nellintervento manuale o automatico,
in modo da riportare le variabili al valore desiderato.
Le variabili pi comuni da tenere sotto controllo sono:
portata;
temperatura;
pressione;
livello.
Esistono molte altre variabili, come ad esempio densit e pH di una soluzione, ma esse sono
specifiche per casi particolari di lavorazioni e pertanto verranno prese in considerazione sola-
mente nelle operazioni chimiche che le prevedono.
La misura delle variabili pu essere automatizzata mediante limpiego di strumenti capaci di
tradurre in segnale elettrico, pneumatico, digitale, ecc., il valore della variabile da controllare. La
regolazione richiede apparecchiature capaci sia di confrontare il valore della variabile rilevata con il
valore prefissato, sia di intervenire sui parametri da cui tali variabili dipendono per correggerne lo
scostamento dal valore prefissato o per impartire variazioni con sequenze e tempi programmati.
Il controllo automatico, grazie ai progressi dellelettronica e dellinformatica industriale, seb-
bene richieda maggiori investimenti rispetto a quello manuale, sempre pi presente negli
impianti chimici per i molti vantaggi che comporta, tra cui, in particolare, una maggiore unifor-
mit qualitativa dei prodotti ottenuti e la possibilit di centralizzare i comandi e di evitare gli erro-
ri connessi alle operazioni manuali. insostituibile negli impianti continui, mentre sempre pi
presente negli impianti discontinui, ed anche negli impianti pilota e di laboratorio.
La moderna strumentazione automatica prevalentemente di tipo elettronico, spesso dotata
di microprocessore e programmabile, ed quindi in grado di assolvere a numerose funzioni,
oltre la semplice regolazione. I regolatori pneumatici hanno ormai limitata applicazione per il
maggior costo e per le minori prestazioni. Sono, invece, molto diffuse le valvole con servomotori
pneumatici, che richiedono quindi dei segnali in pressione, in genere 20100 kPa. Ladozione di
servomotori pneumatici evita i pericoli derivanti da eventuali scintille elettriche ed i relativi
segnali sono immuni da interferenze, anche se non sono in grado di coprire elevate distanze. In
prossimit degli impianti, opportuni trasduttori trasformano i segnali elettrici in pneumatici.

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5.1 I componenti di un anello di regolazione
In ogni processo o, in particolare, in ogni situazione di controllo bisogna tener conto dei seguenti
fattori:
a) variabile controllata e/o misurata: la grandezza di cui si vuole conoscere la misura e che
si vuole mantenere ad un valore prescritto, detto di set-point;
b) variabile controllante o manipolata: la grandezza da cui dipende la controllata e su cui si
agisce per controllarla;
c) variabili indipendenti o disturbi: sono quei fattori sui cui non agisce lanello di regolazione
e che influenzano la controllata. Linevitabile presenza dei disturbi tra le principali cause
della necessit di ricorrere al controllo automatico.
Le variabili indipendenti e controllanti sono considerate, logicamente e non fisicamente, in
ingresso al processo, le controllate sono considerate in uscita.
Un esempio potr chiarire quanto ora si detto.
Supponiamo che in un serbatoio D (Fig. 1/I) giunga una sostanza liquida con portata F1 e che
la stessa possa essere scaricata per mezzo della valvola V. In tale serbatoio si vuole mantenere il
livello constante H. evidente che bisogner agire sulla valvola V, scaricando una portata F2 in
modo che il livello del liquido nel serbatoio si possa mantenere al valore prefissato H.

Fig. 1/I

Nel nostro caso si ha quindi:


a) grandezza o variabile controllata: livello H del serbatoio;
b) grandezza o variabile controllante: portata allo scarico F2;
c) grandezza o variabile indipendente: portata di alimentazione F1.
Se la regolazione di tipo manuale, loperatore che agisce sulla valvola V in base allo sco-
stamento del livello H dal valore desiderato. Se la regolazione di tipo automatico, il regolatore
acquisisce il segnale dal sensore di livello, lo confronta con il valore di set point e, in base aller-
rore riscontrato, agisce sulla valvola. Tale sistema di regolazione, che simula lazione umana,
uno dei pi semplici ed detto in retroazione (o feed back) in quanto, come si pu vedere dallo
schema logico riportato in Fig. 2/I, costituito da un anello chiuso in cui, in base allentit o
anche alla durata dellerrore, il regolatore agisce in retroazione sulla variabile in ingresso al pro-
cesso che influenza la variabile controllata.

Set point

Regolatore

Organo di Variabile Variabile


Processo Sensore
regolazione controllante controllata

Fig. 2/I

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Le funzioni dei componenti essenziali di tale anello sono le seguenti.
Strumenti di misura. Sono apparati che consentono di rilevare il valore della variabile control-
lata. Possono essere o indicatori, cio a lettura (nel qual caso il valore viene rilevato dallopera-
tore), o registratori (in tal caso il valore della variabile viene opportunamente registrato) o con-
temporaneamente indicatori-registratori.
Nello strumento di misura, oltre al sensore che rileva la grandezza da misurare, generalmente
presente un dispositivo, detto trasduttore, che ha il compito di convertire il segnale prodotto dal sen-
sore in uno di natura pi facilmente trasferibile ed utilizzabile (p.e. da pressione a corrente elettrica,
da analogico a digitale, ecc.).

Controllori o strumenti di regolazione. Ricevono il segnale della variabile misurata, lo con-


frontano con il valore di set point, ricavano lerrore ed in base ad appositi parametri, opportuna-
mente impostati, elaborano il segnale di risposta per lorgano di regolazione.

Organi di regolazione. Sono le apparecchiature che ricevono il segnale dal controllore ed


intervengono modificando il valore della variabile controllata. Questi organi sono in generale
delle valvole pneumatiche.

6.1 Esempi di strumenti di misura e di organi di regolazione


Nel paragrafo precedente si sono elencati e si detto dello scopo dei componenti degli anelli
di regolazione. Pur non entrando nei dettagli (la qual cosa esula dallo scopo prefissoci), voglia-
mo, qui di seguito, fornire alcuni particolari sullimpiego di tali strumenti e organi.

STRUMENTI DI MISURA

Come si detto, sono quelle apparecchiature che permettono di misurare le variabili che si
vogliono tenere sotto controllo.
Comunque i misuratori delle principali variabili di un processo sono i misuratori di portate, di
temperature, di pressione e di livello.
Fra i principali apparecchi misuratori di portata di pratico impiego si hanno: i contatori a tur-
bina (usati per piccole portate 0,03575m3/h); i contatori a mulinello (per portate da 3,5 a
300 m3/h e pressioni massime di 12 bar) e i contatori volumetrici. Per i fluidi passanti, sotto pressio-
ne, in tubazioni sono usati contatori con organi di strozzamento, quali il venturimetro e i boccagli.
I pi comuni misuratori di temperatura sono: i termometri a dilatazione dei fluidi (aria,
azoto, idrogeno per basse temperature; alcool etilico, toluolo, mercurio per temperature da
-100 C a oltre 500 C); termometri termoelettrici (termocoppie per temperature da -200 C a
+2000 C) e a resistenza elettrica, il cui campo dimpiego varia in relazione al materiale costituen-
te la resistenza elettrica (per esempio il platino agisce nellintorno da -190 C a 650 C ed il nichel
nellintervallo -50 C +200 C).
Dei misuratori di pressione sono comunemente impiegati manometri ad U (per pressioni
non elevate e per la misura del grado di vuoto); manometri a molla tipo Bourdon (per pressioni
anche elevate).
I misuratori di livello praticamente impiegati si basano tutti su principi molto semplici. Il
livello da misurare solitamente quello dei liquidi nei serbatoi.
In Fig. 3/l sono rappresentati i principali tipi di misuratori a livello.

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Fig. 3/l.

Precisamente nel caso a) si vede un indicatore a galleggiante, il cui funzionamento non richie-
de spiegazioni; nel caso b) si ha un indicatore a tubo di vetro, costituito da un tubo metallico con
finestre di vetro resistente, collegato col serbatoio per mezzo di valvole che permettono di esclu-
derlo, se necessario; nel caso c) un tipo a gorgogliamento. In esso da A viene insufflata aria nel
fondo del serbatoio, dalla misura h della pressione dellaria, necessaria perch questa gorgogli,
si risale allaltezza H del liquido nel serbatoio.

Diaframma Entrata
Aria

Servomotore Indicatore Diaframma


Posizione Entrata
Aria
Indicatore
Stelo
Posizione
Flangia
Premistoppa Stelo

Corpo

Fig. 4/l. Fig. 5/l.

ORGANI DI REGOLAZIONE

Gli organi di regolazione rappresentano lelemento finale della regolazione. Tra i pi usati di
questi organi nella regolazione pneumatica si hanno le valvole a diaframma, cio valvole capa-
ci di far assumere al loro otturatore una posizione proporzionale alla pressione dellaria che ad
esse arriva dal regolatore.

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Una valvola a diaframma essenzialmente costituita dal servomotore e dal corpo di val-
vola. Il servomotore riceve laria compressa di comando proveniente dal regolatore.
tale aria che agendo sulla superficie del diaframma (membrana elastica di gomma) genera
una forza contrastata dalla molla. La forza risultante provoca lo spostamento dello stelo della val-
vola. Nel corpo di valvola, lotturatore, per lo spostamento dello stelo, varia la sezione di passag-
gio del fluido e quindi la portata.
La valvola pneumatica, rappresentata in Fig. 4/I, avente il diaframma sopra la molla, detta
ad aria chiude: lo stelo si abbassa e lotturatore interrompe il flusso dellaumentare della pres-
sione dellaria.
Quella rappresentata in Fig. 5/I, avente il diaframma sotto la molla detta ad aria apre: la
valvola rimane chiusa in mancanza di aria.
La scelta tra un sistema e laltro in relazione alle condizioni di sicurezza richieste nel caso in
cui nella valvola non giunga pi laria. Infatti per azione della molla nel primo caso la valvola
rimarr totalmente aperta e nel secondo caso tutta chiusa.
Le valvole pneumatiche non richiedono molta manutenzione; comunque, poich il loro fun-
zionamento condizionato dallaria compressa, per evitare una mancanza di regolazione, sintro-
duce un by-pass in grado di permettere la regolazione manuale, al posto di quella automatica.

7.1 Esempi di strumentazione applicati a parti di processi chimici


Vediamo ora alcuni esempi tipici di strumentazione in opera in parti dimpianto.
In alcuni esempi riportato il by-pass delle valvole di regolazione. Tale particolare da ripor-
tare obbligatoriamente negli schemi di marcia, non negli usuali schemi di processo. Pu comun-
que essere utile ricordare in sede di relazione o nella legenda dello schema che tutte le valvole di
regolazione sono usualmente dotate di by-pass con valvola manuale.

Controllo della portata di una pompa centrifuga (Fig. 6/I)

Dal serbatoio D viene prelevato un liquido per mezzo della pompa centrifuga G. La regolazio-
ne della portata si ha sulla mandata e il by-pass, come si detto nel paragrafo 6.1, permette la
eventuale regolazione manuale. Il rubinetto a maschio, posto sullaspirazione della pompa G,
verr azionato, nel caso di interruzione del flusso, susseguentemente alla valvola posta sulla
mandata, in modo che la pompa rimanga piena di liquido e risulti poi pi facile il successivo
innescamento.

Fig. 6/I.

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Controllo della portata di una pompa a stantuffo (Fig. 7/I)

Il liquido dal serbatoio D prelevato dalla pompa G. Un aumento di portata, rispetto a quella
prefissata, comporta la chiusura della valvola a membrana, per cui una determinata quantit di
liquido ritorna sullaspirazione della pompa. Il sistema quindi con by-pass sullaspirazione.

Fig. 7/I.

Nei precedenti esempi di anelli di regolazione (Fig. 6/I e 7/I), la variabile controllata e la control-
lante coincidono in quanto corrispondono sempre alla stessa portata detta, perci, autoregolata.

Controllo della temperatura applicata ad uno scambiatore (Fig. 8/I)

Lo scopo di uno scambiatore quello di permettere il riscaldamento o il raffreddamento di un


fluido per mezzo di un altro fluido.
Lo scambiatore in figura a fascio tubiero verticale: da A entra il fluido da riscaldare che esce,
riscaldato, da B.

Fig. 8/I.

Il controllo di una temperatura si pu effettuare agendo sulla portata del fluido riscaldante o
refrigerante, oppure agendo sulla superficie dello scambiatore, variando ad esempio il livello del
liquido in esso contenuto. Allo scopo occorrer modificare la portata di scarico del liquido da
riscaldare o da raffreddare, se la sua portata dingresso costante.
Il primo sistema quello pi comune ed quello applicato in Fig. 8/I.
Supponiamo che il riscaldamento si faccia con vapore saturo, che cede il suo calore latente e
viene scaricato come condensa.
Se il fluido da riscaldare deve essere portato alla temperatura prefissata ed indicata dal misu-
ratore TI, questo collegato con la valvola dingresso del vapore, la cui variazione della portata
determiner il riscaldamento alla temperatura prefissata; in figura previsto anche il by-pass per
eventuale interruzione del meccanismo.

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PARTE TERZA

TEMI MINISTERIALI PER LA PROVA


SCRITTO-GRAFICA DI
TECNOLOGIE CHIMICHE INDUSTRIALI
E DI IMPIANTI CHIMICI
(VECCHIO ORDINAMENTO)
M417 - ESAME DI STATO DI ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE

Indirizzo: CHIMICO
CORSO DI ORDINAMENTO
TEMA DI TECNOLOGIE CHIMICHE INDUSTRIALI,
PRINCIPI DI AUTOMAZIONE
E DI ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE
Sessione ordinaria 2005

Testo valevole per i corsi di ordinamento


e per i corsi del Progetto Assistito SIRIO CHIMICO

Il candidato realizzi il disegno dello schema descritto nel primo quesito e, a sua scelta,
risponda a due degli altri tre proposti.

1. In un reattore discontinuo ben agitato (well stirred tank reactor) un liquido reagisce con un
gas grazie ad un catalizzatore allo stato solido, finemente suddiviso, disperso nella massa
liquida.
Il liquido, gi miscelato con il catalizzatore, viene introdotto nel reattore durante la prepara-
zione della reazione. Successivamente il reattore viene portato alla temperatura di reazione
con un circuito di riscaldamento alimentato da vapor dacqua.
Infine il gas gorgoglia nel liquido durante tutto il tempo di svolgimento della reazione stessa.
Un agitatore rotante mantiene in sospensione il catalizzatore oltre a favorire la dispersione
delle bolle di gas nel liquido.
La reazione, esotermica, viene condotta a pressione superiore a quella atmosferica ed
mantenuta a temperatura costante con un circuito di refrigerazione alimentato con acqua. Il
prodotto che si forma rimane liquido alla temperatura di esercizio della reazione. Al termine
di essa il contenuto del reattore viene inviato alla filtrazione (filtro pressa) per separare e
recuperare il catalizzatore. Il prodotto liquido procede verso altre lavorazioni senza essere
refrigerato.
Il candidato, tenendo presente le caratteristiche delloperazione proposta, disegni lo schema
dellimpianto, completo delle apparecchiature accessorie (pompe, valvole, serbatoi, ecc.), e
delle regolazioni automatiche principali, seguendo per quanto possibile la normativa UNI-
CHIM.

2. Il prodotto organico uscente dal fondo di una colonna di rettifica continua viene refrigerato
prima di essere inviato allo stoccaggio.
I dati sono i seguenti:
a) La portata di liquido L = 0,45 kg/s
b) Il suo calore specifico Cps = 2,3 kJ/(kg C)
c) La sua temperatura iniziale Ti = 115 C
d) La sua temperatura finale Tf = 35 C
e) La temperatura iniziale dellacqua di raffreddamento Tai = 21 C
f) La temperatura finale dellacqua Taf = 85 C
g) Il calore specifico dellacqua Cpa = 4,18 kJ/(kg C)
h) Il coefficiente globale di scambio termico Utot = 1,5 kW/(m2 C)

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Con questi dati il candidato calcoli larea dello scambiatore di calore idoneo allo scopo e la
portata di acqua refrigerante. Il candidato pu, se lo ritiene opportuno, ipotizzare un utilizzo
del calore recuperato modificando, a suo giudizio, alcuni dei dati del problema proposto.

3. Il candidato descriva, a sua libera scelta, gli aspetti biochimici di un processo fermentativo a
lui noto evidenziando gli aspetti impiantistici di tale processo ed i problemi relativi allo smal-
timento dei suoi sottoprodotti.

4. Lidrogeno come fonte di energia in un imminente futuro. Il candidato, in base alle conoscen-
ze acquisite nel corso degli studi, illustri i metodi attualmente impiegabili per la produzione
di tale elemento, con particolare riguardo al problema delle emissioni dei gas serra.

Durata massima della prova: 6 ore.


Durante lo svolgimento della prova consentito soltanto luso:
di manuali relativi alle simbologie UNICHIM;
di tabelle con dati numerici e diagrammi relativi a parametri chimico-fisici;
di mascherine da disegno e di calcolatrici tascabili non programmabili.
Non consentito lasciare lIstituto prima che siano trascorse 3 ore dalla dettatura del tema.

Quesito n. 1
Richiede di tracciare lo schema di processo di un impianto discontinuo di idrogenazione
catalitica, con recupero del catalizzatore per filtrazione.
Non richiesta una relazione esplicativa dello schema. In questa sede la si allega comunque
per una migliore comprensione e come guida per la discussione dellelaborato in sede di colloquio.
In base a quanto indicato dal tema si sono effettuate le scelte seguenti:
Si dotato lo schema di un serbatoio (D3) di miscelazione del catalizzatore con parte dello
stesso liquido da idrogenare, per introdurre nel reattore il catalizzatore gi disperso nella
massa liquida. Si anche previsto un serpentino di riscaldamento per favorire la dispersione
del catalizzatore.
Si previsto un compressore (P1) per lidrogeno, nellipotesi che questultimo non fosse
disponibile ad adeguata pressione (ma non sbagliato presupporre che il gas sia fornito gi
ad adeguata pressione).
Si dotato il reattore (R1) di un serpentino di scambio in cui fluisce vapore per il riscalda-
mento e acqua per il raffreddamento. Si scelto un serpentino per il miglior coefficiente di
scambio e per il pi agevole dimensionamento della superficie di scambio, ma la camicia
sarebbe stata comunque accettabile.
Poich le miscele idrogeno-ossigeno possono esplodere facilmente, si dotato il reattore
(R1) di un eiettore per evacuare laria prima dellimmissione dellidrogeno. In alternativa si
potrebbe adottare una bonifica con gas inerte (azoto). Sempre per motivi di sicurezza, si
dotato il reattore di disco di rottura e di valvola di sicurezza, dotazione obbligatoria essendo
sede di una reazione esotermica condotta in pressione con un gas altamente infiammabile.
Cos pure sar presente un rompifiamma (non riportato nello schema) sulla linea di spurgo.
Tutti gli effluenti gassosi sono inviati in torcia (ci non esclude precedenti trattamenti di
abbattimento).
Per non appesantire lo schema oltre le proprie finalit didattiche, la regolazione automatica
stata limitata sostanzialmente alle fasi continue. Sono state inserite delle valvole a comando
manuale (HV) per il controllo delle sequenze operative tipiche di un processo discontinuo.
Per gestire totalmente in automatico il processo bisognerebbe prevedere dei PLC (controllori
a logica programmabile) o un sistema computerizzato.

227
Lo schema riportato a pag. 234. Trattandosi di un processo discontinuo, il funzionamento
scandito dalla successione delle fasi operative.

Preparazione della dispersione catalizzatore-liquido


Carico del liquido in D3. Valvole aperte: HV1, HV4 da A a C; pompa G1 in marcia. Si carica
fino a che lindicatore di peso (WI1) non segna il valore voluto. Si avvia lagitatore.
Si attiva il riscaldamento in D3, controllato dallanello TIC1.
Carico del catalizzatore in D3: si apre la serranda HV3, dalla tramoggia D2 si carica il cataliz-
zatore solido fino a che lindicatore di peso (WI1) non segna il valore voluto.

Carico del reattore R1


Trasferimento della dispersione del catalizzatore. Valvole aperte: HV2, HV4 da A a B, pompa
G1 in marcia.
Carico del liquido da idrogenare. Valvole aperte: HV1, HV4 da A a B, pompa G1 in marcia. Il
contatore e controllore di portata (FQIC1) blocca lafflusso del liquido dopo il passaggio del volu-
me voluto. Si avvia lagitatore.
Si attiva il riscaldamento in R1, controllato dallanello TRC2.
Spurgo dellaria da R1. Valvola aperta: HV6. Si attiva leiettore J1 tramite il controllo della
portata del vapore (FIC2).

Idrogenazione
Carico dellidrogeno. Fermato leiettore J1, si mette in marcia il compressore P1 e lidrogeno
comincia a fluire in R1 e la reazione ha inizio. Il compressore carica il serbatoio polmone D1, il
controllo di pressione PIC1, di tipo on-off, agisce sul motore del compressore. Da D1 il gas va al
reattore, la cui pressione controllata dallanello PIC2.
Controllo dalla temperatura. Essendo la reazione esotermica, al suo procedere il sistema di
controllo ferma lafflusso di vapore ed attiva quello dellacqua di raffreddamento.

Arresto del reattore e filtrazione


Terminata la reazione, si ferma il flusso dellidrogeno, si spurga quello residuo (valvola HV7
aperta). Se del caso, possibile completare lo spurgo utilizzando leiettore J1.
In relazione alle condizioni operative richieste possibile raffreddare la massa di reazione in
modo che la temperatura sia compatibile con la filtrazione, pur non facendo aumentare troppo la
viscosit.
Sempre con lagitatore in marcia, si apre la valvola HV5 e si avvia la pompa G2. Lanello di
regolazione PIC3 previene possibili sovrapressioni per lintasamento del filtro F1.
Il funzionamento degli anelli di regolazione riassunto nella seguente tabella (si sono esclu-
se le regolazioni manuali):

ANELLO VARIABILE CONTROLLATA VARIABILE CONTROLLANTE AZIONE DEL REGOLATORE


E/O MISURATA SE SI SUPERA IL SET POINT

FQIC1 Volume alimentazione a R1 Volume alimentazione a R1 Chiude la valvola

FIC2 Portata vapore a J1 Portata vapore a J1 Chiude la valvola

PIC1 Pressione in D1 Portata idrogeno a D1 Ferma il compressore

PIC2 Pressione in R1 Portata idrogeno a R1 Chiude la valvola

PIC3 Pressione filtrazione Portata sospensione a F1 Chiude la valvola

TIC1 Temperatura in D3 Portata vapore di riscaldamento Chiude la valvola

TRC2 Temperatura in R1 Portata vapore di riscaldamento Apre la valvola dellacqua,


e acqua di raffreddamento chiude quella del vapore

228
Quesito n. 2
Conviene impostare il bilancio di calore sulluguaglianza:
Q ceduto = Q acquistato + perdite
Si trascurano le perdite, anche perch non citate dal tema. Dai dati possibile calcolare diret-
tamente il calore ceduto dal prodotto di coda. Da questo, poi, possibile calcolare la portata
dellacqua di raffreddamento e larea di scambio, nellordine che si vuole.
Il tema chiede anche di ipotizzare possibili recuperi termici. Trattandosi del prodotto di coda
di una colonna di distillazione, un tipico recupero termico sarebbe sicuramente lutilizzo per il
preriscaldamento dellalimentazione della stessa colonna di distillazione.

Potenza termica scambiata


Trascurando le perdite, corrisponde al calore ceduto dal prodotto di coda:
Q = LCps(Tf Ti) = 0,45 (kg/s)2,3 (kJ/kgC)(115 35)(C) = 82,8 kW

Portata dellacqua di raffreddamento


La potenza termica scambiata corrisponde al calore ceduto dallacqua:

Q 82,8 kW
Fa = = = 0,310 kg / s
Cpa (Tia Tfa) 4,18 (kJ / kg C) . (85 21) (C)

Area della superficie di scambio


Premesso che sempre pi vantaggioso operare in controcorrente, dallanalisi delle tempe-
rature dingresso e duscita dei fluidi indicate dal tema si deduce che lo scambio pu avvenire
solo in controcorrente, essendo Tf < Taf.
Riportando i dati in forma tabellare si possono calcolare i T di scambio alle estremit dello
scambiatore e calcolare il T medio logaritmico per la controcorrente.

lato caldo lato freddo


TC TF 30 14
Prodotto di coda 115 35 Tml = = = 21,0C
TC 30
Acqua refrigerante 85 21 In In

T, C 30 14 TF 14

Ora possibile calcolare larea di scambio dallequazione di trasporto del calore:

Q 82,8 kW
A = = = 2,63 m2
Utot . T 1,5 (kW / m2 C) . 21C

229
Quesito n. 3
Tra i diversi processi fermentativi che possono essere oggetto di studio si sceglie di svilup-
pare la produzione di un antibiotico, la penicillina G.
La produzione di penicillina G riveste particolare importanza non solo per la sua attivit farma-
cologica ma anche perch ormai diventata unimportante materia prima per la produzione di
diversi tipi di penicilline e cefalosporine semisintetiche che permettono di superare il continuo insor-
gere della resistenza nei ceppi batterici responsabili delle patologie che si vogliono combattere.
Le penicilline naturali sono prodotte da diverse specie fungine, soprattutto del genere
Penicillium e Aspergillus, e differiscono tra loro per la struttura della catena laterale (v. tab.). Per
la penicillina G sono stati selezionati da tempo ceppi di Penicillium Chrysogenum con cui si rie-
scono ad ottenere concentrazioni di alcune decine di grammi per litro.

Penicillina generica Gruppo R Penicillina

Penicillina G

Isopenicillina N

Aspetti biochimici
La penicillina un metabolita secondario, la cui formazione non collegata direttamente alla
crescita del fungo. Comincia a formarsi alla fine della fase di crescita illimitata (log fase) e prose-
gue in quella stazionaria (idiofase). Ne derivano esigenze colturali diverse per la fase iniziale, in
cui si deve favorire la crescita del fungo, e per quella finale in cui si vuole massimizzare la produ-
zione dello specifico antibiotico.
Tipicamente, la base per il terreno di coltura costituita dalle acque di macerazione del mais
(corn steep liquor), ricco di amminoacidi, sali minerali, vitamine e con un buon contenuto di zuc-
cheri. Altri componenti importanti sono olio o farina di soia e di pesce, lattosio, glucosio, amidi e
acido fenilacetico, il precursore della catena laterale.
La formazione della penicillina inibita dalla presenza di glucosio (repressione da catabolita)
e in pratica non ha luogo finch c un eccesso di fonti di carbonio. Quindi il dosaggio iniziale del
glucosio fatto in modo da assicurare la crescita voluta. Nella fase di produzione dellantibiotico
comunque necessario assicurare una fonte di carbonio. Un tempo si utilizzava il lattosio (disac-
caride galattosio-glucosio), aggiunto fin dallinizio, dato che anche per questa sostanza vale la
repressione catabolica, per cui nel brodo si idrolizza molto lentamente. Attualmente, grazie
anche al miglioramento dei sistemi di controllo, si preferiscono piccole aggiunte (fed-batch), per-
fettamente dosate, del pi economico glucosio.
La biosintesi della penicillina comincia dallacido -L-amminoadipico, che ritroviamo nella
catena laterale dellisopenicillina N. Questo composto anche un intermedio della biosintesi
della lisina, la cui formazione regolata da un controllo enzimatico in retroazione (feedback),
cio la presenza del prodotto, la lisina, inibisce la via biosintetica. Quindi si deve evitare la pre-
senza di lisina nel brodo di coltura.
Lacido -L-amminoadipico forma prima un dipeptide con la L-cisteina e, poi, con la L-valina
un tripeptide che ciclizza a dare la isopenicillina N. Segue la transacilazione per la presenza nel
brodo di coltura dellacido fenilacetico e si arriva alla penicillina G.
La produzione della penicillina non continua a tempo indeterminato. Anche la sua biosintesi
regolata in retroazione: man mano che si accumula nel brodo aumenta linibizione alla sua sin-
tesi. In pratica, la fase produttiva dura alcuni giorni.

230
Aspetti impiantistici
Lo schema a blocchi del processo pro-
duttivo riportato nella figura accanto. Terreno
Dopo la fermentazione si separa la
biomassa e inizia il recupero della penicil-
lina che deve tener conto delle caratteristi-
che della sostanza ( un acido carbossilico Inoculo
di media forza). Per poterla estrarre dalla Fermentazione
Aria
fase acquosa, si acidifica per spostare
lequilibrio verso la forma indissociata,
ma si deve raffreddare a bassa temperatu-
Biomassa
ra perch la penicillina non stabile in Filtrazione
ambiente acido. Per lo stesso motivo si
usano degli estrattori centrifughi ad alta
efficienza per minimizzare la permanenza
a basso pH. Dopo lestrazione si tratta con Raffreddamento
una base acquosa e, aggiustando il pH, si
fa precipitare. Segue la separazione ed il Acido
lavaggio del precipitato cristallino che poi
viene essiccato. Solvente Brodo esausto
Estrazione
Smaltimento sottoprodotti
Estratto
Il tema parla di sottoprodotti, non di
reflui, quindi, in questo caso, ci si pu Base acquosa
Precipitazione
limitare al trattamento della biomassa,
escludendo il trattamento delle acque
reflue.
La biomassa, in questo caso il micelio Lavaggio Acque madri
Centrifugazione
fungino, il principale sottoprodotto di
molti processi di fermentazione, anzi, in
alcuni processi il prodotto principale.
Per sua stessa natura, ha un buon conte-
nuto di sostanze bioattive, quali proteine, Essiccamento
vitamine, ormoni, rendendolo, p.e., un
integratore di valore per lalimentazione
animale.
In questo caso, la presenza di penicilli- Penicillina G
na nel micelio, ne rende impossibile luti- sale sodico
lizzo e difficile lo smaltimento.
Schema a blocchi per la produzione di penicillina
I trattamenti biologici tradizionali non
sono applicabili per lattivit antibiotica
propria della penicillina.
Possibili trattamenti possono essere di tipo chimico-fisico o biologico. I trattamenti chimico-
fisici prevedono lacidificazione seguita dallessiccamento ad alta temperatura per provocare la
decomposizione della penicillina; comportano per un certo dispendio energetico. I trattamenti
biologici, pi recenti, utilizzano ceppi di microrganismi resistenti allantibiotico, p.e. di lattoba-
cilli. La resistenza insorge quando il microrganismo acquista la capacit di sintetizzare la -latta-
masi, un enzima in grado di idrolizzare lanello -lattamico nella molecola della penicillina. Si
opera in anaerobiosi, addizionando il micelio di carboidrati come fonte di carbonio. Avviene
una fermentazione lattica e si ottiene un prodotto privo di penicillina, non maleodorante ed ido-
neo sia ad essere utilizzato come integratore o fertilizzante, sia ad essere smaltito con i metodi
tradizionali.

231
Quesito n. 4
Lidrogeno (H2) non presente sulla Terra, se non in quantit del tutto trascurabili, quindi
non pu essere una fonte energetica. Riveste attualmente particolare interesse, invece, come
vettore energetico, in quanto per combustione produce soltanto acqua. Al contrario i combustibi-
li fossili producono sostanze inquinanti, come ossidi dazoto e biossido di zolfo, ed anidride car-
bonica (biossido di carbonio), tipico gas serra.
Lidrogeno pu essere utilizzato in motori a combustione, sottostando alle tipiche limitazioni
della trasformazione del calore in lavoro (2 principio della termodinamica), oppure nelle fuel
cell, le celle a combustibile, in cui lenergia chimica viene trasformata in energia elettrica. In
condizioni di reversibilit, il lavoro utile della cella dato dalla variazione di energia libera di
Gibbs della reazione: Lu = -G.
La produzione dellidrogeno attualmente utilizza prevalentemente fonti fossili, come gas natu-
rale, frazioni petrolifere, carbone. Con tecniche simili si possono utilizzare materie prime ottenute
da fonti rinnovabili, come quelle vegetali e derivate. Pu ottenersi anche per elettrolisi dellacqua,
spostando cos il problema sulla produzione di energia elettrica, ottenuta, a sua volta, sia da fonti
fossili (centrali termoelettriche), sia da fonti rinnovabili (centrali idroelettriche, eoliche, solari, foto-
voltaiche, ecc.). In questo caso la conversione energia elettrica idrogeno fuel cell energia
elettrica, che non certo a rendimento unitario, presenterebbe solo il vantaggio della mobilit.

Produzione da carbone
il vecchio metodo utilizzato per produrre il gas di citt (il gas dacqua), bruciando carbone
coke in difetto daria ed in presenza di vapor dacqua. Si ottiene una miscela contenente H2 e altri
gas, secondo le reazioni:
C(s) + H2O(g) CO(g) + H2(g) ; endotermica, favorita ad alta T
Per attuare la reazione parte del carbone viene bruciato, con prevalente formazione di CO
C(s) + 1/2O2(g) CO(g) ; esotermica, sempre favorita
Cos per si introduce un certo quantitativo dazoto, che abbassa il potere calorifico del gas.
Inoltre, anche possibile convertire il CO in CO2, ottenendo altro idrogeno:
CO(g) + H2O(g) CO2(g) + H2(g) ; esotermica, favorita a bassa T
Ci utile quanto si voglia eliminare un componente fortemente tossico come il CO o anche
quando si voglia aumentare il tenore di idrogeno, dato che la CO2 pu essere facilmente allonta-
nata per assorbimento con soluzioni alcaline. Utilizzando ossigeno invece di aria o con altri
accorgimenti possibile evitare la presenza dellazoto.
Il processo, con opportuni accorgimenti, pu essere adattato ad altre materie prime, come
biomasse o combustibili derivati da rifiuti.

Produzione da gas naturale


Il gas naturale costituito principalmente da metano. Partendo da metano, le possibili rea-
zioni sono:
steam reforming CH4(g) + H2O(g) CO(g) + 3H2(g) ; endotermica, favorita ad alta T
ossidazione parziale CH4(g) + 1/2O2(g) CO(g) + 2H2(g) ; esotermica, sempre favorita
dry reforming CH4(g) + CO2(g) 2CO(g) + 2H2(g) ; endotermica, favorita ad alta T
Come gi visto, dal monossido di carbonio poi si pu ottenere altro idrogeno per reazione
del gas dacqua.
Steam o dry reforming e ossidazione parziale si possono combinare in modo da avere un
processo autotermico, che non richieda ulteriore combustibile per il riscaldamento del reattore.
Se si usa aria si ottengono miscele con azoto, se si usa ossigeno, no.

232
Il dry reforming di recente sviluppo, rispetto allo steam reforming, utilizza meno acqua,
richiede meno calore dallesterno e la CO2 prodotta in eccesso ad alta purezza, quindi adatta
per essere utilizzata in modo da diminuire lemissione di gas serra, in accordo con il protocollo
di Kyoto.

Produzione da etanolo
Le tecnologie di reforming e ossidazione parziale si possono applicare anche frazioni petroli-
fere leggere e anche a composti come letanolo. Questultimo caso riveste particolare interesse,
potendosi ottenere letanolo da fonti rinnovabili (fermentazione alcolica), per cui la CO2 prodotta
non contribuisce allincremento dei gas serra in quanto il carbonio in essa contenuto deriva da
fotosintesi. In particolare lo steam reforming delletanolo decorre secondo la reazione:
CH3CH2OH(g) + 3H2O(g) 2CO2(g) + 6H2(g) ; endotermica, favorita ad alta T
Poich per spostare del tutto a destra la reazione si usa un eccesso dacqua, si pu notare
come in questo caso non sia necessario ricorrere a dispendiose distillazioni delle soluzioni diluite
ottenute usualmente per fermentazione.
In ogni caso bisogna notare che sono gi operative fuel cell che possono funzionare con
soluzioni acquose di metanolo o etanolo, che eviterebbero il ricorso allidrogeno e le rilevanti
problematiche legate alla sua manipolazione.

Bioidrogeno
Nella fotosintesi, lenergia associata alla radiazione solare viene utilizzata per organicare la
CO2 a glucosio, cio per ridurla mentre lossigeno dellacqua ossidato ad O2. Alcune microal-
ghe, in assenza di ossigeno, invece della CO2 riducono lidrogeno dellacqua ad H2. Sono allo
studio particolari specie mutate che producono idrogeno anche in presenza di O2, dato che basta
il poco ossigeno prodotto dalla fotosintesi a ristabilire il normale ciclo di organicazione del car-
bonio.

Stoccaggio, trasporto e distribuzione


Sono gli aspetti pi critici del problema. Lidrogeno condensa a bassissima temperatura (p.
eb. a 1 atm 20,3 K, -253 C), la sostanza a pi bassa massa molare (una bombola da 100 litri a
temperatura ambiente e 100 atmosfere di pressione contiene meno di 1 kg di idrogeno), un gas
molto infiammabile, si pensi al disastro dellHindenburg al tempo dei dirigibili o al pi recente,
dello shuttle Challenger.

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