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Maurizio Matteo Dcina

GOODBYE TELECOM
LA BANDA DELLA BANDA LARGA
IL PIANO DI TELEFNICA
E IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Prefazione di Giuseppe Oddo
Postfazione di Franco Lombardi

PREFAZIONE

Limpegno di Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo a cedere alla spagnola Telefnica le rispettive quote in Telco determina
il passaggio del controllo di Telecom Italia a una societ estera.
Non occorreva essere degli indovini, per capire che il destino del
maggior gruppo di telecomunicazioni italiano era segnato. Per
stare al passo con levoluzione delle tecnologie, le telecomunicazioni necessitano di investimenti a rendimento molto differito nel
tempo e le banche, oberate da una massa di crediti inesigibili, sono i soggetti meno adatti a sostenere progetti strategici di lungo
termine che in tempo di recessione possono tradursi in pesanti
minusvalenze. Daltro canto, si era gi visto nellautunno 1997, al
momento della privatizzazione di Telecom, con quale e quanto
entusiasmo, con quale e quanta convinzione i principali istituti di
credito avessero accettato di far parte del nocciolino duro
per usare la sprezzante definizione che ne aveva dato lallora presidente esecutivo della societ, Gian Mario Rossignolo, uomo designato da Umberto Agnelli per conto dellIfil. Tutto ci che
successo dopo quella data, che porta il marchio indelebile del primo governo Prodi e di coloro che allepoca erano i responsabili
del Tesoro, la conseguenza di quel madornale errore di partenza. Il governo cedette Telecom in Borsa a una platea diffusa di
piccoli azionisti e di investitori istituzionali senza capire o facendo finta di non sapere che, in un Paese le cui principali aziende
sono sotto il controllo di grandi famiglie, una struttura azionaria

del genere avrebbe potuto durare solo con la presenza di un forte e coeso nucleo di soci stabili e con lo Stato determinato a far
valere la golden share. Lidea, sciagurata, che limpalcatura del
nocciolino azionario di Telecom potesse reggersi unicamente
sulla presenza dellIfil, lallora societ finanziaria della famiglia
Agnelli, fu una trovata disastrosa. Non solo perch la famiglia
Agnelli non ebbe alcuna percezione del ruolo trainante che rivestivano i servizi di telecomunicazione (peraltro proprio in un periodo in cui la crisi di Fiat era gi in fase di gestazione), ma anche
perch in quegli anni in cima ai pensieri del gruppo Ifil cerano le
banche, e in particolare lIstituto San Paolo di Torino, dove le societ della famiglia Agnelli avevano acquisito una quota. Nonostante gli sbarramenti posti dal governo, Telecom fu resa contendibile sul nascere anche grazie al fatto che aveva un modesto carico debitorio, circostanza che la rendeva una preda alla merc
delle grandi banche daffari internazionali. vero che il Tesoro
ag sotto la pressione del patto Andreatta-Van Miert, che obbligava lo Stato italiano ad abbattere i debiti dellIri, cui Telecom faceva capo, e che fu costretto ad accelerare la privatizzazione per
non mettere a rischio lingresso dellItalia nelleuro, ma avrebbe
potuto agire soppesando meglio quello che avrebbe dovuto essere linteresse nazionale.
Altro errore fu il via libera concesso nel 1999 dal governo
DAlema (ministro del Tesoro lo stesso Ciampi) alla scalata ostile dei capitani coraggiosi calati da Brescia e da Mantova, che
con la lussemburghese Bell acquisirono a debito dapprima il
controllo di Olivetti e subito dopo, tramite questa, il controllo di
Telecom; operazione che non sarebbe potuta avvenire senza il
sostegno tecnico-finanziario di Chase Manhattan, Lehman
Brothers e Mediobanca e senza la vendita di Omnitel (lodierna
Vodafone Italia).
Le vicende aziendali di Telecom successive al 1997 lOpv del
Tesoro, due anni dopo lOpa ostile di Colaninno, nel 2001 lacquisizione del gruppo da parte di Pirelli e Benetton e nel 2007 la
vendita a Telco furono in sostanza la conseguenza di quella ca-

tena di errori. cominciato in quel momento il processo di spoliazione e di indebitamento della compagnia, che come spiega
Maurizio Matteo Dcina in questo bel saggio che si legge tutto
dun fiato ha determinato un drenaggio di risorse per 24 miliardi che si sarebbero potuti spendere per dotare lItalia di una
rete in fibra ottica di nuova generazione.
Dcina incrocia i fatti con i numeri per far emergere il lato
strumentale di alcuni degli affari che caratterizzarono le gestioni
del decennio 1999-2007. Per esempio, ancora oggi sfugge il significato dellOpa di Telecom sulla quota di minoranza di Tim
per la modica cifra di 15 miliardi di euro. Che se ne faceva la
Telecom di Marco Tronchetti Provera del 100% di Tim, quando
gi ne possedeva la maggioranza? A cosa serv loperazione, oltre che ad accrescere il debito consolidato di Telecom e a pagare profumatamente le banche daffari che curarono lofferta in
Borsa? E che vantaggio ebbe Telecom dalla cessione degli immobili ai fondi di Pirelli Re? Le risposte di Tronchetti a questi
interrogativi non sono mai state convincenti. Avrebbe potuto
chiedergliene conto il consiglio damministrazione di Telco, se
non fosse che Telco partecipata (ancora per poco) da Mediobanca e Generali, che Pirelli fa parte del patto di sindacato di
Mediobanca, che Mediobanca e Generali sono a loro volta soci
di Pirelli e che Tronchetti vicepresidente di Mediobanca (attualmente sospeso perch rinviato a giudizio). Classico caso di
capitalismo italico.
Non si possono nutrire rimpianti per lera dei boiardi e della lottizzazione delle partecipazioni statali, che stata fonte di inquinamento della vita pubblica e di distorsione delle regole della concorrenza, anche se a manager di Stato del calibro di Enrico Mattei e di Gugliemo Reiss Romoli che dobbiamo la creazione di grandi gruppi come Eni e Stet (la holding dellIri poi fusa con Telecom). Ma di questo capitalismo senza capitali che privatizza i profitti e socializza le perdite, che predica il liberismo e
patteggia con la politica per ottenere protezioni e rendite, non se
ne sente affatto il bisogno.

Secondo Dcina, sarebbe auspicabile per una nuova fase di


sviluppo delle telecomunicazioni un ritorno dello Stato nella governance di Telecom. Con 8 miliardi investiti in una moderna rete
ottica si potrebbero creare, scrive lautore, 40mila posti di lavoro
e ritorni economici, in termini di gettito fiscale, ben superiori allesborso iniziale. Non so se questa sia la strada per rilanciare il
settore. Constato per che in Germania e in Francia gli ex monopoli, ancorch quotati in Borsa, sono rimasti a maggioranza o
a forte controllo pubblico e che in Italia da tre lustri la Telecom
privatizzata continua a cambiare padrone e management, a rifare
piani industriali e a vivere in una condizione di destabilizzazione
permanente che rischia di disperdere un patrimonio industriale
strategico per il futuro del Paese e delleconomia.
GIUSEPPE ODDO

GOODBYE TELECOM

ENTUSIASMO E DISINCANTO
UNA NOTA PERSONALE

Dal boom al crollo


Allinizio del 2000, dopo alcuni anni di apprendistato in una
grande societ di consulenza internazionale, pieno di entusiasmo
mi imbarcai per la Spagna. Non avevo ancora trentanni. Andavo a lavorare in una delle tante aziende legate al gruppo Telecom
che allepoca contava una trentina di societ in altrettanti Paesi del
mondo. Latmosfera che si respirava in quel periodo era veramente straordinaria. Cerano entusiasmo, aspettativa di crescita, eccitazione. La fiducia nelle capacit manageriali e nel know-how tecnologico andavano ben oltre lillusione speculativa della new economy. Con i miei colleghi guardavamo la mappa delle partecipazioni internazionali come quando si gioca a RisiKo! e si piazzano
i carri armati nei punti strategici. Pi la guardavamo e pi ci convincevamo di far parte di una squadra vincente. Cera chi ipotizzava una futura espansione sui territori asiatici e chi, pi prudentemente, puntava sulla difesa dei gi consolidati mercati europei.
Per i giovani che come me avevano scelto il lavoro allestero, nelle varie societ del gruppo, il leitmotiv perfetto era la bellissima
Con te partir cantata da Andrea Bocelli, colonna sonora e inno
spot dellallora nascente e gi stellare Tim.
In quegli anni la Telecom era decisamente unazienda vincente.
Tutto il mondo invidiava le sue competenze e i successi maturati
in anni di ricerche: dalle origini della telefonia fino alle ultime in-

novazioni della Tim, prima azienda del mondo a lanciare sul mercato la carta prepagata. La sensazione di giocare in una delle squadre pi forti era davvero inebriante, soprattutto per un giovane
consulente che, a furia di corsi manageriali, aveva maturato una fede assoluta per i risultati aziendali e per la vittoria di squadra.
Quellanno ricordo che in prossimit delle feste natalizie Telecom aveva distribuito a tutti i dipendenti oltrefrontiera delle cravatte con il logo e i colori dellazienda. Per noi italiani allestero
era motivo di orgoglio. La ostentavamo ad ogni riunione, fieri e
sicuri del marchio che rappresentava. Era il segno di unappartenenza aziendale che, al di l del vestito sempre impeccabile e della cravatta firmata, indicava un benessere economico generale.
Gli esiti hanno per deluso le aspettative. successo infatti
qualcosa che noi giovani, dediti ore e ore a contemplare e a riflettere su quel mappamondo, non avremmo mai creduto: vendita quasi totale delle partecipazioni, licenziamenti di massa,
evasioni fiscali, attivit di spionaggio illecite, suicidi, riciclaggio
di denaro, svendita delle centrali telefoniche.
Se dieci anni fa qualcuno ci avesse raccontato che quel mappamondo pieno di bandierine sarebbe stato spremuto come un
pompelmo e che lazienda sarebbe caduta sotto il dominio di Telefnica, noi ridendo avremmo esclamato: Ma che dite? Siamo
noi che stiamo andando alla conquista della Spagna!.

Qui c aria da funerale, mi disse un caro collega salutando il


mio ritorno in Italia, oramai i giochi sono fatti lazienda se la
sono bevuta. E lo confermavano le parole dellavvocato Guido Rossi, che il 6 aprile 2007, dimettendosi dalla carica di presidente, sentenzi: Un Paese che soffre di una cos grave mancanza di regole naturalmente il terreno ideale per chi vuole approfittarne, per chi pensa a portar via pi soldi che pu. Invece
del fare, c larraffare. Questa sembra la Chicago degli anni
Venti, sembra il capitalismo selvaggio dei baroni ladri nellAmerica del primo Novecento1.
Dopo aver vanamente tentato di porre rimedio a una situazione irrecuperabile, Rossi si era dovuto ricredere. Far pulizia
nel conflitto di interessi tra Tronchetti e Telecom era impossibile. Essersi fatto carico di quella responsabilit nellinteresse
dellultima grande impresa tecnologica italiana, oltre che del
mercato e del Paese, era stata unillusione.
Mi sforzai di ritrovare la fiducia, ma il vero problema era che
i miei amati fogli Excel erano oramai uno strumento in disuso.
In una rete capillare di imbrogli e favoreggiamenti che valore
professionale potevano avere delle analisi basate su parametri
matematici?
Le attivit di consulenza si erano oramai ridotte per buona
parte a pubbliche relazioni con finalit lobbistiche e il destino
dellazienda appariva segnato da un orientamento che bene ha
spiegato Eugenio Scalfari:

Numeri imbarazzanti
Dopo sette anni di lavoro allestero, ritornai in Italia e fui subito colto da un senso di sconforto. Troppe chiacchiere, troppa
aggressivit, troppi scandali. Non riuscivo neanche pi a vedere
la televisione. Tornai a lavorare in una societ di consulenza, il
cui maggiore cliente era Telecom. Ma lambiente non sembrava
pi lo stesso, aleggiavano la sfiducia e lo sconforto. Passeggiando per i corridoi avevo la sensazione che nel giro di poco tempo
quella apparente quiete sarebbe stata investita da una bufera.

[] I guai di Telecom cominciano da quando stata privatizzata e ha avuto la sventura di diventare la preda di un capitalismo straccione, pi attento a spolpare il grasso che a investire
in prodotti e tecnologie. Non tutto il capitalismo italiano naviga a questo infimo livello, ma buona parte purtroppo s. La regola prevalente quella di arricchire i predatori a danno dellazionariato diffuso e non organizzato, una maggioranza polverizzata e quindi priva di qualunque potere. Gli strumenti per
tenerla al guinzaglio sono vari ma con identiche finalit: scato-

le cinesi, patti di sindacato, contratti di borsa speciali, rapporti privilegiati con gruppi bancari. Il fine sempre quello: spolpare losso, lesinare sugli investimenti, privilegiare i dividendi,
i compensi ai dirigenti, le stock-option agli amministratori e
utilizzare la societ-preda come fonte di potere politico e mediatico. Questo uno dei connotati del capitalismo italiano2.

Da parte mia provai allora con alcuni colleghi a dare un volto


numerico a queste frasi. Cominciato come un gioco, quel calcolo successivamente si trasform in una vera e propria simulazione, con risultati a dir poco imbarazzanti. La sintesi di questo studio riportata nella Figura 2 (p. 25) dove vengono considerati
sia gli sprechi dovuti alle incapacit manageriali, sia le perdite legate al perseguimento degli obiettivi individuali. In seguito a gestioni a dir poco azzardate, lazienda ha subto uno spreco di risorse pari a 23,6 miliardi di euro; una cifra astronomica che ammonta a circa l1,8% del Pil italiano e allequivalente di 500mila
retribuzioni annuali di un impiegato medio. Con tali risorse si sarebbe potuto dare lavoro a 50mila persone per 10 anni, evitando
esuberi, tagli e scivoli; oppure si sarebbe potuto cablare in fibra
non uno ma due Paesi, creando altrettanti posti di lavoro.
Questi sprechi si riferiscono soltanto alla gestione operativa.
Al vertice, esiste unaltra gestione, ben pi importante per i fortunati che ne detengono il controllo: una gestione finanziaria che
ha caricato di debiti lazienda fin dallinizio della privatizzazione. Questa doppia morsa ha di fatto strozzato gli investimenti
annichilendo lazienda. Se sommiamo gli sprechi della gestione
operativa allinutile indebitamento delle varie fusioni, si arriva a
cifre stratosferiche che raggiungono diversi punti percentuali sul
Pil, con un enorme danno per lazienda e soprattutto per il Paese. Dal 1999 ad oggi Telecom ha perso 70mila posti di lavoro,
una perdita che, al di l della concorrenza e della disoccupazione tecnologica, pu essere interpretata con il fenomeno dei vasi
comunicanti. In poche parole: ci che si perde da una parte si
guadagna dallaltra. Prendendo due anni significativi, il 1999 e il

2007, rispettivamente lanno dellOpa e la fine dellera Tronchetti, ci accorgiamo che i vasi comunicanti hanno funzionato
perfettamente senza problemi di capillarit. Il monte salari si
dimezzato. Gli interessi bancari sono quintuplicati ed aumentato spaventosamente il peso degli sprechi attraverso operazioni
inefficienti, poco trasparenti o semplicemente troppo generose,
rimanendo pressoch invariato il totale dei tre flussi analizzati.
In sintesi: i tagli occupazionali sarebbero stati funzionali agli
sprechi e al pagamento degli interessi bancari.
Non si tratta di un caso isolato. Sarebbe interessante calcolare
le perdite di altre grandi aziende (Alitalia, Parmalat, Trenitalia,
Cirio, Enel) e valutare lammontare del danno globale procurato dalle varie lobby industriali e politiche al reddito nazionale e
in particolare alloccupazione. Il sospetto che la somma sia
enorme. Se solo in Telecom lo spreco di risorse stato equivalente all1,8% del Pil, a che risultati si arriverebbe prendendo in
considerazione il resto delle grandi aziende? 20%? 30%? Di
pi? Di certo la cifra sarebbe sorprendente.
Ma anche quando la barca affonda c sempre qualcuno che ci
guadagna. Chi? Ci sono due modi per conquistare e sottomettere una nazione, scrive John Adams (1735-1826, secondo Presidente degli Stati Uniti), uno con la spada, laltro controllando il suo debito. Affermazione che rende il caso Telecom
sintomatico della deriva del sistema Paese: 130% il rapporto del
debito pubblico sul Pil e 130% il rapporto del debito aziendale3
sul fatturato di Telecom. Analogie?
La logica dello spolpamento infatti sempre la stessa: i
gruppi di interesse, dopo aver comprato pacchetti azionari ricorrendo interamente al debito, posizionano nei posti chiave
gruppi di manager ben organizzati e molto affiatati, dediti principalmente al conseguimento degli obiettivi degli azionisti di
controllo e allinevitabile drenaggio di risorse dalla malcapitata
azienda verso le casse delle societ amiche. Attraverso abili giochi finanziari di continue fusioni e acquisizioni, talvolta del tutto ingiustificate, i gruppi di controllo si cimentano nella magia di

addebitare sulle aziende stesse i debiti con i quali sono state acquistate. E qualsiasi operazione che abbia come oggetto i tagli
occupazionali o la vendita del patrimonio immobiliare trover la
sua giustificazione nel contenimento dellonere finanziario con
cui sono stati acquistati i pacchetti di controllo. Questi gruppi
assomigliano molto a una banda di suonatori che passando
impunemente da azienda in azienda dopo la marcia trionfale, lasciando agli altri quella da requiem.
Il problema che in questa particolare fase del nostro sistema
politico ed economico, alcuni eventi un tempo clamorosi sono
oramai routine. Non fa pi scandalo neanche sapere che UniCredit, dopo aver annunciato quattromila esuberi, abbia liquidato il
gi milionario direttore generale Alessandro Profumo con 40 milioni di euro (cifra pari allo stipendio di duemila lavoratori). O sapere che lo stipendio annuale di Marchionne ammonta a 48 milioni di euro quando gli stabilimenti della Fiat si ritrovano in cassa integrazione. Da una parte si mandano a casa dipendenti che
percepiscono mille euro al mese facilitando una miriade di tipologie contrattuali sotto il falso mito dellefficienza e dallaltra si elargiscono bonus di svariati milioni di euro in favore di manager e
banchieri, con danni irreparabili sul sistema Paese. Questo il capitalismo? No, peggiocrazia, come direbbe il professor Luigi
Zingales, ovvero Il governo dei peggiori e non dei mediocri. Ma a
lungo andare gli effetti di questi processi degenerativi abbastanza evidente. Le statistiche dellEurostat evidenziano che negli ultimi 15 anni c stato un netto crollo del Pil pro capite italiano non
solo rispetto alla media europea ma anche nei confronti dei Paesi
pi sviluppati quali Germania, Francia, Inghilterra e Spagna. E i
risultati del rapporto del Censis (LItalia nel 2030) sono ancor pi
inquietanti: Il Sud si spopoler a favore del Centro-Nord, i giovani saranno un milione in meno mentre gli anziani diventeranno
un quarto abbondante della popolazione italiana. Se i posti di lavoro non aumenteranno al ritmo di 480mila lanno il nostro tenore di vita si ridurr notevolmente. E di fronte a queste prospettive cos scoraggianti cosa fanno le istituzioni?

Il recente piano di scalata da parte di Telefnica per arrivare ad


essere il socio di maggioranza del pacchetto di controllo Telco4,
sancirebbe linesorabile sconfitta del capitalismo italiano. Lunico
piano possibile delloperatore spagnolo quello di mirare a una
vendita delle partecipate estere in Brasile e Argentina con un successivo smembramento della componente italiana, che diventerebbe preda di qualsiasi gruppo internazionale, una volta crollato il valore delle azioni in borsa. Oggi, ci troviamo nella stessa
condizione di 15 anni fa, epoca in cui alcuni disinibiti gruppi industriali e finanziari iniziarono a danneggiare lazienda. Invito a
sentire il discorso che fece Bernab in videoconferenza nazionale
alla fine degli anni 90 a tutti i dipendenti del gruppo, su quello
che sarebbe successo, se fosse passata lOpa del secolo5, commenta Franco Lombardi, presidente dei piccoli azionisti di Telecom Italia. Lo stesso discorso andrebbe risentito mettendo la
parola Telefnica al posto della parola Colaninno. Gli eventi si ripetono, la storia ferma.

Figura 1. Telecom Italia nel mondo (anno 2000). In colore pi scuro, i Paesi in
cui era presente la compagnia italiana.

Figura 2. Simulazione sugli sprechi della gestione operativa dopo 10 anni di


privatizzazione (fonte: Asati).

Figura 3. Inefficienza della gestione finanziaria (fonte: bilanci consolidati).

Figura 4. Dipendenti (fonte: bilanci consolidati).

Lettera dellAssociazione
degli azionisti Telecom Italia al governo

Al Governo (Presidente del Consiglio, Ministro Infrastrutture, Ministro


Sviluppo Economico, Ministro Lavoro),
Al Sottosegretario Presidenza del Consiglio,
AllAgcom,
AllAntitrust,
Alla CDP (Presidente e Amministratore Delegato),
Ad Assogestioni,
Alla commissione Industria del Senato,
Alla commissione Trasporti della Camera,
Al consiglio di amministrazione di Telecom Italia,

Figura 5. Azionisti Telecom (ottobre 2013).

Apprendiamo con stupore le dichiarazioni del Presidente di Telecom


Italia Franco Bernab: Ho appreso delloperazione Telco dai comunicati
stampa e dai mass media in quanto ci che ne emerso che loperazione di Telefnica in Telco unoperazione ostile a Telecom Italia che va
contro gli interessi del restante 78% dellazionariato di Telecom, dei
600.000 piccoli azionisti e degli 82.000 dipendenti6.
Le dichiarazioni della classe politica italiana, tranne eccezioni, chiariscono che la stessa non ha ancora capito la portata negativa delloperazione e
quando il Presidente del Consiglio Enrico Letta, intervistato a New York, ha
dichiarato bene allingresso dei capitali europei in Italia non si comprende a quali capitali si riferisca dato che nemmeno un euro entrer in Telecom Italia. Infatti Telefnica non porta alcun capitale, per cui non si comprende su quali presupposti si possa presumere un beneficio. Ancora il Presidente del Consiglio ha dichiarato che il Governo sta vigilando ma di fron-

te allimminente prospettiva del declassamento di Telecom Italia da parte


delle agenzie di rating, il Governo continua ad attuare una politica attendista e di non decisione, senza guardare ai problemi reali del paese. Forse
lon. Letta intende assistere alla tragica fine di una privatizzazione, che a
detta dello stesso, non stata una delle migliori, oggi Letta fa il canto del
cigno affermando di difendere la rete di TI. Ma dove era il Presidente del
Consiglio quando nella conferenza stampa di agosto scorso, lo stesso Bassanini, che era con lui, sorridendo diceva che nel piano triennale della cassa non cera la parola TI! Una tale dichiarazione dovrebbe spingere un Capo del Governo allintervento e non allo stare a guardare dalla finestra o dire cose prive di alcun senso industriale nellinteresse dellintero Paese.
da miopi ignorare che per la risoluzione dei problemi antitrust, in cui
incorre Telefnica per le propriet di Telecom Italia in Brasile ed Argentina, la scelta cadr ovviamente su dismissioni e spezzatino della societ,
mettendo a rischio fino a 100.000 posti di lavori in Italia. questo quello che auspicano il Capo del Governo e la maggioranza che lo sostiene?
Oggi Anatel ha dichiarato che se Telefnica prende tutte le quote di Telco dovr essere venduto in blocco Tim Brasil e ancora bene il comunicato dei Consiglieri indipendenti di operazione in netto conflitto di interessi come Asati dal 2008 sta denunciando di fronte a Istituzioni sorde
lo stesso tema. Il mercato come era previsto ha gi bocciato loperazione TI ora a -4.5% rispetto al djstock tlc.
Asati, nellinteresse del Paese, e quindi non solo dei 600.000 piccoli
azionisti risparmiatori e di Telecom, e soprattutto degli 82.000 dipendenti oggi occupati, richiama lattenzione sui seguenti punti e invita:
il Governo ad approvare celermente i regolamenti attuativi per la
golden power (ex golden share affinch il vuoto normativo non diventi un alibi);
il Parlamento a nominare al pi presto i componenti della Commissione di Vigilanza sulla CDP con lobiettivo di inserire nel piano triennale della Cassa (dove oggi la parola Telecom nemmeno risulta) un intervento su Telecom Italia, in quanto azienda strategica. Senza banda larga
lo sviluppo del Paese compromesso;
i vertici esecutivi di Telcom Italia, il Cda, il Consiglio Sindacale e soprattutto i consiglieri indipendenti linserimento in odg del prossimo Cda
di Telecom del 3 ottobre p.v., la convocazione di una assemblea straordinaria sui seguenti punti:

1. la variazione dello statuto attuale che lascia 4/5 dei consiglieri allazionista di riferimento con una elezione proporzionale avuti in assemblea;
2. aumento di capitale di almeno 3 miliardi, per scongiurare il declassamento sul debito da parte delle agenzie di rating;
tutti i principali azionisti, fondi italiani ed esteri, a partecipare alla
prossima assemblea per superare il blocco previsto di Telco (ovvero Telefnica) sul cambio statuto (Telecom deve diventare una vera Public
Company) e sullaumento di capitale.
la Consob e la Sec affinch si vigili su due aspetti fondamentali:
1. gli accordi tra i soci Telco aggirano lobbligo di OPA e falsano quindi la contendibilit dellazienda scoraggiando lingresso di altri soci qualora questi si presentino direttamente al mercato;
2. lattuazione dellarticolo 2497 del codice societario che prevede in
riferimento allesercizio di direzione e controllo che il debito di Telecom
Italia sia consolidato in Telefnica;
lAntitrust nella difesa degli investimenti dei piccoli risparmiatori
che sono stati assolutamente calpestati.
Qualora queste azioni non venissero adottate Asati si attiver presso
tutte le Autorit Nazionali e Internazionali, non ultima la Magistratura
e il Tribunale Europeo di Strasburgo per i diritti delluomo, per denunciare tutti quei Consiglieri che nel corso del prossimo Cda del 3 ottobre
possano ledere con le loro decisioni, supportando Telco, gli interessi di
tutte le minorities, dei livelli occupazionali, compresi tutti i dipendenti
azionisti in servizio e in pensione.
Per Asati,
Il Presidente,
Ing. Franco Lombardi
Roma 25 settembre 2013

1997-2007
COME ROVINARE UNAZIENDA SANA

Primi nel mondo


Poco prima che partissi per la Spagna nel 2000, il gruppo Telecom contava in Italia 120.345 dipendenti. Aveva un debito di
appena 8,1 miliardi di euro, una trentina di partecipazioni internazionali e un patrimonio immobiliare di 10 miliardi di euro7. Al
mio ritorno, a fine 2006, lazienda si ritrovava con un debito di
37,3 miliardi, 39.453 dipendenti in meno, una manciata di partecipazioni estere e un patrimonio immobiliare azzerato. Come
si spiega?
Tutto cominciato con la privatizzazione dellazienda. []
Noi italiani siamo come sempre campioni di primati: la Seconda
Repubblica stata un colpo di Stato non registrato dalla storia e
la privatizzazione di Telecom stata un colpo di Stato economico per opera di imprenditori improvvisati. Sono le parole dellingegner Vito Gamberale, ex ad e fondatore di Tim, da sempre
uno dei maggiori esperti di telecomunicazioni del Paese.
Forse non tutti ricordano che Telecom Italia (Sip fino al 1994)
era un grande gruppo industriale con pi di 120mila dipendenti. Il primo nel mondo a lanciare la carta prepagata, uno strumento innovativo che permise la rapida diffusione della telefonia
mobile a livello planetario. La ragione del successo della Telecom risiedeva nei suoi uomini, nella loro formazione etica e nella loro conoscenza tecnologica del settore. Negli anni 90 la-

zienda era guidata dalla illuminata visione di Ernesto Pascale,


uomo che apparteneva a quella tanto odiata specie che alcuni definivano dei boiardi di Stato. Durante la direzione di Pascale,
oltre alle partecipazioni estere, fu avviato il progetto Socrate,
sul quale io feci la mia tesi di laurea, progetto bloccato immediatamente dopo la privatizzazione perch troppo costoso e poco consono alle ambizioni di guadagno degli azionisti di controllo. Socrate, mai nome fu pi azzeccato, avrebbe dovuto portare la fibra ottica in venti milioni di abitazioni con dieci anni di
anticipo rispetto agli altri Paesi europei. E pensare che oggi, con
un ritardo di 20 anni, non ancora chiaro come realizzare un
progetto simile. Ernesto Pascale pu essere definito come lEnrico Mattei delle telecomunicazioni [], aggiunge nella sua intervista lingegner Gamberale, era contornato da manager professionalmente molto validi che appartenevano a una grande tradizione di ingegneri elettronici, figli di quellitalianissimo Meucci che guarda caso invent il telefono. Negli anni Novanta lo
stato di salute dellazienda era cos florido che cera addirittura
un piano per lacquisto di una quota maggioritaria di Telefnica.
Allepoca Telefnica era molto indietro, ricorda Umberto De
Julio, ex ad di Tim nel 1998, noi eravamo allavanguardia mondiale e con risorse sufficienti per permetterci di comprare partecipazioni di qualsiasi azienda.
Cosa direbbero quei boiardi di Stato se sapessero che dieci
anni dopo gli spagnoli di Telefnica sarebbero entrati nel gruppo di controllo di Telecom Italia?
Dopo la privatizzazione si registr un vero e proprio esodo
delle competenze. Venne smantellata tutta quella fascia di dirigenti pubblici di vecchia scuola che oggi si potrebbe chiamare
dei Pascale boys, per essere rimpiazzata da una nuova schiera
di intelligenze finanziarie al soldo dei nuovi padroni. Secondo
Gamberale una grandissima responsabilit lavrebbero avuta anche i giornalisti economici. A parte pochi, quasi nessuno si intendeva di economia, e tantomeno di telecomunicazioni, ma il
loro bersaglio erano i cosiddetti boiardi di Stato. Gli organi di

stampa sembravano infatti convinti che un operatore privato


avrebbe garantito una migliore efficienza e una maggiore equit.
A ci si aggiunse la favola che il governo doveva far cassa per migliorare i conti economici poich lo esigeva la Comunit economica europea per lentrata nella zona euro. E solo allombra di
tutte queste argomentazioni si celava indisturbata la smania di
potere della nuova classe dirigente.
Il processo di privatizzazione inizi nellottobre del 1997, durante il governo Prodi, che si era preoccupato per di risolvere un
problema politico di particolare interesse: poich non era opportuno lasciare tutte le scelte in mano ai privati, venne adottato il
meccanismo della golden share, strumento che, almeno sulla
carta, assicurava al governo di mantenere il controllo dellazienda
nelle scelte fondamentali per il suo destino. Il grosso delle azioni
venne venduto a investitori istituzionali stranieri, e il gruppo italiano di controllo (il cos detto nocciolo duro), sul quale contava Prodi, con il suo misero 6% divent il nocciolino. Allinterno di questa accozzaglia di soci spiccava il ruolo dellIfil della famiglia Agnelli, che, detenendo una quota pari al 10% del nocciolo, era il gruppo di maggior peso. Lazienda venne offerta cos
su un piatto dargento alla Fiat, che con lo 0,6%8 delle azioni controllava tutte le operazioni. Prima della privatizzazione, commenta Alessandro Fogliati, presidente della prima associazione di
dipendenti azionisti, Adas9 chiese al Tesoro di far parte del
gruppo di controllo che si sarebbe creato in virt del 3,3% delle
azioni gi sottoscritte da 97mila dipendenti e da acquistare attraverso un piano gi stabilito. La risposta del governo fu la seguente: Pagate subito le azioni? Altrimenti restate fuori. Lescamotage fu tanto furbo quanto micidiale poich lassemblea, cio il
Tesoro, nomin tempestivamente il cda post-privatizzazione
consegnando lazienda nelle mani della Fiat. Secondo Gamberale, lIfil ha gestito lazienda con molta disinvoltura, mettendo
ai posti di comando persone senza competenze in materia. Si
crearono cos le premesse per larrivo dei successivi predatori.
Come presidente venne nominato lavvocato Guido Rossi, che

per dopo qualche mese si dimise. Venne sostituito da Gian Maria Rossignolo, con una stagione tanto breve (dieci mesi), quanto
discussa. A lui, salutato con una liquidazione di 10 miliardi di lire (in pratica un miliardo al mese), nel novembre 1998 subentr
Franco Bernab. Il nuovo manager non ebbe neanche il tempo di
rendersi conto della situazione, che in capo a due mesi cominciarono a circolare voci sulla scalata da parte di un gruppo privato
di imprenditori capeggiati da Roberto Colaninno.

La scalata di Colaninno: Ma lei ce li ha i soldi?


La carriera del ragionier Colaninno, un mantovano cinquantacinquenne di origine pugliese, inizia negli anni 60 nella Fiaam
Filter Spa, azienda di Mantova produttrice di filtri per auto che
in ventanni riesce a imporsi come una delle principali aziende
del settore. Il successo ottenuto suscita linteresse della Olivetti,
che nel 1996 lo nomina amministratore delegato, con il compito
di traghettare lazienda nel mondo della telefonia con Omnitel e
Infostrada. Lo scaltro ragioniere molto pratico di affari perch
riesce a potenziare la rete di Infostrada comprando la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato per 750 miliardi di lire per poi
rivendere Infostrada e Omnitel un anno dopo a 15mila miliardi
di lire. Quale genio fece il calcolo della rete pubblica delle Ferrovie? A chiederselo, ancora oggi, sono in molti.
Con il sostegno delle banche daffari Chase Manhattan e Lehman Brothers e con la presenza di un gruppo affiatato di imprenditori bresciani guidati da Emilio Gnutti, Colaninno pianifica la scalata Telecom fin dal 1998. A fine gennaio 1999 iniziano infatti i primi movimenti speculativi sul titolo Telecom, che
hanno il loro culmine la mattina del 19 febbraio, quando il controvalore dei titoli scambiati in borsa ammonta a 1.700 miliardi.
La cifra cos alta da destare il sospetto di operazioni di aggiotaggio e tale da suscitare linteresse della Consob10 sulle reali intenzioni del gruppo di Ivrea. La scalata diventa ufficiale sabato

20 febbraio 1999, quando il manager mantovano, anticipando


tempestivamente di un giorno il cda di Telecom, annuncia unofferta pubblica di acquisto (Opa)11, sul 100% delle azioni Telecom attraverso la Tecnost, societ controllata dalla Olivetti. A
questo punto la velocit delle operazioni diventa fondamentale.
Nelle offerte pubbliche di acquisto chi fa la prima mossa ha un
vantaggio enorme poich scatta la clausola denominata passivity rule, regola che impone al management della societ sottoposta a Opa di non mettere in atto delibere societarie pregiudiziali al buon esito della stessa.
La sera del 20 febbraio arriva puntuale la risposta di Telecom,
preparata da Bernab con laiuto dellavvocato Guido Rossi. La
maggiore societ telefonica italiana giudica non valida lofferta
lanciata da Olivetti, sostenendo che lOpa sarebbe condizionata
alla vendita di Omnitel e Infostrada e che le obbligazioni Tecnost non avrebbero potuto essere impiegate in unOpa perch non
quotate in Borsa. La Consob, il luned successivo, al termine di
una lunga riunione, accoglie le riserve avanzate da Telecom dichiarando linvalidit dellofferta di acquisto. Ma Telecom commette la leggerezza di sottovalutare il progetto di Colaninno. In
pratica Telecom ebbe a disposizione due giorni pieni, luned e
marted, per attuare una manovra difensiva che avrebbe potuto
impedire o almeno ostacolare la nostra offerta, scriver poi Colaninno ricordando quellepisodio nel libro Primo tempo. Telecom riun il suo consiglio solo il gioved, ma non prese nessuna
delle decisioni che noi temevamo []. Il giorno successivo, venerd 26 febbraio, la Consob accolse le nostre rettifiche: lOpa
era valida. Da quel momento Telecom era bloccata, non poteva
far pi niente per difendersi. Singolare il tempo di risposta
della Consob, che d il suo benestare definitivo ad appena quattro giorni dalla prima bocciatura, nonostante Colaninno abbia
poi ammesso che il testo dellOpa, vero, presentava alcune
debolezze, ma fummo costretti ad accelerare i tempi a causa delle voci crescenti sul mercato e per timore che Telecom anticipasse eventuali azioni di difesa. In sintesi, il piano di acquisto

della pi grande azienda italiana, nel quale come ammette lo


stesso Colaninno mancava persino la data di inizio, viene liquidato dalla Consob con il tempo record di una manciata di
giorni. Un tempo incredibilmente breve, se paragonato alla lentezza del nostro sistema politico e burocratico. Inoltre, rimangono ancora molti dubbi sulla validit legale dellOpa, che avrebbe eluso senza problemi larticolo 2358 del Codice civile: Una
societ non pu fornire garanzie (patrimoniali, economiche e finanziarie) per lacquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie.
Quando nel nostro caso il ricco patrimonio di Telecom (immobili, partecipazioni, infrastrutture) avrebbe costituito proprio
la garanzia per la buona riuscita di unOpa vincolata da un enorme prestito bancario.
Poco dopo il 20 febbraio 1999, ora zero per il lancio dellOpa,
Colaninno viene ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Massimo
DAlema e dal ministro dellIndustria Pierluigi Bersani. Incassa
reazioni soddisfatte e un rassicurante ci rimettiamo al mercato. Appoggio che DAlema confermer dichiarando di apprezzare laudacia dei capitani coraggiosi. Consentitemi, allo stato delle cose, di apprezzare il coraggio di persone che vogliono
gestire limpresa, avrebbe esclamato in proposito lallora capo
del governo, aggiungendo: Abbiamo offerto un gioiello pubblico e non sono stati capaci di comprarlo. stato un evento sconcertante, si dovuti andare a chiedere per piacere che qualcuno
si comprasse lo 0,6%. Spaventa che in questo Paese non ci sia
qualcuno che abbia la voglia o il coraggio di affrontare questo tipo di sfide12. Qualche giorno dopo, il manager mantovano incontra Carlo Azeglio Ciampi, allepoca ministro del Tesoro, il
quale si mostra meravigliato della possibilit che lOlivetti possa
essere in grado di sopportare da sola il peso della scalata: Ma lei
ce li ha i soldi?, chiede appunto il futuro Presidente della Repubblica. Il problema dei soldi laspetto pi critico. Non possono essere certo sufficienti le risorse del gruppo di azionisti bresciani per comprare un colosso che vale pi di cinque volte lazienda di Ivrea. Il piano prevede infatti unOpa del costo di

100mila miliardi di lire cos finanziato: il 15% dalla vendita dei


gioielli di famiglia Omnitel e Infostrada, il 5% da un aumento di
capitale della Olivetti, il 40% dai prestiti dei banchieri della
Chase, e il rimanente 40% da un abile gioco finanziario di conversione delle azioni in obbligazioni e azioni della Tecnost, la
scatola vuota attraverso il quale la Olivetti contrae il debito per
acquistare la Telecom. Praticamente, lidea far pagare lOpa
agli stessi azionisti Telecom. Infatti, solo il 20% delle azioni verrebbe comprato con denaro fresco, mentre il restante 80% dellOpa ricadrebbe indirettamente sullazienda a causa dei debiti
contratti dagli acquirenti. Dello stesso avviso Il Financial Times, che definir loperazione di conversione delle azioni una
rapina in pieno giorno13. Il piano di Colaninno infatti chiarissimo fin dallinizio: una sorta di leveraged buyout mascherato,
unarma di distruzione del mercato che impedisce lo sviluppo e
la crescita. Attraverso questa operazione di origine anglosassone,
tradotta in italiano con fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, una societ che si indebita per comprarne unaltra ha la possibilit di fondersi con la controllata utilizzando il
patrimonio di questultima a garanzia del pagamento dei debiti.
In sostanza: una scatola vuota creata dal nulla pu acquistare a
debito una vera societ, definita target o bersaglio, scaricando su questultima il debito. E il buon esito delloperazione
dipende dalla capacit di ripagare il debito, non con i mezzi del
debitore principale, ma attraverso il flusso di cassa e il patrimonio della societ bersaglio.
Fino al 2003 sulla legittimit di tale tecnica la disciplina giuridica afferma chiaramente che la fattispecie costituirebbe un aggiramento dellart. 2358 del Codice civile che vieta la concessione di garanzie sullacquisto delle proprie azioni. Ma per i capitani coraggiosi il problema non cos determinante, perch anche senza fusione il peso dellOpa sarebbe ricaduto in ogni caso
su Telecom. Tutte le gestioni industriali avrebbero risentito infatti della riduzione degli investimenti in favore dei dividendi,
per mezzo dei quali gli azionisti di controllo avrebbero pagato le

rate del debito. In sintesi: rinunciare allo sviluppo e allinnovazione per arricchire le banche. Possibile che le istituzioni non
avessero capito quello che stava succedendo nel nostro Paese? O
pi probabile che fossero le banche a governare le istituzioni?
Lofferta dellOpa molto alta, perch nel momento della bolla speculativa della new economy il valore delle azioni al massimo. Molti gruppi azionari, attratti dalle plusvalenze, sembrano
gradire lofferta della Olivetti a 11,5 euro ad azione (6,9 in contanti e il resto in obbligazioni e azioni della scatola Tecnost). Meglio scappar via subito e incassare, pensano in tanti. In casa Telecom intanto continuano le contromosse e il 10 marzo Bernab
annuncia la tanto attesa strategia difensiva. Il piano prevede
unofferta pubblica di scambio di azioni ordinarie Telecom Italia di nuova emissione contro azioni Tim e la conversione delle
azioni di risparmio Telecom in ordinarie. La fusione con Tim
una mossa che manderebbe alle stelle il prezzo delle azioni Telecom, poich i flussi di cassa del mobile sono ingenti. Ma la delibera deve essere approvata nellassemblea degli azionisti fissata
per il 10 aprile a Torino, un appuntamento in cui Bernab avrebbe assoluto bisogno del 30% del capitale. Ma, nonostante la
grande campagna mediatica che chiama a raccolta tutti gli azionisti, lassemblea si trasforma per Telecom in una grande disfatta. A Torino si presenta solamente il 23% del capitale. Chi manca allappello? Il Tesoro con il 3,5% delle azioni e il Fondo pensioni con il 2,4%, seguiti da altri investitori istituzionali. Ovvero
mancano gli azionisti pubblici che avrebbero potuto avvalersi
della golden share per bocciare LOpa. Il direttore generale del
Tesoro Mario Draghi, futuro governatore di Bankitalia, scrive
Peter Gomez. Vorrebbe partecipare allassemblea. Ma DAlema gli ordina di astenersi. Il ministro Ciampi si allinea. Draghi
allora chiede al premier di mettere il suo ordine nero su bianco.
DAlema prende carta e penna e invia al Tesoro una lettera dindirizzo attorno alla quale nasce un giallo: il documento scompare in seguito dagli uffici del ministero14. Un comportamento che
non passa inosservato. Palazzo Chigi lunica merchant bank

dove non si parla linglese, commenta Guido Rossi. Siamo in


democrazia, non siamo qui a prendere schiaffi. Il governo si castrato della possibilit di avere diritto di voto: un fatto grave,
gravissimo15.
La notte prima dellassemblea passa alla storia come la notte
dei lunghi coltelli di Telecom Italia, notte che Alessandro Fogliati, dirigente Stet e presidente della prima associazione di dipendenti azionisti, ricorda ancora con molta amarezza: Dopo
che venne convocata lassemblea dei soci per le misure antiscalata inizi la moral suasion del governo. La sera precedente lassemblea ero in riunione con Bernab a Roma (aveva convocato i
rappresentanti delle otto associazioni di dipendenti azionisti allora in attivit): abbiamo chiaramente percepito lo sgomento di
Bernab, e quindi il nostro, che veniva via via chiamato al telefono da personaggi importanti che preannunciavano la loro assenza in assemblea. Ad ogni chiamata Bernab impallidiva e riattaccando mormorava con voce dismessa Anche questo mi ha
dato una pugnalata alle spalle.
Negli affannati giorni dellOpa, Gad Lerner scrive su la Repubblica un articolo citando un presunto sfogo, mai smentito, di
Franco Bernab nei confronti del premier. Saranno centinaia di
migliaia, domani, gli italiani che correranno a comprare in Borsa
i titoli del grande affare che tu, DAlema, hai magnificato. Un errore catastrofico. Dopo il boom, puntuale, verr il crollo. La conquista di Telecom da parte di Olivetti si riveler per quello che ,
una bolla di sapone. Le banche daffari ci avranno guadagnato un
mucchio di soldi, ma sul terreno resteranno migliaia di cadaveri.
Tutti sul conto del governo di Sinistra, colpevole di aver sponsorizzato unoperazione inconsistente, senza uguali dai tempi di
Sindona. S, di Sindona. Perch almeno Gardini quando scalava
la Montedison ci metteva 2-3mila miliardi di tasca sua16.
E i leader dellopposizione? Silvio Berlusconi in una riunione
della Camera di commercio italo-britannica a Londra si pronuncia in termini positivi sulliniziativa di Olivetti. Tra gli altri, anche Umberto Bossi plaude alla cordata padana.

Alla fine dellOpa, il gruppo Olivetti riesce a comprare il 51%


delle azioni per 61mila miliardi di lire, una cifra finanziata per un
terzo da capitale proprio e per due terzi attraverso debito (circa
29mila miliardi di lire, equivalenti a 15 miliardi di euro) e conversione delle azioni Telecom in obbligazioni e azioni della Tecnost (la societ che ha contratto il debito per lOpa).
Da questo momento inizia una nuova storia per lazienda. Il
concetto di impresa capace di perseguire obiettivi di servizio e
innovazione viene progressivamente soffocato e condizionato
dagli obiettivi individuali del gruppo di controllo. il debito che
ricade sugli azionisti di controllo per lacquisto dellazienda si riversa sullazienda stessa inducendo a delle gestioni rivolte essenzialmente al taglio dei costi e alla rinuncia degli investimenti.
un po come comprare a debito un ospedale tagliando la corrente elettrica per pagare le rate del mutuo, commenta Gamberale. Contemporaneamente inizia il carosello delle scatole finanziarie: Colaninno controlla al 51% una societ fantasma, la Hopa, che controlla il 56% di unaltra entit chiamata Bell, la quale controlla il 13,9% di Olivetti, la quale a sua volta controlla il
70% di Tecnost, che controlla il 51% di Telecom. In pratica, Colaninno e i suoi controllano Telecom detenendo l1,5%.
Gli azionisti di controllo qualche buon risultato lo mettono a
segno, soprattutto grazie al potenziamento delle attivit internazionali. A lasciare perplessi sono per alcune operazioni a dir
poco inefficienti, quali lacquisto di Seat Pagine Gialle, lacquisto del portale brasiliano Globo e la svendita della prima met
del patrimonio immobiliare.
Lintera operazione Pagine Gialle costata nel 2000 circa 9
miliardi di euro. Nel 2003 Telecom esce da Seat ricavando dalla
vendita 3 miliardi con una perdita netta di 6 miliardi di euro. A
questi andrebbero aggiunti altri 3 miliardi di euro di mancati ricavi derivanti dalla vendita di una parte del patrimonio immobiliare dellazienda. Secondo una simulazione effettuata con la
Asati, gli immobili dismessi sarebbero stati ceduti a meno della
met del loro valore di mercato. Mentre il portale Globo, alle-

poca poco pi di un sito Internet con alcuni mesi di vita, viene


acquistato per la cifra record di 650 milioni di euro. Nel 2002 il
suo valore in bilancio viene azzerato.
Loperazione Seat Pagine Gialle una delle vicende pi singolari della gestione Colaninno. Nel 1996 le Pagine Gialle appartengono alla Stet, la holding pubblica che controlla Telecom. Sarebbe logico integrare gli elenchi telefonici con la Telecom, ma
nel 1997 il ministero del Tesoro rileva le Pagine Gialle dalla Stet
e decide di metterle in vendita. Nel novembre 1997 si presenta
una cordata di imprenditori denominata Ottobi, i magnifici otto, che rileva il 61% della societ per 860 milioni di euro, poich Il Tesoro, sotto la guida della Lehman Brothers, valuta lintera societ un miliardo e mezzo di euro. La Ottobi unentit
partecipata a sua volta da un intricato sistema di scatole, di cui
alcune locate in paradisi fiscali come la Investitori Associati II,
con sede a Madeira, che detiene il 4% della Ottobi. Questa scatola a sua volta posseduta al 40% dalla Hopa di Colaninno e
Gnutti. Alla cordata Ottobi partecipa anche Telecom Italia con
il 21% delle azioni (pari a circa il 13% di Seat Pagine Gialle).
Ma la magia si realizza nel 2000, quando i capitani coraggiosi, alla guida di Telecom da un anno, per avere il controllo del
50% delle Pagine Gialle decidono di rilevare dalla Ottobi il
37% alla cifra record di 6,7 miliardi di euro. In pratica, dopo 30
mesi, lazienda viene valutata 18,6 miliardi di euro (13 volte di
pi di quanto laveva valutata il Tesoro nel 1997). La plusvalenza di questo affare colossale17 tale da beneficiare una cerchia
di fortunatissimi imprenditori tra i quali lad Lorenzo Pellicioli
con 85 milioni di euro e la Hopa di Colaninno e Gnutti con 125
milioni di euro confluiti nel paradiso fiscale di Madeira. tutto assolutamente regolare e trasparente, commentano gli azionisti, poich la partecipazione di Hopa in Ottobi era antecedente allOpa. S, ma la valutazione stratosferica di Seat Pagine Gialle chi la fece?
Nel bilancio del 2000 gli utili lordi di Seat Pagine Gialle ammontano a 140 milioni di euro, ai quali vanno sottratti interessi

passivi, tasse e ammortamenti. Nella migliore delle ipotesi, anche


prendendo come riferimento un utile netto di 100 milioni di euro, non basterebbero neanche 180 anni per recuperare linvestimento iniziale di chi ha acquistato lazienda valutandola in totale 18,6 miliardi di euro (100 milioni per 180 anni equivalgono a
18 miliardi). Numeri da new economy o da fantascienza?
Anche in seguito a questa operazione il debito aziendale da
non confondere con quello degli azionisti per lOpa sale da 8
a 22 miliardi di euro. Ai quali si aggiungono i 15 miliardi dellOpa che, seppure indirettamente, gravano sullazienda.
Per coprire gli interessi passivi, i capitani coraggiosi avrebbero pensato persino di vendere delle quote azionarie della controllata Tim. Pi discutibili sembrerebbero invece alcune voci
che li vedrebbero minacciare DAlema prospettando il licenziamento di migliaia di dipendenti per far quadrare i conti.
A questo punto dobbligo una domanda che aspetta una risposta da circa quindici anni: perch un governo di Sinistra non
si oppose alla vendita della pi importante azienda del Paese,
che fin nelle mani di un gruppo di imprenditori privati, mossi
principalmente da ambizioni di guadagno? Qualcuno parl di
salotti buoni della finanza. I Ds volevano scrollarsi di dosso letichetta di partito operaio, mi ha detto lonorevole Silvio Sircana, allepoca consigliere di Prodi. Era come se avessero un
complesso nei confronti di tutti gli altri partiti che avevano sempre governato. Volevano allargare i consensi e trovare nuove alleanze. In quegli anni ragionavano alla stessa maniera dei parvenu che volevano scalare le aziende: ovvero dando fiducia al primo imprenditore arrivato dal nulla con una Maserati.
Al riguardo vorrei per precisare alcune cose, per sfatare quelle voci che sono andate ad alimentare la categoria dei falsi miti.
Il pi grande errore fu commesso allinizio del processo di privatizzazione, perch prima dellOpa lazienda era gestita da un
agglomerato di soci che poco o nulla sapevano di telecomunicazioni. Il peccato originario fu compiuto dal governo Prodi, nel
privatizzare lazienda in quel modo, facendo in pratica decadere

qualsiasi ipotesi di azionariato diffuso. La soluzione pi efficiente sarebbe stata quella di cedere quote agli oltre 100mila dipendenti per mezzo di piani azionari a medio e lungo termine. Gli
errori che sono stati fatti in seguito sono, in parte, anche una
conseguenza di quello sbaglio inziale. In un clima di ottimismo
generale che precedeva la bolla della new economy, a mio avviso, mancata la capacit critica di analizzare le conseguenze dellOpa. Chi sperava che DAlema avesse beneficiato economicamente o politicamente di quella scalata stato sempre smentito
dai fatti; credo piuttosto che il premier non si rendesse realmente conto della situazione. Lottimismo, lincompetenza tecnica e
la presunzione di non interferire in un mercato liberalizzato da
pochi anni, hanno portato i Ds a commettere lerrore di non
prendere posizione contro gli imprenditori bresciani. Colaninno
era visto dalla Sinistra come luomo nuovo del capitalismo italiano, quel capitano coraggioso che dopo i successi di Omnitel e
Infostrada avrebbe rilevato dalla Fiat il timone di Telecom. Daltronde bisogna riconoscere che aveva effettuato unofferta pubblica alla luce del sole, mentre i successivi gruppi di controllo,
Telefnica compresa, scaleranno lazienda attraverso accordi privati e segreti.
Allepoca cera la speranza e lillusione che qualsiasi forma di
governance privata fosse comunque migliore di quella pubblica.
Lerrore grave, a mio avviso, stato questo. Ma non certamente lunico, dato che prima dellavvento del governo Berlusconi
nel 2001 Telecom era ancora unazienda viva. Cinque anni dopo
si ritrover definitivamente spremuta, divorata e spolpata.

Sopra la banca la casta campa, sotto la banca lazienda crepa


Dopo due anni, i capitani coraggiosi, non potendo pi sopportare il peso del debito e le numerose pressioni politiche, sono costretti a passare la mano. Nel 2001 arrivano Pirelli e Benetton che, comprando il 23% della Olivetti, assumono il con-

trollo dellex monopolista telefonico. I nuovi proprietari guidati


dal presidente Marco Tronchetti Provera pagano 4,17 euro per
azione, una cifra enorme, considerando che le Olivetti quotavano poco pi della met. Loperazione risulta indispensabile per
avere il controllo dellazienda, perch se la Pirelli avesse effettuato unOpa diretta su Telecom avrebbe speso molto di pi. E
forte di questa straordinaria plusvalenza la squadra padana si ritira appagata dalla bella esperienza. Nei cinque anni che seguono si assiste per a un progressivo declino dellazienda. A caratterizzarlo sono nuove alchimie finanziarie e una singolare gestione caratterizzata da scandali e indagini giudiziarie.
Nel 2003, la normativa che regola i processi di acquisizione si
muove nella stessa direzione degli scalatori. Sar un caso? Con
la riforma del diritto societario, la disciplina giuridica si ammorbidisce nei confronti del leveraged buyout, che grazie allarticolo
2501 del Codice civile diventa pienamente consentito, a condizione di un piano approvato da esperti indipendenti. La Pirelli ne approfitta per accorciare la catena di controllo fondendo
Telecom con la Olivetti, gi fusa con la Tecnost nel 2000. Lo scopo accedere direttamente agli utili, grazie anche allaumento
dello sgravio fiscale del debito. Maggiori interessi passivi diretti
equivalgono a meno imposte da pagare, ma cos facendo Telecom si accolla direttamente il debito dellOpa. La fusione ha
inoltre un costo addizionale: altri 9 miliardi presi in prestito dalle banche per realizzare tutta loperazione. In poche parole, la
fusione del 2003 indebita lazienda di altri 9 miliardi oltre ai 15
dellOpa. A questi si sommano i 22 (poi scesi a 18) lasciati in eredit dalla gestione Colaninno. Per un totale di 42 miliardi.
In seguito a operazioni di vendita di immobili, cessione di partecipazioni estere e tagli di personale, alla fine del 2003 il debito
dellazienda ammonta a 33 miliardi. Un risultato che gli analisti
di Pirelli definiscono eccellente se confrontato con i 37 lasciati in
eredit dalla gestione Colaninno (22 dalla gestione industriale e
15 dellOpa). Peccato che per contenerli lunica strategia sia stata il taglio del personale e la dismissione degli asset strategici.

Questo processo di riduzione del debito continua anche nei due


anni successivi portando lonere a 25 miliardi, ma svuotando di
fatto lazienda di tutto il patrimonio immobiliare e della maggior
parte delle partecipate estere.
Arrivati a questo punto, tutto avrebbe fatto pensare che con
questo ennesimo sacrificio lazienda fosse stata finalmente pronta per una nuova fase di rilancio industriale. Il peccato originale
di una privatizzazione nefasta sarebbe stato espiato e la fase di
purgatorio sarebbe finita. Non andata cos. Alla fine del 2005,
quasi per ironia della sorte, avviene lennesima schizofrenia finanziaria. Attraverso unOpa da 15 miliardi di euro Telecom acquista le azioni minoritarie della gi controllata Tim, facendo lievitare il debito netto oltre i 40 miliardi (circa il 133% del fatturato). Loperazione lascia ancora molti dubbi. Perch indebitarsi ulteriormente per comprare azioni di una societ controllata?
Una cosa certa: chi ci avrebbe guadagnato se non le banche e
gli speculatori? Loperazione mi fa venire in mente il mitico
Maxistecco/Maxibon della Motta, il gelato al doppio gusto di
crema e cacao che andava tanto di moda nelle spiagge italiane
degli anni 90, quello con la pubblicit di Stefano Accorsi che diceva Du gusti is mejo che one. E con questa nuova ed ennesima alchimia finanziaria il debito diventa talmente grande da
segnare il destino dellazienda.
Linefficienza assoluta di tutte queste operazioni finanziarie
(Figura 3, p. 26) dimostrata dal fatto che dal 1999 al 2005 il fatturato rimane pressoch costante mentre il debito aumenta del
650%. Secondo la logica economica, unazienda si indebita per
effettuare nuovi investimenti, per comprare nuove partecipate
estere, per realizzare nuove infrastrutture o per incrementare il
suo organico. Nel nostro caso si assiste invece a uno spaventoso
aumento del debito con un contemporaneo depauperamento di
risorse e beni strumentali.
Allora il lettore si chieder: ma se gli azionisti di controllo
compiono operazioni inefficienti e sprecano risorse, prima o poi
non ne risentiranno pure loro? Certamente s, secondo logica,

ma la vera risposta dipende dalle modalit con le quali i gruppi


industriali acquistano le partecipazioni azionarie. Loramai noto
gioco delle scatole cinesi consente a un gruppo ristretto di
azionisti, con una piccola quota, di controllare la gestione dellintera impresa senza rischiare nulla di proprio. Se aggiungiamo
che tali quote vengono acquistate facendo ricorso al debito, facile capire che il capitale investito dai controllori ben poca cosa rispetto al valore complessivo delle aziende.
Marco Tronchetti Provera un particolare tipo di capitalista che
riesce a essere tale senza aver comprato nemmeno unazione di Telecom. A investire stata Pirelli, attraverso Olimpia, una societ al
cui capitale partecipano i Benetton e le grandi banche Intesa e UniCredit. Tronchetti in societ con i figli semplicemente il padrone
della Marco Tronchetti Provera & C., una accomandita per azioni
non quotata in Borsa il cui capitale sociale di 16 milioni di euro.
Questa societ possiede una scatola, anchessa non quotata, la Gpi,
alla quale fa capo la Camfin, una piccola societ quotata in Borsa,
la quale ha in portafoglio il 29,9% della Pirelli & C., che a sua volta controlla il 38% di Pirelli Spa, anchessa quotata in Borsa e chiamata Pirellona. La Pirellona detiene il 60% di una scatola non
quotata, la citata Olimpia che possiede il 23% della Olivetti, che
con il 51% controlla Telecom. Una struttura societaria complessa?
Con la modica somma di 16 milioni di euro, laccomandita tronchettiana riesce a controllare un gigante telefonico che nel 2001 ha
un valore di mercato di 90 miliardi di euro. Tronchetti con un euro di suo ne muove oltre 5mila di capitale altrui. Se un maremoto
cancellasse lex monopolio telefonico dalla faccia della Terra, la famiglia Tronchetti parteciperebbe alla perdita nella misura dello
0,02%, pari a un cinquemillesimo del totale. Ne possiamo dedurre che la responsabilit patrimoniale del capitalista Tronchetti verso lazienda vicina allo zero a fronte di benefici enormi.
Questo sistema di governance non pu certo giovare alla grande impresa perch un imprenditore che detiene direttamente
una larga quota del capitale sociale, poniamo il 70%, non avrebbe grande convenienza a compiere operazioni inefficienti: se lo

facesse, danneggerebbe di fatto se stesso. Se invece limprenditore avesse una piccola quota del capitale, ad esempio il 10%,
potrebbe trovare vantaggioso farsi gli affari propri e spolpare in
qualche modo lazienda; i benefici sarebbero suoi e lonere ricadrebbe per il 90% a carico degli altri soci.
Il risultato di questi intricati giochi finanziari la confisca della funzione imprenditoriale da parte di signori che hanno rischiato poco o nulla, ma che hanno lo stesso potere di un padrone che avendo investito il 90% del capitale possiede la facolt di controllare indisturbato lazienda realizzando i propri
interessi personali.
Ma se un capitalista compie azioni inefficienti avendo investito, ad esempio, lo 0,02% del valore dellazienda, come si comporter il restante 99,98%?
Per rispondere alla domanda occorre fare una distinzione tra
azionisti di controllo, azionisti istituzionali e piccoli azionisti. I
primi detengono il controllo dellazienda con una quota di azioni che a volte pu essere molto piccola. Gli azionisti di controllo, generalmente appartenenti a gruppi industriali o banche, investono anche con mezzi propri, sostenendo il rischio dellattivit imprenditoriale, ma questi mezzi sono ridicoli se confrontati con i benefici derivanti dalla gestione di una grande azienda.
La perdita di valore del titolo pu essere compensata da operazioni vantaggiose quali: il riconoscimento di stipendi, bonus e liquidazioni milionarie; lacquisto o la vendita di asset strategici a
prezzi di favore o semplicemente il potere politico e mediatico
che si guadagna allinterno del capitalismo relazionale.
Gli azionisti istituzionali sono prevalentemente costituiti da
banche e fondi di investimento esteri. Per questo tipo di investitori che non detengono il controllo dellazienda, lo scopo principale quello di far circolare il denaro, concedere prestiti e intascare gli interessi. Per una banca non cos trascendentale il
buon esito dellattivit industriale poich in qualsiasi caso il maggior guadagno costituito dal movimento finanziario stesso. Lazionista istituzionale, la banca per eccellenza, pu anche per-

mettersi delle perdite poich il denaro che muove non quello


dei suoi direttori ma quello dei piccoli risparmiatori. Poco importa dunque se il titolo sale o scende, limportante a fine serata sedere alla stessa mensa degli azionisti di controllo.
Ci sono infine i piccoli azionisti: una miriade polverizzata di
piccoli risparmiatori, troppo piccoli, scomodi e disorganizzati.
Per loro non ci sono benefici speciali. Lunica conseguenza alle
politiche inefficienti la perdita di ricchezza derivante dal crollo del titolo in Borsa.
Alla luce di questa analisi non stupir pi di tanto sapere che
il debito di unazienda sana sia cresciuto in pochi anni del 650%,
contemporaneamente alla espoliazione di gran parte dei suoi asset strategici. E, come se non bastasse, a questa ardita gestione
finanziaria si accompagnata una gestione operativa che, durante la presidenza di Marco Tronchetti Provera, diventata a dir
poco grottesca.

Il Tronchetto dellinfelicit
Prima ancora di preparare lassalto a Telecom, il bel tenebroso del capitalismo italiano viene definito dal Financial Times
il nuovo Agnelli. Negli anni 90 i mass media hanno confezionato per lui limmagine dellimprenditore gentiluomo, affascinante ed elegante, il classico italiano invidiato da tutti, persino
dai salotti buoni della finanza mondiale. A beneficio dei potenziali imitatori, il settimanale Panorama ha elencato persino i
particolari del suo stile: camicie Loro Piana, abito Caraceni, cravatta Marinella, orologi Piguet Royal Oak o Millennium, scarpe
Tods e persino il taglio del barbiere Colla a Milano. Un tipo
sportivo e amante del calcio. La domenica, puntualmente sugli
spalti, viene infatti inquadrato e si fa intervistare. Diventa licona del tifoso aristocratico, sempre composto e signorile. Mai un
gesto o un improperio contro larbitro e mai unesultanza troppo emotiva: quelle sono da provinciali.

Per non essere da meno rispetto agli altri grandi del capitalismo italiano, insieme a Moratti si lancia nel progetto di far rinascere una grande Inter, per molti anni oscurata dai fasti del
Milan di Berlusconi e della Juve dellavvocato Agnelli. A suggello di tale vincolo di sangue con i colori nerazzurri, sponsorizza
da anni la squadra attraverso la Pirelli e siede dal 2001 al 2006
nel cda di Telecom insieme al suo amico Massimo Moratti, presidente dellInter; mentre lex ad e vicepresidente di Telecom
Carlo Buora occupa la poltrona di vicepresidente del club nerazzurro. Una singolare combinazione in concomitanza del campionato 2005-2006, in cui viene assegnato a tavolino lo scudetto
allInter in seguito al coinvolgimento di arbitri e dirigenti juventini in operazioni poco trasparenti, come emerso dalla pubblicazione di alcuni atti, compresi colloqui telefonici.
La sua entrata in Telecom preceduta dallacquisto di un aereo
privato, battezzato Telecom One. Forse per emulare lAir Force One del Presidente degli Stati Uniti? Nellagosto 2001, racconta Vittorio Nola, ex segretario generale del cda di Telecom,
lad Enrico Bondi affida a me e ad altri due colleghi una procura speciale per acquisire in leasing un Falcon 900 con la livrea
bianca e rossa, cio i colori della societ. Guardi, ancora conservo la foto come una reliquia. Nel 2002, con lavvento della piena
gestione Pirelli in Telecom, al comandante della Servizi Aerei (societ di gestione del leasing aeronautico) fu richiesto di ridipingere la livrea con i colori nero-azzurri. Passioni sportive a parte, il presidente si mostra sempre sicuro di s, mai un dubbio,
unesitazione o un timore, anche quando rilascia interviste. Storica resta nel 2008 una sua presenza al Tg1 delle 20, in qualit di
esperto di problemi economici, dove alla domanda: Cosa bisogna fare per uscire dalla crisi?, risponde: Bisogna aumentare i
salari e avere pi ore lavorate e pi gente che lavori, soprattutto
donne e abbiamo bisogno di investire in ricerca e formazione. A confermare che tra i buoni propositi e la realt c una
bella differenza, si deve notare che durante la sua presidenza in
Telecom lorganico italiano stato ridotto di 22.396 unit e non

c stata alcuna innovazione tecnologica e nessun lancio di nuovi


prodotti se non alcuni flop commerciali che passeranno alla storia come esempio di scelleratezza e spreco. Anche quando sotto pressing per la questione di 1.600 immobili passati da Telecom
Italia ai fondi partecipati da Pirelli Real Estate lui rimane calmo
e impassibile, sostenendo che tutto avvenuto nella normalit
e che quando siamo entrati abbiamo trovato unazienda in situazione molto critica, e quando labbiamo lasciata era in ottime
condizioni18. Ottime condizioni?
A caratterizzare il nuovo corso dellera Tronchetti anche il
nuovo management. In particolare, il quarantenne Riccardo
Ruggiero, proveniente da Infostrada, appena nominato amministratore delegato, si porta dietro tutta la schiera di prodi e fedelissimi giovani che per un lustro formeranno laffiatata banda dei
Ruggiero boys. Memorabili anche i compensi che lievitano
verso cifre da capogiro. Nel 2007 Ruggiero e Buora, rispettivamente ad e vicepresidente, grazie alle loro brillanti prestazioni vengono salutati con 17 e 12 milioni di euro. Mentre Tronchetti come presidente ha guadagnato soltanto 5 milioni.
Su Riccardo Ruggiero si narrano varie leggende metropolitane,
come quella che lo vede sfrecciare in autostrada a 311 km orari con
la sua nuova Porsche. Volevo vedere se la lancetta del contachilometri arrivava fino in fondo, risponde ai carabinieri che lo hanno
inchiodato al casello. La notizia fu riportata a suo tempo anche dal
settimanale Quattroruote. Pi dubbi sembrerebbero invece alcuni racconti sul suo stile direzionale o sulle sue gesta in alcune
convention poi passate alla storia per grandezza e magnificenza.
Figlio di Renato, ex ambasciatore Usa, giovanissimo si lancia
nel mondo delle telecomunicazioni con Infostrada. Grazie ai
buoni risultati entra nelle grazie di Tronchetti in qualit di amministratore delegato. Ma in Telecom i Ruggiero boys non ripeteranno le stesse performance compiute in Infostrada. La nuova gestione si cimenta fin dallinizio in operazioni commerciali che risulteranno a dir poco azzardate. Un esempio? La vicenda del videotelefono, invano rilanciato dopo il fallimento degli anni 90.

Solo con il videotelefono, secondo fonti interne, sarebbero stati persi 400 milioni di euro (300 milioni di apparati non funzionanti, pi 100 milioni tra spese di commercializzazione e assistenza). Spesso, dietro alcune semplici operazioni commerciali si
sono celati fenomeni molto pi complessi, tanto da rievocare la
teoria dei vasi comunicanti secondo cui ci che unazienda perde qualche altra inevitabilmente lo guadagna. Il caso del videotelefono quello pi eclatante, ma non lunico, e vale la pena di
ricordarlo.
Gi a met degli anni 90 la controllata Italtel aveva presentato
il Nexus 2000, un videotelefono di hardware e software non troppo distanti da quelli riproposti da Telecom Italia nel 2004. Il lancio fu un vero e proprio fallimento a causa del prezzo e della scarsa qualit. La pubblicit dellepoca aveva cercato invano di allettare la clientela con le formule: Il telefono si accende di nuove
emozioni, il telefono che annulla le distanze e vi dona il calore. Anche il nuovo videotelefono commercializzato da Telecom
donava calore ma, ironia della sorte, solo perch presentava una
notevole tendenza al surriscaldamento velatamente confermata
nel manuale di utilizzo della casa produttrice al punto 2.1 e sperimentata da un notaio che ha intentato causa a Telecom dopo
che il videotelefono gli ha mandato in fumo la scrivania del 700.
Per anni lidea di offrire la videotelefonata su rete fissa fu accantonata, fino a quando nel 2004 venne presentato come nuovo il vecchio videotelefono. Il Nexus 2000 costava lequivalente di 400 euro, poi sceso a 250. Mentre il nuovo videotelefono
coster ben 299 euro con una qualit ancor pi scadente. Come
mai a dieci anni di distanza dal lancio del Nexus 2000 stato
commesso lo stesso errore? Sempre che di errore si tratti. Significativa rimane la domanda che ha posto un dipendente nel buio
della sala durante le presentazioni del nuovo videotelefono: A
cosa serve il videotelefono se gi oggi con Internet si pu fare
una videocall gratuita?. Nonostante la richiesta di videotelefoni fosse inesistente, nel 2004 il geometra Patrick Scarlata, attraverso la societ HiTel, stipula un sostanzioso accordo con Tele-

com Italia per la fornitura di un milione di videotelefoni a un


prezzo unitario di 125 euro. La stranezza che il prezzo Telecom
per i rivenditori si aggirava intorno ai 100 euro ad apparecchio,
con una perdita netta di 25 euro al pezzo. In chiusura danno
contabile i rivenditori venivano perci obbligati a forti ordinativi per raggiungere gli obiettivi di vendita. Con un particolare: nei
primi mesi dellanno successivo i prodotti rientravano in Telecom per malfunzionamento (quasi il 100%) e Telecom restituiva
limporto con una perdita del 125% in pochi mesi. Unoperazione di marketing davvero esemplare, da inserire nei programmi degli attuali Mba per mettere in guardia gli studenti da quello che non bisogna fare.

Cosmesi contabile e tarocco


A partire dagli anni 2000 si sono diffuse gradualmente delle
pratiche poco trasparenti, passate agli annali con le espressioni
cosmesi contabile e tarocco (questultimo, qualora il numero da addomesticare in bilancio fosse stato cos ribelle da richiedere pi di un semplice maquillage. Tanti sono gli accorgimenti
per effettuare una buona cosmesi contabile e bisogna procedere senza creare sospetti e farsi scoprire. Anche se nessun testo
di contabilit e di economia aziendale parla di tali pratiche, il fenomeno variamente diffuso in tutte le grandi aziende e la prima regola quella di non esagerare. Alcuni esempi consentiti di
cosmesi contabile per far quadrare i numeri e incassare i premi sono il rinvio dei costi o lanticipo dei ricavi o anche la rivendita di prodotti di terzi con margini negativi o uguali a zero (come nel caso del videotelefono) con il solo fine di gonfiare i ricavi. Ma durante la gestione Tronchetti queste pratiche hanno oltrepassato i limiti, spingendosi fino al taroccamento dei bilanci. Il caso pi grave stato sicuramente quello delle sim false.
Bench il problema fosse noto alla stampa gi dal 2006, lo
scandalo scoppia ufficialmente nella seconda met del 2007. Un

filone dindagine avviato dalla Procura di Vicenza scopre che era


abitudine diffusa attivare sim con nomi di fantasia, al fine di accrescere il numero di clienti per incassare i lauti premi. In chiusura di anno alcuni rivenditori (principalmente negozi), per raggiungere o addirittura superare gli obiettivi del 100% e incassare i premi, gonfiavano il numero dei clienti con il benestare di alcuni dirigenti. Naturalmente ci giovava anche ai vertici aziendali per ostentare gli eccellenti risultati di vendita di fronte alle
comunit finanziarie, soprattutto quando si in presenza di
grandi operazioni di vendita o acquisto dei pacchetti azionari come quella avvenuta alla fine del 2005 per lacquisto delle azioni
minoritarie di Tim (altri 15 miliardi di debiti).
La possibilit di realizzare questo tipo di truffe determinata
dal fatto che in una grande azienda i processi di fatturazione e
pagamento sono automatizzati, e in teoria, facilmente eludibili in
caso di non controllo. Nelle fatture a nostro carico abbiamo
trovato anche frigoriferi e lavatrici, mi ha detto confidenzialmente un dipendente. Alcuni negozi avevano negli armadi dei
sacchi di plastica pieni di sim. A loro completo piacimento inviavano una falsa registrazione alla Tim, che in moltissimi casi
provvedeva, ignara, allattivazione.
Inizialmente, si parla di poche centinaia di migliaia di carte,
ma da fonti interne fin dallinizio emerge che il numero reale
nellordine di milioni. Per tale leggerezza viene licenziato Lucio Golinelli, responsabile dellarea Sales Consumer, seguito da
altri impiegati. Molte procure dItalia danno il via alle indagini
mentre, a met del 2008, Luca Luciani, allora direttore generale
di Tim, viene mandato in Sud America come ad di Tim Brasil.
Inizia il valzer dei numeri: in sede di relazione trimestrale, nel
settembre 2009, lazienda dichiara che il numero delle sim accertate come false di 1,9 milioni, e tale valore viene riportato
nel bilancio. Voci interne dicono invece che il numero reale
oscilli intorno agli 8 milioni. Per avere dati pi certi bisogna
aspettare gennaio del 2010, quando Franco Bernab, tornato alla guida di Telecom a fine 2007, dichiara in unintervista a La

Stampa che le sim accertate come false potrebbero essere intorno ai 5 milioni e mezzo.
Nel febbraio 2011 la Guardia di Finanza, facendo irruzione
negli uffici Telecom di Milano per ulteriori accertamenti, comprova lesistenza di 2,4 milioni di sim dormienti rivitalizzate, ma
che in realt sono false, attribuite a clienti che non generano traffico e che sono state riattivate con laccredito di un centesimo di
euro. A queste, secondo le fonti ufficiali finora emerse, si aggiungerebbero altri 4 milioni di sim: alcune rivitalizzate, altre intestate a persone inesistenti e altre ancora intestate pi volte allo
stesso proprietario, per un totale di circa 6,4 milioni di carte false (in pratica una su quattro). I numeri sono ingenti e la truffa
ai danni del mercato tanto pi grave se si considera che il decreto Pisanu stabilisce che per poter attivare una sim necessario disporre del codice fiscale e del documento dellintestatario.
Si arriva cos alla conclusione che la vicenda ha avuto effetti anche sul mondo della criminalit organizzata, per la possibilit di
usufruire di chiamate non identificabili.
Oltre alle Procure di Vicenza, Milano e Roma, anche quella di
Napoli si interessa al caso, aprendo nel 2008 un fascicolo dal titolo Sim e Napule con oggetto i rapporti tra i clan della camorra e la pratica di falsificazione delle carte ai danni di Telecom. Indipendentemente da tutte queste indagini, il giornalista
di Panorama Carmelo Abbate, fingendosi interessato allacquisto di 500 sim false, ha provato a indagare sul caso nel Nord
Italia: Il primo contatto avvenuto su Internet con una persona che si sempre nascosta dietro un nickname, scrive. Non
stato semplice, ogni volta che laffare sembrava vicino alla conclusione il prezzo delle schede improvvisamente saliva da 1 a 5 e
10 euro. E le persone che dovevano materialmente consegnarle
sparivano di colpo e non erano pi rintracciabili. Alla fine il pacchetto mi stato consegnato in un parcheggio buio di una strada statale alle 11 di sera, senza che sapessi chi fosse la controparte. Prendere o lasciare. Le 500 sim card erano ammucchiate
dentro un sacchetto della spazzatura. Ne ho provate una decina

a caso, inserendole a turno dentro il mio telefonino, e provando


a chiamare: funzionavano19. Quale sarebbe il danno per un Paese, nel caso in cui centinaia di migliaia di sim false fossero cadute in mani sbagliate?
A ci si aggiungono le perdite effettive che ha dovuto subire
lazienda. Lemissione di una sim falsa comporta tre tipologie di
costi: una spesa di produzione, trasporto, registrazione e attivazione, un premio, ingiustificato, per i canali commerciali e probabilmente anche una falsata politica di investimenti pubblicitari. I primi due elementi sono abbastanza tangibili. Da una prima
analisi effettuata con Asati, lAssociazione azionisti Telecom Italia, si stima un costo unitario di produzione, trasporto, registrazione e attivazione pari a 17,5 euro per singola sim, che moltiplicato per 8 milioni darebbe 140 milioni di euro di costi. Leggermente pi complesso sarebbe il costo dei premi commerciali,
anche se poi, con una semplice simulazione, si arriva a un numero ugualmente elevato. Secondo fonti interne, nel periodo
2001-2007 la direzione commerciale avrebbe elargito bonus e
premi commerciali pari a un miliardo di euro. Una parte di questa cifra sarebbe attribuibile al numero gonfiato di clienti. A questi numeri si aggiungerebbe un ulteriore danno: il fatto che tutte le politiche di marketing e pubblicit siano state falsate dagli
obiettivi di vendita. Spendere 100 o 200 milioni lanno in pubblicit giustificato se si raggiungono veramente gli obiettivi, ma
la cifra diventa folle se i risultati sono fittizi.
E i responsabili? Lucio Golinelli, responsabile dellarea Sales
Consumer, nel verbale del 26 febbraio 2009 ammette che il fenomeno era noto in azienda fin dal 2000, si tratta di una conoscenza che definirei storica. [] Vi era linteresse ad avere il
maggior numero di clienti che generassero un minimo di traffico, da cui una forte spinta su volumi acquisitivi ingenti. Cos
come testimonia anche Gabriele Della Vedova, responsabile Sales support and process, che nellinterrogatorio del 10 febbraio
2009 afferma, ancor pi chiaramente: La struttura centrale era
perfettamente a conoscenza di fittizie intestazioni di schede a

nomi di fantasia, come Pippo, Pluto, Paperino, per struttura


centrale intendo lazienda stessa, a partire dal top management20. Sorge allora una domanda: se la conoscenza del fenomeno era storica, perch premiare i rivenditori in base al numero dei clienti e non in base al fatturato? Tutti i libri di marketing insegnano che il numero di clienti non un indicatore veritiero. Unimpresa pu avere pochi clienti ma buoni, mentre
unaltra, a fronte di un numero enorme di clienti, pu avere un
fatturato ridotto. Dunque, perch perseverare in queste politiche remunerative? I rivenditori non avrebbero mai potuto falsificare in modo consistente i dati di traffico per conseguire i premi commerciali.
Quanto a Luca Luciani, responsabile vendite dal 2005 al 2008
e poi ad di Tim, nel verbale dinchiesta della Procura di Milano
del 13 maggio 2009 dichiara: [Sapevano delle sim] certamente
oltre a me e alla struttura da me dipendente anche i miei superiori, inclusi gli amministratori delegati succedutisi nel tempo.
Ma chi Luca Luciani? Golden boy del nuovo corso di Telecom, spicca per bellezza ed eleganza. Laureato alla Bocconi, e
per un anno assistente di Tronchetti, da manager balza allonore
delle cronache per le sue doti di storico. In una convention generale del 2008 riuscito ad affermare in pubblico che Napoleone a Waterloo realizz il suo capolavoro. Quellintervento,
esemplare per arroganza e turpiloquio, andato pi volte in onda anche su Striscia la notizia: Perch ho la faccia incazzata?,
esordisce il top manager, perch la gente legge i giornali, vede
il titolo, si rimbalza e si crea dei grandi film che sono tutte cazzate. Oggi non vi parlo di Alessandro, vi parlo di Napoleone.
Napoleone a Waterloo, una pianura in Belgio, fece il suo capolavoro. Chiss cosa avrebbe detto su Alessandro! Lintervento stato cos straordinario che qualcuno ha anche pensato che
il prode e incompreso Luciani volesse solamente sperimentare il
controllo sulla mente, dopo aver seguito magari qualche nuovo
corso aziendale per convincere i dipendenti a guardare il mondo
alla maniera del Candido di Voltaire.

Clamoroso, durante la gestione Tronchetti, anche lo scandalo legato a Sparkle, societ del gruppo Telecom che gestisce il
mercato del traffico internazionale. Servendosi di sofisticati meccanismi finanziari, alcuni dirigenti delle societ cartiere hanno
realizzato tra il 2003 e il 2007 delle operazioni illecite cui stato
assegnato il nome di frodi carosello per un giro di fatturazioni
false pari a due miliardi di euro (circa il 35% del fatturato). Le
fatture false, oltre a gonfiare i bilanci, servivano a evadere lIva
con la conseguente creazione di fondi neri da distribuire e utilizzare per lacquisto di beni di lusso quali macchine da corsa e
gioielli. Il gip di Roma che ha ricostruito la vicenda parla apertamente di legami con la delinquenza organizzata, la cui attivit
era proprio quella di riciclare i fondi neri che uscivano da Telecom a titolo di fatture emesse. Le modalit operative di Telecom
Italia Sparkle, commenta il gip, pongono con solare evidenza il
problema delle responsabilit degli amministratori e dirigenti
della societ capogruppo alla quale appartiene Sparkle [].
evidente che o si in presenza di una totale omissione di controlli
allinterno del gruppo Telecom sulle gigantesche attivit di frode
e riciclaggio, o vi stata una piena consapevolezza delle stesse21.
Un ultimo interrogativo sorge circa la gravit del reato di falso in bilancio. In alcuni Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, le
pene sono severissime. Lex amministratore delegato della Enron, Jeffrey Skilling, stato condannato nel 2006 a 24 anni e 4
mesi di reclusione per frodi contabili. E in Italia? Esiste ancora
il reato di falso in bilancio?

Noi della security siamo peggio della Gestapo


Oltre allo scandalo delle sim false, quello che tutti i lettori ricorderanno il caso dello spionaggio telefonico. Vicenda che
torna ogni tanto agli onori della cronaca perch a Milano andata in onda una specie di commedia giudiziaria con al centro
gli spioni che lavoravano per Telecom e lex presidente Tron-

chetti che si trovato periodicamente a deporre. Il dilemma giudiziario da otto anni a questa parte stato esattamente lo stesso
che si conosceva dallinizio: agivano per conto proprio o in favore dei vertici aziendali? Domanda talmente oziosa che, se fosse rivolta seriamente, rasenterebbe loffesa.
Lo scandalo ha coinvolto cinquemila persone spiate, per un
bacino potenziale di spiati pari a circa 1 milione di persone22.
Lattivit illecita di spionaggio aveva come unico scopo quello di
controllare gli ambienti della finanza, delleconomia, della politica e persino dello sport. Organizzato da alcuni uomini della Pirelli prima ancora dellarrembaggio alla nave Telecom, questo intricato sistema di spionaggio aveva lo scopo di screditare la gestione operativa esistente e consentire una pi rapida presa di
potere senza trattative o controlli. In poche parole: entrata,
conquista e resa incondizionata dellazienda, come commenta
Vittorio Nola, prima vittima delloperazione New Entry in
qualit di segretario del cda durante la gestione Colaninno.
Principale attore delle operazioni di spionaggio telefonico
Giuliano Tavaroli. Noi della security siamo peggio della Gestapo, annuncia in tono scherzoso lex maresciallo dei Carabinieri
in una riunione di lavoro in Telecom. Fisico possente, barba curata e occhio azzurro gelido, dopo aver prestato servizio presso
la sezione Anticrimine dei Carabinieri di Milano, stato responsabile della sicurezza di Pirelli per arrivare poi ai vertici di quella del gruppo Telecom nel 2001. Quattro anni dopo nascono i
primi problemi. Nellambito delloperazione Amanda, Tavaroli viene sorpreso a effettuare ascolti telefonici senza autorizzazione nella sede Telecom di piazza Affari a Milano. Ma anzich
essere licenziato viene trasferito in Romania con una responsabilit non ben definita, mantenendo ovviamente la qualifica di
dirigente con stipendio e benefit vari. Se operava per conto suo,
come sostenuto fin dallinizio dai vertici Telecom, perch non allontanarlo immediatamente dopo una simile azione criminosa?
Arrestato il 20 settembre 2007, Tavaroli rimasto sei mesi in
carcere, interrompendo ovviamente il rapporto di collaborazione

con Telecom, che dichiara subito di non sapere nulla di quelle attivit illecite. Sta di fatto che solo nel giugno 2010, dopo che la vicenda era gi nota da qualche anno, Tronchetti e Buora entrano
nel registro degli indagati presso la Procura di Milano. Le indagini prendono una netta direzione solo in seguito alle dichiarazioni di uno degli alfieri di punta del Tiger team, Emanuele Cipriani, che nel febbraio 2010 afferma davanti ai magistrati che
tutti i dossier sulle persone spiate venivano consegnati a Tavaroli, il quale avrebbe informato Tronchetti ogni volta che fossero
emersi elementi interessanti. Queste dichiarazioni sarebbero state per smentite da Tronchetti, che avrebbe seguitato a ribadire
di non essere a conoscenza delle attivit svolte dalla security.
Dopo circa tre anni di udienze, la magistratura ha dato ragione a Tronchetti circa la sua estraneit ai fatti con eccezione per
la vicenda Kroll, dove lex presidente stato condannato in primo grado a un anno e otto mesi per ricettazione. La vicenda al
centro del processo risale al 2004, scrive Il Sole 24 Ore, anno in cui Tronchetti era presidente di Telecom Italia e il colosso
telefonico combatteva con alcuni fondi per il controllo di Tim
Brasil. La ricettazione riguarda un cd di dati raccolti dallagenzia di investigazione Kroll e poi hackerati dagli uomini dellex
manager della security Telecom, Giuliano Tavaroli. Secondo Robledo, Tronchetti Provera era consapevole della provenienza illecita di quei dati23.
Oltre agli intrecci industriali, ancora pi preoccupanti sarebbero quelli politici, cos come riferiscono alcune fonti interne
non ufficiali. Lo scenario pi probabile riguardava linteresse
per laffare Telekom Serbia da parte del governo Berlusconi,
appena insediato. In particolare, si pensava di smascherare presunte tangenti24 che alcuni esponenti del governo Prodi avrebbero preso da Miloevic in seguito allacquisto a peso doro, nel
1997, di una partecipazione in Telekom Serbia. Quelle stesse
quote furono infatti rivendute alcuni anni dopo a meno della
met, con una perdita netta di circa 400 milioni di euro. Tutta la
vicenda sarebbe stata unoccasione magnifica per screditare il

pi grande rivale, Romano Prodi, spazzandolo via dallorizzonte


politico. In cambio, ci sarebbe stato il via libera al definitivo sacco di Telecom. Una sorta di do ut des attraverso il quale il Centrodestra avrebbe potuto eclissare in particolare altri due acerrimi rivali. Quali? Lo spionaggio ha riguardato, oltre alle tangenti
serbe, anche il misterioso Oak Fund, il fondo Quercia con sede alle isole Cayman che compare tra gli azionisti che hanno accompagnato i capitani coraggiosi nella realizzazione dellOpa.
Al di l del nome, che richiama il simbolo del Partito democratico della Sinistra, quali furono i legami tra il fondo e gli esponenti del governo? Cosa doveva svelare il fantomatico dossier
Baffino di cui parla Cipriani nelle sue deposizioni? Non bisogna essere degli investigatori per capire chi fosse lobiettivo del
dossier. Voci di corridoio, mai accertate, sembrano propendere
per una pista che attribuisce la firma di alcuni importanti esponenti dei Ds sul fondo Quercia. I due dirigenti sarebbero stati
Rossi e Fassino, che in seguito allOpa di Colaninno avrebbero
intascato tangenti alle isole Cayman. Chiacchiere che non hanno
mai trovato alcun riscontro e che sarebbero state una colossale
montatura, come confermato dagli atti giudiziari emersi nelle
udienze del processo per lo spionaggio illecito. Comunque, il 28
marzo 2007 anche sul dossier Baffino Cipriani ha dichiarato
davanti ai pm della Procura di Milano che Tronchetti era al corrente di tutto: Tavaroli mi disse che sia le notizie relative al rapporto conclusivo, sia quelle dei vari summary, le riferiva al dottor Tronchetti Provera.
La vicenda dello spionaggio illecito non certo una novit degli ultimi anni. La convinzione che tutti i governi, non solo
quello di Berlusconi, siano stati attratti dalla tentazione di manovrare Telecom al fine di trarre il pi grande numero di informazioni possibili. Non solo per fini politici, economici e speculativi, ma anche in termini strategico-militari. Il voler entrare nei
salotti buoni della finanza pu essere un motivo valido per appoggiare luno o laltro gruppo azionario, ma non certo lunico.
molto probabile che la nuova classe dirigente volesse proteg-

gersi dai servizi di spionaggio interni, infiltrati nellazienda da


sempre per conto di ambienti americani. Un po come quando
un bambino alle prese con un giocattolo complesso e vuole a
tutti costi capire come funziona. In proposito, un articolo apparso su Il Sole 24 Ore a firma di Giuseppe Oddo25 pu chiarire alcuni retroscena di tutta la vicenda Telecom: I servizi segreti italiani sono sempre allopera, soprattutto quando c di
mezzo la Telecom. Il loro zampino evidente non solo nella vicenda Tavaroli, ma anche in altre meno note. Ricordo una confidenza di Ernesto Pascale al termine di unintervista che mi rilasci qualche tempo dopo la sua nomina ad amministratore delegato della Sip (qualche anno dopo avrebbe assunto lo stesso incarico alla Stet). Gli avevo chiesto se la struttura segreta Gladio
fosse ramificata nelle telecomunicazioni. No mi rispose ma
sono certo che i servizi dispongano di propri uomini alle dipendenze della Sip, di cui noi non siamo a conoscenza. E ricordo
anche le parole di Gian Mario Rossignolo. Eravamo andati a trovarlo a Torino, io e Giovanni Pons, mentre lavoravamo allAffare Telecom. Stava raccontandoci le sue peripezie da presidente della Telecom, le raccomandazioni che gli arrivavano giornalmente da tutto il sistema politico. A un certo punto si lasci
scappare di pressioni ricevute attraverso i servizi che agivano per
conto di ambienti americani. Si fece vivo il Sismi. Mi fu chiesto
di mettere sotto ascolto il nodo telefonico di Palermo per il quale transitano le telefonate per il Medio Oriente. Mi rifiutai.
Per quanto pericolosa e ancora oscura, la storia degli spioni
Telecom non rimane dunque un unicum spazio-temporale, ma
lanello di una catena che parte da molto lontano. Una catena
sulla quale il settimanale Panorama aveva gi svelato qualche
retroscena quarantanni fa.
Nellautunno 1973, sotto la copertura della rete di comunicazioni della Nato, i servizi segreti americani, evidentemente
senza che il Sid frapponesse ostacoli e verosimilmente con la sua
collaborazione, ultimarono la preparazione di un sistema di controllo totale della rete telefonica di Roma []. La cosa fin in

Parlamento con un nugolo di interrogazioni che non ebbero mai


risposta. Ci sono state soltanto smentite generiche che non hanno convinto nessuno. Questo vecchio articolo ci spiega inoltre
altri aspetti preoccupanti: Il cuore dellimpianto Nato per il
controllo telefonico (consente ogni intercettazione e il blocco totale delle comunicazioni) si trova in viale Cristoforo Colombo
153, nei locali della direzione centrale Impianti e Cavi del ministero delle Poste. Le sale riservate alla sezione Nato sono sorvegliate da uomini armati e godono del privilegio della extraterritorialit, come le ambasciate26.
Un sistema di spionaggio interno avrebbe potuto essere funzionale a un possibile golpe politico o militare? Non credo che
la questione sia cos semplice, risponde Vittorio Nola. Il sistema di potere che con la Pirelli si impossessato di Telecom era
molto complesso e a mio avviso ci sono stati pi livelli di interesse, probabilmente anche quello politico-militare. Dato che le
attivit di dossieraggio e di spionaggio illegali sono andate avanti anche per molto tempo dopo la conquista del potere in Telecom, a quel punto ogni soggetto ha ritenuto di crearsi il suo habitat naturale: chi guardava al proprio portafoglio, chi desiderava vendette, chi potere, nomine e incarichi, chi semplicemente
sfruttare la grande liquidit aziendale.

Centrali telefoniche in vendita su eBay


La cessione del cospicuo patrimonio immobiliare una vicenda davvero esemplare per capire il significato dellespressione
spolpare fino allosso. Pi che di numeri, qui si tratta di linguistica, perch trovare la parola adatta a un tale tipo di operazioni
non cosa banale. Dopo la privatizzazione, a tutti i gruppi di interesse era ben noto che Telecom disponesse di un ingente patrimonio di immobili, creato in anni e anni di attivit, costituito da
centrali, terreni e edifici di prestigio nelle maggiori citt italiane.
Una preda molto ghiotta, vista la concomitanza del boom del

mattone e la contemporanea entrata delleuro. Se a ci si aggiunge lacquisto a credito, e a prezzi stracciati, si arriva alla conclusione che chi ha condotto massicce operazioni immobiliari sotto
il segno delle privatizzazioni ha realizzato enormi plusvalenze.
Nel 1999 il patrimonio immobiliare che appare in bilancio a
prezzi storici ammonta a cinque miliardi di euro. Nel corso di
pochi anni questo capitale viene azzerato. Scompaiono uffici di
prestigio e centrali telefoniche (generalmente edifici in aree metropolitane) vendute a societ partecipate da Pirelli Real Estate
e, come ha ironizzato Beppe Grillo, Tronchetti non si neanche dovuto chiamare al telefono per realizzare laccordo. In
realt, la vendita del patrimonio immobiliare inizia con lera Colaninno. Fresca di privatizzazione, mamma Telecom viene spremuta per rifocillare gli sforzi dei capitani coraggiosi. Nel 2000
vengono ceduti 580 immobili (la maggior parte sono grandi centrali retrolocate a Telecom)27 per un incasso di 2,9 miliardi di euro. Gli immobili vengono ceduti a fondi partecipati dalla societ
Beni Stabili, controllata dal gruppo Sanpaolo Imi e Lehman
Brothers. Successivamente una parte di questi immobili viene
ceduta a fondi controllati da Goldman Sachs.
Tra il 2002 e il 2005 vengono ceduti 329 immobili (centrali e edifici di prestigio nelle maggiori citt dItalia) con un doppio passaggio attraverso Tiglio I e Tiglio II Srl, partecipate da Morgan Stanley e Pirelli Real Estate. Nellassemblea di aprile 2008 il presidente
del cda Telecom, Gabriele Galateri di Genola ha dichiarato che la
liquidit generata dalla vendita di questi 329 immobili stata di circa 500 milioni, mentre in una relazione di Pirelli del 2007, reperibile sul sito dellazienda stessa, si legge immobili per un valore di
1,6 miliardi di euro. E non si capisce perch i conti non tornino.
Nel 2006 vengono ceduti gli ultimi immobili al fondo Raissa controllato da Morgan Stanley e Pirelli Real Estate, per un totale di
1.279 cespiti (quasi tutte centrali di piccole dimensioni retrolocate
a Telecom), per un incasso di circa un miliardo di euro. Alla fine,
dunque, il patrimonio immobiliare sarebbe stato equamente dismesso tra la gestione Colaninno e la gestione Tronchetti.

Secondo il verbale dellassemblea del 14 aprile 2008 risulta che


Telecom, dalla vendita del suo patrimonio immobiliare, ha incassato complessivamente 4,4 miliardi di euro, cifra di molto inferiore al reale valore di mercato degli immobili al momento della
dismissione. Qualche esempio? Ledificio di via Monte Ruggero,
un palazzo di 1.987 m2 in una zona semicentrale di Roma, viene
ceduto nel 2005 al fondo Berenice per un valore di 1,1 milioni di
euro con un prezzo al m2 di 553 euro. Forse mi sono sbagliato di
uno zero? No, il conto giusto, cos come si evince dalle cifre fornite dal sito del fondo stesso. Altro esempio? La sede storica di
Telecom Italia in corso dItalia a Roma stata dismessa definitivamente nel 2008, dopo esser passata per Tiglio nel 2002. Ledificio, da quanto risulta dai bilanci del fondo Atlantic 2 Berenice (ex fondo Berenice istituito da Pirelli Real Estate nel 2005), sarebbe stato ceduto a 3.450 euro al metro. Una perizia conservativa di Re/Max, richiesta dallAsati, certifica che il valore minimo
di mercato dellimmobile (che si trova a due passi da via Veneto),
considerando anche lo sconto per la grande metratura, era di circa 6.900 euro al metro quadro (esattamente il doppio). Dove sono finiti, quindi, i 70 milioni di euro di differenza che gli azionisti avrebbero perso per un solo immobile?
In relazione a tali operazioni, Tronchetti avrebbe risposto:
Tutto nella normalit. Gli immobili sono stati venduti da tutte le grandi societ. La differenza, aggiunge, che noi abbiamo fatto verificare il valore da un apposito comitato fatto da indipendenti, una cosa che non era richiesta. Stando alle parole
del presidente, non osiamo pensare a cosa sia successo nelle altre societ che non avevano comitati indipendenti. Infatti,
ugualmente imbarazzanti sarebbero i numeri della gestione Colaninno. Risulta abbastanza singolare il prezzo medio di 783 euro al metro quadro con il quale sono stati conferiti nel 2001 ben
580 immobili nei fondi Imser e Telemaco per un valore di 2,9 miliardi di euro. Immobili riaffittati a Telecom Italia a tassi di rendimento del 9% e con la condizione: all expenses are entirely
paid by Telecom Italia, e cio: con ogni tipo di spesa a carico di

Telecom. Una parte di questi immobili stata poi rivenduta dopo alcuni mesi con una plusvalenza del 70%. Cos come si legge
nella Presentazione agli analisti del 27 settembre 2001.
Oltre alla vendita a prezzi fuori mercato di palazzi e uffici, ancora pi grave e penalizzante per Telecom Italia stata poi la
vendita dei locali in cui sono situate le centrali telefoniche. Questi stessi locali vengono riaffittati a Telecom con canoni di locazione che generano per i fondi dei rendimenti che vanno dall8
al 10%, quando, al contrario, la media del mercato immobiliare
si attesta tra il 4 e il 5% (fonte: Agenzia del Territorio). A questo
punto due sono le cose: o i canoni di locazione sono doppi o la
vendita delle centrali avvenuta alla met del valore di mercato.
In entrambi i casi, il danno per lazienda enorme.
In genere, alti tassi di rendimento sono giustificati per alcuni
immobili di natura commerciale sui quali il rischio molto elevato poich lesito dellattivit sempre incerto. Ma nel caso delle
centrali telefoniche affittate a Telecom Italia il cui rischio di turnover o di insolvenza nei pagamenti praticamente nullo, com
possibile che il tasso di rendimento sia doppio rispetto a quello di
mercato? In alcuni casi i tassi di rendimento superano addirittura il 10%, e pare difficile attribuire tali tassi esorbitanti a un eventuale eccesso di imprevisti, visto che la manutenzione straordinaria a carico di Telecom Italia. A ci si aggiunge un danno ancor pi grande poich senza le centrali non potrebbero esserci i
servizi di base. E quindi Telecom si ritrova oggi in una situazione
di assoluta subordinazione nei confronti dei fondi immobiliari,
poich a fine 2012 sono scaduti i primi contratti di affitto.
Ci segnalano una operazione annunciata in questi giorni ai
dipendenti di Sparkle, si legge in una newsletter clandestina.
Si tratta di uno spostamento che riguarda tutti i dipendenti che
lavorano al settimo piano della sede di via Cristoforo Colombo,
questi verranno spalmati ammucchiandoli nelle stanze dei vari
piani sottostanti? Si far forse ricorso a scrivanie a castello? Sembrerebbe unoperazione di razionalizzazione degli spazi ma non
cos. La motivazione che Sparkle non pu permettersi il pa-

gamento dellaffitto del settimo piano dopo che la propriet ha


chiesto laumento del canone. E cosa succeder nel caso dei locali dove sono situate le centrali? Le centrali telefoniche, al contrario dei dipendenti, non hanno certo le gambe per camminare
e Telecom sarebbe alla completa merc delle varie societ immobiliari che hanno partecipato alla grande abbuffata.
Unanalisi dei bilanci28 dei vari fondi immobiliari commissionatami da Asati, mi ha permesso di realizzare uno studio simulativo di quella che potrebbe essere stata la perdita per Telecom
Italia in seguito alla dismissione del patrimonio immobiliare. Il
calcolo si basa sul differenziale tra il tasso di rendimento medio
del mercato e il tasso di rendimento generato dagli immobili dismessi. Per non annoiare il lettore con calcoli matematici, facciamo solo lesempio degli immobili dismessi e poi retrolocati,
per i quali lazienda paga ogni anno 400 milioni di euro in canoni di affitto. Se questi canoni fossero in linea con un tasso di rendimento medio di mercato, ad esempio il 4%, si arriverebbe a un
valore di mercato degli immobili dismessi pari a 10 miliardi di
euro (400 milioni di affitti su 10 miliardi di immobili equivale
appunto a un tasso di rendimento del 4%). Valore molto diverso dai 4,4 miliardi incassati (secondo quanto dichiarato in assemblea ordinaria del 14 aprile 2008). In questo caso semplificato la perdita sarebbe pari a 5,6 miliardi di euro.
Il modello simulativo realizzato per Asati, pi complesso,
prende come tasso di riferimento un valore compreso tra il 4%
e il 5% (fonte: Agenzia del Territorio 2011 e Nomisma 2012) e
un campione rappresentativo di immobili. Con questo modello
si arriva a simulare una perdita di circa 5 miliardi di euro, cui si
aggiunge un conseguente danno per lerario dovuto alle minori
imposte sulle transazioni.
Oltre al differenziale tra i valori di mercato e i valori di vendita, restano alcuni dubbi sulloperazione Tiglio. Il 30 ottobre del
2002 Il Sole 24 Ore commenta cos la prima operazione immobiliare della gestione Tronchetti: Il gruppo Olivetti-Telecom
Italia ha trasferito immobili per 1,585 miliardi di euro a Tiglio I

e Tiglio II, societ controllate da Morgan Stanley Real Estate


Funds (e Pirelli Real Estate) in cui Olivetti-Telecom deterr una
quota commisurata al valore degli asset trasferiti29. Il valore dei
beni apportati da Telecom anche confermato da una relazione
presente sul sito di Pirelli: La seconda operazione di dismissione degli immobili, la prima della gestione Pirelli, avvenuta tra
il 2002 e il 2003. Anche in questo caso non c stata una cessione di immobili a Pirelli Re. Si tratta del merger di immobili conferiti da Telecom Italia con quelli di propriet della joint venture tra i fondi immobiliari di Morgan Stanley (75%) e Pirelli Re
(25%). Telecom ha conferito immobili per 1,6 miliardi di euro in
cambio dei quali ha avuto circa il 49% delle societ costituite
(Tiglio I e II)30.
Stranamente, nellassemblea ordinaria di Telecom Italia del 14
aprile 2008 il presidente del cda, riferendosi a Tiglio I e II Srl, ha
affermato: Queste ultime dismissioni hanno generato per il
Gruppo Telecom liquidit lorda complessiva per circa 500 milioni di euro.
Dai bilanci di Tiglio I e Tiglio II del 2008 risulta che i fondi sono stati, di fatto, quasi del tutto svuotati e se si aggiunge che dal
2002 al 2005 (anno in cui gli immobili sono stati definitivamente
dismessi da Telecom) i prezzi immobiliari sono cresciuti notevolmente, si deduce che il valore minimo che avrebbe dovuto incassare Telecom dalloperazione Tiglio sarebbe stato sui 2 o pi miliardi di euro e non sui 500 milioni. Perch i conti non tornano?
Ecco quel che accade: Telecom apporta nelle due societ beni
per un valore di circa 1,6 miliardi (1,585 per lesattezza), ricevendo in cambio il 49% del valore di Tiglio I e II stimati verosimilmente in 3,3 miliardi. Ma i due fondi si trovano fin da subito
indebitati con le banche per un ammontare complessivo di 2,5
miliardi di euro. Creati a ottobre 2002, nel bilancio di fine anno
sono gi in debito. Ma sugli immobili apportati da Telecom non
pare ci fossero oneri finanziari, sostiene il presidente di Asati
(cosa molto probabile, trattandosi di un patrimonio storico dellazienda). E, se cos fosse, Telecom avrebbe ceduto beni per 1,6

miliardi, ricevendo il 49% di un fondo da 3,3 miliardi ma indebitato di 2,5 miliardi. Se invece gli immobili di Telecom fossero
gravati dal debito, perch il presidente Galateri non lo avrebbe
specificato nellassemblea del 12 aprile 2008? E di che tipo di
debito si trattava?
Gli immobili di Tiglio I e Tiglio II sono stati poi venduti nel 2005
ai fondi chiusi Tecla, Olinda, Berenice, Cloe e Clarice, partecipati
da Pirelli Real Estate e senza partecipazioni di Telecom Italia e alcune centrali telefoniche si trovano oggi in vendita persino su eBay.
Nel 2008 e nel 2009 Tiglio I e Tiglio II hanno addirittura generato piccole perdite di esercizio che sono ricadute sui soci e
Telecom, in qualit di azionista, si trovata nella paradossale situazione di dover coprire queste perdite. Che dire? Stranezze
della finanza creativa. E pensare che il fisco italiano si inventa
metodi sempre pi complessi e improbabili per misurare i centesimi nelle tasche degli italiani quando, al contrario, i miliardi
fluttuano liberamente altrove.

Consulenti o cum-silenti?
Ricordo ancora da neolaureato il mio primo giorno di lavoro,
quando un collega pi anziano mi salut con il motto: Che bella consulenza, che si fugge tuttavia. In effetti non tardai neanche una settimana ad assaporare il significato della frase. Mi spedirono da Roma a Milano in una stanza dalbergo di quattro metri quadrati dove alloggiavo tutta la settimana. A parte le poche
ore di sonno la notte, il resto del tempo lo passavo in ufficio a
produrre strani calcoli finanziari. Momento sintomatico di questa frenesia erano i 20 minuti di pausa in cui si ordinava la pizza
nel peggiore fast-food in piazza Duomo, e per i pi fortunati un
panino al volo da Burghy. Erano gli anni 90. Quelli della bolla
speculativa della new economy. In realt a me non importava lo
stile di vita che conducevo. Mi divertiva anche stare tutto il giorno in ufficio fino a mezzanotte. A volte uscivo anche pi tardi e

non avevo di meglio che andare a scaricare i nervi in una sala giochi dove avevano allestito il primo Resident Evil, il videogioco
dove si spara ai morti viventi. Che ironia della sorte!
La cosa che pi mi imbarazzava era il fatto che io, non avendo
conoscenze tecniche se non quelle universitarie, andavo a discutere con gli amministratori delegati delle pi grandi societ su
quelli che erano aspetti di cui non conoscevo neanche i termini.
A quella giovane et non me ne rendevo neanche conto, perch
ancor prima di infilare la cravatta i miei capi si assicuravano che
avessi fatto correttamente i compiti. Gli stessi che venivano assegnati a tutti: una convincente e persuasiva presentazione di un
centinaio di slide dove lunico concetto che si ripeteva in modo
ossessivo era che andava tutto bene. E se proprio le formule matematiche non rendevano giustizia a questo postulato, bisognava
stressarle con cura utilizzando il buon vecchio tarocco. Ricordo ancora, nel 1998, il mio Business Plan per il sito de La Gazzetta dello Sport, in cui nella casella relativa ai ricavi futuri dellanno 2003 derivanti da e-commerce, avevo sparato una cifra
stratosferica. Numeri che non avevano assolutamente alcun fondamento logico. E pi io cercavo di convincere tutti di abbassare i risultati, pi gli altri mi dicevano: Pompa pompa bisogna pompare i numeri. Come sia andata a finire la new economy lo sappiamo tutti. Titoli che dal nulla hanno reso la fortuna di chi ha saputo speculare nel momento giusto, e che nel giro
di pochi mesi si sono rivelati quello che erano: una bolla di sapone creata dalle maggiori societ di consulenza mondiali per intascare stock-option e bonus milionari. Era il 1999. Ma a quanto pare lesperienza ha insegnato poco o nulla, visto che dietro
lultima crisi mondiale ritroviamo le stesse logiche e le stesse societ di sempre.
La grande societ di consulenza e, ancor di pi, la grande banca daffari predilige prevalentemente i giovani laureati, preferibilmente quelli marchiati con lacronimo Mba, li prende e li sbatte
immediatamente dal cliente, senza che abbiano la minima idea
dei fenomeni tecnici che regolano il core business dellazienda.

Non importante lintelligenza o il grado di cultura, ma la disponibilit e la capacit di adattamento al contesto. Gli orari di
lavoro sono massacranti, ma non perch realmente ce ne sia bisogno; il vero motivo la creazione di una pressione psicologica
tale da annullare la libert di pensiero per piegarla a quelli che sono gli obiettivi di turno. Questi possono essere svariati: dimostrare che bisogna investire in un progetto perch fa comodo al
direttore o far vedere semplicemente che i risultati sono migliori
di quelli che in realt sono per tranquillizzare gli azionisti o semplicemente muovere somme di denaro a beneficio di qualcuno.
La posizione del giovane consulente somiglia molto a quella
dei sofisti dellAtene del V secolo a.C., dove alla domanda Cos che giusto? avrebbero risposto che giusto ci che in quel
momento conviene sia giusto. Appunto, un sofisma, ritenuto da
Socrate un oltraggio alla ragione umana. Perch il significato del
buono e del non buono in qualche misura deve comparire anche
nel Business Plan. I nomi Goldman Sachs, Morgan Stanley e
Lehman Brothers mi ricordano una frase che ho letto un giorno
in un libro del filosofo Nietzsche: La lotta per levoluzione ha
leffetto opposto a quello illustrato da Darwin; non i migliori ma
i peggiori hanno la meglio, poich questi hanno la capacit di
coalizzarsi adattandosi meglio allambiente. In queste societ parassitarie fa carriera il dipendente sempre obbediente, subdolo e
remissivo, meglio se psicoastenico, in modo tale da poter esser
facilmente decifrabile dal diretto superiore. I migliori, ossia
quelli in grado di comprendere e discutere gli ordini, sono spesso relegati a un ruolo secondario per poi essere emarginati e successivamente allontanati. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Risultati che hanno come oggetto non i bilanci delle singole
aziende ma le sorti di interi Paesi.
La mia esperienza sul caso Telecom mi fa venire il sospetto che
una parte delle responsabilit labbiano avuta purtroppo anche
tutte le altre societ di consulenza nellassecondare il processo di
degrado intellettuale che ha favorito il drenaggio di ricchezza a
scapito del benessere aziendale. La mia una critica generale,

poich una societ di consulenza possiede degli aspetti molto positivi, gli stessi che ho potuto apprezzare, essendo stato anche io
uno di loro. Oltre alla divisa, a caratterizzare le migliori societ
di consulenza italiane come Accenture ed Ernst & Young (da non
confondere assolutamente con le banche daffari) la loro organizzazione orizzontale basata su gruppi di lavoro professionalmente misti; unorganizzazione che, a differenza di quella piramidale, consente un migliore e pi rapido flusso informativo. I
consulenti, cambiando frequentemente cliente, hanno la possibilit di arricchire le proprie competenze e sviluppare una grandissima elasticit mentale, fornendo al cliente quella marcia in pi
che spesso manca al dipendente che da anni lavora in azienda.
Sono queste le carte che dovrebbe giocare una societ di consulenza che abbia a cuore il bene comune. Le potenzialit sono
molteplici e devono essere gestite in maniera saggia e brillante,
perch altrimenti a cosa servirebbero i concetti di efficienza,
equit e sviluppo che si ripetono nei moderni Mba e, prima ancora, in tutti i manuali di economia politica?

2008-2013
TELECOM, ULTIMO ATTO?

Spolpare fino allosso


Nel dicembre 2007 comincia lera Bernab. Dopo la gestione
precedente, tutti salutano entusiasti il ritorno di un manager di
grande professionalit di cui non stata mai dimenticata la battaglia per evitare lOpa dei capitani coraggiosi. Oltre alla fiducia nel grande manager cera la speranza di un ricambio manageriale al vertice che avrebbe premiato la vecchia guardia Sip
coadiuvata dai giovani cresciuti negli anni della new economy.
Ma la rivoluzione non c stata, soprattutto perch non cambiata in modo decisivo la struttura del sistema di governo dellazienda. Grazie al solito gioco delle poltrone, luscente Tronchetti se ne assicura una da vicepresidente in Mediobanca, che insieme a Generali, Telefnica e Banca Intesa detiene il pacchetto di
maggioranza in Telecom con il solo 22,4% delle azioni. Mediobanca e Generali possiedono inoltre quote azionarie della Pirelli nella classica tradizione del capitalismo relazionale dove i
controllati sono sempre i controllori, in una fratellanza finanziaria che rende praticamente impossibile la competizione e lo
sviluppo. Ci basta a spiegare come Bernab si sia trovato a operare con non poche pressioni, tra lincudine (il management Telecom nominato dalla gestione Tronchetti) e il martello (gli azionisti di controllo). E, come se non bastasse, limpresa si trova a
fronteggiare da una parte un debito di 36 miliardi di euro e dal-

laltra gli scandali della gestione precedente, esplosi per a scoppio ritardato.
A rendere la situazione ancora pi delicata sarebbero inoltre le
dichiarazioni dello stesso Bernab sulle sollecitazioni ricevute per
la svendita degli ultimi asset strategici, come a voler suggerire che
il processo di spolpamento non sarebbe ancora terminato. Un
esempio? Le pressioni per la vendita della partecipazione in Argentina, su cui di recente sta indagando la Procura di Roma.
Ad avviare linchiesta un bonifico internazionale sospetto segnalato dalla Banca dItalia alla Guardia di Finanza: cinque milioni di dollari partiti dallArgentina. Beneficiaria la societ di
comunicazione Tfgcom, proprietaria dellagenzia di stampa il
Velino, che in pochi mesi avrebbe pubblicato numerosissimi articoli sulla vendita di Telecom Argentina. Gli inquirenti hanno
accertato che i soldi, accreditati il 7 maggio 2010, provenivano
dallimprenditore Matas Garfunkel, noto in tutta lAmerica Latina per la sua ricchezza e perci definito dai giornali argentini
come lheredero serial. Garfunkel, in quei giorni, alloggiava a
Roma nel lussuosissimo Hotel de Russie, a pochi passi dal quartier generale di Telecom Italia, deciso a portare a termine lacquisto del pacchetto di maggioranza di Telecom Argentina, da anni
in mani italiane. Nei paraggi si aggirava anche il senatore italo-argentino del Pdl Esteban Caselli, detto el Obispo (il vescovo).
La vicenda assume forti connotati politici poich in Argentina risiedono 648mila italiani, che costituiscono un bacino potenziale
di circa 400mila voti e cio l1% del nostro elettorato totale. Il
vescovo racconter in seguito che era a Roma per caso, dove
avrebbe semplicemente incontrato esponenti di Mediaset.
Sulla vicenda, lo stesso procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo apre un fascicolo. Le indagini si muovono sullintreccio tra interessi economici e politici a livello internazionale.
Lanno dopo il senatore Elio Lannutti in uninterpellanza parlamentare del 15 marzo 2011, citando un articolo de il Fatto
Quotidiano, chiede se risulti vero che il 6 maggio 2010, mentre si riunisce il consiglio di Telecom Italia, il senatore Caselli

chiede e ottiene un incontro con il ministro degli Esteri Franco


Frattini e gli chiede di prendere a cuore limminente cessione di
Telecom Argentina31, come a voler alludere al fatto che ci sia
stato uno progetto di scambio: la cessione a un prezzo di favore
in cambio dei voti argentini.
Telecom Argentina unazienda che a fine 2010 registra utili
pari a 235 milioni di euro con tassi di crescita esponenziali. Viene valutata dai potenziali acquirenti intorno al miliardo. Cifra assolutamente non in linea con le tecniche di valutazione delle
aziende che generalmente prendono in considerazione multipli
di mercato molto pi alti.
Nel 2011 gli utili di Telecom Argentina raddoppiano toccando quota 500 milioni e, in base a questo parametro, si moltiplica
anche il valore intrinseco dellazienda. In poche parole: chi
avrebbe comprato a quel prezzo nel 2010 avrebbe raddoppiato
il capitale investito in poco meno di due anni.
Oltre al caso Telecom Argentina, cerano pressioni, ha ammesso lo stesso Bernab, addirittura perch vendessi la rete e
Tim Brasil. Incassato qualche miliardo, avrei di fatto liquidato
Telecom. Sarebbe stato come portare a compimento il delitto e
mettere il cadavere nella bara32. Parole che rivelano gli interessi in campo, soprattutto dei gruppi di potere nellannichilire Telecom privandola dei suoi asset strategici. E nessuno meglio di
Massimo Mucchetti poteva commentare il piano di scorporo
della rete del 2009 sul Corriere della Sera del 15 febbraio:
Nellautunno del 2006, il progetto di staccare da Telecom Italia
linfrastruttura di rete per attribuirla a una nuova societ partecipata dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) venne accolto con critiche sdegnate da parte dellopposizione di Centrodestra, dellintellettualit liberista e dei vertici della Confindustria. Il progetto, che Angelo Rovati, consigliere economico di Prodi, aveva
inviato in via confidenziale allallora presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, fu eletto a simbolo del ricatto statalista
contro la libert dellimpresa. Nella primavera del 2009, la stessa idea viene riproposta con incalzante pubblicit dal responsa-

bile economico di Forza Italia, Pierluigi Borghini, senza che i


censori di ieri elevino analoghe proteste. Mucchetti spiega anche quali fossero gli interessi in gioco: Il supercliente, la Tv del
premier, che, forse deluso dalla sperimentazione sarda sul digitale terrestre, guadagnerebbe con poca spesa laccesso privilegiato alla Ip Television. Il cavo Telecom che porta Internet consentir, in prospettiva, di personalizzare gli spot con un sensibile miglioramento dei ricavi pubblicitari. Un conto se Mediaset
accede a questa piattaforma in regime di par condicio con i concorrenti attuali e potenziali. Un altro conto se lo fa da azionista comunque pi influente della societ della rete, visto che Berlusconi presiede un governo che ha il 70% della Cdp e detta le
regole per Mediobanca, Intesa, Generali e Autostrade, azionisti
eccellenti della stessa Telecom.
Secondo questo piano particolarmente aggressivo, Telecom
sarebbe stata smembrata in tre unit. Una bad company si sarebbe dedicata alla gestione della rete tradizionale con 20mila dipendenti in via di estinzione (fintanto che sarebbe durata la rete
in rame) e con lattribuzione di 10 dei 35 miliardi di euro di debito di Telecom Italia. Una seconda azienda, la pi interessante
dal punto di vista industriale e politico, con 10mila dipendenti,
si sarebbe occupata dello sviluppo di una nuova rete in larga
banda. E a questa azienda avrebbero partecipato vari soggetti,
tra cui la Cassa depositi e prestiti dello Stato (4 miliardi), fondi
privati (4 miliardi), alcuni operatori di telecomunicazioni e del
settore dei media (5 miliardi) e una partecipazione dei fornitori
che avrebbero rinunciato a liquidit posticipando i loro ricavi (2
miliardi), per un totale di circa 15 miliardi, che sarebbe stato anche la parte di debito attribuito a questa seconda societ. Infine,
sarebbe rimasta lattuale Telecom-Tim ridotta a un operatore
commerciale con 10mila dipendenti e dedita esclusivamente alla
vendita di servizi di telefonia fissa e mobile. I restanti 10 miliardi di debiti sarebbero stati coperti con un durissimo piano di dismissioni: Telecom Argentina, Tim Brasil, Etecsa Cuba e HanseNet. Il tutto con 15mila dipendenti in meno.

Tale scandalosa ipotesi di scorporo della rete non ha avuto seguito, anche per la meritoria, tenace opposizione di Bernab.

Il rapporto Deloitte: il segreto di Pulcinella


Quasi allo scadere del suo primo mandato, ad aprile 2011,
Bernab si rende conto che qualcuno vuole escluderlo dal rinnovo del cda. Liberarsi di lui avrebbe potuto significare il via libera a nuove operazioni audaci: Tim Brasil, Telecom Argentina,
la rete e altri gioielli di casa. Il manager ha per un asso nella manica, uno studio che alla fine del 2010 il cda di Telecom ha commissionato alla societ di consulenza Deloitte con oggetto gli
scandali della gestione precedente: sim false, spionaggio, caso
Sparkle e svendita del patrimonio immobiliare. Questo studio
avrebbe dovuto rappresentare la posizione del cda post-Tronchetti nei confronti delle continue e incessanti domande dellopinione pubblica sugli eventi scandalosi della gestione precedente, ma tale rapporto non verr mai presentato agli azionisti,
se non a quelli di controllo. Perch?
Lo scopo non forse quello di far scadere i termini per la prescrizione dellazione di responsabilit contro Tronchetti Provera?, chiede il presidente di Asati, Franco Lombardi, durante lassemblea degli azionisti del 12 aprile 2011. Il rapporto Deloitte
sembra il segreto di Pulcinella, aggiunge. Chiedo se corrisponda a verit che in esso sia esplicitamente scritto che i contenuti non devono essere resi pubblici allassemblea degli azionisti;
se sia vero che i consiglieri nel corso della riunione del 16 dicembre 2010 hanno deciso che non cera materia per avviare azioni di
responsabilit (come dichiarato da Tarak Ben Ammar, uscito durante i lavori senza nemmeno avere il tempo di consultare le oltre
400 pagine del rapporto e fidandosi solo di resoconti orali.
Troppe sono le domande senza risposta. Innanzitutto, a quale
risultato approda il rapporto Deloitte? A una commedia creata
per temporeggiare? Lobiettivo sarebbe stato il raggiungimento

dei termini di prescrizione per unazione di responsabilit: cinque anni a partire dalle dimissioni degli amministratori durante
la cui gestione sono avvenuti gli scandali (2007). E, secondo i
maligni, il gioco avrebbe giovato anche a Bernab per la sua riconferma, poich, in caso contrario, il manager avrebbe avuto le
carte in regola per far uscire un reale rapporto sugli scandali delle gestioni passate, tali da avere forti ripercussioni finanziarie sugli azionisti di controllo. Secondo alcuni si trattato di un vero
e proprio compromesso per evitare ulteriori danni allazienda.
A diffondere le prime due parti del rapporto Deloitte, riguardanti lo spionaggio e le sim false, ci ha pensato per nellestate
del 2011 una newsletter clandestina interna. Come molti prevedevano, il rapporto sottostima di gran lunga i danni e non chiarisce del tutto alcuni interrogativi in relazione al ruolo dei vertici aziendali. Inoltre, sembra che la questione degli immobili non
sia stata neanche affrontata.
La Deloitte certamente una delle tante societ di consulenza, con il particolare che quella gi scelta come advisor contabile nelle operazioni immobiliari Tiglio I e Tiglio II. Operazioni
che hanno depauperato Telecom favorendo la Pirelli. E in questo caso la domanda dobbligo: com possibile assegnare a
questa societ, tra le centinaia di societ di consulenza esistenti,
un rapporto cos delicato?
Le intenzioni del cda di Telecom si erano per gi capite durante la riunione del 16 dicembre 2010, nel cui verbale si legge:
Anche in base al parere dei consulenti legali, professor Franco
Bonelli e avvocato Bruno Cova, il Consiglio di amministrazione,
sulla base delle conoscenze a oggi disponibili, non ritiene di introdurre allordine del giorno della prossima assemblea dei soci
leventuale esercizio di azioni di responsabilit. Tuttavia, secondo Asati, la cosa pi strabiliante di questo cda che si chiederebbe un parere legale sullazione di responsabilit allo stesso
studio Erede, Bonelli, Pappalardo, che a dicembre 2005, al via
del fondo immobiliare partecipato da Pirelli Real Estate, ha agito in qualit di advisor legale33.

Ennesimo conflitto di interessi? Tanto oramai non farebbe


neanche pi notizia

Il Paese dei bankster


Tra intrecci economici e indagini giudiziarie il tempo passa
senza particolari novit industriali. In un clima di tensione generale tutto scorre, fino a quando si giunge, il 12 aprile del 2011, al
rinnovo delle cariche del cda: Bernab presidente, Luca Luciani
responsabile del mercato dellAmerica Latina e Marco Patuano
amministratore delegato del gruppo. Un compromesso che, almeno sulla carta, avrebbe accontentato tutti. Di fatto Bernab ha
resistito contro chi voleva destituirlo, ma uscito dalla battaglia
sostanzialmente azzoppato, non gestendo pi il business e la
cassa.
A destare pi perplessit la nomina di Luciani, nonostante la
Procura di Milano lo avesse gi iscritto nel registro degli indagati con ipotesi di reato gravissime: false comunicazioni, ostacolo
allautorit di vigilanza e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Poco dopo lexploit di Waterloo nel 2008, lex assistente di
Tronchetti viene mandato in Brasile a capo della controllata Tim
Brasil con una manciata di manager in odore di licenziamento.
La cosa interessante che per anni molti giornali enfatizzano le
sue performance di giovane e brillante manager grazie agli ottimi risultati ottenuti sul mercato brasiliano. Tanto che nel corso
dei primi mesi del 2011, prima del rinnovo del cda, sono in molti a scommettere su di lui come futuro amministratore delegato
del gruppo appoggiato da Mediobanca, Intesa e Generali.
Ricordo ancora in una riunione in Telecom di inizio 2011,
quando un altissimo dirigente mi disse apertamente: E chi vuoi
che facciano ad? In questo momento c solo Luciani giovane, deciso e poi in Brasile sta andando bene. Al che obiettai
che, nonostante Luciani avesse fatto un buon lavoro, in Brasile
le cose non erano cos miracolose come si raccontava. In primo

luogo, perch tutto il Brasile cresceva a tassi stratosferici e in secondo luogo, perch dietro le aggressive politiche di marketing
di Tim Brasil si potevano celare le solite operazioni di cosmesi
contabile. Sospetto confermato dalle e-mail rinvenute nel corso
delle perquisizioni del nucleo di polizia tributaria della Guardia
di Finanza e pubblicate su Il Sole 24 Ore. Alcune di esse sono
imbarazzanti perch fanno sorgere il dubbio che Luciani sia ricorso agli stessi artifici tecnico-contabili anche in Brasile.
Secondo Il Sole 24 Ore, il sospetto che Luciani avesse assecondato anche l ladozione delle stesse tecniche di alterazione
dei dati34 ad alcuni dipendenti era gi sorto da anni, nonostante in Brasile ci siano disincentivi fiscali contro tali metodi: le Sim
dormienti vengono infatti tassate. Ma uno scambio di e-mail risalenti allestate del 2010 fa pensare che lo svantaggio fiscale non
sia bastato a impedire lutilizzo di tale prassi. Il 16 luglio di quellanno, nel riportare gli ottimi risultati ottenuti nellacquisizione
di nuovi clienti, il dirigente locale Rogerio Takayanagi suggerisce
a Luciani unoperazione di pulitura delle sim dormienti: Credo
adesso possiamo pulire un po la base. Come vedete?. La risposta di Luciani, quattro ore dopo, chiara: Non ci serve pulire per risparmiare un po di tassa. Ogni acquisizione ci costa in
sforzo pi che in tassa Per ora continuiamo a spingere35.
In proposito, mi sembra esemplare il commento di Elio Lannutti nellintervista sul caso Telecom: Nelle grandi aziende di
un mercato libero dove vigono le regole della sana competizione, i manager sui quali in corso una indagine della magistratura per truffa ai danni dello Stato, non potrebbero fare neppure
gli uscieri. Nella Telecom tronchettizzata i cui manager vengono
scelti dai bankster (per met banchieri e per met gangster,
con la prevalenza dei secondi) i Napoleoni possono fare anche
gli amministratori delegati. Perch la Telecom rappresenta lo
specchio, il paradigma del Paese e di un capitalismo di relazione
dove non governano coloro che rispettano le regole e i valori, ma
soltanto coloro che piegano la legalit e le regole ai loro interessi di bottega, mortificando gli interessi pi generali.

Ed ecco che, per ironia della sorte, in prossimit del 5 maggio


del 2012, arriva la notizia delle dimissioni dellei fu Luca Napoleone Luciani. Lad del mercato sudamericano per le sue
brillanti performance viene salutato con ben 4,4 milioni di euro di liquidazione, cifra pari al compenso annuale di 150 dipendenti. Telecom si costituir poi parte civile contro Luciani nel
processo sulle sim false, giungendo a una situazione paradossale: Come possibile liquidare un top manager con 4,4 milioni,
conoscendo da anni le sue responsabilit, per poi costituirsi al
processo parte civile?, esclama la moltitudine dei dipendenti
leggendo inferocita sul giornale gli sviluppi della vicenda. Nonostante questo piccolo particolare, esulta anche il duca di
Wellington, nome con cui stata battezzata nel 2008, dopo lo
show di Waterloo, la newsletter clandestina di alcuni dipendenti Telecom che da anni riporta sprechi e anomalie gestionali. La
goliardica newsletter aveva gi presagito da tempo la fine di
Napoleone, nonostante il manager fosse in lizza per diventare
ad di tutto il gruppo Telecom.
Ma la Waterloo di Luciani non significa nulla per i signori della finanza, che hanno continuato a esercitare incontrastati il dominio dellazienda con il solo 22,4% delle azioni. Secondo lo statuto Telecom gli azionisti di controllo, qualunque sia la loro quota, hanno diritto a 12 poltrone su 15 nel cda. come se un partito politico vincesse le elezioni con poco pi del 20% dei voti e
poi avesse l80% dei deputati e il 100% dei ministri. Sullargomento i piccoli azionisti hanno intrapreso invano una battaglia
mediatica molto intensa. Per mesi, il presidente di Asati ha inviato lettere e proposte a politici e giornali, sperando di sensibilizzare le istituzioni verso un cambiamento delle modalit di governance di Telecom. Ma come per lazione di responsabilit nei
confronti della gestione Tronchetti, il livello di ascolto stato vicino allo zero. Linterferenza del governo nel rinnovo delle cariche ha invece riguardato ben altri aspetti. In un articolo apparso
su la Repubblica, Giovanni Pons propone altri retroscena sulle nomine e sul ridimensionamento della figura di Bernab: Ci

che incredibilmente ha creato pi problemi al manager di Vipiteno (Franco Bernab) e gli ha procurato linimicizia pi forte stata la gestione del polo televisivo che fa capo a La7. Lingaggio di
un professionista delletere come Enrico Mentana ha fatto letteralmente imbufalire il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi,
da sempre preoccupato di garantire alle Tv di Mediaset il futuro
pi roseo possibile. E lo share del 10% raggiunto quasi stabilmente dal tg di Mentana a danno dei concorrenti Tg1 e Tg5
un fatto che Berlusconi fa veramente fatica a digerire. Soprattutto perch La7 (controllata da Telecom Italia) una Tv generalista che si rivolge a un pubblico di moderati, proprio quel bacino di telespettatori che il premier considera pi vicino a lui da
quando sceso in campo36. La7 sar poi venduta un anno dopo.

Azione di responsabilit?
Secondo larticolo 2393 del Codice civile, unazione sociale di
responsabilit contro gli amministratori di unazienda che provocano danni pu essere richiesta legalmente di diritto dai soci
che rappresentano almeno un 5% del capitale. Si tratta di una
quota azionaria in teoria molto piccola da raggiungere, ma in
pratica grandissima per via delle intricate relazioni di potere che
intercorrono tra i vari gruppi azionari. Da anni questa azione legale viene proposta dai piccoli azionisti e dai dipendenti azionisti, chiassosi e battaglieri ma troppo esigui per raggiungere il 5%
e soprattutto troppo scomodi. Unico consigliere del cda favorevole allazione di responsabilit stato Luigi Zingales, che nel
corso della riunione del 16 dicembre 2010 ha espresso la sua opinione. Zingales un economista di fama internazionale, che da
anni scrive che il capitalismo di per s il miglior modello economico, ma che diventa inefficace a causa della peggiocrazia
degli uomini che lo applicano. Giustissimo. Il problema non sono le regole, che abbondano, ma le modalit normative con cui
vengono applicate.

Nelle interviste rilasciatemi dagli onorevoli Luigi Zanda ed


Elio Lannutti, tra i pi attivi sul caso Telecom, la questione dellazione di responsabilit per risarcimento dei danni subiti durante la gestione Tronchetti sarebbe stata discussa pi volte anche in Parlamento. Sul caso Telecom, commenta Elio Lannutti, ho presentato numerose interrogazioni e perfino una proposta di commissione dinchiesta. Ma stata la nomenclatura di un
potere economico schermato dal patto Mediobanca-Intesa-Generali-UniCredit a render vano ogni tentativo.
A dicembre del 2011 gli onorevoli Luigi Zanda e Marco Filippi hanno presentato uninterrogazione chiedendo al governo di
intervenire sul tema delle discutibili attivit svolte nel periodo
2001-2007 dalla societ. La richiesta riguardava inoltre la pubblicazione del rapporto Deloitte, che da anni rimane un documento segreto. Nellinterrogazione lonorevole Zanda ha chiesto
se e con quale tempistica il governo intenda, a seguito dellacquisizione del predetto rapporto, trasmetterlo alle Camere, cos
da permettere il pieno coinvolgimento delle Istituzioni parlamentari in una discussione limpida e in un confronto politico
aperto su una questione di grande gravit e rilevanza.
Quale seguito hanno avuto queste interpellanze parlamentari?
Un silenzio che durato fino allassemblea del cda del 18 ottobre 2012, in cui gli azionisti di controllo per liquidare lazione
di responsabilit hanno optato per unofferta di patteggiamento
da parte di due top manager: Riccardo Ruggiero e Carlo Buora.
Il tutto per la modica somma di 2,5 milioni di euro, cifra ridicola se paragonata alle centinaia di milioni di danni e assolutamente indecorosa rispetto ai bonus percepiti nel 2007, rispettivamente di 17 milioni per Ruggiero e 12 per Buora. Lazione di responsabilit dopo 3 anni finita dunque a tarallucci e vino,
nella migliore tradizione del capitalismo relazionale.
Pur non modificando il giudizio positivo sulloperato di Bernab, in molti sono rimasti delusi, stentando a credere che un
manager della sua caratura abbia potuto tenere una posizione
cos morbida. Sinceramente mi domando: cosa poteva fare di

pi? Bernab in questi anni, nonostante una posizione troppo


diplomatica, ha difeso Telecom da qualsiasi ipotesi di ulteriore
spolpamento, avendo come unico obiettivo quello della riduzione del debito lasciato in eredit dalle gestioni precedenti. Certo,
da solo, un uomo non pu cambiare il corso delle cose. Ma allora perch dallalto non arrivato un intervento politico che sarebbe stato pi che giustificato in un Paese civile?
Al di l delle responsabilit individuali, lunica considerazione
che si pu dedurre, e non ce ne sono altre, quella di un capitalismo relazionale che trova la sua radice nelle istituzioni stesse, politiche, giuridiche, economiche e soprattutto finanziarie. A quellopinione pubblica che ritiene come unici responsabili i soliti noti, quali ad esempio i capitani coraggiosi o Tronchetti e il suo
team di manager, va detto che ridicolo attribuire le responsabilit soltanto a una o pi persone. Cos come fuorviante pensare
che un gruppo di azionisti o di singoli industriali abbia causato
tutte le operazioni inefficienti raccontate in questo libro. Mi dispiace deludere i pi critici, ma le responsabilit sono molto pi
estese e devono essere equamente divise tra tutti: politici in primis,
top manager, fondi istituzionali, banche daffari e azionisti.
Credo che il problema sia dunque di natura strutturale. Le
istituzioni soffrono di quella che gli amanti del gioco del calcio
chiamano sudditanza psicologica. Un po come quando larbitro non se la sente di fischiare un rigore contro una grande squadra. Se lo facesse, la domenica dopo potrebbe avere meno possibilit di arbitrare. Larbitro fischia contro i campioni solo
quando le proteste dei piccoli diventano insostenibili. E da un
tempo oramai atavico la moviola resta solamente il passatempo
del giorno dopo.
Esemplare la copertina del bellissimo Licenziare i padroni? di
Massimo Mucchetti: un arbitro che tira fuori un cartellino rosso.
Se lo facesse almeno una volta contro i padroni, creerebbe un
precedente pericoloso, tale da vanificare tutti quei castelli di carte costruiti da intrecci e relazioni politiche. E si avrebbe un effetto domino tanto grande da aprire una voragine. Un po come

quando nella scalata di una montagna, quando cade il primo cadono tutti in fila uno dopo laltro. Ma per fortuna non tutti gli
arbitri sono uguali e c chi per scelta, per caso o per virt, preferisce giocare nelle piccole squadre. Giocando in queste, la vittoria ha senza dubbio pi gusto.

Il governo Monti: banda o banda larga?


Il biglietto da visita del governo dei tecnici non stato certo confortante: una mole di tasse a copertura degli interessi passivi del debito pubblico e, secondo i maligni, il sospetto che il
premier sia stato scelto proprio per fare gli interessi delle banche
internazionali. Un governo che secondo qualcuno venuto a deprezzare il Paese per renderlo meglio appetibile agli investitori
stranieri: non potendo reintrodurre la lira, lunica svalutazione
possibile quella di fatto. I prezzi delle aziende e dei patrimoni
immobiliari diminuiscono in seguito a tasse e misure di flessibilit salariale che riducono i posti di lavoro, e naturalmente fanno
crollare i consumi, con lunica conseguenza di favorire i predatori che si trovano in agguato. Lo confermano i dati macroeconomici che negli ultimi due anni hanno registrato un incremento del rapporto debito/Pil e un preoccupante aumento del tasso
di disoccupazione.
Sicuramente, i trascorsi di Mario Monti in Goldman Sachs
non sono certo un motivo di orgoglio. Ad alimentare queste voci ci sarebbe anche la notizia riportata il 3 febbraio del 2012 da
lEspresso, secondo cui la prima operazione finanziaria del
nuovo premier, appena insediatosi a Palazzo Chigi, sarebbe stato un bonifico di due miliardi e mezzo di euro alla banca daffari Morgan Stanley, a titolo di restituzione di alcuni derivati sul
debito pubblico italiano. Titoli ad alto grado di tossicit che, invece di essere saldati, avrebbero dovuto essere stracciati. Perch
tra tanti creditori saldare i conti proprio con questa societ che,
insieme alle varie Goldman Sachs e Lehman Brothers, si resa

tra le pi responsabili dellultima crisi finanziaria mondiale? N


Morgan Stanley n il Tesoro hanno voluto spiegare a lEspresso il senso delloperazione, dichiara il periodico.
Curiosamente, le tre banche daffari le ritroviamo nelle operazioni finanziarie che hanno concorso alla svendita delle centrali
telefoniche, uno degli asset strategici pi importanti di un Paese.
Goldman Sachs ha ereditato parte del tesoro immobiliare ceduto sotto la gestione Colaninno, mentre Morgan Stanley, in societ
con Pirelli Real Estate, ha beneficiato della restante parte sotto
la gestione Tronchetti. Se le centrali, dopo i numerosi passaggi
nelle scatole cinesi, cadessero nelle mani sbagliate, non potrebbe esserci il rischio di sistemi di spionaggio alla Tavaroli37?
Tanto pi che queste banche erano proprio quelle che presero
parte al leggendario meeting avvenuto sul Britannia il 2 giugno
del 1992, dove, secondo qualche giornalista dassalto, si gettarono le basi delle privatizzazioni e della svendita del nostro Paese38.
Tutte le maggiori banche daffari internazionali le ritroviamo anni dopo in molti dei passaggi che hanno ridotto Telecom allo stato attuale. Oltre a Goldman Sachs e Morgan Stanley, Lehman
Brothers la rivediamo come societ pivot nellOpa di Colaninno
e, ancora, Merrill Lynch nelle operazioni di dismissione immobiliare di alcune centrali telefoniche attraverso fondi chiusi. Ma
che meravigliose coincidenze! quanto basta ad alimentare le
supposizioni dei teorici del complotto. Per controllare un Paese
bisogna pilotare, oltre ai mezzi di comunicazione, anche tutti i sistemi di telecomunicazione, avere unopzione di acquisto sulle
centrali telefoniche e utilizzare la pi grande azienda italiana come centro di spionaggio politico e industriale. andata cos? A
dir la verit non siamo molto lontani dalla realt dei fatti.
Tali premesse non sono certo incoraggianti per affrontare la
complessit del futuro di Telecom: scorporo della rete o vendita
dellazienda a cinesi, messicani e spagnoli? In realt il governo
dei tecnici cos come prima i governi Prodi, DAlema e Berlusconi non ha mai mostrato alcun interesse sul problema della
mancanza di banda, che pone il nostro Paese agli ultimi posti

della classifica europea. Eppure ci sono centinaia di studi universitari che convergono sul fatto che ci sia una stretta relazione
tra la penetrazione della fibra e la crescita del Pil.
Bench Franco Bernab e Marco Patuano siano riusciti a ridurre il debito da 36 a 28 miliardi di euro, lo scempio compiuto dalle
gestioni precedenti continua a pesare come un macigno che rende
impossibile qualsiasi piano di investimento in innovazione e sviluppo. Occorrerebbe dunque un aumento di capitale39, da sempre
osteggiato da parte di Telefnica, e il tanto discusso scorporo per
proteggere la rete e utilizzare capitali freschi per la cablatura.
Con un rapporto debiti/ricavi pari al 100%, la possibilit di
cedere una parte della rete a fronte di un giusto valore potrebbe
consentire una migliore autonomia finanziaria. Lipotesi dello
scorporo prevede infatti la creazione di una nuova societ (chiamata in gergo Newco), alla quale sono chiamati a partecipare
tutti i concorrenti che accederebbero alla rete in condizioni di
parit. Telecom conferirebbe la sua rete alla Newco detenendo
un pacchetto azionario di maggioranza.
La stima del valore della rete realizzata da Asati (in base al valore attualizzato netto della Newco40, da non confondere con il
valore intrinseco della rete in rame) si aggira intorno ai 12-14 miliardi di euro, e cambia a seconda del mix di tecnologie e dellorizzonte temporale considerato. Nellesempio, se la Newco fosse
valutata 12 miliardi e lex monopolista mantenesse una quota del
75% della Newco, il restante 25% da piazzare sul mercato sarebbe equivalente a 3 miliardi con i quali si potrebbero cablare
in modalit Fttc41 dai 6 agli 8 milioni di abitazioni.
E chi dovrebbero essere gli investitori italiani? In alternativa a
Vodafone, Wind e Fastweb ci sarebbe la Cassa depositi e prestiti, che finanzierebbe loperazione con soldi pubblici vigilando i
processi di governance attraverso una golden power, indispensabile per la sicurezza e lo sviluppo dei piani di investimento. A
questo punto si arriverebbe certamente a una situazione paradossale. Unimpresa pubblica viene privatizzata in nome dellefficienza; i privati distruggono lazienda e sullorlo del precipizio

riappare lo Stato che finanzia con i soldi dei contribuenti i debiti contratti dai privati. Che dire? In pratica, come tornare indietro di 20 anni, ai tempi del progetto Socrate, con lunica differenza che si sono persi decine di migliaia di posti di lavoro e
un tempo enorme nel quale si sarebbero potuti realizzare una
enormit di servizi. Ma nonostante laspetto stravagante, questa
pu essere, a mio avviso, lunica alternativa a un aumento di capitale per difendere gli interessi del Paese, poich in caso contrario lazienda rischierebbe di sparire.
Quali potrebbero essere infatti i piani dei nuovi padroni di Telecom, una volta comprata lazienda? Innovazione e sviluppo o
nuovo drenaggio di ricchezza?

Il piano di Telefnica
Se ci sono due o pi modi di fare una cosa, e uno di questi
modi pu condurre a una catastrofe, allora qualcuno la far in
quel modo. Da queste parole, pronunciate nel 1949 dallingegnere dellAeronautica statunitense Edward Murphy, deriv la
celebre legge di Murphy, nome associato negli ultimi decenni a
una summa di detti popolari di carattere ironico il cui assioma di
base il seguente: Se qualcosa pu andare storto, andr ancora peggio. Nel nostro caso sembra tanto che questa legge ci sia
di aiuto per interpretare il caso Telecom, perch alle sciagure che
ha vissuto lazienda negli ultimi quindici anni sembra proprio
che non ci sia fine. Liquidata temporaneamente dal nuovo governo lipotesi di scorporo con la semplice frase Telecom
unazienda privata, il 23 settembre 2013 il gigante spagnolo delle telecomunicazioni annuncia un sensazionale accordo per lacquisto di tutte le quote azionarie del gruppo Telco, che con il solo 22,4% controlla lintera Telecom.
Il piano prevede una scalata per tappe da concludersi il primo
gennaio del 2014 con luscita di scena di Mediobanca, Intesa e
Generali. Il premier Enrico Letta, intervistato a New York, ha

dichiarato subito di essere molto favorevole allingresso dei capitali europei in Italia, ma non si capisce a quali capitali si riferisca, dato che nemmeno un euro entrer in Telecom. Limpresa
spagnola ha un onere finanziario di circa 66 miliardi di debiti e
difficilmente, anche se ne avesse le intenzioni, potrebbe portare
valore con nuovi investimenti. In realt le ambizioni degli spagnoli sono ben altre, tali da far rimpiangere i pi discussi capitani coraggiosi o Tronchetti con il suo team di manager.
La partita questa volta ancor pi complessa, visto che potrebbero saltare non solo le ultime partecipate estere come il
Brasile e lArgentina, ma anche lattuale assetto della componente italiana che verrebbe frantumata e venduta a pezzi.
Sulla vendita di Tim Brasil i dubbi sono ben pochi, visto che
la stessa Antitrust carioca a imporre una misura del genere per
favorire la concorrenza, poich Telefnica possiede il mobile
brasiliano Vivo. Non sarebbe possibile infatti controllare nello
stesso Paese due operatori. La vendita di Tim Brasil, una gallina
dalle uova doro che ha un valore di mercato di 7 miliardi di euro, favorirebbe gli spagnoli doppiamente. In primo luogo per gli
ingenti flussi di cassa derivanti dalla vendita e in secondo luogo
perch Telefnica si leverebbe di torno un concorrente scomodo
in uno dei mercati pi interessanti del mondo. Il piano di Telefnica sarebbe proprio quello di spartirsi Tim Brasil con i restanti due operatori Claro e Oi Brasil. In alternativa allo smembramento e alla vendita a pezzi ci sarebbe la vendita totale a investitori esteri imponendo un cambio di management tale da impoverire e pregiudicare il futuro di unazienda concorrente. Stessa sorte potrebbe toccare a Telecom Argentina, il secondo asset
strategico di maggior valore del portafoglio di Telecom Italia, il
cui fatturato cresciuto nellultimo anno del 24%.
Ma un piano, per essere veramente diabolico, deve riservare le
maggiori sorprese alla fine. Telefnica entrata nel 2007 nel gruppo Telco in punta di piedi, senza che nessuno sospettasse nulla, e
ora, in un clima di completa anarchia politica quale sta vivendo il
nostro Paese, ha capito che arrivato il momento giusto per sfer-

rare il colpo finale: spezzatino in un boccone, ovvero smembramento con opzione di acquisto di quel che resta. Una volta venduti il Brasile e lArgentina, lipotesi pi realistica verte su di una
divisione dellazienda in sette unit: Tim Italia, la rete di accesso in
rame (in cui fondamentale lultimo miglio), la rete centrale in fibra, le vendite dei servizi del fisso, i call-center, la componente It
e, in ultimo, la gestione delle risorse umane. Una volta effettuato
lo spezzatino, lazienda sarebbe pronta per essere venduta a pezzi
per sanare il debito del nuovo padrone. Ma il nocciolo della questione proprio questo: cosa rimarrebbe di quello che stato un
campione mondiale della telefonia? La situazione assomiglia molto allacquisto speculativo di un appartamento di pregio in cui il
nuovo proprietario per fare cassa lo inizia a vendere gradualmente, in parti. Si inizia con la cessione del garage, della cantina e della soffitta, compresi quadri e mobili di valore. Si passa poi alla divisione in pi unit catastali affinch sul mercato possano valere di
pi. Nel frattempo si tagliano le spese di manutenzione e pulizia e
si rimandano i lavori di ristrutturazione. E alla fine del processo,
quella che poteva essere una reggia si trasforma in una baracca.
Se il piano di Telefnica fosse questo ed difficile immaginarne un altro il valore di borsa della nuova Telecom Italia potrebbe andare a zero, e ci sarebbero le condizioni per una nuova Opa ostile sul 100% delle azioni da parte di nuovi gruppi internazionali. In questo caso la realizzazione di una rete globale in
fibra ottica rischierebbe di ritardare per altri 20 anni con effetti
deleteri sul sistema Paese e in particolar modo nei confronti del
Sud dItalia, i cui tassi di penetrazione della larga banda sono simili a quelli presenti nei Paesi in via di sviluppo.
E i posti di lavoro? Se andasse in porto loperazione di Telefnica ci sarebbero nel complesso dai 10 ai 20mila posti di lavoro
in meno. In particolare, sarebbero penalizzate le risorse umane,
le vendite del fisso e parte della rete per lassenza di nuovi investimenti. Effettivamente, uno degli scopi dello spezzatino sarebbe proprio quello di tagliare i costi del personale creando delle
zone morte in cui i dipendenti andrebbero lentamente a cadere.

Per decenni abbiamo considerato gli spagnoli come fratelli minori, simpatici ma pur sempre secondi. Ricordo ancora il mio
progetto Erasmus a Siviglia a met anni 90, dove in una tesina
di Politica economica avevo relazionato il Pil pro capite italiano
con il Pil pro capite spagnolo evidenziando una differenza del
35%. Allepoca la Spagna era veramente indietro, cos come la
sua azienda di telefonia, il cui fatturato era la met di quello di
Telecom Italia. Ma nellaria cera voglia di cambiamento, come
se da l a poco potessero esserci delle sorprese. Il boom c stato, seguto da una crisi che non ha intaccato per il mondo di Telefnica, che nel corso degli ultimi dieci anni si imposta come
uno dei maggiori player mondiali. Mentre noi scendevamo loro
salivano. Ma il rammarico non risiede nella tipologia del conquistatore, bens nellimpossibilit del conquistato di prendere misure difensive valide. Una incapacit che trae origine da una classe politica subdola e incompetente che ha favorito da sempre
qualsiasi forma di spolpamento.
La stessa critica stata espressa da Franco Bernab nel corso
di unaudizione al Senato al sistema Italia, prima latitante e
ora allarmato: Per arrivare a scelte differenti, ha esclamato il
presidente, commentando il piano di Telefnica a due giorni
esatti dal suo annuncio mediatico, dovevamo tutti quanti pensarci prima. E ancora: Se il sistema Italia fosse stato davvero
cos preoccupato del futuro di Telecom Italia come negli ultimi
due giorni forse sarebbe stato possibile un intervento pi strutturale. Ed sorprendente come ora, a distanza di 15 anni, la
politica si interessi al caso Telecom, ma non perch a qualcuno
interessi veramente il livello di occupazione o lo sviluppo tecnologico, ma perch la cessione di una grande azienda a coloro che
ritenevamo eterni secondi costituisce forse uno smacco per il
prestigio dei politici italiani.
Nei giorni successivi allaccordo tra Telefnica e gli altri soci
di Telco, le istituzioni si sono messe in moto per valutare delle
possibili misure a difesa della rete, considerata per la prima volta come un asset strategico per il futuro del Paese. In questo ca-

so, lipotesi dello scorporo con lintervento della Cassa depositi


e prestiti potrebbe tornare ad essere unopzione possibile. Questa soluzione a mio avviso lalternativa migliore a un aumento
di capitale da 3 miliardi, e senza dubbio lunica per salvaguardare gli interessi del Paese.
Per evitare la scalata di Telefnica stato proposto al governo
anche di cambiare la legge sullOpa obbligatoria abbassando la
soglia sotto il 30% e chiarire le modalit della golden power (ex
golden share). Attualmente, i gruppi azionari che vogliono scalare le aziende non hanno obbligo di Opa se il loro obiettivo il
raggiungimento di una quota del capitale inferiore al 30%. Essendo la quota di Telco pari al 22,4%, Telefnica arriverebbe al
controllo di Telecom senza obbligo di Opa, comprando le azioni dagli ex soci della cordata in base ad accordi privati. Diverso
sarebbe il caso se la soglia fosse abbassata al 20%, in tal caso loperatore spagnolo per avere il controllo di Telecom dovrebbe
lanciare unOpa che le costerebbe molto di pi, rendendo la scalata pi complessa e onerosa.
Rimane come ultima la questione della golden power sulla rete. Con questo nome si indica la possibilit del governo di esercitare poteri speciali sulle aziende che operano in settori strategici quali la Difesa, lEnergia, le Comunicazioni e le Infrastrutture, indipendentemente dallassetto societario dellimpresa in
questione.
E sarebbe una beffa se il governo, a furia di litigare per le solite ragioni campanilistiche, non si muovesse in tempo per fermare la scalata di Telefnica.

Paghino tutti tranne Google e Facebook


Oltre ai problemi inerenti alla realizzazione di una nuova rete,
restano quelli che riguardano le scelte politiche nei confronti
della libert di informazione. Secondo lonorevole Silvio Sircana,
linteresse generale dei politici sarebbe piuttosto ambiguo: Ho

tanto limpressione che a nessuno interessi pi di tanto questa


benedetta banda larga, perch antagonista della politica, dei
giornali e della Televisione non solo quella dellex premier.
Ripensando a queste parole mi viene in mente il celebre film di
John Carpenter, They Live: in una societ basata sul consumo e
controllata da alieni capitalisti, la vita degli uomini condizionata da messaggi subliminali. Il bombardamento televisivo fa s
che esista un unico mezzo di comunicazione gestito e manipolato dalllite dominante. Ma la televisione oramai un mezzo di
controllo obsoleto, visto che la partita del futuro si giocher sul
Web. Il problema dei messaggi subliminali e del controllo informativo ritorna ancora pi minaccioso quando pochi provider
mondiali arrivano a detenere il possesso della maggior parte delle informazioni scambiate sul Web. Oggi Google, Skype e Facebook detengono una specie di monopolio, avendo gi perfezionato sistemi di spionaggio mascherato con i quali arrivano a conoscere perfettamente il profilo del navigatore. Lo scopo non
quello di ricatti o estorsioni, ma quello apparentemente innocuo
del bombardamento personalizzato degli spot pubblicitari. Il navigatore che scrive e-mail o scambia due parole in videoconferenza magari non ci far caso, ma i moderni server sono potenzialmente dotati di meccanismi di registrazione automatica delle
parole, capaci di caratterizzare il profilo dellutente meglio di
uno 007 alle calcagna da mesi. Per comprendere il meccanismo
attraverso il quale opera Gmail, scrive Franco Bernab nel suo
Libert vigilata, proviamo ad applicare le sue logiche al servizio
postale tradizionale []. Il servizio funzionerebbe cos: lutente
consegna la lettera al postino, il quale apre la corrispondenza e
indicizza le parole chiave. Successivamente consegna al destinatario la posta insieme a pubblicit rilevanti rispetto al contenuto
della lettera42.
La faccenda ancora tanto pi preoccupante quanto minore
il numero di soggetti in grado di controllare le informazioni. Se
sul mercato mondiale ci fossero migliaia di provider, probabilmente luso di queste informazioni sarebbe poco utilizzabile a fi-

ni distinti da quelli pubblicitari. La concentrazione delle informazioni nei server di pochi provider favorisce al contrario il rischio di manipolazioni a fini diversi. Per questa ragione i monopolisti della rete costituiscono un grande pericolo per il futuro
delle comunicazioni. Un esempio? La Cia entra ed esce a suo
piacimento nei server di Google per controllare le informazioni
mondiali. Ed per questo che gli over-the-top (in gergo tecnico,
al di sopra della rete) possono agire indisturbati eludendo le regole della privacy di qualsiasi Paese del mondo. La Cia possieder fra non molto 8 miliardi di profili. Attraverso la rete Web,
la rete mobile e la rete bancaria possibile sapere ogni cosa: cosa scriviamo, cosa mangiamo, come ci vestiamo o dove ci muoviamo. Da pi di dieci anni questi grandi gruppi si servono gratuitamente della rete di ogni Paese per far girare le proprie applicazioni incassando lauti profitti senza pagare neppure le imposte. Le sedi finanziarie di Google si trovano alle Bermuda, dove non c alcuna tassazione per i ricavi societari, poich gli ingenti profitti del motore di ricerca viaggiano verso le sabbie dorate attraverso lintricatissima strada nota ai tributaristi con il nome di doppio irlandese. La tecnica interesserebbe anche Facebook, che di recente ha aperto i suoi uffici a Dublino, con il
piano di inviare il denaro guadagnato fuori dagli Usa verso le isole Cayman, altro paradiso fiscale. Il contenzioso con il fisco italiano potrebbe riguardare addirittura 600 milioni di euro di tasse non pagate, pi eventuali multe, cifra pari al salario di 20mila
lavoratori o equivalente a 150mila unit cablate43.
Perch favorire allora ancora una volta questi gruppi di potere internazionale ai danni di contribuenti, consumatori e lavoratori italiani? La conclusione che la nostra democrazia soggetta a una logica di potere che esula dalla sovranit popolare.
Per distogliere lattenzione sullelusione fiscale e sul pericolo
di manipolazione delle informazioni, da anni circolano sul Web
molti studi sullimpatto occupazionale generato da questi gruppi. Lultimo riguardava la creazione di 34mila posti di lavoro in
Italia e 230mila in Europa grazie al solo Facebook. Queste cifre

sono a dir poco ridicole, poich non tengono conto delloccupazione che si perde negli altri settori. Unazienda che utilizza Facebook per farsi pubblicit o per relazionarsi ai clienti, sottrae risorse ai canali tradizionali con un saldo occupazionale estremamente negativo. come considerare che in seguito alla diffusione della telefonia mobilie o al personal computer si siano creati
in Italia 20 milioni di posti di lavoro. Con Google, Skype e Facebook si sta perdendo occupazione poich lunica vera nuova
occupazione quella che deriva dalla creazione di nuove infrastrutture o nuovi servizi a valore aggiunto quali ad esempio le reti in fibra ottica o i teleservizi al cittadino e alle imprese. Solo in
questo caso si pu parlare di nuova occupazione, nei restanti casi loccupazione da considerarsi per la maggior parte come riciclata. Basti pensare che la media mondiale del fatturato per addetto di Google pari a 750mila euro, dieci volte quello di unazienda italiana. Ci significa che ad ogni incremento del fatturato sottratto ad altre aziende (telefonia, pubblicit, editoria, caring, intrattenimento) corrisponde una fortissima diminuzione delloccupazione.
Se per il momento, per problemi di sudditanza politica nei confronti degli Stati Uniti, non possibile ipotizzare sistemi di tassazione per lutilizzo delle infrastrutture di rete, il minimo che si richiede la proposta di unadeguata normativa sul rispetto della
privacy e unimposizione fiscale in linea con le aliquote italiane.

IL VERTICE DELLA PIRAMIDE

La banca larga
E se quanto scritto fin qui affrontasse solo una parte del problema? Se tutte le vicende avvenute in Telecom Italia e, pi in
generale, nel sistema Paese fossero degli elementi di un piano generale con un vertice ancor pi alto e per questo meno visibile
agli occhi dellopinione pubblica e dei media?
Nelle ultime due decadi si sono generate in maniera pi o meno manifesta tesi sul complotto globale che si sono accentuate
dopo gli avvenimenti dell11 settembre 2001 seguiti dallintervento in Iraq. Ipotesi che vedrebbero una lite di Illuminati44
(in prevalenza banchieri) manovrare i destini del mondo come
un abile burattinaio farebbe con le sue marionette. Tali teorie
avrebbero come punto di partenza il controllo del sistema economico attraverso lemissione di moneta, per arrivare al dominio
del pianeta per mezzo del controllo di tutte le autorit finanziarie e tutti i mezzi di comunicazione, tra i quali anche Google e
Facebook, freschi alleati del sistema. Questi argomenti sul Nuovo Ordine Mondiale a prima vista esulano dal caso Telecom ma
ritornano interessanti nel momento in cui si voglia fare chiarezza sui giochi di potere e sulle strutture di controllo del sistema
attuale. Prenderei allora la palla al balzo per descrivere alcune
realt poco chiare le definirei alquanto oscure del sistema
bancario attuale che segnano il destino di tutte le pi grandi

aziende italiane e non solo. Come prima cosa bene fare una distinzione tra potere della moneta e complotto globale. Il primo
si basa su dati facilmente dimostrabili e viene non correttamente definito con il termine signoraggio45. Il secondo si alimenta
esclusivamente di emozioni, intuizioni, congetture o semplicemente supposizioni che, entro certi limiti, hanno una loro validit, ma che spesso degenerano in conclusioni fantasiose e talvolta ridicole.
La Banca centrale europea (Bce) decide la quantit delle banconote da stampare nella zona di circolazione delleuro in base
alle esigenze di ciascun Paese (almeno questo quello che recita
lo statuto), ma fisicamente la maggior parte delle banconote in
circolazione viene stampata dalle banche nazionali degli Stati
membri, o da stampatori privati autorizzati ugualmente soggetti
alle direttive della Bce. La stessa cosa avviene per la moneta elettronica il cui processo di creazione ancor pi semplice: basta
un solo click del mouse e il denaro gi arrivato a destinazione.
Ma cosa la Bce? Non altro che una banca partecipata dalle
banche centrali dei Paesi membri dove la quota spettante alla
Banca dItalia pari al 12,5%. A questo punto la maggior parte
dei lettori potrebbe pensare che, essendo la Bce controllata dalla Banca dItalia, come se il controllo della moneta nazionale lo
avesse lo Stato Italiano. Non cos, poich il 95% della Banca
dItalia appartiene a imprese private, mentre il solo 5% appartiene allInps. Il 50% della Banca dItalia appartiene in particolare a tre aziende: Intesa, Generali e UniCredit (le prime due rinomate azioniste Telecom). Ci troviamo dunque nella situazione
in cui lemissione e il controllo della moneta spettano a una entit appartenente a imprese private. La Banca dItalia crea ad
esempio nuova moneta quando lo Stato ha bisogno di finanziamenti per la spesa pubblica (il meccanismo avviene finanziando
le banche commerciali ordinarie che acquistano titoli di Stato).
Lo Stato ha per lonere di restituire limporto maggiorato degli
interessi. un po come se un tipografo stampasse 100mila biglietti per la finale di Coppa Italia del prezzo di 30 euro ciascu-

no e poi li cedesse ai presidenti delle rispettive squadre dicendo:


Ora voi siete in debito con me di tre milioni di euro [il prezzo
totale dei biglietti], ma gi da subito iniziate a pagare gli interessi. I presidenti, sbigottiti, rifiuterebbero di restituire lintero
importo, sostenendo che il valore del biglietto dato dallevento sportivo e non dalla carta intrisa di inchiostro. Il tipografo allora direbbe: Va bene, utilizzate pure i biglietti anche per le
prossime manifestazioni sportive, ma pagatemi almeno gli interessi. Poi, quando mi restituirete i biglietti io li straccer cancellando il vostro debito. In questo modo il tipografo eluderebbe
il problema della propriet e percepirebbe un tasso di interesse
superiore al costo di produzione dei biglietti. Ma siamo sicuri
che al tipografo convenga che i due presidenti a fine campionato restituiscano i biglietti sanando il debito? E come farebbero
per il campionato successivo le due squadre senza biglietti?
Nel nostro caso la figura del tipografo sarebbe perfettamente
impersonata dalla Banca centrale, mentre i due presidenti potrebbero metaforicamente rappresentare le pubbliche amministrazioni che si indebitano per far fronte alla rispettive spese, il
cui onere pi alto proprio quello per gli interessi passivi del debito. Spese alle quali lo Stato far fronte attraverso i soldi versati dai contribuenti (questi s che sono reali).
Ma cosa la moneta? E soprattutto: a chi appartiene? Secondo logica, la moneta non altro che un mezzo di scambio che al
momento della sua emissione dovrebbe appartenere allo Stato e
non certo a una banca privata. Infatti, un pezzo di carta del costo di 3 centesimi con scritto 500 euro acquista valore solo in
seguito a una convenzione tra tutti gli attori economici. Se un
banchiere stampasse banconote nel deserto, il valore delle banconote non sarebbe neanche uguale al costo di produzione. Uno
Stato sovrano, oltre ad essere il reale proprietario della moneta,
dovrebbe decidere la quantit e gli interessi della moneta emessa in base alle reali esigenze del sistema economico. Ma nella situazione attuale il controllo e la propriet della banconota spetta in pratica alla privatissima Banca dItalia, che la cede in pre-

stito per finanziare le banche commerciali, percependo un tasso


di interesse su di una moneta che, al contrario, dovrebbe essere
pubblica. Questo fenomeno viene definito signoraggio, con riferimento alla pratica di alcuni signori medievali di batter moneta percependo un reddito (nel nostro caso da interessi).
Possibile che nessuno abbia mai avuto qualche dubbio? Qualcuno s: il professor Giacinto Auriti, che port la questione in
tribunale nel 1994, denunciando la Banca dItalia per truffa, associazione a delinquere, usura e falso in bilancio. La tesi del professore era molto semplice: la moneta appartiene al popolo e non
ad aziende private. La Banca dItalia e il Tar rigettarono le accuse e lo sfortunato Auriti fu costretto a pagare le spese processuali. Ma dieci anni dopo il giudice di pace Cosimo Rochira condann la Banca dItalia al risarcimento di circa cinque miliardi di
euro (87 euro per residente) per la restituzione del signoraggio
per il periodo compreso tra il 1996 e il 2003. Il C.T.U. (consulente tecnico dufficio) nella sua relazione, scrive il giudice di
pace nella sentenza 2978/05 del 15 settembre 2005, ha chiarito
che il reddito dellistituto, causato dallattivit e dalla circolazione di moneta posta in essere dalla collettivit nazionale, dovrebbe vedere lo Stato quale principale beneficiario e non gruppi di
privati.
Vorremmo che tale cifra venisse destinata alle vittime dei
crack finanziari, ha commentato il senatore Elio Lannutti, presidente dellAdusbef, lassociazione dei consumatori che ha avviato e sostenuto tutto il processo per la restituzione del signoraggio ai cittadini. Stiamo verificando la messa a punto di questo progetto di legge con gli esperti, conferma il deputato dei
Ds Giorgio Benvenuto. Lo proporremo a tutta lUnione, e anche ai parlamentari della maggioranza che, almeno a parole, hanno sempre preso posizione contro il governatore Fazio. Ma
purtroppo a questa storica condanna non ci fu seguito perch
nel 2006 la Corte di Cassazione impugn la sentenza dichiarando invalida la pretesa di mettere in discussione le scelte con cui
lo Stato italiano configura la propria politica monetaria.

Il signoraggio della Banca dItalia comunque un fenomeno


da qualche miliardo di euro annuali, somma ridicola se paragonata al potere e ai benefici di cui gode lintero sistema bancario
europeo. Il vero problema infatti non risiede nella microscopica
cifra del signoraggio ma nei fini e nelle modalit con le quali vengono programmate e gestite le politiche monetarie. La questione
particolarmente interessante perch tra il 2011 e il 2012 la Bce
ha stampato dal nulla 270 miliardi prestandoli alle banche italiane per far fronte alla crisi. Tutti quanti ci domandiamo ancora
dove siano finiti i soldi perch gli unici risultati certi sono stati
tre punti in pi di disoccupazione e altri 100 miliardi di debito
pubblico. Dove sono finiti dunque i soldi? Non sarebbe allora
pi semplice che lo Stato si riappropriasse del controllo e della
propriet della moneta prestandola a tassi agevolati alle imprese
meritevoli o, in casi limite, stampandola senza indebitarsi? In
questo caso il debito pubblico si ridurrebbe fino a scomparire, e
magari i soldi finirebbero anche nel circuito reale.
Arrivati a questo punto, i fieri difensori del sistema bancario si
giocano il loro asso nella manica: Se lo stato emettesse moneta
senza indebitarsi si creerebbe una iperinflazione mostruosa.
Questa affermazione rappresenta il cavallo di battaglia di tutte le
lobby finanziarie. Lespediente massimo a protezione del sistema
attuale. Quando, al contrario, laumento dei prezzi generato
proprio dal processo con cui la Bce e la Fed (banca centrale degli Usa) emettono moneta a debito. Per sfatare questo falso mito che vorrebbe uninflazione direttamente correlata alla possibilit di uno Stato di emettere moneta, mi appello alla pazienza
del lettore, introducendo un semplice esempio. Una delle equazioni pi semplici della teoria macroeconomica la seguente: M
per V = P per Q, chiamata anche teoria quantitativa della moneta. M la moneta esistente (per semplicit, le banconote
emesse), V la velocit della moneta intesa come il numero di volte che la moneta cambia di mano, P il livello dei prezzi e Q la
quantit di beni prodotta. Lequazione indica che la quantit di
moneta esistente moltiplicata per la sua velocit uguale al Pil

(quantit di beni prodotti moltiplicata per i prezzi). Se, ad esempio, su unisola esistesse una sola banconota da 10 euro e questa
cambiasse di mano in una settimana 10 volte, il valore totale dei
beni scambiati in quella settimana sarebbe pari a 100 euro.
Secondo questa semplice equazione, supponendo costante la
velocit, laumento della quantit di moneta pu influire sui
prezzi come sulla quantit. In casi di piena occupazione un aumento di moneta produrrebbe solamente inflazione (poich Q
al massimo e non pu aumentare). come se sullisola le risorse
fossero tutte utilizzate e tutti gli individui avessero una propria
attivit. In tale caso, non potendo produrre di pi, ad ogni raddoppio della quantit di moneta corrisponderebbe un raddoppio dei prezzi. Ma al contrario, in situazioni di bassa occupazione dove la quantit dei prodotti al minimo, un aumento della
moneta avrebbe un sostanziale effetto sulla quantit piuttosto
che sullaumento dei prezzi. La cosa pu essere spiegata in maniera ancora pi semplice: in presenza di alti tassi di disoccupazione, lemissione di nuova moneta, se veicolata e controllata
verso le risorse inutilizzate, avrebbe il pregio di stimolare nuove
attivit produttive con la conseguente produzione di nuovi beni
e servizi che andrebbero a controbilanciare perfettamente la
nuova moneta emessa. Se cos fosse, quale sarebbe limpatto sui
prezzi? Quasi nullo. Perch la nuova moneta emessa servirebbe
proprio come mezzo di scambio per i nuovi beni prodotti. A pi
moneta corrisponderebbero pi beni e non pi inflazione. Ma
questo dipender ovviamente dal modo in cui sar impiegata la
moneta. Nel caso in cui i processi di gestione e controllo fossero
scarsi, anche in casi di sottoccupazione, lemissione di moneta
potrebbe generare prevalentemente inflazione.
Spero che queste considerazioni aiutino a capire la vera natura
della moneta, che dovrebbe essere solamente un mezzo per facilitare gli scambi e incentivare la produzione. Mentre, cos com
concepita dal sistema bancario attuale, assume i connotati di un
valore privato creato dal nulla, al quale legato il debito di qualcun altro che deve sostenere in maniera indefinita gli interessi.

Arma letale
Prendiamo una banconota qualsiasi la cui serie inizi con la lettera S e sommiamo uno ad uno i numeri della serie fino ad arrivare a un solo numero. Con grande stupore del lettore il risultato sar sempre uguale al numero 7. La stessa cosa avviene per
tutte le altre banconote: per esempio, quelle con la lettera U (relativa alla Francia) daranno come risultato sempre 5 e quelle con
la lettera V (Spagna) sempre 4. Cosa significa? Che le serie numeriche delle banconote non hanno numeri naturali progressivi.
E allora? Allora non sono facilmente controllabili da parte dei
consumatori. Nessuno pu assicurare che non siano state emesse pi banconote di quelle stabilite.
Ma stato sempre cos? Una volta, sulle vecchie banconote in
lire, oltre ai numeri di serie, cera scritto pagabile al portatore.
Da bambino credevo che chi fosse in possesso della banconota
avesse il diritto di comprare quello che voleva per un valore pari al valore della banconota. Invece, pagare al portatore indicava solamente che qualsiasi persona poteva recarsi in banca e
scambiare la banconota con lequivalente in oro. La banca era
dunque obbligata ad avere una certa riserva doro e tutte le banconote dovevano essere emesse in base alle riserve auree di ciascun Paese. Nel caso fossero state emesse pi banconote, e tutti
si fossero presentati in banca a scambiarle con loro, il sistema
sarebbe crollato immediatamente. La contropartita in oro rappresentava la garanzia del funzionamento di un sistema in cui
nessuno Stato poteva fare il furbo stampando illimitatamente
banconote. Ma il sistema dur fino alla met del 1900. Dopo la
Seconda Guerra Mondiale gli americani avevano immesso nel
circuito economico una quantit di dollari di gran lunga superiore al corrispettivo aureo, tanto che nel 1971 Nixon dichiar
che alle banconote emesse non corrispondeva alcuna contropartita in oro. Ci determin la fine del sistema aureo e linizio del
sistema attuale, attraverso cui lemissione di moneta a completa discrezione delle banche centrali quali la Fed anchessa ov-

viamente privatissima e la Bce. Gli americani avevano gi da


tempo compreso che per padroneggiare era necessario avere il
controllo della moneta dollarizzando46 le economie emergenti
che iniziavano a configurarsi come vere e proprie minacce per
lequilibrio mondiale. Paesi come Cina, India o Medio Oriente,
possedendo maggiori risorse umane ed energetiche, avrebbero
ben presto tolto al mondo occidentale il suo ruolo di dominio. E
lunica via per mantenere lo scettro non sarebbe stata altro che
lattuale sistema monetario, con cui la Fed emette banconote a
sua completa discrezione senza contropartita in oro.
E le banche ordinarie? Possono creare moneta in un modo del
tutto singolare. Il lettore si mai chiesto cosa succede quando si
va in banca a chiedere un mutuo, ad esempio per comprare una
casa? A chi appartengono i soldi che la banca concede gentilmente in prestito? Le banche commerciali hanno la possibilit di erogare prestiti in base a quella che viene definita la riserva obbligatoria. Quando negli anni 90 studiavo Economia monetaria, il
coefficiente di riserva obbligatoria (la quantit di denaro che una
banca obbligata a trattenere come riserva su ogni deposito privato) corrispondeva al 10%. Ci significa che se un individuo A
deposita in una banca 1.000 euro, la banca obbligata a tenere come riserva solo 100 euro, e i restanti 900 euro li pu concedere in
prestito a un individuo B. Lindividuo B pu comprare un bene da
un individuo C che deposita i 900 euro in unaltra banca. A sua
volta questa seconda banca tiene come riserva 90 (il 10% di 900)
e pu concedere in prestito i restanti 810. Analogamente, un individuo che prende in prestito gli 810 pu comprare un bene e la
somma finir nuovamente in banca. Continuando con il ragionamento si arriva alla creazione potenziale di una quantit di moneta addizionale pari a 9.000 euro (900 + 810 + 729 + 656 = 9.000)47,
ovvero da un deposito inziale di 1.000 la quantit di moneta potenziale creata nel suo complesso pari a 10 volte di pi. Con lentrata in vigore delleuro il coefficiente di riserva stato abbassato
al 2% per i depositi senza vincolo, mentre per i depositi con vincolo superiore a 2 anni il coefficiente stato azzerato. Cosa signi-

fica? Significa che la quantit di moneta che le banche possono


creare dal nulla pressoch illimitata. Nel caso del 2% il moltiplicatore potenziale uguale a 50, mentre nel caso del coefficiente zero il moltiplicatore potenziale infinito ( come se una banconota potesse essere prestata illimitatamente). Sorpresa? Per chi
ha dimestichezza con leconomia e la finanza certamente no, ma
per chi non ha mai approfondito questi temi potr sembrare assurdo che si possa creare tanta moneta cos facilmente. Si noter
per che attraverso questo sistema la moneta creata non altro
che un debito contratto con le banche. Qualsiasi banconota stampata dalla banca centrale viene prestata a debito, e qualsiasi banconota depositata in una banca ordinaria o secondaria pu dar
luogo a un prestito che costituisce sempre un debito.
E gli interessi? Ecco che si entra nel nocciolo del problema,
perch secondo i pi accorti non sarebbe possibile restituire alle banche i prestiti maggiorati degli interessi. Perch? Per il semplice fatto che non esisterebbe moneta in circolazione per pagare gli interessi. Se tutta la moneta un debito, sostiene Giacinto Auriti, come possibile sanare il debito maggiorato degli
interessi se non esiste moneta che pu coprire questi interessi?
Lunica conseguenza che bisogna emettere nuova moneta di
debito per far fronte agli interessi. Ma cos facendo si entra in un
circolo vizioso attraverso il quale chi contrae il debito non fa altro che indebitarsi per pagare gli interessi.
Un ragionamento facilmente comprensibile dal punto di vista
empirico, visto che il nostro debito pubblico aumenta indefinitamente a causa degli interessi, ma che pu essere chiarito dal
punto di vista matematico nel seguente modo: la banca centrale
stampa nuova moneta con la creazione di un conseguente debito (di chi prende il denaro). Nel circuito dove operano le banche
commerciali ordinarie qualsiasi deposito originato dalla nuova
moneta emessa pu dar vita a molteplici prestiti che corrispondono anchessi a debiti. Si arriva alla conclusione che a tutta la
nuova moneta creata corrisponde un debito. Ma non esiste moneta che corrisponda agli interessi di tutta la nuova moneta crea-

ta. Questo processo di creazione della moneta utile per comprendere fenomeni quali linflazione, la persistenza del debito, i
cicli economici e la recente crisi mondiale.
In un momento di espansione le banche adottano tassi di interessi molto bassi. Le famiglie corrono in banca a contrarre prestiti per la nuova auto, la casa al mare o la prima casa per i giovani che da poco hanno trovato lavoro. Il sistema per effetto della creazione di moneta va bene, cos almeno la convinzione, e
non c problema a contrarre un mutuo a 30 anni per chi ha un
lavoro precario. I titoli in Borsa volano cos come le speculazioni dei gruppi di potere che comprano e vendono nello stesso
giorno. Ma a un certo punto il meccanismo si inceppa: i prestiti
illimitati erogati dalle banche non riescono ad esser corrisposti,
i tassi di interesse per linsolvibilit dei debitori iniziano a salire,
leconomia rallenta e poi si ferma. Questo il momento in cui le
banche iniziano a tirare lamo, come quando si va a pesca. Nellesempio dei mutui subprime (mutui concessi a coloro che non
potevano permetterselo) una quantit enorme di immobili finita nelle mani di fondi e banche private. Si tratterebbe di un
processo di creazione del debito attraverso il quale una lite bancaria internazionale giungerebbe a detenere il possesso di beni
reali quali case, terreni, quote azionarie e, naturalmente, intere
aziende (il caso Telecom lesempio da manuale), controllando
cos lintero sistema economico, compresi i processi di gestione,
privatizzazione e svendita dei beni pubblici.
E cosa fanno i governi per contrastare la crisi? La Bce, come
ancora prima la Fed, tra il 2011 e il 2012 ha prestato pi di mille miliardi alle banche europee a un tasso ridicolo, appena l1%
annuo. Di questi mille miliardi le banche italiane sono quelle che
hanno ricevuto pi soldi, 270 miliardi. Denaro che non andato a finanziare leconomia reale, ma che stato utilizzato per lacquisto di altri titoli di Stato che il Tesoro altrimenti non avrebbe
piazzato. Con la differenza che lo Stato paga interessi che vanno
dal 3 al 6% favorendo la speculazione delle banche; cos come
nota anche Gianni Dragoni in Banchieri & compari, descrivendo

alla perfezione questo abilissimo gioco di prestigio. Lintero processo avrebbe beneficato il circuito di banche commerciali con
ingenti speculazioni in un processo circolare senza fine che crea
solamente debito e inflazione. una montagna di debiti e ci
sbatteremo contro, commenta il 26 novembre del 2012 durante un convegno a Helsinki Kaushik Basu, non un giornalista o un
blogger, ma il capo della Banca mondiale, criticando la scelta
della Bce. Bisognerebbe chiedere ai nostri governanti come sia
possibile che in un Paese in cui ci sono 3 milioni di disoccupati
e 8 milioni di poveri (fonte Istat 2012) vengano distribuiti alle
banche 270 miliardi di euro a fini speculativi. Perch non concedere direttamente alle imprese questi soldi a tasso zero? La risposta semplice: se i governanti sono gli emissari delle banche
private, e il core business delle banche sono i prestiti, questi non
possono che moltiplicarsi.
Con una minima parte del denaro stampato dalla Bce, ad
esempio un quarto di quello assegnato allItalia, si sarebbe potuto dar lavoro per un anno a 3 milioni di persone. Basta dividere
67,5 miliardi (un quarto di 270 miliardi) per un salario medio
lordo di 22.500 euro, ottenendo appunto 3 milioni di salari, esattamente il numero attuale di disoccupati in Italia. Ma ci potremmo accontentare anche del 10% di quella cifra a tasso zero, direttamente impiegata nel sistema produttivo, per ottenere un immediato incremento del Pil con un conseguente aumento del
gettito fiscale che renderebbe inutile lemissione di nuovi titoli di
debito. Mentre nel passaggio attraverso le banche i flussi monetari rallentano, drenano e in parte si perdono in circuiti speculativi che non fanno altro che frenare leconomia e alimentare un
nuovo debito. E pensare che Dante considerava gli usurai peggiori degli assassini, mettendo chi crede che i danari faccian
frutto, li quali di sua natura in alcuno atto far non possono48
nel settimo girone dellInferno, proprio a due passi da Lucifero.
I tempi sono cambiati e la voragine si trasformata in piramide.

Goldman Sucks & Company


Nellantichit era consuetudine rendere schiavi tutti coloro che
non potevano far fronte ai propri debiti. Il titolare del credito poteva decidere cosa fare del proprio debitore. Le modalit variavano da civilt a civilt, dalla Mesopotamia al mondo ellenico,
con pene dalla schiavit perpetua di tutta la famiglia, fino al lavoro forzato per un tempo commisurato al valore del debito. E fu
solamente con Solone, uno degli uomini pi saggi di tutta lantichit, che venne abolita in Grecia tale pratica. Oggi, con riferimento alla nostra situazione economica, qualcuno potrebbe dire
che la vera schiavit quella del debito pubblico. Purtroppo, tutti gli sforzi che stiamo sopportando con una pressione fiscale del
65% (record mondiale di tutti i tempi dopo let feudale), non
sono neanche sufficienti a coprire gli interessi. come lavorare
per coprire gli interessi di un debito che non scende mai. Ma un
debito pubblico cos alto da cosa e da chi dipende?
La risposta immediata punta il dito su ruberie, sprechi e qualsiasi altro drenaggio di risorse generato dalla classe dirigente. Ma
a questi episodi, che non possono essere in nessun modo giustificati, si aggiunge una componente ugualmente grave: la politica
monetaria di creazione del debito e lammontare dei tassi di interesse applicati. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita non controllata del debito pubblico a causa del disavanzo
di bilancio (differenza tra entrate e uscite dellerario), dove la
componente degli interessi passivi sul debito accumulato ha giocato un ruolo fondamentale. Tali disavanzi non sarebbero stati
possibili senza questo sistema monetario, e lultima decisione
della Bce di finanziare il sistema bancario al posto di quello reale la prova lampante che ci siano interessi contrari al benessere della collettivit. Sommando tutti gli interessi pagati negli ultimi 30 anni si ottiene un numero superiore a quello che lammontare del debito pubblico italiano. In poche parole: se ci fosse stato un tasso di interesse uguale a zero il debito pubblico sarebbe estinto da tempo. Se invece il tasso di interesse fosse stato

uguale al tasso di inflazione maggiorato di due punti percentuali il nostro debito sarebbe la met di quello che oggi.
Ma il maggior guadagno delle banche, compresa quella centrale, non risiede tanto nei profitti da interesse, quanto nel controllo delleconomia reale. Chi si concentra esclusivamente sul
signoraggio delle banche centrali o sul guadagno delle banche
commerciali compie una grossa leggerezza distogliendo lattenzione dal problema reale. Qui non si parla di quanto il banchiere si metta in tasca in seguito ai tassi di interesse, ma del potere
che esercita sulla societ. Emettendo a debito, infatti, banche
centrali e banche commerciali possono decidere chi finanziare e
chi no (non sono costrette a finanziare tutti), decidendo di fatto
il modo in cui si svilupper il sistema economico e, di conseguenza, quello sociale. Immaginiamo ad esempio una grande
azienda o una Pa che debba cercare di convincere gli istituti di
credito a finanziarla presentando il nuovo piano industriale. Da
chi saranno scelti gli amministratori? In pi, se il debitore ha difficolt a pagare perde i beni posti a garanzia del prestito (la casa, se parliamo di un mutuo o le quote azionarie, nel caso di
aziende) e questi non si distruggono certo quando la banca se ne
impossessa. assurdo che, a fronte della digitazione di numeri
su un terminale, il banchiere ottenga diritti su un bene reale per
il quale non ha contribuito in nessun modo alla realizzazione. Di
questi tempi si parla esclusivamente di riduzione del debito attraverso la vendita del demanio pubblico, di privatizzazione dellacqua e di altri servizi pubblici. Mi domando cosa succederebbe se lacqua di alcune realt locali venisse privatizzata, come
successo con il telefono. E mi domando anche se per ridurre il
debito lo Stato sar costretto a vendere parte dei suoi tesori artistici. Chiss, forse il Davide di Michelangelo potrebbe finire nel
salotto di qualche sceicco o la Venere di Botticelli in qualche
priv notturno di propriet di un magnate russo.
Torniamo al caso Telecom, e al suo indebitamento. Unazienda pubblica che scoppia di salute viene privatizzata a tempo di
record senza alcun controllo sui processi di governance. Nei cin-

que anni che seguono si assiste a un incremento del debito del


600% (da 8 a 45 miliardi di euro). Considerando che parte di
questo debito stato contenuto con una durissima politica di dismissione degli asset strategici, si arriva a un reale incremento
dellonere finanziario pari al 900% (da 8 a 61 miliardi di euro).
Qualcuno potrebbe per pensare che questo folle incremento
sia servito a qualcosa, magari a costruire una nuova rete o a creare nuova occupazione. La risposta, come abbiamo visto, negativa: lazienda ha perso 70mila posti di lavoro, che si sono aggiunti al gi numeroso esercito industriale di riserva e si ritrova la stessa infrastruttura che aveva a fine anni 90. Allora non
lecito domandarsi ma cosa sta succedendo? Le varie fusioni e
acquisizioni a debito, invece di creare valore aggiunto, lo hanno
distrutto, ostacolando linnovazione e il progresso. Lequazione
Telecom = debito = moneta = potere = controllo = schiavit, dove questultimo termine si traduce da una parte in disoccupazione galoppante e dallaltra in mancato sviluppo, ora forse apparir pi chiara.
Quello di Telecom non un caso isolato. Accanto allex monopolista dei telefoni ci sono altre ex aziende pubbliche. Insieme a Enel troviamo Eni, Alitalia, Trenitalia o realt locali come
ad esempio Acea, e risulta quanto mai singolare che tutte le
aziende strategiche di un Paese (telefonia, energia, acqua, gas e
trasporti) si trovino chi pi chi meno nella stessa situazione.
Aziende ovviamente presiedute dalle banche anche nei loro organi decisionali e amministrativi.
Che ci sia dunque la cospirazione di un Nuovo Ordine Mondiale per controllare i singoli Stati, con le rispettive aziende chiave, attraverso lo strumento della moneta? Se si cambiasse la parola cospirazione con globalizzazione, e le parole Nuovo
Ordine con finanza mondiale, potrei anche essere daccordo,
tralasciando assurdit quali incappucciati, club segreti o riti occulti. Nel caso Telecom, gli ingredienti ci sono tutti: indebitamento fuori controllo, svendita degli asset attraverso le solite
merchant bank, controllo totale del cda da parte di cordate fi-

nanziarie, operazioni di dossieraggio illecite su cui calato il segreto di Stato e tante altre coincidenze. In alcuni di questi episodi la collusione con la finanza internazionale e la sudditanza
delle istituzioni politiche una realt evidente. La nostra classe
politica troppo ignorante, corrotta e subdola per potersi permettere di competere contro questo tipo di poteri che muovono
masse ingenti di denaro. Queste lobby finanziarie, muovendosi
in un habitat naturale senza ispezioni e controlli, hanno trovato
nel nostro Paese le condizioni ideali per il saccheggio. La madre di tutte le scalate viene da lontano, da molto lontano. Sono
gli strateghi di due importanti banche daffari internazionali a
progettarla. Lidea nasce dal team di raider della Lehman
Brothers e della DLJ. Sono probabilmente loro a insegnarci la
magia del leveraged buyout su larga scala, con il quale si arriva a
possedere la pi grande azienda del Paese. Successivamente toccher a Morgan Stanley e Goldman Sachs occuparsi dei tesori
dellex monopolista telefonico nel completo silenzio assenso dei
politici italiani. E, guarda caso, la cupola delleconomia mondiale composta proprio da queste tre banche daffari che insieme
alla Chase Manhattan (la societ che ha prestato i soldi ai capitani coraggiosi) sono i controllori della Fed, la pi potente istituzione finanziaria del mondo. Il cui modello di business stato
copiato dalla Bce e i cui uomini sono presenti in ogni istituzione
finanziaria. I governi non governano il mondo. Goldman Sachs
governa il mondo. E Goldman Sachs se ne frega delle misure di
salvataggio. Queste le parole di un trader finanziario londinese
intervistato dalla Bbc il 26 settembre 2011. Una crisi cos me la
sognavo da anni, racconta il trader in mondovisione, ogni sera vado a letto sperando in unaltra recessione. E che dire del
nefasto processo di privatizzazione di Telecom Italia condotto a
tempo di record per accontentare i parametri di Maastricht per
lentrata nella zona euro?
Alla luce di queste considerazioni bisogna dare ragione a chi
ritiene che il debito pubblico non sia altro che unipnosi di massa, o un problema linguistico per mascherare il sistema di dre-

naggio di ricchezza da parte delle lobby finanziarie? corretto


pensare che se lo Stato si riappropriasse della sovranit della moneta stampando banconote non ci sarebbero pi privatizzazioni
e aziende sul lastrico? corretto pensare che con il ritorno alla
lira si avrebbe una maggiore autonomia finanziaria?
Una cosa certa: cos come stato architettato, il sistema monetario della Bce appare estremamente inefficiente e totalmente
iniquo; costringe gli Stati a indebitarsi, rende inevitabili le privatizzazioni, ostacola i nuovi investimenti e favorisce il potere finanziario attraverso il controllo del debito. Tutto a vantaggio di
una lite internazionale, formata da banche e istituti finanziari
che galleggiano indisturbati al di sopra dei poteri giuridici e politici di uno Stato democratico.
La questione sul come riprogrammare le politiche monetarie
non n semplice n immediata. Un sistema dove la moneta sia
equa, efficace e totalmente efficiente solo unutopia. Ma in momenti di forte crisi andrebbero sperimentate soluzioni miste,
dando ai singoli Stati parziale autonomia. Magari in singoli progetti strategici e facilmente gestibili come la larga banda per rilanciare linnovazione e lo sviluppo tecnologico, concedendo
prestiti a tasso zero o stampando moneta senza indebitarsi. A
mali estremi, estremi rimedi.

LULTIMO TRENO

Una generazione disillusa


Nonostante io nutra ancora delle forti speranze sul rilancio
dellazienda, mi domando se i miei timori e i miei dubbi sui valori e sui fini dellattivit produttiva si riferiscano a un caso isolato, quello di Telecom, o a un caso congiunturale, dovuto magari al particolare momento storico di decadenza del Paese. Da
ogni parte vedo giovani della mia generazione, che, arrivati alla
soglia dei quaranta, non sono pi sicuri e convinti delle prospettive della propria attivit lavorativa. Vedo molti fuggire allestero, altri inventare nuove attivit e altri ancora sognare di cambiar
vita con la semplice frase adesso basta. Vedo amici che prima
lavoravano convinti di far parte di un gruppo vincente trascinarsi a forza la mattina in ufficio. Vedo quasi tutti perplessi, oltre
che dal fattore economico anche e soprattutto dalle aspettative
di realizzazione professionale. Ma la cosa paradossale che per
molti della mia generazione non ci sono aspettative.
Le aspettative, soprattutto quelle professionali, hanno un peso
se contestualizzate in una scala di valori. Ma, appunto, di quale
scala di valori parliamo? Merito, onest intellettuale, dedizione al
lavoro, seriet professionale, approfondimento delle conoscenze?
Come si pu disegnare una scala di valori aziendali tollerando cda
di grandi aziende in cui risiedono persone indagate per fatti accertati? Come possibile avere punti di riferimento, se i modelli

sociologici dominanti sono esclusivamente quelli dello yes-man?


Questo tipo di modello comportamentale alla lunga tende ad annichilire la personalit del dipendente relegandolo in una sfera di
immobilismo improduttivo. Il danno che il capitalismo relazionale ha prodotto non si limita infatti allo spreco delle risorse o al taglio di centinaia di migliaia di posti di lavoro ma coinvolge anche
la sfera psicologica dellindividuo. In questi anni, soprattutto per
chi come me ha vissuto il boom e il crollo delle telecomunicazioni, frequente stato il caso di amici e colleghi alle prese con attivit di mobbing o vittime di tagli occupazionali dovuti agli ingenti sprechi della casta dominante. Io stesso mi ritrovai a rischio dopo che la gestione Tronchetti vendette la quota nella partecipata
spagnola Auna. Ricordo che la settimana che annunciarono la
vendita, tutti noi italiani vivevamo in azienda unatmosfera surreale. Quel weekend di luglio del 2002, per scaricare la tensione,
con alcuni colleghi andammo a Pamplona a correre con i tori nel
celebre encierro de San Fermn. Alle otto del mattino di una domenica piovosa ci ritrovammo dentro a una specie di gabbia che
conteneva centinaia di corridori. Quasi soffocati dalla massa, non
capivamo neanche quello che bisognava fare. Poi, allo scoppio di
un petardo, la gabbia si apr e tutti iniziammo a correre in una volata confusa verso la plaza de toros, punto di arrivo della corsa. Era
una sfida, ma anche e soprattutto una fuga nervosa dai pericoli
che si addensavano minacciosi, come i tori che ci inseguivano.
Oltre ai disagi arrecati dallinstabilit del posto di lavoro, mancano gli incentivi alla creativit e allinnovazione, motore di qualsiasi crescita economica. La capacit produttiva dipende essenzialmente dagli stimoli intellettuali e dagli obiettivi professionali. Se lobiettivo far carriera in uno scenario in cui la figura di
riferimento il dipendente sempre obbediente e remissivo, allora la creativit e lautostima vengono meno. A ci si aggiunge il
bombardamento dei segnali mediatici che crea a volte delle
aspettative irrealizzabili circa beni di consumo inutili. Lincapacit di raggiungere questi stili di vita provoca insoddisfazione,
perdita di autostima e, alla fine, disperazione.

Ma il modello dellimprenditore elegante, ricco e fortunato, che


veste abiti da diecimila euro, che va in barca a vela, corre in autostrada e siede in tribuna allo stadio, un modello socialmente perdente. Lo dimostrano i risultati e non le chiacchiere dei periodici.
Ma allora cosa bisognerebbe fare in concreto per reagire a
questa fase di medioevo politico-economico? Occupare la Borsa, la Banca dItalia o ancora meglio la Bce come qualcuno suggerisce per ricreare un movimento simile a quello di Occupy
Wall Street?
Non credo che queste soluzioni siano le migliori. Piuttosto, ritengo che la battaglia prioritaria dei piccoli azionisti e, pi in generale, di tutti i cittadini sia quella di lottare con due armi:
linformazione e lunione. Quando ho iniziato a lavorare a met
degli anni 90 nello sviluppo delle nuove tecnologie informatiche, non avrei mai pensato e quando qualcuno me lo diceva mi
veniva da ridere che un giorno i contenuti dei pi famosi siti
sarebbero stati possibili solo grazie alla collaborazione simultanea e gratuita degli altri utenti. Ma non dovrebbe stupire perch
la logica del Web molto elementare: lunione fa la forza.
Per risollevare i destini di Telecom bisognerebbe realizzare
dunque una grandissima operazione di marketing per chiamare
a raccolta le centinaia di migliaia di azionisti che in questi anni
hanno assistito inermi al crollo del titolo in Borsa. E cosa potrebbero fare se non dare una delega ai piccoli azionisti indignati per difendere i propri interessi? Bisognerebbe inoltre far
leva sullazionariato italiano polverizzato negli oltre 400mila piccoli azionisti.
Per ora solo un progetto, ma la sfida di Asati chiara: arrivare nel giro di cinque anni a creare una coalizione pari al 10%
delle quote azionarie per mandare uno o pi membri al cda. Ma
questa una sfida che non riguarder solo Telecom, bens tutte
le aziende italiane per il bene e il futuro del Paese.
Se un movimento politico con il potere del Web ha preso milioni di voti, cosa potrebbero riuscire a fare 600mila piccoli azionisti per contrastare i poteri forti? Contrariamente a quello che

dicono galoppini e lustrascarpe, non credo sia difficile. Sar solamente questione di tempo. Ed qui che riesco a vedere, dopo
averne visto i limiti, tutte le potenzialit della mia generazione.

La stazione
Arrivati alla fine di questa storia, come se ci trovassimo in
una stazione ferroviaria dismessa, desolata, quasi fantasma. Sentendo in lontananza il fischio dellultimo treno, abbiamo la speranza di correre con tutte le nostre forze e prenderlo al volo prima che parta. Ma nella stazione Telecom, la decisione di correre
spetta principalmente a politici, gruppi di interesse e top manager. Chi ha lavorato nel gruppo Telecom, e prima ancora in Sip,
ha avuto lorgoglio, in un tempo oramai remoto, di appartenere
a un colosso mondiale delle telecomunicazioni. La parola Telecom era sinonimo di crescita. Era sinonimo di comunicazione,
unione e contatto. Oggi chiaro che lo scopo della privatizzazione stato principalmente quello di drenare ricchezza. Non
consola neanche sapere che altre importanti realt aziendali sono nella stessa condizione. Se osserviamo la triste fine di Cirio e
Parmalat, le condizioni critiche di Alitalia, gli scandali che hanno coinvolto Eni per la questione delle alterazioni dei contatori
del gas, le scorrettezze del settore bancario e assicurativo, ci rendiamo conto che si tratta di una crisi generale di sistema. Nel caso specifico di Telecom Italia, la sua capitalizzazione di Borsa,
quindi il suo valore sul mercato passato da 120 a 10 miliardi, il
suo dimensionamento da 120mila a 50mila dipendenti, il suo debito da 8 a 45 miliardi di euro (2005). Il suo titolo da 4 a 0,5 euro. Di fronte a questi numeri non sono forse giustificate azioni di
responsabilit, appoggiate dal governo, dalle istituzioni, dai media e da tutti gli azionisti?
Oggi, per tornare alla metafora della stazione ferroviaria, ci sono soltanto due possibilit: perdere lultimo treno o salire e guardare avanti. Nel primo caso lazienda, se seguitasse ad essere ge-

stita come successo negli ultimi 15 anni, si ritroverebbe con un


organico di 20mila dipendenti. Continuerebbe a erogare servizi
oramai obsoleti per poi agonizzare lentamente. Qualora si riuscisse a salire sul treno delletica e dellinnovazione le cose sarebbero diverse: Telecom pu e deve rilanciarsi. Il settore delle
telecomunicazioni costituisce uno dei settori chiave per la crescita economica di un Paese avanzato. Le opportunit insite nello sviluppo del settore sono pressoch infinite: dai servizi alle imprese in tema di esportazioni, alle varie applicazioni che coinvolgono i settori della sanit, della mobilit, della didattica, dellintrattenimento e del turismo. Un nuovo mercato che potr
fruttare nei prossimi anni decine e decine di miliardi e che potr
costituire una nuova linfa vitale in termini di impatto occupazionale e crescita del Pil. Cosa aspettiamo, dunque?

DALLA BANDA ALLA BANDA LARGA

La farsa della disoccupazione tecnologica


Lespressione banda larga, fin qui ironicamente utilizzata
per descrivere un allegro gruppo di suonatori, in questo capitolo torna ad essere inteso nel suo originale significato tecnico, ossia come infrastruttura di rete ad alta capacit trasmissiva in grado di supportare tutta una serie infinita di servizi innovativi.
Banda larga sinonimo di sviluppo e di innovazione, ma, come avviene in ogni rivoluzione tecnologica, la diffusione di Internet ha creato e distrutto nello stesso tempo attivit produttive e commerciali un tempo stabili, tanto da richiamare il famoso
problema della disoccupazione tecnologica49.
Negli ultimi anni, sia in Europa sia negli Stati Uniti, dopo le
sbornie della new economy, molti operatori di telefonia, con riferimento ai servizi tradizionali (telefonia fissa e mobile), hanno avvertito forti segnali di crisi. Una crisi che iniziata con la diffusione totale sul mercato dei servizi VoIp (Voice over Ip, servizi di telefonia sulla rete Internet), che andranno a erodere rapidamente
gran parte del fatturato fisso e mobile di tutti i pi grandi gestori.
Il fenomeno pi generale noto agli ambienti delle telecomunicazioni con il nome di over-the-top, indicante la capacit dei grandi gruppi quali Google, Skype, Facebook, eBay e tanti altri di monopolizzare le comunicazioni senza aver investito neanche un euro in infrastrutture. Questi grandi gruppi si servono della rete per

far girare gratuitamente le proprie applicazioni (comunicazioni,


chat, video, musica), che si sostituiscono ai canali tradizionali (essenzialmente le chiamate da telefono fisso e mobile).
Ma la perdita in Telecom di migliaia di posti di lavoro da attribuire soltanto alla disoccupazione tecnologica e alla concorrenza, cos come hanno cercato di spiegare alcune autorevoli
fonti a difesa dei tagli occupazionali, oppure c dellaltro? Questi due fattori sono sicuramente rilevanti, ma nel caso specifico
di Telecom le ragioni sono ben altre. In primo luogo, perch lo
spreco di risorse compiuto dai vari gruppi di interesse stato
ben superiore al taglio dei costi relativi al personale. Inoltre, nel
corso degli anni 2000 la rivoluzione informatica avrebbe potuto
consentire lassorbimento di tutte le risorse in eccesso verso lo
sviluppo dei nuovi servizi a valore aggiunto diversi dalla voce e
dalla trasmissione dei dati. quello che probabilmente sarebbe
avvenuto se limpresa fosse rimasta sotto il controllo dello Stato
realizzando il progetto Socrate finalizzato alla cablatura di 20
milioni di abitazioni.
La privatizzazione di Telecom Italia ha, di fatto, strozzato gli
investimenti ostacolando linnovazione e lo sviluppo di servizi
che gi oggi avrebbero potuto compensare la perdita di fatturato dovuta alla liberalizzazione e alla riduzione delle tariffe di voce. Negli ultimi dieci anni, mentre i gruppi di interesse si azzuffavano per il controllo dellazienda, senza mai pensare al futuro,
nel mercato iniziavano a svilupparsi tutta una serie di nuove applicazioni: case e automobili intelligenti munite di sensori collegati alla rete mobile, negozi e condomini protetti da videocamere collegate a centri di controllo, anziani in mobilit seguiti da
sistemi di monitoraggio, certificazioni, mappe catastali e pagamento di imposte online, ambienti di lavoro virtuali, universit e
scuole capaci di erogare servizi di formazione a distanza, piccole botteghe artigianali in grado di vendere oltreoceano, e soprattutto il fenomeno dei social network e del Web 2.0.
Tutto ci fa pensare che, almeno in teoria, il problema della disoccupazione tecnologica sia una gigantesca montatura. Qualsia-

si processo di innovazione comporta in s la creazione di nuove


opportunit che si possono tradurre nello sviluppo di nuovi mercati. E, non essendoci limite alla fantasia umana, ne consegue che
i mercati sono illimitati. Se da un lato Internet ha dato la possibilit di usufruire di servizi di voce gratuiti, dallaltro ha comportato la possibilit di sviluppare uninfinit di servizi nuovi. E la chiave per interpretare il futuro risiede proprio nella possibilit di analizzare queste opportunit per capire se, e in che modo, un operatore globale come Telecom Italia possa sfruttare le nuove esigenze
del mercato.
Personalmente non ho mai creduto che la disoccupazione
tecnologica del settore fosse uninevitabile conseguenza della
rivoluzione informatica degli anni 90 e non ho mai creduto nelle teorie marxiste che ipotizzavano una graduale diminuzione
dei lavoratori in seguito allintroduzione delle macchine. Questa
tesi, appoggiata di recente da alcuni economisti liberali, suona
come lennesima storiella a supporto dei fallimenti di molte privatizzazioni. Ogni innovazione, se utilizzata per fini comuni, non
pu che giovare alla collettivit. Affinch non produca disoccupazione tecnologica, dovrebbe essere guidata e supervisionata
da un soggetto diverso dallimpresa privata che, invece di trarne
esclusivamente profitti (in seguito alla riduzione dei costi), possa incrementare il benessere sociale aumentando la gamma di
servizi. Linnovazione dovrebbe essere intesa come un bene pubblico che, a differenza di un bene privato, non segue le logiche
della concorrenza e del profitto.
Sullimpossibilit di una disoccupazione tecnologica di lungo
periodo concordano non solo gli economisti keynesiani, ma anche i padri fondatori dellEconomia politica di matrice liberale,
come leconomista francese Jean-Baptiste Say famoso per la legge che porta il suo stesso nome. La legge di Say o legge degli
sbocchi ci suggerisce infatti che lofferta crea sempre la propria
domanda e che qualsiasi impiego dei lavoratori tale da generare un salario sufficiente per assorbire i beni prodotti sul mercato. E qualora questo meccanismo automatico fallisse, ci sareb-

be lo Stato a garantirlo attraverso incentivi economici e fiscali


per la piena occupazione.
Elaborando questa teoria in chiave moderna, si arriverebbe alla conclusione che tutti quei lavoratori sostituiti dal progresso
tecnologico avrebbero sempre la possibilit di trovare nuove occupazioni nella produzione di servizi innovativi. Effettivamente,
lo sviluppo delle nuove tecnologie ha comportato la possibilit
di erogare attraverso reti fisse e mobili una molteplicit di servizi destinati al mercato residenziale, a quello business e a quello
delle pubbliche amministrazioni. La videosorveglianza, la teleassistenza, la telemedicina, linfomobilit, la domotica, il monitoraggio ambientale, il commercio elettronico e la teledidattica sono forse gli esempi pi interessanti. Ed proprio in questi settori che dovrebbe trovare impiego gran parte dei lavoratori considerati eccedenti, qualora ci fossero piani di investimento su larga scala coordinati attraverso interventi pubblici.
Qualsiasi prospettiva di crescita dipender per dalla presenza di infrastrutture di base in larga banda capaci di reggere lofferta di questi servizi. Risulta dunque indispensabile per il Paese
sostituire completamente la rete esistente, composta dal doppino in rame, con una rete in fibra ottica. La rete tradizionale con
il doppino in rame consente un limitato trasporto dei dati, insufficienti per lerogazione di servizi ad alta qualit (almeno 1020 megabit al secondo) o per lerogazione contemporanea di servizi che si basino su di un frequente scambio di dati. Si pensi ad
esempio a una abitazione del futuro dove contemporaneamente
saranno attive applicazioni di intrattenimento (Tv su Internet in
HD o 3D), applicazioni interattive relative ai videogame o alla
teledidattica, applicazioni relative alla domotica (sensori collegati agli impianti elettrici e idrici), applicazioni di telemedicina
(monitoraggio della pressione cardiaca e degli altri parametri vitali) e applicazioni classiche di navigazione o di shopping online.
Fondamentale anche la relazione tra larga banda e made in
Italy. Oggi le esportazioni e il turismo rappresentano una delle
maggiori possibilit di ripresa del Paese. Forse lunica. E le tele-

comunicazioni e le applicazioni informatiche possono rappresentare uno strumento formidabile per lo sviluppo e la conquista dei mercati esteri dal momento che si pongono come un vero e proprio prolungamento internazionale delle piccole e medie
imprese. Un capitolo a parte spetta poi al telelavoro e agli ambienti professionali virtuali che nel futuro giocheranno un ruolo
chiave. Non si esclude infatti che in molte aziende la pratica del
lavoro a distanza possa diventare una prassi abituale. Gli impatti sulla mobilit, sullambiente, sulla qualit della vita e sul consumo energetico sarebbero enormi.

Ritorno alleconomia keynesiana?


Alla luce di tutte le considerazioni in precedenza affrontate,
quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato nella vicenda Telecom
Italia? Sembrerebbe inevitabile un processo inverso a quello della privatizzazione, e cio il ritorno di una partecipazione statale
nella governance, non relegata al semplice finanziamento dei debiti contratti con le banche, ma rivolta soprattutto al rispetto
delle norme e allo sviluppo di piani industriali capaci di rilanciare lazienda.
E se pu apparire provocatorio parlare di un ritorno del settore pubblico nelleconomia, risulta quantomeno indispensabile
un maggiore intervento dello Stato in tema di controllo e innovazione. Una nuova rete in fibra ottica fondamentale, se il Paese vuole salvaguardare il proprio sviluppo economico e la propria crescita. Si tratta di investimenti che si aggirano intorno ai
10 miliardi di euro, cifra contenuta, se paragonata agli sprechi
annuali generati dalla casta dominante.
Il problema dunque non la mancanza di risorse, ma piuttosto come queste vengano spese e come si possa attuare un controllo che esca dalla logica dei gruppi di interesse. Lo Stato dovrebbe controllare, per mezzo di organi competenti, tutti i processi che hanno come oggetto bilanci e piani di investimento del-

le grandi aziende. Dovrebbe sanzionare episodi di sperpero e


cattiva gestione, e porsi il problema della protezione dei posti di
lavoro, individuando le responsabilit di coloro che sono stati
complici nello spreco delle risorse.
La realizzazione di uninfrastruttura in fibra ottica del costo di
8 miliardi di euro, per la cablatura di 15 milioni di abitazioni, ha
un impatto occupazionale pari a 40mila posti di lavoro (fonte:
modello Ngn Asati presentato a Telecom Italia, aprile 2012). Se
i soldi fossero spesi bene, nel giro di alcuni anni ritornerebbero
nelle casse dello Stato in seguito alla crescita del Pil. E non ci sarebbe neanche il bisogno di coprire questi investimenti con ulteriori imposte o facendo ricorso al debito. Un buon investimento pubblico pu infatti avere dei ritorni economici, in termini di gettito fiscale, ben superiori allesborso iniziale. Ce lo insegnano i princpi delleconomia keynesiana e non i princpi delleconomia liberista che in seguito alla crisi mondiale ha mostrato tutti i suoi limiti. Uno studio effettuato dallUniversit Bocconi in collaborazione con lAgcom ha misurato la correlazione tra
la diffusione e lutilizzo della fibra ottica e il Pil pro capite di
quattordici Paesi europei. I dati statistici riscontrati dimostrano
che esiste una netta corrispondenza tra la crescita del Prodotto
interno lordo e la diffusione della banda larga. I risultati della simulazione evidenziano che un investimento di 10 miliardi possa
nel giro di 10-15 anni produrre un incremento del Pil superiore
a 60 miliardi50. In sintesi: con investimenti pari a 10 miliardi lo
Stato avrebbe nel lungo periodo degli introiti fiscali pari a 30 miliardi (considerando una pressione fiscale del 50%), con un ritorno economico di circa il triplo.
Cosa ci vorrebbe dunque? Una banca pubblica per linnovazione, posseduta al 100% dal popolo italiano, che stampi moneta indipendentemente dalle direttive europee. Cos come hanno fatto gli Stati Uniti per decenni, quando hanno abbandonato
il sistema aureo. Per evitare il crollo del Paese attraverso un avvitamento economico51, fin qui nascosto dai governi e dai media,
arrivato dunque il momento di tornare ai princpi di base: una

politica fiscale equa e una politica monetaria controllata dallo


Stato. Tutta linnovazione dovrebbe essere finanziata con moneta di nuova emissione, senza che a questa corrispondano nuovi
titoli del debito pubblico. La nuova moneta emessa avrebbe
per il pregio di assorbire sacche di disoccupazione creando
nuovi impieghi. E non ci sarebbe neanche il pericolo dellinflazione perch la domanda aggregata talmente bassa da non alterare minimamente lequilibrio dei prezzi. una provocazione?
Assolutamente no. Se i governi decidono di mantenere le direttive della Banca europea perch lo impone la Germania, dovrebbero perlomeno creare delle entit finanziarie indipendenti,
tali da poter gestire momenti di grave crisi come quello che stiamo vivendo. Nella situazione in cui siamo giunti, con un rapporto debito/Pil del 130%, il nostro Paese non potrebbe andare da nessuna parte, specialmente dopo le cure del governo
Monti, che in seguito al nuovo salasso non ha fatto altro che peggiorare i conti.
Unalternativa pi realistica alla stampa di moneta non coperta da debito sarebbe quella di utilizzare in questi progetti speciali tassi di interessi nulli o negativi. Ci avrebbe il duplice pregio di controllare linflazione e assicurare lefficienza dei risultati. Ovviamente, qualsiasi misura straordinaria dovrebbe essere
seguita da una rigorosa e precisa metodologia di controllo.
Sono questi i temi su cui dovrebbero riflettere tutte quelle istituzioni che abbiano a cuore il rilancio di un Paese. Poich non
pu esserci rilancio economico senza equit e innovazione.

La pi grande innovazione?
Joseph Schumpeter52, uno dei pi autorevoli economisti del secolo scorso, ha presagito un graduale crollo del capitalismo per
opera di due fattori chiave: la scomparsa dellimprenditore innovatore e la crisi dei valori etici. A suo parere, contrariamente alle
previsioni di Marx, sarebbe proprio il successo del capitalismo a

renderne inevitabile il tramonto attraverso un processo lento e


privo di rivoluzioni. Lincessante processo di globalizzazione
comporterebbe una graduale trasformazione delle imprese tradizionali, costituite da piccoli imprenditori, verso imprese di grandi dimensioni il cui management sarebbe sempre pi distaccato
dalla diretta propriet dei mezzi di produzione e sempre pi vicino alla mentalit burocratica tendente allimmobilismo. Ma nello
stesso momento in cui avviene questo graduale processo nella societ si affermerebbero, ad opera degli intellettuali, valori contrari allo sviluppo del capitalismo. I manager sarebbero sostituiti da
persone con una maggiore preparazione culturale e con una migliore motivazione verso il benessere della collettivit. Il ruolo critico di filosofi, intellettuali, manager illuminati, e oggi giornalisti
ed economisti non allineati, secondo Schumpeter, renderebbe
inevitabile lintervento dello Stato per risolvere le disfunzioni e
per ricostruire il sistema economico secondo valori etici.
Letica, in Italia, malgrado tutti ne parlino, una parola in disuso e la cultura aziendale di una volta che si basava sui tipici
concetti di efficienza, efficacia e talvolta equit stata sostituita
da un tecnicistico linguaggio markettiniano composto da parole quali: problem finding, problem setting, problem solving, time management ecc., utili perch costituiscono un linguaggio di
scambio internazionale ma con il limite di rappresentare una sequenza automatica di concetti in cui lo spazio per pensare in modo libero e autonomo sui fini dellattivit produttiva svanisce
nelle caselle del PowerPoint.
Ma se le aziende in Italia vogliono ricominciare a crescere devono recuperare letica come modus operandi allinterno dei processi decisionali e strategici andando oltre il semplice principio
del profitto.
In primo luogo bisognerebbe riflettere sui fini dellattivit produttiva, capendo se il raggiungimento della ricchezza economica
possa garantire una vita sana e serena. A tale riguardo, il paradosso della felicit formulato da Easterlin53 negli anni 70 ci suggerisce chiaramente che non esiste una correlazione lineare tra il

denaro e il benessere. E molti economisti di fama mondiale, ormai da anni, hanno chiamato in causa lequazione reddito nazionale-aumento del benessere umano, mettendo in luce nel calcolo del Pil lesistenza di molte voci che pongono seri dubbi sul significato di benessere (dalle industrie che inquinano, al numero
di automobili che limita la mobilit, dalle opere edilizie che
scempiano il patrimonio artistico, al disboscamento di parchi e
foreste). Tanto che in alcuni casi possibile avere addirittura
unequazione inversa: aumenti del Pil che corrispondono a decrementi del benessere della collettivit.
Ma se il Pil la somma delle attivit di tutte le singole aziende,
per capire veramente se a incrementi del reddito corrispondano
aumenti di benessere, bisognerebbe prendere come punto di inizio il bilancio aziendale. Unazienda che decide di intraprendere
unattivit rispettando letica come modus operandi dovrebbe includere nel bilancio, oltre alla sicurezza dei lavoratori, anche tutta
una serie di obiettivi quali la qualit del lavoro, il grado di soddisfazione dei dipendenti, gli obiettivi occupazionali, il rispetto per
lambiente, la riduzione delle tariffe verso i ceti meno agiati, la
promozione per la cultura e la promozione di eventi didattici, formativi e culturali. E le aziende che adottano questi standard ottengono enormi benefici nel lungo periodo poich rafforzano e
migliorano la relazione con i clienti. Un prodotto, infatti, non apprezzato unicamente per le caratteristiche esteriori o funzionali. Il
suo valore stimato anche per alcune caratteristiche non materiali, quali i servizi di assistenza, le condizioni di fornitura, limmagine e il prestigio dellazienda. Questi concetti sono alla base della
nascente disciplina economica chiamata marketing etico, che illustra la possibilit di sperimentare profitti nel lungo periodo attraverso comportamenti che vadano al di l del semplice calcolo
economico e finanziario. Le imprese che avranno pi successo nel
futuro, scrive Franco Portelli in Crescere con letica, saranno quelle che faranno percepire al consumatore una loro condotta impostata secondo princpi etici, e il profitto non sarebbe altro che una
diretta conseguenza della realizzazione dei benefici comuni.

Per avere unidea di quanto possa pesare letica, basta calcolare la perdite subite dalle azioni Telecom in seguito alle notizie riguardanti lo spionaggio e le sim false.
Il mercato un organismo intelligente, capace di apprezzare o
disprezzare la condotta etica di unazienda, poich in ultima
istanza un comportamento legale, trasparente e socialmente utile viene prima o poi sempre premiato.
Allora, che fare? Anche se non possibile in poche parole affrontare un tema cos importante, vorrei limitarmi a sottolineare
perlomeno alcuni aspetti urgenti. Innanzitutto andrebbe integrata nel bilancio una vera e propria relazione sul conseguimento degli obiettivi etici, primi tra tutti quelli occupazionali. Gli attuali bilanci di sostenibilit delle maggiori aziende italiane non
includono alcun obiettivo etico: livello di occupazione, motivazioni dei dipendenti, immagine esterna dellazienda, rispetto per
il consumatore, rispetto per le norme civili, penali e amministrative. Inoltre si dovrebbe prestare una maggiore attenzione verso
loccultamento delle responsabilit di chi ha commesso illeciti
amministrativi. Quanto alla forbice salariale, oggi il rapporto tra
il salario medio di un dipendente e il salario medio di un alto dirigente tipicamente di 1 a 10, mentre quello tra dipendente e
top manager pu essere anche di 1 a 1.000. La riduzione non potrebbe che giovare.
Oggi, la vera innovazione avere il coraggio di innovare utilizzando letica, ha risposto Gamberale quando gli ho chiesto
quale potesse essere uninnovazione paragonabile a quella che
ventanni fa ha costituito la carta prepagata. Ottima risposta, imprescindibile per guardare al futuro con speranza.

INTERVISTE

Vito Gamberale. Un colpo di Stato non registrato dalla Storia


Ing. Vito Gamberale, lei stato amministratore delegato della
Sip e poi della Tim negli anni doro. Sotto la gestione Gamberale
la Tim divent la pi grande azienda di telefonia mobile del mondo (1995-1996) con tassi di crescita esponenziali e con innovazioni tecnologiche invidiate da tutti gli altri operatori. Qual era il segreto del gruppo Telecom Italia negli anni 90?
La ragione del successo di Telecom Italia risiedeva nei suoi uomini e nelle loro competenze tecniche. La tradizione vuole che i
migliori ingegneri elettronici del mondo siano italiani.
Allora cosa successo?
Un colpo di Stato a scoppio ritardato. Noi italiani siamo come
sempre campioni di primati: in questo caso siamo riusciti a vivere in un nuovo regime politico senza neanche accorgercene. Nella Prima Repubblica non sarebbe mai potuto accadere quello
che successo in Telecom Italia.
Quali sono state le fasi della degenerazione di Telecom?
Il primo errore fu quello di aver privatizzato nel 1997 in malo
modo lazienda. Ma Prodi ha agito in buona fede. Ricordo anzi
che si oppose a una possibile scalata della Pirelli. Credo piuttosto
che fosse impossibile resistere alle pressioni delle lobby industriali. Dopo la privatizzazione avvenne un vero e proprio esodo

delle competenze. Lazienda fu acquistata a debito e linnovazione venne considerata un costo poco sostenibile da parte dei nuovi controllori che misero nei posti di comando delle intelligenze
finanziarie al soldo dei nuovi padroni. Ad esser precisi, ci sono
state quattro generazioni di incompetenze manageriali. La prima
arrivata in seguito alla privatizzazione. La seconda si sviluppata con la gestione Colaninno. La terza stata portata direttamente dalla Pirelli durante la cui gestione avvenuta una sorta di
desertificazione tartarica di tutta lintelligenza del settore It.
E la quarta?
La quarta quella apportata da Telefnica, i cui frutti negativi sono ancora in fieri.
Cosa pensa di episodi quali la dismissione del patrimonio immobiliare?
Sulla vicenda degli immobili dico solo che assurdo comprare a valore di libro e affittare a valore di mercato.
Come commenta invece lOpa di Telecom Italia sulle azioni Tim
del 2005?
Dico solo che loperazione ha indebitato inutilmente lazienda
di altri 15 miliardi di euro.
Come pensa si dovrebbe comportare oggi la giustizia italiana di
fronte a casi come le sim false o lo spionaggio?
Bisognerebbe capire se la parola procura si scriva tutta di
seguito o si deve scrivere o pronunciare pro cura, per sapere
se si curano gli interessi di qualcuno.
Che futuro vede per Telecom Italia un manager della sua esperienza al cui nome legata la carta prepagata, la pi grande innovazione di marketing degli ultimi 30 anni?
Innanzitutto vorrei uscire dal regno della mitologia e svelare il
segreto della carta prepagata. Quando ero studente universitario

ricordo che un grande professore durante una lezione disse: Un


buon ingegnere deve essere in grado anche di saper copiare. E
un giorno, mentre ero in aereo, lessi in un trafiletto di unimpresa che gestiva la telefonia fissa in Colombia e che aveva adottato
una carta prepagata nella zona di Medelln per evitare le frodi.
Da qui mi venne la scintilla. Dopo un anno tutti gli operatori del
mondo ci avevano copiato lidea e la telefonia mobile si diffuse a
livello planetario penetrando anche nei segmenti meno abbienti.
Per tornare al presente, credo che Bernab stia effettuando un
ottimo lavoro. Bisogna avere pazienza e puntare sul rinnovamento delle infrastrutture, prima tra tutte quella in fibra ottica.
Quale potrebbe essere oggi linnovazione vincente?
Oggi non esiste una nuova innovazione chiave come poteva esserlo ventanni fa il lancio della carta prepagata. Purtroppo siamo in una fase di consolidamento e di saturazione del mercato.
Credo che la vera innovazione sia la cura del cliente e il miglioramento dellimmagine dellimpresa. La vera innovazione avere il coraggio di innovare utilizzando letica.

Alessandro Fogliati. La notte


dei lunghi coltelli di Telecom Italia
Alessandro Fogliati, ex dirigente Stet e fondatore nel 1995
dellAdas, la prima associazione di dipendenti azionisti di Telecom
Italia, cosa successe durante la privatizzazione del 1997?
Prima della privatizzazione, Adas chiese al Tesoro di far parte
del gruppo di controllo che si sarebbe creato in virt del 3,3%
delle azioni gi sottoscritte da 97mila dipendenti e da acquistare
attraverso un piano gi stabilito. La risposta del governo fu la seguente: Pagate subito le azioni? Altrimenti restate fuori. Lescamotage fu tanto furbo quanto micidiale, poich lassemblea,
cio il Tesoro, nomin tempestivamente il cda post-privatizzazione porgendo lazienda su di un piatto dargento alla Fiat

che possedeva solo lo 0,6%. Lassurdit di una tale presa di posizione si commenta da sola. Alle mie rimostranze in assemblea,
il presidente Guido Rossi mi rispose che avevo perfettamente ragione ma che non poteva farci niente: si dimise poco tempo dopo perch non sopportava una governance cos distorta. Subentr Rossignolo, indicato dalla Fiat.
Cosa ricorda dellevento che da molti stato definito come la
notte dei lunghi coltelli di Telecom Italia?
Fallito lesperimento Rossignolo entra in scena, per poco tempo, ancora Guido Rossi e poi Franco Bernab. Cade Prodi ed
entra DAlema: pochi mesi dopo matura lOpa di Colaninno
(grazie alle banche italiane e Usa e al governo in carica). Telecom
cerca di ostacolare loperazione (Opa su Tim e su Olivetti, fusione con Dt) e, forse, per il pochissimo tempo a disposizione
compie un errore fatale: non ricorre al Tar contro le decisioni
della Consob. Viene convocata lassemblea dei soci per le misure antiscalata (bastava la presenza del 30% delle azioni). Ma iniziava la moral suasion governativa affinch lassemblea non risultasse validamente costituita, e cosi avvenne. La sera precedente ero in riunione con Bernab a Roma (aveva convocato i
rappresentanti delle otto associazioni di dipendenti azionisti allora in attivit): abbiamo chiaramente percepito lo sgomento di
Bernab, e quindi il nostro, che veniva via via chiamato al telefono da personaggi importanti che preannunciavano la loro assenza in assemblea. Ad ogni chiamata Bernab impallidiva e riattaccando mormorava con voce dismessa: Anche questo mi ha
dato una pugnalata alle spalle. Lavorammo tutta la notte per
raccogliere le deleghe, ma oramai la partita era persa. Naufragava lipotesi public company, si dissolsero i due milioni di aderenti alla privatizzazione.
E Seat Pagine Gialle?
LIri era al collasso (si calcola che cost al Paese 150 miliardi di
lire). Il governo nel 1997 (anche sospinto dallUe) decide di ven-

dere Stet: prima mossa, sottrarre a Stet/Iri la Seat per poi svenderla a un contenitore che poteva eludere le normative italiane
(gara del Tesoro, Seat va alla cordata Comit, la Otto, della quale
il 57% era in Lussemburgo): il Tesoro incassa 854 milioni di euro per il 61% di Seat e Otto, in breve tempo, incassa 1.400 milioni di euro (935 milioni per dividendi straordinari e 465 dalla vendita dell11% a Telecom). solo linizio di una famigerata
storia che coinvolger anche Telecom e che arrecher danni ingenti ai risparmiatori/azionisti meno avveduti. Solo ingenuit di
uomini politici, istituzioni, banche ecc., oppure c dellaltro?
Adas ostacol loperazione e vot contro in assemblea.

Silvio Sircana. Le responsabilit della politica


Perch sotto il governo Prodi con la privatizzazione del 1997 il
controllo dellazienda finito nelle mani di un nocciolino duro?
In quel momento non cerano gruppi industriali particolarmente interessati e poi ci sono stati due elementi che hanno ostacolato un efficiente ed equilibrato sviluppo della governance. In
primo luogo, c stato un eccesso di ottimismo, eravamo in prossimit del boom delle telecomunicazioni. Inoltre in Italia non
cera e non c tuttora una cultura politico-industriale capace di
premiare le public company. una questione soprattutto culturale, che coinvolge tutti gli attori in campo: gruppi industriali,
Confindustria, media e partiti politici. Direi che nel 1997 mancato il coraggio di fare un passo avanti.
Perch la Sinistra non ha bloccato il progetto di gruppo di imprenditori sconosciuti che volevano scalare a debito lazienda?
I Ds volevano scrollarsi di dosso letichetta di partito operaio.
Era come se avessero un complesso nei confronti di tutti gli altri
partiti che avevano sempre governato. Volevano allargare i consensi e trovare nuove alleanze. In quegli anni ragionavano alla
stessa maniera dei parvenu che volevano scalare le aziende: ov-

vero dando fiducia al primo imprenditore arrivato dal nulla con


una Maserati. Ma non credo che DAlema abbia operato in malafede. In quegli anni nellambiente della Sinistra si respirava
unaria di ottimismo e gasamento totale che, accompagnati da
una certa inesperienza, distorcevano la realt.
Qual la responsabilit della politica sul crollo di Telecom?
Credo che la responsabilit della politica sia quella di aver interpretato le privatizzazioni in modo sbagliato e di non aver mai
controllato i successivi passaggi di gestione dellazienda. Ci sono
stati errori dovuti a disattenzione e superficialit, a volte troppa
fiducia, ed errori invece dovuti a mancanza di cultura. Il rammarico pi grande che ai processi di privatizzazione, liquidati con
una firma, non sia seguito alcun processo regolatorio capace di
assicurare una governance efficiente. Il dibattito tra public company e nocciolo duro non mai esistito minimamente. Il secondo
ha sempre avuto la meglio sul primo, anche e soprattutto a causa
della connivenza della politica. Questo tema mi sta molto a cuore perch avendo lavorato allIri per molti anni sono ancora fiero
di esser stato un dirigente pubblico. I dirigenti statali avevano il
senso del servizio. Lorgoglio di erogare servizi di pubblica utilit.
Le imprese venivano gestite non secondo logiche finanziarie, ossia il profitto per gli azionisti, ma secondo logiche industriali, ovvero la qualit dei servizi e gli investimenti in innovazione.

Massimo DAlema. La neutralit del governo


Cosa risponde a chi le attribuisce forti responsabilit per il caso Telecom?
C una chiara strumentalizzazione politica che dura oramai
da moltissimi anni. Qualcuno seguita a dire che Telecom fu venduta dal governo a Colaninno e che se oggi preda di Telefnica questo dipeso da unOpa effettuata quasi quindici anni fa.
Questo ridicolo. Faccio notare che Telefnica ha un debito ben

superiore e che Telecom negli ultimi anni ha perso ingenti quote di fatturato. Lerrore grave fu quello di aver privatizzato lazienda nel 1997 in malo modo. Nel 1999, di fronte allOpa di
Colaninno, persona che allepoca neanche conoscevo, non cerano alternative valide. Telecom fino a quel momento era gestita
con lo 0,6% dalla Ifil e come risposta alla scalata aveva in piano
un accordo con Deutsche Telekom. Accordo di cui il governo
non era neanche a conoscenza. Ci scandalizziamo tanto perch
oggi lazienda finita sotto il dominio di Telefnica, chiss se i
giornalisti avessero pensato la stessa cosa allepoca con Deutsche
Telekom al posto di Telefnica.
Daccordo, lerrore originario fu la modalit di privatizzazione
del 1997, ed anche vera la storia di DT. Ma perch non avete preso posizione contro una scalata che avrebbe potuto portare conseguenze negative per lazienda?
Noi abbiamo scelto la strada della neutralit. Non abbiamo n
appoggiato n ostacolato lOpa. Abbiamo dato al mercato la possibilit di scegliere. Il governo avrebbe anche potuto aderire allOpa intascando tantissimi soldi. Non lo fece. stata una decisione che abbiamo preso tutti insieme in accordo con il governo,
senza gialli o misteri. La direttiva di non partecipare allassemblea
stata dettata dalla voglia di non interferire in unoperazione di
mercato su larghissima scala. Cosa che non stata fatta ad esempio da Tronchetti nel 2001, che invece di lanciare unOpa ha preso accordi privati con gli azionisti di controllo. La differenza inoltre che Colaninno almeno aveva un piano industriale, come lespansione internazionale, mentre le gestioni successive no.
Si ipotizzato che lo spionaggio telefonico nascesse da un tacito
accordo tra il governo Berlusconi e la gestione Telecom 2001-2006
per screditare il vostro governo uscente. In cambio ci sarebbe stato
il via libera al sacco di Telecom. Che ne pensa?
Sul mio conto stato scritto di tutto e di pi, soprattutto per
ignoranza e mancanza di buonsenso. C stata, come le dicevo,

una strumentalizzazione politica anche nei confronti dei Ds. Ma


queste persone che hanno organizzato questo tipo di show non
erano poi cos furbe e accorte. Coloro che hanno organizzato la
farsa del dossier Baffino o del Oak Fund dovevano proprio pensare che noi fossimo, oltre che ladri, anche cretini per chiamare
un fondo alle Cayman col nome Quercia.

Vittorio Nola. Le verit nascoste sullo spionaggio


Mi piacerebbe sapere qualcosa di pi sulla sua vicenda, in particolare sullattivit di dossieraggio ai suoi danni. Insieme a Vittorio
Colao, Massimo Mucchetti e Bobo Vieri lei stato unillustre vittima, anzi sicuramente la prima in ordine temporale. Cosa ricorda
e perch fu spiato?
Nel dibattimento in Corte dAssise a Milano presso il giudice
Gamacchio chiaramente emerso che nellestate del 2001 prima
del take over su Telecom Italia quelli della Pirelli assoldarono
ben due agenzie investigative con a capo rispettivamente Cipriani e Bernardini che come da loro stessi dichiarato al processo
dovevano monitorare il capo della security Telecom e la stessa
societ nei suoi punti vitali al fine di screditare la gestione operativa e consentire una pi rapida presa di potere senza trattative o controlli di auditing.
Corrisponde a verit una voce che corre in Telecom: che lo spionaggio illegale sia stato funzionale al governo Berlusconi che si
insediato poco prima dellarrivo della Pirelli? Per accusare e distruggere i piani della precedente gestione dei capitani coraggiosi, utilizzando largomento delle presunte tangenti in Telekom
Serbia e quello dei fondi neri a vantaggio dellOak Fund?
Le ricordo che solo dopo 12 anni sta emergendo faticosamente la realt della innumerevole e preoccupante sequenza dei fatti illegali ma anche dei falsi scoop giornalistici utilizzati come
armi di distrazione mediatica. Bisogna riflettere proprio sui ti-

toli dei giornali che parlavano dello scandalo di Telekom Serbia


come di unoperazione da addebitare al capitano coraggioso
Colaninno che nel febbraio 2001 ne fu vittima; allepoca, oltre ad
altri importanti incarichi, ero anche il suo assistente: posso confermare che rispetto alla vicenda Telekom Serbia nemmeno sapeva di cosa si stava parlando! Ma tanto bast per far fallire la
conversione delle azioni di risparmio per cui era stata gi convocata unassemblea straordinaria! Immediatamente io stesso fui
incaricato insieme al collegio sindacale di cui ero il responsabile
interno, di svolgere un auditing sulla vicenda e il dettagliato report finale ci port a escludere ogni coinvolgimento in malaffare di manager Stet/Telecom. E solo nel luglio 2003 la commissione bicamerale su Telekom Serbia appositamente costituita
termin le audizioni, compresa la mia, archiviando il presunto
scandalo. Ma intanto lo scopo era stato raggiunto!
Il dossier Oak Fund fa parte della operazione New Entry,
svolta anche a mio danno, e che si sostanzi nellennesima accusa di spionaggio rivolta a me e al responsabile della security Telecom Piero Gallina di aver ordito oscure trame posizionando
anche microspie. Anche questa notizia falsa fu data in pasto a
giornali che, senza alcuna verifica diretta, ritennero di fare il bene di qualcun altro, rovinando la mia reputazione e provocando
anche la mia epurazione dalla societ. In sintesi la Pirelli e i suoi
dirigenti e consulenti non si sono limitati a danneggiare solo manager ma hanno danneggiato anche la stessa Telecom, disarticolando in quindici giorni tutto il sistema dei controlli interni. Mai
stato avviato un auditing interno sulla ormai famosa messinscena della falsa microspia: perch?
Se lOak Fund era tutta una montatura, chi poteva avere interesse ad alzare un polverone simile sui Ds e in particolare su DAlema?
La domanda andrebbe posta correttamente a Tronchetti Provera. Le ricordo comunque che su parte delle indagini relative al
dossieraggio e allo spionaggio illegale stato apposto il segreto
di Stato e quindi unicamente le istituzioni conoscono la genesi

degli illeciti e ormai solo tra 20 anni si conoscer tutta la verit


anche extraprocessuale.

Paese e di un capitalismo di relazione dove non governano coloro che rispettano le regole e i valori, ma soltanto coloro che piegano la legalit e le regole ai loro interessi di bottega, mortificando gli interessi pi generali.

Elio Lannutti. Il Paese dei bankster


Onorevole Elio Lannutti, da anni lei si interessa al caso Telecom Italia e pi volte ha denunciato in Parlamento gli abusi delle lobby industriali. Come bisognerebbe organizzare unazione di
responsabilit?
Lazione di responsabilit andava promossa dallattuale consiglio di amministrazione della Telecom Italia, che non ha avuto il
coraggio di intentarla neppure dopo il famoso rapporto Deloitte, che conferma, per alcuni aspetti, la vera e propria spoliazione di unazienda sana, saccheggiata da quegli imprenditori coraggiosi che lhanno scalata a debito con i soldi delle banche.
Conosco bene Telecom, i suoi bilanci dellultimo decennio, per
aver partecipato in maniera attiva a quasi tutte le assemblee degli azionisti a partire dagli anni 90. Lattuale management non
ha avuto il coraggio di inchiodare la gestione spericolata 20012007, che gonfiava i bilanci con le sim false degradando la qualit dei servizi offerti ai consumatori, al punto da far rimpiangere i cosiddetti boiardi di Stato. Per non parlare della scandalosa gestione del patrimonio immobiliare.
Come commenta la nomina nel cda di Telecom del 2011 di Luca Luciani?
Nelle grandi aziende di un mercato libero dove vigono le regole della sana competizione, i manager sui quali in corso
unindagine della magistratura per truffa ai danni dello Stato,
non potrebbero fare neppure gli uscieri. Nella Telecom tronchettizzata i cui manager vengono scelti dai bankster (per
met banchieri e per met gangster, con la prevalenza dei secondi), i Napoleoni possono fare anche gli amministratori delegati. Perch la Telecom rappresenta lo specchio, il paradigma del

Ci sono speranze nel futuro che le istituzioni possano collaborare nel favorire azioni di questo genere?
Non vedo speranze nel futuro da parte di una classe politica,
di maggioranza e opposizione, molto attenta a favorire gli interessi delle grandi lobby, distratta quando si tratta di salvaguardare i diritti dei consumatori, utenti, piccoli azionisti saccheggiati da gestioni aziendali quantomeno imprudenti. La cultura
della tutela dei diritti diffusi del tutto assente nellattuale classe politica.

Luigi Zanda. Le interrogazioni parlamentari


sul caso Telecom
Lei insieme a pochi altri stato uno dei pochi politici a interessarsi vivamente del caso Telecom. Cosa pensa a riguardo?
Allinizio del 2000 la societ possedeva una situazione finanziaria particolarmente favorevole con asset imponenti e una
proiezione internazionale forte. Nel periodo 2001-2007 ha subito un impoverimento rilevante a seguito delle decisioni degli
azionisti di controllo. Telecom in quel periodo stata controllata, attraverso un sistema di scatole cinesi, da un azionista che
possedeva direttamente circa l1% della base azionaria. Il controllo cos ottenuto ha fatto s che, in primo luogo, la societ distribuisse annualmente sotto forma di dividendi circa l85% del
suo utile, con la conseguenza che tali risorse non sono state impiegate per finanziare investimenti in tecnologia o acquisizioni
mirate alla crescita dimensionale ma a coprire, essenzialmente, i
debiti della controllante Pirelli

Tronchetti avrebbe agito esclusivamente in favore di Pirelli?


Lo stesso processo di fusioni, accorpamenti e cessione di asset
(tra cui le discusse operazioni di cessione degli immobili a Pirelli Re, specie quelle aventi per oggetto le centrali telefoniche)
sembrato finalizzato non alla razionalizzazione o al potenziamento strategico-industriale del Gruppo, quanto piuttosto a generare la liquidit necessaria a sostenere Pirelli
Cosa ha fatto in qualit di parlamentare?
In Parlamento ho pi volte discusso il caso Telecom, presentando anche una interrogazione. Ho chiesto anche la diffusione
del rapporto Deloitte che a quanto pare resta ancora un documento segreto. Ho chiesto al governo Berlusconi di sollecitare
lautorit di controllo Consob affinch eserciti unazione nei
confronti dellattuale collegio sindacale della Telecom Spa perch elabori una ricognizione di tutti i costi impropri sopportati
dai bilanci della Telecom per le attivit illegali, anche al fine di
avviare le opportune azioni di rivalsa civile nei confronti di ex
amministratori, vertici e dipendenti apicali che hanno ricevuto
tra laltro consistenti buonuscite.

questo processo di trasformazione deve essere costruito secondo


logiche di rispetto della professionalit e della difesa del knowhow delle persone di questa azienda, che secondo me rappresentano il vero valore di Telecom Italia da proteggere.
Secondo lei Telecom potrebbe essere la prima azienda italiana a
sperimentare il telelavoro su larga scala? Quali sono i pro e i contro e il giudizio finale?
Se ben studiato e regolato, il telelavoro pu rivelarsi unimportante leva di economicit per lazienda, per i suoi dipendenti
e, non ultimo, per la collettivit in genere. Da un lato, attraverso
la riduzione di costi fissi grazie alla concentrazione delle presenze negli uffici solo per alcuni giorni del mese, dallaltro attraverso la riduzione dei costi di trasporto per i lavoratori; in ultimo,
perch genera un vantaggio sociale derivante dal minor impatto di tali lavoratori sulla circolazione, quindi sul traffico e sullinquinamento, specie nelle grandi citt. I contro invece dipendono esclusivamente dalle modalit di adozione dello strumento
telelavoro: sar necessario coinvolgere lintera scala gerarchicofunzionale perch questo strumento funzioni e non venga visto,
come prima, come il mezzo per isolare lavoratori scomodi o
poco utili allontanandoli strumentalmente dagli uffici.

Mauro Martinez. Il telelavoro come opportunit per il Paese


Come vede una riorganizzazione interna dellazienda, dai servizi tradizionali ai nuovi servizi e mercati emergenti? Pensa che ci
possa essere ostilit da parte dei dipendenti nelladattarsi a nuovi
ruoli o nuovi metodi di lavoro?
Lazienda non pu esimersi dal percorrere nuove strade di business per aumentare i propri ricavi, soprattutto perch in pi
Telecom Italia ha rappresentato da sempre il ruolo di faro dello
sviluppo tecnologico del Paese. Rispetto ai nuovi trend di mercato i dipendenti hanno sempre dato prova di capacit e spirito
di adattamento e di eccellenza competitiva, e quindi non mi
aspetto unostilit al cambiamento. Vorrei per aggiungere che

Alla luce delle varie vicissitudini che hanno riguardato Telecom


Italia negli ultimi anni, vorrei sapere quali sono le emozioni, i dubbi, le considerazioni e il punto di vista di chi come lei, in qualit di
responsabile dellassociazione dei Quadri e delle Alte Professionalit, si trova proprio nel mezzo della piramide. Guarda pi verso
lalto o verso il basso?
Circa i dubbi e le certezze che quotidianamente ci accompagnano nello svolgimento delle nostre attivit, le rispondo francamente che se dimentico di guardare al ruolo che svolgo in azienda, il contesto generale di riferimento fa s che i dubbi prevalgano sulle certezze. Ma essere il rappresentante del middle management di unazienda come Telecom Italia non lascia troppo spa-

zio ai dubbi e impone di guardare contemporaneamente sia al


vertice che alla base della piramide, proprio perch Quadri e Alte Professionalit rappresentano la cinghia di trasmissione tra le
decisioni aziendali e la loro traduzione in operativit. E senza la
certezza di un futuro positivo, mi creda, questo difficile compito non pu essere assolutamente svolto.

Allude allo scorporo della rete con lentrata della Cdp o ad aumenti di capitale?
La situazione non cos semplice. Anzi, direi piuttosto problematica, vista la mancanza di fondi che grava sul nostro Paese.
Lo scorporo sicuramente un progetto interessante. Ma mi consenta di dirle che il vantaggio non solo finanziario. Con lo scorporo si avrebbe parit di accesso alla rete per tutti gli operatori,
e Telecom sarebbe considerata alla pari di tutti gli altri.

Marco Patuano. Recuperare la progettualit di lungo periodo


Ho ascoltato e apprezzato il suo intervento durante la convention agli Horti Sallustiani organizzata dai piccoli azionisti a marzo
del 2013. In particolare mi rimasto impresso un passo del suo discorso: Abbiamo mangiato pane e rigore per anni, con riferimento agli investimenti del sistema Paese.
Finora abbiamo fatto una politica monetaria di rigore, adesso
occorre investire in infrastrutture, altrimenti il ciclo economico
non riparte. Nelle priorit del nostro Piano industriale 20132015, oltre a ricondurre il rapporto debito/fatturato a un livello
sostenibile, ci sono gli investimenti in reti a larga banda. Oggi
impossibile pensare a un rilancio del Paese senza infrastrutture
del genere. Non vedo altre strade.
Sono daccordo con lei, ma come fa unazienda cos indebitata a
investire arrivando a cablare 20 milioni di abitazioni? Servirebbero almeno dai 5 ai 10 miliardi di euro.
Come ho accennato nella prima risposta, lobiettivo prioritario
della mia gestione stata proprio la riduzione del debito. E credo ci siamo riusciti. Insieme a Bernab abbiamo riportato il rapporto debito/fatturato sotto il 100%, rapporto che nel 2006 era
arrivato persino a raggiungere il 140%. Negli ultimi anni il debito si ridotto da 36 a 28 miliardi di euro, consentendo nel futuro un maggiore equilibrio finanziario. Ma non basta, servirebbero sicuramente altre strategie di finanziamento se Telecom
vuole tornare ad essere veramente grande.

Per quanto riguarda invece le evoluzioni dei servizi cosa mi


dice?
Levoluzione delle politiche di marketing convergeranno verso
il flat rate, ma sarebbe un errore gravissimo concentrare il focus
esclusivamente sul prezzo. Un basso prezzo senza una buona
qualit conduce solamente in un vicolo cieco. Ed qui che vedo
chiaro il ruolo di Telecom come fornitore e gestore di infrastrutture avanzate. Il cambiamento sociologico ha portato lindividuo
al centro delluniverso e le nuove reti daranno la possibilit di
usufruire dei servizi con modalit personalizzate. In tale direzione veicolata la strategia di Telecom: erogare servizi di comunicazione e intrattenimento via fibra in modo tale da consentire agli utenti di ritagliarsi servizi customizzati alle esigenze e
agli stili di vita di ciascun consumatore.
Quali consigli darebbe un top manager del suo livello ai politici
attuali, soprattutto ai giovani provenienti dalle nuove formazioni?
Gli direi immediatamente di recuperare la progettualit di
medio e lungo termine. Oggi il nostro Paese, prima ancora di una
crisi economica, sta vivendo una grave crisi politica. Oltre al dialogo mancano piani di sviluppo macroeconomici, soprattutto di
medio e lungo periodo. I politici che hanno governato negli ultimi
dieci anni hanno avuto una visione piuttosto miope, non riuscendo
a elaborare progetti con ricadute economiche e sociali su larga
scala. Credo che la politica dovrebbe ripartire dal business plan,
per valutare insieme alle imprese e alle Pa i costi e i benefici di cias-

cun progetto, la fattibilit e, non ultimo, limpatto sul Pil. Ma non


mi riferisco solo al mio settore, con particolare attenzione alla larga
banda, ma a tutto il sistema industriale italiano. Oggi in settori
strategici come i trasporti, il turismo o il made in Italy andrebbero
elaborati piani di sviluppo dettagliati, capaci di rilanciare loccupazione e far ripartire la domanda aggregata. Purtroppo i progetti
con maggior impatto sociale sono quelli i cui effetti si manifestano
a lungo termine, anche 10-20 anni, e in questo caso si dovrebbe
trovare il coraggio e la voglia di superare il rigore di questa politica monetaria che per il momento non facilita la ripresa del Paese.

Franco Bernab. Il futuro di Telecom Italia


Ho letto il suo libro, Libert vigilata, che, oltre ad essere molto
chiaro e sintetico, affronta uno dei temi pi importanti dei prossimi decenni: il pericolo che si creino dei monopoli dellinformazione che possano violare la privacy degli utenti con preoccupanti conseguenze politiche, sociali ed economiche. Quale crede sia
la strada da intraprendere?
Bisognerebbe avere immediatamente delle regole chiare e uniformi per tutti. Non si capisce perch gli operatori tradizionali
sono massacrati da severissime normative mentre gli over-thetop come Google continuano a operare in un ambiente con normative assolutamente non in linea con gli standard europei.
Mi sembra di capire che ci siano dei problemi politici con gli Stati Uniti. A loro andrebbe benissimo questo sistema senza regole.
Sicuramente quello politico uno dei fattori pi determinanti.
Cambiamo argomento. Nel mio libro ho lodato il suo impegno,
criticando la mancata azione di responsabilit contro la gestione
Tronchetti proposta da Asati.
un argomento complesso. Questa gestione ha fatto molto per
migliorare e risanare lazienda dal punto di vista finanziario, eco-

nomico e anche etico. Tutti gli scandali della gestione passata sono
scoppiati nel 2008, in seguito a una nostra operazione di trasparenza. Per quanto riguarda lazione di responsabilit del 2012, cerano
dei problemi tecnici: un conflitto di interessi nei confronti degli
azionisti di maggioranza che avrebbe potuto essere controproducente per il benessere dellazienda. Ma questo non significa che in
futuro non ci possano essere azioni di responsabilit.
Qual la strategia industriale immediata per il rilancio dellazienda?
In un mondo in cui il fatturato dei servizi di telefonia tradizionali sta lentamente scomparendo, servirebbe una doppia strategia:
da un lato il potenziamento della rete con gli investimenti in fibra, e dallaltro la realizzazione di tutta una serie di servizi a valore aggiunto per il cittadino, le imprese e le Pa, dove il ruolo di
Telecom sar proprio quello di abilitatore di questi ecosistemi.
Credere che gli operatori tradizionali siano come i dinosauri in
via di estinzione cosa fuorviante e semplicistica, poich di rete
ne esiste una sola, mentre di servizi e di applicazioni ne esisteranno a migliaia. Pensiamo ad esempio alle applicazioni sugli
smartphone: ne escono una ogni 10 minuti, ma tutto questo non
esisterebbe senza una rete che assicuri modalit e qualit del
servizio. Nel futuro prossimo potrebbe avvenire dunque uninversione di tendenza, con gli operatori tradizionali che dovranno
recuperare un ruolo prioritario nello sviluppo e nelle dinamiche
del settore.
Il tema dei servizi a valore aggiunto pi complesso. Ci sar una
riprogrammazione totale dei servizi offerti, ma rete di trasporto e
servizi saranno due cose distinte. E questo sar un vantaggio per
quegli operatori che si concentreranno sulla rete e sui suoi sviluppi futuri. Se da una parte ci sono aziende specializzate sui servizi,
ci saranno aziende specializzate nella costruzione e nella gestione
delle infrastrutture di rete. Oggi i grandi gruppi di telecomunicazioni potrebbero trovarsi in difficolt a gestire servizi a 360 gradi. Queste aziende rischieranno nel futuro, oltre alla perdita di fat-

turato, anche di incorrere in difficolt manageriali e gestionali.


Mentre gli operatori che si concentreranno sulla qualit dei servizi
di rete avranno un grande vantaggio. In questa direzione andava
lo scorporo della rete, che avrebbe garantito da una parte la parit di accesso e dallaltra una maggiore velocit nelle operazioni di
cablatura.
Qual il futuro di Telecom Italia alla luce della nuova scalata di
Telefnica? Le sembra di ritornare giovane di quindici anni, quando si ritrov dopo pochi mesi di fronte allOpa di Colaninno? E
qual il messaggio che lascia ai tanti dipendenti e alle centinaia di
migliaia di piccoli azionisti?
Il futuro di Telecom non stato ancora scritto. Il finale si vedr solo fra molti anni. La storia del nostro Paese ci ha abituati
da sempre ad alti e bassi con plateali colpi di scena, dunque non
mi sorprenderei se lazienda fra molti anni tornasse ad essere
quella di una volta. Sono infatti, nel complesso, ottimista. Credo
che nel futuro la rete sar il valore pi grande. E credo che un
Paese come il nostro non possa fare a meno di una rete in larga
banda di nuova generazione con tutti gli applicativi annessi.
Tragga lei le conclusioni da queste ultime due affermazioni su
quello che dovrebbe essere il ruolo di Telecom Italia.

POSTFAZIONE

Piccoli azionisti contro poteri forti


di FRANCO LOMBARDI
Presidente Asati

Ripercorrendo le turbolente vicende che hanno segnato il processo di privatizzazione di Telecom Italia con lOpa del secolo e
la successiva era Tronchetti, fino allarrivo di Telefnica, non si
pu prescindere dalla storia parallela dei piccoli azionisti che fin
dallinizio di questavventura hanno avuto un ruolo sicuramente
efficace nel rispetto delletica e della difesa del valore azienda.
Lo dimostrano le vicende dei giorni nostri, dai numerosi comunicati stampa che hanno sensibilizzato lopinione pubblica sul
caso Telecom alla condanna di Tronchetti a un anno e otto mesi
in primo grado. Vorrei dunque ricordare alcune tappe fondamentali delle tante battaglie condotte dai piccoli azionisti contro
poteri che da oltre quindici anni inquinano lo sviluppo economico, ponendo un freno allinnovazione.
Nel 1991 incontrai Mario Draghi sul treno Firenze-Roma. Lui
insegnava economia allUniversit di Firenze e io ero un dirigente della Sip. Ci eravamo conosciuti sui campi di gioco di basket
quando lui giocava con gli alunni del Collegio Massimo allEur
di Roma e io con lAvila Basket delloratorio di Santa Teresa a
corso dItalia, a 100 metri dalla sede storica di Telecom Italia. A
partire da quellincontro ci vedemmo spesso per un caff a via
Venti Settembre e negli anni a venire parlammo della privatizzazione della societ.
Verso la fine del 1996, Ernesto Pascale, il quale aveva trasformato la ex Sip in uno dei pi grandi player mondiali, venne ricevuto

a Palazzo Chigi da Romano Prodi (allepoca presidente del Consiglio), che, offrendogli una coppa di champagne, gli diede il ben servito. In quellincontro Prodi fu molto cortese, come al suo solito,
ma non disse nulla di interessante o particolarmente incoraggiante
per lex monopolista telefonico. Era nota infatti lavversione di Pascale a qualsiasi piano di privatizzazione, una privatizzazione che il
governo voleva a tutti i costi, illudendosi che un operatore privato
potesse garantire una migliore efficienza. Il processo di privatizzazione ebbe inizio il 20 ottobre 1997 sotto il governo Prodi, che faceva affidamento su di un nocciolo di azionisti che detenevano circa il 6% del capitale. In quel nocciolino spiccava il ruolo della Fiat,
la quale con lo 0,6% delle azioni controllava un gigante delle telecomunicazioni che contava 120mila dipendenti e piani di sviluppo
che prevedevano persino lacquisizione di quote di maggioranza di
Telefnica. La prima domanda che venne in mente a tutti fu la seguente: Perch regalare il timone a unimpresa di automobili,
quando gli oltre 100mila dipendenti italiani hanno la possibilit di
comprare azioni della stessa societ?. La risposta del governo alle
tante domande di Alessandro Fogliati, presidente dellAdas (la prima associazione di dipendenti azionisti poi confluita in Asati), fu:
O comprate le azioni subito o altrimenti restate fuori. Ovviamente coordinare in un tempo tanto breve un cos grande numero
di dipendenti era quasi impossibile, per la mancanza di mezzi (allepoca pochissimi avevano accesso a Internet) e per la mancanza
di tempo, che rese impossibile qualsiasi piano di azionariato diffuso. Proprio in quel periodo Draghi, allepoca alto dirigente del Tesoro, mi sugger lidea di costituire una societ di piccoli azionisti
che sarebbe stata molto utile per garantire un maggior controllo.
Non avendo alcuna esperienza in Diritto societario, mi documentai subito. Dopo alcuni giorni manifestai a Massimo Sarmi, allora
direttore generale di Telecom, lintenzione di fondare unassociazione di dipendenti azionisti, ricevendo un valido assenso. Allepoca ero direttore della rete di Lazio, Sardegna, Abruzzo e Molise e,
contando su quattromila persone, non mi fu difficile trovare le adesioni. In quel periodo di grosso fermento per la privatizzazione e

per le indiscrezioni sulla futura Opa del secolo, nacquero insieme


ad Asati altre associazioni di dipendenti azionisti che nel corso del
tempo hanno per cessato la loro attivit. Ma ci non bast a fermare lOpa ostile di Colaninno, nonostante la tenace opposizione
di Bernab. Questultimo colp tutti per la sua voglia di conoscere
le telecomunicazioni approfondendo anche gli aspetti tecnici. Venne diverse volte nella sede di Val Cannuta, a Roma, dove cera il
cuore della tecnologia avanzata di Telecom, il famoso Test plant,
dove venivano sperimentati una miriade di servizi e prodotti nuovi. E fui proprio io a spiegargli come la luce entrava in una fibra ottica facendo diversi chilometri di strada.
Il 10 marzo del 1999 Bernab risponde alla razza padana
con unofferta pubblica di scambio sulle azioni Tim. Ma lassemblea che dovrebbe decidere sugli strumenti antiscalata va deserta. Mancano gli azionisti pubblici che avrebbero potuto fermare lOpa. Il direttore generale del Tesoro Mario Draghi, so
per certo che avrebbe voluto partecipare ma una lettera di DAlema rivolta al ministro Ciampi gli ordina di non andare. Su questa lettera nacque un giallo: spar dagli uffici del ministero.
Non passarono neanche due mesi dallinsediamento di Colaninno, che saltarono gi le prime teste, manager che avevano
unesperienza trentennale e che avevano reso grande lazienda.
Uomini che si erano formati negli anni 60 e 70 con la commutazione a pacchetto e con le prime sperimentazioni sul digitale in un mondo che viaggiava ancora con lanalogico. E cos nel
tempo uscirono Massimo Sarmi e Umberto De Julio, allora ad di
Tim, che avevo conosciuto nel lontano 1974 nella sede di piazza
Mastai, a Roma, dove un gruppo di 120 ingegneri veniva definito il pensatoio operativo dellinnovazione. Stessa sorte tocc a
me qualche tempo dopo, ricevendo a 54 anni una lettera che mi
invitava a lasciare i miei incarichi.
Oggi, di fronte al piano ostile di Telefnica, ci troviamo nella
stessa condizione di 15 anni fa, epoca in cui inizi il sacco di Telecom e in cui un gruppo di predatori rovin una delle pi grandi aziende italiane. Matteo Maurizio Dcina descrive come e

perch questi gruppi spolparono lazienda, perseguendo un interesse di bottega che ha danneggiato i 600mila piccoli azionisti
che detengono oltre il 50% del capitale, ma che per leggi arcaiche delle istituzioni italiane hanno difficolt a far confluire centinaia di migliaia di deleghe su unassociazione. Questo libro,
scritto per il bene dellazienda e del sistema Paese, ha il merito
di denunciare per la prima volta in maniera intelligente e documentata tutte le principali scellerate operazioni condotte dalle
gestioni a valle della privatizzazione. I risultati, come evidenziato nelle prime pagine, sono imbarazzanti. Vengono descritte le
dismissioni del pi grande patrimonio immobiliare di oltre 4.000
immobili, molti dei quali in zone di prestigio, uffici venduti a
500 euro al m2 a 400 metri da via Veneto a Roma, o villini depoca, oggi chiamati Villa Chiara, della vecchia Stet-Sip, sempre
in zone altamente residenziali venduti con passaggi successivi a
figli di grandi banchieri dellepoca, sotto la gestione 2001-2006.
Gli ulteriori danni recati al patrimonio dellazienda dalle sim false, dalle vicende Tavaroli & Company, dal caso Sparkle, documentati dal famoso rapporto Deloitte, 4 tomi di oltre 400 pagine, mai discussi ampiamente nel cda (vedi anche il disappunto di
alcuni consiglieri indipendenti), e che il sottoscritto ha visionato.
Tali documenti avrebbero per tempo, nel 2010, permesso sicuramente unazione di responsabilit contro la gestione 20012006 prima della decadenza per prescrizione.
In questi anni i piccoli azionisti riuniti in Asati sono stati spettatori non passivi delle drammatiche vicende puntualmente denunciate agli organi istituzionali della societ. Le stesse problematiche sono state tempestivamente comunicate alla Consob, allamericana Sec, allAntitrust e alla Procura di Milano, molto attenta negli ultimi anni, grazie anche al prezioso lavoro di Alfredo Robledo. Con limpegno della nostra associazione e qui colgo loccasione di ringraziare alcuni ragazzi coraggiosi e ben preparati, come Claudio, Luigi, Mario, Giovanni, Alessandro, Paolo, Walter, Rocco, Marco, e imprenditori come Fabio, Alberto,
Franco, Maurizio ed Eugenio, che mi hanno sempre sostenuto e

incoraggiato nel sostegno dellassociazione abbiamo denunciato fin dal 2007 tutte le operazioni a danno della societ che puntualmente venivano stoppate da un cda ostile. Di fronte a un collegio sindacale (i cui componenti erano in parte gli stessi delle
gestioni precedenti) e di fronte a un consiglio in cui lazionista di
controllo era in palese conflitto di interessi con i componenti seduti nei consigli di Mediobanca e Generali, con partecipazione
in Pirelli, non si poteva pretendere che Bernab, Zingales, ultimamente la professoressa Calvosa e altri consiglieri indipendenti facessero di pi.
Una piccola grande soddisfazione per labbiamo avuta: la
condanna a 18 mesi per ricettazione internazionale di Tronchetti Provera per lo spionaggio alla brasiliana Kroll anche merito
di noi che per primi abbiamo denunciato questa stortura alla
Consob e alla Procura di Milano.
In questi giorni ho ricevuto centinaia di e-mail e telefonate dai
piccoli azionisti, la maggior parte di sostegno a Bernab, che incontro spesso e con cui intrattengo anche discussioni accese perch non sempre abbiamo la stessa visione delle cose. Ma oggi, in
questo momento difficile, mi sembra doveroso dare un giudizio
sul personaggio che credo, dopo molti anni, di conoscere a fondo. I principali difetti di Bernab riguardano il suo agire, lui attendista, riflessivo fino al midollo, il suo amore sviscerato per la
cultura cinese a volte lo tradisce, aspetta che gli avvenimenti precipitino da soli. Tranne gli ultimi inserimenti di top manager, non
ha scelto in tempo i collaboratori migliori e ha difeso e aiutato in
azienda personaggi che ai miei bei tempi potevano al massimo fare i terzi livelli di struttura. Per esempio ha sbagliato ma in questo in compagnia di Galateri sui giudizi positivi su Luciani illo tempore. Si addossato responsabilit anche riguardo allandamento della gestione, senza denunciare mai (forse per il bene
comune) cose di cui, con lassurda divisione di poteri voluta da
Mediobanca e Generali nel 2010 tra ad e presidente, lui non centrava nulla. Ma i meriti di Bernab sono superiori ai suoi difetti,
poich nelle decisioni fondamentali per il futuro dellazienda ha

sempre mostrato il proprio valore e la propria onest intellettuale. Era prevedibile che Telefnica sarebbe entrata in Telco solo
perch interessata a Tim Brasil, alla sua vendita o alla sua parziale integrazione con Vivo, disinteressandosi completamente del
nostro Paese. Bernab pensava che in questo gioco perverso sarebbe venuto alla luce per tempo, e non allultimo secondo, linteresse del governo. Speravamo insieme che i politici trovassero
con noi una sinergia discutendo costruttivamente sullo scorporo
della rete e prima ancora sulla costituzione di una societ della rete, in cui erano stati chiamati a investire tutti, concorrenti compresi. Bernab ha fatto bene a dimettersi perch, ripulito il marciume e le nefandezze che ha trovato, non poteva assistere alla
svendita di TI, quando pagheranno solo i piccoli azionisti e saranno messi a rischio migliaia di posti di lavoro. Le assicurazioni
di Alierta a Letta, parole al vento senza alcun significato.
Ora spetta al governo procedere, valutando il cambio della legge sullOpa e utilizzando finalmente lo scudo della golden power.
Sarebbe una beffa se dopo quindici anni, con tutti gli eventi succedutisi nel tempo, le istituzioni si macchiassero di nuovo dello
stesso errore.

Over-the-top vs. operatori di TLC (presentazione in PowerPoint a cura di Maurizio Matteo Dcina).

Il leggendario rapporto segreto Deloitte. Qualcuno dubita addirittura della sua


esistenza. Il rapporto esiste. A pagina 9 la famosa scritta: fornire una copia del
Report alla Societ ed ai suoi Organi Sociali (ad eccezione dellAssemblea degli Azionisti).

Finanza creativa: con la fusione Olivetti-Telecom del 2003 si scaricano sullazienda i 15 miliardi dellOpa pi altri 9 miliardi per realizzare la fusione. Con la
gestione Pirelli Il debito di Telecom Italia passa da 22 (2001) a 44,8 (2003), ai
quali si aggiungeranno nel 2005 altri 15 per lOpa sulle azioni minoritarie di Tim
per un totale di circa 60 miliardi di debiti. Il debito sar poi contenuto con una
durissima politica di cessione delle partecipazioni, dismissione degli immobili,
esuberi e mancati investimenti in innovazione e sviluppo. Questo documento
chiarisce i numeri.

Ricostruzione della dismissione del patrimonio immobiliare di Telecom Italia.


Protagonisti, i soliti noti: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Lehman Brothers,
Merrill Lynch, con Beni Stabili e Pirelli Real Estate (fonte: Asati, secondo documentazione fornita da Telecom Italia).

Dismissione durante la gestione Colaninno. La prima met degli immobili di Telecom Italia viene ceduta a una media di 783 euro al m2, generando per i fondi
di investimento un tasso di rendimento del 9% (fonte: Presentazione agli analisti del 27 settembre 2001).

Dismissione durante la gestione Tronchetti. Palazzi venduti a 500 e 600 euro al


m2 in zone residenziali di Roma a met anni 2000 (fonte: sito Internet Atlantic
2 Berenice, ex fondo Berenice).

Bilancio della societ immobiliare Tiglio I (Fonte: Asati, su documentazione fornita da Telecom Italia).

Dismissione durante la gestione Tronchetti. La sede storica di Telecom Italia in


corso dItalia venduta tra il 2005 e il 2008 a 3.400 euro al m2 (6.900 stima minima Re/Max. Fonte: Telecom Italia, Re/Max).

Note

1. Intervista a F. Rampini, la Repubblica, 6 aprile 2007.


2. Telecom, storia di predatori e prede, la Repubblica, 7 aprile 2007.
3. 2006, in seguito allOpa su Tim.
4. Telco il gruppo che, con il 22,4% delle azioni, controlla
Telecom Italia. Il gruppo formato da Mediobanca, Generali,
Intesa Sanpaolo e Telefnica. Il Piano di Telefnica prevede il
passaggio dalla minoranza alla maggioranza delle azioni di Telco
con lopzione di arrivare al 100% del pacchetto entro il primo
gennaio 2014.
5. LOpa di Colaninno del 1999 che port la Telecom sotto il
controllo della Olivetti.
6. Totale Italia pi resto del mondo.
7. Simulazione di Asati a prezzi di mercato (il valore iscritto a
bilancio era di circa 5 miliardi).
8. LIfil possedeva il 10% del gruppo di controllo (il cosiddetto nocciolo duro) che possedeva il 6% di Telecom, a sua volta lIfil possedeva dunque lo 0,6% del capitale di Telecom.
9. Associazione dipendenti azionisti di Telecom Italia.
10. Commissione nazionale per le societ e la Borsa, unautorit amministrativa indipendente, dotata di personalit giuridica e piena autonomia, la cui attivit rivolta alla tutela degli investitori, allefficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato azionario italiano.

11. Si ha unOpa quando un soggetto economico interessato


ad acquistare una partecipazione azionaria di un certo peso, mirando a detenere la maggioranza dellazienda. La Borsa influenzata dalla domanda e dallofferta di titoli e una domanda
forte di azioni creerebbe squilibri se non effettuata alla luce del
sole. Questo accade per tutelare tutti gli azionisti e garantire
una maggiore trasparenza delloperazione. Dal sito della Banca
DItalia: per Offerta pubblica di acquisto (di seguito Opa) si intende ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale finalizzato allacquisto in denaro di prodotti finanziari. Il soggetto
che lancia unofferta pubblica di acquisto o di scambio deve effettuare preventivamente unapposita comunicazione alla Consob (lAutorit indipendente che vigila sui mercati italiani) allegando un documento, destinato alla successiva pubblicazione,
contenente le informazioni necessarie per consentire al pubblico
di formarsi un giudizio sullOpa stessa. Tale comunicazione viene immediatamente diffusa al mercato e trasmessa alla societ
oggetto di Opa; essa contiene lindicazione degli elementi essenziali dellofferta, delle finalit delloperazione, delle garanzie e
delle eventuali modalit di finanziamento previste. Il documento di offerta potr essere diffuso al pubblico solo a seguito del
controllo effettuato dalla Consob e sar trasmesso senza indugio
alla societ i cui titoli sono oggetto dellofferta.
12. R. Colaninno, Primo tempo, Rizzoli, Milano, 2005.
13. la Repubblica, 30 settembre 1999.
14. Peter Gomez, il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2010.
15. la Repubblica, 11 aprile 1999.
16. Gad Lerner, la Repubblica, 23 febbraio 1999.
17. Corriere della Sera, 7 maggio 2001.
18. Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2011.
19. Panorama, 17 aprile 2009.
20. Citazioni tratte da la Repubblica, 14 marzo 2011.
21. Citazione tratta da Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2010.
22. Nellipotesi che ogni numero di telefono possa ricevere telefonate da 200 utenti diversi.

23. Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2013.


24. Secondo le dichiarazioni del faccendiere svizzero Igor Marini, nel corso della compravendita delle quote azionarie avvenuta nel 1997 sarebbero state pagate delle tangenti a esponenti
del Centrosinistra, tra le quali una presunta tangente di circa
100mila euro versata a Romano Prodi. Le accuse si rivelarono totalmente infondate, cos come le prove a supporto si rivelarono
dei falsi.
25. 23 giugno 2010.
26. Citazione in Claudio Tedoldi, Il telefono nemico, Mazzotta, 1977, ripresa da Panorama, 6 marzo 1975.
27. La retrolocazione indica la vendita di un bene che viene
poi preso in affitto dal venditore stesso attraverso un contratto
di locazione.
28. Devo dire che nello studio dei bilanci dei fondi immobiliari non ho riscontrato nessun illecito o anomalia. Ma la certezza che tutte queste operazioni siano state estremamente svantaggiose per Telecom Italia.
29. Radiocor, Il Sole 24 Ore, 30 ottobre 2002.
30. Pirelli in Telecom Italia 2001-2007.
31. il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2011.
32. Convegno organizzato da Asati, 11 marzo 2011.
33. Lettera agli azionisti del presidente dellAsati.
34. Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2012.
35. Ibidem.
36. la Republica, 13 marzo 2011.
37. Anche se ci che stato venduto non sono i macchinari
(per semplificare: gli armadi dove convergono i nodi di rete e
dalle quali si diramano i fili sui quali transitano voce e dati) ma i
terreni e gli edifici che le custodiscono, ne deriva un potenziale
pericolo, dovuto anche alle frequenti pratiche di esternalizzazione dei servizi (cessione di parti di attivit aziendale a societ terze spesso sconosciute).
38. F. Andriola, M. Arcidiacono, Lanno dei complotti, Baldini
& Castoldi, Milano, 1995.

39. Si ha un aumento di capitale quando entrano soci nuovi


che rilevano quote azionarie e tutti gli altri soci riducono proporzionalmente la loro quota. In questo caso il gruppo Telco,
con Telefnica in testa, ridurrebbe la sua quota non potendo pi
esercitare il controllo.
40. Il valore della rete dipende dal progetto di sviluppo futuro in fibra e non da quanto rende oggi il rame. La domanda che
si pongono tutti : Quanto vale il rame?. La domanda fuorviante poich la rete vale in base ai flussi di cassa futuri del progetto di sviluppo della nuova rete in fibra in cui il rame viene riutilizzato nella modalit Fttc, fibra che arriva fino allarmadio di
strada e che nellultimo miglio utilizza il rame esistente. Secondo
i piani di Telecom Italia il mix potrebbe essere di 80% per lFttc
e 20% per lFtth.
41. Fibra che arriva fino allarmadio di strada (Fiber to the cabinet) e che nellultimo miglio riutilizza il rame esistente. Questa
soluzione molto pi economica rispetto al Ftth (Fiber to the home) e ugualmente efficace, arrivando fino a 100/200 mega. Secondo i piani di Telecom Italia il mix potrebbe essere di 80%
per lFttc e 20% per lFtth.
42. F. Bernab, Libert vigilata, Laterza, Roma-Bari, 2012.
43. la Repubblica, 28 novembre 2012.
44. Termine che ha iniziato a riscontrare un certo interesse in
seguito alle dichiarazioni di Giulio Tremonti nella trasmissione
televisiva Annozero del 6 marzo 2008. Lallusione dellex ministro sarebbe rivolta verso un gruppo di banchieri occidentali che
avrebbe monopolizzato il sistema di controllo e di emissione della moneta.
45. Il termine signoraggio deriva dalla pratica di alcuni signori feudali di coniare monete appropriandosi della differenza
tra il valore della moneta e il suo costo di produzione. Con questo termine sul sito della Banca dItalia indicata la differenza
tra gli interessi percepiti dallemissione di una banconota stampata (esempio, 500 euro) e il suo costo di produzione (5 centesimi), pi tutti i costi di gestione. Questa differenza ritorna in par-

te allo Stato sotto forma di imposte e utili, mentre una parte rimane alla Banca dItalia come profitto. Il signoraggio della Banca dItalia si riferisce esclusivamente agli interessi sulla banconota emessa, poich nel caso in cui il debito fosse sanato la banconota tornerebbe alla Banca dItalia e verrebbe distrutta. Nel caso di moneta elettronica avverrebbe la medesima operazione.
Una psicosi collettiva tende a confondere il signoraggio sugli interessi con un signoraggio nel quale la Banca dItalia si approprierebbe dellintero ammontare della moneta emessa, nellesempio 500 euro pi interessi. Questo equivoco dovuto probabilmente al fatto che nello Stato patrimoniale la Banca dItalia
iscrive le banconote emesse nel passivo, come fonte di costo,
iscrivendo allattivo i crediti fruttiferi sui quali percepisce gli interessi. Non bisogna commettere dunque lerrore di scambiare
lo Stato patrimoniale con il conto economico, dove sono registrati i reali movimenti di entrata e di uscita. Ma il fatto che una
banca al 95% privata come la Banca dItalia possa percepire benefici su di una moneta creata dal nulla (considerata di propriet
comune), ha generato molte perplessit. Il signoraggio della
Banca dItalia e, in generale, di tutte le banche centrali, comunque un fenomeno poco influente (circa un miliardo annuale), se confrontato con i ritorni di cui godono gli azionisti privati della Banca dItalia e in generale di tutte le banche, che, muovendo ingenti somme di capitali, godono di rilevanti opportunit
economiche, politiche e sociali. Per questa ragione, di recente, il
termine signoraggio viene utilizzato in senso lato riferendosi a
tutti i benefici extra percepiti dal sistema bancario.
46. Si ha dollarizzazione quando in uno Stato circolano moltissimi dollari e la maggior parte dei prezzi sono espressi in dollari. In questo caso lemissione e il controllo della moneta come se dipendessero dalla Fed, con rilevanti conseguenze economiche e politiche.
47. Serie matematica convergente il cui risultato uguale a
uno diviso il coefficiente di riserva obbligatoria.
48. G. Boccaccio, Comento alla Divina Commedia.

49. Con questa formula si intende la perdita di occupazione


dovuta allintroduzione di nuove tecnologie. Il problema fu affrontato per la prima volta nella storia dai movimenti luddisti, il
cui nome deriva da Ned Ludd, operaio scozzese che nel diciottesimo secolo per protesta distrusse i telai che si sostituivano alla forza lavoro.
50. F. Sacco, Limpatto degli investimenti in Ngn sullo sviluppo
economico del Paese, a cura di, Universit Bocconi, 2009.
51. Il pericolo di avvitamento dipende dallimpatto della pressione fiscale che riduce i consumi e il Pil in un circolo vizioso:
pi tasse, meno consumi, calo del Pil e aumento del rapporto debito/Pil.
52. Joseph Schumpeter (1883-1950), economista austriaco famoso per la sua teoria sui cicli produttivi basati sul processo di
innovazione.
53. Leconomista Richard Easterlin, in base alla valutazione di
uno studio basato su questionari, formul negli anni 70 il cosiddetto paradosso della felicit. I dati mostravano una non
corrispondenza tra il reddito e la felicit delle persone appartenenti a uno stesso Paese, e tra il reddito e la felicit valutata nel
corso della vita delle singole persone. E la discrepanza era tale
che a incrementi di reddito non corrispondeva un diretto incremento della felicit. Il paradosso di Easterlin ha posto anche il
quesito sulla crescita del sistema capitalistico misurata sulla base
del Pil e ha portato economisti e psicologi a interrogarsi sul concetto di felicit, unico scopo dellattivit produttiva.

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